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Seminario “Territori Turismi Identità” - Teramo 17 settembre 2009

TURISTICA-MENTE. Turismo e rielaborazione delle identità locali


di Rita Salvatore

- Sintesi -

Questo contributo presenta alcuni spunti di riflessione teorica inerenti i processi culturali che
il turismo può innescare in quelle località annoverabili tra le “destinazioni non tradizionalmente
turistiche” (Commissione Europea 2002). Si fa riferimento in particolare agli scenari di sviluppo
locale che, proprio in virtù della contemporanea crescita raggiunta da questo settore economico,
giungono ad interessare quei luoghi che (a) non sono stati interessati dal turismo di massa (b)
sono rimasti periferici e marginali rispetto alle direttrici di sviluppo che hanno interessato le aree
urbane industrializzate.
Come noto, i valori post-materialistici, in congiuntura con le possibilità manifestate dall’eco-
turismo, se su un versante hanno notevolmente ampliato il panorama delle diverse modalità di
fare turismo, su un altro hanno investito questi luoghi della opportunità di “divenire turistici” e,
congiuntamente, della responsabilità di farlo in modo sostenibile e “fair”. D’altra parte i nuovi
bisogni espressi dal popolo turistico nel voler vivere un’esperienza alternativa, spesso centrata
sulla diversità delle culture locali, sugli aspetti educativi, sulla ri-localizzazione momentanea
della socialità, possono essere più facilmente soddisfatti in aree non eccessivamente contaminate
dalla omologazione urbana.
Il nodo centrale di queste riflessioni si articola intorno alla ricaduta che tali scenari possono
avere sulle scelte delle comunità locali potenzialmente investite da questi cambiamenti. Se i
fattori di attrazione che spingono le persone a viaggiare non sono tanto più rappresentati dal
luogo in sé quanto piuttosto dalle risorse (tangibili e intangibili) che esso custodisce ed
(eventualmente) esprime, i soggetti che vivono o che intendono investire localmente si trovano a
dover trasformare questi patrimoni in “beni turistici”, dotati di un carattere riconoscibile. Queste
stesse possibilità si traducono, sul fronte della socialità, in nuovi processi di costruzione culturale
della località. Il turismo, in altre parole, si pone come condizione per la cui realizzazione le
società locali devono in qualche modo rivedere il proprio statuto di luogo. Quello stesso spazio
infatti non risulterà più fruito soltanto in modo “ordinario” da quanto vi vivono e vi conducono
una vita ordinaria, ma in modo anche “extra-ordianrio”, cioè da quanti lo attraverseranno in
tempi di vacatio, ossia da turisti e/o escursionisti.
Tutto ciò pone al centro la componente sociale e culturale, quindi comunicativa, perché si
parte dal presupposto che la qualità “turistica” non sia di tipo ascrittivo, inerente cioè la natura
ontologica dei luoghi, ma sia piuttosto di natura convenzionalista, sociale e circostanziale,
connessa cioè alle circostanze storiche, sociali e culturali e alla volontà dei gruppi sociali che
operano su quello stesso determinato spazio di farsi artefici di una nuova identità, quindi di
optare per un cambiamento volontario. Si analizza quindi non tanto l’identità come fattore di
successo turistico di un territorio, quanto, piuttosto, il turismo come occasione per ri-elaborarla
in senso transculturale. Le possibilità e le circostanze offerte dal mercato turistico vengono
quindi considerate come le condizioni a partire dalle quali una società locale si predispone verso
la possibilità di ri-costruire turisticamente i propri patrimoni culturali e da qui ripensare la
propria identità in senso glocale.
Sulla base di tale presupposti, si ritiene che tradurre turistica-mente un territorio significhi in
primo luogo confrontarsi con gli elementi interni alle culture locali per dotarle di uno specifico
codice che riconosce la sua essenza turistica quando mostra un carattere apertamente dialogico e
transculturale. La traduzione di culture non è limitata alla rielaborazione degli elementi nella
lingua degli ospiti, ma significa piuttosto illuminare la loro logica interna attraverso la lingua

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degli altri (Geertz 1983). Una operazione di tal sorta aiuta a mantenere il “senso interno delle
cose” nonostante il necessario ed inevitabile cambiamento. Bisogna tener presente, infatti, che
per quanto i soggetti (sia host che guest) siano in possesso di identità elaborate in modo
consapevole ed integrato, l’incontro turistico conduce inevitabilmente verso una nuova identità,
frutto dell’incontro stesso.
Questa relazione così specifica prevede la compresenza simmetrica di due diversi tipi di
attore: da una parte il turista, con il suo immaginario preconfezionato, e dall’altra l’host che in
qualche modo è chiamato a soddisfare, ma anche ad alimentare le aspettative dell’altro. È chiaro
che se i turisti richiedono di fare esperienza dei mondi locali nel loro “autentico” svolgersi,
anche come scelta etica di consumo, allora le culture locali ricevono l’invito di rimuovere il loro
velo (Simmel) e di comprendere come rendere meno inevitabile ed automatica la comunicazione
dei loro patrimoni, cioè come renderla più evidente e chiara per le persone fuori dalla cerchia.
Ed è proprio su questo punto che il dibattito si fa più acceso. Più volte infatti è stato
denunciato il rischio espresso dal turismo in termini di deculturazione: gli interessi economici
connessi alla promozione turistica di un luogo avrebbero spesso avuto la meglio sulle
componenti culturali, causando spesso una completa de-funzionalizzazione dei patrimoni
(folclorizzazione). Come dire, una volta re-impiegate turisticamente, le risorse locali
rischierebbero di divenire “inautentiche”. La traduzione di culture comporta infatti uno
slittamento da quella che potrebbe essere definita la “real reality” (Lindholm 2008) alla “staged
authenticity” (MacCannell 1973), cioè ad una autenticità messa in scena appositamente per i
turisti.
Forse, alla luce di quanto affermato fin qui, vale la pena di rivedere criticamente il ricorso
alla categoria di autenticità. Per non ricadere in una soluzione decostruzionista (del tipo “nulla è
autentico”, perché tutto cambia oppure “tutto è autentico”, nella misura in cui è frutto
dell’elaborazione sociale), secondo la quale si finisce in una notte in cui tutti i gatti sono grigi,
una possibile via di uscita più critica può essere trovata in alcune indicazioni di politiche
culturali suggerite da Achille Ardigò già nel 1991, con acuta lungimiranza. Sulla scia di questa
sua prospettiva, la valorizzazione delle culture locali dovrebbe essere compiuta rispondendo a
due fondamentali requisiti:

a. un’ermeneutica appropriata, non solo per reinterpretare in modo filologicamente


corretto un certo patrimonio o deposito culturale, ma anche per coglierne la ragione/le
ragioni a suo tempo fondanti di tali culture e tradizioni, ragione/ragioni da rivisitare;
b. l’inserimento di quella certa tradizione, correttamente ermeneutizzata, entro una
problematica umana e sociale odierna, per cercare di concorrere a risposte su problemi
vitali della condizione umana contemporanea e del rapporto del singolo e del piccolo
gruppo con i sistemi sociali e con l’ambiente (1991, pag. 12).

In questo modo il concetto riesce a liberarsi dalla concezione che lo vedrebbe connesso ad
un’idea cristallizzante e “museificante” di cultura per giungere al fine a rappresentare il risultato
di un’oculata «attività di innesto» del rispetto della memoria storica su istanze umane e sociali
«vitalmente contemporanee».
A questo punto, tornando sul dibattito, la proposta è quella di provare a coniugare
sostenibilità e autenticità, per giungere, al fine, a proporre un percorso di “sustainable staging”.
La messa in scena della autenticità potrebbe considerarsi sostenibile quando l’identità turistica di
un luogo è il frutto di una relazione simmetrica tra istanze locali e desideri turistici. In altre
parole, quando la riconversione non è assoggettata ai soli fini economici. Possiamo considerare
che questa condizione è raggiunta allorquando:

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- la rifunzionalizzazione del patrimonio mantiene la sua ragion d’essere e non dipende
unicamente dalle esigenze del mercato
- l’aspetto economico si configura come “naturale” ricaduta di un percorso orientato in primis
al recupero della memoria storica e sociale
- la valorizzazione acquista un valore in termini di re-embedness dei processi identitari, di
“difesa ecologica e di conservazione intelligente di habitat culturalmente ricchi”.
Soltanto in questo modo, i membri delle comunità locali riusciranno ad essere veramente
attori del processo, oltre che promotori e produttori (Rami Ceci 2005).
Queste brevi riflessioni evidenziano come, sebbene spesso il concetto di identità locale venga
spesso irrisoriamente e superficialmente scambiato con espressioni localistico-folcloristiche, in
realtà il suo processo di continua rielaborazione, anche e soprattutto alla luce delle sfide
turistiche, rappresenta una possibilità per condividere un “senso esistenziale dentro quello
specifico luogo dove tradizione ed innovazione si coniugano ogni giorno, dove mutamento e
persistenza sono indispensabili l’uno all’altra” (Bernardi 1991, pag. 45).

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