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Tutto nasce dalla leva e la leva dalla stadera e la


stadera dalla bilancia e la bilancia finalmente dalla
propriet del circolo. [...E] la continua giratione del
mondo che Vitruvio dice essere come una machinatio-
ne et per anco si chiama la macchina del mondo
Daniele Barbaro, Prmio al Libro X del De
architectura di Vitruvio.
Largano di Del Rosso: empiria e tradizione
nella prassi del cantiere edile storico
Nel 1822, larchitetto fiorentino Giuseppe Del
Rosso pubblicava un prezioso opuscoletto dive-
nuto raro, intitolato Edificatoria. Della necessit di
riformare largano comune per uso delle fabbriche e
dei vantaggi che per essa riforma ne risultano
1
. In
poche pagine, con elegante chiarezza e sempli-
cit di ragionamento, questo architetto illumini-
sta, figlio e nipote di architetti, presentava ai let-
tori i vantaggi di una macchina da lui messa in
opera nel 1792 per il cantiere della chiesa della
Madonna delle Pozze a Dicomano in Toscana.
Si trattava di un grande argano a ruota dentata,
montato sul cantiere in due esemplari, che nei
confronti dellargano ordinario aveva il vantag-
gio di poter essere manovrato da un ridotto nu-
mero di uomini con risultati equivalenti o supe-
riori alla norma, avendovi accorciato la lunghez-
za delle stanghe con cui veniva azionato e accre-
sciuta la grossezza del canapo. Laltro grande
vantaggio consisteva nel fatto che il moto gene-
rato da questo argano risultava essere costante
ed evitava, secondo le parole dellautore le pic-
cole ma continuate scosse che tanto affaticano il
canapo avvolto allargano comune, e da cui tan-
to ne risente il castello di legname a cui il grave
sospeso appena staccato dal suolo, producen-
do pericolosissimi e visibili effetti dallo strap-
pamento delle cordicelle che compongono il ca-
napo. Lunico svantaggio stava nelle dimensio-
ni molto grandi della macchina: la ruota di que-
stargano, mosso da 16 uomini, aveva una cir-
conferenza di oltre 18 metri e un diametro in-
torno ai cinque metri, per cui era difficile trova-
re il magazzino adatto ad ospitarlo e una porta
tanto largha da farcelo entrare; ma questa diffi-
colt non poteva contrapporsi secondo il co-
struttore allindubbio vantaggio da esso offerto.
Del Rosso, architetto militante e buon mac-
chinatore, particolarmente orgoglioso della sua
macchina e ne spiega cos le ragioni: Luso fre-
Daniela Lamberini Allombra della cupola: tradizione e innovazione
nei cantieri fiorentini quattro e cinquecenteschi
1. Giuseppe del Rosso, Argano a ruota
dentata, in Edificatoria, Pisa, 1822.





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quente, e indispensabile che si f dellArgano nel-
la costruzione delle Fabbriche di qualche impor-
tanza, e il vedere come dai pratici sieno male im-
piegate le forze motrici, o non calcolate che per
una lontanissima approssimazione, mi ha fatto
sempre desiderare che questa macchina fosse
condotta ad una maggiore perfezione. Purtrop-
po, nelle molte occasioni che gli si sono presenta-
te su cantieri aperti sia a Firenze che nelle citt
subalterne del Granducato, per la costruzione di
fabbriche di una certa rilevanza, il tentativo di in-
trodurvi un argano a ruota dentata al posto del-
largano tradizionale si sempre scontrato con la
dura obiezione dei pratici: nessuno voleva far
spesa di cambiare quello strumento di cui ne era-
no provveduti tutti gli intraprendenti di Fabbri-
che. La costruzione della chiesa di Dicomano,
oggi Oratorio di SantOnofrio, in Val di Sieve, ai
confini orientali del Mugello, fu dunque unecce-
zione fortunata offerta allarchitetto da circostan-
ze fortuite. Lontani come eravamo dalla Capita-
le, egli spiega qualunque sorta di attrezzi che
vi occorsero, si dovettero costruire sul luogo; ed
essendovi pure necessario luso di due Argani per
sollevare i gravissimi architravi sulle colonne del
portico esterno (le maggiori in diametro di quan-
te ne esistevano a Firenze) disegnai e feci costrui-
re i detti Argani [...] e ne ottenni un servizio ol-
tremodo sicuro, agevole, spedito e tale insomma
che super laspettativa degli abili operanti in
quella non comune intrapresa.
Purtroppo non ci dato conoscere laspetto
che Del Rosso diede alla sua macchina. Egli stes-
so ci informa in una nota di averne depositato il
disegno completo presso lo Scrittoio delle Re-
gie Fabbriche di Firenze, dove ricopriva il ruolo
di architetto, per effettuarsi in natura subito che
qualche occasione lo avesse richiesto; ma pro-
babile, aggiunge, che pi non vi esista dopo tali
cambiamenti, ovvero dopo i grandi rivolgimen-
ti della Restaurazione, seguita allepopea napo-
leonica, di cui anche Del Rosso fu protagonista
2
.
Laccurata descrizione che ne d e lo schema
geometrico che laccompagna (ill. 1) ci dicono
per chiaramente che non si tratta di una nuova
invenzione: largano a ruota dentata infatti non
certo una novit per il cantiere edile preindu-
striale e larchitetto con grande onest intellet-
tuale lo sottolinea, in una frase per noi partico-
larmente significativa: Non ardisco scrive
appropriarmi linvenzione di questa macchina,
bens il modo di costruirla e di valermene, dico
ancora che non a mia notizia che avanti e dopo
la riferita occasione, verun altro Architetto o
pratico macchinatore ne abbia adottato luso
3
.
Mi sono soffermata a lungo su questo episo-
dio, legato alla carriera architettonica di Giusep-
pe Del Rosso, un episodio marginale, poco noto
e apparentemente molto lontano nel tempo dal
tema del nostro Seminario, perch al contrario
lo ritengo emblematico. I punti chiave toccati
dallarchitetto e machinator fiorentino nella sua
Edificatoria, sono infatti molto significativi per la
storia del cantiere edile storico preindustriale,
una storia ancora tutta da scrivere ma che si po-
trebbe sulla base di questa testimonianza ricon-
durre allinterno di precise problematiche.
In primo luogo sottolineare come, alle soglie
di una tardiva per lItalia quanto stentata ri-
voluzione industriale, nel cantiere edile perman-
gano le pi tradizionali e antiche tecniche di pro-
duzione, in una sorta di longue dure braudeliana,
che ha nellet classica lontane origini, rivisitate
e rinnovate nel Rinascimento, e riesce a protrar-
si fino allOttocento inoltrato, per numerose
concause economiche e sociali, quali: labbon-
danza di mano dopera non qualificata, i bassi co-
sti delle materie prime e dei trasporti e i bassissi-
mi salari
4
. In secondo luogo, rilevare come la tec-
nologia e i mezzi tecnici utilizzati sul cantiere
siano contrassegnati da unempiria dominante,
sia per i tecnici che per le maestranze. Empiria
nutrita da un consolidato conservatorismo che
giustificato da leggi di mercato inerti e imper-
meabili alle innovazioni, con cambiamenti rari e
aleatori, dettati dal caso e non pi ripetibili. Infi-
ne, la consapevolezza di non inventare nel senso
moderno del termine, ma di ritrovare, cio di
tradurre e adattare alle esigenze del momento le
conoscenze pi consolidate o, per gli audaci, spe-
rimentare le pi avanzate, e in generale, rielabo-
rare personalmente avendo per modello le solu-
zioni colte, gli exempla, appartenenti a un patri-
monio classico comune, nel solco di una tradi-
zione illustre cui nella prassi quotidiana era ben
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2. Piero Sanpaolesi, Spaccato
assonometrico della cupola di Santa Maria
del Fiore, in Brunelleschi, Milano, 1962,
Tav. 42.





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raro poter attingere, ma che sul piano teorico e
della ricerca filologica erano ben note e diffuse
tra gli operatori pi attenti e preparati.
Sono questi i concetti che, fotografando la
condizione professionale degli architetti machi-
natores fiorentini sette-ottocenteschi, li accomu-
nano, con ben precisi distinguo storico-econo-
mici e in tono minore, ai colleghi vissuti tre o
quattro secoli prima, tutti operanti allombra
della cupola, ampla come scriveva nel De Pic-
tura Leon Battista Alberti da coprire chon sua
ombra tutti e popoli della Toscana .
La gran macchina, mito ed exempla
dal cantiere della cupola
stata sottolineata di recente e in varie occasio-
ni
5
la straordinaria importanza che ebbe la co-
struzione della cupola della cattedrale di Santa
Maria del Fiore a Firenze, intrapresa e condotta
a termine da Filippo Brunelleschi tra il 1420 e il
1436. Il cantiere della cupola, la grande mac-
china, secondo lammirata definizione di
Michelangelo, per larditezza della concezione e
per le novit tecnologiche introdottevi dal Bru-
nelleschi, divenne la pi grande e rivoluzionaria
palestra tecnica della sua epoca e scuola del
mondo per gli architetti delle generazioni suc-
cessive. La sua costruzione fu unesperienza to-
talizzante dellarte edificatoria del primo Rina-
scimento, sia per la tecnica costruttiva impiega-
ta che per la draconiana organizzazione del can-
tiere e per la progettazione delle macchine uti-
lizzate per costruirla.
Ricordiamo solo qualche dato
6
: lelegantissi-
ma volta ogivale della cupola, voltata da Brunel-
leschi sanza armatura, formata da otto spicchi
e a doppia calotta di mattoni a spina pesce, una
macchina architettonica che si innalza finol-
tre i 35 metri e mezzo daltezza al di sopra del
tamburo ottagono, che alto 13 metri e ha uno
sviluppo di 140 metri. La cupola prende il suo
slancio dallimposta a circa 54 metri dal suolo;
altri 35 metri la separano dai due angoli opposti
dellottagono di base, per una altezza di circa 91
metri, che arrivano a 107 con la bellissima lan-
terna di marmo, disegnata dal Brunelleschi nel
1436, e terminata solo nel 1472, dopo la sua
morte, che avvenne nel 1446 (ill. 2).
3. Daniele Barbaro, Illustrazione
della leva e delle macchine semplici,
in I dieci libri dellarchitettura di
M. Vitruvio, Venezia, 1567, libro X,
p. 459.
4. Daniele Barbaro, Illustrazione delle
macchine da cantiere, in I dieci libri
dellarchitettura di M. Vitruvio, Venezia,
1567, libro X, p. 446.





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Le macchine, per lo pi argani possenti e in-
gegnose gru girevoli, concepite e utilizzate da
Brunelleschi per questa impresa, che umanisti-
camente eguagliava e superava quelle inarrivabi-
li degli Antichi, pur protette dal segreto di bot-
tega, da aniconiche come le voleva gelosamente
mantenere il progettista, divennero modelli, in-
nalzati dai contemporanei a livello di exempla
7
.
Come tali furono riprodotte su carta e pergame-
na e tramandate ai posteri dai disegni, oramai
divenuti familiari, dei vari codici di Taccola e
Francesco di Giorgio Martini, dallo Zibaldone di
Bonaccorso Ghiberti, dal Taccuino senese di Giu-
liano da Sangallo, dal Codice atlantico di Leonar-
do da Vinci
8
. Circolarono da una generazione
allaltra, con uneco continua e costante nella
produzione grafica delle generazioni successive
agli architetti del primo Quattrocento. Le tro-
viamo infatti nei taccuini di bottega e nei codici
manoscritti tardo quattrocenteschi, cinquecen-
teschi e ancora seicenteschi, affiancate e fram-
miste ai modelli degli ingenia classici, alla machi-
natio vitruviana, alle macchine della prassi quo-
tidiana e agli straordinari mulini, tirari ed alza-
ri martiniani, unaltra fonte di exempla che eb-
be una fortuna notevolissima
9
.
La macchinaria brunelleschiana, che inau-
gur quel clima di scientismo antiquario che, a
partire dagli anni in cui Francesco di Giorgio
scriveva i suoi trattati, si configur sempre pi
nettamente come elaborazione parallela della
cultura vitruviana, fu il pi delle volte riprodotta
con una mancanza di precisione e con unap-
prossimazione tecnica che pu sorprenderci tan-
to la caratterizza. Soprattutto perch non riguar-
da solo autori di basso profilo ingegneristico, co-
me poteva essere Bonaccorso Ghiberti, nipote di
Lorenzo, il rivale di Brunelleschi, che nel suo Zi-
baldone riproduceva con una certa approssima-
zione cholle, argani e gru girevoli rubate lette-
ralmente con gli occhi sul cantiere della cupola e
della lanterna, dove venivano apprestati circon-
dandoli da grande segretezza. Ma comune an-
che a grandi machinatores, come Leonardo da
Vinci, o ai componenti della famiglia da Sangal-
lo, che pur padroneggiando fin nei dettagli que-
ste macchine riproducono schizzi e disegni ap-
prossimativi con ruotismi non intesi nel loro
funzionamento, movimenti bloccati, dimensio-
namenti errati
10
.
Come si spiega dunque questapparente con-
traddizione? La risposta sta nel fatto che alla ba-
se delloperato teorico e pratico degli artisti-in-
gegneri che hanno una grande consuetudine con
la realt di cantiere sta una radicata cultura uma-
nistica. Questa produzione di macchine impos-
sibili la palese riprova che i vari Sangallo, Ghi-
berti, Francesco di Giorgio, Taccola, Leonardo e
gli innumerovoli ingegneri e architetti anonimi
che una generazione dopo laltra li seguirono,
5. Cesare Cesariano, Illustrazione delle
macchine da cantiere, in Vitruvius,
De Architectura, Como 1521, Liber X,
p. clxv.
6. Fra Giovanni Giocondo, Gru detta
antenna o stella, (Polyspaston scritto
nella chiosa cinquecentesca sotto la
xilografia), in M. Vitruvius per
Iocundum solito castigator factus,
Venezia 1511, Liber X, p. 96v.





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consideravano le macchine messe in opera sul
cantiere della cupola in termini umanistici. Era-
no modelli secondo laccezione ciceroniana, mo-
delli antiquari per la mimesis o imitatio e dunque
exempla, sul cui funzionamento e leggibilit tec-
nica prevaleva il concetto teorico e il valore spi-
rituale. Riprodotti in disegno e copiati come una
sorta di prodotto della memoria tecnologica col-
lettiva, gli exempla quattro-cinquecenteschi fini-
rono dunque per essere ritrascritti pi per il loro
significato altamente simbolico, che per il poten-
ziale tecnico e innovativo, che indubbiamente
possedevano e che era pronto in ogni momento a
germinare e dare i suoi frutti. Presso gli epigoni,
per generazioni, assunsero il ruolo di topoi lette-
rari della tecnica cantieristica e, riducendosi a
pure esercitazioni intellettuali, elevarono lo status
sociale di chi se ne impossessava da machinarius a
quello superiore di architetto.
La riproposizione di tali exempla incise inve-
ce molto marginalmente sulleffettiva moderniz-
zazione dei cantieri. Col tempo, nel suo pro-
gressivo affermarsi come prodotto dellarte mec-
canica e parte essenziale delle scienze matemati-
che, la macchina divenne infatti sempre pi re-
taggio delle discipline ingegneristiche e speciali-
stiche, e alla fine del Rinascimento, questo pro-
dotto, cerebrale per eccellenza in quanto nato,
secondo la definizione del Barbaro, da un di-
scorso che si fa prima nella mente, divenuto
mirabile artificio e oggetto di ammirazione e
spettacolo, si era trasformato in tipico prodotto
del collezionismo di corte, e come tale popolava
i teatri di macchine barocchi e, con modellini
in scala tridimensionali, le Wunderkammer dei
prncipi
11
.
Macchine vitruviane per i cantieri di fabbriche
ordinarie e deccezione
Capacit di organizzare spazio e uomini e con-
fronto razionale con le macchine, umanistica-
mente intese, sono le doti principali richieste al-
larchitetto-macchinatore del Rinascimento, se-
condo la definizione che ne d Leon Battista Al-
berti e che la lapide celebrativa, apposta nel duo-
mo fiorentino nel 1446, riconosce a Filippo Bru-
nelleschi, architetto eccellente nellarte di De-
dalo
12
. Sul cantiere, inteso come luogo dove si
esercita lars aedificatoria, palestra dove pos-
sibile apprendere e formarsi, larchitetto deve
non solo dirigere la fase costruttiva della fabbri-
ca, generata dal suo progetto, ma anche paralle-
lamente impegnarsi nella definizione di forme e
parti dellopera architettonica attraverso il pro-
cesso organizzativo del lavoro, mentre la macchi-
na si configura come laboratorio e misura della
possibilit scientifica dintervento delluomo sul-
la natura. Le macchine scrive sempre lAlber-
ti sono da considerare alla stregua di corpi ani-
mati, provvisti di mani eccezionalmente forti e
che per muovere pesi si comportano esattamente
come ognuno di noi. Quindi occorre riprodurre
con le macchine le stesse dimensioni e gli stessi
ripiegamenti che noi facciamo con le membra e
coi nervi nellappoggiarci, nello spingere, nel
tirare e nel trasportare oggetti
13
.
7. Giovan Antonio Rusconi, Gru detta
antenna o stella, in Della architettura,
Venezia 1590, Libro X, p. 135.
8. Oreste Vannocci Biringucci, Gru detta
antenna o stella, in Parafrasi di
Monsignor Alessandro Piccolomini
sopra le Meccaniche dAristotele,
Roma 1582, p. 72.





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E il cantiere rinascimentale, che intende
emulare gli Antichi attraverso la metaforica ri-
conquista dellequilibrio, riscopre il protago-
nismo della macchina e con essa il principio ba-
se del suo movimento, vitruvianamente e aristo-
telicamente racchiuso nella leva, la macchina
semplice eroniana che allorigine di tutte le al-
tre: Tutto nasce dalla leva scrive Daniele Bar-
baro nella sua traduzione e interpretazione della
machinatio di Vitruvio e la leva dalla stadera e la
stadera dalla bilancia e la bilancia finalmente dal-
la propriet del circolo. [...E] la continua giratio-
ne del mondo che Vitruvio dice essere come una
machinatione et per anco si chiama la macchina
del mondo
14
. Un pensiero reso esplicito dalla ta-
vola del X libro che rappresenta appunto le mac-
chine (ill. 3), dove la leva fa da protagonista, sia
quelle di primo genere (la leva di Archimede in
basso a sinistra) che di secondo e terzo genere
con le sue applicazioni, circondata dalle macchi-
ne semplici della meccanica. Si scorgono infatti,
estremamente semplificati in questa figura: la bi-
lancia, la stadera che pi presto mezza bilancia
si pu chiamare
15
, la stanga a cui appeso cio
bilanciato il peso, le carrucole o girelle, percorse
dal canapo, due taglie accoppiate che formano il
paranco, lantenna o stella con le quattro sartie
fissate a terra per orientarla, una biga con verri-
celli, cui sta appeso un blocco di pietra da issare
in alto fissato con la tenaglia, riconosciamo inol-
tre il cuneo e la coclea o vite senza fine (in alto a
destra), per concludere la serie delle sei macchi-
ne semplici eroniane con il piano inclinato, al
centro in basso. Se a questa apologia della leva e
delle macchine semplici aggiungiamo le machine
tractorie illustrate dal patriarca dAquileia nel II
capitolo del X libro (ill. 4), dove si scorgono la
capra con le sue taglie, lulivella, le tenaglie sem-
plici e autoserranti, largano orizzontale, il verri-
cello e largano verticale, abbiamo una panora-
mica completa delle principali macchine usate
nei cantieri edili, sia per fabbriche ordinarie che
per le straordinarie.
Nella prassi quotidiana del cantiere architetti
e maestranze operavano infatti con mezzi molto
tradizionali anche quando si trattava di risolvere
problemi notevoli di trasporto e di messa in ope-
ra. Macchine tanto note e frequentate, come la
capra e il falcone, gli argani, i curri, le ulivelle, la
ruota calcatoria, le taglie e i paranchi, con il loro
funzionamento elementare, non avevano ragione
di essere descritte, n venivano ricordate nella
trattatistica coeva; ogni architetto, ingegnere e
praticante ne era perfettamente edotto e sapeva
organizzarle razionalmente sul cantiere. Se cer-
chiamo oggi di comprendere meglio il funziona-
mento di queste macchine dalle tavole che i vari
epigoni ed editori cinquecenteschi hanno dedica-
to alloscuro, anicografo Vitruvio, limpresa pu
risultare ardua: evidente infatti come anche i
maggiori machinatores abbiano illustrato il laconi-
co X libro del De architectura con tavole concet-
tuali e aristocratiche, umanisticamente allusive
pi che descrittive
16
. Basta vedere con quale sbri-
gativo verismo risolve lillustrazione della machi-
natio, Cesare Cesariano, che pure era giornal-
mente alle prese con queste stesse macchine nel
cantiere del duomo di Milano (ill. 5), o quanta
schematica astrazione adotta un grande umanista
e inventore di macchine come Fra Giocondo per
rappresentare la diffusissima gru elementare
chiamata antenna (ill. 6). Una macchina che pur
illustrata con grande eleganza e drammaticit
nelle tavole tardo cinquecentesche dellepitome
vitruviana redatta da Giovan Antonio Rusconi,
non acquista maggiore scientificit (ill. 7); men-
tre al contrario diviene il delizioso pretesto per
pure dimostrazioni matematiche nelle Parafrasi
sopra le Mecaniche di Aristotile dellingegnere-arti-
sta senese Oreste Vannocci Biringucci (ill. 8)
17
.
9. Piero di Cosimo, La costruzione
di un palazzo, olio su tavola, ca. 1515-20
(The John and Mable Ringling Museum,
Sarasota, Florida, Usa).





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Nessuno infatti doveva da queste tavole impa-
rare a costruire e rendere funzionante una gru co-
me questa: a ci era delegata la prassi di cantiere.
Limmagine serviva esclusivamente al lettore co-
me erudito promemoria visivo per meditare sulla
grandezza degli antichi, da emulare e superare, e
per suscitare, il caso di tavole come questa, stu-
pore e maraviglia, sentimenti strettamente le-
gati alla pratica di cantiere, che stava diventando
con sempre maggiore consapevolezza, soprattut-
to per le grandi opere pubbliche depoca manie-
rista e barocca, un cantiere-spettacolo.
La spalliera conservata nel museo di Saraso-
ta in Florida, attribuita a Piero di Cosimo, un olio
su tavola risalente al primo ventennio del Cin-
quecento, che mostra la costruzione di un palaz-
10. Giovanni Bettini da Fano, Il tempio
malatestiano di Rimini in costruzione, in
Basini Parmensis, Hesperis, libri XIII
(Bibliothque de lArsenal, Paris, cod. 630,
c. 126r).
zo (ill. 9), come ho gi avuto modo di sottoli-
neare
18
, la rappresentazione iconograficamente
pi fedele di un cantiere vitruviano, direttamente
riconducibile al tradizionale cantiere edile del Ri-
nascimento, e al contempo unerudita metafora
carica di significati simbolici. Unode allequili-
brio e alla funzione della leva, che doveva essere
chiaramente decodificabile dai machinatores fio-
rentini contemporanei, come ad esempio i fratel-
li Giuliano e Antonio da Sangallo, grandi amici
del pittore, che secondo alcuni sono ritratti nei
due personaggi a cavallo al centro del quadro
19
.
Intorno al doppio palazzo, che sta per essere ter-
minato, brulicano le attivit umane del cantiere
edile, che riproduce in tutte le sue fasi e in pro-
gressione logica, ordinata da sinistra a destra, il





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ciclo vitruviano della costruzione: approvvigiona-
mento e trasporto dei materiali da costruzione,
lavorazione e messa in opera.
Il trasporto dei materiali, legname, pietre,
marmi, calce, sabbia , dai luoghi di produzione
al cantiere avviene su vari tipi di carri, spinti a
mano o tirati da coppie di buoi. Carri pesanti bi-
lanciati, a due ruote e dalle alte stanghe tirate da
una coppia di buoi trasportano sullo sfondo del
palazzo (a destra) lunghi bordoni di legno, che
vengono scaricati e ammonticchiati, per essere
poi trasportarti a mano uno alla volta in bilico su
due stanghe da quattro uomini, come si vede al
centro del quadro. La grande sega a telaio fisso,
manovrata dai due falegnami in primo piano,
completa di garzone addetto alla raccolta della se-
gatura, antichissima e perfetta nella rappresentazio-
ne del suo funzionamento, sembra essere la de-
stinazione del quartetto. Dalla carretta a bilico, a
due ruote, a cui aggiogata una coppia di buoi,
(in primo piano a sinistra) adatta a carichi pesan-
ti, due operai e un garzone stanno scaricando un
ponderoso blocco di pietra. Con la carretta a ma-
no a due ruote si trasportavano invece carichi pi
leggeri per brevi distanze: la vediamo al centro
della tavola tirata da due uomini di spalle, assisti-
ti da un terzo, col prezioso carico della statua da
mettere in opera. Conclude la presentazione ge-
rarchica dei mezzi di trasporto lumile ma fon-
damentale barella, con la quale due manovali
portano la calce alla vasca di raccolta, sulla de-
stra, per lo spegnimento. La barella, insieme a
ceste e corbelli era il mezzo pi comune per
portar via la terra di scavo o far arrivare sulle im-
palcature malta e mattoni da murare. Di ceste e
grandi botti caricata anche la soma della caro-
vana di muli raggruppati sulla destra, adibiti al
trasporto di sabbia e acqua anche da grandi di-
stanze.
Le varie fasi di lavorazione, eseguite in loco
dalle diverse maestranze, sotto la guida di ca-
pimastri e architetti, con gli attrezzi specifici di
ciascun mestiere, sono anchesse presentate in
ordine, con logica conseguenza e grande preci-
sione secondo i ruoli gerarchici dei vari protago-
nisti del cantiere. Iniziando dallarchitetto, sulla
destra, impegnato con il compasso in mano ad
insegnare al giovane armato di squadra la manie-
ra per modellare il fusto di una colonna, prose-
guendo con i falegnami intenti a segare, trovia-
mo al centro in primo e secondo piano tagliapie-
tre e scalpellini, armati di sgorbie, martelline,
mazzuoli e scalpelli, che lavorano sia alla produ-
zione di pezzi ornamentali, capitelli e trabeazio-
ni, che delle statue; seguono a sinistra i carpen-
tieri che manovrano asce e tengono a portata di
mano squadre, compassi, trivelle e succhielli.
Per la fase di sollevamento protagonista di
questo cantiere ununica e grande macchina,
spettacolarmente raffigurata nel momento della
posa in opera di una delle statue. Si tratta della
classica gru vitruviana controventata, chiamata
antenna o stella, o meglio in questo caso falco-
ne, terminando con unasse traversale a T a dop-
pia mensola e saette, provvista di argano mosso
da ruota a timpano azionata da un calcante, che
cammina allesterno della ruota per sfruttare al
meglio il concetto di momento, e di robuste ta-
glie e paranchi che permettono linnalzamento
della scultura. La perizia tecnica con la quale
illustrato il funzionamento della gru si spinge fi-
no al dettaglio rappresentato dai quattro canapi
che le fanno da controventatura, i venti ap-
punto, di cui solo i due ancorati al terreno da so-
lidi cavicchi sono in tensione, mentre gli altri
sono allentati per il fatto che lantenna incli-
nata verso il palazzo per permettere il corretto
posizionamento della statua sul suo piedistallo.
Gru di questo tipo, anche nella versione che
sostituisce alla ruota con calcanti uno o pi ar-
gani posti a terra (come quella fatta montare
dallAlberti sul cantiere del suo tempio malate-
stiano a Rimini, riprodotta fin nei dettagli nel
noto disegno di Giovanni Bettini da Fano, roz-
11. Firenze, Palazzo da Uzzano in via
de Bardi, particolare del bugnato di
facciata con evidenti segni delluso della
tenaglia per la posa in opera dei conci.
12. Firenze, Palazzo Pitti, cortile
dellAmmannati, bassorilievo della Mula.





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zo solo nellapparenza
20
(ill. 10), permettevano
di sollevare e spostare i pesi secondo una verti-
cale passante allesterno dellasse dappoggio,
con un largo raggio di manovra; erano inoltre di
facile montaggio e potevano raggiungere altezze
considerevoli. In ci differivano dalle capre vi-
truviane, le capre serrate, costituite da tre ro-
buste assi legate insieme, provviste di verricello
e paranco (ill. 4), che potevano alzare i carichi
solo allinterno della base dappoggio, ma erano
particolarmente duttili, pi facilmente montabi-
li anche sulle impalcature di servizio e si poteva-
no spostare alle diverse altezze del ponteggio.
Entrambe, con il loro corredo di canapi, argani,
verricelli, carrucole, taglie, paranchi, ulivelle e
tenaglie autoserranti, che hanno lasciato pre-
cisi segni sui paramenti in bugnato dei palazzi
fiorentini (ill. 11) , erano molto usate nei can-
tieri ordinari e straordinari.
Per la costruzione di palazzo Strozzi, nel giu-
gno1490, vennero rizzati unantenna e un falco-
ne al canto dei Tornaquinci, la cui arditezza tec-
nologica attir sul grande cantiere pieno di pol-
vere, una folla di fiorentini incuriositi e incredu-
li
21
. Per le monumentali aggiunte cinquecente-
sche a palazzo Pitti, lAmmannati pot contare
sulla fedelissima Mula. Il docile animale, lega-
to allargano dellantenna, permise linnalza-
mento e la messa in opera dei marmi, del legna-
me e degli enormi blocchi di pietra forte, cavati
nelle vicine cave di Boboli, come recita la lapide
encomiastica e autocelebrativa dellabilit
macchinistica dellarchitetto con la sua effigie
marmorea murata a futura memoria allinterno
del cortile del palazzo
22
(ill. 12).
Altri antichissimi apparecchi di sollevamen-
to, che venivano usati soprattutto per il trasbor-
do dei carichi pesanti monoliti o grandi blocchi
di pietra dalle barche ai carri e viceversa, sia in
cava che al porto marittimo o fluviale darrivo,
erano i mazzacavalli (ill. 13), impiegati anche
in versione idrovora, per sollevare lacqua e co-
nosciuti dagli arabi col nome di shaduf. Erano
costituiti da un forte telaio di legname che so-
steneva unantella provvista di argano sulla qua-
le era fissata un lunga pertica bilicata che poteva
ruotare di 360 ed era manovrata a mano diret-
tamentamente da uno o pi uomini per mezzo
di corde, come possiamo vedere in questa ver-
sione semplificata ma piuttosto fedele disegnata
da Giorgio Vasari il Giovane
23
. Per lo sposta-
mento dei giganteschi blocchi di marmo che an-
dava a cavare sulle Alpi Apuane e faceva scende-
re per limbarco fino alla spiaggia di Carrara,
Michelangelo utilizzava unicamente questa ele-
mentare applicazione della leva, che riteneva es-
sere la sola gru in grado di offrirgli valide ga-
ranzie di sicurezza.
Nel trasporto di carichi eccezionali, quando i
carri non erano abbastanza forti e capienti o la
cattiva condizione delle strade rischiava di met-
terne a repentaglio lincolumit, si ricorreva alla
lizzatura. Il monolite, imbracato in forti telai
di legname, veniva fatto scorrere su curri; questi
erano cilindri di legno, a volte forati allestre-
mit per potervi introdurre sbarre di ferro con
cui far leva ed agevolare la rivoluzione del cur-
ro, quando non fossero stati sufficienti a pro-
durla il gran peso del pezzo, lingrassatura dei
curri stessi e la trazione a mezzo di canapi e ar-
gani, esercitato dalla forza umana o animale (ill.
14), come si vede in questa incisione un po en-
fatica ed evocativa di Jacques Besson, tratta dal
suo Theatrum instrumentorum et machinarum,
stampato a Lione nel 1578. Con la lizzatura, nel
1504, venne trasportato in piazza della Signoria
13. Giorgio Vasari il Giovane,
mazzacavallo (in alto) e argano
martiniano (Firenze, Biblioteca Nazionale
Centrale, ms. Magl. XVIII.2, c. 36r).
14. Jacques Besson, lizzatura, in Theatrum
instrumentorum et machinarum,
Lyon 1578.





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il colossale David di Michelangelo da machinato-
res illustri come Antonio da Sangallo il Vecchio,
Simone del Pollaiolo detto il Cronaca e Bernar-
do della Cecca. Condotto da quaranta uomini il
colosso di 19 tonnellate slitt su quattordici cur-
ri ingrassati per quattro giorni, penzolante sul
suo robusto castello di legname, per compiere
un tragitto di poco pi dun chilometro.
La macchina territoriale: lingegneria
per le grandi opere pubbliche
La presenza indifferenziata nei fogli dei trattati
darchitettura civile e militare quattro e cinque-
centeschi di studi per macchine da guerra,
idrauliche o da cantiere, ribadisce nei fatti las-
soluta padronanza pluridisciplinare delle tecni-
che ingegneristiche da parte degli artisti archi-
tetti rinascimentali che, secondo la definizione
di Cicerone, dovevano essere al contempo ar-
chitetti e machinatores e nei confronti delle disci-
pline architettoniche pensavano ed operavano
secondo i parametri classici del vitruviano homo
universalis.
In ambito pi specificamente fiorentino, lo
studio dellabbondante produzione trattatistica
locale, nel permettere un serrato confronto fra i
generi, ci d la conferma che la sperimentazio-
ne, seppur empirica, affiancata allo studio e al-
15. Cosimo Bartoli, Battipalo
(Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze,
ms. E.B.16.5. (II), c. 69v).
16. Bonaiuto Lorini, Strumento et
ordine facilissimo per portar dentro
la terra, da terrapienar le fortezze, in
Le fortificationi, Venezia, 1609, Libro V,
cap. X, p. 220.
linterpretazione delle fonti classiche, fu molto
vivace in questa citt tradizionalista e si applic,
soprattutto nel corso del Cinquecento, ai cantie-
ri delle fabbriche legate alle grandi opere pub-
bliche e alle infrastrutture urbane e territoriali.
Opere di difesa e di aggiornamento tecnolo-
gico erano rese urgenti dalla precariet degli
equilibri politici e per affrontare questi problemi
con le armi scientifiche della Matematica, stava
prendendo corpo una nuova figura dellingegne-
re, al contempo militare e idraulico, che riusciva
ad imporrre alla committenza i suoi preziosi ser-
vigi in modo direttamente proporzionale alla sua
capacit di aggiornamento tecnico scientifico e
di adattamento della prassi tradizionale alle nuo-
ve esigenze tecnologiche. Fu infatti nel campo
delle discipline strettamente congiunte dellinge-
gneria militare e dellidraulica, che pi che altro-
ve si sentirono gli effetti benefici degli scambi di
tecnici e del travaso di conoscenze matematiche
e meccaniche tra Firenze e gli altri grandi centri
di cultura, sia italiani come Venezia, la prima in
assoluto, Milano, Ferrara, Urbino e naturalmen-
te Roma, che stranieri, tedeschi innanzi tutto,
poi fiamminghi e francesi.
La trasformazione dei perimetri delle mura
urbane seguita allintroduzione rivoluzionaria
del fronte bastionato, incise massicciamente su





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forma, materiali, tecnica costruttiva e organizza-
zione del cantiere militare
24
, ma ebbe un ruolo
molto marginale sullutilizzo negli stessi cantieri
delle macchine. Labbondanza di mano dopera
coatta, ottenuta attraverso il sistema delle co-
mandate e il lavoro degli schiavi, permetteva in-
fatti di compiere lavori ciclopici, comerano i
grandi spostamenti di terra e le chilometriche
opere murarie tipiche di queste architetture, in-
troducendo nel cantiere pochissime macchine
elementari. Queste si limitavano a piccole burbe-
re, mazzaranghe per costipare la terra, manovra-
te a mano da uno o due uomini, e solo alloccor-
renza battipali per fondazioni, come quello dota-
to di sgancio automatico disegnato da Cosimo
Bartoli, utilizzabile anche per fondare in acqua
(ill. 15), oltre a pompe aspiranti e prementi per
liberare gli scavi dalle acque. Se in alcuni sontuo-
si trattati di architettura militare si trovano in-
venzioni pi o meno complesse per meccanizza-
re i cantieri delle fortificazioni, come il noto stru-
mento per portar dentro la terra da terrapienar
le fortezze pubblicato da Bonaiuto Lorini, un
ingegnere fiorentino emigrato a Venezia
25
(ill.
16), questi ed altri macchinosi ingegni, che si
proponevano per cantieri aperti in tempo di pa-
ce, ben diversi da quelli usuali, allestiti in gran
fretta sotto lassillo della guerra immanente o in
atto, queste macchine inusitate, testimonianza
dello sperimentalismo e dellempiria del tempo,
erano progettate pi per impressionare favore-
volmente i potenziali committenti, che per esse-
re effettivamente messe in opera nei cantieri di
quelle grandi macchine belliche che furono le
mura urbiche e le nuove fortezze.
Anche nei cantieri dei lavori pubblici e in
quelli legati alla magnificenza della corte, aperti
in tempo di pace, il massiccio ricorso al lavoro
coatto e la naturale abbondanza di lavoratori,
spesso impiegati dal principe nelle grandi opere
da lui ordinate, per sfuggire la fame e i disordini
dei periodi di carestia, permettevano di intra-
prendere imprese colossali con mezzi minimi e
di limitare luso delle macchine allo stretto indi-
spensabile, mentre sul piano della sperimetazio-
ne e della produzione scientifico-letteraria il li-
vello si manteneva particolarmente alto e molto
stimolante. Nelle opere di bonifica, nella costru-
zione di acquedotti, nello scavo di canalizzazio-
ni, nella regimentazione dei fiumi, o nella co-
struzione di strade, luso delle macchine era al-
quanto parco e limitato a quelle del cantiere tra-
dizionale, con laggiunta, ma solo in casi partico-
lari e soprattutto per la costruzione di porti e di
ponti, di cavafango e nettacanali, di macchine
idrovore e ingegni per sollevare lacqua, con forti
connessioni con il settore attiguo delleconomia
rurale, in particolare con i mulini, e con quello
importantissimo dellindustria mineraria
26
.
Questa cultura ingegneristica dalle forti con-
notazioni umanistiche, nata allombra della cu-
pola, coltivata dalla prassi di cantiere e dalla fre-
quentazione di testi classici e di moderni exem-
pla, messa incessantemente in circolo apr la
strada ai grandi ingegneri idraulici del Cinque-
cento. Artisti come Tribolo, Buontalenti, Am-
mannati, i Parigi che riscoprirono i testi antichi
di Erone e Frontino per applicarli alle ornatissi-
me fontane pubbliche e agli strabilianti giuochi
dacqua dei giardini e dei parchi granducali da
loro progettati. Questo in una citt dove lacqua
era sempre stata misurata con grande parsimo-
nia e dove, per coerenza, la sua pi antica rap-
presentazione in pianta, era contraddistinta da
una veristica scena di cantiere legata alla regi-
mentazione del fiume (ill. 17).
17. Francesco di Domenico Rosselli (attr.),
Firenze, veduta detta della catena,
ca. 1471-82, xilogr. In primo piano
sullArno, alla Pescaia di Santa Rosa,
montato una castello di legname dove
in azione un battipalo.





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1. G. Del Rosso, Edificatoria. Della neces-
sit di riformare largano comune per uso
delle fabbriche e dei vantaggi che per essa
riforma ne risultano, estr. da Giornale dei
letterati, Pisa 1822, in Biblioteca Ric-
cardiana, Firenze, Misc. 487.3, pp. 1-12.
2. Vedi C. Cresti, Giuseppe Del Rosso: ar-
chitetto fiorentino fra rivoluzione e restaura-
zione, in Dalla libreriola dellarchitetto fio-
rentino Giuseppe Del Rosso. Libri, mano-
scritti, disegni, (cat. mostra), Firenze,
1983, pp. 13-15.
3. Del Rosso, Edificatoria..., cit. [cfr. nota
1], p. 4.
4. Per lepoca rinascimentale largomen-
to stato trattato egregiamente da R. A.
Goldthwaite, La costruzione della Firenze
rinascimentale, Bologna. 1984 (ed. orig.:
The Building of Renaissance Florence. An
Economic and Social History, Baltimore,
1980).
5. Vedi in particolare i cataloghi delle
fondamentali mostre curate da P. Gal-
luzzi: Prima di Leonardo. Cultura delle
macchine a Siena nel Rinascimento, (Siena
1991), Milano 1991; Gli ingegneri del Ri-
nascimento da Brunelleschi a Leonardo da
Vinci, (Firenze 1996-97), Firenze 1996; e
precedentemente la mostra monografica
su Lonard de Vinci, ingnieur et architec-
te, (Muse des Beaux Arts, Montral
1987), Montral 1987; inoltre (scusan-
domi fin dora per le numerose ma ine-
vitabili autocitazioni): D. Lamberini,
Costruzione e cantiere: le macchine, in Ri-
nascimento da Brunelleschi a Michelangelo.
La rappresentazione dellarchitettura, (cat.
mostra, Venezia, 1994), a cura di H.
Millon, V. Magnago Lampugnani, Mila-
no 1994, pp. 478-490; ead., Macchine da
cantiere nella Firenze del primo 500: lere-
dit brunelleschiana tra imitatio, re-in-
venzioni e continuit tecnica, in M. Dezzi
Bardeschi, La difficile eredit. Architettu-
ra a Firenze dalla Repubblica allassedio,
Firenze 1994, pp. 106-121; ead., Il can-
tiere e larchitetto: cultura tecnica e utilizzo
delle macchine nellarchitettura del Rinasci-
mento, in Quaderni di Palazzo Grassi,
in corso di stampa.
6. Si rimanda al recente L. Ippolito, C.
Peroni, La cupola di Santa Maria del Fio-
re, Roma 1997, con ampia bibliografia.
7. Sulleffettiva presenza in cantiere dei
modelli di macchine, costruiti da Brunel-
leschi con i materiali pi disparati, vedi
ibidem, pp. 15 e sgg., con rimandi biblio-
grafici. Sulla consuetudine di disegnare
le macchine in assonometria cavaliera
traendole dai modelli, vedi D. Lamberi-
ni, Machines in perspective: Technical
Drawings in Unpublished Treatises and No-
rebooks of the Italian Renaissance, in The
Treatise on Perspective: Published and Un-
published, National Gallery of Art, Wa-
shington, Symposium, 7-8 November
1997, in corso di stampa.
8. Vedi in part. i cataloghi Prima di Leo-
nardo, cit., e Gli ingegneri del Rinascimen-
to, cit. e in gen. la bibl. cit. alla nota 5, cui
si rimanda.
9. Ibidem, inoltre D. Lamberini, La fortu-
na delle macchine senesi nel Cinquecento, in
Prima di Leonardo..., cit. [cfr. nota 5], pp.
135-146; e Ead., Schede n. 99, 102, 106,
in Rinascimento da Brunelleschi a Miche-
langelo..., cit. [cfr. nota 5], pp. 486-490.
10. Ibidem, scheda n. 99, p. 486, e Lam-
berini, Macchine da cantiere nella Firenze
del primo 500..., cit. [cfr. nota 5], pp.
108-113.
11. Cfr. Lamberini, La fortuna delle mac-
chine senesi nel Cinquecento, cit., [cfr. nota
9] e ead. Machines in perspective..., cit.
[cfr. nota 7].
12. Nel prologo del De re aedificatoria scri-
ve lAlberti: Architetto chiamer colui
che con metodo sicuro e perfetto sappia
progettare razionalmente e realizzare
praticamente, attraverso lo spostamento
dei pesi e mediante la congiunzione e
riunione dei corpi, opere che nel modo
migliore si adattino ai pi importanti bi-
sogni delluomo, vedi L. B. Alberti,
Larchitettura, a cura di G. Orlandi, P.
Portoghesi, Milano, 1966, I, p. 6. Il testo
della lapide commemorativa di Brunelle-
schi, posta lungo la navata destra di San-
ta Maria del Fiore a Firenze su testo di
Carlo Marsuppini recita: D.S./ QUAN-
TUM PHILIPPUS ARCHITECTUS AR-
TE DEDALEA VALVERIT CUM
HUIUS CELEBERRIMI/ TEMPLI MI-
RA TESTUDO TUM PLURES MACHI-
NAE/ DIVINO INGENIO ABEO ADIN-
VENTAE DOCUMEN/ TO ESSE POS-
SUNT QUAPROPTER OB EXIMIAS
SUI/ ANIMI DOTES SINGULARES
VIRTUTES XV KL./ MAIAS ANNO M
CCCC XLVI EIUS B M CORPUS IN
HAC/ HUMO SUPPOSITA GRATA PA-
TRIA/ SEPPELLIRI IUSSIT.
13. Ibidem, libro VI, capitolo VIII.
14. M. Vitruvio, I dieci libri di architettura
tradotti e commentati da Mons. Daniel Bar-
baro, Venetia 1567, libro X, proemio, pp.
440-441; vedine led. a cura di M. Tafuri,
M. Morresi, Milano 1987.
15. M. Vitruvio, I dieci libri di architettu-
ra, cit. [cfr. nota 14], p. 453; vedi anche
V. Fontana, Il Vitruvio del 1556: Barba-
ro, Palladio, Marcolini, in Trattati scientifi-
ci veneti fra il XV e il XVI secolo, Vicenza
1985, pp. 59-60.
16. Cfr. il fondamentale P.N. Pagliara,
Vitruvio da testo a canone, in Storia dellar-
te italiana, III, Memoria dellantico nellar-
te italiana, a cura di S. Settis, Torino,
1986, pp. 5-85.
17. Si veda rispettivamente: [C. Cesa-
riano], Di Lucio Vitruvio Pollione de Ar-
chitectura Libri Dece traducti de latino in
Vulgare affigurati, Commentati & con mi-
rando ordine insigniti, (Como 1521), p.
CLXV; [Fra Giovanni Giocondo], M.
Vitruvius per Iocundum solito castigator
factus, cum figuris et tabula, ut iam legi et
intellegi possit, (Venezia 1511), p. 96v.; A.
Rusconi, Della architectura di Gio Anto-
nio Rusconi, Con Centosessanta Figure Dis-
segnate dal Medesimo, Secondo i Precetti di
Vitruvio, Libri dieci, Venetia MDXC, p.
135; O. Vannocci Biringucci, Parafrasi
di Monsignor Alessandro Piccolominiso-
pra le Meccaniche di Aristotele, tradotta da
O.V.B., gentiluomo senese, Roma 1582, p.
72.
18. Lamberini, scheda n. 86, in Rinasci-
mento da Brunelleschi a Michelangelo..., cit.
[cfr. nota 5], pp. 479-480; e ead., Macchi-
ne da cantiere nella Firenze del primo
500..., cit. [cfr. nota 5], pp. 120-121.
19. P. Tomoroy, Catalogue of the Italian
Paintings before 1800, The John and Ma-
ble Ringling Museum of Art, Sarasota,
Fl., 1976, p. 14.
20. Giovanni Bettini da Fano, Il tempio
malatestiano di Rimini in costruzione, in
Basini Parmensis, Hesperis, libri XIII, Pa-
ris, Bibliothque de lArsenal; vedi D.
Lamberini, scheda 98, in Rinascimento da
Brunelleschi a Michelangelo, cit. [cfr. nota
5], pp. 485-486.
21. L. Landucci, Diario fiorentino dal
1450 al 1516, Firenze, 1883, p. 59: E a
d 2 di giugno 1490 si rizz lantenna e l
falcone da tirare su le pietre, pure qui in
sul canto [dei Tornaquinci].
22. La dedica in latino del celebre bas-
sorilievo della Mula di palazzo Pitti re-
cita: Lecticam, Lapides et marmora, Li-
gna, Columna / Vexit, conduxit, traxit et
Ista tulit; vedi D. Lamberini, Bartolo-
meo Ammannati: tecniche ingegneristiche e
macchine da cantiere, in Bartolomeo Am-
mannati, scultore e architetto 1511-1592,
a cura di N. Rosselli Del Turco, F. Sal-
vi, Firenze 1995, pp. 349-356:351.
23. Questa versione del mazzacavallo di
Giorgio Vasari in Giovane, in Bibliote-
ca Nazionale Centrale, Firenze, ms.
Magl. XVIII.2, c. 36r., una copia dal
Codicetto vaticano di Francesco di Gior-
gio Martini, vedi per i dettagli sullattri-
buzione e la datazione, Lamberini,
scheda I.k.9, in Prima di Leonardo..., cit.
[cfr. nota 5], p. 238.
24. Cfr. D. Lamberini, Il cantiere delle for-
tificazioni nella Toscana del Cinquecento, in
Les chantiers de la Renaissance. Actes du
Colloque tenu Tours en 1983-84, a cura
di J. Guillaume, Paris 1991, pp. 227-235.
25. Buonaiuto Lorini, Delle fortificationi
di B. L., nobile fiorentino, nuovamente ri-
stampatecon laggiunta del sesto libro,
Venetia 1609; una prima versione in
cinque libri era uscita a Venezia nel
1596; diverse versioni di questa macchi-
na, con carrelli, o catene di ceste e cas-
sette furono proposte da Agostino Ra-
melli nel suo trattato, Le diverse e artifi-
ciose macchine, pubblicato a Parigi nel
1588, che non a caso uno dei prodotti
pi cortigiani e visionari del sec. XVI.
26. Si veda in part. la splendida serie di
mulini, pistrini e altre macchine
idrauliche legate allagricoltura, dise-
gnate da un anonimo disegnatore-inci-
sore fiammingo e illustrate nel ms. di
Bernardo Puccini, Palatino 1077 della
Biblioteca Nazionale Centrale di Firen-
ze, redatto tra il 1565-75, cfr. D. Lam-
berini, Tradizione tecnica e plagio nei di-
segni della machinatio vitruviana di ma-
trice fiorentina, in Documentary Culture.
Florence and Rome from Grand-Duke Fer-
dinand I to Pope Alexander VII, ed. E.
Cropper, G. Perini, F. Solinas, Bologna
1992, pp. 141-163; e il sesto libro del
trattato De re metallica libri XII, Basilea,
1561 del tedesco Giorgio Agricola, ri-
pubblicato in ed. it. sempre a Basilea nel
1563; vedine led. a cura di P. Mancini,
E. Mesini, (anast.) Roma 1959.





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