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Alessandro Bagagli

LAPPRENDISTA
STREGONE
Viaggio nei misteri alchemici di un
comunicatore dimpresa
A Gianni e Giusi, cari amici di sempre e veri mecenati di un nuovo, dina-
mico Rinascimento, quello del terzo Millennio
Prefazione
Ormai da molti anni la comunicazione gioca un ruolo
strategico sul bancone dell'offerta formativa italiana:
sempre di pi, infatti, sono coloro che si avvicinano a
questo mondo, nuovo ma nello stesso tempo vecchio
come l'uomo. Possiamo lasciarci alle spalle il concetto
della scienza che fa moda: la comunicazione si ormai
affermata come campo di studi autonomo, con uni-
dentit accademica assolutamente definita e precisa.
Perch, allora, il ruolo del comunicatore non
risulta ancora seriamente legittimato, riconosciuto
come ruolo professionale a tutti gli effetti, caricato di tutta
limportanza che ricopre in una societ come la nostra?
Come mai quando si parla di questa professione si
pensa sempre a qualcosa di aleatorio, estremamente
congetturale e teorico?
V
Forse perch pochi hanno ritenuto opportuno parla-
re della professione del comunicatore, di cosa implichi al
livello pratico, di quale sia il suo ruolo strategico allin-
terno di ogni tipo di organizzazione moderna che abbia
come obiettivo principale quello di riuscire a ritagliarsi
uno spazio nelluniverso simbolico che la circonda.
Finalmente un libro che parla di questo. In modo
ironico, divertente, anche un po beffardo.
Ma questo anche uno dei tanti pregi dei comuni-
catori: il non prendersi sul serio, o meglio, farlo crede-
re agli altri. Chiunque pratichi questa professione
sa che corre il rischio di non essere capito, di non
essere ritenuto un professionista a tutti gli effetti dallo-
ceanica folla che si ritiene tale. A base di questo c la
mancanza di alfabetizzazione comunicativa che carat-
terizza la nostra societ. La societ dellinformazione e
della comunicazione, certo, ma piena di analfabeti. Una
societ intelligibile solo a pochi eletti, ai pochi
apprendisti stregoni che hanno deciso di imparare
una nuova lingua, o meglio un nuovo codice, per poter
guardare oltre levidente e il reale.
Negli ultimi venti anni la comunicazione dimpresa
ha acquistato unimportanza notevole nel campo degli
studi sulla comunicazione. A partire dagli anni 80,
infatti, questa disciplina ha cominciato a conquistare
VI
spazi che in precedenza le erano stati negati, causa la
sua considerazione di puro mezzo di persuasione nei
confronti di un pubblico inerme, indifeso nei confron-
ti degli espedienti utilizzati dalle imprese per indurlo
allacquisto.
Una lunga sequela di novit e trasformazioni al
livello sociale, che potremmo definire epocali, hanno
indotto un netto mutamento di tendenza: laumento
della produzione, la maggiore disponibilit di canali di
comunicazione (proprio in quegli anni prender avvio la
riforma del sistema radiotelevisivo), la maggiore visibili-
t offerta dalle imprese dalla pubblicit, porteranno ben
presto ad un cambiamento netto negli stili di vita, nelle
abitudini, nellorganizzazione cognitiva degli italiani.
Il pubblico, sottoposto ad unondata di comunica-
zione senza precedenti, comincia da questo momento
ad acquistare una capacit critica di selezione nei con-
fronti dei messaggi che da ogni parte gli vengono invia-
ti. Il grande numero di fonti e di informazioni disponi-
bili e circolanti in modo autonomo determina un pro-
cesso di scelta molto pi lungo, impegnativo, ragiona-
to. Non pi il pubblico passivo di qualche anno
prima. Ora partecipa attivamente ad ogni processo
comunicativo, decidendo se acquistare o no e soprat-
tutto cosa acquistare e da chi.
Improvvisamente le imprese si ritrovano a dover far
fronte a nuove richieste, a nuove esigenze, a nuovi desi-
deri: il passaggio da una societ di massa, dai grandi
VII
numeri, dai bisogni standardizzati e comuni ad una
societ frastagliata in una moltitudine di gruppi con
valori diversi e fluidi pone le aziende di fronte alla
necessit di creare nuovi prodotti, inventare marche
differenziate, convivere con laccelerato, mutamento
dei gusti. Questo cambiamento si tramuta in uno
straordinario potenziamento dei flussi di comunicazio-
ne e in una vertiginosa crescita delle aziende come
fonte cognitiva.
Lorientamento alla produzione e la staticit cui si
era abituati hanno fatto il loro tempo. La flessibilit che
comincia a prendere corpo nella societ impone il
superamento del vecchio ruolo di produttore di beni
materiali e linvenzione di un nuovo ruolo.
Il prodotto diventa qualcosa di pi di un semplice
mezzo di soddisfazione dei bisogni. Nella societ del-
limmagine degli anni 80, il prodotto diventa simbo-
lo, unicona, un oggetto che rimanda a qualcosa dal-
tro: diventa veicolo di valori, di credenze, di apparte-
nenza. E le imprese diventano qualcosa di pi di sem-
plici macchine da produzione: diventano produttori di
conoscenza.
Nelle realt aziendali prende corpo limportanza del
settore comunicazione, un settore che cerca di trasmet-
tere allesterno unimmagine coordinata dei valori e
della mission aziendale.
Perch in questo modo che le aziende possono
riuscire a fare la differenza: costruendo di se stesse
VIII
unimmagine forte, unimmagine che permetta al pub-
blico di immedesimarsi e di calarsi in un mondo che gli
appartiene, un mondo che condivide con lazienda, con
i suoi prodotti, con i suoi principi.
Il marketing, lorganizzazione aziendale, la comuni-
cazione esterna: tutte discipline che cominciano a fare
adepti, a coinvolgere forze nuove. Fondamentale
diventa il ruolo dei comunicatori dimpresa, quali pro-
fessionisti impegnati a trasformare dei semplici
impianti di produzione di beni in storie, mondi, valori,
persone.
Gli anni 90, con Internet, la globalizzazione, i
nuovi temi di interesse pubblico, consolidano il ruolo
della comunicazione nelle imprese, come nella societ.
Il mercato si allarga a dismisura, diventando globa-
le. Internet ci connette con il mondo. chiaro che ora
come mai la lotta delle aziende per la conquista di uno
spazio cognitivo diventa pressante: i confini sconfina-
no, i pubblici si differenziano ancora di pi e la con-
correnza diventa la legge assoluta di sopravvivenza.
Non basta pi avere unimmagine, unidentit. Ora
diventa importante instaurare un rapporto con il con-
sumatore. Un rapporto ad personam, che dia lillusione
ad ogni consumatore di essere lunico. Nascono il mar-
keting one-to-one, il direct marketing, si concentra lattenzio-
IX
ne sulla customer satisfaction, perch un consumatore sod-
disfatto un consumatore conquistato, a volte per
sempre.
La comunicazione dimpresa, dunque, aumenta il
suo raggio dazione e, in conseguenza, il suo ruolo stra-
tegico nellimpresa. Non pi solo creazione dimmagi-
ne; non pi solo strategia di vendita e di mercato.
La comunicazione dimpresa si appropria del
campo che le pi congeniale: la creazione di rapporti.
Con il consumatore, certo, ma anche con lambiente
che la circonda.
I temi di interesse pubblico tornati alla ribalta negli
anni 90 (linquinamento, la protezione e la salvaguar-
dia dellambiente, le sperimentazioni sugli animali, lo
sviluppo sostenibile, ecc.), hanno indotto le imprese ad
assumersi delle responsabilit nei confronti della
societ. Nasce il social marketing, limpegno sociale delle
aziende a contribuire al miglioramento della societ in
cui viviamo per il raggiungimento della soddisfazione
dellinteresse generale.
La comunicazione dimpresa si impegna, quindi, ad
intrattenere rapporti con le istituzioni governative, con
le associazioni onlus, con lassociazionismo civico.
Ancora pi che in passato diventa uno strumento stra-
tegico per la pianificazione, la conduzione e il raggiun-
gimento degli obiettivi aziendali.
Si parla di comunicazione integrata. Oggi limpre-
sa stessa comunicazione. Qualsiasi cosa fa, dice o
X
pensa, qualsiasi azione intraprende, lancia un messag-
gio. Per gestire questa mole enorme di informazioni,
questo reticolo di output verso i consumatori, verso il
mercato, verso la societ e verso il proprio personale
interno (per non dimenticare la tanto predicata comu-
nicazione interna) c bisogno di professionisti prepa-
rati e coscienti, completamente, del proprio ruolo e
della responsabilit che hanno di fronte ogni loro sin-
golo destinatario.
I professionisti della comunicazione dimpresa, per
molto tempo non capiti, sottovalutati. Oggi definitiva-
mente accettati come soggetti strategici dellazione
aziendale. Il loro compito, il loro mondo comunica-
re. Ma la comunicazione non retorica, non persua-
sione. La comunicazione larte di dare valore, visibili-
t, vita ad un insieme di oggetti e segni che senza que-
sta linfa resterebbero fini a se stessi, racchiusi nel limbo
del visibile. La comunicazione la chiave di accesso al
non visibile, al mondo altro che c ma che rimane ben
nascosto. Pochi coloro che possono accedervi.
Apprendisti stregoni. Quale definizione migliore?
Questo libro, o volumetto, come lo definisce con
modestia il suo autore, d uno spaccato del ruolo pra-
tico di un comunicatore dimpresa allinterno della sua
organizzazione. Rispettando gli intenti, ovvero non
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avere velleit didattiche finalizzate alla spiegazione e
al supporto di alcuna delle molte teorie riguardanti
questa materia meravigliosa ma spiegare il mio
mestiere alla grande schiera di amici, conoscenti che
rimangono inebetiti quando, che professione svolga,
rispondo sorridendo: il comunicatore dimpresa, que-
sto volumetto aggiunge una nota di realt e di esperienza
vissuta (con aneddoti personali molto sentiti e vicini
alla nostra vita) alla mole di letteratura sul tema della
comunicazione, rendendo giustizia allesistenza con-
creta di una professione troppo professata ma
poco raccontata per quello che .
Una testimonianza degna di una osservazione parteci-
pante, quella tecnica di ricerca euristica utilizzata nelle
scienze sociali che ci racconta loggetto di studio dal-
linterno, nel suo vissuto quotidiano, nelle sue abitudini.
Cosa fa un comunicatore dimpresa? Quali sono i
soggetti conci entra in contatto? Quali le tecniche che
usa per svolgere il suo lavoro, per raggiungere i suoi
obiettivi? Quali gli strumenti? Quali le strategie?
Come un artigiano che lavora materialmente un
oggetto trasformandolo in qualcosa daltro, cos il
comunicatore dimpresa plasma il suo oggetto, limpre-
sa fisica, trasformandolo in valori, idee, oggetti, simbo-
li. E nello stesso tempo deve rendere visibili, tangibili
questi concetti astratti con qualcosa di materiale, di
immediato.
Alchimia? Qualcuno potrebbe rispondere di s.
XII
Questa arte antica cercava di rendere visibile linvisibi-
le e astratto il tangibile. Ma non questo il caso.
Lautore ci racconta come questa magia sia in realt
solo la professionalit di chi, ogni giorno, mette in pra-
tica le sue conoscenze per svolgere il suo lavoro.
Attraverso delle testimonianze concrete, riportate con
dovizia di particolari e un umorismo che rende la lettu-
ra piacevole e divertente, ci racconta la pratica della
teoria che in molti hanno gi raccontato.
Ecco, allora, i rapporti con gli altri settori aziendali,
dal marketing allorganizzazione del personale, del set-
tore amministrativo a quello dirigenziale; ecco la rela-
zione speciale con lagenzia di pubblicit, una specie di
matrimonio sempre minacciato dallombra della sepa-
razione; ecco le strategie messe in campo, le risorse uti-
lizzate, i servizi da offrire, i piani da implementare.
Perch fare il comunicatore dimpresa non vuol dire
scaldare la poltrona come molti pensano. Vuol dire
svolgere un lavoro che in pochi sono in grado di capi-
re. Un lavoro che richiede impegno e che necessita la
conoscenza approfondita di ogni singola parte dellim-
presa. Perch la comunicazione ha un ruolo trasversale
allinterno di essa, un ruolo che funziona da raccordo
e da collante per la creazione di unidentit aziendale
forte e vincente. Comunicazione esterna, quindi, e
interna.
Una comunicazione che funziona meglio dove rico-
pre ruoli dirigenziali, dove pensata e creduta come
XIII
elemento strategico e di valore.
Questo libro spiega tutto questo: la comunicazione
vissuta, la comunicazione praticata, la comunicazione
applicata. Lasciando da parte per una volta la teoria e
dando la giusta importanza alla pratica, troppo spesso
ingiustamente declassata e considerata poco aulica ed
intellettuale.
Questo libro racconta tutto questo: con ironia e
umorismo, che sono in fondo il sale della vita
Mario Morcellini
Direttore del dipartimento di Sociologia
allUniversit di Roma La Sapienza
XIV
Nota dellAutore
Questo volume non ha velleit didattiche finalizza-
te alla spiegazione e al supporto di alcuna delle molte
teorie riguardanti questa materia meravigliosa - ormai
elevata ai ranghi di una vera e propria scienza - chiama-
ta comunicazione. Scienza che ormai sempre di pi affol-
la - rispetto alle sue problematiche, ai suoi attuali
mezzi a disposizione ma soprattutto ai suoi possibili
sviluppi futuri - pubblicazioni non pi soltanto di set-
tore ma anche molta stampa periodica.
Una scienza, allora; anche se, personalmente, nella
mia seppur breve professione di comunicatore non mi
sono mai sentito uno scienziato.
Un apprendista stregone, piuttosto. Una sorta di
Mickey Mouse che nel disneyano, geniale Fantasia non
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resiste alla tentazione di cimentarsi nella scienza alche-
mica dello stregone, di cui assistente... Con il risulta-
to, disastroso ma estremaemente divertente, di riuscire
a far ballare ramazze e secchi dacqua al ritmo di
Tchaikovsky.
Un apprendista stregone, come Mickey Mouse,
destinato a rimanere tale nel tentativo di imparare una
scienza per la quale forse non basta una vita di lavoro,
soddisfazioni e perch no?, anche molte delusioni.
Il comunicatore da sempre considerato il deposi-
tario del segreto della persuasione; il misterioso artefi-
ce che fa della pubblicit la serva padrona tanto acu-
tamente descritta da Falabrino.
evidente che n io n nessun altro operi nel set-
tore della comunicazione con la giusta dose di sana fol-
lia, si senta il depositario di alcun mistero esoterico da
tenere nascosto dietro i dogmi di una scienza per pochi
eletti, a loro volta sorta di setta satanica dedita al culto
della persuasione occulta; una scienza mai tanto vitu-
perata e tanto innalzata alle pi alte vette del sapere
umano, incensandola di meriti che ovviamente non ha
e non pu avere.
Un obiettivo, questo volumetto, per ce lo ha e ve
lo svelo.
Vorrei poter finalmente uscire dallimbarazzo di
spiegare - riuscendoci raramente - il mio mestiere alla
grande schiera di amici, conoscenti che rimangono ine-
betiti quando, chiedendomi che professione svolga,
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rispondo sorridendo: il comunicatore dimpresa!.
S, perch il mestiere del comunicatore dimpresa
tanto affascinante quanto difficile da spiegare a perso-
ne normali e non affette da pur sana follia; persone
che, bene che vada, alla fine delle tue chiacchiere ti
rispondono: Ho capito... In buona sostanza scaldi la
sedia della tua scrivania, non vero?.
il tentativo, questo, di dare una risposta divulgati-
va, lasciando eventuali approfondimenti alla personale
curiosit e ad una discreta nota bibliografica.
Da circa dieci anni opero nel campo della comuni-
cazione dimpresa. In buona sostanza mi occupo di
sviluppare strategie di comunicazione, supportate da
marketing plan aziendali, preoccupandomi di far s che
unidea, un prodotto vengano comunicati nel miglior
modo possibile, con i criteri ed i codici pi efficienti e
con lefficacia che unazienda di beni o servizi si aspet-
ta da un professionista della comunicazione. Il miglior
risultato al minor costo possibile.
Sembra facile ed evidentemente non lo . Per fare
questo esistono metodi sempre nuovi che possono aiu-
tare ma non certo risolvere le criticit che unattivit
professionale del genere comporta.
Soprattutto, esiste un rapporto con le agenzie di
comunicazione integrata che si occupano di trasforma-
re unazienda, un prodotto o un servizio in un marchio,
in quello che i marketing manager chiamano brand
equity. E poi in ritorni sugli investimenti.
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Questo rapporto tra azienda ed agenzia ha molto
stimolato alcune mie riflessioni.
Lo scopo del volumetto stato quello di scrivere
qualcosa sullorganizzazione di un ufficio di comunica-
zione nellesperienza concreta di unazienda. Partire
cio dalla sua struttura, dai ruoli funzionali per arriva-
re alla descrizione dei rapporti con le altre funzioni
interne e con le agenzie.
Lo stimolo nato dalle mie riflessioni era s molto sfi-
dante ma, temevo, anche un po troppo ambizioso.
Parlando per con alcuni studenti delle facolt di
Scienze della Comunicazione dellUniversit La
Sapienza e LUMSA di Roma ho compreso quanto sen-
tita sia lesigenza di questi giovani di conoscere quello
cui concretamente andranno incontro una volta inseri-
ti nelle strutture di comunicazione di una grande azien-
da o di una piccola agenzia, al di l dei loro pur molto
importanti corsi di studio. E allora ho corredato que-
sto volumetto di una breve introduzione riguardante
lazienda, la sua struttura organizzativa ed il ruolo del
marketing.
Confrontandomi con questi giovani ho compreso
dunque la validit dellidea e mi sono deciso ad accet-
tare la sfida, senza alcuna pretesa accademica se non
quella - di tipo pragmatico, per - di fornire degli stru-
menti che portino quegli studenti - decisi ad immolare
le loro vite al sacro fuoco della comunicazione dim-
presa - ad orientarsi in questo magico mondo in cui,
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appena nati, dovranno imparare prima a camminare
con le proprie gambe e solo dopo, forse, a vagire.
Questo libro per loro, ben conscio di quello che
un giorno mi disse Anna Scotti, durante un corso alla
Scuola di Direzione Aziendale, SDA Bocconi: La
pubblicit, per non perdere quello che ha e che rappre-
senta davvero, ha bisogno di giovani sognatori come te,
sia che decidiate di esercitare la vostra professione in
azienda sia che lo facciate in agenzia. Sia lei, la pubbli-
cit, sia voi ne avete solo da guadagnare....
Non so se le parole fossero proprio queste ma il
senso di certo s. Il bello di questa esperienza questo:
ho scoperto che ci sono tanti giovanissimi sognatori
alimentati da sana follia come me.
Ecco: dedico a loro questo ironico saggio.
E a tutti gli appassionati di stregoneria.
Alessandro Bagagli
Apprendista Stregone
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Indice
Prefazione.............................................................................................V
Nota dellAutore ................................................................................15
Indice....................................................................................................20
Premessa.................................................................................................24
Unintroduzione necessaria...............................................................31
Capitolo 1: Lazienda: funzionale o processiva?...................34
1.1. Lorganizzazione di una azienda
1.2. La mission aziendale
1.3. Obiettivi per funzioni e per processi: il senso di
una struttura divisionale
1.4. Anticipiamo le conclusioni?
Capitolo 2: Il ruolo del marketing in unazienda...........................50
2.1. Limportanza di un reale orientamento al cliente
2.2. Il marketing: ci che e ci che ci dobbiamo aspettare da esso
20
2.3. Il marketing come sonda: convincere o essere convinti
dal cliente? Il ruolo del market research
2.4. Il prodotto/servizio: limportanza di avere gli attributi
2.5. Leterno dissidio: il trade marketing
2.6. Come vendere? Una bella domanda
Capitolo 3: Il ruolo della comunicazione........................................81
3.1. Ci volevano due capitoli?
3.2. I concetti di comunicazione e di comunicazione dim-
presa: solo cenni, lo giuro!
3.3. La comunicazione integrata: giuro anche stavolta!
3.4. La comunicazione interna: cenni
3.5. La comunicazione esterna: cenni
3.6. Come si struttura un settore comunicazione
3.6.1. Il servizio Relazioni con la Stampa
3.6.2. Il servizio Rapporti con le Associazioni dei
Consumatori e di Categoria
3.6.3. Il servizio Comunicazione interna
3.6.4. Il servizio Pubblicit e Promozione
3.6.5. Il servizio Ricerche e sondaggi di comunicazione
3.7. Non ho parlato del reparto media: scelta consapevole
3.8. Signore e SignoriConsigli per gli acquisti!
3.8.1. I ruoli del Servizio Pubblicit e Promozione:
cenni generali
3.8.2. Ladvertising manager e gli altri attori della
pubblicit
Capitolo 4: La comunicazione e le altre
funzioni aziendali........................................................114
4.1. Amore o odio? Dipende dai casi
4.2. La Comunicazione: area di staff o schiava del marketing?
4.3. Cosa si aspettano gli altri poli aziendali dalla comunica-
zione:
4.3.1. Obiettivi aziendali
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4.3.2. Obiettivi di marketing e commerciali
4.4. Cosa (non?) si aspetta la Comunicazione dagli altri poli
aziendali
4.5. Conflitti tra marketing e comunicazione? S, ci sono ma
anche le possibili soluzioni
Capitolo 5: Ladvertising manager
e lagenzia di pubblicit..................................133
5.1. La scelta: matrimonio damore o dinteresse?
5.2. Come impostare la pacifica convivenza (s: possi-
bile)
5.3. Partnership e fedelt: come vivere a lungo felici e
contenti
5.4. Ma com fatta unagenzia? Cenni generali sui
ruoli
5.5. Il piano di marketing
5.6. Le ricerche: lo so, costano ma ne vale la pena (se poi
lo dice Ogilvy ci si deve credere, no?)
5.7. La psicolinguistica
5.8. Il brief
5.9. La strategia di comunicazione
5.10. La strategia Media
5.11. Guardiamo in faccia la realt: Il budget, leterna
coperta troppo corta
5.12. The man in the Hathaway shirt: Facile, no?
5.13. Larte della diplomazia in pubblicit: c un nesso
logico, in fondo
5.14. La campagna pubblicitaria: il travaglio infinito
5.15. Copy-test, pre-test, post-test: la campagna non
finisce con la campagna
5.16. Misurare e valutare gli ef fetti della pubblicit?
S, ma non sparate sul pianista
5.17. ... Lasciatelo suonare! Come suonare in un bordel-
lo e rimanere sobri: unindagine che pu far
22
riflettere
Capitolo 6: Conclusioni...................................................................204
6.1. Gli scenari futuri per lazienda: impresa multicellulare e
impresa globale
6.2. Lagenzia nel mirino: quanto incider (o gi incide) la
nuova azienda sullagenzia
6.3. Leggere, vedere, toccare, ascoltare, assaporare:
ladvertising manager come antenna
6.4. Questa casa non un albergo! Ma cosa ho dovuto leggere
per meritarmi tutto questo?
Ringraziamenti..................................................................................223
Qui la diplomazia non centra. Un atto doveroso e sincero.
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Premessa
Ognuno cerca il suo gatto. Mi pare fosse questo
il titolo di un road movie francese di qualche anno fa
che mia madre mi consigli di vedere assolutamente.
Non ricordo il regista ed il nome degli attori (probabil-
mente sconosciuti) ma ne ricordo la trama.
Parigi, quartiere di vecchie case del centro, una pro-
tagonista un po svampita ma simpatica ed un gatto:
il gatto che non c! sparito sui tetti della citt cercan-
do forse qualcosa. La protagonista comincia a cercarlo;
lo cerca, continua a cercarlo e (insieme con lo spettato-
re) comincia a rendersi conto che il gatto diventa pian
piano il pretesto per cercare qualcosa di diverso, di pi
profondo, probabilmente qualcosa che, sente, le manca
o che forse soltanto nascosto (molto bene) dentro di
24
s. Alla fine il gatto fa spontaneamente ritorno a casa:
da solo.
Ho 37 anni e sto cercando anchio quel gatto!
Una premessa per parlare di me? Di un perfetto
sconosciuto? Ritengo proprio per questo doveroso
scrivere due righe autobiografiche, per farmi conosce-
re un po meglio.
Tutto inizi Avevo tre anni e lunica frase degna
di memoria che ricordo di aver sentito da una suora del
mio asilo, mentre passava tra i banchi per vedere come
(o pi probabilmente cosa) disegnavamo, fu: Ma
cosa fai? Quella che usi la mano del diavolo! Non te
lo ha detto la mamma?.
Me la legarono dietro la sedia (proprio cos, ed era-
vamo nel 1970 ma daltronde non potevano certamen-
te amputarmela), mi torturarono, ma niente! Resistetti.
Ero e sono tuttora mancino!
Imparai subito, mio malgrado, che avrei dovuto
combattere per ci in cui credevo ma soprattutto con-
tro i pregiudizi. E non solo quelli cosiddetti religiosi.
La frase della mia infanzia che ricorre maggiormen-
te nella mia mente per quella di mia madre che, ogni
qualvolta le portassi un disegno, uno schizzo, orgoglio-
sa di me ma altrettanto severa ed esigente, mi diceva:
Bravoma puoi fare di meglio!.
Allora (come oggi, daltronde) ero appassionato di
disegno, pittura e scultura. Allora (non come oggi) avevo
molto tempo per disegnare e dipingere: volevo diventare
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un artista. Leggevo, studiavo e mi piaceva. Non avevo
molti amici e non giocavo molto (a parte il Lego: gran
gioco, quello!): dovevo diventare un artista.
Mi perfezionai in varie tecniche e lessi molto a riguar-
do: olio, affresco e china
Un mio affresco fin addirittura in dono del vescovo
di Madrid che lo fece collocare nella chiesa di San
Pantaleo a Roma. Un crocefisso che scolpii verso i dicias-
sette anni venne donato al Gran Ciambellano di Sua
Maest la Regina dInghilterra Lo ammetto: sono cose
di cui vado orgoglioso.
Dopo aver letto un bellissimo scritto del Secco-
Suardo sulle tecniche di restauro degli affreschi, mi
appassionai moltissimo a questa materia. Ebbi lopportu-
nit di effettuare anche qualche restauro ad affreschi della
scuola romana presenti nella chiesa della Madonna dei
Monti a Roma, una bellissima chiesa di Giacomo Della
Porta, nella cui sacrestia credo sia ancora visibile una mia
china su pergamena, rappresentante la planimetria del
rione Monti nel XVIII secolo e le facciate di quattro tra
le pi importanti basiliche presenti nel rione.
Nel frattempo avevo scoperto Bob Dylan e la musica
per me stava cambiando. Verso i quindici anni cominciai
a comporre le mie prime canzoni e a suonare in varie
band rock e blues.
A diciotto anni decisi che dovevo diventare una rock-
star e sostenni gli esami di ammissione alla SIAE come
autore e compositore. Sono ancora iscritto, scrivo e
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suono ancora (non solo nei locali per: anche per gli
amici, davanti a una buona bottiglia, e per me stesso).
Cominciai a studiare archeologia a Roma e, oltre alla
possibilit di conoscere il Prof. Moretti (il pap del pi
popolare Nanni), docente appassionato e appassionan-
te di epigrafia greca ed il Prof. Colonna, esperto di
etruscologia, materia che mi appassion talmente che
ancora conservo un mio trattatello (ovviamente mai
pubblicato) sulla lingua e la cultura etrusche. Ebbi al
contempo lopportunit di seguire alcuni scavi del
Prof. Andrea Carandini presso larco di Tito al Foro
Romano, proprio alle pendici del Palatino: unesperien-
za esaltante. Imparai le tecniche dello scavo stratigrafi-
co (Carandini fu il primo archeologo in Italia ad appli-
care questo tipo di metodo ad uno scavo) ed i nuovi
metodi di rilevazione stratigrafica e catalogazione dei
reperti. Daltronde adoravo talmente larte e larcheo-
logia che avrei voluto diventare un archeologo. Va
bene, direte: avevo troppi interessi ed idee poco chiare!
Per non continuare a dipendere da mia madre (a
livello economico, intendo) cominciai a lavorare in
unemittente televisiva nazionale come assistente di
produzione al TG della notte.
Da assistente divenni assistito e nel frattempo
mi dilettavo da redattore come giornalista praticante.
In seguito a varie vicissitudini (tra cui una rubrica
quotidiana che tenevo su unemittente privata romana),
entrai in una piccola agenzia di comunicazione integra-
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ta e servizi con il ruolo di factotum.
Il factotum un ruolo molto importante in una
piccola agenzia. Che significa? Occuparsi di tutto.
Facevo fotocopie, scrivevo redazionali per house organ
aziendali, seguivo sponsorizzazioni, gestivo alcuni
clienti Insomma: venni gettato nella mischia!
Non mollai, per. Fu una bella lezione di vita.
Scoprii in seguito che se vieni gettato in mare e non sai
nuotare hai due opzioni: a) affoghi; b) impari a nuota-
re allistante; c) impari a nuotare allistante e continui a
nuotare perch scopri che in fin dei conti ti piace e vuoi
migliorare il tuo stile.
Avete ragione: le opzioni erano tre.
Daltronde volevo fare lartista!
Ma che centra, direte voi, ancora questa storia del-
lartista?
Centra, perch nel frattempo, qualcuno aveva nota-
to me e le mie canzoni e ne venne fuori un disco che
nel 1994 fu distribuito addirittura dalla PolyGram. Il
mio nome darte? Alex Baggi e lalbum si chiamava
Un po di sentimento (no, non sto facendo pubblici-
t: il disco non pi in vendita da tempo ma chi
fosse interessato ad averne una copia anche solo per
curiosit basta che me lo faccia sapere).
Venni anche recensito (ottimamente) da quotidiani
e testate di settore importanti. Conservo ancora i rita-
gli per i miei figli che ancora non ho. La mia musica era
definita rock post-metropolitano.
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Per il mio destino era un altro. Infatti il caso volle
che la piccola agenzia per cui lavoravo avesse tra i pro-
pri clienti una grande azienda che, notatomi, mi offr
una possibilit nel campo della comunicazione.
Accettai, ovviamente, che domanda!
Il disco? Fu il primo e lultimo. A malincuore,
comunque.
Cinque anni di azienda, passando dal marketing alla
comunicazione di prodotto e poi la sfida.
Fui contattato dal Direttore Comunicazione di
unaltra grande azienda in piena ristrutturazione. Il
piano dimpresa prevedeva (e prevede) il risanamento
di un bilancio in passivo ed il rilancio sia a livello di
immagine sia a livello di prodotti. Leva importante era
ed la comunicazione. Tutto da fare, da creare.
Accettai, anche stavolta ovviamente. Mi occupai di
comunicare i prodotti finanziari dellazienda in que-
stione.
Quasi due anni alla Direzione Comunicazione e poi
le circostanze vollero che mi rimettessi ancora in gioco
per organizzare e gestire le attivit promocomunicazio-
nali della Direzione Commerciale a supporto della rete
vendita dellazienda stessa.
Ora sono tornato allovile pronto per una nuova
sfida, dedicandomi - nel frattempo - ad un altra mia
grande passione: la scrittura.
In conclusione: non sono diventato un pittore, n
un archeologo, n un cantautore rock. Eppure sono
29
ancora convinto che quelli fossero i passi che la fortu-
na - potrei chiamarla diversamente - mi ha dato di
compiere per formarmi una base che con la comunica-
zione ha, a mio avviso, molto a che vedere.
Non forse vero che in comunicazione immagini,
suoni, parole e memoria sono fondamentali?
Non avr fatto laiuto cuoco in un hotel come
Ogilvy. Non avr suonato il piano in un bordello come
Sgula (sono un chitarrista!).
Ho per un sogno, come tutti, che non sveler per
scaramanzia. Posso solo confermare le parole che mi
ripete spesso la mia cara amica Giusi: le cose accadono
quando devono accadere ma mai per caso. Ho scoper-
to che davvero cos.
Mi chiedete se ho trovato il mio gatto?
Ancora lo sto cercando e spero francamente di non
trovarlo mai.
Daltronde il segreto della creativit, della curiosit
e delleterna giovinezza forse proprio questo: conti-
nuare a cercare e non arrendersi mai, anche quando si
crede di aver trovato quello che si stava cercando.
Come dice il Poeta, c sempre quella siepe, che da
tanta parte, allultimo orizzonte il guardo esclude.
Quellorizzonte ci si pu accontentare di immagi-
narlo o di scoprirlo. Personalmente preferirei viverlo.
30
Unintroduzione necessaria
Sar breve, come mi ha insegnato a sforzarmi di
essere sempre un uomo che ha aperto in me nuovi
orizzonti su questo affascinante mondo che la comu-
nicazione, Franco Bellino.
Parlare dellorganizzazione di un ufficio comunica-
zione aziendale (potrebbe altres trattarsi di una
Direzione Centrale vera e propria, come nei casi che
ho sinora vissuto) significa parlare di varie tematiche e
non soltanto di advertising puro.
Non solo: lorganizzazione di un settore che si
occupa di comunicazione non pu prescindere, a mio
modo di vedere, dal contesto aziendale in cui esso si
colloca.
La comunicazione infatti uno dei tanti strumenti
31
di cui unazienda dispone e parlare di unorganizzazio-
ne di un settore del genere significa tenere conto di
molteplici fattori:
a) a quale tipo di azienda si faccia riferimento (di
prodotto - brand o multibrand - , di servizi ecc.);
b) la struttura organizzativa dellazienda in questio-
ne (per funzioni, per processi, per aree di business);
c) il tipo di cultura presente nellazienda (non poi
cos scontato che tutte le aziende siano realmente orien-
tate al marketing e questo incide profondamente sulla
struttura stessa che un settore, come quello della comu-
nicazione, ha di fatto o pu avere potenzialmente).
Soprattutto questo ultimo fattore incide moltissimo
sullintera organizzazione del processo di comunica-
zione e quindi anche sui ruoli in esso coinvolti.
Potrei cominciare a trattare il tema che mi sono pro-
posto partendo gi dal terzo capitolo ma trovo sia pi
opportuno affrontarlo gradualmente con due capitoli
che partono certamente un po da lontano e che non
pretendono in alcun modo di essere esaustivi (la biblio-
grafia a riguardo estremamente vasta e molto com-
pleta). Essi sono piuttosto un pretesto, per me e per chi
legge, per cominciare da quelle che ritengo le giuste
basi per affrontare il cammino: fornire un flash di
come lorganizzazione, la mission, il ruolo del marke-
ting (strategico e operativo), i prodotti/servizi e gli
obiettivi di unazienda siano estremamente importanti
non solo per descrivere un settore funzionale allimpre-
32
sa stessa, come quello della comunicazione ma ancor
pi per giustificarne il suo ruolo, che - come vedremo
- considero (in buona compagnia) strategico se corret-
tamente impostato.
La speranza forse quella di poter nel tempo arri-
vare ad una nuova concezione di organizzazione e
ruolo della comunicazione dimpresa e non certa-
mente un caso che gi oggi vi siano segnali in tal senso.
Sempre pi spesso infatti scuole di direzione azien-
dale si stanno concentrando sul ruolo (o meglio
nuovo ruolo) del comunicatore dazienda. Lo fanno
organizzando sempre di pi corsi e seminari orientati a
formare manager della comunicazione (communication e
advertising manager) con ruoli e responsabilit nuove,
sempre pi integrate con quelle del marketing.
Il fatto che queste necessit di razionalizzare una
figura, quella dellesperto di comunicazione dimpresa,
provengano da ambienti marketing (e chi fa parte del
settore mi capir senzaltro) quindi significativo. , a
mio modo di vedere, il segnale che le aziende stanno
chiedendo aiuto proprio a quel settore che in genere
veniva visto (in modo forse un po miope) come funzio-
nale ad altre realt aziendali tra cui il marketing stesso.
Maggiore attenzione, dunque, verso un settore fino ad
oggi considerato solo in parte per le potenzialit ancora
inespresse e che pu invece esplicitare con vantaggi per
tutta lazienda? Forse e francamente io mi auguro che sia
cos. Spero, in queste pagine, di riuscire a spiegare il perch.
33
Capitolo 1
Lazienda: funzionale o processiva?
1.1. Lorganizzazione di una azienda
Unazienda va vista come se fosse un camaleonte. Il
camaleonte si adatta e si trasforma a seconda dellam-
biente circostante. molto difficile infatti (o perlome-
no lo stato per me nella mia seppur breve esperien-
za) che unazienda si dia una determinata struttura che
non venga poi cambiata nel tempo; o concorra al rag-
giungimento dei propri obiettivi seguendo sempre il
medesimo approccio.
Daltronde una situazione stagnante sarebbe per
limpresa stessa un assurdo ed un controsenso. Di pi:
il suicidio.
La societ, nella sua globalit, in continuo cambia-
mento e la gente cambia con essa. Le mode e le abitu-
34
dini, i valori e le percezioni, gli stimoli e i governi: tutto
in costante cambiamento.
Unazienda che volesse dunque sopravvivere (o
qualcosa di pi che sopravvivere) in questa costante
rivoluzione non pu non tenere conto dei trend socia-
li, economici, culturali e tecnologici che condizionano
e trasformano ci che ad unazienda sta pi a cuore: il
suo cliente.
Per questo tutte le aziende, sia che offrano un pro-
dotto o una serie di prodotti sia che propongano un
servizio o una serie di servizi, si strutturano (o perlo-
meno dovrebbero) continuamente per non rimanere
indietro con la finalit di presidiare il cliente, possibil-
mente per prevenire il cliente, ormai soggetto attivo
e selettivo nelle proprie scelte. Dunque soggetto discri-
minante per le aziende.
Come? Anzitutto, a mio parere, dandosi una mission.
1.2. La mission aziendale
La mission sostanzialmente una dichiarazione
di intenti che lazienda si d e d al mondo esterno: chi
sono, cosa faccio, perch lo faccio, dove voglio arriva-
re, dove mi voglio posizionare.
Mi sembra per che ormai anche la mission non
35
possa pi essere considerata come una coperta di
Linus (sempre quella, per intenderci), immutabile ed
inviolabile e pertanto ritenuta cos rassicurante. Ha s
un suo valore ma al breve, medio termine.
Basta osservare i payoff delle campagne pubblicita-
rie Omnitel, oggi Vodafone
(1)
, dalla sua nascita fino ad
oggi: Quello che facciamo oggi gli altri lo faranno
domani (per acquisire un nuovo spazio attaccando
dichiaratamente il monopolio dellallora Telecom Italia
Mobile); Persone in grado di cambiare il mondo (per
comunicare, facendo un passo ulteriore, la capacit
dellazienda di dare una spinta in avanti al settore
creando al contempo un rapporto di partnership con il
cliente che egli stesso una persona in grado di cam-
biare il mondo e quindi di identificarsi negli obiettivi
dellazienda); Idee in grado di cambiare il mondo
(questo lultimo payoff di una campagna corporate in
cui Megan Gale, scalando una torre moderna, comuni-
ca metaforicamente una scalata verso la ricerca di solu-
zioni nuove per la propria clientela ed - in generale - per
il nostro mondo con limplicito assunto di migliorarlo).
Sono tutte dichiarazioni di intenti, sempre nuovi
rispetto ai nuovi contesti di riferimento e necessari
quindi ai fini di un riposizionamento stesso dellazien-
da nei confronti di quei contesti.
La mission per anche una dichiarazione di inten-
ti di cui rendere partecipi le risorse umane coinvolte nel
conseguimento degli obiettivi.
36
Chi svolge unattivit in IBM sa perch ci lavora e
conosce il senso del suo ruolo, qualsiasi esso sia, dallo-
peraio fino al top manager. Il mito della giacca blu e della
cravatta legato a quellazienda ne un risultato, costritti-
vo se vogliamo, ma pur sempre identificativo di uno stile,
una mentalit, un approccio non solo al mondo interno
ma anche nei confronti di quello esterno.
Anche se lesempio pu non essere perfettamente
appropriato rende, spero, lidea di quanto sia importan-
te che il vertice di unazienda, sia essa di piccole dimen-
sioni od una multinazionale, identifichi il senso per cui
si sul mercato (e di come ci si pone nei suoi confron-
ti) e lo trasmetta, attraverso vari strumenti (vedremo
pi avanti quali), quanto pi possibile a tutte le funzio-
ni aziendali, fino a quelle di territorio (se lazienda di
cui si parla nazionale e con una diffusa capillarit ter-
ritoriale). Tale senso o scopo deve essere quanto pi
possibile condiviso e condivisibile da tutte le risorse
coinvolte: la produzione, il marketing, le vendite, la
comunicazione di prodotto, lamministrazione, il setto-
re che gestisce le risorse umane: solo cos si pu gene-
rare consenso e motivazione nel personale.
Bisogna ricordare infatti che unazienda fatta di
persone non sempre facilmente capaci o disposte ad
adeguarsi e ad adeguare il proprio ruolo alle nuove esi-
genze imposte da un mercato in costante pulsazione, in
continuo cambiamento, ormai rapido almeno quanto i
mezzi di trasporto e i media informativi; non sempre
37
facile rimettersi totalmente in discussione e ricomincia-
re daccapo con altri obiettivi, altri mezzi, altre struttu-
re.
In sostanza unazienda pu cambiare pi facilmen-
te rotta se il capitano della nave spiega il perch ai sot-
tufficiali e ai marinai, fino allultimo mozzo.
Le mission: dichiarazioni di intenti che si evolvono,
che devono cambiare con il cambiare della societ, del
mercato, del target di riferimento, sempre pi segmen-
tato e sempre pi di nicchia
(2)
, fenomeno generato
anche dalle nuove tecnologie (Internet ed i suoi mailing
ad personam; le TV via satellite che trasmettono per tar-
get sempre pi specifici; il nuovo sistema digitale terre-
stre, che tante polemiche sta generando in questi mesi ma
concretamente una vera rivoluzione nel mondo dellin-
formazione se adeguatamente supportato da idee davve-
ro nuove, coraggiose e pertanto vincenti).
Non una mancanza di coerenza, come si direbbe
facilmente ed un po superficialmente se si stesse par-
lando di uomini politici: in realt la capacit, almeno
negli intenti, di saper correggere il tiro, di cambiare
strategie al momento giusto con il buon senso di chi -
consapevolmente - sa che anche la coerenza va guida-
ta nella giusta direzione.
(1)
Lesempio di Vodafone/Omnitel non nasce a caso.
Questa azienda opera in un mercato, quello delle telecomu-
38
nicazioni, in profonda e costante trasformazione. Un merca-
to che nato proprio dalle ceneri di un assetto monopolista
che lo rendeva, come vedremo, un non - mercato.
(2)
La cosiddetta microsegmentazione cui facevano riferimento
R. Varaldo e P. Legrenzi in un articolo tratto da Micro & Macro
Marketing n.1 apr. 1992
1.3. Obiettivi per funzioni e per processi:
il senso di una struttura divisionale
Se lazienda viene considerata un soggetto al centro
di una galassia composta da altrettanti soggetti interagen-
ti tra loro, questa ricever da questi soggetti dei segnali.
Tali segnali genereranno (o dovrebbero generare)
nel soggetto centrale (lazienda) dei segnali di reazione:
le risposte.
Per generare queste risposte non sempre sono suf-
ficienti gli strumenti operativi quali il marketing o, pi
a monte, la produzione secondo le esigenze che, dal
cliente, ci pervengono in merito a beni e servizi.
Bisogna risalire spesso pi sulla cima di quel monte
e poter mettere in discussione la stessa organizzazione
che il soggetto si dato.
Unorganizzazione strutturata per funzioni, ad
esempio, costitu una risposta valida trentanni fa ma
39
oggi necessariamente del tutto obsoleta per guidare e
gestire nel giusto senso gli strumenti di cui abbiamo
fatto cenno sopra.
Lazienda per la quale ho lavorato cinque anni,
prima che sentisse la necessit di riorganizzarsi, era
strutturata per funzioni. In buona sostanza e forzando
un poco il concetto un dirigente aveva il suo obiettivo e
doveva raggiungerlo utilizzando soltanto la sua funzione.
Il rischio pi grande di tale organizzazione era quel
fenomeno derivato da una degenerazione sistemica che in
Italia viene chiamata coltivazione del proprio orticello.
Ognuno era portato oramai, proprio per la immobi-
lit del sistema aziendale e a fronte dei cambiamenti
esterni, a considerare i propri obiettivi, le proprie infor-
mazioni come oneri e patrimonio personale, non con-
dividendo pertanto con le altre funzioni alcunch.
Non un giudizio di merito: era semplicemente un
metodo organizzativo che funzionava e poteva funzio-
nare fino a quando le societ di consulenza aziendale e
le stesse aziende non si resero conto che i tempi erano
cambiati, che esistevano altre realt - spesso in concor-
renza tra loro - che potevano minare le fondamenta
stesse dellazienda.
Era necessario effettuare un re-engineering finaliz-
zato ad una pi solida interazione tra realt aziendali
interne che a malapena comunicavano tra loro e proba-
bilmente non riuscivano a comunicare pi efficace-
mente con lesterno.
40
Questo problema port ad una riorganizzazione di
molte aziende in un ottica processiva in luogo di
quella, ormai logora, funzionale.
Gli obiettivi aziendali (non necessariamente quelli
di marketing, commerciali ecc.) devono in sostanza
essere raggiunti attraverso processi che coinvolgano
tutte le risorse dedicate e necessarie, anche trasversal-
mente alle varie realt di una stessa azienda.
La nascita del cosiddetto team work parte da que-
sto: i gruppi di lavoro, i project manager (solo per cita-
re due esempi) sono fenomeni, se cos possiamo defi-
nirli, originati dalla necessit di un comune concorrere
al raggiungimento di obiettivi (micro e macro) possibi-
le solo attraverso una riorganizzazione per processi
dellazienda.
Unazienda organizzata per processi forse, al
momento attuale - salvo nuovi cambiamenti che il mer-
cato sta ancora apportando - pi capace di rispondere
a quei mutamenti cui abbiamo fatto riferimento in pre-
cedenza e pi in grado quindi di rimettersi ancora in
discussione (come vedremo quando si parler di
imprese multicellulari e globali).
Pensiamo ad esempio ad una squadra di calcio. C
un allenatore, ci sono undici calciatori e (ormai) altret-
tante riserve: una vera e propria piccola azienda che ha
un obiettivo, vincere.
Ovviamente non facciamo in questa sede alcun rife-
rimento alla societ che gestisce la squadra ma sempli-
41
cemente a quel team di persone che concorrono tutti,
per le proprie attitudini, ruoli e competenze, al rag-
giungimento di un obiettivo (tu guarda il caso! In ingle-
se si dice goal).
Ci sono i ruoli: il portiere, i difensori, il mediano, i
centrocampisti e gli attaccanti: lallenatore d una
impostazione alla squadra, facendo una dichiarazione
di intenti (mission), di cui rende partecipi i giocatori e
lopinione pubblica nonch unorganizzazione di gioco
(struttura).
Noto che quanto pi mi addentro nellesempio
tanto pi ne riscontro la possibile rispondenza con
quanto detto sinora: anche in questo caso (la storia del
calcio ce lo insegna) sempre di pi le squadre sono pas-
sate da unorganizzazione basata sulla marcatura a
uomo (funzione) ad una organizzazione che punta sulla
marcatura a zona (processo).
Sembra un fatto irrilevante ma anche questo tipo di
fenomeno rappresenta unevoluzione nata dalla neces-
sit di fronteggiare squadre sempre pi competitive. Il
gioco a zona consente dunque alle squadre di far con-
correre meglio tutti i calciatori, secondo una logica
processiva, al raggiungimento dellobiettivo (non sol-
tanto il gol, quanto piuttosto il contenimento delle
offensive avversarie, limpossessamento di zone strate-
giche del campo e via dicendo): tutto questo senza
distogliere una o pi risorse delegandole al conteni-
mento di un solo avversario.
42
Salvo riorganizzarsi a seconda della squadra avver-
saria, per meglio adattarsi e rispondere pi efficace-
mente agli attacchi della stessa (magari con una zona
mista).
Perdonerete questo esempio, blasfemo se volete ma
in fondo utile a capire la differenza tra organizzazione
funzionale e organizzazione processiva.
Da azienda processiva a struttura divisionale il
passo breve e cercher di renderlo ancora pi breve.
In sostanza, unazienda pu strutturarsi in vari
modi, come abbiamo accennato allinizio del capitolo:
basandosi sul prodotto, sui target di riferimento, sulle
aree di business e potremo continuare.
La struttura divisionale consiste nel suddividere la-
zienda in (pi o meno) tante ulteriori aziende pi pic-
cole (divisioni) in cui si concentrano strutture quali il
marketing, le vendite, la gestione delle risorse umane,
lamministrazione, la programmazione ed il controllo
di gestione e talvolta anche gli uffici di comunicazione.
questo il caso delle aziende in cui le Divisioni
sono strutturate per prodotto o per target di riferimen-
to (o mercato).
Le varie strutture divisionali che abbiamo descritto
concorrono a conseguire gli obiettivi di Divisione
attraverso leve interne o comunque gestite allinterno.
Il rischio che si pu correre con questo tipo di struttu-
ra che gli obiettivi non sempre rispondano agli input
strategici aziendali; ovvero che ogni Divisione comuni-
43
chi allinterno dellazienda o (fatto ancor pi grave)
allesterno seguendo criteri, usando linguaggi distonici
con le altre realt aziendali o con la totalit dellazien-
da stessa.
Tale rischio reale ed per questo che, quasi nella
totalit delle aziende che si strutturano nel modo
descritto, sono state individuate cosiddette aree di staff
che, facendo spesso capo direttamente allAmministratore
Delegato (o Direttore Generale) hanno una funzione
strategica di controllo, supervisione, coordinamento di
tutte le attivit dellazienda stessa.
Queste aree (o Direzioni) seguono in modo trasver-
sale ed interdivisionale le strutture di business aiutan-
dole - attraverso strumenti univoci - a raggiungere gli
obiettivi divisionali e al contempo aziendali. Esse
hanno anche il compito di dare dellazienda comunque
unimmagine unica, coordinata e omogenea.
Vedremo come spesso la nascita di conflitti tra mar-
keting e comunicazione nascano in aziende in cui non
esiste questo approccio della comunicazione come
staff aziendale (cfr. Collesei ne: I conflitti tra marketing e
comunicazione).
Daltronde, come ci ricorda Renato Fiocca, limpor-
tanza del brand fondamentale anche per questo: il
cliente non riconosce di sicuro come soggetto le singo-
le strutture aziendali; spesso neanche lazienda. Il
brand per, per il cliente, esso stesso valore o non valo-
re. Il brand, quindi, nellimmagine che il cliente perce-
44
pisce di esso, impatta sicuramente, a livello di associa-
zione sullimmagine complessiva di unazienda.
Determinandola.
Il cliente non sa (o non vuole sapere perch non
interessato), nel momento in cui sceglie e/o acquista
un prodotto, se lo stesso sia della Divisione x o della
Divisione y: egli acquista il prodotto dellazienda z. Di
pi: acquista il brand w.
Di fatto egli sceglie e acquista il prodotto percepen-
dolo esso stesso come brand aziendale.
Ancora una volta era opportuno avere una panora-
mica di certe tematiche, ben lungi dal pretendere des-
sere esaustivo. Lo scopo, spero riuscito, di questo capi-
tolo era quello di dimostrare come tutti gli strumenti
che unazienda utilizza per raggiungere i propri obietti-
vi (e noi dovremo parlare soltanto di uno solo di que-
sti strumenti) siano strettamente correlati alla propria
struttura organizzativa e siano descrivibili soltanto alla
luce del tipo di azienda cui si fa riferimento.
A questo proposito, nellultimo paragrafo, si evince
- a questo punto ritengo abbastanza chiaramente - che,
se parliamo di comunicazione, le possibili strade da
seguire, per unazienda organizzata per Divisioni, siano
(almeno al momento attuale) sostanzialmente due:
a) Il settore comunicazione come ununica real-
t aziendale di staff che raccoglie in s le esigenze di
comunicazione di prodotto e quelle di comunicazione
corporate rispondendo a tali esigenze con un determina-
45
to tipo di organizzazione;
b) Ogni Divisione di prodotto ha un proprio set-
tore di comunicazione che risponde alle sole esigenze
riguardanti la comunicazione di prodotto; esister per
necessariamente una struttura comunicazione di staff
che, omogeneizzando i messaggi diretti allesterno, si
occupi in prima persona della comunicazione corporate.
Nel quarto capitolo, quando accenner ai conflitti
tra marketing e comunicazione, capiremo perch la
prima delle due opzioni funzioni pi efficacemente.
Non ho ancora fatto riferimento a ci che si inten-
de comunemente quando si parla di comunicazione.
evidente, per chi opera nel settore (sia lato azienda,
sia lato agenzia), che non ci si riferisce al solo advertising
ma a molte altre realt.
Lorganizzazione di una struttura del genere com-
plessa e pu variare, come abbiamo visto, da azienda
ad azienda. Dal terzo capitolo cercher di descrivere,
per quanto mi sar possibile, lorganizzazione di una
struttura centrale di staff fino alle sue varie funzioni
aziendali (che dora in avanti preferirei definire poli) .
Dal prossimo capitolo in poi cercher di entrare un
poco pi nello specifico di ci che la comunicazione
pu fare per lazienda (focalizzando la mia attenzione
sempre di pi sulladvertising management) e di ci che
lazienda pu aspettarsi dalla comunicazione
(1)
.
per questo che ritengo opportuno chiacchierare
un po sul ruolo del marketing, delle ricerche, del pro-
46
dotto e di quanto esso sia importante per chi fa comu-
nicazione (ma anche per chi vende).
Far qualche accenno anche al trade marketing,
sempre in bilico tra due realt, il marketing e le vendi-
te, e allimportanza che esso riveste anche e soprattut-
to per la comunicazione e per il sell-out dellazienda.
(1) Troppo spesso - e chi si occupa di comunicazione lo sa
bene - le aziende ritengono generalmente che se un prodotto
non vende le responsabilit siano da attribuire semplicistica-
mente alla pubblicit.
Pu anche essere vero, talvolta, che chi fa comunicazione
abbia effettivamente una pagliuzza nellocchio che gli duole un
po(cercher di spiegare il perch nel capitolo riguardante il
rapporto con lagenzia).
anche molto probabile per che altri settori, nellocchio,
abbiano travi di cui non si accorgono.
Quante volte un prodotto un flop in partenza e si chiede a
chi fa comunicazione di renderlo quello che non e non sar
mai?
Quante volte, ancora oggi, si propone un prodotto al cliente
senza dargli il giusto posizionamento, senza un target specifi-
co a cui offrirlo, senza dargli in sostanza ci di cui ha bisogno
non solo per essere comunicato ma per essere venduto? Salvo
scoprire poi che il prodotto non frutto di ricerche su target
specifici e che nasce da altre logiche che poco hanno a che
vedere con lanalisi del contesto di riferimento esterno Valga a
dire creare prodotti che alimentino un mercato piuttosto che
creare un mercato attraverso lanalisi di reali bisogni (pure
latenti e ancorch inespressi).
Il ruolo del trade marketing, poi, sufficientemente presidia-
47
to in tutte le sue potenzialit?
Il ruolo di chi fa pubblicit importante sia dal lato dellazien-
da sia dal lato dellagenzia. Credo sempre di pi, a tale propo-
sito, chela sfida da raccogliere per il futuro per chi opera nella
comunicazione dimpresa sia quella di riuscire ad indirizzare e
sensibilizzare, quasi alla stregua di consulenti, sempre mag-
giormente quei settori come il marketing (ma non soltanto), ad
un approfondimento di alcune delle problematiche sollevate
in questa sede e a proporre soluzioni a conflitti tra marketing
e comunicazione (cfr. U. Collesei - Conflitti tra marketing e
comunicazione- op. cit. nei riferimenti bibliografici) derivanti
dai cambiamenti in atto. Soluzioni che consentano alladverti-
sing manager e pi in generale al communication manager di
poter fornire allazienda e allagenzia ogni supporto ritenuto
utile per ottenere strategie di comunicazione davvero efficaci.
Lazienda non potr che trarne beneficio con risultati davve-
ro soddisfacenti, sia esterni sia interni.
Se poi si riuscisse anche ad arrivare a Cannes e vincere
Ma questa unaltra storia.
Una storia che forse un giorno prover a raccontare.
1.4. Anticipiamo le conclusioni?
No. Non vorrei assolutamente che abbiate limpres-
sione che stia per svelarvi il finale del libro giallo,
dicendovi chi sia il colpevole, prima ancora che abbia-
te letto il libro stesso e che abbiate provato a fare delle
congetture, delle ipotesi o magari gi tratto le vostre
conclusioni.
48
giusto per dire che lazienda intesa in senso pro-
cessivo sta trasformandosi ancora, proprio nellottica
di quanto detto sino ad ora.
Il continuo cambiamento in atto del contesto sociale,
politico ed economico del mondo industrializzato sta
generando una crisi (potremo definirla di identit), genera-
lizzata che sta minando (o meglio ha minato) anche le cer-
tezze di una organizzazione per processi.
Questo fenomeno, pi che mettere in discussione la
struttura organizzativa per processi, risolta con soluzioni
divisionali da parte delle aziende di grandi dimensioni, sta
portando le aziende stesse (o almeno ce lo auguriamo) a
riflettere sul ruolo stesso che tali processi dovrebbero
assumere nei nuovi scenari che si stanno delineando.
Anche le divisioni - nel senso che abbiamo spiegato -
potrebbero (e personalmente credo che lo saranno) essere
messe in discussione e rivisitate ovvero stravolte o cancel-
late, sostituite da nuove soluzioni che per eviter di anti-
cipare in questo paragrafo.
E le strutture di staff? Chiss. Forse ancora di pi
diverranno elementi di raccordo e acquisiranno sempre
maggiore importanza. In una forma pi snella, per.
In ogni caso, per tentare delle risposte possibili, riman-
do i lettori allultimo capitolo di questo volumetto in cui
prover ad affrontare - approfondendolo per quanto pos-
sibile - il tema dei nuovi scenari previsti o probabili in cui
aziende ed agenzie, pi o meno volentieri, dovranno muo-
versi per riadattarsi alle nuove realt socio-economiche.
49
Capitolo 2:
Il ruolo del marketing in unazienda
2.1. Limportanza di un reale orientamento al cliente
Inizier con il dire, e con il rischio di ripetermi,
quale non sia lobiettivo di questo secondo capitolo.
Questo volumetto non ha in alcun modo lambizio-
ne o la pretesa di arricchire una gi vastissima bibliogra-
fia a riguardo, descrivendo gli strumenti per la compren-
sione di ci che il marketing sia o faccia in unazienda.
Non parler n di marketing strategico o operativo,
n di marketing globale. Non spiegher in cosa consista
il marketing di terza generazione n parler in generale
della nascita e dellevoluzione di questo argomento.
Sul marketing infatti, esiste - e lo ribadisco - una
vastissima bibliografia. Chi fosse interessato ad appro-
fondire certe tematiche cui potr fare riferimento per
50
indubitabile deformazione professionale potr trovare
un valido riferimento (e risposte sufficientemente
esaustive) in studiosi quali Kotler, Lambin, Corigliano,
Eiglier (solo per fare qualche nome, le cui opere - alme-
no quelle che ho letto - sono comunque riportate nella
nota bibliografica).
I miei dunque saranno soltanto accenni a volo duc-
cello su cosa consista il marketing e - soprattutto - su
cosa si debba ad esso richiedere o quantomeno da esso
aspettarsi.
Parler adesso degli obiettivi di questo capitolo.
Lobiettivo fondamentale quello di far comprendere
quale sia limportanza, in unazienda, di una reale cul-
tura improntata ed orientata al marketing, ai fini di una
efficace comunicazione dei prodotti e dei servizi stu-
diati per fare fatturato.
Ci si accorger poi, nella pratica quotidiana in una
azienda, di quanto spesso anche un orientamento al
marketing non sia pi condizione necessaria e suffi-
ciente per contribuire al successo dellazienda stessa.
Ma andiamo per gradi.
Il fatturato importantissimo, fondamentale direi.
Esso, per, non pu prescindere da un processo che
tenga conto di un orientamento davvero finalizzato a
raccogliere i messaggi che pervengono dallesterno in
generale e dal nostro target di riferimento in particola-
re. Anche se tutto ci sembra scontato, non sempre
questo - purtroppo - lo spirito che aleggia in alcune,
51
spesso troppe, aziende.
La comunicazione (in tutte le sue forme: parleremo
a suo tempo anche di cosa si intenda per comunicazio-
ne integrata) una delle leve che il marketing utilizza
per conseguire i propri obiettivi. Non certamente lu-
nica, per.
Se unazienda non veramente orientata al cliente (e
questo orientamento, oggi nel 2004, potrebbe gi non
essere pi sufficiente a farci dormire sonni tranquilli:
basti pensare al one-to-one marketing che spadroneggia
negli Stati Uniti, criticato peraltro gi dopo pochi anni
dalla sua nascita), difficilmente latteggiamento del
cliente nei confronti del nostro prodotto, del nostro
servizio, della nostra azienda (s, anche lazienda e
vedremo perch), pur intervenendo su tutte le fasi che
generano il processo di acquisto, potr essere influen-
zato o addirittura modificato.
N attraverso loggetto dellacquisto (il bene tangi-
bile o intangibile che sia), n attraverso il prezzo dello
stesso, n attraverso la sua distribuzione.
Non si potranno lasciare per tutte le responsabili-
t di un eventuale flop alla comunicazione.
Essa s schiava del marketing ma anche il marke-
ting, se gestito con buon senso, schiavo della comu-
nicazione. Un rapporto di mutua assistenza e recipro-
ca necessit.
La comunicazione, se correttamente gestita oltre la
fase di realizzazione della campagna pubblicitaria,
52
deve poter generare infatti un feedback, un ritorno di
informazioni da parte del cliente: un feedback che, se
letto ed interpretato risulta vitale per il marketing.
Questo feedback deve poter generare nel marketing
- per s e per la sopravvivenza stessa dellazienda in cui
esso opera - nuove domande da porre e da porsi; che
generanno a loro volta nuove risposte. Il marketing
deve poter utilizzare sempre di pi la comunicazione e
di integrarsi con essa non solo per finalizzare i propri
obiettivi ma anche per verificare lefficacia degli stessi
o la effettiva rispondenza con quanto il cliente si aspet-
ta o non si aspetta. Confrontarsi con questo feedback
significa avere la forza di rimettersi in discussione e
ricominciare lintero processo. Un processo che defini-
rei circolare e variabile nel tempo, influenzato com da
agenti esterni che - non mi dimenticher di ripeterlo -
sono in continuo cambiamento.
In sintesi, cosa vuol dire orientamento al cliente?
Significa in sostanza affermare:
a) che lazienda aperta a guardarsi allesterno e
quindi ad assorbire, allinterno dei suoi processi di
marketing (ma non solo), i segnali captati. Ebbene s,
sembra strano ma quando si studiano i grandi testi
sacri doltreoceano si tende a dare per scontato che il
marketing consista nellorientarsi al cliente, salvo sco-
prire - ancora in molte realt aziendali soprattutto ita-
liane - che si continua a pianificare, produrre, comuni-
care, vendere secondo il vecchissimo concetto di
53
orientamento al prodotto;
b) che lazienda conosce il proprio mercato di rife-
rimento, i propri concorrenti, il proprio posizionamen-
to nei confronti del mercato, le proprie quote di merca-
to rispetto a quelle della concorrenza, i propri vantaggi
competitivi e i propri punti di forza e di debolezza;
c) che lazienda produce in funzione delle infor-
mazioni che provengono dal cliente, secondo le neces-
sit dello stesso;
d) che lazienda, attraverso linterpretazione di
bisogni latenti non ancora esplicitati, anticipi addirit-
tura le esigenze del suo cliente o lo induca a sviluppa-
re nuove esigenze.
In tre parole tutto ci che abbiamo detto consiste
in: conosci il tuo cliente.
Ma chi il cliente? Cosa significa questa misteriosa
parola? Provate a chiedere in giro.
Probabili risposte? Eccole: acquirente, consumatore, com-
pratore
C chi - soprattutto nelle aziende di servizi - ancora
ama definire il cliente chiamandolo con letimo che deri-
va dal verbo latino utor (= usare): utente, utilizzatore!
Non si tratta di disquisire di lana caprina: la diffe-
renza tra i due termini (e, ovviamente, i due ruoli svol-
ti nei confronti dellazienda) fondamentale.
Lutente infatti generalmente inteso come fruitore
di beni o servizi. Questo ruolo - lo dice la parola stes-
sa - un ruolo generalmente visto come passivo.
54
Le variabili decisionale, dinamica e proattiva non
sono generalmente prese in considerazione.
Forse, per capire la differenza tra utente e cliente
baster citare lesempio di una grande azienda italiana
di telecomunicazioni la quale, operando in regime di
monopolio, considerava (concettualmente) e chiamava
(di conseguenza) utenti i propri abbonati.
Bast che - prima con la telefonia mobile, poi con
la telefonia fissa - cambiasse il mercato di riferimento
(che solo allora divent mercato) con larrivo di aziende
concorrenti che, voil, il vecchio e bistrattato utente
era diventato (forse non ancora, allepoca in senso con-
cettuale, il Cliente (con la c maiuscola, beninteso).
Credo che lesempio riportato (niente affatto polemi-
co ma che intende anzi dimostrare come unazienda
debba rimettersi in discussione fin dalla propria cultura in
funzione dei cambiamenti esterni sempre pi imprevedi-
bili che generano scenari sempre pi competitivi) renda
a questo punto pi semplice capire chi sia effettivamen-
te il cliente e quale sia, presumibilmente, il ruolo - impor-
tantissimo - che egli ha nei confronti di unazienda.
Se, come abbiamo detto, quello dellutente un
ruolo in prevalenza passivo ed quindi caratterizzato
da una mancanza di interazione con lazienda di riferi-
mento, per il cliente vale un altro discorso.
Egli intanto soggetto e non oggetto di un rappor-
to con lazienda, con il prodotto, con il mercato.
Il cliente attivo, dinamico ma soprattutto ha una
55
capacit che croce e delizia per le aziende: pu scegliere!
Sembra poco? Basta provare ad aggirarsi tra i ban-
chi di un mercato. S, proprio uno di quei mercati alla-
perto (a Roma c ad esempio il mercato di Campo de
Fiori, per qualsiasi marketing manager o advertising
manager visita che si rivelerebbe estremamente istrut-
tiva). Prendiamo ad esempio un prodotto generico.
Come dite? Il pesce? Va bene: vada per il pesce.
Ci sono molti banchi che vendono pesce, tutti in
concorrenza tra loro. Provate a vedere come si conten-
dono la massaia che sta facendo la spesa. Guardatela:
non certamente una sprovveduta.
Il banchista usa tutte le leve di marketing necessarie,
forse neanche lo sa ma cos: il pesce pi fresco, il
prezzo pi competitivo, la maggior scelta, gli arrivi
giornalieri, lesperienza e la presenza nel mercato da
generazioni, la conoscenza personale della massaia, dei
suoi gusti e delle sue personali preferenze.
E la massaia sceglie tra lofferta disponibile. Non
detto che acquisti e comunque il suo processo di acqui-
sto non finisce con lacquisto stesso.
Se il pesce non fresco, se il prezzo non favore-
vole, se lofferta limitata, se il venditore stato cio
ingannevole nelle leve di persuasione (e tanti altri se
che risparmio per pura pietas cristiana nei confronti di
chi legge) la massaia non far la cosa pi importante:
riacquistare. Passer probabilmente al banco concor-
rente, non mancando di far notare il suo disappunto al
56
precedente venditore (e probabilmente anche al nuovo,
che lo sfrutter a proprio favore per conquistarsi i
favori della nostra signora Maria). Cercando di genera-
re un processo di fidelizzazione.
Mi rendo conto che lapproccio apparentemente
non tecnico dato al volumetto pu suscitare ilarit ma
correr il rischio. Personalmente sono convinto che le
scienze vadano divulgate in modo che diventino reale
patrimonio, piuttosto che descritte con intenti settari
che fanno - attraverso luso di americanismi e lemmi
criptici - di concetti in fondo logici, di buon senso e per-
tanto semplici elucubrazioni pseudoscientifiche che
poco per hanno a che vedere con la realt. Il che mi
porta ad una forma di autoindulgenza e a giustificare
pertanto luso di esempi apparentemente ingenui (e
forse un po lo sono: la squadra di calcio, il mercato... e
non ho ancora finito).
So anche per che molti processi socio-psicologici,
ricondotti a teorie scientifiche e spiegati utilizzando
formule, equazioni e quantaltro necessario a confon-
dere le idee a chi vorrebbe capire davvero possono
essere esplicitati utilizzando esempi presi in prestito dal
vivere quotidiano che gi di per s ci familiare e di
cui dunque riconosciamo odori e sapori.
Basta osservare un po pi in profondit quello che
accade intorno a noi e riuscire ad interpretarlo. O per-
lomeno tentare. Lesempio del mercato, a mio avviso,
spiega abbastanza realisticamente - anche se semplici-
57
sticamente - cosa sia, in fondo, il marketing (al di l
degli enunciati che si possono leggere nei testi sacri).
Rende abbastanza bene anche lidea di chi sia il
cliente e del ruolo paritetico di questi con lazienda.
Il cliente nato nel momento in cui nato il merca-
to inteso come molteplici realt in concorrenza tra
loro. Il concetto di cliente in senso aziendale nasce
dunque, a mio modo di vedere, da unevoluzione del
concetto di utente, evoluzione dovuta allo sviluppo di
un mercato concorrenziale e al nuovo ruolo che il
destinatario di beni e servizi ha rappresentato e rappre-
senta oggi per le aziende stesse.
un ruolo, quello del cliente, che d per assunto
un regime di libera concorrenza in cui pi soggetti
hanno qualcosa da offrire.
Il problema che levoluzione cui siamo andati
incontro non consiste solo nel nuovo tipo di interpre-
tazione della legge economica che si basa sul vecchio
binomio domanda/offerta. necessario generare
nuove leve che inducano a produrre non solo in fun-
zione della domanda ma anche in funzione del feed-
back creato dalle risposte produttive a questa doman-
da. Con lbiettivo di anticipare nuove domande.
Insomma: il binomio produrre secondo domanda
o domandare in funzione dellofferta non basta pi
perch non pi vero. Gli economisti devono trovare
nuove strade pi rispondenti al nuovo mercato. A que-
sto punto per necessario porsi nuovamente la doman-
58
da: chi il cliente? Focalizzandoci sul chi, stavolta.
Questo importante non solo per capire quale sia
la domanda richiesta dal cliente ma per riuscire a pre-
venire, come dicevo inizialmente, la domanda stessa.
Per meglio dire: non necessario conoscere il cliente
solo per rispondere meglio alle sue esigenze con prodot-
ti specifici; dobbiamo poter riuscire ad interpretare -
prima della concorrenza - i bisogni latenti o inespressi.
Qualcuno accusa il marketing di essere cinico, di
generare cio bisogni spesso superflui; e con esso,
ovviamente, la pubblicit.
Lo pensavo anchio, in verit, molto tempo fa.
Oggi invece questa mia convinzione rimane valida
solo quando penso ad un marketing cattivo, fatto male
cio e applicato peggio.
Credo che un buon marketing ed una buona comu-
nicazione possano in realt prevedere di cosa il cliente
avr bisogno domani o in un futuro pi lontano.
mia convinzione che bisogna credere in una fun-
zione sociale del marketing e della pubblicit: linter-
pretazione di bisogni latenti e inespressi pu - se gene-
ra risposte adeguate - migliorare la nostra vita
(1)
.
Si tratta di saper ascoltare, di saper leggere i segnali
che il cliente ci manda. Credo quindi nella totale cen-
tralit del cliente, anche in fase di generazione di nuovi
bisogni. La sfida , come sempre, tentare un processo
di fidelizzazione, a mio avviso gi insita nel concetto
stesso di cliente.
59
Nellaccezione latina il cliente era etimologicamente
il protetto dal dominus
(2)
.
Proteggere significa a mio avviso generare fiducia.
Se si ha fiducia, si fedeli: alla persona, certo. Ma mi si
permetta di estendere questo processo anche al pro-
dotto, al brand e di conseguenza allazienda. Se la
comunicazione pu contribuire - e sono fermamente
convinto che possa contribuire - a generare una forte
brand loyalty avremo fatto almeno met del lavoro che
unazienda ci richieder nel nostro mandato.
Ecco perch apprezzo molto la definizione di clien-
te che danno gli avvocati. Provate a chiederlo al vostro
amico avvocato: Chi , per te, un cliente?. Sono certo
che vi risponder: Che domanda: il mio assistito!
(1) Il rischio che per spesso si corre, e bisogna rico-
noscerlo, che - soprattutto nel campo del fashion - il mar-
keting generi e trasmetta, attraverso la leva comunicaziona-
le, modelli e valori comportamentali, estetici/somatici,
semiologici e concettuali che possono ingenerare nel clien-
te un senso di inadeguatezza e di disagio. Egli percepisce
infatti tali modelli come inarrivabili, considerandoli per al
contempo come accettati e condivisi dalla comunit e per-
tanto necessari allautoaffermazione e allaccettazione
presso la comunit stessa cui si fa riferimento. Questo pu
generare una reazione che si concretizza nellaccettazione
e nel conseguente adattamento a quei determinati modelli,
acquisendoli attraverso i beni che vengono ritenuti (o
meglio che facciamo credere siano, proprio per venderli) i
simboli identificanti (ed identificabili dallesterno) lo status
60
e la conseguente appartenenza alla comunit/status.
Pi spesso per si genera nel cliente, proprio per que-
sta irrangiungibilit che provoca inadeguatezza e disagio,
un processo di stress psicologico che pu portare - in alcu-
ni casi - a vera e propria alienazione o a forme patologi-
che riscontrabili nella realt.
Pensiamo soltanto al nuovo concetto di donna rappresen-
tato dalla moda e dalla musica (videoclip) attraverso luso di
modelle sempre pi bambine e sempre pi magre e la realiz-
zazione di abiti ed accessori nati per questo tipo di donne.
Sappiamo bene (in generale) cosa stia scatenando que-
sto nuovo modello nella reazione psicologica negativa:
depressione, anoressia solo per citare due esempi; nella
reazione apparentemente positiva: ricerca della forma este-
tica a tutti i costi, attraverso palestre (fitness), cure esteti-
che, liposuzioni e lifting (anche in casi obiettivamente non
necessari). Uninadeguatezza forse generata da valori sem-
pre pi legati allapparire ma che debbono far riflettere
anche chi opera nel marketing e nella comunicazione.
(2) S, daccordo. Eravate curiosi, siete andati a verifi-
care su un dizionario di latino (magari il Castiglioni e
Mariotti?) se fosse rispondente la traduzione che faccio di
cliente e avete scoperto che questo termine poteva stare
a significare (per Cesare ed in senso spregiativo) suddito
o vassallo riferito alle popolazioni germaniche. Allora,
dato che siete ancora pi curiosi siete andati a consultare
un vocabolario della lingua italiana (lo Zingarelli, forse)
che ci parla di cliente come colui che si avvale di beni o
servizi generalmente dallo stesso professionista (in un
rapporto continuativo, cio; tanto che si precisa subito
dopo che il rapporto abituale). Sarete poi tornati sul
dizionario di latino e avrete constatato che per clientela si
parla addirittura di alleanza. Ma allora, forse questo studio
61
sul significato storico ed etimologico di cliente ci ha por-
tato a qualcosa di ancora pi chiaro!
2.2. Il marketing:
ci che e ci che dobbiamo aspettarci da esso
Analizzare i comportamenti di un figlio senza cono-
scere il contesto in cui vive (ambiente ma soprattutto
genitori) per uno psicologo abbastanza difficile.
Io non sono uno psicologo ma mi rendo conto che
parlare di comunicazione senza fare riferimento al
nostro pap, impresa altrettanto difficile poich il
marketing integrato fortemente con le decisioni stra-
tegiche ed operative di comunicazione.
La prima descrizione fatta formalmente di ci che si
intende per marketing fu attribuita allAmerican
Marketing Association in un periodo in cui il mondo
occidentale industrializzato stava sprofondando in un
baratro (crollo della borsa a Wall Street del 1929) da cui
si sarebbe definitivamente ripreso parecchi anni dopo.
Il marketing comprende la realizzazione delle attivi-
t economiche che dirigono il flusso dei beni dal produt-
tore al consumatore. Realizzare cio una serie di attivi-
t che hanno lo scopo di rendere efficiente e rapido il
passaggio del prodotto dalla fabbrica al consumatore.
Una descrizione evidentemente lacunosa e abba-
62
stanza fumosa, non certamente utile a spiegare cosa il
marketing sia o dovrebbe essere in realt. Sta di fatto
che c ancora qualcuno che crede che le attivit di
marketing siano prettamente operative e logistiche.
La seconda descrizione formale sempre dellA.M.A.:
Il marketing lesecuzione di unattivit economica
che dirige il flusso dei beni, dal produttore al consuma-
tore, cos da soddisfare nel miglior modo possibile il
consumatore e raggiungere gli obiettivi.
Entrano dunque in gioco soddisfazione del cliente e
redditivit aziendale. Questa definizione costituisce
dunque un passo avanti rispetto alla precedente.
Negli anni 40, negli Stati Uniti il marketing diventa
il coordinamento di tutte le funzioni aziendali finaliz-
zate al raggiungimento degli obiettivi. Le aziende
cominciano a definirsi marketing oriented e questo provo-
c i primi contrasti negli ambienti interni alle imprese
in quanto le altre funzioni fraintendevano in questa
definizione il concetto di marketing, sovrapponendolo
alla funzione aziendale omonima.
Sempre negli Stati Uniti (ma siamo ormai negli anni
50) il marketing si propone di conoscere, diventando
sempre di pi scienza specialistica.
Esso diviene il metodo scientifico di analisi dei
fenomeni di mercato, intendendo per mercato il
complesso dei consumatori, della concorrenza e della
distribuzione.
Lobiettivo delle aziende negli anni 60 era sempre
63
di pi quello di garantirsi una sopravvivenza e possibil-
mente uno sviluppo.
Il marketing assunse sempre di pi una valenza stra-
tegica divenendo analisi, organizzazione, pianifi-
cazione e controllo delle risorse e delle attivit azien-
dali rivolte ai consumatori con lobiettivo di ottenere i
migliori risultati economici.
Questo fu un momento molto importante in quan-
to ci si rese conto di come la vita dellazienda fosse
legata al mercato e quindi di quanto fosse ormai indi-
spensabile confrontarsi con esso.
Si comprese inoltre come, partendo dallottimizzazio-
ne delle risorse interne, si potesse incrementare la capa-
cit di raggiungere gli obiettivi e di gestire il successo.
Questi sviluppi del concetto stesso di marketing e
del suo ruolo hanno ovviamente inciso notevolmente
su quanto ad esso correlato. Hanno inciso sullorganiz-
zazione aziendale ma anche sul processo strategico ed
operativo del communication mix.
Il marketing ha ormai un ruolo strategico ed un ruolo
operativo. Il ruolo operativo gestisce la relazione prodot-
to-cliente, mettendo in campo tutte le attivit che si
rendono necessarie per ottimizzare il percorso che il
prodotto compie nei confronti del consumatore. Il
ruolo strategico si occupa della relazione cliente-pro-
dotto, regolando i fattori indicatori del prodotto in
funzione delle esigenze, necessit, richieste del consu-
matore. Questo schema si applica anche alla strategia di
64
comunicazione.
per questo che la ricerca sul target, sui mezzi, sul
prodotto pre e post produzione, sul messaggio, sul
feedback che esso genera ormai fondamentale.
Per concludere questo breve paragrafo su ci che
dobbiamo cercare nel marketing sintetizzer dicendo
che esso:
a) Analizza il mercato;
b) Definisce gli obiettivi;
c) Individua le risorse;
d) Realizza le attivit;
e) Verifica i risultati.
2.3. Il marketing come sonda:
convincere od essere convinti dal cliente?
Il ruolo del market research
Come la penso personalmente nei riguardi del clien-
te credo sia ormai piuttosto chiaro. Limportanza del
suo ruolo , direi, strategica ai fini di una corretta atti-
vit di marketing e di una conseguente attivit di comu-
nicazione. Mi ero ripromesso di passare su questi temi
a volo duccello e anche piuttosto velocemente, senza
entrare troppo nei dettagli tecnici delle questioni tratta-
te. Pur nella lunghezza dei precedenti paragrafi credo
65
di avere mantenuto la promessa.
La domanda cui per non ho ancora dato una rispo-
sta : Chi il cliente?
Questa domanda , ovviamente, di carattere provo-
catorio e serve da stimolo a guardare sempre fuori
dalle mura delledificio in cui lavoriamo.
Potrei rispondere pirandellianamente: Uno, nessu-
no e centomila. un concetto comunque, al di l
della facezia, che ha un suo senso e in cui sostanzial-
mente credo.
Il marketing ha gi a disposizione qualche risposta
fornita dallo studio di modelli comportamentali che
hanno generato standard quali i quattro stili di vita di
Sinottica, divisi nei cinque macro raggruppamenti (per
intenderci i famosi delfini, massaie, studenti, colleghe, arriva-
ticitati in ordine sparso).
evidente che questi standard possono avere un
valore culturale per chi opera nel settore nonch un
valore importante come base di partenza o, meglio, di
orientamento (rientrano nel discorso anche le ricerche
sociali condotte da ISTAT, Eurisko).
Non possono per assolutamente essere pi conside-
rati strumenti sufficienti a fornire le risposte che unazien-
da cerca e di cui (diamo per scontato) senta il bisogno.
Una sonda. Il marketing deve sempre di pi diven-
tare una sonda che scava in profondit, alla ricerca di
elementi nuovi che possano essere interpretati e utiliz-
zati per i propri fini.
66
Non ho mai lavorato alla Gallup ma, come il gran-
de maestro Ogilvy che invece lo ha fatto, sono ferma-
mente convinto che non bisogna mai stancarsi di effet-
tuare ricerche. Prima e dopo la realizzazione di un pro-
dotto o di una campagna pubblicitaria. Soprattutto prima.
Indagini motivazionali, quantitative, analisi: tutti
strumenti che gli statistici conoscono a menadito ma di
cui devono servirsi sempre di pi gli uomini del mar-
keting (e della comunicazione: vedremo in che modo).
Senza dimenticare, per chi opera nella comunicazione
mirate indagini antropologiche avvalendosi della scien-
za della psicolinguistica (che analizzeremo pi avanti).
Come diceva sempre quellex aiuto cuoco dhotel, i
soldi spesi per una ricerca sono sempre un ottimo inve-
stimento. Ne fanno risparmiare, se ben utilizzata,
molti, ma molti di pi.
Non conoscere approfonditamente il proprio tar-
get; non cercare di avere suggerimenti da quel target;
buttare via un prodotto perch non funziona; buttare
via una campagna pubblicitaria perch non compren-
sibile, fuori obiettivo, fuori target: sono tutte cose che
costano, in termini di budget ed in termini di tempo
che poi, per unazienda, vogliono dire la stessa cosa.
Perch gli altri invece si muovono, si posizionano, si
riposizionano, creano nuovi prodotti, fanno comunica-
zione, vendono e soprattutto fanno tesoro dei nostri
errori facendo bench-marking.
Per rispondere alla domanda iniziale del paragrafo:
67
convincere o essere convinti dal cliente? Dir usando
unantinomia: convincere si pu solo se siamo convin-
ti di essere stati convinti.
Vale a dire: per riuscire a convincere il cliente della
bont, della convenienza, di quantaltro riguardi il pro-
prio prodotto/servizio inducendo il cliente stesso
allacquisto, bisogna essere certi di avere utilizzato tutte
le informazioni che il cliente pu darci, di averle inter-
pretate nel modo giusto. Ecco spiegato il senso di
essere convinti dal cliente. Banale? Chiss.
La ricerca non la panacea ma ci fornisce utili indi-
cazioni su dove vada il mercato, il cliente, le sue abitu-
dini, i suoi gusti.
Ci dice:
a) in quale contesto operiamo;
b) se il nostro target di riferimento sempre tale;
c) se si rende necessario segmentare la nostra clien-
tela in nuovi modi;
d) quale percezione abbia di noi, del nostro prodot-
to il cliente potenziale;
e) quali leve individuare per aggredire la concorrenza;
f) quali leve individuare per difenderci dalla concor-
renza;
g) in quale contesto si muovano le altre aziende con-
correnti (e quelle che non lo sono ancora ma potrebbero
diventarlo nel momento in cui si rendessero conto che il
business si fa in casa nostra);
h) in quale direzione si muovano;
68
i) perch (previsionalmente) si muovano in una
certa direzione e non in unaltra;
l) in che modo intendano muoversi o si stiano muo-
vendo;
m) quali potenzialit inespresse possiede il mercato
Ma quali ricerche effettuare? Rimando alla lettura di
G. Corigliano nel suo Le 4 sfide, tratto da Media Key
118 del 1992.
Egli traccia una distinzione tra marketing strategico
aziendale, marketing strategico di prodotto e marketing
operativo di prodotto. Ognuno di essi ha determinati
obiettivi ed esigenze: per conseguire tali obiettivi e
rispondere a tali esigenze il ricercatore ha a disposizione
determinati strumenti che lautore descrive nel dettaglio.
Signori, si potrebbe allungare questo argomento
allinfinito perch infinite sono le possibilit, le oppor-
tunit e pericolosi, soprattutto, i rischi cui potremmo
andare incontro. La nostra, potremmo considerarla
come una vera e propria partita a scacchi.
Non a caso, in questo gioco che amo e che consiglio
di praticare a tutti i futuri marketing manager (dopo
aver fatto una capatina al mercato, non dimenticatelo)
si fa spesso riferimento a strategie. Pensate che duran-
te la partita si proceda con una strategia soltanto? Non
possibile, a meno che lavversario che avete di fronte
non sappia giocare a scacchi!
Egli avr le sue strategie e voi dovrete capirle e pos-
sibilmente prevenirle.
69
Avete una serie di pezzi a disposizione e un gran
numero di variabili di cui tenere conto prima di muo-
verne uno. Le variabili (le vostre e quelle dellavversa-
rio) sono le informazioni fornite dalla ricerca; i pezzi
sono gli strumenti per conseguire i vostri obiettivi.
Attenzione: le variabili ve le fornisce la ricerca. Sta a
voi scegliere, per la mossa giusta.
Non affatto detto che la regina sia il pezzo pi
importante. Ho visto giocatori esperti vincere con un
pedone
(1)
. Evidentemente avevano unottima strategia
di gioco.
Non forse vero, come affermavano Al rice e Jack
Trout, che il marketing guerra? Anche se personal-
mente credo in un approccio diplomatico al cliente,
ebbene: la storia insegna che una grande strategia pu
portare un manipolo di uomini alla vittoria su grandi
eserciti. Basta pensare a come le trib arabe conquista-
rono il potente impero bizantino: 18.000 combattenti
contro 150.000 soldati addestrati. Talvolta sarebbe
opportuno che anche quei politici troppo convinti nel-
luso della guerra con la finalit di risolvere conflitti
politici e sociali ricordassero i vichiani corsi e ricorsi
storici.
Tornando al nostro tema, quante piccole aziende,
adeguatamente guidate, hanno avuto la meglio su
societ elefantiache negli ultimi ventanni?
Sono sicuro che ognuno avr in mente parecchi
esempi a riguardo.
70
(1) Questo discorso vale anche per la scelta del giusto
media mix di campagna. Non sempre detto infatti che chi pi
spende meglio spende. Si possono ottenere ottimi risultati (non
solo in termini di memorabilit ma anche di vendita) anche
avendo a disposizione una limitata disponibilit di budget.
2.4. Il prodotto/servizio:
limportanza di avere gli attributi
S, avete letto e compreso bene: attributi! Che
senso ha parlare di prodotto con gli attributi in un
libriccino sulla comunicazione? Presto detto.
Quante volte vi capiter che, laddove un prodotto
presenti delle debolezze, vi verr richiesto pi o meno
consapevolmente di sopperire con la comunicazione?
Come? Esaltando con messaggi punti di forza che il
prodotto non ha.
Ma capita davvero che un prodotto sia debole?
Eccome. Tutto si riconduce, a mio parere, ad una
mancata o poco efficace ricerca sulle variabili di cui
abbiamo parlato, indispensabili non solo per conseguire
gli obiettivi di marketing ma, a monte, per realizzare un
prodotto che abbia una sua forza intrinseca a prescinde-
re da come verr comunicato e se verr comunicato.
Il marketing strategico di prodotto, che ha quali
obiettivi lo sviluppo di nuovi prodotti ed il loro posi-
zionamento, deve utilizzare correttamente gli strumen-
71
ti a sua disposizione (ricerche creative o ideative, pro-
duct test ecc.). Lo stesso discorso vale a cascata anche
per il marketing operativo.
Il concetto di USP, Unique Selling Proposition di ree-
vesiana memoria partiva, a mio avviso, da questo
punto: individuare un motivo (uno solo, non barate!)
per cui quel prodotto non pu che essere il prodotto.
Oggi forse lUSP un poco superata ma un suo
senso ce lo ha avuto e ancora ne ha, per correggere
risultati di reparti di produzione troppo autoindulgenti
o mal supportati. La comunicazione (tra cui ladverti-
sing) pu fare molto a riguardo tranne che mentire.
Sarebbe troppo controproducente barare.
Ricordiamoci del feedback generato dalla comuni-
cazione ma soprattutto da un processo di fidelizzazio-
ne che pu interrompersi sul nascere proprio perch
chi comunica (lazienda, non un reparto di pubblicit!),
agli occhi del cliente, mente.
Non stiamo parlando in questa sede propriamente
di pubblicit ingannevole nel senso che conosciamo e
a cui molte compagnie telefoniche ci hanno negli ulti-
mi tempi abituato. Parliamo pi specificamente di arti-
fici creati, su richiesta, dalla comunicazione tali per cui
il prodotto appaia per quello che in realt non .
Se abbiamo compreso ormai quale sia il ruolo del
cliente non potremo aspettarci una reazione supina nei
confronti di un prodotto che non abbia gli attributi.
Questo discorso, per dirla con R. Fiocca, si riper-
72
cuote sulla stessa credibilit dellazienda, per il motivo
- gi accennato - della percezione del brand e della
associazione (conscia o meno) che il cliente fa tra esso
e lazienda, identificandola nel brand stesso.
Quando Jaques Sgula parla di fisico e caratte-
re intende anchegli riferirsi a questo.
La pubblicit pu agire su due leve: sul fisico e sul
carattere, creando un mix o un graduale passaggio dal-
luno allaltra, a seconda della strategia di comunicazio-
ne che - ovviamente - tiene conto del brand, del pro-
dotto e degli obiettivi di marketing.
Sempre la pubblicit pu trasformare le debolezze
apparenti del nostro prodotto in forze potenziali; pu
fare il contrario con il prodotto nostro concorrente
Ma se non abbiamo un vero Mitterand - come ce lo
aveva Sgula quando studi una campagna di comuni-
cazione ad hoc per lui in occasione delle elezioni presi-
denziali in cui fu poi effettivamente eletto - ci sar ben
poco da fare: falliremo.
Pi il prodotto forte (pi riesce a vivere cio di
luce propria) pi la pubblicit potr fare molto per ren-
derlo ancora pi forte e quindi portarlo a diventare
quello che vogliamo che sia: una vera star.
Non unammissione di debolezza della pubblicit,
la mia. Anzi. la consapevolezza che dobbiamo agire
sempre tenendo presente che la pubblicit non onni-
potente o almeno non lo pi.
Il rumore di fondo cui fa riferimento Giampaolo
73
Fabris nel suo Pubblicit Teorie e Prassi valeva tanto
quando lautore ne ha diffusamente parlato quanto pi
oggi. Il mercato confuso, disorientato dal cambia-
mento sempre pi veloce della societ e dei soggetti
che la compongono.
I messaggi sono tanti, troppi e sovrapponendosi
rendono difficile la decodifica da parte dei destinatari.
La memorabilit di un messaggio sempre pi distur-
bata da questo rumore.
Il prodotto deve essere come una stazione radiofo-
nica dal forte segnale. Basta guidare quaranta minuti
nel traffico di Roma o Milano. Cosa facciamo?
Ascoltiamo la radio. Se lautoradio perde la frequenza
di una determinata stazione ci sintonizziamo su quella
dal segnale pi forte. Difficilmente programmeremo
nuovamente la vecchia stazione nella memoria della
nostra autoradio. Salvo ascoltare nastri audio o essere
dotati di un lettore cd Ma anche in questo caso si
tratta di unaltra storia!
2.5. Leterno dissidio: il Trade Marketing
Intanto dir subito che mi bacchetter le mani se
scriver pi di venti righe su questo argomento.
Spiegher intanto perch parlo di eterno dissidio.
74
Da quando faccio vita dazienda sento parlare di
competenze del trade marketing. una funzione del
marketing? una funzione delle vendite?
Anzitutto mi domando, con spirito un po provoca-
torio e retorico: una funzione?
E se s (come ovviamente credo) adeguatamente
sfruttata secondo le sue potenzialit?
Ogni azienda, quando si d la sua ormai famosa
organizzazione, decide se e come collocare al suo inter-
no una struttura che si occupi del trade.
Non sar certo questa la sede per disquisire sulla
migliore struttura organizzativa che unazienda pu darsi.
Questo paragrafo ha semplicemente lobiettivo di
lasciare intravedere uno spiraglio per unattivit di mar-
keting e di comunicazione che, a mio modo di vedere
(per le realt aziendali in cui ho operato e opero tutto-
ra, evidentemente), non adeguatamente utilizzata per
le potenzialit che invece ha.
Non faccio distinzione tra aziende che hanno un
proprio network commerciale (con personale azienda-
le, intendo - generalmente aziende di servizi -) e azien-
de che si avvalgono di soluzioni in franchising. Il
discorso il medesimo anche per le aziende che si
avvalgono della grande distribuzione (cambia qualche
soggetto e qualche processo ma in sostanza poco altro).
Bisogna convincere chi vende non solo ad acquisire
il nostro prodotto (sell-in), ma a venderlo (sell-out) e a
richiederlo nuovamente.
75
In sostanza dovremmo semplicisticamente compor-
tarci come se il venditore fosse allo stesso tempo clien-
te. Nella realt, in fondo, le cose stanno proprio cos.
Come? Attraverso il presidio costante del POP, il
punto vendita, ed utilizzando tutte le leve possibili:
a) Schede di prodotto che ne illustrino le caratte-
ristiche ed i vantaggi rispetto al prodotto concorrente;
b) Formazione finalizzata alla comprensione della
gamma;
c) Formazione finalizzata alle tecniche di vendita;
d) Formazione finalizzata a come impostare il
rapporto con il cliente;
e) Formazione finalizzata a come esporre un
prodotto;
f) Formazione finalizzata al corretto allestimento
di una vetrina;
g) Realizzazione di materiale di merchandising;
h) Realizzazione di gadget (per il venditore e per
il cliente);
i) Realizzazione di concorsi a premi (per il vendi-
tore e per il cliente);
l) Realizzazione di promozioni che generino un
feedback sul trade;
m) Realizzazione di un adeguato supporto pubbli-
citario alla rete di vendita. (cfr. B. Busacca ne La valu-
tazione dellefficacia della pubblicit: limpatto sul comportamen-
to del consumatore e sul trade).
Sono solo alcune, le prime cose che mi vengono in
76
mente. In realt anche in questo caso il feedback
importantissimo, soprattutto per il marketing operati-
vo (ma anche per quegli uomini di comunicazione che
si limitano a pensare che la comunicazione consista
solo nelladvertising puro).
Ricordo un fatto, ad esempio. Alcuni prodotti del-
lazienda per cui ho lavorato anni fa non vendevano,
con conseguente notevole giacenza di magazzino.
Chiedendo ai franchiser molti di essi espressero cri-
tiche sul packaging di prodotto che avevamo studiato.
Creava loro difficolt di stoccaggio e di gestione delle
giacenze di magazzino.
In sostanza scoprii che i vari prodotti accatastati in
magazzino gli uni sugli altri non si riconoscevano tra
loro: mancavano le indicazioni sulla costa della scato-
la! Quindi non vendevano. Rimediammo e (non scher-
zo!) aumentammo le vendite di tutti quei prodotti.
Le informazioni che possiamo ricevere sono anche
importanti ai fini del prodotto stesso.
Il cliente chiede, compra, trasmette informazioni di
feedback al punto vendita. Non possiamo tralasciare dati
fondamentali. Possono integrare e di fatto integrano le
informazioni che riusciamo ad ottenere tramite le ricerche.
In conclusione: anche nel trade la comunicazione
fondamentale. Generare maggiore cash-flow pu
dipendere anche da come si presidia questarea un po
troppo spesso considerata low profile.
A proposito: mi sono bacchettato!
77
2.5. Come vendere? Una bella domanda
Non c che dire. davvero una bella domanda.
La risposta? Qui sar breve sul serio. Credo che se
tutte le carte che abbiamo esposto sin qui e che verran-
no completate dalle informazioni dei prossimi capitoli
sono in regola, non dovremmo avere grosse difficolt.
Non solo una questione di budget destinato alla
pubblicit. Mi raccontava un mio amico, lattuale
amministratore delegato della Bates sezione di Roma,
un aneddoto su quando amministrava la Euro RSCG
Roma, agenzia che non ebbe paura di acquisire nuovi
piccolissimi clienti (oltre ad un portafoglio clienti com-
posto da varie mega aziende). Aveva vinto una gara per
gestire la comunicazione di una piccolissima azienda di
Roma che opera nel settore abbigliamento per giovani.
Questa azienda, il cui nome deriva da un famoso libro
(per ragazzi?) di Charles Dickens, che aveva a che fare
con i circoli, aveva un budget destinato alla pubblicit
che avrebbe suscitato lilarit del responsabile comuni-
cazione di una piccola azienda (per intenderci un bud-
get neanche sufficiente per una campagna radiofonica
di un paio di settimane).
Grazie a precise ed efficaci strategie di (micro)seg-
mentazione del target, di creazione di prodotti alterna-
tivi e vincenti e a conseguenti strategie di comunica-
zione e media questa azienda dopo un anno e mezzo,
78
mi pare, presente in tutta Italia, forte di un brand con-
notato e connotante. Oggi le campagne stampa di que-
sta azienda fanno tendenza e sono presenti sui princi-
pali magazine italiani (non necessariamente diretti a
target giovanissimi).
Non ho voluto citare la case history Diesel in quan-
to ormai da tutti conosciuta e utilizzata da qualsiasi
scuola di management aziendale.
Vendere oggi ancora pi difficile e pi facile che mai!
Non uno dei miei nonsense ad effetto cui ormai,
credo, sarete abituati. Pensiamo soltanto alle potenzia-
lit di Internet. Direte: Come, Internet?. Addirittura
Klaus Davi ne parla ancora come un mezzo di nicchia.
La penetrazione di un PC nelle case degli italiani dal-
tronde non ancora altissima e neanche alta. Ma
abbiamo pensato, ad esempio, alla penetrazione di
Internet negli uffici? Chi ci lavora negli uffici?
I ragazzi di oggi poi in Internet ci navigano, ci sur-
fano, chattano, si scambiano e-mail, partecipano a new-
sgroup, aprono siti...
Chi sono questi ragazzi? I nostri potenziali clienti di
domani. Clienti per cui le-commerce non tab, attra-
verso strumenti come smart card e quantaltro necessa-
rio per sviluppare un business che negli States gi una
quasi realt.
Database di marketing; conoscenza sempre pi
mirata del cliente potenziale attraverso questionari on
line (gratis!); sviluppo di prodotti su misura (alcune sar-
79
torie gi oggi ti confezionano un abito senza la neces-
sit di muoverti dal tuo PC: basta fornire misure ecc. e
ti arriva direttamente a casa).
Il one to one future di cui parla un buon testo (sugge-
rito in bibliografia) che acquistai per me negli Stati
Uniti sei (dico 6) anni fa proprio questo ed qui: ora.
diventato presente!
Non vorrei addentrarmi in altri argomentazioni che
richiederebbero un libro a s. Mi permetto di dare solo
due input di riflessione: i canali tematici satellitari,
internet tv e DVD Siamo sicuri che abbiamo capito
cosa rappresentano? Per me sono tre pezzi di un puzz-
le. Basta incastrarli tra loro... et voil: ecco un bellissimo
panorama del futuro, pi dinamico dellattuale presen-
te. Personalmente qualche idea ce lho gi e sto tentan-
do di svilupparla! E voi?
80
Capitolo 3
Il ruolo della comunicazione
3.1. Ci volevano due capitoli?
Sono sicuro che chi avr pazientato fino a qui, leg-
gendo i precedenti due capitoli, questa domanda se la
sar gi posta o se la stia ponendo proprio in questo
momento. Non vero?
Risponder dicendo soltanto che sono convinto
che fosse indispensabile iniziare da dove ho iniziato: a
costo di dare lidea (spero di non averla in alcun modo
suscitata) di uscire fuori tema ancor prima di iniziare.
Il ruolo della comunicazione infatti legato a varia-
bili generalmente non ritenute di sua competenza ma i
cui effetti impattano sullintero suo processo - lato
azienda e lato agenzia - sulla stessa valutazione che di
essa si fa in termini di risultati e quindi sulla sua stessa
81
credibilit. Lavere impostato la trattazione partendo
dagli spunti forniti dei due capitoli precedenti mi d
modo di parlare pi agevolmente del ruolo della comu-
nicazione, della sua organizzazione allinterno di una-
zienda, degli attori (interni ed esterni), dei rapporti con
le altre funzioni aziendali e con le agenzie.
Non solo: sarei lieto se alcuni degli argomenti trat-
tati sinora (insieme con quelli che tratter nel quarto e
nel sesto capitolo) generassero una riflessione sul ruolo
cui alla comunicazione viene generalmente attribuito e
quello che, a mio modo di vedere, essa potrebbe dav-
vero rivendicare (non solo potenzialmente) allinterno
di unazienda.
Consideriamo pure pertanto i due capitoli prece-
denti quasi fossero unulteriore introduzione al tema
che stiamo trattando. Non a caso ho chiamato lintro-
duzione stessa una introduzione necessaria.
3.2. I concetti di comunicazione e di comunicazione
dimpresa: solo cenni, lo giuro!
Dar a riguardo soltanto alcuni cenni che potranno
essere approfonditi attraverso alcune opere (citate nelle
note bibliografiche) di autori come Giampaolo Fabris
che parla diffusamente dei concetti di fonte, contenu-
82
to, codificazione, canale, riceventi, decodificazione,
feedback e rumore.
Vale la pena ricordare che Fabris definisce (giusta-
mente ed abbiamo visto il perch) la comunicazione
come un processo bidirezionale tra emittente e rice-
vente. Tale processo per di tipo circolare, in quanto
si articola sugli elementi che abbiamo appena citato e
prevede - necessariamente - una comunanza di codici
tra emittente e ricevente.
Significante e significato sono concetti che, sempre
Fabris, spiega molto chiaramente.
Essi consistono il primo nella rappresentazione natu-
rale del segno; il secondo nel concetto cui il segno inten-
de riferirsi. I codici sono pertanto associazioni struttura-
te caratterizzate da un significante e da un significato.
Ai fini aziendali, quando si parla di comunicazione,
quella che generalmente viene chiamata comunicazio-
ne dimpresa, ci si riferisce ad una qualsiasi manifesta-
zione attraverso la quale lazienda attivi di fatto un pro-
cesso di comunicazione con uno o pi pubblici (di per-
sone, aziende od enti), cui in tal modo propone uno o
pi aspetti della propria identit.
Il concetto di identit un complesso di elementi
che contraddistinguono limpresa nel contesto in cui
essa opera e tale identit influisce sullesterno generan-
do una percezione che consiste nellimmagine.
Limmagine non la realt dellazienda ma soltanto (?)
la percezione derivante dal giudizio che lesterno ha
83
dellazienda stessa.
Per questo estremamente importante che una-
zienda si dia unidentit (ne parlavamo nel primo capi-
tolo) che sia il pi possibile vera, positiva e che tenga
conto dellambiente esterno.
In un ambito concorrenziale pertanto, necessario
per unazienda perseguire un sistema che potremmo
definire valoriale, che attivi cio una strategia che parta
dalla ricerca del valore, arrivando alla sua costruzione e
alla successiva sua comunicazione. Il secondo capitolo
tentava di spiegare proprio questo.
La ricerca del valore si finalizza attraverso la segmen-
tazione del mercato, la determinazione del suo potenzia-
le, comprendendo quale sia il valore atteso o percepito
dal cliente e attivando un posizionamento conseguente.
La creazione del valore, attraverso la ricerca e lo svi-
luppo, la produzione e la vendita porta a poter comu-
nicare valore effettivo, descrivendo i benefit e la main pro-
mise, pubblicizzando e promuovendo lazienda, il
brand, il prodotto come valore effettivo e recependo i
feedback derivanti dal contatto con il cliente trasfor-
mandoli in nuovo valore.
84
3.3. La comunicazione integrata: giuro anche stavolta!
Normalmente riferita allazienda, la comunicazione
suole essere distinta genericamente in comunicazione
interna e comunicazione esterna. Io stesso ne accenne-
r brevemente nei due paragrafi che seguono.
In realt (ne avevamo peraltro gi fatto cenno) que-
ste due forme di comunicazione dovrebbero essere
assorbite, pi che sostituite, da un concetto di pi
ampio respiro (che R. Fiocca spiega molto chiaramen-
te nel suo Comunicazione e valore nelle relazioni dimpresa,
nonch nei corsi e seminari organizzati da SDA
Bocconi sul communication and advertising management, cui
ho avuto mododi partecipare): la comunicazione integrata.
Essa un complesso di forme ulteriori di comuni-
cazione:
a) La comunicazione organizzativa, estensione del
concetto di comunicazione interna, che fa leva su un
ruolo di coordinamento e di orientamento strategico.
Essa ha funzioni di controllo e di elaborazione di linee
guida. Ad essa viene anche associato un ruolo di comu-
nicazione di confine, presso attori esterni collegati
per con lazienda attraverso pi forme (fornitori,
associazioni dei consumatori, di categoria ecc.);
b) La comunicazione commerciale, che si avvale del-
ladvertising puro, del sales promotion, delle relazioni
pubbliche e delle sponsorizzazioni: questo, nella sua
85
forma pi conservatrice, per. Sempre pi importante
e centrale oggi il prodotto. Quello che deve avere gli
attributi? S, proprio il nostro prodotto che veicola,
esso stesso, un suo significato che genera a sua volta
una serie di comportamenti da parte del cliente, a
seconda del significato che ha o che pi spesso comunica;
c) La comunicazione istituzionale, che afferma il
ruolo dellazienda non solo nel contesto in cui opera
ma pi in generale nei confronti dellopinione pubbli-
ca, pi o meno interessata al nostro prodotto;
d) La comunicazione economico-societaria, che riferisce
ad una serie di interlocutori (dipendenti, azionisti, for-
nitori e finanziatori) circa lo stato relativo al reddito, al
bilancio, ad eventuali fusioni
Queste forme di comunicazione sono, ovviamente, siner-
giche, complementari e costituiscono un unicum integrato.
Corporate, brand e product image sono i fattori che
determinano limmagine coordinata di unazienda, lo-
mogeneit di cui si parlava nel primo capitolo.
Soprattutto se si fa riferimento ad un contesto azienda-
le segmentato a livello organizzativo come quello che
abbiamo visto.
In unazienda (perlomeno per quelle che conosco)
in genere difficile che un settore comunicazione sia
strutturato secondo le forme di comunicazione che
abbiamo descritto. Molto pi spesso tali forme sono
utilizzate quali strumenti, diciamo interdisciplinari
da settori che rispondono ancora a logiche proprie
86
della comunicazione interna e della comunicazione
esterna. per questo motivo opportuno accennarne
nei prossimi paragrafi.
Per concludere il piccolo paragrafo dedicato alla
comunicazione integrata vorrei solo ricordare che un
orientamento al cliente dellazienda in sinergia con
luso di una comunicazione integrata o totale costitui-
sce per lazienda stessa la possibilit di superare vecchi
approcci e di aiutarsi nei processi di cambiamento cui
abbiamo pi volte fatto riferimento.
3.4. La comunicazione interna: cenni
Unazienda attribuisce normalmente alla comunica-
zione interna quella serie di finalit che abbiamo
descritto parlando di comunicazione organizzativa.
Possiamo dire che essa non ha in generale finalit nei
confronti dellesterno, per. Quindi gli strumenti (o
media) di comunicazione che generalmente vengono uti-
lizzati in questo campo sono prettamente di tipo interno:
a) House organ aziendali diretti al personale. Essi
possono essere un unico supporto di comunicazione o
pi tipi, a seconda del target di riferimento: il top
management, i dirigenti, i quadri e gli impiegati;
b) Newsletter informative di nuovi processi orga-
87
nizzativi, nuovi prodotti ecc.;
c) Convention aziendali organizzate per coinvol-
gere e sensibilizzare le strutture centrali e territoriali su
tematiche aziendali ritenute strategiche;
d) Comunicazione attraverso Intranet aziendale, per
le finalit che abbiamo visto sopra con la possibilit di un
feedback immediato dovuto allinterattivit del mezzo.
In sostanza la comunicazione interna indispensa-
bile per creare quel consenso e quella motivazione in
tutte le risorse coinvolte nelle attivit di una azienda
con il fine di migliorare - attraverso la consapevolezza
delle strategie aziendali - il rapporto stesso tra vertici e
dipendenti, (ma anche tra dipendenti e clienti esterni),
generando quindi condivisione e risultati (si ricorder
quanto evidenziato nel primo capitolo relativamente
alle tematiche riguardanti la mission).
3.5. La comunicazione esterna: cenni
Ovviamente in questo caso si fa riferimento a tutti
quei tipi di comunicazione diretti allesterno.
Degli esempi:
a) pubblicit (in tutte le sue forme);
b) promozione;
c) sponsorizzazioni;
88
d) relazioni pubbliche;
e) ufficio stampa;
f) mostre, le manifestazioni e le fiere;
g) direct marketing;
h) web communication.
Non entrer nel dettaglio della lista (stavolta sono
riuscito ad essere sintetico). Quanto detto sinora serve
solo a far comprendere quale sia la complessit nel
descrivere unorganizzazione come quella del settore
cui facciamo riferimento.
Ci proveremo per nel prossimo paragrafo.
3.6. Come si struttura un settore Comunicazione
Possiamo provare ora a tracciare una struttura che
risponda a logiche processive e che quindi abbia fun-
zione di staff allinterno dellazienda con quei ruoli
esplicitati nei capitoli precedenti.
Partendo dalle varie forme di comunicazione rileva-
te diremo subito che tale struttura, per snella che sia,
dovrebbe prevedere:
a) Un settore che curi i rapporti con la stampa;
b) Un settore che curi i rapporti con le associazioni
dei consumatori e di categoria;
c) Un settore che curi la comunicazione interna in
89
tutte le sue forme;
d) Un settore che curi la comunicazione esterna in
tutte le sue forme;
e) Un settore che curi le ricerche sulla comunicazione.
Ho fatto riferimento a settori perch generalmente
queste aree sono suddivise a loro volta in altre aree.
A questo punto utilizzer il termine aziendale ser-
vizio per definire i settori appena descritti e quello di
ufficio per le aree di segmento.
Lorganigramma di una Direzione Comunicazione
prevede, generalmente, i settori che abbiamo descritto
sopra (servizi).
Vediamo ora come questi servizi si strutturino a
propria volta in uffici.
3.6.1. Il Servizio Relazioni con la Stampa
(altrimenti detto ufficio stampa)
Esso viene generalmente suddiviso in funzione
dei mezzi con cui interagisce. Ci significa dire che esi-
steranno al suo interno vari soggetti che avranno la
responsabilit di curare i rapporti con:
- TV;
- Radio;
- Quotidiani;
- Periodici;
- Internet.
90
Generalmente si associa a questo servizio un sog-
getto che abbia la responsabilit di controllare, coordi-
nare le attivit di relazioni con la stampa locale, anche
attraverso lausilio di figure che, sul territorio, vengano
delegate a tali funzioni.
Il responsabile del servizio Relazioni con la Stampa,
che ha funzioni direttive e di coordinamento delle varie
realt interne ha, generalmente, quali suoi interlocuto-
ri interni:
- Il Direttore Comunicazione;
- LAmministratore Delegato;
- Il Presidente o il Direttore Generale;
- Il Consiglio di Amministrazione;
- I Direttori delle Divisioni di Prodotto;
- I Direttori delle Direzioni Centrali di Staff (Risorse
Umane, Amministrazione ecc.).
3.6.2. Il Servizio Rapporti con le associazioni
dei Consumatori e di categoria
Questo un servizio molto importante che
risponde allesigenza di comunicare:
a) Lazienda;
b) Quanto lazienda faccia per migliorare il siste-
ma valoriale tenendo conto del cliente e delle categorie
professionali;
c) Quali sono le logiche che spingono la scelta di
91
determinate soluzioni rispetto ad altre.
Al contempo per, questo servizio ha il compito di:
a) Consolidare un rapporto di partnership tra
azienda e associazioni dei consumatori per ottenere
suggerimenti utili non solo in termini di comunicazio-
ne ma anche a livello di marketing strategico;
b) Tenere conto delle problematiche derivanti da
eventuali criticit nel rapporto con il cliente e gestire il
conflitto attraverso tavoli di lavoro;
c) Impegnarsi affinch, attraverso il corretto
instaurarsi di un confronto aperto con le associazioni
(dei consumatori e di categoria), si raggiunga una
accettazione meno critica da parte dellopinione pub-
blica, favorita da un patto (a termine) di non belligeran-
za con le associazioni.
Nel rapporto con le associazioni di categoria, fon-
damentale soprattutto saper cogliere, interpretare e
generare (attraverso gli strumenti opportuni) opportu-
nit di business per lazienda e accordi che prevedano
soluzioni di partnership tali per cui si ingeneri un mec-
canismo di reciproco vantaggio (possono nascere da
questi presupposti anche attivit di co-marketing) e
fidelizzazione.
sempre pi importante stabilire per lazienda -
attraverso questo servizio - un reale rapporto di part-
nership finalizzato alla realizzazione congiunta di un
documento di intenti dellazienda stessa che, incidendo
sulla propria identit, generi una percezione nuova e
92
pi positiva della propria immagine, ovviamente attra-
verso prodotti/servizi a valore aggiunto.
Esso consiste normalmente in una carta dei servizi,
in un libro al cittadino, nei quali lazienda esplicita (al
cliente e alle associazioni che lo rappresentano) le pro-
prie finalit, il suo impegno a fornire una qualit di ser-
vizio davvero rispondente a criteri valoriali, allaltezza
delle aspettative del cliente e comunque rispondenti a
standard europei e normative vigenti.
Tale documento un vero e proprio contratto tra le
parti (la cui stesura coinvolge diverse funzioni azienda-
li tra cui il settore legale) in cui lazienda si impegna a
fornire prodotti e servizi a valore aggiunto nei tempi e
con le modalit espresse dalla normativa (sotto pena di
sanzioni) e dagli standard.
un passo importante che ogni azienda con linten-
zione (o la necessit) di modificare in positivo la pro-
pria immagine (durante e dopo una esplicitazione di
una nuova identit) presso la clientela attuale e poten-
ziale dovrebbe fare.
Di fatto un passo che spesso compiono quelle
aziende uscite da un regime di monopolio, ovvero
aziende che implementano un processo di risanamen-
to (non solo economico) e di rinnovamento.
Anche in questo caso gli interlocutori interni sono quelli
citati per il responsabile del Servizio Relazioni con la Stampa.
Talvolta alcune aziende ritengono opportuno passa-
re al vaglio di alcune associazioni di consumatori o di
93
categoria, al fine di prevenire possibili successivi attacchi,
anche alcune campagne advertising. Ci implica necessa-
riamente il coinvolgimento del servizio Pubblicit.
3.6.3. Il Servizio Comunicazione interna
Questo il settore della cosiddetta comunica-
zione organizzativa. Un servizio del genere cura, come
gi abbiamo accennato, la comunicazione finalizzata
alla condivisione dei processi aziendali, di eventuali
nuovi processi, della mission e dellidentit dimpresa,
di nuovi prodotti, di nuove leve commerciali e sistemi
premianti, di nuovi sistemi valoriali ecc., impattanti
allinterno (forza vendita, trade) e di riflesso allesterno.
Per fare ci il responsabile di tale servizio ha a
disposizione vari strumenti (anchessi gi citati) che,
generalmente, vengono delegati alla responsabilit di
alcuni suoi collaboratori:
a) I progetti editoriali. Sono generalmente proget-
ti che prevedono lutilizzo di house organ, newsletter e
mailing ai dipendenti;
b) Lorganizzazione di eventi aziendali interni.
un ufficio che si occupa di organizzare, a livello corpo-
rate o di divisione eventi quali convention, seminari
(generalmente estesi ai dirigenti e ai quadri aziendali)
finalizzati alla condivisione di tematiche tra le pi varie:
da nuove linee guida aziendali fino alla formazione di
94
nuove competenze professionali;
c) La comunicazione su Intranet aziendale. una
leva sempre pi importante, perch estremamente
capillare, finalizzata - oltrech alla comunicazione di
cui abbiamo parlato - a ottenere quanto pi possibile
un feedback difficile da generare negli altri modi che
abbiamo visto.
Gli interlocutori interni sono gli stessi che abbiamo
visto per gli altri servizi. La Direzione Risorse Umane,
in questo caso, per un elemento pi attivo che in
altri settori.
Non raro, anche in questo caso, che si intenda
comunicare ai dipendenti un processo di rinnovamen-
to aziendale attraverso campagne advertising corpora-
te e di prodotto (anche a seconda delle strategie utiliz-
zate) realizzate. Ci prevede il coinvolgimento del ser-
vizio pubblicit.
3.6.4. Il Servizio Pubblicit e Promozione
il servizio che si occupa di gestire tutte le
attivit di comunicazione promopubblicitarie dirette
allesterno, cio al cliente finale (ma non solo, perch
abbiamo visto quanto sia altrettanto importante una
corretta comunicazione con e per il trade).
Questo servizio, generalmente coordinato dal
responsabile comunicazione si avvale di una serie di
95
strumenti che possono costituire, allinterno di un
organigramma, altrettante caselle:
- Advertising;
- Promozioni e Sponsorizzazioni;
- Attivit di mostre e fiere;
- Web advertising.
Questo il settore che, ai fini della nostra trattazio-
ne, ci interessa di pi. mia intenzione dedicare quin-
di nel paragrafo 3.8. unattenzione particolare sulla
struttura, i ruoli e gli interlocutori (interni ed esterni)
con cui esso si relaziona.
3.6.5. Il Servizio Ricerche e Sondaggi di comunicazione
Prescindendo dal fatto che questo settore
possa in alcune aziende dipendere dal servizio
Pubblicit e Promozione, esso - in ogni caso - rappre-
senta per chi fa pubblicit un supporto fondamentale.
Il suo ruolo cardine infatti quello della ricerca e
delleffettuazione di test sulle variabili della comunica-
zione pubblicitaria.
Pi nello specifico questo settore si occupa di effettuare:
a) Copy-test di campagna;
b) Pre-test e post-test di campagna;
c) Naming-test (non solo il marketing ne effettua);
d) Sondaggi sulla percezione della corporate image;
e) Indagini psicolinguistiche su brand/campagna.
96
Come dicevamo nel capitolo precedente, il ruolo
della ricerca importante non solo per il marketing ma
a anche per la comunicazione.
Capire se una bodycopy, una headline, un payoff utiliz-
zano codici comprensibili per il cliente indispensabi-
le per ottenere un messaggio chiaro, efficace e che
generi la reazione che ci attendiamo.
Questo ci evita inoltre di disperdere lefficacia del nostro
investimento in advertising, magari con il conseguente
risultato di una redemption di vendita prossima allo zero.
Colpa del prodotto? Colpa della scelta dei mezzi?
Spesso basta testare una bodycopy per correggere il
tiro molto prima che la campagna vada on line.
molto meglio sapere in anticipo con un pre-test
(magari semplicemente di un rough, uno storyboard o un
animatic) da un campione rappresentativo del target cui
la campagna indirizzata se essa piace, compresa, uti-
lizza un linguaggio semantico e verbale in grado di
favorire una risposta positiva del cliente, di affezionar-
lo al prodotto ed indurlo alla condivisione e pertanto
allacquisto Ed in pi: tutte quelle ulteriori informa-
zioni che ci consentono di riprendere magari in mano
il futuro spot ed effettuare eventuali miglioramenti.
Un conto infatti lavorare su uno storyboard, un
animatic o, al limite anche su un rough.
Un altro avere tra le mani lo spot girato, montato,
doppiato e passato al telecinema e dover chiedere alla-
genzia di apportare dei cambiamenti creativi che
97
dovrebbero poi essere nuovamente realizzati dalla casa
di produzione: un dispendio di denaro e di tempo
notevolissimo. Beninteso: pu capitare talvolta ma
deve essere leccezione delleccezione, non leccezione
della regola. Figuriamoci poi se questo possa copstitui-
re la regola.
Per avere quei feedback di cui parlavamo gi nel
primo capitolo senzaltro importante conoscere,
attraverso i post-test, informazioni quali la percezione,
il grado di ricordo e di memorabilit della nostra cam-
pagna; ma anche eventuali fattori psicologici di rifiu-
to, influenza dei media (per capire quali dei media uti-
lizzati abbiano funzionato di pi e perch).
A proposito: anche la scelta di un testimonial pu
passare, se vogliamo, al vaglio di una ricerca ad hoc.
molto pi facile convincere ad esempio il nostro
Amministratore Delegato che magari I Fichi dIndia,
tanto apprezzati da suo figlio di sedici anni possano
non essere - per una determinata campagna di prodot-
to o corporate - i comunicatori ideali per il nostro tar-
get Il tutto, dati alla mano!
Precisazioni. Primo: i vari anglicismi pi o meno
strani utilizzati ultimamente non sono un mio vezzo
culturale ma purtroppo il nome dato a strumenti pro-
pri di una professione, quella pubblicitaria che - come
quella del marketing - nasce nelle realt di paesi anglo-
sassoni. Non li ho tradotti per brevit e perch per
molti di essi non esiste una traduzione che renda lidea
98
ma per chi fosse interessato ad approfondire suggeri-
sco il testo di Annamaria Testa La parola Immaginata,
anchesso riportato ovviamente nelle note bibliografiche.
Secondo: Apprezzo i Fichi dIndia ed il mio esem-
pio nasceva da una case history reale, nei risultati che
una campagna ha ottenuto rispetto agli obiettivi prefis-
sati dallazienda che li ha scelti come testimonial (forse
non indicati per il target di riferimento). Ovviamente
non entro nel merito di chi abbia operato la scelta e
perch (sulla storia dellAmministratore Delegato
scherzavo, sintende!).
3.7. Non ho parlato del reparto media: scelta consapevole
vero: qualcuno mi dir che anche le aziende (oltre
alle agenzie) hanno talvolta un reparto media.
Alcune aziende invece non ne hanno, preferendo
affidarsi o a quelli delle agenzie o - sempre di pi - a
centri media qualificati e di caratura internazionale con
i quali stipulano spesso contratti di consulenza.
Questi centri media, oltre allinterlocutore interno che
ladvertising manager, possono talvolta avere come
interlocutori a supporto lagenzia ed il suo reparto media.
In ogni caso evidente che la conoscenza di con-
cetti quali:
99
a) pressione;
b) frequenza;
c) copertura;
d) GRP;
e) costo/contatto
oltre ad una buona conoscenza dei mezzi a disposi-
zione quali:
- tv (nazionale e locale);
- radio (network e locali);
- stampa quotidiana (nazionale, capizona e locale);
- stampa periodica;
- stampa specializzata;
- affissione esterna (in tutte le sue forme, grandi
affissioni, 6x3, fioriere, gonfaloni, fermate bus);
- affissione dinamica;
- pubblicit dinamica;
- Internet
sia indispensabile per chi esercita la nostra profes-
sione.
Esistono anche gli strumenti che ci consentono di
sapere chi/quando/quanto/cosa vede, ascolta, legge:
Auditel, Audiradio, Audipress
La determinazione del budget da destinare alla pub-
blicit altrettanto importante ed esistono vari modi
(cfr. E. Broadbent ed altri) per farlo.
A fronte di un piano di marketing ben redatto; di un
piano di comunicazione altrettanto chiaro; di un brief
che tenga conto dei fattori sin qui analizzati (per redi-
100
gere un buon brief basta attenersi a quanto scrivono, a
fronte della loro esperienza, K.Roman e Jane Maas nel
loro Come fare Pubblicit); di una copy strategy dagenzia
davvero inattaccabile, che risponda in forma chiara agli
obiettivi di comunicazione; la media strategy non potr
che essere efficace e ben studiata da un centro media,
sia esso Mediaforce, piuttosto che Carat, Cia
MediaNetwork o Media Edge.
In unepoca in cui le aziende esternalizzano qualsia-
si cosa, forse sarebbe paradossalmente pi produttivo
(e meno costoso). Pensate per esempio alle spese fisse
del personale interno dedicato ai media piuttosto che
affidarsi a professionisti del settore con i quali costrui-
re un rapporto di partnership basato sulla fiducia e
sulla competenza, professionisti sempre in linea con i
trend di sviluppo e cambioamento del ventaglio media.
Ognuno avr le sue preferenze e sceglier la societ
in base a molteplici fattori.
Se la nostra, poi, una grande azienda, il peso della
stessa potr essere utilizzato da questi professionisti
per ottenere ulteriori sconti sui prezzi di listino dalle
concessionarie TV (Sipra, Publitalia 80 ecc.), radio
(Radio e Reti, Sper ecc.), stampa (Manzoni, RCS,
Sole24 System, Publikompass ecc.).
Questa la mia convinzione. Ezio Ciuti, in un col-
loquio che ebbi con lui ad un seminario, mi prospetta-
va una situazione che, a fronte dei cambiamenti cui
stanno andando incontro le aziende ed il loro contesto
101
di riferimento, prevede un cambiamento (forse gi in
atto sotto forma di riadattamento) anche da parte dei
centri media, sempre pi vicini a vere e proprie societ
di consulenza segmentate in strutture sempre pi
microspecializzate.
Sar il fenomeno della microsegmentazione? Delle
nuove tecnologie che generano nuovi potenziali media
non ancora sufficientemente utilizzati? Forse un po di
tutto questo.
Non credo per si tratti solo di mera necessit di
sopravvivenza dei centri media che preferiscono cam-
biare pelle piuttosto che perdere clienti. Si tratta di un
segnale che personalmente mi fa riflettere.
Esistono realt che si muovono e cambiano al cam-
biare del loro contesto di riferimento.
Qual il riferimento di un centro media? Da una
parte lazienda, dallaltra le concessionarie. Senza dimen-
ticare il target. Se non li conoscono loro, i loro polli
3.8. Signore e SignoriConsigli per gli acquisti!
Reclame, consigli per gli acquisti, suggerimenti
commerciali, utili suggerimenti dalla regia, linea alla
regia per soli due minuti...
Ogni conduttore televisivo trova un modo tutto suo
102
per annunciare qualcosa che viene vissuto dalla tv
come una colpa: la pubblicit!
Restate con noi Non andate via Solo
due minuti, ma che dico due minuti: centoventi secon-
di!... accertato: tutti, sia il pubblico sia il privato
vivono questa pubblicit con un senso di disagio, quasi
fosse un qualcosa di invasivo ed invadente che, oltre a
penetrare nelle case degli italiani urlando a volumi
molto pi alti dei programmi che la ospitano, commet-
ta violazione di domicilio anche allinterno delle tra-
smissioni (che tra laltro attraverso di essa vivono) per
cui il conduttore deve passare la parola alla regia.
Pubblicit! Ahche bellezza! Personalmente entro
al cinema venti minuti prima del film per guardarla e
bearmi di lei, del suo fascino. Faccio zapping televisivo
tra un programma e laltro in cerca di commercial. Salvo
poi non trovare uno spot degno di essere ricordato
nella storia di questa stramaledetta pubblicit.
Lo ammetto pubblicamente: a me la pubblicit non
piace, mi strapiace! E alloraAndiamo a incominciare.
3.8.1. I ruoli del Servizio Pubblicit e Promozione:
cenni generali
evidente che, operando in unazienda, stiamo
facendo riferimento ad attori che operano in una real-
t aziendale.
103
altrettanto vero per che lazienda, nella comuni-
cazione, si sta dando strutture sempre pi simili a quel-
le che troviamo in unagenzia.
Avevamo detto che il servizioPubblicite Promozione si
avvale di una serie di strumenti che possono costituire,
allinterno di un organigramma, altrettante caselle:
a) Advertising ;
b) Promozioni e Sponsorizzazioni;
c) Attivit di mostre e fiere;
d) Web advertising.
Ognuno di questi strumenti, tra loro integrati e
complementari, estremamente importante.
Il settore pu essere suddiviso semplicemente
secondo questi strumenti/ruoli o utilizzando altre logi-
che che rispondono a variabili quali, ad esempio, il pro-
dotto. Ci significherebbe avere pi figure che - per
prodotto - si occupano delle attivit di comunicazione
appena rammentate.
Parler pi diffusamente degli attori riguardanti la
prima attivit della lista ma dar in questa sede prima
qualche cenno sugli altri ruoli.
Promozioni e sponsorizzazioni.
Chi si occupa di promozioni ha quali obiettivo
quello di incrementare le vendite di un dato prodotto
attraverso lutilizzo di molteplici strumenti general-
mente concordati con il marketing di prodotto e con le
vendite:
104
a) Azioni di prezzo dirette. Per un dato periodo la-
zienda pone in vendita un certo prodotto ad un prez-
zo vantaggioso;
b) Azioni di prezzo indirette. Lazienda fornisce al clien-
te un coupon con il quale egli ha diritto ad uno sconto;
c) Concorsi a premio.
Queste forme di promozione sono normalmente
accompagnate e supportate da:
a) promocomunicazioni.
b) annunci pubblicitari correlati ad una data campagna,
come:
- la telepromozione;
- la televendita.
Normalmente, in azienda, chi si occupa di promo-
zioni segue anche le sponsorizzazioni.
Queste consistono in una forma di supporto che
unazienda fornisce a organizzazioni terze per la realiz-
zazione di determinati attivit o eventi.
Tale supporto viene comunicato e promosso sia
dallazienda che effettua la sponsorizzazione sia da
quella che la riceve.
Gli ambiti in cui si pu effettuare una sponsorizza-
zione sono molteplici. Basti pensare alle sponsorizza-
zioni sportive, culturali (cinematografiche, musicali,
artistiche ecc.), formative (borse di studio, corsi e seminari).
Esiste anche una sponsorizzazione di carattere te-
cnico, allorch lazienda che sponsorizza un evento
organizzato da un altro soggetto in grado di fornire
105
allo stesso la strumentazione e lattrezzatura necessarie
per la realizzazione stessa dellevento.
Fiere.
Esistono particolari manifestazioni o eventi fieristi-
ci tali per cui unazienda (o ununit di business della
stessa) ritenga importante partecipare con una propria
presenza.
Tale presenza si struttura generalmente in uno
stand che, studiato per rendere lazienda stessa ricono-
scibile nella propria identit attraverso codici quali:
a) logo;
b) colori sociali;
c) slogan
comunica spesso non solo (a livello corporate) se stes-
sa come presenza istituzionale ma anche i prodotti che
essa produce (con possibilit anche di vendita diretta).
evidente che gli investimenti per la partecipazione
ad eventi fieristici non sono di poco conto. pertanto
necessario individuare con grande attenzione, a fronte
degli obiettivi che lazienda si prefigge con una determi-
nata presenza, quali degli eventi rispondano di pi alle
esigenze, in funzione di variabili tra le quali perlomeno:
a) tipo di evento;
b) target dellevento;
c) flussi di presenze negli ultimi anni;
d) presenza eventuale di aziende concorrenti;
e) interesse dei media nel promuovere levento.
106
Chi si occupa di gestione delle partecipazioni a
mostre e fiere deve tenere dunque conto di un gran
numero di fattori prima di decidere se e come parteci-
pare ad una fiera.
Generalmente si effettua una pianificazione annua-
le di massima, con la collaborazione delle divisioni di
prodotto. Questo per pi motivi: non ultimo quello
della scelta del fornitore che realizzer lo stand.
Potrebbe essere utile ottimizzare, ad esempio, gli
investimenti dello stand, scegliendo un unico fornito-
re e partendo gi in fase progettuale con una struttura
modulare adeguabile a realt ambientali diverse.
Una soluzione di questo tipo incider in positivo sul
costo del progetto e del materiale per la realizzazione
dello stand. Non ultimo: un fornitore che si garantisce la
partecipazione con unazienda di un numero predefinito
di eventi fieristici sar maggiormente disposto a effettua-
re un prezzo forfettario o comunque sconti maggiori.
Web Advertising.
Il ruolo del web advertising ovviamente nato a
seguito dello sviluppo della navigazione in Internet e
alle potenzialit di comunicazione che Intranet presen-
tava alle aziende.
Tali potenzialit consistevano e consistono nella:
a) interattivit (ipertext) che permette una comu-
nicazione one-to-one oltremodo personale e persona-
lizzabile dal fruitore;
107
b) misurabilit attraverso redemption e control target.
Rispetto al tradizionale modello di campagna pub-
blicitaria, il web advertising deve necessariamente uti-
lizzare, oltre che strumenti diversi, soprattutto codici
diversi, in quanto il mezzo a disposizione di tipo inte-
rattivo (testo, video, musica, ecc.).
Chi si occupa di web advertising non ha solo il com-
pito di far creare banner pubblicitari; deve piuttosto
tradurre il concetto di tradizionale advertising in qual-
cosa di nuovo e ancora (in gran parte) inesplorato.
3.8.2. Ladvertising manager e gli altri attori della
pubblicit
Ladvertising manager colui che gestisce e
controlla il processo di comunicazione allinterno di
unazienda. Per meglio dire, egli riveste un ruolo fon-
damentale per trasformare gli obiettivi di marketing in
obiettivi di comunicazione e risultati.
Ladvertising manager, come lo chiamiamo oggi,
sempre di pi una figura di raccordo tra azienda (anche
al suo interno) ed agenzia (e spesso istituti di ricerca,
centri media ecc.).
Spesso dalla sua capacit di capire le esigenze latenti
del proprio cliente interno (divisioni di prodotto o
marketing in generale), di gestire le problematiche ed i
conflitti che possono generarsi tra marketing e comu-
108
nicazione e di guidare, creando un rapporto di part-
nership, lagenzia nei meandri del pensiero aziendale
pu dipendere non solo il risultato di una campagna
ma di qualcosa di molto pi importante: ottenere e
consolidare la fiducia del marketing (pi disposto ad
accettare il ruolo di consulente di cui parlavamo allini-
zio) e quella dellagenzia. Sembrano obiettivi banali ma
vi assicuro che non cos.
Da lui dipende il communication plan (o parte di esso)
possibilmente annuale, strumento indispensabile per
evitare sovrapposizioni dellultimo minuto tra campa-
gne di prodotto di una stessa azienda, che generereb-
bero confusione nella percezione del cliente.
Egli cura il brief su cui lagenzia costruir tutto il
processo strategico ed operativo per la realizzazione
della campagna, la copy strategy e su cui il centro
media svilupper unefficace media strategy.
Unisce a doti di grande diplomazia (vedremo perch),
anche doti di psicologia, persuasione, controllo, coordi-
namento e gestione delle risorse (umane e di budget).
In pi un advertising manager dovrebbe saper
rischiare del suo: avere cio il coraggio di permettere
allagenzia di trovare quella grande idea che porter a
campagne vincenti non soltanto in termini di redemp-
tion ma anche in termini di memoria storica.
Troppo spesso le grandi idee (e normalmente le
grandi idee sono semplicemente davanti ai nostri
occhi) vengono stroncate da un vertice aziendale che
109
manca di coraggio, di creativit. Con la conseguenza
che le agenzie si stanno (in generale) disabituando non
solo a trovarle ma anche a cercarle.
Se adeguatamente supportate dalla ricerca, le grandi
idee possono invece smuovere le coscienze, provocare
le reazioni che ci aspettiamo ed essere anche il telaio
per grandi campagne pubblicitarie che rimangano nelle
pagine della storia della pubblicit.
Bisogna pur consentire a chi scriver i nuovi libri
sulla pubblicit di poter utilizzare nuovi esempi di
grande (ed efficace) pubblicit.
Per un advertising manager la sfida in fondo pro-
prio questa: riuscire ad ingenerare nella propria azien-
da un approccio che miri ad affrontare con il coraggio
della creativit il futuro della comunicazione dimpresa
(non a caso sempre pi autori parlano di management
creativo, cfr. M Bonferroni).
Troppi colleghi assomigliano troppo (non saprei se
pi o meno consciamente) a certi critici musicali che,
molto severi con gli artisti, si scopre poi essere stati nel
passato essi stessi artisti mancati.
Anna Scotti mi augurava un giorno di poter contri-
buire a far s che anche in Italia tornasse quella pubbli-
cit che, oltre a far vendere, potesse vincere a Cannes.
La pubblicit non sar arte, come mi disse Franco
Bellino. E le canzoni sono solo canzoni, come dico io.
Yesterday dei Beatles (e potrei citare mille altri esem-
pi), in due minuti e tre secondi diceva molto. Lo dice
110
ancora dopo quasi 38 anni. Per me la pubblicit come
una canzone. Sono un ingenuo?
111
fig. 1 - Struttura standard di una Direzione Comunicazione
collocata come area di staff
Direttore Communication
Manager
Progetti speciali Corporate Gestione Budget e Risorse
Servizio
Rapporti con
Associazioni
Servizio
Comunicazione
Interna
Servizio
Pubblicit
Promozione
Servizio
Relazioni
Stampa
Servizio
Sondaggi
Ricerche
Ufficio Rapp.
Ass.
Consumatori
Ufficio Rapp.
Ass. Categoria
Ufficio
Intranet
Ufficio Eventi
e convention
Ufficio Progetti
Editoriali
Account Div.
prodotto z
Account Div.
prodotto y
Account Div.
prodotto x
Ufficio Pubbl.
Corporate/
Prodotto
Ufficio Mostre
Fiere
Ufficio
Promozioni
Sponsorizzazioni
Ufficio Rapp.
Stampa
Ufficio Rapp.
Radio
Ufficio Rapp.
TV
Ufficio Rapp.
internet
Aggiungo unultima dote per un advertising mana-
ger gi implicitamente introdotta qualche riga fa: la
creativit.
Perch noi non siamo come quei critici di cui abbia-
mo parlato. Non siamo dei pubblicitari mancati. Anzi.
Il nostro compito quello di aiutare le agenzie a fare
davvero nuovi passi avanti nel nostro comune campo,
aiutandole a penetrare nei meandri di realt aziendali
sempre pi complesse. Anche le agenzie, come le
aziende, devono poter conoscere il proprio cliente. Noi
abbiamo il compito di farci conoscere. Cos potremo
avere il prodotto vincente, che risponda davvero alle
nostre aziendali esigenze.
Anche questo sembra un discorso scontato, eppure, par-
lando con molti Direttori Clienti ed account executive
Ladvertising manager si avvale di figure pi o meno
simili a quelle degli account dagenzia.
Anchessi si chiamano account (interni) e si occupa-
no di gestire il proprio cliente (generalmente di prodot-
to) proprio come un account dagenzia.
Gli account devono:
a) Conoscere il cliente/prodotto;
b) Essere sempre presenti ed in contatto con il cliente
e con lagenzia;
c) Eseguire report almeno settimanali;
d) Predisporre le documentazioni necessarie allagenzia;
e) Gestire buoni dordine;
f) Tenere un archivio fornitori;
g) Conoscere le tecniche di produzione (ATL e BTL,
112
Above the Line e Below the Line).
Se ladvertising manager il referente unico per tutte
le Divisioni, gli account si organizzeranno per Divisione
di Prodotto, curando ognuno pi prodotti.
Se invece ci sono advertising manager dedicati ognu-
no ad una Divisione, gli account saranno necessariamen-
te pi concentrati su singoli prodotti.
Dal momento che facciamo in questo caso riferimen-
to ad una struttura centrale di staff e quindi super e inter
divisionale non ho ritenuto di operare in questo caso
distinzioni tra corporate advertising manager e product adverti-
sing manager.
Pu talvolta esistere (allinterno del servizio Pubblicit
e Promozione) e quindi a disposizione di tutti i responsa-
bili, un reparto di grafica composto da dipendenti della-
zienda. Questo pu essere utile per la creazione di lettere
e materiali finalizzati a direct mailing o altri materiali
(depliant ecc.) che possono essere realizzati direttamente
allinterno dellazienda stessa.
Tale reparto pu essere inoltre utilizzato, oltrech dalla
comunicazione interna, dal reparto Corporate Image, che,
occupandosi della gestione dellimmagine istituzionale,
pu delegare lo studio, la realizzazione e la gestione del
logo e di quanto faccia riferimento ad una linea coordina-
ta, esplicitata generalmente in un booklet contenente le
linee guida per la comunicazione
istituzionale (dal logo, alla lettera commerciale, al biglietto
da visita) proprio a questo reparto.
113
Capitolo 4
La comunicazione e gli altri poli aziendali
4.1. Amore o odio? Dipende dai casi
Perch questa domanda: amore o odio? E perch
questa risposta: dipende dai casi?
Cercher di rispondere attraverso la spiegazione di
quale sia il ruolo del settore comunicazione nei con-
fronti degli altri poli aziendali. Soprattutto nei confron-
ti del marketing, con cui possono nascere - a seconda
delle situazioni e dellorganizzazione aziendale - anche
conflitti.
In primo luogo necessario fare riferimento ad un
tipo di organigramma - nel nostro caso abbastanza
semplificato - per arrivare a comprendere poi quale
rapporto intercorra tra settore comunicazione (faremo
in questo caso riferimento prevalentemente al ruolo
114
delladvertising manager) e gli altri poli coinvolti nel
processo di comunicazione.
Aacker struttura lorganigramma nel modo riporta-
to di seguito. A questo tipo di organigramma corri-
spondono ruoli che si orientano al concetto di brand
management.
LAlta Direzione formula le strategie generali; il vice
presidente del marketing coordina le attivit che porte-
ranno alla stesura del Piano di Marketing, comprensivo
di obiettivi, strategia e tattiche. La figura delladvertising
115
Alta Direzione
Vice Presidente Marketing
I manager della funzione di
Marketing
(pubblicit, vendita e ricerche)
I manager del gruppo
prodotto
I brand manager
I manager dellagenzia
pubblicitaria
fig. 2 - Organigramma di Aacker
manager - in questa ipotesi - parte integrante del mar-
keting ed in s abbastanza limitata alloperativit: si
occupa cio di intervenire, a fianco del brand manager (e
non strategicamente rispetto ad esso) traducendo gli
obiettivi di marketing in comunicazione (insieme con
altre figure, quali lesperto di analisi e ricerca).
Il limite di questa impostazione , a mio giudizio, il
fatto che il management dellagenzia non ha come refe-
rente un solo interlocutore ma almeno due: il brand
manager ed il manager della funzione marketing relati-
vamente alla pubblicit, alle ricerche e via dicendo.
Nel caso ipotizzato allinizio del volume, quello di
una azienda segmentata in Divisioni di Prodotto, lor-
ganigramma sar abbastanza simile a quello che abbia-
mo appena esaminato. Cambier per il ruolo della
funzione pubblicit (o comunicazione, pi in genera-
le). Questo perch - al fine di raccordare le varie azio-
ni pubblicitarie, mosse da obiettivi riferiti ai singoli
prodotti di Divisione da comunicare - sar necessario
un polo di staff che omogeneizzi tono, linea creativa, for-
mat e quantaltro necessario a rendere presso il cliente
una percezione dazienda quanto pi coordinata ed
univoca possibile.
Non pretendo di convincervi che quanto sto per
affermare sia la soluzione migliore. Dico soltanto che -
in unottica di segmentazione aziendale (che sia effet-
tuata in base al prodotto o, meglio, in base al mercato
di riferimento) - evidentemente necessario individua-
116
re dei poli di staff a supporto che diano valore aggiun-
to in termini di efficienza ed efficacia.
117
fig. 3 - Organigrama
Amministratore
Delegato
Divisione
Prod./Brand X
Direttore
Product
Research
Brand/Product
Manager
Divisione
Prod./Brand Z
Direttore
Divisione
Prod./Brand Y
Direttore
Brand/Product
Manager
Brand/Product
Manager
Product
Research
Product
Research
Direz. Comunicazione Staff allAD
Adv. Manager
Brand/product
X
Adv. Manager
Brand/product
Z
Adv. Manager
Brand/product
Y
Management
Agenzia Y
Management
Agenzia Z
Management
Agenzia X
Ho tentato di ridisegnare lorganigramma riportato
nella fig. 2 tenendo conto dei fattori appena esposti. Il
risultato osservabile nella fig.3.
Nellorganigramma ipotizzato possibile leggere
unazienda articolata per Divisioni o Business Units che,
riferendo allAmministratore Delegato, raccolgono -
ognuna in s - i poli del marketing strategico ed opera-
tivo, nonch il marketing research a supporto dellim-
plementazione di prodotto.
Ogni Divisione trasferisce gli obiettivi di marketing
ad una struttura di staff allAmministratore Delegato
(la Direzione Comunicazione, che pu essere struttu-
rata affiancando ad ogni Unit di Business un adverti-
sing manager, ovvero accentrando le attivit promo-
pubblicitarie su ununica figura (adv. manager) che a
sua volta - attraverso account dedicati alle divisioni -
coordiner ad ombrello delle attivit di comunicazio-
ne. In ogni caso, a seconda che ladvertising manager
sia unico o in funzione delle unit di business, questa
figura costituir lunico accreditato referente presso la-
genzia e/o le agenzie nonch presso gli istituti di ricer-
ca che dovranno verificare, attraverso suoi input, la
comprensibilit del messaggio, attraverso la compren-
sione dei migliori codici psicolinguistici , cromatici ed
evocativi in termini di brand (indagini psicolinguistiche
e successivi copy-test); leffettuazione di pre-test prima
della realizzazione della campagna; leffettuazione di
una valutazione degli effetti della campagna stessa
118
dando un feedback alle divisioni di riferimento.
Apparentemente, la struttura sembrerebbe pi
complessa: il ruolo delladvertising manager contribui-
sce in realt ad una semplificazione delle attivit di cui
egli stesso - per lazienda (divisione), per lagenzia e per
listituto di ricerca - unico referente.
un ruolo ovviamente difficile, questo, che pu
comportare dei problemi.
Generalmente, in questo caso, bisogna fare molto affida-
mento sulle qualit manageriali delladvertising manager e
sulla sua capacit di relazione e di creazione del consenso.
Non facile infatti convincere il marketing strategico
e di prodotto che gli obiettivi strategici e operativi pos-
sono essere perseguiti attraverso attivit che - apparen-
temente - sfuggono al controllo delle unit di business.
Dico apparentemente poich labilit di questo
tipo di figura (ladvertising manager) sta proprio nel
coinvolgere comunque tutti i settori divisionali che par-
tecipano alla creazione del processo che porter alla
strategia di comunicazione.
Non va dimenticato infatti che il marketing plan
non nasce dalla comunicazione ma dal marketing,
Questo polo vedr sempre il ruolo delladvertising
manager come uno step in pi per il conseguimento
degli obiettivi attraverso azioni di comunicazione.
Sta a noi far comprendere come il nostro ruolo non
sia quello di boicottare o bloccare il processo, quanto
piuttosto quello di contribuire con la nostra competen-
119
za a che tutte le strade possibili siano percorse operati-
vamente dallagenzia per conseguire obiettivi il pi
possibile misurabili. Vedremo quanto sia importante
lattivit di valutazione degli effetti di pubblicit. Lo
sono ancor pi se vogliamo esercitare quel ruolo consu-
lenziale che non solo la struttura organizzativa ma anche
lesperienza ci attribuisce.
Ricordiamo che ladvertising manager un po pub-
blicitario e un po uomo di marketing. Questo binomio
fondamentale quando riscontriamo la difficolt cui -
spesso - marketing dazienda e agenzia vanno incontro
nel comunicare bidirezionalmente.
Aiutare il marketing a raggiungere i propri obiettivi
gestendo il migliore communication mix: un compito
molto importante. E non dimentichiamo che, oltre alla-
genzia, dobbiamo coordinare le attivit del centro media.
4.2. La Comunicazione: area di staff o schiava del marketing?
La risposta sta forse nel precedente paragrafo. In
ogni caso bene ribadirlo. La comunicazione come
area di staff alle divisioni di prodotto e ai relativi poli
marketing ha sicuramente - questo almeno il mio
parere - un ruolo di coordinamento, controllo e moni-
toraggio che, forse, allinterno del marketing non
120
avrebbe (e che, sempre a mio avviso, non ha).
121
fig. 4 - Le decisioni strategiche di comunicazione
Obiettivi strategici di Comunicazione
Leadership Differenzazione Specializzazione
Posizionamento desiderato
(Prodotto-mercato, distribuzione e prezzo)
Obiettivi pubblicitari
(conoscitivi, affettvi,
comportamentali)
Obiettivi degli altri
mezzi di comunicazione
Missione della Forza
Vendita
Obiettivi del programma di
Comunicazione
Dimensioni della
Forza Vendita
Budget
pubblicitario
Promozione
Vendite
Relazioni
Esterne
Decisione sul
contenuto
1) tema
2) esecuzione del
messaggio
Strategie
di sviluppo
1)prodotto
2)mercato
3)cliente
Decisione sui
media
Ripartizione:
1) tempo
2) spazio
Pretest
Misure di efficacia della Comunicazione
Efficacia comunicativa Efficacia psicologica Efficacia comportamentale
In ogni caso essa schiava del marketing quanto il
marketing lo della comunicazione.
Obiettivi di marketing, strategia di comunicazione,
strategia media, campagna, valutazione degli effetti
della pubblicit sono talmente connessi tra loro che
non possibile non immaginare uninterdipendenza tra
marketing e comunicazione.
Lesistenza di conflitti (come ci ricorda Umberto
Collisei in un suo articolo in Micro & Macro Marketing
n. 1 aprile 1992) pu essere generata, come vedremo,
da molti fattori ma i conflitti si possono gestire e risol-
vere. Soprattutto se si parla di interazioni tra comuni-
cazione di prodotto e corporate.
Il rapporto tra marketing e comunicazione chiaro se
prendiamo in considerazione il modello riguardante le
decisioni strategiche di comunicazione proposto da
Lambin (fig.4). Sar ancora pi chiaro quale sia il campo
dazione della pubblicit nella strategia di comunicazione.
Lambin definisce la comunicazione di marketing
come linsieme dei segnali emessi dallimpresa verso i
diversi pubblici cui si rivolge.
Sono segnali cio indirizzati a clienti, distributori,
fornitori, azionisti, istituzioni pubbliche, nonch al per-
sonale dellazienda stessa.
La pubblicit, lo abbiamo visto, solo uno degli
strumenti di comunicazione, accanto ad altre forme
quali la forza vendita, sales promotion e relazioni ester-
ne. Ogni mezzo ha le proprie caratteristiche.
122
Lapplicazione del marketing nella pubblicit impli-
ca lo sviluppo di messaggi pubblicitari che si collegano
al campo di esperienza degli acquirenti in particolare
attraverso un linguaggio che essi possano decodificare.
Questi requisiti, necessari per lefficacia della comu-
nicazione, definiscono le diverse decisioni da prendere
in ogni programma di comunicazione di marketing.
Il marketing si avvale di due tipi di comunicazione:
il primo, personale che implica il coinvolgimento della
forza vendita; il secondo, impersonale che implica invece
il coinvolgimento delle varie forme di pubblicit.
Bisogna riconoscere che il primo tipo di comunica-
zione il pi produttivo ma ha lo svantaggio di essere
molto costoso in quanto far contattare una persona da
un venditore costa circa cinto volte di pi di quanto
costi raggiungerla attraverso un messaggio pubblicita-
rio. La pubblicit invece ha il vantaggio di raggiungere
un gran numero di persone in poco tempo.
Nello schema precedente riguardante le decisioni
strategiche di comunicazione (fig. 4) si evince abbastan-
za chiaramente che, se consideriamo la comunicazione
nel suo senso pi esteso, essa entra in gioco gi quan-
do si parla di obiettivi del programma di comunicazione.
Se essa fa riferimento semplicemente alla pubblicit
allora il discorso un po diverso. Il ruolo consulenzia-
le delladvertising manager entra infatti in gioco negli
obiettivi della pubblicit e comunque al livello pi
basso del precedente.
123
In buona sostanza si pu senzaltro affermare che,
allorch la Direzione Comunicazione sia area di staff -
come abbiamo ipotizzato - il Direttore si confronta
con il marketing strategico a partire dal livello obietti-
vi del programma di comunicazione.
Egli dar i necessari input ai settori che abbiamo
analizzato nel precedente capitolo (li abbiamo chiama-
ti servizi), i quali - sinergicamente - coopereranno
con il marketing per studiare, concretizzare ed attiva-
re il piano di comunicazione globale.
4.3. Cosa si aspettano gli altri poli aziendali dalla comunica-
zione
4.3.1. Obiettivi aziendali
Ogni polo strutturale interno ha - evidente-
mente - delle aspettative nei confronti della comunica-
zione (questa volta nel suo concetto pi esteso).
Il settore delle risorse umane si aspetta, ad esempio,
che la comunicazione cosiddetta interna (ma non solo
essa) generi consapevolezza della mission, dellimmagi-
ne e dei valori che lazienda intende trasmettere al suo
interno. Con la consapevolezza si cerca di creare con-
senso ed accettazione.
124
La motivazione a essere pi proattivi nei confronti
del cliente si ottiene senzaltro sensibilizzando le risor-
se sulle nuove intenzioni ed approcci che lazienda ha
nei confronti del proprio target.
A questo proposito pu essere utile anche una cam-
pagna pubblicitaria eterodiretta rispetto alle risorse
interne, che comunichi loro (indirettamente) che la-
zienda cambia attraverso limplementazione e la comu-
nicazione di nuovi prodotti.
Questo pu indurre le risorse ad una presa di posi-
zione pi netta e positiva nei confronti di un cambia-
mento aziendale.
Esistono aziende che sono riuscite a far leva sui
processi motivazionali delle proprie risorse interne
semplicemente cominciando a comunicare al mondo
esterno.
4.3.2. Obiettivi di marketing e commerciali
Il marketing si aspetta che la comunicazione
(ed in particolare la pubblicit) consegua gli obiettivi
prefissati nel piano di marketing.
Generalmente tali obiettivi si esplicitano in termini
di awareness, acquisizione di nuove quote di mercato, di
consolidamento di marca contro lavanzare della con-
correnza, solo per fare degli esempi.
Vedremo come unintegrazione fattiva degli stru-
125
menti e delle risorse ci possa consentire non solo di
rispondere con unazione finalizzata al conseguimento
di tali obiettivi ma anche di potere - in generale - valu-
tare gli effetti che tali attivit (ricordiamolo: costruite
attentamente sugli obiettivi che il marketing intende
raggiungere) hanno nei confronti del cliente cui indi-
rizziamo i nostri sforzi.
Anche se lazienda pu non aspettarsi questo con-
tributo da noi (pare assurdo ma vedremo che non sono
rari i casi in cui non vengano ritenute importanti o
attendibili tali valutazioni) ritengo tale contributo
unopportunit. A braccetto con lagenzia, per: lagen-
zia deve infatti comprendere che tali attivit di valuta-
zione non vanno interpretate come sfiducia nel lavoro
da essa svolto ma come metodo per tradurre in lin-
guaggio aziendale ci che spesso dichiarato solo
attraverso un linguaggio che viene dalla nostra pancia.
Una traduzione del genere comporta trasparenza e
certezza (positiva o negativa che sia) che per il marke-
ting, ladvertising manager e lagenzia costituiscono la
prova che quanto si fatto si reso pi o meno utile
per ottenere i risultati.
Per conseguire risultati commerciali apprezzabili, il
marketing e le vendite si aspettano che la comunicazio-
ne impatti anche sul trade e sulla forza vendita attraver-
so leve che supportino il ricordo e la memorabilit di
un brand o di un prodotto sul punto vendita
Non diamo mai per scontato che determinate atti-
126
vit non siano propriamente attivit di comunicazione.
molto probabile che il packaging di un prodotto
connoti lo stesso in un determinato modo rispetto a
come vorremmo venisse percepito.
Il materiale di merchindising (rotair, vetrofanie,
locandine, depliant) a supporto del punto vendita
fortemente impattante sul ricordo e quindi sullacqui-
sto. Ricordiamolo.
4.4 Cosa (non?) si aspetta la Comunicazione dagli altri poli
aziendali
Facile e breve. Cinico ma realista. Non vi aspettate mai
di ottenere le informazioni che davvero possano dare
valore aggiunto al vostro brief e quindi, di conseguenza,
alla strategia di comunicazione e alla strategia media.
Questa mancanza di informazioni non avviene per
negligenza ma solo perch spesso sono informazioni
che si danno per scontate. Non date e prendete nulla
per scontato. Pi riuscite ad ottenere prima, parlando
di informazioni, meno dovrete chiedere dopo, magari
spendendo in ulteriore ricerca..
La comunicazione d sempre. Per ricevere, ladver-
tising manager deve impegnarsi con pazienza, perseve-
ranza ed un po di astuzia. I risultati verranno e voi
127
sarete pi tranquilli nellevitare possibili conflitti.
4.5. Conflitti tra marketing e comunicazione? S, ci sono
ma anche le possibili soluzioni
inutile negarlo: i conflitti esistono e traggono una
loro origine dallevoluzione stessa che marketing e
comunicazione dimpresa hanno avuto e che ha porta-
to ad una parziale sovrapposizione di ruoli ed attivit.
In pi esistono una comunicazione corporate ed
una comunicazione di prodotto che hanno obiettivi,
pubblici e timing sostanzialmente diversi.
Una prima fase di conflitto di sicuro interna al
marketing stesso e riguarda tutte quelle attivit connes-
se al prodotto: packaging, etichette, libretti e manuali di
istruzioni, garanzia e assistenza tecnica, fino ai materia-
li illustrativi del prodotto da distribuire sul punto ven-
dita (depliant).
Queste componenti vengono di norma trascurate da
chi si occupa di comunicazione di prodotto, che preferi-
sce invece dedicare il proprio tempo alladvertising puro.
Questi sono veri e propri mezzi di comunicazione,
per, che rischiano di essere (se non presidiati dalla
comunicazione) poco coerenti, dissonanti con altri tipi
di comunicazione. Essi non traggono in sostanza
128
beneficio dai potenziali effetti sinergici.
Caso analogo per la comunicazione personale, diffi-
cile da controllare. Risulta problematico ricollegarla
allattivit di comunicazione impersonale e renderla il
pi possibile coerente con la comunicazione interna
per il personale di vendita e di contatto.
Le stesse agenzie, a meno che non siano specializ-
zate in pubbliche relazioni, tendono ad occuparsi della
parte pi propriamente advertising.
Simile, questa situazione , anche quando si conside-
ra lattivit di comunicazione della direzione risorse
umane e i rapporti tra comunicazione esterna ed interna.
Si possono generare anche conflitti tra pubblicit di
prodotto e pubblicit corporate.
La prima infatti in stretta relazione con il marke-
ting; la seconda invece risponde ad obiettivi della dire-
zione generale. Inoltre la diversit dei committenti pu
generare diversit tra agenzie con possibilit di toni
distonici tra loro.
Possiamo per individuare alcune linee di soluzione
che prevedono anzitutto le comunicazioni dimpresa
rientranti in pi ampio contesto di comunicazione glo-
bale (area di staff analizzata) articolato su pi livelli.
Tali livelli possono essere:
a) Prodotto;
b) Brand;
c) Marketing;
d) Corporate.
129
Il primo livello, la comunicazione di prodotto,
riguarda una particolare categoria di prodotti; il secon-
do, la comunicazione di brand e brand image, cura
limmagine di marca partendo dallanalisi dellimmagi-
ne che un certo gruppo di consumatori si fatto di una
data marca in concorrenza con altre.
Talvolta il primo ed il secondo livello possono coin-
cidere in quanto il brand viene considerato dal cliente
come ombrello del prodotto.
Kotler e Barich hanno definito il terzo livello come
marketing image, il modo cio in cui il consumatore per-
cepisce il marketing mix.
Oltre a brand e vendita concorrono altri fattori
quali prezzo, distribuzione e servizio da cui la imma-
gine di marketing.
Il quarto e pi elevato livello il corporate image.
Questo livello, entro il quale si collocano anche gli altri
tre, viene ulteriormente suddiviso in tre livelli:
a) impresa (risorse umane, tecnologiche, finanziarie);
b) istituzione (organizzazione come collettivo
sociale, valori societari, consenso interno, identificazio-
ne, comunicazione interna);
c) simbolo (identit e cultura dimpresa).
La distinzione pi significativa appare quella tra
comunicazione marketing e comunicazione corporate.
Se lapproccio marketing alla comunicazione pi
lineare, in quanto derivante da una relazione tra bene e
mercato obiettivo, lapproccio corporate pu risultare
130
paradossalmente pi disorganico.
Per questo necessario fornire allazienda una serie
di segni di riconoscibilit e di identit che la rendano il
pi possibile definita ed individuabile dal pubblico.
Prodotto, marca ed impresa sono i tre cardini su cui
poggiano sia la comunicazione marketing che quella
corporate. Un corretto ed omogeneo posizionamento
degli stessi generer una linea guida che, per il prodot-
to, influenzer funzioni duso, packaging ecc. , in sinto-
nia con brand e non pi slegato dal brand concept.
Per raggiungere questa integrazione, risolvendo i
conflitti, lo stesso Collesei propone la creazione di
una Direzione Comunicazione alle dirette dipen-
denze della direzione generale, come staff, con il com-
pito di curare la pianificazione dellintera attivit di
comunicazione e di coordinare le azioni di comunica-
zione delle singole direzioni funzionali, in particolare
delle direzioni marketing e risorse umane.
E ancora: Dal punto di vista strategico, il coor-
dinamento della comunicazione globale, oltre che dal
piano elaborato da un comitato per la pianificazione,
cui partecipino tutti coloro che, a vario titolo, gestisco-
no attivit di comunicazione, sar garantito dallattivi-
t del comitato stesso e da altri organi di coordinamen-
to previsti per la gestione dei singoli progetti di comu-
nicazione; sul piano operativo, dalla costanza e dalla
coerenza del format e della visual identity.
dunque necessario un processo di comunicazione
131
globale che, chiaramente definito, sia condiviso da tutti
i componenti dellorganizzazione aziendale.
Una forte cultura di marketing e di comunicazione
associate ad una profonda attenzione ai valori interni
dellimpresa pu garantire allorganizzazione stessa di
essere unimpresa comunicante.
Il manager della comunicazione pu identificarsi in
questo obiettivo e - avendone le competenze - sforzar-
si di raggiungerlo e farlo raggiungere.
132
Capitolo 5
Ladvertising manager e lagenzia di pubblicit
5.1. La scelta: matrimonio damore o dinteresse?
Questa la parte pi difficile e la pi entusiasman-
te nello stesso tempo.
S, perch pi leggo a riguardo pi mi rendo conto
che le cose vanno spesso diversamente, almeno nel
nostro Paese.
Il titolo del paragrafo , ovviamente, un po provo-
catorio ma risponde ad una realt che non si pu disco-
noscere: la scelta di unagenzia consiste in un matrimo-
nio; in un rapporto cio bidirezionale e paritetico
Vedremo nelle prossime pagine in che modo.
Ci si pu sposare per amore o per interesse. Anche
questo, bisogna riconoscerlo, pu essere un criterio di
133
scelta. Ci si pu per sposare anche per amore e per
interesse.
Se nella vita aspiriamo a trovare una persona da
sposare solo e soltanto per amore, nella scelta di una-
genzia questa aspirazione non sufficiente. Scegliamo
generalmente secondo la variabile interesse anche se
casi in cui fosse presente una concomitanza tra interes-
se e vero e proprio amore, o almeno innamoramento,
ci sono stati e ci sono tuttora.
E pu essere una concomitanza estremamente posi-
tiva. Spiegheremo perch nelle prossime pagine.
Anzitutto: chi decide quale agenzia dovr collabora-
re con noi per almeno un anno (ma si spera di pi,
come vedremo pi avanti e come purtroppo non sem-
pre accade)?
Probabilmente la risposta pi vicina al vero (o a
quello che si ritiene debba esserlo) che tutte le parti
coinvolte in quello che sar il rapporto con lagenzia
stessa o perlomeno interessate dal processo di elabora-
zione della strategia di marketing, del piano di marke-
ting e di comunicazione, collaborino per individuare
quale, tra le agenzie a disposizione, sia la pi vicina al
modo di sentire aziendale, alla nostra identit, ai nostri
obiettivi, al nostro tono istituzionale, alle nostra politi-
ca (mi limito a quella aziendale, sintende, no?).
Quindi il Direttore di una determinata Divisione di
Prodotto (se si tratta di unagenzia che dovr concre-
tizzare in campagne pubblicitarie obiettivi di prodotto),
134
lAmministratore Delegato (in ogni caso e comunque se
si sta scegliendo unagenzia per posizionarci o riposizio-
narci a livello corporate), il Direttore della
Comunicazione e ladvertising manager , oltre (se lazien-
da se ne avvale) alla societ di consulenza per limmagine.
Il ruolo della Direzione Comunicazione, nella per-
sona delladvertising manager, per il ruolo pi
importante, in quanto egli valuta, sceglie, guida e coor-
dina tale processo di scelta attraverso criteri che, gene-
ralmente, sono pi vicini al ruolo che ricopre.
Tali criteri si basano soprattutto sui rapporti che chiun-
que operi per lazienda, nellambito della comunicazione
pubblicitaria, ha con il parco agenzie: attraverso quindi la
conoscenza personale di Amministratori Delegati,
Direttori Clienti, Art Director di determinate agenzie.
Le conoscenze personali per, da sole, non sono
sufficienti ad operare una scelta tra agenzia e agenzia.
Il criterio pi seguito e sostanzialmente corretto
(anche se talvolta discriminatorio) quello di effettua-
re una gara tra pi agenzie, un gruppo - questo s - che
pu venire preselezionato attraverso conoscenze per-
sonali di dirigenti dagenzia, da esperienze pregresse in
altre aziende, ovvero da prerequisiti quali limportanza
a livello nazionale (scelta tra le prime quattro agenzie,
ad esempio) o altri criteri.
La gara pu essere gratuita o remunerata ed effet-
tuata attraverso la presentazione che ciascuna delle
agenzie preselezionate fa - supportata anche da un dos-
135
sier redatto secondo le modalit richieste - ad una com-
missione che comprende le realt aziendali sopracitate.
La presentazione, se nei confronti di una grande
azienda, viene generalmente fatta dallAmministratore
Delegato dagenzia o dal Direttore Clienti.
A supporto dei criteri di valutazione per la scelta
definitiva, esistono alcuni elementi che, per dirla con
Brochard e Landrevie, possono contribuire ad un risul-
tato (la scelta) professionalmente accettabile ed accet-
tato.
Lelenco degli elementi il seguente:
a) Descrizione generale dellagenzia:
1) Chi e quando stata creata;
2) Dimensioni e fatturato;
3) Sviluppo e trend dellagenzia;
4) Composizione dei soci e socio di riferi-
mento;
5) Maggiori clienti;
6) Specializzazioni dellagenzia;
7) Localizzazioni regionali, nazionali o
internazionali (molto importante: spesso
molte aziende scelgono agenzie cui richiedo-
no aperture di succursali nella citt in cui le
aziende hanno i propri head quarters).
b) Direzione dellagenzia:
1) Ruolo societario dei dirigenti;
2) Loro esperienze pregresse;
136
3) Capacit gestionali motivanti a livello
di risorse umane;
4) Tipo di gerarchizzazione dei ruoli;
5) Ambizioni personali;
6) Ore di lavoro giornaliere;
7) Rapporti diretti o indiretti con lazienda.
c) Tipi di supporto allazienda:
1) Creazione, da parte dellagenzia, di
nuovi prodotti;
2) Capacit dellagenzia di comprendere
la nostra strategia di marketing e di
condividerla;
3) Capacit di fornire strumenti e dati di
cui lazienda non dispone (osservatori
sulla concorrenza, indagini interne ecc.);
4) Cultura e tipo di attitudine nei confronti
della ricerca;
5) Gestione attuale o pregressa di
prodotti/aziende concorrenti;
6) Rapporti interni allagenzia tra marketing,
ricerca e creativi;
d) Fattori relativi alla creativit:
1) Disponibilit di materiale illustrativo
riguardante le migliori campagne realizza-
te e di quelle considerate - dallagenzia -
peggiori;
2) Descrizione dei creativi, loro formazione,
cultura, personalit, spirito critico e
137
autocritico;
3) Descrizione del Direttore Creativo;
4) Tipi di briefing ricevuti;
5) Stili, tone of voice, filosofie che sono,
generalmente, alla base dei processi crea-
tivi e realizzativi;
e) Servizi che lagenzia mette a disposizione del cliente:
1) Tipo di servizi (agenzia a servizio com-
pleto o?).
f) Dipendenti e collaboratori dellagenzia:
1) Tipo di percezione nei confronti della
loro azienda;
2) Loro interessi, hobby, spirito di intra-
prendenza, competitivit, ambizione,
lealt, riservatezza;
g) I Clienti dellagenzia:
1) Chi sono;
2) Clienti eventualmente condizionanti;
3) Importanza del budget da noi affidato
rispetto a quello di altri clienti;
4) Durata media di un rapporto di collabo-
razione tra cliente ed agenzia;
5) Affidamento di uno o pi prodotti da
parte di clienti allagenzia;
6) Tipo di professionalit dei clienti e loro
approccio nei rapporti con lagenzia;
7) Clienti acquisiti o persi negli ultimi 2-3
anni e perch.
138
Questi sono tutti elementi che contribuiscono a
comprendere meglio di fronte a quale tipo di agenzia ci
troviamo e ad aiutarci nella scelta di una tra pi preten-
denti. Attenzione per. Lagenzia come una donna:
sceglie anche lei, facendo credere di essere scelta.
S, perch non raro che anche lagenzia si informi
sullazienda potenziale cliente e dalle informazioni rice-
vute non ne consegue necessariamente - per quanto
allettante possa essere un budget - che lagenzia si lasci
scegliere subendo le potenziali criticit che derivereb-
bero (per molteplici fattori) dalla gestione del rapporto
con unazienda divenuta cliente effettivo.
Il discorso rimane volutamente criptico perch
diretto a chi, operando gi nel settore, ha lesperienza
necessaria per decodificarlo.
5.2. Come impostare la pacifica convivenza ( possibile, davvero)
Per quello che mi riguarda, ho avuto modo di colla-
borare con agenzie di grande prestigio e - anche se per
qualcuna di esse non si tratta di una multinazionale -
non ne sono mai rimasto deluso.
Le agenzie che ho avuto modo di conoscere (o con
le quali sono perlomeno entrato in contatto) sono
molte e da tutte ho imparato molto, a qualsiasi livello e
139
con qualsiasi referente abbia avuto modo di relazionar-
mi: dallaccount junior fino al Direttore Clienti e in
alcuni casi anche allAmministratore Delegato.
Ho avuto modo di conoscere persone davvero inte-
ressanti, creative, umane che mi hanno dato moltissi-
mo in termini di consigli, suggerimenti e professionali-
t; che mi hanno portato a comprendere abbastanza a
fondo le realt (variegate ma fondamentalmente simili)
delle agenzie.
Con tutti, a qualsiasi livello della gerarchia azienda-
le i miei interlocutori o io ci trovassimo, ho sempre
considerato la professione del comunicatore (genera-
lizzando i ruoli interni dagenzia, che forse descrivere-
mo sommariamente pi avanti) con estremo rispetto.
Forse anche con un po di curiosit caratteriale e sem-
pre con lintenzione o meglio la necessit di creare tra
me e le persone che operano in agenzia (ribadisco: a
qualsiasi livello) rapporti di stima, fiducia, rispetto e -
perch no? - amicizia.
Rapporti bidirezionali nel senso che abbiamo dato
anche alla comunicazione: interscambio, fino ad arriva-
re (mi si permetta un lemma dotto ma rispondente,
usato in antropologia culturale) ad una vera e propria
inculturazione.
Intendo parlare di un rapporto tra due culture (nor-
malmente riferite a popoli diversi) che, venendo a con-
tatto tra loro, generano un processo di reciproca con-
taminazione (generalmente di fattori positivi). Tale conta-
140
minazione porta ad una vera e propria nuova cultura.
Ma il caso, tra unazienda e unagenzia, di aspirare
ad un tipo di rapporto che dia corso a questo genere di
processi o fenomeni?
Posso azzardare un s abbastanza convinto.
Come creare questo tipo di rapporto?
5.3. Partnership e fedelt: come vivere a lungo felici e contenti
Facile: attraverso una vera e propria partnership tra
azienda ed agenzia.
Personalmente ho sempre ritenuto indispensabile
andare a far visita alle agenzie con cui ho collaborato,
ancor prima di definire brief, strategie di comunicazio-
ne e media.
Ho ritenuto opportuno andare a conoscere le per-
sone, tutte le persone con le quali avrei collaborato, sia
direttamente sia indirettamente.
Mi sono trasferito settimane nelle loro strutture per
conoscerle, capirle, condividerle e per imparare.
Nessuna agenzia ha mai risposto di no a questa mia
esigenza di penetrare la sua realt ambientale, profes-
sionale, umana.
Abbiamo mangiato insieme (magari non dormito)
ma ho approfondito le mie relazioni con le persone
141
con cui avrei ed ho lavorato.
Ho per preteso (e non c voluto molto per con-
vincere le agenzie) condizioni di reciprocit.
Le agenzie dovevano poter entrare in contatto con
lazienda in modo pi informale e diretto. Certo, forse
non era possibile che si trasferissero in blocco nei
nostri uffici, ma alcune delle persone dagenzia (maga-
ri limitandoci al Direttore Clienti, agli account executi-
ve e ai creativi) dovevano, a mio avviso, conoscere la
realt aziendale in cui operavo: la struttura organizzati-
va, i ruoli, le persone, la cultura aziendale.
Abbiamo condiviso anche le code alla mensa azienda-
le o i sandwich consumati rapidamente nel bar allangolo.
Questo condividere le gioie e i dolori del lavorare in
agenzia o in azienda ha ingenerato, nei casi in cui tale
approccio stato possibile, un processo di reciproca
identificazione e di conseguente fiducia.
Non stiamo parlando ancora di organizzazione dei
processi di lavoro tra unazienda e la sua agenzia ma di
condivisione di valori, delle ansie, delle pressioni che
nella nostra professione (non importa da che lato la si
guardi) esistono, vanno compresi e soprattutto gestiti.
Sar molto pi facile in futuro evitare (o perlomeno
gestire efficacemente) conflitti tra azienda ed agenzia
ricordando che unazienda (come daltronde unagen-
zia) fatta di persone.
142
5.4. Ma com fatta unagenzia? Cenni generali sui ruoli
Con chi abbiamo a che fare quando facciamo riferi-
mento ad unagenzia?
Generalmente parliamo di unazienda che si struttu-
ra come unazienda; che ha una mission ed unidentit
come unazienda; che ha dei ruoli ed una gerarchia
come in unazienda.
Insomma, grande o piccola che sia, stiamo parlando
di unazienda, le cui finalit saranno quelle di suppor-
tarci per conseguire i nostri obiettivi (che diventeranno
i loro obiettivi), attraverso uno studio approfondito di
informazioni che noi trasferiremo (nel modo pi esau-
stivo possibile) facendo comprendere le nostre strate-
gie; uno studio che generer azioni da noi necessaria-
mente da condividere e da approvare.
Prima di capire come nasce una campagna di comu-
nicazione diamo per unocchiata a quelli che sono i
ruoli principali in unagenzia (pi o meno grande):
a) Amministratore Delegato e/o Direttore Generale;
b) Direzione Account:
1) Account Director;
2) Account Supervisors;
3) Account Executives;
3.1.) Senior Account;
3.2.) Junior Account;
143
c) Direzione Creativa:
1) Direttore Creativo;
2) Art Directors;
3) Copywriters;
4) Produzione (TV, stampa...);
5) Art buyers;
d) Direzione Ricerche/Media:
1) Direttore;
2) Media Supervisors;
3) Media Executives;
e) Amministrazione;
f) Responsabile amministrativo.
Gli account mantengono generalmente i rapporti
tra azienda ed agenzia.
Un buon account deve possedere (come abbiamo
gi visto per gli account pubblicitari di unazienda)
determinate qualit: prima tra tutte una buona dose di
diplomazia. Rivediamo qualche elemento:
a) Conoscere il cliente/prodotto;
b) Essere sempre presenti ed in contatto con il
cliente e con lagenzia;
c) Eseguire report almeno settimanali;
d) Predisporre le documentazioni necessarie
allagenzia;
e) Gestire buoni dordine;
f) Tenere un archivio fornitori;
144
g) Conoscere le tecniche di produzione (ATL e
BTL).
Un bel daffare, insomma, senza contare spesso i
capricci del cliente. Avremo modo di vedere anche
questo pi avanti.
Il direttore creativo coordina la creazione e la realizza-
zione di tutte le azioni pubblicitarie. Egli si avvale
generalmente della cosiddetta coppia creativa. Coppia
che pu a sua volta disporre di pi collaboratori.
Il reparto media gestisce tutte le problematiche relati-
ve ai mezzi che verranno utilizzati per una campagna.
Riceve le informazioni dagli account e elabora una
strategia media (sempre a contatto con i creativi).
Generalmente si occupa di:
a) definire le strategie;
b) pianificare i media;
c) acquistare i media attraverso le concessionarie;
d) prenotare gli spazi;
e) gestire i calendari di campagna;
f) monitorizzare le uscite effettive;
g) controllare e gestire laffollamento pubblicitario;
h) valutare la redemption;
i) analizzare gli investimenti e le campagne della
concorrenza.
Quando unazienda si avvale di un centro media
esterno queste attivit sono generalmente curate dal
centro media stesso.
Il reparto media dellagenzia pu quindi non essere
145
messo a disposizione dellazienda ovvero divenire, per
azienda ed agenzia, un tramite con il centro media cui
per spetta la definizione definitiva della media strategy.
Dipende dal tipo di contratto e dal tipo di rapporto
che si ha con unagenzia (non detto che non si chie-
da al reparto media di tenere nei confronti del centro
media - pi o meno esplicitamente - una funzione di
controller Non lo dite a nessuno, per!).
Queste sono le funzioni principali di unagenzia che -
integrate tra loro ed in sinergia con le strategie e gli obiet-
tivi del cliente - possono contribuire in modo determi-
nante al successo di una campagna pubblicitaria.
Se gli ingranaggi che concorrono alla realizzazione
di una campagna davvero efficace per non sono ben
oliati si pu andare incontro al fallimento.
Generalmente il reparto vendite punta il dito contro
il marketing che a sua volta scarica il barile addosso alla
pubblicit (in questo caso senza distinzione tra adver-
tising manager e agenzia).
per questo motivo, principalmente, che fin dalli-
nizio ho ritenuto indispensabile far comprendere come
- chi gestisce la comunicazione dimpresa - debba
necessariamente conoscere tutti gli strumenti che con-
corrono alla realizzazione finale di una campagna.
Questi strumenti infatti sono determinanti a livello
strategico di comunicazione ed impattano notevol-
mente sugli effetti della pubblicit.
Non tutti questi strumenti sono per gestibili dal-
146
ladvertising manager: egli dovr ottenere quante pi
informazioni possibili dal marketing (vedremo nel
prossimo paragrafo a cosa mi sto riferendo) e trasferir-
le allagenzia che dovr rispondere con azioni che cor-
rispondano alle aspettative e che soprattutto raggiun-
gano gli obiettivi.
Vediamo ora come si strutturi questo processo e
che ruolo abbia ladvertising manager nella sua gestio-
ne, fino alla realizzazione di azioni - le campagne - che
abbiano una redemption verificabile e possibilmente
incrementale in termini di obiettivi di vendita.
5.5. Il Piano di Marketing
Il Piano di Marketing il primo degli strumenti cui face-
vamo riferimento. Esso va considerato (e di fatto lo ) con-
dicio sine qua non per il corretto utilizzo di tutti gli altri stru-
menti necessari alla concretizzazione di una campagna.
Prima di effettuare una qualsiasi strategia bisogna
conoscere - e lo abbiamo visto - molteplici fattori. Il
Piano di Marketing il mezzo che ci permette di cono-
scerli senza ombre e dubbi. Vediamo ora come.
Il Marketing Plan generalmente strutturato in una
introduzione (o premessa), una situazione nel momen-
to attuale, un elenco di punti di forza e di debolezza,
147
unesplicitazione degli obiettivi, una progettazione stra-
tegica, una pianificazione delle attivit ed un control-
lo dei risultati del piano stesso.
Pi nello specifico:
a) Lintroduzione parte dallidentit, dalla mission
dellazienda, analizzando il contesto sociale, economico
in cui essa opera e il tipo di prodotto che intende com-
mercializzare;
b) La situazione al momento attuale prevede una
descrizione del mercato di riferimento, della concor-
renza, del positioning aziendale, delle quote di mercato
della nostra azienda e di quelle concorrenti;
c) I punti di forza e di debolezza sono lesplicitazione
che parte dal buon senso (la pubblicit non pu men-
tire per coprire menzogne precedenti) r i g u a r d a n t e
opportunit e debolezze della nostra azienda nei con-
fronti del mercato e dei concorrenti. Questi devono
essere approfonditi con una focalizzazione sul prodot-
to/servizio enunciando qualit, distintivit, novit e van-
taggi in generale. Anche in questo caso dobbiamo
poter sapere quali siano gli svantaggi del prodotto. Gli
obiettivi delimitano il campo di azione definendo la
redemption attesa a livelli di fatturato, volumi, margini,
quote di mercato e ricordo;
d) La progettazione strategica che consiste nel risultato
di una corretta definizione del marketing mix:
1) caratteristiche del prodotto che lo rendono
unico e desiderabile;
148
2) politiche commerciali di prezzo (sconti, premium
price positioning, possibilit di pagamento a
rate);
3) distribuzione;
4) budget promopubblicitario e proposte
di attivit;
e) La pianificazione delle attivit consiste nella
descrizione delle attivit da perseguire per il consegui-
mento degli obiettivi;
f) Il controllo fondamentale e consiste nel determi-
nare un conto economico che tenga conto degli obiet-
tivi e delle azioni. Le voci specifiche del conto verran-
no imputate ai mesi in cui tali azioni verranno realizza-
te (Piano di Comunicazione) e costituiranno una som-
maria verifica dei risultati raggiunti a fronte dellimpe-
gno di budget stanziato per le azioni stesse.
Un Piano di Marketing di questo tipo sarebbe - rico-
nosciamolo - ideale ma appunto perch lo definiamo
ideale esso appartiene - riconosciamolo - pi al mondo
delle idee che a quello della realt.
Molto pi spesso molte delle informazioni cui abbia-
mo fatto riferimento mancano in parte o del tutto.
Qui il ruolo delladvertising manager pu faremol-
to. Egli infatti conosce le esigenze informative della-
genzia e gli obiettivi aziendali. Non pi molto raro
quindi che il suo ruolo di consulente si espliciti proprio
in questa fase, suggerendo al marketing ulteriori passi,
approfondimenti, dati pi precisi e finalizzati a quello
149
che ci preme di sapere.
Questo ruolo pu essere esercitato ponendo al mar-
keting domande pi specifiche sul Piano o su alcune
delle sue parti e ricevendo risposte sempre pi conso-
ne a quanto ci siamo prefissati di approfondire.
Pu darsi che tali risposte non arrivino e che quin-
di il marketing stesso si renda conto (meglio se se ne
rende conto da s pittosto che sentirselo dire da noi:
potrebbe irrigidirsi sulle proprie posizioni e sulla docu-
mentazione fornitaci) della necessit di effettuare ulte-
riori approfondimenti.
5.6. Le ricerche: lo so, costano ma ne vale la pena
(se poi lo dice Ogilvy ci si deve credere, no?)
Il ruolo della ricerca, lo abbiamo detto pi volte,
fondamentale in molte delle attivit che abbiamo esa-
minato: nel marketing strategico, in quello operativo e
nella comunicazione.
Riconosco di non aver mai lavorato alla Gallup
come il signore appena citato nel titolo del paragrafo
ma ribadisco che - quando abbiamo anche solo un
minimo dubbio - meglio rivolgerci ad un buon istitu-
to di ricerca e fugarlo (od almeno tentare di farlo).
meglio spendere qualche milione in pi che qual-
150
che miliardo in pi, non credete?
Perch riproporre in questo capitolo il ruolo della ricer-
ca e le sue metodologie (ovviamente in estrema sintesi)?
Perch come intuibile essa impatta su parecchie
fasi del processo di comunicazione:
a) Nel brief, attraverso unanalisi del mercato, del
prodotto e del target;
b) Sulla creativit, attraverso la verifica della rispon-
denza del materiale pubblicitario con gli obiettivi di
marketing e non solo (basta tornare al paragrafo 3.6.5.
per capire il perch);
c) Nella media strategy e nella fase di scelta dei
mezzi, attraverso una loro analisi, per comprendere
quali siano i pi indicati per il nostro target;
d) Nella fase di produzione del materiale pubblicitario
(vale lo stesso discorso: basta tornare al paragrafo citato);
e) Nella redemption (per determinare ricordo,
memorabilit ecc.).
La ricerca, lo abbiamo visto, utilizza molti strumenti.
Pu essere di tipo motivazionale o qualitativo ovvero
di tipo quantitativo. Unindagine pu essere strutturata
anche tenendo conto di tutti e due le componenti.
Nel prossimo paragrafo poi esamineremo gli sviluppi
della ricerca psicolinguistica e dei benefici di questo
approccio metodologico sugli effetti della comunicazione.
Esistono ovviamente moltissimi istituti di ricerca
specializzati nei tipi di indagine pi confacenti al tipo di
informazioni che intendiamo reperire.
151
Per questo motivo importante che, non solo nel
marketing ma anche nel settore della comunicazione,
esista una figura che conosca le metodologie da utiliz-
zare a seconda delle necessit e sappia scegliere listitu-
to pi idoneo per il conseguimento dei risultati.
Il primo tipo di indagine generalmente affidata a
psicologi che - attraverso metodologie diverse - ci
danno il polso della situazione che intendiamo appro-
fondire focalizzata maggiormente su aspetti psicologi-
ci del target cui ci rivolgiamo.
Il secondo tipo di indagine prevede risultati in dati
generalmente numerici e viene affidata generalmente a
statistici.
Gli strumenti che si possono utilizzare sono, lo
dicevamo, molti e di alcuni abbiamo gi parlato nel
secondo capitolo.
In generale, possiamo disporre di questionari som-
ministrati attraverso indagini telefoniche e face-to-face.
Per le indagini motivazionali normalmente pi uti-
lizzato il focus group, un gruppo di circa una decina di
persone rappresentanti il target a cui facciamo riferi-
mento che, moderato e guidato da uno psicologo, for-
nisce (apparentemente a ruota libera) informazioni che
vengono poi interpretate e relazionate in una presenta-
zione allazienda.
sempre meglio assistere a questo tipo di indagine
o, perlomeno, farci dare una videocassetta del focus
group registrata per percepire le sensazioni in prima
152
persona e non mediate o filtrate attraverso linterpreta-
zione di un professionista (ma pur sempre un soggetto
a sua volta condizionabile dal proprio background).
Non si tratta di sfiducia negli psicologi ma piuttosto
di volont finalizzata ad approfondire i concetti chiave
che ci vengono trasmessi attraverso le testimonianze
reali del gruppo.
Le indagini descritte possono essere integrate da un
terzo tipo di indagine che consiste in unintervista
cosiddetta estensiva at home.
Questo tipo di indagine molto costosa in quanto
si tratta di raggiungere il target proprio nelle proprie
case, quindi va utilizzata generalmente solo nel caso
in cui si intendesse approfondire qualche aspetto emer-
so nelle fasi precedenti per cui si ritenesse opportuno
investire tempo e denaro ulteriori.
I campioni considerati rappresentativi sono caratte-
rizzati generalmente da un numero di teste pari a circa
1500 per i questionari somministrati per via telefonica.
Non supererei personalmente le 400/500 teste per le
interviste at home, considerato lelevato costo/contatto.
Torneremo pi diffusamente di ricerche in termini
di valutazione degli effetti della pubblicit sul consu-
matore e sul trade nei paragrafi 5.14. e 5.15. e - come
vedremo - anche in termini critici e non solo tecnici.
153
5.7. La psicolinguistica
Una vera e propria sfida. Quando Gianandrea
Abbate e Ugo Ferrero mi hanno chiesto di presentare
il loro interessantissimo Emotional assets: Linnovazione
psicolinguistica e lincremento dellefficacia in pubblicit, non
avrei saputo da cosa iniziare, talmente vasta la mate-
ria. Proprio per questo ho studiato a fondo il loro volu-
me e ho compreso che la ricerca ha bisogno di essere
alimentata da idee tanto rivoluzionarie quanto di sem-
plice comprensione.
Come sappiamo, la comunicazione un flusso bidi-
rezionale fatto di codici scelti generalmente da chi
accende il canale della comunicazione. Non sempre
quei codici sono le scelte migliori per comunicare con
chi abbiamo deciso di comunicare.
La scienza neurologica, che studia il nostro cervello,
ha fatto passi importantissimi, arrivando a capire che
esistono delle aspettative emotive profonde in ognuno
di noi. Tali aspettative ci raggruppano in nuovi cluster che
poco o punto hanno a che vedere con i cluster cui siamo
abituati. Cluster che tengono presenti ceto sociale, livello
culturale e quantaltro ci venga in mente. Sono invece clu-
ster del tutto trasversali, che vengono disegnati da direttri-
ci attivate dal nostro emisfero cerebrale destro, quello pre-
posto allemotivit e al pensiero profondo.
per questo importante studiare una serie di rea-
154
zioni dei nostri potenziali clienti a fronte di specifici
stimoli linguistici loro somministrati. Quando parliamo
di stimoli linguistici ci riferiamo a stimoli cromatici,
semantici e tutto quanto concorra ad accettare o non
accettare un qualsiasi tipo di messaggio, comunicazio-
ne, confronto.
La psicolinguistica dunque studia le relazioni psico-
logiche di massa nei confronti della comunicazione e i
meccanismi di efficacia od inefficacia emotiva della
comunicazione stessa.
Essa non ricerca la segmentazione, quanto piuttosto
le dinamiche di aggregazione del consenso collettivo.
Quella che Abate e Ferrero chiamano la massa pesan-
te della domanda del mercato.
Le tecniche che lindagine psicolinguistica utilizza
sono molteplici e complesse. Posso in questa sede solo
riassumerle.
Le relazioni emotive tra concept (merceologia +
attributo creativo) vengono semplificate nelle principa-
li situazioni che il software psicolinguistico individua e
misura:
a) il pensiero contiguo il pensiero adiacente al concetto
merceologico. un riflesso condizionato collettivo
(esempio: tavolo-sedia) che conferma e rinforza il campo
emotivo della merceologia. Esso rappresenta dunque
uno o pi tratti costituenti del soggetto della comunica-
zione. Esempi: Birra della bionda/Aranciata darancia;
b) il pensiero incompiuto consiste in unassociazione
155
senza un campo emotivo, con il nulla. Gli automatismi
emotivi collettivi impediscono laccettazione di uno dei
due concetti. Tale discrepanza tra concetti crea un cor-
tocircuito del pensiero, rendendo la comunicazione
inefficace. Esempi: Birra analcolica/Pulitore light;
c) il pensiero proiettivo un pensiero divergente e crea-
tivo, un salto mentale che genera una sovrastruttura
voloriale emotiva del prodotto in questione. Superando
una certa distanza si entra statisticamente in un nuovo
campo emotivo che costruisce valore emotivo aggiun-
to con spiccate propriet diversificanti nei confronti di
prodotti analoghi. Esempi: la birra con i baffi, caff del paradiso;
d) il pensiero estremo: quando il pensiero divergente e
creativo si fa pi tirato esso entra in un territorio men-
tale non pi governato da automatismi mentali trasver-
sali, ma dallindividualit dei singoli frutori del messag-
gio. Il giudizio diventa pertanto personale, soggettivo e
pertanto segmentante. Esempi: Benetton.
La psicolinguistica, basata com sulle scienze neu-
rologiche e pertanto suffragata da esse, ritiene che ogni
concetto ha una e una sola rappresentazione neurolo-
gica a livello collettivo. Rappresentazione che ne con-
sente lidentificazione e la codifica emotiva, in automa-
tico e per riflesso condizionato.
Tutto viene chiarito da due esempi: il relax verde, le-
leganza blu. Questo per il 98% circa degli esseri umani.
La psicolinguistica dunque fornisce precisi isto-
grammi in cui vengono indicati i parametri ottimali a
156
far riconoscere istintivamente un determinato concet-
to ai consumatori, a livello visivo, auditivo, musicale,
cinestesico, antropografico.
Quando la percentuale si attesta attorno al 50% i
due valori sono equivalenti; quando invece uno dei due
valori supera la soglia del 65%, quello lingrediente
emotivo predominante. Pi il dato diventa alto pi si
costituisce probante. Pi basso pi occorre non inse-
rirlo nel messaggio.
Non posso pretendere di spiegare tecniche tanto
complesse in poche pagine. per questo che rimando
coloro che sono particolarmente interessati, alla lettu-
ra del testo di Abbate e Ferrero.
Limportanza della psicolinguistica sta forse nel
fatto che il mercato attuale densissimo di un offerta
di prodotti e servizi altrettanto vasta. Trovare lo spazio
per uno spot televisivo poi una impresa difficilissima,
anche considerando il fatto che moltissime aziende
prenotano spazi con incredibile anticipo. IL cliente
esposto ad unaccelerazione di stimoli enorme.
Nonostante ci, egli ricorda spontaneamente sol-
tanto cinque prodotti.
Sempre pi importanti diventano allora i cosiddetti
emotional assets dei marchi e dei prodotti. Pi diventa
importante limmagine dei prodotti e pi risulta fonda-
mentale saper produrre immagine.
Limmagine, la reputation mind share, il pi impor-
tante dei valori competitivi che unazienda possa avere.
157
La psicolinguistica allora pu essere considerato un
sistema di ricerca innovativo che ha la finalit di aiuta-
re le aziende e le agenzie di pubblicit a fare immagine
di ottima qualit emotiva, perseguendo le strategie del-
lemotional marketing.
La metodologia utilizzata permette di individuare il
posizionamento emotivo collettivo di qualsiasi concet-
to sia necessario al marketing manager o al communi-
cation manager. tale posizionamento viene tracciato
con un test che rileva il dato necessario dalla coscienza
emotiva degli individui suddivisi in target.
A questo punto si misura quanto un concetto sia
emozionalmente efficace rispetto ad un altro.
Il software psicolinguistico infine permette la forni-
tura dei segni ottimali in termini di messaggio visivo,
lettering, messaggio auditivo parlato, musicale, di
sound effect...
In breve: cosa ci serve per comunicare chiaramente
e con il massimo risultato? Di concetti emotivi efficaci
legati al prodotto e allazienda e del modo pi efficace
di comunicare questi concetti.
La psicolinguistica ci aiuta ad individuare questi
concetti ed il modo migliore per comunicarli.
158
5.8. Il brief
Come avevamo gi visto a suo tempo, il brief quel
documento che ladvertising manager compila e trasfe-
risce allagenzia che lo utilizzer quale testo sacro per
lelaborazione della strategia di comunicazione (e anche
media, sempre che non concorra un centro media alle-
laborazione di una media strategy: in questo caso sar
indispensabile anche alleventuale centro media).
Il suo scopo quello fornire una sintesi della strate-
gia di marketing utile a far comprendere quale oppor-
tunit sia stata individuata per la marca/prodotto.
Allinterno del quadro competitivo, esso dovr far
comprendere quale tipo di contributo - nel marketing
mix - ci si aspetti da questa leva.
Il brief deve in buona sostanza poter fornire un mes-
saggio chiaro e trasparente sulle reali intenzioni della-
zienda per creare consenso e motivazione sugli obiettivi.
Un buon brief dovrebbe far comprendere perch
lazienda ritenga la leva pubblicit la pi adatta ad
affrontare e conseguire gli obiettivi, aggredendo un tar-
get specifico e contrastando la concorrenza.
A questo proposito torna in gioco il ruolo del clien-
te ed un corretto orientamento allo stesso: perch il
cliente si comporta in un determinato modo? Perch
non ci compra? Come ci percepisce?
A questo punto utile indicare quale tipo di respon-
159
sabilit ci si aspetti dalla pubblicit. Si espliciteranno le
caratteristiche fondamentali del prodotto da comunicare,
punti di forza e di debolezza. Si dar unidea molto chia-
ra del target cui il messaggio pubblicitario destinato.
importante determinare una main promise e una reason
why reali e verificabili, attraverso esempi anche concreti.
Oltre alla personalit della marca/prodotto sar
opportuno suggerire un tone of voice il pi possibile
vicino al modo di sentire del nostro cliente: amichevo-
le, autorevole, coinvolgente, trasgressivo...
Esistono varie tipologie per la compilazione di un
brief quanto pi completo.
Come gi avevo detto in precedenza esiste unotti-
ma griglia che ci viene offerta da Kenneth Roman e
Jane Maas nel loro Come fare Pubblicit.
Quanto a me, uso una griglia che un direttore clien-
ti duna agenzia mi forn qualche anno fa e che ripren-
de abbastanza fedelmente quella dei nostri autori appe-
na citati:
a) Premessa;
b) Strategia di Marketing e contesto;
c) Caratteristiche del prodotto;
d) Raffronto del prodotto con quelli della concor-
renza: punti di forza e di debolezza;
e) Main promise;
f) Reason why;
g) Target;
h) Obiettivi di marketing;
160
i) Obiettivi di comunicazione;
l) Tempi e budget a disposizione.
solo una griglia tra le tante che si possono utilizza-
re per trasferire i concetti di cui abbiamo sinora detto.
Da un buon brief, dicevamo, dipende una buona
strategia. Da una buona strategia difficile che nasca
una cattiva campagna.
5.9. La strategia di comunicazione
Ogni agenzia ha il suo approccio personale per la
realizzazione di una buona strategia di comunicazione.
Lo sa bene chi opera nel settore e ha avuto modo di
entrare in contatto con varie agenzie ma anche soltan-
to chi abbia letto qualcosa di Sgula, Ogilvy o Reeves.
Abbiamo visto come ogni fase del processo realiz-
zativo di una campagna sia estremamente importante.
Questo il concentrato dellimportanza che tutte le
parti (compresa lagenzia) rivestono nel concorrere nel
raggiungimento degli obiettivi.
Se tutti gli strumenti sono ben utilizzati e dosati,
una strategia di comunicazione (a prescindere dalla
mission, dalla filosofia e dai metodi dellagenzia per
elaborarla) sar generalmente sempre vincente.
La strategia di comunicazione fondamentale per-
161
ch getta le basi per lapproccio creativo che verr in
seguito. Tutti si credono infatti capaci di fare pubblici-
t, dal direttore marketing allAmministratore Delegato.
Condividere le basi per la creazione (e la creazione
stessa) di una strategia di comunicazione con loro,
attraverso tutte le fasi che porteranno al documento
finale, dunque importante perch tale condivisione
condurr alla consapevolezza e allaccettazione non
solo della strategia in s ma anche dellapproccio crea-
tivo e dei risultati in termini di realizzazione creativa
della campagna.
Quante volte, infatti, capita che si disquisisca (anche
ai livelli aziendali che abbiamo preso ad esempio) di
cosiddetta lana caprina basandosi su personali sensazio-
ni, gusti del management pi in meno in linea con il
nostro target e intervenendo pertanto, proprio sulla base
di tali sensazioni, sulla creativit stessa di una campagna?
Riconosciamolo: questo crea notevole disappunto
nei creativi dellagenzia ma anche delladvertising mana-
ger che tali interventi avrebbe potuto e dovuto evitare.
Come? Proprio portando gradualmente il manage-
ment aziendale a comprendere il perch di determina-
te scelte rispetto ad altre nel modo in cui ho detto: con-
dividendo la strategia.
A mio parere, unazienda (mi riferisco al suo mana-
gement) pu senzaltro intervenire sulle strategie, se
necessario, e talvolta ci si pu rivelare molto utile.
Essa non pu pretendere per di svolgere una pro-
162
fessione che nellorganizzazione dimpresa non esiste:
quella del pubblicitario tout court, o ancor meglio del
creativo. Non credete? Ma qual il compito di una stra-
tegia di comunicazione?
Anzitutto essa esplicita chiaramente gli obiettivi
della pubblicit.
Vale la pena di ripeterlo. Dalle strategie di marketing
di unazienda discendono, in modo sequenziale:
a) Obiettivi di marketing;
b) Decisioni sul marketing mix;
c) Decisioni sul communication mix;
d) Obiettivi della pubblicit.
Gli obiettivi della pubblicit devono pertanto avere
fondamento in quelli, pi generali, di marketing.
La base su cui partire per una corretta pianificazio-
ne costruita allora attraverso:
a) Il Ruolo della pubblicit;
b) Gli Obiettivi della campagna.
Una marca che deve trovare consenso deve oggi
essere capace di esprimere un valore. Non basta pi
soltanto puntare sulla qualit.
Il carattere di una marca deve tendere quindi a crea-
re una corrente ideologica con il suo consumatore.
Il cliente-consumatore sviluppa infatti i suoi model-
li attingendo da forme di comunicazione pi sottili e
pi complesse rispetto alla sola pubblicit.
Limmagine di marca, da sola, non basta pi.
163
Sempre maggiormente bisogna tendere a consolidare
una cultura di marca.
Una marca che costruisce persuasione verso i pro-
pri prodotti dovr individuare sempre di pi la specifi-
cit di prodotto, se si vuole convincere un cliente
ormai capace di costruire i propri bisogni autonoma-
mente. Avevamo detto infatti che unazienda deve
saper interpretare i bisogni latenti del consumatore
non crearli.
La specificit del prodotto consiste in un fattore
riconosciuto, che pu essere di natura tangibile o intan-
gibile. Tale fattore, se tangibile, si esplicita in un bene-
ficio che viene descritto in prestazioni concrete; se
intangibile, si esplicita in valori intrinseci comunicati
attraverso brand assets.
Un possibile approccio per pianificare con efficien-
za la pubblicit pu essere quello di partire dal consumer
buying system. Vale a dire capire in quale modo il consu-
matore sceglie quello che gli piace e quali sono i pen-
sieri che accompagnano la sua decisione.
Questo significa approfondire le fasi che precedono
lacquisto:
a) Stimolo: di che tipo di acquisto si tratta;
b) Riflessione: quali sono le motivazioni allacqui-
sto, quali le alternative;
c) Informazione: vale a dire la ricerca che ci d
eventuali ulteriori informazioni e che ci ricorda le fonti;
d) Scelta: quale la gamma effettiva tra cui si sce-
164
glie e su quali basi avviene la scelta ma soprattutto cosa
influisce direttamente o indirettamente sulla scelta;
e) Acquisto: quali e quanti fattori influenzano la
decisione finale;
f) Esperienza: come si correla con le aspettative;
g) Riacquisto: quali sono i processi che inducono
al riaccquisto (fidelizzazione) o che, disattendendo le
aspettative inducono allabbandono.
Le opzioni della scelta possono essere inquadrate in
modo efficace in unanalisi di fattori motivanti o discri-
minanti.
I fattori motivanti sono le ragioni per cui i consu-
matori entrano in una categoria di prodotto.
Quelli discriminanti consistono nelle ragioni per cui
essi scelgono una marca una volta che sono entrati
nella sua categoria.
I fattori discriminanti possono essere di tipo funzio-
nale/razionale e di tipo non funzionale/emozionale.
I fattori motivanti corrispondo a bisogni cosiddetti
primari (esempio: lavarsi i capelli). I fattori discrimi-
nanti sono bisogni cosiddetti secondari ma influenti
per la scelta (esempio, sempre per i capelli: un prodot-
to che dia corpo, lucentezza ai capelli o raccomandato
da famosi hair stylist).
Ogni agenzia, lo abbiamo gi detto, ha le proprie
procedure per preparare una strategia.
J. Walter Thompson usa il T-Plan che consiste in una
dettagliata analisi del target group e in una descrizione
165
delle reazioni cossiddette sensoriali, razionali, emotive
che ci aspettiamo dal target.
Euro RSCG usa la cosiddetta star-strategy che ha
quale obiettivo portare il prodotto/brand ad essere una
vera star; ci facendo leva sui due elementi che una star
dovrebbe avere: fisico e carattere.
Bates applica la teoria pensata e concretizzata da
Reeves, la USP - Unique Selling Proposition, vale a dire la pro-
messa secondo la quale un prodotto unico ed esclusivo,
integrata da una reason why e da una supporting evidence.
McCann-Erickson applica il cosiddetto Contratto creativo.
Young & Rubicam utilizza un Creative Work Plan (che
non espliciter in questa sede perch piuttosto articolata).
Facciamo un esempio concreto. Leo Burnett utiliz-
za, per lo sviluppo della sua strategia, la cosiddetta
Ricerca dellInsight.
Primo passo la comprensione del target, come
veramente. Esso si concretizza:
a) nellanalisi della vita delle persone come esseri
umani;
b) nel modo di porsi nei confronti della categoria;
c) nel loro rapporto con la marca.
LInsight viene definito come un modo illuminan-
te sul comportamento di un target o su una sua con-
vinzione, su cui si pu far leva per convincere questi
individui che una determinata marca la migliore per
soddisfare i loro bisogni, per farli diventare dei belie-
vers in quella determinata marca.
166
Gli insight sono importanti anzitutto perch creano
la connessione tra consumatori e categoria/marca.
Penetrano inoltre nella condizione umana, nelle cose
della propria vita.
Essi hanno dunque una rilevanza personale, crean-
do unidentificazione nella marca stessa.
Lobiettivo di questo tipo di approccio strategico
quello di creare un forte legame tra condizione umana
e marca.
Sulla condizione umana fanno leva variabili quali
bisogni, desideri, paure, valori, emozioni, percezione di
se stessi e degli altri, convinzioni, fragilit, vulnerabilit
Il legame tra questo complesso di variabili e la
marca viene creato attraverso:
a) un Fatto: losservazione di un aspetto reale
riguardo alla categoria o al prodotto;
b) un Benefit: ci che il prodotto offre al consumato-
re (sarebbe fondamentale seguire le regole della USP);
c) un Insight: la possibilit di far vivere il benefit
per il consumatore, dimostrandolo in maniera rilevan-
te e soprattutto penetrante; il vero e proprio lega-
me tra prodotto e consumatore.
Il giusto legame tra queste tre variabili (a patto di
aver estrapolato linsight pi corretto) d origine alla
connessione tra condizione umana e marca.
La chiave daccesso per stabilire un legame con il
consumatore il product benefit per i consumers e la marca,
attraverso i suoi valori esaltati dallinsight, per i believers.
167
In una buona strategia, necessario individuare il
ruolo della pubblicit in base alle reazioni del consu-
matore.
A tal proposito fondamentale:
a) cercare informazioni;
b) suscitare bisogni e desideri;
c) rendere la marca un punto di riferimento;
d) rafforzare gli atteggiamenti;
e) rafforzare i comportamenti;
f) modificare gli atteggiamenti preesistenti (nati
da esperienza o pregiudizio);
g) modificare i comportamenti preesistenti (nati
da esperienza o pregiudizio).
Riepilogando: per ottenere una strategia di comuni-
cazione inattaccabile e vincente, lazienda - attraverso il
ruolo fondamentale delladvertising manager - deve
fornire allagenzia un briefing che dovr contenere
tutto quello che pu essere utile ad essere utilizzato.
necessario che esso definisca il problema chiave
della marca rispetto a:
- obiettivi;
- target;
- concorrenza.
Dovr inoltre spiegare perch la pubblicit secon-
do lazienda lo strumento pi adatto ad affrontare il
problema.
A seguire definir le responsabilit che lazienda
intende attribuire alla pubblicit in termini di feedback
168
del target:
a) maggiore immediatezza nellazione;
b) ricerca di maggiori informazioni;
c) riconoscimento della marca come valida rispet-
to ai bisogni;
d) comportamento che metta la marca al centro
dei propri pensieri;
e) cambiamento o rafforzamento del proprio
comportamento rispetto ad unabitudine di consumo;
Ricordiamo: una campagna pubblicitaria pu
rispondere - in termini di capacit di influenza sul tar-
get - ad uno solo di questi obiettivi.
La scelta consapevole di uno di questi il fattore
critico di successo.
Andranno poi integrate le informazioni sul prodot-
to (sarebbe importante che i creativi possano giocare
con il prodotto, utilizzarlo e quindi capirlo al di l della
semplice descrizione tecnica che lazienda pu dare).
Un buon brief fornir un profilo esauriente del
cliente a cui intendiamo rivolgerci.
Esso comunicher la promessa, la chiave di comu-
nicazione del prodotto, la personalit della marca (in
termini di attuale percezione e di obiettivo di effettiva
percezione) .
Ci fornir poi un tono con cui la marca dovr esse-
re presentata (non detto che unazienda che ha sem-
pre comunicato in modo autorevole non debba passa-
re - per ottenere determinati obiettivi - ad un tono iro-
169
nico, giusto per fare un esempio).
Lagenzia, a fronte di tutte queste informazioni (ed
altre che, si spera, ci chieder man mano che il nostro
rapporto con essa crescer e si rafforzer), ci presente-
r una advertising idea.
Ladvertising idea linvenzione che sa sorprendere
ed intrattenere il pubblico fino al punto di farlo riflet-
tere e reagire positivamente sul prodotto.
Essa tale se sa collegare lintrattenimento ad una
specificit del prodotto. Mi spiego meglio.
Ladvertising idea pu essere una vivida dimostra-
zione delle funzioni della marca ed in questo caso lavo-
ra sulle reazioni dirette del consumatore.
Molto pi spesso essa usa una metafora per espri-
mere ci che una marca , la sua differenza ed unicit
rispetto alle altre. In questo caso lavora sulle reazioni
indirette del consumatore.
In alcuni casi si utilizzano liperbole e/o il parados-
so per esprimere ci che la marca oppure ci che un
prodotto pu fare. Ci per, utilizzando un trattamen-
to ancora capace di bucare il rumore di fondo (ricorda-
te Fabris?) dei media.
Sta a noi e alle nostre capacit di distinguere fra
trattamento gradevole e idea creativa lopportunit per
lazienda di investire al meglio il nostro denaro.
170
5.10. La strategia media
La strategia creativa, pur sinteticamente stata
affrontata, spero, in modo sufficientemente chiaro.
Il brief, lo abbiamo gi detto, fornisce informazioni
utili anche per il reparto media di unagenzia o per un
centro media. Questo dipende dal tipo di rapporto che
lagenzia e lazienda instaurano e se tale rapporto preve-
da un utilizzo della struttura media dagenzia ovvero che
lazienda - avvalendosi di un centro media - utilizzi sol-
tanto i servizi che lagenzia pu offrire per la fase strate-
gica, creativa e realizzativa della campagna pubblicitaria.
Ci sono aziende ad esempio che, avendo un reparto
media interno, tengono direttamente i rapporti con le
concessionarie media e formulano media plan interni.
Ovvero aziende che, pur avendo tale reparto, impo-
stano attraverso di esso i loro rapporti con i media
department delle agenzie o con il centro media.
Risulta - credo sempre maggiormente - chiaro
comunque che il ruolo delladvertising manager deve
sempre di pi essere finalizzato alla gestione ed al con-
trollo del communication mix (che segue sempre gli
obiettivi di marketing).
Questo mix parte dalla copy strategy ma coinvolge
appieno anche la media strategy.
per questo che, anche in questo caso, credo for-
temente nel ruolo di coordinamento delladvertising
171
manager, coinvolgendo - come abbiamo visto per la
copy strategy - il management aziendale anche nellela-
borazione della media strategy e nella realizzazione del
media plan.
Il coinvolgimento , a mio parere, talmente impor-
tante che - soprattutto nei casi in cui si faccia ricorso
ad un centro media - ladvertising manager dovrebbe
poter creare un vero e proprio Gruppo di Lavoro che
comprenda (fin dallinizio), oltre ai referenti della
Divisione di Prodotto interessata dalla campagna (in
genere Direttore, responsabile marketing e product
manager), anche lagenzia (il pi possibile estesa - oltre
alle figure istituzionalmente preposte ai rapporti con
lazienda - anche ai creativi, soprattutto nella fase in cui
si esamina ladvertising idea) ed il centro media.
Credo decisamente che la creazione di un Gruppo
di Lavoro sia quanto di meglio si possa fare per coin-
volgere tutti gli attori del processo del communication
mix, condividendo ed accettando - step by step - ogni
fase per arrivare alla condivisione definitiva dei risulta-
ti in termini creativi, media e di redemption (ora sap-
piamo dare a questo termine una valenza pi ampia dei
soli risultati in termini di vendite).
Questo tavolo di lavoro non penalizza ladvertising
manager ma anzi ne rafforza il ruolo.
A mio avviso infatti, egli deve svolgere limportante
compito di moderatore. Se analizziamo pi in profon-
dit il ruolo che un moderatore (sia egli un conduttore
172
televisivo, o di seminari, corsi o dibattiti in genere) ha,
non potremo non riconoscergli un potere che, se cor-
rettamente gestito, gli consente di condurre ed indi-
rizzare un discorso, un dibattito, un progetto nella dire-
zione che intende egli stesso dare, generando per - di
norma - negli attori di tali attivit limpressione che
siano essi stessi gli artefici della direzione presa e dei
conseguenti risultati.
Sar forse troppo machiavellico ma, per motivi che
espliciter nel paragrafo 5.12 ritengo valido quello che
ho appena affermato.
Tornando al ruolo di moderatore, ladvertising
manager concerter con tutti gli attori una serie di azio-
ni che genereranno reazioni misurabili in termini di
efficacia ed efficienza.
Possiamo paragonare questa figura a quella di un
vero e proprio direttore dorchestra. Egli potr non
suonare nel momento in cui dirige ma la musica, quel-
la la conosce bene e con essa larrangiamento per archi,
fiati ecc.
I media! Mi ero quasi dimenticato che dobbiamo
ancora affrontare il discorso.
Abbiamo una strategia di comunicazione. Questa
strategia, per essere davvero vincente, preveder luti-
lizzo di uno o pi mezzi su cui veicolare la campagna.
La scelta dipende ovviamente da vari fattori: target,
obiettivi di marketing, redemption e last but not least
budget a disposizione.
173
La strategia media tiene conto di tutti i fattori
descritti per la strategia di comunicazione (derivanti dal
brief) ed essa stessa si integra e giustifica con e nella
strategia di comunicazione.
Chi fa la strategia media? Lagenzia (utilizzando il
reparto media) insieme con il centro media, il quale
(nel caso che abbiamo ipotizzato) concretizza in un
media plan gli obiettivi della pubblicit.
Per far ci si deve necessariamente tenere conto
delle disponibilit di budget. Non sempre (lavevamo
gi detto) chi pi spende meglio spende ed il ruolo di
un centro media (o comunque di qualsiasi settore cita-
to che di media si occupi) proprio quello di ottimiz-
zare il budget a disposizione realizzando un piano il pi
possibile efficace.
Si avvarr di indagini pi o meno gi disponibili sui
media, sui fruitori dei media, sui clienti dei media.
Verificher il budget disponibile e lo utilizzer
creando un mix che pu basarsi su uninfinit di ele-
menti.
Gli obiettivi che ci prefiggiamo di raggiungere con
la pubblicit sono importanti al riguardo poich coper-
tura e frequenza sono variabili legate alla pressione
pubblicitaria (misurata in GRP) che, ovviamente,
risponde ad esigenze specifiche.
Se, ad esempio, lesigenza quella di generare e/o
rafforzare la percezione della marca e quindi il suo
ricordo probabilmente lesperto di media agir preva-
174
lentemente sulla frequenza di un determinato spot,
annuncio stampa o radio.
Se il nostro un target molto esteso e dobbiamo far
arrivare il nostro messaggio su pi teste possibili, pro-
babilmente si agir a livello di copertura.
Appare evidente dunque come un giusto mix si
imponga anche in questo caso perch il budget non
generalmente mai sufficiente ad avere la massima
copertura e la massima frequenza.
Il GRP (Gross Rating Point) lindicatore della
pressione pubblicitaria che impatta su una campagna.
Esso dato dal rapporto tra Contatti lordi a target x
100 ed Entit numerica del target di riferimento.
Per non entrare in spiegazioni pi specifiche riguar-
danti i contatti lordi, i contatti netti, la OTS -
Opportunity to See o frequenza media di esposizione ,
tradurr il GRP (non mia, la traduzione, questo
evidente) nel prodotto tra reach e frequency (in cui per
reach si intende la copertura netta espressa in valori per-
centuali e per frequency la frequenza media di un piano.
Anche se questa formula non chiarisce quale coper-
tura e quale frequenza si utilizzi. Ci significa che, a
parit di GRP, le combinazioni tra le due variabili pos-
sono essere molte.
Mi sono dilungato un poco, e me ne scuso, su aspet-
ti che riguardano pi specificamente lesperto media.
vero per che quando il media plan pronto esso
ci si presenta non solo come una pianificazione tempo-
175
rale e di mezzi coinvolti ma anche e soprattutto come
una serie di numeri e percentuali che fanno riferimen-
to a questi concetti, la cui conoscenza, almeno basica,
ci pu aiutare nella lettura di un documento del genere
e - perch no? - anche nella sua interpretazione.
Oltre alla realizzazione del media plan, il centro
media (o reparto media dagenzia) prenoter gli spazi
alle concessionarie, facendo valere con esse (per quan-
to possibile) il proprio ed il peso dellazienda cliente
finalizzato ad ottenere posizioni migliori, in testa o in
coda alla serie se si tratta di spot radio o tv, a destra se
si tratta di quotidiani ecc. Si occuper inoltre di con-
trattare sul prezzo stesso degli spazi.
Attenzione agli sconti: generalmente i prezzi che
leggiamo sulle pubblicazioni di settore sono i cosiddet-
ti prezzi di listino e sono normalmente soggetti a scon-
ti gi fissati dalle concessionarie.
Il valore aggiunto di un centro media consiste nel
far valere nei confronti delle concessionarie il proprio
contributo al fatturato stesso di queste ultime, attraver-
so il proprio portafoglio clienti in generale e allimpor-
tanza dellazienda cliente per cui chiede lo sconto.
Non facile ma un buon centro media riesce ad
agire anche in questo senso.
176
5.11. Guardiamo in faccia la realt:
il budget, leterna coperta troppo corta
Abbiamo detto che nessuna azienda dispone di un
budget illimitato da destinare alla pubblicit.
Anzi. Spesso se ne stanzia troppo poco pensando
che chi realizza una campagna o pianifica gli spazi
possa poi fare miracoli.
Quello che in questa trattazione importante capi-
re se esista un modo per determinare una quota di
budget da destinare alla pubblicit.
Quante volte infatti abbiamo avuto la sensazione di
disporre di un budget quasi fosse una coperta troppo corta?
Media maggiori? Tiriamo di qua! Meno soldi per la
realizzazione della campagna!
Costi per la casa di produzione? Ritiriamo di l!
Meno soldi per i media.
Mi si perdoni il linguaggio comune ma la situazione
che spesso ci si presenta proprio quella del budget
che sempre una coperta troppo corta.
Rispondiamo intanto alla domanda base. Cos un
budget pubblicitario?
Generalmente esso consiste nellinvestimento com-
plessivo per:
a) Acquisto degli spazi pubblicitari (TV, radio,
stampa, affissioni, cinema);
b) Spese tecniche (realizzazione tecnica della cam-
177
pagna e materiali ad essa connessi);
c) Spese per Promozione alla forza vendita, al
consumatore...
d) Spese amministrative (commissioni dagenzia
ed onorari, ricerche...)
possibile determinare uno stanziamento di bud-
get e, se possibile, in che modo?
Questa una (doppia) domanda abbastanza com-
plessa per rispondere alla quale dovremmo dedicare
forse una trattazione a s.
Possiamo affermare che non esiste effettivamente
una formula unica ed accettata comunemente.
Esistono per molti metodi (tra cui la formula di
Peckam di cui non far accenno se non nel ricordar-
la) descritti da autori come Broadbent, Guatri ed altri
hanno affrontato il problema.
Come ci ricorda Brioschi, esiste intanto unimposta-
zione teorica.
Essa prevede una dimensione minima di stanzia-
mento, al di sotto della quale gli oneri aziendali sop-
portati risultano superiori ai vantaggi raggiunti con la
pubblicit. Gli oneri sono riferiti in generale alle spese
da sostenere per la pubblicit (non entrano in questo
caso tra gli oneri le spese per lo studio e la produzione
del prodotto da comunicare).
I vantaggi sono gli effetti - in termini di vendite -
che la pubblicit pu recare allazienda.
Superando questa dimensione minima di stanzia-
178
mento per, i vantaggi che si possono conseguire con
la pubblicit aumentano molto pi velocemente rispet-
to agli oneri sostenuti. possibile dunque determinare
una soglia di convenienza e - ancor pi - una zona di
convenienza crescente fino ad un limite massimo.
La dimensione minima di stanziamento consiste nel
punto in cui vantaggi ed oneri si equivalgono.
Lo stanziamento ottimale quello che realizza la
massima convenienza relativa.
Veniamo alla pratica.
Le aziende hanno vari metodi per determinare un
budget da destinare alla pubblicit:
a) Il budget come percentuale sulla previsione di
vendita (la percentuale calcolata di volta in volta e
non mai fissa);
b) Il budget determinato in funzione di quello stan-
ziato dalla concorrenza;
c) Il budget come investimento di quanto unazienda
si pu permettere dopo leffettuazione delle spese vive;
d) Il budget come risultato degli obiettivi della cam-
pagna e del costo dei mezzi;
e) Il budget come risultato di una stima della curva
di risposta delle vendite stimolate dalla pubblicit.
mia personale convinzione che determinare il
budget in funzione degli obiettivi della campagna
(sostanzialmente rispondenti in senso lato a quelli mar-
keting) e al costo dei mezzi necessari affinch tali
obiettivi siano perseguibili e diano risultati sia - al
179
momento attuale - se non la migliore, senzaltro una
buona metodologia.
Questo comporta che, a fronte degli obiettivi, chi
curer il media plan sappia davvero creare un media
mix che sia rispondente alle esigenze e al contempo e
tenga conto dei criteri di ottimizzazione del budget.
Per questo, forse, integrare questa metodologia con
il metodo All you can afford potrebbe - relativamen-
te ad una prima fase di studio e ricerca - essere utile e
produttivo.
Il media buyer dovrebbe poter conoscere infatti
quale sia, almeno approssimativamente, il budget che
unazienda o una Divisione della stessa possono per-
mettersi di stornare dal budget totale alle attivit pro-
mopubblicitarie.
Si potr forse obiettare che la metodologia che tiene
conto degli obiettivi si potrebbe invece integrare con
una determinazione ipotetica di budget che consista in
una percentuale sulle vendite previste. Da cui costruire
secondo gli obiettivi ed i mezzi.
Confesso che non saprei rispondere se non questo:
ogni tipo di stanziamento pu funzionare a patto che
la strategia copy e media siano forti del proprio e non
solo in funzione dellinvestimento che si pu stanziare.
Cio a dire: il budget importantissimo ma qualsia-
si esso sia c chi spender di pi e chi spender di
meno di quanto spendiamo noi.
Ricordo ancora che non sempre in questo settore
180
vale la legge del chi pi spende
Personalmente sono aperto a qualsiasi contributo e
suggerimento a riguardo.
Chiunque mi volesse suggerire testi, metodi, pozio-
ni magiche non ancora sperimentate non esiti a contat-
tarmi. Io continuer a tenermi aggiornato. Per fortuna,
la nostra una professione che te lo impone.
5.12. The Man in the Hathaway shirt: sembra facile!
Eh s, sembra facile! Una campagna apparentemen-
te fluida, facile, quasi scontata. Eppure una campagna
che, oltre ad essere avvolta nella leggenda, entrata, a
buon diritto, nella leggenda.
Perch? Ogilvy insegna.
Le camicie Hathaway non andavano molto bene.
Francamente non che avessero grandi qualit n este-
tiche n intrinseche al prodotto. Come penetrare allora
un target apparentemente disinteressato a quel tipo di
merceologia o a quel prodotto specifico?
Quel geniaccio di Ogilvy ebbe la cosiddetta Big Idea,
una cosa strana di cui non si sente parlare da lunghissi-
mo tempo nel nostro dorato mondo della pubblicit.
Un uomo, un tipo alla David Niven per intenderci
(pare fosse un barone rossopardon moi: russo), che
181
trasmettesse valori quali la tradizione, laplomb del
vero gentleman inglese; vari contesti ambientali: il
suo studio, il salotto, il Louvre, al campo da golf.
Sempre qualche dettaglio in pi che aiutasse il target a
capire sempre di pi e sempre di meno chi potesse
essere questo tipo. Basta cos? No.
Non bastava. Cera qualcosa che mancava a quel-
luomo: aveva tradizione, aplomb, distinzione e - ovvia-
mente - indossava una camicia Hathaway, o meglio una
serie di camicie (era una cosiddetta campagna multi-
soggetto?), ma cera qualcosa che doveva attirare lat-
tenzione del potenziale acquirente nei riguardi non
tanto del prodotto quanto piuttosto delluomo che lo
indossava e di quello che comunicava, o meglio, non
comunicava.
Qualcosa che suscitasse curiosit ed al contempo
ammirazione, spirito di emulazione.
La grande idea: una benda!
S, proprio una benda alla Mosh Dajan (allora
ministro degli Esteri israeliano): nera.
Cambiavano le camicie, i contesti ambientali ma
quella benda, sempre presente ed inspiegabile, indub-
biamente attir talmente lattenzione del consumatore
che, non solo le vendite aumentarono ma quella cam-
pagna divent ed tuttora oggetto di studio in qual-
siasi corso finalizzato allapprendimento delle tecniche
pubblicitarie e creative.
La leggenda vuole che quella campagna (proprio
182
quella che conosciamo) fosse stata inizialmente forte-
mente contrastata allinterno dellazienda cliente E
anche che Ogilvy ebbe diciotto idee prima di arrivare
alla soluzione (ovviamente la diciottesima).
Egli era un maestro nel creare miti e nel creare il
proprio stesso mito. Proprio come Napoleone.
Un curioso e divertente filmino realizzato negli anni
60, credo dalla J.W. Thompson di Londra, e che ho
avuto modo di vedere ad un qualche seminario paro-
diava le pressioni, dovute allindecisione, che lazienda
faceva nei confronti dellaccount dellagenzia che, ogni
qualvolta portasse a far visionare una proposta creati-
va, veniva rispedito in agenzia ad apportare modifiche
su modifiche
Questo per sottolineare come lindecisione di una-
zienda associata ad una indecisione dellagenzia gene-
rasse processi circolari di continue variazioni sul tema
senza soluzione di continuit.
Indovinate quale fosse la campagna oggetto della
parodia. S, bravi: proprio quella della camicia
Hathaway.
Esempio concreto:
Personaggi: Bill: direttore marketing;
John: product manager;
Donna: account executive dagenzia
Primo giorno:
- Mah, io credo che luomo starebbe meglio con i
baffi.Non trovi John?
183
- Ehms, Bille gli farei indossare una camicia
azzurraTi pare, Bill?
- Penso di siiii! Che ne pensa, Donna? Ce la faccia-
mo a modificarlo, non vero? Laccount tace e pertan-
to acconsente.
Secondo giorno:
- Be, JohnIn fondo...credoforsemah, penso
che luomo sia pi efficace senza baffie poi, quella
bendaChe significa? Io gli toglierei la benda e
anche i baffi! Che ne pensi John? Glieli togliamo i baffi,
non ti pare?
- Bill, in fondo quei baffi non che ma forse,
no! Decisamente credo tu abbia ragione e quanto
alla camicia, forse potrebbe essere quella che indossa-
va nellaltra foto Anzi, meglio quella di prima.
Decisamente! Che ne pensi, Bill?
- No, la camicia la terrei, John? Non le pare, Donna?
Terzo round:
- Eppure manca qualcosaChe siano i baffi? Che
ne dici, John?
- Mah, BillForse la benda! Gli dava un certo
non so cheChe ne pensi se gliela rimettessimo?
- S, hai ragione. E poi condivido quanto pensavi
sulla camicia, JohnEffettivamente, mi sembra deci-
samente meglio fargliene indossare una azzurra
Va bene: basta cos! Quante volte vi capitato di
imbattervi in questo nella vostra azienda o quante volte
184
avete subito questo tipo di situazioni, cari account? E
quante volte vi capiter ancora!
Chi mi risponde Mai! mente sapendo di mentire.
Ecco perch ritengo fondamentale quanto detto
riguardo la strategia creativa.
Provate solo una volta a portare e condividere con
il vostro management un documento come quello che
abbiamo descrittocolori, bende e baffi non saranno
pi oggetto di discussione.
Ve lo posso garantire. Beh, diciamo quasi garantire!
5.13. Larte della diplomazia in pubblicit:
c un nesso logico in fondo
Date retta a uno che la diplomazia la sta imparando
sulla propria pelle: serve. La diplomazia serve, a chi -
come noi - esercita una professione sempre sul filo del
rasoio.
Questo non un paragrafo con finalit esplicative.
Lunica finalit che perseguo quella di fare unesorta-
zione a chi legge e che ripeto ogni giorno a me stesso
davanti allo specchio: Sii diplomatico! Da oggi si cam-
bia e si diventa diplomatici, daccordo?
essere diplomatici non significa dire sempre s.
Significa piuttosto tenere conto delle persone con cui
185
ci si relaziona, ognuna delle quali un esperto di mar-
keting, un esperto di comunicazione, un esperto di
vini Insomma: un esperto che ne sa comunque di
pi di te, di me, di noi
Ladvertising manager, lavevo gi detto e lo ripeto,
dovrebbe - come il politico - leggersi e rileggersi il
Principe di Machiavelli. In fondo questo pu essere a
buon diritto considerato uno dei trucchi del mestiere,
non trovate?
5.14. La campagna pubblicitaria: il travaglio infinito
Questo paragrafo rappresenta la necessaria conclu-
sione al capitolo riguardante lagenzia, ladvertsing
manager, le strategie di comunicazione/media ed il
budget promopubblicitario.
Arriver il momento in cui la nostra campagna pub-
blicitaria, sia essa televisiva, radiofonica, stampa, affis-
sione (probabilmente sar qualcosa di integrato), sar
definitivamente pronta.
A questo punto ce la goderemo in anteprima (anche
se avremmo presidiato il set durante le riprese - senza
fiatare se non con lArt Director - il montaggio, il dop-
piaggio, il telecinema; se non altro per imparare nuove
cose: stiamo descrivendo la realizzazione di uno spot,
186
ovviamente). Ci sediamo nel nostro ufficio davanti al
televisore e inseriamo la videocassetta.
Ecco le barre colorateOra c il titolocount
downEcco lo spot!
Seguiremo tutte le sue uscite: alle 20.54 su Raiuno;
alle 21.33 su Canale5; alle 23.04 su La7. Ovviamente
coinvolgendo la nostra fidanzata, nostra madre, nostra
moglie, i nostri figli, la vicina di casa o gli amici.
S. Perch quando lo spot passa per la prima volta
come se uscissimo da un travaglio infinito e avessimo
partorito un figlio. Abbiamo contribuito alla creazione
di qualcosa, possibilmente di una grande idea. Ma non
finisce qui.
5.15. Copy-test, Pre-test e Post-test:
la campagna non finisce con la campagna
Abbiamo analizzato il modo in cui la ricerca entri in
tutte le fasi di un processo che porta alla realizzazione
di una campagna e sappiamo come incida anche dopo
il lancio della stessa. Abbiamo visto come durante la
fase creativa possa essere necessario effettuare dei
copy-test. Ci siamo resi conto di quanto possa essere
utile fugare dubbi sulla realizzazione definitiva di un
annuncio (sia uno spot o unaffissione) attraverso la
187
realizzazione di pre-test.
Gi sappiamo che dovremo - a livello di settore
comunicazione - effettuare anche dei post-test di cam-
pagna.
Alcune aziende lo fanno. Io lo faccio.
Memorabilit (ricordo spontaneo, indotto, ricordo di
uno o pi messaggi della campagna); gradimento della
campagna; comportamento a seguito della campagna: sono
alcuni degli aspetti che possiamo testare dopo la fine
della campagna stessa, in una o pi fasi separate tra loro.
Il bilancio finale riguardante una campagna si fa
normalmente al massimo un paio di mesi dopo la fine
della stessa.
Si analizzano i dati del post-test effettuato; si fa una
stima dellefficacia degli strumenti a supporto (vedi la
promozione); si fa una valutazione dellimpatto che la
campagna ha avuto sulla rete di vendita e sui dipenden-
ti dellazienda.
Al contempo si valuta il tipo di contributo offerto
dallagenzia e fornito alla stessa da parte nostra.
Poi si ricomincia con un nuovo prodotto, con una
nuova sfida, con una nuova campagna. Sperando (ma
se avremo operato con buon senso sar cos) che alme-
no lagenzia rimanga la stessa.
188
5.16. Misurare e valutare gli effetti della pubblicit?
S, ma non sparate sul pianista
David Ogilvy: C in tutti la tendenza a sfruttare le
ricerche come fa un ubriaco con un lampione: per reg-
gersi in piedi e non per farsi illuminare.
Henry Ford: C un 50 per cento del mio budget
pubblicitario che non va a segno. Peccato che non sap-
pia quale.
Oliviero Toscani: I mulini bianchi, i biscottini, le
famigliole felici sono una finzione e la gente se ne
accorgeLa nuova frontiera della comunicazione la
realt non la finzione stucchevole.
Molti uomini di comunicazione si sono posti il pro-
blema della valutazione degli effetti della pubblicit.
Chi da un punto di vista, chi da un altro: tutti giungo-
no per alla conclusione che una valutazione non
solo possibile ma doverosa.
Il ruolo di un uomo di comunicazione dazienda
quindi non solo quello di rendere realizzabile una cam-
pagna pubblicitaria efficace, attraverso tutte le leve e gli
strumenti sin qui descritti ma anche poter valutare
quanto essa sia stata efficace.
La valutazione degli effetti della pubblicit consiste
nel misurare linfluenza che essa esercita sulle modali-
t di formazione delle preferenze.
189
Se infatti la comunicazione pubblicitaria conside-
rata dallazienda un investimento, questultima si aspet-
ta dei ritorni sullinvestimento sostenuto misurandoli
in termini di efficacia ed efficienza.
Efficacia consiste nel rapporto tra obiettivi consegui-
ti ed obiettivi previsti. Efficienza sta ad indicare il rap-
porto tra costi sostenuti, risorse impiegate nella campa-
gna e risultati ottenuti.
Prerequisiti della valutazione sono i caratteri degli
obiettivi:
- Chiari;
- Precisi;
- Appropriati;
- Conseguibili;
Da ci consegue necessariamente che siano:
- Misurabili.
Gli effetti su cui valutare una campagna sono di due tipi:
- Effetti di tipo cognitivo (effetto comunicazione);
- Effetti tangibili e misurabili (effetto vendite).
Le metodologie per una corretta valutazione delleffica-
cia di una campagna sono molte. Vediamo le principali:
a) Modello di gerarchizzazione degli effetti;
b) Modello del sistema cognitivo del consumatore;
c) Ricerche per messaggio, mezzi e intera campa-
gna pubblicitaria.
a) Il modello di gerarchizzazione degli effetti della pubbli-
cit viene applicato da metodologie quali AIDA, DAG-
190
MAR, Lavidge e Steiner e Rogers, che agiscono su tre
livelli:
- Conoscenza;
- Atteggiamento;
- Comportamento.
Queste metodologie, dunque, fanno riferimento ad
un modello tridimensionale in cui vengono considerate:
- una dimensione cognitiva;
- una dimensione affettiva;
- una dimensione comportamentale.
La dimensione cognitiva fa riferimento ad elementi
quali: impatto, comprensione, memorizzazione, ricor-
do, riconoscimento, associazione, sensazione. La dimen-
sione affettiva attiene a elementi quali: sensazioni, perce-
zioni, atteggiamenti, gradimento, interesse, motivazio-
ne. La dimensione comportamentale considera: motivazioni,
intenzioni, decisioni, azioni.
AIDA (Attention, Interest, Desire, Action) gerarchizza
gli effetti in base ai livelli/dimensioni citati in:
- Attenzione;
- Interesse e Desiderio;
- Azione.
DAGMAR (Defining Advertisinig Goals for Measuring
Advertising Results) analizza gli effetti (secondo il primo
ed il terzo dei livelli suddetti) in:
- Attenzione e Comprensione;
- Convinzione e Azione.
191
Lavidge e Steiner, seguendo tutti e tre i livelli, ana-
lizza:
- Notoriet e Conoscenza;
- Apprezzamento e Preferenza;
- Convinzione ed Acquisto.
Rogers segue questa gerarchia:
- Informazione;
- Interesse e Valutazione;
- Prova ed Adozione.
b) Il Modello del sistema cognitivo del consumatore ha
lobiettivo di valutare lefficacia della comunicazione
riferita al potere di influenza sul comportamento del
consumatore e sul suo processo di acquisto.
Esso fa riferimento ad un sistema motivante, ad un
sistema percettivo e ad un sistema valutativo.
c) Il Modello di ricerca per messaggio, mezzi ed intera
campagna agisce su tre elementi che sono, appunto:
1) il messaggio;
2) i mezzi;
3) la campagna nel suo complesso.
1) Sul messaggio si possono effettuare ricerche stra-
tegiche, pre-test e post-test. Le ricerche strategiche
sono generalmente qualitative e consistono in concept
test; o Desk, che consistono in content analysis.
I pre-test sono indagini qualitative, che - come
abbiamo visto, consistono in interviste di gruppo o
individuali che si strutturano in una prima esposizione
192
(memorizzazione, credibilit, interesse) e una seconda
esposizione (visual, testo, musica).
Questi test possono anche essere, come abbiamo
gi accennato, indagini quantitative su campioni di
individui in cui si analizzano interesse, gradimento, com-
prensione, intention to buy.
I post-test sono anchessi costituiti da:
- indagini qualitative: interviste di gruppo o indi-
viduali in cui vengono valutati impatto e percezione;
- indagini quantitative in cui vengono misurati:
ricordo (spontaneo, indotto di prodotto, indotto di
prodotto-marca), riconoscimento, attribuzione o ricor-
do attinente.
2) Sui mezzi si possono misurare:
- potere di persuasione del mezzo;
- rispondenza tra target audience del mezzo e
target consumer o target communication;
- esposizione;
- attenzione;
- comprensione;
- accettazione;
- rifiuto.
3) Sulla campagna complessiva si effettuano gene-
ralmente indagini continuative, dette Tracking study
che analizzano levoluzione nel tempo e le variazioni di
conoscenza, qualit percepita, atteggiamenti
Questo ultimo approccio metodologico sempre
193
pi diffuso e coerente con la constatazione (ormai
esplicitata da Aacker e Carman nellormai lontano
1982) che lefficacia di una campagna, a livello di
impatto sulle vendite, non pu essere rilevata solo al
breve e medio termine ma al lungo termine in quanto
leffetto di una campagna sulle vendite pu esplicitarsi
anche dopo un periodo piuttosto lungo (a seconda del
tipo di reazione del consumatore e del tempo occorso
alla campagna per generale tale reazione).
Per questo sempre di pi si parla di effetto totale di
una campagna: lorizzonte temporale in cui essa pu
avere e di fatto ha una variabile non definibile aprio-
risticamente. Pu dunque risultare necessario valutare
cambiamenti negli atteggiamenti e nei comportamenti
dacquisto dei consumatori seguendo una mappatura
degli stessi in intervalli predeterminati.
Da cui lutilizzo dei tracking studies.
Relativamente agli effetti che una campagna pubbli-
citaria possono avere sul trade possiamo accennare, a
mo di esempio alla misurazione del grado di persegui-
mento del rapporto di scambio secondo le modalit e
la velocit con cui vengono inseriti i nuovi prodotti
negli assortimenti commerciali, nellipotesi che prodot-
ti nuovi intensamente pubblicizzati siano pi o meno
accettati rispetto a prodotti nuovi con pubblicit scar-
sa o nulla.
A questo aspetto si pu estendere il concetto stesso
di memorabilit.
194
J. Docker, attribuendo unimportanza strategica nel
processo di acquisto alla memoria, ci segnala come
questa, sia a breve che a lungo termine, sia soggetta ad
un calo nel target colpito dalla nostra campagna.
Questo calo si pu fronteggiare attraverso un recu-
pero/richiamo che parte dai seguenti atteggiamenti:
a) lo studio degli stimoli da adottare sul mercato
(Pop ecc.) che facciano scattare il ricordo del messaggio;
b) il raggiungimento della certezza che lannuncio
fornisca ogni possibile elemento mnemonico che col-
leghi lo stimolo del punto di vendita al messaggio.
Ci sta a significare che lazienda, in collaborazione
con lagenzia, deve individuare stimoli di richiamo sul
punto di vendita.
molto difficile infatti che chi compila la lista della
spesa scriva marca x piuttosto che prodotto x a meno
che la marca non sia talmente forte e connaturata con
il prodotto (Coca Cola Coca Cola e basta! Provate a
chiedere una Coca: possono darvi una Pepsi - che Coca
Cola non - ma anche lo stesso venditore la percepi-
r come se lo fosse. Con vostro grande disappunto).
quindi importante generare quel tipo di stimoli
affinch nel momento in cui la massaia legge, allinter-
no del punto vendita, quanto ha scritto sulla lista (ad
esempio caff) acquisti il nostro caff e non un altro
caff.
195
5.17. Lasciatelo suonare! Come suonare in un bordello e
rimanere sobri: unindagine che pu far riflettere.
Per capire il tipo di importanza che questo tipo di
ricerche riveste nellintero processo di comunicazione
per-post/campagna per le aziende e per le agenzie
E.Valdani, M. Costabile e L. Iacovone condussero
unindagine esplorativa effettuata inviando un questio-
nario a 200 imprese (selezionate tra le Top Investors
dei principali settori industriali e di servizi), 30 agenzie
di pubblicit (scelte in base al fatturato e allampiezza
del portafoglio prodotti - agenzie a servizio completo)
e 10 istituti di ricerca (selezionate tra quelle che si occu-
pano professionalmente di ricerche sulladvertising).
La redemption della ricerca, riportata in Micro &
Macro Marketing n.3 dicembre 1993, fu piuttosto alta
(8,5%, 33.3% e 20%) e quindi sufficientemente atten-
dibile per comprendere i punti di vista delle aziende e
delle agenzie.
A proposito di effetti, lindagine rileva (ricordiamo
che quanto segue il risultato delle convinzioni espe-
rienziali dazienda e dagenzia) come essi siano vissuti
come un problema in termini di affidabilit dei sistemi
di controllo su tale attivit, in genere ritenuta molto
bassa.
Parlando di efficacia ed efficienza, per il primo fat-
tore non sono emerse particolari differenze di valuta-
196
zione tra aziende ed agenzie, delineando le une e le altre
le sue dimensioni attraverso affermazioni quali rag-
giungimento degli obiettivi, in alcuni casi legandoli alla
misurazione degli obiettivi di pubblicit, come coinci-
denza fra immagine di marca desiderata e percepita,
livello di awareness e top of mind desiderato; passan-
do per il raggiungimento degli obiettivi di posiziona-
mento e vendite e variazione di medio-lungo periodo
in termini di awareness, trattanti e vendite.
Ad una rispondenza di valutazione semantica di
efficacia sostanzialmente simile nellinterpretazione
aziendale e dagenzia non corrisponde per unanaloga
rispondenza quando si parla di efficienza.
Non solo tra interpretazione delle aziende e delle
agenzie ma (ecco il dato interessante) nella discrepan-
za dinterpretazione che le aziende stesse danno di que-
sto fattore.
Solo il 35% delle aziende ha definito chiaramente
che efficienza dellinvestimento in pubblicit il rapporto
tra livello dellefficacia e lo sforzo aziendale sostenuto
per ottenerla (investimenti).
Tale insicurezza nel definire il concetto di efficienza
si riscontrato anche nelle risposte fornite dalle agenzie.
Efficacia ed efficienza vengono valutate dalle azien-
de separatamente (nella quasi totalit dei casi analizzati).
Mezzi e campagne vengono valutati dalle agenzie
separatamente (nell87,5% dei casi analizzati).
Le metodologie ritenute dalle aziende e dalle agen-
197
zie pi attendibili sono quelle che rilevano gli effetti
cognitivi.
Per valutazioni articolate su pi indicatori sono le
agenzie a ricorre pi spesso ai tracking studies.
Molte aziende si pongono nei confronti della valu-
tazione degli effetti in pubblicit in modo sostanzial-
mente inerziale.
Alcune utilizzano o - meglio - si limitano ad utiliz-
zare le metodologie classiche (citate) e consolidate pur
nutrendo perplessit sulla loro attendibilit: in sostan-
za il loro un atto di fede.
Alcune aziende invece tentano di superare le per-
plessit integrando le metodologie al fine di consegui-
re risultati perlomeno soddisfacenti.
La ricerca condotta ha tentato inoltre di rilevare
quali fossero realmente gli orizzonti della valutazione
degli effetti della pubblicit.
stata verificata la reale propensione delle aziende
e delle agenzie a valutare gli effetti diretti e quelli indi-
retti. Questa rilevazione, combinata con quella riguar-
dante lorizzonte temporale della valutazione degli
effetti, produsse i risultati che seguono.
Gli effetti diretti di breve periodo sono in genere
visti come conseguibili attraverso la sfera cognitiva:
conoscenza e notoriet di marca, di prodotto e dazien-
da. Questi sono effetti che possono impattare anche su
trade e vendite.
Per gli effetti diretti di lungo periodo possibile
198
rilevare delle sovrapposizioni con gli obiettivi e le valu-
tazioni degli effetti misurati nel breve periodo, come
linfluenza sul trade e laumento delle vendite.
Gli effetti indiretti di breve periodo vengono inter-
pretati e valutati in modo eterogeneo. Alcuni li ricon-
ducono alla misurazione degli effetti ombrello della
marca, ovvero quanto aumenta il valore di protezio-
ne su altre marche aziendali (brand equity e potenziale
di brand extension); altri alla variazione delle quote di
mercato relative.
Dallanalisi comunque si evince che le aziende non
valutano con sistematicit gli effetti indiretti.
Per gli effetti indiretti di lungo lindagine ha forni-
to spunti interessanti.
Un caso, fornito da unazienda europea leader nel
settore elettronico di consumo, dimostra come gli
ingenti investimenti pubblicitari nel lungo periodo
abbiano consentito di aumentare le vendite del settore
(domanda primaria) senza peraltro incidere significati-
vamente sulla propria quota di mercato.
Ulteriore spunto per far riflettere le agenzie relativa-
mente al loro ruolo (che auspico sempre di pi di tipo
consulenziale): solo il 50% delle agenzie effettua una
valutazione delladvertising e comunque solo su espli-
cita richiesta dellazienda cliente.
generalmente basso il numero di casi in cui una-
genzia consideri la misurazione del valore che il ser-
vizio offerto produce per lazienda come caratteristica
199
della sua attivit. Lunica eccezione riguarda la valuta-
zione ex-ante della capacit comunicativa del messag-
gio (il copy-test).
Come abbiamo visto per, questa eccezione
entrata di diritto nel processo stesso di progettazione
di qualsiasi campagna.
Solo nel 50% dei casi aziendali per, a questa pras-
si ormai consolidata, segue un processo valutativo
dopo il lancio di una campagna.
Gli ultimi risultati che devono far riflettere chi
opera nel mondo della comunicazione si riferiscono al
fatto che, per quanto riguarda le agenzie, la valutazione
degli effetti della pubblicit risulta essere unattivit
condotta sporadicamente ed in genere solo se prevista
da accordi contrattuali tra utente di pubblicit ed agen-
zia. Essa non viene considerata quale forma di poten-
ziamento del servizio offerto.
La tendenza che si riscontrata maggiormente nelle
agenzie inoltre quella di valutare prevalentemente effet-
ti cognitivi ed emotivi, quasi mai i comportamentali.
I parametri maggiormente utilizzati sono; ricordo,
notoriet, immagine e quota di mercato.
Per le agenzie gli approcci pi utilizzati sono track-
ing studies ed effetto dei media.
Per le aziende stata rilevata una coerenza di base
tra obiettivi pubblicitari, di valutazione, metodologie e
parametri di misurazione.
Le carenze maggiori vengono invece dallattenzione
200
prestata alle misurazioni dellefficienza. Solo il 50%
delle aziende manifestava lintenzione di valutare il
ritorno dellinvestimento e solo il 12,5% fa seguire
allintenzione la concreta indicazione di metodologie e
parametri di misurazione impiegati per raggiungere lo
scopo (chiaro, no?).
Il rapporto fra investimenti in pubblicit e costi per
le ricerche sulla pubblicit: il 70% delle aziende intervi-
state spende in ricerche sulladvertising meno dell1%
dellinvestimento pubblicitario.
I dati emersi inducono alla riflessione, soprattutto
per chi opera in azienda, non tanto sulle metodologie
utilizzate per valutare gli effetti della pubblicit, quanto
piuttosto sul loro vissuto presso i manager dazienda.
Il ruolo delladvertising manager in questo proces-
so di riflessione fondamentale a mio parere per laspet-
to cui abbiamo spesso fatto riferimento.
Il ruolo di consulente per la comunicazione,
anchesso abusato in questa trattazione, dovrebbe
poter essere esplicitato anche in unopera di sensibiliz-
zazione nei confronti del management circa la necessi-
t aziendale di porsi sempre pi realisticamente in un
ottica valutativa relativamente agli effetti della pubblici-
t sul consumatore e sul trade.
Egli deve inoltre riuscire a persuadere il manage-
ment stesso che gli stanziamenti di budget destinato
alla pubblicit non possono non tenere conto (o tene-
re nel conto che abbiamo visto) i costi da destinare alla
201
ricerca e alla misurazione degli effetti pubblicitari.
Questo approccio proattivo ad un problema, lo
abbiamo visto, molto sentito allinterno delle aziende
utile, per chi opera nellambito della comunicazione
(e non solo in ambito dimpresa), per superare lo scet-
ticismo generale che, a livello aziendale, si ha nei con-
fronti non tanto delle metodologie a disposizione,
quanto piuttosto sulla loro attendibilit.
Alcuni fattori critici emersi nellindagine che abbia-
mo sintetizzato in questa sede possono e dovrebbero
costituire uno stimolo per chi, occupandosi di comuni-
cazione, intendesse sviluppare nuove strategie e seguire,
perch no? nuovi sentieri impervi che pian piano, diven-
tando strade sempre pi praticabili, portino la pubblici-
t e chi opera nei suoi ambiti ad una credibilit e ad
unattendibilit sempre maggiori, sia nei compiti attuali
che le sono riconosciuti (ma anche in quelli potenziali
ancora da scoprire) sia nei suoi effetti sul consumatore,
sul trade e sullazienda stessa che la promuove.
Lo studio e limplementazione di nuovi orientamen-
ti che integrino maggiormente i vari modelli al fine di
una valutazione degli effetti della pubblicit che sia il
pi possibile efficace ed attendibile sono per ladverti-
sing manager, importanti. Anche per limpatto che
questi nuovi orientamenti avrebbero nellesperienza
concreta a livello di agenzia.
Come abbiamo visto infatti, quanto meno para-
dossale che chi realizza una strategia di comunicazione
202
(lagenzia) non si preoccupi (in generale, si intende) di
valutarne gli effetti in termini non solo cognitivi ma
anche comportamentali.
La pubblicit deve poter far vendere.
La valutazione dei suoi effetti dovrebbe entrare di
diritto tra i servizi che unagenzia a servizio completo
offre al suo cliente, a prescindere dal rapporto contrat-
tuale che con esso intercorre.
Nellottica di un rapporto di reale partnership la-
genzia deve poter riuscire a consolidare un proprio
ruolo che vada oltre lambito operativo della realizza-
zione ma che sia sempre pi vicino ad un ruolo di con-
sulenza nei confronti delladvertising manager.
Essa deve poter diventare il suo uomo a LAvana!
203
Capitolo 6
Conclusioni
6.1. Gli scenari futuri per lazienda:
impresa multicellulare e impresa globale
difficile dire con certezza quali siano gli scenari
futuri per lazienda. Molto pi semplice riportare quan-
to stato scritto a riguardo e cercare di individuare
spunti per una riflessione che ci porti perlomeno ad
avere un fiammifero per non brancolare nel buio.
Lazienda, osservava Gianfranco Dioguardi in
unintervista, sta assumendo nella sua struttura sempre
di pi una connotazione a rete: una rete di individui ma
anche di poli operativi interni attivati da singoli e poli
esterni rappresentati dalle realt con cui lazienda inte-
ragisce. Se la struttura si appiattisce, ispirandosi ad
204
una riduzione dei livelli aziendali, vanno sollecitate le
competenze dei singoli individui. I poli operativi inter-
ni - in quanto vere e proprie strutture di raccordo -
dovrebbero in sostanza essere trasformati in conteni-
tori di professionalit allargate.
Se le unit costitutive lazienda non sono altro che
aggregazioni di individui con una coscienza culturale
sempre pi spiccata, lorganizzazione, che dovr essere
trasversale, consentir allimpresa rete di essere assimi-
labile ad un vero consorzio di capacit individuali.
Le aziende che si sono prefissate obiettivi che
rispondano a criteri di Qualit Totale si sono orientate
a questo tipo di realt. Anche in Italia.
Sempre di pi si assiste alla creazione di team inter-
funzionali; vengono sempre di pi attivate strategie di
complementariet, che servono a valorizzare alleanze
di tipo sovranazionale sancite da rapporti contrattuali.
La realt italiana ha evidenziato come la capacit
imprenditoriale si sia sempre espressa meglio nelle
aziende di piccole e medie dimensioni, per motivazio-
ni storiche e caratteriali.
Lindividualismo ha liberato le migliori energie crea-
tive nelle piccole realt, pi che nella grande industria,
la quale non stata capace di adattarsi ai cambiamenti,
anche sociali.
Persino le macrostrutture, con le tradizionali fun-
zioni di linea e di staff, cominciano a dare segnali di
cedimento (in altri paesi prima che in Italia ed ora
205
anche nel nostro Paese).
Non a caso, se si osservano le loro strutture, le
aziende informatiche stando sempre di pi organizzan-
dosi secondo modelli reticolari.
Occorre pertanto avere coraggio e forza morale
per fare tornare al potere limmaginazione associata
alla ragione: limpresa rete poggia, secondo Dioguardi,
proprio sul coordinamento delle diverse creativit; che
richiede il coinvolgimento delle energie e delle motiva-
zioni individuali nel processo organizzativo.
Bisogna orientarci ad un processo multicellulare,
abbandonando il processo inteso in senso tradizionale e
restrittivamente considerato come schema burocratizzato
e precostituito su procedure rigide - viste dal personale
come costrittive - e basato esclusivamente su parametri
economici.
Evidentemente i nuovi processi richiedono sforzi
notevoli in termini dinvestimento nella formazione
delle risorse umane. Una formazione che deve essere
mirata non solo allarricchimento delle differenti pro-
fessionalit ma anche a quella che Dioguardi chiama
education. Lindividuo che opera nellimpresa rete deve
saper agire a 360 gradi, acquisire competenze a tutto
campo che lo facciano operare con spirito umanista.
Questa impostazione genera massimo coinvolgi-
mento e favorisce la cultura dimpresa, intesa non tanto
o non solo come corporate culture ma come strumen-
to strategico di gestione di team di persone cultural-
206
mente affini tra loro.
La gestione del coordinamento potrebbe essere
utile a gestire i conflitti che esistono tra varie aree del-
lazienda (ad esempio tra logistica e marketing).
La nascita di interdipendenze dovute proprio alla
struttura reticolare, anche di natura economica reale,
implica lo scambio di servizi o parti di prodotto.
Lindividuo per - per operare in questo contesto -
deve diventare imprenditore di se stesso nei confronti
delle altre realt interne al fine di favorire la cooperazio-
ne. Questo aspetto pu consentire allazienda anche di
grandi dimensioni di riadattarsi e cambiare al cambiare
(sempre pi repentino) dei contesti di riferimento.
in atto una crisi, dovuta al progressivo cambia-
mento culturale, valoriale, ideale, politico, sociale ed
economico del mondo industrializzato; una crisi che
sta investendo ogni aggregazione pi o meno organiz-
zata: dalla famiglia (come Aristotele la intendeva e cio
prima forma di societ), alla scuola, ai partiti politici,
alla magistratura.
Un progressivo abbandono di ruoli, o meglio ad un
rivolgimento (non uso il termine stravolgimento che
potrebbe lasciar intendere un giudizio in merito che
non mi pongo assolutamente) che sta ingenerando abi-
tudini e comportamenti sociali nuovi e talvolta vissuti
da chi non partecipe al cambiamento (ovvero con-
dizionato da moralismi di stampo religioso) come tra-
sgressivi.
207
I figli (lo dicono le ricerche) stanno diventando
sempre di pi decisori dacquisto a scapito di genitori
che, per varie ragioni, concedono sempre di pi.
Il ruolo dei genitori forse condizionato da sensi di
colpa dovuti ad unassenza dai figli a fronte di necessi-
t economiche che impongono spesso ad entrambi i
genitori di lavorare.
Questi sensi di colpa vengono forse colmati dal
dare in forma materiale, sopperendo ad una sentita e
presunta mancanza, nei confronti dei figli, in termini
affettivi e valoriali. Stanno cambiando perfino le attitu-
dini sessuali che (almeno nel campo del fashion) ven-
gono esplicitate chiaramente con una connotazione
omodiretta.
insomma una vera e propria crisi di identit che si
sta trasferendo anche nellazienda. Non solo in relazio-
ne al segmento presso cui essa opera ma, come diceva-
mo nel primo capitolo, anche e soprattutto in relazio-
ne ai propri modelli organizzativi.
Il sistema sociale verso cui ci stiamo dirigendo si
fonda su principi diversi da quelli del sistema cui erava-
mo abituati: velocit, dinamismo, interattivit.
Dalla ripetitivit delle azioni (anche in ambito azien-
dale) si passa sempre pi ad una imprevedibilit dovu-
ta a nuovi fattori tra i quali la creativit ha un posto di
riguardo.
Da un tempo certo e prestabilito (turni, orari di
lavoro) si sta progressivamente arrivando ad una flessi-
208
bilit e a flussi continui.
Il lavoro che prima veniva svolto nellambito del
proprio ufficio (fisicamente inteso) oggi viene - per
questi motivi e in funzione delle nuove tecnologie -
svolto ovunque: a casa, in auto, in aereo, dal dentista
I processi di innovazione sono costanti ed inarresta-
bili. Essi sono legati anche ai processi aziendali.
Ci favorir, a mio avviso sempre di pi, una rivin-
cita della piccola impresa nei confronti della grande
unit di business che, a sua volta, dovr sempre di pi
(lo sta gi facendo) frazionarsi, spaccarsi in piccoli
pezzi interconnessi a rete (per dirla con Dioguardi). Da
organizzazioni verticistiche e verticali si passer sem-
pre pi a microrealt legate a network.
Il tempo reale ormai un requisito che il cliente
considera (per i motivi accennati) scontato: per acqui-
stare, per ricevere informazioni, denaro, servizi
Il sistema sociale va sempre pi verso un individua-
lismo che, come abbiamo visto, scardina il concetto
stesso di massa, nonch i processi costruiti per finaliz-
zare prodotti, servizi, messaggi orientati ad una massa
o massificanti.
Il computer contribuisce ad un processo demassifi-
cante nei confronti di persone che -collegate in rete -
esprimono individualit ben precise (a prescindere che
scelgano unindividualit virtuale e fittizia ritenuta
comunque loro pi congeniale).
Al nazionalismo sta facendo seguito (fatte salve le
209
eccezioni di rigurgito) un processo di localismo e al
contempo di transnazionalismo che porter le aziende
a doversi confrontare sempre di pi non solo con il
proprio mercato nazionale ma anche con quello (anche
se semplicemente utilizzato come parametro di riferi-
mento da parte del cliente) di altri paesi.
Questa globalizzazione interessa tanta lazienda
quanto lagenzia di comunicazione.
Il think global - act local sempre attuale quanto pi
attuale il glocal che entrato stabilmente nel linguaggio
e nelle strategie del marketing.
I genotipi aziendali, ossia i caratteri primari, riman-
gono immutati mentre lazienda cambia i fenotipi,
ossia i caratteri secondari.
Unarmonizzazione che sempre pi orientata alla
creazione della megabrand per il consumatore globale.
Fabris, come ci ricorda il Lombardi nel suo testo
riguardante la globalizzazione, ritiene che si potr par-
lare di consumatore globale solo quando potr acqui-
stare in Internet stabilmente e con volumi quantificabi-
li come considerevoli.
Osservo, a riguardo, come stiano nascendo aziende
business to business che si stanno specializzando nel-
lofferta, alle piccole e medie imprese, della gestione
logistica dellintero processo dacquisto effettuato on
line (e-commerce): scelta da catalogo, transazione fina-
lizzata allacquisto stesso, imballo del prodotto acqui-
stato, sua etichettatura ed invio direttamente in casa del
210
consumatore, monitorizzando attraverso tracking lo
stato di avanzamento della consegna.
Questo , a mio avviso, il segnale che quanto asse-
riva Fabris sta divenendo realt.
Anche se il consumatore non pu essere definito
ancora globale, egli si sta globalizzando o perlomeno
possiede una cultura globale.
TV satellitare ed Internet sono gli strumenti che
hanno, consapevolmente o meno, allargato e dunque
cambiato i punti di riferimento del cliente, scardinando
i confini geografici, proprio come fece la TV in Italia -
a livello regionale - a partire da met degli anni 50,
aggregando prima la popolazione divisa in massa unita
(vedi la storia dei partiti di massa propria di quegli anni)
e spingendola oltre la propria percezione di un mondo
ristretto verso un orizzonte pi ampio che ha generato
nuovi stimoli e nuove leve economiche.
cambiata la musica e con essa le generazioni che
la ascoltano ma soprattutto che la fanno.
6.2. Lagenzia nel mirino: quanto incider (o gi incide)
la nuova azienda sullagenzia
Tutto quanto detto per lazienda non pu non riflet-
tersi sullagenzia che con essa interagisce.
211
La conoscenza di nuovi mercati, la globalizzazione,
la destrutturazione e la conseguente ristrutturazione
dellorganizzazione aziendale, la interdisciplinarit,
lappiattimento delle gerarchie, labbattimento dei pro-
cessi verticistici sostituiti da interdipendenze di pi
realt cooperanti tra loro.
Lagenzia si trova di fronte alla necessit di rimette-
re in gioco i propri modelli organizzativi per sposarsi
meglio con i nuovi modelli aziendali.
Flessibilit e servizio completo (non solo nello spa-
zio ma anche nel tempo) significa investire parimenti a
quanto fa o deve fare lazienda in formazione e risorse.
I soggetti operanti nel mondo della comunicazione
sono ormai molteplici, i mezzi ed il rapporto con essi
cambiato.
Lanalisi dellefficacia di azioni che rispondono ad
obiettivi deve costituire una prassi maggiormente con-
solidata di quanto attualmente non sia.
Strutture snelle e assenza di badge da obliterare
allingresso sono essenziali per portare anche lagenzia
verso una struttura articolata cellularmente a network.
Nuovi contributi e nuove soluzioni anche relativa-
mente al processo di creazione della comunicazione e
valutazione del feedback stanno arrivando dalle realt
pi abbienti ma anche da piccole agenzie.
Una sempre maggiore specializzazione potr porta-
re benefici allazienda cliente:
212
- Advertising puro;
- Web advertising;
- Relazioni pubbliche;
- Promozioni;
- Direct Marketing;
- Sponsorizzazioni;
- Packaging;
- Fiere e mostre;
- Comunicazione interna;
- Bartering
- Trading
- Brand audit
- Consulenza strategica
Le agenzie devono sperimentare nuovi canali indivi-
duando professionalit sempre pi specializzate da
allocare al proprio interno ovvero creando, come
abbiamo detto, cellule che, rispondendo alla casa
madre, sappiano ognuna tradurre nel miglior modo
possibile obiettivi aziendali sempre pi diretti a seg-
menti micro.
Questa una reale prestazione di servizio integrato.
Il ruolo che ladvertising manager pu avere in que-
sto upgrading dellagenzia molto pi rilevante di quan-
to non si possa ritenere.
Il semplice fatto che si comunichi leventuale critici-
t o debolezza riscontrata nel rapporto pu generare,
con il giusto spirito di partnership, aggiustamenti e
miglioramenti nella stessa organizzazione dagenzia.
213
Se il rapporto impostato secondo quellinterscam-
bio di cui avevo parlato nel capitolo precedente un
buon passo in avanti lo si gi compiuto.
6.3. Leggere, vedere, toccare, ascoltare, assaporare: ovvero lad-
vertising manager unantenna
Un grande chitarrista di un gruppetto, idolo del
rock che ha oltrepassato la soglia dei sessanta, un gior-
no durante unintervista - per tentare di spiegare non
tanto le origini del proprio successo e di quello della
sua band, quanto piuttosto la capacit di mantenersi
sempre sulla cresta dellonda acquisendo sempre nuovi
fans tra i pi giovani - rispose definendosi cos: Io
sono come unantenna che in mezzo al caos capta e
riceve sempre nuovi segnali!.
Il chitarrista si chiama Keith Richards ed il gruppo
in questione Rolling Stones. Ecco dunque spiegato il
segreto delleterna giovinezza!
Per un chitarrista, per un uomo qualunque, per
unazienda Sentirsi unantenna ricevente!
Personalmente mi sono subito identificato in quella
descrizione, non tanto perch mi piacciano i Rolling
Stones ma perch chi fa pubblicit deve conoscere e
saper rispondere ai dubbi che Quelo, il famoso perso-
214
naggio che Corrado Guzzanti interpretava nel Pippo
Kennedy Show, esplicitava ogni volta che unanima
persa gli chiedeva conforto. C grossa crisi, dice-
va. Non sappiamo dove stiamo andando, non sappia-
mo quanto stiamo facendo!.
Ora comincer ad andare a ruota libera e, dato che
non potete fermarmi fisicamente, vi avverto: se volete
scienza passate oltre.
Il mondo pulsa l fuori e chi fa pubblicit lo sa. Lo
deve continuare a leggere, lo deve vedere, osservare,
toccare, ascoltare, assaporare.
Il linguaggio dei giovani, ad esempio. Provate a sali-
re su un autobus e ad ascoltare un gruppetto di moc-
ciosi di quindici anni: bene, se non riuscite a capire
cosa dicono (non ridete, negli States uscito da poco il
nuovissimo dizionario dello slang, quindi): 1) sarete
out, vecchi; 2) come pensate di comunicare in modo
credibile un prodotto ad essi diretto se i vostri codici
di comunicazione non sono aggiornati?
Ascoltate musica: opera, classica, jazz (acid, be-bop,
cool, fusion), blues (nelle sue forme electric, chicago,
Delta, Texas), rock (alternative, classic, southern, punk,
grunge, garage, british, underground, crossover, nu metal,
dark), disco, hip-hop, trance, trip-hop, techno, dru-
mnbass Musica multisettorializzata anche per quel-
li che erano generi standard!
Andate nei megastore multimediali (quelli per inten-
derci dove si vendono dischi, DVD, videocassette,
215
audiocassette, libri e riviste da tutto il mondo, pop
corn
Andate al cinema e vedete film (e spot).
Andate alle mostre fotografiche e a quelle darte.
Fotografate e dipingete (non ho detto che dovete
esporle, le vostre opere! E comunque non rispondete
mai Non ne sono capace! Io a un anno non sapevo
parlarePensate: adesso lo so fare! Come dite? Anche
voi? Ero sicuro che eravate dei testardi come me.
Viaggiate. Non potete? Non avete abbastanza
tempo a parte il solito volo Roma/Milano?
Non perdetevi danimo: abbonatevi al National
Geographic!
Sapete qual la differenza tra Coca e Pepsi? No,
non in termini di market share! Intendo se sapete rico-
noscere tra il gusto della Coke e quello della Pepsi!
Non ci credo! Davvero? Bravi.
Perch nella Corona (la birra intendo) ci mettono il
limone? Io non lo so ancora ma chiunque lo sapesse mi
scriva.
Avete mai mangiato il verme nella bottiglia del mezcal?
Andate nei supermercati, guardate i prodotti, osser-
vateli, toccateli. Entrate nei centri commerciali, guarda-
te la gente: come si veste, come si trucca, come cam-
mina, i suoi gesti, come si comporta davanti alle vetri-
ne, cosa dice, come giudica
Mangiate piatti tradizionali della cucina regionale
italiana ma anche il pollo tandoori, il sushi, il tempura,
216
le buffalo wings del Texas, lanatra pechinesei kn-
del austriaci. Gustate i sapori del mondo.
Bevete uno chateaux Petrus (se ve lo potete permet-
tere) ma anche un cabernet di Napa Valley o uno zin-
fandel australiano. Senza dimenticare un buon
Sassicaia, un Brunello o un caldo Barolo. Anche una
buona croatina non guasta con alcuni piatti della tradi-
zione lombarda. Insomma: sappiate assaporare il
mondo nella sua totalit. Tuffatevi nel melting pot!
Siate un po vouyer, siate un po quello che vi pare
ma datemi retta: il perch lo capirete da soli.
Siate curiosi. Posso solo dirvi che la curiosit gene-
ra creativit. La creativit vincente. Sempre. Forse
non diventerete dei profeti (e francamente non mi
auguro per voi che facciate mai la fine che general-
mente fanno). Avrete per un dono che forse il loro
segreto: avere gli occhi di un bambino, aperti per guar-
dare, osservare ed imparare.
Non abbiate paura di chiedere, quando non sapete.
Io ho sempre chiesto e mi hanno sempre risposto.
A proposito: leggete il testo di Numb, una canzone
paradossale degli U2 che si limita a citare una serie di
proibizioni imposte dalla morale e dai pregiudizi.
Poi, ovviamente, fate il contrario. Tutto il contrario.
Possa il vostro cuore spezzarsi per amore
Possa il vostro cuore poggiare su fondamenta solide
quando tutto il resto vi sembrer crollarvi addosso
E possiate rimanere giovaniper sempre!
Da Forever Young di Bob Dylan
217
6.4. Questa casa non un albergo! Ma cosa ho dovuto
leggere per meritarmi tutto questo?
Perch questo titolo? Non lo so. Mi ricordo solo
che mia madre, durante la mia adolescenza, me la ripe-
teva spesso questa frase: Questa casa non un alber-
go! Lho associata (freudianamente?) non so perch
ad un paragrafo in cui ho elencato quei testi che (chi
pi, chi meno) hanno lasciato un segno sulla mia cre-
scita, umana e professionale. Mi piaceva lapparente
nonsense e lho lasciata cos.
Da alcuni (non crediate necessariamente i pi speci-
fici e settoriali!), ho preso qualche spunto consapevole
o - ipotesi molto pi probabile - inconsapevole.
Cosa ho letto per meritarmi tutto questo? Cosa leg-
ger ancora? Una cosa certa: questo mestiere il pi
affascinante del mondo, basta non smettere mai.
Di fare cosa? Ma di rimanere svegli, no?
Di seguito riporto - cos come mi capitano dalla mia
biblioteca - i testi cosiddetti seri. Vale la pena di leg-
gerli per approfondire alcune tematiche trattate:
D.A. Aaker, J. Myers: Management della pubblicit; Franco Angeli
Leo Bogart: Strategia in Pubblicit; Franco Angeli
Giampaolo Fabris: La pubblicit teorie e prassi; Franco Angeli
Marco Lombardi (a cura di): Manuale di tecniche pubblicitarie; Franco
Angeli
218
J.J. Lambin: Marketing; Mc Graw-Hill Libri Italia
Olaf Ellefsen: Come programmare una campagna di pubblicit; Franco
Angeli
Kenneth Roman e Jane Maas: Il nuovo Come fare pubblicit; BUR
Don Pepper and Martha Rogers: The One to One Future; Currency
Doubleday
Alessandro Bianca (a cura di): La promozione nella Comunicazione
UPA; Quaderni 2000
Philip Kotler: Marketing Management; ISEDI (io ho letto la quinta
edizione)
A. Fabris: Storia delle teorie organizzative; ISEDI
Corigliano: Marketing strategie e tecniche; Mc Graw-Hill
Bruno Busacca, Chiara Mauri: La valutazione dellefficacia della pubbli-
cit : limpatto sul comportamento del consumatore e sul trade; SDA
Bocconi
John Docker: La memoria: Funzioni ed effetti della pubblicit da Media
Forum n. 130 Anno XVIII
Ezio Ciuti: Le dinamiche Utente-Agenzia di Comunicazione; SDA
Bocconi
G. Belch, M. Belch, A.Villareali: Effetcs of Advertising
Communications: Review of researh; da Marketing Espansione n. 35
May 1989
David Lowe-Watson: Il rapporto tra messaggio, marca e consumatore da
Media Forum n. 130 Anno XVIII
V. Codelluppi (a cura di): La Pubblicit; Franco Angeli
Enrico Valdani, Michele Costabile, Laura Iacovane: La valutazione
degli effetti della comunicazione pubblicitaria: unindagine esplorativa; da
219
Micro & Macro Marketing n. 3 dic. 1993
Ernest Broadbent: Il budget promopubblicitario; Etas libri
Fred S. Zufryden: How much should be spent for Advertising a Brand
da Journal of Advertising Research, april/may 1989
Ermete Paolucci: Il marketing di qualit; Calderini
Maurizio Bonferroni: Multicreativit; Il Sole24Ore
John Egley: Everything you always wanted to know about advertising; da
Business Marketing, June 1997
Edward De Bono: Essere creativi; Il Sole24Ore
Edward De Bono: Semplicit; Sperling & Kupfer
Alan Loy Mc Ginnis: La forza dellottimismo; Il Sole24Ore (lo con-
siglio vivamente)
Fabio Magrino/Antonio Bellomi: Linglese degli affari; BUR
AA. VV. : Come si legge il Sole 24 Ore (se, come capitato a me, vi
capiter di occuparvi di comunicare prodotti finanziari e non ne
capite un tubo Magari, prima di arrendervi)
Emanuele Invernizzi: Relazioni Pubbliche; voll.1 e 2 McGraw-Hill
Ora vi proporr dei testi (anche questi serissimi) per
imparare davvero il mestiere del pubblicitario (a parte i
trenta anni di pratica minima richiesta e continuativa
necessari):
Rosser Reeves: Reality in Advertising; (meglio conosciuto in Italia
con il titolo I miti di Madison Avenue)Lupetti
David Ogilvy: Confessioni di un pubblicitario; Lupetti
David Ogilvy: La Pubblicit
220
Annamaria Testa: La parola immaginata; Pratiche ed.
Gian Luigi Falabrino: Pubblicit serva padrona (come essere critici ed
obiettivi nei confronti del nostro mondo e di quello parallelo); Il
Sole24Ore
Louis Bassat (con la partecipazione di Giancarlo Livraghi): Il nuovo
libro della pubblicit; Il Sole24Ore
Jaques Sgula: Hollywood lava pi bianco; Lupetti
Franco Bellino: Creare Spot; Dispense TP
Riporter adesso alcuni testi - anchessi in ordine
sparso - che per me hanno significato e significano
qualcosa di sempre nuovo:
Armando Catemario: Linee di Antropologia culturale; Gangemi
Georges Jean: Il linguaggio dei segni; Universale Electa/Gallinard
Konrad Lorenz: Gli 8 peccati capitali della nostra civilt; Adelphi
Erich Fromm: I cosiddetti sani; A. Mondadori
Ernest Hemingway: Fiesta; Oscar Mondadori
Jack Keruac: On the Road; Mondadori
Jack Keruac: I vagabondi del Dharma; Mondadori
Edgar Lee Masters: Antologia di Spoon River; BUR
Platone: Processo e morte di Socrate; BUR
Goethe: Viaggio in Italia; Mondadori
Bob Dylan: Folk, Canzoni e Poesie; Newton & Compton
Mazzarino: Storia del pensiero storico classico; voll.1,2,3 BUL
Niccol Machiavelli: Il Principe (nelledizione Feltrinelli in cui vi
uno scritto di G.W. F. Hegel)
221
A margine di un paragrafo contenente quelle che gli
studiosi chiamano riferimenti bibliografici e che per
me sono solo un percorso suggerito a chi volesse
approfondire in modo pi esaustivo di quanto ambisse
questo volumetto le tematiche trattate, mi sia permes-
so chiudere con una frase di un noto uomo politico
non pi in vita che, alla domanda di una giornalista Le
piace leggere? rispose cos: Pi che leggere, mi piace
rileggere.
Quel politico era Enrico Berlinguer. Nel ricordare
questa frase non rispondo ad alcun intento politico se
non quello, umano, di riconoscermi - libero pensatore
- in quellapproccio alla cultura. Quella frase me la
sono tatuata dentro di me e la faccio mia.
Spero diventi anche un po vostra.
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Ringraziamenti
Qui la diplomazia non centra.
Un atto doveroso e sincero.
Ringrazio mia madre per avermi sempre detto:
BravoMa puoi fare di pi!. La vita una sfida,
inutile illuderci e non bisogna adagiarsi mai sugli allori:
si pu sempre migliorare.
A Franco Bellino dico grazie soprattutto per avermi
svelato un segreto: che il nostro mestiere, a qualsiasi livel-
lo e con qualsiasi ruolo lo si svolga una pozione magi-
ca che dona eterna giovinezza. Basta non fermarsi mai.
Ringrazio Anna Scotti per gli stessi motivi e per
avermi spronato ad aiutare chi opera nelle agenzie a
ricominciare a credere nella Grande Idea. Spero di non
deludere le sue ispettive.
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Grazie a Maria Carmela Ostilio della Scuola di
Direzione Aziendale Bocconi perch scevra da ogni
pregiudizio preconcetto nei confronti di tutto e tutti.
Grazie a Claudio Pavan per i preziosi consigli sulla
determinazione del budget pubblicitario che mi diede
quando lo conobbi. Ero un semplice impiegato ma
credo si aspettasse da me che non volessi rimanerlo a
vita.
Grazie a Silvio Abbro per avermi sempre considerato
e trattato, da quando mi conosce, da Top Manager anche
se non lo sono. Lo ringrazio inoltre per i pranzi di lavo-
ro al Savini. Anche lo spirito, talvolta, va confortato.
Ringrazio chi mi ha somministrato qualche insegna-
mento valido per la vita. Ora so che si pu cadere e che
le prime volte fa male. Poi ci si abitua e soprattutto si
impara a rialzarsi.
Doveroso ringraziamento al Prof. Mario Morcellini
che ha voluto onorarmi di uninsperata quanto stimo-
lante prefazione al presente volumetto.
Ringrazio una donna che non pi tra noi, per me
pi di un semplice capo. Un giorno si alz dalla sua
scrivania e mi fece sedere al suo posto sedendosi pro-
prio dove ero seduto io. Poi cominci a recitare la mia
parte: mi fece cambiare il punto di vista da cui guarda-
vo le cose, allargando il mio orizzonte e facendomi
soprattutto capire cosa significhi essere un capo.
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Vorrei ringraziare voi che avete avuto la pazienza di
leggere queste pagine. Non so se sono riuscito nellin-
tento di trasferire concetti nuovi ma so che, pur nel
poco tempo a disposizione, ho scritto cose in cui credo
e che mi appassionano. Spero di averlo fatto con entu-
siasmo sufficiente.
Chiunque volesse contattarmi per suggerimenti, sti-
moli, riflessioni, critiche, curiosit o insulti potr farlo
collegandosi al sito www.fermento.net e cliccando sul
mio link.
Assicuro a tutti una domanda!
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