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6CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Nona Commissione - Tirocinio e Formazione Professionale Incontro di studi sul tema:

Controversie di lavoro ed onere della prova Roma, 25-27 giugno 2007


MARIA CASOLA

Mansioni, demansionamenti, trasferimenti e mobbing


SOMMARIO Premessa 1. La necessaria ricerca di regole generali 1.1 Essenza comune: linadempimento (esclusivamente) contrattuale del datore 1.2 Conseguenze della natura contrattuale della responsabilit 1.3 Limportanza degli atti introduttivi 1.4 Insufficienza assertiva: conseguenze 2. Il demansionamento 2.1 Il lavoro privato - 2.2 Demansionamenti leciti - 2.3 Il ruolo della contrattazione collettiva 2.4 Il pubblico impiego - 2.5 Gli oneri probatori - 2.6 La tutela in forma specifica 3. La promozione automatica 3.1 Il lavoro privato - 3.2 Oneri della prova - 3.3 Il pubblico impiego - 3.4 Oneri della prova 4. Trasferimenti 4.1 Elementi della fattispecie - 4.2 Oneri della prova 5. Il mobbing 5.1 Assenza di riconoscimento giuridico - 5.2 Inutilit della nozione: sussunzione negli art. 2087 e/o 1375 c.c. - 5.3 Conseguenze della riconduzione del mobbing alla disciplina dellart. 2087 c.c. - 5.4 Oneri della prova - 5.5 Possibile sussunzione del mobbing in figure affini: il motivo illecito determinante, le discriminazioni, le molestie 6. Il risarcimento del danno 6.1 Regole generali - 6.2 Il principio di effettivit del danno - 6.3 Molteplicit delle voci di danno: oneri di allegazione del lavoratore - 6.4 Schematizzazione delle voci di danno e relativi oneri assertivi/probatori.

Premessa
Il tema dellonere della prova nelle materie oggetto della presente relazione, cio Mansioni e demansionamenti, trasferimenti e mobbing, va, preferibilmente, affrontato non in maniera atomizzata e ripartita per ogni istituto, ma in base a canoni interpretativi il pi possibile generali. Questa basilare premessa dovrebbe, in realt, essere tenuta sempre in considerazione nellattivit interpretativa, proprio allo scopo di rinvenire la matrice comune dei diversi istituti, soggetta allapplicazione tendenziale di regole generali, pur nel rinvenimento di eventuali specifiche deroghe. Occorre dunque avere chiara consapevolezza della consistenza della regola generale e del suo rapporto con eventuali ipotesi eccezionali. Lapproccio metodologico in esame deve anche essere confrontato con il postulato dellappartenenza del diritto del lavoro al diritto civile comune, con la conseguente tendenziale applicabilit, salvo specifiche discipline di settore, di schemi e forme proprie del diritto delle obbligazioni1 . Mette conto, ancora, segnalare che lo studio dellonere della prova deriva sostanzialmente dallesame della struttura e della funzione delle norme sostanziali, esame appunto da svilupparsi alla luce di coordinate logico- sistematiche. Ci vale a giustificare la scelta euristica e redazionale di trattare, prima, il sostrato comune degli istituti assegnati, per poi delinearne, singolarmente, i rispettivi tratti caratterizzanti, sotto il profilo sostanziale. A quesultimo scopo, anche per assicurare unutile funzione di aggiornamento, si preferito dedicare attenzione alla pi recenti pronunce giurisprudenziali 2 su ciascun istituto, piuttosto che indulgere in approfondimenti scientifici teorici di tipo dogmatico. Alla luce degli elementi connotanti le fattispecie sostanziali, come sopra analizzate, si quindi esaminato, naturalmente in chiave ragionata, lo specifico atteggiarsi della distribuzione dei pesi probatori nelle diverse evenienze.

Gi in sede di fondazione del diritto del lavoro quale disciplina distinta dal diritto civile, or circa un secolo, venne lappello a non isolare i relativi problemi dai principi generali del diritto delle obbligazioni, cedendo al cieco empirismo, mentre il richiamo allunit dellordinamento quale postulato non logico ma di giustizia percorre il diritto non solo italiano nellet delle specializzazioni (Cass. S.U. n. 141/2006). 2 Nel corpo della relazione si sono riportati spesso i passi testuali salienti di sentenze rilevanti, per consentire il personale, diretto esame delle stesse. I passi sono in corsivo virgolettato, ma il sottolineato della redattrice.

1. La necessaria ricerca di regole generali


1.1 Essenza comune: linadempimento (esclusivamente) contrattuale del datore Proprio nel rispetto del criterio metodologico proposto, muovendo in medias res, si evidenzia come, in linea di massima, tutti gli istituti qui esaminati presentino un elemento comune: lessenza inadempitiva. Infatti, in via di prima approssimazione, ben si intende come i demansionamenti, i trasferimenti, il mobbing siano figure accomunate dal concretizzare altrettante ipotesi di violazione di obblighi da parte del datore di lavoro. Questa prima, quasi banale conclusione, importa, invece, nella materia dellonere della prova, significative e peculiari ricadute. Prima per di esaminare tale ultimo profilo, capitale sgombrare il campo dai possibili dubbi inerenti la natura della responsabilit datoriale. Infatti, la qualificazione, come contrattuale od extracontrattuale, del titolo di responsabilit incide, evidentemente, anche sulla tematica dellonere della prova. Ora, non qui la sede per approfondire largomento ora indicato, di proporzioni enormi, sembra per molto importante dare conto degli approdi interpretativi della pi recente giurisprudenza. In sintesi, si ricorda che, il tema della responsabilit datoriale, soprattutto ai sensi dellart. 2087 c.c.. stato tradizionalmente risolto con la tesi del duplice titolo di responsabilit, sostenendosi, con argomenti spesso tralatiziamente riportati, che la condotta datoriale violativa degli obblighi di sicurezza tale da integrare, contestualmente, la violazione di specifici obblighi contrattuali ed anche dei precetti generali del neminem laedere. In questa direzione, almeno sino a pochissimo tempo fa, il concorso delle due azioni costituiva ius receptum3 , lasciandosi, quindi, al creditore danneggiato la scelta tra due sistemi regolativi alternativi 4 . Il sistema ora delineato stato, dagli inizi degli anni 2000, posto in discussione da ampia giurisprudenza e da una parte della dottrina. Si infatti rilevato: nessun dubbio pu sussistere sulla prospettata qualificazione giuridica della stessa responsabilit - di natura contrattuale, appunto - ove si consideri, da un lato, che il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato - per legge (ai sensi dell'articolo 1374 c.c.) e, dall'altro, che la responsabilit contrattuale configurabile tutte le volte che risulti fondata sull'inadempimento di un'obbligazione giuridica preesistente, comunque assunta dal danneggiante nei confronti del danneggiato5 . Il fondamentale arresto delle Sezioni unite della Cassazione n. 6572/2006 (su cui v. infra) ha definitivamente suggellato la ricostruzione da ultimo illustrata: stante la peculiarit del rapporto di lavoro, qualunque tipo di danno lamentato.. si configura come conseguenza di un comportamento gi ritenuto illecito sul piano contrattuale giacch l'illecito consiste nella violazione dell'obbligo derivante dal contratto, il datore versa in una situazione di inadempimento contrattuale regolato dall'art. 1218 cod. civ.

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Ex multis Cass. n. 9877/02 ; S.U. n. 99/01. Le differenze regolative essenziali sono le seguenti: 1) la responsabilit contrattuale non presuppone la capacit di intendere e di volere, presupposta, invece, dallart. 2047, c.c.: ladempimento , del resto, atto dovuto (sempre, ovviamente, che non si tratti di adempimento di obbligazione naturale); 2) in relazione ai danni imprevedibili, poich lart. 2056, c.c. non richiama lart. 1225, c.c., si ritiene che, in caso di resp. contrattuale, tali pregiudizi siano risarcibili solo se se vi dolo, mentre in quella extracontrattuale lo sarebbero sempre; 3) nella responsabilit extracontrattuale deve fornirsi la prova della colpa dellautore del danno; 4) il diritto ad agire ex art. 2043, c.c. si prescrive in 5 anni (art. 2947, 1 comma, c.c.), quello ex art. 1218, c.c. in quello ordinario decennale (dalla relazione Onere della prova e responsabilit civile , Roma, Consiglio Superiore della Magistratura, Incontro di studio del 12.6.2006). 5 Cass. n. 12445/2006.

Il principio di diritto ora riportato stato confermato da tutte le sentenze pronunciate nel periodo successivo 6 . Il primo risultato interpretativo su cui occorre confrontarsi , dunque, il seguente: tendenzialmente, i casi di violazione di diritti del lavoratore ingenerano solo la responsabilit contrattuale del datore di lavoro 7 .

1.2 Conseguenze della natura contrattuale della responsabilit


Procedendo nellanalisi e, in aderenza agli scopi specifici dellindagine, si vanno ora a valutare i corollari, in tema di ripartizione degli oneri probatori, della ritenuta natura solo contrattuale della responsabilit datoriale. Sul punto, deve aversi come punto di riferimento limportante sentenza delle Sezioni unite 30 ottobre 2001, n. 13533, con cui stato composto il contrasto interpretativo esistente circa le incombenze probatorie gravanti sul creditore e sul debitore, nel caso di inadempimento nei contratti a prestazioni corrispettive 8 . Prima dellintervento delle S.U., secondo lorientamento considerato maggioritario, il regime probatorio sarebbe diverso secondo che il creditore richieda ladempimento ovvero la risoluzione. In particolare, nel caso in cui si chieda lesecuzione del contratto e ladempimento delle relative obbligazioni, lattore sarebbe chiamato a provare unicamente il titolo che costituisce la fonte del diritto vantato, e cio lesistenza del contratto, e, quindi, dellobbligo che si assume inadempiuto; nellipotesi, invece, in cui si domandi la risoluzione del contratto per linadempimento dellobbligazione, lattore sarebbe tenuto a provare anche il fatto che legittima la risoluzione, ossia linadempimento e le circostanze inerenti, in funzione delle quali esso assume giuridica rilevanza, spettando al debitore lincombenza probatoria di essere immune da colpa, solo quando lattore abbia provato il fatto costitutivo dellinadempimento. Il contrapposto indirizzo - definito minoritario in giurisprudenza ma favorito della dottrina - ha viceversa sempre optato per ricondurre ad unit il regime probatorio utile per tutte le azioni previste dallart. 1453 c.c. (e cio, per le azioni di adempimento, di risoluzione e di risarcimento del danno da inadempimento), avendo esse in comune il titolo ed il vincolo contrattuale che si assume violato: spetterebbe al creditore, insomma, di provare i fatti costitutivi della pretesa (fonte del credito e, ove previsto, termine di scadenza) ed allegare solo linadempimento ed al debitore di eccepire e dimostrare il fatto estintivo delladempimento. Ebbene, la Cassazione ha aderito a tale secondo orientamento.
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V. Cass. n. 13053/2006. Per ragioni di completezza, deve avvisarsi che lunico ambito in cui, senza specifici approfondimenti, viene riportata la massima tralatizia inerente il doppio titolo di responsabilit quello del pubblico impiego, ai soli fini del riparto di giurisdizione. Infatti ai fini del riparto della giurisdizione rispetto ad una domanda di risarcimento danni per la lesione della propria integrit fisica proposta da un pubblico dipendente nei confronti dell'Amministrazione, non soggetto alla disciplina del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, assume valore determinante l'accertamento della natura giuridica dell'azione di responsabilit in concreto proposta e, precisamente, se essa sia contrattuale o extracontrattuale, dovendosi ritenere proposta la seconda tutte le volte che non emerga una precisa scelta del danneggiato in favore dell'azione contrattuale, e quindi allorch, per esempio, il danneggiato invochi la responsabilit aquiliana ovvero chieda genericamente il risarcimento del danno senza dedurre una specifica obbligazione contrattuale, e dovendosi, invece, ritenere proposta l'azione di responsabilit contrattuale - con la conseguente devoluzione della controversia al giudice amministrativo - solo quando la domanda di risarcimento sia espressamente fondata sull'inosservanza, da parte del datore di lavoro, di una precisa obbligazione (Cass. ord. n. 22101/2006; cos anche sez. un. 11 luglio 2001 n. 9385; 25 luglio 2002 n. 10956; 5 agosto 2002 n. 11756; 2 luglio 2004 n. 12137). 8 Per lapprofondimento, v. Scarpa, Onere della prova e responsabilit contrattuale, Consiglio Superiore della Magistratura, Roma, Incontro di studio del 12 16 giugno 2006.

In estrema sintesi, gli argomenti posti dalle Sezioni unite a fondamento della soluzione ora rassegnata consistono nel principio, ricavato dallart. 2697 c.c, della presunzione di persistenza del diritto: una volta provata dal creditore lesistenza di un diritto destinato ad essere soddisfatto entro un certo termine, grava comunque sul debitore lonere di dimostrare lesistenza del fatto estintivo, costituito dalladempimento. Inoltre, si rileva che la domanda di adempimento, la domanda di risoluzione e la domanda autonoma di risarcimento del danno servono tutte a far statuire che il debitore non ha adempiuto: le ulteriori pronunce sono consequenziali a questa statuizione, che rimane perci eguale a se stessa quali che siano i corollari che ne trae lattore. A queste si aggiungono considerazioni di indole pratico: si prospetta la difficolt per il creditore di fornire la prova del fatto negativo di non aver ricevuto la prestazione, sia pure adducendo fatti positivi contrari; laddove, la prova delladempimento, se effettivamente avvenuto, sembra estremamente agevole per il debitore, che di regola in possesso di una quietanza o di altro documento relativo al mezzo di pagamento utilizzato. Ci costituisce applicazione del principio di riferibilit o disponibilit o vicinanza della prova, ponendosi in ogni caso lonere probatorio a carico del soggetto nella cui sfera si prodotto linadempimento. Va ancora considerato che la Corte ha esteso anche allipotesi dellinesatto adempimento il principio della sufficienza dellallegazione dellinesattezza delladempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dellobbligo di diligenza, o per difformit quantitative o qualitative dei beni), rimettendo al debitore di dimostrare lavvenuto esatto adempimento. La sentenza menzionata riconosce una sola eccezione al principio sancito: linadempimento di obbligazioni negative; dedotta, cio, la violazione di una obbligazione di non fare, la prova dellinadempimento rimane sempre a carico del creditore, anche nel caso in cui agisca per ladempimento. In virt dellart. 1222 c.c., infatti, ogni fatto compiuto in violazione di obbligazioni di non fare costituisce di per s inadempimento; sicch linadempimento delle obbligazioni negative integra sempre un fatto positivo. Nella cornice ora delineata, va poi tenuto presente che - in deroga ai principi generali di cui all'articolo 2697 c.c., applicabili ad ogni altro tipo di responsabilit, opera la presunzione legale di colpa 9 , a carico del (debitore inadempiente) responsabile del danno da risarcire, ai sensi dellart. 1218 c.c.10 La regola fondata sulla massima di esperienza per cui la violazione del rapporto obbligatorio deriva normalmente dalla negligenza del debitore e solo eccezionalmente da impedimenti insuperabili con la normale diligenza. La colpa dunque normalmente implicita nellinadempimento11 . Di conseguenza, risulta dispensato - dall'onere probatorio relativo -proprio il creditore danneggiato. Conclusivamente e schematicamente, il risultato interpretativo scaturente dallintervento delle S.U. e successivamente sempre ribadito 12 che

Per la complessa e risalente questione della natura, oggettiva o per colpa, della responsabilit contrattuale, si rinvia alla sintesi di Bianca, La responsabilit , Diritto civile , vol. V, 1994, 11 ss. E solo da ricordare che lassetto giurisprudenziale oggi assestato nel senso del fondamento colposo della responsabilit, ove la colpa intesa in senso oggettivo (cio alla stregua della normale diligenza). V. Cass. n. 6404/1986; 3450/1984. 10 Vedi, per tutte, Cassazione 16250, 2357/03, 15133/02, 3162/002, 602/00, 9247, 7792/98, 4078/95. 11 Bianca, op. cit., 73. 12 In ambito lavoristico, per lespressa condivisione del principio indicato, v. Cass. S.U. n. 141/2006; 613/1999; 7227/2002.

in caso dinadempimento contrattuale, qualsivoglia azione si intraprenda: il creditore deve: 1) allegare e provare il fatto costitutivo del diritto azionato 2) allegare linadempimento del debitore 1) allegare e provare i fatti estintivi, impeditivi, modificativi 2) allegare e provare la non imputabilit

il debitore deve:

eccezione per le obbligazioni negative: il creditore deve provare linadempimento

1.3 Limportanza degli atti introduttivi


Riassunto sopra il significato del principio di diritto affermato dalle S.U., deve operarsi qualche precisazione esplicativa, riferita alla materia lavoristica specifica 13 . Le puntua lizzazioni che si vanno esponendo sono funzionali ad affrontare quel punto nevralgico nella conduzione di un processo che lo studio iniziale degli atti introduttivi della causa. Infatti, lesperienza giurisprudenziale evidenzia che lattento esame dei soli atti introduttivi del giudizio molto spesso denuncia, in s, linammissibilit o lirrilevanza dei mezzi di prova e la decidibilit immediata della causa. La sequenza ordinata dei passaggi successivi del vaglio preliminare , schematicamente, la seguente. 1. individuazione del diritto azionato e verifica dei relativi fatti costitutivi In prima battuta, il ricorrente ha lonere di allegare i fatti storici che, secondo lassunto sostenuto, sarebbero costitutivi del diritto fatto valere. Ci significa che, dalla lettura del ricorso, deve essere possibile individuare con chiarezza il diritto azionato e le circostanze storiche, sufficientemente definite nella loro consistenza fattuale, che secondo le ragioni giuridiche fatte valere, sarebbero generatrici della situazione giuridica soggettiva azionata. Dunque, va controllata anche la astratta correlazione tra diritto azionato e fatti generatori addotti. Il diritto azionato deve dunque profilarsi ben definito nel suo oggetto ed astrattamente esistente in base ai fatti costitutivi asseriti. 2. apprezzamento dellipotetico inadempimento In secondo luogo, il ricorrente deve almeno allegare linadempimento della controparte. Infatti, anche ai fini di radicare linteresse ad agire, in ricorso ci deve essere lallegazione di fatti storici concretizzanti la lamentata violazione del diritto: almeno in astratto, va apprezzata la sussistenza e consistenza di una reale e precisa violazione del diritto. 3. valutazione del danno lamentato e del nesso causale Ancora in limine litis, il giudice deve valutare laccoglibilit delleventuale domanda risarcitoria. Come si approfondir, il ricorrente ha, al riguardo, lonere di specificare le precise voce di danno patito ed allegare elementi concretizzanti il preteso nesso causale rispetto alla condotta inadempitiva lamentata. 4. fatti impeditivi, estintivi o modificativi Solo ove le allegazioni del creditore sui punti sopra indicati siano sufficientemente determinate si radica, in capo al resistente, lonere di contestare la fondatezza della pretesa e, aggiuntivamente, di allegare e provare leventuale esistenza di fatti storici diversi, concretizzanti vicende impeditive
Per una profonda analisi complessiva della materia, v. Vallebona, Linversione dellonere della prova nel diritto del lavoro, Riv. Trim. dir. e proc. Civ., 1992, 809.

(cio che hanno ostato ab initio allinsorgere del diritto azionato), estintive (cio che hanno fatto venir meno il diritto, in origine esistente) o modificative.

1.4 Insufficienza assertiva: conseguenze


Si pongono due ipotesi. La prima che gli oneri assertivi, come sopra delineati, in particolare dal ricorrente, non vengano gravemente assolti provocandosi la radicale nullit del ricorso, ex art. 414 c.p.c. Siffatta evenienza, bene chiarire, ricorre solo quando latto sia inidoneo al suo scopo, in applicazione della norma generale di cui all'art.156, comma 2, c.p.c., cio quando risulti impossibile, dalla lettura dellatto, intendere uno degli elementi identificativi dellazione, petitum o causa petendi14 . Diverse sono, invece, le conseguenze nel caso in cui latto introduttivo sia valido, contenendo elementi assertivi, in fatto ed in diritto, sufficienti per la comprensione delloggetto e della ragione giuridica della domanda, ma le circostanze storiche rilevanti ed abbisognevoli di prova risultino solo genericamente allegate. In questa seconda evenienza, infatti, superata leccezione di nullit del ricorso, dovrebbe dichiararsi linammissibilit dei mezzi di prova vertenti su fatti storici solo genericamente individuati. Ricorrendo tale ipotesi, respinte le richieste istruttorie a cagione della genericit fattuale di circostanze storiche decisive, su cui la prova dovrebbe vertere (in quanto fatti costitutivi del diritto azionato), la domanda dovrebbe essere rigettata nel merito.

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E noto il consolidato orientamento della Cassazione che subordina la nullit dell'atto introduttivo del giudizio di lavoro all'omissione, ovvero all'assoluta incertezza, sulla base dell'esame complessivo dell'atto, del petitum, sotto il profilo sostanziale e procedurale, nonch delle ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della pretesa (tra le tante: Cass. 5794/04; 30.12.94 n. 11318; Cass. 30.8.93 n. 9167; Cass. 11. 6. 88 n. 4018; Cass. 18.11.87 n. 8436; Cass. 30.7.87, n. 6619; Cass. 5.6.86, n. 3777). Si ricordi, poi, la soluzione di sanatoria affermata da Cass. S.U. n. 11353/2004.

2. Il demansionamento
2.1 Il lavoro privato
Ai sensi dellart. 2103 c.c. il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le qua li stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisitoovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte. Come previsto dallart. 96 att. C.c., il datore di lavoro tenuto, allatto dellassunzione, a definire non solo linquadramento formale del dipendente ma anche il contenuto specifico dei compiti al medesimo affidati (cd. contrattualit delle mansioni). Il termine di riferimento dell'equivalenza, contemplata dall'art. 2103 cod. civ. (nel testo risultante dall'art. 13 della legge n. 300 del 1970), e' costituito dal contenuto professionale delle mansioni stesse; sicch devono considerarsi inferiori mansioni che, rispetto alle precedenti, comportino una sottoutilizzazione del patrimonio professionale acquisito dal lavoratore. La materia stata di recente oggetto di profonda revisione da parte della Cassazione. Lanalisi della tradizionale giurisprudenza in materia, consentiva di ritenere assodati i seguenti criteri interpretativi: a) lequivalenza non significa identit, ma omogeneit 15 ; b) lequivalenza va valutata in concreto rispetto ai seguenti elementi: - contenuto materiale intrinseco dei compiti assegnati - competenza richiesta - livello professionale raggiunto - possibilit di utilizzazione del patrimonio professionale acquisito dal dipendente nella pregressa fase del rapporto - grado di autonomia e discrezionalit - consistenza quantitativa dellimpegno 16 - posizione del dipendente nel contesto dell'organizzazione aziendale del lavoro 17 ; c) non sussiste lequivalenza quando il lavoratore venga lasciato inattivo 18
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L'art. 2103 cit. non ha affatto soppresso lius variandi del datore di lavoro, che trova la sua giustificazione in insopprimibili esigenze organizzative ed aziendali, ed dunque libero si esplicarsi in modo non soggetto a controlli di merito. Viceversa la norma codicistica si limita a regolare l'esercizio di tale potere, solo imponendo il rispetto dell'equivalenza delle nuove mansioni (principi pacifici, ribaditi, ex multis, da Cass., 07-07-1997, 6124). E bene dunque rimarcare che l'equivalenza delle nuove mansioni alle ultime effettivamente svolte, non va assolutamente intesa come identit delle nuove alle precedenti mansioni, in ci dovendosi escludere che il lavoratore possa vantare un diritto alla conservazione dellincarico, ipotesi assurda che in sostanza paralizzerebbe i poteri organizzativi dellimprenditore (v. Cass. 10333/1997; 5921/1984). 16 Lart. 2103 violato quando venga operata una importante riduzione quantitativa dei compiti del lavoratore tale da comportare una sottoutilizzazione delle capacit dallo stesso acquisite ed un consequenziale impoverimento della sua professionalit. Non ogni modifica quantitativa delle mansioni, con riduzione delle stesse, si traduce automaticamente in una dequalificazione professionale, che invece implica una sottrazione di mansioni tale - per la sua natura e portata, per la sua incidenza sui poteri del lavoratore sulla sua collocazione nell'ambito aziendale - da comportare un abbassamento del globale livello delle prestazioni del lavoratore con sottoutilizzazione delle capacit dallo stesso acquisite ed un consequenziale impoverimento della sua professionalit " (Cass. 4 agosto 2000 n. 10284; Cass., 20 marzo 2004, n. 5651; Cass., 11 luglio 2005, n. 14496). 17 Cass., 12 gennaio 2006, n. 425; Cass., 11 febbraio 2004, n. 2649, Cass. 7789/93, ex plurimis. 18 Posto che il lavoro costituisce non solo un mezzo di guadagno, ma anche un modo di estrinsecazione della personalit del lavoratore (Cass., 2 gennaio 2002, n. 10; 22 febbraio 2003 n. 2763; 13 febbraio 2006, n. 3046; 8 marzo 2006, n. 4975) ed anzi linattivit, secondo Corte Cost. 6 aprile 2004 n. 113, costituisce la forma pi grave di demansionamento.

d) non costituisce invece demansionamento laffidamento di mansioni inferiori ove queste siano meramente marginali ed accessorie ed il lavoratore sia adibito in maniera prevalente e assorbente a mansioni corrispondenti alla qualifica di appartenenza 19 . Lattuale giurisprudenza, invece, afferma una nozione "dinamica" di equivalenza professionale, basata sulla conservazione dei tratti essenziali fra le competenze richieste al lavoratore prima e dopo il mutamento di mansioni. Costituisce, invero, principio ormai acquisito che possano legittimamente assegnarsi al dipendente, a parit d'inquadramento, mansioni anche del tutto nuove e diverse, purch affini alle precedenti dal punto di vista del contenuto professionale. L'esistenza, per cos dire, di un "minimo comune denominatore" di conoscenze teoriche e capacit pratiche condizione necessaria e sufficiente a consentire che il dipendente sia in grado di svolgere le nuove mansioni con la preparazione posseduta. Anzi, il fatto di mutare ramo di attivit, operando in settori diversi della medesima area professionale, permette finanche al lavoratore d'incrementare ed arricchire il bagaglio di nozioni sviluppato nella fase pregressa del rapporto. In quest'ottica, senz'alcun dubbio quella che meglio risponde alle attuali caratteristiche ed esigenze del mondo del lavoro, la professionalit non rileva, dunque, come un'entit statica ed assoluta, sganciata dalla realt aziendale, bens come patrimonio di conoscenze potenzialmente polivalente, capacit di far fruttare nel nuovo posto di lavoro l'esperienza e le cognizioni sino a quel momento acquisite. Muovendo da una concezione siffatta di professionalit, e quindi d'equivalenza professionale, questa Corte ha affermato che se vero che le nuove mansioni affidate al dipendente debbono essere coerenti con la specifica competenza da lui maturata, ci non significa che il lavoratore che abbia acquisito una esperienza nell'ambito di un determinato settore dell'azienda non possa mai essere trasferito ad altro settore nell'ambito del quale egli venga chiamato ad affrontare problemi diversi o a dover soggiacere ad una organizzazione del lavoro concepita con modalit diverse rispetto a quelle afferenti la precedente mansione: ci che importa, nel rispetto della tutela delineata dall'art. 2103 c.c., che, attraverso l'affidamento di compiti nuovi, del tutto estranei rispetto all'attivit precedentemente svolta ed alle cognizioni tecniche gi acquisite, non venga del tutto disperso il patrimonio professionale e di esperienza gi maturato dal dipendente, compromettendo altres irrimediabilmente le sue prospettive di carriera all'interno dell'impresa cui appartiene. In sostanza, il rispetto della professionalit del lavoratore subordinato - cui tende l'art. 2103 c.c. nel porre limiti allo ius variandi del datore di lavoro - non si traduce necessariamente nella continuazione delle medesime operazioni lavorative effettuate in precedenza, potendosi esso esprimere anche in tutti i casi in cui, pur nel contesto di una diversa attivit lavorativa, l'esperienza professionale ivi maturata possa ritenersi utile alfine del miglior espletamento della prestazione richiesta. In tale ipotesi, infatti, il quadro complessivo delle attitudini professionali del lavoratore non viene ristretto, ma al contrario viene ampliato, potendo il lavoratore, gi forte dell'esperienza acquisita, arricchire il proprio bagaglio professionale attraverso l'effettuazione di una esperienza nuova a lui affidata proprio in considerazione della consapevolezza dei problemi che egli ha gi affrontato nel corso della pregressa attivit" 20 . Dunque, oggi lequivalenza va apprezzata rispetto a: - solo un minimo comune denominatore potenzialit di arricchimento professionale le definizioni dei c.c.n.l. (v. infra).

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Cass., 2 maggio 2003, n. 6714; 8 giugno 2001, n. 7821; 10 giugno 2004, n.11045. Sono le incisive e innovative parole di Cass. n. 10091/2006; v. anche 2003, n. 2328.

2.2 Demansionamenti leciti


Lart. 2103 co. 2 c.c. stabilisce la nullit di qualsiasi patto contrario. Non dunque disponibile, in via convenzionale, il diritto alla professionalit acquisita 21 . In alcune specifiche norme di legge, si ammettono ipotesi di deroga allart. 2103 ove si tratti di salvaguardare beni ritenuti dal legislatore di rango superiore (es. lart. 4, comma 11 legge 23 luglio 1991, n. 22322 ; lart. 1, comma 7 e dallart. 4, comma 4 legge 12 marzo 1999, n. 68 23 ; lart. 7, 5 co. L. 151/2001 24 , gi art. 30/33 della legge n. 1204/1971). Proprio sulla falsariga delle norme derogatorie citate, la giurisprudenza ha aderito ad una lettura flessibile della norma, in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata, volta al bilanciamento delle esigenze contrapposte e soprattutto alla tutela di interessi superiori. In questa direzione, per esempio, quando la sopravvenuta inidoneit fisica del lavoratore a svolgere le mansioni per le quali lo stesso stato assunto non comporti per la totale impossibilit di svolgere qualsiasi tipo di prestazione lavorativa, la giurisprudenza legittima lutilizzo del lavoratore, previa accettazione di questultimo, in mansioni anche dequalificanti ma, comunque, in grado di permettere lutilizzo della sua residua capacit lavorativa 25 . Ancora, si legittimata lassegnazione unilaterale a mansioni non equivalenti per un limitato periodo di tempo al fine dellapprendimento di nuove tecniche 26 .
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Rimane controverso in giurisprudenza il diritto del lavoratore di rifiutarsi di effettuare la propria prestazione in caso di violazione dellart. 2103, ai sens i dellart. 1460 c.c. Per la tesi affermativa, v. Cass. n. 12001/2003; n. 7599/2003. In senso diverso, per la necessit di un previo avallo giudiziario, cfr. Cass. n. 19689/2003; n. 10187/2002. Da ultimo, Cass. n. 10547/2007, ha ritenuto che ove pur sussista una situazione di dequalificazione di mansioni, non pu il lavoratore sospendere in tutto od in parte la propria attivit lavorativa, se il datore di lavoro assolva a tutti gli altri propri obblighi (pagamento della retribuzione, copertura previdenziale e assicurativa, garanzia del posto di lavoro), potendo una parte rendersi inadempiente soltanto se totalmente inadempiente l'altra parte, non quando vi sia contestazione e controversia solo su una delle obbligazioni a carico di una delle parti, obbligazione peraltro non incidente sulle immediate esigenze vitali del lavoratore (cfr. Cass. n. 1307/1998). 22 Questa norma, disciplinando le procedure di licenziamento per riduzione di personale, dispone che gli accordi sindacali stipulati nel corso di tali procedure possano prevedere il riassorbimento totale o parziale dei lavoratori ritenuti eccedenti, e possono stabilire, anche in deroga al secondo comma dellart. 2103 c.c., la loro assegnazione a mansioni diverse da quelle precedentemente svolte. Anzi si precisato che non pone alcuna preclusione nell'assegnazione delle mansioni inferiori, anche attribuendo all'impiegato quelle proprie dell'operaio; e ci si spiega considerando che trattasi per un verso di un rimedio per evitare il licenziamento e per altro verso di una deroga che non vincola i lavoratori, i quali ben potrebbero rifiutare la dequalificazione, andando per incontro al rischio del licenziamento (Cass., 7 settembre 2000, n. 11806). 23 Riguardanti la sopravvenuta inabilit dei lavoratori allo svolgimento delle loro mansioni. 24 Riguardante le lavoratrici madri, che durante il periodo di gestazione e sino a sette mesi dopo il parto - se il tipo di attivit o le condizioni ambientali sono pregiudizievoli alla loro salute - devono essere spostate ad altre mansioni anche inferiori a quelle abituali, conservando la retribuzione precedente. 25 Cass., Sez. Un., 7 agosto 1998, n. 7755; Cass. sez. lav. 2 agosto 2001, n.10574; 10 ottobre 2005, n. 19686; 7 marzo 2005, n. 4827; 19 agosto 2004, n. 16305. Nel caso di sopravvenuta inidoneit fisica alle mansioni lavorative, il cosiddetto patto di dequalificazione, quale unico mezzo per conservare il rapporto di lavoro, costituisce non gi una deroga all'art. 2103 cod. civ., norma diretta alla regolamentazione dello "jus variandi" del datore di lavoro e, come tale, inderogabile secondo l'espresso disposto del secondo comma delle stesso articolo, bens un adeguamento del contratto alla nuova situazione di fatto, sorretto dal consenso e dall'interesse del lavoratore; pertanto, il datore di lavoro tenuto a giustificare oggettivamente il recesso, anche con l'impossibilit di assegnare mansioni non equivalenti, nel solo caso in cui il lavoratore abbia - sia pure senza forme rituali - manifestato la sua disponibilit ad accettarle (Cass., 5 agosto 2000, n. 10339; n. 19686/2005). 26 Cfr. Cassazione 2948/01 che, infatti, ha reputato non configurare inadempimento - ovvero adempimento in contrasto con il requisito della buona fede - ladibizione temporanea del lavoratore a diverse mansioni, seppure non strettamente equivalenti a quelle di appartenenza, al fine dellacquisizione di una pi ampia professionalit.

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Analogamente a dirsi per il patto di demansionamento. In particolare, si ammessa la modifica consensuale in peius ove il demansionamento sia lunica misura atta a scongiurare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo 27 . Anche di recente la Cassazione 28 ha affermato costituisce principio ormai acquisito nella giurisprudenza di legittimit quello secondo cui lart. 2103 c.c non opera allorch il patto peggiorativo corrisponde allinteresse del lavoratore medesimo. Ed in effetti il diritto alla tutela della posizione economica e professionale del lavoratore deve trovare contemperamento con la tutela di altri interessi prioritari del lavoratore quale quello alla conservazione del posto di lavoro; per cui deve ritenersi legittima una interpretazione non restrittiva della disposizione anche alla luce delle maggiori e notorie difficolt in cui versa oggi il mercato del lavoro. I requisiti legittimanti sono: il consenso del lavoratore + condizioni che avrebbero legittimato licenziamento. La sentenza ora citata, chiarisce che lonere di dimostrare la sussistenza delle condizioni di fatto che avrebbero giustificato il licenziamento incombe sul datore di lavoro, in osservanza dellart. 5 della legge n. 604/1961 e del divieto posto dallart. 2103.

2.3 Il ruolo della contrattazione collettiva


Le considerazioni ora svolte offrono il destro per evidenziare un aspetto cruciale, di attuale rilevanza, costituito dal ruolo della contrattazione collettiva nella definizione del concetto di equivalenza. Invero, la sanzione di nullit di ogni patto contrario sancita dallart. 2103 c.c., si estende evidentemente anche alle clausole contrattuali collettive. In questo senso, massima tralatizia che la valutazione che il giudice di merito tenuto ad effettuare, in ordine allequivalenza delle mansioni, deve essere effettuata in concreto, e non vincolata alla classificazione delle mansioni nella contrattazione collettiva 29 . Tuttavia, ci che decisivo rimarcare che se il ccnl non pu vincolare il giudice nella definizione astratta dellequivalenza, pu e deve significativamente orientarlo nella definizione della quaestio facti. Il ragionamento prende le mosse, intanto, dal rimarcare che nel giudizio di equivalenza di cui allart. 2103, il giudice deve senza dubbio effettuare un confronto di tipo fattuale ed empirico tra i diversi tipi di mansioni, ma, come sostenuto pure dalla Cassazione citata in nota, il medesimo deve riferirsi, in via parametrica anche a quanto disposto dalla contrattazione collettiva 30 . Le cons iderazioni che si vanno sviluppando assumono poi particolare rilievo euristico quando si tratti di applicare norme a contenuto generico, cio moduli normativi indeterminati, clausole generali, concetti elastici, tra i quali rientra anche il concetto di equivalenza. In casi di tal fatta,
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Cass., n. 2375/2005; n. 2354/2004; n. 11727/1999; n. 9715/1995. Cass. n. 18269/2006. 29 Cass. 92/8114 ; 91/3661; di recente, Cass.,n. 12043/2003; n. 12821/2002; n. 13000/2003. 30 In altri termini, pur ribadendosi la netta differenza categoriale tra qualifica e mansione, attenendo la prima ad un dato puramente formale ed astratto, e quindi relativo e convenzionale, e la seconda ad un aspetto concreto, oggettivo, deve per tenersi a mente che le definizioni contrattuali-collettive in punto di fungibilit ed equivalenza, pur rimanendo inidonee a derogare al precetto imperativo di cui allart. 2103, possono svolgere un rilevante ruolo, parametrico ed orientativo, per il giudicante. Non questa la sede per sviluppare ulteriormente il cruciale argomento della tendenza ordinamentale alla delegificazione e allassegnazione alle parti sociali di spazi sempre pi ampi di poteri regolativi, nella direttiva di un diritto del lavoro sempre pi largamente dispositivo (cd. soft law), ma deve almeno darsi atto ed anzi rimarcarsi che la disciplina pattizia pu oggi legittimamente entrare, nei limiti legali, nel ragionamento giuridico pure giudiziale, anche se solo a livello indicativo. Infatti, le parti sociali, nellambito dei diversi settori produttivi, meglio conoscono realt, sistemi organizzativi e di lavoro, cos che le loro espressioni negoziali definiscono un indicatore spesso privilegiato della bont di tante scelte imprenditoriali.

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noto che, definendo un importante revirement , la Suprema corte ha statuito che loperazione di integrazione del contenuto di tali norme deve essere compiuta dallinterprete non con la creazione di propri canoni valutativi, di genesi personale e soggettiva, ma con la ricerca, allinterno del complessivo sistema, di criteri e principi integrativi. Tali ultime regole oggetto appunto di ricognizione, secondo la Cassazione, acquisiscono per vis abtractiva, una natura comunque giuridica, la cui individuazione ed applicazione definendo una quaestio iuris, rimane sindacabile in via diretta in sede di legittimit31 . Ebbene, nel novero di questi criteri che linterprete e quindi anche il giudice deve ricercare per colmare la norma indeterminata senzaltro primeggiano, nel microcosmo lavoristico, come riconosciuto nelle predette occasioni anche dalla Corte, le disposizioni della contrattazione collettiva. Infatti, per le ragioni gi enucleate, la produzione regolativa delle formazioni rappresentative delle contrapposte parti contrattuali, rilevanti anche ai sensi dellart. 2 Cost., assume portata persuasiva di assoluto rilievo. Si pensi del resto, in temi quali lindividuazione del minimo salariale ex art. 36 Cost. o laccertamento della giusta causa di licenziamento, ex artt. 2119 e 2106 c.c., quale ampio ruolo la giurisprudenza consolidata assegni alle disposizioni pattizie 32 . Anzi, proseguendo su questa ultima falsariga, deve rammentarsi che anche le recenti innovazioni ordinamentali che hanno investito la materia del pubblico impiego hanno, gi a livello normativo (v. art. 52 T.U.), segnato il recepimento proprio dellindirizzo interpretativo che, anche nel settore privato, va vieppi sviluppandosi (v. infra). Peraltro, tornando al settore privato, il caso di rammentare che, giusta pacifico insegnamento della Suprema Corte, le norme contrattuali, cui la legge affidi compiti classificatori, sono insindacabili da parte del giudice 33 . Il punto in esame ha, nellapplicazione giurisprudenziale, presentato controversi momenti di emersione per la Poste Italiane s.p.a.: poich il caso risulta paradigmatico, ne risulta opportuna una breve analisi. Dopo lintroduzione della nuova classificazione del personale di cui agli artt. 40 e ss. del CCNL del 26.11.1994, tutto il personale della societ Poste Italiane, in precedenza suddiviso in nove categorie, stato accorpato in quattro Aree funzionali. Lart. 4 dellallegato 1 prevede poi che nellambito dellArea operativa, nella quale il contenuto di specializzazione funzionale non costituisce elemento ostativo, deve essere garantita in presenza di necessit di servizio, lintercambiabilit del personale; il successivo art. 5, lett. b) prevede poi la possibilit della societ di attuare nellambito di progetti di riorganizzazione aziendale, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali, la fungibilit allinterno di ogni area. Dunque, avendo la societ proceduto allo spostamento orizzontale dei dipendenti in mansioni comprese nella stessa Area, si posto il problema della compatibilit dei principio di fungibilit ed interscambiabilit interna allarea rispetto allart. 2103. La questione stata di recente definita dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione nella importante sent. n. 25033/06, statuendosi che la contrattazione pu introdurre meccanismi
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Sentenze n. 10514 del 1998, n. 3645 e n. 434 del 1999; n. 8254 del 2004 Allo scopo, in via esemplificativa, di recente la pronuncia n. 4932/2003 sostiene testualmente: la specifica previsione contrattuale di un illecito disciplinare, con la corrispondente sanzione, impedisce al giudice di sostituire le proprie valutazioni a quelle dellautonomia privata, individuale e collettiva, salvo il controllo sulla nullit, quindi, aggiunge: quando la clausola generale di licenziamento venga definita, ossia specificata, attraverso la volont negoziale, il giudice tenuto ad uniformarsi alla definizione contrattuale, salva lipotesi che questa permetta il licenziamento arbitrario e discriminatorio . Dunque, la Cassazione sancisce qui la signoria, praticamente assoluta, del contratto collettivo rispetto allintervento giudiziale 33 Deve escludersi un sindacato giudiziale relativamente alla ragionevolezza dei criteri secondo cui i contratti collettivi operino distinzioni tra i vari tipi di mansione ai fini dellinquadramento contrattuale dei lavoratori e della loro progressione in carriera sulla base dello svolgimento di determinate mansioni, dato che proprio la contrattazione collettiva ad essere ritenuta lo strumento idoneo ad interpretare le esigenze dei vari settori produttivi ai fini in esame: Cass. 11.1.1999 n. 13601.

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convenzionali di mobilit orizzontale prevedendo, con apposita clausola, la fungibilit funzionale tra mansioni nella stessa area per sopperire a contingenti esigenze aziendali ovvero per consent ire la valorizzazione della professionalit potenziale di tutti i lavoratori inquadrati in quella qualifica, senza per questo incorrere nella sanzione di nullit del comma secondo della citata disposizione dellarticolo 2103 c.c.. In particolare i giudici di legittimit hanno evidenziato come le parti sociali possano legittimamente introdurre nella contrattazione collettiva clausole di fungibilit compatibili con larticolo 2103 c.c., collocando plurime e diverse mansioni nella stessa qualifica, sicch il l avoratore inquadrato in quella qualifica idoneo, e sa di poter essere chiamato a svolgere, mansioni diverse, in ipotesi anche di livello diverso. Secondo le Sezioni unite, la dimensione individuale della garanzia dellarticolo 2103 c.c. crea degli steccati (sic) che certamente valgono a protezione del lavoratore nei confronti di un indiscriminato jus variandi del datore di lavoro; ma possono rappresentare anche un attrito di resistenza alla progressione professionale della collettivit dei lavoratori inquadrati in quella stessa qualifica. Ed allora, se come deve ritenersi in materia , rileva non solo quello che il lavoratore fa, ma anche quello che sa fare (ossia la professionalit potenziale ), la contrattazione collettiva pu legittimamente farsi carico di ci, prevedendo e disciplinando meccanismi di scambio o di avvicendamento o di rotazione che non violano la garanzia dellarticolo 2103 c.c., ma che con questultima sono compatibili. E ancora da segnalare che nella successiva e recentissima sentenza n. 8596/2007 la Cassazione ha voluto, consapevolmente, portare ad ulteriori sviluppi la giurisprudenza sulle mansioni promiscue e vicarie. Pi specificamente la contrattazione collettiva pu prevedere che le mansioni corrispondenti alla qualifica di appartenenza siano costituite dallo svolgimento (promiscuo, appunto) di plurime attivit diverse, talune anche con carattere di prevalenza rispetto ad altre (Cassazione, Sezione lavoro, 1987/04; 16461/03), ovvero che le mansioni assegnate comprendano eventualmente anche attivit vicarie di diverso livello (Cassazione, Sezione lavoro, 9141/04; 14738/99) analogamente la stessa contrattazione collettiva pu introdurre clausole di fungibilit che, verificandosi specifici presupposti di fatto, consentano una mobilit orizzontale tra le mansioni svolte e quelle, pur diverse, rispetto alle quali sussiste unoriginaria idoneit del prestatore a svolgerle secondo un criterio di professionalit potenziale per ci che il lavoratore sa fare, anche se attualmente non fa. In sintesi, ed in conclusione , ne risulta affermato, come principio di diritto, che le convenzioni delle parti sociali pongono, dunque, legittimi e razionali meccanismi di mobilit orizzontale prevedendo, con apposita clausola, la fungibilit funzionale tra mansioni diverse ma con un nucleo di omogeneit ed affinit al fine di sopperire, come detto, a contingenti esigenze aziendali ovvero per consentire la valorizzazione della professionalit potenziale di tutti i lavoratori inquadrati in quella qualifica senza per questo incorrere in alcuna sanzione di nullit Le considerazioni ora fatte inducono a ribadire che una interpretazione dellarticolo 2103 c.c. abbandonando lottica di una cristallizzata tutela del singolo lavoratore a fronte dello jus variandi dellimprenditore - debba privilegiare un ponderato esame del dato normativo che tenga pure conto dei complessi problemi di riconversione e di ristruttuazone delle imprese (che impongono una attenuazione di una rigidit della regolamentazione del rapporto di lavoro capace di ostacolare detti processi) e che, in tale direzione, venga a configurarsi come naturale evoluzione di un indirizzo giurisprudenziale volto ad assegnare alla contrattazione collettiva incisivo rilievo nella gestione dei rapporti lavorativi delle imprese anche nelle sue articolazioni locali, in ragione delle specifiche situazioni che si possono verificare nelle varie realt aziendali e territoriali, e che possono richiedere un adeguamento degli organici con una accentuata flessibilit proprio per soddisfare le diverse esigenze sopravvenute in dette realt34 . Si , dunque, di fronte alla presa datto della Cassazione dellintervenuta globale rivisitazione dei precedenti orientamenti giurisprudenziali sullarticolo 2103 c.c., con il riconoscere, nella materia in esame alla contrattazione collettiva la possibilit di una identificazione di mansioni fungibili (e
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Per alcune ricadute della contrattazione collettiva nellassetto delle relazioni industriali, Cass., SU, 4588/06

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tra di esse legittimamente interscambiabili), condizionando la legittimit di detta flessibilit alla circostanza che tra le suddette mansioni si riscontri quantomeno un nucleo di omogeneit ed affinit35 . Per le ricadute sui carichi probatori, v. infra, par. 2.5.

2.4 Il pubblico impiego


Lart. 52 del d.lgs. n. 165/2001 definisce, in maniera esaustiva ed ex novo, la disciplina delle mansioni nel lavoro pubblico e dunque la medesima deve collocarsi tra le diverse disposizioni (ex art. 2, co. 2) contenute nel decreto di riforma di deroga alla normativa civilistica. Conseguenza ne che, nel lavoro pubblico , almeno in parte qua, radicalmente esclusa lapplicabilit dellart. 2103 c.c. Il testo della disposizione risultante dalla cd. seconda privatizzazione segna un apprezzabile passo nella direzione dellallineamento con regole e principi giusprivatistici. Intanto, va valorizzato il dato letterale nel suo riferirsi al concetto di mansioni. Si assiste cio al passaggio dalla precedente prospettiva, ancorata alla qualifica di appartenenza, cio ad un dato puramente formale, ad un criterio concreto ed empirico, cio quello strettamente mansionistico. La norma sancisce quindi il diritto del lavoratore ad essere adibito alle mansioni per le quali stato assunto. Si rileva dunque, anche in questo ambito, la contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico, con riferimento precipuo alla stretta negozialit delle mansioni, principio gi sancito dallart. 2103 c.c. Lart. 52 dispone, poi, che il dipendente pu essere adibito anche alle mansioni considerate equivalenti nellambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi. Tra i settori pubblico e privato sussiste una fondamentale differenza di diritto positivo: lart. 2103 parla di mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte; lart. 52, viceversa, tratta di mansioni considerate equivalenti nellambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi. Lart. 2103 attribuisce rilievo, come termine di paragone, alle mansioni di fatto e da ultimo espletate, dunque rende rilevante tutta la crescita professionale che, a livello diacronico, il dipendente si trovi ad aver sviluppato, secondo la realt aziendale contingente singolarmente vissuta. Di contro, lart. 52 36 si riferisce solo alle mansioni pattuite al momento dellassunzione o (salvo avanzamento) a tutte quelle astrattamente qualificate equivalenti nella disciplina pattizia. Si pone dunque linterrogativo relativo al ruolo rivestito dalle norme contrattualcollettive nel contesto del giudizio di equivalenza. Sul punto risultano oggi formulate, in giurisprudenza ed in dottrina, due diverse tesi. 1) Secondo il primo orientamento, inderogabilmente, alla contrattazione collettiva sarebbe assegnata la definizione del concetto di equivalenza.
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Nella stessa sentenza: A seguito dellindicato approdo giurisprudenziale sullarticolo 2103 c.c. diviene, dunque, doveroso per ragioni di nomofilachia cui tenuta anche questa Sezione lavoro - una interpretazione ben pi elastica rispetto al passato della norma codicistica, gi patrocinata da autorevole dottrina, e che trova fondamento in una nuova nozione di capacit professionale e d equivalenza di mansioni, scaturente dalla presa datto della necessit di una tutela dinamica delle doti lavorative, da accrescere anche attraverso costanti corsi professionali ormai indispensabili in ragione, proprio, delle continue innovazioni di carattere tecnologico e organizzativo. Cos, la recente decisione delle Sezioni Unite si pone come intervento volto ad autorevolmente confortare quellindirizzo giurisprudenziale, che in una logica di bilanciamento dei contrapposti interessi, ha cercato un equilibrio tra il diritto dellimprenditore ad una gestione razionale ed efficiente delle proprie risorse ed il diritto, anche esso costituzionalmente tutelato, al posto di lavoro, individuando numerose fattispecie di legittima assegnazione del lavoratore a mansioni inferiori. 36 Sottolinea la specificit della norma, rispetto al lavoro privato, G. Del Medico, Le mansioni del lavoratore tra esigibilit ed equivalenza, in Riv. personale ente locale, 2000, 605.

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Il giudizio di equivalenza sarebbe dunque, in questa sede, non unindagine di fatto, ma un giudizio dinterpretazione di norme contrattuali. Infatti, sarebbe la stessa legge che ha volutamente rimesso allautonomia collettiva la valutazione del merito della professionalit, secondo un concetto di equivalenza non in concreto ma in astratto 37 . Il rinvio operato dallart. 52 al contratto collettivo sarebbe quindi di tipo costitutivo 38 di un vero e proprio potere regolativo: spetterebbe in modo esclusivo alla contrattazione precisare la portata dellequivalenza 39 . Lintervento del giudice sarebbe, perci, consentito solo a fronte di clausole collettive irrazionali o incoerenti, violative degli obblighi di buona fede 40 . 2) Secondo altro indirizzo, invece, il giudizio di equivalenza dovrebbe essere sempre condotto in concreto, come avviene nellimpiego privato, ma i contratti collettivi non fornirebbero allinterprete un mero indice ermeneutico, ma lo vincolerebbero ad operare il giudizio entro lambito da esse stabilito. Ora, valutando il significato proprio delle parole secondo la loro connessione, in armonia con la ratio legis, considerato anche il modo con cui gli operatori negoziali hanno recepito la delega 41 , ben si ricava che il c.c.n.l. vincola linterprete nella determinazione del confine classificatorio entro o oltre il quale deve essere affermata/esclusa lequivalenza. La norma, infatti, non parla di mansioni definite equivalenti dalla contrattazione collettiva, ma di mansioni considerate equivalenti nellambito della qualificazione professionale prevista nei contratti collettivi. La considerazione dellequivalenza, cio lapprezzamento in concreto della stessa, deve essere sviluppata allinterno della qualificazione professionale prevista nei contratti collettivi. Dunque, il c.c.n.l. ha signoria definitoria solo nella costituzione del limite oltre il quale sicuramente non pu esservi equivalenza (es. area) o dei parametri delimitativi del giudizio in concreto. Dovrebbe perci escludersi lipotesi della immediata rimessione al prudente e libero apprezzamento del giudice della valutazione sullequivalenza, con indagine direttamente condotta ad personam sulla specifica professionalit interessata, a prescindere dalle norma pattizie 42 . Peraltro, molti c.c.n.l. hanno recepito la delega proprio ribadendo la necessit che, nellambito stabilito, lequivalenza sia poi verificata in concreto 43 .
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In questo senso v. Campanella, Mansioni e qualifiche, ius variandi nellimpiego pubblico e privato , Riv. Giur. Lav. E prev. Soc., 1999, 464; Borzaga, Il concetto di equivalenza delle mansioni, Riv. It. Dir. Lav., 1999, 283; F. Panariello, in G. Santoro Passarelli, Diritto del lavoro e della previdenza sociale , Milano, 1998, p. 1619.; L. Fiorillo, in Le nuove leggi civili commentate , 1999, p. 1392. In giurisprudenza, cfr Trib. Napoli, 16 gennaio 2004, in Foro it., 2005, I, 1366.Trib. Taranto, ord. 11 maggio 2001, Lavoro nelle p.a., 2002, 630; Trib. Ravenna, 9 aprile 2002, in www.aranagenzia.it; Trib Trieste, 8 febbraio 2002, Lavoro nella giur., 2003, 465; Trib. Pistoia, ord. 24 gennaio 2001, id., 2002, 290; Trib.Milano, 5 maggio 2000, Riv. Crit. Dir. Lav., 2000, 758. 38 Cos D. Carlomagno, Lavoro pubblico: lequivalenza delle mansioni nel contratto collettivo , Il lavoro nella giurispr., 2003, 468. 39 B. Caponetti, Le mansioni nel pubblico impiego, Normativa vigente, ruolo della contrattazione e profili giurisprudenziali, Lavoro e previdenza oggi, 2006, 451. 40 Cos Trib. Modena 9 gennaio 2004, Il lavoro nelle p.a., 2004, 932. 41 V. in argomento, Curzio, Pubblico impiego: sospensioni, congedi aspettative, mutamenti di mansioni, promozioni, Riv. Crit. Dir. Lav., 2002, I, 264. 42 Per lapprofondimento della tematica, si pu leggere M. Casola, La disciplina delle mansioni nel pubblico impiego , relazione C.S.M., Incontro di studi, 2-27 maggio 2006. 43 Ad esempio lart. 3, secondo comma, del c.c.n.l. del comparto regioni ed autonomie locali, si esprime in questi termini: Ai sensi dellart. 56 del d. lgs. n. 29 del 1993 (ora art. 52 del t.u.), tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili. Lassegnazione di mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere determinativo delloggetto del contratto. Esula dalla presente relazione lesame del nuovo sistema dinquadramento del personale . In questa sede sia solo consentito osservare che, nella materia de qua, il dato differenziale rispetto al previgente sistema costituito dal superamento della rigida ed analitica ripartizione del personale nelle nove qualifiche funzionali e dalla costituzione di aree o categorie, comprensive di pi profili e pi livelli retributivi. In realt

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Si segnala che la Cassazione sembra avere sposato (pur senza particolari approfondimenti) la tesi dellaffidamento alla contrattazione collettiva della definizione dellequivalenza, almeno come limite vincolante di valutazione. Cos nella recente sent. n. 55/2007, si sostiene che il principio fissato ora dal D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 52, postula una condizione di equivalenza fissata all'interno dei singoli contratti collettivi. Ancora, pur se in obiter dictum nella sent. n. 13372/2003 si legge costantemente riconosciuto nella giurisprudenza di questa Corte che ai fini dell'applicazione dell'art. 2103 cod. civ., spetta all'autonomia collettiva fissare la gerarchia delle mansioni e delle relative qualifiche allo scopo di stabilire la "categoria superiore" e le "mansioni superiori". Ma, occorre che tale potere (espressione di una specifica idoneit in materia dello strumento negoziale collettivo, che ha ricevuto recenti conferme in sede legislativa, ad es. nella materia dei rapporti di lavoro pubblici contrattualizzati, dove al contratto collettivo affidata anche la individuazione dell'equivalenza delle mansioni: v. ora art. 52 del d.lgs 30 marzo 2001, n. 165 . Nella sent. N. 17774/2006, poi, in un caso del comparto Ministeri, la Corte, implicitamente attenendosi alla definizione di equivalenza della norma pattizia 44 , chiarisce il significato ampio e flessibile della esigibilit delle mansioni45 , peraltro riconoscendo lonere del lavoratore di allegare e dimostrare la sostanziale estraneit professionale delle mansioni richieste rispetto alla propria professionalit essenziale. Questa lettura del resto in linea con la recente lettura flessibile dello stesso art. 2103 c.c. affermata dalle Sezioni unite citate; dunque, andrebbero rispettate le clausole contrattuali affermative di criteri di fungibilit tendenziale entro ambiti predefiniti e ci per due ragioni correlate: la rivisitazione del concetto di professionalit (e quindi di equivalenza) e l a rilevanza in materia delle pattuizioni 46 collettive . Sul consenso al demansionamento nel pubblico impiego, risulta di dubbia soluzione la questione inerente la validit di un patto tra il dipendente e lamministrazione datrice circa lassenso alladibizione a mansioni inferiori. Nel lavoro privato, lart. 2103 cpv. espressamente sanziona con la nullit qualsiasi patto contrario al suo precetto. Nulla invece previsto nellimpiego pubblico. La prima giurisprudenza di merito pronunciatasi, ha esteso lart. 2103 cpv. sulla base del rinvio generale alle norme codicistiche 47 . La soluzione per non convince, attesa la voluta omissione nel pubblico impiego, di una norma uguale al 2103. Dunque deroghe convenzionali, individuali e collettive, paiono doversi ammettere. Ci anche in base al trend interpretativo ormai sempre pi condiviso, per cui sarebbe ammessa la deroga allart. 2103 ogni volta che si tratti di salvaguardare beni di rango superiore (v. supra).
laccorpamento delle nove qualifiche in tre o massimo quattro aree o categorie preordinato soprattutto a garantire una maggiore flessibilit nellimpiego del personale. Ebbene, proprio tale flessibilit a generare il problema della fungibilit delle varie posizioni professionali e quindi della mobilit orizzontale del personale allinterno dellarea, con eventuali prof ili di demansionamento . 44 L'articolo 13, comma 4, del contratto collettivo nazionale di lavoro Comparto ministeri dispone che il dipendente sia tenuto a svolgere tutte le mansioni considerale equivalenti nel livello economico di appartenenza nonch le attivit strumentali e complementari a quelle inerenti lo specifico profilo. 45 Nella sentenza, alla questione dellequivalenza si giustappone quindi quella della esigibilit. Sul punto la Corte ricorda che l'attivit prevalente ed assorbente svolta dal lavoratore deve rientrare tra quelle previste dalla categoria di appartenenza, e che tuttavia, per ragioni di efficienza e di economia del lavoro o di sicurezza, possono essere richieste al lavoratore, incidentalmente e marginalmente, attivit corrispondenti a mansioni inferiori, ed il lavoratore tenuto ad espletarle (Cass. 25 febbraio 1998, n. 2045, che nel rifiuto di eseguire tali mansioni ritiene configurabile anche un comportamento suscettibile di valutazione in sede disciplinare; Cass. 8 giugno 2001, n. 7821, che fa riferimento a motivate esigenze aziendali; Cass. 2 maggio 2003, n. 6714; Cass. 16 giugno 2004, n. 11045, che richiama esigenze di tutela, sicurezza e salubrit dell'ambiente di lavoro). 46 Si rinvia a tutto quanto approfondito nel paragrafo che precede. 47 Trib. Parma, ord. 28 marzo 2001, n. 125, Giust. amm., 2001, 626.

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2.5 Gli oneri probatori


Poich lart. 2103 c.c. non contiene alcuna specifica disciplina, in ipotesi singolare o eccezionale, in materia di ripartizione dellonere della prova, secondo il sistema interpretativo individuato allinizio della relazione, dovr farsi riferimento ai principi generali regolatori della materia dellinadempimento contrattuale 48 . La questione che si pone , tuttavia quella della controversa configurabilit del precetto dellart. 2103 come obbligazione datoriale di non fare (art. 1222 c.c.): obbligo di non adibire il prestatore a mansioni non equivalenti. Aderendo, infatti, a tale ultima ricostruzione, il riparto degli oneri probatori dovrebbe essere definito secondo lipotesi eccezionale tipizzata dalle Sezioni unite nella citata sentenza n. 13533; dunque, trattandosi di obblighi negativi, il lavoratore dovrebbe allegare e provare (oltre lesistenza del diritto) anche linadempimento (in via successiva, allegare e provare le voci di danno ed il nesso causale). Se, invece, si ritiene, come sembra preferibile, che lequivalenza comporti un obbligo di fare, cio di assegnare mansioni equivalenti, lonere della allegazione dellinadempimento graver sempre sul lavoratore, ma la prova delladempimento, quale fatto estintivo, incomber sul datore di lavoro. Questultima senzaltro, la posizione prescelta dalla Cassazione. Allorquando da parte di un lavoratore sia allegata una dequalificazione o un demansionamento o comunque un inesatto adempimento dellobbligo del datore di lavoro ex art. 2103 c.c. su questultimo che incombe lonere di provare lesatto adempimento del suo obbligo, o attraverso la prova della mancanza in concreto di qualsiasi dequalificazione o demansionamento, ovvero attraverso la prova che luna o laltro siano state giustificate dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali o disciplinari (ovvero, in base al principio generale di cui allart. 1218 c.c., comunque da una impossibilit della prestazione derivante da causa a lui non imputabile 49 . In sintesi: il diritto che viene azionato il diritto allo svolgimento di mansioni equivalenti. Il fatto costitutivo del diritto consiste, quindi, nella individuazione del contenuto delle mansioni di assunzione o delle ultime effettivamente svolte. Il fatto inadempitivo, della cui allegazione il lavoratore comunque onerato, consiste nella assegnazione a mansioni che si assumono deteriori. Questo punto molto importante, perch dalle asserzioni storico-giuridiche contenute in ricorso il giudice deve essere gi posto in
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E appena il caso di richiamare la complessa questione inerente la qualificazione giuridica della violazione dellart. 2103 come inadempimento/illiceit e/o nullit/invalidit, con le conseguenze in tema risarcitorio. Rima utile segnalare che la pi recente giurisprudenza tende, pur senza specifici approfondimenti, ad esprimersi in termini di inadempimento contrattuale: cos la Corte cost. nella sent. n. 113/2004 (che ha esteso il privilegio generale sui mobili per il credito risarcitorio da demansionamento) e cos le Sezioni unite nella sent. N. 6572/2006 (su cui v. infra). In dottrina, cfr. Di Majo, Tutela risarcitoria, restitutoria, sanzionatoria , in Enc. Giur. Treccani, XXXI, 1994, 16; di recente anche C. Pisani, I problemi rimasti aperti in tema di dequalificazione dopo le sezioni Unite 6572/06, in Mass. Giur. Lav., 2006, 489. 49 Cass., 6 marzo 2006, n. 4766. Secondo la Corte, infatti, come affermato da questa Corte con la sentenza 3 giugno 1995, n. 6265, il lavoratore ha altres il diritto, a maggior ragione, a non essere allontanato da ogni mansione, cio il diritto all'esecuzione della prestazione lavorativa, cui il datore di lavoro (tradizionalmente creditore esclusivo della medesima) ha il correlativo obbligo di applicarlo, restandogli consentita la possibilit di trasferirlo solo per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. La violazione di tale diritto del lavoratore all'esecuzione della propria prestazione fonte di responsabilit risarcitoria del datore di lavoro, salvo che l'inattivit del lavoratore sia riconducibile ad un lecito comportamento del datore di lavoro medesimo, in quanto giustificata dall'esercizio dei poteri imprenditoriali, garantiti dall'art. 41 Cost., o dall'esercizio dei poteri disciplinari. Similmente, v. Cass. n. 10547/2007.

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condizione di apprezzare in astratto (rispetto allattuale concetto di equivalenza) la modificatio in peius, sulla base di elementi fattuali circostanziati e specifici50 . Dunque, nel ricorso deve essere contenuta una comparazione analitica del contenuto delle mansioni di provenienza e di destinazione, con adeguate argomentazioni circa la lamentata disomogeneit 51 . In questa direzione, la violazione dellart. 2103 deve essere supportata da oneri assertivi precisi, senza che possa rimettersi il dedotto demansionamento al fatto notorio, alla sensibilit comune, al mero confronto tra qualifiche o a formule vaghe e generalizzanti. Solo ove gli oneri assertivi che precedono siano stati sufficientemente assolti si radica lonere del convenuto di contestazione e di allegazione di fatti impeditivi, estintivi o modificativi.

2.6 La tutela in forma specifica


In passato la giurisprudenza aveva dubitato circa la legittimit, in caso di dequalificazione del lavoratore dipendente, di una sentenza di condanna del datore di lavoro ad adibire il lavoratore alle mansioni in precedenza assegnate, soprattutto in considerazione del carattere eccezionale del provvedimento di reintegrazione, consentito nei soli casi previsti dallart. 18 della legge n. 300 del 1970. Le pronunce emanate in epoca successiva hanno osservato che, anche a voler ritenere che il c.d. ordine di reintegrazione nelle specifiche mansioni esercitate prima della illegittima destinazione ad altro incarico non sia suscettibile di esecuzione forzata, tuttavia consentita lemanazione dellordine in questione da parte del giudice, restando inteso che il datore di lavoro pu ottemperarvi anche assegnando il dipendente a mansioni diverse e caratterizzate soltanto dal requisito della equivalenza alle precedenti. Con la sentenza n. 452/2006 la Corte intervenuta a razionalizzare la materia. Se si riconosce che la violazione della norma imperativa di cui allart. 2103 cit. implica la nullit del provvedimento datoriale ha osservato la Corte si deve parimenti ammettere la possibilit che al lavoratore sia accordata una tutela piena, mediante lautomatico ripristino della precedente situazione, fatto salvo, ovviamente, il c.d. jus variandi del datore di lavoro; tale situazione non ha nulla a che vedere con quella prevista dallart. 18 della L. 300/70, il cui richiamo costituisce un falso problema. Lordinamento vigente ha affermato la Corte privilegia la tutela satisfattoria dellinteresse leso (cfr. Cass. S.U. n. 141/2006); alla sua realizzazione preordinata la pronuncia di condanna del datore alladempimento in forma specifica; tutela che anchessa reale, al pari di quella prevista dallart. 18 cit., in quanto comporta la persistenza del rapporto illegittimamente modificato del datore, ma appartiene alla sfera del diritto comune, non essendo assimilabile al regime speciale previsto per il licenziamento ritenuto illegittimo. Quanto al pubblico impiego, il 2 comma dellart. 68 sancisce il potere-dovere del giudice ordinario di adottare nei confronti della P.A. tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna richiesti dalla natura dei diritti tutelati. E giusto il caso di constatare che, stricto iure, la norma priva di contenuto precettivo innovativo, posto che essendo, gli atti di gestione del rapporto lavorativo di natura privatistica, in ogni caso non avrebbe trovato applicazione lart. 4, 2 comma, della l. n. 2248 del 1865, all. E. Comunque, lart. 68 vale proprio a ribadire lobiettivo della pienezza e della effettivit della tutela da assicurarsi al dipendente pubblico .

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Insiste di recente sulla necessit che in ricorso ci sia una puntuale allegazione sullinadempimento, Cass. n. 20523/2005. 51 Espressamente, in tal senso Cass. n. 24036/2006.

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3. La promozione automatica
3.1 Il lavoro privato
La giurisprudenza in materia di promozione automatica del lavoratore adibito temporaneamente allesercizio di mansioni superiori risulta ormai assestata. Se ne riportano qui gli approdi interpretativi pi rilevanti52 . sulla durata minima del periodo In primis, circa la durata minima dellespletamento delle mansioni superiori necessaria per lacquisto del diritto alla qualifica superiore, lart. 2103 c.c. la quantifica in tre mesi; la contrattazione collettiva pu tuttavia introdurre condizioni di miglior favore. La derogabilit in peius del termine trimestrale indicato invece consentita solo per i dirigenti ed i quadri, ex art. 6 legge 13 maggio 1985, n. 170. Secondo lormai prevalente orientamento giurisprudenziale dovrebbe, ai fini del computo del periodo in questione, attribuirsi rilievo alle sole giornate di lavoro effettivo e non anche a quelle di sospensione del rapporto 53 . Gli eventi sospensivi hanno comunque effetto non interruttivo, ma appunto sospensivo, dovendo quindi ricongiungersi il periodo di applicazione precedente a quello successivo alle ferie o alla malattia 54 . A seguito di importanti pronunce della Corte di legittimit, acclarato che il diritto alla promozione automatica non richiede la rigorosa continuit del periodo, essendo sufficienti anche molteplici brevi assegnazioni a mansioni superiori per un periodo complessivamente maggiore di un trimestre 55 . Permane tuttavia contrasto esegetico circa la necessit o meno, in casi quali quelli ora esposti, della prova dellintento fraudolento del datore di lavoro. Per un primo filone giurisprudenziale, infatti, non sarebbe necessario dimostrare un tale tipo dintento datoriale, essendo al riguardo sufficiente una programmazione iniziale degli incarichi e una predeterminazione utilitaristica di un comportamento inteso ad ovviare, con una pratica elevata a sistema, esigenze necessariamente ricorrenti o comunque suscettibili di riproporsi con carattere di regolarit e quindi con prevedibile periodicit 56 . Secondo altra corrente invece, ai fini dellinsorgenza del diritto, dovrebbe risultare lintento fraudolento del datore di lavoro diretto ad impedire la maturazione del diritto alla promozione. Tale intento sarebbe desumibile proprio dalla frequenza e sistematicit delle reiterate assegnazioni a mansioni superiori tali da palesare la predeterminazione da parte datoriale di tale contegno per
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Sia anche permesso rinviare a M. Casola, Adibizione a mansioni superiori e promozione automatica del lavoratore: orientamenti giurisprudenziali, Foro it., 2000, I, 2875. 53 Cass. 14154/1999, secondo cui nel computo del lasso temporale di espletamento di mansioni superiori, non pu tenersi conto n del periodo di ferie, n di quello di malattia (n peraltro rileva di questultima la natura e lorigine, almeno in assenza di apposita norma regolatrice). 54 Al riguardo cfr. Cass., sez. un., 18 dicembre 1998, n. 12699; 29 luglio 1996, n. 6839 in Dir. lav., 1997, II, 301, nota di Giammaria; 29 luglio 1996, n. 6839; 11 giugno 1990, n. 5655. Va comunque segnalato che la giurisprudenza della Cassazione risulta pacifica nel ritenere l'interpretazione delle disposizioni collettive di diritto comune, compiuta dal giudice del merito nella materia di che trattasi, censurabile in sede di legittimit solo per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione (ad esempio, la Suprema corte ha confermato sentenze di merito che avevano ritenuto che, ai fini del compimento dei diciotto mesi necessari, ai sensi dell'art. 10 del regolamento organico del 1 gennaio 1981, per l'acquisizione della qualifica superiore da parte di un primo ufficiale di macchina, dipendente da societ di navigazione, in funzionamento nel grado di direttore di macchina, dovesse tenersi conto anche dei periodi di riposo e di ferie: Cass. 16 febbraio 1993, n. 1898; 15 febbraio 1992, n. 1845. 55 Da ultimo, v. Cass. n. 2642/2004; 12785/2003. 56 Cass. 10 novembre 1997, n. 11098; nella giurisprudenza di merito, cfr. Pret. Milano 5 dicembre 1996, in Riv. critica dir. lav., 1997, 341

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sottrarsi allapplicazione della norma in esame; viceversa la volont elusiva dovrebbe escludersi ogniqualvolta le suddette reiterate assegnazioni risultino giustificate dalla particolare natura dellattivit espletata 57 . Quello da ultimo citato proprio il caso dei cd. sostituti programmati, cio di quei dipendenti che espletano istituzionalmente mansioni di vicari di colleghi assenti con dirit to alla conservazione del posto 58 . Uno dei punti fermi sulla questione stato posto dalle Sezioni unite della Cassazione per la specifica fattispecie di sussistenza di obblighi contrattuali del datore di lavoro di coprire il posto vacante mediante concorso. La sentenza 28 gennaio 1995, n. 1023 ha infatti statuito che, ove il contratto collettivo preveda che la copertura di una posizione di lavoro nell'organico aziendale debba avvenire mediante procedura concorsuale, il datore di lavoro - nelle more dello svolgimento del concorso - pu coprire tale posto adibendovi a rotazione dipendenti di qualifica inferiore per distinti periodi che, singolarmente considerati, non siano superiori a quello previsto per l'acquisizione della qualifica superiore ex art. 2103 c.c., senza che sia possibile cumularli. In tal caso infatti argomenta la Corte - la alternanza delle assegnazioni di mansioni superiori non significativa di alcun intento del datore di lavoro di eludere il rispetto della legge e di avvantaggiarsi di prestazioni lavorative di pi elevato livello senza il riconoscimento della corrispondente qualifica, ma risponde (salvo prova contraria) all'esigenza organizzativa di coprire temporaneamente il posto al quale, successivamente ed in via definitiva, dovr essere assegnato il vincitore del concorso 59 . Si precisato comunque che la parte datrice potrebbe adibire a rotazione dipendenti di qualifica inferiore ad un posto da coprire mediante concorso, senza maturazione del diritto a qualifica superiore, solo per il tempo strettamente necessario per lindizione e lo svolgimento del concorso previsto dal regolamento o dal contratto collettivo 60 . Naturalmente, anche in subiecta materia, vi ampio utilizzo dei principi di correttezza e buona fede 61 . svolgimento delle mansioni superiori Il carattere vicario delle mansioni svolte preclude il diritto del sostituto allinquadramento nella qualifica superiore. Dunque, se tra le mansioni tipiche della qualifica di appartenenza sono compresi compiti di sostituzione del dipendente di grado pi elevato, la sostituzione non crea il diritto alla promozione 62 . Di recente, si precisato che questo limite opera solo se la sostituzione occasionale, non nel caso in cui la funzione vicaria sia travalicata in ragione del carattere permanente della sostituzione e della persistenza solo formale della titolarit in capo al superiore delle mansioni proprie della relativa qualifica, per effetto di una stabile scelta organizzativa del datore63 . Lassegnazione deve, inoltre, essere piena, nel senso che deve implicare lassunzione del livello di responsabilit e di autonomia tipica delle mansioni superiori64 .
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Cass. 13 gennaio 1997, n. 271, in Riv. giur. lav., 1997, II, 169, con nota di Di Croce. Per il personale delle Ferrovie dello Stato ha ribadito il principio test riportato Cass. 24 maggio 1999, n. 5040. Di segno decisamente favorevole alla parte datoriale poi quellopzione interpretativa, condivisa in verit solo da una parte della giurisprudenza di merito, secondo cui, atteso il carattere eccezionale della promozione automatica, sarebbe giustificata la condotta dellimprenditore inteso ad evitarne loperativit mediante rotazione del personale (cos Pret. Fermo 13 novembre 1996, in Dir. lav. Marche, 1997, 86). 59 Cass., sez. un., 28 gennaio 1995, n. 1023, in Foro it., 1995, I, 494, con nota di AMOROSO; Giust. civ., 1995, I, 1201, annotata da NANNIPIERI. In senso conforme alle Sezioni unite v. anche nella giurisprudenza di merito Pret. Firenze 4 ottobre 1995, in Toscana giur., 1996, 743. 60 Pret. Firenze 7 dicembre 1995, in Toscana giur., 1996, 743 61 V. di recente Trib. Reggio Emilia 2 giugno 1998, in Orient. giur. lav., 1998, I, 29; Pret. Catania 2 agosto 1995, in Foro it., 1996, I, 766, con nota di richiami. 62 Di recente, M. Somvilla, Mansioni vicarie e promozione automatica , in Mass. Giur. Lav., 2007, 41 ss. 63 Cass. n. 21021/2006; 2637/2000; n. 15968/2004. 64 Cass. n. 4642/2006; 20660/2005; 11125/2001.

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sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto Secondo lindirizzo interpretativo ormai consolidato, la fattispecie assenza con diritto alla conservazione del posto si estende anche a situazioni ulteriori e diverse rispetto alle ipotesi di sospensione del rapporto legalmente tipizzate (sciopero, adempimento di funzioni pubbliche elettive, infortunio, malattia, gravidanza, puerperio, chiamata alle armi). In tal senso si ritiene che il sindacato sul provvedimento datoriale debba esplicarsi non solo alla luce delle disposizioni legislative, ma anche alla stregua di quelle previste nella contrattazione collettiva; queste ultime infatti ben potrebbero tipizzare fattispecie di temporanea assenza del dipendente comportante la necessit di sostituzione temporanea. Rimarrebbe del resto impregiudicato il sindacato sui poteri organizzativi del datore di lavoro ove risulti in concreto luso fraudolento da parte di questultimo di espedienti per eludere il precetto stabilito dallart. 2103 cit. a favore del sostituto 65 . In applicazione del principio interpretativo enunciato si escluso il presupposto delleffettiva vacanza del posto nel caso di ferie del dipendente da sostituirsi66 ; nellipotesi di collega sospeso dal lavoro perch posto in cassa integrazione guadagni67 ; nella situazione dellassente per l'espletamento di attivit sindacale, in forza di permessi retribuiti previsti dalla contrattazione collettiva 68 . Secondo la Cassazione 69 , nell'ipotesi in cui un lavoratore subentri ad altro nello svolgimento delle mansioni superiori di un dipendente assente con diritto alla conservazione del posto non ravvisabile un fenomeno di sostituzione mediante scorrimento (o a catena o a cascata) e lo svolgimento delle mansioni superiori non utile, ai fini dell'acquisizione della corrispondente qualifica ai sensi dell'art. 2103 c.c., neppure al lavoratore subentrante all'originario sostituto, con detto subentro attuandosi, in definitiva, la sostituzione del lavoratore assente (anzich del suo sostituto)70 . In talune ipotesi stata aperta una breccia alla regola della portata ostativa alla promozione del carattere solo vicario delle mansioni superiori svolte, allorch lesigenza della sostituzione sia derivata da unobiettiva insufficienza o da carenza dellorganico dellimpresa, fatti che il dipendente a dover provare o almeno dedurre. In tali evenienze invero il riferimento alla sostituzione di lavoratori assenti sarebbe solo diretto a giustificare laffidamento di mansioni superiori, reso invece necessario da carenze strutturali di organico, si ch il sostituto andrebbe a ricoprire un vero e proprio posto nellorganigramma effettivo dellimpresa 71 .

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Per questa tesi v. Cass. 22 agosto 1997, n. 7874; 13 agosto 1996, n. 7541, in Lavoro giur., 1997, 32 con nota di Mannaccio ed in Dir. lav., 1997, II, 342, con nota di Rigan; 21 novembre 1990, n. 11217, pubblicata in Foro it., 1991, I, 467, con nota di Amoroso, anche in Riv. giur. lav., 1991, II, 248, con nota di Prasca 66 Cass. 6 maggio 1999, n. 4550; 13 agosto 1996, n. 7541. 67 Cass. 5 dicembre 1990, n. 11663, Foro it., 1991, I, 467, nota AMOROSO ed in Riv. dir. lav., 1991, II, 601, con nota di Gragnoli 68 Cass. 10 aprile 1999, n. 3529. Interessa peraltro precisare che, anche in materia, linterpretazione delle disposizioni collettive di diritto comune compiuta dal giudice del merito censurabile in sede di legittimit solo per vizi di motivazione e violazione delle regole di ermeneutic a contrattuale (ad esempio la Suprema corte ha confermato la sentenza di merito che, ritenendo tassativa la disposizione del contratto collettivo per i dipendenti delle Ferrovie dello Stato, relativa allipotesi di assenza dei dipendenti con diritto alla conservazione del posto, aveva escluso che tra le suddette ipotesi potesse farsi rientrare la partecipazione a corsi professionali, attesa proprio la mancanza di espressa previsione: Cass. 2 novembre 1998, n. 10954). 69 Cass. n. 10346/2002; 20 maggio 1992, n. 6028. 70 La tesi per cui lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, sarebbe anche il lavoratore presente in azienda ma temporaneamente non utilizzato, per ragioni di salute, nel suo normale posto di lavoro (cui addetto un sostituto) sostenuta da Cass. 19 marzo 1983, n. 1964, in Giur. it., 1983, I, 1, 1953. 71 Cfr. Cass. 25 marzo 1997, n. 2631, in Lavoro giur., 1997, 1009, con nota di Focareta; 20 maggio 1997, n. 4496, in Riv. it. dir. lav., 1998, II, 96, con nota di Palla.

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Naturalmente, cessata la causa della sostituzione (per esempio, per dimissioni del sostituito) l'eventuale proseguimento dello svolgimento delle suddette mansioni diviene utile ai fini del superiore inquadramento solo quando superi i tre mesi, senza possibilit di cumulo col periodo anteriore 72 Il carattere vicario delle mansioni espletate preclude non solo il diritto alla promozione, ma anche quello alla maggiore retribuzione per il periodo della sostituzione, allorch lassegnazione stessa non sia stata piena. Tale ultima condizione si verifica sia quando la sostituzione non abbia riguardato mansioni proprie della qualifica rivendicata, n comportato lassunzione dellautonomia e della responsabilit tipiche della qualifica stessa 73 sia ancora quando le mansioni proprie della qualifica del sostituto comprendano compiti di sostituzione di dipendenti di grado pi elevato 74 , sia, infine, quando lattivit sostitutiva abbia concorso con mansioni prevalenti dellinferiore qualifica di appartenenza 75 . E utile far presente che alcuni c.c.n.l., in ipotesi di sostituzione di dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, pongono a carico del datore di lavoro lobbligo di comunicare per iscritto al sostituto i motivi delladibizione alle mansioni superiori ed il nominativo del dipendente sostituito 76 . assegnazione a mansioni superiori Il presupposto del diritto al superiore inquadramento non costituito solo dalla circostanza che il lavoratore svolga mansioni superiori, ma che egli vi sia assegnato; pertanto, deve escludersi che il diritto al superiore inquadramento possa acquisirsi per effetto del mero svolgimento di un compito superiore e della mera inerzia del datore di lavoro, ove questa, per le precise circostanze in cui si esplichi, non esprima univocamente ed inequivocabilmente un consenso; infatti l'assegnazione delle mansioni un atto in cui si esplica il potere organizzativo del datore di lavoro (qualora le mansioni non siano dedotte nel contratto di lavoro) e non costituisce, invece, terreno di iniziativa del lavoratore 77 . Tuttavia, lassenza di investitura formale irrilevante ai fini de quibus 78 .

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Cass. 24 gennaio 1992, n. 766, in Riv. it. dir. lav., 1993, II, 278, n. Focareta; 24 gennaio 1992, n. 766. Viceversa sulla possibilit di successiva sostituzione di pi lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto, v. Cass. 27 luglio 1984, n. 4479, in Foro it., 1986, I, 143. 73 Cass. 11 aprile 1996, n. 3363; 23 febbraio 1996, n. 1433. 74 Cass. 10 novembre 1998, n. 11331; 28 febbraio 1996, n. 1546; 19 gennaio 1985, n. 183, in Foro it., 1985, I, 2970. 75 Cass. 17 febbraio 1997, n. 1438. 76 CFR. lart. 41 del ccnl 5 febbraio 1988, per i dipendenti delle Ferrovie dello Stato. Sullargomento la Cassazione ha chiarito che, in effetti, in materia di sostituzione di un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto con altro lavoratore di qualifica inferiore, l'art. 2103 c.c. non prescrive che, perch sia escluso il diritto del sostituto alla definitiva assegnazione alle mansioni superiori, il datore di lavoro debba comunicare a quest'ultimo, in occasione dell'assegnazione suddetta, il nominativo del sostituito e i motivi della sostituzione; tuttavia la contrattazione collettiva pu ben prevedere tale regime pi rigoroso per tutelare pi efficacemente la professionalit del lavoratore contro possibili abusi del datore di lavoro (Cass. 23 gennaio 1999, n. 646). In tal senso si ritenuto che la comunicazione deve essere, se non preventiva, almeno contestuale alladibizione alle nuove mansioni (Cass. 7 aprile 1998, n. 3586; 22 agosto 1997, n. 7874, in Foro it., 1998, I, 1237, con nota di richiami; in senso opposto v. invece Cass. 14 novembre 1997, n. 11280). La Cassazione ha peraltro considerato conforme ai criteri di ragionevolezza e rispettosa dellart. 1362 c.c. linterpretazione del giudice del merito che, sulla base della nominata disposizione contrattuale, ha ritenuto la configurabilit a carico dellente dellonere di provare, in caso di contestazione, leffettiva sussistenza della causa della sostituzione e la ricorrenza di unipotesi di diritto alla conservazione del posto (Cass. 5 febbraio 1998, n. 1192). 77 Pret. Sassari-Alghero 4 agosto 1993, in Notiziario giurisprudenza lav., 1993, 816; nel medesimo senso v. Trib. Milano 16 febbraio 1994, in Orient. giur. lav., 1994, 233).

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La prova del consenso del datore di lavoro costituisce oggetto di accertamento necessario soltanto qualora il datore di lavoro contesti (fatto impeditivo) la pretesa del dipendente provando che le mansioni superiori sono state svolte contro la sua espressa volont79 . In tema di rapporto di lavoro degli addetti ai pubblici servizi di trasporto, deve rammentarsi che la sussistenza dellordine scritto del direttore dellazienda costituisce elemento costitutivo della domanda di promozione al grado superiore per lo svolgimento delle relative mansioni. La esistenza di tale requisito deve dunque essere provata dal lavoratore che rivendichi la promozione e, pertanto, nel caso in cui lordine sia stato impartito dal vice-direttore, incombe sul prestatore lonere di allegare e provare che questi abbia agito su delega o disposizione del direttore, posto che la delega, costituisce, in tal caso, un elemento integratore della fattispecie 80 . Non risultano concordi le opinioni, giurisprudenziali e dottrinali, sulla necessit o meno del consenso, anche implicito, del lavoratore, per la promozione automatica. Per la rinunciabilit, da parte del dipendente, al diritto allassegnazione a mansioni superiori, si argomenta che il potere di assegnazione provvisoria a mansioni superiori da ritenersi implicitamente ricompreso nello ius variandi unilaterale che l'art. 2103 c.c. riconosce al datore di lavoro, in quanto soddisfa l'esigenza di tutela della professionalit della mano d'opera che la norma persegue; il consenso del dipendente invece necessario per l'operativit della c.d. promozione automatica che dalla suddetta assegnazione possa eventualmente derivare 81 . In senso contrario, ha chiarito che l'art. 13, l. n. 300 del 1970 non contiene un assoluto divieto, per il datore di lavoro, di assegnare il lavoratore a mansioni superiori senza il suo consenso: pertanto consentito alla contrattazione collettiva disciplinare le modalit secondo le quali, nei limiti derivanti dall'esigenza di tutela della professionalit del lavoratore, pu e deve esercitarsi l'anzidetto ius variandi in melius 82 . E importante anche chiarire che nel lavoro privato largomento speso sove nte dalla parte datrice, circa linsussistenza della qualifica pretesa nellorganico aziendale giuridicamente inconcludente. Infatti, nellambito del lavoro privato domina un principio di effettivit, per il quale risulta tendenzialmente predominante il dato materiale riscontrabile. In questo senso, il meccanismo di promozione automatica di cui allart. 2103 c.c., persegue essenzialmente lo scopo di adeguare il modello organizzativo a mutate esigenze operative. Di contro, nel contesto pubblico, lorganizzazione, che regola giuridica astratta, a determinare la gestione. Dunque la realt ad essere dominata dallatto amministrativo, cio dalla forma. In questa prospettiva la rigidit della dotazione organica, come norma di diritto obiettivo e, pi in ge nerale, la signoria dello stato di

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Similmente irrilevante che l'assegnazione provvisoria delle mansioni predette non sia stata disposta dall'organo, dell'ente datore di lavoro, cui, a norma dello statuto, spetta di deliberare in ordine alle promozioni del personale: Cass. n. 24/2005; 6981/1994. 79 Cass. 14 febbraio 1983, n. 1122, in Giust. civ., 1983, I, 3361, con nota di GHINOY. 80 Cass. 21 marzo 1997, n. 2507. 81 v. Cass. 6 giugno 1985, n. 3372 in Foro it., 1986, I, 142, con nota di Mazzotta. In senso conforme v. anche Pret. Catania 2 agosto 1995, in Foro it., 1996, I, 766, pubblicata anche in Riv. it. dir. lav., 1996, II, 820, nota Vallebona. La Suprema corte ha peraltro chiarito che il rifiuto del lavoratore, adibito a mansioni superiori a quelle di assunzione per un periodo superiore a tre mesi, di proseguire lo svolgimento delle mansioni stesse in difetto dell'attribuzione del superiore corrispondente inquadramento e del relativo trattamento economico, non costituisce rinunzia al diritto alla promozione automatica, nascente dall'art. 2103 c.c. bens un comportamento inteso a far valere l'exceptio inadimpleti contractus ex art. 1460 c.c., non preclusivo della possibilit di far valere tale diritto (Cass. 10 gennaio 1984, n. 186). 82 Cass. 29 agosto 1987, n. 7142. In dottrina, v. sul tema VERDOLIVA, Spunti in tema di consenso alla qualifica superiore (nota a Cass. 16 giugno 1989, n. 2907, in Lavoro e prev. oggi, 1990, 2194.

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diritto sullo stato di fatto, corollari del principio di legalit dellazione amministrativa, costituiscono la ratio portante della diversa disciplina menzionata. La prospettiva che si va illustrando risulta spesso posta dalla Cassazione a base di varie decisioni. La Corte, infatti, proprio constatando ladibizione continuativa di un dipendente ad una certa mansione risale alla conclusione della relativa carenza di organico, con la conseguente necessit di suo adeguamento (cfr. per esempio, Cass. n. 13940/2000). Dunque, la mancata previsione aprioristica della qualifica ambita nellorganico formale non ha alcuna rilevanza, potendosi, semmai, dimostrare, ex post , proprio il dato deficitario dellorganizzazione del soggetto datore di lavoro, oggetto di necessario adattamento. Anche nella materia delle promozioni automatiche la giurisprudenza conferma la tesi interpretativa ormai ampiamente diffusa nel settore lavoristico inerente linsussistenza di un principio di parit di trattamento tra i dipendenti. In particolare si ritenuto che nel nostro ordinamento non possibile individuare un principio che imponga la parit di trattamento tra lavoratori che svolgano identiche mansioni; infatti, l'art. 36 Cost. si limita a garantire la sufficienza e la proporzionalit della retribuzione alla qualit e alla quantit del lavoro prestato, mentre il canone della ragionevolezza, che rappresenta un utile criterio di valutazione del rispetto da parte del legislatore del principio di uguaglianza posto dall'art. 3 Cost., non pu essere applicato con la stessa efficacia nella valutazione dei regolamenti privati di interessi, che siano frutto dell'autonomia contrattuale; ne consegue che, a fronte di una contrattazione collettiva che introduca posizioni e trattamenti diversificati, precluso al giudice l'esame della razionalit del regolamento contrattuale, a meno che risultino violate specifiche norme di diritto positivo 83 . Ai fini che interessano, non pu dunque assumere alcuna utile efficacia euristica la comparazione soggettiva delle diverse posizioni lavorative in seno allorganizzazione aziendale. Sulla stessa falsariga si esclude possa essere in s considerato atto discriminatorio vietato lattribuzione da parte dellimprenditore di una qua lifica superiore ad un dipendente e non ad altro impiegato in identiche mansioni. A questultimo pertanto, salva lapplicazione dellart. 15 dello statuto dei lavoratori, potr essere riconosciuta la qualifica superiore solo ove si riscontrino singulatim verificate le condizioni a tale fine richieste dalla normativa collettiva e dallart. 2103 c.c.84 Nella medesima prospettiva va letto lorientamento giurisprudenziale per cos dire simmetrico, secondo cui legittima l'attribuzione al lavoratore, quale trattamento di favore, di una qualifica superiore a quella corrispondente alle mansioni svolte, essendo in tal caso irrilevante chiedere di provare, ad inficiare la validit del conferimento, la non corrispondenza in concreto della qualifica formale alle mansio ni effettive 85 .
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Da ultimo v. Cass. 4 dicembre 1999, n. 13601; 7 gennaio 1999, n. 62. Cass. 2 dicembre 1996, n. 1027. In applicazione del medesimo parametro ermeneutico si ancora affermato che, con riguardo a domanda diretta al riconoscimento della qualifica di dirigente e del corrispondente trattamento retributivo, in relazione alle mansioni di fatto svolte dal lavoratore, la circostanza che compiti identici siano stati svolti precedentemente da altri dipendenti con qualifica dirigenziale non rileva ai fini del diritto al superiore inquadramento. E ci neppure sotto il profilo della disparit di trattamento, non essendo la circostanza illustrata di per s sufficiente per integrare la lesione della dignit umana considerata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 103 del 1989, e potendo eventualmente derivare da una ingiustificata attribuzione di qualifiche superiori a dipendenti con identici incarichi, ed in generale dalla violazione delle regole di correttezza, conseguenze risarcitorie ma non il riconoscimento di diritti ingiustamente attribuiti ad altri. Sotto questo aspetto, si argomenta, differenziazioni retributive dissociate dal contenuto delle mansioni non costituiscono di per s una violazione dei suddetti principi, tale violazione pu infatti presumersi solo in totale assenza di ragioni addotte dall'imprenditore per giustificare l'esercizio dei suoi poteri discrezionali (Cass. 17 febbraio 1994, n. 1530). 85 Cass. 5 febbraio 1997, n. 1068; 20 aprile 1 995, n. 4437. Sempre in punto di parit di trattamento opportuno citare la sentenza della Suprema corte 4 dicembre 1999, n. 13601, nella quale si in radice esclusa la possibilit di procedere ad un sindacato giudiziale relativamente alla ragionevolezza dei criteri secondo cui i contratti collettivi operino distinzioni tra i vari tipi di mansioni ai fini dellinquadramento contrattuale dei

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Va rammentato, anche per quanto qui interessa, che la disciplina prevista dallart. 2103 c.c. ha carattere inderogabile, comportando la nullit di ogni disposizione contrattuale contraria 86 . Ancora, si opinato che in sede di applicazione dell'art. 2103 sono irrilevanti i titoli d'investitura o di studio posseduti dal lavoratore che rivendica la qualifica superiore, giacch, eccettuato il caso in cui esclusivamente a titoli del genere sia ancorata la attribuzione della qualifica e salvo ogni giudizio sulla validit di limitazioni simili poste dalla disciplina collettiva, quel che occorre valutare se il lavoratore abbia esercitato mansioni superiori a quelle corrispondenti alla qualifica assegnatagli, in quanto tale esercizio, come fatto, che da solo si sostituisce ai requisiti formali 87 . E utile ancora ricordare che diritto del lavoratore al riconoscimento di una qualifica superiore - e cio ad una diversa collocazione nell'impresa attraverso l'attuazione degli strumenti classificatori all'uopo predisposti - soggiace alla prescrizione ordinaria decennale di cui all'art. 2946 c.c. Viceversa va osservato che qualora il lavoratore deduca l'espletamento di mansioni superiori, rispetto a quelle corrispondenti alla qualifica riconosciutagli, no n per conseguire un diverso inquadramento, ma, in via strumentale, per ottenere un adeguamento del trattamento retributivo, anche ai fini della maggiorazione della indennit di fine rapporto, il diritto vantato soggetto non alla prescrizione decennale - propria appunto del diritto alla qualifica - ma a quella quinquennale ex art. 2948 c.c. 88 Detto termine breve decorre anche quando il diritto a tali differenze venga fatto valere contemporaneamente al diritto all'attribuzione alla qualifica superiore, soggetto alla prescrizione ordinaria 89 . E utile precisare, in materia di giudicato formatosi su domanda di riconoscimento di qualifica superiore ai sensi dellart. 2103 c.c., che il medesimo ricomprende ogni possibile profilo inerente il fatto costitutivo dedotto, estendendosi ad ogni possibile ragione di fatto che lattore avrebbe potuto dedurre a sostegno della pretesa 90 .

lavoratori e della loro progressione in carriera, proprio essendo la contrattazione collettiva ad essere ritenuta dalla legge lo strumento idoneo ad interpretare le esigenze dei vari settori produttivi ai fini in discorso. A questi fini la Corte ha appunto ribadito linesistenza di un principio costituzionale di uguaglianza tra i lavoratori, col limite del compimento da parte dellimprenditore di atti di discriminazione positivamente presi in considerazione nel sistema e, come tali, vietati 86 E stata di conseguenza ritenuta nulla la norma convenzionale costitutiva di un obbligo per il datore di lavoro di bandire un concorso per la copertura di posti vacanti ovvero un obbligo per il prestatore di sottoporsi ad accertamento professionale (Cass. 25 marzo 1997, cit.; 10 novembre 1995, n. 11710) o, ancora, il limite del superamento di un giudizio didoneit demandato ad appos ita commissione (Cass. 29 luglio 1996, n. 6839; 10 gennaio 1994). 87 Cass. 5 aprile 1986, n. 2389. 88 Cass. 19 gennaio 1993, n. 612. 89 Sul punto v. da ultimo Cass. 23 agosto 1997, n. 7911; 26 luglio 1996, n. 6750. Sul tema v. in dottrina MARESCA, L'inesistente diritto alla qualifica superiore e la sua conclamata prescrittibilit - Un ripensamento della cassazione? nota a Cass. 1 settembre 1987, n. 7151, in Foro it., 1989, I, 518. E stato peraltro chiarito che il decorso del decennio dal momento dell'insorgenza del diritto non preclude definitivamente l'accesso al superiore inquadramento allorch continui l'attivit potenzialmente idonea a determinarlo; infatti, se permane la situazione a cui la norma collega il diritto, la prescrizione decorre autonomamente da ogni giorno successivo a quello nel quale si per la prima volta concretata tale situazione, fino alla cessazione della medesima (nella specie, la Suprema corte ha confermato la sentenza con cui il giudice di merito aveva accertato la maturazione del diritto dell'interessato alla definitiva assegnazione alle mansioni superiori con decorrenza da dieci anni prima dell'atto interruttivo della prescrizione, dopo aver verificato che all'epoca egli non aveva ancora cessato lo svolgimento delle stesse: Cass. 18 maggio 1995, n. 5486). 90 Cass. 1 dicembre 1994, n. 10279.

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3.2 Oneri della prova


E pacifica laffermazione per cui grava sul dipendente che rivendichi la superiore qualifica lonere di dimostrare il contenuto delle mansioni effettivamente svolte e la loro corrispondenza a quelle delineate dal contratto collettivo di categoria per il livello preteso. Incombe sul lavoratore, che rivendica nei confronti del datore di lavoro una superiore qualifica professionale in relazione alle mansioni svolte, dimostrare: - la natura e il periodo di tempo durante il quale le mansioni sono state svolte; - il contenuto delle disposizioni individuali, collettive o legali in forza delle quali la qualifica superiore viene rivendicata; - la coincidenza delle mansioni svolte con quelle descritte dalla norma individuale, collettiva o legale di riferimento91 . Di recente la Suprema corte ha peraltro ribadito che, al fine delladempimento agli oneri imposti dallart. 414 nn. 3 e 4 il lavoratore interessato deve specificare, con sufficiente analiticit, le mansioni effettivamente svolte e la normativa collettiva applicabile 92 . E duopo ancora ricordare che la giurisprudenza costante di legittimit afferma che, nella domanda del dipendente rivolta ad ottenere linquadramento in una pi elevata qualifica, deve ritenersi implicitamente inclusa la rivendicazione di una qualifica inferiore, ma pur sempre superiore a quella di fatti riconosciuta 93 . Circa poi liter logico che il giudicante deve seguire per pervenire ad un corretto accertamento del diritto del lavoratore ad un inquadramento professionale superiore, in conseguenza delle mansioni concretamente svolte, il medesimo, dopo avere considerato dette mansioni, le loro modalit di espletamento e la configurazione dellunit produttiva, deve richiamare le declaratorie contrattuali ed operare il necessario raffronto 94 . Detta valutazione del giudice del merito costituisce un giudizio di fatto, censurabile in sede di legittimit solo per violazione dei criteri di ermeneutica nellinterpretazione della disciplina collettiva in tema di qualifiche o per vizi di motivazione 95 . Poich lappartenenza delle mansioni superiori ad altro lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto (cos come il dissenso alla prestazione) generalmente configurata come leccezione alla regola di cui allart. 2103 c.c., si tratterebbe di un fatto impeditivo del diritto azionato. Il relativo onere allegatorio e probatorio spetta dunque al datore di lavoro 96 . Ma si registra, anche lopinione (minoritaria) contraria, di chi configura la circostanza de qua come fatto costitutivo del diritto 97 .

3.3 Il pubblico impiego.


- SITUAZIONE ANTE PRIVATIZZAZIONE In questo specifico ambito, la giurisprudenza amministrativa si sempre dimostrata granitica nel ritenere che, salvo che una legge non disponga diversamente, le mansioni svolte da un dipendente, che siano superiori rispetto a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento, sono del tutto irrilevanti, sia ai fini economici che a quelli della progressione in carriera, ovvero della emanazione di un provvedimento di preposizione ad un ufficio. Si afferma, infatti, che inapplicabile in materia di pubblico impiego il principio privatistico di effettivit sancito dall'art. 2103 c.c., a ci ostando le norme che disciplinano l'assunzione a mezzo di concorso,
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Cass. n. 1012/2003; 2000 n. 14981; 2000, n. 431. Cass. 21 aprile 2000, n. 5203 v. da ultimo Cass. 19 gennaio 1999, n. 476, Foro it., 1999, I, 850, con nota di richiami cos Cass. 21 luglio 1998, n. 7170. Cass. 4 febbraio 1997, n. 1027. Cass. n. 8172/2006; 1192/1998; 11663/1990. Cass. n. 3529/1999; 4740/1989.

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la progressione in carriera, i requisiti e gli organici98 , in sintonia con i valori di imparzialit e di buon andamento enunciati dall'art. 97 Cost. 99 . Per esigenze di completezza va precisato che la questione rimasta parzialmente incisa, pur se non in maniera risolutiva, da alcune pronunce della Corte Costituzionale, nelle quali si affermata lapplicazione diretta anche al personale della P.A. delle norme degli artt. 36 Cost. e 2126 c.c.100 Sulla base di tali interventi si sono avute alcune decisioni del Consiglio di Stato in adunanza plenaria, che hanno riconosciuto al dipendente pubblico il diritto al trattamento economico corrispondente all'attivit svolta 101 . Una parte della giurisprudenza amministrativa si uniformata allorientamento inaugurato dallAdunanza plenaria nelle decisioni sopra citate 102 . La giurisprudenza amministrativa prevalente, invece, a fronte di sentenze interpretative di rigetto della Corte Costituzionale, come tali non vincolanti, ha confermato lindirizzo pi restrittivo, escludendo cos che lorientamento pi favorevole ai lavoratori, ora menzionato, avesse un effettivo seguito. In particolare si ritenuta, in casi di tal fatta, linapplicabilit l'art. 2126, c.c., norma che riguarderebbe solo lo svolgimento del lavoro da parte di chi non dipendente pubblico o di chi stato assunto in base ad un titolo nullo o annullato e che, comunque, non legittima la deroga o la disapplicazione degli atti di nomina o d'inquadramento di tali dipendenti103 . Secondo altra opzione interpretativa, pur largamente condivisa, il diritto al superiore trattamento economico insorgerebbe solo in presenza di prova documentale dellaffidamento di mansioni superiori, quando lespletamento di queste risulti prevalente e quando il posto coperto risulti vacante 104 . Le decisioni delladunanza plenaria del Consiglio di Stato nn. 22 del 1999, 10 del 2000 e poi, da ultimo, 3 del 2006 hanno riaffermato, con ampie motivazioni, loriginaria tesi della irrilevanza assoluta, giuridica ed economica, dello svolgimento di fatto di mansioni superiori nellambito del pubblico impiego, anche sulla base dellefficacia non retroattiva dellart. 15 d.lgs. n. 387/1998.

- LART. 52 del D.LGS. n. 165/2001 Nel contesto normativo e giurisprudenziale sin qui illustrato si inserisce la nuova disciplina delle mansioni del dipendente pubblico introdotta dallart. 56 del d.lgs. n. 29 del 3 febbraio 1993,

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C. Stato, commiss. spec., 20 novembre 1995, n. 345, in Ragiusan, 1996, 207; Tar Calabria, 14 ottobre 1997, n. 603, in Foro amm., 1998, 1590 99 Daltra parte si temuto che la regola della promozione automatica, ove accolta, avrebbe potuto determinare effetti assolutamente incompatibili con gli interessi della p.a., primo tra essi quello della stabilit della pianta organica, della certezza organizzativo-burocratica e finanziaria; in questo senso v. ancora Cons. Stato, sez. V, 19 gennaio 1998, n. 81, in Cons. Stato, 1998, I, 56; Tar Sicilia, sez. I, 3 settembre 1992, n. 602, in Giur. amm. sic., 1992, 801 100 v. Corte cost. 27 maggio 1992, n. 236; giugno 1990, n. 296; 23 febbraio 1989, n. 57. 101 v. in particolare Cons. Stato, ad. plen., 16 maggio 1991, n. 2, in Foro it., 1991, III, 473; C. Stato, ad. plen., 9 settembre 1992, n. 10, in Cons. Stato, 1992, I, 1033 102 v. Cons. Stato, sez. VI, 4 marzo 1998, n. 242, in Cons. Stato, 1998, I, 423; Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 26 febbraio 1998, n. 84, in Giust. amm. sic., 1998, 63; Tar Marche, 22 febbraio 1991, n. 69, in Foro amm., 1991, 3041 103 Cons. Stato, sez. V, 24 marzo 1998, n. 354, in Foro amm., 1998, 723; nello stesso senso Cons. Stato, sez. V, 18 settembre 1998, n. 1308, in Cons. Stato, 1998, I, 1295,; Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 19 febbraio 1998, n. 49, in Ragiusan, 1998, 273;; Tar Toscana, sez. III, 28 aprile 1998, n. 79, in Trib. amm. reg., 1998, I, 2595 104 Cons. Stato, sez. VI, 9 settembre 1997, n. 1293, in Cons. Stato, 1997, I, 1232; Cons. Stato, sez. VI, 30 maggio 1997, n. 821, in Foro amm., 1997, 1434; 4 luglio 1996, n. 817, in Cons. Stato, 1996, I, 1095

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modificato dallart. 25 del d.lgs. n. 80 del 1998 e dallart. 15 del d.lgs. n. 387 del 1998, ora art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 105 . La disposizione richiamata, nel suo primo comma, espressamente sancisce che lesercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dellinquadramento del lavoratore. Al quarto comma poi la norma riconosce, in caso di adibizione a mansioni di qualifica superiore, il diritto al relativo trattamento. Dunque, anche a seguito della nota riforma di privatizzazione del pubblico impiego, si voluto attribuire portata decisiva non al dato fattuale delle mansioni, ma a quello formale risultante della qualifica 106 . Specifica menzione va quindi effettuata al sesto comma del medesimo art. 56, il quale attribuisce ai contratti collettivi la facolt di regolare diversamente gli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4. Taluni autori hanno esaltato tale norma come novit eclatante. Si infatti sostenuto che il legislatore, con tale disposizione, consentendo alle parti sociali di derogare alle disposizioni di legge, lascerebbe aperta la possibilit di prevedere, in sede di contrattazione collettiva, meccanismi di avanzamento automatico di carriera, sulla base dellattivit lavorativa effettivamente espletata 107 . La conclusione interpretativa esposta non appare tuttavia cos incontrovertibile. Va soprattutto evidenziato, rimanendo ancorati ad uninterpretazione fedele al senso delle parole, che il citato comma sesto riconosce alle parti sociali autonomia di regolamentazione solo nella materia di cui ai commi 2, 3 e 4. Ebbene, poich laffermazione sopra riportata, di irrilevanza, ai fini della promozione automatica, dellesercizio di fatto di date mansioni, viceversa contenuta nel primo comma della disposizione, non sembra che la medesima possa essere validamente derogata da eventuali difformi previsioni contrattuali. I commi 2, 3 e 4 dellart. 52 tipizzano le ipotesi nelle quali il dipendente pu essere legittimamente assegnato allo svolgimento di mansioni superiori. E questo lunico punto di relativa flessibilit di un sistema classificatorio basato sul ruolo organico, formale e rigida individuazione delle prevedibili necessit di forza lavoro. In tutti i casi necessaria la sussistenza di obiettive esigenze di servizio, cio di ragioni verificabili e sindacabili inerenti lorganizzazione del lavoro, tali da rendere necessitato il mutamento in melius delle mansioni del lavoratore; le stesse andranno evidentemente esternate nellatto di adibizione. La norma consente detta assegnazione solo con riguardo alla qualifica immediatamente superiore a quella rivestita dallinteressato. Si rende dunque necessario chiarire il concetto di qualifica utilizzato dal legislatore in relazione al nuovo sistema di classificazione del personale, cui si gi fatto cenno. Sorge, infatti, linterrogativo se la norma si applichi solo nel caso di mansioni proprie di altra area/categoria (usando la terminologia usata nei ccnl) o anche nelle ipotesi di spostamento interno allarea, per esempio in mansioni corrispondenti ad un livello economico superiore. Pare doversi accedere a tale seconda opzione interpretativa, atteso che, nel nuovo sistema classificatorio, sovente nella stessa area/categoria sono raggruppati pi profili tra loro eterogenei sia per il contenuto professionale che per laspetto retributivo, profili interconnessi solo per procedure
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In dottrina, cfr. M. DAponte, Progressioni di carriera e assegnazione di mansioni superiori nel pubblico impiego: la permanenza di una disciplina speciale tra esigenze di tutela ed abusi della P.A., Il Lavoro nelle P.A., 2005, 833 ss. 106 E opportuno avvertire che la recente citata decisione del Consiglio di Stato n. 10/2000 ha affermato tra laltro la tesi dellefficacia non retroattiva dellultima modificazione legislativa introdotta dal d.lgs. n. 387 cit. e relativa appunto al diritto al trattamento economico previsto per le superiori mansioni svolte. 107 Panariello, Qualifiche e mansioni, in Diritto del lavoro e della previdenza sociale, a cura di G. Santoro Passarelli, 1988, 1621; della stessa idea Fiorillo, in AA.VV., La riforma dellorganizzazione dei rapporti di lavoro e del processo nelle amministrazioni pubbliche, in Le nuovi leggi civ., 1999, 1394

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selettive interne ascendenti. Lautonomia delle singole posizioni interne allarea impone, dunque, di ritenere qualifica superiore, ai sensi della norma in esame, anche il superiore profilo nellambito dello stessa area di appartenenza 108 , salvo norme espresse in senso diverso 109 . La norma tipizza due ipotesi che legittimano il mutamento di mansioni: a) la vacanza del posto in organico 110 e b) la sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto (esclusa lassenza per ferie). Intanto, il caso di sottolineare che, in ambedue le evenienze, il conferimento delle mansioni superiori deve avvenire di diritto, cio sulla base di un atto formale di assegnazione proveniente dal dirigente dellunit organizzativa interessata 111 . Il Consiglio di Stato ha spiegato che tale requisito mira ad impedire che il singolo dipendente, di propria iniziativa o col consenso compiacente di altri organi incompetenti, possa assumere incarichi di livello superiore, aggirando le procedure selettive 112 . In questo senso, si ritenuto che il difetto di tale atto formale non sia sanabile attraverso un atto ricognitivo dellorgano competente che attesti, ex post , leffettivo svolgimento delle mansioni . Andando a valutare le singole ipotesi, nella prima evenienza lhorror vacui giustifica lo spostamento in questione, tuttavia la lettera a) del comma 2, dellart. 52 delimita lo spazio temporale in cui possibile tale copertura straordinaria in sei mesi, prorogabili fino a dodici in caso di attivazione delle ordinarie procedure di copertura. Infatti il successivo quarto comma impone allAmministrazione di procedere entro novanta giorni dallassegnazione provvisoria allavvio delle procedure necessarie per la provvista di personale. Il superamento del termine semestrale, senza avvio dei concorsi, comporta limprorogabilit dellassegnazione a mansioni superiori. Lo sforamento del termine di novanta giorni non sembra invece accompagnato da alcun precipuo effetto per lamministrazione. Quanto alla seconda ipotesi, con espressione mutuata dallart. 2103 cit., la necessit di sostituzione di un collega assente con diritto alla conservazione del posto giustifica lius variandi ; esclusa lipotesi delle ferie, durante le quali dunque non si pu legittimamente provvedere alla sostituzione con lavoratore di grado inferiore . Va peraltro precisato che, a mente del comma 3 dellart. 52, costituisce esercizio di mansioni superiori solo lattribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e
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Cos espressamente dispone lart. 24, 2 co., del c.c.n.l. comparto Ministeri, prevedendo ununica eccezione: Nell'ambito del nuovo sistema di classificazione del personale previsto dal presente contratto, si considerano "mansioni immediatamente superiori" le mansioni svolte dal dipendente all'interno della stessa area in profilo appartenente alla posizione di livello economico immediatamente superiore a quella in cui egli inquadrato, secondo la declaratoria riportata nell'allegato A del presente contratto. Le posizioni economiche "super" non sono prese in considerazione a tal fine. Sono, altres, considerate "mansioni superiori", per i dipendenti che rivestono l'ultima posizione economica dell'area di appartenenza, le mansioni corrispondenti alla posizione economica iniziale dell'area immediatamente superiore. 109 Come a dirsi per il c.c.n.l. comparto regioni ed autonomie locali, il cui art. 3, 3 comma, recita : L'assegnazione temporanea di mansioni proprie della categoria immediatamente superiore costituisce il solo atto lecito di esercizio del potere modificativo. Dunque si parla di scatto immediatamente superiore come riferito alla categoria. 110 A questi fini duopo ricordare che il ruolo organico sostanzialmente una tabella, nella quale determinato, distinto per categorie e posizioni giuridiche ed economiche, il numero dei posti di cui lamministrazione dispone. La dotazione organica pu vic eversa essere definita come il numero complessivo dei posti ricompresi nei ruoli organici di unamministrazione. 111 Tale requisito, almeno in linea di massima, potrebbe rendere, nei giudizi fondati sui commi 2,3 e 4 dellart. 56, irrilevante la prova testimoniale sullo svolgimento delle mansioni superiori, salvo ovviamente sussistano contestazioni in fatto sull'effettivo adempimento dell'incarico. 112 Sezione V, 22.9.1999, n. 1075.

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temporale, dei compiti propri di dette mansioni . Dunque, anche in difetto della prevalenza per uno solo dei predetti aspetti, non vi sar titolo per le differenze retributive 113 . Quanto agli effetti della fattispecie tipizzata e sin qui illustrata, il comma 4 dellart. 52 riconosce al lavoratore interessato il diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore per il periodo di effettiva prestazione . Nel concetto di trattamento deve farsi rientrare non solo una certa posizione retributiva, ma anche tutta la congerie di situazioni giuridiche correlate ad una certa posizione di servizio (es. valutabilit come titolo; indennit accessorie 114 ). Ove poi ci si interrogasse sullipotesi dinosservanza dei requisiti previsti dalla disposizione (per esempio insussistenza di obiettive esigenze di servizio; copertura del posto vacante per pi di un anno), il 5 comma dellart. 52 sancisce la nullit dellassegnazione a mansioni di qualifica superiore, ma al lavoratore si riconosce la differenza di trattamento economico rispetto alla qualifica superiore. Dunque da escludere che lo scorretto esercizio del ius variandi crei leffetto di stabilizzazione di cui allart. 2103 c.c., proprio per quel principio generale, insuperabile, di cui al comma 1, dellinsensibilit dellinquadramento formale rispetto alla realt fattuale. Lassegnazione fuori dei limiti consentiti nulla, cio improduttiva di effetti, giuridici e contrattuali (per esempio non valutabile come titolo); genera invece il solo diritto del lavoratore alla differenza di trattamento economico (da ritenersi di ampiezza inferiore rispetto allipotesi di svolgimento di diritto delle mansioni). Trattandosi di obbligazione ad oggetto contra legem il prestatore potrebbe comunque legittimamente rifiutarsi di adempiere. Peraltro, con disposizione che riecheggia altre norme del nuovo sistema del lavoro pubblico, se la forma non pu seguire il fatto, rimane comunque la responsabilit del dirigente che ha disposto lassegnazione invalida per dolo o colpa grave (cfr. art. 3 D.L. 23.10.1996 n. 543). Trattasi, in effetti, di azione di rivalsa della P.A. nei confronti del dipendente responsabile per il danno erariale dal medesimo cagionato. da ritenersi che in tale evenienza debba fornirsi la prova di un danno effettivo subito dalla P.A., allorch, ad esempio, le medesime esigenze obiettive di servizio avrebbero ben potuto essere soddisfatte con altri strumenti economicamente pi convenienti (es. mobilit orizzontale; correzione dellorario di lavoro; passaggi da amministrazioni diverse del comparto). Non appare convincente, viceversa, la tesi di una responsabilit formale, cio con danno presunto, proprio perch con la corresponsione della retribuzione al dipendente interessato e con lo svolgimento da parte sua, anche solo di fatto di una prestazione, in effetti implicita lidea di una utilitas comunque ricevuta dallAmministrazione. Lultimo comma dellart. 52, ai fini dellentrata in vigore della nuova disciplina, adotta il criterio certo della decorrenza stabilita dai contratti collettivi, potendo lo stesso art. 52 trovare applicazione solo in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali. Fino a tale data il legislatore ribadisce che in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza pu comportare il diritto ad avanzamenti automatici. Si trova poi definita lattribuzione ai contratti collettivi del potere di regolare diversamente gli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4. Risulta chiara ed apprezzabile la scelta legislativa di imperniare comunque tutto il sistema mansionistico sulle scelte delle parti sociali. Nella significativa scelta di delegificare anche questa materia si ha, del resto, unulteriore conferma della fiducia riposta dal legislatore, sulla falsariga dellesperienza privata, nella capacit delle organizzazioni rappresentative di meglio comporre i conflitti e realizzare gli interessi contrapposti.

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Deve dunque escludersi, per la radicale alternativa posta dalla norma, lapplicabilit di quel criterio ermeneutico cd. promiscuo affermato di recente dalla Cassazione, per cui in caso non si pervenga alla unificazione delle mansioni sotto un unico livello, in base al principio di prevalenza, il giudice pu e deve comunque valutare la retribuzione adeguata al complessivo lavoro svolto, per quantit e qualit (Cass. 17.5.2000, n. 6419). 114 Per un caso specifico v. Trib. Roma, ord. 11.10.1999, in Foro it., 2000, I, 282.

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Peraltro i primi contratti di comparto hanno per lo pi confermato la disciplina dellart. 52 (v. art. 3 Regioni), rinviando, semmai, per uneventuale integrazione ad una futura contrattazione. Se i nuovi criteri contrattuali dinquadramento del personale costituiscono la spina dorsale del sistema legale di regolamentazione delle mansioni, va da s che questultimo non possa essere operativo senza la compiuta definizione della disciplina pattizia. E cos spiegato lultimo comma dellart. 52 che prevede appunto il differimento del vigore della norma. Il temporaneo congelamento degli effetti dellart. 52 tuttavia limitato al solo profilo qualificatorio: il comma 6 della norma, che estendeva linapplicabilit della stessa anche ai profili retributivi, stato modificato dal decreto n. 80, cos da rendere immediatamente vigente il precetto attributivo di diritti patrimoniali . Nonostante lo spazio lasciato alle organizzazioni rappresentative, va, comunque, evidenziato quanto, nelleconomia dellart. 52, pesi ancora il retaggio di unamministrazione burocratica e formalista. Infatti il legislatore ha rimesso alle parti sociali la regolamentazione del fenomeno mansionistico, riservandosi, tuttavia, una zona franca di spiccato rilievo. In particolare merita di essere osservato che lultimo comma dellart. 52 concede autonomia alle parti sociali solo nella regolamentazione degli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4, ci vuol dire che le fattispecie tipizzate dovrebbero rimanere ferme cos come le ha imposte il legislatore 115 . In questo senso lo spazio per la deroga ai predetti commi risulta in effetti circoscritto al solo svolgimento di mansioni superiori di diritto (cio nelle fattispecie tipizzate) non anche di mero fatto (il primo comma dellart. 52 rimane infatti inderogabile) . Seguendo tale ragionamento si ricava che, per esempio circa la promozione automatica per svolgimento di mansioni superiori prevista dagli organismi rappresentativi, comunque rimarrebbe fermo limportante ed ingombrante presupposto della vacanza di posto in organico. Infine giusto il caso di ricordare che, secondo quanto disposto dallart. 19, 1 comma, del decreto legislativo n. 29 citato, per i dirigenti pubblici espressamente e radicalmente esclusa lapplicabilit dellart. 2103 c.c.

3.4 Oneri della prova


Il diritto al (solo) trattamento economico della qualifica immediatamente superiore sorge se il ricorrente ALLEGA E PROVA i seguenti fatti costitutivi del diritto: o sussistono obiettive esigenze di servizio + o vacanza posto in organico (per non pi di 6/12 mesi) oppure o sostituzione di dipendente assente con conservazione del posto (escluso ferie) + o le mansioni superiori devono essere prevalenti Se non ricorrono tali condizioni, lassegnazione nulla, ma rimane il diritto alla differenza di trattamento economico. I ccnl non possono derogare al divieto di promozione automatica 116 .

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Cfr. P. Curzio, Pubblico impiego: sospensioni, congedi, aspettative, mutamenti di mansioni, promozioni, Riv. Critica dir. Lav., 2002, 270; Nistic, Appunti in tema di mansioni superiori del lavoratore pubblico , Riv. Critica dir. Lav., 2000, 601. 116 Per lapprofondimento dei singoli elementi costitutivi della fattispecie, si rinvia allanalisi precedente sul lavoro privato.

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4. Trasferimenti
4.1 Elementi della fattispecie
Il primo comma, ultimo periodo, dell'art. 2103 c.c. (come sostituito dall'art. 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300) dispone che il lavoratore "non pu essere trasferito da una unit produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive". Dette ragioni costituiscono i presupposti sostanziali tipizzati dal legislatore per il legittimo esercizio del potere di trasferimento. Sul punto si ritiene che, anche alla luce dellart.41, 1 co., Cost., il controllo giudiziale sulla correttezza sostanziale del provvedimento datoriale, non possa estendersi allopportunit e/o alladeguatezza della scelta datoriale, ma si riduce ad un sindacato sulla esistenza delle condizioni richieste dalla legge e del nesso di causalit tra queste ed il trasferimento. Pertanto resta insindacabile, ad esempio, la scelta tra pi soluzioni organizzative, tutte ugualmente ragionevoli. La giurisprudenza, sia di merito che di legittimit, aveva tradizionalmente interpretato tale norma in senso strettamente letterale, ritenendo che lo garanzie ivi previste competessero al lavoratore spostato dall'una ad altra unit produttiva, senza riguardo alla zona nella quale fosse ubicata l'unit di destinazione 117 . Di recente, si invece statuito che la tutela predisposta dall'articolo 2103 del C.c. ha una portata non limitata al trasferimento da un'unit produttiva a un'altra; essa, infatti, va al di l della considerazione dei soli interessi familiari e sociali legati a un determinato territorio e ha come scopo principale quello di tutelare la dignit del lavoratore e di proteggere il complesso di relazioni interpersonali e affettive che lo legano a un determinato complesso produttivo. Detta tutela, pertanto, troverebbe applicazione non solo nel passaggio da un'unit produttiva a un'altra (anche nell'ambito dello stesso comune), ma anche quando sia disposto uno spostamento territoriale delle prestazioni lavorative del dipendente da una ad altra zona, a prescindere dall'unit produttiva dell'impresa alla quale dette prestazioni risultino imputate, quando comporti disagi personali e familiari dovuti al cambio del luogo di lavoro ed eventualmente di residenza 118 . Poich la legge pone solo un onere di giustificazione sostanziale, sono assoggettate al principio generale della liberta' di forma sia la comunicazione del trasferimento del lavoratore - cui non e' applicabile la disposizione di cui al primo comma dell'art. 2 della legge 15 luglio 1966 n. 604 - sia la richiesta dei motivi e la relativa risposta, che non postulano per legge alcun requisito formale 119 . Insorge lobbligo formale di motivazione, in applicazione analogica dell'art. 2 l. n. 604 del 1966, solo ove il lavoratore ne faccia tempestiva richiesta nel termine di otto giorni dalla comunicazione del trasferimento; tale richiesta e la sua evasione da parte del datore di lavoro non postulano peraltro alcun requisito formale, sicch la tardivit della comunicazione scritta dei motivi del provvedimento (dopo oltre cinque giorni dalla suddetta richiesta) non incide sull'efficacia del trasferimento ove i

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Ove per "unit produttiva" si intende una "articolazione autonoma dell'azienda avente, sotto il profilo funzionale o finalistico, idoneit ad esplicare, in tutto o in parte, l'attivit dell'impresa, della quale costituisca una componente organizzativa, connotata da indipendenza tecnica ed amministrativa tali che in essa si possa concludere una frazione dell'attivit produttiva aziendale": vedi Cass. n. 6413 del 1993, Cass. n. 5892 del 1999, Cass. n. 9636 del 2000. 118 La giurisprudenza della Corte, invero, non dubita che la nozione di "trasferimento" implichi il mutamento definitivo del luogo geografico di esecuzione della prestazione, ancorch abbia anche utilizzato la nozione di unit produttiva di cui all'art. 35, cit., per escludere in qualche caso che, pur in presenza di mutamento del luogo di esecuzione, fosse configurabile "trasferimento", ove attuato nell'ambito della medesima unit produttiva, con riguardo ad articolazioni aziendali che, sebbene dotate di una certa autonomia amministrativa, siano destinate a scopi interamente strumentali o a funzioni ausiliarie sia rispetto ai generali fini dell'impresa, sia rispetto ad una frazione dell'attivit produttiva della stessa , cos Cass. N. 11103/2006. V. anche Cass. 5892/1999; 5153/1999; 29/07/2003, n.11660; 15761 del 2002. 119 Cass. 14 giugno 1999, n. 5892

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motivi stessi risultino tempestivamente comunicati al dipendente in forma orale nel corso di un colloquio 120 Quanto, poi, al pubblico impiego, lart. 2 d.lgs. 165/01 stabilisce che i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nellimpresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto. Tra le disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile contenuto lart. 2103 c.c citato che, per la mancata previsione di norme nel D.Lgs. 165/01 ovvero nella contrattazione collettiva incompatibili con la disciplina del trasferimento delineato nel codice civile, appare applicabile anche nel caso di specie 121 . Circa il pubblico impiego, pu giusto ritornare utile sapere che il trasferimento del dipendente dovuto ad incompatibilit ambientale, trovando la sua causa nello stato di disorganizzazione e disfunzione dell'unit produttiva, v a ricondotto alle esigenze tecniche, organizzative e produttive (previste dall'art. 2103 c.c.), piuttosto che, sia pure atipicamente, a ragioni punitive e disciplinari122 ; con la conseguenza che la legittimit del provvedimento datoriale di trasferimento, appunto, prescinde dalla colpa (in senso lato) del lavoratore trasferito, come dall'osservanza di qualsiasi altra garanzia sostanziale o procedimentale, che sia stabilita per le sanzioni disciplinari.

4.2 Oneri della prova


L'art. 2103 c.c. subordinando la legittimit del trasferimento del lavoratore alla sussistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, postula non solo l'effettiva esistenza di queste ultime, ma anche la loro controllabilit da parte del lavoratore destinatario del provvedimento (sia pur non richiedendosi la loro contestuale comunicazione) e l'onere per il datore di lavoro di offrire la prova in caso di controversia 123 . Invero, quando il legittimo esercizio del potere del datore di lavoro condizionato.. ad una giustificazione, lonere della prova di questultima, a prescindere da eventuali disposizioni espresse confermative, grava sempre sul datore di lavoro. Si tratta, infatti, di una fattispecie complessa in cui lobbligo di non fare riguarda latto, la cui esistenza deve quindi essere provata dal lavoratore creditore, ma con una eccezione legittimante (la giustificazione )124 . Secondo i principi gi sopra delineati, naturalmente il lavoratore ha il previo onere di contestare la legittimit del trasferimento, deducendo specifici motivi di illegittimit dello stesso ed offrendosi di provarli. In tal caso, il datore di lavoro non potrebbe limitarsi a negare la sussistenza dei motivi allegati da controparte, ma deve comunque provare le reali ragioni tecniche, organizzative e produttive che hanno determinato il provvedimento 125 .
120

Cass.,03-03-1994, 2095/1994. Per la legittimit del rifiuto di prendere servizio in una nuova sede di lavoro, in localit molto lontana, Cass. N. 5444/2002. 121 Cos da ultimo Cass. n. 11103/2006. 122 Cass. n. 5320/2006; 17786 del 2002, 3525 del 2001, 3207 del 1998, 3889 del 1989, 5339 del 1987, 832 del 1975 123 Cass., 11400/1998; 4 aprile 1990 n. 2772; Cass. 26.1.1995 n. 909; Cass. 25.5.1996 n. 4823; cfr. anche, sull'onere della prova a carico del datore di lavoro, Cass. nn.9276/87 e 6400/87. 124 Vallebona, Gli oneri di allegazione e di prova nelle azioni fondate sullinadempimento del datore di lavoro, in Diritto del lavoro , 2002, I, 257. 125 Con la ulteriore conseguenza che il giudice del merito, investito della questione della dedotta illegittimit del trasferimento, deve comunque estendere la propria indagine a tutte le ragioni addotte dal datore di lavoro e non limitarsi ad esaminare i soli motivi di illegittimit dedotti dal lavoratore, al fine di accertare la legittimit del provvedimento ai sensi dell'art. 2103 c.c. e di eventuali norme contrattuali collettive che integrano la disciplina della fattispecie.

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Diversamente, costante principio giurisprudenziale, affermato in tema di licenziamento, ed egualmente valido in materia di trasferimento, secondo cui l'onere della prova del carattere ritorsivo nel provvedimento adottato dal datore di lavoro grava sul lavoratore e puo' essere assolto con la dimostrazione di elementi specifici tali da far ritenere con sufficiente certezza l'intento di rappresaglia il quale intento - e' opportuno ricordarlo, derivandone una particolare gravita' degli oneri probatori per il lavoratore che ne e' gravato - deve avere avuto efficacia determinativa esclusiva della volonta' del datore di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di un provvedimento legittimo 126 . Tutto cio' si riflette, sul piano processuale, nella necessita' per il lavoratore che in ricorso indichi elementi idonei a individuare la sussistenza di un rapporto di causalita' fra le circostanze pretermesse e l'asserito intento di rappresaglia 127 .

126

Cass. 26 maggio 2001, n. 7188; 1 febbraio 1988, n. 868; 8 luglio 1988, n. 4445; 18 novembre 1997, n. 11464 127 Cass. 23 agosto 1996, n. 7768.

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5. Il mobbing
5.1 Assenza di riconoscimento giuridico
Ad oggi, non esiste una definizione normativa del mobbing, ci vuol dire che con questo nome non pu essere individuata alcuna categoria giuridica, che sia, in quanto tale, riconosciuta da norme di diritto positivo 128 . Il mobbing costituisce perci solo un fenomeno enucleato dalla psicologia e dalla sociologia, ma senza una propria autonoma dignit giuridica. Con questo importante limite, per finalit meramente descrittive, il fenomeno ben pu essere descritto utilizzando le parole usate dalla Corte di cassazione, in una delle pi significative sentenze in tema 129 : una fattispecie di danno derivante da una condotta del datore di lavoro protratta nel tempo e con le caratteristiche della persecuzione, finalizzata allemarginazione del lavoratore. In termini sostanzialmente analoghi si espressa la Corte Costituzionale 130 . Dunque, i tratti caratterizzanti la figura sono: la reiterazione e la sistematicit di condotte ostili, ancorch non necessariamente illegittime o illecite131 ; l'intenzionalit della strategia persecutoria 132 .

5.2 Inutilit della nozione: sussunzione negli art. 2087 e/o 1375 c.c.
In realt, quel che interessa evidenziare che il mobbing, non solo non categoria riconosciuta come tale dal diritto positivo, ma non risulta nemmeno un concetto scientificamente necessario o anche solo utile 133 . Infatti, sia che si consideri la fattispecie per laspetto della condotta sanzionata, sia che la si esamini per il profilo dei danni risarcibili, se ne conferma linutilit rispetto alle figure ed agli strumenti gi riconosciuti e disciplinati nel sistema. Infatti:
128

Vi sono al pi richiami al fenomeno contenuti in alcune disposizioni, ma non una definizione o una disciplina autonoma che arrivino a conferire autonomia categoriale. 129 Cass. n. 4774/2006. 130 Corte Cost., 19 dicembre 2003, n. 359, ha dichiarato costituzionalmente illegittima la legge della regione Lazio 11 luglio 2002 n. 16, che aveva dato una definizione giuridica del mobbing violando il principio per cui spetta allo Stato fornire la nozione giuridica di un fenomeno, come quello del mobbing, inquadrabile nellambito dellordinamento civile. Diversamente, hanno superato il vaglio della Consulta la legge della regione Abruzzo n. 26/2004 (sent. n. 22/06) e quella della regione Friuli Venezia Giulia n. 7/2005 (sent. n. 239/2006), in quanto non dettano una definizione, esemplificazioni ed una disciplina del mobbing, ma si limitano ad articolare iniziative dinformazione, di prevenzione e di sostegno. E utile ricordare che la circolare Inail n. 71 del 2003 che aveva inserito, senza il dovuto procedimento, tra le malattie tabellate anche quelle psichiche da mobbing stata annullata da Tar Lazio, sez. III ter, n. 5454/2005, in Giur. Lav., 2005, n. 30, 28. 131 Cd. lesivit per accumulo. Secondo la psicologia del lavoro per aversi mobbing occorre il protrarsi della condotta per almeno sei mesi e la presenza di qualche azione ostile ogni mese, laddove quando una singola azione ostile produca conseguenze durature e a lungo termine si parla invece di straining. Si rinvia al noto scritto di H. Ege, La valutazione peritale del danno da mobbing , Milano, 2002. Tra gli autori italiani, sul tema cfr. L. Battista, Persona, lavoro e mobbing, Roma, 2005; S. Mazzamuto, Il mobbing , Milano, 2004, M. Miscione, Mobbing, norma giurisprudenziale (la responsabilit da persecuzione nei luoghi di lavoro), Lav. Giur., 2003, 305; Carinci, M.T. Il mobbing: alla ricerca della fattispecie , in Mobbing, organizzazione, malattia professionale (Quaderni di diritto del lavoro e delle relazioni industriali), Torino, 2005. 132 Per la decisivit qualificatoria dellelemento finalistico, secondo la cd concezione soggettiva, v. Corte cost. n. 359/2003. A fini definitori risulta, in realt, dubbio valorizzare lelemento soggettivo, che di difficilissima dimostrazione (v. infra). Per lo sviluppo di tali argomenti, v. Vallebona, Mobbing, cit., 9. 133 In senso opposto, ma senza adeguati argomenti, A. Occhipinti, Sullutilit giuridica del concetto di mobbing , Riv. Crit. Dir. Lav. , 2004. 7.

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- la condotta. Secondo alcuni commentatori la nozione di mobbing varrebbe a colpire quegli atti datoriali che considerati partitamene ed isolatamente sembrerebbero leciti, e che, solo collocati in una sequenza ripetitiva protratta e connotati dallintento persecutorio, cio riqualificati come atti mobbizzanti, potrebbero essere sanzionati. Lassunto non convince. Infatti, intanto, molte condotte datoriali sono gi colpite da singole disposizioni specifiche (es. sulle mansioni, trasferimenti, sanzioni, discriminazioni, v. infra). Inoltre, come chiaramente affermato dalla Cassazione la condotta sistematica e protratta nel tempo, .. concreta, per le sue caratteristiche vessatorie, una lesione dellintegrit fisica e la personalit morale del prestatore di lavoro, garantite dallarticolo 2087 c.c.; tale illecito, che rappresenta una violazione dellobbligo di sicurezza posto da questa norma generale a carico del datore di lavoro, si pu realizzare con comportamenti materiali o provvedimenti del datore di lavoro indipendentemente dallinadempimento di specifici obblighi contrattuali previsti dalla disciplina del rapporto di lavoro subordinato134 . Lart. 2087 c.c., ha dunque una portata precettiva tale da ricomprendere, come norma primaria costituiva di obblighi, qualsiasi atto o comportamento comunque lesivo della persona del lavoratore, in ragione delle sua caratteristiche vessatorie. E invero una norma di chiusura, atta ad imporre la massima sicurezza fattibile135 : lart. 2087 ha il pregio di qualificare la condotta non in base al suo contenuto, ma in considerazione del bene protetto.. evitando cos ogni rischio dincompletezza136 . Importa, peraltro, rimarcare che lart. 2087 sancisce la tutela dellintegrit fisica (in cui rientra certamente lintegrit psichica, essendo la psicopatia una patologia fisica) e, insieme, della personalit morale, dovendosi ricomprendere in tale espressione (v. infra) linsieme delle condizioni esistenziali di vita del lavoratore137 . Si aggiunga che la giurisprudenza di merito attraverso lelaborazione della figura del mobbing, caratterizzata dal richiesto requisito dellintenzionalit della condotta, cio del dolo, arriva in sede applicativa a ridimensionare se non azzerare le istanze di protezione del dipendente. E noto, infatti, che lonere probatorio consistente nella dimostrazione di unintenzionalit, cio dell animus nocendi, risulta alla fine una probatio diabolica. Si aggiunga ancora che le norme degli artt. 1175 e 1375 c.c., integrative del contenuto del contratto di lavoro subordinato, ex art. 1374 c.c., impongono, in maniera atipica, cio con potenzialit espansiva massima, che i contraenti tengano comportamenti corretti e di buona fede. Ed evidente come da tali norme siano gi ampiamente sanzionati comportamenti o atti mobbizzanti138 . Non pu, in materia, essere trascurato che in effetti la questione degli atti leciti mobbizzanti rientra nella pi ampia tematica dellabuso dei poteri privati. Ora, non qui la sede per riproporre una problematica cos sterminata; giova solo richiamare allattenzione lesito interpretativo di unampia elaborazione, ormai assestata, riportando lilluminante pensiero di Cassazione.

134

Cass., 6 marzo 2006 n. 4774, che prosegue: La sussistenza della lesione del bene protetto e delle sue conseguenze dannose deve essere verificata considerando lidoneit offensiva della condotta del datore di lavoro, che pu essere dimostrata, per la sistematicit e durata dellazione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specialmente da una connotazione emulativa e pretestuosa, anche in assenza di una violazione di specifiche norme di tutela del lavoratore subordinato . 135 Cass. n. 9601/2001. 136 Vallebona, op. cit. 137 Interessi tutelati anche dalla Costituzione, agli artt. 41, 2, 32. 138 Sulla qualificazione degli atti datoriali contrari a buona fede come illegittimi, v. di recente Cass. n. 6326/2005.

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La Corte ritiene di condividere l'indirizzo secondo cui l'intenzionalita' del comportamento del datore di lavoro, mentre e' irrilevante nel caso di condotta contrastante con norma imperativa, puo' assumere rilievo quando la condotta del medesimo, pur se lecita nella sua obiettivita', presenti i caratteri dell'abuso del diritto (sent. 5922-87). In questo caso, infatti, l'esercizio del diritto da parte del titolare si esplicita attraverso l'uso abnorme delle relative facolta' ed e' indirizzato a fine diverso da quello dalla norma tutelato e, in coerenza alla norma dettata in tema di proprieta' (art. 833 c.c.), assume, nel campo delle obbligazioni e del rapporto di lavoro in particolare, carattere di illiceita' per contrasto con i principi di correttezza e buona fede, i quali assurgono a norma integrativa del contratto di lavoro in relazione all'obbligo di solidarieta' imposto alle parti contraenti dalla comunione di scopo che entrambe, sia pure in diversa e talora opposta posizione, perseguono 139 . Dunque, i fatti o atti concretizzanti le fattispecie di mobbing sono gi colpiti, pur nella loro astratta liceit, da altre norme del sistema. - Il danno. Parimenti va negata la necessit di utilizzare il mobbing per garantire il risarcimento di voci di danno, altrimenti non risarcibili. Infatti, come si approfondir, i pi recenti orientamenti giurisprudenziali garantiscono il risarcimento di ogni forma di danno, anche non patrimoniale, ai sensi degli artt. 2087, 2059 c.c.

5.3 Conseguenze della riconduzione del mobbing alla disciplina dellart. 2087 c.c.
Conclusivamente, il fenomeno in esame rimane quasi interamente assorbito e disciplinato dalla norma dellart. 2087 c.c.: trattasi di responsabilit di natura contrattuale 140 , essendo fondata sullinadempimento di unobbligazione giuridica preesistente 141 . Dalla prospettata natura contrattuale della responsabilit, la stessa giurisprudenza ricava, per quel che qui interessa, significative implicazioni sul piano della distribuzione degli oneri probatori relativi. 142 . Come gi stato anticipato, infatti, la presunzione legale di colpa - stabilita (dall'articolo 1218 c.c., cit.) a carico del datore di lavoro inadempiente all'obbligo di sicurezza (di cui all'articolo 2087, cit.) - deroga, parzialmente, il principio generale (articolo 2697 c.c.), che impone - a "chi vuol fare valere un diritto in giudizio" - l'onere di provare "i fatti che ne costituiscono il fondamento". Non ne risulta, tuttavia, una ipotesi di responsabilit oggettiva (ma per colpa 143 ), n la dispensa, da qualsiasi onere probatorio, del lavoratore danneggiato. Questi, infatti, resta gravato - in forza del ricordato principio generale (articolo 2697 c.c., cit.) dell'onere di provare il "fatto" costituente inadempimento dell'obbligo di sicurezza nonch il nesso di causalit materiale tra l'inadempimento stesso ed il danno da lui subito, mentre esula dall'onere
139 140

Cass. n. 9501/1995; 2500/1986. Per lassodata natura contrattuale della responsabilit ex art. 2087, v. Cass. N. 8438/2004 141 Si tenga presente che gli attuali approdi esegetici, riconoscono nellobbligo di sicurezza non una mera obbligazione accessoria, cio secondaria, ma di rilievo primario nel programma obbligatorio, al pari dellobbligo retributivo. La rilevanza della ricostruzione si coglie, ad esempio, per leccezione dinadempimento. La Cassazione ha di recente statuito che la violazione dellobbligo di sicurezza, se grave sotto laspetto qualitativo, cio rispetto alla funzione economico-sociale del contratto, giustifica il rifiuto della prestazione lavorativa, Cass. n. 21479/2005, in Mass. Giur. Lav., 2006, 329, con nota di Lanotte, Violazione datoriale dellobbligo di sicurezza e rifiuto di eseguire la prestazione lavorativa: loperativit dellexceptio inadimpleti contractus. 142 In dottrina, v. Vallebona, Mobbing: qualificazione, oneri probatori e rimedi, Mass. Giur. Lav., 2006, 8; M. Di Marzio, Mobbing, a chi spetta lonere probatorio. Adesso il datore che deve discolparsi, in Diritto e giust., 2006, 31 ss.; M. Salvagni, Il mobbing e lonere della prova: fattispecie a formazione complessa 143 Cass. N. 12467/2003

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probatorio a carico del lavoratore - in deroga, appunto, allo stesso principio generale - la prova della colpa del datore di lavoro danneggiante, sebbene concorra ad integrare la fattispecie costitutiva del diritto al risarcimento (come ad ogni altro rimedio contro il medesimo inadempimento). lo stesso datore di lavoro, infatti, ad essere gravato (ai sensi dell'articolo 1218 c.c.) - quale "debitore", in relazione all'obbligo di sicurezza, appunto - dell'onere di provare la non imputabilit dell'inadempimento144 . Diverso risulta, tuttavia, (anche) il contenuto dei rispettivi oneri probatori a seconda che le misure di sicurezza - asseritamente omesse - siano espressamente e specificamente definite dalla legge (o da altra fonte parimenti vincola nte), in relazione ad una valutazione preventiva di rischi specifici (quali le misure previste dal D.Lgs 626/94 e successive integrazioni e modifiche, come dal precedente Dpr 547/55), oppure debbano essere ricavate dalla stessa disposizione (articolo 2087 c.c., cit.) che impone l'obbligo di sicurezza. Nel primo caso - di misure di sicurezza (o prevenzione), pero cosi dire, nominate - il lavoratore ha l'onere di provare soltanto la fattispecie costitutiva prevista dalla fonte impositiva della misura stessa - cio il rischio specifico, che s'intende prevenire o contenere - nonch, ovviamente, il nesso di causalit materiale tra l'inosservanza della misura ed il danno subito. La prova liberatoria a carico del datore di lavoro, poi, parimenti si esaurisce nella negazione degli stessi fatti provati dal lavoratore: negazione, cio, dell'obbligo o, comunque, dell'inadempimento in relazione a quella stessa misura di sicurezza (o di prevenzione) - nonch del nesso di causalit tra inadempimento e danno 145 . Nel secondo caso - di misure di sicurezza (o prevenzione), per cosi dire, innominate - fermo restando l'onere probatorio a carico del lavoratore, la prova liberatoria, a carico del datore di lavoro, risulta invece variamente definita in relazione alla quantificazione della diligenza (ritenuta) esigibile - nella predisposizione di quelle misure di sicurezza - e perci registra, anche in giurisprudenza, significative oscillazioni. Di recente, si stima tendenzialmente dovuta soltanto l'adozione di comportamenti specifici suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche standard di sicurezza adottati normalmente o da altre fonti analoghe. In particolare la Corte costituzionale (sent. N. 312/1996 146 ), ha affermato il criterio delle misure che, nei diversi settori e nelle d ifferenti lavorazioni, corrispondono ad applicazioni tecnologiche generalmente praticate e ad accorgimenti organizzativi e procedurali altrettanto generalmente acquisiti, di modo che rimane censurabile solo la deviazione dei comportamenti dellimprenditore dagli standard di sicurezza propri, in concreto ed al momento, delle diverse attivit produttive. In ogni caso, sembra importante sottolineare che lonere della prova liberatoria a carico datoriale si radica, cio insorge, solo ove lattore abbia sufficientemente dedotto e provato lomissione nel predisporre le misure di sicurezza necessarie ad evitare il danno (misure violate + nesso causale tra la violazione ed il danno) e non pu essere estesa ad ogni ipotetica misura di prevenzione, a pena di far scadere una responsabilit per colpa in responsabilit oggettiva147 . Al datore di lavoro non pu essere negato il diritto, per potersi difendere, di conoscere linadempimento che gli viene imputato 148 . Dunque, insufficiente un ricorso fondato su una allegazione generica di violazione dellobbligo di sicurezza.
144 145

Sono le parole di Cass. 12445 cit. da escludersi, invece, che possa risultare parimenti liberatoria la prova della "impossibilit sopravvenuta" della prestazione di sicurezza - che sia stata omessa - risolvendosi la prestazione stessa, almeno di regola, nella messa a disposizione di beni generici, per i quali non configurabile, appunto, l'istituto dell'impossibilit sopravvenuta. 146 Ma v. anche Cassazione 16250/03, 3740/95. 147 Cassazione n. 11523/2006. 148 Vallebona, Allegazioni e prove nel processo del lavoro , Padova, 2006, 60.

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Il datore di lavoro, poi, responsabile dei danni subiti dal proprio dipendente, non solo quando ometta di adottare idonee misure protettive, ma anche quando ometta di controllare e vigilare che di tali misure sia fatto effettivamente uso (anche) da parte dello stesso dipendente, con la conseguenza che - secondo la giurisprudenza della Corte 149 - si pu configurare un esonero totale di responsabilit, per il datore di lavoro appunto, solo quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell'abnormit e dell'assoluta imprevedibilit150 . Deve, ancora, ricordarsi che il datore di lavoro, nel mobbing discendente viola un obbligo di non fare, cio un divieto. Ma, anche se la condotta offensiva ve nga posta in essere a livello orizzontale o ascendente da altri colleghi, il medesimo datore dovrebbe essere tenuto a rispondere, comunque, per fatto proprio. Infatti, in questultima evenienza sussiste la violazione di un obbligo di fare consistente nella protezione del lavoratore nei confronti delle molestie o persecuzioni, conosciute o conoscibili, dei colleghi o sottoposti ( a loro volta responsabili contrattualmente e disciplinarmente verso il datore ed extracontrattualmente verso la vittima). In questa direzione, non servirebbe il richiamo alle norme degli artt. 1228 e 2049 c.c. per risalire alla responsabilit datoriale 151 .

5.4 Oneri della prova


Dovendosi dunque ricondurre il fenomeno del mobbing allart. 2087 c.c., concretizzante unipotesi di responsabilit contrattuale del datore di lavoro 152 : * il lavoratore ha lonere di allegare e dimostrare lesistenza del diritto allegare il fatto costituente inadempimento (= violazione di norme di sicurezza specifiche o generiche) allegare e provare il danno ed il nesso causale rispetto allomissione lamentata

solo se detto onere assertivo assolto: * il datore di lavoro ha lonere di allegare e provare ladempimento/la non imputabilit del fatto (= avere adottato quelle idonee misure protettive/preventive e di avere vigilato sulla loro concreta applicazione).

Poich nel solo mobbing discendente in realt vi sarebbe la violazione di un divieto, cio di un obbligo di non fare, solo in questo caso (come nelle discriminazioni o negli atti a motivo illecito): * il lavoratore avrebbe lonere di - allegare e provare linadempimento

invece nel mobbing ascendente o orizzontale:


149

V. sentenze 16250, 2357/03, 15133/02, cit., 9304, 9016, 5024, 326/02, 7052/01, 13690/00, 6000/98, 4227/92 150 Cassazione 13053/2006; 13690/00, 326/02. 151 Cos Vallebona, op. cit. 11; contra Mazzamuto, op. cit., 57 ss. 152 Tale ricostruzione dei pesi probatori ben chiarita nella recente sent. Cass. n. 12445/06.

39

* il lavoratore avrebbe lonere di

allegare e provare la persecuzione da parte di colleghi o sottoposti la conoscenza o conoscibilit da parte datoriale, col conseguente obbligo dintervento protettivo

5.5 Possibile sussunzione del mobbing in figure affini: il motivo illecito determinante, le discriminazioni, le molestie
Per completezza, va tenuto conto che, in base al principio di specialit, spesso le condotte mobbizzanti risultano sussumibili sotto altre fattispecie legali specifiche, gi tipizzate 153 . Intanto, va ricordata la possibile rilevanza del motivo illecito sotteso ad atti apparentemente validi e leciti. Il motivo illecito potrebbe essere quello persecutorio o di ritorsione, reazione o ripicca al legittimo esercizio di diritti riconosciuti. Trattasi di una nullit sanzionabile alla stregua degli artt. 1418, 1345, 1324 cod. civ. 154 Ai fini della nullit, il profilo delineato dalla norma deve assurgere a motivo unico determinante; cio la ragione vendicativa e ritorsiva deve risultare di portata eziologica esclusiva. Viceversa, sovrapponendosi altri motivi autonomi, realmente giustificativi del recesso, la verifica dilliceit del motivo perde rilevanza. A livello processuale il ricorrente, in casi di tal fatta, a trovarsi gravato dellonere di allegare e provare lillustrato motivo ed il nesso causale. Certamente non si tratter di una prova agevole, avendo ad oggetto un processo mentale interno ad un soggetto. Acquisir importanza a fini probatori, ovviamente la dimostrazione dellinconsistenza della giustificazione sostanziale addotta formalmente. Verosimilmente, poi, al fine di ricostruire il processo formativo della volont, trover largo spazio lutilizzo di presunzioni semplici. Quanto ai motivi formalmente addotti, come dianzi rilevato, grava sulla parte datrice, sub specie di fatti impeditivi, sollevare ope exceptionis e quindi provare la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo. Allorch tale ultima dimostrazione sia perfezionata, rimane irrilevante laccertamento sul (magari concorrente) motivo ritorsivo e latto non pu comunque ritenersi affetto da nullit155 . Si coglie il destro per rilevare che non convince la diffusa tendenza ad annullare i confini tra atto discriminatorio ed atto viziato da motivo illecito. Il punto merita approfondimento e non, si badi, per un mero interesse catalogatorio, ma per i risvolti pratici implicati. La definizione autentica del concetto di discriminazione, evidenzia in maniera indiscutibile la portata oggettiva della medesima, imperniata come sul solo risultato finale dellatto o della condotta.
153

Cumani, E., Mobbing, molestie sessuali e altre forme di discriminazione , in M.Pedrazzoli (a cura di), I danni alla persona del lavoratore nella giurisprudenza, Cedam, Padova, 2004. 154 Secondo lorientamento espresso dalla Corte di Cassazione, la previsione di nullit per il licenziamento discriminatorio, di cui allart. 4 della legge n. 604 /1966, allart. 15 della legge n. 300/1970 ed allart. 3 della legge n. 108/1990, deve essere estesa a tutte le fattispecie di licenziamento che, pur non direttamente corrispondenti alle singole ipotesi espressamente menzionate nelle suddette norme, siano determinati in maniera esclusiva da motivo illecito (v. da ultimo, Cass. N. 4543/1999; n. 3837/1997). Questo principio di diritto ha potenzialit espansiva anche verso atti negoziali diversi. 155 Avvalendosi delle parole di Cass. N. 7603/1990: la domanda di accertamento della nullit del licenziamento, per illiceit del motivo, non implica la denuncia della insussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo, ma ne configura, invece, la sussistenza come fatto impeditivo, che pu essere fatto valere ope exceptionis . V. anche Cass. 25 novembre 1980, n. 6259 ; 2 aprile 1990, n. 2642.

40

Ad esempio, lart. 4, L. 10 aprile 1991 n. 125, Azioni positive per la realizzazione della parit uomo-donna sul lavoro, come sostituito dallart. 25 del dlgs. 11 aprile 2006, n. 198 , definisce il concetto di discriminazione diretta come qualsiasi atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga . La tecnica definitoria scelta conduce, di necessit, allirrilevanza dellintento dellautore, rimanendo affatto estraneo alla valutazione giuridica del comportamento indagato il movente soggettivo, lanimus nocendi. La prospettiva dunque quella della vittima e non quella dellautore. E chiaro, daltra parte, che la concezione funzionale della discriminazione prescelta dal legislatore garantisce la vittima dalle difficolt probatorie che sincontrano quando si ha da dimostrare unintenzione, peraltro con definizioni tipizzanti sostanzialmente aperte, cio atipiche rispetto alle concrete condotte sanzionate 156 . Diversamente a dirsi per la nullit che colpisce latto per motivo illecito determinante. Qui, difatti, il factum probandum consiste proprio nella dimostrazione di un intento, di un movente . Inoltre, quello di discriminazione quoad essentiam un concetto sistemico, cio fondato sullappartenenza della vittima ad un genus. In tal senso questo tipo di tutela ha un imprescindibile sostrato superindividuale, rivolgendosi al lavoratore, non ne llepisodicit della sua situazione, ma nella sua identit collettiva in quanto appartenente ad un gruppo. La normativa protettiva specifica opera dunque solo quando sia allegata lesistenza del cd. fattore discriminante (razza, religione, sesso, etc.).. Allopposto la nullit per motivo illecito improntata ad una considerazione atomistica della singola vicenda contrattuale, scena nella quale rilevano giuridicamente i comportamenti dei contraenti uti singuli. Peraltro, lagevolazione probatoria legata allessenza oggettiva della discriminazione rincarata dallo speciale regime probatorio previsto. Infatti, lart. 40, sostitutivo del 6 co. dellart. 4 della l. n. 125 cit. recita: Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all'assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l'onere della prova sull'insussistenza della discriminazione . Grava perci sul dipendente il peso di fornire (almeno due) circostanze fattuali, omogenee e specifiche, sintomi di discriminazione. Lonere probatorio datoriale solo eventuale, essendo subordinato allassolvimento dellonere gravante sulla controparte, ci, si noti, contro il principio processuale dellunicit del mezzo di prova. Trattasi, quanto alla posizione datoriale, sostanzialmente di un onere di giustificazione, da assolvere in finale attraverso la prova di un fatto positivo, cio lesistenza di cause di giustificazione della disparit di trattamento. Nel contesto in discorso risulta di peculiare pregnanza probatoria luso di criteri statistici, tali da individuare nella complessiva prassi aziendale, secondo una regola di proporzionalit ovvero secondo un criterio empirico-probabilistico, eventuali disparit di trattamento a carico delle lavoratrici.

156

Lart. 26 dispone: Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignit di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. 2. Sono, altres, considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignit di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo .

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La norma non pare riconducibile nellambito delle ipotesi dinversione legale dellonere probatorio. Infatti, difetta, di tale categoria il totale sollevamento della parte altrimenti onerata del peso istruttorio: in questo caso, il lavoratore non , come per esempio, per la giusta causa o il giustificato motivo, del tutto esonerato dagli oneri dimostrativi, ma deve comunque allegare e dimostrare elementi per fondare una presunzione di discriminazione. Inoltre la parte datrice deve dimostrare lo stesso fatto che avrebbe dovuto provare secondo la regola generale di cui allart. 2697 cod. civ. 157 A parere di altri interpreti si tratterrebbe di una presunzione legale relativa. Contro tale assunto vi per da osservare che, mentre il meccanismo presuntivo legale non ha valore istruttorio, nel caso dellart. 4 si sviluppa unattivit probatoria, cio conoscitiva della realt. Infine, altra esegesi ha portato a riconoscere nella fattispecie de qua senzaltro una presunzione semplice. Di contro, da rilevare che la norma non richiede, a differenza del disposto dellart. 2729 cod. civ., lattributo della gravit degli indizi. Linterpretazione pi convincente riconosce lautonomia e specialit della fattispecie tipizzata dallart. 4 cit., certo ricalcata su quella propria della presunzioni semplici ma con un grado di attendibilit della prova inferiore a quello necessario per raggiungere il convincimento pieno. Si dunque di fronte non allesenzione, ma allalleggerimento del peso probatorio dei fatti costitutivi del diritto. Peraltro, a differenza della presunzione legale, in questa caso affidato allinterprete il prudente apprezzamento dei nessi logici inferenziali. Emerge perci il carattere ibrido della figura, indirizzata a garantire concorrenti esigenze : come le presunzioni semplici funge da strumento conoscitivo effettivo della fattispecie, pur nel limite della verosimiglianza; come le presunzioni legali, vale a programmare anticipatamente una certa ripartizione degli oneri della prova. Si di fronte ad un diritto processuale diseguale, cio un regime agevolato per la presunta vittima in conformit con lassunto della disparit delle posizioni di partenza 158 . Meritano altres menzione i decreti legislativi n. 215 (riferito alla razza e allorigine etnic a) e n. 216 del 9 luglio 2003 per la parit di trattamento tra le persone sul posto di lavoro, rispettivamente di attuazione delle Direttive del Consiglio europeo n.43 e n.78 del 2000. La logica di questi decreti sempre quella della discriminazione, come si desume chiaramente dagli articoli iniziali di ciascun corpus regolativo. In particolare, negli artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 216, che ha portata piu generale, si individua la finalit del principio di parit di trattamento intesa come lassenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dellet o dellorientamento sessuale. Dunque, vanno ribadite tutte le argomentazioni test esposte, circa i connotati specifici caratterizzant i la categoria giuridica della discriminazione. Di questi testi normativi, qui il caso di ricordare la definizione autentica delle molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi di razza o di origine etnica, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignit di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo (art. 2, 3 co., d.lgs. n. 216 cit.). La scelta per una concezione oggettiva (o leffetto) agevola molto gli oneri probatori, anche evidenziato che viene riconosciuto in favore del ricorrente un regime di onere della prova di favore, di tipo presuntivo, basato su dati statistici, elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti (art. 4 co. 3). Circa il riconoscimento del risarcimento di un danno non patrimoniale pur in assenza di una fattispecie penale, la novit della norma sminuita dal coevo avvio di un nuovo corso giurisprudenziale, inaugurato dalle citate sentenze della Cassazione n.8827 e 8828 del 2003 (art. 4 co. 4).
157

Per questa riflessione, v. Pret. Roma, 245 novembre 1992, Riv. It. Dir. Lav., 1993, II, 262, con nota di D. Manassero, Una prima pronuncia in tema di prova statistica della discriminazione. 158 In questo senso cfr. Vallebona, Lonere della prova degli atti discriminatori, Lav. Dir., 1989, 342.

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Inoltre, si segnala che viene introdotto il dovere del giudice di tenere conto, nella liquidazione del danno, anche del carattere ritorsivo della condotta discriminatoria (art. 4 co. 5) e viene riconosciuta la possibilit che il giudice ordini la cessazione del comportamento e la rimozione degli effetti. Analoga considerazione merita il d.lgs. n. 145/2005 (di attuazione della direttiva 2002/73/CE in materia di parit di trattamento tra gli uomini e le donne, che va ad integrare la l. n. 125/1991 (v.s.).

43

6. Il risarcimento del danno


6.1 Regole generali
La tematica del risarcimento del danno ha una propria autonomia, correlandosi alle diverse fattispecie inadempitive sopra menzionate. Come principi generali, va giusto ricordato che, vertendosi in ogni caso (v. amplius paragrafi precedenti) in tema dinadempimento contrattuale, ai sensi dellart. 1223 c.c., il risarcimento deve essere comprensivo della perdita subita e del mancato guadagno, purch ne costituiscano conseguenza immediata e diretta. Parimenti da ricordare che, ai sensi dellart. 1225 c.c., salvo il dolo del debitore, risarcibile il solo danno che era prevedibile quando lobbligazione era sorta. La materia risarcitoria stata di recente oggetto di fondamentali interventi di sistemazione: in particolare occorre muovere dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 6572/2006.

6.2 Il principio di effettivit del danno


Le sezioni unite, dopo avere espressamente affermato la natura necessariamente contrattuale della responsabilit datoriale (v.s.), ribadiscono il principio generale regolatore della materia, che quello delleffettivit del danno. Dall'inadempimento datoriale non deriva per automaticamente l'esistenza del danno, ossia questo non , immancabilmente, ravvisabile a causa della potenzialit lesiva dell'alto illegittimo. L'inadempimento infatti gi sanzionato con l'obbligo di corresponsione della retribuzione, ed perci necessario che si produca una lesione aggiuntiva, e per certi versi autonoma. Non pu infatti non valere" anche in questo caso, la distinzione tra "inadempimento" e "danno risarcibile" secondo gli ordinari principi civilistici di cui agli artt. 1218 e 1223 c.c., per i quali i danni attengono alla perdita o al mancato guadagno che siano "conseguenza immediata e diretta" dell'inadempimento, lasciando cos chiaramente distinti il momento della violazione degli obblighi di cui agli artt. 2087 e 2103 cod. civ., da quello, solo eventuale, della produzione del pregiudizio (in tal senso chiaramente si espressa la Corte Costituzionale n. 372 del 1994). D'altra parte mirando il risarcimento del danno alla reintegrazione del pregiudizio che determini una effettiva diminuzione del patrimonio del danneggiato, attraverso il raffronto tra il suo valore attuale e quello che sarebbe stato ove la obbligazione fosse stata esattamente adempiuta - ove diminuzione non vi sia stata (perdita subita e/o mancato guadagno) il diritto al risarcimento non configurabile. In altri termini la forma rimediale del risarcimento del danno opera solo in funzione di neutralizzare la perdita sofferta, concretamente, dalla vittima, mentre l'attribuzione ad essa di una somma di denaro in considerazione del mero accertamento della lesione, finirebbe con il configurarsi come somma-castigo, come una sanzione civile punitiva, inflitta sulla base del solo inadempimento, ma questo istituto non ha vigenza nel nostro ordinamento. La chiave di lettura delle azioni risarcitorie risiede, dunque, nel principio ora esposto: la funzione loro propria solo la riparazione di un danno reale e concreto, come empiricamente verificatosi159 .

6.3 Molteplicit delle voci di danno: oneri di allegazione del lavoratore


La Cassazione, evidenzia, quindi, la molteplice variet delle voci di danno risarcibili, connotate, ciascuna, da una diversa matrice ed un diverso oggetto, tali da radicare oneri di precisa e necessaria allegazione da parte del lavoratore 160 .
159

A differenza per esempio della clausola penale, ex art. 1382 c.c. o delle penali contrattuali o legali (es. tutela obbligatoria o le 5 mensilit della tutela reale). 160 E cos tali da scongiurare duplicazioni risarcitorie ed esiti di overcompensation.

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Non quindi sufficiente chiedere genericamente il risarcimento del danno, non potendo il giudice prescindere dalla natura del pregiudizio lamentato, e valendo il principio generale per cui il giudice - se pu sopperire alla carenza di prova attraverso il ricorso alle presunzioni ed anche alla esplicazione dei poteri istruttori ufficiosi previsti dall'art. 421 cod. proc. civ. - non pu invece mai sopperire all'onere di allegazione che concerne sia l'oggetto della domanda, sia le circostanze in fatto su cui questa trova supporto (tra le tante Cass. sez. un. 3 febbraio 1998 n. 1099). Nella sentenza delle Sezioni unite si procede quindi al riassetto della tematica risarcitoria, attraverso la individuazione delle varie voci di danno in ipotesi risarcibili.

6.4 Schematizzazione delle voci di danno e relativi oneri assertivi/probatori.


1. DANNO PATRIMONIALE E questo il pregiudizio a valori o beni economicamente apprezzabili dellinteressato. Anche in questo ambito il danno effettivo va concretamente detto nella sua singolarit e verificazione concreta, altrimenti fermo l'inadempimento - l'interesse del lavoratore pu ben esaurirsi, senza effetti pregiudizievoli, nella corresponsione del trattamento retributivo quale controprestazione dell'impegno assunto di svolgere l'attivit che gli viene richiesta dal datore . E tale, in primis, il danno professionale, che pu consistere sia nel pregiudizio derivante dall'impoverimento della capacit professionale acquisita dal lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacit (danno emergente), ovvero nel pregiudizio subito per perdita di chance, ossia di ulteriori possibilit di guadagno (lucro cessante). Oneri di adeguata allegazione in concreto, ad esempio tramite la circostanziata allegazione dell'esercizio di una attivit soggetta ad una continua evoluzione, e comunque caratterizzata da vantaggi connessi all'esperienza professionale destinati a venire meno in conseguenza del loro mancato esercizio per un apprezzabile periodo di tempo. Nei giudizi per demansionamento, nella quantificazione, tendenzialmente usato il parametro retributivo, adeguato indicatore anche della professionalit, modulato secondo parametri individualizzanti, quali lentit del demansionamento, la sua durata, let e lanzianit 161 . Similmente, per la perdita di chance, intesa come probabilita' effettiva e congrua di conseguire un risultato utile, da accertare secondo il calcolo delle probabilita' o per presunzioni 162 , va data allegazione e poi prova in concreto, dovendosi indicare, nella specifica fattispecie, quali aspettative, che sarebbero state conseguibili in caso di regolare svolgimento del rapporto, siano state frustrate dal demansionamento o dalla forzata inattivit 163 .
161 162

Cass. n. 15955/2004; 9129/2004; 16792/2003. Cass. S.U. n. 500/1999. 163 Affermatasi la tesi secondo cui i concetti di "perdita" e di "guadagno" di cui all'art. 1223 c.c. non si relazionano esclusivamente ad entit di natura direttamente pecuniaria ma i ncludono qualsivoglia utilit suscettibile di valutazione economica, si riconosciuto che tale anche una situazione fattuale fonte non di reddito certo ma solo probabile: il valore economico di tale utilit dipende dalla duplice variabile della misura del reddito che detta situazione idonea a produrre e dal grado di probabilit esistente che tale reddito sia da essa effettivamente prodotto, sicch il danno risarcibile si identifica nella perdita della possibilit di conseguire un risultato utile e non come perdita di quel risultato (da ultimo, Cass. n. 4400 del 2004). La giurisprudenza, al fine di delimitare l'area di risarcibilit del danno da perdita di una chance, richiede che si provi in concreto la realizzazione almeno di alcuno dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta (in fattispecie di danno derivante da mutamento delle mansioni e consistente nel mancato conseguimento di un vantaggio di carriera connesso ad una valutazione comparativa di candidati, v. Cass. n. 10748 del 1996); alla mancanza di una tal prova non possibile sopperire con una valutazione equitativa ai sensi dell'art. 1226 cc, atteso che l'applicazione di tale norma diretta a sopperire all'impossibilit di provare l'ammontare preciso del danno ma non l'esistenza dello stesso (Cass. n. 781 del 1992).

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2. DANNO NON PATRIMONIALE E questo il danno inerente a beni, interessi o valori non direttamente oggetto di valutazione economica ed indipendenti dalla capacit reddituale della vittima. In argomento, va giusto ricordato che un gruppo di importanti sentenze della Cassazione 164 valsa ad affermare, come diritto vivente, il principio interpretativo per cui nel vigente assetto ordinamentale il danno non patrimo niale, di cui allart. 2059 c.c., non pu pi essere identificato, secondo la tradizionale restrittiva lettura, soltanto col danno morale soggettivo, ex art. 185 c.p., scaturente da reato. Diversamente, secondo il recente pensiero di Cassazione, il danno non patrimoniale una categoria ampia, comprensiva di tutte le ipotesi di lesione di un valore inerente la persona, costituzionalmente garantito, dalla quale conseguono pregiudizi non suscettivi di valutazione economica. Per completezza, si deve notare che le Sezioni unite, circa le ipotesi violative dellart. 2087, in quanto protettivo anche della personalit morale, hanno ritenuto sufficiente detta norma per garantire il risarcimento dei danni non patrimoniali. Allinterno della categoria del danno non patrimoniale rientrano dunque le tre seguenti voci. 2.1 DANNO BIOLOGICO E la lesione dell'integrit psicofisica medicalmente accertabile, secondo la definizione legislativa di cui alla L. n. 57 del 2001, art. 5, comma 3, sulla responsabilit civile auto, che quasi negli stessi termini era stata anticipata dal D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, in tema di assicurazione Inail (tale peraltro la locuzione usata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 233 del 2003). Gli oneri di allegazione qui si sostanziano nella precisa indicazione in ricorso della patologia riportata e del suo preteso collegamento eziologico rispetto alla condotta inadempitiva 165 (quindi importante anche la precisazione sulla data di manifestazione della patologia). I mezzi di prova in argomento risiedono, soprattutto nella CTU medico legale; tuttavia, occorre insistere che la CTU non pu avere valore esplorativo/creativo, ma deve essere sempre riferita alle sole e precise patologie dedotte in ricorso. 2.2. DANNO MORALE SOGGETTIVO CONTINGENTE E la sofferenza contingente ed il turbamento dellanimo determinati da fatto illecito integrante reato: il pretium doloris. Ha natura meramente emotiva ed interiore, non oggettivamente accertabile. E risarcibile ex art. 185 c.p. Nella liquidazione equitativa del danno non patrimoniale derivante da fatto illecito, deve tenersi conto della gravit dell'illecito penale e di tutti gli elementi della fattispecie concreta, in modo da rendere il risarcimento adeguato al caso specifico. Ne consegue che, per esempio, il ricorso da parte del giudice di merito al criterio della determinazione della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno morale in una frazione dell'importo riconosciuto per il risarcimento del danno biologico, non di per s illegittimo, a condizione che si tenga conto delle peculiarit del caso concreto, effettuando la necessaria personalizzazione del criterio alla specifica situazione, ed apportando, se del caso, i necessari correttivi, senza che la liquidazione del danno sia rimessa ad un puro automatismo 166 .

164 165

V. in particolare, Cass. n. 8827 e 8828/2003. Cos da ultimo, Cass. N. 19965/2006. 166 Cass. N. 10035/2004. Nella specie, relativa al risarcimento del danno per la morte del coniuge e padre degli attori in un sinistro ferroviario, la S.C ha cassato la sentenza di merito che aveva applicato automaticamente le tabelle in uso presso il tribunale locale, senza dar atto di aver tenuto conto del danno da sconvolgimento delle abitudini di vita del nucleo familiare e della procurata assenza della figura paterna in relazione all'et dei figli (rispettivamente 4 anni e nascituro) al momento del sinistro.

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2.3 DANNO ESISTENZIALE Poich in tema sono frequenti gli equivoci, bene riportare la definizione usata dalle Sezioni unite. E tale il danno non patrimoniale all'identit professionale sul luogo di lavoro, all'immagine o alla vita di relazione o comunque alla lesione del diritto fondamentale del lavoratore alla libera esplicazione della sua personalit nel luogo di lavoro, tutelato dagli artt. 1 e 2 Costper danno esistenziale si intende ogni pregiudizio che l'illecito datoriale provoca sul fare areddituale del soggetto, alterando le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, sconvolgendo la sua quotidianit e privandolo di occasioni per la espressione e la realizzazione della sua personalit nel mondo esterno . Detto danno oggettivamente accertabile, attraverso la prova di scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero adottate se non si fosse verificato l'evento dannoso. Anche in relazione a questo tipo di danno il giudice astretto alla allegazione che ne fa l'interessato sull'oggetto e sul modo di operare dell'asserito pregiudizio, non potendo sopperire alla mancanza di indicazione in tal senso nell'atto di parte, facendo ricorso a formule standardizzate, e sostanzialmente elusive della fattispecie concreta, ravvisando immancabilmente il danno all'immagine, alla libera esplicazione ed alla dignit professionale come automatica conseguenza... Il danno esistenziale infatti, essendo legato indissolubilmente alla persona, e quindi non essendo passibile di determinazione secondo il sistema tabellare - al quale si fa ricorso per determinare il danno biologico, stante la uniformit dei criteri medico legali applicabili in relazione alla lesione dell'indennit psicofisica - necessita imprescindibilmente di precise indicazioni che solo il soggetto danneggiato pu fornire, indicando le circostanze comprovanti l'alterazione delle sue abitudini di vita. Transitando dal piano assertivo a quello probatorio, il danno esistenziale pu essere provato mediante prova testimoniale, documentale o presuntiva, che dimostri nel processo "i concreti" cambiamenti che l'illecito ha apportato, in senso peggiorativo, nella qualit di vita del danneggiato, secondo le precise allegazioni gi in ricorso. Considerato che il pregiudizio attiene ad un bene immateriale, precipuo rilievo assume rispetto a questo tipo di danno la prova per presunzioni, mezzo peraltro non relegato dall'ordinamento in grado subordinato nella gerarchia delle prove, cui il giudice pu far ricorso anche in via esclusiva (tra le tante Cass. n. 9834 del 6 luglio 2002) per la formazione del suo convincimento, purch, secondo le regole di cui all'art. 2727 cod. civ. venga offerta una serie concatenata di fatti noti, ossia di tutti gli elementi che puntualmente e nella fattispecie concreta (e non in astratto) descrivano: durata, gravit, conoscibilit all'interno ed all'esterno del luogo di lavoro della operata dequalificazione, frustrazione di (precisate e ragionevoli) aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti la avvenuta lesione dell'interesse relazionale, gli effetti negativi dispiegati nella abitudini di vita del soggetto; da tutte queste circostanze, il cui artificioso isolamento si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico (tra le tante Cass. n. 13819 del 18 settembre 2003), complessivamente considerate attraverso un prudente apprezzamento, si pu coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all'esistenza del danno, facendo ricorso, ex art. 115 cod. proc. civ. a quelle nozioni generali derivanti dall'esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove. Importante tener conto che secondo la sentenza in commento in mancanza di allegazioni sulla natura e le caratteristiche del danno esistenziale, non possibile al giudice neppure la liquidazione in forma equitativa, perch questa, per non trasmodare nell'arbitrio, necessita di parametri a cui ancorarsi. Maria Casola Giudice presso la sezione lavoro del Tribunale di Napoli

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