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Il linguaggio dItalia
di Giacomo Devoto

Storia dItalia Einaudi

Edizione di riferimento: Il linguaggio dItalia. Storia e strutture linguistiche italiane dalla preistoria ai nostri giorni, Rizzoli, Milano 1974

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II

Sommario
Nota dellautore Introduzione Parte prima. Dalle origini al 500 a.C Capitolo primo. Luomo e i materiali linguistici mediterranei Capitolo secondo. Unit e variet nel mondo mediterraneo Capitolo terzo. La affermazione indoeuropea Capitolo quarto. Testimonianze epigrafiche preindeuropee Capitolo quinto. Tradizioni indeuropee I: protolatini, veneti Capitolo sesto. Tradizioni indeuropee II: umbro-sanniti Capitolo settimo. Tradizioni indeuropee III: Leponzi, Messapi, Galli Capitolo ottavo. Le origini di Roma Capitolo nono. Fioritura Regia Capitolo decimo. Primo assetto latino Parte seconda. La latinit: 500 a.C - 500 d.C Capitolo undicesimo. Fissazione delle strutture fonetiche Capitolo dodicesimo. Fissazione di strutture morfologiche sintattiche lessicali Capitolo tredicesimo. Il grecismo Capitolo quattordicesimo. Laccento 1 2 4 5 13 24 34 44 53 61 68 79 89 100 101 113 122 128

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III

Capitolo quindicesimo. Let classica Capitolo sedicesimo. Il latino in Italia Capitolo diciassettesimo. Il latino postclassico Capitolo diciottesimo. Novit imperiali Capitolo diciannovesimo. Il cristianesimo Capitolo ventesimo. Squilibr accentuati Parte terza. Il Medioevo: 500-1200 Capitolo ventunesimo. Frantumazione della latinit Capitolo ventiduesimo. Verso il bilinguismo Capitolo ventitreesimo. Lazione dellaccento Capitolo ventiquattresimo. Metafonesi e vocali miste Capitolo venticinquesimo. Lossatura consonantica Capitolo ventiseiesimo. Fatti morfologici Capitolo ventisettesimo. Germanismi Capitolo ventottesimo. Franchi e bizantini Capitolo ventinovesimo. Primi documenti italiani Capitolo trentesimo. Assestamento italiano Parte quarta. Let moderna: 1200-1850 Capitolo trentunesimo. La Sicilia e la prima lingua letteraria Capitolo trentaduesimo. Spunti di lingue letterarie estrasiciliane Capitolo trentatreesimo. Lavvento di Firenze Capitolo trentaquattresimo. Dante e Petrarca Capitolo trentacinquesimo. Dal fiorentino al toscano Capitolo trentaseiesimo. Esaurimento della tradizione letteraria dialettale Capitolo trentasettesimo. Reazioni umanistiche

136 143 151 159 167 176 184 185 193 200 209 216 225 232 240 248 254 262 263 272 278 284 292 299 305

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IV

Capitolo trentottesimo. La questione della lingua Capitolo trentanovesimo. Apogeo e saziet Capitolo quarantesimo. Verso un nuovo bilinguismo Parte quinta. LItalia unita: dal 1850 in poi Capitolo quarantunesimo. La ipercritica Capitolo quarantaduesimo. Lingua e nazione Capitolo quarantatreesimo. Dal purismo al manzonianesimo Capitolo quarantaquattresimo. La visione manzoniana e lunit politica Capitolo quarantacinquesimo. Conseguenze dellunit politica Capitolo quarantaseiesimo. Prime evasioni Capitolo quarantasettesimo. Dalle evasioni alla classicit Capitolo quarantottesimo. Strutture fonologiche Capitolo quarantanovesimo. Strutture morfologiche Capitolo cinquantesimo. Prospettive

312 319 326 333 333 339 347 355 362 369 377 388 397 409

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NOTA DELLAUTORE

Questo libro non un libro di linguistica, ma un libro di storia, sia pure di una storia colorita, intinta, interpretata attraverso i fatti di lingua. Questi sono esili, apparentemente particolari e irrilevanti. Ma sono continui e soli permettono quella saldatura ininterrotta che si chiama tradizione e cio storia. La continuit rappresentata qui in partenza da una nozione geografica, la imagine dellItalia come la natura lha formata, come gli eventi esterni lhanno delimitata, ma come la sola parola degli uomini, nellalternarsi di forze disgregratrici e ricostruttrici lha resa alfine vivente e unita. Se non si sfruttano n si rivivono le esperienze linguistiche non si fa la storia n dellItalia n di nessuna altra nazione. Nellevidente decadenza dello spirito scientifico, che si distingue nettamente dal progresso puramente esteriore della tecnica, di fronte al prevalere di egoismi cortoveggenti, di fronte ai tanti preannunci di una abdicazione medievale, queste pagine aspirano, proprio per il loro massimalismo e integralismo, a presentarsi come un atto di fede nella capacit dellintelletto umano, nella sua capacit di proiettarsi nel tempo, di colloquiare, di farsi promotore di vita civile. Questo atto di fede reso attuale dalla coincidenza col centenario della morte di Alessandro Manzoni che delle istituzioni linguistiche italiane fu lutente pi alto e il cultore pi fervido. Larghi di consiglio e di aiuto mi sono stati nei capitoli epigrafici il professore Aldo Prosdocimi, e il dott. Luciano Agostiniani; sul piano tecnico il dott. Fabrizio Tausini. A tutti va il mio grazie dal cuore.

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INTRODUZIONE

LItalia abitata da mezzo milione di anni. Da quanto tempo i suoi abitanti hanno imparato a parlare? Allingrosso, da quando hanno raggiunto un minimo di vita organizzata, che ha imposto un coordinamento delle azioni degli individui, e quindi la necessit di reciproci messaggi. Ma solo con la fine della et glaciale, questi messaggi sono stati trasmessi secondo codici regolari, che hanno potuto trasformarsi e addirittura essere sostituiti, senza che intervenisse perci una frattura di barbara alala. In quanti nuclei, in quante forme, queste prime istituzioni linguistiche si saranno presentate? Neanche questo possiamo sapere. Ma sappiamo che lItalia uno spazio geografico che ha avuto per destino di raggiungere, possedere e poi perdere, e poi riconquistare, una unit etnica culturale politica, e cos anche linguistica. II linguaggio dItalia vuole insistere non sulla unit degli istituti linguistici e delle successive loro realizzazioni, ma sul tesoro espressivo che ha potuto sostituire i suoi codici senza essere mai nella impossibilit di trasmettere messaggi; che ha profittato di codici var, tendenti ora a raggrupparsi ora a disperdersi ora a stratificarsi. Questo insieme di codici non alterna solo fasi di unit e fasi di variet. Alterna anche il ritmo del suo svolgimento: in fasi ora talmente lente da consentire analisi e descrizioni di strutture quasi fossero effettivamente immobili, o almeno paragonabili a un film al rallentatore; e ora in svolgimento rapido o addirittura tumultuoso, tale da concentrare tutto linteresse sulle modalit e i caratteri di un divenire affannato. Le alternative principali si succedono nellordine seguente: a) relitti di forme anteriori al 1 millennio a.C. 1-15;

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b) inizio di una tradizione linguistica continuata dalla fondazione di Roma in poi 16-40; e) involuzione e frantumazione di questo primo patrimonio nel V sec. a.C. 41-50; d) ascesa, anche estraitaliana, verso la unit linguistica dal IV sec. a.C. al II d.C. 51-100; e) involuzione e frantumazione durante lalto medio evo 101-125; f) nuova ascesa verso la unificazione, questa volta limitata allItalia 126-250. Questo libro non intende affermare, in tanto mutare di situazioni, una preminenza di interesse per le forze centrifughe o le centripete; della analisi strutturale o di quella storica. Realisticamente, concentra la sua attenzione su quanto di chiaro e di stimolante i documenti offrono per il lettore, curioso di quanto i nostri progenitori, in fatto di lingua, hanno sperimentato realizzato e sofferto.

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PARTE PRIMA Dalle origini al 500 a.C

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Capitolo primo Luomo e i materiali linguistici mediterranei

I. Il Paleolitico LItalia, stato detto, abitata da mezzo milione di anni: un niente rispetto alla et della terra, relativamente poco rispetto ad altre regioni europee; ma moltissimo rispetto alla possibilit, non dico di una documentazione, ma anche di una ricostruzione indiretta approssimativa. Le testimonianze dirette delluomo sono molto pi recenti della data accennata sopra. A Roma, sulla via Nomentana, nella cava detta di Saccopastore, sono stati trovati fra gli anni Venti e Trenta due cran umani delluomo di Neandertal, associati a industria del tipo musteriano. Siamo nellultimo periodo interglaciale, diciamo 150.000 anni fa. Al monte Circeo, nella grotta Guattari, sono state trovate mandibole umane e un cranio, sempre del tipo di Neandertal, con una industria un po pi recente di quella musteriana, e cio la pontiniana1 . Il periodo delluomo di Neandertal, secondo Eickstedt, dura fino al 70.000 a.C.2 ma fino a questo punto la domanda, se questi uomini parlassero, e come, rimane evanescente e quasi fatua. Solo col ripopolamento dellEuropa centrale in et postglaciale, e i conseguenti movimenti di popolazioni, dalle aree europee sudoccidentali e sudorientali, che erano state preservate dai ghiacci3 , ecco che appare una nuova stirpe umana, quella del neantropo altrimenti detto Homo sapiens. Il movimento era partito
1 Piccola guida alla preistoria italiana, Firenze 1962, autori var. 2 Historia Mundi, I, Berna 1952, p. 118. 3 Rust, Historia, cit., p. 294.

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dallAsia, e si era esteso verso lEuropa attraverso pi itinerar, e principalmente quello delle coste nordafricane fino allo stretto di Gibilterra, e quello attraverso la regione del mar Caspio per le steppe della Russia in direzione dellEuropa centrale4 . Non escluso che la regione balcanica abbia avuto anchessa una parte. I tipi umani, che, alla fine di questo lungo periodo di assestamento, vengono a interessare lItalia sono quelli detti di Cro Magnon e di Combe Capelle. Come cronologia, ci si pu orientare verso i 25.000 anni: uno spazio che rimane immenso rispetto alle nostre possibilit di documentazione e ricostruzione linguistiche, perch queste non arrivano al di l dei 5.000 anni da oggi. Queste prime testimonianze delluomo di Cro Magnon appaiono nel gruppo delle grotte dei Balzi Rossi nella Liguria occidentale estrema, proprio sulla frontiera francese di Mentone. Nella grotta detta della Barma grande sono stati trovati, ancora nel secolo scorso diversi scheletri, e nella grotta, detta precisamente dei Fanciulli, sono stati trovati scheletri di bambini. Siamo qui al livello del paleolitico superiore del tipo detto aurignaciano5 . La et definitivamente postglaciale consente di riconoscere linizio di una tradizione che passa quindi i 20.000 anni da oggi, ininterrotta. A una ottantina di chilometri a occidente, nella grotta delle Arene Candide, sono apparsi scheletri della razza parallela di Combe Capelle, sempre al livello del paleolitico superiore. Il fatto che ai Balzi Rossi, gli scheletri fossero accompagnati da ornamenti di conchiglie e di osso; che quelli di bambini mostrassero indumenti ornati con conchiglie marine; che la testa di un giovane di razza negroide fosse protetta da lastroni formanti un vano riempito di ocra, tutto questo ci rende certi che, a queste attivit, non po4 5

Eickstedt, Historia, cit., p. 129. Piccola guida, cit., tav. VII.

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tevano corrispondere solo mugolii animaleschi, ma che era indispensabile un linguaggio, sia pure rudimentale6 . Da allora, per tutto il mesolitico (13.000-5.000 anni a.C.) abbiamo davanti ai nostri occhi sepolture di cadaveri quasi esclusivamente rannicchiati, attestati in Liguria come nelle Puglie, nel Veneto e nellAbruzzo, nellEmilia e nel Lazio, nelle Marche e in Sicilia7 , tutte accompagnate da un corredo pi o meno ricco, che sempre presuppone e una elaborazione e un dialogo. 2. Unit semiotiche nellEneolitico Alla fine del neolitico, la comunicazione linguistica non pi soltanto una presunzione, sia pure ben motivata, ma una certezza; se non ancora a livello grammaticale, a livello semiologico. Con la et eneolitica, ancora allestremo angolo nordoccidentale dellItalia, sul monte Bego, in territorio oggi politicamente francese, si sono trovate oltre 40.000 figure di armi, aratri e altri utensili, di animali bovini, e di figure geometriche8 . 3. Fonti indirette In mancanza di documenti diretti, lapproccio al problema di dare una forma a queste sicure inafferrabili entit linguistiche, deve tener conto di alcuni punti fermi: a) Con linizio dellet neolitica, lItalia era popolata da uomini che disponevano di strumenti linguistici organizzati. b) Queste strutture tardano molto a lungo prima di essere realizzate in documenti diretti linguisticoVedi la tabella di Klin, Historia, cit., p. 60. Piccola guida, cit., tavole XIII-XIX. 8 Mercando, Le iscrizioni rupestri di Monte Bego, Torino 1957.
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grammaticali. Nemmeno possono essere raggiunte attraverso normali procedimenti di ricostruzione perch mancano punti di appoggio validi, legati da un presumibile rapporto di parentela, atti a permettere una comparazione non soltanto tipologica. c) Daltra parte, strutture grammaticali e unit lessicali, radicate per millenni sul suolo italiano, non possono essere scomparse senza lasciar tracce, come se immense scope o taglienti rasoi avessero fatto tabula rasa. In queste condizioni occorre procedere per gradi, cercando di ritagliare o estrarre dal patrimonio tradizionalmente attestato, di origine sicuramente indeuropea, quegli elementi che possano essere sospettati di esservi stati travasati dal pi antico strato (che provvisoriamente chiamiamo mediterraneo): accettati, riconosciuti anche se provenienti da una ascendenza illegittima. Al fine di non muoverci alla cieca, cominceremo a delimitare tre campi di ricerca. Il primo rappresentato dalla massa dei nomi di luogo antichi e moderni, dei quali non si conosca una etimologia evidente, e insieme trovino corrispondenze in una area cos vasta da esorbitare dai territor indeuropeizzati gi in et protostorica. Si vedranno subito sotto esempi di questo procedimento, che stato per la prima volta applicato su larga scala da Francesco Ribezzo e poi portato a perfezione da Vittorio Bertoldi e Benvenuto Terracini9 . Una seconda massa costituita da parole attestate solo in et moderna, confinate in dialetti appartati, specialmente nella zona alpina, e che si sottraggono a qualsiasi collegamento, non solo col latino ma anche con altre lingue della nostra era, dallarabo alle lingue germaniche e al francese. Il pioniere di que9 Ribrezzo, Rivista Indo-greco-italica, 4, 1920, pp. 83 sgg.; Terracini, Pagine e appunti di linguistica storica, Firenze 1957, pp. 41-52.

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ste ricerche stato lo studioso svizzero Jakob Jud10 . La terza massa data dagli appellativi latini che richiamano la nostra attenzione, sia perch non sono suscettibili di confronti sodisfacenti con forme di altre lingue indeuropee; sia, e soprattutto, perch nella loro struttura mostrano particolarit fonetiche o morfologiche estranee ai modelli indeuropei consueti. 4. Indizi fonetici Allo scopo di favorire la raccolta di esempi in quantit sufficiente e omogenea, par giusto indicare qui alcuni segnali, per mezzo dei quali la nostra attenzione chiamata a scegliere nelle grandi masse cos delineate, a concentrarsi su questioni ristrette che si annuncino, sia pure in modo provvisorio, come feconde11 . Dal punto di vista fonetico il segnale caratteristico pi fidato quello fornito da parole che contengano la successione A....A: il tipo di un nome locale come quello del fiume Vara, di una parola alpina come malga, di un appellativo latino come alga. Questo segnale esteriore ma significativo stato utilizzato da uno studioso tedesco, H. Krahe, come caratteristico di una determinata area e di una determinata fase detta antico-europea, nel quadro della antichit indeuropea12 . La ipotesi non legittima, perch la diffusione dei tipi A....A assai pi ampia di quello che sono le aree indeuropee primarie, e quindi non pu essere uti10 Bulletin de dialectologie romane, 3, 1912, pp. 1-18, 63-86. 11 Vedi i miei Scritti minori, II, Firenze 1967, pp; 20 sgg., e Studi etruschi, 37, 1969, pp. 93 sgg. 12 Krahe, Sprachverwandtschaft im Alteuropa, Heidelherg 1951.

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lizzata che in un quadro estraindeuropeo e per ci stesso preindeuropeo. Come nelle lingue indeuropee, si deve ammettere anche nel sistema mediterraneo, la possibilit di alternanze. Naturalmente, la cautela deve essere maggiore, perch nel sistema indeuropeo la validit delle corrispondenze tra forme alternanti poggia sulla corrispondenza con impieghi morfologici costanti, di cui i sistemi mediterranei invece non dispongono. Esempi di alternanze ammissibili sono quelli di un tipo BARGA, che inseparabile dal tipo BERGA(MO) e cio la possibilit di A/E. Cos negli appellativi italiani tarma e trmite. Alternanza opposta, pi limitata ma non eliminabile, quella di A/O, quale appare nel nome di due fiumi che scorrono in direzione opposta partendo da sorgenti vicinissime: AMRA (Ambra) e OMRO (Ombrone). Nellambito delle vocali, unaltra alternanza deve essere considerata grafica, in seguito alla differenza fra il sistema fonetico mediterraneo da una parte e quello latino o greco dallaltra. Il fatto che la parola latina menta trovi una corrispondenza col greco mnthe, attesta una vocale di partenza che allorecchio greco o latino trovava qualche difficolt di classificazione, quasi fosse una vocale intermedia fra la E e la I di queste lingue. Quanto alle consonanti, le oscillazioni fra sorda e sonora, sono inammissibili nel mondo indeuropeo che chiaramente le distingue, mentre in quello mediterraneo appaiono almeno in un settore centro-orientale, come inevitabili. Accanto a Barga (Lucca) abbiamo Parga (Firenze); di fronte a Bergamo (in Lombardia) abbiamo Pergamo nellAsia Minore. Finalmente, la differenza fra articolazione semplice e geminata, pone nel mondo indeuropeo un certo rapporto di equilibrio, che tiene anche conto della quantit della vocale precedente. Nella riproduzione di parole mediterranee in un sistema indeuropeo, si hanno invece in-

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certezze, per le quali un tipo BAKA riprodotto oltre che come lat. baca anche come bacca ( 7). 5. Indizi morfologici Con criter analoghi si deve guardare alla struttura dei temi e ai processi di derivazione. C una serie di parole latine che terminano in -K e che tutte sono prive di una etimologia indeuropea valida. Tale lista, imponente, costituita da FAIK lat. faex feccia, THALK lat. falx falce, FAUK lat. fauces fauci, FRAK lat. fraces morchia, KALK lat. calx calcagno, KRUK lat. crux croce, LANK lat. lanx piatto, MERK lat. merx merce. Analogamente, nel campo dei suffissi, non si tratta tanto di individuare suffissi positivamente mediterranei, quanto piuttosto, negativamente, suffissi chiaramente non-indeuropei. Un gruppo a s costituiscono i suffissi rappresentati da K preceduto da consonante S oppure N: tali i nomi locali come Carasco (Genova) oppure Malosco (Novara) e i nomi comuni verbasco, lentisco; un nome antico, quello del Po, Bodincus, un nome locale moderno come Bognanco (Novara) e un nome comune moderno come calanco. Infine ci sono tipi che in s potrebbero essere anche indeuropei come quelli in -NT, ma che si trovano talvolta in derivazioni nominali, di carattere non indeuropeo: tali in nomi in -NT preceduti da vocale diversa da E/O come nel caso di Taranto, o anche da vocale E connessa con una radice non di verbo: p. es. Ferento. Infine

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compaiono tipi caratterizzati da -p, p. es. Osoppo (Udine)13 . Lultimo caso quando compaiono non pi suffissi ma addirittura desinenze. Tale -AR che nella lingua etrusca segnale di plurale e che concorre a formare nomi locali rimasti sino ad oggi anche fuori di Etruria: p. es. nei nomi locali, i moderni Chiavar(i), Bavar(i), Crevar(i), nei quali la -I finale non che la conferma neolatina di un valore di plurale, che non era pi adeguatamente segnalato da -AR, antica desinenza ormai conglobata nel tema.
13 Hubschmid, Thesaurus praeromanicus, I, Berna 1936, pp. 9 sgg.

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Capitolo secondo Unit e variet nel mondo mediterraneo

6. Strutture Sulla base di questi sondaggi e dei materiali che si raccolgono, possibile tentare qualche descrizione parziale di strutture mediterranee. Un primo schema di sistema vocalico, dissimmetrico14 porta a opporre una serie vocalica palatale in cui la vocale E gravita verso la A e una serie velare in cui la vocale intermedia o gravita invece verso la u. Lo schema che ne deriva il seguente
A ........ ............O I...............U

Le alternanze citate del tipo Barga/Bergamo e Parga/Pergamo sono pi frequenti che quelle dellaltro tipo citato Ambra/Ombrone. In relazione con la prevalenza del primo tipo si trova la prevalenza dei temi AU come AUSA, in cui le due componenti del dittongo sono fortemente contrapposte, rispetto ai tipi in AI in cui lo sono meno, come SAITA setola (lat. saeta). Lo sviluppo della vocale A nel senso opposto, accennato dalla seconda alternanza, condurrebbe a una sistemazione non pi triangolare ma quadrangolare del tipo
E/I O/U

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Scritti minori, cit., II, p. 21.

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Lo sviluppo inverso, diretto a raggiungere una totale simmetria semplificata, dovrebbe condurre alla eliminazione della differenza fra le vocali intermedie e quelle estreme e delle due serie e cio a uno schema
A E/I O/U

Lindizio dato dalla incerta fissazione dei temi mediterranei nelle forme greche e latine: tali i casi di menta/mnthe, citato sopra e di lat. citrus cedro e gr. kdros, di lat. cupressus e gr. kyprissos. Neanche in questa direzione si arriva per a un risultato definitivo non simmetrico: il processo di fusione O/U molto pi avanzato di quello E/I. Un ultimo spunto viene offerto dal trattamento di una parola mediterranea quale appare nel greco sykon e nel latino ficus. Da questo appare in modo pressoch certo che nel mondo mediterraneo o in certe sue aree parziali sussisteva la vocale mista . Se si prende in considerazione allora anche questultimo spunto, ecco che un quadro completo dei nuclei vocalici mediterranei e delle loro tendenze andrebbe raffigurato virtualmente nella forma
E/I O/U

Nel quadro delle consonanti, si gi accennato alla scarsa sensibilit per la distinzione fra consonanti sorde e sonore, e fra semplici e geminate. Un problema particolare e caratteristico suggerito dalla opportunit di riconoscere nel sistema consonantico mediterraneo la presenza di una consonante interdentale sorda. Gli indizi risultano dalla somma di questi dati di fatto.

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a) Le lingue indeuropee di Italia, nella sola posizione iniziale (in latino e venetico) oppure anche nellinterno (nella tradizione osco-umbra) risolvono nella bilabiale F le antiche consonanti indeuropee sonore aspirate BH DH GwH, alle quali sporadicamente si aggiunge talvolta la GH. b) Cominciano per con F- numerose parole latine prive di etimologia indeuropea, attribuibili al gruppo delle parole mediterranee, nelle quali la F deve risultare da un diverso ma non meglio determinato suono mediterraneo, perch la F primitiva non vi attestata15 . c) Alla definizione di questo suono mediterraneo non ci avviciniamo se non tenendo conto delle DUE parole mediterranee, a cui corrispondono forme parallele fissate in latino e in greco. Ebbene, al lat. ficus citato sopra, il greco fa corrispondere la sibilante dentale nella citata forma di s ykon; al latino falx, il greco fa corrispondere, in Znkl e (e variante Dankle)16 , un suono diverso s ma che ha elementi cos di dentale come di affricata sibilante. In queste condizioni appare ragionevole pensare che la sintesi di F latina e s/z greca possa essere, quasi un minimo comun denominatore, determinata in TH (). 7. Campi semantici Se alcuni orientamenti di natura esterna delimitano una prima area di ricerca ( 3) e alcuni caratteri formali permettono di accrescere la verisimiglianza dei riferimenti mediterranei, certo che un fattore importante, sia per definire il mondo mediterraneo sia per riconoscerne gli elementi lessicali, costituito dai valori semantici. A queScritti minori, cit., II, p. 22. Niedermann, Essais dtymologie et de critique verbale latine, Neuchtel 1918, 17 sgg.
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sto fine non si tratta di decidere soltanto se certi gruppi di significato, presi in astratto, sono da considerare con preferenza come mediterranei. I significati vanno giudicati anche da un punto di vista esterno, e cio da quello della loro trasferibilit. Non basta che si adeguino alle esigenze semantiche del mondo mediterraneo o anche alle sue caratteristiche geografiche e socio-culturali. Ma occorre che mostrino incompatibilit con le esigenze del mondo indeuropeo considerato sia dal punto di vista delle sue strutture originarie, sia dalle circostanze connesse con il lungo periodo di trasferimenti e di assestamenti, che la ascendenza indeuropea presuppone. A proposito del vocabolario elementare esemplificato da H. Breuil17 par giusto riconoscere che tutto quanto si riferisce alla caccia e alla raccolta di frutti certamente legato al terreno, ed facile che i nuovi venuti imparino agevolmente la terminologia corrente nelle nuove sedi. Ma nozioni elementari come i numeri e tutto quello che si riferisce alla quantit e alla misura sono, in quanto nozioni astratte, ugualmente necessarie sotto tutte le latitudini in condizioni cos di nomadismo come di sedentariet, e quindi facilmente mantenute dai nuovi arrivati, senza contaminazioni. I campi semantici preferenziali per una interpretazione mediterranea del patrimonio lessicale di cui si dispone in et storica, possono essere ordinati nel modo seguente. In prima linea va messa la nozione del riparo naturale, la grotta; seguono i rilievi del terreno, le vie dacqua, le fonti, condizioni preliminari alla sussistenza; terzo, le variet dei frutti; quarto, gli animali, da cui difendersi, o di cui nutrirsi; quinto, i ripari artificiali, ivi compresi vesti e strumenti elementari; finalmente, almeno in teoria, il trattamento dei morti, e i riti magici, negli stretti limiti in cui possono riconoscersi in unit lessi17

Historia, cit., I, pp. 285 sgg.

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cali. Ecco dunque alcune basi mediterranee ricavate con gli accorgimenti indicati sopra e cos raggruppati: Tra le forme naturali del terreno (gruppi I e II): ALBA/ALPA sasso fissato nel latino Alpes, nel nome locale Alba longa, e negli altri tuttora in uso p. es. it. Alba; ARMA riparo p. es. oggi Arma (di Taggia) presso Sanremo; ARNA letto incavato di fiume, attestato nel fiume Arno, nel lat. medv. arna vas apium (X sec.), nellappellativo istriano arne caverna18 e, anche, nellit. odierno arnia; AUSA fonte, nel fiume toscano in lat. Aus(er) oggi Serchio; nelletnico Ausones il popolo della regione delle fontane19 e diffuso in tutto lo spazio compreso fra la Irlanda e la Arabia; BALMA grotta p. es. nel nome locale moderno Balme (prov. Vercelli) o forma dialettale ligure nella Barma Grande o Grotta grande citata sopra ( 1), presso Mentone; BRATTA fango sopravvivente nel ligure bratta fango e nel verbo italiano (im)brattare macchiare; GLARA nel lat. glarea; KAR(R)A sasso20 attestato in un territorio immenso, dallirlandese carr roccia allarmeno kar, al sumerico har, e in nomi locali italiani come Car(asco) (Genova); KLAVA cono di deiezione, delta di sassi nei nomi locali Chiav(ari) o Chiav(enna); LAMA piano acquitrinoso nome locale nellAbruzzo (Lama dei Peligni) o nellEmilia (Lama Mocogno); PALA rotondit (del terreno), fra laltro nel lat. palatum volta o cielo della bocca oltre i nomi locali moderni come il monte Cimon della Pala; RAVA frana nel toponimo moderno dellAppennino bolognese Bocca del Ravari21 , Ravarano
18 Scritti minori, cit., II, pp. 44-49; Jud e Jaberg, Atlante italo-svizzero, tav. 424. 19 Scritti minori, cit., II, pp. 44 sgg. 20 Alessio, Studi etruschi, 9, 1935, pp. 133 sgg.; 10, 1936, pp. 165 sgg. 21 Scritti minori, cit., II, pp. 17, 59.

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(Parma), e come appellativo ravaneto insieme di detriti di marmo; TAURA tumulo in nomi locali come Taurasi (Avellino) o (Gioia) Tauro (Reggio Calabria);22 VARA acqua frequente nome di fiumi (p. es. prov. La Spezia), gi citata sopra ( 4). Meno tipici come struttura, ma bene documentati, non solo come toponimi, sono i casi seguenti: LIMA fiume dal letto roccioso lat. lima, it. lima, oltre il fiume Lima (prov. Pistoia e Lucca); KRODA roccia, croda forma dialettale veneta e Croda nome locale in prov. di Como; BODO fondo sopravvivente, con suffisso ligure, nel lat. Bodincus Po; ROKKA diffusissimo come nome locale (75 capoluoghi di comune) oltre allappellativo; POPLO poggio nel toponimo etr. Pupluna Populonia, nel lat. populus inteso come crescita, progenie, nel monte Boplo attestato in vai Polcvera nella Sententia Minuciorum CIL I 584; KUKKO rilievo appuntito del terreno23 attestato in estensione larghissima dal basco kukur pettine allo slov. o al caucasico kuk; infine M (o)LU(M)B- piombo lat. plumbus, ma gr. mlybdos. Con lo stesso procedimento isoliamo, nel campo della vegetazione, strutture tipiche come le seguenti: BAK(K)A, lat. bac(c)a, it. bacca; MAGA, il tema donde stato tratto il lomb. mag(iustra) fragola, noto nellestremo occidente fino al basco mag(uri);24 SRAGA fragola anche nel lat. fraga fragola; AMPA lampone nellit. lampone, in cui larticolo stato conglobato nel tema. Seguono, al di fuori delle bacche, ma sempre nellambito della vegetazione, ALGA lat. alga, GALLA lat. galla galla; LAPPA lat. lappa lappola; MAL22

Ribezzo, Rivista Indo-greco-italica, 15, 1931, pp. 155 Hubhschmid, Mediterrane Substrate, Berna 1960, p. 35. Hubschmid, op. cit., 1. 27.

sgg.
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VA lat. e it. malva; LAURA lat. laurus, it. (al)loro; NAPA cavolo lat. napus; TAKSA lat. taxus, it. tasso. Al di fuori delle forme tipiche, si hanno poi nella vegetazione selvatica: KIDRO/KEDRO lat. citrus, gr. kdros; ILEK variet di quercia lat. ilex; KUPAR cipresso lat. cupressus, gr. kyprissos; LEIRIO25 lat. lilium, gr. lerion, it. giglio; WRODJA rosa, lat. e it. rosa, gr. rhdon. Nella vegetazione commestibile rientra la nozione di fame THAM lat. fames; MINT(H)A menta lat. e it. menta, gr. mnth e; il vocabolario dellolio e del vino: ELAIWO- lat. oleum, gr. laion; WOINO- vino lat. vinum, gr. Fonos e FAIK lat. faex feccia; infine THONGO- fungo lat. fungus, gr. spngos e THKOfico, lat. ficus, gr. s ykon. Nel campo degli animali, hanno forme tipiche TALPA lat. talpa; TARMA lat. tarmes, it. tarma; BLATTA insetto cfr. it. piatt(ola). Fuori delle forme tipiche si possono accettare LEB/LEP lepre lat. Lepus26 e cos lat. (cam)ox (animale alpino), (i)bex camoscio lat. cab(allus) cavallo da lavoro. Nel campo dei ripari artificiali KASA capanna lat. e it. casa; BAITA e MALGA casa rustica nei pascoli alpini; BARGA capanna che insiste sulla forma rotondeggiante, diffusissima come nome locale e presente nel lat. e it. barca. Come nomi di strumenti tipici per la forma A....A o la finale in -K compaiono infine: BARRA it. barra; THALK falce lat. falx, it. falce; LANK piatto lat. lanx.
25 Hubschmid, op. cit., pp. 37 sgg.; Devoto, Scritti minori, cit., II, p. 16. 26 Terracini, Archivio glottologico italiano. Sezione Goidanich, 20, 1926, p. 131.

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8. Nostratico e Indo-mediterraneo Alcune di queste somiglianze e contatti si spingono cos lontano che legittimo parlare di resti di una antica unit anche estraitaliana. Anche se questo non interessa direttamente il linguaggio dItalia, pure consigliabile tenere presenti alcune distinzioni terminologiche. Ci sono temi come AUSA che hanno corrispondenze estesissime dal mondo basco allIrlanda allItalia al vicino oriente, allArabia, e sono compresi nel termine generalissimo di nostratico27 . Ci sono quelli che gravitano piuttosto verso una fascia settentrionale dai Pirenei alla regione alpina, dalla Balcania fino al Caucaso e sono detti paleoeuropei p. es. KUK ( 7). Ci sono quelli che gravitano piuttosto verso il mezzogiorno e le coste africane, spingendosi addirittura fino allIndia: sono detti indo-mediterranei. Tale, secondo V. Pisani28 , il significato della diffusione del sistema numerale vigesimale; tale il valore di certe corrispondenze greco-indiane, come gr. erbinthos cece, contro indiano aravinda. 9. Paleo-europeo Di maggiore interesse, dal punto di vista italiano, il caso opposto, per il quale, allinterno dello strato mediterraneo e delle sue testimonianze italiane, si riscontrano differenze. Fra la tendenza di B. Gerola, aliena dal riconoscere questa variet, e quella di M. Durante29 incline a esaltarScritti minori, cit., II, pp. 29-30. Pisani, Scritti in onore di Alfredo Trombetti, Milano 1938, pp. 199-213. 29 Durante, Annali dellIstituto orientale di Napoli. Sezione linguistica, 3, 1961, pp. 59-77.
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la e forse a esagerarla, merita preferenza questa seconda. Un esempio fondamentale di variet stato riconosciuto ad esempio da B. Terracini in Sardegna. Da una parte, soprattutto nel mezzogiorno, compaiono nomi locali come Ittiri, Isili, paragonabili allafricano Gilgili, e alliberico Bilbili; dallaltra, nomi come Orotelli o Bosinco richiamano i temi liguri in -ELLO- e -INCO-30 , come Vercelli o Bodincus Po. Ma la posizione corretta mira contemporaneamente a riconoscere in astratto che alcune grandi aree o focolai di attrazione agiscono allinterno della penisola italiana e, insieme, che certi segnali caratteristici non rispettano confini rigidi ma si espandono e si ritraggono in continuazione. Le grandi aree possono essere cos definite: la ligure nellItalia nordoccidentale, la euganea o reto-euganea nella nordorientale; la tirrenica nellItalia peninsulare-occidentale e la picena in quella peninsulare-orientale. Sicilia e Sardegna si aprono in parte verso i mondi tirrenico e ligure e, da unaltra parte, verso lAfrica. Come esempi di frontiere che non sono barriere si possono utilizzare alcuni suffissi. In S, abbiamo Suessa Sinuessa nellItalia sudoccidentale, ma Atessa in quella sudorientale. Suffissi in -SS e in -NTH sono propri, secondo Krahe31 , dellItalia centromeridionale e la collegano col mondo egeo-anatolico32 . In -R(R) abbiamo Lipara, Mazara in Sicilia, Acerra alle porte di Napoli, Suburra a Roma. In L, AL(L)O-, EL(L)O-, IL(L)O-, hanno per focolaio il mondo ligure, nelle iscrizioni leponzie
30 Terracini, Gli studi linguistici sulla Sardegna preromana, Roma 1936, estratto, p. 12. 31 Die Indogermanisierung Griechenlands und Italiens, Heidelberg 1949, p. 32. 32 Vedi per il mondo egeo-anatolico: Herter, Minos, 9, 1960, pp. 219 sgg.

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(Tituk)alos, (Popp)alus ( 31), nella Sententia Minuciorum (CIL I 584)* in rivo Tudel(asca); nella toponomastica da Rapallo, Varallo, Vercelli al lago Regillo presso Roma; a Roselle in Etruria, infine a Entella, che si trova in Liguria quanto nella Sicilia occidentale. In N, nelle varianti E(N)NA, in Etruria ma anche nelle aree circostanti: tali Bolsena, Rasenna in prov. di Macerata e di Modena; Ravenna e Cesena in Romagna; Chiavenna in Emilia e nelle Alpi centrali; Valbrevenna in Liguria; Palena in Abruzzo. Ampia larea delle formazioni in -ONA. A partire da Dertona in territorio ligure si estendono, attraverso Cremona, il territorio reto-euganeo, a Verona e Gemona; scendono sulla costa abruzzese dellAdriatico a Ortona; si fissano sulla sua costa orientale a Albona, Fianona, Salona. Analogamente il suffisso TE ha il suo centro nellItalia nordorientale: per es. Terges-te Trieste o Ates-te Este, ma discende anche verso mezzogiorno a Tea-te Chieti, a Rea-te Rieti e fino al monte Sorac-te Soratte a nord di Roma. 10. Collegamenti con lEuropa centrale Che nella protostoria neo- e eneolitica le societ umane non fossero statiche ma stabilissero rapporti anche a grande distanza provato dallarcheologia. Nei giacimenti della ceramica a nastro danubiana, e quindi nel tardo neolitico si trovano a scopo di ornamento conchiglie di un mollusco, lo Spondylus gaederopus33 . In quelli pi tardi della civilt eneolitica di Untice (Boemia) appaiono le conchiglie di un altro mollusco, la Columbella
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Vedi le mie Origini indeuropee, Firenze 1962, p. 94.

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rustica34 . Dunque, dal Mediterraneo e dallItalia movevano correnti culturali e commerciali che sono state definite come antindeuropee35 . Le civilt eneolitiche di Serraferlicchio (Agrigento)36 e quella di Rinaldone nellalto Lazio con le asce da combattimento37 , quelle del Gaudo in Campania presso Pesto con i loro meandri punteggiati, attestano collegamenti lontani in direzione opposta38 , talvolta transadriatici. Quelli di Remedello (Brescia), sul confine fra la et enea e quella del bronzo, attraverso la forma dei suoi bicchieri campaniformi rivolta invece verso occidente39 . Discendendo infine alla civilt terramaricola (bronzo medio e recente)40 i collegamenti evidenti sono di nuovo con la Europa centrale. Dalluna direzione o dallaltra, lItalia del secondo millennio, sia per dare sia per ricevere, sempre in contatto per mare o per terra col resto del continente41 .
Op. cit., p. 125. Scritti minori, I, Firenze 1958, pp. 70 sgg. 36 Piccola guida, cit., tav. XXII. 37 Op. cit., tav. XXIII. Cfr. Laviosa Zambotti, Le pi antiche culture agricole europee, Milano 1943, p. 500. 38 Piccola guida, cit., tav. XXIII. 39 Op. cit., tav. XXIV. 40 Op. cit., tav. XXXII. 41 Laviosa Zambotti, Op. cit., pp. 351-383.
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Capitolo terzo La affermazione indoeuropea

11. Istituzioni linguistiche indeuropee Su questo mondo, originariamente uniforme, ma sottoposto nella storia a diversificazioni senza fine, si affermata a un certo momento, dopo millenni, una tradizione nuova, che si adegua e si deforma, ma mette radici, e non si rompe mai pi. A differenza dei resti mediterranei, e nonostante esperienze vicende e fratture, questa tradizione linguistica, la tradizione indeuropea, riesce a serbare qualcosa di organico anche se il suo impatto con lItalia non n unitario n istantaneo ( 15). I tratti salienti del patrimonio linguistico che ora si affaccia sono i seguenti42 . Sul piano fonetico, il sistema delle vocali si fonda sui tre timbri E O A. Allinterno di queste la dominante era la E, alternante con O, mentre la A appariva o come vocale di forme non alternanti, proprie, secondo Antoine Meillet, di un vocabolario popolare43 o come vocale di soccorso e di appoggio quando per ragioni di accentazione o di morfologia i timbri normali si affievolivano. Il sistema delle consonanti si fondava in origine su una quadripartizione fra consonanti occlusive, da una parte sorde e sonore semplici, e dallaltra sorde e sonore aspirate, distinte ulteriormente, dal punto di vista del punto di articolazione, nelle quattro serie delle labiali dentali gutturali e labiovelari. Le consonanti continue si limitavano alla sibilante S, eventualmente sonorizzabile in Z. Intermedie fra le vocali e le consonanti, si avevaVedi le mie Origini indeuropee, Firenze 1962, pp. 15 sgg. Meillet, Linguistique historique et linguistique gnrale, 2 ed., Parigi 1936, pp. 165 sgg.
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no le sonanti, articolazioni suscettibili di fungere, secondo il contesto fonetico, come vocali oppure come consonanti. Le sonanti erano sei: I vocale alternante con Y (=J) consonante; U vocale alternante con w consonante; L, vocale, alternante con L consonante e cos R e R consonante, M e M, N e N. Impossibilitata a esser definita foneticamente, ma necessaria dal punto di vista del sistema la cosiddetta laringale, segnalata convenzionalmente con una E (rovesciata), anchessa suscettibile di valore vocalico (E. accanto al consonantico E) e detta tradizionalmente schwa44 . Quando ha valore vocalico, si fonde, nella maggioranza delle aree, con A (nel mondo ario con I); quando ha valore consonantico, si fonde con la vocale precedente e d vita alla quantit lunga della stessa. La differenza fra quantit breve e lunga non dunque una propriet primitiva delle vocali indeuropee, ma una propriet acquisita. 12. Innovazioni indeuropee Ma la tradizione indeuropea, che si affacciata sulla soglia dellItalia, non era pi quella primitiva anche per altre ragioni. Le principali trasformazioni, che si erano gi verificate parzialmente nel mondo indeuropeo, e comprendevano invece tutti i filoni: giunti in Italia, sono state principalmente due, e entrambe si riferiscono al sistema delle consonanti. Da una parte si tratta della trasformazione del sistema del grado di articolazione che passa da quadripartito a tripartito, in seguito allallineamento di occlusive sorde, occlusive sonore e fricative, eredi di aspirate. Dallaltra si tratta dello scioglimento della categoria delle sonanti, che si scindono nelle vocali I e U e nelle consonanti J V L R M N, senza pi possibili44

Vedi le cit. Origini indeuropee, p. 18.

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t di alternanza. Le forme vocaliche delle quattro sonanti L R M N sono rappresentate in maggioranza dai gruppi OL OR EM EN. Le consonanti dette labiovelari sono conservate nella tradizione protolatina meglio che in tutte le altre lingue indeuropee, mentre sono energicamente labializzate in quella osco-umbra ( 27). Nel campo della morfologia, il carattere fondamentale era quello delle alternanze delle radici tra un grado normale E, uno forte O, e uno ridotto, privo di vocale. In circostanze fonetiche speciali, al posto di un grado ridotto privo del tutto di vocale, se ne aveva uno semiridotto, variamente trattato sul suolo italiano. Questo sistema morfologico stato vittima in Italia delle alterazioni fonetiche sopraggiunte, sia per lazione della intensit dellaccento sia per una diversa gradazione dei timbri vocalici. La morfologia del nome si fondava su una declinazione di otto casi, dei quali lo strumentale, e il locativo hanno lasciato in Italia solo tracce scarse. La morfologia del verbo si fondava sulla coesistenza, non necessariamente totale, dei temi fondamentali di presente aoristo perfetto, che definivano il tempo e la quantit dellazione (o aspetto) del verbo; dei modi, che definivano la qualit; con relative forme nominali di particip, infiniti e cos via. La diatesi del verbo mirava a opporre soprattutto quella attiva e la media mentre la passiva era affidata a un sistema secondario di coniugazione, parallelo alle forme causativa desiderativa o intensiva. Nel campo dei modi si distingueva fra un congiuntivo, segnale di possibilit e un ottativo, segnale di desiderabilit. Rimanevano tracce di un primitivo45 che ai fini della indeuropeizzazione dellItalia non ha esercitato alcuna parte, salvo forse nella formazione del paradigma del verbo sostantivo s-u-m.
45 Schwyzer, Griechische Grammatik, Monaco di Baviera 1934-1953, I, p. 645; II, p. 303.

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13. Gruppi lessicali Molto importante avere un quadro del patrimonio lessicale indeuropeo, nelle stratificazioni filologica e sociale. Da un punto di vista filologico, il vocabolario arrivato in Italia si divide in tre categorie. La prima46 era costituita da quelle unit lessicali che, per il fatto di essere attestate in tutte o in quasi tutte le diverse aree indeuropeizzate, costituiscono un insieme compatto: tali le radi dare lat. daci verbali come Es essere lat. esse, DO arrestarsi lat. stare, WEID vedere lat. vire, STHA dere, GEUS gustare lat. gustus, infine tutti i numerali, gi disposti secondo un sistema decimale. Un secondo strato47 rappresentato da parole gravitanti nellarea nordoccidentale, e cio sulla sinistra dello scacchiere indeuropeo primitivo. Da un punto di vista climatico, si riferiscono al mondo forestale, ricco di umidit, dellEuropa centrale, e si oppongono al mondo arido delle steppe dellEuropa sudorientale. Tale il caso di GwRANO- che, nel latino granum, indica quello che (vantaggiosamente) secco, mentre in regioni pi orientali indica il valore di ci che (dannosamente) secco, e cio il vecchio. Analogamente KwyTI- in occidente la (sopportabile) sete mentre in oriente, per es. nel greco phthsis, significa la (insopportabile) consunzione. Un terzo strato48 rappresentato da parole che sopravvivono non in aree contigue, ma in aree periferiche, e cio si sono sottratte a mutamenti e sostituzioni affermate nelle aree centrali. Tali i casi delle parole latine rex, jus, credo, che trovano corrispondenze eventualmenOrigini indeuropee, cit., pp. 191 sgg. Op. cit., pp. 263 sgg. 48 Op. cit., pp. 292 sgg.
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te nel mondo celtico, contiguo, ma poi solo nel mondo indo-iranico, allestremo opposto. Si tratta in generale di parole attinenti alla cultura alla religione allordinamento sociale, e quindi richiamano la imagine di un rivolgimento sociale, che ha sostituito, partendo dallinterno, le antiche istituzioni. strano come studiosi qualificati stentino49 ad accettare il principio fecondo della contrapposizione di marginalit e centralit, che stato il grande passaggio dalla linguistica unidimensionale a quella bidimensionale50 , in attesa di quella tridimensionale, legata alla moderna sociolinguistica. Pi importante la stratificazione delle parole, non tanto in base alla loro documentazione esterna, quanto attraverso la fase di civilt a cui si riferiscono. Della fase primitiva dei raccoglitori ritroviamo echi ad esempio nella terminologia del fratello BHRATER che si incrociato con quella del portare BHER; della radice LEG che vuol dire raccogliere ma anche scegliere, il che proprio dei raccoglitori, ma non degli agricoltori; YEM, che sopravvive nel valore astratto del latino imago, ma che originariamente indicava il frutto doppio o gemello; LEIGH, in latino lingere leccare, conservato meglio che i termini del mangiare e del bere, proprio perch legato a una alimentazione gravitante sul miele e i succhi di bacche. Ricordo della caccia sono la radice SAG andare a caccia, che sopravvive, intellettualizzata, nel lat. sagax; GHWER lat. ferus, che indica invece lanimale selvatico, oggetto della caccia. Alla pastorizia strettamente legata la famiglia lessicale di AG condurre al pascolo lat. agere; la rad. AL nutrire lat. alere; e cos PEKU gregge lat. pecu;
L. R. Palmer, The Latin language, Londra, s.d., p. 32. Devoto, Atti delle giornate sociolinguistiche, Roma 1970.
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VAK(K)A mucca lat. vacca; (G)LAKT latte lat. lac, infine WLeNA lat. e it. lana. Ricordi mitici dellagricoltura hanno fatto s che , AGRO- sia passato da pascolo a campo; che ARO remare, abbia profittarisalente alla famiglia di ERE to della imagine dellarare come di un remar la terra; seminare e MET mietere hanno invece un valore SE compreso tutto nel mondo degli agricoltori. Indipendentemente dalla stratificazione filologica, e socioculturale, il vocabolario pu essere presentato diviso in grandi gruppi di significato, sia pure artificiosi. Mantenendo la divisione in dieci grandi gruppi gi attuata altrove51 , si ha allingrosso una differenza fra due gruppi: la terminologia generale psicologica meteorologica anatomica e dei rapporti famigliari pi stretti, che sopporta bene le conseguenze dei grandi spostamenti geografici; e quella economica tecnica alimentare, della natura cos domestica come selvatica, e delle unit sociali maggiori, che ovviamente hanno sentito, di quegli spostamenti, i contraccolpi maggiori. Il vocabolario delle prime categorie citate si salva abbastanza bene, quello delle ultime arriva mutilato e stanco, come un combattente dal campo di battaglia. evidente che i vuoti, o i luoghi di minor resistenza lessicale indeuropea, costituissero altrettante tentazioni e attrattive per le unit lessicali mediterranee, con le quali il patrimonio lessicale indeuropeo veniva in contatto. Sono interessanti queste contrapposizioni: di fronte allindeuropeo NAWI- il lat. accoglie barca; di fronte a WESTI veste accoglie palla sopravveste femminile; di fronte a KELLA capanna il lat. accoglie casa e, nelle regioni alpine, i tipi MALGA; di fianco alloro argento e rame AUSO ARGTO AYES, il lat. accoglie plumbum piombo. In fatto di strumenti, di fronte a serra
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Origini indeuropee, cit., pp. 382 sgg.

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sega il lat. accoglie falx falce. In fatto di forme del terreno, di fronte a mons monte il latino accoglie i numerosi toponimi del tipo Alba Alpes; di fronte a aqua si accolgono toponimi del tipo AUSA la fonte. Nella vegetazione resiste flos fiore, ma si accoglie il mediterraneo bac(c)a; ai nomi delle grandi specie forestali, fra le quali domina la quercia PERKwU- lat. quercus quercia, si affianca il med. taxus. Il miele e lape resistono, lat. apis mel; ma la terminologia della sua tecnica assume dal mondo mediterraneo lat. favus favo, fucus fuco, e anche una parola, sopravvivente in italiano, arnia. Fra i roditori mus topo si arricchisce della compagnia di TALPA; fra gli insetti, a pulex pulce, si affianca BLATTA; di fronte a vermis verme si accetta TARMA. Il contatto fra il mondo indeuropeo e quello mediterraneo non , almeno in Italia, uno scontro: le sue conseguenze sono non gi di distruzione, ma di completamento e arricchimento. 14. Primi focolai in Italia Queste nuove strutture, queste nuove unit lessicali non hanno dunque cancellato o sommerso il patrimonio linguistico originario dellItalia. Si sono affacciate da principio in caposaldi o teste di ponte, che, sia pure sulla base di esigenze linguistiche insopprimibili, possono essere identificate soltanto per mezzo dellarcheologia. Un primo requisito sta nel fatto che si deve trattare di eventi cos antichi da avere consentito larrivo in Italia di elementi lessicali, anteriori a quel rivolgimento interno della societ indeuropea di cui si detto sopra ( 13). E poich nel XV sec. a.C. nel mondo Egeo appare la lingua greca gi costituita in modo autonomo, ecco che conviene identificare un primo focolaio pressa poco

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contemporaneo, di affermazioni indeuropee in Italia52 . La risposta a questa esigenza semplice. Le connessioni estraitaliane nelle stazioni preistoriche dellItalia settentrionale (Emilia e Veneto) appartengono a et relativamente recente, perch, in connessione con la civilt centroeuropea dei campi durne, e cio posteriori al movimento rinnovatore democratico, ormai affermato in quel tempo. Pi a mezzogiorno, sulle coste del medio Adriatico, si trovano altri giacimenti, ricchi di corrispondenze transadriatiche, ma appartenenti alla civilt del ferro, e quindi ancor pi recenti. Non rimangono che i giacimenti della cosiddetta civilt di Matera, della fine del neolitico medio53 . La indeuropeit comincia perci in Italia dalla Puglia ed a questa sua prima testimonianza antichissima che spetta allora il nome artificiale di protolatino. Somiglianze transadriatiche54 mostra la ceramica delle grotte della Pertosa e di Zachito (prov. Salerno)55 arieggianti al II strato di Vin ea, in Jugoslavia. Sul Gargano si trovano cunei e ceramica dipinta del tipo di Turdos (Transilvania)56 , e in Puglia ceramica a nastro, che corrisponde a sua volta al II periodo della civilt appenninica57 . Il focolaio settentrionale si concentra intorno alle terramare, e poi soprattutto a Este. Le terramare, che appartengono alla fine del II millennio, attestano la civilt del bronzo medio e recente58 . La fase successiva o proOp. cit., pp. 193 sgg. Piccola guida della preistoria italiana, cit., tav. XVIII. 54 Origini indeuropee, cit., p. 109. 55 Piccola guida, cit., tav. XXXI. 56 Origini indeuropee, cit., p. 109. 57 Rellini, Bullettino di Paletnologia italiana, 48, 1925, pp. 32 sgg. 58 Piccola guida, cit., tav. XXXII.
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tovillanoviana ha le sue basi pi antiche a Fontanella di Casalromano (Mantova) e Bismantova (Reggio Emilia), e appartiene al bronzo finale. Ha una certa spinta a espandersi verso Pianello di Genga, Monteleone di Spoleto59 , fino al Lazio. La cultura atestina nella prima et del ferro la pi brillante; attestata a partire dal IX secolo, si identifica con le testimonianze epigrafiche venetiche. Nei riguardi dei rapporti centroeuropei si hanno nella prima fase di questo complesso le fibule60 ( 25), il rito della incinerazione dei cadaveri, e il rifiuto della decorazione61 ; nelle fasi pi recenti invece risalta la ceramica gibbosa e cannellata. Anche dalle coste delle Marche e degli Abruzzi il IX secolo attesta una civilt del ferro che ha le sue connessioni transadriatiche, sia nel rito funebre inumatore sia in suppellettili come gli anelloni e le sferette trovati a Cupra e a Grottammare da una parte e i pendagli a sferette minuscole di Glasinac in Bosnia62 . Queste relazioni ripercorrono vecchi itinerari gi ricostruiti attraverso le connessioni fra le pi antiche civilt di Rinaldone e Belverde da una parte e quella di Vu cedol dallaltra, illustrate da Pia Laviosa Zambotti ( 10)63 . 15. Loro organizzazione Per rendersi conto della portata di questi movimenti, bisogna aver chiara lidea del modo con cui la nuova tradizione linguistica si imposta. Non si trattato di una coPiccola guida, cit., tav. XXXV. Origini indeuropee, cit., p. 148. 61 Origini indeuropee, cit., p. 384. 62 Origini indeuropee, cit., p. 151. Cfr. Dumitrescu, Let del ferro nel Piceno, Bucarest 1929. 63 Le pi antiche culture agricole, cit., pp. 402 sgg.
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lonizzazione in senso demografico, n di vistose migrazioni di uomini, perch ne sarebbe rimasta traccia in leggende, come avvenuto per i nostoi o ritorni dei combattenti della guerra di Troia, o per la discesa dei Dori nel Peloponneso. Non si trattato nemmeno della affermazione di una aristocrazia culturale, perch avrebbe lasciato tracce monumentali. Il mondo mediterraneo, ivi compreso quello italiano, era superiore per civilt; una conquista culturale indeuropea impensabile. Eppure una forza, qualunque ne fosse la natura, deve essersi manifestata per consentire la conquista o almeno la affermazione linguistica. Tanto pi era necessaria, in quanto il trapianto di un sistema linguistico da regioni cos diverse come quelle dellEuropa centrale, doveva averla messa in crisi. Questa forza non poteva essere che sociale. I nuclei di tradizione linguistica indeuropea, privi di qualsiasi forza demografica o culturale, erano invece saldamente organizzati in trib sia pure piccole, ma solide, che, dovunque arrivavano, mantenevano la loro compattezza, non solo, ma costituivano una forza di attrazione e confronto per gli indigeni: prima, fonte di attrazione e curiosit, poi modelli di vita psicologicamente urbana, poi solido, fisso punto di riferimento nel mutare della vita quotidiana, qualcosa di paragonabile a un mercato. Solo in questo modo possibile rendersi conto di una affermazione cos potente e durevole, e nel tempo stesso invisibile. Il linguaggio dItalia si manifesta dora in avanti in forme nuove, secondo una tradizione ricca di traversie e ostacoli, ma non pi interrotta.

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Capitolo quarto Testimonianze epigrafiche preindeuropee

16. Anetrusche Solo a partire dal I millennio possibile passare, dalla contrapposizione frontale di relitti preindeuropei e strutture indeuropee, al confronto fra unit linguistiche storicamente costituite e afferrabili a noi. Naturalmente il risultato di questa svolta non automatico, ma prende forma progressivamente attraverso un quadro tripartito. Si tratta di testimonianze pi o meno organiche di lingue preindeuropee, che si prolungano nella prima met del millennio e oltre. Si tratta di avvisaglie indeuropee nellinterno di queste, soprattutto nel mondo etrusco, sino a legittimare la nozione di una fascia periindeuropea ( 17 sgg.). Si tratta infine di definire le singole tradizioni indeuropee nelle aree e nelle forme da cui hanno preso le mosse per diffondersi con maggiore o minore fortuna in Italia: tali i focolai protolatini ( 22 sgg.), venetico ( 25) e osco-umbro ( 26 sgg.), messapico, leponzio e gallico ( 31 sgg.) e delle tradizioni che ne sono eventualmente discese. La iscrizione punica venuta in luce nel 1964 a Pyrgi presso Civitavecchia apre la serie delle testimonianze di lingue non indeuropee nellItalia antica. Essa anche la pi facile da interpretare storicamente, in quanto ricorda la consacrazione di un tempio alla dea Astarte, fatta da Tiberio Veliana, tiranno di Caere ai primi del V secolo a.C. Si tratta di una decina di righe che trovano una pi ampia corrispondenza nelle due analoghe, ma non identiche, redazioni etrusche. Essa prova la importanza dei rapporti fra Cartagine e la Etruria in quella et,

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non lesistenza nella Italia antica di unarea linguistica punica64 . Maggiore la portata della iscrizione sicana di Sciri presso Caltagirone (Sicilia) pubblicata da Francesco Ribezzo nel 1933. Appartiene al VI secolo a.C., si compone di 58 lettere in alfabeto greco, parzialmente corrispondente a quello pi antico di Siracusa65 . Secondo il Ribezzo la iscrizione appartiene a un tempo nel quale la affermazione indeuropea in Sicilia gi si fatta sentire. Altri autori, per esempio V. Pisani66 , la considerano invece gi al livello indeuropeo dei Siculi. In realt la iscrizione ancora mediterranea: parole come nendas, tebeg, pra arei, pagosti kealte, inrubo, si prestano difficilmente a una interpretazione indeuropea. Il significato attribuito dal Ribezzo Nenda Pureno distrusse in guerra nella citt di Burena farce, cinque territori conquist. Il tutto per ancora aleatorio e vago. Nelle stesse condizioni si trova la celebre iscrizione di Capestrano scoperta nel 1934, appartenente al VI secolo a.C. Essa contiene una quarantina di segni senza divisione di parole ed letta da G. Radke67 in questo modo: Ma Kaprih K. oram opsu Tr Minis R akinebihi pomp... II. Su 11 parole cos isolate, 6 dovrebbero essere nomi personali, due sono numerali, oram dovrebbe essere pronome, opsu un verbo, akinebihi indicherebbe una magistratura. Anche se non si pu escludere qualche infiltrazione indeuropea, lindeuropeismo del Radke sembra
64 Devoto, Scritti minori, II, Firenze 1967, pp. 200 sgg. con relativa bibliografia. 65 Rivista indo-greco-italica, 17, 1933, pp. 197-211. 66 Le lingue dellItalia antica oltre il latino, 2 ed., Torino 1964. 67 Pauly-Wissowa, Realenzyklopdie, suppl. IX, col. 1779; Pisani, Le lingue, cit., pp. 225 sgg.

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prematuro. Lalfabeto comune a quello delle iscrizioni umbre arcaiche (o protosabelliche; 26). Indubbi sono la natura e la portata della iscrizione di Novilara, scoperta nel 188968 . Si trova su un blocco di arenaria, nel quale raffigurata una ruota a cinque raggi. Liscrizione si compone di una quarantina di parole in dodici righe. Le prime due sono le seguenti: mimnis erut gaares tades= =rotnem uvlin parten us. Per quanto studiata a fondo, essa si ribella a qualsiasi tentativo di interpretazione. A questa difficolt interna si aggiunge la profonda differenza che la separa dalla lingua etrusca, pure geograficamente vicina, non solo dal punto di vista morfologico e lessicale, ma anche per la presenza delle vocali o e u, reciprocamente indipendenti, e delle consonanti sonore in un alfabeto che pure di origine etrusca. Le iscrizioni dette retiche, dellItalia settentrionale, una settantina, sono disposte nella regione compresa fra il Trentino-Alto Adige e la base prealpina fra il lago di Garda e Padova. La loro antichit scarsa ma la differenza dalletrusco troppo sensibile perch sia possibile considerarle come resti dello strato etrusco-padano respinto verso nord dopo linvasione gallica del V sec. a.C. Gli alfabeti sono per del tipo etrusco settentrionale, e si dividono nei due tipi di Bolzano e di Sondrio. Sono pubblicate nelle raccolte dello Whatmough e del Pisani69 . Le pi importanti sono quella di Caslr (in val Cembra presso Trento) N. 215, di 60 lettere, quella della paletta di Padova N. 244, con una trentina, e la spada di Verona N. 247, con una quarantina. La discendenza etrusca degli alfabeti appare chiaramente attraverso la mancanza dei segni delle consonanti sonore, della voca68 Camporeale-Giacomelli in I Piceni e la civilt etruscoitalica, Firenze 1959, pp. 93-104. 69 Pisani, Le lingue, cit., pp. 317 sgg.

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le o, nonch delle oscillazioni nellimpiego delle consonanti sorde e sorde aspirate. Forme caratteristiche sono quelle del tipo trina e, tina e, che ricordano forme di perfetti etruschi70 . 17. Etrusche La iscrizione del lituto di Collalbo (Bolzano)71 rappresenta invece un testo francamente etrusco, di un etrusco respinto a nord dalla invasione gallica, secondo la notizia di Livio e di Plinio72 . Si introduce cos il problema principale della preindeuropeit linguistica in Italia, quello della lingua etrusca. Di tutte le testimonianze preindeuropee, nessuna raggiunge neanche da lontano nella Europa intera la ricchezza e il significato di quella etrusca. Si tratta di quasi diecimila iscrizioni, la maggior parte brevissime, poche bilingui, oltre qualche decina di glosse isolate, raccolte nel Corpus inscriptionum etruscarum (CIE), iniziato nel 1890 e non ancora compiuto73 . Sono scritte in alfabeti non omogenei, di cui possediamo come prototipi: la tavoletta davorio della Marsiliana dAlbegna, un vaso di Formello e uno di Cerveteri. Essi risalgono a modelli greci occidentali e sono perfettamente leggibili, con alcuni segni divenuti superflui, come il B e il D, la vocale o e la sibilante samech. Nelle iscrizioni pi tarde (IV-I sec. a.C.) si abbandonano anche il K il Q nonch X in quanto segnale di sibilante. I segni validi definiscono un sistema fonetico caratterizzato dalle quattro vocali A E I U, dalla semivocale V, dalla aspiPisani, op. cit., pp. 318 sgg., 323. Battisti, Studi etruschi, 8, 1934, pp. 193 sgg. 72 Livio, V 33; Plinio, Nat. Hist., III, 133. 73 CIE, vol. II, sez. I, fasc. IV = 5607-6324, 1970.
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razione H, dalle sei consonanti occlusive semplici (C T P) o aspirate (chi theta phi); dalla labiodentale F, dalle tre sibilanti S S Z, dalle due liquide L, R e dalle nasali M N. Queste letture sono ormai acquisite (salvo rettifiche minime) da un secolo74 . Le prime iscrizioni sono del VII secolo. Ma che possibilit alfabetiche preesistessero da molto tempo in alcuni focolai dellEtruria, risalendo a et micenea, sar mostrato al 36. Queste tracce antichissime, caratterizzate da una puntuazione sillabica, sono state riesumate e utilizzate secondo M. Lejeune75 , ottenendo fortuna nel periodo centrale della storia etrusca (secoli VI e V a.C.) e da qui irradiate verso il Veneto, dove sono state regolarmente accolte ( 25), mentre nelle aree osca e umbra linfluenza alfabetica etrusca si affermata nei secoli successivi (V e IV), quando la moda si era esaurita. I monumenti principali sono rappresentati dal testo della mummia di Zagabria, un libro su tela di lino che contiene, tenuto conto delle ripetizioni, 530 parole. Segue il tegolo di Capua di 62 righe conservate e di circa 300 parole leggibili. Il cippo di Perugia (CIE 4538) contiene 46 righe e 130 parole. La lamina di Magliano (CIE 5237) contiene una settantina di parole. La iscrizione di Pulena (da Tarquinia, CIE 5430) ne contiene una sessantina; cos le due lamine trovate a Pyrgi insieme con la iscrizione punica citata sopra ( 14). 18. Peri-indeuropeit etrusca Linteresse che gli Etruschi e la loro lingua hanno suscitato, ha le sue radici nellantichit: da Dionisio di Ali74 Vedi soprattutto Pallottino, Etruscologia, 6 ed., Milano 1968, pp. 385 sgg. 75

Revue des tudes grecques, 80, 1967, p. 41.

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carnasso, che ha definito la lingua etrusca diversa da tutte le altre76 , allimperatore Claudio che ne ha raccolto testimonianze letterarie in unopera andata perduta. Rinnovatori di questo interesse nellet moderna sono stati (XVII sec.) Tomaso Dempster, inglese, la cui opera De Etruria regali fu per pubblicata solo nel secolo successivo (1723). Degli antiquar italiani raccolse le fila Luigi Lanzi (1732-1810)77 , dei tedeschi Carlo Ottofredo Muller nel 182878 . Lassillo primo stato quello di assegnare alletrusco una definizione genealogica, italica o no. Alla prima scuola appartennero il Corssen, il Lattes, il Nogara, alla seconda il Deecke, lo Skutsch e tutti i moderni. Resipiscenze indeuropee si manifestarono in modo risoluto presso il Goldmann79 , in modo pi ondeggiante presso il Vetter80 . Una terza via stata indicata una trentina di anni fa da P. Kretschmer con la teoria della protindogermanische Schicht81 o strato protoindeuropeo che io stesso ho trasferito dal piano storico a quello geografico con la nozione di peri-indeuropeo. Le parole Tinia Giove tiv luna sarebbero svolgimenti precoci del tema indeuropeo di(n) (che significa luce) energicamente immerso e snaturato nel mondo etrusco82 dopo un avvicinamento lento e graduale da parte di trib protolatine ( 23) e umbre ( 30).
Antichit romane, I, p. 30. Saggio di lingua etrusca e altre antiche dItalia, Roma 1789. 78 C. O. Muller, Die Etrusker, Breslavia 1828, 2a ed. a cura di W. Deecke, 1877. 79 Beitrge zur Lehre vom indogermanischen Charakter des Etruskischen, I, Heidelberg 1929. Neue Beitrge ecc., Vienna 1931. 80 Etruskische Wortdeutungen, Vienna 1937. 81 Glotta, 14, 1925, pp. 300 sgg. 82 Scritti minori, I, Firenze 1958, pp. 63-69.
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19. Strutture linguistiche etrusche Elementi indeuropei allinterno della lingua etrusca sono innegabili, ma non provano parentela: tali lautni liberto risalente alla tradizione protolatina (v. 22); etera estraneo dalla tradizione osco-umbra ( 20); aisar di dalla tradizione norditalica; -umno- per es. in Vertumno83 di nuovo da una tradizione protolatina. Senza potere ricostruire un itinerario di arrivo, sono da ricordare turce diede e cio dalla radice indeuropea , ampliata in R come nel greco dron e con il sufDO fisso di perfetto in -ce; cos -c da indeur. KwE, ta da lat. (is)to- d, mi da lat. me; -th come segnale di locativo da una tradizione indeuropea -dhi, perduta in latino; finalmente la elaborazione di una declinazione, in cui i singoli casi non si trovano del tutto assestati nei segnali, che li debbono definire84 . Le tappe attraverso le quali si sono isolati i valori fondamentali di alcune parole etrusche o per lo meno se ne delimitato il campo semantico, sono state tre. Nella prima fase si seguito un metodo etimologico, confrontando volta a volta per prime le lingue italiche ma poi anche larmeno (Bugge) il basco e il caucasico (Thomsen) lugrofinnico (Martha) o addirittura il dravidico (Konow), pi recentemente il greco (Coli)85 e littita (Georgiev)86 . La seconda fase rappresentata dal metodo opposto, quello detto combinatorio, perch prescinde da rapporti esterni con altre lingue e determina il valore delle parole attraverso confronti interni, con i contesti, in cui peOp. cit., II, Firenze 1967, pp. 185 sgg. Op. cit., II, pp. 79-87. 85 Saggio di lingua etrusca, Firenze 1947; Nuovo saggio di lingua etrusca, Firenze 1966. 86 Georgiev, Hethitisch und Etruskisch, Sofia 1962.
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riodicamente ritornano: il metodo nel quale si sono cimentati soprattutto Emil Vetter e Massimo Pallottino. La terza fase rappresentata dallabbinamento dei due metodi allinterno di uno spazio pi ampio di quello accettato dal metodo combinatorio, ma molto pi ristretto di quello delletimologico. Si tratta del metodo bilinguistico che attua di nuovo confronti allesterno della lingua indagata, inseguendo non tanto identit etimologiche, quanto corrispondenze strutturali in testi di due sole lingue. E quello che applicano studiosi pi giovani, quali K. Olzscha test defunto e soprattutto A. Pfiffig87 , anche se di questo confronto di strutture il precursore benemerito stato E. Goldmann88 . Dallo studio delle strutture come da quello dei confronti bilinguistici sono stato influenzato io stesso nella interpretazione delle Tavole di Gubbio89 . 20. Interpretazioni etrusche Al di fuori di quei caratteri fonetici che risaltano dal divenire degli alfabeti, lattenzione dello studioso deve essere richiamata su tre punti fondamentali delle strutture linguistiche etrusche. Nellambito fonetico si fa largo col tempo linfluenza dellaccento di intensit, che annulla le vocali interne, come mostra lo svolgimento da Cluthumustha forma etrusca per il greco Klytaimstra passata a Clutmsta90 . Sul piano morfologico, insieme allassesta87 Pallottino, Etruscologia, cit., p. 385; Olzscha, Interpretation der Agramer Mumienbinden, Lipsia 1939; Pfiffig, Studien zu den Agramer Mumienbinden, Vienna 1963. 88 Beitrge, cit., I, p. es. le tabelle alle pp. 12, 13, 24 sgg. 89 Tabulae Iguvinae, Roma 1937, 3 ed. 1962; Scritti minori, cit., II, pp. 254 sgg., 289 sgg. 90 Scritti minori, cit., II, pp. 99 sgg.

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mento progressivo di una declinazione, si ha la diffusione del processo di rideterminazione morfologica91 ; dalla assenza originaria di una mozione (cio di una segnalazione alternativa di genere maschile e femminile) si passa a qualche traccia di genere grammaticale. Per quel che riguarda il lessico, ecco un elenco di parole che si possono considerare interpretate sicuramente. Nella religione: ais dio, aisar di, fler offerta, sacni luogo sacro azione sacra, mul dedicare, tur donare, trutnvt augure, netsvis aruspice, cletram carrello per offerte. Nel mondo funerario: thaura tomba, cela cella, mutna sarcofago, lupu morire, hinthia anima ombra, phersu maschera. Nella famiglia: clan figlio, sec figlia, puia moglie, nefts nipote92 . Fra i verbi: am essere, sval vivere, zich scrivere. Nella societ: lautn famiglia, lautni liberto, etera estraneo inferiore, lauchume lat. lucumo lucumone, lucairce fu lucumone, zilc pretore, maru marone (magistrato), cepen sacerdote, macstrevc maestro, spur citt, tuthi stato, par (parchis) uguale e cio cittadino di pieno diritto (cfr. etera); mechl nazione, rasna Etruria, tular confini, rumach romano, frontac ferentano93 , naper (misura di lunghezza). Nella vita domestica: vinum vino, verse fuoco, cape recipiente, pruchum brocca, sren figura. Nel calendario: tin giorno, thesan mattino, tivr mesi, avil anno, ril in et di, acale giugno, celi settembre lat., velcitanus marzo lat., traneus luglio, ermius agosto. Nomi di animali: andas aquila, arakos sparPallottino, Etruscologia, cit., 6 ed., pp. 354 sgg. Non esiste prumths pronipote pedissequamente ripetuto dai vari autori; vedi Studi etruschi, 38, 1970, pp. 142 sgg. 93 Ferri, Rendiconti Accademia Lincei, 13, 1958, p. 323.
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viero, arimos scimmia, capu falco, damnos cavallo, thevru toro94 . Ecco un paio di esempi di iscrizioni interpretate: CIE 5424 Partunus Vel Partunu vel Velthurus Stalnal-c Ramthas clan di Velthur e di Satlnei Ramtha figlio avila lupu XXIIX di anni morto 28. CIE 5811 Arnth Churcles Larthal clan Arnth Churclo di Larth figlio Pevthial e di Pevthi, zilc parchis amce pretore dei pari fu marunuch spur a na cepen tenu dei maroni civili da sacerdote funse avils machs semphalchls lupu di anni settantacinque morto. In connessione con la apertura delle frontiere dellEtruria ai prodotti artistici greci il vocabolario etrusco si apre a molti termini greci, in prima linea ai nomi propri dei miti che larte greca faceva conoscere in Etruria, e poi agli appellativi che avevano connessioni con i materiali oggetto di quei traffici (tali Achmemrun dal gr. Agammn on o Telmun dal gr. Telam on, phersu dal gr. Prs opon)95 , e soprattutto alla conquista fondamentale degli alfabeti ( 17). Il prestigio della civilt etrusca, soprattutto nel VI secolo a.C. ha coordinato la vita culturale nellItalia centrale; ha diffuso parole come populus, par, spurius, o formule come quella onomastica del prenome (sostantivo) seguito dal gentilizio (aggettivo)96 (cfr. 27).
Pallottino, Etruscologia, cit., 6 ed. p. 403, 414 sgg. Scritti minori, cit., 11, pp. 97-119. 96 Devoto, Storia della lingua di Roma, 2 ed., Bologna 1944, pp. 67 sgg.
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Capitolo quinto Tradizioni indeuropee I: protolatini, veneti

21. Focolai pugliesi: gli Enotri, gli Opici I contatti fra i nuclei indeuropei e gli indigeni non sono soltanto cominciati in spazi ristretti, ma si sono stabiliti in modo graduale. La prima fase sar consistita in forme rudimentali, quasi di una lingua franca mutevole e povera, da cui i nuovi venuti cominciavano a imparare una terminologia adatta ai luoghi. Una seconda fase rappresentata dalla attrazione per la quale i frequentatori di quelli che sono stati detti sopra dei mercati, non si limitavano a scambiarsi strumenti di comunicazione linguistica, ma imparavano strutture funzioni e mezzi espressivi adeguati. Larea indeuropeizzata in questa seconda fase non si sviluppa ancora in estensione, ma si approfondisce, si consolida; acquista, sul piano sociologico, prestigio. Solo in una terza fase si ha una estensione, anche se non necessario associare a questa la nozione di una espansione demografica immediata. Nuclei piccoli pi o meno organizzati hanno stabilito una maglia di rapporti in aree sempre pi interne e hanno lasciato, di queste loro antichissime affermazioni, dei nomi, legati non pi a trib isolate, ma a popoli. Parole isolate, avanguardie di questi movimenti, precedono le affermazioni degli uomini e entrano come staffette in ambienti linguistici preesistenti senza snaturarli, nel quadro di quello che stato definito sopra come il peri-indeuropeismo97 .
97 Devoto, Scritti minori, I, Firenze 1958, pp. 63-69; II, ib. 1967, pp. 80 sgg.

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Nella fase preliminare, in cui ancora non si sono fissati nomi etnici indigeni, il termine tecnico che meglio definisce, sia pure in modo artificiale, la situazione, quello di protolatino. La espansione di questa tradizione dalla Puglia si sviluppata verso occidente e ha interessato la intera Italia meridionale, subendo poi pressioni o addirittura sovrapposizioni di correnti successive. In Puglia questa successione si realizzata attraverso lo strato illirico, di cui testimonianza linguistica il messapico ( 33). Nella regione immediatamente adiacente si assestarono gli Enotri (senza che loro testimonianze linguistiche arrivassero sino a noi)98 , sostituiti nel V secolo a.C. dai Lucani. Pi oltre, in direzione di mezzogiorno, ulteriori diramazioni sfociarono addirittura in Sicilia. 22. Siculo In Sicilia nel primo millennio a.C. lambiente mediterraneo (v. 9); non era del tutto puro. Recenti scoperte fanno s che non si possa pi identificare completamente la nozione locale di siculo con quella di strato protolatino quale stato definito qui sopra. Nella Sicilia occidentale fra Segesta e Montelepre sono state scoperte un paio di centinaia di iscrizioni graffite99 , delle quali una contiene la serie ataitukai emi, e cio lascia apparire un segnale morfologico come emi di natura indeuropea. La complessit della situazione va valutata considerando che la Sicilia nordoccidentale dal punto di vista toponomastico ha legami addirittura con la Liguria (Segesta-[Sestri], Eryks-Lerici, Entella, 9) mentre la tradizione tucidi98 Devoto Studi etruschi, 35, 1967, p. 180; Gli antichi Italici, 3 ed., Firenze 1967, pp. 33, 118; cfr. Palmer, The latin Language, Londra 1954, pp. 43 sgg. 99 Tusa, Kokalos, 6, 1960, pp. 34 sgg.; 12, 1966, pp. 207 sgg.; 13, 1967, pp. 233 sgg.

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dea associa gli Elimi a una prima pressione dalloriente egeo. La valutazione di questi resti non deve compromettere con la terminologia le conclusioni finali. M. Durante consider queste iscrizioni come testimonianze di unavanguardia enotrio-bruzia100 ; G. Alessio la defin pi genericamente come italica101 ; R. Ambrosini vi vide invece una tradizione indeuropea autonoma collegata in qualche modo con lAnatolia102 . M. Lejeune103 vi ha visto recentemente ancora una volta una tradizione italica, che egli vorrebbe considerare autonoma, cos rispetto alle tradizioni venetica-falisca e latina come rispetto a quella osco-umbra. La posizione pi ragionevole sembra quella intermedia fra il Durante e il Lejeune nel senso che si tratti di una italicit generica propendente per piuttosto verso il complesso protolatino che verso quello osco-umbro, ma che nella prima met del millennio ancora lontanissima dalla Sicilia. Quanto ai contatti con loriente, occorre ricordare che gli anni a cavallo fra il secondo e il primo millennio sono gli anni della espansione micenea e cio dei fatti linguistici e non linguistici, che hanno giustificato nellantichit il sorgere della teoria dei Pelasgi (v. 36)104 . La nozione di siculo in senso stretto si fonda principalmente su tre iscrizioni, delle quali la pi importante quella del guttus o brocca di
Durante, Kokalos, 7, 1961, p. 88. Alessio, Kokalos, 7, 1961, p. 33 (estratto); Parlangeli, Kokalos 7, 1961, p. 20. 102 Ambrosini, Studi e saggi linguistici, 8, 1968, pp. 160172; Schmoll, Die vorgriechischen Sprachen Siziliens, Wiesbaden 1958. 103 Lejeune, La Langue lyme daprs les graffites de Sgeste, Comptes rendus de lAcadmie des inscriptions et belles Lettres, 1969, pp. 237-242. 104 V. Appendice A a p. 375 a cura di L. Agostiniani.
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Centorbi105 . La interpretazione non chiarissima. Ma la forma nunus, identica al latino Nonus, esclude qualsiasi collegamento col filone osco-umbro che avrebbe dato NOVIO106 . Le glosse permettono di delineare altri caratteri importanti per la tradizione protolatina in Sicilia. Una forma come (in trascrizione greca) AITNA Etna in connessione evidente con la radice indeuropea AIDH ardere, e cio prova il passaggio di DH a T. Si ha cos insieme la prova di una differenza fra protolatino e latino dove si ha aedes con D, e la possibilit di spiegare in latino un aggettivo come rutilus o un nome locale come Liternum quali resti di una tradizione protolatina risalente rispettivamente alle forme radicali RUDH, LUDH rimasta indisturbata. Analogo il caso di sic. litra rispetto al latino libra. Altre glosse interessanti attribui te alla lingua sicula sono unkia uncia, moton mutuum, kbiton cubitus. Il fonema F (mediterraneo TH; 6), fino a questo punto non appare107 . A settentrione e occidente del territorio enotrio si ha quello opico. Mentre da un punto di vista linguistico larea enotria muta, quella opica, grazie allacume di F. Ribezzo, ha lasciato qualche traccia, sopravvissuta allavvento del superstrato sannitico sulla lingua osca ( 29). Sospetto di opicit potrebbe essere la forma hipid per habuit con la sorda interna al posto di una antica sonora aspirata.
105 Pisani, Le lingue dellItalia antica oltre il latino, 2 ed., Torino 1964, N. 126, p. 294. 106 Thurneysen, Kuhns Zeitschrift fr vergleichende Sprachforschung, 35, 1897 pp. 212 sgg. 107 Devoto, Storia della lingua di Roma 2 ed., Bologna 1944, p. 56; vedi ora: Campanile, Note sulle glosse sicule ecc., in Studia classica et orientalia. A. Pagliaro oblata, Roma 1968, pp. 293-322. V. Appendice A a cura di Luciano Agostiniani.

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23. Falisco A settentrione del territorio opico si ha quello ausone, e infine, allestrema ala settentrionale, quello latino. Questo tuttaltro che uniforme. A nord di Roma, attraverso larea falisca, si ha un territorio (proto)latino superstite che stato soggetto a influenze sia etrusche sia sabine. Le nostre conoscenze sul falisco si fondano oggi sullopera di G. Giacomelli108 . Le iscrizioni importanti edite dalla Giacomelli sono circa 150. Nella raccolta completa del CIE esse comprendono i numeri 8000-8600; delle quali alcune in lingua etrusca. Lalfabeto quello latino arcaico, sia pure con una diversa forma della F. La grafia, in parte influenzata dalletrusca, mostra Z per S, e T per D; talvolta U per O e K per G, p. es. eko io. Arcaismi non necessariamente protolatini sono in falisco: neven lat. novem, peparai lat. peperi, eti lat. ET, ). Sul piano lessicale impor-osio des. di gen. sg. (lat. I tante lecet giace gr. lkhetai. Innovazione comune al latino quella del dittongo -OU in -OI, p. es. loi(firta) lat. libertas. Per quello che riguarda le consonanti, il falisco come il latino entrano nellarea che ha elaborato il suono F ( 27), che nel falisco ha anzi uno sviluppo ancora maggiore che in latino: per esempio al posto della H iniziale ha foied per hodie ( 41), e mostra contemporaneamente il passaggio del gruppo die in ie. In posizione interna la F prova una influenza sabina contro la sonora semplice, che corrisponde invece in latino alle sonore aspirate indeuropee: tale il caso del falisco loifirta di fronte al latino libertas; tale quello delle forme carefo pipafo futuri in B (lat. carebo) sottoposti analogicamente a F sabini, anche se il futuro orco-umbro era non in BH ma
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Lingua falisca, Firenze 1962.

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in S ( 27); cos infine il falisco efiles di fronte al latino aediles. 24. Dialetti latini Al di fuori del falisco non abbiamo testimonianze organiche di dialetti latini, ma solo indizi di una variet dialettale, che doveva essere grande. A Lanuvio la consonante labiovelare sonora aspirata dava vita in gruppo non gi a un G come a Roma ma a un B, come prova neBrudines testicoli. La esiguit del territorio, che rimane disponibile per il latino fa s che, anche allinterno del latino di Roma, prendano cittadinanza parole dalla impronta fonetica non cittadina ma rustica: tali i casi di bos bove che avrebbe dovuto essere latinamente VOS, lupus invece di LUKOS, forfex invece di FORBEX. Che questultima forma regolarmente cittadina sia in realt esistita, provato solo dalla forma italiana attuale, forbice. La situazione del latino destinata ancora a peggiorare quando la esiguit linguistica viene alimentata non pi dalle variet dialettali latine, ma da lingue diverse che, come quella volsca, sopraggiungono in et posteriore ( 46)109 . 25. Venetico Un primo filone indeuropeo che ha avuto qualche parte nella formazione del latino, va condotto alla tradizione norditalica del venetico. Le nostre conoscenze sul venetico sono ora raccolte nella grande opera di G. B. Pellegrini e Aldo Prosdocimi110 . Le iscrizioni venetiche ogScritti minori, cit., II, pp. 362 sgg. G. B. Pellegrini e A. Prosdocimi, La lingua venetica, 2 voll., Padova-Firenze 1967. Le iscrizioni venetiche sono citate
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gi sono 270 di cui 119 da Este, 15 da Adria, 19 da Padova, 73 dal Cadore, 23 dalla valle del Gail nel territorio austriaco al di l delle Alpi Carniche. La loro et va dal sec. VI a.C. alle soglie dellet romana nel II. Il loro alfabeto, di origine etrusca, stato accolto nel periodo 550-450 a.C., con tutti i problemi che derivano dal suo adattamento a un sistema fonetico assai diverso. La principale difficolt data dal ripiego adottato per indicare le consonanti sonore (non segnalate nellalfabeto etrusco) e per le quali si impiegano i segni destinati invece in etrusco a indicare le consonanti aspirate: Khi per G, Phi per B, Zeta per D. I segni per le sibilanti sono sovrabbondanti: S e si confondono fra di loro, ma si distinguono dal semplice S. I primi, nella grafia latina, sarebbero trascritti con SS, per es. nel caso di sselboisselboi (Belluno 1). Il segno che una volta si leggeva H si legge oggi I: un nome di dea Reitia non Rehtia. Nelle serie labiovelari, o equiparabili alle labiovelari, la appendice si rafforza notevolmente, come mostrano le grafie kvidor (Cadore 64) o ekvon (Este 71). Di importanza fondamentale la punteggiatura sillabica111 , presa organicamente dalletrusco ( 17) e risalente, a quanto pare, a et micenea ( 36). Sul piano fonetico limportanza del venetico sta nel passaggio delle sonore aspirate a sonore semplici nellinterno di parola: il che significa affinit col latino e opposizione alla soluzione umbro-sannitica ( 27): ven. louderobos rispecchia una base di partenza LOUDHEROBHOS (dat. abl. pl.) liberis. Sul piano morfologico sono caratteristici i pronomi ego mego di fronte al lat.

secondo la numerazione di questa edizione; cfr. Beeler, The venetic Language, Berkeley (California) 1949; Palmer, op. cit., pp. 41 sgg. 111 Vom Ursprung der Runen, Francoforte sul Meno 1939.

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ego me (in got. ik mik); gli aoristi sigmatici donasto donavit, fagsto fecit; le forme di cosiddetti ingiuntivi come kvidor pag o toler pose. Nella declinazione ha rilievo la desinenza -bos, applicata anche alla declinazione in -O: p. es. il cit. louderobos liberis. Nel vocabolario le parole attestate si avvicinano al centinaio e mezzo. Sono da ricordare larcaico deivos dei dare, ek(acc. pl.); doto aoristo atem. della rad. DO von lat. equom, dono lat. donum; aisu-, tema indeur. centrale con valore religioso, penetrato anche in etrusco; il tema ben noto TEUTA popolo; il tema foug, risalente alla radice indeur. BHEUG; i due nomi di divinit femminili LOUDHERA lat. Libera, e Reitia semanticamente equivalente al gr. Hortha. Un tema importante ma meno chiaro rappresentato da iorobos se si pu connetterlo al ted. Jahr anno. Infine appaiono preposizioni come op(i) lat. ob, e per, identica alla corrispondente latina. Una appendice del mondo venetico rappresentata dalle iscrizioni camune, nelle quali si assiste al processo di indeuropeizzazione di una popolazione originariamente euganea. Esse sono comprese in un periodo che va dal 350 a.C. al 70 a.C. Il loro primo illustratore, F. Altheim, ha voluto sottolinearne la latinit; G. Radke112 ha voluto piuttosto connetterle col mondo umbro. In realt le dubbie forme italicheggianti sono, insufficienti per essere assegnate a un determinato gruppo genealogico. Restano comunque tratti (ad es. tiez, forse da leggere dies, associato a scena di culto solare) di una indeuropeit che, almeno per ora e senza ricorrere alla fantasia, non offre per alcuna qualificazione in senso di posizione genealogica113 .
112 Pauly-Wissowa, Realenz, cit., supplemento IX, col. 1764 (Radke). 113 A. L. Prosdocimi, Per una edizione delle Iscrizioni della Val Canonica, St. Estr. XXXIII, 1965, pp. 575-599. Per i

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Indipendentemente da questi fatti larea venetica in senso lato mantiene la sua importanza, in quanto connessa a un sistema di grandi comunicazioni. Se, in una fase pi antica, dal Veneto sono discese fino al Lazio correnti linguistiche e culturali, e Venetulani addirittura il nome di una trib laziale, in una fase pi recente, la regione stata passaggio obbligato in senso inverso per quelle correnti, che hanno portato nel nord la tradizione alfabetica delle rune114 .
testi qui citati v. pp. 583-6 (ivi pure i facsimili-calco). Edizione di altri testi camuni in A. L Prosdocimi, Note di epigrafia retica, in Studien zur Namenkunde und Sprachgeographie [= Festschrift Finsterwalder], Innsbruck 1971, pp. 15-46, spec. 19-29 II. Valcamonica 7-17. 114 Altheim, op. cit., pp. 47 sgg.

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Capitolo sesto Tradizioni indeuropee II: umbro-sanniti

26. Umbro arcaico La comunit umbra viene per importanza storica subito dopo quella etrusca. Non essenziale insistere a questo fine, sulla originaria base mediterranea del nome, assunto successivamente come termine tecnico della linguistica115 . In questo senso, intendiamo come umbra una tradizione linguistica che si inizia su suolo italiano, sulle coste del medio Adriatico nelle province di Ascoli Piceno e Teramo, e si assesta nella regione interna, compresa fra Gubbio e Rieti. Di l, attraverso successive espansioni, legate nella tradizione storiografica alla pratica delle primavere sacre, ha dato vita a successive cristallizzazioni linguistiche e culturali, che hanno raggiunto lo stretto di Messina. Il nome tradizionale di questo complesso quello di osco-umbro, al quale solo per ragioni formali mi sembra da affiancare quello di umbro-sannitico. La prima testimonianza di questa tradizione appare nella epigrafia, attraverso le iscrizioni dette protosabelliche o, meglio anticoumbre, soltanto tardi riconosciute nei loro legami con le testimonianze classiche delle Tavole di Gubbio116 . Il loro alfabeto, che gi compare nella iscrizione del guerriero di Capestrano ( 16) mostra diversi legami con i modelli greci corciresi, anche se sussistono poi dispareri nella lettura di alcuni segni: taScritti minori, cit., II, pp. 217 sgg. Blumenthal, Indogermanische Forschungen, 47, 1929, pp. 48-72.
115 116

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le quello che il Pisani legge F mentre il Radke legge H117 . Nonostante queste incertezze, garantiscono la parentela parole protosabelliche come petro- puqlo- patere matere postin estas, che significano sicuramente, nellordine, quattro figlio padre madre dopo oppure secondo, infine un pronome dimostrativo. Tre sole differenze appaiono nei confronti dellumbro classico: le consonanti aspirate sonore non si sono ancora confuse in F; i dittonghi non si sono ancora fusi come mostra protosabell. svaipis di fronte allumbro svepir; infine si hanno finali di temi nominali in -es invece che in -os118 . Le testimonianze fondamentali della lingua umbra si trovano lontano dalle coste adriatiche, sul versante tirrenico dellAppennino, a Gubbio. Di una fase precedente, a oriente del crinale appenninico, rimane in queste tavole una traccia nel nome della confraternita dei sacerdoti di Gubbio, che si chiamano fratelli di Atiedio, una localit che tuttora sussiste presso Fabriano, col nome italiano di Attiggio. Il nome originario di questa tradizione etnica doveva invece essere tratto dalla radice SABH, ma i derivati di questa sono andati perduti cos presso i Protosabelli, citati sopra, come presso gli Umbri di Gubbio. Li ritroveremo invece ancora in et storica presso le popolazioni che si sono assestate pi a mezzogiorno, nellAbruzzo e nel Sannio, come Sabini, Sabelli, Sanniti.
117 Radke in Pauly-Wissowa, op. cit., supplemento IX, col. 1779 sgg.; Pisani, op. cit., p. 226. 118 Radke, op. cit., 1780.

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27. Umbro iguvino Le Tavole di Gubbio119 sono sette, di bronzo, scritte in parte in un alfabeto di origine etrusca, parzialmente adattato alle esigenze della lingua umbra, e in parte (minore) in un alfabeto latino, pure parzialmente adattato alle esigenze della lingua umbra. Sono state trovate nel 1444 e sono conservate nella stessa Gubbio, nel palazzo dei Consoli. Risalgono a un periodo compreso fra il III sec. a.C. e il I. Lalfabeto etrusco usa una certa violenza alla lingua umbra, in quanto non distingue fra le vocali O e U, n fra le consonanti sorde e sonore. La differenza tra le due grafie risulta da questo confronto fra due passi paralleli: Tav. VII b 6 rubine porca trif rofa(con distinzione in alfabeto latino fra B/P e O/U) identica per contenuto a Tav. I b 28 RUPINIE E TRE PURKA RUFRA, senza queste distinzioni. Il significato, identico, tre porcelle rosse. Sono aggiunti nellalfabeto etrusco due e . Il primo indisegni nuovi che trascriviamo con R ca la pronuncia rotata della D intervocalica, il secondo la pronuncia palatalizzata della consonante gutturale sorda davanti a E e I: tale STRULA (una torta), da STRUK(E)LA= lat. struicula. Anche lalfabeto latino ha ricorso a due modifiche o ripieghi. Il digramma RS serve a indicare la stessa pronuncia della D postvocalica che sopra stata detta rotata, per esempio in seRse lat. sedens. La S accompagnata da un apice (s) indica la palatalizzazione delle consonanti gutturali davanti a E e I: Tavola VI b 3 Fiso Sansie al dio Fiso Sa(n)cio. La lingua che le Tavole attestano una lingua indeuropea, abbastanza vicina al latino e ad altre lingue dellItalia antica. Talvolta essa va per pi daccordo col greco o con altre lingue indeuropee che col latino: purom-en
119

Devoto, Tabulae Iguvinae, 3 ed., Roma 1962.

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efurfatu significa si tolga dalla tavoletta (sacrificale) e si getti nel fuoco. Questo perch purom laccusativo del tema PUR (gr. p yr) e efurfatu limperativo di un verbo denominativo tratto da un tema FURFO- tavola, sopravvivente nelle lingue germaniche nella forma bordo- (ingl. bord) e risalente a un tema indeuropeo BHORDHO. Parole somiglianti al greco per parentela genealogica possono trovarsi accanto a parole mutuate dalletrusco. P. es. Va II sg. esunes-ku vepurus... prehubia con le parole sacrificali... prepari: vepurus il caso dat. abl. pl. dello stesso tema del greco wepos parola, mentre esunes-ku mostra la associazione della posposizione com al dat. abl. pl. di un tema proveniente dalletr. aisuna. Sul piano fonetico, le consonanti labiovelari sono labializzate: Kw d P, Gw d B. Sono comuni non solo allumbro ma anche alle altre lingue del gruppo, il trattamento delle consonanti aspirate, qualunque sia la loro posizione nella parola: da DH come da BH si ha sempre F, mentre in latino F compare solo in posizione iniziale. Caratteri solo umbri sono: la palatalizzazione di K e di lunga a I, evidenG davanti a E e I; il passaggio della U temente attraverso una fase intermedia ; infine il rotacismo della S, anche in posizione finale. Non si ha solo un gen. pl. in -arum da ASOM ma anche un dativo-ablativo plurale come plener lat. plenis. Nel campo della morfologia, le forme caratteristiche, ancora oggi riconoscibili, sono: fra i numerali, la diversa formazione degli ordinali, estratti in umbro dalla radice e quindi NOVIO da *nov(em), mentre in latino dal tema, nonus da NOWEN-; fra i personali, il caso accusativo con la desinenza -om, come nellumbro tiom di fronte a lat. te o osco siom lat. se; fra i dimostrativi, una forma di ablativo esu (lat. hoc) da pi antico EKSO; eru (lat. eo) da pi antico EISO; fra i verbi, la formazione dei futuri in -S- come in pehast (lat. pia-

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bit), di futuri anteriori in -F- come (an)dersafust (lat. -dederit), di infiniti in -o(m) p. es. FAIU (lat. facere). Per quanto riguarda le desinenze, sono caratteristiche le medie in -r, p. es. ferar con valore impersonale. Allinterno di questi fatti, comuni a tutta la tradizione osco-umbra, se ne hanno altri, solo umbri: tali i temi di perfetti in -L-, p. es. in ENTELUS da EN-TEND-LO (lat. imposueris), oppure in - ns - p. es. (combifia) nsiust (lat. nuntia)verit). Nelle desinenze notevole che lumbro abbia quelle in -tur daccordo col latino, di fronte a quelle in -ter dellosco120 . Anche gli Umbri hanno preso dagli Etruschi la formula onomastica composta di prenome e gentilizio ( 20). Ma essi premettono il patronimico al gentilizio come gli Etruschi della valle padana, contro quelli della Toscana e contro i Latini: lo schema umbro Lucio figlio di Tito Tetteio mentre in latino Lucio Tetteio figlio di Tito (cfr. 41). 28. Protosabino, Sabino, Postsabino, Sabellico Dagli Umbri si sono distaccate svariate trib che si raggruppano nel modo seguente, partendo dallaltopiano di Rieti: verso occidente i Protosabini e Sabini, che arrivano fino alle soglie di Roma; pi a oriente i diversi rami sabellici, pi avanti ancora, quasi avanguardie, i Sanniti. Della lingua sabina non esiste praticamente nessun testo, ma soltanto parole isolate121 . La pressione sabina su Roma si lascia addirittura classificare in una pi antica o protosabina, corrispondente alla prima fase, quella della fondazione e sistemazione della citt; e quella pi recen120 Bottiglioni, Manuale dei dialetti italici, Bologna 1954, pp. 121 sgg. 121 M. G. Bruno, I Sabini e la loro lingua, Bologna 1969.

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te, o sabina in senso stretto, che culmina nel primo secolo della repubblica romana (V secolo a.C.)122 ( 46). Sono questi protosabini che, come ha reso probabile E. Peruzzi ( 41) hanno trasmesso a Roma la formula onomastica etrusca primitiva col patronimico DOPO il gentilizio. La pi antica testimonianza di una pressione protosabina o comunque osco-umbra nel Lazio data dalla Fibula prenestina (VII sec. a.C.) attraverso i due caratteri inequivocabili della desinenza in -OI del dativo singolare (Numasioi) e del perfetto raddoppiato (attestato nella lingua osca) fhefhaked. Esso si oppone a quello non raddoppiato, risalente a un aoristo indeuropeo, che compare invece nel lat. arc. feced. Le testimonianze sabelliche (sec. III e sg.) non sono omogenee. Nella edizione Bottiglioni123 esse sono rappresentate da due vestine (NN. 119-120), una marrucina (121), dieci peligne (122-131), quattro marse (132-135). Sono in maggioranza limitate a poche parole, salvo il bronzo marrucino di Rapino (di 12 righe) e la iscrizione peligna detta di Herentas, di sette. Il trapasso dalla fase originaria con i dittonghi ancora conservati a quella con i dittonghi fusi appare attraverso il confronto tra il marrucino totai (in umbro tote) o il peligno coisatens (lat. cura-) di fronte a una forma marsa come (iou)es invece di -ois. Una testimonianza a s quella della lingua volsca, che appare nella cosiddetta Tavola di Velletri del III sec. a.C., composta di sole quattro righe, che consentono per di classificarla, nonostante la sua posizione meridionale, nel quadro umbro, anzich in quello sabellico: difatti la formula onomastica porta il patronimico prima del gentilizio come in umbro e non come in
122 123

Devoto, Storia della lingua, cit., pp. 77-88. Manuale dei dialetti italici, Bologna 1954.

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latino ( 41). Le consonanti gutturali si alterano di fronte a vocale palatale; i dittonghi sono assorbiti. 29. Osco A differenza delle altre lingue italiche, la lingua osca eccelle per la ampiezza del suo territorio e per la unit, assicurata praticamente alla intera Italia meridionale a partire dal IV secolo a.C. Le iscrizioni osche sono pi di duecento. Le pi importanti sono: la tavola di Agnone in territorio molisano del IV secolo, di 48 righe, che contiene un importante elenco di divinit124 ; il cippo di Abella in Campania, di 58 righe, che tratta della delimitazione di un tempio di Ercole sulla linea di confine dei territor di Nola e di Abella; la Tavola bantina, testo giuridico proveniente da Bantia in Lucania (a nord di Potenza), di 39 righe, pi un frammento scoperto nel 1966; la Maledizione di Pacio Clovatio, di 13 righe, proveniente da Capua. Dal territorio campano proviene il grosso delle iscrizioni minori. Seguono infine le iscrizioni del Bruzio e di Messina125 , nonch quella di Adrano, in Sicilia. La lingua osca in generale pi conservatrice della umbra: mantiene i dittonghi; mantiene le consonanti gutturali intatte, indipendentemente dalla vocale seguente. Nella morfologia, sono da ricordare il tema di pronome dimostrativo EKO- p. es. EKAS lat. hae, i perfetti in -TT p. es. PRUFATTED lat. probavit e, nel campo del vocabolario, feihos muro che identico al gr. tekhos, ma manca in latino.
124 Devoto, Studi Etruschi, 35, 1967, pp. 179 sgg.; Pisani, op. cit., pp. 46 sgg. 125 Parlangeli, Le iscrizioni osche di Messina, Bollettino del Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 4, 1956, pp. 28 sgg.; De Franciscis-Parlangeli, Gli Italici del Bruzio, nei documenti epigrafici, Napoli 1960.

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30. Sopravvivenze Gli alfabeti usati sono luno di origine etrusco-campana, laltro quello latino. Ci sono alcuni esempi di impiego dellalfabeto greco normale. Lalfabeto di tipo etrusco mostra una innovazione importante, nel senso che, fra le vocali I e E, viene introdotta una vocale I e cio una vocale contraddistinta da un apice, destinata a indicare o una E di pronuncia particolarmente chiusa o una I particolarmente aperta. Questo fatto una prima spia di quella distinzione fra i gradi di apertura delle vocali che caratteristica del latino volgare126 . Esiste anche la vocale U e cio U con apice, ma questa serve pi che altro a ristabilire la differenza fra O e U, di cui lalfabeto etrusco aveva imposto il sacrificio.
126 Devoto, Profilo di storia linguistica italiana, 4 ed., Firenze 1964, pp. 12 sgg.

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Capitolo settimo Tradizioni indeuropee III: Leponzi, Messapi, Galli

31. Monumenti leponzi La prima nozione da elaborare quella di leponzio. Nella tradizione epigrafica normale, la lingua leponzia quella di alcune iscrizioni, recentemente ristudiate da M. G. Tibiletti-Bruno127 , circa una ottantina128 , comprese nel territorio tra i fiumi Toce e Adda e collegate con larea propria della antica popolazione dei Lepontii129 e la attuale Val Leventina nel cantone svizzero del Ticino. La estensione di questo termine, che postula una tradizione indeuropea non italica n gallica, giustificata dal fatto che, nel triangolo compreso fra Genova Piacenza e Parma, sopravvivono nella onomastica e nella toponomastica testimonianze, che ripropongono per altre ragioni il problema di una indeuropeit non italica n gallica130 . Queste testimonianze compaiono in due monumenti scritti in lingua latina che sono la Sententia Minuciorum del 117 a.C. (CIL I2 584) e la Tabula alimentaria di Veleia, dellet di Traiano (CIL XI 1147). Il fatto che le due aree non siano contigue e alcuni caratteri ci non ostante siano comuni giustifica la ipotesi che la frattura sia dovuta alla invasione dei Celti ai primi del V se127 Athenaeum, 42, 1964, pp. 118 sgg.; Rendiconti dellIstituto Lombardo, 100 (1966), pp. 3 sgg. 128 Pisani, Le lingue dellItalia antica, cit., pp. 281 sgg. 129 Fluss-Philipp in Pauly Wissowa cit., XII, col. 2067 sgg. 130 Terracini, Archivio glottologico italiano. Sezione Goidanich, 20, 1926, pp. 126 sgg. Per questo non posso rinunciare al termine, come vorrebbe il Lejeune, Studi etruschi, 40, 1972, pp. 259 sgg. Tuttavia v. a p. 377 Appendice B a cura di A. L. Prosdocimi.

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colo. La necessit di denominare il tutto con un termine artificiale deriva a sua volta dalla necessit di riservare il termine di ligure per lo strato preindeuropeo della regione (v. 4). Un carattere leponzio, assorbito forse dallo strato preindeuropeo precedente quello dei derivati in -alo come Ritu-kalo ( 9). 32. Testimonianze indirette Coincidenze toponomastiche estendono ulteriormente larea. Il lat. Genua Genova corrispondente al fondo di un golfo ben delimitato, pu difficilmente essere separato dal lat. Genava Ginevra nel punto dove le acque del lago Lemano ritornano a formare lalveo del fiume Rodano. Il nome Genavia, proprio di uno dei poderi elencati nella Tavola di Veleia, completa il quadro. La base di partenza comune quella del tema GENU ginocchio, alla cui articolazione paragonata la articolazione del golfo. Una necessit fonetica obbliga a ricorrere a un ripiego estraneo alle tradizioni italica e celtica nel caso del toponimo Bormio, localit delle Alpi centrali, alla quale corrisponde il nome del fiume piemontese-ligure Bormida. Il tema BORMO- certo lo stesso che compare nellirlandese gorm e nel lat. formus, ma il trattamento fonetico della consonante labiovelare sonora aspirata GwH diverso cos dalla tradizione italica come da quella celtica. Nella stessa serie entra il dat.-abl. plur. debelis, che si trova nella Tavola di Veleia, da una radice DHEGwH, la stessa da cui discende, ma in forma quanto mai diversa, il latino foveo. Lo stesso trattamento della consonante sonora aspirata appare nel fundus Roudelius, cui corrisponde oggi il monte Rudella. Il nome latino del fiume Polcvera, che sbocca in mare immediatamente a occidente di Genova, Porcobera, la cui struttura risulta composta da un elemento porca zolla e da un tema bero-, equiva-

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lente al latino fero. Questo trattamento potrebbe essere anche gallico, ma nella val Polcevera i Galli non si sono mai insediati, e in ogni caso non avrebbero tollerato una consonante P- iniziale. Un trattamento quasi germanico della nasale vocalizzata ON appare nel vico Blondelia della Tavola di Veleia e prova la esistenza di un tema BLUNDA, che si riteneva solo germanico, penetrato nel tardo impero, per indicare un colore rossiccio dei cavalli, mentre risulta gi presente molto prima, per definire presumibilmente una terra rossastra. Un tema leponzio pare essersi esteso anche in direzione dellItalia centrale, riapparendo nel lat. bitumen. questo un derivato di un tema BITU che si trova in forme pi elementari nel territorio leponzio: Bittelus oggi Bettola (Piacenza) e Bettonianus che presuppone Betunia, oggi Bedonia (Parma)131 . 33. Monumenti messapici Di quanto circoscritta la nozione di leponzio, di tanto vaga ed esagerata quella di illirico non solo nellItalia antica. Solo da una decina di anni essa tende a rientrare in limiti ragionevoli. La nozione di Illiri va convenzionalmente definita in modo negativo. Essa definisce i resti delle trib indeuropee che non si sono allontanate dai luoghi di origine, dopo che i Celti si sono costituiti in nazione, estendendosi verso occidente, Germani e Balti verso settentrione e Slavi verso oriente. Accanto agli Illiri, e immediatamente pi a oriente, fanno parte di questi Indeuropei centrali i Traci132 . Ai tentativi di dare alla nozione di illirico un contenuto positivo, attraverso la documentazione onomastica e to131 132

Scritti minori, cit., II, pp. 332 sgg. Origini indeuropee, cit., pp. 395-402.

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ponomastica occorre invece apportare riduzioni drastiche, trattandosi in buona parte di elementi non illirici ma preindeuropei133 . Questo non esclude che sussistano in Italia concordanze transadriatiche: come stato detto al 14, lItalia, per la sua ascendenza umbra venetica o protolatina, esige connessioni transadriatiche. Ma queste sono sempre connessioni indeuropee non ancora differenziate, non circoscrivibili in un termine ristretto come lillirismo. Paeligni ex Illyrico orti, secondo il detto di Festo (248 L), implica una dipendenza geografica e non una etnica, come molti sono stati tentati di fare134 . Tuttavia, quando si entra nel territorio della Puglia, le cose cambiano. La nozione generale di Iapigi e quelle particolari di Dauni Peucezi e Messapi si susseguono, corrispondendo approssimativamente alla nozione generale di Puglia, e alle sue tre province storiche, rispettivamente di Foggia Bari e Lecce. Nellinsieme esse rappresentano uno strato indeuropeo, che si sovrappone a quello protolatino a partire diciamo dal IX-VIII sec. Lassestamento dei Dauni sembra abbia risentito di qualche contatto protolatino in quanto Fauni parola latina distinta solo dal diverso trattamento della consonante sonora aspirata iniziale: resa fricativa in latino, privata della aspirazione presso i Dauni. Allinterno di questo gruppo, cui va riconosciuta la denominazione di illirico, eccelle per ricchezza di testimonianze la tradizione linguistica messapica, sopravvissuta nel Salento, e cio nellarea di Lecce. La lingua messapica attestata da pi di trecento iscrizioni, che vanno dal VI al I sec. a.C. I caratteri di questo illirismo, spinto alle estreme conseguenze dallinfluenza di altre correnti indeuropee pi orientali, come le traco-frigie, dato dal passaggio di O breve in A; del133 134

Studi etruschi, II, 1937 pp. 263-269. Gli antichi Italici, cit., p. 110.

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le consonanti sonore aspirate in sonore semplici; infine dalla assibilazione delle consonanti gutturali135 . I legami lontani della lingua cos attestata sono da ricercare, come bene ha visto F. Ribrezzo136 , con lalbanese. Nel campo della morfologia, un carattere interessante quello della desinenza del genitivo singolare in -ihi. Lalfabeto legato essenzialmente con quello greco di Taranto: alcune incertezze sono state illustrate da O. Parlangeli137 . Non esistono segni di distinzione fra le parole. Il segno o che aveva minori occasioni di essere usato in conseguenza del citato passaggio di O breve a A, ha fatto fortuna, perch si avvicinato al valore U e ha finito per eliminare il segno greco Y. Le iscrizioni, nella classificazione del Parlangeli138 , si dividono dal punto di vista dellalfabeto in quattro fasi: arcaica classica seriore e finale. Ecco alcune parole interessanti: argora(pandes) pesatore dargento nome di presunto magistrato collegato con gr. argyro-; barzidihi nome personale tratto dalla radice BHERGH 277; berada e affini con la rad. BHER (279); bilia comunemente contrapposta al lat. filia (280); blavit offr dalla rad. BHLAU; deranthoa gr. gerusia secondo O. Haas139 ; dehatan agg. verb. collegato con la rad. DHEIGH plasmare (300); deivas dio (302 sg.); hazavathi versa (314) rad. GHEU versare; kalatoras
135 Parlangeli, Studi messapici, Milano 1960. Alle pagine di questa opera si riferiscono i numeri contenuti nel testo. Vedi inoltre: Haas, Messapische Studien, Heidelberg 1962; De Simone presso Krahe, Die Sprache der Illyrier, vol. II, Die messapischen Inschriften, Wiesbaden 1964. 136 Ribezzo, La originaria area etno-linguistica dellalbanese, Rivista dAlbania, 2, 1941, pp. 129 sgg. 137 Parlangeli, op. cit., pp. 23 sgg. 138 Parlangeli, op. cit., p. 25. 139 Haas, n. 212.

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(320) cfr. lat. calator; klaohi (323) imper. dalla rad. KLEU ascoltare; kos pron. interrog., rad. KwO-; pido diede da una rad. DO con il pref. (e)pi (350); totthebis dat. abl. plur. connesso con il tema TEUTA140 ; -thi (desinenza) da connettere forse con il gr. eti (370); veinan (380) da SWEINO- SUO: venas prob. analogo al lat. Venus (380); zi, da connettere forse con Giove (386); infine il nome brendon, da connettere con quello di Brundisium (Brindisi) e col significato di cervo. 34. Monumenti gallici Allinizio del V secolo appare in forma organica, come una vera invasione, seguita da colonizzazione, la tradizione linguistica gallica. Essa spezza la continuit precedente fra le Alpi centrali e lAppennino ligure, realizzata dai Leponzi ( 31), e pi a oriente sopraff le colonie etrusche, che si erano stabilite nel secolo precedente. Le testimonianze epigrafiche galliche si riducono alle iscrizioni di Briona (prov. Novara), di Zignago presso La Spezia, infine quella bilingue di Todi, testimonianza di scorrerie posteriori. Come testimomanza di uno stato ancora relativamente arcaico valgono i nomi personali della iscrizione di Briona141 , Anareuiseos Tanotalos Anokopokios Setupokios, che non sono stati ancora disturbati dallazione dellaccento di intensit. Importante il verbo, sempre nella stessa iscrizione, karnitus, inteso come fecero. Se si tiene conto della et relativamente tarda (2a met del II secolo a.C.), la importanza del monumento sembra decrescere. Rimane per il fatto che, anche se caratteri linguistici celtici non si affermano nella Gallia cisalpina, quali il passaggio della E lunga a I o del140 141

Haas, n. 221. Pisani, Le lingue dellItalia antica, cit., n. 141, pp. 331 sgg.

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la consonante labiovelare sonora aspirata da GwH a G, e tanto meno i caratteri tipici della labializzazione britannica e celtico-continentale, pure i resti gallici nel latino e nella sua ulteriore tradizione in Italia rimangono ingenti. In latino, dal gallico sono state accolte parole come ambactus servo bracae calzoni brennus sovrano minore bulga borsa benna piccolo veicolo carpentum carro petorritum carro a quattro ruote carrus carro, con evidente propensione a quanto si riferisce al viaggiare, veredus cavallo, alauda allodola. 35. Sopravvivenze Ma questo niente in confronto della impronta lasciata sul latino, quando questo verso la fine del I sec. a.C. stato accettato come lingua delluso e la tradizione gallica stata abbandonata. Anche se non tutte le impronte che caratterizzano i dialetti dellItalia settentrionale (detti appunto gallo-italici), risalgono a questo evento, ma in parte dipendono da influenze proprie dellet imperiale ( 97), pure i processi di palatalizzazione sia di vocali ( (passaggio di A in ) o di consonanti (da CT a IT e C) 126) risalgono a questo strato linguistico. Esso ha dato allItalia settentrionale unimpronta che non mai pi venuta meno142 .
142 Devoto-Giacomelli, I dialetti delle regioni dItalia, Firenze 1972, pp. 1 sgg., 20 sgg., 54 sgg.

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Capitolo ottavo Le origini di Roma

36. Filoni micenei Per alcune delle tradizioni linguistiche indeuropee in Italia, il mare era stato veicolo e condizione per raggiungere lItalia: tale quella protolatina o quella umbro-sannitica, giunte entrambe attraverso il mare Adriatico, la prima sulle coste pugliesi, la seconda su quelle marchigianoabruzzesi ( 14). Si trattava allora di tragitti brevi, quasi di traghetti. Gli altri mari dItalia, lo Jonio, il Tirreno, anche se non sono stati itinerari di vere e proprie migrazioni, hanno invece permesso o promosso traffici e affermazioni coloniali, radicate poi in tradizioni storiografiche o addirittura in miti; hanno avuto a loro volta conseguenze linguistiche indirette ma significative. Spicca fra queste vicende la pi antica, e insieme la pi tardiva nel farsi riconoscere, la componente micenea. Come risulta dal catalogo di una recente mostra di Taranto143 i trovamenti micenei che si vanno di quando in quando verificando lungo litinerario del primitivo cabotaggio dalle isole Jonie al canale di Otranto, la penisola salentina, il golfo di Taranto, le coste orientali della Sicilia su su lungo il Tirreno, si appoggiano oggi ad esempio a Ischia dove si rinvennero tre frammenti di ceramica micenea del Miceneo III A e a Luni sul Mignone (Viterbo), dove in un abitato appenninico sono stati trovati cinque frammenti di ceramica micenea del Miceneo III B e C. In Sardegna si sono trovati addirittura lingotti di rame con segni in scrittura lineare A144 . Questa espansione preco143 144

Pugliese-Carratelli, I micenei in Italia, Fasano 1967. Op. cit., p. 24.

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ce dura fino al XIII sec. a.C. Ai fini linguistici tuttavia la conseguenza di queste constatazioni non raggiunge risultati analoghi a quelli adriatici. Questi ultimi saldano gli aspetti tecnico-culturali con quelli etnico-linguistici connessi con le prime affermazioni di tradizioni linguistiche indeuropee. Nel Tirreno, anche se parole micenee avranno accompagnato le cose, fino a tanto che non si costituiscono colonie vere e proprie, lespansione rimane in limiti tecnico-culturali: non si pu parlare ancora di incontro o innesto di una tradizione linguistica greca con quelle dette genericamente italiche. Tuttavia una conseguenza linguistica indiretta appare evidente, ed importante. La via tirrenica, che non conosceva altri pretendenti al di fuori delle imprese fenicie, e quindi rimaneva disponibile per ipotesi pi o meno aleatorie, ma non assurde, di altri spostamenti e di altre migrazioni, come quelle attribuite agli Etruschi, ecco che viene occupata dalla materia micenea e quindi preclusa ad altri presumibili navigatori, intrusi o legittimi che fossero. Lo spazio che rimane libero per i Fenici inclina verso itinerari diversi, costeggiando lAfrica e la Sardegna, con punti di appoggio dalla Cirenaica al Marocco, alle isole Baleari145 . Tutto sommato, di questa espansione arcaica, non pi riconosciuta come greca nei secoli successivi nemmeno dai connazionali, rimane da una parte il nome galleggiante dei Pelasgi146 , esteso poi dalla leggenda anche nel bacino dellAdriatico fino alle foci del Po147 mentre dallaltra la leggenda conserva alcune tracce indirette, di cui una data dalla prima fondazioHistoria mundi, cit., III, p. 337. Scritti minori, cit., I, pp. 65, 67, 69; Origini indeuropee, Firenze 1962, pp. 376 sgg. 147 Pallottino, Relazioni del X Congresso internazionale di studi storici, Roma 1955, pp. 34-38.
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ne di Cuma intorno alla met dellXI secolo148 , che non ancora una colonia ma solo una stazione di rifornimento, rimasta poi inutilizzata. Il quadro acquista una luce diversa, indiretta ma efficace, se prendiamo in considerazione le tradizioni leggendarie, che sono essenzialmente disposte secondo due filoni. Il primo dato dalla leggenda di Ulisse149 , quindi greca, che raggiunge le coste italiane come conseguenza della guerra di Troia, e quindi intorno allXI secolo. La prima tradizione si riferisce alle coste pugliesi come le pi prossime per un viaggiatore che proveniva dallEgeo. Ma gi Esiodo150 conosce un Latino, fratello di Agrio e figlio di Ulisse, e quindi la leggenda raggiunge anchessa le coste tirreniche dellItalia. Il secondo filone, ancora pi importante, dato dalla leggenda di Enea151 , che poggia su tre elementi: 1) leco dei nostoi e cio dei Ritorni degli eroi della guerra di Troia, anche se si tratta di un eroe troiano e non di uno greco;.2) leco genealogica generica di citt, che connettono le loro origini con Enea per ragioni etimologiche, tale la citt di Aineia152 in Macedonia; 3) la cristallizzazione dellepos successivo alla guerra di Troia secondo il poema di Stesicoro (VII-VI sec.)153 in cui non si ha solo un focolaio di partenza ma anche una destinazione verso il paese occidentale, lEsperia. I primi contatti con loc148

Eusebio presso S. Girolamo, p. 69; Helm cfr. Velleio I, p. Wst presso Pauly-Wissowa, op. cit., IXA, 1961, pp. 538

14.
149

sgg.
150 Esiodo, Theogonia, 1011 sgg.; cfr. Pauly-Wissowa, op. cit, I. col. 1013. 151 Pauly-Wissowa, op. cit., I, col. 1014 sgg. 152 Pauly-Wissowa, op. cit., I, col. 1009 sg. 153 Wikn, Die Kunde der Hellenen von dem Land und den Vlkern der Apenninenhalbinsel bis 300 v. Ch., Lund 1937.

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cidente furono stabiliti in Africa con lepisodio di Didone, in Sardegna con la popolazione degli Iliensi, etimologicamente affini al nome di Ilio-Troia. Il collegamento finale col Lazio o Roma avviene durante il V secolo, ma soprattutto attraverso lo storico siciliano Timeo (IV-III sec.). Infine la guerra con Latino, il matrimonio con la figlia saldano la tradizione tirrenica di Enea con quella adriatica risalente a Ulisse154 . Le possibilit racchiuse nei trovamenti archeologici, la lenta elaborazione di una dottrina circa la affermazione di una tradizione greca in Roma trovano a un certo momento una conferma con la costituzione effettiva delle prime colonie greche, delle quali due soprattutto erano destinate ad avere anche una portata linguistica, la ionica Cuma presso Napoli e la dorica Taranto nellVIII secolo155 . Lespansione micenea sfiorata inoltre da un problema particolare, quello degli antefatti degli alfabeti. I risultati combinati delle ricerche di F. Slotty156 e E. Vetter157 hanno condotto a dedurre dalle tracce dellimpiego della puntuazione in un periodo centrale della epigrafia etrusca, che preesistesse in Italia un alfabeto sillabico antichissimo, quasi una propaggine delle scritture lineari A e B del mondo egeo-miceneo e di quello cipriota. Attraverso gli ulteriori lavori di A. Pfiffig158 e M.
154 Per questa valutazione conservatrice della tradizione vedi Pallottino, op. cit., pp. 29, 40. 155 Strabone, VI, pp. 278 sgg.; Pauly-Wissowa, op. cit., XI, col. 2476. 156 Slotty, Silbenpunktierung und Silbenbildung im Altetruskischen, Heidelberg, 1952, cfr. Pallottino, Studi etruschi, 22, 1953, pp. 478-481. 157 Vetter, Glotta, 24, 1936 pp. 114-133; 27, 1939 pp. 157-162. 158 Pfiffig, War di erste Schrift der Etrusker eine Silbenschrift? Kadmos, II, 1963, pp. 142-149.

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Lejeune159 , si arriva non certo a ricostruire un sillabario tirrenico, ma ad ammettere la possibilit di un anello di congiunzione fra le testimonianze greche, ancora alla fine del II millennio, e quelle etrusche, come una moda riemersa da una penombra nei secoli VI e V. Questo sistema di puntuazione sarebbe passato poi organicamente nellambiente venetico ( 25). Naturalmente il tempo ha appiattito queste stratificazioni. Presso Tacito (Annali XI. 14) son messi sullo stesso piano Demarato Corinzio che avrebbe insegnato agli Etruschi lalfabeto diciamo storico ( 17) e Evandro, che invece, secondo Dionisio di Alicarnasso (I. 31), sarebbe arrivato in Italia prima ancora della guerra di Troia, e che potrebbe essere considerato perci come una prima personificazione della leggendaria precoce trasmissione dellalfabeto sillabico di cui si detto. 37. Filoni protovillanoviani Pi vaga ma innegabile la parte che il Tirreno ha avuto nel diffondere elementi collegati non pi con la Grecia, ma con lItalia settentrionale. La cosiddetta civilt protovillanoviana ha potuto essere seguita per via di terra dai luoghi di origine dellEmilia fino ad Ancona (colle dei Cappuccini), poi nellinterno al Pianello di Genga a Ponte S. Pietro a Tolfa e Allumiere fino al Foro romano e poco pi a sud160 I trovamenti nellItalia meridionale, nella regione di Taranto161 hanno posto un primo punto interrogativo che non bastava a individuare o supporre un percorso marittimo. Ma quando in tempi pi re159

Lejeune, Revue des tudes grecques, 82, 1967, pp. 40Antichi Italici, cit., p. 84. Per Timmari, vedi Piccola guida, cit., al 1, tav. XXXV.

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centi si avuto un protovillanoviano di Milazzo162 in Sicilia e, risalendo verso il nord si arrivati a trovare un protovillanoviano di Chiavari163 , ecco che la faccia marittima ha guadagnato terreno, e ha consentito di affacciare la tesi dei protovillanoviani divenuti a poco a poco dei navigatori, dei Normanni164 con venti secoli di anticipo. I protovillanoviani-Normanni, se non forniscono connessioni linguistiche dirette, rinforzano solo lindizio che le vie marittime erano sullitinerario delle coste tirreniche occupate, indisponibili per tradizioni linguistiche che non fossero n greche n protovillanoviane165 . 38. Origini tripartite di Roma Tutte queste forze e correnti periferiche, dopo essersi intrecciate e mescolate, trovano il loro punto di confluenza finale e il loro assetto in unarea ben definita, quella di Roma. Solo con questo assetto si pu parlare di una tradizione continuata, radicata, illustre. Il quadro storico il seguente. Nella prima met dellVIII sec. a.C. lEtruria non rappresenta ancora una forza irradiante, e Roma ben lontana dallessere una metropoli: solo un Ponte, un ponte che condizione allEtruria e al suo inserimento nei commerci anche per via di terra. Se allora non siamo obbligati a tener conto dellEtruria come elemento e forza costitutiva della Roma delle origini, ecco che
Per Milazzo, vedi Piccola guida, cit., tav. XXXV. Per Chiavari, vedi Lamboglia, La necropoli ligure di Chiavari, Rivista di studi liguri, 26, 1960, pp. 91 sgg. 164 Sono debitore di questa immagine provvisoria a F. Dittatore-Vonwiller durante un incontro a Orvieto al Primo Simposio di Protostoria organizzato dal Centro Faina nel settembre del 1967. 165 Whatmough, The foundations of Roman Italy, Londra 1937.
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il problema si apre e insieme si semplifica, tenendo conto della tripartizione166 che d unimpronta alle origini di Roma cos dal punto di vista storiografico come da quello archeologico e linguistico. Sul piano storiografico, le tre trib primitive ricordate da Varrone L.L. V 55, L.L. V 89 dei Tities Ramnes Luceres, anche se da lui sentite come di nome etrusco, possono essere ricondotte sul piano etnicostorico con i valori rispettivi dei Protosabini (diversi dai Sabini del V sec. a.C.), dei Protolatini, connessi agli insediamenti dei Colli albani, e dei Norditalici, filtrati attraverso la diffusione terrestre degli antichi Protovillanoviani. Accanto a questa tripartizione giuridica e etnica si manifesta la tripartizione archeologica, attraverso la necropoli dellEsquilino collegata, secondo gi il Duhn167 e il Mac Iver168 , con la civilt del ferro adriatica, che risponderebbe ai Tities protosabini; le capanne del Palatino, collegate con le tombe a fossa dei colli albani e perci sul piano dei Ramni, e dei Protolatini in senso stretto, infine gli incineratori del Foro romano che consentono solo connessioni settentrionali, e quindi vanno collegati con la nozione giuridica dei Luceres e quella etnico-storica di Norditalici. Un piacevole parallelo di tripartizione linguistica dato dalle sopravvivenze della radice REUDH rosso. II tipo rutilus con il trattamento T da DH protolatino e documentato sino in Sicilia; il tipo rubro-, con la consonante sonora al posto della sonora aspirata, nellinterno della parola, di tipo venetico cio norditalico; il tipo Rufus, con la fricativa in posizione interna, di tipo osco-umbro e cio (proto)sabino. Della tripartizione originaria non rimane nella storiografia tradizionale se non la eco parziale di una fusione
Scritti minori, cit., II, pp. 349 sgg. Duhn, Italische Grberkunde, I, Heidelberg 1924. 168 R. Mac Iver, Italy before the Romans, Oxford 1928.
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romano (proto)sabina. Nel prosieguo di tempo, e cio nellet dei re Tarquin, si assiste invece a una organizzazione quadripartita attraverso la citt delle quattro regioni, la suburana, la esquilina, la collina, la palatina, la cui prima notizia risale a Varrone169 . Con questo allargamento si riconosce lapporto, divenuto determinante, dellelemento etrusco. 39. Lingua di Numa Riferimenti linguistici, al di fuori del campo etimologico, a questi antefatti mancano. Tuttavia hanno qualche significato le seguenti due formule. Senatus populusque romanus ci mostra che la nozione di populus, e cio la giovent organizzata in reparti armati, legata alla nozione topografica di Roma; il senato come consiglio degli anziani preesisteva alla fissazione della tradizione latina in Roma; populus romanus Quirites analogamente acclude alla figura della giovent armata e romana, quella dei cittadini collegati, non importa se a unaltra sede topografica oppure a una divinit, nellun caso come nellaltro non associata ancora a Roma. Costituita una tradizione unitaria, si tratta ora di darle un nome preciso per la sua fase pi arcaica. Il primo suggerimento sarebbe quello di latino dellet regia. Ma, come si vedr subito sotto, il latino regio si divide in due ben distinte fasi di civilt, quella anteriore ai re Tarquin e quella corrispondente a questi monarchi. E poich della fase precedente rimasta nella tradizione anche la denominazione dei primi testi giuridici come delle leggi di Numa, cos pare giusto dare a questa prima fase del latino, ormai ancorato a Roma, la definizione di latino
169 Varrone, De lingua latina, V, 45; cfr. Pauly-Wissowa, op. cit., I A, col. 1021 sgg. (Graffunder).

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di Numa. Essa stata sviluppata da Emilio Peruzzi170 che ne ha sottolineato i tratti sabineggianti. Questi per, pi esattamente, dovrebbero essere detti protosabini ( 28). Uno dei suoi caratteri consiste nel dativo-ablativo plurale della I decl. in -as (anzich in -ais -is) come risulta dalla formula devas corniscas sacrum che in forma classica sarebbe diis cornicibus sacrum. Esso avrebbe, secondo il Peruzzi, connessione con le iscrizioni pesaresi ( 80). Questo non significa che si debbano considerare come contemporanee di Numa forme che sono arrivate a noi adattate snaturate o tradotte: tali paricidas che mostra come gi avvenuto linserimento della apofonia vocalica (che invece del V secolo, 47); tale Tarpeius, legato al Campidoglio, solo dopo che questo aveva superato la fase etrusca dei Tarquin171 ( 51). Il ritorno a un certo quale rispetto e fiducia della tradizione liviana non impedisce di riconoscerle deformazioni cronologiche, facilmente comprensibili, attraverso lo iato che divise gli avvenimenti dalla costituzione delle loro prime fonti. 40. Comunit latina Il latino dellet regia si divide in due fasi. Nella prima, definita come quella di Numa, rientra tutto quello che risulta dal primo equilibrio raggiunto, fra le tradizioni protolatina protosabina e norditalica. La seconda che
170 I principali lavori in argomento di E. Peruzzi sono: Il latino di Numa Pompilio in Parola del passato, 1966, pp. 15-40; Onomastica e societ nella Roma delle origini in Maia, 1969, pp. 126-158. 171 Peruzzi, Maia, 21, 1969, p. 142; cfr. oggi Le Origini di Roma, Firenze 1971.

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comincia con il regno di Tarquinio Prisco, caratterizzata invece da un assestamento in un quadro pi ampio, la presenza etrusca in tutta Italia, i contatti italici non pi limitati al solo elemento Sabino, infine la attiva presenza greca. il periodo definito correttamente da Santo Mazzarino172 come quello della Koin etrusco-italica. Naturalmente il materiale linguistico non si lascia sempre classificare direttamente nella prima piuttosto che nella seconda fase. certo che il trattamento definitivo con D (invece di T o F) di aedes appartiene gi al latino del tempo di Numa173 . Non certo se la azione dellaccento e specialmente le raffiche distruttive che hanno profondamente alterato la struttura primitiva di parole protolatine, si debbano riferire alla comunione con i Protosabini nel ciclo di Numa oppure appartengano a questa seconda fase, quella della Koin. Il pi bellesempio di questa fase dato da una iscrizione che a torto detta la pi antica iscrizione latina. Si tratta della Fibula prenestina, che appartiene ancora al VII secolo a.C. Il suo testo Manios med fhefhaked Numasioi, che significa Manio mi fece per Numasio. La forma decisiva fhefhaked, perfetto raddoppiato, che attestato nella iscrizione di Bantia in lingua osca, ed un vecchio perfetto indeuropeo, mentre in latino la forma del perfetto stata presa dallantico aoristo e compare nella iscrizione di Dueno, di oltre un secolo pi recente, come feced. Anche il dativo Numasioi in -oi, ha un carattere osco e non quello latino, che discende invece da -o. Viceversa, la forma del pronome personale med latina174 . Perci, attraverso la Fibula prenestina, si ha un documento diretto di una apertura di orizzonDalla monarchia allo Stato repubblicano, Catania 1945. Scritti minori, cit., II, pp. 352 sgg. 174 Storia della lingua di Roma, cit., p. 62.
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ti e di una compenetrazione, che va al di l dei ristretti orizzonti dellet di Numa. Se la et di Numa ha portato con i contatti sabini una accentazione intensiva, questa tendenza stata ulteriormente confermata dalla azione concentrica che si sviluppata nella et della koin. Tuttavia, a differenza di quanto insegnano i manuali, non si trattato di una azione sistematica, ma solo di raffiche violente e insieme parziali. Tale il caso di HOSTI-POTIS, trasformato prima in *hospots (in tempo posteriore hospes), con la eliminazione di ben due sillabe ( 47-49). Ma si tratta di una minoranza di casi. Viceversa, rimangono immuni da queste spinte distruttive quelle sillabe interne che nel secolo successivo ( 47) saranno oggetto di un trattamento diverso. Qualunque sia la spiegazione che di questo si vuole dare, esso presuppone delle sillabe interne ancora intatte.

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Capitolo nono Fioritura Regia

41. Comunit etrusco-laziale Il VI secolo coincide con una fioritura culturale ed economica che irradia dallEtruria e investe Roma e il suo entroterra. Lallargamento degli orizzonti e la stabilit dei rapporti che vengono a instaurarsi hanno una conseguenza generale e alcune conseguenze accessorie. Quella pi generale sta nella costituzione di quella fase che tradizionalmente detta dello italico comune; la quale, contrariamente a quello che affermano molti manuali, non un antefatto alla costituzione delle tradizioni latina e osco-umbra, ma un fatto secondario, determinato dalle esigenze della nuova societ che si venuta a costituire. I caratteri dellitalico comune consistono essenzialmente nel potenziamento del caso ablativo; che in umbro uguale al latino per desinenze e per importanza: poplu come populo, karne come carne, tota tota e nelle derivazioni avverbiali da strumentali o ablativi, come rehte recte, subra supra175 . Le conseguenze parziali consistono nello stabilirsi di termini di confronto fra le tradizioni destinate a convivere senza fondersi, ad esempio il rapporto fra consonanti sonore allinterno della parola (D oppure B) del latino di Numa di fronte alle F della tradizione umbro sannitica: un tema mefio- umbro si traduce in un tema latino medio come un tema latino medio- si trasforma in uno umbro mefio-.
175 Gli antichi Italici, cit., pp. 138 sgg.; Bottiglioni, Manuale, cit., pp. 106-113, 159 sgg.

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Naturalmente i casi pi interessanti sono quelli che non arrivano alla fusione totale e mostrano soltanto lavvio. Un primo esempio dato dalle sonanti quello della vocalizzazione A (come la greca) che ancora si manifesta qua e l al posto di quella latineggiante con E: tale la forma osco-umbra -an di fronte a quella latina en- poi in-. Ci sono casi in cui il latino serba strutture arcaicissime, che gli umbrosanniti accettano solo nelle frange pi recenti e funzionali. Sia il caso del gerundio latino176 , forma che ancora serba la funzione di verbo, ma che soggiace alla tendenza ad accentuare i caratteri nominali e quindi a trasformarsi in aggettivo gerundivo. Ebbene, nel mondo italico si ha il solo gerundivo, il gerundio stato rifiutato come un ferro vecchio non pi funzionale. Importante la vicenda tripartita del genitivo singolare dei temi in -o. Il latino, daccordo con lirlandese, conserva una forma arcaica nemmeno inserita nel non si aggiunla declinazione, perch la desinenza -I ge al tema ma alla radice (semplice o ampliata). Ebbene, di fronte a questo che un relitto gi dal punto di vista indeuropeo, ecco che troviamo la classica desinenza indeuropea omerica, attestata nel sanscrito, che -OSIO177 . Nellosco-umbro a sua volta non si ha n un relitto sterile n un resto efficiente della tradizione indeuropea ma un conguaglio con la desinenza dei temi in -I. E poich il falisco, per la sua tradizione composita (v. 23), non pu avere conservato da solo la desinenza -OSIO, ecco che -OSIO va attribuito alla componente umbro-sannitica del falisco, che solo poi nel falisco si conservata, e nellambiente originario, vittima della analogia, stato sostituito da -eis.
176 Sommer, Handbuch der lateinischen Laut- und Formenlehre, Heidelberg 1914, pp. 615 sgg. 177 A differenza di Pisani, Grammatica latina, 3 ed., Torino 1962, p. 11, con bibliografia.

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Ci sono infine fatti che si sviluppano come tendenze parziali ed estreme, ora nellarea latina ora in quella osco-umbra. Lesempio pi interessante quello delle consonanti aspirate che, come stato detto sopra, costituiscono una opposizione tra una forte F e una debole H. Lequilibrio fra i due elementi instabile. Indipendentemente dalla maggiore consistenza articolatoria, la F investe parole indeuropee di diversa provenienza fonetica e anche parole mediterranee. La H rispecchia solo parole provenienti da GH indeuropeo, e nessuna parola mediterranea. naturale che ci sia stata una certa tendenza alla trasformazione del loro rapporto da rapporto di opposizione a rapporto di varianza con conseguenze, che si sono sviluppate cos in Roma come fuori Roma: tali i casi di foied a Falerii di fronte a hodie in Roma ( 23); tale fasena in Sabina (Velio Longo VII 69.8) di fronte a harena latino; tale inversamente in Roma Foratia (CIL 12 166) in confronto del normale Horatia. Analogamente si contrappongono allinterno del latino le forme rinforzate di fordeum di fronte a hordeum orzo, fariolus di fronte a hariolus indovino, folus di fronte a holus legume, e persino fostis di fronte a hostis nemico. Una forma rinforzata che ha avuto il totale sopravvento invece fel fiele da GHEL, che avrebbe dovuto dare HEL. Allestremo opposto si hanno le varianti indebolite di haba falisco invece di faba romano fava; hordus invece di fordus pregno, hebris invece di febris febbre, horctus invece di forctus (cfr. 55), valido. Sul piano culturale, la novit maggiore la accettazione da parte dei Romani della formula onomastica etrusca, costituita da prenome (sostantivo) seguito da gentilizio (aggettivo) e, eventualmente, dal patronimico: Marcus (sost.) Tullius (aggettivo) Quinti filius (cfr. 27).

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E. Peruzzi178 ha mostrato con argomenti convincenti che intermediar necessar per la formula binomia sono stati i Sabini, anzi bisogna precisare i Protosabini, perch solo questi possono avere introdotto il patronimico proposto. I Sabini, legati agli Umbri, lo avrebbero, inversamente, preposto. 42. Primi grecismi Il potere di irradiazione di focolai come Taranto e Cuma, sul piano, cos linguistico come economico e culturale, immenso. La prima espansione quella degli alfabeti di origine greca ( 17) che si sono introdotti in Etruria e, attraverso lEtruria, in altre lingue, per esempio nella umbra ( 27). La seconda categoria rappresentata dallalfabeto latino, che anchesso di origine greca, ma, a differenza di quelli delle altre lingue dellItalia antica, passato direttamente dal mondo delle colonie greche a Roma, manifestandosi con un andamento normale da sinistra a destra nelle iscrizioni della Fibula prenestina, e bustrofedico in quella del Foro romano. Gli Etruschi non hanno esercitato una parte se non periferica nella trasmissione materiale, contrariamente alla opinione, oggi prevalente, che risale ai lavori di M. Hammarstrm179 . Rispetto allalfabeto calcidese, non occorrevano per il latino segni nuovi, mentre tre erano per il latino superflui, il theta, il phi e il khi, che sono stati adoprati a indicare numeri. La differenza fra C e K era quella di sonora e sorda. Ma a un certo momento parso pi necessario,
178 Onomastica e societ nella Roma delle origini, Maia, 21, 1969, pp. 126-158, 244-272. 179 Hammarstroem, Beitrge zur Geschichte des etruskischen lateinischen und griechischen Alphabets, Acta Societatis scientiarum Fennicae, XLIX, 2, Helsinki 1920; Buonamici, Epigrafia etrusca, Firenze 1932, pp. 133 sgg.

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attraverso una influenza umbra (e non come si suol dire etrusca), distinguere i suoni gutturali, piuttosto che secondo il grado di articolazione, secondo il punto di articolazione, determinato dalla vocale che seguiva; e quindi C stato impiegato davanti a E e I, mentre K si impiegato davanti a A, e Q davanti a O e U. Superata questa fase, K diventata superflua, C si specializzata a indicare la articolazione sorda ( 89), mentre per la sonora si introdotto un segno nuovo, il G. Il digamma F, anchesso superfluo, fu impiegato, associato a H, per indicare il nostro F, bilabiale sordo, secondo accade anche nellalfabeto etrusco e in quello venetico. Dopo di che il latino semplific di nuovo, impiegando per la bilabiale sorda, cos importante, il semplice F, riservando il segno H alla aspirata leggera del tipo homo. Nella accettazione delle parole greche, la aspirazione non viene nei primi tempi segnalata: purpura rispetto al greco porphra non segnala la differenza fra il phi e il pi; cos in calx calce non compare traccia del khi iniziale greco. Pure non segnalata rimane la differenza fra la U vocale e la U consonante, fra la I vocale e la J consonante. Il segno Z indic la S sonora e cio la S intervocalica non ancora assoggettata al rotacismo (v. 51). Il suono greco zeta ( 62) venne invece confuso con S e quindi lat. massa rende il gr. mza, il lat. sona cintura il gr. z on e. Per quanto riguarda la vocale mista Y del greco, essa venne assimilata nei primi tempi al latino U. Pi tardi si introdusse nellalfabeto latino la Y ( 87) e la Z fu messa in fondo, per distinguere il suono Z delle parole greche da S. Finalmente, il suono greco Y fu adoprato talvolta a indicare quel suono intermedio fra U e I che era proprio della vocale interna, davanti a M e ad altre articolazioni labiali, p. es. lacrymis180 ( 62).
180

CIL I2 , 1222.

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43. Presumibili intermediar La ondata grecizzante, che segue agli alfabeti ai primi del VI secolo, si manifesta nella leggenda delle origini greche di Tarquinio Prisco e dei suoi legami con Demarato; con lafflusso di vasi protocorinzi181 ; e con il primo lotto di parole greche. Queste non sono unitarie per provenienza e itinerario, ma imponenti per quantit e per la sicurezza con cui si lasciano assegnare a questo primo periodo di grecismo. Allingrosso una forma dorica col digamma, come quella adattata nel latino oliva o in Achivi, presuppone una et pi antica che una forma ionica senza digamma, come oleum e Achei. Anche litinerario sar piuttosto terrestre nel primo caso e marittimo nel secondo; analogamente la contrazione di EA in A dorica e quindi un grecismo pi recente come choragus appartiene a una tradizione piuttosto tarantina, mentre la contrazione di EA in E, ionica, indica una provenienza cumana. A questa prima classificazione se ne aggiungono altre due. La prima, di carattere cronologico, distingue grecismi che sono sicuramente arrivati in et regia sia perch effettivamente attestati in et regia, come nel caso del tempio dei Dioscuri di Lanuvio182 e sia perch assoggettati a mutamenti fonetici latini183 che si sono compiuti nel v secolo: tale il caso di trutina bilancia e di mac(h)ina dalle forme greche trytn e e dorico m akhan camera da kamra, balineum da balaneon talentum da tlanton, Agrigentum da Akrgas-antos. La seconda indaga se litinerario dal mondo greco a quello romano ha attraversato una tappa etrusca, subendo eventuali in181 Pasquali, Preistoria della poesia romana, Firenze 1936, pp. 59 sgg. 182 Castagnoli, Studi e materiali per la storia delle religioni, 30, 1959, pp. 109 sgg. 183 Vedi sotto 48.

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fluenze fonetiche184 . Quando in greco c una consonante sonora che in latino sostituita da una sorda, lindizio etrusco185 si pu considerare certo: tali i casi di gr. thrambos e lat. triumpe, gr. amrg e lat. amurca feccia dellolio, lat. cotonea e gr. kydnia (mala), lat. sporta e gr. (acc.) spyrda. La parola etrusca phersu, nel senso di maschera, pu essere interpretata come adattamento di un gr. prs op(on), e insieme come base per il lat. persona, che nessuno potrebbe mai considerare come derivazione diretta, dal greco. Finalmente la dea greca Persephn e, attestata presso i Peligni in modo quasi identico, Perseponas186 . Se consideriamo la forma etrusca che Phersipnai, possiamo vedere in questa un anello di passaggio che, attraverso un presunto PRSRPNA, arriva a giustificare il lat. Proserpina187 . La intermediazione etrusca invece esclusa nel caso dei Dioscuri. La forma etrusca del gr. Polydek es Pultuke, col rafforzamento della consonante sonora, mentre la forma latina arcaica Poloces e quella classica Pollux, che entrambe presuppongono un indebolimento della consonante stessa188 : da ld in l(l). Alcune altre alterazioni nel grado di articolazione appartengono alla et pi antica, anche se hanno qualche parallelo nello svolgimento dal latino volgare allitaliano: per es. nel caso di gobius (pesce) di fronte al gr. kbios, gamba di fronte al gr. kamp e, Burrus di fronte al gr. Prrhos, buxus di fronte al gr. pxos. Non solo a un itinerario terrestre, ma anche a una intermediaScritti minori, cit., 11, pp. 117 sgg. O. Castellani-Pollidori, I pi antichi grecismi nautici in latino, Atti della Accademia Toscana La Colombaria, 21, 1957, pp. 181 sgg. 186 Pisani, Le lingue, cit., n. 47, p. 115. 187 Scritti minori, cit., 11, pp. 123 sgg. 188 Scritti minori, cit., 11, pp. 35, 115, 130, 234.
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zione messapica conducono le parole ballaena di fronte a un gr. phllaina, e Bruges di fronte a un gr. Phrges. 44. Ritmi greci La prova della intensit della influenza greca in questa et data anche dai fatti ritmici quali sono stati messi in giusta luce da G. Pasquali189 . La tradizione linguistica indeuropea era sensibile alla differenza quantitativa fra vocali lunghe e brevi, e in condizione di trasmettere cos ai greci come ai latini tradizioni ritmiche omogenee. Tuttavia nellambito della Grecia190 si ha una evidente distinzione fra una tradizione eolica in cui ha una parte lisosillabismo (ugual rapporto di numero fra le sillabe) e quella ionica che inclina invece verso la isocronia (o ugual rapporto di lunghezza e brevit di vocali) nellambito del latino, la mancanza di dati di fatto totale. Il verso saturnio non appare pi in questi schemi rigidi, accentuativi e allitteranti, che appaiono chiaramente nella prosa e un tempo erano stati riconosciuti genuini della presunta tradizione ritmica latina. Per quello che riguarda il verso saturnio, le conclusioni del Pasquali sono queste tre: il verso saturnio NON accentuativo; resti importanti di tradizioni allitteranti si trovano nel Carmen Arvale e nelle preghiere a Marte in occasione dei Suovetaurilia191 , che corrispondono allo apporto della componente sabina; nel verso saturnio affiorano cola di origine greca che, associati in coppia a Roma, hanno dato origine al saturnio stesso.
Pasquali, Preistoria della poesia romana, cit., pp. 1 sgg. Meillet, Les origines Indo-europennes des mtres grecques, Parigi 1923. 191 Pasquali, op. cit., p. 76.
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In altre parole, contrariamente allinsegnamento dei manuali192 , la storia della grecit in Roma non unitaria, e per quanto riguarda il periodo arcaico si distingue per due caratteri: a) importante fino dallet dei Tarquin; b) meno straniera perch laccento, sebbene avesse subito raffiche di intensit iniziale e conseguenti sincopi, aveva rispettato il grosso del materiale lessicale latino e questo ha potuto subire pi tardi quelle alterazioni meno drastiche, di cui dovremo parlare193 ( 47). 45. Primi movimenti Non solo di questo periodo ma dellintera et arcaica rimasta nellet classica una eco di compatimento sdegnoso, per esempio da parte di Orazio su Livio Andronico (Ep. II. I. 53) e sullo stesso Plauto (Ars poet. 270 sgg.). rimasta anche la affermazione di un fatto, e cio della incomprensibilit del latino dei tempi che hanno preceduto gli autori arcaici. Del primo trattato fra Roma e Cartagine Polibio dice di esserne venuto a capo solo con laiuto di alcuni dotti romani194 . Cos avviene per altri trattati dei secoli VI195 e V196 fra Romani e Latini oppure fra Roma e Ardea197 . I fatti, riconosciuti come dovuti a forze esterne, si integrano con i testi arcaici pervenuti in modo pi o meno fedele attraverso testi pi vicini a noi. Il Carmen salia192 Meillet, Esquisse dune histoire de la lingue latine, Parigi 1928, pp. 87 sgg. 193 Vedi il 47. 194 Polibio, III, 22. 195 Dionigi dAlicarnasso, IV. 26, IV. 28; Plinio, Naturalis Historia, XXXIV, 14. 196 Cicerone, Pro Balbo, 23. 53. 197 Livio, IV. 7.

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re, arrivato a noi attraverso Terenzio Scauro198 , arricchisce la serie degli arcaismi con formule come tonas Leucesie, col dittongo EU ancora intatto e non confuso con OU, prai ted tremonti ( 53), col dittongo AI intatto, la -D finale persistente e la desinenza -onti al posto della classica -unt; duonos ceros il buon creatore mostra un passaggio parziale del gruppo primitivo DUE, passato a duo-, ma non ancora al classico bo- quale appare in bonus. I dati risultanti dal Cippo del Foro sono essenzialmente le forme qoi qui, pronome relativo col dittongo ancora intatto, sakros sacer, con la sillaba finale ancora intatta; esed erit senza rotacismo e con la finale -ed; ivece di -it; recei regi di nuovo col dittongo intatto e la leggera influenza che la consonante gutturale subiva dalla vocale E seguente; iouxmenta iumenta con il dittongo conservato e col gruppo KS conservato in finale di sillaba interna; iovestod iusto col trittongo intatto e cos pure la desinenza di ablativo. Analoghi sono gli insegnamenti del vaso di Dueno con la conservazione e di dittonghi e trittonghi, di consonanti conservate in fine di parola o di sillaba, per es. cosmis amorevole199 . Del Carmen arvale, arrivato a noi in una copia epigrafica, per del III secolo d.C., sono da ricordare la forma rinforzata del plurale di prima persona enos, i tipi pleores per plures; le incertezze grafiche nel caso delle vocali in sillaba finale -es/-is, -ar/-or, e delle consonanti p/b200 .
198 Corpus glossariorum latinorum, Lipsia 1888-1923, VII, p. 28. 199 Vedi la mia Geschichte der Sprache Roms, Heidelberg 1968, pp. 71 sgg. 200 Palmer, The latin Language, cit., pp. 346 sgg., dove si trova una splendida raccolta dei documenti arcaici essenziali.

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Capitolo decimo Primo assetto latino

46. Mutamenti socio-culturali Agli inizi del V secolo la scena politica allinterno di Roma muta. La monarchia di origine etrusca cade, e viene sostituita da un regime oligarchico, in cui i latifondisti si affermano con le loro esigenze interessi e mentalit201 . Al posto del vecchio regime, aperto ai traffici sia verso lEtruria sia verso mete transmarine, con la prevalenza degli interessi plutocratici di quelli che dopo sarebbero stati chiamati i plebei, subentra il particolarismo e la cortoveggenza dei patrizi, poco interessati agli orizzonti lontani. Nei primi ventiquattro anni di repubblica si hanno dodici consoli di ascendenza plebea, e cio la caduta della monarchia non determina immediatamente un capovolgimento sociale. La figura del REX cessa di corrispondere alla massima autorit dello stato, e viene sostituita dai due consoli con una formula, esclusiva di Roma, di sovranit risolutamente uguale. Gli rimane la sovranit religiosa (pi tardi assunta dai pontefici) nel titolo di rex sacrorum. La Regia che stata ricostruita in quel tempo di trapasso mostra che il nome non era morto ma si era soltanto specializzato, proprio come presso gli Ottomani si distinto a un certo momento il sultanato dal califfato. Le ragioni del mutamento erano state in gran parte esterne. Da una parte il prestigio e la irradiazione della cultura etrusca cominciava a declinare, dallaltra la pressione delle primavere sacre202 italiche dalle mon201 Arnaldo Momigliano, Rivista storica italiana, 81, 1969, pp. 5-43. 202 Vedi Gli antichi Italici, cit., pp. 109, 118 sgg.

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tagne si faceva sentire sulle popolazioni costiere. Cos in Campania si ha la discesa dei Sanniti che si sovrappongono alla colonizzazione etrusca203 ; nella regione pontina discendono i Volsci, interrompendo le comunicazioni da Cuma e dalle altre citt campane verso Roma204 . Immediatamente a mezzogiorno di Roma, verso i colli Albani, premono i Volsci e gli Equi. A oriente di Roma, i Sabini si fanno sentire con gli episod di Atto Clauso (Livio II 16), di Appio Erdonio, che raggiunge il Campidoglio (Livio 111 15) e con una guerra regolare nel 449 (Livio III 61). Lo spazio vitale rimasto al latino di Roma, talmente ridotto che secondo ogni apparenza, il latino , in questo tempo, moribondo. 47. Rapida evoluzione nel v secolo Un bilancio complessivo di questi squilibr porta alle conclusioni seguenti: a) Nelle vocali comincia il processo di fusione dei dittonghi, sotto influenza esterna, sabineggiante: esso si continua per tutta la et classica, mentre AU si fonde solo in et imperiale, nel latino volgare ( 87). Nel movimento compreso pure il passaggio del trittongo da OUE a O oppure U. b) Nelle vocali comincia loscuramento di E e O in sillaba chiusa verso I e U, specialmente davanti a nasale e dentale, feced diventa fecit, tremonti diventa tremunt. c) Nelle consonanti, il rotacismo trionfa per es. nella desinenza del genitivo plurale -arum da ASOM. d) I gruppi del tipo DUE si labializzano e duenos si riduce a bonus. e) I gruppi di consonanti, che contengono una S, si sempli203 Huelsen in Pauly-Wissowa, op. cit., III, col. 1555 sgg.; Gli antichi Italici, cit., p. 123. 204 Gli antichi Italici, cit., p. 113 sgg.

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ficano energicamente per es. IN STLOCO diventa ilico, MANTERGSLE diventa mantele tovagliolo, LOUKSNA diventa luna205 . f) Tutto questo passa per in seconda linea di fronte alla azione dellaccento, quale si manifesta attraverso la cosiddetta apofonia latina206 . Come stato detto sopra ( 40), nel periodo regio la accentazione latina aveva subito raffiche di intensit iniziale che avevano alterato profondamente e reso irriconoscibili parole come HOSTIPOTIS ridotto a HOSPOTS ( 40), poi hospes. Il grosso delle parole latine avevano superato questo periodo senza danni e hanno potuto sottoporsi alle alterazioni della apofonia latina in condizioni non pregiudicate. La regola generale la seguente: in ogni sillaba interna, aperta e con una vocale di quantit breve, questa assume il valore I; se la sillaba chiusa, la vocale breve interna assume il valore E. Se la vocale lunga rimane, in sillaba cos aperta come chiusa, intatta. Se si tratta di un dittongo in I assume il valore I lungo, se in U assume il valore di U lungo: tali gli esempi di CONFACIO che in sillaba aperta appare come confIcio; il suo participio passato ha la vocale interna in sillaba chiusa ed appare perci come confEctus. Impletus rimane intatto, perch la E di quantit lunga; un composto di caedere incidere, quello di causare accUsare. La sincope, tenuissima a Roma, generale presso gli Italici, in via di crescita presso gli Etruschi. La apofonia tipicamente romana: se ne hanno due esempi a Preneste su specchi, con le scritte alixentrom CIL 12 553 e Casenter(a) CIL I2 566 per Alexander, Cassandra. Ma
Sommer, Handbuch, cit., pp. 215-240. Vedi il mio lavoro Adattamento e distinzione nella fonetica latina, Firenze 1924, pp. 54 sgg. e Geschichte der Sprache Roms, cit., p. 95; inoltre Lepschy, Il problema dellaccento latino, Annali della Scuola normale superiore di Pisa, 31, 1962, pp. 199-246.
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a Falerii si dice cuncaptum CIE 8340: soltanto a Roma appare concEptum. 48. Assetto fonetico Se a questo punto si tenta un confronto sommario con le strutture indeuropee quali sono state delineate ai 11-12, il latino di Roma appare caratterizzato da queste differenze rispetto alle strutture linguistiche proprie delle prime teste di ponte indeuropee in Italia. Sul piano fonetico207 la stabilit del sistema delle vocali in sillaba iniziale impressionante. Immutate perdurano la A breve di ago conduco, la lunga di mater madre, la E breve di ego io, la lunga di femina donna, la O breve di octo otto e la lunga di donum dono, oltre lo SCHWA rappresentato da A in pater (da PTER). Inoltre le sonanti vocalizzate: I breve in video vedo e lunga vidi vidi, la U breve in jugum giogo e la lunga in fumus fumo; infine i dittonghi dellet arcaica: AI in aidilis edile, EI in deico dico, OI in oino (per class. unum), AU in augeo aumento, EU in Leucesie ( 45) (epiteto di Giove), OU in loucom. Le altre sonanti non sono pi suscettibili di pronuncia vocalica e si appoggiano (cfr. 11) in questi casi a unaltra vocale vera e propria: MRTM diventato mortem, MLDM mollem, KMTOM centum, TNTOS tentus. Non esistono pi R L M N, e le I e le U consonanti, sono ormai suoni indipendenti j p. es. jugum giogo e V per es. vidi vidi, senza pi possibilit di alternare. La categoria delle sonanti, come elemento costitutivo del sistema fonetico, viene eliminata. Dal punto di vista del punto di articolazione si conservano nelle consonanti occlusive le quattro distinzio207

Palmer, op. cit., pp. 214 sgg.

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ni indeuropee: labiali in Potis signore e deBilis debole, dentali Tres tre e Domus casa, labiovelari in Quis chi e Vivus vivo, gutturali in Centum cento e Genus genere. Dal punto di vista del grado della articolazione questi esempi mostrano che si conserva la distinzione fra consonanti sorde e sonore, che anzi nel caso delle labiovelari si accentua fino a perdere il primo dei due elementi costitutivi della labiovelare sonora. La aspirazione, che costituiva in origine un soffio aggiunto allarticolazione sorda o sonora, viene a costituire una categoria autonoma, equidistante cos dalle sorde come dalle sonore, come avvenuto in greco o nellarea germanica. In latino il soffio viene a fondersi con larticolazione precedente, dando vita a una articolazione diversa alliniziale e allinterno di parola: tendendo nel primo caso a rafforzarsi, e individualizzarsi, nel secondo a confondersi con la sonora, o a ridursi a semplice H. Tali gli esempi delle opposizioni delle labiali in Fero io porto e neBula nuvola, delle dentali Fumus fumo e aeDes focolare, delle labiovelari formus caldo e ninGuit, niVem nevica, neve. Nelle gutturali si ha invece homo uomo alliniziale come veho io trasporto allinterno. La sibilante sorda si conserva solo in posizione iniziale p. es. Sedes sedia, ma davanti a R d vita a una specie di interdentale, da cui nasce il gruppo FR p. es. frigus tempo freddo, funeBris funebre da SRIGOS, FUNES-. In posizione intervocalica subisce il rotacismo (v. 51). La sibilante sonora Z scompare, lasciando eventualmente una traccia attraverso un allungamento di compenso nella vocale precedente. La assimilazione regressiva largamente diffusa da parte di consonanti occlusive sorde o anche di continue, come nei casi di OBCAIDO che diventa oCCido uccido, ADFERO che diventa aFFero io porto a destinazione, DISFERO che diventa diFFero dispongo qua

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e l, e cos ATNOS rispetto ad aNNus anno, SEDLA a seLLA sedia, CORONLA a coroLLa coroncina. Assimilazioni parziali sono quelle di LEGTOS passato a lectus scelto e SOPNOS passato a somnus. Meno diffusa la assimilazione progressiva promossa comunemente da consonanti liquide: da TOLNO a tollo sollevo, da TORSEO a torreo asciugo, da VELSE a velle volere. 49. Assetto morfologico del nome Nella morfologia208 , la efficacia delle alternanze vocaliche allinterno della radice stata neutralizzata dalla apofonia descritta sopra. Resti sparuti del tipo E alternante con Zero sono la opposizione di Edo mangio e D-ens dente (cio il mangiante); di E con O nel caso di tEgo copro alternante con tOga toga. I temi nominali sono analoghi per struttura con quelli indeuropei, anche se alquanto deformati nella sistemazione normativa dei grammatici. Sono quelli in consonante (reX), in -O come lupus (da LUPO-), in -A (rotA ruota), in -I (sitIs) sete, (confusi con quelli in consonante), in -U (statUs). Segue una categoria eterogenea di temi, apparentemente in -E lunga (res). Nella formazione delle parole, la capacit di composizione di temi nominali grandemente ridotta, in parte in conseguenza delle alterazioni intervenute allinterno delle parole, che ostacolano il riconoscimento dei loro elementi costitutivi: GHOSTI-POTIS ridotto a hospes ( 40) non consente di riconoscere pi gli elementi costitutivi hosti- e potis; SAKRO-DHOT, ridotto a sacerdos, non consente lanalisi di sacer seguito da -fex. Timidi tentativi di ripresa appaiono nei tipi corrispondenti
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Palmer, op. cit., pp. 233 sgg.

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come agri-cola, sacri-legus. Avviene cos che il padrone di casa non sia pi un composto come nel greco de(m)s-pt es, ma un derivato: dominus da domus casa. Suffissi di derivazione si hanno per segnalare il genere femminile in genetrix di fronte a genitor, il collettivo come in clientela rispetto a cliens, per trarre, da verbi, sostantivi che indichino lagente o actor, lazione o actio, o lo strumento come da arare, aratrum aratro. Parallelamente, da aggettivi si traggono sostantivi astratti come superbia da superbus, o aggettivi da sostantivi come patrius da pater padre o anche da verbi come audax audace dal verbo audeo io oso. La declinazione si ridotta a cinque casi, ma lablativo ( 41) stato valorizzato. Nelle desinenze della declinazione caratteristica la anomalia, nota anche nel mondo celtico, per la quale il segnale tradizionale -OSYO del genitivo dei temi in -O, sostituito da una specie di avverbio in -I, che si mette NON al seguito ma al POSTO del segnale tematico -O: lupi, NON lupo + i. La comparazione dellaggettivo in fermento. La derivazione originaria per mezzo di -YOS era la pi antica, tratta dalla radice, non dal tema aggettivale, come in maior che tratto da MAG, non dal tema del positivo magnus. Si hanno accanto solo resti del suffisso -TERO, per es. in alter laltro, magister maestro che hanno perduto efficacia ai fini della comparazione. Per quanto riguarda il superlativo, si ha una successione di suffissi dai pi elementari ai pi complessi: -MO in summus (da SUPMO) il pi alto, -eMO in plurimus (da PLOIS-eMO-) il pi, TeMO- in intimus intimo, SeMO in maximus massimo, infine IS-SeMO- in longissimus lunghissimo. Il pronome fondamentale tratto dal tema I/EI in is ea id, ampliato in vario modo; il tema SO-/TO- sopravvive solo associato ad altri temi, per es. (is)te/(is-)tud. Il tema qui/quo non soltanto indefinito e interrogativo ma anche relativo, subentrando in questa funzione al perduto

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YO-. I pronomi personali e numerali brillano per la loro stabilit. Come i nomi, cos i verbi si dividono in primitivi e derivati, fra i quali si distinguono quelli tratti da nomi, o verbi denominativi: laudare da laus, metuere da metus timore. 50. Assetto morfologico del verbo La divisione in coniugazioni , come le declinazioni per il nome, tarda e artificiosa, ma legittima, in quanto non esisteva una coniugazione indeuropea ma solo singoli temi (di presente, di aoristo, di perfetto e cos via). Una classificazione razionale deve distinguere in prima linea la opposizione di verbi atematici (fert porta) dai verbi tematici (leg-i-t sceglie). Allinterno dei tematici, fra quelli che hanno per tema la vocale tematica tradizionale E/O (legit da LEG-E-T) e quelli contraddistinti da altre vocali, quali laudAt, monEt, audIt loda avvisa ode. Nel verbo latino valorizzata formalmente la diatesi media, segnalata dalle desinenze arcaiche in -R, ma queste mantengono la loro funzione solo in una parte dei verbi transitivi che vengono detti deponenti mentre negli altri passa a segnalare la diatesi passiva. Nasce cos una dissimmetria fra la opposizione funzionale di verbi transitivi e intransitivi (senza passivo) e quella formale di desinenze senza R (attivi) e con R (deponenti). La qualit della azione del verbo, il cosiddetto modo, non distingue pi fra la azione possibile, propria del congiuntivo, e quella desiderata, propria dellottativo. Resti di forme di ottativo sopravvivono, irriconoscibili, nel congiuntivo latino per es. in quello del verbo esse: sim sis ecc. (ant. siem sies). La quantit dellazione, il cosiddetto aspetto, perde la preminenza primitiva. Si mantiene visibile ed efficace nellimperfetto in opposizione col perfetto, e questa op-

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posizione vivente ancora oggi in italiano. In altre situazioni tende a evadere verso il campo lessicale, utilizzando le possibilit di derivazione offerte dai prefissi: conficere ha il valore di condurre a termine, che in facere rimane ancorato al suo valore durativo. La coniugazione latina, che si costituisce, caratterizzata in questo tempo da: a) rigidit e automatismo nei rapporti fra i temi temporali del verbo regolare. I verbi cosiddetti irregolari sono verbi che non hanno accettato la sistemazione di un tema verbale unico. b) il perfetto latino una formazione composita, che usa segnali indeuropei di valore diverso e unificati: tali la -S- degli aoristi sigmatici in dixi; tali i perfetti originari, non raddoppiati come vidit vide o raddoppiati come tutudit batt209 o caratterizzati da -w- come noVit conobbe sa. Il tema di perfetto, cos costituito, la base per i perfetti e piuccheperfetti dellindicativo, del congiuntivo (e in parte dellinfinito), opponendosi nettamente ai paralleli legami fra il tema di presente dellindicativo e i presenti e imperfetti del congiuntivo e dellinfinito. Questa opposizione, detta di infetto e perfetto, non va intesa come opposizione aspettuale se non in piccola parte. La categoria del tempo, come ha mostrato Alessandro Ronconi210 , ha preso presto il predominio. In conseguenza di questo, si sviluppa e si armonizza in latino la distinzione fra tempi assoluti e relativi: amavi passato assoluto, amaveram passato relativo, amabo futuro assoluto, amavero futuro relativo. Dal punto di vista della formazione dei singoli temi, ha rilievo il procedimento perifrastico, col quale si formano gli imperfetti in -Bam e i futuri in -Bo. Si tratta di elementi tratti dalla radice stessa di fui, trattati secondo
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Palmer, op. cit., pp. 261 sgg. Ronconi, Il verbo latino, Bologna 1946.

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la regola delle consonanti aspirate, che si riducono a sonore allinterno di parola. Importanti sono le novit nelle forme nominali del verbo, impoverite di fronte alle larghe possibilit offerte dalle strutture indeuropee. Nel participio presente sopravvive solo la diatesi attiva, laudans lodante. Della media sopravvivono solo resti isolati per es. alumnus colui che allevato columna quella che inalzata. Inversamente il participio passato, antico aggettivo verbale, ha la diatesi passiva, quando si tratta di verbo transitivo attivo, attiva quando si tratta di verbo deponente, non esiste, quando si tratta di verbo intransitivo attivo: tali i casi di laudatus lodato hortatus che ha esortato, ma NON *itus andato, inammissibile. Il participio futuro in -turus, solo attivo, rappresenta un perfezionamento simmetrico importante. Il gerundio del tipo legendo amando una forma caratteristica ma di oscura origine, e insieme destinato a grande avvenire. accompagnato dalla forma aggettivale detta di gerundivo p. es. ad audiendum verbum, in confronto di audiendo verbum, in cui lazione attiva del verbo viene tradotta in valore passivo nellaggettivo. Solo questa forma aggettivale stata accolta nellarea italica, che ignora il gerundio come forma del verbo ( 41). Linfinito il risultato di un procedimento opposto, che passa da una forma nominale irrigidita nella desinenza di un caso particolare, a una forma pi verbale: tali le forme latine atematiche come es-SE essere o tematiche come lege-re (da LEGE-SE), che sembrano antichi locativi di un tema in sibilante211 . Il supino rappresenta una forma di infinito, tratta da temi nominali in -TU-M, TU, precedentemente caduti in disuso. Su questa ossatura approssimativa, talvolta ancora fluida, si inizia un duro lavoro di ordinamento, classifi211

Palmer, op. cit., p. 278.

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cazione, fissazione, che assicura alla lingua, divenuta letteraria, un minimo di stabilit. Ma le successive vicende politiche, francamente rivoluzionarie, incideranno profondamente e finiranno per determinare nuovi squilibri.

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PARTE SECONDA La latinit: 500 a.C - 500 d.C

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Capitolo undicesimo Fissazione delle strutture fonetiche

51. Sabinismi supplementari Prima di chiudere il suo processo di assestamento, il latino subisce nella prima et repubblicana ulteriori pressioni sabine. Le prime conseguenze linguistiche sono date dalla presenza di sabinismi nel vocabolario latino. Si presenta il Sabino cuscus per vecchio di fronte a vetus; curis asta contro hasta; februum che secondo Varrone vale purgamentum; dirus che secondo Servio vale malus. In questa scia si trovano strebula -orum parti di vittime, attribuita da Festo a Plauto come parola addirittura umbra, e la divinit Nerio legata a Marte, il cui nome derivato da ner uomo (in lingua umbra) come in latino Virus derivata da vir. Tuttavia questi sabinismi non hanno una cronologia certa. In s essi possono essere anche anteriori alla rivoluzione repubblicana in Roma. Sicuramente a questa fase della storia romana appartengono invece i seguenti: Tarpeius, lattributo della famosa rupe, una derivazione di tipo Sabino da una radice TARP che la traduzione sabina di un latino Tarqu(inius) e di un TARKUNA etrusco212 . Il Campidoglio rivela cos la sua toponomastica originaria anteriore allavvento della repubblica e alle influenze sabineggianti. La seconda testimonianza data da plebeius, tratto dal latino plebs, ma con un suffisso sabino213 . Sabinismi e in genere italicismi si presentano inoltre sotto le forme seguenti: 1) al posto di un dittongo compaioScritti minori, cit., II, pp. 359 sgg.; cfr. sopra 39. Scritti minori, cit., II, pp. 355 sgg. Per il valore di plebs, vedi ibid., p. 367.
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no vocali unitarie, tale levir cognato che teoricamente dovrebbe mostrare il dittongo ae come lo esige il greco dar; edus invece di haedus capretto ricordato da Varrone l.l. V 97; Cecilius praetor (per Caecilius), pronuncia contadina ricordata da Lucilio 1130; 2) la sostituzione di una consonante liquida a una dentale sonora: tale solium soglio di fronte a seDere, oppure oLere in confronto di odor, secondo una alterazione generalizzata nella lingua umbra; 3) la estensione di questo processo anche alla iniziale, che in umbro rimane invece salva, come nei casi di lingua lacrima levir, mentre si sarebbe dovuto avere DINGUA DACRU DAIVER. Rientra qui anche il caso del prefisso AR invece di ad-: tali gli esempi di arfuise CIL 12 581. 21 arvorsum 581.24, arvorsario 583. 20, e cos apur finem12 5 invece di apud ( 80). Ancora in questa categoria rientra il cosiddetto rotacismo e cio il passaggio della S in R che si verifica in partenza in posizione intervocalica, ma poi si estende. Il focolaio di origine ancora una volta nellarea umbra, dove talvolta si presenta anche in posizione finale, come nel caso di sehmenier dequrier (Tab. Ig. Vb 11, 16) in confronto di AVEZ ANSERIATES (T. Ia I). La tradizione assegna al 312 a.C. la riforma ortografica di Appio Claudio il Cieco, censore, che R litteram invenit214 che ha inventato la lettera R. Esempi di situazioni prerotacistiche sono invece Lases per lares nel Carmen arvale e esed per erit nel Cippo del Foro romano CIL I2 I. Una forma analogica esagerata honor invece di honos CIL I2 15 nel II sec. a.C. Il contrasto fra situazioni intervocaliche e no si vede nel confronto fra gero: gestus, queror:
214 Secondo una informazione del giurista Pomponio (II sec. d.C.), cfr. Sommer, Handbuch der lateinischen Laut- und Formenlehre, Heidelberg 1914, p. 190; Palmer, op. cit., p. 230.

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questus, nefarius: nefas, dirimo: distineo, infine cura (da KOISA) peligno coisa(tens)215 . 52. Resistenze e reazioni urbane Nonostante la affermazione di queste novit, il particolarismo linguistico di Roma assume il suo volto definitivo. Nonostante i due esempi di apofonia nello specchio di Preneste, questa si oppone a Roma col suo antico Numasioi di fronte al romano Aiscolapio CIL I2 26 senza dittongo finale; losna CIL I2 549 rispetto a lat. luna; Quorta I2 328 di fronte al lat. Quarta. A Lanuvio, ai piedi dei colli Albani, si dice nebrundines da NEGWHR-, che in latino avrebbe dato negr-. A Tuscolo si ha la fusione del dittongo in Fortune CIL I2 48 invece di Fortunae. Al di l del Tevere si parla etrusco. Sui colli Albani, a Velletri si parla volsco e questa lingua rimane in uso fino al III sec. a.C.216 . Il territorio dove si parla il latino di Roma ristretto cos a unarea inferiore allodierno territorio comunale di Roma. Non solo rusticismi isolati penetrano in Roma come quelli segnalati sopra; italicismi morfologici vi si aggregano, tali Caecilis CIL I2 1036 invece di Caecilius, Clodis CIL I2 1050 invece di Clodius, Mercuris 563 invece di Mercurius. Tuttavia, prima ancora che circostanze politiche mutino il quadro soffocante dello spazio vitale rimasto alla lingua latina, qualche manifestazione di resistenza interna si manifesta: qualcuna viene confermata pi tardi nella et classica, altre soltanto attraverso la tradizione latino-volgare e romanza.
215 216

Pisani, Lingue dellItalia antica, cit., n. 50, pp. 117 sgg. Pisani, op. cit., n. 55.

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La prima manifestazione sta nella resistenza delle consonanti gutturali rispetto alla vocale seguente. Essa aveva determinato particolarit alfabetiche attraverso la triplice distinzione dellimpiego del Q, del K e del C. Questa distinzione, valida nellet regia, scompare nella et repubblicana: essa era stata imposta da tipi di pronuncia italici (e non latini), che sono stati riassorbiti. Per ritrovare una diversa pronuncia della K davanti a E e I bisogna o spostarsi nellUmbria o discendere nel tempo fino ai latinismi cristiani (non pagani), accolti nelle lingue germaniche ( 89). Quanto al lessico, abbiamo due esempi di resistenza muta ma eloquente attraverso il tipo FORBEX, NON attestato in tutta la antichit classica e invece sopravvivente in italiano, contro forfex attestato in et classica, ma in forma italica. Altro esempio *MACINA, arrivato sino a noi nella forma non aspirata e cio genuina e arcaica, mentre nella et classica si allineato con i modelli greci, ha assunto la aspirazione, e ha avuto con questa lo svolgimento indipendente sfociato nel nostro macchina ( 75). Lesempio pi bello della rivolta urbana si manifesta con la sostituzione di forme dittongate a non dittongate anche in modo storicamente ingiustificato: tale il caso di plaudo217 applaudo che deriva da un pi antico PLODO, sia perch i suoi composti sono del tipo explOdo (e non *explUdo, come avviene nel rapporto di causare-accusare), sia perch, fuori del latino, si ha la controprova della esistenza di una forma in PLO(D) primitiva attraverso il lit. plti batter le mani. Un caso analogo fornito da scaina scena dal greco sk en che presuppone una forma anteriore SKENA: questa stata in217

Sommer, op. cit., p. 79; Palmer, op. cit., p. 218.

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tesa come dialettale, e quindi corretta prima in scaina poi in scaena218 . Per quello che riguarda la pronuncia delle consonanti gutturali che, sotto spinte esterne, era stata in procinto di distinguersi secondo la natura della vocale seguente, si diffonde ora il segno generalizzato per la gutturale sorda C: ca in Capio, ce in centrum, co in coctus. Ci sono resti di K in Keri CIL I2 445, dekem(bris) 1038. Una tendenza a risorgere manifesta, almeno nella scrittura, il gruppo NS che, per sua natura, tendeva a ridursi a semplice S219 : tale cosol cesor I2 8, cui si oppongono le forme consul censor dellet classica; tale cosentiont di fronte a consol censor I2 9; tale ancora nel 45 a.C. cesendi I2 593.152 di fronte a censor I2 593.144. Infine la tendenza antica mirava allindebolimento anche totale della -M finale. A questo procedimento, attestato anche epigraficamente, fa riscontro una maggior capacit di resistenza in tempi pi vicini, anche a costo di diminuire la vistosit della vocale precedente, oscurandone il timbro da O in U. Tali i dati della iscrizione CIL I2 9, dove si hanno i quattro esempi di caduta della -M dopo la vocale O oino, duonoro, optumo, viro, di fronte al solo Luciomcon la -M conservata e alle forme classiche unUm, bonorUm, optimUm, virUm, LuciUm oppure sacrOm 12 607 (217 a.C.) class. sacrum; suom I2 593.34: suUm593.32. Analogo il passaggio da dederOnt I2 383 (III sec.) al classico dederUnt; da cosentiOnt I2 9: class. consentiUnt. Sullo stesso piano del rafforzamento delle consonanti finali si hanno fatti paralleli con la sostituzione della consonante sorda alla sonora: tali, in confronto di feced, sied I2 4, mitat I2 4, velet, eset 58 I2 3, 10. Il consolidamen218 Vedi per una diversa interpretazione Scritti minori, cit., II, pp. 141 sgg. 219 Cfr. per Peruzzi, Parola del passato, 1966, p. 25.

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to della articolazione finale favorito, in analogia col fenomeno precedente, quando il timbro della vocale precedente si oscuri: si hanno cos le tre fasi di dedet I2 9, dede I2 477, infine, stabile ma con la vocale oscurata, dedit I2 561 (III sec. a.C.); oppure feced I2 4, ma fecid I2 561, e infine il classico fecit. 53. Dittonghi e fonemi isolati Il travaglio pi visibile quello per che conduce alla fissazione dei dittonghi e poi al loro graduale attenuarsi e fondersi in et pi tarda, immune dalle influenze rustiche, che in questo periodo i cittadini romani vogliono ancora tenere lontane. Forme arcaiche superstiti sono di AI aidiles I2 8, haice haec 581. 22, aiquom aequum 581. 26, di fronte a AEdem 581. 1. Per quanto riguarda AU la conservazione dura fino alla et imperiale ( 82, 87). Per EI si ha deicerent I2 581. 4, di fronte ai tipi in I generalizzati. Per EU si ha il solo Leucesie in et prerepubblicana ( 45), in quanto la fusione fra i dittonghi EU e OU si diffusa anche nelle lingue italiche. Vistose sono le manifestazioni di OI, lento a svolgersi secondo la trafila di OE OU U: tali i casi di loidos I2 364 (200 a.C.), oino unum I2 9. 4 comoine(m) 581. 91 (186 a.C.), oitile I2 586. 9 coiraverunt moiros I2 1722, in confronto delle soluzioni parziali di coeraverunt I2 672 (112-1) e di quelle totali utier I2 10, usura I 2632 (145 a.C.). Finalmente le conservazioni di adouxet CIL I2 2438, indoucebamus 586. 6, iousit iussit 614, ious 583. 19 (123-2), in confronto delle forme risolte gi in Lucius I2 7, e iuset 593. 121. Di dubbia interpretazione il dat. matuta I2 379, invece di *matutae, forse per eccesso di patriottismo romano (cfr. dat. sg. m. in -O). Per quello che riguarda i trittonghi, abbiamo casi di conservazione come coventionid I2 581. 22, parziale semplificazione come in noundinum I2 581. 23, contra-

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zione in O come in nontiata 586. 5 (160 a.C.) e finalmente la forma classica nuntiata. Rientra in un processo analogo di semplificazione il passaggio dalla forma intatta Gnaivod I2 7, e quella classica semplificata attraverso la eliminazione della v: Gnaeo. Si avvicinano a questi schemi i casi di con flovont I2 584.23, o tov(am) I2 1805, in confronto di tua gi semplificata in 12 10, soveis I2 364 conservato di fronte a suos I2 583. 50, semplificato. Per quello che riguarda le alterazioni dovute alla apofonia vocalica, svoltasi nel periodo precedente, le incertezze non sono di grande rilievo. Un risultato solo parziale rispetto alla regola generale lo si trova in inceideretis invece di incid- I2 581. 26. Il processo di labializzazione si impone sulla apofonia classica in modo stabile in occupare da OB-CAPARE oppure in recUperatores 582. 9 (125 a.C.); in forma provvisoria in condUmnari (CIL I2 582. 10): condemnatus. In generale si ha un conflitto fra la soluzione locale e labiale e quella generale e palatale. Per un certo tempo si ebbe la coscienza di un suono I/U per esempio secondo Quintiliano220 . A poco a poco aveva cominciato a prevalere la soluzione generale e palatale. Compare ad esempio in un nome personale greco labializzato nella forma Lusumacus CIL I2 2393 di fronte a Lusimacus e a un classico pi tardivo Lysimachus; tale il passaggio da maxUmum CIL I2 593. 130 al classico maxImus; da infUmum 584. 10 a infImo 584. 6; e cos optUmo I2 9, facilUmed 581. 27 di fronte alle forme classiche corrispondenti optImo facillIme. Siano ricordati infine due eccessi di labializzazione e delabializzazione, rispettivamente pontUfex per il classico pontIfex 12 1488 in cui la U non ha nessuna giustificazione fonetica, e inversamente trebIbus 398, che nella forma classi220 Institut. orat., I, 4. 8; cfr. Sommer, op. cit., pp. 104 sgg.; Palmer, op. cit., p. 219.

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ca non ha sostituito la U perch segnale della IV declinazione. Parallelamente a quanto si verifica con la -M, anche con la -S finale si generalizza loscuramento della vocale precedente, proprio per lasciare pi respiro alla articolazione della consonante: di fronte alla caduta in Cornelis I2 8 si arriva al classico Cornelius; di fronte a militarE I2 49 con vocale aperta e caduta di consonante si ha aedilES I2 8 con vocale aperta e conservazione della consonante, ma si raggiunge un equilibrio solo con il tipo classico a vocale oscurata militaris. Infine da VenerEs I2 451 si passa a honorIs (193 a.C.). Analogamente ci si comporta con -O. Mostrano vocale aperta e caduta della consonante finale maio I2 76, mino 126 di fronte alle forme classiche del tipo maius minus con consonante conservata e vocale oscurata. Cos le forme praifectOs 398, Venos 550, Novios, PlautiOs 561 rispetto alle forme classiche praefectUs, VenUs NoviUs PlautiUs. Quando intervengono ragioni morfologiche per mettere fuori uso una desinenza le nostre testimonianze si limitano alle forme arcaiche con le vocali ancora non alterate: da Diovos 360 non si passa a un parallelo *Diovus ma a (D)iovis; da NOMINOS Si passa a nominUs 581. 7, ma questo poi eliminato dalla diversa desinenza del classico nominIs; da REGOS si passa a regUs, poi eliminato da regis. Fissazioni minori sono quelle di O che passa a U davanti a L velare come dallarcaico I2 581 consOluerunt al classico consuluerunt; da 439 pocOlum si passa al classico pocUlum. Il gruppo UO si differenzia in UE: 581.19 abbiamo oinVOrsei, che passa al classico uniVErsi; 581.24 abbiamo arVOrsum destinato a diventare il classico adversus. Anche OV si differenzia in AV: I2 573 abbiamo ancora fove, destinato a diventare il classico fAve. Fra le consonanti siamo in grado di assistere al passaggio di DJ in J in posizione iniziale, per es. da Diove I2 20 al classico Iovi; di DU- a B- per es. in 581. 2 Duelonai

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(186 a.C.) che passa al classico Bellonae; di GN- a N- in I2 11, 583.13, ecc. gnatus, che diventa poi il classico natus; di STL- a SL- e L-: da stlitium CIL IX 2845, a slis I2 583.7, e finalmente a lis 583.63 (123-122 a.C.). Importante perch connessa con la morfologia infine la progressiva eliminazione della -D finale: quando segnale di ablativo allinea forme come eod con la -D e quo senza, in CIL I2 366, oppure sententiad I2 581. 8 (186 a.C.) e poplicod 581. 15 di fronte a in agro Turano 581. 30. Al di fuori del paradigma propriamente detto, di fronte alle forme classiche me, se, si hanno quelle arcaiche med presso Ennio var. 45, e sed CIL I2 582. 21 (125 a.C.). 54. Iperarcaismi Lo sforzo di normalizzazione che mira a mettere qualsiasi testo su un unico piano, si incrocia con una preoccupazione opposta. Un contenuto pu ricevere particolare rilievo attraverso qualche particolarismo linguistico. Uno degli strumenti pi efficaci a questi fini costituito dallarcaismo, non importa se autentico o simbolico. Nei monumenti di cui disponiamo, la tendenza pi vistosa per sollecitare il sentimento dellarcaismo, data dallimpiego abusivo di dittonghi privi di qualsiasi giustificazione storica, e soprattutto di EI: tali i casi di pleib CIL I2 22, pleibeium 591, preimus 589 (71 a.C.), peteita 592 II 9 (per petita), feiat (per fiat) 600. 8, meilia (per milia) 638. 4 (138 a.C.), decreivit 614 (per decrevit) (189 a.C.), seit (per sit) 756 11, nolei (per noli) 2188, eitur (per itur)I2 1529. Su basi del tutto diverse ma sempre efficaci a fini arcaistici il tipo suntod I2 366, nel quale la -D finale non raffigura uno stato di cose precedente (che in realt non mai esistito) ma si comporta di fronte al classico sunto, come estod (che invece forma legittima) di fronte al classico esto, cfr. I2 401.

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Seguono CIL I2 583. 71 audeire, audire; 588.9 veneire venire; 632 faxseis faxis; 1547 (Q)ueinctius Quinctius. Forme pi spinte e, dal punto di vista dellarcaismo, arbitrarie, sono quelle con AEI 633 Caeicilius Caecilius e 638 11 (132 a.C.) conquaeisivei conquisivi, perch presuppongono una contaminazione fra AE e E; e il dittongo al posto di una I breve come in 583. 54 seine sine, parenteis (gen. sg.) parentis 1214. 5, infine 1739 seibi sibi. 55. Aspirate, geminate; problemi sillabici Altre questioni sembrano minori e quasi soltanto grafiche mentre preparano il terreno a sistemazioni e distinzioni che diventeranno rilevanti in et pi tarde. Sono questi i problemi delle consonanti deboli come H e quelli delle consonanti geminate. La consonante H in latino si era venuta a trovare in equilibrio instabile e in opposizione esterna con la F, che dal di fuori tendeva a guadagnare terreno sulla troppo debole H ( 41). Allinterno del latino i casi che si erano verificati sono i seguenti. A) la H in posizione intervocalica omogenea pu annullarsi: invece di nihil I2 1219 si ha nil 1212; invece di mihi si ha mi I2 1216 B) Tra vocali diverse essa sussiste unicamente come segnale che giustifica uno iato: ahenam I2 581. 26 (186 a.C.). Oppure si annulla: cos DEHABEO diventa debeo. C) Dopo consonante, pu avere perduto ogni efficacia: gi al tempo della apofonia, essa non ha esercitato nessuna azione, e da un composto del tipo DIS-HABEO, si avuto col normale rotacismo e la normale apofonia, dirhibeo. D) In posizione iniziale finisce per essere omessa con un anticipo di quello che sar il normale sviluppo del latino volgare e romanzo: Oratia 1124, invece di Horatia. E) Sotto influenza arcaizzante pu essere introdotta anche da-

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vanti a vocale iniziale senza giustificazione storica: 1222 havet, che corrisponde a un classico avet saluta221 . La segnalazione delle consonanti geminate comincia alla fine del III secolo222 , secondo Festo (293), proposta da Ennio. Essa ha una diversa portata a seconda trovi giustificazioni storiche oppure solo affettive. Lesempio classico quello di quattuor per es. in CIL I2 587. II 18, 21 (81 a.C.), in cui la doppia pu trovare una giustificazione indeuropea addirittura in connessione con il grado semiridotto delle radici in A, di fronte al grado E delle altre lingue indeuropee. La oscillazione fra litteras I2 588. 10 (78 a.C.), e leiteras I2 583. 35 (123/2 a.C.) pi che a una differenza di cronologia si spiega attraverso la incertezza con cui veniva pronunciata una parola di lontana origine mediterranea. Caussa I2 589. II 9 (71 a.C.) 593. 58 (45 a.C.), accussasse 593. 120 mostrano geminazioni originarie abbandonate poi progressivamente in et successive. Cottidie 593. 18, rettulerit 593. 15 rispecchiano correttamente le formazioni originarie QUOTITEI-DIE, RETETULERIT. Finalmente nei casi di rellatum 585.80 (II a.C.) e relliquiae 1297, si tratta di innovazioni analogiche. Le geminazioni consonantiche cos caratteristiche dellitaliano in et posteriore non hanno ancora occasione di manifestarsi. La affermazione della romanit si manifesta anche attraverso fatti che rimangono privi di una convalida epigrafica. Uno dei pi caratteristici la vocalizzazione dei gruppi costituiti da consonante seguita da J: in tutte le lingue indeuropee il tipo MEDHYO-, qualunque sia la sua sorte affettiva, rimane bisillabico. In latino no: la forma che ne deriva medius, di tre sillabe223 . Tuttavia questa singolarit, che pur distingue il latino di Roma da
221

Sommer, op. cit., p. 194. Sommer, op. cit., p. 30. 223 Sommer, op. cit., p. 156. Vedi anche sotto, 67.
222

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tutte le altre lingue italiche, non solo una differenza di ordine geografico: anche una differenza di natura sociale. Le iscrizioni danno una testimonianza che lo iato fra vocali non era gradito. Lesempio pi caratteristico quello di CIL I2 582. 10 pariat per, pareat (125 a.C.). Che questo sia gi volto al futuro mostrato dalle manifestazioni analoghe che si hanno a Pompei ( 80). In queste forme appare in modo tangibile lo sforzo organizzativo verso la normalizzazione fonetica nei secoli IV-I: intenso, ma travagliato e contrastato224 .
224 Anche per questa parte preziosa la raccolta di testi di Palmer, op. cit., pp. 346-357.

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Capitolo dodicesimo Fissazione di strutture morfologiche sintattiche lessicali

56. Suffissi e desinenze Nel campo della morfologia, il procedimento di fissazione non meno complesso. Per quello che riguarda la prima declinazione, il tratto saliente dato dalla sostituzione della desinenza del genitivo singolare in -AS con quello formato analogicamente sul modello del genitivo della seconda in -I. Di fronte a familias CIL I2 582. 12 (125 a.C.), si hanno I2 443 Fortunai 581 2 (186 a.C.) Duelonai. Una forma contaminata fra quella primitiva e quella nuova ha per risultato la desinenza -AES, p. es. Aquilliaes Aquilliae 1249. Un locativo superstite Romai 561. Ablativi con un -D analogico superstite sono sententiad 581. 8 (186 a.C.) e Hinnad 608 (211 a.C.). Dativi in -A paralleli a quelli maschili in -O sono Matuta 379 e Flaca 477225 . Dativi singolari e nominativi plurali in -AI (non ancora in -AE) sono I2 34 Menervai, 397 Fortunai Poplicai e rispettivamente tabelai datai 581. 29. Nel dativo-ablativo plurale abbiamo tre fasi: quella originaria in libertabus 1278; quella analogica rispetto alla seconda declinazione ma ancora dittongata in soveis suis 364; quella contratta ma non ancora allineata nella forma definitiva -IS, in manubies 635 (135 a.C.) e nuges 1861. Per quello che riguarda la II declinazione, la desinenza originaria -I del genitivo chiara fin dai documenti pi antichi cos per i temi in -O come per quelli in -IO: 453 Volcani 440 Aisclapi. Brutali introduzioni di falsi arcaismi sono 632 cogendei dissolvendei (145 a.C.) suei sui 583. 60 (123/2 a.C.). -D come desinenza di ablativo sin225

Vedi Peruzzi, sopra, cap. XI n. 8.

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golare superstite appare in Gnaivod I2 7, meritod CIL I2 33. Genitivi plurali in -OM, non ancora allineati con quelli femminili in -SOM si hanno in socium sociorum 581. 7, sovom 727 suorum (80 a.C.): ma la forma allineata gi documentata nel III secolo: duonoro bonorum I2 9. Nel dat.-abl. plurale si ha una forma ancora dittongata castreis 614 (189 a.C.) rispetto a quella contratta rostris 583.43 (123/2 a.C.) e una arbitrariamente arcaizzante suieis suis 2208. Nella terza declinazione si hanno i resti del gen. sg. in -OS -US invece dei normali in -ES -IS: 360 Diovos Iovis, 581. 7 nominus nominis, 730 regus regis. Nel dativo compaiono nella stessa iscrizione 12 1430, le tre forme successive della desinenza -EI -E -I: Iunone, Seispitei matri. Nellabl. sg. si hanno forme con e senza -D: per es. coventionid 581. 22 (186 a.C.), ma sanctioni 583. 56 (123/2 a.C.). Nei pronomi la fissazione travagliatissima, la situazione a lungo caotica. Importante solo la distinzione fra pronome interrogativo-indefinito e relativo in 581.3 sg. sei ques esent quei... deicerent, distinzione che la lingua classica dissolve nellunico plur. qui. Per quanto riguarda il verbo, la normalizzazione appare attraverso la eliminazione dei temi di congiuntivo sganciati da quelli normali di presente: in 499 c ancora antigas, in 583. 20 il normalizzato attingat. Nella formazione del perfetto ci sono tipi in -II, eventualmente in forma arcaica o arcaizzante -IEI, di fronte alle forme in -IVI che poi si affermano: tali i casi di petiei I2 15 e di quaesierit 583. 62 di fronte a conquaesiverit 583. 34 (123/2 a.C.); tali le forme in -IVI destinate a essere sostituite da forme in -UI, p. es. 638. 3 poseivei (132 a.C.) e cio posivi di fronte a 1545 posuit. Importante la sistemazione delle desinenze di 3a persona plurale in -ERE e in -ERONT, destinate a fondersi nel classico -ERUNT: 581. 3 si ha censuere, ma 581. 1 consoluerunt; 687 (106

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a.C.) coeravere, fecere rispetto a 675 (108 a.C.) coiraverunt fecerunt. Per quello che riguarda le forme nominali del verbo, particolarmente laboriosa la fissazione dellinfinito medio-passivo. Da una parte si hanno i resti della desinenza -IER in figier gnoscier 581. 27, avocarier abducier 583. 71; dallaltra le grafie arcaizzanti EI per -I p. es. solvei, mittei 584. 44 (117 a.C.). Per quello che riguarda gerundio e gerundivo, si trascina a lungo la coesistenza fra le forme del tipo -UNDOe quelle del tipo in -ENDO nelle coniugazioni III e IV. Precoci sono le forme exdeicendum, faciendam CIL I2 581. 3, 25 (186 a.C.); coesistenti reficiUndas sternEndas; 593. 26 (45 a.C.), cos faciUndum e claudEndam I2 1565; persistente come arcaismo giuridico, la formula iure dicendo ancora nel I secolo d.C. 57. Derivazione di parole Nella derivazione e nellinquadramento delle parole si hanno numerosi processi di assestamento, quale tribunale 593. 34 (45 a.C.) in confronto del normale tribunal, perch attratto dalla normale desinenza delle forme neutre degli aggettivi in -alis / ale. Pi vistosi sono gli assestamenti fra suffissi di significato connesso, parallelo o intersecantesi. Tali le sorti del suffisso -bilis, bene illustrate da J. Marouzeau226 che d vita ad aggettivi verbali senza che si possa dire se la sua vocazione primitiva quella della diatesi attiva o passiva: terribilis capace di atterrire mentre adorabilis meritevole di essere adorato. La fissazione linguistica non avviene cio su una base di coerenza grammaticale, ma come attraverso singoli con226 Marouzeau, Quelques aspects de la formation du latin littraire, Parigi 1949, pp. 37 sgg.

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gelamenti, troppo tardi per guidare la loro applicazione, troppo presto per poterla correggere e uniformare. Esuberanti sono le possibilit di derivazione di parole astratte sia di quelle derivate da aggettivi e in origine poco amate (astratti in senso stretto), sia di quelle derivate da radici o temi verbali, di largo uso anche preistorico, e dette pi propriamente nomi di azione. Antichi suffissi di astratto sono quelli in -tudo e in -ities, destinati a decadere presto, ma disponibili in occasione di ogni ritorno di mode arcaizzanti, anche nella et imperiale. La forma originaria dei nomi di azione, ormai irriconoscibile, era nelle lingue indeuropee segnalata dal suffisso -ti, come in lat. gens, oppure tussis. Questo stato ben presto ampliato nella forma -tio(n), per es. natio ratio. Accanto a questi si fa strada un terzo procedimento, pi legato a forme nominali del verbo, quelle dei nomi in -tura, mercatura, scriptura, textura. I nomi in -tio conservano in un primo tempo ancora la possibilit di essere costruiti come verbi, come negli esempi plautini manum iniectio227 hanc tactio il fatto di toccar questa, huc ventio il fatto di venir qui. un procedimento tuttora valido in italiano, in cui linfinito, anche costruito con larticolo e cio nettamente considerato come sostantivo, regge il complemento oggetto p. es. lamar la patria. Ma questo possibile in italiano solo perch in partenza larticolo determinava lintero sintagma lamar-la-patria. Con landar del tempo il valore nominale si accentua e un suffisso di derivazione come -tu si contrappone, con la sua natura fortemente nominale, a quello in -tio(n), come mostrano gli esempi di cultus regis comportamento del re, del tutto nominale, in confronto con cultio agri, formalmente nominale ma sintatticamente verbale
227

Ronconi, II verbo latino, Firenze 1946, p. 153.

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perch agri un genitivo oggettivo, che sostituisce un complemento oggetto. Per quello che riguarda la elaborazione dei verbi deponenti, il processo appare in corso attraverso la rinuncia progressiva alle forme attive di certi verbi, che nella et classica si riducono a deponenti esclusivi: tali amplecto, contemplo, laeto, pacisco228 . Infine, di fronte al processo per il quale i nomi di azione accentuano la loro natura nominale, linfinito accentua quella verbale. Nelle formule plautine ire dixi, aio scire, dare promitto, gli infiniti sono una specie di complemento oggetto perch equivalgono a dichiarai il fatto di andare, affermo il fatto di sapere, prometto un dono. Queste formule nellet classica avrebbero avuto bisogno, davanti allinfinito, di un soggetto allaccusativo me. 58. Assestamenti sintattici Nel campo della sintassi, lacquisizione pi importante di questo periodo data dalla organizzazione della ipotassi e cio della distinzione fra proposizioni principali e dipendenti. Le tappe successive, attraverso le quali il procedimento si afferma, sono le seguenti. La fase elementare appare attraverso lallineamento asindetico: nella iscrizione di Dueno si legge Dueno mi fece a fin di bene; a Dueno non ne vengano conseguenze spiacevoli. Allaltro estremo si legge presso Cesare veni vidi vici, in cui la elementarit sintattica agisce come fattore di forte espressivit. La seconda tappa rappresentata dai casi in cui si stabilisce un rapporto di correlazione; e cio le due proposizioni sono ancora su un piano di parallelismo, ma vengono a essere considerate come un grup228

Ronconi, op. cit., p. 16.

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po a s di fronte a tutte le altre, attraverso un segnale di collegamento virtuale o reale. Virtuale e cio equivalente a zero ad es. presso Plauto Miles 1378 ne me moneatis, memini ego officium meum non ricordatemelo, so il mio dovere. Il segnale di una certa quale opposizione o avversativit dato dal pronome personale ego rispetto al sottinteso vos della prima parte. Oppure Rudens 779 abi modo, ego dum hoc curabo recte va pure, intanto me ne occuper per bene. Lelemento dum vale qui come avverbio che limita la sua azione al verbo curabo, ma destinato a diventare segnale sintattico ben pi importante. Reale infine il segnale in Casina 421 quamquam hoc tibi aegre est, tam fac accures, anche se ti secca, cerca di fare per bene, in cui la correlazione rappresentata da quamquam contrapposto a tam, secondo il tradizionale parallelismo fra tema di interrogativo e di dimostrativo. La terza fase quella della criptoipotassi inclusa nelle forme nominali del verbo. Da un punto di vista storico si tratta di una situazione antica, in quanto le forme nominali del verbo sono di livello indeuropeo: tali gli esempi plautini Cistellaria 123 quae hinc flens abiit la quale se ne and piangendo in cui il participio presente sottintende una struttura ipotattica del tipo mentre se ne andava piangeva, oppure Casina 510 iani victi vicimus gi vinti, abbiamo vinto equivalente a una struttura ipotattica sebbene vinti, abbiamo vinto. La quarta fase si realizza, quando un elemento passa da una funzione di correlazione a un segnale di rapporto ipotattico, p. es. nel caso citato sopra del dum, che cessa di essere avverbio per diventare congiunzione temporale. Il quinto caso si realizza infine, quando la proposizione reggente abbandona il segnale di correlazione, e quello della dipendente diventa definitivamente congiunzione: tali le elaborazioni definitive dei passi della legge di Numa SI qui hominem liberum dolo sciens morti duit, ZERO paricidas esto. Oppure XII Tab. V. 4 SI intestato moritur cui suus

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heres nec escit, ZERO adgnatus proximus familiam habeto. La particella SI, da elemento di correlazione, diventata congiunzione condizionale subordinante vera e propria. A monte delle diverse congiunzioni subordinanti ci sono cio sempre temi di dimostrativi o interrogativi. Forte di questa strumentazione, il periodo latino approfitta in pieno della possibilit di articolarsi in forme sempre pi complesse, che trovano la naturale conclusione negli schemi ciceroniani. La complessit di rapporti, che cos si stabiliscono, conduce a un sistema di legami temporali fra i verbi delle proposizioni principali e dipendenti, che stato denominato consecutio temporum. Ma non si tratta di una conseguenza della elaborazione degli schemi ipotattici: il valore relativo dei tempi del verbo latino fa parte della sua struttura fondamentale da quando ha abbandonato il fondamento aspettuale, che era stato proprio della antichit indeuropea e si era conservato in greco. 59. Ulteriori squilibri sintattici Accanto alla struttura del periodo, la fissazione della lingua letteraria latina si avvantaggia della possibilit di avere forme rinforzate dei normali segnali morfologici mediante procedimenti sintattici. Nei Captivi di Plauto si legge a breve distanza: 359 sg. Praecipe quae ad patrem vis nuntiari, e al 40 sg. numquid aliud vis patri nuntiari? La importanza delle due costruzioni parallele durante questo periodo non rilevante. Lo diventa, se si pensa che le forme con ad, per il momento eccezionali, sono destinate a prendere sempre pi piede e finiranno per eliminare quelle di natura soltanto morfologica ( 100).

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60. Problemi lessicali Il carattere principale del vocabolario latino in questo periodo il suo arricchimento, conforme alle esigenze di una societ in via di trasformazione. Gli aspetti salienti sono essenzialmente due. Il primo sta nella consacrazione di un certo numero di metafore prese al vocabolario dellagricoltura: pecunia danaro da pecu bestiame; ager non solo pascolo e campo ma anche territorio; laetamen letame in quanto ci che allieta (la terra); locuples ricco (di terra); frugi buono (da frutti); egregius scelto dal gregge; rivalis rivale e cio confinante sul canale di irrigazione; delirare delirare e cio uscire dal solco; impedire (ostacolare) il piede; peccare agire (difettosamente) col piede. Per misurare quanto la tradizione latina fosse aliena dalle parole astratte rispetto alla nostra sensibilit, basta allineare alcune formule di fronte al nostro lo appresi nella giovinezza si dice in latino adulescens didici. Un passo degli Adelphoe di Terenzio 987-990 contiene una formula, in cui si afferma che qualcosa non avviene ex aequo et bono, sed ex adsentando indulgendo et largendo attraverso la equit e lonest, ma attraverso la condiscendenza la comprensione e la premura, cio quello che per noi rappresentato da astratti il latino indicava con aggettivi o gerundi229 . Tuttavia le strutture formali irradianti dai nomi dazione esistevano e a un certo momento, in connessione con la elevazione del livello intellettuale della societ si apr la strada ad esse. Uno dei veicoli fu il processo di personificazione, che irradi da ambienti religiosi: Pallor Pavor ebbero templi secondo Livio (I 27.7). Lucrezio (III 65) ricorda Turpis enim fere Comptentus et acris Egestas; Orazio (Odi 1. 24. 6) pudor ac iustitiae soror, incorrupta Fides nudaque Veritas.
229

Marouzeau, op. cit., p. 111.

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Ma la spinta decisiva in questa direzione dipese da un altro fattore, poderoso, del quale ora che ci occupiamo, il grecismo

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Capitolo tredicesimo Il grecismo

61. Il quadro culturale Attraverso lo scioglimento della lega latina, il 338 a.C. rappresenta linizio della ascesa romana come potere politico in Italia. La ripresa di contatti col mondo greco tarda ancora alcuni decenni. Ma con la fine delle guerre sannitiche, la rottura del trattato con Taranto (303), lentrata di una guarnigione romana a Turio (285), la sottomissione di Taranto (272), la Sicilia provincia romana nel 241, ecco che, sia pure con il ritardo di qualche decennio si aprono le cateratte per la penetrazione di elementi linguistici greci, dopo la lunga interruzione. Cos pure, tutto quello che segue pi tardi, la sottomissione della Grecia nel 146 a.C. e del regno di Pergamo (132) la conseguenza diretta di una spinta non pi arginata. La ripresa di un culto greco si inizia con quello di Esculapio (293), che attestato nella iscrizione CIL I2 440, nella forma Aisclapi ( 56). Il carattere fondamentale del grecismo di questo tempo che agisce a tenaglia, dagli strati pi alti e insieme da quelli pi bassi. Dei primi sono segni i soprannomi greci che prendono uomini come Sempronio Sophus console nel 304 o Furio Philus, console nel 223; dei secondi, le moltitudini di schiavi, dalle origini pi varie ma accomunati dalla lingua duso universale, la greca230 . Le interiezioni, largamente diffuse gi in et plautina sono la migliore testimonianza di questa pressione dal basso: heia, euge, eugepae, pax, papae, euax, attat pol231 .
230 231

Marouzeau, Trait de stylistique, cit., p. 128. Marouzeau, op. cit., p. 131.

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62. Ladattamento fonetico Ladattamento delle parole greche tende a essere pi fedele. Da un antico grecismo senza aspirata *ampora era stato tratto il diminutivo ampolla. Ma, in questo secondo strato, il greco amphores, appare, con la aspirazione, nel lat. amphora. Il tipo colapus, senza aspirata, sopravvive nascosto nel latino volgare e riappare nellit. colpo, ma, nel latino classico, si afferma colaphus con la aspirata. Qualche testimonianza epigrafica senza aspirazione si CIL I2 681, Antioco continua: pilemo dal gr. Philmon rispetto al gr. Antokhos 12 12; accanto a Achaia CIL I2 626 si ha ancora Corinto. Ma la aspirazione diventa la regola: si ha al posto di triumpe, triumphus e cos phaselus, scapha, aether, thermae, schola, athleta, cithara, spatha dilagano. Dalla met del II secolo, la questione regolata. Al posto della U come specchio del greco Y, come era stato nel caso di purpura (dal gr. porphra), talvolta aperta sino a O come in ancora (dal gr. nkyra), si introduce la Y, destinata poi a confondersi con la I. Si hanno le forme symbolus, syngraphus, symphonia, symposium, myrtus, papyrus. Solo certi gruppi di consonanti sono risolti attraverso una vocale anaptittica, p. es. techina dal gr. tkhn e, drachuma dal gr drakhm, e cos mina da mn, Alcumena da Alkmn e. Finalmente anche il suono z accettato dopo ladattamento precedente in s o ss. A un primo livello il banchiere era il tarpessita di fronte al greco trapezt es, mentre in tempi posteriori si ha la trapezita.Su questa scia si affermano oriza riso, zona cintura, zephyrus vento occidentale. La sensibilit per la aspirazione penetra in parole anche non greche: si fissa stabilmente nel caso di pulcher232 ; appare occasionalmente, con esagerazione ingiustificata, nel caso di lachrymis I2 1222 o sepulchrum 1225 ( 42).
232

Sommer, Handbuch, cit., pp. 199 sgg.

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63. La morfologia Nel campo della morfologia, le conseguenze del grecismo sono meno vistose. Nelladattamento alle declinazioni, il livello inferiore agisce pi energicamente, e di un tipo greco kratr fa un tema della prima declinazione latina cratera, craterra coppa. Nello strato sociale superiore si mantiene pi fedele e d vita a un lat. crater, inquadrato nella stessa declinazione della greca. Dal punto di vista delle desinenze, si possono avere esempi di parole greche che mantengono legami con la declinazione greca originaria, per es. la forma di accusativo aera presso Ennio Ann. 148. Nei processi di derivazione di parola, viene precocemente accolto il suffisso greco -izo, tipico dei verbi denominativi, in un primo tempo latinizzato in -isso: per es. in badisso, cyatisso e, particolarmente importante, moechisso, perch non esiste il modello di verbo greco ma solo il sostantivo moikhs (lat. moechus adultero), da cui, mediante un suffisso greco, stato derivato il verbo latino. Sul piano morfologico, il contrasto maggiore si realizzato per quanto riguarda la composizione nominale. Questa era presente e vitale nel mondo indeuropeo, ma in Italia e nel latino arcaico era stata fortemente danneggiata dalle raffiche di accento intensivo ( 40) che avevano tolto la possibilit di riconoscere gli elementi costitutivi della parola: in hospes nessuno era in grado di riconoscere pi i due elementi costituitivi HOSTI e POTI. In greco, i composti avevano conservato invece la loro vitalit intatta, e questa appariva ai Romani come qualcosa di francamente straniero. Plauto, accanto ai modelli che gli derivavano dalla commedia greca, presenta la composizione nominale anche sotto forme scherzose, proprio sottolineando con questo la sua esoticit. I versi 702 sgg. del Persa plautino sono significativi: vani loquidorus, virginesvendonides= =nugiepiloquides, argen-

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tumextenebronides= =tedigniloquides, nugides, palponides= =quodsemelarripides, numquameripides. La satira non colpisce solo il passo e il personaggio ma lintiero procedimento morfologico della composizione. Anche la apofonia vocalica ( 47) aveva contribuito a rendere la composizione nominale difficile: tuttavia, sostituendo alla caduta delle vocali interne la I (e, in sillaba chiusa, la E), aveva fornito uno strumento che permetteva di mantenere distinti e insieme collegati i due elementi costitutivi di una parola composta: di fronte a sacerdos difficilmente analizzabile, sacrilegus era analizzabile; cos iuridicus rispetto a iudex; cos primigenius rispetto a princeps; e cos agricola, che non divenuto *agercola, pontifex municeps, che non sono divenuti *ponfex, *munceps. Non appena la esoticit del procedimento fu superata, ecco che il latino pot sviluppare le sue possibilit interne e fornire tipi come angiportus, pedisequa gi plautini, e carnufex, furcifer, caelipotens e i composti tipici dei frammenti poetici di Cicerone altitonans, altisonus, horrificus, aurifer, ignifer, levipes, e cos via. 64. La sintassi Sul piano sintattico, non ci sono da principio fatti paragonabili per importanza. Tuttavia, dal punto di vista del meccanismo interno, ecco che il problema delle forme nominali del verbo, e in particolare dei participi, si ripresenta. I participi, di tradizione indeuropea, avevano permesso nelle origini, una forma ridotta di subordinazione, connessa alla loro natura intermedia fra verbo e nome. Limpoverimento delle forme nominali del verbo, dal punto di vista della loro variet, e il conseguente dilagare della paratassi asindetica, avevano svalutato anche le forme sopravvissute. Ora, sulla base di modelli greci, ecco che Ennio mostra esempi di partici-

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pi con piena capacit di sostituire proposizioni subordinate p. es. Ann. 77 sg.: curantes magna cum cura, tum cupientes-Regni, dant operam simul auspicio augurioque; oppure Ann. 270 sg.: Haud doctis dictis certantes nec maledictis-Miscent inter sese inimicitias agitantes. 65. Il vocabolario Naturalmente il lessico che fa la parte del leone nellimprimere al linguaggio dItalia nei secoli III-I una svolta233 ( 43). Al di l delle singole parole, che si impongono isolatamente come fatti di forza bruta, soprattutto nelle classi inferiori, fra gli uomini di lettere il problema si presenta in forma complessa. Livio Andronico traduce nel primo verso dellOdissea il greco poltropos con versutus. una traduzione ineccepibile, che non pone problemi lessicali e nemmeno morfologici: versutus non parola composta. Il problema nasce allombra di un certo ritegno, quando Ennio affianca alla parola greca la traduzione, per es. Ann. VII 218 Sophiam sapientia quae perhibetur, o quando Afranio v. 299 Sophiam vocant me Grai, nos Sapientiam. Ci sono i casi in cui la parola greca non trionfa, ma si tiene in riserva per sottolineare una certa solennit: aether si impone, ma non soppianta caelum. Si pone a questo punto il problema dei calchi, sia di significato sia anche di forma. Come calco di significato, assistiamo allo stabilirsi per convenzione di una equivalenza fra il greco tchn e e il latino ars; fra il gr. lgos e lat. ratio; tra il gr. phsis e lat. natura; o anche, addirittura di humanus, come equivalente del gr. philnthropos. Cos causa per gr. aita; locus per tpos. Calchi formali, che superano elegante233

Palmer, op. cit., pp. 81 sgg.

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mente anche la difficolt della composizione, sono convenientia per homologa; aequilibritas per isonoma: medietas per mestes; mulierositas per philogneia; providentia per prnoia infine qualitas tratto da qualis, come gr. poit es da poos. Neanche nei momenti di maggior successo i grecismi si trovano per in condizione di vera parit. Sono ammessi pi nella lingua famigliare, nei dialoghi, negli epistolari che nelle opere letterarie e documenti ufficiali. Allinterno delle opere letterarie, sono accolti pi facilmente in poesia che in prosa; pi nella poesia comica che nella tragica o epica. Nelle opere filosofiche, viceversa, il grecismo pu imporsi come necessit tecnica. Non possibile fare liste eccessive di unit lessicali di origine greca. A titolo di saggio, allineo qui termini attinenti al mare: phaselus lembus scapha prora anquina nauta proreta pirata; campsare doppiare, exantlare, pausa (dei rematori), malacia bonaccia, nausea mal di mare, pontus pelagus oceanus isthmus petra antrum spelunca, thalassicus (da gr. thlassa mare) cumatilis (da k yma onda), infine i nomi dei venti: aura, eurus, notus, boreas, zephyrus. Dal commercio: emporia danista symbolus carta di identit, syngraphus biglietto, dica assegnazione, arrabo pegno, poena multa; poi le monete nummus mina talentum obolus; statera peso; recipienti come cupa cista saccus canistrum. Esempi di vegetali sono malum (anche melum), castanea, cerasus, platanus, papyrus, charta, sesamum, sinapis, oriza, tus.

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Capitolo quattordicesimo Laccento

66. Sua sede In tutto il periodo precedente, laccento cittadino aveva cercato di difendere la sua natura originaria, ma aveva dovuto subire due cose: le folate di una intensit esterna, che aveva introdotto alcune drastiche sincopi ( 40) e, dopo la fine della monarchia, il passaggio dalla libert primitiva alla fissazione sulla prima sillaba, come provano i fatti di apofonia ( 47). Ma neanche questa accettazione condusse a un assetto definitivo e, alla fine del IV secolo, esaurito il periodo della azione apofonica, il latino si trovava privo contemporaneamente e della consapevolezza dellaccento storico e di una solida sostituzione automatica come quella dellaccento iniziale generalizzato. Nasce cos, da questo vuoto di potere, laccento (rimasto poi stabile nelle parole sopravvissute al passaggio dal latino allitaliano), che dipende dalla quantit della penultima sillaba. Se questa lunga, prende laccento su di s, mentre se breve, lo respinge sulla sillaba precedente. Il fatto che non si trovi mai, pi indietro della terzultima sillaba, ha fatto credere a una analogia col greco e alla applicazione di una cosiddetta legge delle tre sillabe234 . La analogia non esiste. In greco si tratta dellaccento indeuropeo, sottoposto a restrizioni nella sua libert, e condizionato negativamente, nellambito delle TRE ultime sillabe. In latino si tratta della applicazione di una disciplina nuova, che impone dallesterno una regolamentazione attiva sulla penultima,
234 Stolz-Leumann, Lateinische Grammatik, Monaco di Baviera 1918, pp. 181 sgg.

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OPPURE sulla terzultima sillaba. Il latino riceve un accento nuovo. Al fine di insistere su una interpretazione della natura dellaccento latino, in armonia con gli indizi precedenti di una sua natura intensiva, sono stati fatti studi per provare che nella prosodia si sarebbe verificata una certa tendenza a far coincidere la sede del tempo forte del verso con la sede dellaccento di parola. Un illustre filologo tedesco, Edoardo Fraenkel, ha dedicato al problema tutto un libro235 . La ampia recensione del suo antico compagno di stud Giorgio Pasquali236 ha ristretto di molto la portata di queste coincidenze, e ha fatto notare che il tempo forte del verso rifugge pi che altro dal coincidere con la sillaba finale delle parole. Questo significa non gi che il tempo forte coincida automaticamente con la sillaba accentata, ma solo che la parola ha delle frontiere chiaramente percepite, nette, e che la finale non si presta a essere il centro ritmico di un piede. Che i due movimenti siano del tutto indipendenti, provato dal fatto che il ritmo si libera di tutti questi freni, non gi in corrispondenza di un indebolimento dellaccento ma viceversa quando, come ai tempi di Orazio, laccento latino si avvicina al periodo in cui manifester sempre pi chiaramente la tendenza a intensificarsi e ad accentrare la sua azione sul resto della parola. 67. Scarsa capacit accentratrice Si hanno a questo punto le prove che non solo la sua attivit accentratrice scarsa ma che questa, allatto di passare dalla fase preistorica a quella storica, si indebolisce ulteriormente. Le prove sono due. La prima sta nella brusca vocalizzazione della sonante del tipo MEDHYO-,
235 236

Iktus und Akzent im lateinischen Sprechvers, Berlino 1928. Rivista di Filologia classica, 58, 1930, pp. 157-188.

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che in tutte le lingue indeuropee bisillabico. Ma, in latino, medius invece, come si visto al 55, trisillabico, e questo non pu essere accaduto se non attraverso il rilassamento della capacit accentratrice dellaccento di parola. Cos avviene in tutte le serie costituite da consonante seguite da J: capio venio prendo vengo sono parole trisillabiche. Il secondo esempio dato dalla vocale anaptittica, che viene a dividere i gruppi di consonante+L: STABLOstalla diventa stabulum, TABLA diventa tabula tavola, POKLO- diventa poculum bicchiere. Non appena si manifester laccento di intensit ( 87) si verificher un movimento opposto: una delle prime conseguenze sar laccentramento della parola sotto laccento e il conseguente indebolimento e caduta della vocale atona interna. Il processo di decentramento stato dunque una fase nello svolgimento delle strutture del latino, una fase che corrisponde alla sua et classica. Rimane dubbio se questa fase ha colpito lintero spessore del sistema linguistico, oppure solo i suoi strati superiori, pi delicati e sensibili. Il diverso trattamento, che si constata nella sorte di spat(u)la assimilata nellit. spalla, e in spec(u)lum che viene dissimilato nellit. specchio, lascia il dubbio, che la ascendenza dellit. Specchio sia stata quella non gi di un volgarismo relativamente recente come quello biasimato da Probo ( 87), ma sia larcaismo SPEKLOche gli strati inferiori della popolazione hanno rifiutato di sottomettere alla anaptissi suggerita dallalto. 68. Abbreviamento giambico La sistemazione della eredit precedente non si esaurisce nella accettazione di un accento nuovo, meccanico. La sistemazione doveva consistere nel tradurre in termini ritmici quello che era stato lequilibrio determinato dalla

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applicazione della apofonia e delle sue conseguenze indirette. Nel campo della formazione delle parole, era rimasto, anche dopo la cessazione della attivit apofonica, un modello di formazione delle parole, per il quale, anche in et classica, si continuava a trovare normale che il composto agri-cola, di chiarissima analisi, continuasse ad avere la I al posto della vocale tematica O, perch cos era stato imposto dalla regola della apofonia ( 47): la quale non ammette nella sillaba posteriore alla iniziale se non la vocale I in sillaba aperta e E in sillaba chiusa. Solo con lavvento dei grecismi superata questa prevenzione contro la vocale interna, con particolare attenzione per quella posta in seconda posizione. Se si considera accettabile la eventualit che in un composto nominale la vocale tematica NON dovesse essere di maggior sonorit della vocale iniziale, non si dovr rimanere sorpresi se qualche cosa di parallelo si verifica ora anche dal punto di vista delle serie ritmiche. In termini ritmici, dato uno schema di parola composta oppure di formula costituita da quattro sillabe, ecco che la prima coppia pu ammettere quattro casi diversi: di essere cio trocaica spondaica , pirrichia oppure giambica . Ebbene, una serie trocaica spondaica o pirrichia non urta contro la tradizione risultante dalla apofonia, perch in nessuno dei tre casi la seconda sillaba ha rilevanza ritmica superiore a quella della prima. Nel caso della serie giambica invece il secondo elemento, per il fatto di essere lungo, prevale sul primo. Questa prevalenza non pu essere tollerata dal sistema, e cos interviene quella che stata detta la legge dellabbreviamento delle serie giambiche: mal e diventa mal e, mod o diventa mod o , ben e diventa ben e, ab diventa ab . Analogamente labbreviamento si verificato l dove si hanno formule che costituiscono ununit ritmica come

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in male dicere, bene facere, cito venire237 . Anche allinterno di parola, senza che intervengano analisi morfologiche, labbreviamento rimane una possibilit a disposizione dei poeti come v ol uptates, i uv entute; possibilit di cui Plauto ancora si vale, e che poi sono invece lasciate progressivamente cadere ( 83). La regola dellabbreviamento giambico stata usata come prova in favore della prevalenza di intensit propria dellaccento che la avrebbe determinata238 . da obiettare che, se fosse dipeso dalla natura dellaccento, a maggior ragione si sarebbe manifestata in favore della trasformazione di una serie spondaica in trocaica: il che non avviene. 69. Schemi ritmici in prosa Al di fuori di queste deviazioni ben delimitate, la sensibilit quantitativa assai affinata. Cicerone De oratore III 196 afferma che la minima irregolarit quantitativa suscita la reazione degli ascoltatori; nellOrator 48. 159, invita a fidarsi tranquillamente dellistinto uditivo, che non falla nel riconoscere le distinzioni di quantit. La successione di sillabe lunghe e brevi d vita al ritmo del verso, che pertanto in perfetta armonia con la capacit dellascoltatore a percepirlo239 . Teoricamente la prosa non deve stabilire legami col ritmo. Ma, indipendentemente dal fatto che un verso di Ennio pu venire trasportato in un contesto di prosa storica, anche la prosa pu essere influenzata da modelli o ideali ritmici, e, per quanto riguarda il latino di questo tempo, verosimile che la
237 Vedi la mia Geschichte der Sprache Roms, Heidelberg 1968, p. 104. 238 Sommer, Handbuch, cit., p. 93; Palmer, op. cit., p. 213. 239 Cfr. De Groot, Handbook of Antique Prose Rhythm, Groninga 1919.

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moda sia irradiata dalla Grecia. La penetrazione dei fattori ritmici nella prosa si concentra nelle parti finali delle proposizioni o clausole. Gli schemi preferiti possono essere vari. Cicerone ama il ditrocheo , il dicretico , il doppio spondeo , il cretico pi spondeo e altre ancora. Il peso degli schemi ritmici tale che possono imporre il congiuntivo al posto dellindicativo o viceversa: per esempio esse videatur col congiuntivo preferito a esse videtur con lindicativo, mentre dicere aidetur con lindicativo preferito a dicere videatur col congiuntivo240 . 70. Natura dellaccento Sono infine da considerare, per quanto riguarda la natura dellaccento, le testimonianze dirette degli antichi. Esse devono essere prese in considerazione con spirito critico s, ma NON con la sistematica diffidenza, con cui si esprime ad esempio L. R. Palmer, quando li considera slavish imitators of Greeks241 . I passi fondamentali sono tre. Il primo di Varrone ed arrivato a noi attraverso Servio242 . Secondo Varrone, nellaccento si deve distinguere la materia che la voce, la sede che la sillaba, la natura che pu essere volta al basso oppure allalto. Se tutte le sillabe sono pronunciate a pari altezza, non c nessuna prosodia. La voce come materia dellaccento ha tre dimensioni, la lunghezza (o quantit), la altezza o musicalit, infine lo spessore, che pu essere anche enfasi, aspirazione o intensit. Che la voce, in
240 Vedi la mia Geschichte, cit., p. 143 e cfr. la chiara esposizione del Palmer, op. cit., pp. 130 sgg. 241 Palmer, op. cit., pp. 211. 242 De accentibus, IV, p. 525, 18.

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quanto materia di accento, conosca laltezza musicale, non c dubbio. Il secondo passo di Nigidio Figulo, contemporaneo di Varrone. Esso riferito da Gellio243 e considera soltanto la differenza musicale che passa tra la pronuncia del nome Valeri, quando si interroga (e si ha un tono pi alto nella seconda sillaba) e quando invece si chiama (allora il tono pi elevato sulla prima sillaba). La terza prova di Cicerone. Egli afferma (Orator 18.58) che la natura, quasi per modulare il parlare degli uomini, ha posto in ogni parola una voce acuta; nellOrator (17.57) che la natura della voce con le sue tre modulazioni inflessa acuta e grave, cosa mirabile; infine che la natura ha collocato nel nostro orecchio la possibilit di distinguere voci acute e voci gravi. A queste testimonianze positive va aggiunta una argomentazione di ordine negativo, dovuta a G. Pasquali244 . Lenfasi delloratoria di stile asiatico risultava spiacevole allorecchio romano perch, come dice ancora una volta Cicerone245 , dava limpressione di un canto (fuori posto). Ma nessun romano ha mai avuto loccasione di criticare il canto di quelli che parlavano il greco normale, evidentemente perch il canto, inscindibile dalle lingue ad accento musicale, era presso i Romani lo stesso che per i Greci e quindi quello di questi ultimi doveva passare inavvertito. Nonostante la dottrina e le seriet delle argomentazioni in favore della intensit dellaccento nel latino dellet classica quali sono state svolte da V. Pisani246 o R. L.
Notti attiche, XIII, 26.1. Rivista di Filologia classica, 58, 1930, p. 185. 245 Orator, 8.27. 246 Pisani, Grammatica latina, 3 ed., Torino 1962, p. 11 con bibliografia.
243 244

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Palmer247 , perci raccomandabile la tesi opposta della musicalit dellaccento latino, non solo, ma della sostanziale continuit della tradizione dellaccento indeuropeo, quale stata esposta ad esempio da J. Marouzeau248 .
247 248

Palmer, op. cit., pp. 211 sgg. Trait de stylistique, cit., p. 64.

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Capitolo quindicesimo Let classica

71. La buona consuetudine La fissazione linguistica non soltanto un fatto di epurazione da incrostazioni rustiche n di semplice assestamento interno. Per il fatto che Roma guadagnava prestigio, esercitava unattrazione sempre pi lontano, favoriva lafflusso di unit culturali e di utenti di lingua stranieri. Questi avevano contemporaneamente la aspirazione a una unit superiore e portavano insieme elementi e gusti divergenti e nuovi. Solo la fissazione di ununit culturale superiore condiziona consente o promuove la ricerca di una base linguistica unitaria. Lunit culturale si pu considerare raggiunta con Ennio e Plauto e cio alla met del III secolo a.C. In questa unit confluiscono dalle regioni pi diverse, oltre Plauto umbro e Ennio salentino, Livio Andronico da Taranto, Nevio campano, Terenzio addirittura africano. Le nozioni e i gusti che ne derivano sono in diretta relazione con le esigenze contrastanti che si fanno sentire. Larcaismo come gusto letterario e come realizzazione linguistica viene respinto in genere nel mondo letterario. Nella tradizione epigrafica, legata al formalismo e allimmobilismo insito nelle formulazioni giuridiche arcaismi, autentici o anche falsi, mantengono le loro posizioni, recitano una parte. Il rusticismo viene respinto. Ma la urbanit non nasce soltanto da una operazione negativa. Essa si svolge attraverso criteri concret, non abbandonati a occasionale eclettismo, ma legati a una ricerca di sensibilit gentilezza e ritegno. Il fabbisogno lessicale immenso. Lucrezio, ancora nel I secolo a.C., deplora a pi riprese la sermonis

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patrii egestas249 , la povert dellidioma patrio. Ma, non diversamente che per il grecismo, la ricerca dei neologismi sempre vagliata e selezionata, non cade in facilit incontrollate, almeno per quanto riguarda la lingua letteraria. Diversa la situazione negli strati sociali inferiori o nel parlare famigliare delle persone colte, perch in questi casi non si tratta di ricerca voluta, ma di elementi stranieri, che si offrono o si impongono per forza propria. La definizione di questa prudenza, attuata prima che elaborata razionalmente, si identifica in quella che Cicerone ha chiamato la bona consuetudo, la buona consuetudine250 . 72. Le dottrine grammaticali Accanto a questi indirizzi, pi che altro istintivi, comincia a poco a poco a farsi sentire il desiderio, se non la necessit, di una dottrina quale i modelli greci offrivano. La impostazione di una dottrina grammaticale, fino ai tempi di Platone, appariva presso i Greci come potenzialmente duplice. Quello che presso Platone era la ipotesi di una lingua come nmos legge o convenzione, ha dato vita al concetto di analogia. Quello che, presso Platone, era stato definito come creativit o enrgeia della lingua, ha dato vita alla dottrina della anomalia. Come dottrina grammaticale la analogia si svilupp soprattutto ad Alessandria di Egitto, nella scuola di Aristarco; la anomalia fu elaborata nella scuola di Pergamo, e fu fatta conoscere a Roma da Cratete di Mallo, arrivato prima della met del II secolo a.C. Delluna e dellaltra si mostra bene informato Varrone251 . I due princip insiti in qualsia249

De rerum natura, I 139, 832, III 260. Brutus, 74, 258. 251 Varrone, De lingua latina, libri 8-10.
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si sistema linguistico, sono validi anche per la linguistica moderna, che ne deve accettare la co-esistenza. Grande seguace della analogia fu in Roma Cesare: il quale ad esempio preferiva, per indicare il fiume, un termine come flumen, che si inseriva in una lunga serie di altri termini uscenti in -men, piuttosto che i sinonimi fluvius oppure amnis, che non avevano forme analoghe cui confrontarsi. Analogamente la parola mortuus, con la sua parte finale caratterizzata dai due U, gli pareva accettabile solo come aggettivo. Aveva difficolt a usarla come participio, in quanto si rifiutava a un confronto con tutti gli altri particip, che uscivano in -tus, con una U sola252 . 73. Le anomalie La fissazione della lingua letteraria, raggiunta dopo un travaglio cos complesso, anche senza il rinforzo di una motivazione dottrinale come quella analogica, doveva portare a una posizione di resistenza o addirittura di rifiuto di fronte a nuove tentazioni centrifughe che potessero sopraggiungere. Vale la pena di illustrarne due. Il primo problema riguarda la pesantezza dellaccento che viene suggerito da un passo di Cicerone nel Brutus (259), relativo a pronunce risonanti, richiamanti qualcosa di agreste o rustico. Il carattere opposto che merita lode, agli occhi di Cicerone, la levit o subtilitas, la suavitas, la lenitas vocis, come appare nel De Oratore III 42 sgg. Secondo il Marouzeau253 questa pesantezza, questa pienezza di suono dovrebbe essere spiegata con labbondanza dei dittonghi, propria del parlare arcaico, opposta alla compostezza normale dellet ciceroniana. Ma
252 253

Cfr. la mia Geschichte, cit., p. 135. Marouzeau, Trait de stylistique, cit., p. 12.

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questo impossibile, perch, come stato visto sopra, la rusticit ha sempre coinciso con la precoce fusione e cio leliminazione dei dittonghi. Questa pesantezza ed eccessiva risonanza si spiega invece molto bene se viene connessa con la pesantezza dellaccento di intensit, proprio delle aree periferiche e rustiche, rispetto alla cinta urbana di Roma. Questa pesantezza, propria delle aree umbra sabina etrusca, oppure fino a tutta let ciceroniana, destinata a imporsi a partire dagli inizi dellet imperiale, in seguito alla diffusione del latino per tutta Italia e alla sua sovrapposizione a strati linguistici, caratterizzati ormai in gran parte dallaccento di intensit ( 80). Oltre la pesantezza, viene poi condannata la aspirazione, che Cicerone ammette solo in alcuni esempi di eccezione: tali pulcher triumphus Cethegus. Ma le forme aspirate, piuttosto che rusticismo, rispecchiano particolarit arcaiche o regionali di alto livello. Lo svuotamento della aspirazione come relitto di strati di lingua anteriori definitivo (v. sopra). Proprio perch in ambienti chiusi la aspirazione agiva per esempio in Etruria, ecco che si spiegano civetterie come quella che Catullo nel carme 84 rimprovera a tale Arrio, che pronunciava cHommoda per commoda e hinsidias per insidias. 74. La selezione lessicale La barriera repressiva non si arresta di fronte ai problemi del vocabolario. Prima che al rigore dei significati e alla opportunit di sottili distinzioni semantiche, le parole che appaiono pi o meno sinonimiche sono sottoposte a un vaglio sociale. Un esempio famoso stato additato da Eduard Norden254 a proposito della serie quadruplice di sinonimi attinenti alla nozione di congiurare,
254

Antike Kunstprosa, 3 ed., Lipsia 1915-1918, p. 190.

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contenuti nel testo del Senatoconsulto dei Baccanali (CIL I2 581): coniurare, conspondere, convovere, compromittere. Ebbene, di queste quattro unit lessicali soltanto la prima, coniurare, stata ritenuta meritevole di essere continuata nelluso dellet classica, non per ragioni tecniche ma per il livello sociale superiore che le veniva riconosciuto. Contro larricchimento del vocabolario, quale appariva necessario ad esempio, a Lucrezio, ecco che la censura sociale introduce un fattore che s di selezione ma anche di povert. In questo ritegno Cesare e Cicerone, cos diversi per temperamento e sensibilit, si trovano accomunati. La preferenza di Cesare, che, tra i sinonimi perfugere e trasfugere per disertare, sceglie il primo e mai il secondo (come fa Cicerone), rimane ai nostri occhi priva di motivazione; absumere dissipare si trova presso Cicerone, mai presso Cesare; analogamente ci appare immotivata la preferenza data a externus rispetto a extraneus nel significato di straniero. Una esigenza soggettiva classistica, selettiva, e per ci stesso impoverente, ha la meglio sulla esigenza funzionale, volta allarricchimento. un tratto del linguaggio dItalia che si far sentire per tutta la sua storia fino si pu dire ai giorni nostri. 75. La tradizione nascosta Le preoccupazioni selettive, appoggiate a una dottrina coerente e a una analoga sensibilit, hanno potuto dare stabilit e armonia alle strutture del latino nel senso dello spazio come in quello del tempo. A prima vista, non siamo in grado di rispondere alla domanda, se sono penetrate in tutto lo spessore (sociale) del sistema. A una indagine pi approfondita si ha la prova che, anzi, questa penetrazione non avvenuta. In un interessante lavoro

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dei primi anni del secolo, uno studioso tedesco, Marx255 , ha richiamato lattenzione su elementi linguistici che si trovano documentati nellet arcaica, poi sembrano essere stati dimenticati, e invece riappaiono in et tarda. Una parola come canutus canuto parola plautina che scompare per tutta la et classica, ma poi ricompare pi tardi negli Acta Andreae et Matthiae256 del secolo VI d.C.; minaciae si trova presso Plauto e presso Arnobio, non nellet classica. La costruzione con quod ( 85), che presuppone il passaggio alla sintassi romanza, priva del costrutto dellaccusativo con linfinito, non una novit del latino volgare: si trova nel latino di Plauto e in un testo anonimo, il Bellum hispaniense attribuito a Cesare257 . Fabulantur invece di loquuntur si trova presso il commediografo Titinio ai primi del II sec. a.C., poi scompare, per riapparire in aree periferiche come la Spagna e il Friuli, dove sopravvive nelle forme fonetiche moderne di sp. hablar e friulano favel, mentre in Francia e nel resto dItalia gli si sovrappone PAR(ABO)LARE, it. parlare. Quaero nel senso di voglio si trova presso Terenzio nel II sec a.C. e poi alla base del latino volgare in Spagna. La declinazione di arva -ae invece di arvum -i, appare presso Nevio e Pacuvio in et repubblicana, e poi soltanto presso Venanzio Fortunato e nella Bibbia (Itala), nella seconda met dellet imperiale; cos castra -ae, invece di castra -orum accampamento si trova presso Accio in et repubblicana e poi solo nella Bibbia. Esempio diverso di una vita per cos dire sotter255 Marx, Beziehungen des Altlateins zum Sptlatein, Neue Jahrbieher, 23, 1909, pp. 434 sgg.; Ronconi, Maia, 9, 1957, pp. 7-35. 256 Blatt, Die lateinischen Bearbeitungen der Acta Andreae et Matthiae apud anthropophagos, Giessen e Copenaghen 1930, pp. 190 sgg. 257 Ed. Pascucci, Firenze 1965, pp. 207, 356.

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ranea FORBEX, che non documentato, perch in tutta la tradizione latina si usa la forma, di origini rustiche, forfex: eppure deve essere esistita, perch litaliano forbice lo esige. Analogamente MACINA rappresenta la forma pi genuina del greco makhan ( 43). Ma questo nellet classica stato sostituito da una forma pi aderente, quale il latino classico machina, a sua volta rappresentato in italiano da mcchina. Litaliano macina esige una spiegazione indipendente fin dai tempi pi lontani dellarrivo della parola greca in Italia ( 51). Limmagine metaforica adoperata dal Marx richiama un fiume che gela in un certo periodo del suo corso, mentre al di sotto dei ghiacci continua a scorrere la corrente originaria. In questa immagine c del vero. Ma quello che determina la continuit fra testimonianze arcaiche e testimonianze tarde non sta nel fatto che ci sia stata una corrente sotterranea a congiungerle. stato esattamente lopposto, la immobilit. Per questo mi sembra migliore laltra immagine, quella del tronco dalbero, che nella sua stagione doro si copre di foglie, di fiori, insomma di vegetazione, come la lingua latina si adorna nel suo periodo doro di forme e caratteri nuovi, che nascondono il tronco. Quando la stagione passa e la vegetazione diminuisce e scompare, ecco che il vecchio tronco riappare non del tutto immutato, ma pure riconoscibile continuatore di quello che era stato visto prima. una prima prova, per il linguaggio dItalia, di resistenza e continuit.

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Capitolo sedicesimo Il latino in Italia

76. Le colonie Lunificazione linguistica dItalia si compie in circa tre secoli, dallo scioglimento della Lega latina fino alla legge Giulia del 90 a.C., che conferisce la cittadinanza fino al Po, e alla legge Pompeia dell89, che conferisce fino alle Alpi la cittadinanza latina, finch nel 49, per opera di Cesare, viene estesa fino alle Alpi, la romana. Non si tratta di una espansione a macchia dolio. Durante i tre secoli lunit linguistica stata preparata da una quantit di focolai isolati, le colonie di diritto latino come quelle di cittadini romani, irradianti in tutte le direzioni. Accanto a queste irradiazioni dirette, solo i territor annessi rappresentavano una continuit linguistica diretta con Roma. Ma anche le citt-stato legate a Roma da alleanza ineguale, se pure, chiuse comerano nel loro forzato particolarismo, non potevano irradiare latinit, costituivano per focolai in cui si coltivava il desiderio di inserimento nella comunit linguistica del latino. Esse facilitavano il compito di quelle correnti che irradiavano dalle colonie come dai territori annessi. Questi vuoti nella continuit linguistica latina erano nel III secolo ben 150, quali pi e quali meno maturi, per entrare nel grande gruppo, linguisticamente unito258 . Il maggior numero delle colonie latine, gi fondate nel 338 a.C., erano immediatamente a sud-est di Roma, nel paese dei Volsci. Vi si aggiunsero Fregelle Sezze Ponza Interamna Lirenas (presso Cassino), Sora nel IV se258 Vedi leccellente esposizione di Pulgram, The Tongues of Italy, Cambridge (Mass.) 1958, pp. 268-276.

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colo a.C., Sessa Aurunca, Calvi e Saticula (oggi S. Agata dei Goti) nel territorio dei Sanniti Caudini. Verso nord-ovest le prime affermazioni del genere si ebbero a Nepi e Sutri. Verso oriente si ebbe nel territorio dei Marsi Alba Fucente (nel 303), che era stata preceduta gi dalla lontana Luceria, fondata nel 314. Nel III secolo le grandi affermazioni furono rivolte soprattutto verso settentrione: Narni (299) Spoleto (241) Atri (dopo il 290) Fermo (264) Rimini (268) Cremona e Piacenza (218). In direzione di oriente si ebbero Carsli (298) presso gli Equi, la lontanissima Venosa in Apulia (291), in posizione intermedia, sullasse della futura via Appia, Benevento (268), pi allinterno Isernia (263), infine il porto di imbarco per loriente, capolinea terminale della citata via Appia, Brindisi (246). Verso sud-ovest non si ha che Pesto (273), verso nord-ovest soltanto Cosa, in territorio etrusco. Ai primi del II secolo gli estremi si allontanano ulteriormente: a mezzogiorno nel Bruzio a Turio (193) e Vibo (192); a settentrione a Bologna (189), e a Aquileia (181), cui, dopo la citata legge Pompeia, seguirono altre nove, tutte nella Gallia transpadana e cio a nord del Po. Quelle romane che, teoricamente, dovrebbero essere irradiatrici pi efficaci di quelle latine, furono da prima relativamente rare: nel IV secolo non si hanno che le due di Anzio (338) e Terracina (329), entrambe nel territorio dei Volsci. Nel III si hanno, presso gli Ausoni, Minturno e Sinuessa, nel Piceno Castro nuovo, nellUmbria adriatica Jesi e Senigallia, sulle soglie dellEtruria Alsio (247) e Fregene (245). Numerose sono invece nel II secolo: Volturno (= Capua attuale), Literno, Pozzuoli, Salerno in Campania, tutte al principio del secolo; Bussento e Potenza in Lucania; Siponto (194) e Taranto (122) in Apulia, Temesa e Crotone (194), Squillace (122), nel Bruzio; Pyrgi (191) Saturnia (183) Graviscae nella Etruria meridionale, Luni sui confini settentrionali dellEtruria; Pesaro (184) in Umbria; Modena Parma e

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Tortona nella Gallia cispadana sullitinerario della futura via Emilia, Osimo nel Piceno. Da aggiungere sono poi le colonie di veterani come Ivrea (100), sullane ad Atri Teramo Arezzo Palestrina Nola Abella Pompei, e quelle augustee ad Aosta Brescia Este Concordia Trieste Pola. Una categoria a parte costituita dalle due province di Sicilia e Sardegna, adatte certo a ricevere e trasmettere latinit, ma attraverso flussi non continui, legati alle frontiere marittime. I loro fili conduttori passavano attraverso gli uffici del governatore (console proconsole o pretore), con i legati, la coorte degli amici, gli apparitores (impiegati subalterni). 77. Strade e rotte marittime Alla considerazione statica si deve accompagnare una rappresentazione dei fattori dinamici di questo processo. Da una parte agisce la curiosit, poi il desiderio, delle popolazioni non solo di non resistere ma anzi di accogliere e sempre pi avvicinare la irradiazione linguisticoculturale, propria della metropoli sempre pi famosa. Questa aspirazione, nata nellambito linguistico e culturale, si estende poi al campo politico e addirittura a quello militare: la guerra sociale (90-89 a.C.) non nasce da odio ma da amore esasperato per il mondo romano, nel quale tutti gli italiani aspirano a unificarsi e confondersi. La guerra sociale si identifica con una sconfitta sul piano militare ma con un successo pieno sul campo politico e linguistico delle aspirazioni delle popolazioni. Laltro aspetto dinamico del problema dato dalle strade, in quanto appaiono come condizione necessaria per la diffusione e la accettazione della romanit. Durante la et repubblicana e i primi secoli dellimpero, la loro distribuzione stellare: sono tanti raggi che irradiano da un unico astro. Per la prima volta, anche se non per lultima, realizziamo il detto che tutte le strade con-

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ducono a Roma. Lossatura della rete stradale data dalle strade seguenti: A) la via Appia da Roma a Brindisi; B) la via Popillia, che si diramava dalla precedente a Capua per raggiungere lo stretto di Messina; C) la via Aurelia da Roma alla frontiera della Gallia transalpina; D) la via Flaminia da Roma a Spoleto e Rimini, donde proseguiva come via Emilia fino a Piacenza e di l ai valichi del Monginevro, del S. Bernardo, dello Spluga e del Giulio. Da Rimini si staccava unaltra via Popillia, che, attraverso ulteriori diramazioni, conduceva ai valichi di Resia, del Brennero, di Monte Croce Carnico, di Tarvisio, e di Postumia. Questo sistema non il risultato di una unica programmazione ma invece di sforzi isolati compiuti attraverso secoli. Le rotte marine erano necessarie per quel che riguarda la Sardegna: ma preferenziali, per ragioni tecniche, potevano essere quelle da Roma per la Provenza oppure quelle da Roma o da Napoli per la Sicilia. 78. Resistenze greche Questo solido sistema stradale non ottiene un risultato totalitario. Tipico il caso della Calabria, dove, nella fascia centrale e meridionale, sopravvive tuttora, sia pure in resti sparuti, la grecit dorica della antichit preromana. Una delle testimonianze decisive data dal nome del fiume Amato, che sbocca bel mare presso S. Eufemia. Amato in realt un antico LAMATO: nellambito dialettale dorico, esso ha potuto conservare intatta la seconda A, di quantit lunga, che in ambiente ionico avrebbe dovuto essere mutata in E. E infatti, quando, in piena et romana, e anche dopo, quando si sono fatti sentire i modelli ellenistici o bizantini, ecco che il tema originario ha sostituito la A con la E, e il nome attuale recentemente aggiunto a S. Eufemia, ma preso da fonti an-

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tiche, LamEzia. Anche il nome del fiume appare in un . frammento di Ecateo259 gi nella forma ionica LmEtos Accanto a questo dato positivo, si affiancano quelli negativi. Nei primi decenni del II secolo sono state fonddate le colonie di Copia (al posto di Turio), di Vibo, di Medma, Temesa, equella di Castra Hannibalis, poi colonia graccana col nome di Minerva Scolacium. Ci nonostante non era stato possibile superare lostacolo della strettoia naturale nei pressi di Maratea, dove, fino ai nostri giorni, si conserva un sistema vocalico di 5 vocali del tutto simile a quello del sardo (v. 90). Il sistema napoletano delle 9 vocali ha potuto raggiungere la Calabria centrale solo pi tardi, scavalcando il diaframma sul confine lucano-calabrese. Dalla parte opposta, sulla punta meridionale della Calabria, si hanno tuttora forme di latinit romana e non umbro-sannitica, attraverso la persistenza di gruppi consonantici del tipo ND, non assimilato in NN. Questo prova che questa latinit arrivata nella Calabria meridionale attraverso la Sicilia e non attraverso la via terrestre delle restanti Calabrie260 . 79. Influenze del latino Lunificazione linguistica dellItalia non stata preceduta soltanto da una preparazione psicologica. stata preceduta anche dalla accettazione parziale di unit lessicali e schemi sintattici romani in testi giuridici del mondo italico. Tipico il caso della Tavola Bantina, uno dei principali monumenti della lingua osta, appartenente al II secolo a.C. Numerose formule, che si trovano in questo monumento, non sono resti di una tradizioPauly-Wissowa, Realenzyklopdie..., XII, col. 544. Devoto-Giacomelli, I dialetti delle regioni dItalia, Firenze 1972, p. 135.
259 260

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ne osco-sannitica, ma nuclei romani pi o meno naturalmente accettati. Ceus Bantins equivale a civis romanus, ma questo non prova che la nozione di cittadino risalga fino a una presunta comunit italica. Una serie come sipus... perum dolom mallom la traduzione della formula romana sciens... sine dolo malo. Licitud la traduzione osca della formula conclusiva romana liceto. I nomi dei magistrati, del censore, del questore, come quello del senato risalgono a etichette romane, che cominciano necessariamente a svisare la materia tradizionale locale. Anche la iscrizione del Cippo abellano contiene le parole romane tratte rispettivamente da senatus e da liceto. Ma nel Cippo abellano si trova in pi un campione sintattico, un esempio di quel costrutto indiretto libero che compare nel Senatoconsulto dei Baccanali (CIL I2 581) quel tempio e quel territorio... fossero in territorio comune, le entrate del tempio e del territorio fossero comuni... il tesoro... lo aprissero di comune accordo. Sempre in questo spirito di accettazione ricercata, voluta, rientra il titolo del magistrato umbro detto kvestur e cio questore, nel quale la volont di uniformarsi a un modello romano arriva a battezzare col nome non romano di questore un magistrato che, a differenza del suo omonimo romano, non aveva nessuna mansione di carattere finanziario. 80. Influenze sul latino Non soltanto fra i cittadini dItalia si trova una larga disponibilit per accettare elementi romani anche in testi ufficiali. Anche le strutture latine, trasportate in luoghi lontani da Roma, non sono impervie alla penetrazione di elementi locali. Da principio si tratta soltanto di particolari, che mostrano questa azione locale come inconscia, non destinata a proiettarsi verso il futuro. Tre testi-

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monianze importanti rientrano in questo primo schema: quella delle iscrizioni di Pesaro e Spoleto, provenienti da un ambiente fortemente latinizzato, e quella di Lucera, immersa ancora in ambiente sannitico. Nelliscrizione di Spoleto (CIL I2 366) sono notevoli le forme seguenti: cedito per caedito che, data la natura della iscrizione, non pu essere considerato, con la sua monottongazione, un rusticismo superstite nel latino di Roma. Esso rispecchia un ambiente che, come sappiamo attraverso altre testimonianze umbre, alieno dai dittonghi. Analogamente cedre per caedere mostra un tipo di sincope perfettamente nota nel mondo umbro, ma estranea al latino. Un po meno evidenti ma valide per provare un certo quale rilassamento dai modelli romani, sono le formule res deina, rei dinai per res divina, rei divinae perch la caduta della sonante -V- in posizione intervocalica una antica tendenza romana, che nel caso specifico non ha avuto nella capitale un sguito. Liscrizione di Lucera (CIL I2 401) mostra alterazioni maggiori rispetto agli schemi romani: cosa che si comprende, se si pensa alla lontananza e alle differenze linguistiche e culturali che separavano il mondo sannita da quello romano. Risaltano qui aspetti morfologici come loucar che corrisponde al latino lucus, ampliato mediante un suffisso di derivazione; come le forme verbali fundatiD, proiecitaD, parentatiD, di dubbia interpretazione, forse influenzate dai modelli oschi in -TT-261 . Diverso il vocalismo di stircus rispetto al normale stercus; dialettismo non ignoto a Roma arvorsum per adversum ( 51). Una reazione allosco pu apparire macisteratus con la grafia C e la vocale anaptittica. Nella iscrizione pesarese CIL I2 378 colpiscono le due forme matrona(s) Pisaurese(S) che presuppongono un nominativo plurale in -AS passato in latino dal mon261

Stolz-Leumann, Lateinische Grammatik, cit., p. 323.

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do osco, come prova un frammento di Pomponio quot laetitias insperatas (v. 141)262 . Pure di chiara ispirazione umbra un perfetto come dedrot per il normale dederont. Per trovare testimonianze che si inseriscano nello svolgimento generale del latino e cio abbiano un avvenire, bisogna discendere a Pompei, quando la fusione latinoitalica ha fatto maggiori progressi. La prova dei diversi strati che vengono a coesistere data dalle due iscrizioni ed. Diehl 593, 594263 : a) quis amat valeat, pereat qui nescit amare, bis tanti pereat quisquis amare vetat. Siamo di fronte a un testo regolare conservato in normali condizioni epigrafiche, b) quisquis ama valia, peria qui non sci amare, bis tanti peria quisquis amare vota. Il contenuto identico, ma la eliminazione delle consonanti finali, il passaggio da EA a IA ( 55, 87), prova insieme lambientamento locale, la eliminazione di importanti segnali grammaticali, linizio di una nuova tradizione destinata a sfociare in un sistema linguistico non pi latino ma italiano.
262 263

Lfstedt, Syntactica, II, Lund 1933, p. 329. Pompeianische Wandinschriften, 2 ed., Berlino 1930.

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Capitolo diciassettesimo Il latino postclassico

81. Autori ancora classici Anche quando del linguaggio dItalia si consideri soprattutto lo strato pi elevato, quello letterario, nelle realizzazioni auree della et ciceroniana, non si riscontra mai una assoluta chiusura rispetto alle forze vive che premono, oltre che dal mondo letterario, dalla societ nel suo insieme. Se da un punto di vista rigoroso, il modello ciceroniano dava peso, soprattutto, per quanto riguarda la oratoria, alla azione del ritmo e della melodia, ecco che la scelta delle parole la pronuncia e la grafia potevano essere influenzate da altre esigenze. Esempi importanti di queste esigenze si trovano negli schemi linguistici propr di un autore come Sallustio, che Varrone definiva come propri di una seria et severa oratio264 , di un discorso serio e severo. Questa definizione che si addirebbe a un sistema linguistico duramente selezionato, convalida invece apporti di varia natura. Da una parte, accetta parole di impronta pi popolare come i verbi detti frequentativi (e cio derivati secondariamente da forme participiali del verbo primitivo), come agitare per agere, missitare per mittere e cio mandare, imperitare per imperare, comandare, negitare per negare. Forme ancora pi derivate sono in questo senso le locuzioni fugam facere per fuggire, pugnam facere per pugnare combattere. Dalla parte opposta, tende alla reverenza verso il colorito arcaico, attraverso la grafia U per I allinterno di parole del tipo infUmus infimo oppure, sul piano morfologico, la preferenza per le forme in -ere rispetto a
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Vedi la mia Geschichte, cit., p. 156.

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quelle in -erunt265 . Tutto questo va inteso, non nel senso di una polemica contro i detrattori della societ e cultura romane arcaiche, ma solo come una particolare accentuazione della arcaicit formale; come una specie di nobilitazione e accentuazione della dimensione del tempo. Per tuttaltre ragioni, la apertura a parole di tradizione non elevata promossa nella lingua della poesia dalle esigenze prosodiche. Presso Orazio verbi frequentativi come cantare invece di canere, captare invece di capere appaiono per questo motivo indiretto, senza che contribuiscano a delineare un aspetto del popolarismo di Orazio. Bellus e auriculis che compaiono rispettivamente nelle Satire (1.4.114), e nelle Epistole (1.8.16), sono diminutivi che hanno preso piede fino al punto di avviarsi a sostituire in futuro le forme tradizionali bonus, aures: le forme italiane bello e orecchia fanno capo a questi diminutivi. Accusativi plurali della III declinazione in -is, anzich in -es, accolti per ragioni prosodiche, rientrano per anche nel quadro dellavvicinamento di E e I in sillaba finale ( 83). Per Tacito, prosatore, il problema dei modelli arcaici si pone in una forma ancora diversa, per la quale non si possono prendere in considerazione n le motivazioni di una moda, n le esigenze interne del sistema linguistico. In Tacito il modello arcaico costituisce una disponibilit di strumenti di fronte ai quali egli reagisce sulla base di reazioni personali destinate a mutare. Dagli stud fondamentali di E. Lfstedt266 , risulta che nei primi suoi testi, il Dialogo, lAgricola, la Germania, le sue preferenze sono ancora per modelli aderenti genericamente agli schemi classici; nei libri I-XII degli Annali si manifesta una chiara preferenza per modelli arcaici, finalmente nei libri
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V. la mia Storia della lingua, cit., p. 243. Syntactica, cit., II, p. 206.

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XIII-XIV si ha un ritorno verso la classicit: tali le prove statistiche parlanti, dellimpiego delle due forme equivalenti di forem (arcaico) e essem (classico). Nel primo gruppo si hanno 4 forem e 20 essem; nel secondo 113 forem contro 48 essem; infine nel terzo UN solo forem contro 29 essem267 . 82. Grammatici A queste realizzazioni si accompagna la riflessione grammaticale. Due professioni importanti di fede anomala appaiono presso Orazio e Quintiliano. NellArte poetica Orazio (71 sgg.) proclama che luso lo ius et norma loquendi la legalit e la norma del parlare. Nella Istituzione Oratoria (XII.6.4) Quintiliano afferma la validit delluso prima della dottrina. La azione dei grammatici si manifesta in questo tempo come volta a passare progressivamente dal patrocinare schemi e modelli da perseguire, verso una constatazione e una correzione di errori. Quintiliano si trova ancora nella prima fase quando insiste nellesaltare la urbanit268 e a bandire rusticit ed esotismo nella pronuncia (XI.3.30). Modifica e rende pi concreto il giudizio sui modelli arcaici, in quanto possono apparire s pi duri nei suoni (XII.10.27) ma rendono il discorso pi ricco di dignit sanctiorem et magis admirabilem (VIII.3.24). Novit che si annunciano sono presentate senza esplicita condanna. Svetonio, nel parlare dellimperatore Vespasiano (VIII.22), riferisce che pronunciava abitualmente il dittongo AU ( 53, 87) gi monottongato in O, ma difendeva la sua pronuncia, apostrofando come Flaurus il grammatico Floro che evidentemente dissentiva. Nellambito della vo267 268

Syntactica, cit., II, pp. 283 sgg. Vedi la mia Geschichte, cit., p. 199.

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cale atona interna, Quintiliano (I.6.17) preferisce la forma audacter a audaciter con la vocale interna intatta e riferisce (I.6.19) che Augusto imperatore preferiva gi caldus a calidus. 83. Novit nellaccento A questo punto appaiono i primi indizi che qualcosa muta nel campo dellaccento, cos dal punto di vista della sua forza accentratrice come della sua natura. A proposito della pronuncia della vocale finale, Quintiliano (XI.3.33) osserva che gli oratori si concentrano nella pronuncia delle vocali precedenti priorum sono indulgent, e raccomanda ad essi (I.II.8) che le sillabe finali non soccombano n extremae syllabae intercidant. Una ultima novit in questordine di fatti sta nella oscillazione finale di una parola come heri ieri, che nelluso corrente, anche di Augusto, pare confondere il timbro I con E (1.4.8; 1.7.22). Per quel che riguarda la natura, una osservazione importante fa Quintiliano quando segnala gli inconvenienti del canto (XI.3.57): un carattere che non so se considerare pi inutile o pi brutto. Perch questa sensibilit si manifesti, essenziale che nel valutare la accentazione intervenga qualche nuovo criterio. Se questo non esiste, impossibile che si trovi qualcosa di riprovevole nella successione delle altezze musicali. Si tratta di primi accenni critici, non ancora costruttivi, che preannunciano, anche se, per il momento, non provocano, novit. La validit della quantit e del conseguente ritmo quantitativo riconosciuta pienamente (19.4.61), attraverso la affermazione che non si parla se non attraverso una successione di sillabe brevi e lunghe, dalle quali sorgono i piedi prosodici. In tutto questo periodo, il senso della quantit non cede, il processo di normalizzazione quantitativa non si arresta. La azione citata sopra della tendenza allabbrevia-

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mento delle serie giambiche ( 68) vien meno; gli accenni a un ipotetico contrasto fra sillaba finale e tempo forte del verso scompaiono269 . I vincoli prosodici obbligano a sostituire in poesia le parole che non entrano nellesametro, pur di non patire eccezioni: tali i casi di fumeus, che pi funzionale di fumosus, o quelli di thalamus o hymenaeus, che sostituiscono linadattabile nuptiae270 . 84. Grecismi La azione del grecismo si continua cos dallalto come dal basso. Che le parole composte continuino a costituire un ostacolo, ancora una volta provato da Quintiliano (1.5.70). Secondo il quale la composizione magis Graecos decet, nobis minus succedit ai Greci conviene di pi, a noi meno si addice. Viceversa la corrispondenza fonetica e grafica delle parole accettate dal greco viene maggiormente curata Alcmena preferita a Alcumena, drachma a dracuma. Agisce addirittura una moda grecizzante, cui persino il nome del Tevere soggiace: Thybris al posto del normale Tiberis. Nel campo della morfologia il nome della citt africana di Siga pu essere declinato nella forma latina Siga -ae ma anche secondo lo schema pi aderente al greco Sige -es. Declinazioni nuove pi o meno suggerite da schemi greci sono quelle di Eutyche -etis, Achillas -atis, Nicias -adis, seguite da altri tipi pi o meno contaminati come Psyche -enis, Lampiris -inis, Dido -onis, in cui nominativi di stampo greco vengono allineati con casi obliqui aderenti a schemi latini. Come singole desinenze, accusativi in -N anzich in -M appaiono ad esempio presso Virgilio Oronten (Aen. VI.334), Tityon (ib. 595), arcton (Georg. 1.138). Da un
269 270

Vedi la mia Geschichte, cit., pp. 187 sgg. Vedi la mia Geschichte, cit., p. 188.

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punto di vista sintattico, vistoso il considdetto accusativo di relazione alla greca del tipo Aen. XI.507 oculos... in virgine fixus con gli occhi fissi sulla ragazza. Un grecismo vistoso, non alieno dalla sensibilit italiana linfinito impiegato al posto di una proposizione subordinata, come appare nel verso Aen. 1.319 dederat comam diffundere ventis aveva dato la sua chioma a disperdersi nel vento che il grammatico Servio del sec. IV-V cos corregge: ut diffunderetur. Questo costrutto non collegabile con il costrutto enniano cupido vivere nella Medea di Ennio271 in cui il nome di azione ha ancora un legame col verbo che giustifica luso dellinfinito, mentre pi tardi indispensabile il costrutto nominale del gerundio al genitivo. Come esempio di calco semantico va ricordato il passo Aen. VI.411, in cui si dice che i rematori per longa iuga sedebant sedevano disposti in lunghi gioghi. Si tratta di un grecismo sul modello greco zyg, cui in latino dovrebbe corrispondere transtra. Di un altro calco sul greco abbiamo la prova indiretta attraverso il francese, nel quale la parola aveugle cieco presuppone una base di partenza nel latino volgare ab oculis. Questa formula non attestata ma, come lo ha bene mostrato E. Lfstedt272 , DEVE essere esistita come calco sulla formula greca apommat on. Grecismi si trovano anche nei nomi personali: tali Virgilius rispetto a Gr egrios, Constantinus: Eustthios, Desiderius: Himrios, Venantius: Kyn egsios, Vincentius: Niksios273 . Il grosso del grecismo nel primo impero, e al di fuori dei cristianismi di cui si parler ( 91 sgg.), non costituisce pi per un episodio italiano. Esso rispecchia il grande processo di interpenetrazione greco-latina, per il quale molte parole
271 Norden, Kommentar zum VI Buch der Aeneis, 4 ed., Stoccarda 1957, p. 163. 272 Syntactica, cit., II, p. 376. 273 Vedi la mia Geschichte, cit., p. 217.

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latine sono anche grecizzate o tradotte in greco. Il grecismo, come processo di arricchimento del patrimonio linguistico italiano, e sempre nei limiti citati, un processo concluso. 85. Elementi popolari presso Petronio La novit pi vistosa dal punto di vista sociolinguistico data in questo periodo dai materiali appartenenti a Petronio274 , soprattutto per quanto attiene alla Cena di Trimalcione; in cui il parlato, con la sua snellezza e vivacit, portato arditamente alla ribalta sul piano della lingua letteraria. Che, contro lampio periodare della prosa dellet classica, compaia qui, largamente attestata, una diffusa semplicit paratattica, non ancora una prova dellavvicinarsi di realt linguistiche nuove. Sono da segnalare piuttosto limpiego sovrabbondante del pronome personale, anche l dove a rigore non sarebbe necessario; la fortuna di perifrasi come quella di coepi con linfinito quasi come forma perifrastica di perfetto incoativo275 , e lannuncio di un principio di stanchezza del perfetto tradizionale; i quattro esempi di quod che riappare come surrogato dellaccusativo con linfinito dopo una lunga interruzione ( 75); gli indizi di svalutazione dei cosiddetti diminutivi come ad es. in 63 hominem... valde audaculum, come se per Petronio non esistesse pi audax, che solo avrebbe giustificato lavverbio valde; infine le scelte fra sinonimi, per cui si preferisce forsitan forse a fortasse, subito a repente, invenire a reperire trovare, occidere a interficere, homo a vir, propter a ob.
274 275

Vedi la mia Geschichte, cit., pp. 217 sgg. Vedi op. cit., p. 219.

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Tuttavia, queste novit per quanto rilevanti, non entrano nellintero Satyricon, ma rimangono confinati nella cena di Trimalcione come in una specie di ghetto. Ai fini dello svolgimento del linguaggio dItalia, questo doppio aspetto delle testimonianze linguistiche di Petronio rimane pi rilevante per il critico letterario che come una effettiva consacrazione di realt e forze nuove.

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Capitolo diciottesimo Novit imperiali

86. Mescolanze Di fronte ai problemi della lingua letteraria, di fronte alle teorie grammaticali, si pone ora un problema importante, diverso da quelli proposti da un autore popolareggiante come Petronio: se le alterazioni delle iscrizioni latine registrate sopra ( 80) sono sempre lannuncio di novit occasionali oppure definitive, se sono spie di una realt sotterranea, come le boe sono spie di una rete che esse sostengono a una maggiore o minore profondit sottomarina. Dalla variet delle strutture politico-costituzionali esistenti in Italia fino alla guerra sociale ci si potrebbe aspettare una immensa variet di reazioni. In realt non cos: l dove i legami diretti con Roma hanno tardato di pi a costituirsi sul piano politico, sono stati preceduti dalla buona disposizione sociopsicologica ad accoglierli. I fattori in gioco si precisano presto sotto questa forma. Roma aveva per s il prestigio e il rilievo demografico sempre crescente, che ha raggiunto secondo gli studi del Beloch e del Cicciotti276 a un certo momento un settimo della popolazione italiana. Soltanto, invece di rassegnarsi a una uniformit., lItalia aveva a suo vantaggio la immensa disponibilit di spazio, una grande variet di situazioni, di fronte alle quali il prestigio accentratore di Roma non agiva con la stessa efficacia. Si possono distinguere a questo fine due grandi gruppi: luno quello in cui elementi prepolitici, come le diverse strutture linguistiche, hanno agito per ostacolare il processo di avvi276

Biblioteca di storia economica, 4, 1909, p. 394.

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cinamento e mescolanza linguistica; laltro, in cui le circostanze politiche predisponevano gi allavvicinamento e alla fusione dei sistemi linguistici. Se questo vero da un punto di vista generalissimo, non che il processo di avvicinamento e fusione sia in proporzione alle differenze maggiori o minori fra le lingue con cui il latino viene a incontrarsi. LEtruria ad esempio una regione che, proprio per la differenza risoluta di strutture linguistiche fra etrusco e latino, sembra il campo ideale per escludere qualsiasi mescolanza. Il solo problema dubbio quello del presunto legame fra la aspirazione delle consonanti occlusive sorde in toscano e la fonetica etrusca ( 124)277 . Ci premesso, le regioni dove la mescolanza stata minore o addirittura assente, oltre alla Etruria, sono state: la Sardegna, dove si parlavano lingue mediterranee, non importa se di tipo ligure oppure libico; il Salento dove si parlava la lingua messapica ( 33); la Venezia euganea, dove si parlava invece una lingua molto affine al latino, il venetico ( 25). Nel resto dellItalia il latino ha subito fortemente linfluenza linguistica degli ambienti precedenti. Questo lo si comprende. NellItalia mediana (e cio la Italia centro-meridionale con esclusione della Toscana), la affinit fra il latino e le lingue di estrazione umbro-sannitica, la lunga tradizione di reciproci scambi, rendono il fatto agevole a comprendersi. Meno facile appare la intimit dei rapporti, che si sono stabiliti nella Gallia cisalpina. Ma qui sono intervenuti, a definire la impronta dei dialetti gallo-italici, gli stretti rapporti culturali che, negli ultimi secoli dellImpero, si sono stabiliti fra le scuole della Gallia transalpina e la valle padana ( 97). A questa contrapposizione va aggiunta unultima riserva: il latino non mescolato, teoricamente si viene a
277 Devoto, Atti del V convegno di Studi umbri, Gubbio 1970, pp. 118 sgg.

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trovare in una condizione favorevole per conservarsi meglio. Ma neanche questo un rapporto meccanico, perch una lingua pu essere abbandonata alla deriva di un rapido svolgimento per lo scatenarsi di forze interne indipendenti da qualsiasi processo di mescolanza, come avvenuto col latino nei primi tempi dellet repubblicana. 87. LAppendice di Probo Prima dei segni diretti di mutamenti, accettati allinterno dei sistema latino come preannunci di novit neolatine, opportuno registrare alcune osservazioni di grammatici, inclini per natura a registrare le forme irregolari che hanno gi ottenuto un certo seguito ( 96 sgg.). La cosiddetta Appendice di Probo, assegnata comunemente al III secolo d.C., corregge, e cio riconosce come esistenti, le seguenti novit nel campo delle vocali columna non colonna, e cio la esistenza di una U aperta (trasformata poi in O), che nessun grammatico neppure tardo ha mai riconosciuto; auris non oricla, e cio la monottongazione di AU in O; alveus non albeus e cio lo scambio V/B; cavea non cavia, februarius non febrarius, e cio la consonantizzazone (o soppressione) delle vocali I e U davanti a vocale ( 80), come nelle forme italiane gabbia, febbraio; la caduta della vocale interna nella serie viridis non virdis, speculum non speclum, calida non calda, frigida non frigda, vetulus non veclus278 . Nel campo della morfologia i grammatici reagiscono alla normalizzazione analogica della declinazione: teter non tetrus, aper non aprus, tristis non tristus; nel campo del genere grammaticale pauper mulier non paupera mulier. Nei grecismi sono corrette,
278

Terracini, Archivio glottologico italiano, 27, 1935, p.

145.

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pi ancora che le forme troppo moderne, le forme arcaiche: tymum non tumum, myrta non murta ( 42). 88. Assimilazioni consonantiche Indipendentemente dalle testimonianze dei grammatici, sono tre le innovazioni che, apertamente attestate oppure no, qualificano le novit attive nellinterno del sistema linguistico dellet imperiale. Il primo di questi caratteri consiste nella assimilazione progressiva del gruppo ND, che si risolve in NN: esso un carattere proprio del mondo umbro-sannitico, documentato nellantichit preromana dallUmbria sino allo stretto di Messina. Le testimonianze dirette sono quelle delle iscrizioni pompeiane, ed. Diehl279 N. 447 e 237. La prima, chiarissima, documenta Verecunnus e cio il latino Verecundus, deformato secondo gli schemi validi nella lingua di Pompei. La seconda, meno chiara, porta Secunnus invece di Secundus. Questo non significa che il latino abbia accettato universalmente il tipo NN al posto di ND. Se si tiene conto del fatto che, non solo nellItalia settentrionale e in Toscana, ma anche in Sicilia ci sono tracce di una latinit senza NN ma con ND, ecco che si raggiungono alcune prime conclusioni. La introduzione di NN non il risultato (automatico) di pronunce locali, ma di correnti latine, che le hanno fatte proprie e le hanno diffuse, l dove lambiente era pi favorevole, per accoglierle. Ma queste correnti non corrispondono al latino pi antico. Esse forniscono anzi un criterio per distinguere una prima latinit con ND da una seconda con NN. La distinzione particolarmente importante per la Sicilia280 .
279 280

Pompeianische Wandinschriften, 2 ed., Berlino 1930. Devoto, Atti, cit., p. 121; e cfr. sotto, 98.

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89. Prime alterazioni delle consonanti gutturali Un secondo carattere dato dalla sorte delle consonanti gutturali. II primo spunto ci viene dalla parola frigida fredda. Mentre la Appendice di Probo ci mostra, nellesempio citato, che la gutturale persiste ancora nel III secolo dopo C., liscrizione pompeiana Diehl 631 documenta la forma fridam, e cio la caduta totale della consonante. Identica sorte la G intervocalica mostra nellantica lingua umbra, nel caso di muieto, che deriva da un MUGETU, o di iouino da IGOVINO. Che in latino siano state accolte soluzioni analoghe, mostrato dallitaliano dito, che evidentemente da lat. DI(G)ITU- ( 121). Ma il caso di fridam non che uno spunto per considerare la generale alterazione delle gutturali, anche sorde, davanti alle vocali E e I, anchessa documentata nel mondo umbro attraverso un apposito segno dellalfabeto, che convenzionalmente translitteriamo con . Cera stato anche a Roma un accenno a questa particolare pronuncia, segnalata dal segno C, contro il K davanti a A, e Q davanti a U e O. Ma a Roma non aveva avuto alcun seguito ( 42), mentre in umbro la novit si era generalizzata nel III sec. a.C. Questa pronuncia stata accettata dal latino nellet imperiale, e da Roma ulteriormente, attraverso ondate successive. Anche qui, come per NN da ND siamo nella necessit di dover distinguere sul piano geografico e perci stesso su quello storico. Nel cuore della Sardegna la pronuncia palatale CE CI non mai arrivata; in Dalmazia arrivato CI ma rimasto KE; nel resto del mondo romanzo CE CI si sono entrambi affermati. In analogia a quanto si detto a proposito di NN da ND, dobbiamo distinguere fra una espansione latina pi antica, ancora ancorata a KE KI, una seconda legata a KE CI, e una finale con CE CI. Questa ad esempio ha raggiunto anche la Sardegna, nel Campidano, senza penetrare nellinterno. La prima fase appare ancora oggi at-

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testata nelle parole latine pagane accolte nella lingua tedesca, p. es. Kaiser, keller da Caesar cellarium, lultima nelle parole cristiane, p. es. ted. Kreuz, Zelle da crucem cella281 . 90. Il sistema vocalico La alterazione pi importante per quella del sistema vocalico, fondato, per quanto riguarda il latino, sul sistema armonico delle cinque vocali A E I O U, tutte quante alternanti, secondo la durata, in lunghe e brevi. Il mondo umbro-sannitico invece disturbato sino dagli inizi, ancora durante la validit degli alfabeti nazionali, dal fatto che questi offrivano quattro segni per un sistema di cinque vocali. Inoltre lumbro mostra talvolta di impiegare disordinatamente il segno I anche quando ci si aspetterebbe E, e cos, quando subentra lalfabeto latino, persistono impieghi di U, l dove sarebbe da utilizzare il segno O, divenuto disponibile. Nel sistema osco appaiono invece le tracce di un ordine nuovo, attraverso il segno I con apice, che serve a indicare una vocale intermedia fra E e I, diciamo una E chiusa. Questa la prima segnalazione di una distinzione, destinata ad avere allinterno del sistema latino, alcuni secoli dopo, tante conseguenze282 . La esigenza postulata dalla grammatica comparativa delle lingue neolatine di un prototipo E chiusa, assume attraverso la testimonianza osca, una validit storica tre secoli prima di Cristo e una precisazione geografica definita nella Campania. In analogia con gli esempi illustrati prima, anche qui si pone la necessit
281

Op. cit., p. 113. Per la testimonianza dei grammatici vedi

96.
282 Cfr. le interessanti considerazioni di T. Franceschi sul principio della esagerazione qui applicato: Archivio glottologico italiano, 54, 1969, pp. 59 sgg.

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di considerare nellambito del latino delle stratificazioni successive. La prima di queste stratificazioni, limitata alle cinque vocali del sistema primitivo sopravvive in Sardegna e in una striscia compresa fra Bruzio e Lucania da Maratea sul Tirreno a Sibari sullo Jonio283 . In Sicilia arriva per via di mare, e nel Salento lungo lasse della via Appia, un sistema che, rispetto a quello di Sei vocali implicitamente postulato dallalfabeto osco, ne postula simmetricamente una settima, che possiamo chiamare la O chiusa. Questo sistema sopravvive a tutte le novit linguistiche ed etniche della Sicilia e quindi una prova di quella continuit latina, che uno studioso come G. Rohlfs ritiene invece sopraffatta dalla grecit, e ristabilita solo nellXI secolo ( 151)284 . In unarea ristretta della Lucania interna si hanno poi tracce dellarrivo di un sistema che riconosceva una ottava vocale, precisamente la I aperta. Limportanza di questa scoperta dovuta a H. Lausberg285 sta nel fatto che la situazione della latinit orientale, quale appare attraverso il latino della Dacia, e lattuale romeno, si trova sullo stesso piano. La via Appia, dopo aver diffuso fino a Brindisi il sistema di sette vocali, affermato, sedimentato nel Salento, ha diffuso quello di otto, esportato poi da Brindisi nella Balcania. In tutta la restante latinit del mondo doccidente si diffonde invece lultimo sistema, quello fondato sul riconoscimento della distinzione di una U aperta e chiusa e cio di nove vocali ( 96). Le differenze nel sistema vocalico sono state usate da R. Hall286 per una classificazione delle tradizioni linguiDevoto, Atti, cit., pp. 98 sgg. Scavi linguistici nella Magna Grecia, Roma 1933. 285 Die Mundarten Sdlukaniens, Beihefte zur Zeitschrift fr romanische Philologie, 90, 1939 pp. 84 sgg.; De Felice, Atti Accademia Colombaria, 26, 1961-2, pp. 233 sgg. 286 Language, 26, 1950, pp. 6-27.
283 284

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stiche romanze. In base a questo criterio, egli oppone a un protoromanzo meridionale (sardo corso lucano siciliano) un protoromanzo continentale. Questo viene diviso in un continentale orientale, con avamposti in Lucania, e uno occidentale. A sua volta questultimo viene diviso in un italo-romanzo che dal napoletano (compreso) arriva alle Alpi e uno occidentale in senso stretto, che comprende tutta la neolatinit non italiana. La classificazione valida come classificazione a) tipologica b) limitata al sistema delle vocali. Una classificazione analoga conduce a risultati diversi, se prende per base altri criter come quelli del gruppo ND oppure delle consonanti gutturali. Soprattutto non conduce a risultati storico-genealogici, perch nessuna traccia rimane di assestamenti organici che consentano di dedurre, da situazioni linguistiche, situazioni storico-culturali, come ad esempio la realt obiettiva della unit romana o quella ricostruita della comunit indeuropea.

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Capitolo diciannovesimo Il cristianesimo

91. Strati cristiani Allinterno delle strutture della lingua latina, quale si era stabilizzata la et repubblicana, si sono presentati sino ad ora due ordini di mutamenti. Al livello superiore, allinterno della lingua letteraria, la grande alternativa era fra la aderenza a schemi classici, non importa se ispirati alla analogia o alla anomalia, in una visione atemporale delle strutture linguistiche, e una tendenza volta a estrarre da modelli arcaici quanto poteva servire ad assicurare dignit e prestigio. quanto stato visto nel passaggio dalla visione ciceroniana e cesariana a quella sallustiana e tacitiana ( 81). La affermazione degli schemi latini in tutta lItalia ha portato un fatto nuovo, una ascesa dagli strati inferiori del parlato verso quelli superiori, di tendenze divergenti e inconsce, di cui qualche anticipo anche venuto alla luce del sole. Ma un sistema linguistico, come una societ, non risente solo di mutamenti quantitativi, allargamenti e restringimenti, alterabilit e stabilit, ascese e discese. Risente anche di novit qualitative e fra queste nessuna nel tempo antico si era ancora presentata con la seriet profondit ed eroismo del messaggio cristiano. La carica morale di una visione della vita, che, non fossaltro con la condanna della schiavit, si contrapponeva a millenni di divisioni classistiche; la durata della lotta che impegna per circa due secoli la classe dirigente dellimpero prima che essa si decida a riconoscere il nuovo culto e la nuova visione della vita, dovrebbe, secondo ogni ragionevolezza, aver lasciato una traccia ben profonda nelle strutture del linguaggio dItalia come si era configurato nel II

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secolo d.C. Ma questo, almeno a prima vista, non appare. Prima per di negare che il cristianesimo abbia lasciato nella lingua tracce decisive, si deve considerare anche laltra ipotesi, che siano state invece le strutture interne dello Stato a mascherare una identificazione e una immersione precoce della materia espressiva cristiana nelle strutture linguistiche latine; e cio che, nella sostanza, il latino abbia potuto essere lo strumento espressivo normale dei cristiani quasi due secoli prima che essi potessero strappare il riconoscimento politico-religioso. Il primo grande autore cristiano, Tertulliano, nasce intorno al 160 d.C. in Africa e gi nel 180, sempre in Africa, in un processo contro i cristiani, si parla287 di libri et epistulae Pauli viri e cio della redazione gi latina di elementi, che si erano annunciati in un primo tempo, come greci e orientali, disposti intorno a un nucleo di tecnicismi liturgici greci ed ebraici. Durante il papato di Vittore I (ca. 189-198) il latino si afferma come lingua liturgica a Roma, dunque pi di un secolo prima del riconoscimento, avvenuto nel 313. 92. Precocit di Tertulliano Ed ecco che subito appare nei primi documenti linguistici cristiani una distinzione che solo in parte cronologica. Il complesso organico della Vulgata e cio della traduzione della Bibbia da parte di S. Gerolamo (ca. 347-420) si sovrappone allinsieme eterogeneo delle formule bibliche, quale risulta isolatamente da testi anteriori, raccolto sotto il nome di Itala o meglio di Vetus Latina. Se si prendono in esame le differenze fra le due fonti, ecco che ci si rende conto che impossibile distinguere fra un latino cristiano anteriore (della Vetus Lati287

Vedi la mia Geschichte, cit., p. 262.

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na) e uno posteriore o gerolamiano. La distinzione di ordine qualitativo. S. Gerolamo ha tradotto con una sensibilit diversa dai suoi predecessori, il che non vuol dire che il gusto di S. Gerolamo fosse pi moderno. Usare per rallegrarsi iucundari piuttosto che il laetari della Vulgata, per felice felix contro Vulg. beatus; per trappola muscipula piuttosto che Vulg. laqueus, per commercio spirituale municipatus contro Vulg. conversatio; per mettere in ridicolo deridetur contro Vulg. irridetur, non significa allineare una serie di caratteri propri della cristianit arcaica in confronto di una per cos dire classica. Si tratta di riconoscere che il cristianesimo era gi penetrato fortemente nelle strutture linguistiche latine da potersi permettere di profittare di tutte le loro possibilit di scelta. Questa variet di tradizioni, si trasforma in realt obiettiva non appena si volga lo sguardo ai risultati delle ricerche degli studiosi olandesi, iniziate sotto la guida di Jos. Schrijnen a Nimega288 . La distinzione che ora appare fondata non gi su una documentazione quantitativa ma su una ripartizione di funzioni e di significati, e cio sul riconoscimento che le strutture linguistiche latine, applicate alle esigenze espressive della comunit cristiana dovevano rispondere a due esigenze contrapposte. Da una parte si aveva la esigenza tecnica e liturgica, sostanzialmente stabilizzatrice, conservatrice. Dallaltra si aveva lapostolato, e cio una apertura al dialogo, allambiente dei catecumeni, dei pagani in mezzo ai quali si voleva agire e si doveva partecipare e comunicare, affondare nel loro mondo linguistico in movimento.
288 Schrijnen, Charakteristik des altchristlichen Lateins, Nimega 1932.

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93. Lessico cristiano Gli elementi, attraverso i quali si costituisce il vocabolario cristiano sono var, anzi eterogenei. Una prima classe rappresentata da elementi ebraici rimasti tali e quali, n adattati n tradotti: tali gehenna, mammon, amen, pascha. La vicenda ulteriore di queste parole, a differenza della loro origine omogenea, varia: le prime due si sono congelate nei libri, la terza entrata nelluso come simbolo di brevit e automaticit, la quarta infine adattata a una festivit ben nota come quella della Pasqua italiana odierna. La seconda classe, molto numerosa, data dai tecnicismi greci, appena adattati: tali i casi di eucharistia, catechizare, baptisma, martyr, apostolus, propheta, diaconus; e cos epiphania, evangelium, blasphemare, ecclesia, episcopus, presbyter. Sono tutte parole fondamentali, sulle quali per occorre operare una ulteriore distinzione. Come gi per le parole ebraiche, alcune sono rimaste poi chiuse nel valore tecnico dei libri, mentre altre, accanto alla tradizione scritta, ne hanno avuto anche una parlata, autorevole. Abbiamo cos oggi in italiano, il libresco epifania e il parlato befana; e in un rapporto analogo, evangelico ma vangelo, blasfemo ma bestemmia, ecclesiale ma chiesa, episcopale ma vescovo, presbiterio ma prete. Una terza categoria rappresentata dai calchi e cio da parole latine formate sulla falsariga di elementi greci corrispondenti: tali le nozioni di trinit trinitas, di incarnazione incarnatio, di monogamia femminile univiratus. Una quarta categoria costituita da parole latine derivate con suffissi latini, che per assumono il valore di astratto cristiano e non gi di astratto generico preso da un normale aggettivo latino: tale il caso di salvatio salvezza cristiana e non gi formulazione associata

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alla normale qualit di salvo n alla nozione di nome dazione del verbo salvare. La quinta categoria costituita da parole latine che si sono specializzate, senza per scindere i loro antichi rapporti col sistema lessicale precristiano. Appartengono perci nella terminologia dello Schrijnen ai cristianismi diretti parole come humilitas umilt confessio confessione confessor confessore vigilia vigilia, e naturalmente deus Dio, caro carne scriptura scrittura, fides fede. Ultima categoria quella delle parole latine deformate e specializzate: classici gli esempi di gentiles che passa da appartenenti alla stessa gente al valore di non cristiani; di pagano da appartenente alla campagna a pagano; di plebs da plebe a pieve; di saeculum da secolo nel senso temporale a societ laica. Infine interessa la vicenda complessa di orare oratio che erano sul punto di cedere il passo al pi efficace rogare (e rogatio) nelluso laico e che invece si caricano di un valore religioso e acquistano nuova e diversa vitalit. Ma in questo nuovo settore si specializzano a loro volta, nel valore liturgico e non apostolico, nel quale significato assume rilievo invece precari, donde litaliano pregare. Questa ramificazione della tradizione cristiana nel suo interno facilita a sua volta il superamento delle barriere verso quella pagana. Essa agisce cos nel profondo che minore la differenza fra un testo letterario cristiano come quelli di Tertulliano e quello laico di Apuleio, che non fra Tertulliano e la Vulgata. Inversamente passa meno differenza fra gli errori corretti da Probo nellambito pagano e le particolarit delle prediche domenicali del prete, che fra questi e le elevate formulazioni di S. Agostino, sia pure nelle sue Confessioni.

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94. Caratteri morfologici Tertulliano appare certo in prima linea come creatore di termini nuovi, che si muovono nellambito del vocabolario cristiano. Ma limpulso alla loro nascita non dato tanto dalla esigenza collettiva del movimento cristiano quanto dalla forte personalit del loro autore. Secondo le statistiche H. Hoppe289 le parole che compaiono la prima volta presso Tertulliano sono 982 delle quali quasi la met (438) sono attestate esclusivamente come tertullianismi. Spesso sono determinate da esigenze formali come la ricerca di simmetria allitterazione e persino di rima: cos reformator e consummator, determinano il neologismo informator; la categoria dei nomi di azione come statio facilita laffiancamento di ieiunatio accanto a ieiunum digiuno. Invece resuscitator appare molto meglio motivato di fronte alla imagine cristiana della risurrezione che non il pagano tradizionale restitutor, che richiama essenzialmente la imagine del restauratore. Nel campo della morfologia si inseriscono nelle novit cristiane esigenze gi insite nella normale tradizione latina. Da una parte lanacronismo dei segnali propri dei verbi detti deponenti, e dallaltra la aggressivit delle nuove costruzioni perifrastiche. Appaiono cos verbi normali con valore di antichi deponenti come colligere raccogliersi, facere recarsi, longinquare allontanarsi. Dallaltra parte si leggono inizi di costruzioni perifrastiche come presso Tertulliano adversus Valentinianos 32 habeo devertere devo voltare, che letteralmente potrebbe corrispondere al costrutto italiano ho da voltare e ancor di pi nel De Idolatria sempre di Tertulliano 5 vivere ergo habes hai dunque da vivere, che anticipa il normale futuro italiano vivrai derivato esatta289

Beitrge zur Sprache und Kritik Tertullians, Lund 1932, p.

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mente da vivere habes. Il futuro italiano si distingue da questo costrutto latino non gi per gli elementi costitutivi ma solo perch non ancora raggiunta la fissit della posizione posposta del verbo ausiliare. Ancora una volta lelemento cristiano si innesta su un movimento che genericamente moderno. Un caso analogo di perifrasi il primo dei tipi di condizionale, non attestato nei testi ma sicuramente predioclezianeo ( 98). Un altro innesto, fecondo e talvolta esagerato, quello della fortuna degli astratti, che la tradizione classica ammetteva come possibilit di derivazione grammaticale ma non amava sul piano semantico, anche se i modelli greci gi avevano dato un avvio. La novit, che ora appare, consiste intanto nellastratto come indice di un valore collettivo: tali gli esempi di S. Gerolamo290 fraternitas per fratelli, gentilitas per genti, propinquitas per vicini analogamente alluso attuale in cui si dice vicinato per vicini o padronato per padroni. Astratti veri e propr sono invece le definizioni del peccato che appare presso S. Agostino come brutture o corruzioni (Conf., II. 1. 1.) recordari volo transactas foeditates meas et carnales corruptiones animae meae, oppure nodosit per nodo (Conf. I I. 10. 18) qui exaperit istam tortuosissimam et implicatissimam nodositatem? Un impiego ancora diverso degli astratti poi quello che appare presso Palladio, scrittore di agricoltura del IV secolo, presso cui si riscontra acerbitas per uva acerba, amaritudo cosa amara, siccitas luogo secco, novos sapores olio nuovo291 .
290 Marouzeau, Quelques aspects de la formation du latin littraire, Parigi 1949, p. 123. 291 Svennung, Untersuchungen zu Palladius..., Uppsala 1935, p. 518.

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95. Caratteri sintattici Potenti sono i risultati degli innesti sintattici. I particip, fortemente potenziati, assumono la autonomia che ha presso di noi il gerundio, come sostegno di una proposizione autonoma ancorch dipendente. Nel trattato tertullianeo De Pudicitia 9 si legge nec notaretur cum Iudaeis communicans victum; nel De corona 8: passivitas fallit obumbrans corruptelam; infine, un po meno lontano dagli schemi tradizionali, nellAdversus Marcionem II. 24 nemo enim te sustinebit improvidentiam adscribentem deo. Questo rapporto viene ulteriormente chiarito, ma anche rafforzato nella sua autonomia, associando congiunzioni che tradizionalmente dovrebbero accompagnarsi a forme finite del verbo: tali gli esempi, sempre tertullianei, da Adversus Marcionem IV. 18 ut confirmans... Iohannem iam advenisse, oppure De carne Christi 6: habuerit... carnem DUM omnino non natam. In relazione con la stessa linea di sviluppo si hanno impieghi pi liberi dellablativo assoluto per es. nellApologetico 18: Instrumentum adiecit literaturae, si qui velit de deo inquirere et inquisito invenire et invento credere et credito deservire, con un ossequio alla simmetria che pu parere classico, e con una apertura verso lavvenire che duole non sia stata maggiormente continuata in prosieguo di tempo. Nellinsieme appare quindi che la apertura verso le novit non costituisce abbandono o rinuncia allimpegno. Il fattore cristiano NON si associa, per quanto riguarda la vicenda linguistica, n a corruzione n a diminuzione di impegno. Strutture lineari come quelle del Vangelo di Luca I. 6 Erant autem iusti ambo ante Deum incedentes in omnibus mandatis et iustificationibus Domini sine querela; o di Giovanni I. 1 In principio erat Verbum et verbum erat apud Deum et Deus erat verbum rap-

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presentano qualche cosa di forte e di vitale, che avrebbe consentito alla tradizione latina di reggere alle durezze del primo medio evo molto meglio degli sgargianti schemi ciceroniani, pi o meno artificiosamente tenuti in vita, staccati dalla circolazione normale cos di parole come di idee.

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Capitolo ventesimo Squilibr accentuati

96. Problemi grammaticali pre-dioclezianei La sveglia dei grammatici, dei quali Probo ( 87) stato un annuncio, si manifesta in due direzioni. La prima quella critica che mira a correggere ed appunto quella di Probo. La seconda invece quella, pi misurata, della constatazione di fatti nuovi, che prima, o non si erano ancora verificati, oppure non erano stati presi in considerazione. Il fatto che Probo corregga columna non colomna presuppone una successione di fatti che i grammatici non avevano ancora tutti riconosciuti, e cio che la U latina si fosse distinta in una U chiusa e in una U aperta, e che successivamente la U aperta si fosse confusa con la O (chiusa). Ma mentre del singolo fatto Probo era gi consapevole, dei fatti fonetici attinenti al sistema delle vocali non si erano avuti che riconoscimenti parziali. Da Terenziano Mauro (fine del III secolo) si sa che la O era pronunciata diversamente a seconda si trattava di una O lunga o di O breve. Servio, nel IV secolo, affermava che le vocali erano cinque, delle quali due la E e la O, avevano due pronunce, secondo la loro quantit. Pompeo, nel V secolo, riconosceva che la E lunga si avvicinava alla I. Consenzio, sempre nel V secolo, riconosceva una differenza anche fra la I aperta e la I chiusa. Nessuno si mai reso conto di una differenza fra U aperta e chiusa, che invece necessaria proprio per spiegare la correzione di colomna da parte di Probo. Un altro argomento, decisivo, impone di credere a una relativa antichit di questo arricchimento qualitativo del sistema vocalico del latino. Il sistema massimo di NOVE vocali deve essersi irradiato da Roma verso Gallia e Ibe-

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ria, ancora prima del 300 d.C., e cio prima che la linea Spezia-Rimini si trasformasse da spartiacque in barriera culturale e linguistica: e cio in et predioclezianea. Nel campo delle consonanti, la oscillazione B/V gi conosciuta presso Probo; la tendenza allassimilazione delle consonanti registrata da Servio nel commento alle Georgiche di Virgilio (II 16). Finalmente quella pronuncia alterata delle consonanti gutturali davanti a E e I ( 89, 125), che a un certo momento necessario postulare in seno al latino volgare, ecco che viene riconosciuta per accenni per esempio da Terenziano Mauro (fine III sec.) e da Mario Vittorino alla met del quarto. 97. Riforma di Diocleziano Prima ancora che il culto cristiano fosse riconosciuto per opera di Costantino (313), e che le tante novit risalenti direttamente o indirettamente al rinnovamento del movimento cristiano avessero libero corso, la riforma dellimperatore Diocleziano modific le strutture costituzionali dellImpero, e conseguentemente le correnti di traffico, con ripercussioni particolarmente gravi su quello che abbiamo chiamato il linguaggio dItalia. I punti essenziali sono questi tre. Primo: Roma cessa di essere capitale unica, e quindi la sua funzione stimolatrice e regolatrice per diffondere o arginare novit anche in campo linguistico era destinata a indebolirsi progressivamente. Secondo: al posto dellunica capitale ne subentravano quattro, di cui una a Milano (le altre a Treviri, in Gallia, a Sirmio nellIlliria, a Nicomedia nella Tracia). Terzo: la distribuzione della rete stradale non pi stellare, irradiante da un unico centro, ma assume la figura di un fascio di linee parallele da oriente a occidente e viceversa. La Gallia Cisalpina, che ha il suo maggior centro a Milano, attraversata tutta dal pi meridionale di questi itinerari, che ha i suoi punti terminali nella Gallia transal-

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pina, diciamo a Lione. La linea Spezia-Rimini viene valorizzata come barriera culturale economica e linguistica, mentre la barriera alpina attenua la sua natura di ostacolo alle comunicazioni economiche e linguistiche. Fra il latino di Toscana non solo, ma anche fra quello dellItalia umbro-sannitica, e il latino padano si accentua il solco. Inversamente, il latino della Gallia cisalpina si apre alle influenze occidentali che attraversavano le Alpi per mezzo di vie di comunicazione importanti, ma partendo da focolai ricchi di prestigio linguistico come le scuole di Gallia, cos bene illustrate da H. Marrou292 . La latinit pagana si distingue da quella centro-meridionale non solo per i legami grammaticali con le regioni transalpine, ma per il prestigio sociale. Lo squilibrio dellItalia centromeridionale si accentu ulteriormente un secolo dopo, in seguito al saccheggio di Roma da parte del re dei Visigoti Alarico (410). Il ripopolamento conseguente cooper a sottrarre Roma dallambiente non mescolato o scarsamente mescolato, per inserirla in un ambiente integralmente umbro-sannitico, nel quale doveva rimanere per oltre mille anni, non diversamente da Spoleto o da Capua. 98. Prime distinzioni dialettali La classificazione dialettale che si pu adombrare a questo punto per quanto riguarda il linguaggio dItalia, lungi da qualsiasi allusione a genealogie e ramificazioni la seguente. In un primo tempo si devono contrapporre le aree italiane nelle quali il latino si mescolato intensamente con gli ambienti linguistici preesistenti, e aree in cui la mescolanza stata scarsa o nulla. Le aree in cui la
292 Marrou, Histoire de lducation dans lantiquit, 6 ed., Parigi 1965, pp. 425 sgg.

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mescolanza ha agito in modo rilevante, sono state essenzialmente due: lItalia gallo-italica e cio tutta lItalia settentrionale, salvo la regione dellestuario veneto intorno a Venezia; lItalia umbro-sannitica e cio la Italia centromeridionale, compresa la Sicilia, ma SENZA la Toscana. Oltre allestuario veneto e alla Toscana possono essere considerate aree non mescolate la Sardegna e il Salento. Le distinzioni minori che maturano allinterno delle due grandi aree mescolate, sono, per quanto riguarda lItalia settentrionale, tardive; esorbitano dalla et imperiale intesa in senso proprio. NellItalia centromeridionale, distinzioni minori si fanno luce invece ancora durante lImpero. Il primo gruppo corrisponde alla Sicilia e a quella prima zona calabrese che stata latinizzata attraverso la Sicilia: essa caratterizzata dal sistema primitivo di SETTE vocali ( 90), dalla chiarezza della pronuncia delle vocali finali. Il secondo gruppo si fonda su un sistema vocalico di NOVE vocali ma conserva, come quello di Sicilia, la pronuncia chiara delle vocali finali: corrisponde alle aree laziali umbre e marchigiane. Il terzo quello napoletano e calabrese, fondato sulle nove vocali e sulla pronuncia oscurata delle vocali finali. Il quarto quello del latino abruzzese e pugliese, che, oltre alle vocali finali indebolite, subisce alterazioni profonde dittongazioni e frangimenti, risalenti forse ancora a una eredit adriatica o illirica ( 113) A queste definizioni ancora vaghe si possono, sempre nellet imperiale, aggiungere alcune ulteriori distinzioni. Per quel che riguarda le vocali finali, c una differenza fra regioni nelle quali non solo le vocali finali si sono mantenute ma anche hanno ignorato la metafonesi in quanto compenso qualitativo (v. 116), e regioni che, attraverso la metafonesi, mostrano gi di percepire un pericolo di decadenza e una conseguente necessit di difesa: chiameremo la prima una latinit romana, pi antica, la seconda una latinit napoletana posteriore.

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Napoletana sar la innovazione del gruppo NN al posto di ND ( 88) il quale ultimo sopravvive solo in un piccolo triangolo nel messinese e nelladiacente area calabra;293 napoletana la forza che ha portato i tipi cririri per credere; napoletana quella che ha portato i condizionali in -ia (tratti dallimperfetto per es. avra da haber(e hab)ebam di fronte a averra da haber(e habue)ram ( 128). 99. Avvento dellintensit daccento Mentre negli strati inferiori delle istituzioni linguistiche si svolgevano e diffondevano lentamente queste novit, alla luce del sole si verificava ladeguamento dei ritmi alle esigenze della nuova natura dellaccento, la intensit. Su questo terreno la sensibilit dei grammatici era stata pi pronta. Lo provano gli adattamenti portati dal grammatico Cesio Basso al sistema delle clausole fino dal I sec. dopo Cristo. Ma ai tempi di Cesio la sensibilit quantitativa persisteva ancora. Il riconoscimento vero e proprio della intensit dellaccento e la introduzione del termine tecnico di sonor -oris sono dovuti a Terenziano Mauro (fine del III sec. d.C.) v. 1345294 : parte nam attollit sonorem, parte reliqua deprimit; arsin hanc Graeci vocarunt alteram contra thesin. La elaborazione costruttiva appare attraverso il cursus, che lequivalente accentuativo di quello che nel regime della musicalit erano state le clausole. Il grammatico Sacerdote (III secolo) ha dato una descrizione dei var tipi, che si raggruppano in tre schemi principali la finale cohe293 Devoto-Giacomelli, I dialetti delle regioni dItalia, Firenze 1972, pp. 136, 147. 294 Vedi la mia Storia della lingua di Roma, 2 ed., Bologna 1944, p. 273.

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redem detraxit, e cio di parola trisillabica piana preceduta da polisillabica piana; modicos coluerunt e cio quadrisillabica piana preceduta da trisillabica sdrucciola; dolores detulerunt, e cio quadrisillabica piana, preceduta da polisillabica piana. Questi schemi mettono radici profonde. Quando sette secoli pi tardi rifioriscono gli stud retorici, essi assumono, rispettivamente il nome di cursus planus velox dispondaicus. La sola modifica consister nellaggiungerne un quarto, lo spondaicus. Per quello che riguarda la poesia, un poeta cristiano della seconda met del III secolo, Commodiano, mostra versi in cui gli accenti di parola fungono ormai da tempi forti del verso, di un esametro uniformato alle esigenze nuove: Libri Instructionum I 16 3 sg. Dicite/ nunc ergo/ quibus/ primum/ sacra fe/ rantur inter u trimque/ vias mors/ imma/tura va/gatur295 . Oppure presso S. Agostino lantico ritmo trocaico appare attraverso la successione degli accenti primari o secondar: tale dal Salmo abecedario: bundntia pccatrum slet frtres cnturbre.296 Che tutte queste nuove aspirazioni non dilaghino incontrollate mostrato da S. Agostino. Nei primi suoi scritti come il De vita beata o Contra academicos egli in materia sintattica ancora incline alla classicit: di fronte a 55 esempi di costruzione di accusativo con linfinito non se ne ha che 1 col quod. Nelle Confessioni la proporzione scende a 11 contro 1. Ma nei Sermones la proporzione non che di 2 a 1. La collocazione del verbo nelle proposizioni principali quella finale nel 18%, dei casi, nel De Civitate Dei, del 13% nelle Confessioni. Nelle proposizioni dipendenti la proporzione rispettiva del 42% e del 22%. Questo svolgimento non dovuto a polemica o indifferenza perch egli si
295 296

Op. cit., p. 325. Op. cit., p. 331.

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effettivamente posto il problema teorico, risolvendolo contro la grammatica, a favore delluso. 100. Il testo di Eteria come riconoscimento di forze nuove Eteria297 corrisponde a un testo, che comunemente considerato prezioso ai fini di una valutazione del dilagare dei popolarismi. Tuttavia lautrice ha le sue manifestazioni di zelo anche sbagliato: nella ortografia labuso della H iniziale, hac per ac, hostium per ostium, hivit per ivit, persino hispatii per spatii. Nella collocazione del verbo, la posizione finale, normale negli schemi classici, si riduce al 25% nelle proposizioni principali e al 37% in quelle dipendenti, in un rapporto che meno lontano da quello classico di quel che non sia nelle ultime opere di S. Agostino. Una ricerca di costruzioni meno comuni appare ad esempio (3.6) attraverso lut temporale: iam ut exiremus de aecclesia, dederunt nobis presbyteri... eulogias quando uscivamo dalla chiesa.... Linnovazione pi appariscente invece linizio della declinazione romanza con i primi esempi del genitivo segnalato da de: de terra Aegypti che non pi il classico terrae Aegypti e non ancora il romanzo de terra de Aegypto. Appariscente pure il grecismo (37. 7) ille locus de Evangelio cata Ioannem quel passo del Vangelo secondo Giovanni che si aggiunge al de genitivale. Ricche sono le testimonianze di unit lessicali e valori semantici di tipo romanzo: 3.1 sabbato sera ingressi sumus montem, in cui si abbandona il classico vesper; 4. 8 gustavimus nobis loco in horto l nellorto in cui loco si ormai irrigidito ad avverbio; 24. 8 antecessus ve297

Op. cit., p. 334.

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niunt arrivano in anticipo. Si affacciano poi portare a danno di ferre, vadere rispetto a ire, plorare rispetto a flere, totus rispetto a omnis come in 2.6 toti illi montes. Grecismi importanti sono ascitis da askets, gyrus per es. in mons... per gyro tutto allintorno. Il linguaggio dItalia attraversa cos nel passare al secolo V, cos decisivo per la storia politica, un periodo ricchissimo di fermenti, sui quali n sul piano grammaticale n su quello artistico si esercitata una opera di coordinamento efficace. La debolezza delle consonanti finali, la preminenza delle preposizioni come segnali morfologici della declinazione a danno delle desinenze, la diffusione delle forme perifrastiche del verbo, la semplificazione del periodo, la affermazione di parole nuove risalenti da strati socialmente inferiori, ecco leredit che lasci da elaborare ai secoli successivi, il linguaggio dItalia, alla fine del mondo antico.

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PARTE TERZA Il Medioevo: 500-1200

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Capitolo ventunesimo Frantumazione della latinit

101. La pieve Quando nel 476 d.C. alla morte dellimperatore Romolo Augustolo, non si sent pi la necessit di nominare, con mezzi (legali o non legali non importa), un successore, ecco che dietro il sipario della autorit imperiale non appare il quadro organico delle diverse unit geografiche e strutturali, delle quali si componeva limpero. Compaiono nuclei sparsi, inorganici, non atti a costituire qualcosa, sia pure di parziale ma di durevole. Certo, ci sono i capi barbarici, in Italia Odoacre. Ma le trib barbariche, di cui era a capo, erano eterogenee, non legate stabilmente al suolo, n unite da rapporti regolari con le popolazioni di ascendenza romana. Queste erano s disorganizzate, sperdute, ma anche quasi cento volte pi numerose e oltre tutto pi civili. Gli Eruli e le altre trib barbariche, di cui Odoacre era lesponente, non fornivano un telaio suscettibile di creare una nuova unit. Non potevano inserirsi immediatamente in quelle istituzioni linguistiche quali, nel divenire del latino, erano venute a configurarsi. La organizzazione ecclesiastica perdurava. Sedi metropolitane importanti erano Roma Milano Genova Ravenna Aquileia Cagliari. Seguivano quelle vescovili di Palermo Messina Siracusa in Sicilia, di Napoli Firenze Bologna Torino Bergamo Verona, poi Vercelli, Como, Brescia sul continente. Conventi come Montecassino (dal 530 circa), Vivario in Calabria (dal 538), Bobbio (612), Farfa (680) esercitavano sicuramente una forte attrazione, costituivano una remora alle forze centrifughe. Scuole come quelle di Novara Modena Lucca, il Pa-

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latium di Pavia, il Laterano di Roma298 , assicuravano una continuit amministrativa e cancelleresca alle scarse esigenze di comunicazione che continuavano a farsi sentire. Impedirono che si arrivasse a una frattura totale. Ma il clero sparso, impersonato nel parroco, legato alle pievi, risentiva sempre meno delle irradiazioni linguistiche dai centri di cultura pi vicini; sempre pi si adeguava alle limitate esigenze delle popolazioni, ancorate al piccolo territorio della corte, allombra di qualche signore, chiuse nella attivit spicciola di contadini, artigiani, piccoli mercanti o corrieri. Divisa in due aspetti opposti, la lingua cristiana, da quando il parroco, ormai da due secoli, pu svolgere la sua attivit pastorale senza pi esser perseguitato, sbilancia il proprio equilibrio, esaspera i propr contrasti. Laspetto conservatore della lingua del rito resiste agli spunti innovatori della lingua dellapostolato, che non deve tanto aderire agli schemi linguistici validi per i fedeli, quanto seguirli nei loro sviluppi istintivi, non rallentati, non controllati, non coordinati da contatti permanenti con altri cittadini lontani. Ogni impulso linguistico, che in condizioni normali veniva neutralizzato, rallentato convogliato dalle esigenze di una comunit tanto vasta quanto solida, ecco che trovava via libera in seno alle tante piccole comunit parrocchiali. Con la fine dellImpero di Occidente, il linguaggio dItalia perde quel velo, divenuto ormai sottilissimo, di unit, cos lentamente a faticosamente raggiunta; manifesta differenze; si divide in tante unit quante sono le parrocchie, attraverso mutamenti maturati allombra di quel velo, che non devono sorprendere lo storico avvertito, eppure appaiono come una lacerazione improvvisa.
298

Viscardi, Origini, 4 ed., Milano 1966, pp. 227 sgg.

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102. Resistenze lessicali Gli orizzonti, improvvisamente circoscritti, non hanno solo la conseguenza di incrinare la unit preesistente. Essi determinano un drastico impoverimento lessicale. Fra le parole comincianti con A, possiamo utilizzarne una serie di cui siamo certi che si trasmessa dalla et tardo-antica sulla bocca di tutte le generazioni senza alcuna interruzione. Siamo in grado di allineare cos le parole italiane aia, ala, arare, arco, arte, acqua, aceto, aglio, alpe, arena, avena, amara, angoscia, ascoltare, agro, asino, ascia, amo (del pescatore), ncora, arma, asse: sono parole che, se non in tutto il territorio italiano, ora nelluna ora nellaltra regione, corrispondono a esigenze espressive, rudimentali, dellagricoltore o dellartigiano nel loro lavoro, o alle loro emozioni elementari. Anche se tutte si collegano perfettamente con modelli latini, anzi sono le stesse parole latine che hanno subito lusura del tempo, nessuna interruzione, neanche minima, interrompe la continuit dalla forma latina area alla italiana aia, dalla latina angustia alla italiana angoscia, dalla latina auscultare alla italiana ascoltare, dalla latina hamus alla italiana amo. In certe circostanze la parola era talmente importante, non solo dal punto di vista del significato nel suo insieme ma anche nei suoi elementi costitutivi, da potersi conservare intatta. Tale la vicenda di anima che si appoggiava a una nozione fondamentale della dottrina cristiana, che coinvolgeva pensieri e affetti nei riguardi delle anime del purgatorio, che ebbe presto applicazioni amministrative nel senso del numero di anime appartenenti a una data parrocchia. Ebbene, questa forma rimasta intatta, nonostante tutte le forze centrifughe di cui poteva essere vittima. Accanto ad essa si ha la regolare alterazione delle parole sdrucciole, che, come stato visto, gi durante la et imperiale, tendevano a eliminare la vo-

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cale interna priva di accento. Questa forma normale alma, che, in questo primo periodo di disgregazione fonetica e di impoverimento lessicale, avr assunto qualche valore metaforico, ad esempio per definire la parte interna di un tubo, canna o cannone299 ; dopo di che, attraverso unaltra metafora stata applicata di nuovo allanima come centro di vita, non per nel senso mai venuto meno della religione, ma in quello fiorito in Italia allombra dello Stil nuovo ( 162). 103. Unit lessicali refrigerate nelle biblioteche Se non potevano esercitare una attivit di stimolo n di coordinazione, le scuole e i vescovadi di cui si parlato al 101, costituivano forze di conservazione letteraria, culturale, e naturalmente linguistica, soprattutto in campo lessicale. Di fronte alla serie di parole comincianti con A che sono state trasmesse da una generazione allaltra senza interruzione, sia pure subendo alterazioni pi o meno vistose, ecco che un analogo campione ci presenta una serie di parole, sostanzialmente meglio conservate delle precedenti. Ma queste devono la loro miglior conservazione non gi a loro maggior vitalit. La devono al fatto che, per pi secoli, sono state conservate in mezzo ai libri, perch divenute sovrabbondanti, superflue, nellambito del piccolo mondo della corte e della pieve. Augusto somiglia di pi al latino augustus di quel che non somigli il nome del mese agosto. Ma del primo, nella vita quotidiana della corte e della pieve si pu fare a meno, del nome di un mese cos importante no. Questo secondo campione composto dalle parole: abile, abuso,
299

Devoto, La Bibbia nel Medio Evo, Spoleto 1963, pp. 58

sgg.

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accusare, acido, aderire, adibire, adulto, adottare, assurdo, atroce, attiguo, atto, augurio, azione. Fra questi, abile e abuso, con la -B conservata fra vocali, o augurio, col dittongo iniziale intatto, rivelano, attraverso la loro conservazione TROPPO fedele, che sono rimaste congelate nei libri, al riparo degli svolgimenti normali per le parole che sono state sempre alla luce del sole. Lentit dellimpoverimento lessicale, che ha seguito la fine della comunit imperiale delloccidente latino, appare manifesta. Lo studioso della lingua italiana di oggi, che considera la grande parte di parole italiane di origine latina, non deve MAI dimenticare che la maggioranza di queste non costituita da parole regolarmente trasmesse da una generazione allaltra. La maggioranza costituita da quelle che sono RITORNATE alla lingua parlata dopo un esilio, vantaggioso per la loro conservazione materiale, nei libri e nelle biblioteche del medio evo. 104. Resistenze toponomastiche Ci si domanda ora se la testimonianza dei nomi locali conferma o rettifica quella dei nomi comuni, relativamente al restringimento degli orizzonti, cui si alluso, oppure addirittura alla frattura che si stabilita fra la organizzazione della societ imperiale e quella dellalto medio evo. II mutamento della visione generale del problema appare in questa forma. Mentre nel secolo scorso si dava grande peso alla cessazione di qualsiasi continuit dallet antica a quella medievale, e si minimizzavano le lacerazioni compiute nel tessuto connettivo dellimpero, ecco che alla conferma delle lacerazioni orizzontali ( 101-103) si accompagnano ora i risultati delle ricerche di

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G. P. Bognetti300 e G. D. Serra301 sulla continuit onomastica e toponomastica di questo; sulla continuit delle comunit rurali di quello. Si hanno cos da una parte i nomi delle citt importanti che hanno le forme popolari, diciamo Zena di fronte a Genova, nomi di citt minori che si sono fissati secondo luno o laltro criterio, per esempio Cvita vecchia, Cvita Lavinia di fronte a Citt della Pieve, Citt S. Angelo; e finalmente resti di confini e di sistemazioni topografiche di et romana, come un nome di torrente Vicano, o di un territorio come Comuneglia derivato dal latino communis, indicante evidentemente un territorio di propriet, non privata ma comune. Concludono questa serie le numerose localit chiamate con Pieve: Pieve S. Stefano, Pievepelago, Pieve Albignola e cos via, resti di quella unit parrocchiale, sulla quale si tanto insistito. 105. Realt economiche Le conclusioni di ordine linguistico non devono per confrontarsi soltanto con i problemi giuridici e costituzionali. Se presso gli uni come presso gli altri la continuit storica verticale a danno di quella geografica orizzontale sembra acquisita, non si deve svalutare la importanza dei problemi economici. Se le unit superiori sono venute meno, se la vita del singolo cittadino caduta in un profondo isolamento, sul terreno economico non detto che si sia precipitati in una totale autarchia. Il commercio internazionale non morto, ma solo si aristocra300 Bognetti, Sulle origini dei comuni rurali del Medio evo, Pavia 1927. 301 Serra, Contributo toponomastico alla teoria della continuit nel Medio evo delle Comunit romane e preromane dallItalia superior, Cluj 1931.

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ticizzato, si chiuso a quanti non avevano la possibilit e la potenza della organizzazione necessaria. Non diversamente la vita culturale non si annullata ma si concentrata in quei chiostri e scuole che, come quelle citate al 101, erano in grado di attrarre e mantenere persone qualificate. Molte citt erano spopolate. Dopo la guerra gotica, Roma si era ridotta a un decimo della popolazione del IV secolo302 . N numerose erano le trib barbariche sopraggiunte: gli Ostrogoti in Pavia non erano che ventimila303 . Lo storico belga Henri Pirenne304 , sulla base di dati attendibili relativi alla persistenza di scambi commerciali nellalto medio evo, ha affermato che il mondo antico si conclude solo con la et di Carlomagno. Ma se, per quanto riguarda lItalia, fosse anche legittimo affermare che limpoverimento dei traffici non ha raggiunto i limiti di una rottura economica in connessione con il disfacimento dellimpero dOccidente, dal punto di vista del linguaggio dItalia, la svolta c stata, risoluta, decisiva. La distinta veste di cerimonia cui era ridotto il latino continua a essere usata in cerchie ristrette. Ma normalmente si usano tanti diversi (e sdrusciti) vestiti quante sono le pievi. Il Pirenne ha errato nel non considerare, di fronte ai superstiti collegamenti commerciali, il disfacimento delle connessioni linguistiche. Questo disordine attenuato da tre forze: la persistenza del latino in quanto abito di cerimonia, che non abbandonato del tutto ( 106-110); la persistenza di eredit e tendenze anteriori alla diffusione del latino in Italia, che riaffiorano e contribuiscono a determinare distinzioni fra grandi mode regionali ( 111-130); la introduLot, La fin du monde antique, Parigi 1927, p. 313. Lot, op. cit., p. 280. 304 Mahomet et Charlemagne, Parigi 1937.
302 303

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zione di fattori di ricostruzione linguistica per opera dei Longobardi ( 131-140).

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Capitolo ventiduesimo Verso il bilinguismo

106. Auctores e artes Labito di cerimonia che continua, in forma di eccezione, non priva peraltro di aspetti tradizionali, si presenta da prima impersonato da due figure autorevoli305 , quelle di Severino Boezio (ca. 480-ca. 525) e di Aurelio Cassiodoro (ca. 480/ 190-573/583), che vengono a rappresentare i capostipiti di due diverse tradizioni. Boezio stato definito come lultimo dei Romani e il primo degli scolastici. La sua prosa di alto livello e questo livello cresce con gli anni306 , ma non si estrania rispetto ai tempi, in quanto le strutture paratattiche continuano ad avere le sue preferenze. Cassiodoro impersona invece esigenze diverse, pi tecniche, meno fissate sui modelli antichi, pi vicine a gusti e tendenze degli autori cristiani307 . Il doppio indirizzo che si rif a questi due autori ha avuto una esatta denominazione attraverso la contrapposizione nei secoli successivi fra i seguaci degli auctores e cio di quanti si prefiggevano modelli individuali308 e seguaci delle artes e cio di modelli collettivi309 , prescindenti da spinte e tendenze del parlare corrente. Lesile cortina superiore del linguaggio dItalia sopravvive dunque, anzi si continua, secondo due distinti filoni.
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B. Nardi, Origini, Milano-Napoli, Ricciardi 1956, pp. 1-

25. Norden, Antike Kunstprosa, 2 rist., Lipsia 1918, p. 586. Viscardi, Origini, 4 ed., Milano 1966, pp. 334 sgg. 308 Norden, op. cit., p. 690. 309 Norden, op. cit., p. 680.
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107. Gregorio Magno Questa sovrastruttura di lingua scritta, sia che si richiami a modelli precedenti in modo consapevole, oppure non si ponga espressamente canoni da seguire e imitare, ha un carattere costante, quello di sentire la lingua latina ancora come un universale, in tutto loccidente latino, e in particolar modo in Italia. A influenze locali, se proprio non campanilistiche, non indulge. E tuttavia, continuando nella figura dellabito da cerimonia, se questo abbellisce e attenua particolari e difetti delle forme umane, non che non subisca pieghe e anche deformazioni. La tradizione della lingua scritta, letteraria o cancelleresca non importa, non chiude ermeticamente di fronte a incertezze ondeggiamenti o risolute novit. Gregorio Magno, papa dal 590 al 604, autore fra laltro di dialoghi e omelie, scrive grandevus per grandaevus, discendo, clarisco, benivoli con le I al posto delle E normali, e, nel campo della morfologia, usa abbati de monasterio per monasterii. Il suo atteggiamento non rigido e tiene conto quando ne il caso del livello degli interlocutori310 , n ha falsi pudori rispetto alla grammatica, della quale rifiuta la disciplina integrale, che pure i grammatici pretenderebbero: unde et ipsam loquendi artem quam magistri disciplinae exterioris insintuant, servare despexi : in questo confermando la posizione di S. Agostino311 , anteriore di due secoli. Ma queste aperture non sono un cedimento. La tradizione dellabito da cerimonia resiste durante i secoli VII-VIII. Da un trattato medico del diacono Crispo (fi310 Norberg, In registrum Gregorii Magni studia critica, Uppsala 1937. 311 Devoto, Geschichte der Sprache Roms, Heidelberg 1968, p. 278.

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ne del VII secolo)312 si pu estrarre un passo come il seguente: si caput innumeris agitatur pulsibus, egrum... protinus ex hederae studeas redimire corona. Esso mostra solidit e funzionalit esteriori impeccabili: il problema di uno spessore delledificio linguistico, per quanto riguarda lo strato superiore latino qui non appare. 108. Inserimento barbarico Il dialogo fra lo strato superiore (e unitario) del linguaggio dItalia e quello inferiore dei (tanti) parlati delle singole pievi, si arricchisce a questo punto di un fattore nuovo: la partecipazione della nuova classe dirigente barbarica, la sua accettazione del mondo romano cos dal punto di vista della confessione religiosa come da quello delle strutture linguistiche. Questo innesto avviene prima attraverso la attivit cancelleresca e giuridica, poi attraverso la riflessione grammaticale. Lesempio fondamentale quello delleditto del re Rotari (del 643)313 , dal quale estraggo qui un passo eloquente: si quis foris provincia fugire temptaverit, morti incurrat periculum, et res eius infiscentur. Non certo un passo a livello della letteratura, ma non neanche il risultato irresponsabile della penetrazione di elementi volgari o barbarici. il risultato della confluenza delle varie esigenze, da una parte di modernit e semplicit, dallaltra di decenza grammaticale, come deve avvenire in un testo tradotto, nel quale, la chiarezza non mai troppa. Per rimanere nel quadro che si delineato a proposito della tradizione latina, il linguaggio dItalia assume di fronte alle sovrastrutture barbariche, lo stesso doppio
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Origini, cit., alla n. 1, pp. 47 sgg. G. L. Barni nelle Origini, cit., alla n. 1, pp. 66 sgg.

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processo: a livello superiore, si ha la totale accettazione della tradizione latina da parte del mondo barbarico, a livello inferiore non tanto la penetrazione di innovazioni e di errori, quanto di unit lessicali e di documenti onomastici ( 131 sgg.). Il secolo successivo mostra la partecipazione barbarica addirittura a livello dei problemi grammaticali, attraverso lopera di Paolo Varnefrido, meglio conosciuto sotto il nome di Paolo Diacono (720/724-799)314 . Autore di una Storia dei Romani e di una dei Longobardi, egli rimasto famoso negli stud di latino per la sua epitome del glossario de verborum significatione di Festo. Per opera sua, si ha una saldatura con la tradizione grammaticale di Donato e Prisciano dei secoli IV o V. Una prova della seriet con cui Paolo Diacono si immerso nel sistema linguistico latino, data dal fatto che, fra una lettera e una pagina di storia di Paolo Diacono, passa una differenza minore che fra una lettera e un trattato o una orazione di Cicerone315 . Le strutture del latino letterario hanno perduto elasticit, non affondano pi come una volta nel vivo della lingua parlata di alto livello ma costituiscono pur sempre un monolito solido, augusto. Infine, Paolo ha lasciato un documento attinente al ritmo. Il verso ut queant laxis resonare libris 316 pu essere considerato, dal punto di vista della metrica classica, come un verso saffico, ma vale da un punto di vista italiano gi come un normale endecasillabo. Il verso sar utilizzato da Guido dArezzo secoli dopo, per fissare la terminologia delle note musicali ( 145). Anche in questo si ha una prova del tranquillo trapasso dagli schemi commodianei
Origni, cit., alla n. 1, pp. 92 sgg. Vedi il mio Profilo di storia linguistica italiana, 4 ed., Firenze 1964, p. 29. 316 Monteverdi, Studi romanzi, 28, 1939, p. 152.
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e agostiniani a quelli della prosodia e metrica italiane del dolce stil nuovo e di Dante. 109. Alcuino Nonostante questa solidit e continuit, al di sotto dei vestiti di cerimonia il resto dellabbigliamento andava logorandosi, diventando anzi disordinato e vario anche nella fissazione scritta. I testi, legati a una tradizione venerabile di prestigio letterario, o indispensabili alla maest del culto, dovevano prima o poi porre il problema di una revisione e risanamento. Perch questo fosse realizzabile sulla base di un piano, organico e con sufficiente consenso e coordinamento, occorrevano due cose. Sul piano generale occorreva che si ricostituisse un minimo di volont politica, associata a una estensione territoriale, sufficiente per contrastare i municipalismi, per imporre autorit ai superstiti centri di cultura. Questo avviene solo quando, per opera di Carlomagno, abbiamo davanti agli occhi un impero, che comprenda in tutto o in buona parte lItalia. La seconda condizione era che si costituisse un gruppo di uomini di studio, consci della importanza del problema e della necessit di studiarlo e risolverlo a fondo. Eponimo di questo movimento fu un monaco di origine anglosassone, Alcuino (735-804), che propose la revisione dei testi sacri, e la purificazione della Bibbia dalle incrostazioni che ne avevano reso irriconoscibile il testo. Conseguenza di questa operazione fu s il ritorno della Bibbia pi o meno alla forma originale della Vulgata di San Gerolamo di quattro secoli prima, ma fu anche la prova agli occhi delluomo della strada, che altro era il latino biblico e altro quello che lui si illudeva ancora di parlare. Questo non era pi latino anche se lui lo chiamava ancora latino.

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110. Gli strati inferiori Le testimonianze dello sviluppo divergente di questo abbigliamento minore non sono straordinariamente abbondanti, ma esistono. tempo che se ne prendano in considerazione alcune, dopo di che si impone la ricostruzione di tutte quelle forze centrifughe, ma non soltanto centrifughe, che in questi quattro secoli (VI-IX) hanno spinto avanti le tendenze, gi attribuite al latino parlato dellet imperiale. La prima, piccola ma genuina, risale a un monaco spagnolo, Isidoro di Siviglia (570-636) il quale317 attribuisce agli italiani la pronuncia ozie per hodie, e cio fissa una cronologia per la palatalizzazione del gruppo DJ, tipica dellitaliano. Ma pi significativi sono gli esempi tratti da interi testi ancora latineggianti o da parole dalla impronta ormai integralmente italiana. Sono orizzonti ancora lontani che appaiono attraverso le scuciture di un sipario logoro, liso. Ecco che si hanno cos testi anche non sacri che dal punto di vista soggettivo sono ancora latini, ma che nella realt fonetica e morfologica sono profondamente erosi. Tale il caso del trattato artigiano dellVIII secolo che stato chiamato Compositiones Lucenses o composizioni lucchesi, oggetto di studio approfondito da parte dello svedese J. Svennung318 . Una frase caratteristica la seguente: Tinctio pellis prasini (verde). Tolles pellem depellatam et mitte stercos caninus et colombinus et gallinacium. La declinazione declassata nellincertezza e soprattutto nel disordine in -US e in -UM da una parte e desinenze in -OS e in -US dallaltra. Un altro testo, il testamento di un vescovo Walprando, del 754, dice vo317 318

Etymologiae, ed. Lindsay, Oxford 1911, XX, IX. 4. Compositiones Lucenses, Uppsala 1941.

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lo ut omnes res meas que ad dicata et non vendita aut non donata remanserint, duas partes abeat319 . Accanto a queste testimonianze di disgregazione morfologica, si allineano novit lessicali, per i nostri occhi modernissime: tali in documenti lucchesi: menare condurre negli anni 770 e 777; porcello (777); terre incolte (776, 795), pascolo (787). Si tratta come ognun vede di forme che sono ormai italiane. Anche latteggiamento dei grammatici si svolge sempre pi nella direzione di lasciar coesistere le forme della lingua scritta con quelle della parlata, limitandosi a spiegare o tradurre queste ultime. Mentre la Appendix Probi rimproverava dicendo columna non colomna ( 87), le glosse di Reichenau (VII-VIII sec.) si limitano a tradurre quello che i contemporanei non usano o non capiscono pi: p. es. transmigrat de loco in loco vadit.
319

Profilo, cit., p. 24.

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Capitolo ventitreesimo Lazione dellaccento

111. Prima delimitazione della toscana Un secondo temperamento ( 105, fine) permette una prima approssimazione nello sforzo di raggruppare le migliaia di mini-latini sbocciati allombra delle pievi. Esso dato da alcune sopravvivenze tipiche delle tradizioni linguistiche preromane, e di alcune mode e correnti, gi ricostruite sopra, allinterno della comunit romana ( 87-90, 96). Le tante frontiere che vengono a costituirsi fra pieve e pieve non sono comparabili fra loro. Accanto a quelle che costituiscono solo sfumature allinterno di un colore locale, ve ne sono altre che, gi per ragioni storiche, appaiono come virtualmente costituite, sia pure in forma ancora fluida, anteriormente alla frantumazione della unit romana. Fra tante frontiere linguistiche ora impercettibili, ora visibili, ora vistose, si pone per primo il problema di quelle che portano a una definizione, sia pure negativa, di una intiera regione, la Toscana. I presupposti lontani, predioclezianei, esposti al 96, ci dicono che avevano raggiunto la Toscana senza difficolt le due grandi innovazioni della palatalizzazione delle consonanti gutturali, da cui era rimasto immune solo il centro della Sardegna, e la organizzazione di un sistema di NOVE vocali, poi raggruppate in sette, rimasta propria di tutto il mondo romanzo non italiano, mentre in Italia, si era diffusa solo nellarea a settentrione della via Appia. Una terza grande innovazione, quella della assimilazione progressiva del tipo da ND a NN, di provenienza umbro-sannitica, si arresta sulla frontiera della Toscana, intesa non precisamente in senso amministrativo, perch, movendo da sud-est

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e est, raggiunge il territorio ormai toscano delle falde meridionali del monte Amiata ( 139). Let postdioclezianea, e soprattutto linizio del medio evo, propongono due problemi in buona parte, ma non solo, innovativi, che si impongono, coinvolgendo la imagine geografica della Toscana. Si tratta delle conseguenze dellaccento dintensit, di cui si sono citati i primi indizi in et imperale ( 99). Si tratta delle manifestazioni di maggiore o minore accentramento della parola, sempre per opera dellaccento, con conseguenze non soltanto sulle vocali prive daccento, ma anche sulle consonanti in posizione finale ( 114, 115). Per i caratteri che sopraggiungono a definire ulteriormente la Toscana v. 149. 112. La dittongazione interna Indipendentemente dai cambiamenti di timbro che gi durante let imperiale si devono ammettere per tutte le vocali accentate allinfuori della A, la azione dellaccento di intensit si manifesta attraverso lallungamento della vocale accentata320 . Una forma latina come dicit non si accontenta cio di distinguersi, con la sua pronuncia chiusa, da un tipo come picem, che con la sua I aperta passato allitaliano pece. La forma dicit, ha una I che, oltre che chiusa, anche lunga, una specie di DIICIT. Ma il sistema linguistico aveva appena perduto la capacit distin320 Vedi Richter, Beihefte der Zeitschrift fr romanische Philologie. 27, 1911, pp. 120 sgg.; Meyer-Luelrke, Einfhrung in des Studium der romanischen Sprachwissenschaft, Heidelberg 1920, pp. 141 sgg.; Vidos, Handboek tot de Romanse taalkunde, ed. it., Firenze 1959, pp. 244 sgg. Per la parte funzionale importante L. Romeo, The economy of diphthongization in early Romance, The Hague 1968.

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tiva per la opposizione di quantit lunga e quantit breve. Le vocali che non distinguevano pi una pronuncia chiusa da una aperta, si sono adattate alla nuova situazione; fra quelle che distinguevano una pronuncia aperta e una chiusa, come nel caso della E e della O aperte, ecco che si presentata la tentazione di accentuare ulteriormente la distinzione fragile delle aperte, prolungandone la quantit con una intensit e uno sforzo che non potevano essere al riparo da tendenze dissimilatrici. E quando la struttura della sillaba aperta non ha posto ostacoli di volume e di durata (come invece frapponeva la sillaba chiusa) ecco che la serie PEE-DE non ha potuto impedire quello squilibrio qualitativo, che si realizzato attraverso la dissimilazione di E in IE. Inversamente, la struttura sillabica chiusa di PER-DI(T) ha mantenuto immune la vocale in questione. La stessa elaborazione si compie nel caso della O aperta che, in sillaba libera, subisce allungamento e dittongazione come in cuore, ma in sillaba implicata rimane ferma nella situazione originaria come nel caso di porta. Tale il caso tipico della dittongazione interna, e cio non determinata n sollecitata da circostanze periferiche quale la pronuncia la persistenza o la decadenza delle vocali finali di parola. Si tratti di fiera lat. FERA, piede lat. PEDE(M), fuochi lat. FOCI, duomo lat. DOMU-, qualunque sia stata la vocale finale, hanno subito uniformemente la innovazione. La rigorosa delimitazione della dittongazione interna, accompagnata alla chiara pronuncia delle vocali finali, sia pure private della opposizione -O/-U, fa s che la dittongazione toscana debba essere considerata come qualcosa di chiuso in se stesso, e per cos dire abbozzata senza spingersi al di l dei limiti che linsieme della parola imponeva o consentiva; senza incrociarsi con altre tendenze; distinguendosi risolutamente dalle dittongazioni, proprie delle aree

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circostanti321 . A questa sua definizione strutturale deve corrispondere una delimitazione nel senso dello spazio, in quello del tempo, in quello dello spessore sociale. Nel senso dello spazio, essa non una esclusivit della Toscana, ma rappresenta il risultato spontaneo, non influenzato da forze esterne, e quindi originariamente pi esteso, sul quale eventuali forze esterne hanno agito pi tardi, spostando frontiere dialettali preesistenti. Il primo di questi problemi rappresentato da Venezia, la cui area stata riconosciuta sopra come unarea di latino scarsamente mescolato ( 98) e nella quale gi G. I. Ascoli322 aveva riconosciuto la esistenza di una dittongazione interna pura, non diversa da quella toscana. In un secondo tempo Venezia stata deformata dallarrivo di correnti estranee, rappresentate da lenizioni e troncamenti di origine gallo-italica o ladina. Analogamente, come ha riconosciuto Gerhard Rohlfs323 , nella Liguria nordorientale e precisamente nella zona del monte Antola, sopravvivono resti deturpati di una dittongazione del tipo toscano UO, resa per irriconoscibile dallavvento di un sistema vocalico nel quale sono presenti le vocali miste e perci estraneo al sistema toscano: si tratta dellinserimento di questa zona ligure nellinsieme dei dialetti gallo-italici, e quindi si deve tenere aperta la strada alla possibilit di dover riconoscere una fase pre-gallo-italica dellarea ligure stessa ( 140). Questa delimitazione geografica ha altre due conseguenze storiche di primaria importanza, che provano la
321 Castellani, Atti del V Convegno di Studi umbri, Gubbio 1970, pp. 57-62 con bibliografia; cfr. la testarda resistenza dello Schrr, Revue de linguistique romane, 9, 1933, pp. 203 sgg. 322 Ascoli, Archivio glottologico italiano, 8, 1882-5, p. 110. 323 Rohlfs, Historische Grammatik der italienischen Sprache, I, Berna 1949, p. 192.

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alta antichit di questa dittongazione elementare. Per avere raggiunto, partendo dal mondo equilibrato del vocalismo toscano, la regione di Venezia, essa deve essere stata abbastanza antica A) per consentire di raggiungere la valle del Po, sia pure nella sua estremit orientale, anteriormente al 300 d.C., et della riforma diocleziana, e B) per precedere la frattura operata negli ultimi due secoli dellimpero dalla ulteriore gallicizzazione della regione intermedia romagnola, quale appare attraverso la caduta delle vocali finali, anche dopo consonante occlusiva. La ipotesi di una influenza germanica e comunque settentrionale, pertanto da escludersi324 ( 131). Quanto alla cronologia assoluta, le testimonianze effettive sono invece tarde. In una carta lucchese del 761 si trova quocho e Quosa (nome locale); nel 983 aqua buona; a Venezia325 si ha normalmente cuor cuore, dieze dieci. Finalmente, per quanto riguarda lo spessore, ancora per opera di G. Rohlfs326 stata richiamata lattenzione sul fatto che la dittongazione toscana regolare ma non universale, e cio rispecchia uno sforzo di precisione e attenzione, che non sempre stato accettato dagli strati inferiori. Essi hanno detto sempre lepre nove (non LIEPRE NUOVE), mentre il fiorentino bono potrebbe essere ancora oggi valido e significante. 113. I frangimenti Parallela alla dittongazione interna delle vocali aperte, la resistenza delle vocali chiuse e di quelle che ignorano
324 Wartburg, Die Entstehung der romanischen Vlker, Halle 1939, pp. 149 sgg.; Schrr, Atti, cit., pp. 384 sgg. 325 Ascoli, op. cit., pp. 110 sgg. 326 Rohlfs, op. cit., I, pp. 152 sgg., 185 sgg.

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la differenza di apertura. La conservazione delle E e delle O chiuse si oppone nella grande area (sia pure non contigua) tosco-veneziana a quel fatto violento, che si verifica in tutte le altre regioni italiane, detto frangimento. Questo una dittongazione brusca o chirurgica, il cui tipo pi elementare il passaggio da E a EI, da O a OU. A Firenze come a Venezia si dice tela, vena, e cos croce a Firenze, croze a Venezia, con una identica o chiusa, inalterata. A Genova si ha invece meise, neive per mese neve, a Bologna vous soul per voce sole. In Puglia, a Lucera si ha meis, a Barletta soul per mese sole. Il rapporto chiaro: dove c dittongazione interna, le vocali finali sono pronunciate chiare; dove c il frangimento, le vocali finali possono s anche salvarsi ma, nella maggioranza dei casi, si confondono in una vocale indistinta, oppure scompaiono. Col frangimento connessa una intensit di accento molto maggiore di quella che si manifesta invece nella dittongazione interna. Come si vedr pi sotto, i focolai del frangimento sono due: quello adriatico agisce in et relativamente recente, valido anche dopo che si son manifestati i fatti di metafonesi, ma ha anche lontani preannunci nella preistoria, per esempio per quello che riguarda la vocale mista . Laltro, il gallo-italico, si connette anche esso a innovazioni tuttora persistenti nel francese. 114. Le vocali finali A queste azioni dellaccento, concentrate nellambito delle vocali accentate, si accompagnano i processi di accentramento che agiscono sulla compattezza della parola nel suo interno oppure sulla sua maggiore o minore individuazione nella serie della frase. II primo il problema della vocale finale di parola, che gi durante let imperiale aveva dato segno di trovarsi in condizione se non di debolezza, di minore capacit distintiva a proposito di

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-I/-E finali ( 83). Da un punto di vista della sua pronuncia pi o meno chiara, si contrappongono aree conservatrici a livello pi o meno integro, e aree indebolitrici fino alla eliminazione totale. Le grandi aree, che conservano una pronuncia chiara delle vocali finali, sono da una parte il gruppo siciliano sardo e salentino327 , dallaltra la Toscana, col Lazio, lUmbria (col finitimo territorio aquilano) e le Marche. La chiarezza della pronuncia non significa che si conservi il numero originario di vocali. In Sicilia ad esempio le vocali finali sono tre; in Toscana sono quattro. In una zona ristretta umbro-marchigiana se ne conservano cinque perch la distinzione fra -U e -O salvaguardata328 . I testi che lo dimostrano sono molto pi tardi, ma si deve considerare la possibilit che, inquesto periodo intermedio, distinzioni morfologiche come quella del genere neutro abbiano consolidato la vitalit fonetica di elementi che nei riguardi dellaccento si trovavano in condizioni uniformi. Le due aree innovatrici non sono neppure esse contigue. Larea settentrionale che comprende la valle padana e le Marche settentrionali fino al fiume Esino, mira alla eliminazione della vocale finale: ma naturalmente questa poi favorita o ostacolata dalla resistenza maggiore o minore delle intelaiature consonantiche. Dove queste reggono meglio, si indeboliscono le vocali finali, e inversamente le vocali finali resistono di pi quando la lenizione consonantica imperversa. Allingrosso si possono identificare in Liguria e intorno a Venezia le circostanze meno favorevoli alla caduta delle vocali finali. Quanto allaltra area, che comprende Abruzzo (senza il territorio aquilano) Puglia (senza il Salento), Campania Lucania Calabria, la meta immediata non tanto la distruzione delle vocali finali quanto la loro fusione in una unica voca327 328

Rohlfs, op. cit., I. pp. 239 sgg., 243 sgg. Rohlfs, op. cit., I, pp. 240 sgg.

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le indistinta. Allinterno di questo risultato globale ci sono focolai estremistici isolati che pervengono alla caduta totale. Ma si tratta di fenomeni posteriori, dei quali in questa et non esistono che premesse indirette. Mentre nellet imperiale non si potevano concepire che indebolimento e caduta di vocali interne, lalto medio evo introduce perci un fattore nuovo di alterazione e complicazione che accavalla insieme i processi di indebolimento vocalico e consonantico, in modo che questi finiscono per neutralizzarsi in parte. 115. Le consonanti finali Lindebolimento delle consonanti finali richiede un minore intervento dellazione dellaccento. Nella antichit si era avuta una contrapposizione della pronuncia cittadina di fronte a quella rustica, e cio di un focolaio di resistenza e autonomia della parola di fronte alle tendenze a eliminare le frange finali, nel frattempo esautorate dal punto di vista morfologico. Lindebolimento massimo era stato quello della -M, resa addirittura non valida ai fini prosodici: una persistenza isolata rappresentata da una parola non italiana ma francese, che rien (lat. REM). In italiano le preposizioni con per (lat. cum, per) conservano la consonante finale integra perch sono enclitiche, non s accentato, ma non compare mai in fine di frase. La -S a Roma si era certo indebolita, come mostra la prosodia nellet plautina. La reazione cittadina laveva risanata, e mentre il successivo indebolimento appare in tutta la latinit orientale fino in Dacia, l-S resiste invece vigorosamente in tutto loccidente ivi compresa la valle del Po, sensibile alla azione della cultura gallica, e il Friuli, raggiunto da correnti di gallicit transalpina. Le tracce di una -S, superstite ancora nel medio evo nellItalia settentrionale, confermano questa visione unitaria.

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Per quello che riguarda la -D/-T, la situazione un po diversa, perch la consonante dentale era destinata a cadere senza traccia nella parola isolata, mentre si trova in condizioni di privilegio quando faccia parte (come le citate con per) di una particella proclitica, e perci venga a trovarsi in condizione analoga a quella dellinterno di parola. Nasce cos in quella parte di Italia che ammette la assimilazione delle consonanti e il mantenimento delle doppie che ne derivano, il cosiddetto raddoppiamento sintattico cos caratteristico per gli italiani delle altre regioni e, per quanto riguarda soprattutto le consonanti gutturali, in chiara opposizione con le forme semplici, soggette alla aspirazione toscana329 ( 124). Un procedimento cos caratteristico soggetto a esagerazioni, come ha mostrato G. Rohlfs. Pi importante il fatto che il raddoppiamento sintattico appare anche in altre forme, fra le quali da ricordare il tipo campano: singolare o rit il dito, plur. e dde 330 ( 123).
329 330

Rohlfs, op. cit., I, pp. 290 sgg. Rohlfs, op. cit., I, p. 258.

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Capitolo ventiquattresimo Metafonesi e vocali miste

116. La metafonesi come compenso qualitativo La contrapposizione di due Italie, luna a parole decentrate, laltra a parole pi o meno fortemente accentrate, non equilibrata. Proprio in questo periodo, in cui siamo praticamente ancora privi di documenti, dobbiamo fissare, in base a testimonianze indirette, altri processi e altre innovazioni, destinate ad allargare gli spazi in cui laccentramento si faceva sentire in modo pi o meno netto rispetto agli spazi che ne rimanevano immuni. Un reagente ci permette di riconoscere la estensione delle tendenze volte a indebolire la consistenza fonetica della sillaba finale, e nello stesso tempo a evitare gli svantaggi morfologici che derivano dalla minore efficacia segnalatrice dei morfemi finali. Questa la cosiddetta metafonesi, un fatto fondamentale della dialettologia italiana, attestato in forme varie in tutta lItalia, fuori che in Toscana e in alcune parti della Sicilia. Si intende per metafonesi la alterazione del timbro di una vocale interna della parola, volta a renderlo meno distante o addirittura a identificarlo con quello della vocale finale. Questa momentaneamente abbastanza forte per influenzare la precedente, ma si sente insicura, come destinata a indebolirsi o addirittura a soccombere. Da questo deriva la conseguenza che NON si tratta di un vero atto di forza della vocale finale, che si impone su quella interna, quasi possedesse una prevalenza simile allaccento. Allopposto, la metafonesi attesta invece al massimo una esigenza morfologica, abbinata per a un sentimento di indebolimento e perci stesso di invalidit fonetica. La metafonesi uno strumento per garantire una validit morfolo-

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gica, sostituendo un segnale fonetico di cui si avvertiva la fragilit, con un altro, del quale si possa esser sicuri per quanto riguardi chiarezza e solidit. La metafonesi si definisce pertanto come un compenso qualitativo preventivo attuato prima che il segnale entrato in crisi sia divenuto irriconoscibile o addirittura scompaia, non pi atto a trovare un sostituto. La prima variet di metafonesi quella precoce, che ottiene il risultato di rinforzare la vistosit di una opposizione morfologica, anche senza che lo sviluppo successivo del sistema linguistico venga a giustificarne la necessit. Nella regione sarda del Logudoro il singolare maschile del tipo latino volgare BONU bonu con la O chiusa, mentre il femminile corrispondente bona con una O normale, percepita in opposizione a quella di bonu. La base di partenza sta nel fatto che a un certo momento la -U finale stata sentita come destinata allindebolimento, e in questa situazione essa ha agito sulla vocale antecedente, ha inteso avvicinarla al suo timbro, ne ha determinato la pronuncia chiusa. La -A del femminile, sentita invece come solida, non ha avuto bisogno di agire sulla vocale precedente331 . Lindebolimento delle finali in sardo non si per verificato, e la metafonesi precoce del sardo non ha avuto altro effetto che arricchire il suo sistema vocalico da cinque a sette unit. Nella Sicilia, specialmente in quella orientale e sudorientale332 , si trovano forme precoci di metafonesi, il risultato delle quali non una chiusura del timbro, ma una dittongazione. Di fronte a un singolare maschile viecchiu, dittongato, si ha un femminile vecchia, non dittongato. E cio la relativa sicurezza della -A
331 Wagner, La lingua sarda, cit., p. 310; Zeitschrift fr romanische Philologie. Beiheft, 93, Halle 1941, 15. 332 Rohlfs, Historische Grammatik der italienischen Sprache, I, Berna 1949, p. 178.

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finale non ha posto un problema di rafforzamento della vocale precedente, mentre il previsto indebolimento della -U finale ha determinato una pronuncia rafforzata della sillaba interna. Il rafforzamento ha avuto per risultato una pronuncia prima allungata, poi dittongata. Mentre per la Sardegna si pu ammettere che la nuova variante nel timbro vocalico risponda a una esigenza spontanea, locale, che non penetra dalle coste marine verso linterno, per la Sicilia si pu invece considerare che il sentimento della fragilit della vocale finale e la tendenza a contrastarne le conseguenze attraverso la via della metafonesi corrisponda a quella seconda corrente di latinit che stata definita sopra come di latinit napoletana ( 98). 117. Metafonesi prematura Una seconda metafonesi pu essere detta prematura. Nemmeno essa determinata da fatti di indebolimento e irriconoscibilit prevedibili, ma, a differenza della sarda, ha tali contatti con le aree di classica diffusione metafonetica che merita di essere distinta dai precedenti esempi di metafonesi precoce. Si tratta di due aree lontanissime fra di loro, ma contigue rispetto al grande territorio della Italia meridionale. Da una parte, a settentrione, sta il territorio che comprende le attuali regioni del Lazio, delle Marche, dellUmbria col finitimo territorio aquilano. Ad Amelia, nellUmbria, si ha il singolare maschile nero, cui corrisponde un plurale niri, destinato a custodire il valore morfologico distintivo della -I in quanto desinenza di plurale. Non solo qui non si avuto un indebolimento effettivo delle vocali finali, ma proprio in queste regioni si mantenuta meglio che nella stessa Toscana la distinzione fra -O e -U. Allestremit opposta, nel Salento, si avuta la stessa operazione. Le vocali finali -I e -U conservano la loro efficacia distintiva e tuttavia abbiamo ener-

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giche dittongazioni metafonetiche quali vienti per venti, 20, cueri invece di cuori, cueru invece di cuoio. Anche qui, come in Sicilia, la tecnica della dittongazione mostra lattenzione gravitante sulla vocale interna, dopo essersi spostata da quella finale. 118. Metafonesi classica meridionale Il grosso della metafonesi meridionale comprende le regioni dellAbruzzo, con la eccezione del territorio aquilano, del Molise, della Campania, della Lucania e della Calabria salvo quella meridionale. Il movente del procedimento palese. In un primo tempo tutte le vocali finali si riducono a una -, con la eccezione della -A. In un secondo tempo, la -A subisce anchessa questo indebolimento mentre le altre vocali, in certe zone pi o meno ristrette, si annullano. Avviene cos per esempio a Bari che le desinenze del singolare maschile -U e quella del plurale maschile -I, destinate a indebolirsi precocemente, agiscano preventivamente sulla vocale precedente per oscurarne il timbro, per esempio in chist, il quale per, rappresentando la pronuncia oscurata sia di QUESTU sia di QUESTI, significa contemporaneamente questo questi, e cio NON distingue pi il singolare dal plurale maschili. Solo nel caso del femminile, la vocale -A, in un primo tempo pi valida, non ha agito sulla vocale precedente e, anche quando si indebolita, la sua mancata azione ha giovato alla distintivit del rapporto: ches questa si distingue agevolmente da chist, il cui valore rimane invece ambiguo di maschile cos singolare come plurale: la azione metafonetica ha dato al sistema morfologico un aiuto soltanto parziale. Un aspetto molto importante del problema di ordine cronologico. La azione metafonetica stata precoce in senso sia assoluto sia relativo. Tutti i frangimenti di cui si parlato sopra ( 113) colpiscono a uno stesso modo

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ad esempio le I e le U primitive come quelle sopraggiunte dopo, determinate dalla metafonesi333 . 119. Metafonesi classica settentrionale Laltra grande area metafonetica quella dellItalia settentrionale, naturalmente in forma non assolutamente livellata. Le differenze rispetto allarea metafonetica meridionale sono due. Da una parte, lazione metafonetica non mantiene la simmetria fra lazione della I e quella della U, ma sottolinea la maggiore urgenza di compensare lindebolimento della I piuttosto che quello della U. Dallaltra parte, la sorte delle vocali finali stata nellItalia settentrionale pi spinta che nellItalia meridionale e quindi la importanza delle vocali metafonetiche nellinterno della parola aumenta ancora, di fronte al segnale finale, che bene spesso si riduce al valore zero. Il vantaggio della soluzione settentrionale appare schematicamente da questa opposizione in confronto dellesempio barese citato sopra: il singolare maschile QUEST(U) si oppone al plurale QUIST(I) in un modo che rimane chiaro anche dopo la caduta totale delle vocali finali. Tali gli esempi genovesi in cui can da CANE non deve compensare n preventivamente n posticipatamente la caduta della E finale, mentre la -I, segnale fondamentale del plurale, determina la metafonesi della A interna in -E-, dando luogo a chen. Cos al singolare cian da PLANU non ha bisogno di nessun compenso, ma il plurale cen da PLANI, perch di questa distintivit il sistema genovese non pu fare a meno.
333

Atti del V convegno di Studi umbri, Gubbio 1970, p.

112.

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120. Vocali miste Del tutto diversa laltra innovazione che dobbiamo postulare fino dai primi secoli del medio evo, quella delle vocali miste. Essa non ha nessuna connessione con la morfologia, ma rappresenta un diverso equilibrio allinterno del sistema delle vocali. Anche per queste esistono due grandi aree in cui si sono affermate, sia pure partendo da esigenze assai diverse: luna la meridionale adriatica, laltra la settentrionale che per solo padana occidentale. La meridionale va vista nel quadro del disordine vocalico proprio dellantica eredit illirica334 , che ha lasciato tracce sulle due coste adriatiche; la settentrionale va vista invece nel quadro dei rapporti con la Gallia e il prestigio linguistico, oso dire ortoepico, che ne irradiava. Fra luna e laltra area, e cio fra il corso del Taro in Emilia e quello del Tronto nelle Marche, passano 350 chilometri, che escludono qualsiasi possibilit di connessione o contatti originar. Una profonda differenza separa il meccanismo di diffusione delluna e dellaltra. In quella adriatica lo svolgimento stato caotico e le vocali miste non sono che un caso particolare dei complessi fenomeni di frangimento. Di ciascuna area municipale si pu descrivere un sistema vocalico differente. Nellarea settentrionale, per quanto riguarda le vocali miste, lo schema pu essere presentato invece in modo pressoch costante unitario: la il risultato dellantica U chiusa, la il risultato di un dittongo di tipo EU, a sua volta risalente a O aperta, differenziata. Lo schema potrebbe essere il seguente:
A E O

334

Vedi i miei Scritti minori, II, Firenze 1967, pp. 214 sgg.

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I U

Attraverso la diffusione delle vocali miste possibile distinguere due aree nellItalia settentrionale che hanno un andamento assai diverso da quello tradizionale. Sono infatti senza vocali miste le parlate emiliano-romagnole a oriente del Taro, poi le venete e friulane, determinandosi cos una linea di demarcazione in direzione sud-nord che corrisponde pressa poco ai corsi dei fiumi Taro e Adige, e che trova una delimitazione analoga in un fenomeno tutto diverso, quello del trattamento dei gruppi consonantici ( 126). A questa demarcazione pu avere contribuito la resistenza e il prestigio di modelli linguistici irradianti dalla area bizantina di Ravenna e di Ancona335 . Ma non pu averla determinata esclusivamente, proprio perch larea immune da vocali miste si estende in tutta la regione a oriente dellAdige, fino a tutta la regione giulia.
335 Schrr, Revue de linguistique romane, 9, 1933, pp. 203 sgg.; Vidossi, Origini, Milano-Napoli 1956, p. XXXIX.

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Capitolo venticinquesimo Lossatura consonantica

121. Lenizione Si pone a questo punto un problema. Se sulla struttura delle parole si facevano sentire forze contrastanti come quella della vocale accentata, pi o meno accentratrice, e la resistenza, pi o meno efficace, delle vocali non accentate, il rapporto che si veniva a stabilire non dipendeva soltanto da queste forze in gioco. Esso era anche condizionato dalla solidit delle strutture consonantiche. Queste, se solide, consentivano una maggior libert di azione alla vocale accentata, in confronto dei sistemi, nei quali la solidit della ossatura consonantica era minore, e per ci stesso esposta ad altre forze neutralizzatrici. Una lotta fra sillabe, concepibile fino a tanto che le frontiere fra sillaba e sillaba sussistono: se queste vengono meno, la prevalenza della sillaba accentata viene ostacolata o deviata. Da una base di partenza del latino volgare FRIGIDU non si ha un solo problema di azione da parte dellaccento di intensit, se ne hanno tre. A) La prima eventualit che resista meglio della vocale interna, quella finale, e che lossatura consonantica rimanga salda: da FRIGIDU si passa a FRIGDU ( 87), e di questo si ha la testimonianza nellitaliano freddo. B) La seconda eventualit quella opposta, che ceda la impalcatura consonantica e si abbia un tipo FRI(G)I(D)U, pressa poco quello sfociato nello spagnolo frio o nel genovese diu, da DI(G)I(T)U ( 89). C) La terza eventualit che si indeboliscano su uno stesso piano le due vocali atone e lossatura consonantica sopravviva, secondo il modello del friulano fred, da FRIGD(U).

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Di fronte alla intensit della vocale accentata si affianca la possibilit maggiore o minore delle consonanti di sottostare alla, influenza delle vocali vicine. Questa tendenza si chiama lenizione. La lenizione era una tendenza che esisteva fino dai tempi pi antichi nel mondo mediterraneo occidentale336 e compare spontaneamente in Sardegna, nelle parole latine sopraggiunte; inoltre nel mondo gallico, e, attraverso questo, in quello gallo-italico. In Sardegna i testi scritti pi antichi ancora non la documentano. NellItalia settentrionale era in corso di svolgimento, pi o meno energico. Gli esempi sardi attuali sono di queste tre categorie337 : a) da sorda a sonora nella Baronia e nella zona di Bitti; b) da sonora a fricativa e cio ancora lenizione parziale come da JUGU giogo a jughu, da CODA a codha, a Orani; c) infine (lenizione totale), da sonora a zero come istria, coa per strega coda a Dorgali. NellItalia settentrionale la situazione pi semplice, e gli esempi sono pi netti: da una parte le consonanti sorde mostrano lenizione parziale nei tipi spiga da SPICA (da sorda a sonora), oppure nei tipi cavi da CAPILLI con passaggio da sorda a spirante, mentre in cra da CRETA si ha lenizione totale. Partendo da consonante sonora le eventualit non sono che due: la spirantizzazione di B in V, che non caratteristica del mondo gallo-italico ma gi del latino volgare ( 96), oppure la lenizione totale del tipo stria (da G) e coa (da D). Anche attraverso questi pochi esempi si ha la prova della interdipendenza tra la forza della lenizione e una relativa capacit di resistenza delle vocali
336 Devoto, Atti del V convegno, cit., p. 116, Per la Sardegna, vedi Wagner, La lingua sarda, cit., p. 311. 337 Wagner, La lingua sarda, cit., p. 311; Historische Lautlehre des Sardischen, Halle 1941, 106.

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finali. Per la lenizione estrema di -L- a -R- in Liguria v. 140. 122. Rattrazione Un secondo fenomeno, che ha le sue radici in et mediterranea, e, ancora meglio della lenizione, si oppone alle strutture tradizionali del latino, dato dai fatti di rattrazione, e cio dalla presenza di articolazioni, generalmente subentrate alla articolazione LL, pronunciata con la rattrazione della lingua contro il palato. Essa attestata in quasi tutta la Sicilia, in Sardegna e nella Corsica occidentale, che non stata esposta alle influenze toscane nella seconda parte del medio evo ( 146). Questa articolazione si affermata anche nella Calabria meridionale e nel Salento, l dove non si sono verificati fatti di vera e propria mescolanza con tradizioni linguistiche intermedie fra lo strato mediterraneo e il latino. Le pronunce DD sono atti di forza, dettati non da prestigio delle tradizioni locali ma da esigenze quasi di ordine fisiologico. Gli esempi classici sono quelli di cavaddu stidda cavallo stella e simili. Che per la innovazione non abbi avuto un confine definitivo, ma questo si sia reso fluido con landar del tempo, mostrato sia dagli adattamenti del gruppo DD a DD semplice, come avviene nel napoletano periferico di Ischia e di Monte di Procida, che deve aver conosciuto prima la rattrazione. Le articolazioni rattratte compaiono, oltre che in connessione con LL, anche con STR, TTR, per cui si hanno le pronunce approssimative siciliane di as-ciu per astro e qua-ciu per quattro. Poich tracce di questo procedimento si sono ritrovate anche nella regione apuana e persino nellarea

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pistoiese338 , chiaro che siamo di fronte a un fatto mediterraneo occidentale, sopravvissuto nellItalia peninsulare. Che i dialetti gallo-italici portati nella seconda met del medio evo nellItalia meridionale e insulare abbiano contribuito a ridurre le tracce della rattrazione sar mostrato al 153. 123. Da dentali a liquide Una terza alterazione della articolazione consonantica interessa necessariamente il periodo alto-medievale, perch ha anchessa le sue chiare origini nellantichit. Si tratta dei fatti caratteristici propr del mondo sannitico, che sono stati gi visti in documenti latini ( 88). La alterazione classica quella di ND che passa a NN; parallele a queste sono quelle di MB a MM, per es. gamma gamba, chiumm piombo, cui seguono a breve distanza i passaggi da NT a ND e quelli di NK a NG, MP a MB: tali mond monte, angora ancora, romb rompe339 . Non detto naturalmente che il passaggio dalle forme di lingua osca alle forme neolatine sia stato diretto. Le forme attestate per esempio a Pompei, ancora nella prima et imperiale, possono derivare da focolai che hanno irradiato quegli stessi schemi non pi come reazioni umbro-sannitiche ma come modelli di latino umbrosannitizzato. Una prova della necessit di questa distinzione che a Messina era stata introdotta dai Mamertini la lingua osca, ma questa non ha avuto alcuna influenza sulla formazione del latino della regione di Messina: che difatti non ha introdotto il tipo NN da ND ( 88) se non in citt e in et posteriore.
338 339

Rohlfs, Historische Grammatik, cit., I, p. 390. Rohlfs, op. cit., I, pp. 425 sgg.

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Un altro esempio molto elegante di questa distinzione quello che si verifica nella Calabria centrale. Essa ha ricevuto dal nord napoletano il tipo NN da ND, ma non ha fatto a tempo a ricevere linnovazione successiva di ND da NT. Perci nella Calabria centrale si dice chianta mentre solo in quella settentrionale si dice chianda pianta340 . Un altro elemento interviene a confermare la tesi che solo in parte si tratta invece della accettazione da parte del latino di precedenti tendenze umbro-sannitiche. Tale il caso del passaggio della dentale sonora, in determinate circostanze, a liquida (o a liquida associata a sibilante). Nellantichit lo si osserva solo nellambito umbro-sabino. Durante let imperiale e nellalto medio evo il movimento si sviluppato verso il mezzogiorno e abbiamo oggi forme abruzzesi del tipo chiure chiude, vere vedere, car cadere. La innovazione si estende verso il mezzogiorno, colpendo prima la D interna poi anche la iniziale. A Gallo, in Campania, si dice ancora o dit il dito ma a Napoli o rit, oppure rurc dodici. Nella fonetica sintatica e nelle parole letterarie si ha invece quel rafforzamento che preserva dalla alterazione. A Napoli, di fronte a un singolare liquido come o rit il dito si ha un plurale rinforzato e ddit i diti ( 115). Cos nel caso di adddeca dedica si esagera, attribuendo alla parola una specie di articolo o prefisso per tutelarne la articolazione iniziale. 124. Aspirazione e palatalizzazione La aspirazione costituisce un caso a s. Mentre i secoli dellalto medio evo DEVONO essere stati partecipi della diffusione della lenizione rattrazione e assimilazione
340

Rohlfs, op. cit., I, pp. 418-427.

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progressiva, laspirazione interessa lalto medio evo solo a una condizione, e cio che si tratti effettivamente di un movimento che abbia le sue origini nella antica Etruria. Lostacolo pi grave a questa attribuzione sta in questo, che nessun autore n antico n medievale ivi compreso Dante, ha fatto mai cenno a quel particolare carattere della parlata fiorentina e di quelle adiacenti. Esso consiste nellaspirare la consonante gutturale sorda in posizione intervocalica, comprendendo nella parola unitaria anche gli elementi proclitici come larticolo. Il trattamento della dentale sorda analogo anche se meno vistoso341 . Un secondo ostacolo consiste nel fatto che tutto lo svolgimento del latino di Toscana caratterizzato dal suo isolamento, dalla assenza di mescolanze: pare strano che la sola mescolanza sia questa, cos isolata e enigmatica. A ogni modo, non per giustificare una ipotesi siffatta a qualsiasi prezzo, ma per avere un quadro completo delle forze in gioco, ecco che si pu sottolineare una dissimmetria fra le diverse regioni dellEtruria. In queste, gli indizi di un diverso grado di assestamento fra tradizione latina sopraggiunta e tradizione etrusca preesistente possono essere valutati, confrontandoli con la diffusione della aspirazione consonantica. La proporzione fra le iscrizioni etrusche e latine nelle zone settentrionali della Toscana di Luni Pisa Lucca Pistoia Fiesole Firenze Arezzo , sulla base del Corpus inscriptionum etruscarum e rispettivamente del Corpus inscriptionum latinarum, di 82 iscrizioni etrusche rispetto a 505 latine, e cio le latine sono circa sei volte pi numerose delle etrusche. Viceversa nei territor centrali di Volterra Siena Cortona Perugia Chiusi, le iscrizioni etrusche sono sei volte pi numerose delle latine (4833:785)342 . La affermazione latiRohlfs, op. cit., I, pp. 327 sgg. Devoto, Atti del V convegno, cit., Gubbio 1970, pp. 118 sgg.
341 342

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na favorisce la ipotesi di un assestamento e di una mescolanza pi agevole; la resistenza etrusca fino a et tarda fa supporre che le due tradizioni, non solo linguistiche ma socio-culturali, siano state invece reciprocamente e a lungo autonome. La distribuzione geografica dellaspirazione toscana corrisponde in buona parte alla regione settentrionale. In questo senso lecito affermare che, in mancanza di prove dirette, la geografia delle iscrizioni elimina un ostacolo e definisce un rapporto geografico che ha un certo potere di suggestione. Per quello che riguarda la palatalizzazione, lalto medio evo un periodo di lenta accentuazione del processo, gi documentato nellantichit, e insieme di esasperazione delle divergenze, soprattutto per quanto riguarda la sua rapidit. Fatta propria dalla tradizione romana a met dellet imperiale ( 89, 90), la pronuncia alterata dei gruppi CE CI rispetto a quelli con altre vocali, si diffonde, si afferma, si accentua. La diversa intensit di questo svolgimento pu essere rappresentata nel modo seguente. A) LItalia meridionale si arresta a un livello di occlusiva palatale, pi arretrato di quello che aveva raggiunto lumbro nellantichit, ma pi avanzato rispetto al mondo osco che aveva sempre ignorato lalterazione. B) In Toscana si afferma una articolazione fricativa per la quale il rapporto fra cena e scena vivente ma non di risoluta opposizione. C) NellItalia settentrionale si hanno svolgimenti divergenti secondo che si mantenga una certa parte di articolazione dentale, oppure ci si avvicini alla prevalenza della sibilante. Nella prima direzione vanno i tipi veneti di TH thento col suono interdentale; nella seconda direzione vanno i pipi della montagna ligure tsentu, cui seguono le forme, totalmente assibilate, del genovese sentu cento. Mentre nel centro del territorio gallo-italico si hanno molte gradazioni di questo svolgimento e a Milano si affermano per ragioni varie anche semplici palatali, il risultato finale lo si raggiunge in due

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citt non propriamente gallo-italiche, nelle quali la sibilante da gutturale e quella primitiva non si distinguono pi fra loro. Santu e sentu a Genova, santo e sento a Venezia sono ormai sullo stesso piano del rapporto francese, che, al di fuori della ortografia, allinea indistinguibili le iniziali di cent e di saint. 125. Gruppi consonantici Per quanto riguarda i gruppi consonantici, il problema pi caratteristico dato dagli incontri fra consonanti occlusive e soprattutto fra gutturali e labiali seguite da una dentale. Le tradizioni locali in Italia, quali appaiono nel periodo antico in modo evidente sono queste tre. In latino la regola era la assimilazione dal punto di vista del grado di articolazione (sorda con sorda, sonora con sonora), rimanendo intatto il punto di articolazione: lectus da LEG + TO, mostra il mantenimento della gutturale davanti a dentale ma la uniformazione della prima al grado sordo della seconda. La tradizione umbra originaria consisteva, invece, nella differenziazione, per cui la occlusiva anteriore si trasformava in fricativa o spirante davanti a unaltra occlusiva: HAHTU capito mostra il passaggio da PT a HT, ahtu agito mostra il passaggio del G di AG davanti a T a AH. Allinterno per del gruppo umbro-sannitico si notano segni di stanchezza in questa direzione. La assimilazione si fa strada sia nellarea osca quando si tratti di incontri avvenuti in conseguenza delle sincopi intervenute in un secondo tempo, per es. nellosco actud risultante da una forma anteriore AG(E)TOD; e nella stessa area umbra si ha un riferimento topografico a un tettom che sembra da interpretare come TEKOM e cio con una assimilazione totale pi energica di quella di tipo latino, e insieme anticipatrice della soluzione italiana. La terza tradizione quella gallica, che si fonda sulla differenziazione, gene-

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ralizzata ma, a differenza della umbra, stabile. La tradizione italiana che si sviluppa in tutta lItalia centromeridionale e in quella nordorientale (emiliana veneta friulana) quella della assimilazione TOTALE: fatto da FACTU, rotto da RUPTU. Viceversa nelle regioni piemontese lombarda e ligure si eredita la tendenza differenziatrice e, per quello che riguarda CT, si deve anzi presupporre il passaggio a HT ( 35). A questo punto, una condizione esterna apre la strada a due diverse soluzioni. Se la vocale finale abbastanza resistente, ecco che il processo di palatalizzazione agisce sulla consonante finale del gruppo e la intacca come nello spagnolo hecho da FACTU: un tipo FAHTU diventa un tipo FAT(U), a cui risalgono le forme lombarde fac, lec, nc, tec, fatto, letto, notte, tetto. Se la vocale finale non offre un appoggio sufficiente, la fricativa non agisce sulla consonante seguente, ma diventa spirante e poi I: si ha cos lo schema FAIT(U), che in piemontese (come in francese) d fait, in genovese, con la finale ancora salva e con la contrazione, d ftu, e cos lte latte, oppure, senza contrazione, teitu tetto.

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Capitolo ventiseiesimo Fatti morfologici

126. Segnali di plurale Sempre in questo tempo si compie il destino delle desinenze in consonante che, indebolite, perdono ogni capacit di segnalazione morfologica. Larea italiana sente il contraccolpo in modo non uniforme, soprattutto per quanto riguarda la -S finale. La sua progressiva debolezza proseguita nel tempo durante let imperiale. Ora si forma una opposizione fra la maggior parte di questarea che, perdendo la -S finale, deve sostituirla come segnale del plurale in tutte le declinazioni diverse dalla seconda, mentre laltra parte la conserva. Abbiamo la Sardegna, dove la -S finale si salva per capacit conservatrice intrinseca: tempus, latus, frius, opus sono forme sarde normali. Conseguentemente le desinenze normali sarde del plurale sono in -os per il maschile, in -as per il femminile. Il Friuli laltra regione italiana in cui la -S finale conservata: questo non pi per una vitalit interna ma perch il Friuli stato sotto linfluenza gallicizzante durante i secoli IV e V. La validit della -S come segnale del plurale appare attraverso opposizioni come quella di nuf: nus nuovo: nuovi, o di mur: murs, timn: timns (Tramonti). Un caso ancora pi caratteristico fornito da un dato indiretto. In latino, anche quando si era generalizzata la desinenza del nominativo plurale femminile in -AE, al posto del primitivo in -AS, non era mancato lafflusso di forme provinciali che, sulla base della lingua osca, mantenevano la forma primitiva in -AS.

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Qualche manifestazione era penetrata persino nella lingua letteraria343 . C. Salvioni ha scoperto in una piccola area della Garfagnana nella Toscana nordoccidentale, una forma di plurale come duo dona due donne che presuppone evidentemente una forma latina DUO DOMNAS344 . Non si pu trattare di una forma risalente al mondo osco: ma si tratta di un resto morfologico antichissimo, reso irriconoscibile almeno a prima vista dalla usura fonetica della -S finale. una testimonianza che proietta una informazione anche sul piano del latino. 127. Passati e futuri perifrastici Gi nellambito del latino avevano cominciato a utilizzarsi delle possibilit di forme perifrastiche che nellalto medio evo si sono progressivamente morfologizzate: tali il passato prossimo, il futuro, anche il condizionale ( 128). Il passato prossimo rimasto come costrutto perifrastico sino ai nostri giorni, e la sola differenza fra il costrutto latino hostem captum habeo e quello italiano ho preso il nemico sta nella struttura sintattica, per la quale in latino captum complemento predicativo delloggetto (hostem) mentre in italiano, agisce insieme con ho come inscindibile predicato (ho preso), cui segue il complemento oggetto (il nemico). Si tratta cio di una svalutazione del verbo ausiliare assunto a indicare prima un rapporto pi intenso rispetto al semplice perfetto, poi un rapporto parallelo rispetto al passato remoto, infine, coLfstedt, Syntactica, II, pp. 325 sgg. Salvioni, Romanisches Jahresbericht, 4, 1, 178; cfr. Rohlfs, Historische Grammatik der italienischen Sprache, II, pp. 44 sgg.
343 344

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me avvenuto nellItalia settentrionale, a erodere il campo dazione del passato remoto stesso. Per quanto riguarda il futuro, hanno agito contemporaneamente due forze: luna, formale, la scarsa riconoscibilit del tipo amabo rispetto allimperfetto amabam, laltra, sostanziale, la esigenza di affiancare al futuro temporale una forma affettiva, che sottolineasse la importanza o necessit della azione collocata nel futuro. Questo, in quanto segnalazione formale, perde di importanza di fronte alla sua valutazione affettiva. La perifrasi latina dare habeo345 significa precisamente ho da dare devo dare. Essa sfociata nellitaliano dar e sul modello della prima persona si allineato lintero paradigma. Altri esempi sono citati al 94. 128. Condizionale Pi complesso il problema del condizionale che in latino non esiste, e quindi risponde a una esigenza nuova. Anche qui lelemento affettivo fondamentale. Le formule perifrastiche, cui gi in et latina si ricorso, sono tre. La prima perifrasi accentua con decisione la immediatezza della azione condizionata in quanto questa risulta dalla somma di infinito pi il verbo ausiliare habere nella forma del piuccheperfetto habueram. Il piuccheperfetto sottolineava una irrealt, ma nello stesso tempo una insistenza su qualcosa che gi da molto tempo sarebbe compiuta. Presso Gregorio di Tours si legge (IX secolo) si fas fuisset angelum de coelo evocaveram346 . Lesempio italiano pi chiaro quello di fora sarei (da un originario FUERAM). Presso Dante si trova anche sodisfara, in Sicilia cantara canterei vulera vorrei. Larea
345 346

Rohlfs, op. cit., II, pp. 380 sgg. Rohlfs, op. cit., III, p. 36.

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in cui questo tipo arcaico si affermato pi o meno, definitivamente comprende la Sicilia, lItalia meridionale, Lazio, Umbria, arriva sino alle Marche ma non oltre verso settentrione, e non ha avuto nessun riconoscimento letterario sostanziale ( 98). La seconda perifrasi avviene per mezzo dellimperfetto, priva di una determinazione pi o meno relativa nel senso del tempo ed attestata nel IV secolo nellesempio sanare te habebat deus si fatereris347 : lirrealt tutta nella formula condizionante, non nella conseguenza, che ha aspetto durativo e quindi fortemente intenzionale, necessaria, voluta. Questo costrutto che si fissato nel suffisso in -IA, ha due focolai di origine, la Sicilia e la Provenza. Dalla Sicilia passata nei monumenti letterari toscani, dalla Provenza in quelli settentrionali. Forme spontanee in -ea si trovano per qua e l: per es. darea, sarea rispettivamente presso Guittone e Ristoro348 . La terza soluzione mediante lausiliare habui, la pi energica, perch sottolinea una realt effettiva, automatica, legata al verificarsi della condizione. Se ne ha un bellesempio nel latino dellVIII secolo349 si... invenisset... Scandalum cum eum committere habuit e cio in italiano commetterebbe. Questa soluzione manca nellItalia meridionale. 129. Articolo Molto importante la vicenda dellarticolo, quellaggettivo pronominale, privo di qualsiasi carica semantica e ci nonostante rimasto vitale fino ai nostri giorni. La materia prima di due tipi. Il primo e pi antico tratto da
Rohlfs, op. cit., III p. 28. Rohlfs, op. cit., II, p. 388. 349 Rohlfs, op. cit., III, p. 30.
347 348

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IPSU ed stato ritenuto esclusivo della Sardegna: la loro base sing. (i)ssu (i)ssa, plur. (i)ssos, (i)ssas. Il plurale campidanese is cos per il maschile come per il femminile. Di importanza fondamentale per dare una retta interpretazione di questi fatti il riconoscere la analoga documentazione abruzzese: s lup, s dit il lupo il dito (Pescasseroli) sa gallina, sa cauda la gallina la coda. Accanto a questa analogia di aree conservatrici abruzzesi, si trover sotto un altro esempio a proposito della conservazione dei gruppi di consonante occlusiva con L ( 137), propr anche della Sardegna. Di diversa natura ma sempre relativo allarticolo un altro fatto di conservazione che conserva la distinzione fra il genere grammaticale maschile e neutro in una zona che va dallUmbria meridionale alla linea Bari-Matera350 . Si conservano fino a tempi moderni le seguenti opposizioni: a Norcia lo mle il miele (neutro) contro ru cane cane (maschile); a Nemi (Roma) o latte (neutro) ma u lop lupe (maschile); a S. Felice Circeo (Latina) ju can (maschile), lu ml (neutro). Altrove rimane traccia della differenza fra il tipo latino (IL)LU(M) CANE(M), che a Napoli diventa o can (maschile) senza traccia della consonante finale dellarticolo, e (ill)ud mele(m) che diventa o mmel, con la assimilazione della consonante finale -D ancora vivente. Se si tiene presente che in una oasi ristretta dellItalia centrale si era mantenuta una distinzione fra la vocale finale -O e la -U (confuse in tutto il resto dItalia) ( 114) ecco che nella questione dellarticolo coesiste a lungo un intreccio di rapporti sia di ordine morfologico come la persistenza del genere neutro, sia di ordine fonetico, come la resistenza della distinzione fra timbri vocalici in
350 Per le varie realizzazioni del periodo ipotetico nel mezzogiorno, vedi Rohlfs, Scavi linguistici nella Magna Grecia, Roma 1933, p. 80.

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fine di parola o di certe consonanti come la -D che, forte del suo valore morfologico, resiste fino a et tarda. 130. Surrogazione della declinazione Nellambito della sintassi la trasformazione del linguaggio dItalia dagli schemi latini a quelli moderni profonda e laboriosa. Mi limito qui a collocare nel tempo la attualit di tre processi. Allinterno della frase, la costituzione di un sistema che surroga la declinazione, attraverso limpiego delle preposizioni che diventano quasi prefissi. Il sistema si fonda sulle sei preposizioni fondamentali, tre locali (DA IN A) e tre modali (CON DI PER), delle quali cinque continuano una tradizione latina e solo una, DA, rappresenta una novit. Anche qui il condizionamento fonetico intervenuto perch non ci si poteva sottrarre alla necessit di sostituire la preposizione a(b) rimasta troppo esile. Naturalmente, intorno alle preposizioni pi morfologizzate si ha una intera costellazione di preposizioni specifiche e munite di maggiore personalit cos semantica come fonetica351 . Una altra conseguenza della dissoluzione della declinazione data dalla necessit di accettare un sistema di segnalazione indiretta, come la collocazione delle parole: in confronto della libert del latino, praticamente vincolante in italiano la successione soggetto + predicato + oggetto. Un resto della tradizionale posizione finale del verbo appare spesso solo nelluso siciliano352 . Finalmente, nella sintassi del periodo la novit pi importante data dallo sviluppo del gerundio come agile sostituzione di proposizioni dipendenti causali o tempo351 352

Rohlfs, Histor. Grammat., cit., II, p. 133. Rohlfs, op. cit., III, pp. 101-124.

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rali. I primi esempi sono del tipo sol calando, che richiamano i modelli dellablativo assoluto latino353 .
353

Rohlfs, op. cit., III, p. 209.

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Capitolo ventisettesimo Germanismi

131. Germanismi antichi Il contrasto fra la scarsit delle fonti e la profondit dei mutamenti che si DEVONO assegnare a questi secoli oscuri per le strutture del linguaggio dItalia non potrebbe essere maggiore. Ma, per quanto si sia fatto per rendere comprensibili le forze in gioco, ricoperte di un velo corrispondente alla mai interrotta tradizione culturale, pure non si sono ancora prese in considerazione le forze nuove, entrate nellintreccio delle tradizioni linguistiche italiane, provenendo non gi dalle tendenze ereditate ma dal di fuori. Si tratta delle infiltrazioni e squilibri dovuti alle pressioni barbariche nel lungo periodo che va dal III al IX secolo, dagli arrivi isolati di parole germaniche alle istituzioni organizzazioni e sconvolgimenti collegati alla costituzione degli stati barbarici: pi importante fra tutti, quello longobardo. Queste forze agiscono profondamente: da un punto di vista negativo, in quanto distruttrici di vecchi equilibri e istituti; da un punto di vista positivo in quanto portatrici di alcune centinaia di parole nuove, accolte dalla popolazione romana, sia come nomi comuni sia come nomi personali e locali; infine come stimolatrici di nuove istituzioni ordinamenti e attivit. Non contano molto invece per quello che riguarda le strutture linguistiche, e le loro trasformazioni inconsce, anche perch il numero delle popolazioni barbariche che si sono succedute ha costituito s un superstrato autorevole, ma non ha mai passato le poche decine di migliaia di persone ed stato demograficamente insignificante. Pregiudiziali come quelle di W.

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v. Wartburg354 in favore di influenze fonetiche di ispirazione germanica sono inaccettabili, non gi perch intrinsecamente impossibili, ma perch nel rapporto delle forze etniche che si contrappongono, non hanno sufficiente evidenza: cos soprattutto per quanto riguarda la formazione dei dittonghi italiani che sono stati spiegati sopra ( 112) in modo assai diverso. Prove negative per escludere parole germaniche dal vocabolario latino dellet imperiale non ce ne sono. La pretesa che qualora manchino in sardo o in romeno debbano essere gi di et barbarica non regge, perch il sardo stato ben presto tagliato fuori dalle correnti lessicali, e in genere linguistiche, irradianti da Roma. Per quanto riguarda il romeno, evidente che dagli inizi del IV secolo parole romane non sono arrivate pi in Dacia nel quadro dei rapporti interni allimpero: essa era infatti ormai sgomberata. Se per non ci sono argomenti per escludere parole germaniche dal sistema lessicale latino della et imperiale, mancano anche gli argomenti per renderne verosimile la accettazione qualora non siano attestati direttamente. Come barbarismi germanici antichi sar bene accontentarsi perci di tipi come alces, urus, tipici animali delle foreste dellEuropa centrale, glesum, framea, come nomi dellambra e rispettivamente di unarma paragonabile a unasta. Cos i nomi italiani della martora e del tasso animali caratteristici, cos litaliano vanga risalgono in pieno allet del latino volgare. Diffusa era lopinione che parecchi nomi di colore appresi attraverso la terminologia delle cavallerie barbariche assoldate dalle legioni romane rientrassero in questo gruppo. Un recente lavoro di Anna Giacalone Ramat ha ridimensionato questa affermazione e ha reso verisimile una cronolo354 Wartburg, Die Entstehung der romanischen Vlker, Halle a/S. 1939, pp. 73 sgg.

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gia pi recente355 ; fa eccezione biondo che, contrariamente ad altre connessioni, deve essere ricollegato con il termine Blondelius della Tavola di Veleia ( 32) e quindi considerato come parola leponzia. Cos bitumen356 . 132. Gotismi Il primo strato di parole germaniche posteriori alla fine dellimpero romano di occidente costituito da parole gotiche357 . Allinterno di queste la distribuzione geografica permette di distinguere fra parole visigotiche (quando sono attestate anche in Francia o in Spagna) e parole ostrogotiche (quando sono attestate solo in Italia). Al primo gruppo si assegnano i termini militari come banda, guardia, elmo, albergo (che deriva da un HARI-BERG riparo dellesercito), arredare, corredare. Attrezzi domestici sono rappresentati nel patrimonio lessicale di ascendenza gotica occidentale (n)aspo, rocca, spola. Verbi importanti sono recare, (s)magare; aggettivi sono ranco zoppo da cui arrancare, guercio, schietto. Al secondo gruppo appartengono invece arengo luogo di adunata, astio (da HAIFSTS litigio), lobbia, stia, attrezzi come stecca, briglia, fiasco, nastro, stanga. Alle forme del suolo si riferisce forra. Esempio di verbo smaltire lasciare scorrere; di aggettivo sghembo. Il nome locale pi significativo Goito (Mantova); seguono Godego (Treviso), Gottolengo (Brescia).
355 Memorie dellAccademia Toscana di Scienze e Lettere la Colombaria, 32, 1967, pp. 105-211. 356 Vedi i miei Scritti minori, II, 1967, p. 333. 357 Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze 1960, pp. 784, sgg.; Bonfante, Latini e Germani in Italia, Brescia 1963, pp. 31 sgg.

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Nomi personali importanti si nascondono dietro nomi locali: Rovigo riconduce a un gotico Hrtheigs vittorioso, Vidigulfo (Pavia) a un Widwulfs, Roasenda (Vercelli) a un Hrodasindis358 . 133. Longobardismi diffusi Il dominio gotico durato solo un ventennio, non cos quello longobardo, durato due secoli. Tuttavia lo strato longobardo, se ha avuto pi occasioni per assestarsi, e lasciar filtrare o addirittura imporre termini suoi, ha anche avuto maggiori occasioni per lasciarsi assorbire, se non nel quadro ancora informe della lingua parlata, in quello della tradizione latina. Leditto di Rotari, a soli 75 anni dallavvento del regno longobardo, lo dimostra. Rispetto alle parole longobarde accolte in Italia, si presentano alle volte difficolt per distinguerle dalle gotiche. La distinzione perentoria solo quando si trovino di fronte parole germaniche con la sola prima mutazione consonantica e parole che mostrano anche la seconda: le prime sono gotiche, le seconde longobarde. Tale il caso di panca, palco, sicuramente longobarde, di fronte a banca, balcone che risalgono a modelli gotici, toccati dalla sola prima mutazione. Dal punto di vista dei gruppi semantici, si ricordano parole militari come strale, spalto. Origini militari ha sguattero, perch viene dallongobardo wahtari guardiano. Alla cavalleria longobarda risale staffa, predella, questultima in origine nel senso di briglia, che, come si visto, invece parola gotica. Dai colori dei cavalli si avuto bianco, bruno, come ha mostrato A. Gia358 Gamilischegg, Romania Germanica, Lipsia e Berlino 1935, II, p. 14.

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calone Ramat359 . Allabitazione si riferisce, sia pure declassata, stamberga, che in origine voleva dire invece riparo di sassi e cio qualcosa di solido. Oltre a palco e panca sono longobarde le parole scranna, scaffale, stucco. Utensili, sono gruccia, greppia, spranga, trappola, e con queste anche palla. Di grande importanza sono i termini indicanti parti del corpo, fra i pi significativi per attestare una convivenza se non proprio una mescolanza: guancia, ciuffo, zazzera, grinza, schiena, nocca, spanna, stinco, milza, anca (e sciancato); di animali, grinfia, zanna. Si riferiscono alla natura lo stambecco, il tonfano e la melma; ai boschi gualdo, cafaggio, paggio, questi tre ultimi frequenti nella toponomastica. Livello sociale (non elogiativo) indicano il gastaldo, sgherro, scalco (maniscalco), manigoldo. Verbi sono (im)bastire, gualcire, spaccare, strofinare, spruzzare, guernire, (ar)raffare, scherzare, tuffare, russare. Aggettivi sono: gramo, ricco, stracco. Spie toponomastiche dei Longobardi sono in prima linea i nomi in -engo360 che costituiscono tre costellazioni o gruppi rispettivamente nel Monferrato, nel Bergamasco e nel Cremonese: tali nel primo Murisengo e Marengo (Alessandria), Olcenengo (Vercelli), nel secondo Vidalengo, Martinengo (Bergamo), Pozzolengo (Brescia), nelultimo Romanengo (Cremona). Al centro di questi gruppi si trovava Pavia. Altri toponimi longobardi sono Fara, Sala, Braida, con la variante di Brera. Nomi personali longobardi sono Anselmo Arnaldo Arnolfo Baldovino Bernardo Bertrando Ildebrando Federico Garibaldo Giraldo Umberto Teobaldo Gualberto Guido Guglielmo. Ai fini di prova della affermazione dellelemento longobardo in Italia, i nomi longobardi sono vaMemorie, cit., pp. 126 sgg., 150 sgg. Gamillschegg, op. cit., II, pp. 72 sgg.; Bonfante, op. cit., p. 55.
359 360

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lidi non oltre la et carolingia. In un diploma del 912 si parla di un servo nomine Aregisum cum uxore sua Adelinda et filio suo Adelardo: i nomi longobardi erano discesi ormai a livello della classe inferiore361 , non hanno pi valore etnostorico. 134. Longobardismi parziali Non si pu immaginare invece che il volgare, sfuggente in mille rivoli campanilistici, fosse influenzato da una pronuncia longobarda unitaria. Non ci sono che due esempi in cui una mescolanza avvenuta, non tanto fra un modello longobardo e i tanti modelli volgari, quanto piuttosto fra il modello longobardo e il modello latino: tali i casi delle parole latine vadum guado e vastare guastare che sono state trattate alliniziale come se fossero parole longobarde. E difatti doveva esistere di fronte a vadum un tema WAD guado, che sopravvive tuttora nel tedesco waten guadare; e cos un tema WOSTI che sopravvive tuttora nel tedesco Wste deserto. Si trattava di affinit che favorivano avvicinamenti casuali, e non della imposizione organica di una pronuncia longobardeggiante. Il fatto che sul piano linguistico la eredit longobarda sia stata unilaterale, e in fondo non molto rilevante, non deve avere per risultato di minimizzare il valore invece grandioso che la esperienza longobarda ha avuto nella storia dItalia. Davvero in Italia si distinguono ancora oggi due anime: quella i cui antenati hanno conosciuto la dura esperienza longobarda, cos ricca di fermenti reazioni e spinte ad agire e costruire; quella che, non aven361 Vedi il mio Profilo di storia linguistica italiana, 4 ed., Firenze 1964, p. 26.

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dola sperimentata, rimasta nellimmobilismo spirituale e economico del latifondo romano e bizantino. Proprio per questa sua variet e mobilit, la tradizione longobarda si assestata linguisticamente ancora una volta in modo difforme dalla politica. Essa d la imagine di una massa che avanza, ma in cui ciascuno degli elementi costitutivi ha una diversa molla per arrivare pi o meno lontano. I tipi principali di queste diffusioni parziali sono tre. Il tipo schiena si diffuso energicamente fino al Lazio meridionale e alla Puglia362 . Il tipo spanna non si estende invece al di l della Toscana e della Romagna. Il terzo tipo mostra invece esempi rimasti superstiti in zone lontane, e scomparsi in quelle primitive: tale il caso di sarnacchiare russare che si trova in Toscana e nel ducato di Spoleto, anche se la continuit territoriale era interrotta dal corridoio da Roma a Ravenna ( 139)363 . Ancora pi gravitanti verso il mezzogiorno sono i tipi uffo fianco da Perugia a Taranto, oppure labruzzese seneide pietra di confine limitato allAbruzzo364 . 135. Conseguenze indirette La azione linguistica longobarda stata anche indiretta. Organizzando un nuovo stato, i Longobardi hanno cominciato a superare i confini dialettali, non solo fra pieve e pieve allinterno dei singoli ducati, ma anche fra ducato e ducato, neutralizzando in qualche modo anche il valore di frontiera, che la riforma di Diocleziano aveva assegnato al crinale appenninico fra La Spezia e Rimini. Gra362 Sabatini, Riflessi linguistici della dominazione longobarda nellItalia mediana e meridionale, Firenze 1963. 363 Wartburg, Die Entstehung, cit., pp. 145 sgg. 364 Op. cit., p. 148.

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zie allazione unificatrice dei Longobardi, novit proprie dellItalia settentrionale si sono diffuse in Toscana: tale il caso della lenizione che si presenta in buon numero di parole toscane. Gutturale sonora invece di sorda si ha in luoGo, aGo, laGo invece delle forme normali che avrebbero dovuto essere LUOCO ACO LACO. Dentale sonora, invece della sorda, appare in poDere, spaDa, scuDo in confronto del verbo potere nato e sviluppato sul posto, e di SPATA SCUTO, che sarebbero state le forme teoricamente regolari. La consonante labiale sorda appare come sonora nel caso di Befana che rappresenta la lenizione nella posizione intervocalica risalente a LA(E)PIFAN- e appare invece addirittura come spirante, conformemente allo sviluppo settentrionale, in caVezzo di fronte a capestro e in VescoVo in confronto di (E)PISCOPU. A questa capacit di diffondere e livellare propria dei Longobardi si deve anche larrivo in Toscana del termine genovese scggiu (lat. SCOPLU), adattato in forma toscana come scoglio, e opposto al trattamento normale nellItalia centrale di scoppio, sopravvivente nei nomi locali di Scoppio frazione di Acquasparta (Terni) e Scoppito (prov. LAquila). Il flusso si continua anche in et postlongobarda, lungo la via dei pellegrinaggi che segue litinerario Cisa Garfagnana Lucca Siena. A Siena si trova un testo che contiene fadiga per fatica, come gi uno latino conteneva madodinos per matutinus365 .
365

Vedi il mio Profilo, cit., pp. 31 sgg.

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Capitolo ventottesimo Franchi e bizantini

136. Parole franche Al periodo longobardo succede alla fine del secolo VIII quello franco: lo impersona Carlomagno imperatore, poi la dinastia carolingia. In questo rinnovato afflusso i termini germanici presentano due difficolt: luna, che non sono facilmente distinguibili dai longobardi in base a caratteri formali, laltra, opposta, che mostrano una tradizione germanica ormai fortemente mescolata con quella gallo-romana366 . Dal punto di vista formale, lunico accenno a una distinzione forse quello del trattamento della consonante bilabiale sonora, che, nelle parole longobarde, pare preferire la forma GU +vocale come in guardare guarnire guadagnare guanto, mentre le franche dovrebbero essere segnalate dal trattamento francese in G+vocale, come ad esempio in garantire. A differenza dei longobardi che hanno raggiunto, almeno in certe zone, una effettiva mescolanza con la tradizione linguistica romana, i Franchi hanno il carattere di un superstrato dominante, che influisce dallalto verso il basso. Parole militari sono battifredo, dardo, gonfalone, schiera, tregua, usbergo. Colori di origine franca sono biavo falbo grigio soro, rispettivamente dai modelli BLAWA FALWA GRIS SAUR367 . La vita politica e sociale rappresentata da feudo, barone; ad essa appartiene pure ligio, anche se la parola, portata dai Franchi, parola germanica, penetrata in Francia in
Bonfante, Latini e Germani, cit., pp. 41 sgg. Giacalone-Ramat, Atti della Accademia Colombaria, 32, 1967, pp. 105-211.
366 367

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et pi antica, e accolta quindi in Italia come una specie di francesismo. In condizioni analoghe si trova marca, territorio cui sovrintende un marchese. Come esempi di verbi si hanno galoppare, sparagnare risparmiare, grattare, trescare, ballare, ardire, schivare. 137. Espansioni linguistiche in et franca Proprio perch impersonavano una autorit di ampio raggio, i Franchi penetrarono meno in profondit dei Longobardi. Ristabilirono per in misura maggiore comunicazioni e influenze lontane. Mentre i Longobardi agivano soprattutto nel senso dal settentrione verso il meridione, ecco che in et carolingia le grandi vie dei pellegrinaggi agirono nei due sensi, diffondendo novit che movevano anche dal sud. La pi caratteristica quella della palatalizzazione dei gruppi di cons + L. La soluzione pi semplice quella toscana che risolve il gruppo nella successione rispettiva di CHJ, GHI, PJ, BJ, FJ: tali gli esempi di clamare, glarea, platea, BLUNDO-, flamma, passati rispettivamente alle forme toscane chiamare, ghiaia, piazza, biondo, fiamma. Non esistono casi del tipo dentale + L perch, se erano preistorici, erano stati trasformati in GL, e se erano secondar (da sincope), avevano dato luogo a LL come in spalla da SPAT(U)LA. NellItalia settentrionale, nelle aree piemontese lombarda emiliana, il fenomeno si svolto ulteriormente quando si trattava di consonante gutturale, si arrestato sul livello toscano quando si trattava di consonanti labiali. I tipi settentrionali con labiale piassa, biond, fiama, sono trattati come in Toscana, mentre invece, di fronte a chiama, abbiamo ciama, di fronte a ghianda abbiamo gianda. Nel mezzogiorno, il rafforzamento della palatalizzazione si manifesta in direzione opposta. Nel gruppo di

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gutturale + L, si ha soluzione toscana, nei tipi come chiave (lat. clavis), oppure un blocco della palatalizzazione come nel tipo ljutt (lat. gluttus). Nei gruppi di labiale + L si ha la ulteriore palatalizzazione della consonante sorda in chian, chi per piano, pi, confondendosi cos con i risultati di gutturale + L. Nel caso della labiale sonora si ha la disarticolazione della consonante occlusiva dopo la palatalizzazione della L, e quindi janch di fronte al toscano bianco. Finalmente, nel caso di FL, si ha la palatalizzazione totale del gruppo nellunico suono di sibilante palatale, per esempio in sciamma di fronte al toscano fiamma. Lo svolgimento estremo di queste doppie tendenze si ha nellarea ligure dove cian piano, proveniente da PL non si distingue da ciama chiama proveniente da CL; n si distingue giancu bianco proveniente da BL, da gianda ghianda proveniente da GL. Allo stesso livello meridionale, spinto, di sciamma, corrisponde il ligure sciama da FL. La palatalizzazione dei gruppi con L pu incrociarsi o sommarsi con altre tendenze, per esempio alla lenizione, quando la vocale finale resiste abbastanza per consentire alla lenizione stessa di manifestarsi e di agire. Si hanno cosi i risultati divergenti del lombardo c, senza lenizione e senza la vocale finale, e del ligure giu occhio, con la vocale finale e la consonante interna lenita. Il focolaio di questo processo va cercato nella regione laziale368 , donde irradiato in connessione con gli itinerari dei pellegrini, nellet carolingia e successiva. Ma, nellestendersi, ha trovato aree particolarmente propizie, per quanto riguarda il cedimento delle articolazioni labiali, nel meridione e nellarea ligure, che hanno dato luogo alle soluzioni estreme di cui sopra si detto. questo un altro argomento per distinguere nella Italia li368

Scritti minori, I, 1958, pp. 357 sgg.

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gure una fase pregalloitalica e una fase, soltanto successiva, effettivamente galloitalica (v. 140). Di fronte alla maggiore o minore accettazione della tendenza palatalizzante dei gruppi con L, si hanno focolai pi o meno organici di resistenza. Sono tre. Quello classico il sardo, che arriva a rinforzare la L mutandola in R: crae da CLAVE, frori da FLORE369 , greva da GLEBA. Come gi per larticolo, alla area compatta del sardo si accompagnano aree conservatrici isolate in Abruzzo, con o senza il passaggio di L in R: flum fiume, clim inclinazione (dal gr. Klma), plen pieno, gracc ghiaccio; e cos plan (Atri), fleum fiume (Penne), plover piovere (Palena), plazz piazza (Teramo), infine frum framm fiume fiamma a Lanciano. Allestremo opposto si ha la grande area friulana, in cui si ha plan piano flame fiamma claf, clam, clar chiave chiamare chiaro, glazze glerie glesie ghiaccio ghiaia chiesa. Il trattamento friulano dei gruppi allinterno dimostra che non siamo di fronte alla passiva conservazione di una realt latina immobile, ma che, al contrario, si tratta di un processo di rafforzamento della consonante liquida, per cui la occlusiva antecedente viene sottomessa e, in certe condizioni, annullata: cos nel caso di OCULI ridotti a (v)oli, o di GENUCULI ridotto a zenoli ginocchi. Ancora una volta un esempio di collegamento transalpino tra il Friuli e la Francia, dove con lo stesso procedimento si ha la conservazione iniziale di clair (e di glace) di fronte alla semplificazione interna di oeil da OCLU.
369 Rohlfs, Historische Grammatik der italienischen Sprache, I, Berna 1949, p. 295.

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138. Stato pontificio e corridoio Roma-Ravenna La diffusione della egemonia longobarda nellItalia centrale non ha impedito che la natura si prendesse una rivincita e riconducesse i rapporti geografici nei termini che le erano stati propri nella preistoria. Il ritorno delle paludi lungo la valle del Tevere ha fatto s che ritrovassero giustificazione geografica le frontiere linguistiche, che, come si visto sopra, hanno condotto a distinguere una Italia toscana da una Italia umbra e laziale ( 111). Ma lVIII secolo significa una svolta ulteriore anche da questo punto di vista. Con linizio del potere temporale dei papi si assiste a una ripresa della irradiazione politica e parzialmente anche linguistica da Roma. Questa, durante la repubblica romana, si era arrestata abbastanza presto sulle frontiere della Etruria, dopo aver posto colonie a Nepi e Sutri ( 76); mentre si era spinta a fondo in direzione di settentrione sulla sinistra del Tevere lungo lasse approssimativo della via Flaminia. Aiutata dalla protezione bizantina, Roma riesce a mantenere in attivit un corridoio che la collegava a Ravenna. Il suo itinerario era analogo a quello che la aveva collegata a partire dal 268 a.C. con la colonia di Rimini. La donazione di Liutprando nellVIII secolo e lorientamento, che ne deriva per lo stato pontificio, spiegano la meridionalit moderata dei dialetti umbro-marchigiani. La pressione romana verso la Etruria si limita a due caratteri linguistici: la estensione del passaggio ND a NN in territorio toscano fino allAmiata ( 111) non oltre; il restringimento alla Toscana del passaggio di -ARIU a -AIO che, come ha mostrato A. Castellani370 , si, estendeva un tempo anche nellUmbria e nel Lazio settentrionale.
370

Archivio glottologico italiano, 35, 1950 pp. 141 sgg.

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139. Parole bizantine Questa azione irradiante da Roma stata grandemente favorita dagli sforzi bizantini, volti a mantenere aperto a fini anche commerciali e militari litinerario RomaAncona. Da questo viene in certo modo legittimata la tesi di G. Rohlfs371 che vede in questa linea un criterio per classificare i dialetti italiani. Ma le tracce bizantine rimaste nel patrimonio lessicale del linguaggio dItalia, si appoggiano ad altre forze, prima quella delle nostre Repubbliche marinare. Si tratta di bizantinismi che arrivano e si alimentano abitudinariamente alle nostre citt di mare. Tali i casi di Genova, dove il basilico, parola gi nota in Roma in et plautina, appare riferito a una erba caratteristica con laccento greco nella forma di bazgiaik; oppure il nome greco di Phlippos, gi noto nella Roma repubblicana, che viene accolto a Genova con laccento normale greco sulla terzultima, e ha dato vita al nome dei Firpo. Nello stesso ordine di dipendenza, Venezia conserva Tdero; accentato come il greco Thedoros, anzich con laccentazione latina, e poi italiana, di Teodro. Un parallelo napoletano Elmo, adattamento dal greco rasmos, con accento di terzultima in confronto del corrente Ersmo. Indipendentemente dal porto di approdo, si possono considerare su un piano unico i bizantinismi seguenti. Innanzi tutto, quelli connessi con la navigazione: galea molo rispecchiano fedelmente i tipi greci tardi gala, mlos; fal, incrocio di gr. phros faro e phans lanterna, mostra la sua formazione medievale attraverso il passaggio da R a L (da far a fal), caratteristico dellarea pisana; gondola appare un incrocio di un gr. medievale kondra, specie di barca, con lit. (d)ondola(re); con lintermediario o meno di forme latine; appaiono sartie
371

Vidossi, Origini, Milano-Napoli 1956, XXXIX.

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(gr. tardo eksrtion attrezzatura della nave), rgano lat. medv. rganum forma biz. tratta dal gr. (t) ()rgana strumenti; ormeggiare, lat. medv. hormizare, il verbo gr. hormzein, tratto da horms rada. Strumento mastello, dim. del gr. masts mammella, nome bizantino, forse ravennate, di un recipiente che ne aveva la forma. Nelle costruzioni, androne era in origine un passaggio riservato agli uomini (gr. andrn -nos); ancona un incrocio di gr. biz. (e)ikna imagine e nkn -nos piegatura e cio nicchia per imagini (sacre); lstrico il gr. strakon coccio, conchiglia incroc. Con it. lastra e i temi in -ICO (carico, manico); il veneziano squero cantiere un incrocio tra il greco eskhrion scalo e litaliano squadrare. Nelle stoffe, bambagia risale a un greco medievale bambkion, con il trattamento padano di CHJO in GIO attraverso SGIO; scimito risale al latino medievale hexmitum, che dal greco heksmiton, (stoffa a) sei fili, col passaggio regolare di CSA a SCIA. Relitti dellordinamento gerarchico bizantino sono infine catapano dal nome del funzionario bizantino, che agisce katepno in direzione dellalto, donde poi il nome della provincia di Foggia detta Capitanata; stratic dal greco biz. stratiks, class. strategs; infine quello della provincia di Basilicata, risalente al nome del sottufficiale detto basiliks o (rappresentante) regio. 140. Aree pregalloitaliche Di fronte a tutte queste occasioni di comunicare e di attenuare e livellare differenze dialettali fra territori maggiori e minori, occorre tenere presenti, nel periodo che si aggira intorno al X secolo, che aree meno esposte potevano avere mantenuto una certa quale personalit e autonomia, in modo pi o meno analogo alla Toscana. Spicca da questo punto di vista la figura dialettale dellestuario veneto, ivi compreso Grado, con propaggini pi o me-

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no erose nella terraferma. I caratteri tipici sopravvissuti fino ai nostri giorni sono stati bene definiti da Giulio Bertoni372 nella assenza di vocali miste, di consonanti nasali velari o faucali, di dittonghi in sillaba chiusa, di molte sincopi proprie al resto della valle padana. La larga accettazione di lenizioni e di assibilazioni non hanno potuto impedire fino ai nostri giorni che la latinit dellestuario veneto si sia non solo mantenuta ma anche espansa nellentroterra ( 187). Di fronte allarea veneziana, che non mai diventata integralmente gallo-italica, si ha quella ligure che, nelle testimonianze storiche, risulta energicamente galloitalicizzata. Che sia esistita tuttavia una Liguria pregalloitalica, risulta sia dalla prova che un tempo la dittongazione toscana, propria esclusivamente delle sillabe aperte, ha lasciato traccia in una piccola area nordorientale, e, inversamente, che uno sviluppo caratteristico si avuto in Liguria, estraneo alle tendenze gallo-italiche, sia per quanto riguarda la palatalizzazione estrema dei gruppi in PL, sia per quanto riguarda la lenizione che colpisce in modo totale la L e poi la R intervocalica, tale gen. d dolore, c colore, s sole, s sale.
372

Italia dialettale, Milano 1916, pp. 110 sgg.

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Capitolo ventinovesimo Primi documenti italiani

141. Tardivit dei documenti volgari Se si considera che la maggior parte di queste classificazioni e ricostruzioni mancano di una conferma documentaria, e si appoggiano soltanto a una necessit storicogeografico-comparativa, ci si domanda per quali ragioni i documenti scritti corrispondenti tardino cos a lungo373 (e cio praticamente fino al secolo XI) a manifestare una tendenza alla regolarizzazione e alla fissazione. Le ragioni sono due. La prima consiste nel fatto che lo allontanamento del volgare dal latino diventato un fatto consapevole solo dopo che il rinascimento carolingio ( 109) aveva diffuso testi latini cos purgati e normalizzati da fare risaltare la loro grande differenza dal volgare. La seconda sta nel fatto che, per quanto con i Longobardi si fosse imposta una nuova struttura politica, le capitali culturali si mantenevano nelle diocesi e nei conventi, abbastanza validamente s per conservare documenti e cimeli, ma non al fine di consolidare coordinare uniformare le nascenti tradizioni dialettali, ancora frantumate. Di una prescrizione come quella del concilio di.Tours in Francia (814) che prescrive ufficialmente di predicare in volgare, in Italia non c traccia. 142. Lindovinello veronese La prima conseguenza di questa tardiva documentazione connessa alla gradualit e lentezza del passaggio da
373

Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze 1960, p. 88.

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strutture latine a strutture italiane. Essa rende difficile decidere quando che si davanti a un testo gi volgare, sia pure ancora ricco di elementi latini genuini, e quando invece che si ancora davanti a un testo latino, sia pure solcato da volgarismi. Tale il caso dellindovinello veronese, scoperto da Luigi Schiapparelli nel 1924, qui nel testo di Monteverdi-Migliorini374 : se pareba boves alba pratalia araba albo versorio teneba negro semen seminaba. E cio somigliavano a bovi -aravano bianchi prati tenevano un bianco aratro seminavano un nero seme: si trattava perci rispettivamente delle mani, della penna e dellinchiostro. Certo, il latino potentemente snaturato con la caduta delle desinenze -NT e -M, e con le vocali E e O al posto rispettivo di I e U(M) in negro. In compenso per si trovano le consonanti finali -S e -N, le consonanti non lenite -T- (praTalia) e il -B- dei suffissi caratteristici dellimperfetto. La parola versorio ancora il latino versorium piuttosto che il volgare versr che, come risulta dalla carta dellAtlante Italo-svizzero375 tuttora usata nellarea compresa fra Torri del Benaco (Veronal, Ponte nelle Alpi (Belluno), S. Stino di Livenza (Venezia), Comacchio (Ferrara), Cerea (di nuovo Verona). Daccordo con B. Migliorini376 , lindovinello veronese non il primo documento di lingua italiana volgare.
374 Archivio storico italiano, I, 1924, p. 113; Ridossi, Origini, Milano-Napoli 1956, pp. 164 sgg.; Migliorini, op. cit., p. 64. 375 Atlante Italo-svizzero, carta 1434. 376 Migliorini, op. cit., pp. 61 sgg.

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143. I Placiti cassinesi Francamente italiani sono invece i testi di Cassino377 , anche se contengono elementi latini ancora ben distinguibili. I quattro documenti, molto simili fra di loro, sono: Capua, marzo 960: sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti. Sessa, marzo 963 (in due varianti): sao cco kelle terre, per kelle fini, que tebe monstrai, Pergoaldi foro, que ki contene, et trenta anni le possette. Teano luglio 963: kella terra, per kelle fini, que bobe mostrai, sancte Marie , et trenta anni la posset parte Sancte Marie. Teano ottobre 963: sao cco kelle terre, per kelle fini, que tebe mostrai, trenta anni le possette parte sancte Marie. I testi sono volgari, ma non in un volgare andato alla deriva, frantumato in modo magari non uniforme, a Cassino Sessa e Teano. Questo volgare ha subito un processo di adeguamento sia dal punto di vista dello spazio, sia da quello dello spessore sociale. Dal punto di vista dello spazio, la forma pi famosa, sao so, non corrisponde alla forma attuale sacc, che il latino SAPIO, e che la carta dellAtlante Italo-svizzero mostra diffusa in tutta la regione378 . M. Bartoli379 aveva pensato a un vero e proprio precoce italianismo letterario. Pi prudentemente, si deve supporre che si tratta di un portato delle vie dei pellegrinaggi, che irradiavano modelli romani, e anche pi settentrionali. Questi erano apprezzati in documenti ufficiali come le citate testimonianze cassinesi, scritte, destinate a essere capite da tutti e a durare, anche se non sono riuscite a imporsi nel parlare corrente.
Migliorini, op. cit., p. 93. Vedi il mio Profilo di storia linguistica italiana, cit., p. 33. 379 Bartoli, Lingua nostra, 6, 1944-5, p. 4.
377 378

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Procedimenti analoghi di livellamento delle forme di verbi fondamentali sono noti nel mezzogiorno. Pi recente, ma molto aderente, stao sto presso Cielo dAlcamo ( 155) mentre forme analogiche come abo ho, dabo do si trovano nel codice diplomatico di Cava che contiene documenti dallanno 792380 in poi. Altra forma importante cco, ko, nel senso di che, perch si salda con il lat. quod, che gi nellet imperiale si visto corrispondere alla costruzione classica dellaccusativo con linfinito ( 75, 85). Le forme latine parte Sancti Benedicti, parte sancte Marie qui inserite figurano invece come se fossero citazioni di nomi propr, in cui sono comprese anche le desinenze latine del genitivo singolare. Che non sia un artificio, provato dal fatto che, fino ai nostri giorni, sono sopravvissute nelle citt italiane le forme Piazza S. Giovanni, Via Garibaldi senza la fase normale intermedia con la preposizione DI. Le forme tebe bobe sono molto importanti come testimonianza morfologica della declinazione pronominale sopravvivente. Quanto alla grafia con B essa non n un latinismo n un arcaismo, ma rispecchia la pronuncia intermedia B/ V tipica delle regioni meridionali fino dallantichit381 . Che queste forme fossero radicate, viventi, mostrato della persistenza di tebe sebe nel ritmo cassinese, pi recente di due secoli ( 48). Un importante problema di grafia dato dalla questione delle gutturali non soggette a palatalizzazione. Luso del K e del digramma QU mostrano nei testi cassinesi la loro utilizzazione parallela, ke, que che. Davanti a O questi ripieghi non erano necessari, anche se per deCodex diplomaticus cavensis, vol. I, Napoli 1873. Terracini, Archivio glottologico italiano, 27, 1935, pp. 133 sgg.; 28, 1936, pp. 134 sgg.; cfr. sopra, 87.
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siderio di uniformazione, o per eccesso di zelo, si hanno anche esempi di ko accanto a cco (lat. quod). 144. Consapevolezza della differenza fra latino e volgare Saranno stati consapevoli di usare il volgare i testimoni dei placiti cassinesi? Nessuna affermazione espressa ancora lo convalida. Viceversa, riferimenti indiretti se ne hanno altrove, e hanno forte valore probante. Nelle Gesta Berengarii, poema anteriore al 923, si riferisce che, in occasione della incoronazione del re Berengario I (915), il senato recitava canti patrio ore (cio in latino), mentre il popolo emetteva gridi nativa voce (in volgare). Nel 960 Gonzone, scrivendo ai monaci di Reichenau, parla delluso nostrae vulgaris linguae, quae latinitati vicina est e cio vicina s al latino ma autonoma. Lepitafio di papa Gregorio V, morto nel 999, dice usus francisca vulgari et voce latina instituit populos eloquio triplici e cio si valse della lingua francese, volgare e latina, ammaestr i popoli in triplice linguaggio. Di data imprecisata, ma sempre nel X secolo, la formula di un penitenziale cassinese che avverte fiat confessio peccatorum rusticis verbis e cio la confessione dei peccati deve avvenire in lingua volgare382 . Infine il sassone Vitichindo afferma nella sua cronaca che limperatore Ottone I (m. 973) conosceva la lingua romana e cio il volgare dItalia. 145. Riscossa latina nellXI secolo Di fronte a questi fermenti e a questa consapevolezza italiana, manifesti nel secolo X, ecco che nellXI, lo svolgimento verso un linguaggio dItalia nuovo subisce una
382

Migliorini, op. cit., p. 110.

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battuta darresto: alla frequenza e disinvoltura nellimpiego del volgare fa riscontro un rifiorire di studi retorici imperniati sul latino383 . Il tentativo di sostituire toghe e abiti di cerimonia con normali vestiti borghesi viene, se non impedito, ritardato. Compaiono dottrine e applicazioni di schemi stilistici che si riattaccano a precedenti, sia pure non identici, propri del cursus ( 99). Gli schemi fondamentali sono questi tre. Lo stile tulliano abbonda nella metafora, ignora il cursus e quindi si ispira, ancora al di l, a schemi classici. Lo stile gregoriano, cosi denominato in et pi tarda dal nome di Gregorio VIII, papa dal 1187, accetta in pieno il cursus, si ispira ai modelli della et imperiale, e diventa il capostipite della lingua cancelleresca della curia romana. Lo stile isidoriano, legato alle dottrine di Isidoro di Siviglia (VI-VII sec.) introduce infine un carattere ritmico nuovo, la rima. Esso appare presso autori come Guido dArezzo (990-1050)384 , Pier Damiani (1007-1072) e altri385 . Le risorse che i modelli latini vengono cos a offrire agli autori sono immense. Il volgare pu imporsi in materia di fonetica e morfologia: in fatto di stile non ha ancora parola da dire.
383 Schiaffini, Tradizione e poesia nello prosa darte italiana dalla latinit medievale a Giovanni Boccaccio, Genova 1934. 384 Ronga, Origini, Milano-Napoli 1956, pp. 322 sgg. 385 Viscardi, Origini, 4 ed., Milano 1966, pp. 162 sgg.

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Capitolo trentesimo Assestamento italiano

146. Espansione Toscana in Corsica e Sardegna Al di sotto di questo manto latino di alto livello non cera stasi proletaria. Le repubbliche marinare, gi nei loro primi passi, rappresentavano elementi di collegamento interregionale. Spicca in questo tempo per le sue conseguenze linguistiche la espansione pisana, in Corsica e poi in Sardegna. In Corsica essa ha per risultato di dividere, in senso per cos dire verticale, lisola, per cui le parlate orientali diventano sostanzialmente toscane, mentre quelle occidentali salvano meglio la loro struttura originaria386 . Dalla Corsica linfluenza pisana si estende alla Sardegna nordoccidentale, sottrae larea sassarese allinsieme originario sardo logudorese, e la snatura, soprattutto imponendo il sistema vocalico toscano, fondato sulla distinzione delle due E e delle due O gi nel latino volgare: si dice cos a Sassari pelu in confronto col sardo normale pilu, perch, toscanamente, si introdotta la distinzione del latino volgare (non sardo) fra la I aperta e quella chiusa ad esempio di filu387 ( 111). 147. Documenti volgari dellXI secolo I documenti dellXI secolo sono 6, di cui tre sardi. Di questi il pi importante un privilegio logudorese (1080-1085), del quale si d qui un saggio: ccando mi
386 Bottiglioni, Italia dialettale, 2, 1926, pp. 156 sgg.; 3, 1927, pp. I sgg. 387 Wagner, La lingua sarda, Berna s.a., pp. 248 sgg.

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petterun su toloneu, ligatarios ci mi mandarun homines ammicos meos de Pisas... E quando mi domandarono la esenzione, gli ambasciatori che mi mandarono uomini amici miei di Pisa.... Tratti caratteristici fondamentali sono le desinenze dei plurali in -S, il verbo arcaico petterun per chiedere, una parola tutta diversa isolata come toloneu equivalente a dogana388 . Mancano esempi di lenizione, presente invece il rafforzamento sintattico, che pi tardi sar eliminato dalla grafia389 . Gli altri due documenti sardi sono due carte cagliaritane, di cui una del 1070-1080 in caratteri latini, laltra in caratteri greci. I tre documenti rimanenti sono luno toscano meridionale, laltro romano, laltro umbro. Il primo, detto postilla amiatina, mostra larticolo illu, con la terminazione ancora in -U (non in -O), e un termine caratteristico come rebottu, che significa probabilmente il maligno. La grafia di coctu per cottu prova che la autonomia del volgare come lingua scritta era ancora scarsa, in certo senso ancora inferiore a quella dei placiti cassinesi, pure pi antichi di un secolo390 . Liscrizione di San Clemente a Roma, pubblicata da A. Monteverdi nel 1934391 , appartiene alla fine del secolo. Essa mostra le finali -O, non -U per es.: flite dereto colo palo fgliti dietro con il palo; il passaggio di RB a RV nel nome proprio Carvoncelle Carboncello; il verbo trere passato alla coniugazione in -I, trate tirate. Infine la confessione di Norcia documenta due fatti che
388 Vedi il mio Profilo di storia linguistica italiana, 4 ed., Firenze 1964, pp. 40 sgg. 389 Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze 1960, p. 284. 390 Migliorini, op. cit., pp. 97 sgg.; Ruggieri, Lingua nostra, 10, 1949, pp. 20 sgg. 391 Migliorini, op. cit., p. 98.

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si erano presupposti gi nei secoli precedenti per la zona umbro-laziale, la distinzione delle finali in -O come in io, accuso, preso, corno di fronte a quelle in -U, confessu, battismu, diabolu, Petru, Paulu. Il testo mostra anche due esempi di metafonesi, determinata da -U finale in pseru posero, e da -I in dibbi invece di DEBBI (lat. debui, it. dovetti). 148. Documenti del XII secolo I documenti del XII secolo sono pi numerosi, e le lacune da colmare sono meno rilevanti. Discendono dal settentrione verso il mezzogiorno. Una carta savonese, probabilmente del 1182, offre non soltanto testimonianze fonetiche ma anche grafiche. Di queste ultime sono da ricordare limpiego di X per la sibilante palatale sonora (francese, J) per es. prixun prigione, e il digramma GU pi vocale per segnalare la gutturale sonora, intatta davanti a vocale palatale: brague, scritto oggi braghe. Dei trattamenti fonetici appaiono la palatalizzazione congiunta alla lenizione ( 121, 123) per es. in oregr, oggi ulteriormente semplificato in ueg per origliere (cuscino); o la palatalizzazione di CT in IT, per esempio in peiten (lat. PECTEN) ( 126) oggi ulteriormente semplificato in petene (it. pettine). Per la Toscana i primi esempi di -aio (da ARIU) si trovano in una pergamena volterrana del 1158 per es. nappaio (plur. nappari)392 o in un testo della montagna pistoiese con dinaio (cui il plurale corrispondente dovrebbe essere DINARI). In questo stesso testo si trovano i dittonghi regolari di tiene (da E) e di fuori (da o). Nel codicillo di un testamento pistoiese si ha la forma arcaica di arciprete, col dittongo non ancora semplificato in -prete.
392

Op. cit., pp. 102 sgg.

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Il ritmo giullaresco laurenziano (1150-1171) francamente toscano, ma la abbondanza dei derivati verbali in -esco, apre la via a confronti con la Umbria393 : Li arcador ne vanna tresco. Di paura sbagutesco. Rispose disse latinesco: Sten e tietti nutiaresco . Non ci sono tracce di metafonesi, n di finali in -U. Qualche maggior collegamento con caratteri meridionali mostrano i documenti connessi con la area marchigiana. Il pi importante il ritmo di S. Alessio394 di 257 versi, che, come principale caratteristica, ha la distinzione delle finali -U e -O con la conseguente possibilit di distinguere, nel campo della morfologia (fra il genere maschile e il neutro), nei pronomi e in alcuni aggettivi dimostrativi. Mostra un carattere arcaico per es. col mantenimento del gruppo FL, per es. in flore; si immerge nel mondo gi umbro-sannita attraverso il passaggio di ND a NN. In una carta marchigiana di Fiastra (Macerata) del 1193 si ritrova la metafonesi, sia da -I come nel caso di Carvone: Carvuni, sia da -U come nel rapporto di questo: quistu. Il Ritmo cassinese ci porta pi a mezzogiorno in un ambiente che stato detto395 del campano illustre. Questo ignora la dittongazione di E e O aperte; -O distinto da -U, e questo esercita azione metafonetica; B prevale su V. I gruppi di consonante + L sono intatti. Fora sarei documenta il tipo arcaico di condizionale, tratto dalla forma perifrastica col verbo ausiliare al piuccheperfetto ( 98).
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Vedi il mio Profilo, cit., p. 41. Migliorini, op. cit., p. 109. 395 Op. cit., pp. 110 sgg.
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149. Caratterizzazione toscana Da quanto si detto, risulta che la Toscana corrispondeva ( 16) come gi era stato preannunciato al 111, a una regione appartata, nel senso dello spazio, esile dal punto di vista dello spessore sociale, povera di eventi nel senso del tempo. Le paludi del Tevere e dellArno, la malaria delle coste tirreniche cooperavano allisolamento. La mancata mescolanza con precedenti tradizioni linguistiche spiega questa esilit. La tradizione linguistica latina nel suo insieme stata poco disturbata. Se era chiusa verso lesterno, la Toscana aveva invece var gradi di apertura nel suo interno. Pisa era potenza politica sul mare, Lucca era stata capitale di un ducato longobardo su unimportante via di comunicazione col settentrione. Siena era tappa importante sulla via romea che conduceva i pellegrini a Roma. Pistoia era vicina a un facile passo appenninico, quello della Collina. Arezzo si apriva attraverso il Casentino e lalta valle tiberina a comunicazioni transappenniniche, lungo la valle tiberina, e la val di Chiana, verso la Umbria e Roma. Fra tutte le citt toscane, la pi isolata e tardiva era Firenze. Se i dialetti toscani si definiscono in quanto NON raggiunti da innovazioni, cos meridionali come orientali o settentrionali, il dialetto fiorentino quello che meno stato raggiunto da innovazioni toscane. La prima resistenza data da quel fatto, che erroneamente stato denominato anafonesi e cio rialzo396 . Se a Firenze si dice lingua unto (non LENGUA ONTO) questo non significa che la I aperta o la U aperta, del latino volgare, dopo essere diventate E e rispettivamente O chiuse, siano ridiventate I e U. Lingua, unto, corrispondono a una pro396 Schiaffini, Testi fiorentini del Dugento e dei primi del Trecento, Firenze 1926; Castellani, Nuovi testi fiorentini del Dugento, Firenze 1952, p. 21.

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nuncia ininterrotta dalla latinit ai nostri giorni. Analogamente, davanti a L palatale conseglio someglio circondano Firenze come ponto onghia, senza raggiungerla397 . Nellambito della morfologia, ancora vivo in Toscana (come in altre regioni) il possessivo enclitico, per es. mgliema, csasa a Firenze fratlma fratello mio cogntoma cognato mio a Siena398 . Alle grandi innovazioni venute di fuori, che conquistano tutta la Toscana, come la palatalizzazione dei gruppi di consonante occlusiva pi L ( 137), si accompagnano quelle minori, per esempio la accettazione delle forme della sibilante sonora proveniente dal settentrione. Essa si afferma prima nella Toscana occidentale, di l si allargata verso Firenze senza affermarsi risolutamente, ma guadagnando terreno anche ai nostri giorni. Innovazione toscana tipica quella di -ARIU, che passa a -AIO ( 148), con la conseguenza di una dissimmetria fra le forme del singolare come denaio, cui deve corrispondere un plurale denari. Vi si accompagnano per poi forme analogiche con i singolari del tipo contraro. Naturalmente esistono anche innovazioni fiorentine, sia pure poco significatiti: tali atro per altro, andato presto in disuso e, soprattutto, il passaggio di -ARin posizione interna a -ER-: Lzzero invece di Lazzaro, generalizzata poi nelle forme del futuro, che si imposto universalmente nella forma amer invece di AMAR399 .Verso la met del Duecento si semplificano i dittonghi discendenti secondo lo schema da EI a E: PREITE diventa prete. Ma pi che per i suoi caratteri permanenti, il fiorentino interessa nel Duecento per le sue incertezze grammaticali, quasi il prestigio delle parlate esterne lo dominasse. Attraverso i lavori di A. SchiaffiMigliorini, op. cit., p. 157. Op. cit., p. 161. 399 Migliorini, op. cit., p. 106.
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ni e di A. Castellani400 sono messe in giusta luce nei testi fiorentini forme come dissoro dissero, feceno fecero metteno mettono diceno dicono stra star che si riferiscono rispettivamente a Prato Pistoia Lucca Pisa, e danno tutte la impressione che Firenze fosse ancora unarea recettiva, aperta a ampie possibilit di colonizzazione linguistica che solo con la maturazione sociale economica e politica di Firenze, vengono rapidamente riassorbite. Altre, di carattere letterario, rimangono su un piano occasionale. Tali i tipi con AU al posto di O, forme snobistiche modellate su schemi siciliani: aulire per OLIRE odorare, aunore per onore. Cos le lenizioni, che presuppongono imitazione di modelli settentrionali, appartengono a questa categoria: imperadore, etade, segondo. Cos le reazioni per le quali lauda diventa lalda e autore diventa altore401 . Una reazione antifiorentina appare invece a Siena dove, contro il passaggio di AR a ER, si ha quello inverso da ER a AR: per esempio il tipo vvare, opposto alloriginario e fiorentino vivere. 150. Il primo sistema fonologico italiano Parlare di un equilibrio assestato e perci stesso di un sistema valido per tutto il territorio italiano, impossibile. Ma, alla vigilia di constatare che lo scettro del comando, la validit del simbolo di italianit generale sta per essere assunto dal fiorentino, ecco che pare opportuno fissare i tratti fondamentali del sistema consolidato in questo tempo, intendendo con questo di fissare il primo sistema fonologico italiano, di base fiorentina, quale si era venuto configurando a partire dal IX secolo. I suoi tratti
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Vedi il mio Profilo, cit., p. 60. Migliorini, op. cit., pp. 157, 224.

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consistono in svolgimenti che sono stati illustrati in paragrafi precedenti: A) si eliminano le parole sdrucciole in tutti quei casi, in cui il risultato degli scontri fonetici non era controproducente: SOLIDU diventa soldo, NITIDU diventa netto, di fronte a NUMERU che diventa novero, non NOMBRO. B) Le vocali E e O aperte in sillaba libera dittongano, almeno negli strati superiori: METIT diventa miete, NOVU diventa nuovo. C) Le consonanti finali vengono eliminate, METIT diventa miete, CAPUT capo. D) I gruppi di consonanti si assimilano in senso regressivo: CT diventa TT, cos PT: FACTU diventa fatto, RUPTU rotto. E) I gruppi di consonante + L vengono palatalizzati in forma blanda secondo gli esempi di CLAVE che diventa chiave, PLENU che diventa pieno, FLAMMA che diventa fiamma, GLAREA che diventa ghiaia, BLANCU che diventa bianco. Altre palatalizzazioni hanno sviluppo unitario solo in parte: PLATJA diventa piazza, come MEDJU diventa mezzo. Ma HODJE si ferma al livello di it. oggi, secondo un rapporto che non ha paralleli nel sistema e non suscettibile di una interpretazione chiara neanche sul piano geografico (cfr. MODIU che diventa moggio).

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PARTE QUARTA Let moderna: 1200-1850

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Capitolo trentunesimo La Sicilia e la prima lingua letteraria

151. Arabi Col. XII secolo, la regione pi importante per la storia del linguaggio dItalia diventa la Sicilia. Questa, dopo la invasione e colonizzazione araba, aveva da tre secoli rivissuto la opposizione fra un occidente (arabo) e le coste orientali, rimaste pi o meno nellorbita bizantina, come nellantichit si era contrapposto un occidente cartaginese a un oriente greco. Limportanza dellelemento arabo nellambito del lessico italiano immensa402 , ma invece difficile stabilire quali sono resti arabi trasmessi specificamente attraverso la Sicilia. Sono tra questi ammiraglio in origine un comandante non soltanto di forze di mare, sciara colata lavica, zgara il fiore dellarancio, cmula tignola, sciurta sentinella, bburgiu bica di paglia, zappa misura dacqua, zammataru cascinaio, rabba granaio pubblico, carabba caraffa, cantusciu (veste femminile), tarca velo di lutto, bucecia gallina, macaduru sudicio, zizzu elegante. Praticamente assenti sono i verbi. Nomi di famiglia sono Vadal, Morabito, Mol e altri. Il grosso delle parole arabe in italiano si divide invece nelle due grandi categorie, di quelle pervenute dal vicino oriente attraverso le repubbliche marinare e di quelle pervenute dalla Spagna. Tuttavia, ai fini delle strutture
402 G. B. Pellegrini, Lelemento arabo nelle lingue neolatine con particolare riguardo allItalia, Loccidente e lIslm nellalto Medio evo, Spoleto 1965, pp. 698-844, spec. pp. 731 sgg.; G. B. Pellegrini, Parole arabe, Brescia 1970.

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lessicali del linguaggio dItalia, le une e le altre possono rimanere indistinte in un elenco indicativo che contenga parole relative alla tecnica come azimut, zenit, almanacco, algebra, zero, cifra; alchimia, ricamo, tarsia, racchetta, amalgama; ai cibi, come elisir, sciroppo, giulebbe, zibibbo, melanzana, zucchero, arancio; ai traffici come arsenale (a Venezia), darsena (a Pisa e Genova), dogana, fondaco, magazzino, bazar, libeccio, scirocco; alla vita sociale come moschea, sultano, califfo, aguzzino, bagarino, assassino, camallu (a Genova), ragazzo, baldacchino, zerbino, giubba e i due colori cremisi e scarlatto. Col XII secolo, il contrasto dominante cessa di essere, in Sicilia, fra oriente e occidente, per far posto a correnti e pressioni non omogenee, provenienti da settentrione. 152. Normanni Per arrivare alle novit e agli assestamenti, che si preparano per il XIII secolo, bisogna tener conto delle forze che investono principalmente la Sicilia e turbano lequilibrio linguistico durante il XII: virtualmente complicando la carta geografica del linguaggio dItalia. I fattori di complicazione sono due: luno agisce dallalto, collegando regioni lontane, introducendo anche elementi stranieri; laltro agisce dal basso, introducendo nella grande area meridionale nuclei linguistici italiani, sufficienti per rompere continuit ereditate, insufficienti per costituire legami nuovi. Il primo di questi fattori porta una etichetta, quella dei Normanni. La loro affermazione durante questo periodo fu rapida. Nel 1030 Rainolfo ottenne la terra di Aversa presso Napoli. Nello spazio di un secolo per opera di Guglielmo Braccio di Ferro duca di Melfi, di Roberto Guiscardo duca di Puglia e di Calabria, infine di Ruggiero Il re di Sicilia (1130), tutta la Italia meridionale fu sottoposta a un dominio unitario, che elimin del tutto la

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tradizione araba della Sicilia e restrinse quella bizantina nel continente. La tradizione linguistica che i Normanni portavano era francese, quella sociale si identificava con lordinamento feudale. Un numero notevole di francesismi normanni si aggiunsero ai francesismi di et carolingia ( 136), dai quali non siamo per in grado di distinguerli. Le crociate alimentarono ulteriormente i contatti linguistici con la Francia. A questo punto, legittima la domanda, se i Normanni, unificando la amministrazione pubblica nel mezzogiorno, furono autori, sia pure lontani, di un processo di unificazione linguistica. La risposta in linea di massima, negativa. Quando ( 154) si hanno i documenti di una attivit linguistica gi a livello letterario, come nella et successiva, la Sveva, ecco che si vede come lo sforzo unificatore precedente si trova ancora ai primi passi. Il livello culturale era alto; il materiale linguistico era spesso straniero; elementi linguistici italiani nellambito normanno erano solo occasionali. Ci non ostante una fase normanna esiste, e lha illustrata assai bene G. Bonfante403 . Gli elementi che permettono di definirla sono i seguenti. Il primo dato dal contrasto fra testimonianze dei dialetti calabresi settentrionali che conservano unit lessicali pi arcaiche di dialetti siciliani questi hanno baddagh jari sbadigliare di fronte al nord-calabrese alare; dumani di fronte a craj, lesina di fronte a scugghja, testa di fronte a capu, avantieri di fronte a nustiertsu, vottsu gozzo di fronte a cagnu. Questi elementi permettono di giustificare larrivo in Sicilia di innovazioni per via di mare, provenienti da porti di imbarco pi settentrionali di Napoli e Roma. A questi elementi che si ricollegano al movimento normanno per
403 Bollettino del Centro di studi filologici e linguistici siciliani, I, 1953, pp. 45 sgg.; 2, 1954, pp. 280 sgg.; 3, 1955, pp. 305 sgg.; 4, 1956, pp. 296 sgg.

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ragioni geografiche se ne accompagnano altri di natura sociale. Le innovazioni normanne arrivano in Sicilia ma si affermano soltanto nello strato superiore delle corti e degli ambienti letterari, senza penetrare negli strati popolari che continuano (fino ai nostri giorni) a usare unit lessicali originarie. Tali i casi di andari accolto nella lingua dei poeti siciliani, che non discende a eliminare il preesistente sinonimo iri, tuttora persistente; cos sentiri che NON soppianta audiri; cos volta, accettato ad alto livello, ma che NON scende a eliminare fiata404 . 153. Galloitalici in Sicilia Del tutto diversi sono i procedimenti di effettiva colonizzazione, che NON si sovrappongono come strato superiore ma si inseriscono come parastrato demografico. Questa colonizzazione demografica, preparata gi durante il secolo XII e sviluppata nel XIII, certo stata pi ampia di quella, riconoscibile adesso attraverso i dialetti galloitalici di Sicilia. Quelli riconoscibili oggi si distinguono in tre aree, la interna di Piazza Armerina, la litoranea tirrenica di Sanfratello e Nicosia, la tirrenico-ionica di Francavilla di Sicilia fra Patti e Taormina. naturale, che queste tradizioni linguistiche, totalmente prive di prestigio culturale fossero destinate a subire la prevalenza numerica delle tradizioni siciliane genuine. Tuttavia si sono mantenute fino ad oggi: a) forme prive delle vocali finali, gi andate perdute nei luoghi dorigine del settentrione quando non si trattasse di A; b) la lenizione della palatale sorda davanti a vocale palatale nella sibilante palatale sonora SG, e quella della labiale -P- in -V-; c) la caduta di L(L)- dopo vocale e davanti a O e E: tali gli
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Bonfante, op. cit., I, pp. 47 sgg.

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esempi rispettivi di pet petto, dorm dormo; di asg aceto, savor sapore; di pau palo, casteu castello. Che tuttavia il confronto con gli schemi siciliani fosse permanente e magari polemico, lo prova la reazione esagerata che mostra la sorte della L- iniziale: la quale, senza nessuna influenza diretta, si trasforma, esagerando, in rattratta, dando luogo a det per letto. stato supposto che si debba ascrivere a questa colonizzazione di provenienza settentrionale il carattere meno meridionale del dialetto siciliano405 . Ma la minore meridionalit del siciliano non sta in caratteri fortemente innovativi, insiti negli schemi settentrionali, bens in quei tratti conservatori che sono stati lumeggiati a suo luogo ( 90). La colonizzazione settentrionale in Sicilia costituita da tanti episodi isolati, che non hanno potuto avere per ragioni cos sociali come funzionali, alcuna possibilit di rigenerare lambiente costituitosi nei secoli precedenti. 154. Galloitalici in Lucania Altro lequilibrio raggiunto in Lucania. La tecnica della colonizzazione non stata vero diversa intrinsecamente. La assenza di una corte, il minor livello sociale della regione, hanno fatto s che le ragioni del numero abbiano avuto maggior libert di azione di fronte allinsufficiente prestigio della societ preesistente. Anzich di colonie si pu parlare nella Lucania a occidente di Potenza, a Picerno e Tito, di unarea gallo-italica, che ha costituito nel territorio lucano un insieme autonomo, influenzato ma non snaturato dallambiente che accoglieva i coloni. I caratteri sono tre: la metafonesi attenuata e cio determinata solo dalla -I (e non anche dalla -U) finale, pro405

Rohlfs, Scavi linguistici nella Magna Grecia, Roma 1933.

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pria del settentrione; la lenizione spinta; la caduta (e non la semplice riduzione) delle vocali finali. Cos, a Picerno, si ha il singolare non metafonetico porch porco contro il plurale metafonetico purc porci; sing. tsopp zoppo plur. tsupp zoppi. Nelle stesse condizioni si hanno a Trecchina risultati analoghi anche se quantitativamente dissimmetrici colloscuramento della E in I e la dittongazione di O in UO sotto la azione metafonetica di -I (non di -U): tale il normale freddu di fronte al metafonetico friddi, il singolare mortu di fronte al plurale muorti. Ma in questa posizione pi avanzata nel senso del meridione, ecco che le vocali finali vengono ricostituite secondo quello schema tripartito che in Sicilia era stato invece tramandato senza interruzioni. Per quello che riguarda la lenizione, si hanno esempi parziali a Tito o a Trecchina come LOCU che diventa luoghu, STOMACU che diventa stomaghu, oppure totale come in MOLLICA che diventa moda, o MICA che diventamia. I passaggi paralleli con consonanti dentali o labiali sono tutti parziali: tali NEPOTE che diventa nevodhi, PRE(S)BITche diventa prvidhu, MARITU che diventa maridhu; tali SAPERE che diventa sav, RAPA che diventa rava. Mentre in Sicilia la colonizzazione gallo-italica non ha avuto ripercussioni sulla classificazione dei dialetti siciliani, in Lucania le colonie gallo-italiche hanno costituito una specie di cuneo. Esso ha approfondito la divisione fra aree nordorientali di chiara impronta pugliese per quanto riguarda metafonesi, vocali finali turbate, e assenza di lenizione, e quelle meridionali, in cui le vocali finali sono pronunciate ancora chiare, come in Sicilia. 155. La corte di Federico II a Palermo La coltre, che comincia a distendere sulla Sicilia la corte normanna, raggiunge un risultato finale nella prima me-

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t del XIII secolo con la corte sveva. Questa ha come carattere fondamentale la apertura verso poeti e correnti culturali diversissime, dalla Francia, dalla Provenza, dallItalia meridionale come dalla Sicilia stessa. Di fronte ai dialetti, parlati e vari, come di fronte alla riscossa latina, propria degli studi di retorica nellXI secolo, la corte di Federico offre per la prima volta un ambiente propizio, atto insieme a resistere al prestigio del latino e alla frammentariet delle tradizioni linguistiche municipali. Eleva queste ultime a livello letterario, ma le sottrae nel tempo stesso alle ristrettezze geografiche tradizionali. Il prestigio che ne derivava al volgare non era pi quello, secondo la dimensione verticale della tradizione e del tempo, ma secondo quella, orizzontale, dello spazio. Perch questo afflusso, questa circolazione di idee e di parole fosse vitale, occorreva per che alla elevatezza dellambiente di cultura si affiancasse unit, amministrativa e politica, abbastanza ampia. Anche questo la corte di Federico II offr, grazie ai rapporti che lautorit imperiale pot stabilire alimentare e difendere. La apertura a var modelli, tradizioni minori, e sensibilit poetiche individuali non doveva risultare da provvedimenti artificiosi o impulsivi, ma risultare da uno sviluppo di impulsi esistenti, che possono esser detti siciliani anche se eterogenei, sui quali la corte esercitava una azione discreta di coordinamento e promozione. Il superamento del latino non avvenne qui dal basso, ma per mezzo di un adstrato che non era universale, ma reso autorevole da una parte dalle tradizioni franconormanne e dallaltra dalla poesia lirica che irradiava dalla Provenza per tutta Europa406 . La prima met del secolo XIII, e soprattutto il trentennio federiciano, rappresenta la maturit di questo pro406 Schiaffini, Momenti di storia della lingua italiana, 2 ed. (Roma 1953), p. 10.

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cesso, che integr il filone francese e provenzale con filoni e modelli della Italia meridionale, e, attraverso i legami dinastici, con lItalia settentrionale. Pier delle Vigne (1190-1249), nato a Capua, educato a Bologna, divenuto ministro di Federico II, impersona la molteplicit di queste tradizioni. La coesistenza di diverse tradizioni assicura o impone la possibilit di varianti linguistiche particolari: una forma provenzaleggiante come amori si affianca a quella genuinamente siciliana come amuri La tradizione latina si inserisce nel processo di assestamento linguistico come una riserva lessicale e fonetica, tutte le volte che, per ragioni ritmiche o altre, si esigono forme parallele: perci, anche se non sempre per ragioni evidenti, si trova accanto al siciliano chinu, il latineggiante plenu; accanto al siciliano quanno, il latineggiante quando, accanto al siciliano chi, il latineggiante plu. Proprio perch le condizioni politiche hanno avuto una parte determinante nel realizzare e nel mantenere un equilibrio nuovo ma elastico, questo non mostra alcun vero ancoraggio locale, nemmeno con la citt capitale. Lintera Italia meridionale, anche al di l della Sicilia, ha, funzionato da spazio ampio, atto agli incontri, tale da giustificare le ipotesi pi varie circa la espansione della cosiddetta lingua poetica siciliana. Ecco alcuni esempi di problemi che appaiono attraverso singoli autori407 . Linizio della tradizione si pu far coincidere con Jacopo da Lentini e il suo primo componimento La namoranza disiusa, i cui antefatti risalgono fino alla met del XII secolo. Giacomino Pugliese, conformemente alle sue origini, porta tradizioni continentali. Guido delle Colonne (m. 1287) lasci due canzoni Anchor
407 Devoto, Profilo di storia linguistica italiana, 4 ed., Firenze 1964, pp. 44 sgg.

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che laigua per lo fuoco lassi e Ancor che lungiamente mi menato, che Dante cita come esempio di autori locali, capaci di aver saputo poetare con dignit. Stefano Protonotaro, in pieno secolo XIII, mostra forme tipicamente siciliane come nei versi di chi eu puta sanari, disa damari e perdi sua spiranza; ma anche gallicismi come ma beni da blasmare o meu duttu fortimenti; non solo, ma anche un adattamento del provenzale mirador nel verso di chi fa la tigra in illu miraturi. Nel contrasto di Cielo dAlcamo, il confronto addirittura fra il parlato e lo scritto appare ad esempio nei versi addomannimi a mia mre e a mon peri, oppure arrenneti donna col viso cleri, in cui si ha da una parte il trattamento parlato meridionale di NN per ND, e i chiari gallicismi quasi eruditi cleri, peri. Se politiche furono le circostanze che portarono a fortuna la poesia siciliana, politiche furono quelle che portarono al suo isterilimento. Con la fine della monarchia sveva, vien meno la forza che sosteneva lequilibrio cos instabile e eterogeneo, lungi dallesser definitivo, della lingua dei poeti siciliani. Finiscono insieme il mondo poetico siciliano e la tradizione linguistica che non era potuta arrivare se non a una maturit parziale.

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Capitolo trentaduesimo Spunti di lingue letterarie estrasiciliane

156. Sperimentazione umbra La esigenza di una lingua letteraria volgare cominciava a farsi sentire anche in altre regioni. Tale il caso del Cantico di Frate Sole, nel quale un uomo coltivato come Francesco dAssisi (1182-1226) si valso del volgare non solo per ragioni espressive. Lelemento religioso, appassionato, legato allUmbria, travolgeva gli ostacoli di tradizioni linguistiche e di modelli artistici convenzionali, e insieme redimeva il volgare, lo inalzava a dignit di strumento espressivo di alto livello. Lambiente umbro si rivela propizio ad accogliere delle novit di questa natura, pi ancora che a subirle. Ma non ancora una societ dinamica, atta a diffonderle. Una frase come Laudato sie mi Signore, con tutte le tue creature, specialmente messor lo frate Sole, (per) lo quale iorna et illumina noi per loi associa al loro potere poetico, il fascino di qualcosa che lega luomo in modo esclusivo alla terra natale. Se si cerca di individuare un principio di tradizione, bisogna guardare piuttosto a Jacopone da Todi (12301306), la cui sintassi sincopata corrisponde a una energia mistica interiore. Ma neanche in questo caso si leva una esperienza di lingua letteraria suscettibile di gareggiare con la tradizionale latina. Le novit linguistiche di Francesco e di Jacopone richiamano allo storico piuttosto la affermazione di principio, se vogliamo la protesta individualistica, ma non annunciano ancora lavvento di una nuova classe al potere.

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157. Sperimentazione padana A differenza della Sicilia e dellUmbria, lItalia settentrionale non ebbe fino al pieno XIII secolo n laiuto di un potere politico, sensibile al prestigio culturale, n la spontaneit appartata dellambiente umbro cos caldo e genuino. Era per una regione aperta agli scambi economici e culturali soprattutto con la Francia, attraverso i modelli letterari provenzali e francesi che si facevano conoscere e apprezzare. Lombardia e Veneto si trovarono perci in condizioni propizie per ricevere assimilare e adeguarsi. Se anche si deve rinunciare alla ipotesi accarezzata da qualcuno in passato di un principio di lingua letteraria comune408 a tutta lItalia padana, si deve riconoscere nei testi franco-veneti questa aspirazione a uscire dal campanile per guardare a una pi ampia regione. I passi successivi sono mostrati dagli esempi seguenti. Alla fine del XII secolo i sermoni subalpini mostrano, gi affermati, i caratteri ( 114 sgg.) preannunciati come caratteristici della Padania occidentale. Tale il sermone VII per que est apel povre? Car Dominid non est mia endeignos....de recevre...zo que hom po far. Appare ormai attestata e la caduta della vocale finale (hom, far), la lenizione parziale (povre) o totale (mia) delle consonanti intervocaliche, la assibilazione di consonanti palatali (zo ci). Uno sforzo maggiore appare nella poesia didattica, per esempio presso Bonvesin de la Riva (1240-1313) e Giacomino Veronese (2 met del XIII secolo). Se non si pu dire che essi realizzino una lingua letteraria sopradialettale, pure certe concessioni nei riguardi di tra408 Vedi le obiezioni di G. Contini nellItalia dialettale, II, 1935, p. 54 e cfr. Vidossi in Origini, Milano-Napoli 1956, pp. LXIII sgg.

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dizioni latine o addirittura centro-italiane appaiono attraverso la scarsa presenza di consonanti finali diverse da -N -R -L -Z. Ma un verso come quello di Bonvesin (v. 56)409 Quand tu mang con cugi mostra chiaramente la impronta locale settentrionale, con la energica eliminazione delle vocali atone finali, con la palatalizzazione abbinata alla lenizione del gruppo CL in G. Il verso Giama Sancta Maria quella vergen beadha mostra la palatalizzazione-lenizione addirittura in posizione iniziale. La lenizione della T intervocalica indicata efficacemente attraverso la consonante sonora, seguita da H, indice di una spirantizzazione incombente. Ma queste alterazioni e passaggi sono ancora fluidi. Accanto al passaggio di L in R in tug li soi pergori, si trova miracui miracoli con la eliminazione totale. Inversamente, compaiono latinismi pi o meno giustificati. Nella forma sancta pu aver agito lo stesso movente, che nei placiti cassinesi imponeva parte sancti Benedicti; in plena plu avr agito una velleit arcaizzante pura e semplice, con la L intatta. Soluzioni contraddittorie compaiono in flao fiato, in cui, di fronte al FJ della lingua letteraria italiana, si ha un FL eccessivamente conservatore, e accanto una totale lenizione della T. Di questa lenizione totale si ha un esempio estremo in aiaoper aiutato. Questa lingua, vagheggiata piuttosto che realizzata, non mostra soltanto chiazze di conservatorismo o addirittura di latineggiamenti, destinati a essere sommersi. Mostra anche novit, che non sono state per definitive. Una specie di normalizzazione posteriore, ispirata a modelli toscani ha fatto s che certe lenizioni totali o certe realizzazioni metafonetiche fossero pi tardi abbandonate: tali le forme moderne creder, vedova, che riappaiono al posto delle lenite (e presso questi autori attestate) crer vo409

Contini, Cinque volgari di Bonvesin de la Riva, Modena

1937.

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va ( 179); tali i plurali in -osi che soppiantano quelli metafonetici in -usi. Leredit della poesia didattica padana, pi aderente al parlato genuino dei luoghi, chiude il suo ciclo, sopraffatta da una tradizione venuta di fuori, pi ricca di prestigio, pi vitale. 158. Testimonianze bolognesi Gli interessi grammaticali e retorici latini maturati nellXI secolo, non avevano solo un aspetto retrivo di distacco dalla realt linguistica vivente. Essi trovarono in un centro italiano, a Bologna, il modo di agganciarsi indirettamente a questa realt. Il collegamento si manifest in tre tempi. Il primo rappresentato dalla Glossa di Irnerio (1055-1125), che fornisce per cos dire la materia e la sostanza viva per collegarsi attraverso la materia giuridica alla vita reale; il secondo da Francesco dAccursio (1182-1258/60) con la sua Glossa ordinaria, che conclude questo avvicinamento fra materia giuridica e esigenze grammaticali. Il terzo, decisivo, consiste nel trasferimento al volgare degli schemi fino ad allora riservati al latino, come se ormai si trattasse di un sistema paragonabile per regolarit e prestigio al latino. Guido Fava (n. prima del 1190, m. dopo il 1243) il primo teorico del volgare. Di lui possediamo due testi: la Gemma purpurea, raccolta di formule volgari posteriori al 1239410 , e i Parlamenti ed epistole, pi ampi, del 1239-1243. Allombra di questo prestigio dottrinale, non sorprende che abbiano potuto apparire accettabili, a un livello letterario, rime del tipo come / lome, impossibili in Toscana, o forme di lenizione, ugualmente straniere alla Toscana, come savere sapere oppure vere opere.
410

Monteverdi, Saggi neolatini, Roma 1945, pp. 94-101.

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159. Tentativi toscani Le esperienze siciliane e quelle padane (sia pure in misura pi ristretta) vennero a trovarsi di fronte al focolaio bolognese in un rapporto di complementarit: l una genuinit, spontaneit e anomalia di creazioni aderenti allestro dei poeti, qui uno sforzo di regolarit e analogia, privo di legami con una realt poetica, e quindi un insieme di strutture vuote. Era naturale che, a un certo momento, si dovesse verificare un incontro fra le forze vive ma disordinate e gli schemi troppo ordinati ma astratti. Questo incontro non fu agevole. Per gettare un ponte, non bastava riconoscere, di fronte al latino, un volgare: bisognava rendersi conto di quanto si poteva contrapporre di altrettanto unitario e regolare al latino; e si veniva a sottintendere la necessit di quello che pi tardi sarebbe stato definito con tanto rigore come volgare illustre. Il primo tentativo impersonato da Guittone dArezzo411 (1230-1294). Questi si ispir a Guido Fava, per quanto riguarda lo zelo grammaticale. Ma non si distacc dai modelli latini e dai diversi stili, fra i quali sent congeniale quello isidoriano ( 145). Guard anche pi lontano, ai modelli classicheggianti di Boezio, di Agostino. Realizz una lingua letteraria, caratterizzata da tre elementi: periodi chiusi in s, collegati da congiunzioni coordinanti leggere come e ma per dunque412 ; ricchezza di subordinazione allinterno del periodo, segnalata da gerundi, che, insieme con altre forme nominali del verbo, sono frequenti nei testi latini del XII secolo413 ;
411 Devoto, Profilo di storia linguistica italiana, 4 ed., Firenze 1964, pp. 48 sgg. 412 Segre, Memorie Acc. Lincei, S. VIII, vol. 2, 1952, pp. 59 e 73. 413 Segre, op. cit., p. 73.

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apertura nel vocabolario, nel quale appaiono largamente accettate forme umbre come ono alcono ciascono, forme settentrionali lenite come savore e savr, infine provenzalismi come aucello bealt miraglio dibonaire. I suoi risultati non furono definitivi, e Dante, nonostante tutte queste aperture, ebbe a trovarlo municipale. Ma se si pensa che, nello sforzo di instaurare una tradizione di lingua letteraria volgare, avvicin alla lingua della poesia anche la prosa414 , ecco che, nella storia del linguaggio dItalia, deve essergli riconosciuta una piena significanza. 160. Contatti tra la Sicilia e Firenze La saldatura organica fra gli spunti poetici siciliani e quelli grammaticali bolognesi, la maturazione e il completamento degli sforzi di Guittone di Arezzo non potevano affidarsi solo al fatto che la corte di Federico e poi quella di Manfredi si spostavano, diffondevano mode, stabilivano contatti415 . Le forze decisive dovevano essere altra cosa che la corte le scuole e la attivit di scrittori isolati: dovevano essere impersonate da lettori, desiderosi di conoscere creazioni meritevoli di lettura, e la cui rinomanza aveva varcato le frontiere regionali. Questa dipendeva da una trasformazione sociale che, estendendosi al di fuori di cerchie ristrette, divenuta sensibile a queste mode, e a questi gusti, creasse un mercato. Questo si verific in Toscana, dove un largo strato di commercianti e artigiani, svegliati, interessati, diedero vita, prima ancora che a poeti, a grammatici o a dotti, a degli amanuensi. I testi viaggiarono e, in Toscana, trovarono chi leggeva e ascoltava, chi correggeva, chi comprava e chi riesportava in cerchie sempre pi vaste.
414 415

Segre, op. cit., p. 65. Profilo, cit., p. 50.

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Capitolo trentatreesimo Lavvento di Firenze

161. Costruttivit fiorentina Questa circolazione di testi propose subito dei problemi, che si risolsero solo perch il lettore toscano non fu esclusivista. Se da un lato i modelli dotti di marca bolognese come podere e savere furono accolti per il loro prestigio intrinseco, forme come nui per noi, saccio per so, avria per avrei furono accolte facilmente, non per ragioni funzionali ma solo come prove di un colore, esotico se non proprio siciliano, cui non si reagiva intollerantemente ma anzi si indulgeva. Il modello toscano di fronte ai testi siciliani imponeva s alcuni ritocchi fonetici, come nel caso delle rime siciliane fra amuri e muri che non reggevano allopposizione toscana di amori e muri. Ma in generale non lo snaturava, anche perch aveva in comune la chiara pronuncia delle vocali finali e non lo sentiva straniero n nella ossatura fonetica n nellarmonia. Verso settentrione le difficolt, dovute soprattutto alla caduta delle vocali finali alla lenizione delle consonanti intervocaliche, erano maggiori ma non insuperabili. In Toscana sussistevano gli elementi favorevoli perch un testo poetico non toscano trovasse una udienza favorevole, una attenzione pi concentrata che nei limiti stretti delle frontiere regionali. Amanuensi toscani, legati a una cultura, interessata alle manifestazioni letterarie del regno meridionale, hanno gettato le basi di attenuazioni e adattamenti dialettali, atti a fare considerare come propria una poesia nata in regioni cos lontane ed eccentriche rispetto al cuore dItalia. Lanonimo artigiano toscano che ha determinato la fortuna di questi amanuensi stato, nella battaglia per assicurare al linguag-

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gio dItalia una tradizione di lingua letteraria volgare, il milite ignoto dimenticato ma vittorioso. Tutto questo fu reso possibile dal miracolo fiorentino che riproduce a 1600 anni di distanza quello romano del IV secolo a. C., e quello contemporaneo, di Venezia ( 178) che, su una tradizione linguistica declinante, prossima al soffocamento, fece opera di ricostruzione e riusc a imporla, a riespanderla, e a riimporla, non importa se internazionalmente, nazionalmente, o interregionalmente. A monte degli interessi e entusiasmi individuali si era compiuta infatti unopera di rigenerazione politica per cui una citt appartata isolata arretrata pot, in pochi decenni, arrivare a essere lodata da Brunetto Latini (12201294) per il grande onore e la ricca potenza: e si assicur, con la vittoria di Campaldini (1289), il primato anche politico in Toscana. Lappoggio politico che era stato determinante per il prestigio culturale a Palermo, si presenta cos, sia pure in misura meno vistosa, come determinante anche in Toscana, soprattutto per quanto riguarda un suo centro geopolitico realizzato in Firenze. La centralit geografica rispetto al resto dItalia costituisce un elemento favorevole a che questo primato si affermi e poi si consolidi. La minore distanza delle strutture fiorentine rispetto a quelle latine aggiunge un ulteriore vantaggio: la facile introduzione di una massa di parole nuove, rese necessarie dalla fioritura culturale e prese quasi tutte dai testi latini 162. Tradizione dello Stil Nuovo Il prestigio culturale non costituito solo dalla eccellenza poetica ma anche dal peso dottrinale. Guido Giunizelli (1230/40-1276) bolognese, dopo aver perseguito ideali guittoniani, ader ai modelli toscani. Con la canzone Al cor gentile ripara sempre Amore, comincia una tradizione

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di lingua poetica, associata a una visione della vita nuova rispetto alle realizzazioni siciliane, che viene detta del dolce stil nuovo. Legati dal punto di vista del contenuto cos a modelli provenzali come alla filosofia scolastica, come al misticismo umbro, crearono una tradizione linguistica caratterizzata dalla terminologia rigorosa, chiusa in un fondamentale riserbo non incline a quelle aperture che presso Guittone avevano dato la impressione di un certo quale cosmopolitismo. Domina la parola in s la inclinazione alletimologgizzare, i giochi di parole, secondo una tendenza che compare anche nel Convivio di Dante. La loro discendenza tutta toscana. Guido Cavalcanti si distingue per unaggettivazione particolare e ristretta, per una forte propensione alla metafora, per la capacit di affiancare piani stilistici diversi, per la consacrazione letteraria delluso popolare del discorso diretto. 163. Testi dialettali del XIII secolo Per quanto successo avessero teoria e pratica della scuola del Dolce stil nuovo, una tradizione di lingua letteraria doveva, per affermarsi, passare ancora per altre esperienze, e tener conto di due realt: la prima, esterna, che tradizioni dialettali volgari si erano ormai costituite anche se non avevano capacit di irradiare; la seconda, che, per irradiare al di fuori non dico del campanile ma della diocesi o anche della regione, occorreva, oltre alla perfezione dellapparato dottrinale, il prestigio di una personalit poetica. Questa personalit Dante. Le due condizioni preliminari, per avvicinarsi alla stabilizzazione di una lingua letteraria nazionale, stanno nei due problemi. Quale fosse leffettiva consistenza e reciproca divergenza dei dialetti italiani, e quale fosse la presa di posizione di Dante nei loro confronti. Il quadro, sia pure non completo, nel quale doveva prendere posizione Dante , co-

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me risulta dalla tabella riassuntiva di G. Vidossi416 , il seguente, al di fuori dei testi che sono stati gi sopra presi in considerazione. Per il ligure il contrasto bilingue di Rambaldo di Vaqueiras; per il lombardo, Girardo Pateg, Ugo da Persico di Cremona, Uguccione da Lodi, Pietro da Barsegap; per lemiliano, la regola e la lauda dei servi della Vergine, la serventese dei Lambertazzi e Geremei. Per i testi toscani, fondamentale il testo senese del Libro di Mattasal di Spinello; per lUmbria, le formule volgari dellarte notaria di Rainerio di Perugia; per larea marchigiana, la carta di Fabriano, quella picena, e la canzone del Castra; per il romanesco, il Liber Ystoriarum Romanorum e Le miracole de Roma; per larea campana, linventario di Fondi, il Lamento della Vergine, gli statuti dei Disciplinati di Maddaloni, il libro di Cato; per larea calabrese, la carta di Rossano; per la Sicilia, linsieme dei poeti siciliani; per la Sardegna, la ricca messe dei documenti giuridici detti Condaghi. 164. Classificazioni di Dante Per comune ammissione, spetta a Dante il titolo di padre della lingua italiana. Prima di delineare il nocciolo di quella tradizione linguistica che da lui discende, occorre rendersi conto, non tanto della elaborazione finale di una sua teoria relativa al volgare illustre, quanto della psicologia con cui egli prese di fronte il problema. A questo fine occorre rifarsi a una delle prime affermazioni del De vulgari eloquentia, in cui afferma decisamente il maggior pregio del volgare in quanto rispecchia la natura, mentre il latino artificio. Analogamente giustifica nel Convivio417 limpiego del volgare per interna coe416 417

Origini, cit., pp. LIII-LVII. Migliorini, Storia della lingua italiana, cit., p. 184.

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renza di commento a canzoni in volgare; per pronta liberalitade nei riguardi di un pubblico pi largo; infine (importantissimo) per lo naturale amore de la propria loquela. Questo amore si tradurr nella ricerca di un ideale, che non abbia dei volgari esistenti n la volgarit n il folle divergere, e ricerchi invece una certa quale distinzione e raffinatezza, e insieme una unit sopramunicipale. Le variet dialettali italiane appaiono agli occhi di Dante418 come a un osservatore che, posto al centro della cerchia alpina, immaginasse di avere davanti agli occhi la penisola italiana, proiettata fra i due mari, il Tirreno e lAdriatico, e solcata dalla catena dellAppennino. Dante individua quattordici variet dialettali, di cui sette collocate sul versante occidentale (o destro) degli Appennini e sette sul versante orientale (o sinistro). I criteri che usa per valutarli non sono per n oggettivi n funzionali, ma dominati da sue reazioni estetiche, talvolta da risentimenti personali. Gli esempi pi caratteristici sono quelli del duro giudizio sul romanesco che il pi brutto dei volgari e quello sul sardo, che somiglia tanto al latino da far ritenere i sardi incapaci di aver creato un dialetto loro, ridotti per questa incapacit a imitare il latino quasi fossero non uomini ma scimmie; o quello sul genovese, cos ricco di sibilanti sonore (z) che, eliminando questo suono i genovesi sarebbero costretti ad ammutolire oppure a cercarsi unaltra lingua. Ci nonostante Dante offre testimonianze dirette di caratteri dialettali importanti: tali nellarea milanese-bergamasca la forma occhiover (leggi ociover), che documenta la caduta delle vocali finali propria dei dialetti gallo-italici, e la avvenuta palatalizzazione del gruppo CTO in CIO; oppure lesempio apulo volzera che chiangesse vorrei che piangesse,
418 De vulgari eloquentia, I, X-XV, ed. Marigo, Firenze 1957, pp. 80-129.

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che documenta sia il passaggio di PLA in, CHIA, sia il condizionale tratto da una forma di un piuccheperfetto, VOLSERAM, sostituitosi al classico volueram. 165. Il bolognese come dialetto sopra-municipale Dopo avere scartato tutti i dialetti italiani, ivi compresi il fiorentino e gli altri toscani, Dante, sia pure in forma prudente e contorta, giunge, per via di esclusione, a indulgere nei riguardi del bolognese. interessante la motivazione. Egli ritiene che il bolognese abbia preso dallimolese una certa quale levit e mollezza (lenitatem atque mollitiem) mentre dal ferrarese e modenese avrebbe preso una certa quale gutturalit (garrulitatem). Il bolognese non viene cio preferito per una virt obiettiva, ma perch, avendo accolto elementi di diversa natura e provenienza, si sottrae automaticamente al principale difetto di un volgare illustre, quello di essere legato a una singola tradizione municipale. questo un passaggio obbligato perch Dante possa, dalla esposizione delle sue spontanee reazioni, arrivare a una ben motivata teoria: il superamento dei campanilismi secondo Dante condizione essenziale per arrivare alla stabilit419 .
419

Migliorini, op. cit., p. 185.

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Capitolo trentaquattresimo Dante e Petrarca

166. Dante teorico Agli occhi di Dante, il volgare illustre si associa ad alcuni generi letterari, non a tutti, e precisamente solo alla canzone e alla tragedia. Gli sottost un volgare mezzano, corrispondente alla ballata e alla commedia. A un livello ancora inferiore sta il volgare umile, quello della elegia. Lideale di selezione e di unit si manifesta nei particolari, in quanto Dante dice in fatto di costruzione e di vocabolario. La sua ispirazione non lontana da quella ciceroniana, volta a eliminare scorie locali (per Cicerone arcaismi e rusticismi), per accogliere a ragion veduta un minimo di elementi non locali (per Cicerone un moderato grecismo), per stendere il tutto secondo un minimo di artificio (per Cicerone il ritmo del periodo). Gli attributi che Dante assegna a questo volgare (oltre illustre, che vuol dire fulgido) sono tre: cardinale, perch cardine, intorno al quale ruotano tutte le altre istituzioni linguistiche, dialettali o no; curiale, secondo me in quanto degno della corte e cio non chiuso alla partecipazione dei gregari; infine aulico (degno della reggia) e cio corrispondente a desideri gusti e ispirazioni discendenti dallalto420 . Questo sistema elaborato da Dante non una realt ma solo un ideale. Per di pi, non nemmeno un ideale che, come poeta, Dante abbia cercato di realizzare. Teoricamente, la Divina Comedia avrebbe dovuto essere scritta secondo lo stile mezzano in quanto comedia. In realt essa scritta in tutti gli stili pensabili. DallIn420

De vulgari eloquentia, I, XVII.

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ferno al Paradiso, anche allinterno delle singole Cantiche, le situazioni espressive sono talmente varie, oso dire prepotenti, che nessuna casistica stilistica riesce ad adeguarsi ad esse meccanicamente. 167. Dante arricchitore Anche se inorganica nel procedimento, lopera dantesca ha avuto conseguenze e risultati immensi. In fatto di lessico essa rappresenta un arricchimento poderoso. La tradizione volgare, dopo lesperienza di Dante, annulla di colpo tutte le inferiorit che trascinava con s da sette secoli di povert, sottosviluppo, limitatezza parrocchiale. Questo arricchimento non ha nulla del procedimento tecnico che crea o introduce parole come etichette. Il vocabolario trasmesso dalla Divina Comedia atto a qualsiasi argomento, poetico e prosastico, lirico e filosofico, perch il crogiolo non ha agito in connessione con il mondo ben delimitato delle opere specializzate, ma nellambito della universalit degli interessi e degli affetti della Divina Comedia. Ma naturalmente non siamo in grado di indagare quali, fra queste innovazioni lessicali, sono state introdotte da Dante per primo, e quali hanno ricevuto da lui la consacrazione e lalone della letterariet421 . Larricchimento non consiste soltanto nel sodisfare sfumature semantiche sempre pi differenziate e sottili, ma anche nella possibilit di evocare sia imagini nuove sia nuovi affetti o toni. Tali, nel discorso dellimperatore Giustiniano, nel VI canto del Paradiso, formule come dal cirro negletto fu nomato... la morte prese subitana ed atra... nel commensurar di vostri gaggi; oppure, sulla bocca di Beatrice, il (pre)potente latinismo cive per cit421

Migliorini, op. cit., pp. 190 sgg.

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tadino; o inversamente parole che sono in realt citazioni da testi augusti, come agricola, che risale alla parabola evangelica del vignaiolo, o conservo che risale allApocalisse. Un caso particolare di arricchimento dato dalle varianti che oppongono forme pi antiche a meno antiche, forme considerate di alto livello di fronte ad altre popolari, e naturalmente dettate da ragioni non esclusivamente espressive, talvolta da necessit ritmiche. Varianti fonetiche sono padre accanto a patre, madre di fronte a matre, oppure il normale speglio di fronte al latineggiante speculo. Varianti di derivazione sono rege di fronte a re; imagine di fronte a imago, spene, speme di fronte a speranza. Varianti morfologiche garantite dalla rima sono diceva con Eva, dicea con Citera. Varianti nel passato-remoto sono fenno feron fero di fronte a fecero; tacette di fronte a tacque. Variante nel condizionale il sicilianismo vorra di fronte al normale vorrei. Infine ci sono processi di derivazione che si valgono di modelli latini, senza essere latinismi: adimare, appulcrare, ingigliare, inurbarsi, sgannare. 168. Dante fiorentino Se ora si cerca di valutare quantitativamente le aperture che Dante ha realizzato per uscire dal municipalismo fiorentino, ecco i risultati a cui si perviene, da quando N. Zingarelli422 ha analizzato concretamente il patrimonio lessicale della Divina Comedia. I latinismi, nel senso rigoroso del termine, si avvicinano ai cinquecento, per esempio appropinquare, cernere, digesto, igne. I gallicismi sono alcune decine, ma i pi non hanno avuto seguito: di fronte a masnada, acquisita definitivamente, miraglio
422

Studi di filologia romanza I, 1884, pp. 1 sgg.

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miracolo, vengiare vendicare, giuggiare giudicare non hanno avuto fortuna. Ci sono alcuni settentrionalismi come brolo orto, burlare cadere. Un esempio di forma meridionale sorpriso. II vocabolario della Divina Comedia nel suo insieme dunque ricco, aperto, ma non sensibilmente intaccato da unit lessicali estranee, Dante ha usato un lessico sostanzialmente omogeneo, non si sforzato di fare una sintesi lessicale, come quella che la sua teoria esigeva. Dante ha nobilitato il fiorentino senza costruire una sovrastruttura. Ma se, dal punto di vista delle aperture sopradialettali, Dante non stato chiuso nei limiti della sua dottrina, e si mosso con una certa libert, senza tuttavia smentirsi, dal punto di vista interno la smentita stata invece cocente. Non solo non tenta di stabilire un canone costante al livello illustre e nemmeno a quello mezzano; arriva addirittura a inserire nella Divina Comedia forme che nel De vulgari eloquentia aveva fatto oggetto di sdegnato rimprovero, cos a fiorentini come a pisani. Tale il caso di manichiamo mangiamo rimproverato a suo luogo423 , che compare nel XXXII canto dellInferno (v. 60), tale la desinenza del passato remoto terminonno terminarono, che compare nientemeno che nel XXVIII canto del Paradiso (v. 105), quando nel De vulgari eloquentia aveva disdegnato la stessa desinenza nellesempio pisano di andonno. In quanto grammatico, Dante ha elaborato una teoria, in quanto poeta, non si sentito, per tradurla in realt, di mortificare i suoi slanci espressivi. La tradizione unitaria di una lingua letteraria italiana non ha alle sue origini quella specie di esperanto che il De vulgari eloquentia postulava. Essa si presenta per la prima volta a noi non gi come frutto di difficili calcoli, ma come una montagna eccelsa che la natura ha foggiato,
423

De vulgari eloquentia, I, XIII, 2.

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un uomo in preda a un abbandono estatico ha attuato, e i posteri hanno accettato, ammirando. 169. Il Petrarca e la selezione Se Dante si impone per la universalit e ricchezza, che da lui derivata alla giovane tradizione di una lingua letteraria italiana, non che egli sia rimasto del tutto sordo allaltra esigenza, fondamentale per qualsiasi strato linguistico elevato, quella della selezione. Come dice B. Migliorini424 , Dante non insiste tanto sulle regole, quanto sul discernimento (latinamente discretio). A questa nozione fondamentale, aveva dato importanza nellantichit lo stesso Cicerone mentre nel Cinquecento le succeder quella di gusto. Ma la selezione, presso Dante, si mantiene in misura modesta, si limita ad accenni: Dante evita ad esempio di impiegare nellalta lirica parole puerili come ad esempio mamma babbo, o selvatiche come cetra greggio, o lubriche come femmina corpo. Lattenzione organica per la selezione di parole (e di costrutti) viene invece impersonata da Francesco Petrarca (1303-1374). Essa integra lopera di Dante e le assicura il prestigio necessario perch i suoi modelli, ricchi ma inorganici, si trasformino in elementi di una tradizione autorevole e consapevole. Questo non esclude che, sotto altri aspetti, il Petrarca sia in realt meno moderno di Dante, per esempio nei riguardi del latino. Di questo, a differenza di Dante, riconosce la maggior dignit; di questo si serve, a preferenza, in postille personali come hic placet nella canzone CCLXVIII v. 56. A differenza di Dante, che si immedesimava col volgare fiorentino come per istinto, il Petrarca, in tutti i caratteri formali, negli schemi ritmici, nelle scelte lessicali, opera sempre
424

Migliorini, op. cit., p. 183.

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a ragion veduta, continuando la tradizione degli stilnovisti, superandola, talvolta rifacendosi a modelli siciliani. Lo studio delle varianti permette di dare alla lingua individuale del Petrarca le linee di uno svolgimento, che interessano tutte quante le strutture della giovane tradizione, in via di costituirsi. Tale la tendenza a passare dallallineamento paratattico a quello pi elaborato e complesso ipotattico come nella canzone CXCVI, che mostra una prima redazione va mormorando E per la fronte viemme e in una successiva mormorando a ferir nel volto viemme. Nel campo lessicale mirare, che prende il posto di vedere, fa parte di uno sforzo di selezione per raggiungere un miglior livello. Allo stesso fine, si sforza di evitare ripetizioni anche a costo di sostituire (banalmente) dir cose a parlare, o aura celeste sostituito a aura amorosa425 ; o, a scopo di intensificazione metaforica, sostituisce di sua ombra uscan a fra i rami usca. II significato esatto della parte avuta dal Petrarca nellassetto della tradizione di lingua letteraria stato precoce. Ugo Foscolo426 ha distinto nella elaborazione petrarchesca tre passaggi, da una libera abbandonata comunicazione in una cerchia ristretta, a una prima elaborazione latina, a un perfezionamento finale con pi arte nella forma italiana. Soprattutto, di fronte a Dante che crea sovente una lingua nuova, il Petrarca sa, secondo il Foscolo scegliere... le pi eleganti parole e frasi. Secondo F. De Sanctis fu atto come nessun altro a raggentilire una lingua e una poesia.
425 Contini, Saggio di un commento alle correzioni del Petrarca volgare, Firenze 1943, p. 25. 426 Opere edite e postume, Firenze 1859, p. 41.

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170. Avviamento alla tradizione prosastica volgare Sembrerebbe che, prima della poesia, la prosa, per la maggior naturalezza e frequenza delluso, fosse stata in grado di maturare le sue forme volgari. Invece no. Certo, essa ha molte pi occasioni e necessit di essere usata in cerchie vaste. Ma le sue applicazioni volgari trovano di fronte a s lostacolo di una tradizione latina solida, massiccia. Lavvicinamento alla tradizione prosastica volgare avviene da due parti. Il primo filone rappresentato dai volgarizzamenti e cio da traduzioni. Fra queste famosa quella dei Fioretti di S. Francesco427 . Ma tecnicamente pi significative sono quelle che partono da modelli classici, ai quali cercano di mantenersi fedeli, soprattutto per quanto riguarda la struttura complessa del periodo. Tale il Fiore di rettorica del bolognese Fra Guidotto, dedicato a Manfredi, che fu re dal 1245 al 1266. Esso comincia con una concatenazione di proposizioni relative, raggruppate in un rapporto superiore di correlazione: nel tempo che segnoreggiava... Giulio Cesare il quale fu il primo imperatore di Roma, de cui Lucano e Salusto... dissero...; in quel tempo fue un... uomo, il quale era fatto abitante della nobile citt di Roma et avea nome... Cicerone; il quale fu maestro e trovatore de la grande scienza di Retorica. Laltro filone prescinde completamente dai modelli classici e muove sia dal parlato sia dalla elementarit degli schemi sintattici del Vangelo. Il Novellino428 contiene un passo come il seguente Marco Lombardo... fue molto savio. Fue a u Natale a una citt dove si donavano molte robe. Non ebbe neuna. Trov un altro di corte
427 Devoto, Profilo di storia linguistica italiana, 4 ed., Firenze 1964, p. 52. 428 Op. cit., p. 63.

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il quale era nesciente persona appo Marco. E avea avuto robe. Analogamente un testo di maggior livello come la Retorica di Brunetto Latini: Mercatanti fiorentini passavano in nave per andare oltremare. Sorvenne loro crudel fortuna... Alla fine arrivaro ad uno porto nel quale era adorato Malcometto ed era tenuto deo. Questi mercatanti lo adoraro come idio. Il rapporto fra i due filoni non deve essere visto come quello fra realizzazioni intellettuali complesse e realizzazioni istintive elementari. Come ebbe a dire il Latini (Tesoro VIII.9) a proposito di unaltra forma darte come la pittura si raccomanda di evitare il troppo dipignere ch alcune fiata colore lo schifare dei colori. Mentre i due filoni sono destinati a convergere, con maggiore o minore rapidit, le posizioni rispettive di Dante e del Petrarca finiscono per appartenere al passato, si riducono a punti di riferimento, o, se vogliamo, relitti sia quella di Dante, non incline a contrapporre autori latini e volgari, pieno di fiducia nel volgare, nella agevolezza delle sue sillabe, le proprietadi delle sue costruzioni, e le soavi operazioni che di lui si fanno429 , mentre quella del Petrarca valuta a pieno la differenza che divide i due mondi linguistici. Ma nonostante queste differenze il linguaggio dItalia ha compiuto, grazie a questi due grandi nomi, una esperienza e una svolta decisive.
429

Convivio, IX, 13.

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Capitolo trentacinquesimo Dal fiorentino al toscano

171. Il Boccaccio Queste esercitazioni e queste innovazioni avrebbero dato vita a una tradizione unitaria meno sicura o infinitamente pi lenta, se non le avesse assimilate coltivate e sottomesse alla sua capacit realizzatrice e rese viventi Giovanni Boccaccio (1313-1375)430 . Grazie alla sua capacit, quelli che erano semplici spunti destinati a maturare a poco a poco, si trasformarono in modelli esemplari. Costrutti concorrenti corme quello del che col verbo finito o quello corrispondente allaccusativo con linfinito del latino, sono adoperati a ragion veduta, appaiono come risultati di una scelta coerente; cos la preferenza, data volta a volta agli attributi preposti, secondo i modelli latini, o a quelli posposti, secondo il gusto del parlato volgare. Nel Filocolo si ha ancora una prevalenza di elementi classicheggianti in aggiunta a quelli appena citati: verbi in posizione finale, participi presenti ancora abbondanti, inversione nella posizione del verbo ausiliare. Dalla Vita di Dante al Decamerone i modelli contrapposti non sono pi impiegati con rigide preferenze, ma entrambi disponibili, facoltativi, armonizzati: per dirla con A. Schiaffini431 il momento formale si trasforma, liberandosi, in armonia, proporzione, musica. Per la importanza completezza grandiosit dei traguardi raggiunti, il Boccaccio si allinea con Dante e col Petrarca, dando alla prosa italiana un capostipite non in430 Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze 1960, pp. 207 sgg. 431 Tradizione e poesia, cit., p. 187.

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feriore alla Divina Comedia. Tuttavia, alla importanza intrinseca del modello non si accompagna limportanza storica adeguata, che esige una successiva e mai interrotta continuit. Questa si manifester solo pi tardi, dopo che le istituzioni linguistiche italiane avranno superato la prova della reazione umanistica. 172. Assestamento morfologico Lassetto raggiunto mostra a questo punto il suo travaglio, attraverso numerosi fatti morfologici. Forme fiorentine che si impongono nel resto della Toscana sono ogni che si afferma contro ogne; mila contro milia. Nelle forme del verbo si generalizza la prima persona plurale in -iamo, ai verbi di tutte le coniugazioni, amiamo temiamo sentiamo, contro le forme in -amo -emo -imo, che persistono a Pisa Lucca Arezzo. Le forme sar sarai sostituiscono quelle regolari SERO SERAI, evidentemente perch la sostituzione di -er a -ar era una caratteristica della sillaba interna. Nellarticolo, le forme il el ci rimangono oscillanti, mentre, dopo consonante, regolare lo, conservato fino ai nostri, giorni nella locuzione per LO pi. Il superlativo in -issimo un arricchimento recente. Ma anche impiegato in modo pi ampio che ai nostri giorni, anche come superlativo relativo: tale lesempio soavissima di tutte laltre scienze la pi soave di tutte le altre scienze. Nel verbo, pi libero limpiego del trapassato remoto, che non soltanto un tempo relativo, come avviene oggi: ebber veduto Andruccio = videro432 . Il verbo impersonale comporta un soggetto, egli, el: p. es. el mi restava molte cose a dire, di fronte al nostro uso personalizzato mi restavano molte cose da dire. Participi passati senza suffisso vengono estratti da quelli segna432

Migliorini, op. cit., p. 229.

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lati normalmente, quasi per sottolinearne laspetto non pi verbale: cerco da cercato, tocco da toccato, guasto da guastato. Participi e gerundi sono di largo impiego e costituiscono un caso particolare della generale tendenza a far prevalere le strutture ipotattiche su quelle paratattiche. Importanti sono infine gli impieghi delle preposizioni: tali limpiego partitivo di DI p. es. vi ha DI valenti medici vi sono valenti medici, di DI appositivo il cattivello di Calandrino Calandrino, cattivello, oggi ancora nelle formule la citt di Firenze; di A come segnale di rapporto di agente si lasci vincere A sua femina=DA sua femina; oppure segnale di rapporto di oggetto, caratteristica meridionale p. es. Mandir AD Eneas a lu infernu433 . 173. Arricchimento lessicale Di fronte allimpronta di uomini che sono stati capostipiti, ecco le conquiste anonime, diciamo delle masse. Si tratta dellarricchimento soprattutto lessicale, che comporta vari- problemi di ordine anche fonetico e morfologico. I latinismi accolti in questo periodo sono decine e decine434 . Il primo carattere di questo periodo la sua vocazione sperimentale. Una parola odierna unitaria come sorella, trova nel Trecento sperimentate le varianti suora suore suoro sorore (latinismi evidenti), e poi serocchia sirocchia sorocchia; lodierna lepre ha avuto allora le forme parallele levre, lievre, livore; lodierno sorcio aveva sorice, sorico, sorco, sorgo. Anche negli aggettivi derivati si sperimentava: il nostro unitario poetico aveva allora forme parallele in poetvole poetesco poetale. Meno significativi erano naturalmente i casi, in cui le varian433 434

Migliorini, op. cit., p. 231. Migliorini, op. cit., pp. 233-238.

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ti erano dovute a esigenze metriche, per esempio quando lepore marina o madre vetula erano imposte dalla necessit di parole trisillabiche. Un fattore importante di arricchimento erano i termini tecnici, che dovevano riempire i vuoti lasciati dallabbandono della terminologia latina. Per esempio nascono, a proposito della pittura, i termini di acquerella (poi acquerello), a fresco poi affresco, sfumare. Ma il prestigio della tradizione latina tale che, nellambito delle parole italiane, si sostituiscono con forme pi aderenti al latino, altre, in s latine, ma alterate troppo, nel corso della loro tradizione ininterrotta: esercito soppianta oste, orazione diceria, repubblica comune. Nei limiti pi strettamente formali pittore prende il posto di dipintore, cigno di cecero, decimo di decimo, ferire di fedire, onorevole di orrevole, sinistro di sinestro, Sicilia di Cicilia. Sono attestate anche esagerazioni come quella del Boccaccio, che dice preera alla provincia, rimanendo aderente alla formola praeerat provinciae. Sperimentali, incerti furono anche i risultati dal punto di vista della morfologia, quando il modello, invece di essere quello tradizionale dellaccusativo latino, fu il nominativo donde da Venus si ebbe Veno oltre Venus Venusso, e cos aspe invece di aspide, ospe invece di ospite, satelle invece di satellite. 174. 2 sistema fonologico italiano Le conseguenze di queste immissioni massicce si ripercuotono sul sistema fonematico italiano di base fiorentina: le strutture consolidate nei secoli IX-XII (v. 150) non bastano pi. Di questo rimangono ben fermi solo due caratteri entrambi negativi: la esclusione delle consonanti in posizione finale; la esclusione della -U non accentata in posizione finale. In contrasto invece col sistema precedente si impongono cinque importanti novit: la accettazione indiscriminata di parole sdrucciole e cio

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dei tipi solido in confronto dei tipi soldo, i soli ammessi nel precedente sistema; la accettazione dei gruppi di consonante + L, che prima venivano invece inesorabilmente palatalizzati in consonante + J p. es. il tipo plebe che si affianca al tipo pieve, il solo ammesso nel sistema precedente; la fusione della pronuncia toscana della affricata di aceto, dieci, da originario latino K, con la spirante di bacio brucia, da un antecedente SJ; la persistenza della B intervocalica, che, nelle parole di tradizione ininterrotta, era soggetta invece alla lenizione in v, come nel caso appena citato di pleVe di fronte a pieve; infine la arbitrariet della apertura delle vocali E e O nelle parole, introdotte dal latino o da altre lingue. La pronuncia aperta di bello, collo dovuta a ragioni storiche, radicate nel latino, integrate nel primo sistema fonologico italiano, e come tali accettate nel secondo. Ma la pronuncia aperta di problma una scelta casuale, introdotta insieme con la parola, priva di giustificazioni storiche (cfr. 239). Essa vale come modello di pronuncia normale italiana non per ragioni storiche, ma come atto di forza del modello fiorentino, non contestato dagli italiani delle altre regioni. Allo stesso modo le parole latine iustitia vitium sono state accolte come giustizia vizio, perch nessuno poteva pi ricordare che nel latino volgare quelle I erano I aperte, e quindi destinate a sfociare nel suffisso italiano -ezza, o nella parola italiana vezzo. La indipendenza del secondo sistema fonologico italiano rispetto al primo stata determinata dalla fiumana di parole latine di tradizione interrotta che, per essere accolta, HA IMPOSTO ritocchi vistosi alle strutture italiane, quali si erano assestate fra i secoli IX e XII. Sul piano della morfologia, la situazione meno eterogenea e quindi ormai pi italiana che fiorentina. Il solo punto delicato quello delle forme del condizionale, che si sono affermate nella loro struttura pi recente, risultante dalla perifrasi di infinito + perfetto: AMA-

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RE (HABU)I, che d amerei. Apporti di natura culturale arricchiscono, e nel tempo stesso disturbano il sistema, cos nellaccettare, nei testi letterari, condizionali di forma diversa come nella incertezza dei plurali dei temi terminanti in consonante gutturale, se debbono palatalizzare questultima davanti alla desinenza -I oppure, presi nel paradigma, resistere per analogia col singolare: tali i casi di manico, stomaco, cui corrispondono plurali fonetici inanici !stornaci e plurali analogici manici stomaci435 . Analogamente nei dialetti le dissimmetrie di cavagli e cavai, plurali di cavallo, di rai plurale di raggio436 . Una seconda differenza separa il primo dal secondo sistema fonologico italiano: essa riguarda lambito. Il primo ancorato rigorosamente allarea fiorentina. Il secondo sistema fonologico, a differenza del primo, si impone in un tempo in cui il particolarismo dei comuni toscani ha fatto il suo tempo. Se non sopprime i caratteri particolari dei singoli parlari crea una opinione pubblica favorevole a una interpretazione pi larga. 175. Principio di una tradizione Caterina da Siena (1347-1380), scrittrice senese, mostra s caratteri dialettali senesi, ma fortemente attenuati. Dal punto di vista fonetico sono senesismi oncenso, merollo midollo, gignare giungere, pgnare pungere, pgnare (di)pingere; ma lingua e famiglia hanno gi forma fiorentina. Dal punto di vista lessicale si ha ancora aciare alitare, ascaro dolore, mammolo bimbo, papero lucignolo, salavo sudicio.
435 436

Migliorini, op. cit., p. 161. Migliorini, op. cit., p. 225.

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Benvenuto da Imola nel suo commento a Dante437 afferma s che non c volgare pulcrius aut proprius, pi bello e appropriato, del fiorentino, ma aggiunge che parlano in modo pi bello ed elegante pulcrius et ornatius quelli che sono usciti dai confini municipali che non gli altri. Francesco da Barberino dice E parlerai sol nel volgar toscano. Antonio da Tempo, padovano, lingua tusca magis apta est ad literam vel literaturam438 . Queste definizioni fissano un altro aspetto della lingua letteraria italiana, sociale e non soltanto geografico. Legandola strettamente alle manifestazioni di ordine letterario, esse sanciscono anche una differenza fondamentale, che d una impronta incancellabile alla tradizione letteraria del linguaggio dItalia. Esso riceve stabilit precoce, proprio perch si indirizza a una cerchia chiusa come quella degli uomini di lettere. A differenza del francese e dellinglese, che si affermano perch solidamente ancorati alla lingua delluso delle cancellerie regie; a differenza del tedesco che, fissato sulla base della traduzione dalla Bibbia di Martin Lutero, penetrato nella coscienza belle masse frequentanti chiese, la tradizione italiana nasce, e per secoli rimarr, come lingua di una minoranza, oligarchica ( 246).
437 438

Migliorini, op. cit., p. 214. Devoto, Profilo di storia linguistica italiana, cit., p. 51.

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Capitolo trentaseiesimo Esaurimento della tradizione letteraria dialettale

176. Persistenza di testi dialettali nel settentrione Quanto si fosse ancora lontani da queste affermazioni fuori della Toscana, lo mostrano invece le testimonianze seguenti. In Sardegna gli Statuti della repubblica sassarese (1316) mostrano tuttora caratteri sardi sabenti, come il futuro perifrastico ael mitter metter o la preposizione articolata dessa della: si alcunu iniuriosamente aet mitter manu contra alcuna dessa famia dessa potestate...439 . NellItalia settentrionale, il mantovano Vivaldo Belcalzr tradusse (prima del 1309) il libro de proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico. Per esempio Talpa la topina fata a similituden de soreg et ega e senza ocl, e ha un musl a mod de porl...440 . La caduta delle vocali finali diverse da A, la assibilazione delle consonanti palatali (ega, porl), la lenizione delle consonanti intervocaliche (ega), la soluzione veneto-emiliana di CT in T (fata), sono impronte settentrionali. Esse mostrano la persistenza di strutture soltanto dialettali, fra le quali solo linserimento di una unit lessicale sopraregionale come similituden apre uno spiraglio, per guardare verso gli svolgimenti futuri. 177. Persistenza di testi dialettali nel meridione A Roma, il dialetto molto meridionale, che, nel secolo precedente, era apparso nelle Storie di Troja et de Ro439 Migliorini-Folena, Testi non toscani del Trecento, Modena 1952, p. 9. 440 Migliorini-Folena, op. cit., p. 6.

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ma (1252-1258) come volgarizzamento di un testo latino, persiste nel secolo XIV con la Vita de Cola de Rienzo (1313/4-1354) con i suoi tre fondamentali caratteri meridionali: la metafonesi esterna di dienti (plur. contro il singolare dente; la prevalenza di V su B in forme come vagno varva bagno barba; la palatalizzazione spinta del gruppo PJ in via Acia per Appia. A Napoli, nonostante i legami che il Boccaccio aveva potuto stabilire con la tradizione toscana, si ha ancora nel XIV secolo, il poemetto I bagni di Pozzuoli, in cui la dittongazione in sillaba chiusa appare con tutta la sua forma caratterizzante ad esempio nel passo che una cosa facza multi effiecte nuy lo vedemmo per li sol proffiecte, mentre, dal punto di vista lessicale, la portata dei latinismi molto maggiore di quella dei toscanismi nella necessaria opera di arricchimento lessicale. In Sicilia la tradizione locale non solo ancora costante nel XIV secolo ma, secondo S. Debenedetti441 mostra la fissit la stabilit e quasi... la unit propria delle lingue letterarie, ad esempio nel Libru de lu dialogu de Santu Gregoriu della prima met del XIV secolo. Un esempio di lingua della poesia tratto dalla Profeta o Lamentu di parte siciliana O fortuna fallenti, pirk non s tuttuna? con le vistose I al posto delle normali E toscane. 178. Miracolo a Venezia Fra la costruttivit toscana, prossima a un assetto definitivo e il persistere dei dialetti, cos al settentrione come nel meridione, larea veneziana, e pi esattamente quella dellestuario veneto, si inserisce con la sua natura intermedia. Da una parte stnno gli indizi di una soggezione a correnti finitime pi o meno intense, ancora durante il
441

Studi romanzi, 22, 1932, p. 12.

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secolo XIV; dallaltra gli indizi di una ripresa, destinata ad avere conseguenze non soltanto strutturali ma anche sociogeografiche ( 187). Alla prima categoria di fatti si riferisce la pressione gallo-italica sulla intera Venezia euganea, che ha potuto s salvare la sua autonomia miracolosamente come stato detto ai 121, 125, 126, ma ha dovuto pagare un forte prezzo accogliendo, persino nel cuore di Venezia, le energiche lenizioni di consonanti intervocaliche e numerose cadute di vocali finali, e solo salvandosi, insieme col Friuli, dalla introduzione di vocali miste o e dalla palatalizzazione di CT. Accanto a questa azione dal basso, unaltra soggezione proveniente dallalto aveva lasciato le sue tracce nella Venezia del XIV secolo. Si tratta probabilmente di influenze risalenti allazione del patriarcato di Aquileia, passato s a Grado nel 568, ma pur sempre legato al mondo friulano nel quale era stato fondato. Un primo esempio di questa soggezione dato dalla palatalizzazione della gutturale anche davanti ad A, che riconosciuta in Friuli attraverso la accettazione di parole friulane in sloveno a partire dal X secolo, e che appare attraverso la grafia chian cane442 ; o la dichiarazione di Ser Michele Zancani (del 1307) in cui si parla di glesia per chiesa443 ; o la convenzione con Ramadn signore di Crimea, in cui compare ancora la forma intatta sclavo444 , senza contare la forma ladineggiante autro negli a Atti di Lido Maggiore445 . La riscossa avviene non tanto nei riguardi della galloitalicit sistematicamente accettata e non correggibile,
442 Dal trattato De Regimine Rectoris, presso Ascoli Archivio glottologico italiano, 1, 1873, p. 463. 443 Migliorini-Folena, op. cit., p. 9. 444 Op. cit., p. 45. 445 Ascoli, Archivio, cit., p. 471.

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ma invece nella epurazione dai ladinismi per cui cane si dice can e non pi cian (chian). Le circostanze esterne hanno agito subito dopo, modificando completamente larea, in cui i modelli linguistici irradiavano da Venezia. A partire dalla met del XV secolo Venezia diventa capitale dellentroterra veneto, e i modelli linguistici veneziani si presentano in tutti i capoluoghi della regione come forniti di prestigio. Questo non destinato a soggiogare o distruggere ma costituisce come una coltre superiore, che si distende al di sopra, parzialmente uniformando e praticamente facilitando la reciproca comprensione. Lazione metropolitana di Venezia si continua ancora oggi a un secolo e mezzo dalla fine della repubblica veneta; e ancora oggi insidia tutte le aree dialettali, ivi compresa la udinese e la triestina. Ma anche senza proiettarsi ancora in un futuro cos lontano, la tradizione linguistica veneziana guadagna non solo in estensione geografica ma anche in spessore sociale e stabilit; e nel XVI secolo raggiunge il livello di lingua della cancelleria ( 187). 179. Attenuazione nei dialetti I primi focolai di una ricostruzione sopraregionale furono, al di fuori della Toscana, presso le corti e i centri di cultura che si erano andati formando intorno a quelle, a Ferrara Mantova Milano, come a Urbino e a Roma. La base di partenza da cui bisogna partire per intendere la situazione, il dato di fatto che si riferisce alla predicazione di S. Bernardino da Siena (1380-1444). Questi, nei primi decenni del XV secolo, predicava in volgare in

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Toscana, mentre, nellItalia settentrionale, si manteneva aderente, almeno nelle intenzioni, al latino446 . Fra i territori citati sopra, il primo a emergere dal grigiore dialettale quello di Ferrara. Nella seconda met del XV secolo, si legge nella prefazione alla Vita di Filippo Maria Visconti di P. C. Decembrio (1392-1477): non sapera io adriciare la lingua se non al ferrarese idioma, in cui si ha da una parte un condizionale aperto ai modelli siciliani, e cio lontani, e nel tempo stesso un eccesso di zelo nel sostituire a una forma sia pure normale come addrizzare una correzione eccessivamente zelante, con una consonante palatale. Questo non esclude che in altri passi non appaiano resti di dialettismi fortemente palatalizzati o assibilati come in non si metera li piedi in giesa (per chiesa) oppure larco che in cielo zase (per giace). Pi ancora che in testi corrispondenti a ambienti e autori pi coltivati, la azione delle corti e dei centri di cultura si manifesta nel riparare agli inconvenienti della lenizione e assibilazione che si verificano nei dialetti settentrionali e specialmente in Lombardia. L dove in pieno medio evo si diceva crer vova con la totale lenizione di D intervocalica ( 157), ecco che oggi si ritrovano creDer, vDova, ricostituiti attraverso un processo di adeguamento verso i modelli pi conservatori, che discendevano dalle corti. Analogamente da pensare che la tendenza alla assibilazione del tipo ce in e fosse gi avanzato nel medio evo, mentre ancora oggi si dice a Milano cent cinc per cento cinque.
446 Devoto, Profilo di storia linguistica italiana, 4 ed., Firenze 1964, p. 73.

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180. Prime adozioni di lingua letteraria Gli eventi decisivi in questa marcia verso la normalizzazione sono tre. Il primo si compie nel mezzogiorno nel 1476 con la pubblicazione del Novellino di Masuccio Salernitano. Non si pu certo parlare di una lingua perfettamente uniformata nella coesistenza di forme latineggianti e forme analogiche, tra le varianti di debito e dovuto, dubitare e dottare, credette e cred. Ma, dal punto di vista dialettale la svolta compiuta, e, se qualche anomalia resta, questa dipende non gi da concessioni al parlato locale, ma da una persistente propensione a modelli arcaici latineggianti. Nel 1483 si compie un avvenimento parallelo, la pubblicazione delle Porrettane, novelle del bolognese Sabbadino degli Arienti che rappresenta linnesto di una tradizione di bolognese illustre nellalveo della lingua letteraria ormai sopraregionale447 . Ma nel frattempo si era compiuto in Toscana un avvenimento di portata sociolinguistica fondamentale: non gi la pubblicazione di un testo nella lingua normalizzata, a cui la Toscana era arrivata con forze proprie, ma un riconoscimento come luso reso obbligatorio del volgare nei tribunali commerciali (1414)448 . Pi ancora caratteristico a questi fini il Certame coronario, il dibattito cos chiamato da Leon Battista Alberti che, in piena et umanistica (22 settembre 1441), sanc la pari dignit letteraria del volgare rispetto al latino, che pure, attraverso gli umanisti, era venuto in quel tempo alla riscossa.
447

Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze 1960, p. Devoto, Profilo di storia linguistica italiana, cit., p. 71.

276.
448

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Capitolo trentasettesimo Reazioni umanistiche

181. Primi umanisti Il riconoscimento dovuto al Certame coronario era tanto pi sorprendente in quanto il passaggio al secolo XV era coinciso insieme e con gli sforzi per il consolidamento e la unit di una lingua letteraria volgare e nel tempo stesso con un radicale mutamento di gusti, dominati da un ritorno di simpatia verso i modelli non soltanto linguistici della antichit classica. Non che il gusto e la sensibilit per le forme classiche fosse mai venuto meno. Ma se col XIV secolo si era imparato in et postpetrarchesca e postboccacciana a identificare il latino medievale come qualcosa di rozzo, di incapace a raffinarsi, ecco che, di fronte al volgare, non si realizzava un vuoto, ma si profilava la imagine, purificata, di un latino classico emendato, redento. Questombra non fu solo oggetto di contemplazione distaccata: lo fu anche di meditazione, di comparazione. Niente di meno che il Boccaccio fu condotto a dire che il poema dantesco, lungi dal rappresentare gloriosamente lavvento della lingua letteraria volgare, sarebbe riuscito pi artificioso e sublime e cio pi prestigioso, se fosse stato scritto in latino449 . Ancor prima che sul terreno pratico si avesse il riconoscimento giudiziario del 1414, di cui si appena parlato, ecco che comincia una catena di eventi che si identificano con il periodo ben noto dellumanesimo, e che, per quanto riguarda lequilibrio linguistico conducono alla vicenda famosa, quella della reazione linguistica degli umanisti. Il primo evento si era compiuto nel 1396 con
449

Devoto, Profilo di storia linguistica italiana, cit., p. 74.

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linizio a Firenze dellinsegnamento del greco per opera di Michele Crisolora. Coluccio Salutati (1331-1406), per quanto legato alle dottrine medievali dei dictamina, si batte contro il primo ostacolo al ritorno dei modelli classici e cio contro la prosa rimata, e in questo agisce da pioniere, per la rigenerazione di una prosa latina cancelleresca. Leonardo Bruni (1370-1444) usa un latino epistolare meno artificioso di quello del Salutati, e ammette il principio di parole nuove, che devono per armonizzarsi nel sistema come se fossero non trovate, ma svoltesi in te dalle tenebre dellantichit. 182. Il ciceronianismo Gasparino Barzizza (1370?-1431) mir a definire in modo rigoroso e restrittivo il modello latino che si riproponeva agli scrittori. Questo modello doveva essere non tanto genericamente classico, quanto precisamente ciceroniano. Con questa tesi cominci un dibattito disperato, durante il quale la teoria ciceroniana venne formulata e riformulata in modo sempre pi rigido, e le applicazioni risultavano sempre pi difficili, o addirittura irreali. Ma questa posizione era astratta, perch non teneva conto delle affermazioni ormai raggiunte dal volgare, a partire dai traguardi funzionali gi raggiunti col Decamerone. Linsistenza nel volerli ciononostante perseguire giustifica lattributo di reazionario che stato dato al movimento450 . Il ciceronianismo tuttavia si continu attraverso Poggio Bracciolini (1386-1459), che, fissato negli schemi stilistici, pot essere sgrammaticato nei particolari. Lorenzo Valla (1407?-1457), nel quadro del ciceronianismo, diede peso alle disquisizioni intorno alluso di singole particelle latine. E in questa direzione il
450

Op. cit., p. 75.

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filone continu in forma corrente ed estrema sino a Paolo Cortesi (1465-1510). Rispetto a questo filone centrale rappresenta unala convinta Francesco Filelfo (1398-1481), che, quasi ottantenne (1477) ebbe a dire che scriviamo in volgare solo quello che non vogliamo che arrivi sino ai posteri quod nolumus transferre ad posteros. Questo non toglie che altri autori siano immersi in modo cos equilibrato e organico nelle strutture linguistiche latine da potere scrivere con uguale agio in latino e in volgare: tale Agnolo Poliziano (1454-1494), tale Giovanni Pontano (1426-1503). Ma questi erano uomini fuor del comune. Il loro virtuosismo linguistico doveva fare i conti con collettivit ed esigenze, di fronte alle quali gli spiriti eccezionali non avevano una parte decisiva. 183. Confronti fra il latino e il volgare Proprio perch linteresse per il mondo antico rimaneva vivente e profondo, il suo polo dattrazione doveva gravitare piuttosto verso le forme darte cos letteraria come architettonica, che verso le aride strutture linguistiche, poco funzionali in s, poco rispondenti alle esigenze dei tempi, anacronistiche. Alle affermazioni effettive in prosa latina subentrarono perci le disquisizioni dottrinali, i confronti fondati su criter e unit di misura. I principi, sui quali si imperniarono volta a volta le discussioni furono principalmente questi quattro. Si discusse della superiorit delluna o dellaltra lingua, il latino o il volgare, in base allambito e cio allo spazio, nel quale esse potevano essere validamente impiegate. Su questo argomento Gerolamo Muzio (1496-1576)451 , ebbe a dire che litaliano, fuori dItalia, era noto in Francia Spagna, persino in Tur451

Op. cit., p. 77.

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chia, limitandosi il latino a conservare le sue posizioni in Germania e Inghilterra. Un secondo criterio, eminentemente soggettivo, era quello del pregio intrinseco. A questo proposito Leon Battista Alberti (1404-1482) aveva sostenuto che la perfezione di una lingua sta non nella sua materia ma nel suo uso. Largomento era specioso e ancora nel 1524 Vittoria Colonna (1490-1547) osava affermare che il latino era paragonabile a un oggetto doro, mentre un testo in volgare non poteva corrispondere che al rame. Terzo criterio fu quello della autonomia e cio il pregiudizio che litaliano fosse una corruzione del latino. La giusta risposta fu data da Benedetto Varchi, il quale nel 1570 scrisse452 che il volgare una lingua nuova non corruzione ma... generazione. Ultimo criterio quello della regolarit, nel quale il latino ovviamente prevale, perch fermo o dantescamente riferibile a unarte, mentre il volgare mutevole o dantescamente un uso. Ma in questa contrapposizione non si hanno di fronte i pregi della stabilit contro i difetti della mutevolezza, bens quella opposta fra quello che vivente contro quello che non lo pi. La polemica a poco a poco si rallent. Lultima organica difesa del latino fu quella di Uberto Foglietti (ca. 1518-1581), che nel 1574 pubblicava un libro dal titolo De linguae latinae usu et praestantia (Delluso e della superiorit della lingua latina). Nel frattempo, sul piano politico, una novit importante si realizz nel 1561: Emanuele Filiberto, duca di Savoia, adott come lingua degli atti ufficiali, al posto del francese, litaliano453 .
452 453

Percolano, 193 fine. Devoto, Profilo di storia linguistica italiana, cit., p. 87.

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184. Le correzioni del Sannazaro e dellAriosto Il XV secolo, al di l di queste discussioni, portava alla fissazione di una lingua letteraria un contributo di tuttaltra natura, linvenzione della stampa per opera del Gutenberg (1453). Essa portava infatti la possibilit di moltiplicare le copie dei libri e nello stesso tempo, esigeva costanza e coerenza nella ortografia. Da questo punto di vista istruttivo avere un saggio delle correzioni che si introducevano nelle successive edizioni, sotto un unico impulso fondamentale, quello dellunit sia sopraregionale sia grafica. Gli esempi che seguono sono presi dallArcadia di J. Sannazaro (1456-1530), e dallOrlando Furioso di Lodovico Ariosto (1474-1533). Si tratta di due esempi del dilagare dei modelli toscani nel primo caso verso il mezzogiorno, nel secondo verso larea emiliana reggiano-ferrarese. DellArcadia454 del Sannazaro si ha una redazione nel Codice vaticano, cui segue a distanza di circa ventanni ledizione a stampa, detta Summonte, del 1504. Le correzioni pi significanti consistono nel passaggio dalle forme metafonetiche meridionali masc. nuovo contro femm. nova, alle forme costanti novo: nova; da forme dittongate come priego a forme non dittongate prego; dal latineggiante J iniziale per esempio in Julio, alla palatale normale di Giulio; dai tipi non fiorentini onto longo, a quelli fiorentini di unto lungo. Le edizioni dellOrlando Furioso sono tre (1516, 1521, 1532)455 . Le correzioni che appaiono, per quanto di
454 Folena, La crisi linguistica del Quattrocento e la Arcadia di Jacopo Sannazaro, Firenze 1952. 455 Debenedetti, I frammenti autografi dellOrlando Furioso, Torino 1937, Id., Studi romanzi, 20, 1930, pp. 217 sgg.; Debenedetti-Segre, Ludovico Ariosto: LOrlando Furioso, Bologna 1960, pp. 1649 sgg.

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non grande rilievo, attestano tutte una aspirazione alla regolarit: da in laltra, in la terra, si passa a ne laltra ne la terra; invece di el, li come articoli si introduce il i; al posto dei pronomi atoni te, lodo, ti la dono, subentrano le forme moderne inverse ti lodo te la dono. Meno coerenti appaiono le correzioni quando attengono a questioni di pronuncia: nel 1515 si hanno gi le forme corrette con la S palatale toscana scevra sdruscito, ma persistono ancora le forme emiliane con la S normale in settro, trassinare. Dialettalismi sussistono viceversa ancora nelledizione del 1532 con gianda, giotto per ghianda ghiotto. Esempi di correzioni esagerate sono, nel 1521, ciucca per zucca e nel 1532 roverscio per rovescio. 185. Leonardo e Cellini Altre incertezze, che sono altrettante prove di vitalit, pongono gli scritti di altri due autori di questo tempo, diversissimi fra di loro, Leonardo da Vinci (1452-1519) e Benvenuto Cellini (1500-1571). Il primo tocca un vertice di razionalit, mirando a realizzare nel suo Trattato della pittura non tanto un modello di trattato scientifico quanto piuttosto un modello di didattica, dialogata, affabile, vivace, per ci stesso sottoponendo la lingua letteraria a una tensione speciale. Il testo ha forma parlata con aforismi in terza persona, con suggerimenti in seconda: el pittore padrone di tutte le cose... perciocch segli ha desiderio... egli signore, con un andamento che ricorda quello delle lettere esortatrici di S. Caterina da Siena. E con linnesto della seconda persona: a colui che piange saggiunge ancora latto di stracciarsi... non farai il viso di chi piange.... Oppure, decisamente in forma di comando, Farai uomini morti, alcuni ricoperti mezzi dalla polvere ed altri tutti. La polvere... convertirsi in rosso sangue.... Siamo davanti a un condensato di tra-

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dizione linguistica nascente, spontanea, che non ha bisogno di ispirarsi a modelli anteriori, n nel senso della paratassi del Novellino ( 170) n in quello della ipotassi boccacciana456 . Ancor pi estraneo a dottrine grammaticali e stilistiche, il Cellini si impose da prima come campione di una ingenuit scanzonata, non indegna dei trecentisti. In realt la ingenuit, meglio detta la impulsivit, si sdoppia in due diversi atteggiamenti, dei quali luno lo ferma al di qua delle scelte stilistiche ammesse dalla tradizione, mentre laltro lo porta a scavalcare la rigidit delle strutture sintattiche normali, per entrare apertamente nel campo della sgrammaticatura del parlato. Un passo come e quivi gran gentili uomini: ancora ne in Pisa, e ne ho trovato in molti luoghi... mostra semplicit, anzi povert, di strutture, bene al di qua del periodare del tempo. Ma il gerundio impiegato come forma principale del verbo per es. il signore non gli rispondendo a proposito, ma faceva, ecco che va al di l delle strutture ammesse, rafforza s lefficacia espressiva delle sue intuizioni, ma NON coopera al rafforzarsi di una tradizione, alla quale invece interesse di tutti assicurare regolarit e stabilit457 .
456

Devoto, Profilo di storia linguistica italiana, cit., pp. 91 Op. cit., pp. 92 sgg.

sgg.
457

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Capitolo trentottesimo La questione della lingua

186. Machiavelli Colui che conclude vittoriosamente il travagliato processo di formazione di una tradizione di lingua prosastica italiana Nicol Machiavelli (1469-1527)458 . Il cammino percorso in centocinquantanni a partire dal Boccaccio delineato efficacemente dai due giudizi di Leonardo Salviati (1540-1589), che della prosa del Decamerone ebbe a parlare come di un tutto candidezza, tutto fiore, tutto osservanza, tutto splendore, mentre di quella del Machiavelli esalt la chiarezza, lefficacia e la brevit... Nella prima a Cesare, nellultima a Tacito da paragonare. La intrinseca fiorentinit, prima ancor che nei fatti, appare nelle intenzioni. Anche se fu alieno dal teorizzare secondo gli schemi cari anche a Dante, arriv ad associare alla nozione di fiorentino quella di onorabilit linguistica, mentre quanti miravano a modelli italiani erano considerati da lui inonestissirni, e quelli che vagheggiavano modelli toscani erano tollerati come meno inonesti. Il suo vocabolario unitario, anche se un certo numero di latinismi sono presenti: grafici come descendere miraculo populo iusto; lessicali come accidente, allegare, cogitazione; semantici come chiamare per acclamare, impeto per assalto, appetito per tendenza. Compaiono anche dei gallicismi, occasionali o ufficialmente adottati: tali fauta errore, ostello, lingi to458 Chiappelli, Stud sul linguaggio del Machiavelli, 1952; Nuovi stud sul linguaggio del Machiavelli, Firenze 1969.

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vaglia, seggio assedio, villa citt459 . Naturalmente lomogeneit del lessico era possibile solo se si accompagnava alla possibilit di tecnificare eventualmente le parole correnti: tale la sorte di ruinare, che presso il Machiavelli definisce tecnicamente il risultato finale di una politica sbagliata. La struttura del periodo ancora abbastanza complessa, corrisponde a una fase di transizione oggettiva, per la quale, secondo L. Russo460 , si passa dai ragionamenti a piramide propr degli scolastici ai ragionamenti a catena propri dei tempi nuovi, col risultato, bene illustrato da F. Chiappelli, di una coesistenza fra complessit e libert nel periodare461 . La morfologia non n tradizionalista n improvvisatrice, ma risale a quella fonte fiorentina popolare, quale appare nelle Regole della lingua fiorentina attribuite a Lorenzo il Magnifico462 : tale il lui come soggetto singolare maschile, il le come soggetto femminile plurale. Ma la sua conquista maggiore, ai fini del consolidamento della tradizione linguistica in prosa, sta nellunit fondamentale, per la quale, accanto alla sua figura di autore concentrato in una scrittura di alto livello, non sfigura463 colui che per quattordici anni fu segretario della Signoria fiorentina, padrone di una lingua cancelleresca maturata e degna. Il Machiavelli potrebbe considerarsi capostipite della prosa letteraria italiana quanto e pi del Boccaccio, se il bando di cui furono oggetto i suoi scritti non lo avesse chiuso per decenni e decenni in un limbo sterile.
Chiappelli, Nuovi stud, cit., p. 38. Machiavelli, 3 ed., Bari 1949, p. 68. 461 Chiappelli, Nuovi stud, cit., pp. 52 sgg. 462 Devoto, Profilo di storia linguistica italiana, cit., p. 82. 463 Nuovi stud, cit., p. 168.
459 460

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187. Venezia Al processo di maturazione fiorentina e toscana fa riscontro, sia pure a distanza, un processo analogo nelle Venezie, dove le circostanze politiche hanno dato la possibilit al sistema linguistico veneziano di diffondersi progressivamente come superstrato fino alle frontiere alpine e, nelle aree pi vicine, addirittura di confondersi con i parlari originari. La operazione linguistica pi interessante quella che si compie in questo periodo a Padova, attraverso il passaggio dal pavano al padovano, intendendosi per questultimo il veneziano inserito a Padova. Simbolo dellantico pavano , ancora nel XVI secolo, Angelo Beolco detto il Ruzzante (ca. 1502-1542). Su questa base genuina, il Ruzzante opera come autore teatrale per coordinare pi di una tradizione linguistica in una sintesi superiore. Nella sua comedia giovanile La pastorale appare cos il dialetto indigeno di Padova con le sue finali in - invece di -ATO, come in acoleg coricato, amal ammalato; con la forte dittongazione non solo in sillaba aperta come in bruolo orto, ma anche in sillaba chiusa come in govierni governi; con la forte palatalizzazione di L davanti a I in cavigi capelli friegi fratelli. Ma le forme pavane sono inserite in un insieme sociolinguistico, nel quale si contrappongono ad altri livelli sia inferiori sia superiori. Quello inferiore impersonato dal contadino rozzo, che parla il bergamasco; il superstrato veneziano compare in forme come agiuto per aiuto o si scorze per si scorge. Sono presenti latinismi sia lessicali come tuti sicuri, sia grafici come victo stricto464 . Cresciuta in senso geografico, la importanza della nascente tradizione di lingua letteraria veneziana ha una rapida attuazione cancelleresca nelle lettere degli amba464

Vedi Profilo, cit., p. 93.

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sciatori, che provano insieme e la maturit di una classe politica e la adattabilit delle strutture linguistiche veneziane ai nuovi compiti465 . II napoletano Benedetto di Falco vissuto in quel secolo si augura che la signoria di Venezia riformer lidioma italiano componendo una sola lingua comune a tutti... come nera una latina per tutto il mondo466 . Se gli eventi politici connessi con la lega di Cambrai si fossero conclusi in favore di Venezia, questo augurio avrebbe potuto divenire realt secondo lo stesso procedimento che ha imposto cos in Francia come in Inghilterra una lingua di base cancelleresca e non letteraria. 188. Roma Lassestamento romano stato molto pi moderato, e piuttosto passivo che attivo. La novit romana consist nel periodo dei due papi medicei Leone X (1513-1521) e Clemente VII (1523-1534), nel prestigio che assicurarono ai modelli fiorentini, anche linguistici, e nella compattezza del loro seguito che li accompagn da Firenze. Avviene cos che il dialetto romanesco perde nel secolo XVI i suoi caratteri pi vistosamente antifiorentini come la dittongazione in sillaba chiusa ( 176), ma continua a distinguersene come una sua variet non pi cos antitetica come prima. Sul piano psicologico, attraverso la impressione di una pronuncia toscana attenuata, si hanno le condizioni per la nascita del detto Lingua toscana in bocca romana che ha avuto successo fino quasi ai nostri giorni come modello di pronuncia italiana tempe465 Segarizzi, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, 3 voll., Bari 1912-1916. 466 Op. cit., p. 71; cfr. Kristeller, Lorigine e lo sviluppo della prosa volgare italiana, Cultura neolatina 10, 1950, p. 152.

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rata gradevole, anche se oggi superata ( 236). Da questo avvicinamento si ebbe in questo tempo anche un parallelo teorico. Al principio del secolo Angiolo Colocci (1474-1549) aveva elaborato una teoria circa le origini del volgare ricondotto, attraverso la Roma della et imperiale, a quattro matrici, la picena la orca tosca la sabina, una interpretazione sintetica, destinata ad essere ripresa, debitamente trasformata, anche in tempi moderni. Questi mutamenti nel romanesco del Cinquecento, per quanto ricchi di conseguenze, non furono immediati. In una comedia della fine del secolo, le Stravaganze damore, di Cristoforo Castelletti rappresentata nel 1585, il romanesco sopravvive sulla bocca del personaggio pi umile, una certa Perna467 . 189. Teorie del Bembo arrivato cos il momento di rispondere consapevolmente non pi alla domanda se si debba preferire o no il volgare, e nemmeno quale volgare debba essere preferito, ma in qual modo IL volgare debba essere definito. La prima risposta la si trova nelle Regole della volgar lingua di Gian Francesco Fortunio che sono del 1516. Nonostante la loro sostanziale validit esse furono ben presto oscurate dalle Prose della volgar lingua (1525) di Pietro Bembo, che, nella loro forma dialogata, esercitarono subito una influenza profonda. Affermato il volgare, questo deve essere secondo il Bembo, toscano. Non basta: questo toscano deve essere anche arcaico, ispirato ai modelli del Petrarca, del Boccaccio e degli altri trecentisti. Da questi modelli deve essere tenuto staccato Dante, ci che comprensibile se si pensa che Dante, pro467

Merlo, Italia dialettale, 7, 1931, p. 115.

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prio perch ebbe ad arricchire il patrimonio lessicale italiano, non fu in caso nel tempo stesso di selezionarlo ( 109)468 . Affermava poi il Bembo che ogni parola doveva essere proporzionata al tono che la materia esigeva parole gravi a materia grande, parole lievi a materia volgare. Gli attributi che potevano essere assegnati a una parola, se elogiata, erano: pura chiara monda bella grata; se disapprovata: languida densa rinserrata pingue arida morbida. Quanto alla disposizione nella frase e nel periodo, si trattava sempre di mirare a un effetto di gravit o di piacevolezza, con un rigore non diverso da quello a cui ci si sottometteva in poesia. 190. Teorie del Castiglione Di fronte al Bembo, con minore organicit, ma con valide ragioni, si lev invece la tesi cortigiana, impersonata da Baldassarre Castiglione (1478-1529). Nella visione del Castiglione, quale appare nel suo Cortegiano (edizioni successive nel 1508, 1519, 1528), la lingua non che un caso particolare di una visione civica sociale e mondana, che escludeva qualsiasi campanilismo cos geografico come cronologico, anche a costo di dover diventare discriminatoria e classista. La sua differenza dalle posizioni bembiane non di qualit ma di quantit; di fronte alla selezione araldica secondo il Petrarca, egli si discosta meno dallintegralismo pragmatico dantesco. Non quindi possibile illustrare un ragionamento ma solo commentare alcuni esempi delle sue diverse aperture, talvolta non approvabili. Non esatto che forme latineggianti come populo onorevole non toscane siano pi decorative delle toscane corrispondenti popolo orrevole. Viceversa, non si prestano ad obiezioni dal punto di vi468

Profilo, cit., p. 83.

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sta nostro latinismi come abusione, argumento, captino, divorzio di acque, documento per insegnamento, esito per uscita. Toscanismi arcaici accolti sono avvilito ribassato di prezzo, diffidato disperato, manco manchevole. Dialettismi settentrionali sono biastemar bestemmiare, capigliara capigliatura, sentare sedere. Esotismi spinti sono brida briglia, debatto dibattito, visaggi facce469 . Delle posizioni minori sono da ricordare qui quella del Trissino (1478-1550), che non si fissa in Toscana ma mira a un contributo (teorico) dellItalia tutta. Infine la tesi intermedia di Claudio Tolomei (1492-1556) che concentra la sua attenzione in un ideale piuttosto toscano che rigidamente fiorentino. La tesi bembiana ricevette un impulso fondamentale attraverso lopera di Leonardo Salviati (1540-1589), che scrisse nel 1564 una Orazione in lode della fiorentina lingua, e successivamente Degli avvertimenti della lingua sopra l Decamerone470 . Ma soprattutto importante fu lopera del Salviati nel travasare la dottrina fiorentina nellambiente degli accademici della Crusca in modo che la prima edizione del Vocabolario degli accademici della Crusca (Venezia 1612) (v. 196) appare come la applicazione e conseguenza finale della dottrina formulata coerentemente, per la prima volta, da Pietro Bembo 87 anni prima.
469 470

Op. cit., pp. 83 sgg. Migliorini, Storia della lingua italiana, cit., pp. 358 sgg.

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Capitolo trentanovesimo Apogeo e saziet

191. Assestamenti fonetici e grafici La opposizione fra periodi statici e dinamici, quali possono apparire attraverso la differenza fra i primi due sistemi fonologici dellitaliano, trova nel Cinquecento meno occasioni di manifestarsi. Tuttavia alla stabilizzazione, pronosticata e attesa, non si arriva ancora. Ecco i resti di antichi ondeggiamenti, connessi talvolta con i problemi delladattamento dei latinismi tardivi. I casi pi elementari471 consistono nella normalizzazione delle U atone, che ancora sopravvivono in forme come vulgo/volgo, sustanza/sostanza, capitulo/capitolo, oppure nella ritardata palatalizzazione di J, come in iocondo/giocondo, Iulio/Giulio. Ma i processi di palatalizzazione pongono due problemi pi complessi. Da una parte sta la L laterale (GL), che soppianta i tipi GHJ GHI in ragliare, mugliare, Figline, al posto delle forme ragghiare, mugghiare, Figghine. Dallaltra stanno i casi della deviazione delle palatali, che, appoggiandosi sempre pi ai denti, finiscono per dare vita a gruppi con vere e proprie dentali, con un che naturalmente di estremismo plebeo: tale stiavo di fronte a schiavo, tale diaccio ghiaccio, e cos mastio maschio o diacere per giacere472 . Il trapasso da un sistema fonologico, che impone il passaggio da PL a PJ a uno che accetta la persistenza di PL, non privo di difficolt. Una soluzione intermedia si ha attraverso la forma PR, per la quale si hanno compressione frutto pepro per complessione flutto pe471 472

Migliorini, Storia della lingua italiana, cit., p. 386. Op. cit., p. 387.

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plo. Tentazioni minori, come ALTRU che poteva diventare aitro, O AU antecedente allaccento, che diventava A- in parole di tradizione ininterrotta ( 106), stanno scomparendo: una delle ultime tracce arora aurora. Dal punto di vista delladeguamento a caratteri propr di altre regioni, sono invece da ricordare le dittongazioni esagerate di tipi come spiero spero a Venezia, crudiele crudele nellarea emiliana del Boiardo, tieco teco a Bologna. In questo quadro rientrano la attenuazione della metafonesi fuori di Toscana, per es. presso Sabbadino degli Arienti, p. es. genosi ma gi bolognesi; amorusi ma gi religiosi. da notare anche il disordine nel quale si fissano, mescolandosi, forme lenite e non lenite, con connessi eccessi di zelo: si ha nel, settentrione il tipo deliberaDo accanto a deliberaTO e addirittura daTo per dado. 192. Assestamenti morfologici Al di fuori della fonetica, ancora alcune asperit rimangono da eliminare. Un primo trapasso di qualche valore strutturale dato dalla decadenza della cosiddetta Legge di Tobler e Mussafia473 , per la quale si era confermata nel mondo italiano la natura debole della seconda sillaba, una debolezza di lontana ascendenza indeuropea. In conseguenza di questa regola, le particelle pronominali atone dovevano essere collocate nella seconda posizione, e cio essere enclitiche rispetto alla parola precedente, pienamente accentata. La costruzione regolare era stata fino a questo momento pregovi, e NON vi prego. Il rapporto perde ora di rigidit: le forme vi prego cominciano a diffondersi, e ancora oggi sono valide e esclu473 Mussafia, Miscellanea Caix-Canello, Firenze 1884, pp. 255-261.

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sive, al di fuori dello stile telegrafico nel quale la economia di parole fa considerare i tipi originar come preferenziali. Perdurano le forme mi, ti, accentate per es. in misera mi, mentre noi oggi diciamo misera ME. Larticolo, nonostante la sua lunga storia, mantiene in qualche caso la validit del pronome: la vita di Ges... e LA di Maria, che noi saremmo oggi obbligati a sostituire con quella di Maria. Per quel che riguarda il verbo, solo in questo tempo si raggiunge la regolarit paradigmatica di dissero in confronto alle antiche varianti, fra cui principale era quella di dissono ( 149). Le forme nominali del verbo avevano un inquadramento pi verbale del nostro, che invece maggiormente inserito nei rapporti nominali: oggi dovremmo dire restata la femmina contentA mentre allora era ammesso restatO la femmina contenta, oppure gli operai vistOsi in vergogna, dovrebbero definirsi oggi, in forma nominale (quasi si trattasse di complemento predicativo del soggetto), vistisi. Infine si matura in questo tempo la formula allocutiva attraverso le tre fasi: nella prima, ancora quattrocentesca, i pronomi quella, essa, lei si riferiscono sempre a una sottintesa vostra signoria, vostra magnificenza; nella seconda si generalizza luso spagnolo di dar del Signore, e sopravvive solo Ella/Lei, sempre sottintendendo Signoria. Nella terza fase Lei assume figura e valore autonomo, parallelo al Voi e a Vostra signoria. In questa situazione si conclude il secolo XVI per quanto riguarda le strutture. 193. La melodia della frase Per quanto riguarda le funzioni, il chiarimento progressivo delle teorie, lavvicinamento delle grandi aree regionali, facevano prevedere per la seconda met del Cinquecento un periodo di tranquillit pari a quello della lingua latina, dominata dal modello ciceroniano. E invece, pro-

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prio come la lingua latina nello stesso I secolo a.C. cominci a ingerire i germi delle sue future alterazioni, cos la lingua letteraria italiana chiamata ora ad affrontare due problemi gravi: la sua estensione a campi non letterari, nei quali luso del latino ancora perdurava, e la esasperazione dei suoi strumenti e istituti di carattere periferico, come il ritmo e la melodia474 . Cominciando da questo secondo punto, il gusto prende nuovi spunti dal Petrarca giovane, che si entusiasmava alla lettura dei classici e apprezzava la dulcedo (dolcezza) e la sonoritas (sonorit) delle parole. Certo, a questa dolcezza e sonorit non era stato sordo lAriosto, ma, a cavallo dei secoli XV/XVI; appariva ai suoi occhi ancora come esigenza primaria da sodisfare, quella di raggiungere lunit della lingua letteraria, che allora era, come si visto, ancora solcata da regionalismi pi o meno fastidiosi. Solo con Torquato Tasso (1544-1595), uomo del secondo Cinquecento, il ritmo dellottava pot esercitare una attrattiva incontrollata, senza interferenze fonetiche o grammaticali, e la esigenza melodica pot avere libero il campo. Non vi si abbandon in modo cieco, spesso fu anzi pi moderato dello stesso suo padre, Bernardo Tasso (1493-1569). Teorizz su schemi simili ai danteschi; distinguendo lo stile in magnifico mediocre umile; esaltando del primo soprattutto gli aspetti lessicali. Prese posizione con animo aperto a favore delle parole straniere, purch tratte da lingue congeniali, come, oltre il latino, il francese e lo spagnolo. Ammise anche il principio di parole artificiali o finte, fra le quali ricerc, pi ancora che la chiara derivazione o il significato traslato, qualit estrinseche, il rimbombo, il sussurro. Non resistette alle tentazioni della onomatopea ed ebbe cos a veder criticati i suoi versi perch bassi o cacofonici. Nel rifacimento del suo poema, che fu chiamato la
474

Migliorini, op. cit., p. 392.

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Gerusalemme conquistata (1593), non raggiunse risultati proporzionati al suo impegno475 : fu bersagliato da duri attacchi da parte del Salviati476 ( 196). Ma, proprio per le sue preoccupazioni formali, non necessariamente collegate a teorie, per quello scrupolo chiuso in s rispetto alle questioni formali, egli cooper, non solo a una tradizione, ma alla esaltazione di una tradizione di lingua letteraria, che si continua nel pieno Seicento. 194. La lingua della scienza e Galileo Laltro momento essenziale dato dalla applicazione della lingua letteraria volgare a testi filosofici e scientifici. Basti qui segnalarne tre tappe. Impersona la prima un matematico di scarsa dottrina umanistica, Nicol Tartaglia (1499-1557), la cui Nova Scientia del 1537 era stata tradotta in francese. Per quanto la novit di scrivere in volgare fosse considerata prematura e non molto onorevole, il fatto nudo basta ad assicurargli un posto nella storia delle istituzioni linguistiche italiane. Il secondo momento dovuto a Giordano Bruno (1548-1600), che scrisse in volgare i suoi Dialoghi. Da un punto di vista storico-linguistico sono anchessi un documento di rilevante significato, proprio per lo sforzo che mostrano, la imprecisione terminologica e i contrasti di tono, ora letterario, ora dimesso, ora francamente volgare. Di fronte alle difficolt e al tormento di questi pionieri, ecco che si leva invece con una grandiosit, maturit e perfezione, degna del Boccaccio, la tradizione della lingua scientifica, impersonata da Galileo Galilei
475

Devoto, Nuovi studi di stilistica, Firenze 1962, pp. 143 Migliorini, op. cit., p. 367.

sgg.
476

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(1564-1642): placata, solida, matura, definitiva. La sintesi che Galileo opera, di alto livello. Il parlato dei suoi dialoghi viene disciplinato, reso atto a formulare precetti scientifici. Il discorso diretto e lindiretto si alternano, non gi come strumenti di variet esteriore, ma con la simmetria dei cristalli. La trasfigurazione operata da Galileo tale, che non si pu parlare, presso di lui, di una tradizione di lingua speciale per la scienza, ma solo di una lingua letteraria, cos agile da potersi piegare alle esigenze della scienza, senza snaturarsi. La sua bravura sta poi nel vocabolario, soprattutto nel tecnificare parole normali, come oggi avviene con tanta naturalezza nella lingua inglese: tale luso di candore come luce lunare, tale momento nel senso della fisica, tali le macchie solari, tale luso sostantivale di pendolo. Questo non gli imped di creare, quando occorrevano, parole nuove come apogeo, parallasse. La sua influenza appare tanto pi potente e decisiva in quanto si somma in lui la persona che condusse a perfezione la lingua scientifica italiana e, nel tempo stesso, colui che, per la prima volta, da cinquantenne, impieg litaliano col discorso Intorno alle cose che stanno in su lacqua (1612). Non fu nemmeno sordo alle prese di posizione teoriche in questioni di lingua. La sua poetica fu quella della concisione, lontanissima, ad esempio, dalla sensibilit e dalle realizzazioni di Torquato Tasso. 195. Secentismi Impulsi e impeti, di cui aveva dato testimonianza il Tasso, si continuarono a cavallo dei secoli XVI/XVII, in forme ancora pi estreme. Le ottave di G. B. Marino (1569-1625) associano alla ricerca della melodia tutto quello che pu eccitare la fantasia: gli estremismi etimologici il fiume Dora associato alloro le metafore in serie, le interrogazioni retoriche, le esclamazioni allinea-

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te, tutto quello, insomma, che pu associare alla lingua, in poesia, un senso costante di meraviglia. La spinta allornamento e alla melodia si salda con la moda spagnola diffusa nel tempo. Questo provoca anche afflusso di parole spagnole, poi saldamente inserite, come creanza sussiego premura lindo, che rientrano nel culto delle forme, proprio alla Spagna del tempo. Non diversa la strada battuta dalla oratoria sacra, della quale il padre Paolo Segneri (1624-1694) il rappresentante pi significativo. Le esclamazioni ossessive che si succedono oh cecit! oh stupidezza! oh delirio! oh perversit! accompagnano le descrizioni paurose, le imagini apocalittiche, le invettive terrificanti, che scendono dai pulpiti, intonate non tanto alla massa del pubblico non abbastanza raffinato, quanto alla grandiosit e opulenza delle chiese barocche477 . Queste manifestazioni pi spinte non conducono a una vera frattura con le tradizioni del secolo precedente. Accanto alle manifestazioni spinte, si continuano quelle pi misurate che non propongono nessun contrasto con gli schemi del secolo precedente. Tali i racconti di viaggi conseguenti alle grandi scoperte geografiche che facilitano la conoscenza della India, della Cina, del Giappone. Le testimonianze dei resoconti dallIndia di Filippo Sassetti (1540-1588) non vengono smentite n corrette dalle splendide lettere dallEstremo Oriente di Daniello Bartoli (1608-1685). Al di fuori di queste merita di essere segnalato un brano tratto dallArte della Guerra di Raimondo Montecuccoli (1609-1680) con periodi tacitiani tra laforisma e lepigramma: Le battaglie danno e tolgono i regni, pronunziano le sentenze decisive e inappellabili tra i potentati, terminano le guerre e immortalano il capitano. Esse si cercano si fuggono o si danno.
477

Profilo, cit., p. 98.

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Capitolo quarantesimo Verso un nuovo bilinguismo

196. LAccademia della Crusca Le teorie linguistiche di singoli studiosi, le preferenze di singoli scrittori non esauriscono la descrizione delle forze che agiscono sulle istituzioni linguistiche. Esse si avviano a una fase ulteriore, quella normativa, collettiva, e non pi soltanto individuale. Simbolo e strumento di questa attivit la Accademia della Crusca. I suoi antefatti risalgono al 1541, quando Cosimo I aveva riconosciuto lAccademia fiorentina col compito di ridurre ogni scienza nel volgare toscano. Nel 1583 nacque ufficialmente la Accademia della Crusca, che per intese da prima il suo nome in senso scherzoso. Solo per opera di Leonardo Salviati (cfr. 193), vide nei suoi componenti, i Crusconi, invece che dei Buontemponi, uomini addetti a vagliare la farina, come per separare da questa la crusca. Il primo compito, che la nuova Accademia si assunse fu il Vocabolario degli Accademici della Crusca, uscito in prima edizione a Venezia nel 1612, ispirato nella scelta e nel riconoscimento delle parole al modello fiorentino arcaico, che il Bembo aveva propugnato478 (v. 190). La seconda edizione usc a Venezia nel 1623, la terza, in tre volumi, nel 1691, a Firenze. Questultima accoglieva voci di parecchi altri autori: particolarmente vistoso fu laccoglimento dei materiali provenienti da Torquato Tasso. Leco del Dizionario della Crusca fu grandioso anche allestero. Esso fu il capostipite dei dizionari delle lingue moderne, in prima linea di quello della Acadmie franaise (1692), che prescinde per, per ragioni
478

Migliorini, Storia della lingua italiana, cit., p. 410.

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peculiari alla lingua francese, da qualsiasi raccolta di materiale dei secoli anteriori al XVII. Il primo periodo di attivit della Accademia della Crusca si chiude con la IV edizione, pubblicata in sei volumi a Firenze fra il 1729 e il 1738479 . 197. LArcadia e il Metastasio La tensione ornamentale ed enfatica, che si era manifestata durante tutto il secolo XVII, doveva portare a una reazione. Questa si manifesta in due tempi. Nel primo, si tratta soprattutto di una questione di imagini e di gusti, che non incide direttamente sulle strutture della lingua letteraria italiana. Questo mutamento si identifica con la fondazione della Accademia dellArcadia (1690). Ne fu promotore G. V. Gravina (1664-1718), con lo scopo di opporre al gusto del meraviglioso e del monumentale le imagini campagnole, gli affetti misurati e gentili. Nata come una formula, fin per determinare un manierismo opposto, ma sostanzialmente non diverso da quello imposto dal Barocco secentesco. Tuttavia un aspetto particolare di questo primo Settecento dato dalla fedelt al ritmo nel campo della lingua poetica. Pietro Metastasio (1698-1782) continuatore del Seicento con la sua propensione verso gli schemi del Tasso piuttosto che per quelli dellAriosto, del Marino piuttosto che dei lirici del Cinquecento. Ma il campione di una tradizione, resa nuova attraverso la lingua poetica specializzata nel melodramma, gravitante su un vocabolario elementare e una soggezione al ritmo estesa anche allimpiego delle interiezioni: Ah, che n mal verace n vero ben si d prendano qualit da nostri affetti.
479

Op. cit., pp. 517 sgg.

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198. G. B. Vico e L. A. Muratori La vera ribellione al Seicento, in quanto secolo della sicurezza e espansione linguistica, si manifesta in tuttaltra forma, pi risoluta, attraverso la documentazione di un tormento linguistico pi accentuato ancora di quello di Giordano Bruno ( 194) e cio presso G. B. Vico (1668-1744). Le due redazioni della Scienza nuova prima (1725) e Scienza nuova propriamente detta (1730), ricche cos di capacit speculativa come di potenza lirica, non si ispirano a nessun modello secentesco, non si accontentano delle leziosit della Arcadia, e rimangono estranee persino ai modelli ormai classici di Galileo. I modelli latini sono per il Vico quelli esemplari. Dopo essere ritornato in un primo tempo a scrivere latino, egli si ispir anche in italiano a quei modelli, col suo periodare complesso, con le oscillazioni nel presentare il discorso indiretto e il diretto, la tendenza ai costrutti con linfinito, il gusto per gli aggettivi preposti a coppie o a terne, la ricerca di verbi composti, linsistenza sul valore affettivo dei prefissi. Al di fuori del latino, il Vico sent il prestigio dei modelli toscani e fra questi prefer gli arcaici come nei casi di maestrato magistrato, proprio proprio, notoma anatomia. Non rifiut modelli napoletani, sia pure senza mai dare al suo periodare un colorito locale. Ma daltra parte, proprio per il tumulto interno, la sua complessit rimase molto al di qua di quella cos armoniosa e controllata del Boccaccio. Un ulteriore allargamento nel campo dazione della lingua letteraria italiana si ebbe in questo secolo a proposito dellerudizione antiquaria, per opera di Ludovico Antonio Muratori (1674-1750). Questi non fu tuttavia, per la lingua erudita, quel che era stato Galileo per quella della scienza. Latteggiamento del Muratori fu s

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antibarocco ma, pi che campione di una visione nuova, ebbe il significato negativo di una scarsa considerazione per limpiego ragionato delle strutture linguistiche; lasci esempi di prosa pedestre. Per quello che riguarda il problema pi strettamente linguistico, al di fuori dei suoi aspetti estetici, il Muratori ebbe reali interessi. Sent la opportunit di un arricchimento della terminologia nel campo della erudizione. Nel Trattatello della perfetta poesia italiana (Modena 1706) sottoline i pregi dei modelli cinquecenteschi, non in quanto fiorentini, ma italiani. Nelle sue Antichit del Medio evo dedic la sua 32 dissertazione alle origini della lingua italiana. Sent il problema del rapporto fra dialetti e lingua, raccomandando esperimenti di traduzione dai primi nella seconda. Quanto a parole isolate, ebbe preferenze non banali: garofani per garofoli e scudella, cadino, per scodella catino. 199. Francesismi: nel lessico Leredit del Seicento non fu dunque riequilibrata n dallArcadia n dalle realizzazioni non sistematiche cos del Vico come del Muratori. La continuit, che dai tempi di Dante durava ininterrotta, entr in crisi. Non avendo avuto uno sbocco costruttivo, lasci una scia non solo di distensione, ma di (voluto) rilassamento ( 203) destinato a sfociare in quello che fu detto da Giuseppe Toffanin480 lo sciopero della lingua. Gi nellambito della lingua scientifica, un autore di primo piano come Francesco Redi (1626-1698) NON continua la tradizione galileiana e nemmeno sa iniziarne una nuova. Viceversa un uomo di lettere, Lorenzo Magalotti (1637-1712), ebbe lunga parte nellaprire al lin480

Devoto, Profilo, cit., p. 104.

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guaggio dItalia uno sbocco nuovo e quasi fatale, quello del francesismo. Gli procur questo pi tardi la qualifica di uno tra primi corruttori della lingua481 . Ma non si trattava di un capriccio. Chiuso da poco il dialogo col latino, trattenute le velleit particolaristiche di centri dialettali, esaurite col Seicento le possibilit melodiche e ornamentali, scivolata la protesta dellArcadia nel manierismo, ecco che una nuova linfa, arricchitrice e rinnovatrice, si manifestava attraverso il francesismo, in modo nuovo ma non dissimile da quello, che era stato rappresentato dal latino ai tempi di Dante. I focolai principali, da cui il francesismo irradia sono il Piemonte e Parma482 . Fin dal 1625 era apparsa la prima grammatica francese a cura di Pietro Duranti: nel Settecento si moltiplicarono. 15 edizioni della Iphignie di Racine compaiono fra il 1708 e il 1799. Parole francesi misero radici nella nostra tradizione linguistica a cominciare dal campo dellabbigliamento e della moda con esempi estremi quali disabigli, bon, domin, falbal, fisci, ghette, mant, surt soprabito, flanella, frisatura; nella cucina: bign, fricand, vag, sciampagna, cotolette, fricassea; nellarredamento: bur, bid, cabar, rid, trum; nellindustria: calotta, cerniera, ghisa, zinco; nella navigazione: manovra, scialuppa, andare alla deriva; nella vita sociale: abbordare, cochetta, madamosella, condiscendenza, allarmare, finezza, imparzialit, irritabilit, vanitoso; nella milizia: ingaggio, mitraglia, baionetta, tappa, rango, picchetto, massacro, montura. Si deve insistere sui tanti che non hanno trovato un collocamento definitivo in italiano: tali partaggio divisione, visaggio viso, portreto ritratto, brodosa ricamatrice, paressoso pigro, regrettare rimpiangere, polito cortese, volare rubare, lutta lotta, manteni481 482

Migliorini, op. cit., p. 392. Migliorini, op. cit., p. 525.

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re mantenere e lo stesso pesno contadino. Come questi intrecci fossero intimi anche presso singoli autori mostrato dal caso di Francesco Algarotti (1712-1754) che483 critic luso corrente di dettaglio, regretto, debosciato, lui stesso impiegando per capo dopera, cochette. Un settore particolare viene ora a prendere importanza, quello delleconomia, che gravita in buona parte verso modelli francesi. Dopo Antonio Genovesi (17121769) che iniziava nel 1754 alluniversit di Napoli un corso di economia civile, con non poche difficolt di carattere terminologico, labate Ferdinando Galiani (1728-1787) mostra una lingua tecnica gi pi matura e con francesismi destinati ad avere fortuna: tali materie prime, mano dopera, analisi, dettaglio, fermentazione, raffinazione. Infine anche in questo campo ci sono francesismi provvisor o caduchi, come egualit, monetaggio, aumentazione. Inversamente spettano a questo tempo parole di importanza fondamentale come esportare in quanto termine economico, specializzato di fronte al generico estrarre, importare a fianco di immettere, infine milionario, come simbolo della ricchezza mobiliare che in quel tempo cominciava a prendere consistenza. La moda francese non introdusse solo francesismi. Fu mediatrice anche di anglismi484 come costituzione, comitato, commissione, maggioranza, opposizione, petizione. Ma come ognun vede si tratta in realt di anglolatinismi, che trovavano facile accoglimento, cos presso i francesi (intermediar), come presso gli italiani (destinatar).
483 484

Op. cit., p. 528. Op. cit., p. 664.

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200. Francesismi: nei costrutti Nel campo dei costrutti sono da ricordare i francesismi violenti come vengo a dire sto per dire, vengo di leggere ho appena letto, in leggendo, sulla base del francese en lisant, il poema IL pi galante, le pene LE pi acconce, passare a esaminare, discendere a ordinare. Critiche eccessive furono invece ancora una volta quelle dellAlgarotti che disapprovava formule come fare il diavolo a quattro o mettere una cosa sul tappeto, occorre pi Di energia. Costrutti perfettamente integrati sono invece i polli ALLO spiedo e le frasi rinforzate E lui che lha detto485 , invece che lha detto lui. Ma nellinsieme del periodare, linfluenza benefica appare nella introduzione di uno schema molto pi lineare, in confronto del tradizionale, complesso, gerarchizzato, architettonico. La tradizione francese fu dunque profonda, innovatrice, meritevole di fare intitolare il Settecento come il secolo del nuovo bilinguismo (non pi latino)486 . Essa si continu fino a saldarsi con la corrente francese, idealmente cos diversa, ispirata a Napoleone. Naturalmente, e nonostante la sua profonda penetrazione e autorevolezza, essa poteva fornire anche occasione a satira di costume: tale presso Giuseppe Parini ( 204), che nella sua ode Il giorno (vv. 2001) scrive misere labbra che temprar non sanno con le galliche grazie il sermon nostro487 .
485

Op. cit., pp. 543 sgg. Devoto, Profilo, cit., pp. 101-104. 487 Op. cit., p. 109.
486

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PARTE QUINTA LItalia unita: dal 1850 in poi

Capitolo quarantunesimo La ipercritica

201. Selezioni Esautorandosi e languendo i dibattiti teorici, il vasto mondo delle esperienze linguistiche non si placa; neanche affondando nella indifferenza. Altri criteri di confronto discriminazione e svalutazione prendono piede. Non pi secondo il criterio unidimensionale delladeguamento rispetto allo spazio geografico toscano o a quello temporale della fiorentinit arcaica, ma secondo quello dello spessore sociale: le parole si analizzano e si preferiscono, sezionandole e collocandole volta a volta verso lalto o verso il basso. Cos Scipione Maffei (1675-1755) classifica le parole, in modo non importa se uguale o diverso dalla nostra sensibilit attuale; esclude ad esempio dalla lingua poetica parole come appetito, confutare congratularsi, dimenticanza, magnificenza, misericordia, operare, tribolato. Cos secondo Eustachio Manfredi (1674-1731), a livello di poesia diligenza va sostituita con cura; divertimento, con piacere; salario, con mercede; disgrazia, con sventura; collera, con disdegno; soddisfatto, con pago.

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202. Resistenze Nemmeno le posizioni negatrici ebbero un successo incontrastato come gi era avvenuto nel Seicento, in senso opposto con la tendenza esasperata verso la melodia e lornamentalit. Una presa di posizione non motivata, e forse inconsapevole, appare nel periodare di un vivace saggista, Gaspare Gozzi (1713-1786) con i ritratti dellOsservatore Veneto, nei quali appare un vero campionario di un periodare snello, breve, in qualche armonia col periodare francese, utile in fondo per neutralizzare in senso non reazionario le conseguenze del pessimismo e della disgregazione linguistica test illustrata488 . Sul piano costruttivo, un indirizzo di qualche interesse fu propugnato da un altro saggista, animato da forte spirito polemico, Giuseppe Baretti (1719-1789). La via intermedia, che propose fra il nichilismo del gruppo del Caff ( 203) e il letteralismo delle tradizioni della Crusca, consiste in questo, che egli riconosce la validit di un modello consacrato dalla storia: contro la banalit di uno scrittore contemporaneo come leconomista Antonio Genovesi ( 199), egli invita a guardare nel passato. Questo passato non per quello dei trecentisti ma quello, sempre toscano e fiorentino, del Cellini semplice, chiaro, veloce e animatissimo, meritevole di imitazione. Nel contempo egli definiva rigorosamente questo quadro ideale, escludendo da una parte la autorit di un modello come quello troppo aulico del Boccaccio, definito nella Frusta letteraria del 1763 rovina della lingua dItalia. Eliminava per anche da ogni velleit normatrice o imitatrice il fiorentino contemporaneo, definito linguarella... pidocchiosa. Non risparmi il Vocabolario della Crusca, pieno di stomachevoli vocaboli e modi di dire, parte tratti
488

Cfr. Devoto, Profilo, cit., pp. 101 sgg.

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da molti dei loro ribaldi prosatori e poeti, e parte raccolti nei chiassi e nei lupanari di Firenze489 . 203. Negazioni Nello stesso tempo, per quanto riguarda lambito delle sue applicazioni, litaliano registra la sua ultima conquista, nel solo campo in cui aveva resistito il latino. Si tratta degli studi di antichit classiche, nei quali labate Luigi Lanzi (1732-1810), con la sua opera fondamentale Saggio di lingua etrusca e di altre antiche dItalia (1789), mostra che litaliano ormai perfettamente adeguato a qualsiasi argomento, a qualsiasi branca del sapere. Quanto allestensione geografica del suo impiego come lingua ufficiale, del 1764 la sua adozione in Sardegna490 al posto dello spagnolo. Per quanto prepotente disordinato e paradossale, lafflusso del francesismo ha ancora una portata modesta di fronte alla nuova visione dei problemi linguistici. Questi si presentano ora in forma contestatrice, opposta a tutto quello che era stato il travaglio degli autori italiani, dai primi tentativi di una lingua letteraria in volgare. Questo atteggiamento negativo di fronte alla validit delle disquisizioni linguistiche ebbe il suo centro a Milano nella cerchia della rivista Il Caff (1764-1766). Due sono le prese di posizione famose di Pietro Verri (1728-1797) in questo giornale: Ogni parola che sia intesa da tutti gli abitanti dItalia secondo noi una parola italiana: lautorit e il consentimento di tutti gli italiani, dove si tratta della loro lingua, maggiore dellautorit di tutti i grammatici. La seconda: Qualora uno scrittore dica cose ragionevoli, interessanti, e le dica in
489 490

Migliorini, Storia della lingua italiana, cit., p. 513. Wagner, La lingua sarda, Berna, s. d., p. 187.

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una lingua che sia intesa da tutti gli italiani, e la scriva con tale arte da esser letta senza noia, quellautore deve dirsi un buono scrittore italiano. Si collega con queste proposizioni un documento del fratello Alessandro Verri (1741-1816), che (nel Caff del luglio 1764) solennemente rinuncia alla pretesa purezza della toscana favella, anche se in una lettera privata di quattro anni dopo ebbe a mostrare qualche pentimento491 . Non diversamente Francesco Algarotti ( 199) un paio di decenni prima aveva scritto chi dice... delle cose utili e buone alla civile societ, pu fare senza le belle parole492 . Ma il passaggio dalla teoria alla pratica non era semplice. E Cesare Beccaria (1738-1794), il famoso patrocinatore della abolizione della pena di morte, si prov a elaborare una teoria linguistica nelle sue Ricerche intorno alla natura dello stile (1770), cercando di conciliare unarte dello scrivere, diretta da principi certi e da norme inalterabili, col riconoscimento dei poteri evocativi della lingua. Purtroppo non riusc a raggiungere, per quanto lo riguardava, neanche una ortografia conseguente, come mostrano le grafie diffenderlo, gueReggiare, diFusamente, sfoGio, diriGGano. 204. Ritmi La corsa verso lornamentalit e lesasperazione espressiva avevano trovato, per quanto riguarda la lingua della poesia, lapogeo nella melodia, nei ritmi, impersonati soprattutto da Pietro Metastasio ( 197). Come suole avvenire, i traguardi estremi provocano reazioni. Labate Giuseppe Parini (1729-1799), pi giovane di una ge491 492

Migliorini, op. cit., p. 512. Op. cit., p. 506.

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nerazione del Metastasio, simboleggi un totale capovolgimento di interessi, rispetto al mondo fatuo ed esteriore del secolo. Da questa diversa visione della vita il linguaggio dItalia doveva, per quanto riguarda la lingua della poesia, risentire contraccolpi profondi. La tradizionale ricerca di ritmi sempre pi eccitanti e scanditi fu la prima vittima. Il Parini prefer lode alla canzonetta dal punto di vista della metrica, e lendecasillabo sciolto alla rima. Non ader ai modelli centrifughi o lassistici, ma, orazianamente, ebbe sempre il culto della misura, sent lontani da s i modelli danteschi, che alle volte gli apparvero capricciosi o grotteschi. Indulse eventualmente a qualche latinismo sintattico, per esempio per quanto riguardava lordine delle parole. Non ebbe velleit riformatrici in materia lessicale o grammaticale, come laveva avuta nei ritmi. Ma ebbe abbastanza autorit per diventare capostipite della tradizione moderna dellendecasillabo sciolto, continuato nobilmente nella linea rappresentata dallAlfieri, dal Foscolo, dal Monti: ribelle e angoloso presso il primo, austero e maturo presso il secondo, sonoro, talvolta melodrammatico presso lultimo. 205. Soppressione dellAccademia della Crusca I problemi delle strutture e del loro coordinamento sono messi in crisi. Tuttavia le incertezze particolari diminuiscono in continuazione. Esse si riducono a incertezze grafiche nel senso di alternanze fra consonanti semplici e doppie in parole di tradizione interrotta come: a(b)bate, uf(f)izio, rob(b)a; o di introduzione della consonante doppia in seguito a una diversa analisi della parola, tali: immagine, innalzare. Nelluso dellarticolo compare ancora IL davanti a Z493 . Nel pronome impiegato come
493

Op. cit., p. 538.

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aggettivo compare ancora mia invece di mie miei494 ; nelle forme verbali, il condizionale alla siciliana in -a sempre frequente in poesia. Come ausiliari del verbo si hanno forme come si hanno preso la briga che noi sostituiamo oggi con si sono presa la briga. La forma nominale del verbo in dipignere nel dipingere risente in parte del tipo francese en peignant ( 200). Di origine spagnola495 il che quanto. Riducendosi a quisquilie le incertezze formali; svalutandosi, screditandosi le preferenze tradizionali, ecco che la autorit morale della Accademia della Crusca si attenua. Girolamo Gigli, nel suo Vocabolario cateriniano (del 1717 e sgg.) le rinfacci di non aver tenuto conto, nelle varie edizioni del suo dizionario, dei materiali provenienti da S. Caterina da Siena, e diede luogo a polemiche e ritorsioni. Ma la conseguenza finale di questa impopolarit fu che, nel 1783, il granduca di Toscana soppresse la Accademia della Crusca, fondendola con quella Fiorentina. Il linguaggio dItalia si apri a mille orizzonti, speriment nuove crisi.
494 495

Op. cit., p. 470. Op. cit., p. 542.

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Capitolo quarantaduesimo Lingua e nazione

206. Riprese dialettali La nozione di spessore linguistico, la discriminazione dal basso che vi si connette, si manifestano con criteri del tutto diversi. Il secolo dellilluminismo e della razionalit, proprio in opposizione con gli atteggiamenti precedenti, non blocca gli impieghi letterari dei dialetti, che pure avevano chiuso col Cinquecento le loro velleit letterarie. Il principio che li faceva riaffacciare allorizzonte non era se non negativo: la eliminazione di esclusivismi, di barriere, prive di uno scopo costruttivo visibile. In testa a tutte le aree dialettali compare adesso la pi autorevole e funzionale, quella veneziana, per ragioni per che sono esclusivamente letterarie. Lautore, che impersona questa grande svolta, Carlo Goldoni496 (1707-1793). Egli autore di comedie che sono scritte, non solo in dialetto veneziano, ma anche in italiano letterario, e persino in francese: limpiego del dialetto non rappresenta per ci stesso una mentalit e tanto meno una corrente di ritorno al campanilismo. Tuttavia, nella applicazione pratica, litaliano e il veneziano non si trovano nelle stesse condizioni. I passi dialettali appaiono tutti nella loro piena spontaneit, nella aderenza totale di personaggi e situazioni cos psicologiche come espressive. Litaliano delle comedie goldoniane appare invece spesso come una realizzazione estrinseca convenzionale e artificiosa, inadeguata a esigenze, che invece, nella forma dialettale, trovano una rappresentazione spontanea e sciolta. Una formula italiana come converr che
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Devoto, Profilo, cit., p. 109.

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lo soffra sulla bocca del personaggio Giacinta, mentre si rivolge alla sua cameriera nella comedia Le smanie per la villeggiatura, non conduce a quello stesso risultato che, sempre in forma di lingua letteraria, si sarebbe avuto, ad esempio, con la formula bisogner che mi adatti. La formula richiama questa situazione, come se fosse stata una didascalia, e cio come un elemento a s, messo a fianco di un quadro o di una figura posta su un altro piano. Per questo non si pu parlare di una affermazione linguistica veneziana generale; ma solo di un affiancamento, adatto a una situazione occasionale di ristrettezza di ambiente, di intimit. Di fronte a questo, come legame, la lingua letteraria, sia pure adoperata in modo maldestro, non agisce ma si inserisce nel rapporto astratto e pedestre di quelle rappresentazioni che esigono illustrazioni e commenti esterni. Un impiego parallelo di strutture dialettali si ha allestremo opposto, in Sicilia. Ivi Giovanni Meli (17401815) si dedicato al dialetto per lo stesso motivo di maggiore aderenza al suo mondo espressivo497 . Ma nemmeno lui ha assunto una posizione polemica o antitetica rispetto alla lingua letteraria. Anzi, a differenza del Goldoni, che nellimpiego dialettale si trova a disporre di strutture adeguate al suo mondo, il Meli non partito dal dialetto in modo altrettanto esclusivo. Quello che lui ha lasciato non stato tanto un campione di una nuova realizzazione dialettale a livello letterario, quanto, paradossalmente, di una tradizione, sempre di lingua letteraria italiana, specializzata, o meglio diluita, attraverso elementi e unit lessicali siciliane.
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Op. cit., p. 110.

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207. Simbolo nazionale Da ogni disgregazione nasce un ordine nuovo. A ogni negazione subentra un forte principio ispiratore nuovo. Lo spessore sociale non agisce soltanto nel proporre distinzioni stratificatrici. Un sistema linguistico pu essere associato, in modo ancor pi evidente che ai rapporti fra classi sociali, ai rapporti fra nazioni. Tra i secoli XVIII e XIX, i popoli si sottraggono alla loro definizione antica di greggi dei re, per diventare unit autonome, non gerarchizzate, se non nei limiti del necessario. Ogni unit statale desidera o esige di essere affiancata a una parallela unit linguistica. Ogni sistema linguistico, in quanto condizione di reciproca comprensione e affratellamento, una spinta verso un disegno politico di indipendenza, di unit. Questa interpretazione dei sistemi linguistici come cellule di significato nazionale non nasce allimprovviso, ma il risultato di uno svolgimento, che trae le sue origini proprio da quella pressione francese sullitaliano, che sembrava dovesse condurre a risultati assai lontani da una coscienza linguistica nazionale italiana. Il primo tempo di questo movimento consiste nel confrontare le strutture e la funzionalit delle istituzioni linguistiche dei due paesi. Con la seconda met del secolo XVIII parve giustificato uno schema di bilancio, per il quale, a carico del francese, stava la sua instabilit anche ortografica e la tirannide dellAccademia, che non poteva, come in Italia, confrontare e temperare la sensibilit contemporanea mediante il confronto di testi antichi. Questi, per il naturale velocissimo svolgimento della lingua francese fra il medio evo e il Rinascimento, non fornivano materiale di confronto intelligibile. Seguivano, a carico del francese, critiche particolari che colpivano la rigida disposizione delle parole nella frase; la sterilit delle sue derivazioni prive di superlativi e di dimi-

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nutivi; la compattezza monolitica, che impediva una distinzione fra lingua della poesia e lingua della prosa; infine la monotonia dei suoi ritmi. Il meccanismo di questo dibattito si riduce perci a questi tre tempi. Nel primo si constata la impossibilit di un confronto fra le due lingue, perch il diverso sviluppo storico non lo consente. Nel secondo si introducono criteri di giudizi funzionali. Nel terzo si associa la unit linguistica a valori non pi quantitativi ma qualitativi, e cio da sistema linguistico a comunit nazionale. In questa prospettiva, le sottigliezze e le proclamazioni di fede fiorentina, pi ancora che inattuali, dovettero, almeno per un certo periodo, apparire come futili. Chi senti fra gli scrittori questo problema fu in Italia Vittorio Alfieri (1749-1803) che, nel sonetto Lidioma gentile, scritto in occasione della soppressione della Accademia della Crusca (1783), o nella rigida affermazione che tutta la lingua sta in Dante e Petrarca non fu un precursore di quellesclusivismo bruto che fu detto purismo (v. 211), ma espresse invece un punto di vista orgogliosamente nazionale: per questo pot affermare, nel quadro di questo sentimento, che si richiede pi grandezza danimo a osservare che a disprezzare le inezie grammaticali498 . Dal punto di vista dello studioso di lingue, sono per pi significanti le prese di posizione dei letterati non militanti: tale il piemontese Gianfrancesco Galeani-Napione (1748-1830), che scrisse dellUso e dei pregi della lingua italiana (1791), e cerc di passare allazione, suggerendo di convogliare i francesismi in quei settori semantici che pi gli si confacevano, come quelli della toeletta, della cucina e degli ornamenti. Essi costituivano infatti ai suoi occhi qualcosa di simile, per
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Profilo, cit., p. 112.

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la loro indispensabilit e eccezionalit, ai casi straordinari in cui la Chiesa permette anche di rubare499 . 208. Filosofia delle lingue La interpretazione nazionale delle istituzioni linguistiche si salda naturalmente col problema della interpretazione dei fatti linguistici nel loro insieme. proprio la esistenza di prese di posizione generali in questo quadro, che d, alle interpretazioni particolari, seriet e attualit. Lopera che, ancor prima di quella del Napione, apre la strada a questi dibattiti il Saggio sulla lingua italiana500 pubblicato nel 1785 da Melchiorre Cesarotti (1730-1808), ripubblicato poi nel 1800 con il nuovo titolo di Saggio sulla filosofia delle lingue *. Alcune delle sue affermazioni sono, nei limiti delle cose umane, definitive: Niuna lingua originariamente non n elegante n barbara niuna lingua pura niuna lingua fu mai formata sopra un piano precedente niuna lingua perfetta niuna lingua inalterabile niuna lingua parlata uniformemente nella regione. Cos pure, la lingua scritta dee avere per base luso, per consigliere lesempio, per direttiva la ragione. La giurisdizione sopra la lingua scritta appartiene indivisa a tre facolt riunite, la filosofia, la erudizione e il gusto. Non finito. La differenza riconosciuta fra vocaboli memorativi e rappresentativi colpisce con esattezza la differenza riconosciuta oggi tra azione evocativa e azione rappresentativa delle istituzioni linguistiche501 . La congenita inadeguatezza dei sistemi linguistici deProfilo, cit., p. 113. Profilo, cit., p. 115. 501 Devoto, Linguistics and Literary Criticism, New York 1963, pp. 77-102.
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finita con la frase per ci quandanche volesse fingersi che si fossero gi scoperti e denominati tutti gli oggetti possibili, la lingua agli uomini... riuscirebbe ancor povera: ci che non le impedisce di apparire talvolta sovrabbondante di forme. I rapporti fra morfologia e sintassi sono riconosciuti, attraverso la distinzione fra materia e forma della sintassi intesa in senso generale. adombrata anche la distinzione fra tempo semantico e tempo sintattico502 . Contro la tendenza a ramificarsi che la linguistica ottocentesca avrebbe esasperato, os affermare che le lingue erano destinate ad avvicinarsi fra di loro. Nei particolari, difese neologismi come incompassione, disragione, infugare, rimbaldire, rischievole, sceleranza503 . Critic viceversa la medicina ammorbata da un grecismo perpetuo, come nel caso di sintonia per accidente, narcotico sonnifero, diatesi disposizione. Difese per analogia elettrizzare visto che esiste elettricit, magnetico di fronte a magnetismo. Ma nel pieno del periodo che aveva esautorato tutti gli sforzi normativi in fatto di lingua, ecco che propone la fondazione di un responsabile Consiglio nazionale della lingua, e cio un equivalente della squalificata Accademia della Crusca. 209. Let napoleonica Indipendentemente dalle teorie, let napoleonica rappresent uno scossone anche linguistico. Non fosse che per la adozione del codice Napoleone, si present unoccasione pi organica di quante non se ne fossero speri502

Devoto, Studi di stilistica, Firenze 1950, pp. 138 sgg., 163 Profilo, cit., p. 116.

sgg.
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mentate prima, per accogliere parole, proprio come si accoglievano istituti giuridici francesi. impossibile fare liste proporzionate504 ; dalla milizia affusto, ambulanza, appello, avamposto, buffetteria, casermaggio, marmitta; allamministrazione: border, controllo, parafare, rega, timbro, cassazione, giur; dal sistema metrico: metro, litro, grammo; dalla cucina: griglia, casseruola, tartina, trattoria; dallabbigliamento: bretelle, calosce, palet, percalle; dal teatro: debutto. Seguono i suffissi: si potenzia il non nuovo -aggio, tuttora vitalissimo, si diffonde -ista. Queste aperture non si concludono col periodo napoleonico, ma si continuano, seguendo lo sviluppo industriale, e la conoscenza della societ inglese. Sempre attraverso la Francia, e poi lAustria, arrivano altri termini tecnici, non sempre adattandosi. Tali gli anglismi, intatti come leader, meeting e adattati come conservatore, radicale, assenteismo;. i termini psicologici intatti di humour, spleen; i termini ferroviari intatti, come tender, tunnel, quelli adattati o ricalcati, come vagone, locomotiva, viadotto, ferrovia. 210. Ricostituzione dellAccademia della Crusca La razionalit e la simmetria dovevano aver la meglio sulle estrosit e impulsivit. La soppressione della Crusca, che il legittimismo del Granduca aveva inteso come una manifestazione di opportunit e di tempismo, non sub soltanto una correzione attraverso il giudizio di un singolo studioso come il Cesarotti ( 208). Fu annullato dalla intuizione del sovrano eversore, Napoleone. LAccademia, che era stata sciolta prima della rivoluzione francese, fu ricostituita da Napoleone nel 1808 nel quadro delle accademie esistenti a Firenze, e fu riconosciu504

Migliorini, Storia della lingua italiana, cit., p. 660.

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ta autonoma, sempre in pieno periodo napoleonico, nel 1811. Napoleone non esit nemmeno nellassegnarle un compito di supervisione sulla lingua letteraria italiana e in particolare sulla sua purezza. Naturalmente era pi facile richiamare in vita un ente, che fargli riprendere una attivit gi sottoposta a troppe prove, luna in contrasto con laltra. Priva di una mente o di un principio direttivi, rinasceva screditata. Per riprendere il problema fu utile la iniziativa di Vincenzo Monti (1754-1828), scrittore, poeta, anche se per sua natura lontanissimo dai dibattiti in materia di dottrine linguistiche. Subito dopo la restaurazione austriaca, defin gli scopi di un dizionario italiano nel purgare la lingua, legittimamente arricchirla, e stabilmente formarla. Di fronte alla Crusca, in fondo imbarazzata nel dovere riprendere il suo lavoro, pubblic le sue Proposte di alcune aggiunte e correzioni al Vocabolario della Crusca (1817-1824). Il suo atteggiamento definito dalla affermazione fondamentale, che egli faceva questione di parole e non di autori, che dovessero essere accettati o esclusi globalmente. Vagheggiava in fondo un italiano illustre; ammetteva una distinzione fra lingua scritta e parlata; soprattutto valorizzava la vecchia categoria della analogia: se si accoglie giullare si deve accogliere giulleria, per lo stesso motivo che consente di affiancare bibliotecario e biblioteca. Daltra parte, la analogia deve sapere autolimitarsi: non deve ad esempio imporre la concordanza nella formula eccettI i figli, perch eccetto, cessando di fungere da participio, diventato preposizione, e della preposizione deve assumere la indeclinabilit.

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Capitolo quarantatreesimo Dal purismo al manzonianesimo

211. Puristi e non puristi Latteggiamento del Monti determinato dalla sua natura di scrittore, che non sente molto i principi e, tanto meno, la necessit di una loro applicazione rigida. Diversa la condizione dellerudito, che si immerge nei problemi di lingua, senza partecipare ai loro aspetti creativi, e perci stesso aperti alle irregolarit. La dottrina, che accetta oggettivamente una siffatta impostazione, il purismo. Esso si ispira alla purezza della lingua, comunque si stabiliscano i criter per determinarla, storici geografici o sociali. Essa impersonata nellItalia del tempo da due autori di poco pi giovani del Monti. Il primo il veronese Antonio Cesari (1760-1828). Rigida nella sua formulazione esclusivistica, la sua posizione diventava affettiva, quando si trattava di scriverne: tale il seguente periodo, che efficace esempio cos della sua impostazione come delle sue passioni: Tutti in quel benedetto tempo del 1300 parlavano e scrivevano bene... tutti erano aggiustati e corretti, ci rilucea per entro un certo naturale candore, una grazia di schiette maniere e dolci che nulla pi505 . Promosse una edizione non ufficiale del Vocabolario della Crusca, pubblicata nel 1806, fu premiato dallAccademia di Livorno per la sua Dissertazione sullo stato presente della lingua italiana (1808), che fu una specie di Vangelo del nuovo purismo. Il secondo fu Basilio Puoti, napoletano (1782-1847), un po meno esclusivo nei limiti cronologici, chiusi nellet arcaica. Ma fu pi arbitrario nel discriminare autori
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Migliorini, Storia della lingua italiana, cit., p. 604.

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e testi; fu poco scrupoloso come editore perch corresse appoggiandosi al suo orecchio506 . Nel 1833 pubblic delle Regole elementari della lingua italiana, che avevano aspetti pregevoli. Ma poich n lui n il Cesari ebbero la capacit di imporre il purismo generalmente, e la Accademia della Crusca, durante quei decenni, annaspava, senza progredire visibilmente col suo lavoro, ecco che la prima met del secolo XIX si prospetta allocchio dello storico, a distanza di un secolo e mezzo, come un grande iato, nellampia fronte difensiva della lingua italiana tradizionale. Con quel purismo di stretta osservanza sono da confrontare (alcune) prese di posizione non sistematiche, da parte di autori di questo primo Ottocento. Indipendentemente dal loro livello di critici, scrittori, o poeti, i punti di vista essenziali sono i seguenti. Di Pietro Giordani (1774-1848), prevalentemente critico, sono alcune affermazioni polemiche, che conservano un qualche interesse. Fu ostile allandamento del periodo alla francese, che trovava troppo analitico ed epigrammatico, in confronto alla complessit e armonia di quello latino, da lui detto vera logica in atto. Analogamente, nei riguardi dei fiorentini, con uguale impulsivit, si pronunci contro i modelli fiorentini (e toscani). In una lettera del 16 maggio 1817 scrisse: Non ci paese in tutta Italia dove si scriva peggio che in Toscana e in Firenze, perch non ci paese dove meno si studi la lingua. Nonostante queste impulsivit, il Giordani ha il merito di aver formulato per primo la esigenza di una storia della lingua, come abbozzo di una storia dello spirito pubblico in Italia... considerata nelle vicende della lingua, e cio una tesi scientifica di primaria grandezza, da pioniere.
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Op. cit., pp. 605 sgg.

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Di Ugo Foscolo (1778-1827) vanno citate queste altre formule, pi adatte alla sua natura di poeta: La lingua padrona degli ingegni mezzani, ma serva degli uomini supremi. Ogni nazione ha una lingua. Ogni letterato deve parlare alla sua nazione con la lingua patria. Il pensiero non rappresentato che dalla parola. Per rappresentare il pensiero bisogna dunque conoscere il valore della parola... Giacomo Leopardi (1798-1837) vide correttamente il problema della stabilit linguistica, che una lingua non raggiunge se non quando morta. Tenne il giusto mezzo, credendo nella naturalezza, opposta s alla artificiosit ma anche al volgareggiare. Mir alleleganza cercando di evitare ci che consueto e banale. Distinse fra parole capaci di evocare emozioni, e poesia, e termini, confinati nei limiti di una letterale rappresentazione ( 208). Per questo pot accettare il principio della propriet linguistica, e insieme negare che le lingue possano sfociare in una sola quasi tutta matematica, conforme alla grammatica universale. Sottoline la differenza che passa da questo punto di vista fra litaliano e il francese, il primo pi evocatore, il secondo pi letterale. Per questo, ebbe a provare freddezza per gli schemi stilistici galileiani. Galileo, definito cos preciso matematico, tacitamente gli richiamava qualcosa di cartesiano, e cio di francese, di straniero. 212. Milano e il Porta Di fronte a queste prese di posizione, interessanti ma occasionali, non legate a nessuna citt particolare, acquista un significato particolare, nel primo quarto del secolo, Milano. Fra i tanti motivi, il pi appariscente quello della poesia dialettale attraverso Carlo Porta (1776-1821). Il Porta supera la lingua poetica goldoniana per la genuinit della sua testimonianza, chiusa nel

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mondo del dialetto, senza confronti con realizzazioni letterarie italiane e straniere; e supera quella siciliana perch mostra il dialetto molto pi impervio rispetto ai processi di annacquamento. Piccolo impiegato, privo di inibizioni, non aveva spinte per guardare al di fuori del suo mondo verso le leziosit degli aristocratici o il prestigio dei francesizzanti. Vita, personaggi, lingua, sono un tutto inscindibile attraverso il quale la delimitazione geografica del dialetto e quella sociale dei personaggi costituiscono una unit storico-culturale chiusa in s. 213. La lingua poetica del Manzoni Ma questa genuinit e integralit di documentazione, invece di rimanere nel quadro quasi folcloristico, di tutte le documentazioni esclusivamente dialettali, ecco che viene integrata e prende, per contrasto, rilievo, non attraverso la collettivit milanese ma attraverso un singolo cittadino milanese, colui che ha vissuto una esperienza linguistica cos profonda e ricca, da arrivare a formulare se non una dottrina, una direttiva, organica, completa, aderente alle esigenze del tempo. Questo milanese illustre fu Alessandro Manzoni (17851873). Per quanto appartenesse agli strati superiori della societ, le sue prime esperienze linguistiche si aprirono al di fuori del suo ceto, inteso in senso stretto: furono la milanese e la francese. Da questa primordiale estraneit, discese una esperienza fondamentale, non solo per quel che riguarda i problemi italiani. Come un fiore di serra, si svilupp presso di lui il sentimento per la lingua poetica, e questa si realizz ad alto livello negli Inni sacri, nel Cinque maggio, nelle tragedie. In tutto questo fu tradizionalista: nelle scelte lessicali, nei ritmi fortemente scanditi, proporzionati agli argomenti epici. Ma il periodo tradizionalista si conclude per il Manzoni prima del 1825. Il problema della prosa gli si presen-

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t come a uomo, prima ancora che a romanziere; a utente di lingua, prima che a creatore. Se, in quanto uomo, si sarebbe potuto anche accontentare di essere lultimo rappresentante del bilinguismo settecentesco, in quanto scrittore, per vocazione ambizione e seriet di convincimenti, doveva perseguire ideali e nuovi e consapevoli. Non potendo elaborare gli strumenti di cui disponeva, il milanese e il francese, ecco che dovette prendere in considerazione e sottoporre a critica quanto la lingua letteraria corrente gli offriva di artificioso o addirittura di estraneo. Riflett, e la nuova dottrina non nacque nella sua mente come un tutto organico, ma a poco a poco, attraverso pi di una fase: prima quella di una generica lingua sopradialettale, arieggiante la visione dantesca, poi quella di una lingua genericamente toscana; infine quella di una visione fiorentina rigorosa: non pi nel senso dei puristi, imbalsamati nella contemplazione di una fiorentinit arcaica, ma in quella integrale, palpitante, immersa nei modelli vivi del suo tempo. 214. Idee manzoniane sulla prosa Allet di quarantanni, la posizione del Manzoni appare gi costruttiva, anche se ancora lontana dal suo assestamento finale. In una lettera del 1825 a Luigi Rossari, egli parla di quella lingua toscano-milanese che, a suo dire, entrambi vagheggiavano da tempo. Nella realt del Fermo e Lucia, composto fra il 1821 e, il 1823507 , mai pubblicato dal Manzoni, egli aveva mostrato un traguardo gi raggiunto, per quanto riguarda la struttura del periodo. Ma il quadro era paragonabile a un campo di concentramento, per quello che riguardava le scelte lessicali: tenere il libro socchiuso nella destra mno arriva507 Vedi ledizione Chiari-Ghisalberti, vol. II, tomo III, Milano 1954.

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re a una rivolta della strada, proprio nelle prime pagine del libro, sono richiami vistosi per prepararci a un seguito incessante di volgarismi dialettismi e banalit lessicali, luno pi infelice dellaltro; tutti, destinati a essere spazzati via dal lavoro minuto, inesorabile, della revisione successiva. La prima edizione autorizzata dei Promessi Sposi (1827) non si distacca gran che da questo stato di cose. Ma gi due anni dopo, in due lettere del febbraio e aprile 1829508 , si annuncia la crisi decisiva, e questa si supera col famoso soggiorno a Firenze. Che il vocabolario manzoniano abbia subito una rigenerazione radicale, appare ad apertura di pagina nella edizione definitiva del 1840. Ma questo rinnovamento fiorentino non una traduzione lessicale o fonetica in unit linguistiche fiorentine: un rifacimento secondo un gusto e una sensibilit fiorentina, fatto di concretezza, acutezza, umorismo. Appunto per questo, a centotrenta anni di distanza, la lingua letteraria manzoniana non risente affatto di un colorito locale, che la farebbe considerare, non tanto respinta nel passato, quanto provinciale, fuori moda, estranea. Dai sessanta agli ottanta anni, il Manzoni continu la sua battaglia, di utente di lingua: da una lettera a G. Carena per un vocabolario metodico della lingua italiana (1845) alla relazione della commissione incaricata di proporre i mezzi migliori per diffondere la buona lingua e la buona pronuncia (1868). Nessun autore n scrittore n grammatico, nemmeno Dante, centr il problema del linguaggio dItalia come Alessandro Manzoni.
508 Reynolds, The linguistic writings of Alessandro Manzoni, Cambridge Gr. Bret., 1950, pp. 44 sgg.

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215. Applicazioni manzoniane Le istituzioni linguistiche italiane raggiungono traguardi mai pi superati, grazie alla sapiente costrizione509 , che Alessandro Manzoni ha saputo esercitare su tutte le strutture linguistiche e.i loro elementi costitutivi, anche minimi; per la sapienza con la quale ha distribuito nel dialogo i diversi piani del racconto, e ha idealizzato i paesaggi, trasferendoli dalla bruta aneddotica realt topografica in una visione universale. Personaggi di tutte le classi sociali parlano nei Promessi Sposi la stessa lingua italiana di estrazione fiorentina. Ma questa evidentemente solo un filtro: nella realt, ad esempio, i due personaggi, Renzo e Lucia, incapaci di leggere e scrivere, avranno parlato un dialettaccio lombardo, dalle strutture totalmente differenti da quelle toscane. Don Abbondio avr parlato un dialetto attenuato, mentre il cardinale Borromeo, la lingua letteraria integrale, sia pure corretta dalla pronuncia lombarda e da una voluta semplicit di costrutti. Eppure i quattro protagonisti, per quanto filtrati attraverso le strutture rigide della lingua letteraria, non sono deformati, appaiono veri. Alla disciplina rigida dei procedimenti di costrizione, il Manzoni aggiunge una specie di spremitura o condimento ideale, per i quali queste stesse strutture, oltre i rapporti geometrici che gli sono intrinseci, emanano una aura speciale, confidenziale o commossa, che appunto redime il potere espressivo da tutte le limitazioni formali. Oltre che un campione di costrizione il Manzoni quindi un campione di evocazione linguistica: noi non dobbiamo fare nessuno sforzo per entrare nei sistemi linguistici individuali propri dei diversi personaggi. Inversamente, per quanto riguarda i paesaggi, non ha nessun interesse che la forma di monti fiumi villaggi sia
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Devoto, Nuovi studi di stilistica, Firenze 1962, pp. 73 sgg.

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descritta come in una fotografia. La descrizione costrittrice si sviluppa con somma cura, ma le singole montagne acque e abitazioni sono presentate in un quadro di insieme dai valori relativi, non assoluti; privi della necessit di confrontarsi con una carta topografica o trasferirsi sul piano del racconto degli abitanti dei luoghi: il loro valore relativo (e insieme universale), non assoluto (e insieme particolare).

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Capitolo quarantaquattresimo La visione manzoniana e lunit politica

216. Dirigismo manzoniano e liberismo ascoliano Se il linguaggio dItalia nelle sue realizzazioni manzoniane qualcosa di cristallino e definitivo, che non offre occasioni di incertezze, diversa la sorte delle corrispondenti prese di posizione teoriche. Queste, con landar del tempo, con le novit rivoluzionarie, intervenute nelle istituzioni politiche dItalia, passarono rapidamente da postulati formulati in vista di applicazioni artistiche (riservate a una minoranza di autori, se non proprio a un singolo autore), a esigenze primarie degli utenti della lingua italiana; ai cui istituti non venivano pi a essere interessati solo come cultori minoritari di una lingua di letterati, ma come cittadini, desiderosi di affiancare a unit di istituzioni politiche e a unit di storia finalmente raggiunta, anche una unit di lingua. Il Manzoni venne quasi senza accorgersene a dare della teoria della lingua letteraria una interpretazione non pi artistica ma giuridico-politica. La conseguenza di questa presa di posizione non si limitava a offrire la occasione a un dibattito teorico ma a decisioni nel campo della azione; a affrontare cio un problema di politica linguistica. Mentre il dibattito precedente investiva perci questioni di gusti, in cui avevano possibilit di manifestarsi infinite sfumature di preferenze e definizioni, sotto questa nuova luce il problema diventava razionale e storico insieme. Non si poteva n discutere n prender posizione in base a preferenze ma solo in base a esperienze: si trattava di una sfida. Colui che la raccolse fu il maggior linguista italiano del tempo, Graziadio Isaia Ascoli

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(1829-1907)510 . La occasione gli fu offerta nel 1872 dalla presentazione della sua rivista, destinata a diventare famosa, lArchivio glottologico italiano. Nella introduzione o Proemio al primo volume egli riconosceva il problema anzi linconveniente della mancanza della unit di lingua fra gli italiani. Ma affermava che questa non era dovuta al caso o a un capriccio, ma aveva giustificazioni storiche, che non potevano essere corrette da un giorno allaltro, con mezzi artificiali: le cause erano infatti nel sapere concentrato nei pochi e nelle esigenze schifiltose del delicato e instabile e irrequieto sentimento della forma511 . Il rimedio non poteva essere immediato. Stava nel rinnovare e allargare la attivit mentale della nazione non nel creare una nuova preoccupazione della forma.. 217. Problema storico-politico Il ragionamento dellAscoli era corretto. Confrontando le vicende della fissazione delle lingue letterarie francese o inglese, facile riconoscere che, essendo state diffuse per opera delle cancellerie dei re come lingue della amministrazione, hanno avuto una diffusione e una accettazione precoce e per cos dire democratica. La vicenda italiana lopposto. La fissazione della lingua letteraria, precocissima sul piano letterario, non discesa negli strati inferiori, perch non ne ha avuto loccasione o la necessit. La lingua letteraria italiana, fino alla met del secolo XIX512 , non stata la lingua di una nazione, ma
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Devoto, Nuovi studi di stilistica, Firenze 1962, pp. 169 Migliorini, Storia della lingua italiana, cit., pp. 673, 687De Mauro, Storia linguistica dellItalia unita, Bari 1963.

sgg.
511

690.
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di una casta di letterati, di una oligarchia. Se, sul piano teorico, la posizione dellAscoli era ineccepibile, sul piano storico-politico del cittadino, essa doveva tener conto del fatto che il problema era uno di quelli che luomo deve affrontare, anche a costo di dover correggere la natura. Se luomo corregge la natura forando le montagne e scavalcando bracci di mare, per creare vie di comunicazione, deve anche cercare di gettare ponti ideali, perch gli uomini di una stessa comunit nazionale comunichino fra di loro attraverso istituzioni linguistiche adeguate, valide per tutti i cittadini, senza prestarsi a confronti odiosi, a irrisioni, a discriminazioni. Ferme rimanendo le difficolt pratiche per una politica di intervento e dirigismo linguistico, per esempio attraverso la idea di esportare dalla Toscana in tutta Italia dei maestri elementari che propagassero la nuova legalit linguistica unitaria, la posizione rinunciataria dellAscoli richiamava un po troppo limagine di chi, trovando faticoso o lungo risolvere i problemi delle grandi strade di comunicazione, rinunciasse, aspettando allinfinito, che i tanti pedoni susseguentisi trasformassero i sentieri in piste e le piste in strade. La esigenza di una unit linguistica da promuovere esisteva, e non erano le riserve tecniche dei linguisti che potevano accantonarle. Gli inconvenienti di una mancata politica linguistica successiva alla unit politica furono ridotti anche per unaltra ragione: limmobilismo sociale che accompagn la rivoluzione nazionale. vero, si dovettero facilitare le comunicazioni allinterno della classe dirigente, dei membri del parlamento nazionale, degli insegnanti e dei funzionari statali, che facevano la loro carriera attraverso lItalia intera. Ma si trattava di quellinfima minoranza che arrivava a terminare le scuole secondarie. La maggioranza schiacciante degli italiani si accontentava della cerchia dialettale. E questa, invece di essere fonte e ri-

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serva di genuinit e espressivit, costitu ancora per tutto il secolo e il primo decennio del successivo, un ghetto513 . 218. Preferenze dialettologiche Accanto alla ragione storica che imponeva al raziocinio dellAscoli, questo riserbo, agiva nella sua mente uno stato danimo determinato dai tempi. La linguistica di allora, nata nellambito delle curiosit e sensibilit romantiche, guardava ai problemi con tanto maggiore interesse quanto pi questi appartenevano alla genuina natura delluomo, estranea alle deformazioni della cosiddetta civilt. Da questo punto di vista, non la lingua letteraria ma i dialetti sembravano condurre a rivivere gli svolgimenti spontanei delle popolazioni, allombra dei municipi e dei campanili; e, pi indietro nella preistoria, a tutti quegli indizi di civilt (e lingue) sconosciute, che non erano state deformate dalla classicit greca e romana. LArchivio glottologico italiano, che teoricamente doveva esser consacrato a documenti linguistici di qualsiasi natura, fu in realt per decenni un archivio di indagini sui dialetti italiani. Questi ebbero nellAscoli il loro principale cultore, e costituirono fino alla grande guerra si pu dire lunico oggetto di lavoro e ricerca creativa nellambito dei linguisti italiani. Testimonianza di questi interessi fu lItalia dialettale, il celebre articolo dellAscoli pubblicato nellEnciclopedia Britannica514 . La tradizione degli studi dialettologici si continu per un quarantennio attraverso i contributi di Francesco dOvidio (1849-1925) sul dialetto di Campobasso, di Carlo Salvioni (1858-1920), sul dialetto milanese, di
513 514

De Mauro, Storia linguistica, cit., pp. 21 sgg. E nellArchivio glottologico italiano, 8, 1882-5, pp. 98-

128.

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E. G. Parodi (1862-1923) sui dialetti liguri, di Matteo Bartoli (1873-1946) sul dalmatico, di Clemente Merlo (1879-1966) sui dialetti meridionali e quelli ticinesi, di Carlo Battisti (n. 1882) su quelli ladini, di B. Terracini (1886-1968) su quelli piemontesi. Sacrificata da questi interessi, divergenti verso la dialettologia e la lingua letteraria, la poesia dialettale si rinchiuse sempre pi nel suo quadro folcloristico. Ne fu vittima anche quella, di buon livello, di G. G. Belli (17911863), con i suoi sonetti cos efficaci e genuini, atti per confessione del loro autore a rispecchiare soltanto una lingua abietta e buffona non a tradurre, ad esempio, i Vangeli515 . 219. Assestamenti grammaticali Le incertezze grammaticali a met del secolo XIX sono esigue. Decade il ne ci come pronome atono di prima persona plurale516 , cede li come articolo plurale. Si regolarizzano Il zio, I stenti, sostituiti da lo, gli517 . Si generalizza la concordanza qualche speranzA, qualche decinA al posto di speranzE, decinE. Si accresce il valore nominale del participio presente: presidente DEL tribunale, al posto di presidente IL tribunale. Appaiono due toscanismi eri per eravate518 , e specialmente noi si dice per diciamo519 .
Devoto, Profilo di storia linguistica italiana, cit., p. 121. Migliorini, op. cit., p. 706. 517 Op. cit., p. 629. 518 Op. cit., p. 630. 519 Op. cit., p. 706.
515 516

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220. Attivit lessicografiche Gli inconvenienti di non aver potuto imporre con la forza le tesi manzoniane, la impossibilit di affidare alla successione dei secoli la unificazione linguistica furono attenuati da due circostanze differentissime fra di loro. Luna fu rappresentata dalle imprese lessicografiche, in particolare due. La prima, di genuina ispirazione manzoniana, il Novo vocabolario della lingua italiana di G. B. Giorgini e E. Broglio (4 voll. Firenze 1870-1897) che, gi nella grafia del titolo (Novo, preferito come forma fiorentina al normale nuovo) presentava in modo polemico il principio informatore delle sue scelte. Laltra non dipende, come pure ci si aspetterebbe, dalla Accademia della Crusca, che pure nel 1863 pubblicava il primo fascicolo della sua 5 edizione520 . II secondo filone si impersonava invece in un personaggio caratteristico, Niccol Tommaseo (1802-1874) che, al di fuori di ogni teoria e abbinando una energia di lavoro e una sensibilit lessicale di grande classe, condusse a termine due opere classiche. La prima fu il Dizionario dei sinonimi, uscito in prima edizione nel 1830-1832; la seconda il grande (non ancora in tutto sostituito) Dizionario della lingua italiana in collaborazione con B. Bellini. La validit dei giudizi e delle scelte del Tommaseo non diminuita dalle estrosit e vivacit dei suoi giudizi. Nato a Sebenico in Dalmazia, aveva appreso perfettamente la pronuncia fiorentina521 e fu in grado di giudicare in maniera autonoma, ancorch risentita, la lingua del suo tempo, per esempio: gergo composto di vocaboli e maniere esoti520 Arrivando con una prima parte dellXI volume (alla voce ozono) nel 1923 e rimanendo da allora interrotta. 521 Migliorini, op. cit., p. 594.

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che, stranamente figurate, ricercate nella ineleganza, ridevoli a chi ne conosce lorigine522 .
522

Op. cit., p. 691.

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Capitolo quarantacinquesimo Conseguenze dellunit politica

221. Ispirazione classica La morte di Alessandro Manzoni (1873) segue a breve distanza di tempo la liberazione di Roma e la unificazione effettiva dellItalia (1870). La polemica che si era svolta fra il dirigismo-populismo manzoniano e il liberismo ascoliano viene meno. LAscoli si concentra nello studio dei dialetti. E mentre la posizione di questo rimane statica in relazione con le strutture immobili della societ, il dibattito si concentra negli strati linguistici superiori. Nel quarantennio seguente (1870-1910), allalternativa dottrinale di populismo e liberismo si sostituisce lalternativa fra momento epico e momento musicale nelle realizzazioni della lingua letteraria. Il momento epico si manifesta per primo, strettamente legato agli affetti che avevano accompagnato la unificazione dellItalia: la Terza Roma, dopo quella dei papi e degli imperatori romani, veniva non a smentire ma a sintetizzare le tradizioni antiche, e in particolare quelle imperiali, classiche. Gli spezzettamenti dialettali, propr dellet media, erano paralleli alle erosioni, che il cristianesimo aveva operato nella visione della vita, nellagonismo sportivo, negli agi e nei lumi delle abitazioni e delle terme. A questa esplosione di affetti non poteva bastare n il culto di una unit linguistica, intesa solo da un punto di vista materiale, n una lingua poetica, che ponesse solo problemi esteriori di prosodia. Interprete, anzi trasfiguratore di questi affetti, fu Giosue Carducci (1835-1907). Egli manifest presto i suoi sentimenti antimanzoniani, anche per una ragione psicologica: lui toscano, pieno di fervori politici, reagiva a quel monopolio fiorentino, patrocinato da

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un lombardo, politicamente moderato. Era una visione destinata ad apparirgli, nella migliore delle ipotesi, come artificiosa. Se attenu il rigorismo esteriore delle forme e realizzazioni manzoniane, mostrando per ci stesso un apprezzabile senso della misura, nella lingua poetica accentu moltissimo il patos della prosa, facendo intervenire poderosamente le imagini e i miti e le armonie della antichit classica, le metafore, le personificazioni, il periodare fastoso, solenne, linvettiva, la polemica alata. La orazione in memoria di Garibaldi, un commento letterario, un dibattito storico-politico, si trasfiguravano sotto la sua penna in un racconto epico, in unalta testimonianza delle possibilit insite nelle strutture linguistiche italiane. 222. Schemi carducciani Pur professandosi contrario alla retorica, ebbe il Carducci una sua retorica. Se non elabor una dottrina grammaticale sua, riflett e descrisse quelli che erano i suoi ideali linguistici: per una lingua del Cinquecento, che si redimesse dalla barbarie medievale; per una lingua moderna che, smesso il belletto delle Accademie, gittate le fogge straniere e labito provinciale, tornasse ad avere qualit forti almeno e pure, nazionali e popolari. Questo non gli imped, nei casi particolari, di ricorrere a soluzioni contrastanti ed estreme, da una parte violentemente latineggianti come nella cerula Addu-a di fronte al normale italiano Adda, sia in altrettanto violente italianizzazioni come Voltero dal francese Voltaire o Cromuello dallinglese Cromwell. Nella lingua poetica i modelli da cui part non furono quelli, fortemente ritmati, del Manzoni ( 213), ma gli endecasillabi sciolti del Parini ( 204) svolti dal Leopardi nella forma severa delle sue canzoni, non chiuse alla rima, ma piene di riserbo antimelodico. Da queste pro-

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cedette, cercando nei ritmi classici qualcosa che potesse mettere a frutto nuove, applicazioni nella lingua poetica contemporanea. Non si limit perci a trattenere gli eccessi melodici tradizionali, ma costru ritmi nuovi, con le cosiddette Odi barbare, cominciate con lode dedicata allAdda (1873) e culminate nelle Fonti del Clitunno. La idea conduttrice del Carducci consisteva nel perseguire schemi metrici classici, identificando i tempi forti del verso classico con gli accenti di parola italiani, sia pure rinunciando alla distinzione delle quantit vocaliche: ricostru esametri o odi saffiche e alcaiche, e altri schemi ancora. Naturalmente, occorrevano mani esperte, per arrivare a un risultato che fosse sintesi e non giustapposizione o contaminazione. Se non si pu dire che si sia stabilita in conseguenza una continuit durevole, i modelli carducciani nella storia della lingua poetica italiana rappresentano una aggiunta e una svolta, superiore, anche se non pi duratura, rispetto a quella stessa operata da Dante523 . 223. Musicalit Il periodo doro della tradizione carducciana come autorit e prestigio di modelli stilistici comprende per solo il quindicennio 1875-90. Alla impronta epica viene, a un certo momento, a contrapporsi limpronta melodica e lirica, impersonata, ancor prima degli anni Novanta, da Gabriele DAnnunzio (1863-1938). Da un punto di vista formale, la principale differenza sta nel fatto che, mentre presso il Carducci la lingua della prosa obiettivamente qualcosa di intrinsecamente diverso da quella della poesia, presso il DAnnunzio, la ispirazione musicale domina ugualmente le due tradizioni, fa s che i due fi523

Devoto, Profilo di storia linguistica, cit., p. 133.

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loni si avvicinino. Una giustificazione di ordine negativo sta nel fatto che la societ italiana, dopo essere stata dominata dalla grande novit della unificazione e dalle tentazioni per una sua interpretazione epica, a poco a poco si era avviata verso altri interessi. Nel grigiore della vita corrente, si era adagiata in una visione della vita, che era positivistica nelle scienze e nella filosofia, ed edonistica nelle arti e nella vita comune. Di questo edonismo, realizzato attraverso la musicalit della prosa, il DAnnunzio fu interprete massimo: il suo capolavoro fu in questo senso il romanzo Il trionfo della morte (1894). Questo veramente il maggior campione di realizzazioni linguistiche, evocatrici di una atmosfera, attraverso una melodia del periodo, che non mai pi stata superata. Dal punto di vista lessicale, le parole preziose sono foggiate volta a volta nelleccesso di una vena rara, oppure riesumate con fedelt storica, talvolta prese materialmente di peso da fonti altrui524 . Allopposto del Manzoni, il dialogo sempre stilizzato, come in una recita ideale e permanente, mai riferibile a una realt, cos di forme particolaristiche come di contenuti umani. In queste condizioni la novit della lingua della poesia risalta un po meno di quella della prosa. Comincia precocissima col Canto novo (1882), meno originale e coerente di quella carducciana; delimitata con somma cura, caratterizzata piuttosto dal di fuori con ritmi meno arditi, e invece con vocaboli altrettanto e pi preziosi. di musicalit altrettanto estrema, attinta alle fonti, nel dramma La figlia di Jorio. Raggiunge vette di artificio nelle Canzoni di Oltremare che, inserite nella vicenda della guerra dAfrica del 1911-1912, rappresentarono un
524 Documento della sordit degli uomini di lettere italiani sono gli Atti della Tavola rotonda; DAnnunzio e la lingua letteraria del Novecento in Quaderni dannunziani XL-XLI (1972).

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contesto unitario fra le realizzazioni linguistiche e le vicende di una societ, interpretata e sollecitata da una visione estetizzante. Ma, a differenza del Carducci, e ancor pi del Manzoni, gli schemi stilistici da lui impersonati, appassirono presto. Alla fine della grande guerra egli si chiuse cinquantacinquenne, col Notturno in schemi elementari, idillici, contrari alla sua sensibilit effettiva. Il nuovo corso gli assicur plauso da parte dei critici, intonati a un gusto lontano dalle ornamentalit tradizionali, ma chiuse la sua significanza storico-linguistica, con un ventennio di anticipo sul suo ciclo mortale525 . 224. La prosa comune La prosa borghese, che si accompagna a queste vicende non ha bisogno di analisi approfondite. Allingrosso i filoni da seguire sono due, dei quali il pi antico e togato legato alla dignit carducciana. Come rappresentanti estremi di questa corrente possono esser considerati agli inizi un coetaneo del Carducci, il filosofo Francesco Acri (1836-1913), che volse il suo sentimento di dignit linguistica verso una sintassi immacolata, una contemplazione estatica dei grandi modelli trecenteschi, quasi per adeguarsi alla dignit dei personaggi dei dialoghi di Platone, da lui tradotti. Allestremo opposto, di stretta discendenza carducciana, uno dei suoi ultimi discepoli, Manara Valgimigli (1876-1965) cos nei saggi come nelle sue traduzioni, si mantenne in una linea di classicit esaltata e armoniosa, purificata e acquetata dal temperamento meno combattivo di quello del maestro, pi aperto a popolarismi conviviali, moderno nel senso migliore della parola.
525

Op. cit., p. 135.

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Laltro filone, non tradizionale, alieno da ogni retorica, ispirato a periodi semplici a un rispetto intrinseco per le tradizioni linguistiche non legate a un capostipite, inclini al purismo, si realizza in tre autori che sono i pi significativi per delineare la prosa intermedia, aliena dalle stranezze e dalle novit, eppure genuina, nella aderenza delle parole cos alle cose come ai sentimenti. I tre tempi sono rappresentati successivamente da Edmondo De Amicis (1846-1908), divenuto famoso attraverso un suo libro per ragazzi intitolato Cuore (a torto svalutato in tempi pi vicini a noi), fondamentale per la struttura elementare paratattica del suo periodare. Nel campo teorico, polemizz in fatto di purismo e a questo culto romantico dedic un libretto apposito ben noto, lIdioma gentile (1905). Il secondo tempo rappresentato da Alfredo Panzini (1863-1939), che fu campione fino alla Grande guerra di un periodare ingenuo e attonito, e mostr interessi lessicali, raccogliendo per primo i neologismi italiani, sottomettendoli a critica pi o meno spiritosa nel Dizionario Moderno e diventando infine altro alfiere, anche se meno autorevole del De Amicis, del purismo. Infine, terzo fu Ugo Ojetti (1871-1946), venuto dal giornalismo e non dalla letteratura e, appunto per questo, pi lontano dal manierismo, e nel tempo stesso pi sorvegliato nel discutere di fatti linguistici, al di l delle generiche professioni di fede puristica e delle puntate terroristiche e degli anatemi che di solito vi si accompagnano. 225. La prosa burocratica Al di sotto di questa prosa letteraria, sia pure non legata ad ambizioni, lunit dItalia propose il problema della lingua dellamministrazione, la quale ha la sua realizzazione pi importante nei testi delle leggi. Le polemiche contro i difetti della lingua giuridica italiana preesistevano allunit e, non diversamente dalla

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lingua letteraria, consistevano nella critica alle imprecisioni, ai neologismi e ai forestierismi. Di questo T. De Mauro526 ha dato un sommario di notevole interesse. Pi che i dati di fatto interessano qui i simboli, quali poterono essere, ad esempio, i lavori di Gaetano Valeriani527 . Le cause di queste difficolt specifiche per una lingua della amministrazione sono pi evidenti nel linguaggio giuridico perch, dal punto di vista del magistrato, deve tenere il massimo conto della precisione e diciamo del tecnicismo e della formalizzabilit, ma da quello dellavvocato, dellarte suasoria, che culmina nellarringa penale davanti ai giurati, fatta di commozione, di genericit, di popolarit. Del patos che accompagn questi dibattiti sono esempi efficaci nel libro citato (alla nota 5) del Valeriani; p. es. a p. 10: Come sar mai possibile che si possa per noi adempiere a quelle leggi che voi cimponete, se... non le scrivete in italiano...? Scrivetele almeno in arabo, in sanscrito... con una lingua qualunque ma esistente.... A p. 21 sotto CONTABILE: Come potremo noi osservare ed obbedire alle vostre leggi se le non si intendono? perch contabile, secondo lautore, significa che pu essere contato. Questo zelo non impedisce allautore di scrivere (a p. 27) che non si pu negligentare lortografia, n che, a proposito di una parola definita bassa, si commetta cosa indegna del Codice di una nazione in pronunziandola ancora (p. 36).
Storia linguistica dellItalia unita, Bari 1963, pp. 424-435. Valeriani, La lingua dei nostri legislatori ossia Dizionario degli errori di lingua intrusi nel codice penale del Regno dItalia, Napoli 1867.
526 527

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Capitolo quarantaseiesimo Prime evasioni

226. Sentimentali Il sistema linguistico nel quale ha preso forma il linguaggio dItalia nel passaggio dal XIX al XX secolo, ha mostrato dunque due aspetti importanti: una certa elasticit, che ha permesso di attuare procedimenti di costrizione, e una solidit sufficiente per sopportare procedimenti di sopraelevazione delledificio linguistico, o addirittura di evasione. La esigenza espressiva degli uomini difatti cosa viva, ed quindi normale che possa trovarsi in conflitto col sistema. Per lungo tempo gli uomini non si sono resi conto di questa esigenza, e hanno accettato, con maggiore o minore disciplina, i canoni delle poetiche, cos nel campo delle lingue letterarie come nelle arti figurative o nella musica. Tutto questo ha cominciato a esser messo in discussione un secolo fa528 . In fatto di lingua, linsieme di questi impulsi si raggruppano sotto il titolo comune di fatti di evasione. Un primo procedimento di evasione consiste nelluscire dallambito geografico normale della lingua letteraria, scavalcare gli elementi simbolici che la hanno fissata e stabilire un collegamento pi diretto con le imagini. Questo si verifica attraverso limpiego della onomatopea, tutte le volte che si tratti di imagini acustiche, suscettibili di essere tradotte in parole. Levasione in questi casi dominante, non solo perch si tratta di uscire dalla lingua letteraria normale, ma in fondo da OGNI lingua letteraria, di affermare un ideale di totale liberazione dalle
528

Devoto, Civilt del dopoguerra, Firenze 1955, pp. 57 sgg.

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strutture linguistiche, consacrate dalla storia, seguendo un filone sentimentale. Lautore che ha pi coerentemente e audacemente dato via libera a questo indirizzo, stato Giovanni Pascoli (1855-1912). Nei suoi Canti di Castelvecchio si legge ad esempio nella poesia Luccellino del freddo il verso ritornante trr trr trr terit tirit529 (p. 13-4); e nella Pania (p. 21) E me segue un tac tac di capinere, e me segue un tin tin di pettirossi, un zisteretetet di cincie, un rererere di cardellini...: Questa aderenza alla natura da parte del Pascoli era direttamente legata a UNA natura, quella della Garfagnana, nellAppennino prossimo alla citt di Lucca, ambiente montano contadino di abbondante emigrazione. Questa ha fornito al Pascoli unaltra occasione di evadere, attraverso le parole del gergo italo-americano, che vi si inserivano, e che il Pascoli ha accolto in poesia, tali il Re Erode, oppure la stima, adattamenti rispettivi delle parole inglesi rail-road e steamer. Lindirizzo pascoliano ha dato luogo a polemiche e a giudizi severi, non per ragioni teoriche ma perch quel suo rifugiarsi, tra limbarazzato e linfantile, nel regno dellIneffabile diede a tanti fra laltro anche a Benedetto Croce530 , lo spunto per negargli quella validit poetica, che ovviamente si fonda su valori universali. Tuttavia i confini di un sistema linguistico non sono rigidi, e a ciascun utente lecito valersi delle sue strutture ora preferendo quelle pi generali e aperte, se non proprio universali, ed ora servendosi di altre pi particolari e chiuse. Pi che di questioni di principio si tratt di mode. Secondo la spiritosa imagine di Renato Serra531 ,
Citazioni dalledizione Zanichelli, 12 ed., Bologna 1926. Giovanni Pascoli, Bari 1920. 531 Vedi Devoto-Altieri, La lingua italiana, Torino 1968, p. 196.
529 530

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a un certo momento, cambiata la moda, la gente ritir dai davanzali quelle tante gabbiette di uccellini che in onore del Pascoli aveva esposto. 227. Realistiche Una evasione, pi fredda e calcolata, era stata nel frattempo attuata da Antonio Fogazzaro (1842-1911) nei suoi romanzi, attraverso lo scrupolo di fedelt linguistica nei riguardi di certuni dei suoi personaggi che, nella realt ricostruita, dovevano effettivamente parlare il dialetto. Si tratta qui non tanto di un evasione da un sistema organizzato, quanto di una NON-entrata e cio di una evasione anticipata, legalitaria. La antitesi, con la tecnica del Manzoni, particolarmente per quello che riguarda i paesaggi e i dialoghi, netta. L dove il Manzoni costringe il sistema comune della lingua a descrivere paesaggi disancorati dalla piccola realt topografica, per trasferirli in imagini universali, ecco che il Fogazzaro li particolarizza davanti ai loro nomi specifici, che diventano quasi le loro onomatopee: ogni cima, ogni abitato, ogni corso dacqua si rifiuta presso il Fogazzaro di entrare in una categoria pi generale, fuori della sua individualit. Non si tratta tanto di evasione, quanto di rinuncia alla costrizione. L dove si tratta di dialogo fra personaggi di diversa collocazione sociale, il Manzoni li trasfigura allineandoli sul piano unico della lingua letteraria nazionale, mentre il Fogazzaro rifiuta qualsiasi trasfigurazione, e si limita a registrare in forma dialettale genuina, integrale o attenuata, le presunte parole degli interlocutori: sulle parole lasciando prevalere le cose; seguendo un filone di realismo, per rinunciatario. Gli elementi dialettali che consentono qui una evasione, sia pure ragionata, dal sistema della lingua letteraria, subiscono inversamente l invasione di forme letterarie nel caso della poesia dialettale, che sfugge sem-

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pre pi alle tentazioni ambiziose di esprimere valori diversi da quelli strettamente locali. Il confronto fra la percentuale di italianismi presso poeti romaneschi come il Belli, o il Salustri (Trilussa) porta a constatare che le parole foneticamente identiche alle italiane corrispondenti sono il 60% presso il Belli ma il 71% presso Trilussa, le parole prettamente vernacole sono il 4% presso il Belli, l1% presso Trilussa, le parole parzialmente discordanti sul piano fonologico sono il 36% presso il Belli, il 28% presso Trilussa532 . 228. Esuberanti I piani del racconto533 , quali si dispongono nelle strutture tradizionali della lingua italiana, consentono di allineare: a) un seguito di esperienze personali e memorie, segnalati dal pronome personale di 1 persona (IO, NOI), e quindi di contenuto prevalentemente lirico; b) un dialogo fra due o pi interlocutori, segnalato dal pronome di 2 persona (TU, VOI), e quindi di contenuto drammatico; c) un seguito di eventi compiuti o subiti da estranei, segnalati attraverso un soggetto di 3 persona, e quindi di contenuto sostanzialmente narrativo, o epico. Il Fogazzaro del Piccolo mondo moderno (1900 sgg.) affrontando temi delicati di consapevolezza religiosa, si trovato coinvolto in situazioni, nelle quali il rapporto tradizionale fra il narratore e le cose narrate non bastava pi. La figura del narratore vi si intreccia con quella dei personaggi, e il testo che ne deriva mostra incertezze e sbandamenti, una lingua letteraria dimessa, inculta. Questa disarmonia, questi balbettii sono paragonabili al532

De Mauro, Storia linguistica dellItalia unita, Bari 1963, p.

137.
533 Vedi Devoto, Linguistics and literary Criticism, New York 1963, pp. 63 sgg.

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le incertezze degli antichi placiti cassinesi, sulla soglia di una lingua nuova che, mescolando inorganicamente particolarismi, latinismi, interregionalismi, anticipano lavviamento verso strutture nuove. Ma, allinterno della terza categoria, gi in et romana, si era costituita una variante ( 79) subordinata, attraverso il cosiddetto costrutto indiretto libero. Riducendo i segnali propri del discorso indiretto, e cio del regno della 3 persona, costituiva un avvicinamento verso il sistema della 2 persona, rappresentava qualche cosa di intermedio fra il regno dellepica e quello del dramma534 . Giovanni Verga (1840-1922), nel suo romanzo I Malavoglia, introduce in questo ambito altre distinzioni. La prima frase del libro Un tempo i Malavoglia erano numerosi come i sassi sulla antica strada di Trezza. Bench la struttura formale sia regolare, quella del racconto epico, ecco che la natura della similitudine ci mette in allarme. Normalmente la similitudine fatta per aprire verso un mondo pi vasto. Questa affermazione invece chiude nel mondo ristretto in cui si svolger il racconto. E cio la similitudine in realt messa sulla bocca dei personaggi che vivono sui luoghi, un discorso diretto, o un coro, posto su un piano del racconto, che NON pi quello epico. La stessa tecnica di presentare sul piano del racconto in 3 persona, parole che in realt sono sulla bocca di singoli personaggi o di gruppi e cio sul piano del TU e del VOI costante e, attraverso i Malavoglia, d un carattere tipico alle possibilit espressive del linguaggio dItalia, nella ultima parte dellOttocento.
534 Vedi Herczeg, Lo stile indiretto libero in italiano, Firenze 1963; cfr. Zeppetella, Archivio glottologico italiano, 54, 1969, pp. 260-266.

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229. Povere Levasione pu anche essere non voluta, determinata da un preesistente insufficiente ambientamento dellautore nel seno delle istituzioni linguistiche del suo tempo, una testimonianza di povert. Tale il caso di Italo Svevo (1861-1927), scrittore triestino, dominato, non diversamente dal Manzoni della giovinezza, dal binomio dialetto locale lingua straniera pi vicina, in questo caso il tedesco. Il suo valore documentario sta perci non tanto in schemi congeniali o preferiti, quanto in difetti di esperienza, debolezze, sordit. A differenza del Manzoni, non ebbe velleit n occasioni per dibattere il problema, e tanto meno per risolverlo, con criteri normativi. Fu un pioniere, in quanto trasfer difficolt essenziali dalla lingua comune a quella letteraria, ma non propose n impose soluzioni, e tanto meno instaur una tradizione. Per ragioni di contenuto, investi invece i problemi dei piani del racconto, con la differenza per che alla alternativa del narrato e del dialogato, propria del Verga, sostitu la alternativa fra il narrato e il ricordato, fra la 3 e la 1 persona, con un avvicinamento epico-lirico che non ebbe in Italia altri confronti. Delle sue difficolt ebbe coscienza, ma ne trasse conseguenze solo di ordine negativo, accettando di ripubblicare una edizione riveduta del suo romanzo Senilit, nel quale le correzioni per non rispecchiano n una affermazione della sensibilit dellautore in via di svolgimento n una visione organica altrui. 230. Futuriste Si arriva cos alla sola vera organica evasione, quella impersonata dai futuristi e dal loro capo riconosciuto, Filippo Tomaso Marinetti (1872-1944). Essa si identifi-

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ca in una lotta contro tutte le strutture giudicate superflue e sopraffattrici, condotta cos sul piano tecnico, come su quello emotivo. Il movimento non soltanto italiano n soltanto linguistico, perch coinvolge ambienti internazionali, specialmente francesi. Il manifesto dei futuristi stato pubblicato nel giornale parigino le Figaro il 20 febbraio 1909. N fu limitato alle convenzioni linguistiche, perch invest anche quelle figurative e musicali. La rivista fiorentina Lacerba fu per breve tempo il suo organo. I comizi arieggiavano i modelli delle contestazioni moderne, con la differenza che avevano sempre qualche cosa di monellesco e di sorridente, a differenza degli spettacoli truci e barbuti di oggi. E poich la classicit tradizionale della societ italiana era lo specchio di un tradizionalismo sociale, ecco che la propugnata rivoluzione linguistica era un caso particolare, nel quadro di una sia pure velleitaria rivoluzione politico-sociale, non soltanto contro la borghesia, ma anche contro le organizzazioni del proletariato. La lotta per la liberazione propugnava la distruzione delle armonie tradizionali nella musica, in favore dei rumori; di quanto fosse raffigurazione e imitazione della natura nella pittura; in favore di contrapposizioni di forme geometriche e di colori, prive di qualsiasi carattere formale; contro tutti i segnali grammaticali superflui, e per la generalizzazione di strutture telegrafiche, per esempio contro la punteggiatura, le parole accessorie; contro le desinenze eccessivamente specializzate. Per usare immagini del tempo lirruenza del vapore-emozione far saltare il tubo del periodo, le valvole della punteggiatura e i bulloni della aggettivazione535 o anche: bisogna distruggere la sintassi, disponendo i sostantivi a caso come
535

Migliorini, Storia della lingua italiana, cit., p. 680.

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nascono536 . Nel ritmo si deve fare un ulteriore passo al di l del verso libero, verso le parole in libert. Mentre la critica delle convenzioni pittoriche e musicali lasci tracce anche feconde, nella lingua la esplosione fu clamorosa ma poco concludente. Non solo non si instaur una tradizione rinnovata, ma lo sport e la guerra, due cardini della visione della vita futurista, furono fonte di clamorose degenerazioni retoriche, attestate dalle cronache calcistiche degli anni 1910-15537 o dalle corrispondenze di guerra cos dallAfrica nel 1911-12, come dalla guerra europea 1915-18.
536 537

Devoto-Altieri, op. cit., pp. 14.5 sgg. Lingua nostra, 1, 1939, pp. 17 sgg.

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Capitolo quarantasettesimo Dalle evasioni alla classicit

231. Ermetisti Un secondo spunto per evasioni, tutto diverso, doveva farsi sentire non appena il dialogo, anzich nei riguardi della societ immobilistica dellultimo Ottocento, si dovette svolgere, trovando difficolt, in quella totalitaria del ventennio 1925-1945. Di fronte al dannunzianesimo che aveva cercato la melodia, lermetismo, quale si manifest soprattutto nella cerchia della rivista fiorentina Letteratura (1937 sgg.), ricerc, coltiv ideali amelodici. A differenza del clamore dei futuristi, favori le pause, i silenzi, ad esempio quelli di Giuseppe Ungaretti (1888-1970), le parole tenui, i periodi disadorni. Le metafore furono prese spesso dalle lingue tecniche, non gi per meccanizzare enunciati e lettori, ma per rinforzare la impassibilit di fronte alle emozioni: tale la costante per caratteristica, presa dalla terminologia della fisica, e applicata nella critica letteraria, a definire un autore. La istanza viene invece dal linguaggio giuridico e prende il posto della esigenza o rivendicazione. Non parliamo della rumorosa terminologia politica del tempo, che, nel quadro degli ermetici, non avrebbe mai potuto trovar posto neanche svirilizzata o attenuata. Al di l delle applicazioni, la parola in s diviene oggetto di attenzione esclusiva, e quasi di culto. Intorno a una parola centrale o essenziale, si dispongono, come in una costellazione, parole satelliti che ricevono dalla prima una luce particolare. Due versi di Eugenio Montale come viaggiano la cupola del cielo= =non sai se foglie o uccelli= =e non son pi, hanno lo stesso potere evocativo in questa direzione che gli avvicinamenti di forme come stelle che

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esorbitano capriolo che esulta cipressi equinoziali del Luzi. I suoi svolgimenti estremi stanno nel fatto, per usare le parole di M. L. Altieri538 che la parola sottratta al flusso melodico ritmico sintattico... veniva lasciata sola a tremare nel verso che in lei si esauriva, isolato dallo spazio bianco, dal silenzio. Allestremo opposto si associa, invece che a orgoglioso isolamento, a umile ineffabilit, raggiungendo cos il limite di una contestazione539 . Nato per una esigenza polemica, lermetismo non poteva sopravvivere alla caduta della societ totalitaria. Se cess immediatamente come tradizione organica, dellermetismo sussistettero gusti e tradizioni particolari. Ne ricordo due: la agilit nel trasferire parole da una lingua tecnica qualsiasi nella lingua letteraria, procedimento cui ha dato grande lustro Gianfranco Contini (n. 1912), e la paratassi spinta, anzi, secondo la Altieri, ossessiva, in cui si realizzano i giudizi di Giuseppe de Robertis, critico attento e sottile nello studio della formazione e del divenire del testo dei suoi autori540 . Intorno allermetismo gravitarono altri procedimenti di arricchimento linguistico, dei quali due meritano di essere messi in rilievo. Il primo si connette con lindirizzo di Carlo Emilio Gadda (1893-1973) che, sia in et prefascista, sia ancora oggi, affianc la tecnica delle realizzazioni linguistiche alla esuberanza delle sue esigenze espressive: ai quali fini associ dapprima, in ardite mescolanze con la lingua letteraria, le risorse del gergo dei combattenti della Grande Guerra, e quelle del suo dialetto nativo, il milanese: arricch il tutto di tecnicismi legati alla sua professione di ingegnere; lo integr con un
538 Devoto-Altieri, La lingua italiana, cit., p. 164 e cfr. Schiaffini in Devoto-Migliorini-Schiaffini, Cento anni di lingua italiana, Milano 1962, pp. 39-68. 539 Sempre secondo M. L. Altieri, op. cit., all. n. 1, p. 173. 540 Altieri, op. cit., p. 201.

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gergo romanesco (non perfettamente naturale) negli ultimi trentanni, da quando risiedette a Roma. Il risultato quello di richiamare con il suo lessico, lussureggiante, limagine di una foresta tropicale541 . Che questo non sia un istinto incontrollato ma una precisa volont ragionata provato dalle seguenti sue parole: I doppioni li voglio tutti, per mania di possesso e per cupidigia di ricchezze: e voglio anche i triploni e i quadriploni542 . Lautore domina non solo le strutture linguistiche, ma si impone attraverso le vicende di una comunit preermetica ermetica postermetica, cos come in et prefascista fascista postfascista, sostanzialmente coerente e immutata, nei suoi princip informativi, la sua personalit. 232. Neorealisti Il filone opposto nasce da una esigenza non individuale ma collettiva. Esso immerso e condizionato dalla societ italiana, quale uscita dalla seconda guerra mondiale. Sotto la pressione delle evidenti conseguenze della guerra, nacque il gusto, alle volte masochistico, di analizzare la realt in modo spietato, non soltanto nellambito letterario. Fu il momento del cosiddetto neorealismo, che ebbe successo immediato nel cinema. Film come Riso amaro o Due soldi di speranza, al di l di Roma citt aperta o Ladri di biciclette, indicarono alle strutture linguistiche dei modelli. Questo si manifest sul piano letterario nel dirottamento dellinteresse dai pomposi ambienti dei benestanti verso quelli dei poveri. Questo si manifest nella presa di posizione di fronte a quella equivalenza linguistica degli strati umili della popolazione, che erano i dialetti. A differenza dellOttocento, quando ap541 542

Alberi, op. cit., p. 259. Da Altieri, op. cit., p. 258.

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parivano come testimonianza di una realt pi vera ingenua e genuina, ora venivano presi in considerazione come una testimonianza sociale. Immediatezza psicologica, precisione oggettiva nella attivit quotidiana apparirono subito evidenti a scrittori in cerca di realt nuove. Al di l delle strutture dialettali, proprie di uno spazio geografico, comparivano le strutture caratterizzate, su quello tecnico-sociale: di fianco ai dialetti, cio, i gerghi di mestiere. Larghi orizzonti di ringiovanimento e rinnovamento della tradizione linguistica apparvero evidenti. Chi pi di ogni altro si fece interprete di questa esigenza e si diede a svilupparla in modo costruttivo e coerente fu Pier Paolo Pasolini. I suoi romanzi Ragazzi di vita, Una vita violenta, non conducono naturalmente a un rinnovamento linguistico, perch, per ragioni artistiche, devono rimanere confinati nellambiente dialettale suburbano, bidonvilliano. Ma un sistema linguistico non si compone solo di strutture permanenti, valide nella totalit del territorio nazionale e delle normali circostanze quotidiane, come gi era stato il caso del Pascoli ( 226). Si compongono anche di unit facoltative, che possono esser messe a disposizione occasionalmente, senza pretendere di acquistare una cittadinanza e una maggiore et in modo definitivo. La bravura del Pasolini appare poi anche attraverso il fatto che gli elementi dialettali e gergali, da lui introdotti, non consistono solo in espressioni violente o grossolane ma anche in attenuazioni ed eufemismi. Esclusa invece la possibilit o la legittimit che una evasione di questa natura possa ringiovanire tradizioni e strutture del sistema linguistico italiano. 233. Avanguardie Con maggiore chiarezza, il problema si pone a proposito dei movimenti di avanguardia, dei quali la testimonianza

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pi significativa la Antologia detta dei Novissimi543 . Le ragioni sono due. La prima sta nel carattere pregiudiziale, protestatario, che fa consistere le avanguardie nella comunicazione della negazione della comunicazione esistente. chiaro che alla fine di un procedimento di questa natura, si arriva, come ha riconosciuto uno degli esponenti del movimento, Angelo Guglielmi, a accettare il silenzio. Ma la vera debolezza e insignificanza del movimento delle avanguardie sta nel fatto che si muovono in una contraddizione interna, illuse come sono che, mettendo in crisi le strutture linguistiche di una comunit, si affronti un caso particolare di quella globale contestazione della intera societ, che nei loro voti. Le cose non stanno cos. Come ha mostrato benissimo la Altieri544 , le sperimentazioni delle avanguardie sono fatti di aristocrazia, che presuppongono un ambiente chiuso di pochi iniziati, totalmente estranei alle possibilit e ai gusti delle masse. In queste condizioni le avanguardie non solo non hanno condotto a nessun risultato, neanche negativo, sul terreno linguistico. Esse si sono rivelate in totale contrasto con tendenze e gusti oggi in atto. Come esempio di queste sperimentazioni mi limito a uno degli esempi pi moderati, di Alfredo Giuliani545 : Ma io-qui-ora, dolorosa sospensione, so = che non basta, non ammetto la conclusione =, non indulgo, lo stesso, la noncuranza = si corruga. Con gli anni tutto diviene = simbolico, capire un sentito dire, poesia = nientaltro che paralogia dei soliti discorsi. Questa sentenza, che fra le meno scompaginate della raccolta, va confrontata con la presa di posizione teorica dello stesso autore546 . La visioA cura di Alfredo Giuliani, Milano 1961. Op. cit., p. 268. 545 Tratto dai Novissimi, (opera citata alla n. 7), p. 190. 546 Op. cit., p. XVIII.
543 544

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ne schizomorfa con cui la poesia contemporanea prende possesso di s... tipici caratteri la discontinuit del processo imaginativo, lasintattismo, la violenza operata sui segni... Non pi la evasione, occasionale o pianificata che sia, ma una evasione totale, che va dalla frattura tra unit lessicali e valori semantici, al groviglio di piani del racconto intersecati. 234. Prelievi lessicali Queste evasioni che mirano a chiudere lesercizio della facolt linguistica in cerchie ristrettissime, possono dar luogo a novit strane, anche se non necessariamente capricciose. Un bellissimo esempio di spostamento coerente dato dalle metafore applicate alle imagini del corpo umano in un gruppo beat, ispirate alla visione strumentale e meccanica. Per essa i gomiti sono detti angoli, dente diventa avorio, ombelico centro, pelle fodera, mani tentacoli, cervello motore, occhi fari, fiato gas, e lo stesso nome diventa stanga547 . Quando si esce da questi casi estremi, levasione consistente nel prelevare unit lessicali affioranti da dialetti o da gerghi occasionali, pu invece condurre a un arricchimento vantaggioso del lessico, senza choc. Si tratta di affioramenti che cominciano con una certa carica affettiva, di voluta confidenzialit, e si dividono in due grandi gruppi. Il primo consiste nei termini che si prendono dai dialetti in quanto creazioni della storia, cristallizzate in aree pi o meno limitate. Da queste non sarebbero mai uscite se, per ragioni sociali, non ci fossero state occasioni di incontri e confronti, dai quali una forma dialettale risultata particolarmente efficace
547

Op. cit., p. 316.

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ed espressiva, e cio avvantaggiata: tale il caso del genovese mugugno brontolamento, nel senso di una protesta che non calcola su un successo, e si limita a fungere da sfogo, privo di reali conseguenze. Se non ci fossero stati contatti col vocabolario dialettale genovese attraverso lampio contesto degli uomini immersi nella Grande guerra, la parola non avrebbe avuto le occasioni per questi confronti, che dovevano portarle riconoscimento e fortuna. Tale la sorte del saluto, da prima veneziano poi anche milanese, poi generalizzato a tutta Italia, e portato addirittura anche fuori dItalia, che ciao: arrivato ora a significare nientaltro che arrivederci. Laltro gruzzolo, penetrato nella lingua letteraria negli ultimi venticinque anni, dopo la guerra mondiale, dato dai meridionalismi pais compaesano, scippo furto con destrezza, per strappo, fasullo disprezzabile (perch non autentico). Una impronta interessante anglo-americana lasciarono, irradiando da Napoli, i ragazzi detti sciusci (dallinglese shoeshine), in quanto si offrivano come lustratori di scarpe. Anche segnorina, riferita al significato restrittivo di passeggiatrice, s litaliano signorina, ma la pronuncia E della vocale protonica vi rimasta come traccia della pronuncia normale sulla bocca dei militari anglo-americani a Napoli, e cio del filone che le ha assicurato fortuna. Alle evasioni sistematiche che investono il sistema, si oppongono infine evasioni minori, quasi migrazioni interne al sistema, che consistono nel prelevare da un settore semantico professionale per trasferirli in un altro, singoli elementi delle strutture linguistiche. Si tratta di quella stessa tecnica che, per altre ragioni, era stata applicata dagli scrittori ermetici quando prelevavano parole proprie del vocabolario scientifico per inserirle nella lingua letteraria. Gli esempi sono infiniti, ma qui la loro quantit o abbondanza non interessa.

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Pi interessanti sono i casi particolari, in cui il prelievo assume un carattere meno quantitativo e tecnico. Questo appare in settori nei quali la tradizione linguistica non si ancora costituita saldamente, in connessione con le novit teoriche o comunque intellettuali. La critica delle arti (figurative o musicali) non ha dietro di s una tradizione paragonabile alla critica letteraria. Il suo vocabolario si viene formando non solo con parole nuove ma anche attraverso metafore prese da altre arti: una sinfonia di colori o i colori squillanti mostrano il passaggio da una nozione musicale a una pittorica. Ma un impasto di note e di toni mostra, inversamente, una nozione musicale definita con termini pittorici. Naturalmente una tradizione non nasce senza dolore. Si conoscono le critiche anche acerbe, di cui la lingua ancora balbettante di certi critici darte stata oggetto da parte di artisti. Questi si sentivano misconosciuti dalla terminologia infelice o immatura dei critici perch creata da gente la quale parlava di quadri e di statue con un frasario da pasticciere548 . 235. Classicit finale La reazione agli squilibri determinati dal bisogno di evasione non consiste soltanto in un ritorno a una classicit esclusiva. Esso si manifest in tre altre forme. La prima di queste consistette nel rifiuto del tradizionalismo ornamentale, attraverso la eliminazione di tutto quello che era superfluo, senza le eversioni dei futuristi. Questa aspirazione, collegata alla presa di conoscenza di correnti ideali straniere come il pragmatismo americano, mirava a riportare le tradizioni linguistiche al loro compito funzio548 Cos Ardengo Soffici citato da Altieri, op. cit., p. 205; cfr. per linsieme del problema De Mauro, Il linguaggio della critica darte, Firenze 1965 con ricchi dati statistici.

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nale di strumento di comunicazione. Questo ebbe una prima manifestazione nel passaggio dal primo al secondo decennio del secolo. Isolata nel succedersi dei gusti e delle mode italiane, la cerchia fiorentina della Voce, fra il 1908 e il 1916, imperson un atteggiamento antiretorico, esercit una funzione di modello e di guida, sia pure attraverso scorribande nel settore esagerato e impulsivo della polemica. Il secondo filone fu meno spettacolare. Dopo il culto del grande, a cui era seguito quello del disordinato, ecco che alcuni tranquilli uomini di lettere e poeti furono attratti dal piccolo. Nella atmosfera del piemontese Guido Gozzano (1883-1916) o del romagnolo Marino Moretti (n. 1885), i diminutivi, semantici o morfologici che fossero, presero rilievo: tali gli alberini invece di alberi, il solicello invece del sole, la capanna per casa, lorto per podere, la aioletta per giardino, il bugigattolo per stanza549 . Nel campo della sintassi, lequivalente di questa minimizzazione fu una nuova ondata di paratassi spinta allestremo. Tali i versi di Sergio Corazzini550 : Perch tu mi dici poeta?= =i o non sono un poeta= =Io non sono che un piccolo fanciullo che piange= =non ho che lagrime da offrire al silenzio. Furono detti questi i crepuscolari, evasori soltanto virtuali, pronti a rimanere nellovile, dimessi ma purificati. Il terzo filone, la vera reazione, cos ai sentimentalismi delle realizzazioni pascoliane come alle sonorit di quelle dannunziane, sta nel movimento che fu detto dal nome della rivista la Ronda551 . Nellambito di questa, e soprattutto per opera del suo fondatore Vincenzo CarDevoto-Altieri, op. cit., p. 131. Op. cit., p. 135. 551 (1919-1923), vedi Cassieri, Antologia della Ronda, Torino 1969.
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darelli (1887-1969) si manifest una specie di poetica del ritegno, che incide profondamente non tanto sulle strutture linguistiche quanto sulla loro funzionalit. Son da citare a questo fine le seguenti proposizioni del Cardarelli: Luce senza colore, esistenza senza attributo, inni senza interiezioni, impassibilit e lontananza, ordini e non figure. Ma proprio perch dominata dal senso della misura, la tradizione linguistica lasciata ad esempio dal Cardarelli per quanto riguarda la frase nominale, offre allo studioso delle strutture via via adottate dal linguaggio dItalia un materiale fecondo552 e in parte nuovo. Chiusa in limiti pi classici, una prosa che non ceda a tentazioni o pericoli di sviamenti e di caducit, pu proporsi ideali di prestigio, arrivare a costituire dopo tante incertezze, un polo di attrazione, una tradizione atta ad imporsi. Anche senza prendere in considerazione schemi e dosaggi, era riuscito al Manzoni, al di l delle sue teorie, di lasciare una tradizione di lingua letteraria italiana, giovanile e insieme capace di durare. Il problema di un aggiornamento e di un ringiovanimento sussisteva invece, per quanto riguardava la prosa non narrativa, quella della critica, della erudizione, della storia; quella che doveva riempire il vuoto, rimasto dopo Galileo, fra la prosa letteraria e quella scientifica. in questo quadro che va vista la vicenda crociana. Benedetto Croce (1866-1952), a differenza del Manzoni, raggiunse rapidamente la maturit linguistica, come appare fin dagli inizi della rivista la Critica (1903 sgg.). Opposto al Manzoni fu nel sottrarsi a qualsiasi dottrinarismo, a qualsiasi aspirazione normativa in fatto di lingua. La tradizione, che egli seppe instaurare, eccelleva nel saldare i periodi, cos nelle loro coordinazioni come
552 Altieri, op. cit., pp. 227-231; cfr. Herczeg, Lo stile nominale in italiano, Firenze 1967.

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nelle loro opposizioni, in unarmonia, nella quale parole consuete e parole meno consuete si ritrovavano a loro agio. Chi confronti i periodi di tre opere diversissime del Croce, come la Storia dEuropa, la Logica o la critica al Pascoli, riconosce, nonostante la diversit degli argomenti, una sostanziale unit; la natura fluida, armoniosa, di un racconto, narrato con arte consumata e con costante proporzione di partecipazione e di distacco. Non diversamente dal Manzoni, la validit di questa prosa classica non stata immediatamente riconosciuta e tanto meno continuata. La ostilit alle teorie fiorentine del Manzoni, allo storicismo idealistico del Croce, ha tenuto il pubblico lontano anche dai modelli linguistici corrispondenti. Questo non toglie, per chi studia le vicende del linguaggio dItalia, lobbligo di allinearli entrambi, a tanti decenni di distanza, come modelli validi, insuperati553 . E come il modello manzoniano, nonostante tutto, supera indenne le due parentesi carducciana e dannunziana, entrambe ormai lontanissime da noi, cos il modello crociano ha superato indenne il periodo delle evasioni linguistiche, cos del futurismo come dellermetismo, e trasmette alle generazioni successive un modello di classicit degno di quella di Alessandro Manzoni.
553

Devoto, Profilo di storia linguistica italiana, cit., p. 142.

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Capitolo quarantottesimo Strutture fonologiche

236. Il modello fiorentino temperato Da queste forze contrastanti allinterno del sistema, che si sommano a quelle esterne collegate al rapido mutamento delle strutture della societ, ecco allora prender forma il quadro approssimativo del linguaggio dItalia, quale appare fissato a seimila anni dalle sue prime tracce virtuali, a duemilacinquecento dai primi monumenti. A evitare il pericolo di cadere in semplicismi ingiustificati, occorre per prima cosa considerare i due aspetti diversi, che costituiscono il sistema delle istituzioni valide oggi. Da una parte domina il principio particolarista per il quale litaliano un dialetto toscano, e precisamente quello fiorentino, sul quale ricaduto il compito lonore e lonere di un superstrato letterario, esteso poi e riconosciuto in tutta Italia. In conseguenza di questo, i suoi caratteri si attenuano, e non esatto parlare del sistema italiano solo come di un fiorentino illustre. Si tratta piuttosto di un fiorentino temperato, sia per le numerose incrinature, che si sono introdotte nelle rigide strutture originarie, sia per la variet lessicale, che vi si riscontra ( 246), sia per la melodia della frase, che rivela tuttora una decina di variet di italiani regionali: piemontese, ligure, lombardo, veneto, emiliano, toscano, umbro-marchigiano, abruzzese-pugliese, laziale, campano-lucano, calabrese, siciliano, sardo. Dal primo punto di vista la Toscana la regione che A) per quanto riguarda il sistema delle vocali mantiene la ortodossia dellItalia (a nord della via Appia) delle nove vocali del latino volgare ridotte poi a sette; B) si oppone allItalia settentrionale come alla centromeridionale

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ignorando la metafonesi554 ; C) si oppone allItalia settentrionale occidentale, come alla centromeridionale adriatica, ignorando le vocali miste e i processi di frangimento; D) concorda con lItalia settentrionale nel rifiutare la assimilazione progressiva di ND a NN; E) concorda con il resto dellItalia centromeridionale nel rifiutare la lenizione e nel mantenere e sviluppare il processo di assimilazione regressiva nei gruppi di consonanti occlusive, spec. di CT PT in TT; F) introduce soluzioni proprie nella moderata palatalizzazione delle gutturali; G) si distingue per la dittongazione delle E e O accentate in sillaba aperta daccordo con il veneto euganeo; H) si distingue da tutte le altre regioni per la moderazione dellaccento, che non svaluta e tanto meno annulla le vocali finali; I) mostra un eccesso di conservazione (fiorentina) attraverso la cosiddetta anafonesi; K) un eccesso di innovazione nella aspirazione delle consonanti occlusive in posizione intervocalica. Ma, nonostante la chiara delimitazione delle sue strutture, e la decisa. radicata figura di superstrato culturale, lo schema toscano tradizionale non si identifica col 3 sistema fonologico italiano; il quale ha dovuto fare numerose concessioni alle pressioni, non solo non toscane ma anche non italiane, da parte della maggioranza degli utenti, che vi si adattata senza resistenze consapevoli. Temperato da queste necessarie aperture rispetto a correnti pressioni e influssi periferici, eterogenei ma rappresentativi di una maggioranza numerica del 90%, e del peso ancor maggiore, cos politico come economico, di Roma e Milano, lo schema toscano rimane tuttavia come quello pi raccomandabile per equilibrio armonia elasti554 Nonostante la testarda insistenza di F. Schrr nellarticolo Epilogo alla discussione sulla dittongazione romanza, Revue de linguistique romane, 36, 1972, pp. 311-321.

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cit, naturalmente estraneo a qualsiasi forma di imposizione didattica o di moda. Una teorizzazione parallela di un italiano su base romana, sia pure temperata, non legittima n attuabile ( 188). 237. 3 Sistema fonologico: le vocali Si pone cos il problema di delineare il 3 sistema morfofonologico italiano (cfr. 149, 174), quello attuale. Qui non basta pi segnalare tratti distintivi essenziali come nei sistemi precedenti. Occorre darne una descrizione pi approfondita, sulla base di valori assoluti, per i quali i principali elementi sono stati raccolti da . Mulja ci c. I fonemi italiani attuali, secondo questo autore, sono trenta555 , dei quali ventidue fuori discussione, e soltanto otto tuttora soggetti a qualche dubbio. I) Per quanto riguarda le vocali, il loro sistema oggi di SETTE. La obiezione di quanti ritengono che se ne debbano riconoscere solo CINQUE prematura, anche se presumibile che dentro un secolo questa struttura pentavocalica sar raggiunta. Gi ora il sistema eptavocalico limitato alle vocali accentate; in posizione atona la differenza fra le E e le O aperte e chiuse NON esiste556 . Si deve ricordare poi che solo in una minoranza di casi la ripartizione delle E e O in aperte e chiuse ha una giustificazione storica. Nella maggioranza dei casi, si tratta di attribuzioni arbitrarie, date a parole tratte dai libri, che non hanno avuto la possibilit di una ripartizione spontanea. Una formula empirica dice vocale incerta voca555 Fonologia generale e fonologia della lingua italiana, Bologna 1969, p. 379 sgg. 556 Mulja ci c, op. cit., pp. 425 sgg.; cfr. Malmberg, Orbis, 11, 1962, p. 173; Devoto, Profilo di storia linguistica, cit., p. 150.

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le aperta557 ed quella che si applica ad esempio nelle parole del tipo di problma, che noi settentrionali pronunciamo problma, senza sentirci in errore: un altro esempio di quelle incertezze e difficolt che solo la fusione delle due E potr risolvere, anche se nessuna ragione impone di affrettarla. II) Una differenza di quantit nelle vocali italiane non esiste sul piano fonologico panitaliano, ma solo in certi dialetti, tale il genovese che distingue nettamente baagiu sbadiglio da bagiu rospo. Tuttavia, nelle pronunce regionali dellitaliano, ci sono differenze fra la pronuncia lunga, condizionata dalla posizione nella sillaba aperta; da quella breve in sillaba chiusa. La differenza faato fato e fatto (con la breve) valida nella pronuncia regionale piemontese-lombardo-ligure, mentre si pronuncia indistintamente la quantit breve in Toscana e nel Veneto. Analogamente, a schemi regionali si rifanno le pronunce semplici o geminate di bagno, fascio, aglio n , , ll)558 , con possibilit di corrispondenti alternan(n ze, in certe regioni, delle vocali antecedenti, rispettivamente lunghe e brevi. 238. Le semivocali III) T. Franceschi ha sostenuto la autonomia del fonema , ad esempio nel plurale biv559 , perch non si tratta di vocale lunga, ma solo di un principio di dittongazione verso JI. Viceversa sarebbe assurdo considerare lunga la finale di dormii, in cui si tratta visibilmente di due sillabe
Op. cit., p. 417. Op. cit., p. 429. 559 Bollettino dellAtlante linguistico italiano, 9-10, 1964, pp. 43-44; cfr. Mulja ci c, op. cit., p. 436.
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indipendenti560 . Cos in ossequiai non si ha un tetrattongo -quiai, ma due sillabe -quia-i561 . Distinzione di sillaba, non so quanto durevole, si ha anche in pi-ano di Pio, diverso da piano che il latino volgare PLANU; cos pure in sci-a-re, di tre sillabe, mentre in la-scia-re, -scia- una sillaba sola. IV) indispensabile in italiano distinguere una doppia categoria di semivocali. Da una parte si hanno elementi vocalizzati che entrano a far parte di un dittongo e quindi, ai fini della eventuale elisione dellarticolo, sono trattati come fossero vocali. Dallaltra si hanno elementi, che NON vengono a costituire dittonghi, quindi non ammettono la elisione e anzi impongono larticolo LO, quasi fossero equivalenti a un gruppo di consonanti complesso come SP e insieme fragile: tale lopposizione fra i tipi luomo, lieri contro lo iato, lo Jonio, lo uadi. Una corretta grafia dovrebbe contribuire a distinguere le due entit attraverso i segni I/J e U/W. V) Un esempio ulteriore di semivocale la R vocalizzata in brr (che freddo)562 . In queste opposizioni si inserisce il trattamento dellarticolo davanti a parole straniere comincianti con H, effettivamente articolato: tali lo Hegel (ted.), lo Haldane (ingl.), come lo Jger (ted.), lo Watt (ingl.). 239. Le consonanti VI) Per quanto riguarda le consonanti, il problema principale quello della differenza fra semplici e geminate o (meglio detto) intense. La differenza non giustifica il ri560 561

Mulja ci c, op. cit., p. 437. Contro Mulja ci c, op. cit., p. 455.

562 Difficilmente inseribile nel sistema, perch troppo evidentetnentc interiettiva: cfr. per Mulja ci c, op. cit., p. 442.

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conoscimento di una diversa natura fonologica563 . Il quadro di insieme, che coinvolge la distinzione di grado, e di articolazione sul piano descrittivo, come di lenizione su quello evolutivo, costituisce un tutto unico: sembra difficile postulare una serie quadripartita PP. BB P B, anzich una PP/P BB/B. La geminazione da lat. ATOMU In it. attimo un fatto opposto, ma paragonabile, a quello del passaggio da NUBULU a nuvolo. La geminazione uno dei caratteri fondamentali del sistema italiano. I veneti sono bollati nella loro incapacit di pronunciare, distinguere e articolare le consonanti geminate. I fonemi suscettibili di geminazione in italiano sono quindici564 . Ancora una volta, daccordo con T. Franceschi565 , i tipi faccia maggio non devono essere considerati fonemi autonomi ma solo varianti intense di presunti FACIA MAGIO. Tuttavia questo allineamento accettabile solo se prendiamo come base uno strato toscano attenuato. Nellambito della sola Toscana, certo che le pronunce cena gente dice regina presuppongono un fonema diverso, non solo palatalizzato ma anche affricato. Si tratta sempre di una articolazione unica come nel caso di zio, mzzo, zinco, mzzo, la cui trascrizione TS DS NON raccomandabile. VII) Per quanto riguarda il rapporto fra consonanti sorde e sonore, a parte il detto assai poco valido consonante incerta consonante sonora, la anomalia pi evidente la tendenza a lenire le consonanti sorde intervocaliche nella pronuncia generale odierna dei meridionali, tendenza a cui corrisponde quella a geminare le sonore quasi si trattasse di preservarle dalla confusione con le
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ci c, op. cit. p. 433. A differenza di Mulja


Secondo Mulja ci c, op. cit., p. 428. op. cit. alla nota 6, pp. 46-47.

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sorde lenite: tali le pronunce romanesche bbile, cuggino per abile cugino. Confusa la situazione della S sonora, normale in posizione intervocalica nella pronuncia dei settentrionali, assente presso i.meridionali da Arezzo in gi, caotica in Toscana e nella stessa Firenze, che per sta lentamente avviandosi ad accettare gli schemi sonorizzanti del Settentrione: non pi cos ma coz, con la S divenuta sonora. VIII) Oltre che la oscillazione nel rapporto di sorde e sonore in posizione intervocalica, sono da ricordare altri tre casi tipici: la resistenza delle forme dittongate del tipo buono di fronte a quelle non dittongate del tipo fiorentino bono; la resistenza della pronuncia meridionale del tipo sci-enza in confronto di quella centrosettentrionale, che si va avviando a scenza (scritto scienza); la simmetria non toscana delle pronunce paCe faCCia vinCe, che in Toscana disturbata dal fatto che il primo esempio di (apparente) palatale pura attratto dalla serie delle palatali affricate come in pesce. Anche qui prevedibile che pece e vince siano attratti in futuro nel sistema unitario di faccia. IX) Di minor rilievo sono le incertezze di ordine sociale: la R uvulare frequente negli ambienti snobistici della diplomazia o plutocrazia566 , ma diffusa in tutte le classi sociali, in aree particolari, per esempio in quella di Parma. X) Per quanto riguarda linsieme della parola, la persistente preferenza per le finali in vocale le assicura una solidit e rilevanza di costituzione totalmente diversa dalla parola francese, definita felicemente da C. Segre567 , come ridotta ormai a un ideogramma.
566 567

Che il Mulja ci c op. cit., p. 445 sopravvaluta.

Segre presso Bally, Linguistica generale e linguistica francese, Milano 1963 p. 449.

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240. I gruppi di consonanti XI) Tuttavia la caratteristica principale del 3 sistema fonologico italiano sta nella regolamentazione delle finali consonantiche di parole straniere che le vedono accettate quando si tratti di consonanti isolate come in baR gaS gaP; oppure in gruppi di consonanti, di cui la prima sia continua e la seconda momentanea; oppure pi continua della precedente. SPORT FILM sono perfettamente inseriti, mentre sarebbero impensabili gli adattamenti dei francesi act(e) o t(h)eatr(e)568 . XII) Per quanto riguarda i gruppi di consonanti, lassetto lungi dallesser raggiunto. Non si pu parlare solo di gruppi ammessi e gruppi esclusi, ma bisogna riconoscerne anche di parziali, intermedi, facoltativi: ammessi in determinati settori tecnici, ma non dappertutto, e non in modo definitivo. Incompatibilit persistenti sono i gruppi di nasale pi liquida (ANLA), i gruppi VL. DL (aVLa, aDLa), i gruppi di sorda pi sonora (aPBa) o di sonora pi sorda (aBPa). Ma nel lessico tecnico si trovano serie non assimilate di sorda pi sorda come PTerodattilo o CTonio; di sonora pi sonora come BDellio. Non ha possibilit di espansione un gruppo come PN eppure compare in una parola fondamentale come PNeumatico. Casi estremi, sempre tecnici sono suBSTRato, feLDSPato, tuNGSTeno, ma sarebbe grottesco affermare che il sistema italiano tollera i gruppi BSTR, LDSP, NGST. Certo, una maggiore elasticit si diffonde, e labbandono della vocale protetica facoltativa nei tipi in (I)spagna, in (i)scuola ne una prova. Ma soprattutto si deve vedere qui un altro aspetto del processo (che si vedr di nuovo a proposito dei procedimenti di derivazione) per il quale si tende a passare da un sistema lin568

Devoto, Profilo di storia linguistica, cit., p. 149.

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guistico chiuso a uno aperto, cos nel campo fonetico, come in quello morfologico della derivazione delle parole ( 242).

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Capitolo quarantanovesimo Strutture morfologiche

241. Derivazione: prefissoidi e suffissoidi La maggiore elasticit e adattabilit fonetica ha conseguenze anche indirette sulla individualit della parola nella frase. Diminuiscono le tentazioni per elisioni e troncamenti come quella (gi segnalata al 240) a introdurre vocali protetiche. Anche le preposizioni diventano meno inclini a fondersi con larticolo nella forma delle preposizioni dette articolate: dalla lingua delluso sale a quella letteraria la preferenza per il tipo con il a danno di quello col569 . In fatto di derivazione di parole, litaliano aveva una certa abbondanza di suffissi caratteristici tradizionali, soprattutto, se si tien conto delle scarse risorse del francese: per gli aggettivi, ad esempio, la formazione dei superlativi in -issimo; per i sostantivi, la variet di accrescitivi diminutivi vezzeggiativi del tipo casona casina casetta rispetto a casa. Nella composizione nominale, una certa possibilit di sviluppo si era gi avuta nel sistema precedente, quando, sotto la influenza dei latinismi, si era preso coscienza della funzionalit di certi prefissi come RI- per indicare una ripetizione. Ma questi prefissi non hanno mai costituito una risorsa funzionale, come avviene, ad esempio, in tedesco, con i prefissi detti separabili: parole come risentire o premettere consentono agevolmente di riconoscere il prefisso, ma questo stenta ad assumer lautomatismo del paradigma come avviene invece ad esempio nella battuta scherzosa ri-buon giorno. La composizione spontanea in italiano quella col
569

De Mauro, Storia linguistica, cit., pp. 414-415.

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primo elemento verbale mangia-fuoco. Quella del tedesco Morgen-gabe, letteralmente MATTINO-DONO inammissibile e deve essere tradotta nel sintagma ben pi complesso di dono del mattino. Ma, contro questa resistenza del sistema significante, stanno premendo le esigenze semantiche del nostro tempo, del superamento anglosassone, della intelaiatura europea in corso di costituzione ( 250). Esse cominciano a essere soddisfatte attraverso la tecnica dei prefissoidi570 , unit intermedie fra i temi nominali e le preposizioni o prefissi. Non pensabile un equilibrio lessicale-derivativo italiano senza considerare la parte che vi hanno ormai i tipi formati con auto- da s o con tele- a distanza cos auto (combustione) cos tele (comunicazioni). Tuttavia anche questa tecnica risente di difficolt e ambiguit, perch i prefissoidi si sono ormai scissi. Altro il prefissoide primario, come appare negli esempi citati, e altro quello secondario, che risulta dallabbreviazione di una parola, nella quale era entrato come componente normale: autorimessa non una rimessa per cos dire automatica, ma semplicemente rimessa per auto(mobili); telespettatore non uno spettatore a distanza ma uno spettatore della tele(visione). I prefissoidi primari sono impiegati per creare parole motivate, con una tecnica di composizione, che non va al di l del composto attributivo. I prefissoidi secondari sono introdotti per abbreviare e esorbitano dagli schemi tradizionali della composizione: si tratta di composti in cui lelemento reggente NON verbale, e quindi al livello del tedesco Morgengabe, che stato definito or ora estraneo alla tradizione italiana571 .
570 Migliorini, Lingua contemporanea, 4 ed., Firenze 1963, pp. 84 sgg. 571 Per uno schema delle basi sintattiche dei composti italiani, vedi Ambroso, Atti del I e del II Convegno di Studi della

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Tuttavia qualche cosa si muove anche nellambito della seconda parte delle eventuali parole composte, attraverso elementi definibili non gi come suffissoidi ma come predicatoidi. Gli schemi latini, creati in parte sul modello dei composti greci sono stati illustrati al 63, p. es. agri-cola, igni-fer, arti-fex. Al posto di mangiatutto subentrano i tipi latineggianti onnivoro, erbivoro; sui quali si allineano avicolo allevatore di polli, pestifero portatore di peste, vermifugo allontanatore di vermi, che costituiscono una risorsa provvidenziale per esigenze sempre pi profondamente sentite e diffuse. 242. Morfologizzazione di sintagmi Nellambito della ricerca di una motivazione, associata o no a quella della brevit, si notano oggi tre diversi impulsi. Il primo di questi mira a sostituire parole immotivate o locuzioni ingombranti con parole motivate e pi brevi. Il secondo mira a sostituire derivazioni morfologiche a rapporti sintagmatici. Il terzo procedimento si fonda sul modello dei telegrafismi, per i quali le parole si giustappongono, senza un segnale formale che specifichi se si tratta davvero di un allineamento oppure della eliminazione di uno o pi segnali sottintesi. Gli esempi della prima categoria sono particolarmente numerosi nella lingua cancelleresca, che per natura prescinde dagli affetti, mira non tanto a una vera funzionalit quanto a un ideale economico di sforzo minore. Un esempio, gi radicato anche al di fuori del mondo burocratico, quello di evidenziare al posto di mettere in evidenza, il quale, al di l della motivazione evidente, ha anche il vantaggio funzionale della maggior brevit. Pi

Societ di linguistica italiana. Roma 1969, pp. 97-98 (v. circolo).

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indicativo di questo rilassamento sono relazionare al posto di riferire, revisionare al posto di rivedere. Esso mira a motivare la sua forma attraverso il collegamento col sostantivo, che, nella tradizione risalente al latino, era contenuto nel sistema suppletivo e immotivato dellinfinito referre e del supino relatum. A questa serie appartiene sensibilizzare render sensibile; ipotizzare fare lipotesi; strumentalizzare usare come strumento (meglio sarebbe strumentare). Del secondo tipo sono i costrutti, che prendono ogni giorno pi piede, di (stato) confusionale, (potere) decisionale per stato di confusione potere di decisione. Questa moda oggetto di critiche, ma non rappresenta in realt n una anomalia n una fonte di disordine per il sistema attualmente in vigore. Potr piacere pi o meno, ma non si pu convalidare senzaltro un giudizio estetico negativo, solo perch si tratta di una deviazione dalle abitudini. La terza categoria la pi anormale, perch esce dal tipo flessivo tradizionale, prende di petto cos i rapporti morfologici come quelli sintattici, e si avvicina a un tipo linguistico aflessivo. Esso proviene sia da rapporti usuali privi di importanza, per esempio la gente bene, con avverbio che prende il posto dellaggettivo, sia da tecnicismi e cio veri telegrafismi: tali borsa valori o cassa pensioni, in cui si sottintende rispettivamente dei e delle; tali movimento testa-coda o missile terra-aria, che, con atteggiamento rinunciatario, fanno a meno di segnalare i rapporti di reciproca dipendenza. Essi affidano allinterlocutore o lettore il compito di integrare, a livello di parola e non di lingua, i rapporti rimasti privi di segnalazione. Questa mobilitazione di procedimenti morfologici conduce a un risultato parallelo a quello segnalato, sul piano fonetico, a proposito di feldspato e simili ( 240). Essa conduce alla possibilit di coniare parole occasionali, aperte, caduche, che possono trova-

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re una giustificazione in un apposito contesto, senza pretendere un riconoscimento e una regolare registrazione nel tesoro lessicale della lingua. Il principio che da ogni astratto si possa trarre un aggettivo in -ale o da ogni aggettivo un astratto in -ismo, indicante dottrina o abitudine, dovrebbe in teoria essere equiparato alla possibilit di trarre da ogni forma verbale un participio passato. Cos, attraverso un sistema paradigmatico pi ricco, si pu mirare a un sistema linguistico aperto ( 240). Cos, attraverso lallineamento di un certo numero di note, il musicista trae degli accordi: i quali non sono che parole, create volta per volta, rispettando schemi pi o meno generalmente accettati572 . Ma questa paradigmaticit integrale ancora straniera, lontana. Le testimonianze estreme di questa ricerca della brevit, anzi di quellimpazienza, non sono altro che il risvolto interno di un fattore esterno, quello della velocit, con la quale schemi europei, tipici della nostra civilt comune, si diffondono573 . Da una parte abbiamo mutilazioni allinterno della parola come cine(ma) per cinematografo o del sintagma, come federale per (segretario) federale o direttivo per (consiglio) direttivo. Dallaltra si ha la apertura illimitata, in italiano come in tutte le altre lingue, alla SIGLA574 . La loro stessa fortuna ha fatto si che esse non sempre rispettino quei criteri e limiti che soli possono renderle utili. I tipi fondamentali sono tre: a) quello semantico e funzionale, per esempio FIAT che fa corrispondere alla sigla F(abbrica) I(taliana) A(utomobili) T(orino) il valore di una parola latina quasi beneaugurante; b) il valore solo funzionale, per esempio CED=C(omunit) E(uropea di) D(ifesa);
572 Vedi il mio libro Civilt del dopoguerra, Firenze 1955, pp. 9 sgg. 573 Saggi di linguistica europea, Salamanca 1958, p. 10. 574 Altieri presso Devoto-Altieri, op. cit., pp. 274 sgg.

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c) quello n semantico n funzionale di CLN=C(omitato di) L(iberazione) N(azionale), che richiede la integrazione con elementi vocalici per potere essere pronunciato, e che ha dato vita al derivato integrato ciellennistico. Le sigle Pacilitano, ma sono chiuse ai non iniziati. Esse conducono a un circolo vizioso, per concentrare prima, rapidamente e a vantaggio degli iniziati, gli elementi essenziali per un riconoscimento, salvo poi a esigere tempo, e fatica, per scioglierle, a vantaggio dei non iniziati. 243. Scelte sintattiche Nella morfologia un carattere saliente dellitaliano, in confronto ad esempio del francese, sta nella migliore conservazione dei segnali, il che permette scelte stilistiche che in francese non sono possibili. Le desinenze personali del verbo sono sufficienti in italiano a segnalare la persona senza lintervento dei rispettivi pronomi personali. Limpiego. di questi, in s superfluo, offre una variante importante per concentrare lattenzione sul soggetto, ogni volta che appaia opportuno: in italiano si pu scegliere fra dico e io dico, in francese si pu usare soltanto je dis salvo ricorrere a complesse circonlocuzioni. Queste appaiono anche in italiano nel caso dei pronomi atoni, consentendo la triplice stratificazione: ti obbedisco, obbedisco a te, a te che obbedisco. Nellordine delle parole, possibile alternare la disposizione mio amico con quella amico mio, sia secondo la insistenza che si vuole associare allattributo, sia anche da un punto di vista di preferenze regionali: mentre in francese, di fronte a mon ami, NON pu sussistere ami mon. Nella declinazione si assiste invece agli inizi della indeclinabilit del pronome relativo almeno nel parlato: una donna che suo marito scomparso, di fronte al regolare una donna il cui marito scomparso.

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La miglior conservazione dei segnali morfologici ha conseguenze sintattiche, anche sfavorevoli. La macchinosit delle concordanze in italiano risalta in confronto della semplificazione francese. Nella frase italiana i bravi soldati avanzano si hanno ben quattro segnalazioni del numero plurale. Nellequivalente francese les vaillants soldats avancent, i quattro segnali rimangono a livello di grafia, ma se ne pronuncia solo uno575 . Nelle forme verbali, il congiuntivo in decadenza, ma non nelle proporzioni francesi. Sopravvivendo, consente per una segnalazione sufficiente di rapporti di dipendenza di proposizioni, e quindi anche per questo il periodo italiano si mantiene pi complesso e articolato rispetto a quello francese. Anche il passato remoto in decadenza e dalluso settentrionale scomparso. Proprio per questo, si tratta di decadenza regionale, e non italiana. Nessun indizio c che questo processo si estenda allItalia meridionale. Situazioni in parte analoghe si verificano anche nella sintassi della frase, soprattutto sotto linfluenza della lingua (cos carica di emotivit) della pubblicit. Essa consiste soprattutto in forme di frasi affettive, abbreviate, per insistere su un comando o su una proibizione. Nella serie basta tintarella, niente Africa, tanto nero, via le catene, vota socialista, mangiate snello si assiste a una omissione di segnali, che incide pi o meno sulla struttura effettiva della frase. I gradi sono, in questi casi, tre. Il primo quello di una frase effettivamente nominale, in cui vengono omessi solo segnali di preposizioni: basta CON la tintarella. Il secondo richiede lintegrazione di un predicato verbale: NON VOGLIAMO... lAfrica, ADOPERA tanto nero, METTETE via le catene. La terza non pi una frase con segnali ridotti, ma una frase telegraficamente visiva: vota PER LA LISTA so575

Segre presso Bally, op. cit., p. 444.

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cialista, mangiate IN MODO DA RIMANERE snello. Siamo di fronte a una forma di abbreviamento sintattico, sempre pi accentuato, determinato per sempre da esigenze emotive. Laltro aspetto della questione va pi nel profondo, e consiste nella banalizzazione generale del periodare parlato. Si tratta di schemi (soprattutto burocratici) distribuiti in periodi tortuosi, ricchi di forme nominali del verbo, e di nomi astratti che nominalizzano la azione compiuta, oppure di verbi denominativi che la sottomettono a una motivazione astratta. una forma di egocentrismo, per la quale, anche contro il proprio interesse, si dimentica che si parla per essere intesi. Al principio tradizionale che impone di scrivere con la naturalezza con cui si parla, si contrappone labitudine di parlare come si scrive, senza vedere davanti a s linterlocutore. Siamo davanti a una ricerca di motivazione egoistica, tanto esagerata quanto opaca e inefficace. 244. Accenti sussidiar Sulla parola isolata, come sulla frase, aleggia poi una forza coordinatrice, che laccento. Per quanto riguarda la sua natura, essa , nel linguaggio dItalia, intensiva fino dai primi secoli dellimpero romano. La misura di questa intensit stata, nella storia, maggiore nel settentrione, ma, a poco per volta, si spostata in direzione di mezzogiorno, e oggi noi del settentrione sentiamo laccento dei meridionali come pi intenso del nostro. Per quanto riguarda la sua posizione, ancora una volta litaliano si trova allestremo opposto del francese. In questo, esso vincolato allultima vocale pronunciata, mentre in italiano la sua posizione libera, e cio determinata dalla storia, salvo alterazioni dovute alla analogia: un esempio di queste possibilit dato dalla serie seguente: desider, desideriamo, desdero, desiderano. Se si tiene conto delle

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particelle enclitiche, ecco la serie vistosa di telfona, telfonami, telfonamela. La maggioranza delle parole italiane ha laccento sulla penultima sillaba. Secondo una statistica, il 60% sono piane, il 32% e sono particelle enclitiche o proclitiche, il 4% sdrucciole, il 3% tronche, l1% bisdrucciole576 . Ma la parola italiana non costituita solo dalla opposizione di sillabe accentate e no. In ogni successione di pi che due o tre sillabe ci dato riconoscere sillabe francamente atone e sillabe provviste di una accentazione secondaria parziale: sarebbero anzi da distinguere, sviluppando un suggerimento di R. Hall577 , un accento pieno, uno nullo, uno intermedio, ma anche uno enfatico. Nel caso di parole accentate sulla quartultima o quintultima interviene poi anche un altro criterio, che normalmente in italiano non ha alcuna parte, quello della quantit: nellesempio citato di telfonamela, si ha, oltre la opposizione di sillaba accentata e sillabe non accentate, oltre che una opposizione di forza, anche una opposizione di quantit: lunga, quella della sillaba accentata; brevissima quella delle quattro vocali non accentate, salvo quella finale, che ha il rilievo di un eventuale accento intermedio. Il rilievo dellaccento poi relativo, non assoluto: due accenti pieni non possono essere contigui; davanti a sillaba accentata alliniziale di parola, difficile introdurre una parola tronca o assoggettata a troncamento: in una serie come andre l, si pu certo introdurre il troncamento della E atona finale. Ma si paga un prezzo: di fronte alla normale successione di accenti in andre l, si ha la retrocessione dellaccento nella pronuncia di ndar l.
576 577

Mulja ci c, Fonologia, cit., p. 491.

Descriptive Italian Grammar, Ithaca-New York, 1948, pp. 11-12.

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Accanto ai problemi quantitativi dellaccento in senso stretto si hanno quelli qualitativi della cosiddetta melodia della frase. Attraverso le osservazioni di A. Camilli e di R. Hall578 , si distinguono tre intonazioni melodiche, la ascendente, la discendente, la ascendente-discendente. Le prime due sono importanti in quanto hanno un valore di segnale sintattico, la prima per la interrogazione normale, la seconda per la interrogazione introdotta da pronomi o avverbi interrogativi: la intonazione di vieni? difatti opposta a quella di chi viene? Il terzo tipo quello degli enunciati normali579 . Allinterno di questo da distinguere un enunciato puramente indicativo, p. es. non c niente da fare, pazzo, da uno pi o meno fortemente emotivo: quel corridore un pazzo. Si deve aggiungere anche la melodia particolare di un enunciato segmentato: lo conosco bene, lamico: che del tutto diverso, nella successione melodica, dalla successione conosco bene lamico580 . Un ulteriore confronto col francese porta a segnalare unaltra opposizione: la frase interrogativa lo conosce? che noi segnaliamo solo attraverso la melodia ascendente, ha bisogno, nella forma corrispondente francese, di una segnalazione sintattica; tale la formula interrogativa le connait-il? di fronte allaffermativo il le connat. Variet melodiche distinguono assai chiaramente le grandi regioni dItalia, anche al di fuori delluso dialettale ( 236, 246). un campo in cui vi ancora molto da indagare. Tuttavia, da alcune analogie che si creduto di individuare fra melodie diffuse sulle coste adriatiche e la regione padana, si arrivati a supporre la legit578 Camilli, Pronuncia e grafia dellitaliano, 3 ed. a cura di P. Fiorelli, Firenze 1965; Hall, op. cit., p. 14. 579 Mulja ci c, op. cit., pp. 495 sgg. 580 De Mauro, Storia linguistica, cit., pp. 418-422 con ricca bibliografia.

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timit di una melodia gallo-italica che sarebbe tuttora sopravvivente581 . 245. Genio della lingua? Un sistema linguistico non , in base a queste considerazioni, n geometrico n immobile. Esso risulta dallequilibrio di tante forze contrastanti: come una nave, che pu stare ferma ma non immobile, perch il suo galleggiare il frutto di tanti equilibri particolari. Per usare le parole di un distinto studioso contemporaneo582 , le lingue non sono codici naturali e lo studio sincronico non pu permettersi il lusso di prescindere dalla storia di una lingua583 . Per riprendere una mia vecchia formula, la sincronia non che una storicit mascherata o microscopica584 . In contrasto con queste tendenze livellatrici stato per elaborato, da basi di partenza opposte, la nozione di un genio della lingua, quasi linsieme delle istituzioni linguistiche giustificasse lanalogia con un essere vivente: basti ricordare la visione di Carlo Vossler585 . Ma la espressione impropria: un essere vivente pu essere pi o meno efficiente ma rappresenta sempre un tipo di vita organizzata, frutto di una selezione, che lo ha reso adeguato ai suoi compiti nel mondo della natura. Una lingua un prodotto convenzionale in cui la vischiosit della tradizione ha reso pressoch nulle le forze selettive586 .
581 582 583 584

Battisti, Fonetica generale, Milano 1938, p. 251. Mulja ci c, Fonologia generate, cit., p. 460.

Op. cit., pp. 460 sgg. I fondamenti della storie linguistica, Firenze 1951. 585 Lingua e nazione, Firenze 1936. 586 Vedi la mia prefazione a Stalin, Il marxismo e la linguistica, trad. di B. Meriggi, Milano 1968, pp. 5 sgg.

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Le istituzioni linguistiche, per quello che hanno di convenzionale, sono sempre inadeguate o esuberanti, rispetto alle esigenze espressive dei loro utenti587 , di fronte ai quali per met sono strumento e per laltra met prigione. In relazione con la lingua italiana si insistito, per definirne il genio, volta a volta sulla impronta tradizionalistica collegata con la sua somiglianza col latino, sul tradizionale riconoscimento della sua variet e armoniosit (a torto svalutato da un recente autore588 ), sulla artificiosit connessa alla agilit e ricchezza del suo vocabolario poetico, sulla goffaggine e povert di quello tecnico, tutti caratteri che sono in stretta connessione con la struttura e le vicende della societ italiana, cos eterogenea. Se dovessero meritare la qualifica complessiva di genio, si tratterebbe per di un genio della societ, e non della lingua italiana589 .
587 588

Devoto, Fondamenti, cit., passim. De Mauro, Storia linguistica, cit., pp. 288 sgg., 322. 589 Cfr. Parodi, Lingua e letteratura, Venezia 1957, p. 313.

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Capitolo cinquantesimo Prospettive

246. La societ Queste strutture, da una parte consolidate, dallaltra sottoposte a tanti fermenti, pongono ora i problemi attinenti ai loro rapporti con la societ. Da questo punto di vista, la grande svolta non si compiuta in connessione con la unificazione politica. Questa si semplicemente sovrapposta a una societ sostanzialmente statica, immutata. Il dato statistico fondamentale, elaborato da T. De Mauro590 , prova che, al momento della unificazione politica, la lingua letteraria italiana non interessava che il 3% della popolazione, mentre il 97% si moveva solo nellambito dei dialetti, veri ghetti linguistici. Gli altri dati statistici hanno meno rilievo. Che gli abitanti dItalia siano 17 milioni nel 1770, 28 e mezzo nel 1881 e 55 oggi; che le citt con pi di 100.000 abitanti siano cinque nel 1770, dieci nel 1881 e oltre quaranta oggi; che nel 1861 vivesse in citt con pi di 50.000 abitanti il 17% della popolazione e nel 1961 il 34%591 , sono tutte cifre che non hanno diretto interesse linguistico perch i grandi centri favoriscono certo la formazione di una comunit linguistica unitaria, in senso geografico, ma non sempre in senso sociale. Nella fluidit della situazione attuale, impossibile fissare il rapporto che passa oggi fra utenti di lingua e utenti di solo dialetto, in sostituzione di quel 3/97 di un secolo fa. Tre forze hanno fatto si che in mezzo secolo, almeno potenzialmente, la lingua letteraria italiana interes590 591

Storia linguistica dellItalia unita, Bari 1963, pp. 41 sgg. De Mauro, op. cit., pp. 65-72.

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si, al posto dei 750.000 italiani di un secolo fa, tutti indistintamente i 55 milioni di italiani di oggi: la Grande guerra 1915-18, che ha mscolato fra di loro milioni di italiani; la organizzazione sindacale, che ha avvicinato in un fronte unico tutti i lavoratori; la televisione, che presenta quotidianamente a milioni di italiani istituzioni linguistiche realizzate in modo pressoch uniforme. Questo processo non ha solo il risultato di uniformare. La opposizione fra lingua e dialetto non si trasforma soltanto a vantaggio della prima e a danno del secondo. Diventa pi articolata. Si ha da una parte il dialetto tradizionale che accentua la sua natura di ghetto anche sociale, ma si restringe sempre pi in estensione e profondit. Si ha dallaltra il dialetto aperto alle esigenze di una societ coltivata, che lo usava nelle grandi citt, a Torino a Genova a Milano a Roma a Napoli, eventualmente diluito, ma in certi centri come Venezia tuttora vivace. Parallelamente, si ha una lingua letteraria che da una parte si mantiene chiusa nella sua tradizione oligarchica, ma dallaltra accetta, soprattutto dal punto di vista di particolari pronunce o di una struttura melodica media, aspetti particolari regionali ( 236, 244). Coppie sinonimiche, che permettono di legare lutente piuttosto alluna che allaltra regione italiana, si mantengono, senza influenzare la dignit sociolinguistica degli utenti. Allineo qui un certo numero di coppie592 rispetto alle quali vorrei raccomandare agli utenti stranieri (oltre che agli italiani) la pi assoluta indifferenza: intendere/sentire, uscire/sortire, com/cassettone, cassetto/tiretto, armadio/guardaroba, lavandino/acquaio, rubinetto/chiavetta, stringa/fettuccia, salvietta/asciugamano, gruccia/ometto, mezzanino/ammezzato, balcone/fi592 R. Ruegg, Zur Wortgengraphie der italienischen Umgagssprache, Colonia 1956; cfr. De Mauro, op. cit., pp. 140 sgg., 234 sgg., 384-402.

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nestra, tavola/asse, trapunta/imbottita, adesso/ora, giocattolo/balocco, granata/scopa, gota/guancia, riga/scriminatura, bollito/lesso, sottana/gonna, pelare/mondare, cacio/formaggio, midolla/mollica, infreddatura/raffreddore, saetta/fulmine, sasso/pietra. Sono le forme temperate cos della lingua letteraria, che rifiuta di tiranneggiare, come dei dialetti non esclusivi, che, coesistendo, daranno al linguaggio dItalia, nella crisi interessante ma profonda che sta attraversando, la possibilit di raggiungere un nuovo equilibrio elastico, valido. 247. La scuola Dopo la societ, protagonista la scuola. La prima esigenza, rudimentale, era quella della lotta contro lanalfabetismo, intrapresa subito dopo lunit, e che in novantanni ha fatto scendere le percentuali dal 75% al 14%593 . Tocca alla scuola, da prima solo fra i ragazzi della scuola elementare, e poi a quella che stata detta scuola dellobbligo, confrontare le strutture linguistiche con le esigenze degli utenti, crescenti di numero vertiginosamente. Lo insegnamento linguistico continua a agire indirettamente anche pi tardi, almeno su quelli che, a loro volta come maestri, in un ufficio o in una fabbrica, saranno in grado di proporre sempre pi frequenti occasioni di impiego per la lingua letteraria. In un primo tempo la norma linguistica continu a essere presentata nella scuola italiana come autoritaria, determinata, se non da una autorit ufficiale, dalla tradizione sempre meno riconosciuta della Accademia della Crusca; pi tardi, dalluso diciamo medio degli scrittori e dei giornalisti. Col 1923 la scuola italiana ebbe la sua grande riforma. Questa, per quel che riguarda la lin593

De Mauro, op. cit., pp. 81-96.

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gua, si allontan in modo drastico dalla visione autoritaria, e promosse, al livello della scuola elementare, limpiego del dialetto locale e di libri di lettura, che facessero da ponte fra il parlare genuino e lo scritto. Tuttavia questa riforma non ebbe risultati favorevoli, soprattutto perch non dur. La evoluzione subita dal regime fascista, deviato verso una organizzazione dello stato in senso risolutamente accentratore, fece s che i dialetti furono ben presto considerati elementi di disgregazione, e messi al bando. Ma questa svolta, rapidamente sopraggiunta, non ricondusse in fatto di lingua a un nuovo regime autoritario. Poich la creativit, proclamata come esigenza fondamentale della personalit degli scolari, doveva lasciare la pi grande libert nella realizzazione delle loro esigenze espressive, ecco che, venuto meno il modello o il termine di confronto dei dialetti, nulla subentr a mantenere e sostenere, attraverso un confronto permanente, quella stabilit linguistica, senza la quale una societ rimane monca. Si arriv cos alla met del secolo, sotto le conseguenze di una dissimmetria, anzi di una divergenza, fra le necessit sociali e i postulati psicopedagogici, cui la riforma scolastica si era ispirata. Proprio quando la clientela della lingua letteraria si espandeva diciamo di cinquanta volte (v. 246), ecco che le strutture che la governano, o almeno erano presenti alle coscienze, venivano smobilitate. Fu come se un edificio, destinato a ospitare un pubblico cinquanta volte pi numeroso di quello che aveva sempre ospitato, venisse alleggerito di travi di sostegno, perch riconosciute non essenziali. Tutte le considerazioni di ordine descrittivo rispetto allinsieme del sistema linguistico italiano devono tener conto di questa sua intrinseca crisi, e quindi della necessit di instaurare un ordine nuovo, nei limiti delle possibilit, gradatamente. Anche se lo spirito della vecchia riforma di mezzo secolo fa ormai assente dalla scuola italiana, pure il danno

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linguistico ormai acquisito, e anche persone, che non insistono sul mito della creativit e della lingua-poesia, stentano ad accettare di risottomettersi a una disciplina linguistica, sia pure non vessatoria. Urge a questo fine che, in tutti i livelli scolastici, linsegnamento della lingua letteraria, nelle sue strutture rigide, e nelle sue tante possibilit di evocazione e di scelte, sia intensificato, senza scetticismi, come senza dogmatismi. Di fronte a questa lingua letteraria, fondata su modelli temperati e aperti, il dialetto non destinato ad essere n un marchio di inferiorit, n un simbolo romantico di gentili et scomparse594 , n un malinteso simbolo di degenerazioni autonomistiche o separatistiche. Esso rimane valido come legittimo termine di confronto, permanente, antidogmatico nei confronti della lingua letteraria. una alternativa, liberatrice, alla spersonalizzazione e banalizzazione irradiante dalla lingua letteraria, generalizzata nelluso. 248. Il dirigismo linguistico Contro la societ che fornisce tendenze uniformatrici sia pure a livello regionale; contro la scuola che dovrebbe cooperare a una uniformit addirittura nazionale, agiscono due forze uguali e contrarie, linsensibilit civica, e le pressioni di sistemi stranieri. Si pone cos, per ragioni superiori, il problema del dirigismo linguistico. Questo deve essere definito nei suoi principi informatori come negli strumenti che traducano le innovazioni e le proposte dei singoli, in fatti e rapporti linguistici riconosciuti da tutti. Il dirigismo si identifica con quella attivit che
594 Vedi gli opposti punti di vista di T. De Mauro (contro la esaltazione sociale dei dialetti) e di G. Rossi-Landi (contro la lingua letteraria intesa come lunga mano della classe egemone, snaturatrice).

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Bruno Migliorini ha chiamato glottotecnica, un calco creato in modo ineccepibile su glotto-logia: la tecnica della lingua di fronte alla scienza della lingua. La glottotecnica non ha limiti, in teoria, alla sua azione. Teoricamente, essa potrebbe anche proporsi la creazione di una lingua artificiale, ispirata a dati principi, fissati in partenza. Ma essa deve tener conto delle circostanze, che possono facilitare o ostacolare i suoi suggerimenti e le sue proposte. Soprattutto considerando delle difficolt che, per ragioni sociali, il sistema linguistico italiano attraversa, il glottotecnico dellitaliano dovr limitare i suoi interventi soltanto a quei casi, in cui pi sente di poter contare sul consenso, consapevole o non, degli utenti. Per questo rifiuta il purismo tradizionale, arcaico, classista, e accetta quello temperato, funzionale che stato detto neopurismo595 . Le istituzioni linguistiche italiane risentono delle conseguenze della loro formazione storica sia in senso favorevole sia in senso sfavorevole. La buona conservazione di molti segnali ha fatto s che, come strumento teorico, esse rappresentino tuttora qualcosa di valido. Ma la pesantezza delle concordanze rende macchinoso il sistema; la scarsa predisposizione alle parole astratte in una societ, che ne abbisogna per ragioni tecniche, e per gusti mentali, una remora gravosa. Le origini e la storia oligarchica bloccano la possibilit di creare metafore prese dalla lingua usuale, ci che la forza invece dellinglese. Punti di forza dellitaliano sono solo la chiara pronuncia e la ortografia decente, per la quale si propongono pi sotto solo alcuni ritocchi, volti a eliminare incertezze. Urgente la segnalazione appropriata degli accenti sulle parole sdrucciole (quando la sillaba finale cominci per consonante) e sulle piane (quando la sillaba finale
595

Migliorini, Lingua contemporanea, Firenze 1963, pp. 125

sgg.

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cominci con vocale): perci con accento mcchi-na e mal-a, ma senza accento risa-ta, bali-a. Sembra poi consigliabile che il segno della x sia ridotto al minimo e si dica e scriva tass, silografia invece di taxi, xilografia; che il dittongo UO sia eliminato dopo la I fonetica o grafica che sia, e quindi si generalizzi la pronuncia e la grafia di aiola, piolo, gioco (e NON aiuola ecc.); che la grafia del plurale dei nomi in -CIA, -GIA sia -CE, -GE dopo consonante e -CIE, -GIE dopo vocale e cio provinCE facCE franGE di fronte a audaCIE valiGIE; che larticolo davanti ai gruppi con PN o PS sia Lo, lo pneumatico, lo psicologo; che i plurali dei nomi in -CO -GO, siano abbandonati a se stessi e non ci si perda a disquisire se si debba preferire stomachi a stomaci, filoloGi a filologhi. Nella formazione delle parole si dovr tener conto non solo della opportunit di preferire suffissi gi funzionanti e perci pi funzionali, ma della esigenza di semplificazione e brevit; automazione ha gi vinto su automatizzazione, lemmazione deve ancora imporsi a lemmatizzazione. Cos da preferire anglismo ad anglicismo, ancorch questo sia pi corretto dal punto di vista della morfologia tradizionale. Nel trattamento delle parole straniere, il glottotecnico procede secondo tre direttive: a) riproduce quando la loro struttura compatibile con quella delle parole italiane: tali gap, bang, test, ring, boom ( 240); b) adatta quando lincompatibilit limitata: gol da goal, lider da leader, tosti da toasts, mochetta da moquette, tair da tailleur; d) traduce quando lincompatibilit totale: flash deve essere reso in lampo o altra parola equivalente.

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249. Autorit linguistica nazionale Ma, in materia di lingua la attivit legislativa non basta: occorre anche quella esecutiva che, per tre secoli e con diversa energia e prestigio, si identific con la Accademia della Crusca. Anche qui una questione di numero ha sconvolto lequilibrio tradizionale: di fronte a una oligarchia di letterati, la Crusca poteva imporre o almeno discutere o polemizzare. Nella attuale situazione della societ italiana, tutto questo impensabile. Linsuccesso della Accademia dItalia nel periodo, in cui pure poteva fruire dellappoggio di un potere totalitario, ne un esempio. Un risultato apprezzabile non si pu raggiungere se non attraverso la collaborazione di tre forze, anche se non nello stesso spazio e con la stessa intensit. Sono queste la RAI-Televisione596 ; per attenuare certe eccessive differenze di pronunce troppo regionali;. i sindacati degli insegnanti, per impegnarli a perseguire la regolarit ortografica e grammaticale a tutti i livelli scolastici; infine i maggiori giornali, e con essi i sindacati dei poligrafici, che potrebbero tradurre visivamente suggerimenti e proposte dei glottotecnici, e nel tempo stesso collaborare a mantenere la sintassi italiana in una scia di snellezza e efficienza. Finalmente lufficio legislativo presso la presidenza del Consiglio dei Ministri potrebbe essere fornito di una sezione linguistica autorizzata a regolamentare la babele terminologica propria dei diversi ministeri e uffici burocratici, naturalmente nei limiti delle parole tecniche. Enti culturali come la Accademia della Crusca possono oggi proporsi solo fini che richiedano contatti con
596 Benemerita per la pubblicazione dellimportante Dizionario di Ortografia e Pronuncia, a cura di P. Fiorelli, B. Migliorini, C. Tagliavini, Firenze 1970, abbr. DOP.

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un numero limitato di operatori: tale la grande raccolta del vocabolario storico della lingua italiana, che impegna una cinquantina di anni di lavoro e che per i primi due secoli della nostra storia letteraria sar un effettivo Tesoro, la raccolta completa di tutte le unit lessicali (ivi comprese le variet dialettali) attestate. Compiti non meno degni, anche se meno vistosi dal punto di vista monumentale, sono quelli che riguardano le edizioni di testi antichi, preziose anche ai fini della conoscenza del linguaggio dItalia, perch, senza edizioni fidate, non si fanno neanche dizionari fidati. Infine le istituzioni grammaticali dellitaliano doggi devono essere descritte da una grammatica adatta ai tempi597 . 250. Coordinamento linguistico a livello neolatino e euro-comunitario I problemi dellavvenire non si limitano, per la lingua italiana, come per le altre lingue nazionali, a quelli interni. Che sia in corso di formazione una comunit semantica europea, stato mostrato gi da L. Spitzer598 . G. Nencioni599 e E. Peruzzi se ne sono ulteriormente occupati600 . Questultimo ha mostrato bene come lallargamento sia stato progressivo, promosso prima sotto etichetta anglo-francese, e proseguito sotto forma angloamericana. Anche qui si vede come, dallantica situazione oligarchica, si sia passati alla convergenza di mas597 LAccademia della Crusca ha fondato nel frattempo un Centro di grammatica italiana (1970). 598 Essay on historical Semantics, New York 1948, p. 7. 599 Atti e memorie dellArcadia, III, V, Roma 1950, pp. 33 sgg. (a proposito degli europeismi). 600 Saggi di linguistica europea, Salamanca 1958.

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sa. La fortuna di cortina di ferro601 uno dei migliori esempi di questo massiccio europeismo. Sul piano formale dei significati, non si tratt soltanto di adattamento di forestierismi, ma di posizioni parallele da prendere ad esempio in fatto di verbi denominativi, quali i suffissi dellitaliano -izzare, del francese -iser, o del tedesco -ieren602 , applicati alle formazioni nuove. Sul piano estranazionale, i problemi del dirigismo consistono soprattutto nella possibilit di concordare o meno ladattamento delle parole affluenti dal mondo anglosassone, con le lingue pi vicine allitaliano per struttura morfologica, come il francese, pi aperto, e lo spagnolo, pi chiuso dellitaliano. I problemi che si pongono appaiono ad esempio attraverso la sorte della imagine americana dello skyscraper, arrivato a noi attraverso il francese gratte-ciel. La soluzione italiana aderente alla francese sia dal punto di vista fonetico come da quello semantico; quella spagnola di rascacielos rimane aderente al solo piano semantico, mentre quella tedesca Wolkenkrtzer corregge loriginale anche sul piano semantico in quanto sostituisce limagine nuvola a quella originaria del cielo. Sono in preparazione accordi col Conseil international de la langue franaise e eventualmente con la Accademia spagnola per affrontare il problema di un reciproco coordinamento attraverso il FITRO (Fond international pour la terminologie des langues romanes). Un altro aspetto del problema riguarda invece i problemi dei rapporti fra lingue intrinsecamente diverse, che facciano parte di un sistema politico-economico comune, come il Mercato comune europeo. Qui non si tratta tanto di regolare gli eventuali neologismi che si trasmettono allinterno della comunit. Il problema quello della facile traducibilit, e tocca soprattutto il trattamento del601 602

Peruzzi, op. cit., pp. 97-104. Peruzzi, op. cit., p. 27.

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le parole composte tedesche e nederlandesi, di fronte alla possibilit o meno di corrispondere ad altri composti oppure a semplici derivati in italiano (e francese). Con queste prospettive a largo raggio si chiude questo panorama delle vicende e delle strutture, nelle quali volta a volta il linguaggio dItalia si realizzato, e si predispone ad esprimersi nel prossimo futuro. stata una contemplazione, che, nonostante lacune e punti oscuri, costituisce un quadro incomparabile di serenit e di efficacia. Di fronte al continuo alternare di forze individuali e sociali in contrasto, luomo di studi si mantiene libero da tutele filosofiche o nazionali, dalla tirannide della specializzazione, dallutilitarismo degli specialisti. Con costante attenzione e comprensione, vede passare davanti ai suoi occhi il peso delle anonime plebi medievali, le scelte raffinate degli scrittori capostipiti di una tradizione, come gli schemi uniformi e spersonalizzati, che oggi incombono, attraverso la civilt dei calcolatori.

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