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IL CONCILIO E IL SUO PARADIGMA ESTERNO

di Pietro De Marco


Bernard Dumont, direttore della rivista francese "Catholica", l'ha di recente ribadito. Tutti i concili hanno
sperimentato il gioco delle pressioni esterne da parte di forze politiche, di gruppi dissidenti, eccetera.
Tuttavia il Vaticano II, anche su questo terreno, appare come un concilio speciale, unico.

Si svolto nel momento in cui i mezzi di comunicazione di massa varcavano una soglia nuova, in cui l'arte
della propaganda si dotava di nuovi strumenti tecnici. Lungi dal distanziarsi, gli attori di questo concilio
curia romana, vescovi, teologi e per primo Giovanni XXIII sono entrati in questo gioco. Nel quale settori di
punta della cultura laica dominante, sia "liberal" che marxista, si affiancavano a correnti interne alla Chiesa di
tipo neomodernista.

Gi durante il concilio, il centro d'informazione dell'episcopato olandese si trasformato in gruppo di
pressione, con il nome di "I-Doc", diretto da Gary McEoin e Leo Alting von Geusau. Successivamente, la
rivista internazionale di teologia "Concilium" ha funzionato come base di una rete d'influenza estesa a tutta
la Chiesa. L'universit di Lovanio ha fatto da centro motore di quella che sarebbe diventata la teologia della
liberazione. Insomma, una rete di "foyer" ideologici e di centri di irraggiamento ecclesiali ha imprigionato la
Chiesa anche dopo il concilio, per almeno un quindicennio.

Tale imprigionamento come una gabbia dorata e per molti un incantesimo irresistibile si in seguito
indebolito. Ma solo col pontificato di Benedetto XVI, rotta questa gabbia, si riaperto il dibattito
sullessenziale del concilio, su testi ed eventi finalmente considerati in se stessi e non attraverso la loro
costruzione mediatica.


IL CONCILIO CONCEPITO DA FUORI


In effetti, la presa dei media e dellopinione pubblica sul concilio Vaticano II nellintero arco del suo
svolgimento, compresi i mesi di attesa, non solo un dato che nessuna ricostruzione storica pu
sottovalutare, come documenta il recentissimo volume di Federico Ruozzi, "Il concilio in diretta. Il Vaticano II
e la televisione", edito dal Mulino. anche una componente non eludibile della sua interpretazione.

Fu cos fin da subito. Il "concilio oltre il concilio", fuori dellaula e dei palazzi vaticani e romani dove vivevano
e operavano i padri conciliari, venne esaltato dall'opinione progressista come la prova della sua immediata
consentaneit al mondo. E questo giudizio si solidificato nella storiografia. Anche la ricostruzione fatta da
Alberto Melloni, in un libro del 2000, dellinteresse rivolto da ambasciate e cancellerie di tutto il mondo agli
eventi romani dell'epoca insiste su questa appartenenza, e felice subalternit, del concilio alla storia.

Nulla di nuovo, se nel celebrare questa consentaneit con la storia non fosse implicito un paradosso
rivelatore. Il rilievo del rapporto tra il concilio e la storia risiederebbe infatti, per molti giudizi di allora e di
oggi, nellinfluenza in s positiva della storia e del mondo sul concilio, non viceversa.

Non va dimenticato che, per una serie di equivoci teoretici nascosti in fortunate formule del tipo
lautonomia delle realt terrene, il mondo, pi propriamente il "mondo storico", negli anni Sessanta, fu
considerato portatore, in s e per s, di valore e di verit.

Si sosteneva che il mondo penetrava e cooperava in un concilio "aperto", nonostante le resistenze di settori
della Chiesa e dei partiti di curia. Il mondo era visto agire dalla parte dello Spirito.

E questa osmosi con il mondo diventava criterio dell'interpretazione del concilio, divulgata con autorit,
anche in anticipo e indipendentemente rispetto alle risoluzioni dell'assise dei vescovi.

Nei quattro anni del concilio, tra il 1962 e il 1965, si dunque creato un dislivello, forse uno iato, tra le
intenzioni e i contenuti dei diversi documenti conciliari, da un lato, e la loro anticipazione, descrizione e
recezione pubblica dall'altro.

Nella lettura pubblica del concilio operarono congiuntamente:

a) l'ordinaria selezione giornalistica dei fatti, ossia di ci che "fa notizia",
b) la costellazione dei "vaticanisti" cattolici, spesso prestigiosi,
c) il lavoro capillare dei centri di diffusione anzitutto intraecclesali e, di concerto, extraecclesiali.

Attraverso lopera del giornalismo religioso ogni notizia del concilio si colora e si qualifica. Questo
giornalismo specializzato finisce col dettare a tutti gli osservatori le regole di individuazione e costruzione di
ci che conta nel e del concilio.

Si costruisce cos un paradigma conciliare esterno che si radica nel mondo dei media e si consolida a livello
man mano pi alto di riflessione: nellarticolo, nella conferenza, nel saggio di rivista specialistica, nel libro.

Questo paradigma, prodotto per il mondo e per effetto del mondo, diviene un vero e proprio canone
ricostruttivo e interpretativo del concilio. E ognuno dei "foyer" internazionali, spesso in concorrenza tra loro,
tender a darne una propria versione, sempre per entro un fronte comune.

Si suggerita, per il rapporto tra concilio e quadro storico, lanalogia delle onde concentriche che, come in
uno specchio dacqua, dal concilio, unica sorgente, si allargano verso il mondo e dal mondo, non solo
cattolico, ritornano al concilio come riflessi o echi del mondo.

Ma le sorgenti che producono movimento sono due opposte; ve n' anche una esterna che tenta di
penetrare con i propri impulsi fino ai padri. E non tutto si spegne sui margini perturbati del concilio.

Questo comporta, fuori di metafora, lesistenza di una storia esogena del concilio, accanto alla sua storia
interna e, in particolar modo, di cause esogene nella definizione della sua immagine e del suo "spirito".


LO SPIRITO CONTRO LA LETTERA


Anche quando nel dopoconcilio molti di quei "foyer" si estinguono o si trasformano, il paradigma esterno
perdura con vita propria e si afferma nella letteratura teologica come nella divulgazione, nella pastorale
come nelle tesi di dottorato delle facolt teologiche.

Esso converge sostanzialmente con ci che viene invocato, negli ambienti militanti, come spirito del
Concilio.

Novit, discontinuit, futuro sono i significati prevalenti dello "spirito del concilio". La coincidenza col
paradigma esterno rivelatrice. Come la nozione di "spirito" evoca la distinzione-opposizione con la
"lettera", cos il paradigma esterno sceglie ci che gli serve entro la "lettera" dei documenti conciliari.
canone a se stesso. Si perpetua come una narrazione funzionale alla "rivoluzione" conciliare.

Resta fondamentale, per riconoscere questa prassi, la categoria di "gnosi politica" elaborata da Eric Voegelin
a partire dalluso selettivo delle Sacre Scritture nel movimento puritano, ma comune ad ogni cultura
rivoluzionaria come ad ogni fondamentalismo nel rapporto con i testi fondanti.

Rivelatrice anche la terminologia che in saggi, convegni, grandi opere, caratterizza il paradigma generato
dai media esterni al concilio. la terminologia del discernere, del separare dal resto le "parti trainanti" o
"portanti" del concilio, sia individuate nei documenti, opportunamente vagliati e purificati dai
"compromessi", sia postulate come l'intenzione "vera" dei padri.

Il papato, alcuni episcopati, alcuni circoli teologici ed ecclesiastici si sono sempre tenuti fuori da questa
gabbia. Roma lha contrastata, non senza difficolt. Ma il paradigma esterno sia pure in una versione
indebolita o, per dirla con Zygmunt Bauman, allo stato liquido condiziona ancora, dopo cinquantanni, la
recezione diffusa del Vaticano II.

Una delle costruzioni del paradigma esterno pi sistematiche e longeve, forse perch pi organizzate in
termini di autopromozione, quella di Hans Kng.


UN CASO EMBLEMATICO: LA "SCUOLA DI BOLOGNA"


Tra i centri che operano attorno al concilio, prima, durante e dopo il suo svolgimento, uno dei pi attivi e
influenti lIstituto per le Scienze Religiose di Bologna, inizialmente denominato Centro di Documentazione.

Il successo di questo istituto dipeso dallaver offerto una forma dotta al paradigma esterno sopra descritto,
tentando di mostrare, con piena convinzione e conforto di altre intelligenze, che tale paradigma in realt
fondato nella storia interna e nei testi del concilio stesso.

Il coronamento di tale impegno sono stati i cinque volumi della "Storia del Concilio Vaticano II", pubblicata in
prima edizione tra il 1995 e il 2001, tradotta in pi lingue e divenuta opera di base in tutto il mondo.

interessante rileggere come l'istituto bolognese arrivato a tale sbocco.

Negli anni Sessanta i suoi studi facevano asse sul concilio di Trento, la riforma protestante, la riforma
cattolica. Il nume tutelare era il tedesco Hubert Jedin, ma anche un grande storico laico italiano, Delio
Cantimori. Il monastero di Monteveglio, attorno a don Giuseppe Dossetti, contribuiva alla riflessione
dellistituto, e vi era osmosi tra le ricerche storiche e gli studi patristici e storico-liturgici. La costellazione
italiana ed europea di amici e colleghi era costituita da storici della teologia e della Chiesa, da esegeti, da
patrologi. La guida dell'istituto, Giuseppe Alberigo, aveva l'ambizione di produrre ricerche di livello
immediatamente internazionale, secondo le richieste che egli riteneva venissero alle scienze religiose dalla
Chiesa universale.

Il disegno era di opporre la formula dell'istituto a quella delle facolt ecclesiastiche, anzitutto quelle
teologiche romane, con una competizione in programmi di formazione, in dotazione di libri, in temi e metodi
di ricerca. La convinzione era di non essere inferiori a nessuno dei prestigiosi luoghi francesi, belgi, olandesi,
tedeschi ove si faceva teologia. A Bologna la teologia era concepita come "sapere storico", praticando il
quale ci si sentiva pi avanti delle facolt teologiche, con i loro insegnamenti manualistici e dottrinali.

Il cemento ideale del gruppo era certamente la riforma della Chiesa, ma con distacco rispetto alle forme
militanti del dissenso cattolico degli anni Sessanta e Settanta. La "Chiesa dei poveri" propugnata in concilio
dal cardinale Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna, doveva nascere dalla sua riforma "in capite et
membris", non dall'agitazione sociale e ideologica dei gruppi.

Il prestigio dellistituto derivava, dunque, da un lavoro condotto in un solco "ortodosso" e destinato a un
esteso movimento e sentimento conciliare presente anche nelle gerarchie della Chiesa.

Perch allora questa espressione dotta, tra le pi agguerrite ma anche cauta (almeno fino agli anni Novanta),
dello "spirito del concilio" appare oggi cos eccentrica rispetto alla ricerca del paradigma conciliare originario
aperta nella Chiesa da Benedetto XVI?

Offre forse una risposta a questa domanda il decadere, di decennio in decennio, dei programmi di ricerca
dell'istituto, da quelli "tridentini" degli anni Sessanta a quelli attuali, dopo aver bloccato per lungo tempo il
lavoro sulla "Storia del Concilio Vaticano II", preziosa ma tutta predefinita nei risultati. Questa "Storia"
infatti il monumento scientifico al paradigma conciliare esterno, gi costruito da tempo.

Ma oggi quel paradigma in piena involuzione. palese la sua banalizzazione e liquidificazione, tra ceti
"teologici" improvvisati. E i membri odierni dell'istituto bolognese, pi polemici e antiromani, pi
antidogmatici e spiritualisti di quanto non fosse la generazione dei maestri, sembrano non sapersi opporre a
questa decadenza oggettiva.

Oggi il lavoro storiografico dellistituto resta utile come ogni lavoro accademico, ma non pi organico a
niente di solido. Serve, involontariamente, all'animazione a distanza di un clero e di un laicato che non
leggono e non saprebbero come usare il lavoro prodotto dallistituto. Simile sorte pare toccare anche ad altri
centri europei.


OLTRE IL PARADIGMA ESTERNO


La via d'uscita mi pare obbligata. Lermeneutica del concilio deve mostrarsi capace di una svolta di metodo,
di una rigorosa messa tra parentesi del paradigma esterno, tipico prodotto di un fronte di intellettuali teologi
venato di utopia rivoluzionaria e permeabile al modernismo latente nella cultura religiosa europea. Una
mescolanza che ha generato una crisi tremenda nella Chiesa degli anni Settanta e successivi.

L'equilibrio conciliare vero, quello "interno", ha obbedito sempre, in ultima istanza, ad una logica di
composizione tra i fondamenti, cio la Tradizione, e le regole di una loro trascrizione comunicativa per
"l'uomo d'oggi". I risultati furono di diversa portata, ma voluti in coscienza dai vescovi del mondo.

Questa adattazione dei fondamenti alle attese di una recezione produsse testi spesso duramente negoziati,
ma quei testi e l'intenzione dell'intero corpo conciliare, assieme al papa, costituiscono il terreno e loggetto
dellermeneutica del Vaticano II. Non ci che unintelligencija ambiziosa strapp dalle mani dei vescovi per
esibirne i brandelli nella vetrina della modernit.

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