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E. Bianchi, Non siamo migliori. lA vita religiosa 11ef!a chiesa, tra gli uomil1i
Piccola sorella Annie di Ges, Char!es de Foucau!d
A. Chatelard, Charles de Foucau!d. Ve1s0 Tamammset
AA.Vv., Cbar!es de Foucau!d. L'eloquenza di una vita secondo l'evangelo
C. Falchini, Volto del monaco, volto dell'uomo
L."A. Lassus, Elogio de! nascondimento
J. Ledercq, San Bemardo e lo spirito cisterceiiSe
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A. Louf, Sotto la guida de !lo Spirito
A. Louf, Lo Spirito prega in noi
A. Louf, La vita spirituale
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Th. Matura, Fmncesco, maestro nello Spiri m
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Sorella Maria di Campello, G. M. Vannucci, Il catlto de!!'a!!odo!a. Lettere scelte
F. Varillon, L'umi!t2J di Dio
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AUTORE: Maria Ignazia Angelini, badessa di Viboldone
TITOLO: Niente senza voce
SOTTOTITOLO: lA vita monastica oggi
COLLANA: Spiritualit occidentale
FORMATO: 20 cm
PAGINE: 288
PREFAZIONE Enzo Bianchi, priore di Base
IN COPERTINA: M. Pavesi Mazzoni, L'a11ge!o e f f t ~ remnezione, Centro di Etica vivente,
Citt della Pieve, Perugia
2007 EDIZIONI QIQAJON
COMUNIT DI BOSE
rJ887 MAGNANO (BI)
Td. 015.679264 Fax oi5.679290
'
MARIA IGNAZIA ANGELINI
BADESSA DI VIBOLDONE
NIENTE
E SENZA VOCE
La vita monastica oggi
EDIZIONI QIQAJON
COMUNIT DI BOSE
PREFAZIONE
Quando Benedetto nella sua Regola per i monaci - che, come
ben sappiamo, ha sempre normato e norma anche monasteri di mo-
nache chiede che l'abate (la badessa) "sia istruito nella legge di
Dio" e dotato di "dottrina di sapienza" (RB 64, 9 2) non mosso
dall'auspicio che la comunit sia retta dal pi intellettuale o dal
pi erudito dei presenti in monastero, ma indica con chiarezza da
dove l'abate debba "attingere il suo insegnamento" (RB 64, 9) per
poter "preferire sempre la misericordia alla giustizia" (RB 64, ro).
Misericordia per leggere il cuore dei fratelli e delle sorelle, miseri-
cordia per aprirsi ai miseri che bussano alle porte del monastero,
misericordia per normare le relazioni del monastero con la realt
che lo circonda. Una misericordia, appunto, che nasce e s nutre
dell'amore per la Parola, che alla Parola riconduce le parole d ogni
giorno, che della Parola fa la bussola per affrontare i cambiamenti
che s presentano nella quotidianit dell'esistenza e nei caratteri e le
sensibilit dei membri della comunit.
questo amore per la Scrittura, fonte di uno sguardo misericor-
dioso, che ritroviamo nelle pagine di madre Maria Ignazia Angel-
n che abbiamo a lungo desiderato poter raccogliere e offrire a un
pubblico pi vasto. Chi ha letto Il monaco e la parabola- l'itine-
rario attorno alla lectio divina che madre Maria Ignazia ha rico-
struito negli anni precedenti il suo ministero a servizio della comu-
nit, prima come maestra delle novizie e poi come badessa non
si stupir di trovare come titolo di ogni capitolo un versetto della
Scrittura: non si tratta di un artificio stilistico, ma al contrario del-
5
la consapevolezza che, come ricorda Benedetto, non c' pagina o
parola ispirata della sacra Saittura che non sia norma sicura di con-
dotta per la vita monastica e cristiana (cf RB 7},3) e che, specular-
mente, non c' sfida o interrogativo posto dagli eventi e dai com-
pmtamenti quotidiani che non possa essere letto alla luce della pa-
rola di Dio.
Vi costante movimento in questa raccolta di testi, un incessan-
te andirivieni dal monastero al mondo, dal corpo comunitario al-
l'ospite accolto, dal tempo e lo spazio quotidiano alla lettura dei
segni dei tempi e degli spazi ecclesiali e civili d ampio respiro.
la voce leggera e insieme ferma che si leva da un monastero ai bordi
della citt, addossato a un deserto ideale dal quale si sente pulsare il
cuore di una metropoli, lo sguardo d'amore che una comunit ai
margini della chiesa - come proprio di ogni presenza "gratuita",
non legata a una diaconia specifica - posa sul cuore stesso della
compagine ecclesiale, l'appello che invoca e offre misericordia,
chiedendo di distogliere lo sguardo da se stessi per fissarlo sulle real-
t invisibili di cui Cristo si fatto narrazione.
In questo ministero di solidariet arante, di contemplazione che
si sforza di leggere ogni cosa con gli occhi di Dio, il monachesimo
femminile ha un dono particolare: privo com' di qualsiasi prospet-
tiva clericale o di sbocchi pastorali esterni al monastero, esso ci ri-
manda alle motivazioni originarie e fondanti che hanno attratto e
ancora oggi possono attrarre donne di ogni condizione sociale e cul-
tura a una vita comune nel celibato. o s ~ quello che era chiaro per
gli aspiranti monaci dei primi secoli che, cio, si entrava a far
parte di una comunit semplicemente per cercare di seguire il Signo-
re Ges e il suo evangelo in quella determinata forma vitae, senza
minimamente pensare all'eventualit d una successiva ordinazione
presbiterale- e che oggi non risulta cos facile spiegare ai pochi gio-
vani che ancora si accostano ai monasteri, era e rimane tuttora di
evidenza cristallina per le donne.
Non solo, ma questa consapevolezza, !ungi dal costituire un'in-
giustizia maschilista, libera le pi autentiche risorse che la vita ma-
6
nastica offre a quanti uomini o donne - vi si accostano ritenen-
do/a la loro verit pi intima. Un monachesimo "laico", non cle-
ricale, infatti, non solo sgombra gli orizzonti d alcuni quelli che
s ritengono o sono i pi dotati dalla agognata o temuta prospetti-
va t:pscopale, ma anche facilita la piena comunione tra tutti i mem-
bri della comunit, ponendo tutti sullo stesso piano fraterno, in ob-
bedienza alla parola del Signore: "Voi siete tutti fratelli" (Mt 2J,8).
Un ambito emblematico di come questo approccio alla vita mo-
nastica nella "gratuit" possa aiutare a ritrovare il senso originario
di una determinata prassi quello della stabilitas: al momento del-
la professione il monaco o la monaca si impegnano a fissare per
sempre la propria vita non solo nella condizione del celibato, ma
anche in una realt fisica e spirituale ben precisa: quel determinato
monastero, con il suo contesto storico e geografico, e quella deter-
minata comunit, con le ricchezze e i limiti dei fratelli o delle so-
relle passate, presenti e future. Una serie di fattori storici, culturali
ed ecclesiali, in massima parte esterni al monachesimo femminile,
hanno finito per ridurre questa dimensione cos evangelica della se-
quela monastica - il "dimorare" saldamente nel Signore, la perse-
veranza nella chiamata ricevuta, la fedelt a Dio attraverso la fe-
delt a chi Dio ci ha posto accanto, il non essere uomini o donne
"di un momento" - a una questione di mura, grate, divieti, estra-
niamento dai fratelli e smelle in umanit. Ma in tal modo le mura
dei chiostri rischiano di diventare fredde protezioni da potenziali
nemici esterni, e perdono la loro dimensione di abbraccio amoroso
che custodisce la carit faticosamente ricercata ogni giorno alloro
interno. Su questa dimensione evangelica della stabilitas il pensie-
ro di madre Maria Ignazia torna sovente, proprio perch il vissuto
- sia storico che attuale della sua comunit a richiamare con
estrema semplicit ma anche con chiarezza il dono prezioso, il bo-
num dello "stare insieme" come fratelli e sorelle. Non si dimenti-
chi che, come ricordava con sapienza il domenicano Timothy Rad-
cliffe, i monasteri sono, o dovrebbero essere, "luoghi in cui la glo-
Jia di Dio rifulge, troni per il mistero", non per una sorta di diJitto
7
divino, n per qualche automatismo nominalistico e nemmeno per
la rigida osservanza di regole claustrali, ma proprio a causa di
ci che i monasteri non sono e di ci che non fanno, perch
l'invisibile centro della vita monastica si manifesta nel come i
monaci vivono. I monaci, in/atti, non fanno nulla di particola-
re, non comprendono se stessi n sono compresi come quelli che
hanno una particolare missione o funzione nella chiesa: essi so-
no l e, felicemente, continuano a essere semplicemente l ... Le
loro vite non conoscono carriere e promozioni, non hanno altro
traguardo che la venuta del Signore: sono fratelli e sorelle, non
possono aspirare a essere nulla di pi, non hanno altra via di
progresso che quella dell'humilitas.
Da queste pagine emergono gratuit e fraternit nello stare insie-
me, valorizzate nella loro essenzialit dall'assenza di qualsiasi sco-
po specifico, fosse anche particolarmente "nobile", come quello di
assicurare la cura pastorale di un gruppo di fedeli o di provvedere
alle necessit materiali dei pi bisognosi. Anzi, proprio la qualit
dello stare insieme unicamente in nome di Ges e della sua Parola
diviene essa stessa annuncio e testimonianza dell'evangelo della ca-
rit. Il monachesimo cos ricondotto ai suoi due assi portanti e
"parlanti": la vita comune e il celibato per il Regno.
Base, 10 febbraio 2007
memoria di santa Scolastica, monaca
8
Enzo Bianchi,
priore di Base
PREMESSA
Su proposta e sulla fiducia dei fratelli e delle sorelle della Co-
munit di Base, espressemi dal priore Enzo Bianchi, ho accon-
sentito a pubblicare presso le loro edizioni alcuni contributi da
me stesi in occasioni e per interlocutori diversi, pressappoco
nell'arco dell'ultimo decennio. Non che questo consenso non
abbia suscitato in me, di contraccolpo, una domanda: ma con
tante parole che si scrivono, perch aggiungere carta a carta?
La domanda sul perch scrivere, pur nel desiderio fondamenta-
le del dialogo e proprio nel rispetto profondo dell'atto della
scrittura, mi rimane. Infatti, le pagine qui raccolte, quasi strap-
pate, non sono state cos rilette nel cuore da parermi pronte co-
me scritto da consegnare. Sono piuttosto testimonianze di oc-
casioni dialogiche. Avrebbero richiesto ben altro lavoro di ma-
turazione. La paziente opera di redazione dei fratelli e delle
sorelle di Base le ha rese meno impresentabili.
L'elemento unificante della raccolta, e anche la ragione per
presentarla cos com', il contesto monastico dei destinatari
e il carattere di incontri vissuti che ha occasionato questi con-
tributi, alcuni dei quali gi parzialmente pubblicati su varie ri-
viste. Capitoli generali, convegni di studio, corsi di formazione
monastica, seminari monastici del Gruppo Chevetogne. Tutti
ambiti di incontro dal vivo, tra monaci, monache e altre perso-
ne sensibili alla vita monastica.
Sono tutti stati redatti a partire da un vissuto comunitario,
del quale - per me - la mia comunit monastica sostanza e
9
banco di prova. Li ho maturati nella frequentazione delle radici
della scelta monastica: lectio della Scrittura e dei padri, dialogo
fraterno e scambio con gli ospiti del monastero. A tutti costoro,
prime tra tutte le mie sorelle, va la riconoscenza per quello che
vi si possa trovare di utile e buono.
Sono scritti sparsi sia per data di origine, sia per occasione e
contesto; scritti raccolti senza avere il tempo di quella decanta-
zione e limatura indispensabili per un testo di una qualche de-
finitivit, e perci risentono di una visibile frammentariet e di
una certa rudezza di forma. Ne sono consapevole e in anticipo
me ne scuso con chi voglia leggerli. Ma non era per me prevedi-
bile un tempo pi disteso da dedicare a questa opera, che pa-
zientemente i fratelli di Bose mi chiedevano.
Il dialogo monastico da cui queste pagine sono nate, e dalla
cui grazia anche la loro pubblicazione resa possibile, anche il
senso della decisione di consegnarle cos come sono alla stam-
pa. Pagando il tributo all'epoca, in cui sembra potersi coltivare
una grande passione solo a partire da frammenti di vita. Purch
sia vita vissuta e non rappresentazione di una parte, o immagi-
nazione di un soggetto.
"Niente senza voce" (ICor q,IO): questa esperienza di
fondo cui la "piccola regola per principianti" di Benedetto da
Norcia ci educa, formando monaci all'ascolto, il prezioso fram-
mento che vorrei condividere, nel desiderio che possa far rina-
scere tra tutti coloro che tra le rughe della storia cercano Dio, il
gusto di ascoltare. Caso mai in questo ascolto a tutto campo si
assapori il gusto di riconoscere sintonie che aiutano la vita: a
stringere legami e a nutrire la speranza.
Maria Ignazia Angelini
Abbazia dei Santi Pietro e Paolo in Viboldone, 10 febbraio 2007
memoria di santa Scolastica, monaca
IO
"Non mi vergogno dell'evangelo"
(Rm r,r6)
IL MONACHESIMO
E LE SFIDE DEL POSTMODERNO
La crisi del postmoderno e del monachesimo
La questione del postmoderno
di un'importanza fondamentale che le comunit monasti-
che si interroghino o, piuttosto, si lascino interrogare dalla sto-
ria di oggi e pi profondamente dall'evangelo, che parla anche
filtrando attraverso gli avvenimenti e che irrompendo per mez-
zo della storia nuovamente chiama e per certi versi ripropone le
grandi sfide delle origini e provoca a riappropriarsi in modo
evangelico della povert del monaco, la povert vera, non quella
ostentata, e della sua marginalit rispetto ai tempi. Io stessa
parlo a partire dall'esperienza della comunit monastica nella
quale e con la quale, soprattutto in questi ultimi anni, mi trovo
a dovermi confrontare con queste domande. Non ho avuto mo-
do di approfondire dal punto di vista teorico la questione del
postmoderno, il cui orizzonte quanto mai complesso e sfug-
gente, al limite dell'evanescenza, ma la vedo via via affiorare
praticamente nelle quotidiane vicende della storia vicina a noi,
nella relazione del monastero con gli ospiti, nelle sfide che le
II
varie letture "laiche" del fatto monastico ci fanno rimbalzare
addosso.
Mi pare quindi che "fare come se" non fossimo tutti, prima
o dopo, raggiunti dall'onda del postmoderno
1
, ci espone al ri-
schio di trovarci comunque, magari a nostra insaputa, negativa-
mente condizionati da un movimento epocale, che invece per s
- come del resto quello della modernit, al di l di ci che ne
abbia detto la cultura ecclesiastica di fine xrx e inizio xx seco-
lo -ha valenze che, se vengono affrontate in modo consapevole,
possono essere rilette e saturate positivamente. Infatti sana
umilt la critica che il postmoderno fa delle pretese di una ragio-
ne unilateralmente "critica". Se non che il pensiero della post-
modernit diventa a sua volta un orizzonte autoreferenziale.
Il postmoderno come incontra la crisi che conosce il mona-
chesimo tradizionale?
La questione monastica
per opportuna un'altra premessa. Con quale atteggiamen-
to mi pongo di fronte alla questione monastica? Come chi rico-
nosce una crisi e cerca rimedi? Come chi ansiosamente smenti-
sce voci di crisi per trincerarsi volontaristicamente (cio attra-
verso l'appello alla buona volont di ogni monaco e monaca) in
uno splendido isolamento, nei nostri recinti garantiti da costi-
tuzioni, osservanze, espedienti vari e antiche ricette?
Parlando di monachesimo cristiano, nel quale l'unificazione
che definisce per s la ricerca monastica perseguita avendo
come riferimento assoluto l'evangelo, dobbiamo guardare bene
in faccia le varie risposte che si danno alla questione della crisi,
1
Con questa espressione ormai entrata nell'uso si indica il crollo della cultura mo-
derna, che con il suo dinamismo di "emancipazione" dalle schiavit nei diversi campi
dell'umano, filosofico, sociale, economico, artistico, politico, eccetera, aveva preteso di
adeguare in toto ilmodus dell'umano.
I2
e rifiutare le prospettive di "salvezza" alternative o comunque
incompatibili con la qualit fondamentale del monachesimo di
semplice rimando all'evangelo, "per ducatum evangelii", "sotto
la guida dell'evangelo", come leggiamo nella Regola di Benedetto
(Prol. zr). Dobbiamo innanzitutto guardarci da tutte le letture
mitiche che si danno del monachesimo. Il monachesimo non
una panacea o una sapienza totale per se stessa. Richiede per
s relazione ad altri modi dell'umano. Ma quale relazione?
questo il punto! Quando cerchiamo di tematizzare in modo espli-
cito la comune responsabilit verso l'immagine del nostro mo-
nachesimo, dobbiamo guardarci dal teorizzare astrattamente la
preziosa realt dell'esperienza della fede invece di discernerla e
articolarla in linguaggio.
Nell'odierna situazione di crisi dobbiamo anche vigilare su
ogni forma di "ansiet di autodefinizione". tempo di affon-
dare le radici ed esporsi nell'avventura ispirata dalla linfa che
sale; non ancora, in questa che sembra come l'ora di una nuo-
va nascita, il tempo di nominare. Il narcisismo, anche nella sua
versione di gruppo, un'antica infermit, un poco adolescen-
ziale, anche dei monaci. L'orgoglio della particolarit, esibita
a tutti i costi come singolarit, non si addice ai monaci proprio
perch in realt nella figura concreta del monaco si tratta di pa-
trimonio di "tutti" (l'umano sempre al singolare). E d'altra
parte questa ansia non aiuta a imboccare la via della risposta
reale alla questione della loro esistenza, che per eccellenza esi-
stenza "gratuita", e solo come tale appartiene alla piena espres-
sione della chiesa
2
L'epoca attuale induce facilmente a domande pregiudicate ri-
volte ai monaci, del tipo: dateci pi religione o pi godimento
2
Cf. Giovanni Paolo II, 01ientale lumen 9-ro; P. A. Sequeri, "Beata solitudo? Mo-
nachesimo cristiano e citt postmoderna", in Un mo11astero alle porte della citt. Atti del
co11veg1to per i 650 a11ni dell'Abbazia di Viboldo11e, Vita e Pensiero, Milano 1999, pp.
63-75
I3
estetico. La religione in questa richiesta viene intesa come una
lettura simbolica della realt in senso mitico, senza cio alcun
evento di salvezza, e di tale religione il monaco uno dei sim-
boli astorici pi suggestivi. Jean-Franois Lyotard ha scritto:
Molti pensano che sia giunto il momento della religione, il
momento di ricostruire una narrazione credibile che racconti
la ferita di questo secolo e la cicatrizzi. Si mette avanti il fat-
to che il mito il genere originario, che in esso il pensiero
dell'origine si d nel suo paradosso originale e che occorre
rimettere in piedi le rovine cui il pensiero razionale, demito-
logizzante e posi ti vista, l 'ha ridotto
3
6
Ugo d San Vittore, L'arca momle di No 2,12.
7
F. Pusteria, Bozzetti pe scaglio la II, in Parola plurale. Sessanta quattro poeti iMlian
fra due secoli, a cura di G. Alfano, Sossella, Roma zoo5, p. 496.
Ma la cultura contemporanea incapace di nutrire un ascolto
totale come espressione del desiderio e della ricerca di cogliere
il senso deposto in ogni cosa, ma al tempo stesso soffre di que-
sta impotenza. Sente parole, messaggi, notizie, ma non li ascol-
ta, disposta pi a un sentire per consumare. Nella comunicazio-
ne in genere vige per lo pi un udire che non coinvolge il sog-
getto, il quale da parte sua non ha fame di intendere la parola
che articola il mistero di ogni cosa, la parola che nutre la ricerca
del senso. Questo udire che non comprende (cf. Mc 4,12) non
accede alla profondit della fame per cui la persona credente da
ogni voce di vita viene posta di fronte al Tu divino.
Mangiare !a Parola o leggere come si mangia
Gi nelle righe precedenti emerso un nesso, quello fra ascol-
tare e mangiare, fra ascolto e manducazione, un nesso istruito
dalla Scrittura stessa. Il: "Non di solo pane vive l'uomo, ma
di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Dt 8,3 LXX) come
chiave ermeneutica del cammino dell'esodo, lo ritroviamo sulle
labbra di Ges (cf. Mt 4,4): la Parola come pane, il pane della
Parola.
Per prendere sul serio questo nesso, forse il caso di mettere
in guardia dal pericolo degli slogan, siano essi nell'orizzonte
della pastorale, della spiritualit o che altri sia. La Parola pa-
ne? S, ma - ci insegna la Scrittura in un modo tutto singola-
re, che sottopone a una radicale tensione il senso naturale del
pane. Un senso dunque nient'affatto scontato, come gi in prin-
cipio si pot intuire nel discorso di Ges a Cafarnao (cf. Gv 6),
in cui tutto un rivelarsi di questo pane singolarissimo che in-
vece di essere assimilato in carne mortale trasforma radicalmen-
te i suoi "divoratori".
Questo pane nutriente, sapido, anzi dai molti sapori in re-
lazione vitale con il desiderio di chi lo mangia. La Scrittura non
4I
un impersonale serbatoio di verit astratte, ma il pegno di una
relazione offerta, da bocca a orecchio, anzi da cuore di Dio che
par}a a cuore umano che ascolta. In questo senso pane.
E qui il punto in cui mi pare inserirsi il proprio della tradizio-
ne monastica. La portata nutritiva del pane in stretta relazio-
ne conl'af/ectus di chi lo mangia:
Offristi un pane gi pronto, senza fatica, capace di procurare
ogni delizia e soddisfare ogni gusto ... Esso si adattava al gu-
sto di chi l'inghiottiva e si trasformava in ci che ciascuno
desiderava (Sap r6,zo-zr).
In stretta corrispondenza alla dinarrca dell'ispirazione sta il
dinamismo della lettura come manducazione
8
N o n siamo forse
abbastanza consapevoli dell'importanza di questa relazione, co-
s poco supportata dall'odierno modo consumista e impersona-
le di alimentarsi, relazione intrinseca alla portata nutritiva delle
Scritture, al punto che la Parola giace come chicco ibernato, in-
terrato e insapore, fino a che un cuore credente non ne dischiu-
da la dolcezza masticandola con desiderio vivo, con spirituale
affectus, con la libera disponibilit a farsene impregnare.
Ignorare che la Scrittura nutre solo in relazione a un deside-
rio vitale che acceso la accoglie, crea spesso oggi una sorta di
feticismo della Bibbia, un'idolatria o in senso fondamentalista
o anche, al contrario, in senso strumentalizzante, ideologico.
Questo accade quando ci si appropria della Parola non per sfa-
mare il desiderio sostanziale di vita, ma per svolgere una tesi,
per una sorta di protagonismo o moda spirituale. E il pane spi-
rituale resiste a queste manducazioni inappropriate, prive di
desiderio di relazione viva con il Signore, di disponibilit a farsi
incontrare da lui.
' Cf. Concilio Vaticano II, Dei Verbuw 1 z.
Come in principio tutto cambi attraverso un mangiare (cf.
Gen 3,6-7), e fino alla fine (cf. A p 2, 7), assimilare la Parola
un mangiare che cambia la vita. Mangiare dunque una me-
tafora fondamentale nella Bibbia per indicare l'esperienza del-
l'incontro con la Parola in una reciprocit singolare, come cifra
simbolica di questo particolarissimo leggere-ascoltare. Leggere
e nutrirsi nella forma dell'obbedienza: in modo tale per che
si viene coinvolti visceralmente nella dinamica del nutrimen-
to piuttosto che potersene servire per impinguare il proprio io.
Questa una delle prime cose che si imparano in monastero,
proprio attraverso la lectio.
La metafora della Parola come pane comporta anche la con-
siderazione di tutta una gamma di atti mancati nell'incontro
dell'uditore conia Parola, di esperienze traumatiche. Il vissuto
monastico, proprio per l'assiduit con la Parola cui ordinato,
predispone a sperimentare tutti i passaggi di questa relazione
totale, travolgente nell'intimo, di corpo a corpo, di cui testimo-
niano i profeti. L'assiduit, quando cade la tensione di fede,
pu diventare infatti abitudine, cattiva familiarit, strumenta-
lizzazione, sino alla nausea, ultima passione come la designano
i padri del monachesimo antico.
Non ogni "addentare" la Parola consente di nutrirsene, nem-
meno ogni indiscriminato usa e getta. Qui il termine pane
detto in riferimento a una parola-testo scritto, come per esclu-
dere ogni accostamento al testo guidato da una volont volut-
tuosa di servirsene o da una concezione feticistica della Parola
come conclusa in se stessa. Invece l'umilt della fede libera il
sensorio pi acuto dell'animo umano e d la capacit di gustare
il pane che sazia ogni desiderio (cf. Gv 6,35-48-51). La volont
di udire messaggi consolanti senza conversione del cuore viene
stigmatizzata cos efficacemente da Ezechiele, pur riferendosi a
un altro orizzonte metaforico, quello del canto:
Figlio dell'uomo, i figli del tuo popolo parlano di te lungo
le mura e sulle porte delle case e si dicono l'un l'altro: "An-
43
diamo a sentire qual la parola che viene dal Signore". In
folla vengono da te, si mettono a sedere davanti a te e ascol-
tano le tue parole, ma poi non le mettono in pratica, per-
ch si compiacciono di parole, mentre il loro cuore va dietro
al guadagno. Ecco, tu sei per loro come una canzone di arno-
re: bella la voce e piacevole l'accompagnamento musicale.
Essi ascoltano le tue parole, ma non le mettono in pratica
(33.30-32).
Questo brano ci rende vigilanti circa il rischio di finire in pre-
da a letture emotive o estetizzanti, alla lettura devota, nel sen-
so di autoconsolatoria, intimistica, scorporata dalla storia, nel
nostro approccio al testo della rivelazione di Dio. Mai il testo
biblico pu essere ridotto a serbatoio di un vissuto costruito
autonomamente; mai il senso emerge compiutamente se non si
coglie il rimando a quell'altro "coccio" dell'evento simbolico
delle sante Scritture: il mistero di Ges, che d la prospettiva
dall'interno.
Di fronte a questo pane non scontato sembra inevitabile il
passaggio attraverso momenti critici: l'esperienza di non avere
"denti", di mancare di un requisito indispensabile per decifrare
la scrittura di Dio. La descrive efficacemente il profeta Isaia:
Per voi la rivelazione di tutto ci sar come le parole di un li-
bro sigillato: si d a uno che sappia leggere, dicendogli: "Leg-
gilo", ma quegli risponde: "Non posso, perch sigillato".
Oppure si d il libro a chi non sa leggere dicendogli: "Leggi-
lo", ma quegli risponde: "Non so leggere" (z9,ri-r2).
Come potremmo tradurre questa terribile esperienza, un'e-
sperienza frequente nella vita del monaco? Forse con il non ave-
re desideri, con l'assenza del sensorium del cuore proporzionato
alla volont di alleanza, di relazione totale del Dio che parla nel-
la Scrittura. Cos gi era accaduto nell'esperienza della nausea
per la manna (cf. Nm 11,4-2.3; 20,5; 2r,5).
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Si pu anche divorare, nell'impeto ingenuo dell'affectus. Ma
per una vera manducazione (cio in spirito e verit) necessario
anzitutto rispettare il testo, accostarlo nel timor di Dio, come ci
insegnano i padri del monachesimo. C' infatti una reticenza
particolare nei padri del monachesimo antico all'indiscriminato
uso della Parola, che soprattutto agli inizi esige iniziazione e
purezza di cuore, virt fondamentale che richiede up lungo ap-
prendistato e per la quale la persona che legge completamente
decentrata.
L'operazione del mangiare la Parola, in certo modo "trasgres-
siva" dei codici naturali del vissuto, non lascia dunque mai in-
denni, ma tutti i traumi da lei prodotti sono per la vita. La Pa-
rola-pane che nutre anche la Parola che giudica, che converte
l'anima, che ferisce e risana, che amareggia il ventre, che ad-
dirittura uccide (cf. Os 6,5)! Anche e proprio cos opera effi-
cacemente (cf. Eb 4,12) e non ritorna mai senza frutto (cf. Is
55,II). Anche quando indurisce (cf. Rm 9,18; II,8), la sua
azione di misericordia. pane sostanziale, pane di lacrime,
pane corrispondente al desiderio, pane "leggero" (Nm 21,5) co-
me quel "soffio di silenzio" sull'Oreb (1Re 19,21) in cui pure il
Signore Dio si fa presente al suo fedele. una Parola che dige-
rita non per mai pienamente assaporata.
La ruminatio perci la modalit pi appropriata di frequen-
tazione: un'assiduit quasi "animale", come di chi masticando
la Parola sa di poter contare su un'energia che supera ogni capa-
cit di capire e tanto pi di misurare. Per operare, la Parola ma-
sticata richiede solo la semplicit docile dei piccoli, come dice
l'autore del salmo 119,1.30: "La tua parola al rivelarsi illumina,
dona saggezza ai semplici", e nel contempo la libera disposizio-
ne di s il suo normale esito, l'atto conseguente, o deciso o in
forma ancora pi piena gratuitamente subito. Di questo tipo ,
ad esempio, l'effetto dell'operazione di antirrhesis, secondo la
quale la Parola viene usata come antidoto ai veleni di pensieri
cattivi. Ricordo, a questo proposito, un apoftegma sulla masti-
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cazione della Parola o pi precisamente sulla masticazione del
Nome di Ges, inteso come sintesi di tutta la parola di Dio, che
nella sua eccentricit mi sembra ricco di simbolo.
Abba Poemen disse: "Ero una volta assiso con dei fratelli
presso abba Macario. Gli dissi: 'Padre mio, quale opera Iar
l 'uomo per conseguire la vita?'. L'anziano mi rispose: 'Ricor-
do che, quando ero bambino, in casa di mio padre, osservavo
che le vecchie e le giovani donne tenevano in bocca qualcosa,
una sorta di gomma che masticavano per addolcire in gola il
gusto della saliva e l'odore del loro fiato. E questa gomma
aveva potere rinfrescante per il fegato e i visceri. Se dunque
questa cosa materiale procura una tale dolcezza a chi la ma-
cera con i denti e la mastica, quanto pi il pane di vita, la
dolcezza di tutte le dolcezze, il Signore nostro Ges Cristo,
parola di Dio, re dei re e signore dei signori, questa parola
benedetta, se la ruminiamo e mastichiamo costantemente,
procura una rivelazione all'intelletto, caccia i pensieri malva-
gi e rivela le realt celesti"'
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