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GRAVIMETRIA PARTE IV: CAMPO DI REGIONALIT INTERPRETAZIONE QUANTITATIVA: METODO DIRETTO E METODO INDIRETTO ISOSTASIA

Corso di Geofisica Ambientale e Applicata Anno Accademico 2003-2004 Prof.ssa Gabriella Losito

Revisione: Ing. Rossana Angelini

Corso di Geofisica Ambientale ed Applicata 2003-2004 Prof.ssa Gabriella Losito 1. CAMPO DI REGIONALITA Si possono distinguere: le anomalie regionali (o di grande estensione) , attribuibili a cause profonde che

influenzano tutto il rilievo o almeno buona parte di esso; la superficie che le rappresenta ha una pendenza non variabile rapidamente e le isoanomale hanno di conseguenza piccole curvature e sono distanziate regolarmente. Interessano studi di tettonica profonda; le anomalie locali (o di estensione limitata), influenzano poche stazioni. La superficie che

le rappresenta ha grande curvatura e di conseguenza le isoanomale sono molto contorte e irregolarmente distanziate. Sono interessanti soprattutto per ricerche minerarie, ma forniscono utili indicazioni ad esempio nello studio di un basamento roccioso allorch si vogliano mettere in evidenza particolarit topografiche del fondo stesso. Per separare le anomalie locali, dette anche residue, dalle anomalie regionali si esegue una operazione di filtraggio, analoga a quella usata nell'elaborazione numerica dei dati quando si vuole togliere una determinata frequenza. Per far questo si ricorre a metodi analitici e grafici. I metodi grafici consistono in una semplice operazione di lisciamento delle isoanomale, considerando lo scostamento delle linee isoanomale da quelle lisciate come anomalia residua nel punto. Basta, in pratica, sovrapporre al foglio delle isoanomale di Bouguer un foglio di carta lucida su cui tracciare a sentimento le isoanomale che rappresentano leffetto regionale. Quindi si segnano punto per punto i valori delle anomalie residue gres calcolando la differenza: gres= gB - greg [1], dove gB lanomalia di Bouguer e greg lanomalia regionale (isoanomale lisciate). Infine si congiungono i punti di uguale anomalia residua (Fig.1). I metodi grafici sono per troppo soggettivi e si preferisce perci applicare metodi analitici (come il metodo dei minimi quadrati). Il tipo di interpretazione che si ricava attraverso linsieme di questi metodi , per, solamente qualitativo ed assicura solo lesistenza nel sottosuolo di masse di densit differente da quella del mezzo circostante, indicandone la presunta posizione planimetrica e, entro certi limiti, lestensione (in prima approssimazione si possono leggere le isoanomale di Bouguer quali isoipse della struttura sepolta che genera lanomalia). I parametri che limitano e definiscono la causa dellanomalia (intesa come forma, densit e profondit della massa perturbante) possono essere precisati solo attraverso uninterpretazione quantitativa: lindeterminazione, propria del metodo, ci obbliga tuttavia a fare delle ipotesi sul valore di un parametro per poter determinare gli altri (ci si serve per questo di dati geologici o

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Corso di Geofisica Ambientale ed Applicata 2003-2004 Prof.ssa Gabriella Losito geofisici, relativi alla zona in esame, che permettono di determinare i valori pi probabili della densit e/o della profondit).

Fig.1 Isoanomale di Bouguer (linea continua), regionali (a tratto lungo) e residue (a tratteggio) [da Norinelli]

2. INTERPRETAZIONE QUANTITATIVA: IL METODO DIRETTO Consiste nel confrontare le anomalie sperimentali con anomalie tecniche di cui sono gi state studiate le propriet. Questo sar tanto pi agevole quanto maggiore il numero di curve tecniche a disposizione (oggi pressoch infinito grazie al contributo dellinformatica). Praticamente si suppone che la distribuzione di massa che determina lanomalia corrisponda ad alcune strutture semplici e i parametri di queste strutture (densit, profondit, dimensioni) sono aggiustati fino a quando lanomalia teorica cos calcolata non rispecchia landamento dellanomalia sperimentale. 2.1 CALCOLO DELLANOMALIA DI UNA SFERA. Consideriamo una massa sepolta a forma sferica avente raggio R (Fig. 2). Il valore dellattrazione nel punto P(x,0,0) sar dato da:

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Corso di Geofisica Ambientale ed Applicata 2003-2004 Prof.ssa Gabriella Losito g s = G M 4 = G R 3 2 r 3

(x

1
2

+h

4 1 R 3 G 2 3 x + h2

[2],

dove: G la costante di gravitazione universale; M la massa della sfera; r la distanza tra il punto P e il centro della sfera; la densit differenziale (ossia la differenza tra la densit della sfera e quella del terreno circostante); h la quota del centro della sfera.

0 g s h r

gs,z

z
Fig.2 Calcolo dellanomalia gravimetrica relativa ad una massa sferica; l'asse y esce dal piano della figura

Lanomalia gravimetrica corrispondente data dalla componente di questa attrazione lungo lasse z: g s , z = g s cos = g s
h 4 = GR 3 r 3 h

(x

+h

3 2 2

[3].

dove langolo che la distanza r forma con lasse verticale delle z. Pi in generale, se xc la coordinata lungo lasse x della proiezione in superficie del centro della sfera, si avr: g s , z =
4 GR 3 3 h

[(x - x

) +h
2

3 2 2

[4].

E importante sottolineare che questa formula vale per un profilo orizzontale passante per la proiezione in superficie del centro della sfera: in Fig. 3a riportato un esempio di profilo per cui si pu usare la formula, mentre in Fig.3b riportato un esempio di profilo per cui non valida la formula.

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(a)

(b)

Fig. 3 Rappresentazione nel piano xy di un profilo per cui la formula [4] applicabile (a) e di un profilo per cui la formula non e applicabile (b).

Un altro aspetto a cui bisogna fare molta attenzione sono le unit di misura adottate. Si ricorda che nel sistema c.g.s.: G = 6.67.10-8 cm3 g-1 s-2; (g cm-3), g s , z (gal) e le distanze sono espresse in cm. Nel sistema S.I.: G = 6.67.10-11 m3 kg-1 s-2; (kg m-3), g s , z (m s-2) e le distanze sono espresse in m. Una volta fissati i parametri , R, xc e h, lanomalia risulter funzione della sola x: g s , z =g s, z(x) sar quindi la curva che rappresenta landamento dellanomalia gravimetrica lungo lasse x (Fig.4).

g [mgal]
h [km]

Fig.4 Andamento lungo lasse x dellanomalia gravimetrica relativa ad una massa sferica La funzione avr un estremo (un massimo o un minimo a seconda del segno di ) in corrispondenza della verticale passante per il baricentro (cio per x = xc): (g s , z )max = g s , z (x = xc) =

GM h2

[5],

dove M =

4 R 3 appunto la massa della sfera; 3


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allaumentare di x (e quindi della distanza dal centro della sfera) gli effetti della massa perturbante diminuiscono, fino a diventare trascurabili; per avere unidea di quanto velocemente diminuisce la funzione con la distanza, proviamo a calcolare il valore x1/2 per il quale risulta g s , z (x = x1/2) = (g s , z )max/2 imponendo:
GMh

[(x

1/2

- xc )2 + h

3 2 2

1 GM 2 h2

e svolgendo gli opportuni calcoli, si ottiene: x 1/2 = x c 0.59h x c 3 h 4 [6].

Le isoanomale relative allanomalia prodotta da una massa sferica perturbante sono circonferenze concentriche: se > 0, allora i valori dellanomalia decrescono verso lesterno, se invece < 0, i valori decrescono verso linterno. Pu essere interessante vedere come varia g s , z in funzione degli altri parametri in gioco: allaumentare, in valore assoluto, della densit differenziale (Fig. 5), aumenta, sempre in valore assoluto, il picco della curva ed inoltre si allarga la zona in cui leffetto della sfera non trascurabile; maggiore la profondit h del centro della sfera (Fig.6), maggiore la zona in cui gli effetti della sfera non sono trascurabili (la campana si allarga), ma lintensit dellanomalia inferiore (la campana pi schiacciata); allaumentare del raggio della sfera R (Fig.7), aumenta leffetto perturbante dovuto alla sfera stessa (le curve sono pi larghe e pi alte); importante ricordare che anche piccole variazioni del raggio possono determinare variazioni significative di g s , z poich nella formula compare R3.

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g [mgal]

Fig. 5 Effetti della variazione della densit differenziale d sullanomalia gravimetrica relativa ad una massa sferica

g [mgal]

Fig.6 - Effetti della variazione della profondit h del centro di una massa sferica sullanomalia gravimetrica relativa alla massa stessa GRAVIMETRIA PARTE IV
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g [mgal]

Fig.7 - Effetti della variazione del raggio R di una massa sferica sullanomalia gravimetrica relativa alla massa stessa

2.2 CALCOLO DELLANOMALIA DI UN CILINDRO ORIZZONTALE INDEFINITO

Per ottenere leffetto gravimetrico lungo lasse x di un cilindro con asse orizzontale parallelo allasse y, partiamo dalleffetto di un disco di spessore dy, con centro in C(0,y,h) (Fig.8). Lattrazione Newtoniana esercitata dal disco nel punto P(x,0,0) (supposta tutta la massa concentrata nel centro):
dg = Gdm = G(R 2 dy) r2

(x

1
2

+y +h
2

= GR 2

dy x + y2 + h 2
2

[7],

dove: G la costante di gravitazione universale; dm la massa del disco; r la distanza tra il punto P e il centro del disco; la densit differenziale (ossia la differenza tra la densit del cilindro e quella del terreno circostante); R il raggio del disco; h la quota del centro del disco. Lanomalia dovuta al disco sar la componente verticale di dg , quindi: dg z = dg cos = dg

h hdy = GR 2 2 r (x + y 2 + h 2 ) 3 / 2

[8]

dove langolo che la forza dg forma con lasse verticale delle z.

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dgz h

dg r

r
R dy z

Fig. 8 Calcolo dellanomalia gravimetrica relativa ad una massa cilindrica orizzontale indefinita Lanomalia gravimetrica dellintero cilindro sar ottenuta integrando tra - e + lanomalia gravimetrica dovuta al disco: g c , z = GR h
2 +

dy h = 2GR 2 2 2 2 3/ 2 x + h2 - (x + y + h )
2

[9];

questo risultato ottenuto facilmente ricordando che lintegrale risulta invariante rispetto a y; pi in generale, se xc la coordinata lungo lasse delle x dei punti dellasse del cilindro, si avra: g c , z = 2GR 2 h (x - x c ) 2 + h 2 [10].

E importante sottolineare che anche questa formula non vale per qualunque profilo orizzontale, ma solo per un profilo orizzontale ortogonale allasse del cilindro (Fig. 9). (a) (b)

Fig. 9 Rappresentazione nel piano xy di un profilo per cui la formula [10] applicabile (a) e di un profilo per cui la formula non applicabile (b).

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Per quanto riguarda le unit di misura adottate, valgono le stesse precisazioni viste per lanomalia della sfera. Landamento dellanomalia in funzione della direzione x (una volta fissati gli altri parametri) analogo allanomalia prodotta da una sfera (Fig. 10): la curva g c , z = g c , z (x) avr un estremo (un massimo o un minimo a seconda del segno di ) in corrispondenza dellasse del cilindro (cio per x=xc) e allaumentare di x (e quindi della distanza dallasse del cilindro) gli effetti della massa perturbante diminuiscono, fino a diventare trascurabili; il valore massimo della curva vale (g c , z )max = g c , z (x = xc ) = 2GR 2 h [11].

g [mgal]

h [km]

Fig.10 Andamento lungo lasse x dellanomalia gravimetrica relativa ad una massa cilindrica orizzontale indefinita

Pu essere interessante confrontare le anomalie gravimetriche dovute ad una sfera e ad un cilindro orizzontale indefinito a parit dei valori assunti dai parametri , R, xc e h (Fig. 11): si osserva facilmente che gli effetti perturbanti del cilindro sono nettamente maggiori rispetto a quelli di una massa sferica (infatti il picco dellanomalia del cilindro molto maggiore rispetto a quello della sfera e la zona di influenza in cui gli effetti del cilindro non sono trascurabili pi estesa di quella della sfera).

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g [mgal]

h [km]

Fig.11 Confronto tra lanomalia gravimetrica relativa ad una massa sferica e quella relativa ad una massa cilindrica orizzontale indefinita, a parit dei parametri R,d e h

Nelle figure successive (Figg.12-14) sono riportate le variazioni dellanomalia di una massa cilindrica orizzontale indefinita al variare dei parametri , R e h.

g [mgal]

Fig. 12 Effetti della variazione della densit differenziale d sullanomalia gravimetrica relativa ad una massa cilindrica orizzontale indefinita

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g [mgal]

Fig. 13 Effetti della variazione della profondit h dellasse di una massa cilindrica orizzontale indefinita sullanomalia gravimetrica relativa alla massa stessa

g [mgal]

Fig. 14 Effetti della variazione del raggio R di una massa cilindrica orizzontale indefinita sullanomalia gravimetrica relativa alla massa stessa GRAVIMETRIA PARTE IV
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Corso di Geofisica Ambientale ed Applicata 2003-2004 Prof.ssa Gabriella Losito 2.3 CALCOLO DELLANOMALIA RELATIVA AD UNA FAGLIA VERTICALE

Una faglia verticale pu essere schematizzata (Fig.15) tramite una struttura di densit uniforme 2 infinitamente estesa verso il basso e limitata superiormente da due semipiani orizzontali (posti alle profondit h1 e h2 , con h2 > h1, la cui differenza h2 h1 detta rigetto della faglia) raccordati tra loro da un piano verticale.

P(x0,0,0)

x h1

h2

z
Fig.15 Struttura che schematizza una faglia verticale Lanomalia gravimetrica provocata nel punto P(xo,0,0) dalla presenza della faglia da imputare alla presenza di una massa perturbante rispetto alla situazione di due strati orizzontali paralleli di densit rispettivamente 1 e 2, separati dal piano orizzontale a profondit h2. Il terreno di densit 2 al di sotto di h2 d un contributo costante su tutti i punti del piano xy ( infatti lanomalia relativa ad una struttura tabulare), contributo che non viene minimamente alterato dalla presenza della faglia; analogamente, anche il contributo del terreno di densit 1 posto al di sopra dei due semipiani orizzontali non alterato dalla presenza della faglia. Ci che determina una differenza rispetto alla situazione senza faglia quindi la sola struttura (di densit differenziale = 2 - 1) limitata dai due semipiani orizzontali a quota h1 e h2: lanomalia gravimetrica dovuta a questa struttura sar ottenuta integrando sui limiti della struttura stessa lanomalia gravimetrica dovuta ad un elemento di massa infinitesima dm.

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Lattrazione gravitazionale dg nel punto P(xo,0,0) dovuta allelemento di massa differenziale infinitesima dm(x,y,z) (Fig. 16):

dg = G

dm (dxdydz) =G 2 r r2

[12],

dove G la costante di gravitazione universale; r la distanza tra lelemento di massa dm ed il punto P; appunto la densit differenziale e dx, dy e dz sono le dimensioni infinitesime dellelemento di massa dm.

0 dg h2 r

P(xo,0,0) dgz h1

dm(x,y,z) y z

Fig. 16 Calcolo dell'anomalia gravimetrica relativa ad una faglia verticale; la linea spessa tratteggiata la proiezione della faglia sul piano xz

Lanomalia gravimetrica dgz relativa allelemento di massa differenziale dm quindi la componente verticale di dg: dg z = dg cos = dg z z zdxdydz = Gdxdydz 3 = G r r (x x o ) 2 + y 2 + z 2

3/2

[13],

dove langolo che la forza dg forma con lasse verticale delle z. Integrando infine dg z sui limiti della struttura in esame, si ottiene lanomalia gravimetrica relativa alla faglia verticale: g f , z = G zdz dx
h1 0 h2

[(x - x

dy
o

) + y2 + z2
2

3/2

lintegrale in dy invariante rispetto a y, quindi si ha

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g f , z

1 h2 dx zdx x - xo z = 2G dz = 2G dz = 2G arctg 2 2 2 z h1 0 (x - x o ) + z h1 0 x xo h1 +1 z
h2 h2
2 x = 2G + arctg o 2 z h1

dz = 0

2 x dz =G(h 2 h 1 ) + 2G arctg o dz z h1

per risolvere lintegrale in dz si ricorre allintegrazione per parti: g f , z


h2 h2 x z xo = G(h 2 h 1 ) + 2G z arctg + 2 o 2 dz = z h1 h1 x o + z

xo = G(h 2 h 1 ) + 2G h 2 arctg h 2

xo h 1 arctg h 1

2 2 + 2G x o ln x o + z

h2 h1

In definitiva lanomalia gravimetrica relativa ad una faglia verticale con rigetto (h2 h1) :
xo g f , z = G(h 2 h 1 ) + 2G h 2 arctg h 2 xo h 1 arctg h 1 x2 + h2 o 2 + x ln o 2 2 + x h o 1 [14].

Pi in generale, se x la coordinata lungo lasse delle x del punto di osservazione P e xF quella del piano verticale che compone la faglia, si ha: g f , z x - xF = G(h 2 h 1 ) + 2Gh 2 arctg h 2 x - xF h 1 arctg h 1 (x - x ) 2 + h 2 F 2 + x o ln (x - x ) 2 + h 2 [15]. F 1

Per quanto riguarda le unit di misura adottate, valgono esattamente le stesse precisazioni viste per lanomalia della sfera. Landamento dellanomalia lungo lasse x riportato nella Fig.17; si osserva che: per xo - lanomalia tende ad annullarsi; per xo=0 lanomalia si riduce al termine costante presente nella formula (g f , z )0 = g f , z (x = 0) = G(h 2 h 1 ) [15];

per xo lanomalia tende asintoticamente al suo valore massimo, pari a due volte il termine costante: (g f , z )max = g f , z (x ) = 2(g f , z )0 = 2G(h 2 h 1 ) [16].

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g [mgal ]

h [km]

Fig.17 Anomalia gravimetrica relativa ad una faglia verticale; per il significato dei simboli si veda il testo

Nella Fig.18 visualizzato leffetto combinato delle anomalie prodotte da una faglia verticale ed una massa perturbante sferica.

g [mgal ]

h [km]

Fig.18 Effetto della presenza di una faglia verticale sullanomalia gravimetrica prodotta da una massa perturbante sferica; per il significato dei simboli si veda il testo
3. INTERPRETAZIONE QUANTITATIVA: IL METODO INDIRETTO

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Consiste nel ricostruire pezzo per pezzo una struttura simulata che provoca le anomalie trovate sperimentalmente in superficie. Tale studio si fa con reticoli e abachi che si basano sul principio di dividere un piano in zone, ciascuna delle quali da un contributo noto allanomalia di gravit in un punto (centro del reticolo).
3.1 RETICOLO PER STRUTTURE BIDIMENSIONALI

Un primo tipo di reticolo si adotta nel caso in cui la massa responsabile dellanomalia sia una struttura bidimensionale, cio infinitamente estese secondo una direzione, che supporremo, per comodit, orizzontale (Fig. 19). In questo caso la struttura pu essere approssimata mediante un cilindro orizzontale infinitamente esteso nel senso del suo asse: essendo tale cilindro determinato dalla sua sezione retta, il piano normale allasse del reticolo viene diviso in tante aree elementari (ognuna delle quali reca un contributo t o tasso del reticolo) tali che i cilindri indefiniti aventi per direttrici i contorni di tali aree causino uguali anomalie g nel centro del reticolo (fig.20). In tal modo, se n il numero di tasselli occupato dalla massa in esame, nt sar lanomalia generata nel punto O.

Fig. 19 Schema per il calcolo del reticolo per strutture bidimensionali (da Norinelli)

Con riferimento alla fig. 19, fissato un sistema di assi ortogonali di origine O, calcoliamo la componente verticale dellattrazione (cio lanomalia gravimetrica) esercitata sullunit di massa posta in O da un corpo cilindrico (nel senso della geometria analitica ) allungato secondo la y.

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La componente verticale dg z esercitata da un elemento di volume dV=dx dy dz di coordinate (x,y,z) e di densit , sar quindi: dg z = G z Gzdxdydz dV = 3/ 2 2 2 2 2 2 2 (x + y + z ) (x + y + z ) x + y2 + z2
2

[17],

dove G la costante di gravitazione universale e dx, dy e dz sono appunto le dimensioni infinitesime dellelemento di volume dV. Lanomalia gravimetrica dovuta allintero cilindro ottenuta integrando questo contributo infinitesimo sui limiti x, y e x che definiscono il cilindro: g z = G zdxdz
s
z2

dy (x 2 + y 2 + z 2 )
3 2

= 2G zdxdz
s

y (x 2 + z 2 ) x 2 + y 2 + z 2
0

= 2G
s

zdxdz = x2 + z2

= 2G zdz
z1

dx = 2G( z 2 z 1 )( 2 1 ). x + z2 ztg ( 90 2 )

ztg ( 90 1 )

Cio in definitiva:
g z = 2Gz

[18],

avendo posto z = (z 2 z 1 ) e = ( 2 1 ). Questultima formula permette di costruire facilmente un reticolo per masse bidimensionali (Fig.20); basta infatti dividere il piano (x,z) in settori limitati da semirette uscenti da 0 e da rette parallele allasse x, in modo che = costante e z = costante. In tale ipotesi lattrazione esercitata da ognuno dei settori costante qualunque sia la sua posizione. Se si vuole calcolare in un punto 0 lattrazione verticale di una massa bidimensionale orizzontale a sezione qualsiasi, anche irregolare, sufficiente valutare il numero dei settori ricoprenti la sezione in esame; tale numero deve essere poi moltiplicato per la costante del reticolo, cio il valore della sezione della struttura bidimensionale superficie del terreno O

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densit.

Fig. 20 Reticolo per strutture bidimensionali (da Telford)

Nella pratica dato un profilo danomalia sperimentale, si fanno delle ipotesi sulla struttura perturbante (profondit, densit, forma) e per mezzo del reticolo se ne calcola il profilo gravimetrico, si riportano cio i punti su una carta millimetrica cercando di realizzare il fitting migliore con la curva dei dati sperimentali.
3.2 RETICOLO PER STRUTTURE NON BIDIMENSIONALI

Nel caso in cui la massa responsabile dellanomalia non abbia una dimensione maggiore delle altre si adottano altri tipi di reticoli. Per costruirli, si calcola in un punto P il valore di g causata da un solido limitato: due piani orizzontali, compresi tra le profondit z1 e z2; due piani passanti per la verticale del punto P con azimut 1 e 2 e due cilindri coassiali aventi per assi la verticale per P e raggi 1 e 2 (fig.21).

Fig.21 - Schema per il calcolo del reticolo per masse finite (da Morelli)

Si impone che lattrazione esercitata da ciascuno dei solidi cos costruiti al variare di questi parametri e data una certa densit differenziale assuma un valore costante predeterminato.

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Il reticolo che ne risulta si presenta sotto forma di pi corone circolari, ciascuna delle quali divisa in pi settori (fig. 22).

Fig. 22 Esempio di un reticolo per masse finite, calcolato per z=200m, z2 z1 = 100 m, 2 - 1 = 100 m, = 0.1 g/cm3; il tasso del reticolo t = 10 Gal (da Morelli)
4. LISOSTASIA

Si tratta di un complesso di vecchie teorie nate quando si tentato di dare una spiegazione al fatto che, allorch si studiano zone della terra molto vaste come gli oceani o le grandi catene montuose, si assista a delle anomalie a carattere regionale piuttosto curiose: - in corrispondenza dei grandi rilievi montuosi le anomalie di Bouguer sono negative come se al disotto del livello del mare, in corrispondenza dei rilievi tolti, esistesse una zona a densit minore; inoltre la direzione del filo a piombo che per definizione la verticale, presso le montagne dovrebbe subire una deviazione teorica (rispetto alla normale allellissoide) che risulta invece superiore a quella reale. - in corrispondenza degli oceani le anomalie di Bouguer sono positive, come se ad ogni deficit di massa corrispondesse un eccesso di massa interna. Lisostasia una sorta di condizione di equilibrio a cui tende ogni corpo planetario e deriva da una visione dinamica dei comportamenti crostali: si ammette cio che il mantello, se sottoposto a pressioni prolungate nel tempo, tenda a deformarsi plasticamente comportandosi come un corpo

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viscoso. Secondo lipotesi di Airy, alle culminazioni montuose corrispondono profonde radici ed inflessioni del mantello mentre al disotto delloceano il materiale pi denso risale in superficie (antiradici) come se i continenti galleggiassero sul mantello con una parte emersa assai ridotta rispetto alla parte immersa per cui stato fatto il paragone con gli iceberg galleggianti sullacqua del mare. Il mantello deve essere quindi pi vicino alla superficie in zona oceanica e pi distante in zona continentale (fig. 23).

Fig. 23 Ipotesi di Airy (da Norinelli)

Lelemento comune a tutte le teorie che fanno capo allisostasia lipotesi che ad una certa profondit si raggiunga un equilibrio cosiddetto isostatico: ad esempio in Scandinavia esiste una forte anomalia negativa probabilmente perch la crosta liberata dal ghiaccio quaternario sta recuperando da alcune migliaia di anni il suo equilibrio e sta tuttora sollevandosi. Tutto questo fa si che nei rilievi gravimetrici di regioni particolarmente estese la riduzione di Bouguer non sia pi sufficiente ma si debba aggiungere una riduzione compensativa o riduzione isostatica che tenga conto delleccesso o del difetto di massa aggiungendo masse compensatrici allinterno nel caso di catene montuose e togliendo le masse in eccesso che stanno al di sotto nel caso degli oceani. In pratica, dopo la riduzione di Bouguer, che ha eliminato leffetto del rilievo, si immagina che la radice leggera sottostante venga sostituita da un ugual volume avente la densit del substrato, cosicch la crosta leggera si configura come una lastra di densit e spessore uniformi. A prescindere dal modo con cui tale riduzione pu essere calcolata, una volta fatta questa ulteriore correzione le anomalie isostatiche dovrebbero essere nulle nella situazione di equilibrio isostatico: forti anomalie possono significare una situazione di equilibrio non raggiunto. Cos: - ad anomalie isostatiche positive corrisponde lesistenza di masse che devono essere ulteriormente compensate: il materiale superiore si trova pi vicino alla superficie di quanto non dovrebbe e quindi questa zona dovrebbe abbassarsi per raggiungere lequilibrio; - ad anomalie isostatiche negative corrisponde invece la tendenza della crosta ad innalzarsi. I limite dellisostasia stanno nel fatto che non sempre le masse compensatrici ipotizzate corrispondono a strutture geologiche effettivamente esistenti per cui questi fenomeni andrebbero forse visti nellottica di una dinamica pi ampia.

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