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Villa Ghedini a Chiavica di Legno (Filo, RA)

UN CAPOLAVORO DI ARCHITETTURA RURALE CHE VA IN ROVINA


Francesco Pertegato e Giovanni Geminiani con la collaborazione di Daniele Alberti

Stop al consumo di territorio - Argenta

CONTENUTO

Territorio e regime delle acque (secc. XVIII-XIX) Carlo Severini acquista la tenuta Aleotta (1832) Andrea Ghedini costruisce la villa (1838-1841) Due nobili architetture in aperta campagna: ipotesi di attribuzione Villa Ghedini: un uso innovativo dello spazio dietro una facciata di compassato decoro Loratorio di S. Anna, copia conforme della tomba di Dante Villa e tenuta dopo la morte di Ghedini (dal 1865 al 1968) Dalla perdita di funzioni al collasso strutturale (dal 1968 al 2012) Morigia e Nabruzzi: edificare per ornato e per utile del Pubblico

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Villa Ghedini a Chiavica di Legno (Filo, RA)

UN CAPOLAVORO DI ARCHITETTURA RURALE CHE VA IN ROVINA


Francesco Pertegato e Giovanni Geminiani con la collaborazione di Daniele Alberti

Della villa di Filo dAlfonsine, un tempo centro del borgo denominato Chiavica di Legno, si gi scritto , soffermandosi prevalentemente sulla sua storia, che va di pari passo con quella dellazienda agricola di cui fa parte e, pi in generale, con le vicende idrauliche del territorio in sinistra del Reno. E mancato invece uno studio adeguato dei fabbricati compresi nellampia corte, negli aspetti sia strutturale che decorativo. Tentiamo di farlo ora, a seguito di unesaustiva campagna fotografica e del rilievo metrico degli edifici sopravvissuti. Il loro avanzato e sempre pi rapido degrado lascia temere che questo scritto costituir presto testimonianza a futura memoria.

Territorio e regime delle acque (secc. XVIII-XIX) Il borgo, ora quasi completamente abbandonato, prende il nome dalla chiavica che regolava il deflusso delle acque del canale Buonacquisto proveniente da Conselice, situata dallaltra parte del Reno (golena destra), 2 vicino al punto in cui il Santerno si immette anchesso nel fiume, come si pu vedere in una mappa del 1813 3 (fig. 1). La struttura originaria, realizzata tra 1793 e 1794 come completamento dello scolo, in legno 4 perch per la sua natura torbosa il terreno tendeva ad inghiottire i corpi pesanti , stata poi sostituita da 5 altra in mattoni, in epoca imprecisata (fig. 2) .

Fig. 1

Fig. 2

Per linquadramento storico del borgo e della villa vedi: D. Giglioli, Argenta e i suoi dintorni, Ferrara, ed. Belriguardo, 1984, pp. 214-15; E. Checcoli, Filo della memoria, s.l., Editrice Consumatori, 2002, pp. 30-5; A. Vandini, Filo, la nostra terra, Faenza, Edit, 2004, pp. 316-25. 2 Archivio di Stato di Ravenna, Mappa Lavezzola, Sezione B di Ravegnana, anno 1813, geometra Lampugnani. 3 Archivio Storico Comunale di Conselice, Mdl, Tesoro e Casse Pubbliche, 1808-1809-1810, f. 1. Il 30 novembre 1793 Giovanni Ricci, depositario del Comune di Lavezzola, paga 20 scudi a Giovanni Matteo Mazzanti per dar incominciamento alla nova Chiavica di Legno. Un documento dell 8 aprile 1794 attesta che la paratura della Chiavica del nuovo scolo nelle valli di Ravenna in funzione. 4 Vandini, op. cit., p. 317 e nota18. 5 Elenco dei capisaldi lungo il fiume Reno da Casalecchio alla foce, riferiti al medio mare, Firenze, I.G.M., 1908.

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Questa, non pi utilizzata, sopravvive parzialmente; la parte superiore (quella inferiore interrata) ancora visibile sul lato un tempo a valle del canale (fig. 3).

Fig. 3

Fig. 4

Lassetto quasi definitivo del territorio era stato raggiunto da appena una decina danni, mediante due opere di particolare impegno e di primaria importanza per il governo delle acque: il Drizzagno di Longastrino (1782) che porta quelle del Reno dalla Bastia alla Madonna del Bosco, con 12,5 km di corso rettilineo, abbandonando il tracciato del Po di Primaro che attraversava gli abitati di Filo e Longastrino; con un altro percorso rettilineo di 6 km le acque del fiume Santerno, che prima si impaludavano presso la Frascata, 6 vengono condotte anchesse dentro il nuovo letto del Reno (1783) . Nella mappa Napoleonica del 1812-1814 (fig. 4) larea si presenta ancora in larga parte sommersa dalle acque, che favorivano lo sviluppo del tipico bosco igrofilo: salice, pioppo bianco, farnia, olmo, frassino. La villa e le sue pertinenze costruite nella fascia pi alta, a ridosso del fiume e orientate a sud - si trovano proprio di fronte allo sbocco del Santerno in Reno. Leccessiva vicinanza allargine aveva sollevato le critiche di Annibale Nuvoli, idraulico lughese, il quale considerava prudente mantenere quellarea libera, come cassa di espansione idraulica in caso di piene e tracimazioni, allora molto frequenti per via degli argini assai ridotti 7 in dimensioni rispetto a quelli attuali . Soltanto nel 1896, con linstallazione in localit Menate di una macchina a vapore della potenza di 40 HP, che scaricava le acque in eccesso nelle valli di Comacchio, si 8 arriva a prosciugare il comprensorio nelle zone centrali e pi basse .

Carlo Severini acquista la tenuta Aleotta (1837) Alla vigilia della costruzione della villa, la tenuta, parte di quella pi vasta denominata Aleotta, propriet di 9 Carlo Severo Severini (fig. 5), che laveva acquistata nel 1837 dai conti Manzoni . Il personaggio aveva raggiunto una certa fama come rgisseur del Teatro Italiano a Parigi (dove morir lanno dopo nel corso di un devastante incendio), anche grazie ai suoi rapporti con Gioacchino Rossini, cos da meritarsi una voce 10 nel Dizionario Biografico del Regli . Tra Rossini e Severini erano intercorsi anche rapporti daffari. Nel 1834 ad esempio avevano acquistato insieme Un fabbricato ad uso della vendita del pesce fresco detto la pescaria posto in questa citt di
L. Gambi, Linsediamento umano nella regione della bonifica romagnola, Roma, C.N.R., 1969, p. 80. A. Nuvoli, Osservazioni e pareri, Faenza, Montanari e Marabini, 1845, pp. 48-9. 8 Bonifica e Programmazione in Emilia-Romagna, Associazione Nazionale delle Bonifiche, Circoscrizione EmiliaRomagna, Bologna 1969, p. 371. 9 Latto di compravendita datato 16 novembre; venditori sono i fratelli conti Giacomo e Domenico Manzoni; Archivio di Stato di Bologna, Notarile, Pallotti Vincenzo, vol. 29 (5 sett. e 22 dic. 1837). 10 Severini Severo Carlo. Era nato a Bologna. Venne a Parigi per gli affari politici del 1831, che lo obbligarono a dir vale al cielo natio. Esercit nella gran Capitale della Francia la professione di Maestro di lingua italiana. A que d lo conobbe Rossini, e trovata in lui onest ed intelligenza, buon cuore e mente sveglia, lo nomin rgisseur di quel Teatro Italiano, posto che prima aveva occupato Barili. Dallora fino al 15 gennaio 1838 occup fra lestimazione universale questa non facile carica; quel giorno, fatalissimo giorno, fu lultimo del viver suo. Appiccatosi al Teatro Italiano un orribile incendio, egli ebbe troppa premura di mettersi in salvo, e precipitando dallalto, succise. Severini fu compianto da tutta Parigi, ove erano non solo note, ma ammirate le sue squisite e rare virt. Fu in famigliarit daffetti coi pi grandi di quellepoca, e pu dirsi che abbia anchegli efficacemente cooperato, perch la musica dItalia trovasse in Francia un tempio degno di essa. Le sue ossa riposano in un maestoso tumulo nel cimitero di Montmartre; F. Regli, Dizionario Biografico, Torino, coi tipi di Enrico Dalmazzo, 1860, p. 501.
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Bologna nella Via Mercato di Mezzo, N. 66, ed in via Capreria N. 1262, costruito nel 1817. Anni prima Severini era stato lagent di Domenico Salvolini nella gestione di una boutique de chapeau de paille dItalie, sempre a Bologna. Profittando di due giornate di festa aveva venduto tutta la mercanzia a dei commercianti ebrei e si era reso irreperibile. Giunto a Parigi e perduta al gioco lintera somma ricavata dalla vendita dei 11 copricapi, era approdato prima del 1824 e dopo varie vicissitudini , al Teatro Italiano, come visto per intervento dello stesso Rossini. Numerose sono le lettere autografe indirizzategli dal musicista: nella biblioteca del Liceo Musicale G.B. Martini se ne conserva un fascicolo riguardante Villa S. Giuseppe, dal 12 Rossini denominata la Severiniana , evidente attestazione del forte legame esistente tra i due.

Fig. 5

Fig. 6

Andrea Ghedini costruisce la villa (1838-1841) Allimprovvisa morte di Severini la propriet passa alle tre figlie di sua sorella Orsola, morta nel1834 , mentre il cognato Andrea Cipriano Ghedini (1788-1875 - fig. 6), avvocato residente a Bologna, ne diventa amministratore e usufruttuario. Orsola e Andrea Cipriano si erano sposati prima del 1816 e avevano avuto 6 14 figli, dei quali al momento della realizzazione della villa sopravvivevano solo Clementina, Clelia e Cornelia ,
P. Fabbri, S. Monaldini, Delle monete il suon gi sento! Documenti notarili relativi a Gioacchino Rossini, possidente, in M. Capra (a cura di), Una piacente estate di San Martino. Studi e ricerche per Marcello Conati, Lucca, LIM Editrice, 2000. 12 Documenti nn. 17, 17a, 38-42. 13 La propriet delle tre sorelle attestata da una pianta del 1840, realizzata a seguito di una Sacra Visita dellarcivescovo di Ravenna al Vicariato di Argenta e conservata nellArchivio Arcivescovile (Sacra visita n. 169 [100]); riprodotta in Vandini, op. cit., p. 325, fig. 217. 14 Lo stato di famiglia pu essere ricostruito dalla lunga epigrafe marmorea che si trova nella tomba di famiglia alla Certosa di Bologna (Loggiato delle Tombe, tomba n. 99). In ordine cronologico si susseguono le morti: la figlia Adelaide,
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menzionate nellepigrafe in marmo posta sopra la porta di accesso alla chiesetta . Col passaggio di propriet, dopo il 1841 la tenuta viene ribattezzata Ghedinia, nome in uso ancor oggi. Anche le vicende del territorio e lavvicendamento tra Severini e Ghedini sono attestati dalla targa marmorea: OSPITE E PAESANO / QUESTO TERRENO CHE VEDI / FRA IL RENO E IL PO VECCHIO / PALUDOSO E
SELVAGGIO / CARLO SEVERINI / BOLOGNESE DIMORANTE IN PARIGI / COMPRO LANNO 1837 / DOPO LA MORTE / DEL COGNATO AMATISSIMO / LEREDE USUFRUTTUARIO / CAVALIERE AVVOCATO / ANDREA CIPRIANO GHEDINI / DA SECOLARE SELVATICHEZZA / QUESTE GIA INABITABILI PALUDI / E DISBOSCANDO LIVELLANDO / RIDUSSE A COLTURA DI FERTILI CAMPI / DI PIANTAGIONI E VILLARECCI EDIFICI / ERETTA UNA CHIESA IN ONORE DI S. ANNA / A TANTO PATROCINIO / I NOVELLI COLONI SE LA CASA / E FORTUNE SUE DELLE FIGLIOLE / CLEMENTINA CLELIA CORNELIA / EREDI PROPRIETARIE FIDO IN PERPETUO.
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Liscrizione proclama in sintesi il progetto di Ghedini, probabilmente ben lontano dallessere compiuto: il terreno comprato dal cognato - paludoso e selvaggio, segnato da secolare selvatichezza e luogo di 16 inabitabili paludi- stato livellato, disboscato e messo a coltura di fertili campi e di piantagioni ; un riferimento preciso viene fatto ai villarecci edifici, cio le case dove abitano i novelli coloni. La villa diventa il luogo dove lusufruttuario, lasciati temporaneamente o periodicamente gli impegni di leguleio a Bologna, si trasferisce in campagna per seguire la conduzione della tenuta. Una seconda epigrafe posta allinterno della chiesetta, sopra la porta, e alcune testimonianze documentali informano che la cappella gentilizia stata consacrata il giorno di SantAnna (26 luglio) del 1841 dallarcivescovo di Ravenna, cardinale Chiarissimo Falconieri: HONORI / ANNAE VIRGINIS SANCTAE PARENTIS / ANDREAS CYPRIANUS GHEDINIUS / AEDICULAM D.P.S. EXTRUXIT / DEDICAVITQ. A MDCCCXXXXI / CLARISSIMO FALCONIERIO / CARD. ARCHIEP. RAVENN.. Allinterno della casa figuravano due altre iscrizioni (Inscriptum Domui) che conosciamo solo attraverso le fonti documentarie: PARVA EST / ARTIS LUCELLO / QUAM PONO / MEAE e SED QUAE / BONO SIT AMPLA / AMICO ET / OSPITI.

Fig. 7

di soli 4 giorni, il 21.01.1821; il figlio Carlo il 24.07.1827; la moglie Orsola Severini, quarantenne, il 07.08.1834; la figlia Carolina a ventanni, il 07.01.1836; Andrea Cipriano, quasi novantenne, il 01.03.1875. Va ricordato infine il figlio di Cornelia Ghedini, Cipriano Pallotti, morto a 22 anni; la sua collezione di autografi stata donata alla Biblioteca dellArchiginnasio (lo ricorda una targa marmorea in sala di lettura). 15 Com documentato da una foto del 1958, lepigrafe era stata verniciata di nero, per ragioni difficili da indovinare. 16 E probabile che per questo intervento di bonifica Andrea Cipriano si sia avvalso di tecnici dellambiente professionale del padre, Giuseppe Maria, perito e ingegnere morto nel 1832, nella lapide tombale definito SVMMI CURATOR AQVAR PROV BONON CISPAD (Certosa di Bologna, Chiostro Quinto detto Maggiore a Ponente, tomba LVII). La madre, Maria Cipriani, era invece morta nel 1814 (risulta da una seconda lapide nella medesima tomba).

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La planimetria pi antica in cui si vedono la villa e le due costruzioni simmetriche ai lati risale al 1844 (fig. 7); la villa sorge tra la boaria Monti e il capanno di Felino. Nella mappa si vede anche il taglio abbandonato, probabilmente il canale fatto costruire nel 1832 dal legato apostolico cardinal Giuseppe Albani, al quale si riferiva unaltra iscrizione su marmo, un tempo collocata in localit Menate e distrutta forse nel corso della 18 seconda guerra mondiale . Limportanza dellimpresa voluta dal Ghedini confermata dal fatto che la redazione delle scritte dedicatorie 19 viene affidata ad un latinista di chiara fama, Luigi Grisostomo Ferrucci (1797-1877) , letterato e poeta, che era stato bibliotecario della Laurenziana di Firenze. Fratello del pi illustre Michele (1801-1881), inserito dal De Lussac tra gli illustri europei contemporanei (1873), Luigi Grisostomo autore di un poema, La scala di 20 vita, dai contemporanei paragonato addirittura alla Divina commedia . Le iscrizioni sono riportate nella 21 biografia del cardinale Chiarissimo Falconieri scritta da David Farabulini , cittadino di Filo illustre quanto poco conosciuto. Anche quella allesterno della cappella trascritta in latino come doveva essere la 22 redazione originaria , nella quale mancano per i nomi delle tre figlie Ghedini. Anche grazie ad una grafia pi corrente e al diverso tipo di marmo, si pu presumere che quella attuale sia frutto di una traduzione successiva, probabilmente voluta in tarda et dal padre oppure da Clementina, Clelia e Cornelia dopo la sua morte. Grazie allintestazione di un sonetto composto dal dottor Balla in omaggio al cardinale Falconieri apprendiamo che nel luglio del 1842 la tenuta viene ancora chiamata Aleotta: IN OCCASIONE DELLA SACRA VISITA PASTORALE / DELLEMINENTISSIMO E REVERENDISSIMO PRINCIPE /
SIGNOR CARDINALE / CHIARISSIMO FALCONIERI / ARCIVESCOVO DI RAVENNA / AL NUOVO ORATORIO DEDICATO A SANTANNA / COSTRUITO DAL MUNIFICO GIURECONSULTO / ANDREA CIPRIANO GHEDINI BOLOGNESE / ALLA SUA TENUTA ALEOTTA IN FILO / IL DOTTOR BALLA / O.D.C..
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Il sonetto celebra inoltre la trasformazione di un luogo disabitato, dedito alla pastorizia, in un borgo con edificio di culto: Vieni Sacro Pastor che lostro onori, / E questo suol di tua presenza bea. / Nellaugusto Sacello entra, e ricrea / Te medesmo ad un tempo, e i nostri cori. / Qui tuttera deserto, e altri pastori / Altra greggia adducean per la vallea; / N un abituro, od un Altar sorgea / Ove scorgi abituri, ed Ara, e fiori. / Vieni, e la destra a benedir distendi / Questo suolo che calchi, e il divo segno / Su noi pur greggia tua benigno estendi; / E alla Madre di Lei, che a un Dio fu Madre, / Voti porgi per Noi, tu Pastor degno / Onde ci guidi alle celesti squadre. (Lugo per Melandri). In una circostanza analoga, forse ad un anno di distanza, alcuni amici indirizzano al Ghedini unaltra composizione poetica: A TE / ANDREA CIPRIANO GHEDINI / GIURECONSULTO BOLOGNESE / PADRE DI FAMIGLIA SOLERTISSIMO /
DE MESCHINI VOLENTEROSO SOCCORRITORE / DI OPERE BELLE UTILI LODEVOLISSIME / LARGO FACITORE MUNIFICO / DI VERA FILANTROPIA ESEMPIO RARISSIMO / QUESTA ATTESTAZIONE DI LAUDE / NEL GIORNO SACRO ALLE GLORIE / DELLA PROTEGGITRICE SANTANNA / CELEBRATE NEL NUOVO TEMPIO ERETTO A FILO / ALCUNI AMICI / PENETRATI DI GIOIA E DI AMMIRAZIONE / VOLLERO INTITOLATA - Filo, Villa S. Anna,

1842.
Archivio di Stato di Ravenna, mappa Filo e Longastrino, Allegato 36, autore ing. Giovanni Missiroli. Nella mappa catastale del 1813 la villa non c ancora e il proprietario dei terreni il conte Antonio Manzoni, i figli del quale li venderanno a Severini (vd.nota 9). 18 QUOD DIV. IN VOTIS FUIT/ IOSEPHUS ALBANIUS CARD. LEG. PROV. BONON./ PRAESES CONSILII RHENANI AQUIS REGUNDIS/ INGENTIA QUAEQUE ANIMO COMPLEXUS RENUM FLUMEN / SINISTRORSUM EXCURRENS AGGERE PER MATHEMAT./ BONON, ET FERRAR, EXCITATO/ CONTINVIT AVERTIT/ IDEMQ. PRAEP. EXTRAORDINARIUS/ PROVV, IIII ADMINISTRANDIS SUBSIDENTES AQUAS/ IN FOSSAM LONGASTRINI CONRIVARI IVSSIT/ DECRETO QUOD DATUM EST POSTR. ID. APR. A MLCCCXXXII/ QUORUM OPERUM FIDES POSSESSORES PRAEDIORUM/ INTRA FINES FILI ET LONGASTRINI AD MEMORIAM/ IMMORTALIS BENEFICII POSTERIS TRADENDAM/ SAXO COMMENDARI VOLVERUNT. E dovuta alla penna di L. G. Ferrucci. 19 D. Farabulini, Vita del cardinale Chiarissimo Falconieri Arcivescovo di Ravenna (seconda edizione) Roma, coi tipi dellOsservatore Romano, 1863, p. 264. 20 Le epigrafi sono pubblicate nella sua opera in tre volumi: Alois. Chrisostomi Ferrucci, Inscriptionum, Faventiae, ex Officina Contiana, MDCCCVIIII (Lugo, Bibl. Trisi, III XXXI A, 60-67). 21 Op. cit., p. 265. 22 HOSPES AVT INCOLA / QUEM PROSPICIS TRACTVM RHENO INTERIECTVM ET PADO / KAROLVS SEVERINIUS BONONIENSIS / LVTETIAE PARISIORUM CONSISTENS / HVMESCENTEM PALVDE IVNCIS ET SALTVBVS HORRIDVM / PRETIO COMPARAVIT AN. MDCCCXXXVII / ANDREAS CYPRIANVS GHEDINIVS / POST FATUM MISERRIMUM LEVIRI DESIDERATISSIMI / HERES AB INTESTATO VSVFRVCTVAR / EUNDEM PURGATUM SALICTIS AEQVATVM CAMPIS / ARBORIBVS CONSITVM AB SECVLARI INERTIA SVSCITAVIT / AEDIFICIIS OMNIQ PENU INSTRVXIT / ET HONORI ANNAE TVTELARIS AEDE CONDITA / COLONOS NOVOS SE DOMVM RESQ SVAS / PATROCINIO EIVS IN AEVVM ADDIXIT.
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Due nobili architetture in aperta campagna: ipotesi di attribuzione La sobriet della villa e delloratorio/tempio non deve trarre in inganno: essi occupano una posizione non trascurabile in quel particolare capitolo della storia dellarchitettura ravennate costituita dalle ville di campagna e dagli edifici che ruotano loro intorno. A queste conclusioni si perviene sulla base di due considerazioni di fondo. Gli edifici di Chiavica di Legno costituiscono se non lunico, uno dei pochissimi esempi di un complesso organico, composto di villa, edificio di culto e fabbricati annessi, nati su progetto unitario e compiutamente realizzati (fig. 8), inclusi le recinzioni, i cancelli e la ghiacciaia (fig. 9). Tutto questo in meno di tre anni, tra il gennaio del 1838, data di morte del Severini, e il 26 luglio1841, probabile data di inaugurazione delloratorio. Per afferrare limportanza delloperazione basta porre mente, ad esempio, alla villa Ginanni a S. Stefano (fig. 12) che ha caratteristiche analoghe: non mai stata completata e, quando si iniziato a costruirla, la cappella preesisteva dal 1730 ed stata mantenuta anche se ha orientamento diverso da quello dato poi alla villa. Limpianto architettonico degli edifici e la fattura delle decorazioni consentono di indirizzare la ricerca della loro paternit verso gli artefici che hanno avuto un ruolo non secondario nella produzione dellarea di influenza ravennate in quegli anni. Losservazione e il confronto rivelano infatti somiglianze significative con architetture della citt e del territorio assegnate al periodo che fa seguito allattivit di Camillo Morigia (174323 1795) , il pi importante architetto ravennate del suo tempo, al quale si deve anche la progettazione di edifici rurali come la Casa delle aie a Cervia, nonch i disegni per i fabbricati sui fondi della famiglia 24 Calcagnini, nei dintorni di Alfonsine . Un nome si fa strada in particolare: quello del suo allievo Lodovico 25 Nabruzzi (1766-1849) che tra i contemporanei ha lasciato le testimonianze pi interessanti . Lipotesi di attribuzione viene qui di seguito sottoposta a vaglio critico.

Fig. 8

Villa Ghedini: un uso innovativo degli spazi, dietro la facciata di compassato decoro La facciata di villa Ghedini (figg. 8, 10 e 17A) richiama da un lato quella dellOrfanotrofio Maschile di Ravenna (ora Casa Protetta S. Chiara - fig. 11), il primo edificio a destinazione civile progettato da Camillo
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Sullopera di Morigia architetto vedi in particolare i contributi di pi autori in N. Pirazzoli, P. Fabbri, Camillo Morigia (1743-1795)/ architettura e riformismo nelle legazioni, Imola (BO), 1976, e le bibliografie ivi riportate. 24 Ivi, pp. 130-3 e fig. 125. 25 Sullopera di Nabruzzi vedi, di M. Gori: Lodovico Nabruzzi, ingegnere ravennate (1766-1849), in Musei Ferraresi 9/10, Bollettino Annuale 1979/80 (1982), pp. 109-19; Larchitettura dinvenzione (1794-1849) di Lodovico Nabruzzi, in Romagna arte e storia, n. 25, 1989, pp. 55-72.

Fig. 9 Morigia tra 1778 e 1782 , ma anche quella della villa commissionatagli nel 1775 da Prospero Ginanni (fig. 12), da lui affrontata in una prima fase ma portata a termine dal Nabruzzi. La sua vicenda costruttiva piuttosto tormentata: il maestro vi interviene a lavori gi iniziati e progetta una facciata con un corpo centrale 27 avanzato di circa un metro ; affidata successivamente allallievo, questi la trasforma riducendo laggetto dellavancorpo a qualche decina di centimetri e sormontandolo con un timpano triangolare, dopo aver eliminato lattico previsto dal Morigia. Neppure questa terza fase dei lavori porta per a termine il fabbricato, la cui ala sinistra non sar mai costruita. E non perch non ci fosse lintenzione di fare presto, se si pensa che una larga parte delle modanature del timpano sono state realizzate non in pietra ma in legno, materiale meno costoso e pi facilmente lavorabile in loco, anche se assai deperibile allesterno. Di questo iter travagliato rimane testimonianza anche nella distribuzione degli spazi interni di cui si parler pi avanti.
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Fig. 10

Anche se realizzata senza dispendio di mezzi lopera va comunque sotto il segno di un sicuro anche se sobrio decoro: qualche lesena a spartire gli spazi, un timpano sopra un accenno di corpo centrale [...] Data per scontata laccidentale frugalit, vi si affermava perci il principio di necessit artistica anche per gli edifici di pubblica utilit (e non solo per chiese ville e palazzi); N. Pirazzoli, P. Fabbri (a cura di), con la collaborazione di C. Cenci, Catalogo delle Opere, in Pirazzoli, Fabbri, op. cit., pp. 137-91, p. 80 (cat. n. 11). 27 M. Dezzi Bardeschi, Itinerario 1770-1790, in Pirazzoli, Fabbri, op. cit., pp. 64-5, nota 2.

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Fig. 11

Fig. 12

Tornando alla facciata, soluzioni simili a quella adottata dal Morigia nellOrfanotrofio si trovano in Romagna in alcuni ben pi monumentali edifici coevi o di poco successivi. Si considerino, ad esempio, il palazzo Guarini Matteucci Foschi di Forl (fig. 13), la cui facciata dovuta a Matteo Masotti (1786), e il palazzo Paulucci di Calboli (fig. 14), anchesso a Forl, ristrutturato nel 1780 ma ultimato solo nel 1793. Un ulteriore edificio di pregio che presenta un corpo centrale leggermente aggettante rispetto alle due ali palazzo Gessi a Faenza (1786), dovuto al conterraneo faentino e in una qualche misura concorrente del Morigia, Giuseppe 28 Pistocchi (1744-1814) .

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A. Gambuti, Sulla formazione e lattivit faentina di Giuseppe Pistocchi, in E. Godoli (a cura di) Giuseppe Pistocchi (1744-1814) architetto giacobino, cat. della mostra (Faenza 1974), Faenza 1974, pp. 28-9, fig. 10.

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Pu sembrare azzardato paragonare la villa di Filo a queste architetture nobili. Qui siamo infatti lontani dalla citt e anche, rispetto alla villa Ginanni - dove il fronte del timpano impegnato da un magniloquente stemma di una famiglia che occupava una posizione eminente tra la nobilt locale - in una situazione molto meno impegnativa sul piano della rappresentazione sociale. Alla Chiavica di Legno viene costruita niente pi della casa di campagna di un borghese, illuminato ma senza lignaggio e fino ad allora privo di relazione col territorio. Ma i principi che sovrintendono alla progettazione non sono lontani dagli esempi che abbiamo segnalato. Vediamo di indagarli un po pi a fondo. Atteniamoci, per prudenza, ai due edifici che meglio corrispondono al modello di facciata riconoscibile a villa Ghedini: un lungo fronte a due piani (figg. 10, 17A), interrotto al centro da un avancorpo (fig. 15) segnalato da una modesta sporgenza e completato da un fastigio triangolare. Ci che differenzia Orfanotrofio, villa Ginanni e villa Ghedini sono le dimensioni dellavancorpo e il ruolo giocato dalle modanature e dalle decorazioni nel farlo emergere. A Ravenna (fig. 11) lavancorpo include la sola sezione del portale e della finestra centrale al piano superiore; a S. Stefano (fig. 12) una porzione che comprende oltre al portale centrale due finestre laterali; a Filo (fig. 15) ben quattro finestre oltre al portale. Il distacco tra lavancorpo e il resto della facciata viene ottenuto: nella villa Ghedini con il pi semplice dei mezzi, una sporgenza (fig. 16); nella villa Ginanni una coppia di lesene per parte, poco aggettanti, che vanno da terra al cornicione, prive di base e capitello e parzialmente sovrapposte luna allaltra; a Ravenna coppie di lesene, poste su alti plinti, pi aggettanti e anchesse parzialmente sovrapposte, che vanno solo dalla cornice marcapiano al cornicione e sono completate da basi e capitelli marmorei; due altre lesene per parte scandiscono lintera facciata (lala sulla destra, pi semplice, probabilmente frutto di un ampliamento successivo).

Fig. 15

Fig. 16

NellOrfanotrofio e nella villa Ghedini c un ulteriore elemento in comune, una sorta di terzo piano corrispondente ai vani della soffitta, che prendono luce da basse finestre rettangolari poste immediatamente sotto il cornicione (questultimo, di dimensioni assai maggiori nelledificio ravennate). Oltre ai tre ordini di aperture esterne ci sono inoltre, nel solo corpo centrale, due cornici appaiate - quella marcapiano e quella in linea coi davanzali delle finestre del primo piano tra le quali sono inserite delle cartelle, lisce ma incorniciate a Ravenna, con uninfiorescenza anchessa incorniciata al centro a Chiavica di Legno (figg. 15-16). In entrambi i casi sono infine modanate le cornici delle finestre della soffitta. Nonostante la maggiore ricerca e luso del marmo che stanno alla base della progettazione dellOrfanotrofio, pu essere riferito ad entrambe le architetture quanto recentemente osservato dal Fabbri: [...] la decorazione sar assai stringata e frugale, fatta di lesene appena rilevate e di un timpano su un corpo centrale quasi atrofizzato, ma con questi pochi mezzi linsieme attinge comunque lo scopo di prospettarsi come ornato e articolato su piani 29 diversi .
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P. Fabbri, Morigia e il riformismo nello Stato Pontificio, in Pirazzoli, Fabbri, op. cit., p. 126.

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Forse per sottolinearne il carattere villereccio, lintonaco del piano terra di villa Ginanni a bugnato liscio (fig. 12); probabilmente per la stessa ragione quello di villa Ghedini caratterizzato da unaccentuata granulosit (fig. 16). Ma i confronti tra le due ville si prestano a ben pi interessanti scoperte per quanto riguarda la suddivisione degli spazi interni, evidenziata dai rispettivi rilievi metrici (figg. 17 B e C). I due edifici condividono il grande corridoio centrale, su cui danno i due portali dei prospetti maggiori. Per il resto tutto diverso. A S. Stefano (fig. 17 C) ci troviamo ancora di fronte ad unarticolazione tradizionale, con le stanze infilate a cannocchiale, sia sul versante sud che su quello nord; la scala, elegante ma di dimensioni piuttosto contenute, corre sui quattro lati di un vano collocato immediatamente a destra dellentrata rivolta a sud; il soffitto voltato a vela sopra i pianerottoli agli angoli, a botte sopra le rampe. A Chiavica di Legno (fig. 17 B) si accede invece ai piani superiori attraverso una scala relativamente imponente che parte dal centro del corridoio, a destra, e lo mette in connessione con quello identico al piano superiore, lasciando gli ambienti utilizzati come abitazione indipendenti gli uni dagli altri, e consentendo di accedere ai depositi del primo piano, lato ovest, mediante un piccolo corridoio trasversale; nessuna comunicazione esiste invece con il granaio dellala ad est. Il soffitto della scala ha inoltre una volta abbassata, illuminata da unapertura vetrata posta al centro (sulla parete opposta allaccesso sono visibili le tracce di un grande orologio circolare). Una particolarit va poi osservata: il vano chiuso da un portone centinato, robusto come quelli che danno sullesterno; probabilmente per ragioni di sicurezza il portone si chiude dal lato scala per mezzo di robusti catenacci, che venivano serrati quando lultimo andava a dormire. Tuttavia laspetto pi innovativo di villa Ghedini che, va ricordato, era abitato dalla famiglia solo nel periodo estivo - si rivela nellarticolazione degli spazi in relazione alle funzioni (fig. 17 B), molto diversa da quella di una tradizionale residenza di campagna. Labitazione vera e propria impegna infatti la sola porzione corrispondente allavancorpo sovrastato dal timpano (un quarto dellintero edificio), a parte un locale di

Fig. 17

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servizio sussidiario alla cucina, forse ricavato in un secondo tempo. Il resto era utilizzato nel modo seguente: lala ad ovest, al piano terra come stalla dei cavalli, rimessa per i calessi e deposito per attrezzi e prodotti agricoli; come deposito di prodotti agricoli il primo piano; lala ad est come cantina il piano terra e come granaio il primo piano e la soffitta, entrambi raggiungibili con una scala di legno alla quale si accedeva dal retro. Per favorirne un uso flessibile, le ali hanno come unici elementi strutturali, oltre ai muri esterni, i pilastri di sostegno, i quali sorreggono un soffitto su travi di legno quella ad est, a voltini su putrelle metalliche la cantina (fig. 18). Si tratta quindi di un edificio di servizio per pi di tre quarti della cubatura, ma racchiuso in un guscio di pregio architettonico, reso imponente proprio dalle imponenti dimensioni delle due ali, che in facciata presentano la stessa distribuzione delle finestre del corpo centrale. Sopravvenuta la famiglia Tamba, che era particolarmente numerosa, la porzione dellala ovest attigua allabitazione stata anchessa destinata alla famiglia nel modo seguente: al piano terra una grande dispensa e al primo piano un appartamento raggiungibile con una diversa scala dal retro. Questa insolita morfologia si rispecchia in facciata, senza tuttavia denunciare esplicitamente la gerarchia delle funzioni (figg. 10, 17/A): lavancorpo, nel cui timpano cera forse un tempo un grande orologio circolare 30 (fig. 2) , lunico a presentare decorazioni esterne (cornici delle aperture, cartelle sottostanti i davanzali delle quattro finestre al primo piano). Le inferriate alle finestre e quella del balcone e della ringhiera della scala metallica sono pi ornate, ma non sono originarie; risalgono al secolo scorso e sono state probabilmente recuperate da altro edificio e qui e riutilizzate, in un periodo successivo ad una fotografia degli 31 anni 70 (fig. 10) , quando il balcone primitivo, con il piano allineato alla cornice marcapiano inferiore sostenuto da due mensole laterali, a volute in cemento stampato, stato sostituito da una soletta in cemento armato, sorretto rozzamente da tre putrelle in ferro e completato dalla scala (fig. 19). Nelle ali le uniche decorazioni sono il cornicione e le fasce marcapiano; le inferriate sono quelle solitamente presenti nelledilizia popolare e le imposte mettono in vista la parte modanata quando sono aperte (verso lesterno); le due porte laterali, al centro delle ali sul prospetto sud, non presentano decorazioni murarie (quella ad ovest a due battenti che si aprono verso linterno e ha il catenaccio allesterno, laltra tamponata, forse dallorigine).

Fig. 18

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Lo si vede nella rappresentazione schematica che figura nellelenco dei capisaldi (vd. nota 5). Dovuta a Giovanni Geminiani.

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Fig. 19

Linsieme degli edifici compresi nella vasta corte esistenti alla fine degli anni 60 del secolo scorso, e delle rispettive funzioni sono stati rilevati dal Geom. Domenico Matteucci di Ravenna (fig. 20).

Fig. 20

Loratorio di S. Anna, copia conforme della tomba di Dante Quella che lepigrafe marmorea chiama oratorio (fig. 21 in effetti una cappella con altare consacrato, dove si celebrava e si celebra la messa, si svolgevano gli uffici funebri e somministravano i sacramenti. Riprende anchessa la concezione di unopera capitale del Morigia, il sepolcro di Dante (fig. 22), commissionatogli nel 1780 dal cardinale legato Luigi Valenti Gonzaga, il cui stemma corona il portale. E com successo per la villa, nella quale i principi costruttivi del maestro arrivano attraverso le elaborazioni fatte dal suo allievo nella facciata di villa Ginanni, anche questo prototipo era stato riproposto dal Nabruzzi, in chiave minore, nella chiesa del S. Crocefisso al Camposanto (fig. 23) e in altri progetti per edifici di culto. Mettendo a confronto le facciate dei tre edifici notiamo che essi hanno in comune: lo sviluppo verticale; il fulcro costituito dalla porta e dalla grande finestra semicircolare (termale); il timpano triangolare che li sovrasta. Sorprendente soprattutto la somiglianza che si coglie immediatamente tra la facciata della chiesetta campestre e la tomba del massimo poeta. Ma anche con quella di un edificio del faentino

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Giuseppe Pistocchi, la chiesa di S. Maria degli Angeli a Pesaro di pochi anni prima (1774) , nel quale stato tuttavia colto un attardarsi in compiacimenti decorativi assolutamente estranei al nascente gusto 33 neoclassico .
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Fig. 21

Fig. 22

La sorpresa si accentua quando si mettono a confronto il piccolo oratorio annesso alla villa (fig. 21) con il progetto della tomba di Dante (fig. 24): si scopre infatti la pressoch totale corrispondenza non solo delle 34 proporzioni dei due edifici ma anche delle loro dimensioni , al punto che le restituzioni grafiche delle linee salienti non mostrano significative differenze (figg. 26, A e B). Somiglianza meno stringente si verifica col 35 progetto della chiesa pesarese del Pistocchi (figg. 25, 26 C) . Il modello, sia per il sacello dantesco che per ledificio progettato dal Pistocchi, viene dalla critica individuato non tanto nel prospetto della chiesa delle Zitelle in Venezia, assegnata dubitativamente al Palladio, quanto alla ripresa settecentesca di quellimpianto, 36 in particolare nella chiesa romana di S. Pantaleo di Giuseppe Valadier (1762-1839) . La morfologia, estremamente semplice, consta di una sorta di arco trionfale, poggiante su pilastri con capitelli modanati e sovrastato da timpano; nellarco inscritto un corpo leggermente arretrato, diviso in due dalla cornice orizzontale che unisce i capitelli dei due pilastri riprendendone la modanatura: lo spazio soprastante diventa un finestrone termale; la parete sottostante viene invece bucata dalla porta di accesso. Questa, che alla Chiavica di Legno ha lampiezza esterna leggermente superiore a quella del sepolcro, risulta invece abbassata rispetto a questa, per far spazio alla targa marmorea con lepigrafe. Unaltra differenza costituita dalle dimensioni del finestrone semicircolare: lingombro esterno della cornice , nei due edifici, identico, ma lapertura reale ha nella chiesetta dimensioni minori. Larchitettura del Morigia, che

A. Gambuti, op. cit., pp. 23-4, fig. 5; N. Tomaiuoli, Chiesa di S. Maria degli Angeli, scheda di cat., ivi, pp.100-01. Ivi, p. 101. 34 Lunica rilevabile direttamente, la base esclusa la zoccolatura, pari a 540 cm nella chiesetta e 555 cm nel sacello dantesco. Laltezza di questultimo misurata dal piano di calpestio della porta di accesso, escludendo pertanto la piccola gradinata che lo precede. 35 Per facilitare il confronto si assegnata convenzionalmente alla base la dimensione di 540 cm. 36 Per quanto riguarda il Morigia vedi: F. Moschini, Largo Firenze e la zona dantesca. Dalle tonalit sospese al progetto urbano, in Id., La zona dantesca e Largo Firenze: 60 anni di progetti, Ravenna, Essegi, 1988, pp. 8-9. A riguardo del tempio del tempio del Pistocchi vedi: N. Tomaiuoli, op. cit., p. 101.
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aveva dovuto operare in uno spazio obbligato, appare tuttavia pi snello, ma solo per via della piccola semicupola impostata sullattico che lo sovrasta.

Fig. 23

Fig. 24

Fig. 25

Fig. 26

Che la facciata concepita dal Morigia arrivi alla Chiavica di Legno attraverso la mediazione del Nabruzzi pi che comprensibile: questi non solo aveva accesso alle carte del suo maestro ma sarebbe stato anche il 37 primo ad occuparsi della possibile risistemazione della zona dantesca, nel 1845 . Daltra parte, oltre ai rilievi delle architetture bizantine di Ravenna, egli aveva effettuato quelli di numerosi edifici realizzati dal suo maestro, come appunto il sepolcro di Dante, lOrfanotrofio Maschile, il palazzo Rasponi, la porta Sisi, la

Nabruzzi proponeva di isolare il sepolcro in una vasta area ottenuta interrando una porzione del chiostro del convento di S. Francesco e occupando una parte dellarea di Braccioforte; G. Ravaldini, Largo Firenze e la zona dantesca: progetti vecchi e nuovi, Ravenna, a cura della Libreria Tonini, 1983, pp. 16-8 e figg. 19-20. Vd. anche: F. Moschini, Largo Firenze e la zona dantesca. Dalle tonalit sospese al progetto urbano, in Id. (a cura di), La zona Dantesca e Largo Firenze: 60 anni di progetti, Ravenna, Essegi, 1988, pp. 9-10, fig. 7 e p. 11, fig. 9.

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chiesa di S. Maria in Porto, il palazzo del Pubblico Orologio, le Scuole Pubbliche e la Dogana e i 38 Magazzini . Alla Chiavica di Legno per il Nabruzzi non opera sulla scorta della sua interpretazione del sacello, gi realizzata come s visto nella chiesa del S. Crocifisso (fig. 23); pi direttamente e probabilmente in modo pi sbrigativo, cosa che gli era consentita operando lontano da Ravenna dove un fatto simile non sarebbe passato inosservato - antepone allaula delloratorio agreste quasi una copia della facciata della tomba di Dante, semplicemente riducendone laggetto e usando lintonaco al posto dei marmi, troppo costosi; lunico inserto in pietra costituito dalla cornice della porta. Un dettaglio mette inoltre la chiesina in relazione con larchitettura romagnola; si tratta delle mensole che sorreggono gli spioventi laterali del tetto della cappella: la foggia particolare, ottenuta scavando unansa in un mattone messo di coltello, tipica di molti edifici ottocenteschi in varie aree della Romagna.

Fig. 27

Linterno presenta unaula rettangolare terminante nellarea absidale (fig. 27), leggermente pi stretta e soprelevata di un gradino. Completa ledificio un corpo ad U che circonda questultima (fig. 28) e gli conferisce, in pianta, la forma di una croce latina tronca, gi riconoscibile nella mappa del 1844 (fig. 7). Nel corpo di fabbrica accessorio trovano collocazione: sul lato est una piccola sacrestia con larmadio per i paramenti, la suppellettile liturgica e i vasi sacri (attualmente depositati in parte presso la chiesa parrocchiale di Filo); sul lato ovest il confessionale e altri armadi, ora trafugati; sul lato nord alcune panche a muro, ora perdute, lasciano pensare che lambiente fosse utilizzato per insegnare il catechismo ai figli dei coloni o per ospitare un coro (della suppellettile faceva parte anche un piccolo harmonium portativo). Su questo stesso ambiente penetra la nicchia contenente la statua di S. Anna con la Madonna bambina, raggiungibile
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Nella Raccolta Piancastelli (Biblioteca Comunale di Forl, n. 330, C.R. 5) conservata una carta probabilmente di mano del Nabruzzi che riporta un elenco di Fabbriche e facciate di diversi edifici tanto ravennati che esteri dinvenzione del fu sig. conte Camillo Morigia; Gori, Lodovico Nabruzzi, ingegnere ravennate..., cit., p. 111, nota 16.

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attraverso due sportelli che consentono di estrarla quando la si porta in processione; un tempo una vite senza fine di legno veniva utilizzata per abbassarla fin quasi al pavimento.

Fig. 28

Fig. 29

C un altro aspetto che non pu essere trascurato perch un ulteriore elemento che comprova semmai ci fossero dubbi - il forte impegno dellimpresa del Ghedini, anche sul piano estetico: la decorazione. Laula propriamente detta coperta da una semplice travatura lignea a vista, sostenuta da una capriata centrale (fig. 29), con copertura in tavelloni laterizi; presenta come unica decorazione alle pareti unelegante fascia modanata a rilievo che corre sui tre lati (fig. 27) - immediatamente al di sotto del grande finestrone - che poggia su lesene con capitello ma prive di base; nelle pareti laterali del presbiterio (fig. 30) la fascia decorata a pittura da palmette aperte, mentre solo dipinta con gli stessi motivi nella parete di fondo su cui poggia laltare. Questa ha al centro la nicchia semicircolare in cui collocata la santa titolare, decorata sul fronte da una cornice modanata dipinta; ai lati sono dipinti due pilastri scanalati, con basi e capitelli ionici, sui quali poggiano unaltra cornice modanata, una fascia decorata da due diversi cespi vegetali alternati, e una seconda cornice, completata da una cimasa arcuata; tra cornice superiore e cimasa dipinto uno scudo con il calice del SS.mo, sostenuto da due volute ad S da cui si dipartono una foglia di acanto e uninfiorescenza allungata. Lintera zona absidale poi coperta da una volta a botte, impostata sulla fascia a rilievo sorretta dalle lesene e presenta una decorazione, anche qui dipinta, che riprende motivi presenti nellarchitettura ecclesiastica e non solo dellepoca, molto probabilmente realizzata da decoratori professionisti. Simula bassorilievi in monocromo su fondo oro o rosso. Lampia area centrale presenta riquadri di diversa forma geometrica (fig. 31), incorniciati (una fascia piatta, affiancata da una doppia gola e da una successione di fusarole alternate a tre perle). Le cornici allesterno sono invece decorate da un motivo di nastri piatti intrecciati.

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Fig. 30

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I riquadri presentano al loro interno: quello rotondo al centro la colomba dello Spirito Santo, raggiata doro su fondo azzurro; le due ottagonali ai lati lagnello mistico - accovacciato sul libro dei sette sigilli e portante il vessillo della resurrezione - in monocromo su fondo oro; quelle triangolari alle estremit, un

Fig. 31

cartiglio con versetti inscritti: a sinistra CANTATE DOMINO CANTICUM NOVUM (fig. 32), a destra LAUDATE EUM IN SONO TUBAE; sopra i cartigli un bouquet stilizzato da cui si eleva una fruttiera conica colma di frutta. Negli otto campi esterni alle cornici (fig. 31) sono dipinti, in monocromo su fondo rosso: ai lati dellagnello due draghi affrontati (la loro coda forma una voluta elaborata da cui si erge un lungo stelo con foglie ed uninfiorescenza in cima); quelli pi laterali due ippogrifi affrontati (la zampa e la coda dei quali terminano in volute fogliate che si concludono con una rosacea). La parte pi elaborata tuttavia costituita dalla decorazione dellintradosso dellarco trionfale. Delimitata dalla cornice gi descritta, presenta al centro un medaglione circolare contenente uninfiorescenza di 4+4 petali e ai lati due elaborate candelabre che si dipartono da un vaso con base baccellata, comprendenti una fruttiera conica colma di frutta, foglie di acanto e fiori e terminanti in una fiaccola metallica accesa. Per coglierne a pieno la raffinatezza del disegno, tuttora leggibile pur con una qualche difficolt, si provveduto alla sua restituzione grafica (fig. 33). Per sorprendente che possa sembrare, questo impianto a riquadri isolati su un fondo in cui si sviluppa una decorazione che comprende sia motivi vegetali stilizzati, sia animali fantastici come gli ippogrifi e i draghi, richiama quella degli stucchi del soffitto nella sala dei mappamondi (o delle scienze) alla Biblioteca Classense (fig. 34), progettata anchessa dal Morigia (1777-1780) e decorata da squadre di operatori ticinesi 39 che in quel tempo lavoravano in Romagna .

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Dezzi Bardeschi, op. cit., p. 60.

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Fig. 32

Fig. 33

Fig. 34

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Tanti sono, come s visto, gli indizi che portano ad ipotizzare che lautore di questo singolare complesso architettonico sia Lodovico Nabruzzi, prima aspirante e poi ingegnere comunale di Ravenna dal 1818 al 1848. Era stato uno degli allievi preferiti dal Morigia, insieme a Luigi Monghini e al Nob. Carlo Arrigoni. Il maestro aveva destinato che, dopo la morte, la sua ricchissima biblioteca e i suoi disegni andassero 40 allabbazia di Classe, a condizione che i tre scolari prediletti vi avessero libero accesso per studiarli . Dei tre, mentre il Nabruzzi aveva proseguito nellattivit di architetto, Carlo Arrigoni aveva abbracciato la carriera politica; il caso vuole che fosse anche proprietario della tenuta, chiamata lArrigona, che confinava con lAleotta, poi divenuta in parte propriet del Ghedini. Non azzardato pertanto supporre che, al momento di costruire la villa, questi si sia rivolto al suo vicino il quale pu avergli suggerito il nome del suo vecchio compagno di studi, ora architetto di una certa fama a Ravenna e in Romagna. Una parte dei materiali deve per essere stata acquistata, e alcune delle lavorazioni effettuate, a Bologna, dove il Ghedini risiedeva abitualmente; ne fa fede il marchio della ditta bolognese fornitrice delle cancellate ancora presente (fig. 35).

Fig. 35 Allo stato attuale degli studi tra i progetti del Nabruzzi pervenutici non ne stato individuato alcuno che si riferisca direttamente al complesso della Chiavica di Legno. Sono per numerosi quelli relativi a fabbricati 41 civili con facciate che hanno un avancorpo con timpano al centro ; cos come quelli di edifici di culto che 42 ripropongono nelle linee essenziali il prospetto del sepolcro di Dante . Il Nabruzzi autore anche di progetti per ghiacciaie; quella di villa Ghedini (fig. 10) sopravvissuta al secondo conflitto mondiale ma non ai successivi passaggi di propriet; della ghiacciaia un tempo a villa Ginanni non rimangono che la copertura alberata e pochi resti dellopera in laterizio. La prima indicazione di Lodovico Nabruzzi come possibile progettista di villa e chiesa a Chiavica di Legno si deve ad uno degli autori, Giovanni Geminiani. Sottoposta lipotesi allo studioso di ville ravennati e forlivesi, Umberto Foschi, questi laveva ritenuta attendibile anche se bisognosa di approfondimenti. I rilievi metrici della chiesetta e della tomba di Dante effettuati in occasione della presente ricerca, insieme al confronto tra villa Ghedini da un lato e villa Ginanni e Orfanotrofio Maschile dallaltro, sembrano supportare lipotesi.

Villa e tenuta dopo la morte di Ghedini (dal 1875 al 1968) Morto Andrea Cipriano Ghedini, lazienda e la sua dotazione di edifici conoscono ancora quasi un secolo di relativa fortuna. Le figlie Clementina, Clelia e Cornelia affittano le terre a Diotallevio Tamba, di S. Lorenzo di Lugo; questi in seguito acquista terreni e villa, che da allora viene chiamata palazzo Tamba, e vi si trasferisce con la famiglia particolarmente numerosa, tanto rendere necessario adibire ad abitazione una parte dellala ovest. Nel 1918 Tamba vende lazienda ad un banchiere milanese (Biancardi?) e nella villa subentra il suo amministratore, ing. Begozzi. Lazienda viene infine ceduta alla Comunione S. Anna-Rampi,
B. Fiandrini, Annali Ravennati dalla fondazione della citt sino alla fine del secolo XVIII, Ms., Biblioteca Classense di Ravenna, tomo II, c. 53; cfr. Gori, Lodovico Nabruzzi, ingegnere ravennate..., cit., p. 111, nota 6. 41 Vedi, ad esempio, i seguenti disegni: Idea del Fabbricato che si era proposto di erigere in fondo al Piazzale del nuovo Teatro, che servir doveva per Mercato di Granaglie, per il Pavaglione delle Sete, per comodo dellestrazione delle Tombole, e per lAbbitazione del Custode del Teatro stesso (Biblioteca della Soprintendenza ai monumenti, n. 20; 1846); Prospetto di un Palazzo (1848; Gori, Larchitettura dinvenzione (1794-1849)..., cit., p. 66, fig. 6); Facciata per un Palazzo (Biblioteca della Soprintendenza ai Monumenti, n. 40; 1849). Vedi anche lAlzato del palazzo di campagna in Villa S. Stefano, conservato nella Raccolta Piancastelli alla Biblioteca Comunale di Forl; Gori, Lodovico Nabruzzi, ingegnere ravennate..., cit., p. 115, fig. 3. 42 Vedi in particolare: il progetto per la chiesa parrocchiale di S. Rocco, del 1821 (Gori, Lodovico Nabruzzi, ingegnere ravennate..., cit., p. 118, fig. 12); quello di una facciata di chiesa, del 1848 (Biblioteca della Soprintendenza ai Monumenti di Ravenna).
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di Ravenna. In tutto questo periodo e fino alla seconda guerra mondiale il piccolo borgo mantiene la sua importanza, al pari della scuola e della chiesetta, considerata quasi una piccola parrocchia. Ci risulta anche da unepigrafe marmorea murata allinterno sulla parete destra, sotto una statuetta della madonna poi trafugata, a memoria di un episodio del secondo conflitto mondiale:
13 APRILE1945 / LA GUERRA INFURIAVA NELLA CASA PERTEGATO SFOLLATI E RASTRELLATI DI ALFONSINE E VILLANOVA, DI BAGNACAVALLO, COMACCHIO, CESENA, RIMINI, S. MARINO, FIRENZE, LUCCA PREGAVANO MA RITENENDO DI ESSERE RIMASTI ILLESI PER INTERCESSIONE DI MARIA SS HANNO VOLUTO PORRE 43 QUESTO RICORDO .

Dalla perdita di funzioni al collasso strutturale (dl 1968al 2012) Lultimo passaggio di propriet avviene nel 1968, quando la Comunione S. Anna-Rampi la cede alla Coop 44 Operai e Braccianti Agricoli di Filo dAlfonsine , che nel 1989 verr incorporata dalla Cooperativa Braccianti Agricoli Giulio Bellini; a quellepoca la tenuta S. Anna aveva lestensione di 72 ettari. In previsione della vendita il piccolo edificio di culto (fig. 21), con la porzione di terreno utile a raggiungere la strada sotto-argine, vengono offerti in donazione dagli ultimi proprietari alla Curia di Ravenna, che per li rifiuta. Margherita Capucci Castellari, moglie del fattore, si adopera e fa in modo che vengano donati a Don Etalberto Tregnaghi, allora parroco di Filo. La chiesa si salva per merito loro e, successivamente di Giancarlo Galeati (attuale parroco di Filo), che durante i suoi anni di studio ne fa un luogo francescano di preghiera, si occupa della sua manutenzione e della messa in sicurezza e, tra 1988 e 1990, ne promuove il restauro, come testimonia una targa di maiolica murata a destra della porta dingresso. A tutti loro dobbiamo la possibilit di aver tratto dallosservazione diretta del piccolo oratorio le informazioni che costituiscono in parte loggetto del presente studio. Sorte assai peggiore tocca alla villa. Dopo la vendita, il fattore Castellari e la famiglia vanno a vivere ad Argenta; gli abitanti del borgo cominciano a trasferirsi a Filo o altrove. Con la perdita della funzione amministrativa e direzionale ledificio comincia ad essere utilizzato solo parzialmente; per qualche tempo continua ad ospitare la bottega. E in questo periodo che viene costruita lingombrante scala esterna di metallo per consentire un accesso diretto al primo piano. Contemporaneamente gli edifici accessori e la ghiacciaia vengono demoliti; lunico che si salva lofficina meccanica che rimane attiva ancora per alcuni 45 anni, come si vede nel rilievo fatto in preparazione di questo studio (fig. 36), negli anni 2009-2011 , che include anche la recinzione esterna e le tre aperture con cancelli a due battenti, situati rispettivamente ad ovest, nord ed est. Anche lofficina meccanica nella quale tutte le apparecchiature venivano azionate con un motore a scoppio - parzialmente crollata qualche mese dopo, nellautunno del 2011.

Fig. 36
Un altro episodio di guerra legato, secondo una testimonianza orale, alla ghiacciaia. Questa era stata utilizzata come ricovero da un gruppo di soldati inglesi nellavanzata verso Argenta. Alluscita alcuni di loro sono stati uccisi da un militare tedesco rimasto isolato, prima di venir catturato. Latto di coraggio gli poi valso un riconoscimento da parte del comandante del reparto anglo-americano. 44 Al momento della vendita tre dei contadini (Bezzi, Roi e Vetricini) acquistano i poderi che avevano fino ad allora gestito a mezzadria. 45 Per dare unidea delloriginaria simmetria riportato anche ledificio speculare alla cappella, gi demolito.
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Poi la bottega chiude, la villa rimane disabitata e il degrado si accelera. Una proposta dacquisto da parte di Mario Righini, collezionista di automobili che vorrebbe trasferirvi la sua raccolta, va in fumo perch la cifra richiesta dalla Cooperativa troppo elevata. Segue un progetto per trasformarla in una struttura per il soggiorno estivo dei ragazzi (il comune di Alfonsine aveva svolto per molti anni unattivit simile nel vicino edificio delle scuole, allestendovi delle camerate per dormire), una specie di centro sportivo-ricreativo (erano previsti una postazione di tiro con larco e un centro ippico). Lelaborato del progetto patrocinato dallallora presidente della Coop. Braccianti, Giulio Bellini, viene affisso a lungo nella Casa del Popolo e presentato alla popolazione nel corso di unassemblea. Ma liniziativa non va in porto e col tempo lo stesso elaborato va smarrito. Un successivo tentativo di donazione al Comune di Alfonsine sortisce anchesso esito negativo. Praticamente incustodito e senza la manutenzione essenziale ledificio si avvia ad un inesorabile declino. La perdita della memoria storica e la misconoscenza della qualit estetica e della rarit degli edifici portano in pochi decenni al miserevole stato attuale (figg. 28, 37): il crollo del 50% del tetto e lavanzare della vegetazione, pur lasciando del tutto riconoscibile la facciata e linterno del corpo centrale e dellala est, fa presagire un collasso dei muri portanti e la sua riduzione a rudere nel volgere di non molti anni. Quando succeder non sar per fatalit. Dal punto di vista dellarchitettura rurale della nostra regione gi una perdita irreparabile, solo parzialmente mitigata dalla conservazione della chiesetta. Non sembri eccessivo riferire alla sorte toccata a villa Ghedini, come a moltissimi altri edifici di interesse storico e artistico, ci che Tommaso Montanari ha scritto a proposito della smania di demolizioni che ha fatto seguito al recente sisma in Emilia: si registrano [...] sintomi di una voglia di pulizia etnica che ci liberi da un passato 46 del quale non riusciamo pi a sentire il valore morale e civile .

Fig. 37

Morigia e Nabruzzi: edificare per ornato e per utile del Pubblico Pi che tentare unesegesi critica dellopera del Morigia prima e del Nabruzzi poi - che materia per 47 specialisti in un ambito peraltro non ancora indagato a fondo - si vuole qui approfondire il rapporto tra la loro progettazione e il momento storico in cui questa si colloca. Camillo Morigia attivo nella seconda met del XVIII secolo: Ravenna conta in quellepoca 13.000 abitanti, lontana dalle strade di grande traffico, 48 periferia inerte di un governo assai poco attento alla salute dei propri sudditi . Lattivit economica quasi esclusivamente fondata sullagricoltura: nel 1731 le terre accatastate erano per il 50% in mano alla chiesa (i tren quarti dei quali propriet dei tre maggiori monasteri della citt) e un altro 25% in mano alla nobilt. Questa e il clero godono di esenzioni fiscali elevatissime, lasciando le spese per il governo del territorio sulle spalle della comunit. Tutto ci determina una situazione di grande immobilismo politico e di stagnazione economica, specchio di quella dei fiumi che attraversano il suo territorio, stentando a raggiungere il mare: un problema idrogeologico perennemente irrisolto. A Pio VI viene attribuito il merito di aver dato il via ad un moderato riformismo: abolisce i pedaggi allinterno dello Stato, istituisce il catasto generale e le dogane ai confini. A questazione si accompagnano le teorizzazioni di Ludovico Antonio Muratori, il quale individua
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T. Montanari, Arte, il caos dopo il terremoto, in il Fatto Quotidiano, 21.06.2012, p. 18. Riportiamo qui le osservazioni di Dezzi Bardeschi, op. cit., pp. 31-2. 48 Fabbri, op. cit., p. 122.

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nella citt uno dei possibili centri propulsivi dellinnovazione, a vantaggio sia dei sudditi che dello Stato: Un contrassegno infallibile dellopulenza duna citt sono le belle e magnifiche fabbriche si Ecclesiastiche che Profane, che quivi si mirano. Solamente vecchie indicano la dovizia de passati tempi: se anche recenti, 49 attestano la presente Felicit e forza di quel popolo . E aggiunge pi avanti: [...] dovrebbe chiamarsi giudiciosa quella citt, che tenesse unannua fissa rendita, unicamente destinata a far qualche nuova fabbrica o per ornato o per utile del Pubblico: come Palazzi del Comune, Piazze, Portici, Spedali, Case per 50 dar ivi da lavorare a i poveri, ponti, Porti & c . C unindubbia consonanza tra questo assunto e lidea della magnificenza civile enunciata da Carlo Cattaneo, che trova espressione nellarchitettura milanese tra il 51 1770 e il 1848 . Per ornato e per utile del Pubblico sembrano essere gli obiettivi, non alternativi com nella formulazione del Muratori, ma convergenti, che ispirano la progettazione del Morigia e corrispondono al nuovo atteggiamento del papato. Scrive Fabbri in proposito: La facciata dellOrologio avr quindi, come il sepolcro di Dante, un suo decoro fatto di nobile semplicit [...], mentre i Magazzini della Darsena si affiancano ai motivi classicheggianti della neo-palladiana Dogana di Mare combinando liberamente elementi decorativi assai semplici con ricordi degli antichi acquedotti romani in una versione rustica [...]. Perfino in un lavoro come lOrfanotrofio Maschile, precedente di qualche anno e condotto evidentemente in economia, il Morigia non rinuncia ad una precisa dignit formale [...] Unarchitettura duso che sia anche architettura darte: se 52 dobbiamo ridurlo in sintesi, questo il motto di molta produzione neoclassica, e anche del Morigia civile . A Ravenna come altrove la spinta al rinnovamento si manifesta in primo luogo nei poli di incontro e di scambio commerciale e si concretizza negli edifici di pubblica utilit e nelle prime architetture industriali: la Pescheria di Rimini (opera del Buonamici), il mercato di Bagnacallo o Piazza Nuova (costruito nel 1758, praticamente senza architetti), le fabbriche del Porto, i Magazzini del Sale a Cervia, fino a quel capolavoro 53 assoluto che il Pavaglione di Lugo (1781), dovuto allarchitetto ferrarese Giuseppe Campana . A questa lista non si pu non aggiungere il progetto di Giusepe Pistocchi per lospedale di Cesena (1799) 54 dove viene introdotta la camera singola al posto della camerata . Il Pistocchi va certamente annoverato, per la quantit di opere realizzate, tra i protagonisti di questa stagione produttiva. Insieme a Giovanni Antonio Antolini (1753-1841) e a pochi altri riesce a superare i confini regionali per assumere un ruolo non secondario a Milano (forse incoraggiato dal fatto di essere stato 55 compagno di studi di Giuseppe Piermarini 1734/1808 alla scuola del Murena ). I due, cos diversi per 56 formazione e per temperie culturale , arriveranno addirittura a partecipare luno in concorrenza allaltro al 57 concorso per la colonna commemorativa della battaglia di Marengo (1800) . Il pragmatismo del Pistocchi, che stato definito spregiudicato sperimentalismo si pone in termini antagonisti con il neoclassicismo ideologico dellAntolini, contro il quale il forlivese pubblicher ben tre libelli polemici. Analoga contrapposizione si manifester tra il progetto per la trasformazione di piazza del duomo e il piano 58 urbanistico del Foro Bonaparte, dovuti rispettivamente al Pistocchi e al suo concorrente conterraneo . Daltra parte un avvicendamento tra Pistocchi e Antolini, simile a quello tra Morigia e Nabruzzi nella realizzazione della facciata di villa Ginanni a S. Stefano, si verifica nel cantiere di palazzo Milzetti a Faenza dove lAntolini disegna la sala dingresso del piano nobile, un salone quadrato trasformato in ottagono dal
L.A. Muratori, Della pubblica Felicit oggetto de buoni principi, Lucca MDXXXLIX, p. 446; cfr. Fabbri, op. cit., p. 124 e nota 68. 50 Muratori, op. cit., p. 447; ivi, p. 124 e nota 69. 51 Con lespressione idea della magnificenza civile Carlo Cattaneo indicava, nel 1839, un traguardo della civilt urbana, sintesi del bello e dellutile [...]; egli lattribuiva ad una citt la cui bellezza fosse rappresentazione e celebrazione dei valori e delle conquiste di una civilt nuova; cfr. L. Patetta (a cura di), Lidea della Magnificenza Civile. Architettura a Milano, 1770-1848, cat. della mostra (Milano 1978), Milano, Electa, 1978, p. 5. Si vedano, sullo stesso tema i contributi in, Gli architetti del pubblico a Reggio Emilia, dal Bolognini ai Marchelli. Architettura e urbanistica lungo la via Emilia (1770-1870), a cura di M. Pigozzi, cat. della mostra (Reggio Emilia 1990), Reggio Emilia, Grafis Edizioni, 1990. 52 Fabbri, op. cit., p. 126. 53 Dezzi Bardeschi, op. cit., p. 62. 54 F. Bertoni, Giuseppe Pistocchi (1744-1814), in Godoli, op. cit., p. 173; A. Gambuti, Progetto per un ospedale civile, scheda di cat., ivi, pp. 118-20, figg. 12-3. 55 A. Gambuti, Sulla formazione e lattivit faentina..., cit., p. 29. 56 Il garzonetto Pistocchi matura la sua vocazione nella bottega di decoratore del padre e per tutta la sua vit sar solo un abile artigiano del disegno; Dezzi, Bardeschi, op. cit. p. 33 (questo giudizio severo non condiviso da Gambuti, Sulla formazione e lattivit faentina..., cit ). Il neoclassicismo ideologico" dellAntolini gli consentir invece di diventare unautentica autorit nel composito ambiente degli architetti immigrati a Milano e in Lombardia, che avr come controparte i seguaci di Luigi Canonica (1762-1844); F. Bertoni, Giovanni Antonio Antolini (1753-1841), in Godoli, op.cit., p. 157. 57 E. Godoli, Giuseppe Pistocchi tra illuminismo ed eclettismo, in Id., (a cura di) Giuseppe Pistocchi (1744-1814) architetto giacobino, cit., p. 53. 58 Ivi, pp. 57-9.
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taglio degli angoli, ma anche i bassorilievi di chiara ispirazione massonica, che hanno fatto parlare di un 59 neoclassicismo imbevuto di suggestioni esoteriche . Tornando al Nabruzzi, il tempo di una generazione separa il suo operare da quello del suo maestro Morigia; ma anche un diverso itinerario formativo. Nabruzzi , prima di tutto, uno dei tecnici tuttofare che a Ravenna, sede della Legazione di Romagna, potevano alloccorrenza surrogare lattivit degli architetti, 60 riproducendone in ritardo e in chiave minore i modelli progettuali . A questo egli aggiunge per conoscenze di tipo pi strettamente artistico che gli avevano meritato il titolo di Accademico di Merito conferitogli dallAccademia Provinciale di Belle Arti. Vastissima , tra il 1794 e il 1849, la sua produzione di progetti, attualmente conservati in larga parte in Romagna: nella Raccolta Piancastelli presso la Biblioteca Comunale di Forl, nellArchivio Storico Comunale di Ravenna (ora alla Biblioteca Classense) e nella Biblioteca della 61 Soprintendenza ai Monumenti (due raccolte di 292 disegni intitolate Larchitettura dinvenzione) . Queste ultime costituiscono, come scrive la Gori, una sorta di trattato di architettura civile sulla tipologia 62 degli edifici pubblici in relazione con le istituzioni e le funzioni pubbliche che sono chiamate ad ospitare . I principi di economia, simmetria, regolarit e semplicit sono i criteri di fondo che governano la sua 63 produzione e quella di molti architetti suoi contemporanei, non solo in Italia ; e anche le opere realizzate sono improntate a principi di funzionalit ad un tono di austero decoro; una estrema semplicit che sembra 64 garantire eleganza alledificio stesso . Ci che differenzia lopera del Nabruzzi da quella del Morigia, oltre alla depurazione dagli ultimi lasciti del tardo-barocco riconoscibile nel suo intervento sulla facciata di villa Ginanni, probabilmente una maggiore razionalit nellorganizzazione degli spazi. Possiamo intuirne le ragioni considerando lattivit di riassetto idrografico e di deflusso delle acque in cui , al pari del suo maestro, impegnato. Egli svolge tuttavia il suo compito in un momento diverso, dopo che i Francesi sono arrivati a Ravenna (26 giugno 1796) e viene estesa la Repubblica Cispadana (1797), fatti questi che pongono le premesse per un nuovo approccio al problema, quale si evince dallanalisi dei 65 documenti conservati nellarchivio del Consorzio di Bonifica di Ravenna . Con le piene disastrose del Lamone tra Mezzano e Glorie del novembre e dicembre del 1803, diventa chiaro che il vecchio sistema della sopraelevazione degli argini e della difesa interna delle rive, mediante la posa in opera di strati sovrapposti di fascine e terra argillosa, ancorati con cordonate di robusti fittoni, linee di pali collegati in sommit da 66 bacchette di vimini intrecciate , non pu dare gli effetti sperati. Sul posto viene mandato il Nabruzzi in sostituzione del perito in carica, Giovanni Agostino Stella, forse malato. Grazie anche alle conoscenze tecniche del giovane Lodovico ci si comincia a rendere conto che il rimedio va cercato piuttosto nellallargamento delle sezioni fluenti con ritiramenti dargine, eliminandone le tortuosit e uniformando le sezioni. Un radicale riordino della materia viene stabilito dalla legge n. 34 della Repubblica (20 aprile 1804) e dal successivo decreto del 6 maggio 1806, emesso dal Regno Italico che le succede. Gli interventi si orientano sempre pi verso il mantenimento di una fascia golenale larga almeno 5 metri, combinata con la realizzazione di sezioni e profili meglio rispondenti alle leggi dellidrodinamica e con lo spostamento delle strade dalla golena alla sommit dellargine o a lato dello stesso. Provvedimenti che sopravviveranno al ritorno del Legato papale. In questa fase il Nabruzzi - che ancora ingegnere aspirante si trova ad essere il pi valido collaboratore 67 di Luigi Brandolini, capo del dipartimento del Rubicone . E molto probabilmente, come si visto sopra, luomo che una trentina danni dopo metter mano alla realizzazione della villa Ghedini, pensata con una distribuzione degli spazi estremamente innovativa rispetto a quella tradizionale che caratterizza il primo progetto della villa commissionata da Prospero Ginanni (fig. 17).

F. Bertoni, Giovanni Antonio Antolini..., cit., p. 153. Dezzi Bardeschi, op. cit., p. 60. 61 Gori, Larchitettura dinvenzione (1794-1849)..., cit. 62 Id., Lodovico Nabruzzi, ingegnere ravennate..., cit., p. 109. Alla nota 10 la studiosa menziona lopera Lidea della magnificenza..., cit. (vd. nota 51). 63 La concezione viene fatta risalire allo scritto del francese Jean Nicola Louis Durand, Recuil et Parallle des difices de tout genre anciens at modernes..., Parigi 1810; cfr. Gori, Lodovico Nabruzzi, ingegnere ravennate..., cit., pp. 109-10 e nota 13. 64 Id., Larchitettura dinvenzione (1794-1849)..., cit. p. 59. 65 Vedi laccuratissimo studio di M. Mazzotti, Giovanni Agostino Stella: cronache dal fiume Lamone, in Romagna arte e storia, n. 22, 1988, pp. 53-68. 66 Ivi, pp. 60-1. 67 Ivi, pp. 65-8.
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