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biografia

Santa Chelidonia di Subiaco Pag. 1




Santa Chelidonia di Subiaco
Solitaria

13 ottobre
Cicoli, Abruzzo, 1077 ca. - Subiaco, 13 ottobre 1152
Santa Chelidonia, o anche Cleridonia (Cicoli, 1 ottobre 1077 circa Subiaco, 13 ottobre 1152), stata
una religiosa italiana, visse in eremitaggio per oltre 50 anni nella valle dell'Aniene. Considerata
santa dalla Chiesa cattolica che la ricorda il 13 ottobre.
Chelidonia in greco significa rondine. E, proprio come nel celebre detto, questa giovane santa
dellXI secolo visse la sua esperienza religiosa proprio migrando sotto un tetto di Subiaco, nei
luoghi dei santi Benedetto e Scolastica. Abruzzese di origine, si era spinta pellegrina a Roma. Sulla
via del ritorno prese il velo monacale nel monastero di Santa Scolastica, la pi antica comunit
femminile dellOccidente. Visse per 60 anni nella solitudine dei monti Simbruini che circondano la
valle dellAniene. Mor intorno al 1152. patrona di Subiaco. (Avvenire)
Martirologio Romano: Presso Subiaco nel Lazio, santa Chelidona, vergine: si tramanda che per
cinquantadue anni abbia condotto vita solitaria e di estrema austerit servendo Dio solo.
Nacque a Cicoli, nellAbruzzo, verso il 1077 da famiglia del popolo. Il suo nome di battesimo pare
fosse Cleridona (dono della sorte), come risulta anche da un affresco del Sacro Speco di Subiaco,
opera del Magister Conxolus (inizi del sec. XIII); quello di Chelidonia (rondinella) si cominci a
usare dopo il Rinascimento. Verso il 1092, desiderosa di dedicarsi a Dio, abbandon la casa paterna e
si ritir a vita eremitica in una spelonca dei monti Simbruini, due miglia a nord-est di Subiaco.
Il luogo era ed noto col nome di Mora Ferogna che, secondo alcuni, conserverebbe il ricordo di un
santuario della dea Feronia. L visse per quasi cinquantanove anni sola al cospetto di Dio, nel digiuno
e nella preghiera, sopportando eroicamente le inclemenze delle stagioni, dormendo sulla nuda
roccia, sfidando la ferocia dei lupi, nutrendosi delle offerte dei fedeli, ben presto attratti dalla fama
delle sue virt e dei suoi miracoli, e, talvolta, sostentata miracolosamente da Dio. Una sola volta
interruppe la lunghissima solitudine compiendo, tra il 1111 e il 1122, un pellegrinaggio a Roma. Tornata
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a Subiaco, nella basilica di S. Scolastica, il 12 febbraio, giorno sacro alla santa sorella di s. Benedetto,
ricevette dal cardinale Conone, vescovo di Palestrina, labito benedettino. Riprese quindi la vita
eremitica, che non abbandon pi fino alla morte, avvenuta nel 1152, la notte tra il 12 e il 13 ottobre
Dalla spelonca si innalz allora fino al cielo una colonna luminosa che fu vista da innumerevoli
testimoni in tutto il territorio sublacense e oltre. Anche a Segni, dove si trovava il papa Eugenio III,
fu osservato il fenomeno: fu forse proprio Eugenio III che decret a Chelidonia gli onori degli altari.
Il corpo della santa fu trasferito subito dallabate Simone in S. Scolastica e sepolto nella cappella di S.
Maria Nuova. Ma nove anni dopo (per espresso ordine della santa, si disse), le spoglie furono
riportate alla spelonca, presso la quale labate Simone edific poi un monastero di religione e una
cappella dedicata a Chelidonia e a s. Maria Maddalena. Il monastero ricordato gi in un documento
del 4 ottobre 1187. Nel 1578, ormai abbandonato il monastero, il corpo della santa fu definitivamente
trasferito in S. Scolastica dallabate Cirillo di Montefiascone, con solennissime feste, e collocato nella
cappella del braccio destro del transetto. Il monaco Guglielmo Capisacchi, che fu testimone
dellavvenimento, ne stese una minuziosa relazione e riscrisse anche la biografia della santa, dando
forma pi elegante a una Vita manoscritta, redatta da un anonimo contemporaneo di Chelidonia e
andata pi tardi perduta.
I festeggiamenti per la traslazione risvegliarono il culto di s. Chelidonia in tutta labbazia sublacense,
cosicch la Sacra Congregazione dei Riti il 21 ottobre 1695 la proclamava patrona principale di
Subiaco. Fu sempre la solenne traslazione del 1578 a richiamare sulla santa lattenzione del Baronio
che la introdusse nel Martirologio Romano. In onore di Chelidonia si celebrano due feste in Subiaco:
il 13 luglio per la traslazione, e il 13 ottobre per il transito.
Interessante dal punto di vista folkloristico la processione del 13 ottobre: dalla basilica di S.
Scolastica essa, recando unampolla contenente il cuore della santa, raggiunge un punto da cui si
domina Subiaco. Di l con la reliquia si benedice la citt e il territorio abbaziale; a notte poi, i
contadini che abitano ai piedi del monte, dove la santa visse e mor, accendono fal attorno alla
spelonca, quasi a rinnovare la meravigliosa luce che illumin il luogo alla sua morte.
All'et di vent'anni Cleridonia lasci la casa paterna per dedicare la propria vita alla contemplazione
di Dio, eleggendo come luogo di destinazione un agrotta in localit Morra Ferogna nella valle
dell'Aniene, che gi 500 anni prima san Benedetto aveva frequentato. Qui Cleridona visse
cinquantadue anni in preghiera e digiuno: il suo nome fu mutato in Chelidonia, che in greco
(chlidon), significa rondine.
Chelidonia interruppe la sua vita eremitica solo in un'occasione (tra il 1111 e il 1122), per un
pellegrinaggio a Roma: di ritorno a Subiaco prese l'abito benedettino dal cardinale Conone, vescovo
di Palestrina.
Rimase nella grotta fino alla morte, avvenuta nella notte tra il 12 e il 13 ottobre del 1152.

Culto
Gi papa Eugenio III decret a Chelidonia gli onori degli altari. Nel Martirologio Romano riportata
al 13 ottobre: "Presso Subiaco nel Lazio, santa Chelidona, vergine: si tramanda che per cinquantadue
anni abbia condotto vita solitaria e di estrema austerit servendo Dio solo".
Nel XVI secolo le sue spoglie furono trasportate nel Monastero di Santa Scolastica e il 21 ottobre 1695
fu proclamata patrona di Subiaco dalla Sacra Congregazione dei Riti.
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Benedetto da Norcia

San Benedetto da Norcia (Norcia, 2 marzo 480 circa
Montecassino, 21 marzo 547) stato un monaco italiano,
fondatore dell'ordine dei Benedettini. Viene venerato da
tutte le chiese cristiane che riconoscono il culto dei santi.

Biografia

San Benedetto, fratello di santa Scolastica, nacque verso il
480 nella citt umbra di Norcia. Il padre Eutropio, figlio di
Giustiniano Probo della gens Anicia, era Console e
Capitano Generale dei Romani nella regione di Norcia,
mentre la madre era Abbondanza Claudia de' Reguardati
di Norcia; quando ella mor, secondo la tradizione, i due
fratelli furono affidati alla nutrice Cirilla.
A 12 anni fu mandato con la sorella a Roma a compiere i
suoi studi, ma come racconta san Gregorio Magno nel II
Libro dei Dialoghi, sconvolto dalla vita dissoluta della
citt ritrasse il piede che aveva appena posto sulla soglia
del mondo per non precipitare anche lui totalmente
nell'immane precipizio. Disprezz quindi gli studi
letterari, abbandon la casa e i beni paterni e cerc l'abito
della vita monastica perch desiderava di piacere soltanto
a Dio.
All'et di 17 anni, insieme con la sua nutrice Cirilla, si
ritir nella valle dell'Aniene presso Eufide (l'attuale Affile),
dove secondo la leggenda devozionale avrebbe compiuto il primo miracolo, riparando un vaglio rotto
dalla stessa nutrice. Lasci poi la nutrice e si avvi verso la valle di Subiaco, presso gli antichi resti di
una villa neroniana, della quale le acque del fiume Aniene alimentavano tre laghi (la citt sorgeva
appunto sotto - "sub" - questi laghi). A Subiaco incontr Romano, monaco di un vicino monastero
retto da un abate di nome Adeodato, che, vestitolo degli abiti monastici, gli indic una grotta
impervia del Monte Taleo (attualmente contenuta all'interno del Monastero del Sacro Speco), dove
Benedetto visse da eremita per circa tre anni, fino alla Pasqua dell'anno 500. Conclusa l'esperienza
eremitica, accett di fare da guida ad altri monaci in un ritiro cenobitico presso Vicovaro, ma, dopo
che alcuni monaci tentarono di ucciderlo con una coppa di vino avvelenato, torn a Subiaco. Qui
rimase per quasi trenta anni, predicando la "Parola del Signore" ed accogliendo discepoli sempre pi
numerosi, fino a creare una vasta comunit di tredici monasteri, ognuno con dodici monaci ed un
proprio abate, tutti sotto la sua guida spirituale.
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Negli anni tra il 525 ed il 529, a seguito di un altro tentativo di avvelenamento con un pane
avvelenato, Benedetto decise di abbandonare Subiaco per salvare i propri monaci. Si diresse verso
Cassino dove, sopra un'altura, fond il monastero di Montecassino, edificato sopra i resti di templi
pagani e con oratori in onore di san Giovanni Battista (da sempre ritenuto un modello di pratica
ascetica) e di san Martino di Tours, che era stato iniziatore in Gallia della vita monastica.

La regola
Nel monte di Montecassino Benedetto compose la sua Regola verso il 540. Prendendo spunto da
regole precedenti, in particolare quelle di san Giovanni Cassiano e san Basilio, ma anche San
Pacomio, San Cesario e l'Anonimo della Regula Magistri (forse l'abate Servando ), con il quale ebbe
stretti rapporti proprio nel periodo della stesura della regola benedettina, egli combin l'insistenza
sulla buona disciplina con il rispetto per la personalit umana e le capacit individuali,
nell'intenzione di fondare una scuola del servizio del Signore, in cui speriamo di non ordinare nulla
di duro e di rigoroso.
La Regola, (sintesi del Vangelo), nella quale si organizza nei minimi particolari la vita dei monaci
all'interno di una "corale" celebrazione dell'uffizio, diede nuova ed autorevole sistemazione alla
complessa, ma spesso vaga e imprecisa, precettistica monastica precedente. I due cardini della vita
comunitaria sono il concetto di stabilitas loci (l'obbligo di risiedere per tutta la vita nello stesso
monastero contro il vagabondaggio allora piuttosto diffuso di monaci pi o meno "sospetti") e la
conversatio, cio la buona condotta morale, la piet reciproca e l'obbedienza all'abate, il "padre
amoroso" (il nome deriva proprio dal siriaco abba, "padre") mai chiamato superiore, e cardine di una
famiglia ben ordinata che scandisce il tempo nelle varie occupazioni della giornata durante la quale
la preghiera e il lavoro si alternano nel segno del motto ora et labora ("prega e lavora").
I monasteri che seguono la regola di san Benedetto sono detti benedettini. Anche se ogni monastero
autonomo sotto l'autorit di un abate, si organizzano normalmente in confederazioni monastiche,
delle quali le pi importanti sono la congregazione cassinense e la congregazione sublacense,
originatesi rispettivamente attorno all'autorit dei monasteri benedettini di Montecassino e di
Subiaco.
A Montecassino Benedetto visse fino alla morte, ricevendo l'omaggio dei fedeli in pellegrinaggio e di
alcune personalit come Totila re degli Ostrogoti, che il monaco ammon, e l'abate Servando.
Benedetto mor il 21 marzo 547 dopo 6 giorni di febbre fortissima e quaranta giorni circa dopo la
scomparsa di sua sorella Scolastica, con la quale ebbe comune sepoltura. Secondo la leggenda
devozionale spir in piedi, sostenuto dai suoi discepoli, dopo aver ricevuto la comunione e con le
braccia sollevate in preghiera, mentre li benediceva e li incoraggiava.
Le diverse comunit benedettine ricordano la ricorrenza della morte del loro fondatore il 21 marzo,
mentre la Chiesa cattolica ne celebra ufficialmente la festa l'11 luglio (in realt tradizionale data del
suo Patrocinio), da quando papa Paolo VI ha proclamato san Benedetto da Norcia patrono d'Europa
il 24 ottobre 1964 in onore della consacrazione della Basilica di Montecassino. La Chiesa ortodossa
celebra la sua ricorrenza il 14 marzo.
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Il mistero delle reliquie
Da quando le reliquie erano considerate quasi indispensabili alla comune devozione nel Medioevo, e
specialmente ai monaci, era naturale che fossero cercate e "trovate" dappertutto.
Si possono ricollegare altre reliquie a questo insieme di resti scheletrici, prelevate in diversi tempi da
questo insieme. Ad esempio: un frammento di costola (Benedettine del Calvario di Orlans), un altro
frammento di costola (Benedettine del Santo-Sacramento di Parigi), l'estremit superiore del radio
sinistro (Grande seminario di Orlans), la parte inferiore del radio destro e la parte inferiore del
perone sinistro (entrambi all'abbazia della Pierre-qui-Vire), un frammento della parte centrale di un
osso lungo (abbazia di Santa Marie di Parigi), l'estremit inferiore del radio sinistro (abbazia di Saint-
Wandrille), un frammento di falange dell'alluce sinistro (abbazia Notre Dame de la Garde), un
frammento della parte centrale di un osso lungo (abbazia di Timadeuc), la rotula sinistra (abbazia di
Aiguebelle), un frammento dell'omero sinistro (abbazia della Grande Trappe). Secondo i monaci
benedettini di Montecassino, invece, le reliquie autentiche sono sempre restate a Montecassino.

Il ritrovamento di una reliquia
Lo studioso e monaco benedettino Jean Mabillon (Saint-Pierremont, 1632 - Parigi, 1707) pubblic nel
1685 la seguente narratio brevis, ricavata da un manoscritto medievale del monastero di San
Emmeram, situato a Ratisbona, che egli giudic vecchio di 900 anni e perci contemporaneo con la
"traslazione" del corpo del santo:
Nel nome di Cristo. C'era in Francia, grazie alla provvidenza di Dio, un Prete dotto che
intraprese un viaggio in Italia, per poter scoprire dove fossero le ossa del nostro santo
padre Benedetto, che nessuno pi venerava. [Montecassino, monastero fondato da S.
Benedetto su un rilievo roccioso dell'Appennino tra Roma e Napoli, era stato distrutto
dai Longobardi nel 580 circa, e rimase disabitato fino a 718 ndr]. Alla fine giunse in una
campagna abbandonata a circa 70 o 80 miglia da Roma, dove S. Benedetto anticamente
aveva costruito un convento nel quale tutti erano uniti da una carit perfetta. A questo
punto questo Prete ed i suoi compagni erano inquietati dall'insicurezza del luogo, dato
che non erano in grado di trovare n le vestigia del convento, n quelle di un luogo di
sepoltura, fino a quando finalmente un guardiano di suini indic loro esattamente dove
il convento era stato eretto; tuttavia fu del tutto incapace di individuare il sepolcro finch
lui ed i suoi compagni non si furono santificati con due o tre giorni di digiuno. Allora il
loro cuoco ebbe una rivelazione in un sogno, e la questione apparve loro chiara poich al
mattino fu mostrato loro, da colui che era sembrato pi infimo di grado, che le parole di
S. Paolo sono vere (I Cor. 1, 27): Ma Dio ha scelto ci che nel mondo stolto per
confondere i sapienti, Dio ha scelto ci che nel mondo debole per confondere i forti o
di nuovo, come il Signore stesso ha predetto (Matt. 20: 26): Colui che vorr diventare
grande tra voi, si far vostro servo. Allora, ispezionando il luogo con maggiore diligenza,
trovarono una lastra di marmo che dovettero tagliare. Finalmente, spezzata la lastra,
rinvennero le ossa di S. Benedetto e, sotto un'altra lastra, quelle di sua sorella; poich
(come pensiamo) il Dio onnipotente e misericordioso volle che fossero uniti nel sepolcro
come lo furono in vita, in amore fraterno ed in carit cristiana. Dopo avere raccolto e
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pulito queste ossa le avvolsero, una ad una, in un fine e candido tessuto, per portarle nel
loro paese. Non fecero menzione del ritrovamento ai Romani per paura che, se questi
avessero saputo la verit, indubbiamente non avrebbero mai tollerato che reliquie cos
sante fossero sottratte al loro paese senza conflitti o guerre di reliquia, il che Dio ha reso
manifesto, affinch gli uomini potessero vedere come grande era il loro bisogno di
religione e santit, mediante il seguente miracolo. Avvenne cio che, dopo un po', il lino
che avvolgeva queste ossa fu trovato rosso del sangue del santo, come da ferite aperte di
un essere vivente. Dalla qual cosa Ges Cristo ha inteso mostrare che colui a cui
appartengono quelle ossa cos glorioso che avrebbe vissuto veramente con Lui nel
mondo a venire. Allora furono poste sopra un cavallo che le port durante tutto quel
lungo viaggio cos agevolmente che non sembrava ci fosse nessun carico. Inoltre, quando
attraversavano foreste o percorrevano strade strette, non c'era albero che ostruisse il
cammino od asperit del percorso che impedissero loro di proseguire il viaggio; cos che i
viaggiatori hanno visto chiaramente come questo potesse avvenire grazie ai meriti di S.
Benedetto e di sua sorella S. Scolastica, affinch il loro viaggio potesse essere sicuro e
felice fino al regno di Francia ed al convento di Fleury. In questo monastero sono
seppelliti ora in pace, finch sorgeranno nella gloria nell'Ultimo Giorno; e qui
conferiscono benefici su tutti coloro che pregano il Padre tramite Ges Cristo, il Figlio di
Dio, che vive e regna nell'unit dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
(Mabillon: Vetera Analecta, vol. IV, 1685, pag. 451-453))
Le origini della medaglia di San Benedet-to sono antichissime. Papa Benedetto XIV ne ide il
disegno e col "Breve" del 1742 approv la medaglia concedendo delle indulgenze a coloro che la
portano con fede. Sul diritto della medaglia, San Benedetto tiene nella mano destra una croce elevata
verso il cielo e nella sinistra il libro aperto della santa Regola. Sull'altare posto un calice dal quale
esce una serpe per ricorda-re un episodio accaduto a San Benedetto: il Santo, con un segno di croce,
avrebbe fran-tumato la coppa contenente il vino avvelenato datogli da monaci attentatori.

Ordine di San Benedetto

L'Ordine di San Benedetto (in latino Ordo Sancti Benedicti) una
confederazione che riunisce congregazioni monastiche e monasteri autonomi
che perpetuano l'ideale religioso del monachesimo benedettino in conformit
con la regola e lo spirito di san Benedetto; i monaci benedettini pospongono
al loro nome la sigla O.S.B.
Le origini del monachesimo benedettino risalgono alla fondazione, attorno al
529, del cenobio di Montecassino a opera di san Benedetto da Norcia.
La regola redatta da Benedetto per la sua comunit si diffuse rapidamente anche grazie al sostegno
di papa Gregorio Magno e venne adottata, spesso accanto ad altre, da numerosi monasteri europei:
si afferm definitivamente nell'817, quando il capitolare monastico di Aquisgrana, di cui fu ispiratore
Benedetto d'Aniane, la impose a tutti i monasteri franco-germanici.
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I monasteri benedettini, tutti autonomi, iniziarono a riunirsi in congregazioni nel X secolo. Nel 1893
papa Leone XIII ha riunito le congregazioni e i monasteri benedettini in una confederazione sotto la
presidenza di un abate primate residente nel monastero di Sant'Anselmo all'Aventino a Roma.
Si cita spesso il motto Ora et labora, prega e lavora, per l'importanza che i Benedettini danno, oltre
che alla vita contemplativa, anche al lavoro manuale.

Cenni storici
Il fondatore

Le informazioni biografiche pi antiche su Benedetto derivano dal secondo libro dei Dialoghi di
Gregorio Magno, scritto tra il 593 e il 594, cio circa trent'anni dopo la morte del fondatore del
monachesimo occidentale: malgrado si tratti di un testo agiografico, vi si possono rintracciare alcune
informazioni storiche certe (Gregorio aveva potuto attingere informazioni dagli abati Costantino e
Simplicio di Montecassino, Onorato di Subiaco e Valentiniano, che avevano conosciuto
personalmente Benedetto).
Benedetto nacque a Norcia, tra il 480 e il 490, da una nobile famiglia patrizia; dopo una breve
esperienza di studi a Roma, disgustato dal clima di decadenza morale, si ritir sui monti della Sabina
e poi in una grotta nella valle dell'Aniene, presso Subiaco, per condurre vita eremitica. Ricevette
l'abito monastico da Romano.
La fama di Benedetto si diffuse e venne chiamato a guidare la comunit di monaci di San Cosimato a
Vicovaro, ma l'esperienza non fu proficua e il patriarca si ritir nuovamente a Subiaco. Attorno alla
sua figura si riunirono numerosi discepoli, che vennero raccolti in dodici monasteri tutti formati da
dodici monaci: la comunit guidata da Benedetto eresse e si stabil nel monastero di San Clemente a
Subiaco.
A causa di un prete invidioso, Fiorenzo, il fondatore e la sua comunit lasciarono Subiaco e si
rifugiarono a Montecassino, dove era ancora vivo il culto pagano del dio Apollo: Benedetto e i suoi
monaci si impegnarono nella conversione degli abitanti del luogo al cristianesimo ed eressero un
oratorio dedicato a san Martino e poi un altro intitolato a san Giovanni Battista, posto sulla cima del
monte.
Benedetto rimase a Montecassino come capo della sua comunit di monaci fino alla morte:
intrattenne rapporti con personalit di rilievo (Gregorio Magno parla di una visita di Totila al
monastero) e venne consultato da vescovi come Costanzo d'Aquino,
Germano di Capua e Sabino di Canosa (anche se Benedetto,
probabilmente, non era neanche sacerdote).
Benedetto mor a Montecassino il 21 marzo 547 e venne sepolto,
secondo le sue volont, nell'oratorio di San Giovanni Battista.
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Regola benedettina

La Regola dell'Ordine di san Benedetto, o Regola benedettina,in latino denominata Regula
monachorum o Sancta Regula, dettata da San Benedetto da Norcia nel 534, consta di un "Prologo" e
di settantatr "capitoli".

I principi ispiratori
Nella "Regola" San Benedetto fa tesoro anche di una breve esperienza personale di vita eremitica che
gli fece capire quanto le debolezze umane allontanino di pi dalla contemplazione di Dio. Per questa
ragione propone di vincere l'accidia (una certa "noia" spirituale), con il cenobitismo, cio una vita
comunitaria che prevede un tempo per la preghiera ed uno per il lavoro e lo studio (Ora et Labora),
lontana dalle privazioni e mortificazioni estreme imposta dalla vita in solitudine scelta dagli asceti e,
quindi, attuabile anche da persone comuni.
L'attivit primaria divenne in diversi monasteri la copiatura di testi antichi, specie di quelli biblici. A
tal proposito si fatto notare che il monaco che ricopia e medita e rivolve e commenta e diffonde la
parola biblica aperse la via alle nuove scienze linguistiche.
In particolare, per i Benedettini la "Preghiera" intesa come la contemplazione del Cristo alla luce
della Parola Sacra ed praticata sia comunitariamente attraverso i canti (loro sono i canti
gregoriani), la partecipazione a funzioni e l'ascolto delle letture in diversi momenti della giornata (ad
es. durante i pasti), sia nel chiuso della propria cella sia attraverso lo studio. Luoghi inospitali e
disabitati dove erigevano le loro abbazie, ma anche lo studio e, un tempo, la trascrizione di testi
antichi (non solo religiosi ma anche letterari o scientifici). Del resto per loro un'alta forma di
preghiera anche il proprio atteggiamento verso il lavoro.
Cos San Benedetto organizza la vita monastica intorno a tre grandi assi portanti che permettono di
fare fronte alle tentazioni impegnando continuamente ed in modo vario il monaco:
o preghiera comune
o preghiera personale
o lavoro
Lo studio non era compreso. La maggior parte dei monaci benedettini era analfabeta. Compito del
monaco , con l'aiuto della comunit monastica di cui fa parte, di adempiere a questi tre obblighi
con il giusto equilibrio, perch quando uno prende il sopravvento sugli altri
il monachesimo cessa di essere benedettino. I monaci che seguono la regola
di San Benedetto, infatti, non devono essere n dei contemplativi dediti
unicamente all'orazione, n dei liturgisti che sacrificano tutto all'Ufficio, n
degli studiosi, n dei tecnici o degli imprenditori di qualsivoglia genere di
lavoro.
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Il Prologo ed i Settantatr Capitoli
Il Prologo definisce i principi della vita religiosa (soprattutto la rinuncia alla propria volont ed il
proprio affidamento a Cristo) e paragona il monastero ad una "scuola" che insegna la scienza della
salvezza, cosicch perseverando nel monastero fino alla morte, i discepoli possono "meritare di
divenire parte del regno di Cristo".
Dei settantatr capitoli che seguono il prologo, nove trattano i doveri dell'Abate, tredici regolano
l'adorazione di Dio, ventinove sono relative alla disciplina ed al codice penale, dieci regolano
l'amministrazione interna del monastero, i rimanenti dodici riguardano provvedimenti diversi.
Il Capitolo I definisce i quattro tipi principali di monachesimo: (1) Cenobiti, cio coloro che vivono in
un monastero sotto la guida di un Abate; (2) Anacoreti, o eremiti, che vivono in solitudine dopo
essersi messi alla prova in un monastero; (3) Sarabaiti, che vivono in gruppi di due o tre, senza regole
prestabilite e senza un superiore; (4) Girovaghi, monaci viandanti che vivono andando da un
monastero all'altro portando discredito alla professione monastica. La regola si rivolge solo ai primi.
Il Capitolo II descrive le qualit che devono caratterizzare l'Abate, raccomandandogli di non
dimostrare preferenze verso i suoi monaci, fatti salvi meriti particolari, avvertendolo allo stesso
momento che responsabile della salvezza delle anime che gli sono affidate.
Il Capitolo III decreta l'obbligo da parte dell'Abate di convocare i confratelli per consultarli sugli
affari importanti per la comunit.
Il Capitolo IV elenca i doveri di un Cristiano in settantadue precetti che chiama "strumenti per il
buon lavoro". Per la gran parte fanno riferimento (o nello spirito o nella lettera) alle Sacre Scritture.
Il Capitolo V prescrive una obbedienza pronta, gioiosa e assoluta al superiore e definisce
l'obbedienza come il primo grado dell'umilt.
Il Capitolo VI tratta del silenzio, raccomandando moderazione nell'uso della parola, ma non
proibisce la conversazione quando utile o necessaria.
Il Capitolo VII tratta dell'umilt, individuandone dodici gradi che, come gradini di una scala, portano
al paradiso: (1) avere timore di Dio; (2) reprimere la propria volont; (3) sottomettersi alla volont dei
superiori; (4) obbedire anche nelle cose pi dure e difficili; (5) confessare i propri errori; (6)
riconoscere la propria pochezza; (7) preferire gli altri a s stessi; (8) evitare la solitudine; (9) parlare
solo nei momenti prestabiliti; (10) soffocare il riso scomposto; (11) reprimere l'orgoglio; (12)
dimostrarsi umili verso gli altri.
I Capitoli dal IX al XVIII si occupano di regolare l'Ufficio Divino scandite dalle Ore canoniche, sette
del giorno e una di notte. Le orazioni sono stabilite in dettaglio specificando cosa recitare in inverno
o in estate, di domenica, nei giorni festivi,...
Il Capitolo XIX sottolinea la reverenza che si deve tenere in presenza di Dio.
Il Capitolo XX stabilisce che le preghiere in comune siano brevi.
Il Capitolo XXI impone la nomina di un "decano" ogni dieci monaci e prescrive anche come i decani
devono essere scelti.
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Il Capitolo XXII regola tutto quanto concerne il "dormitorio". Stabilisce, ad esempio, che ciascun
monaco abbia un proprio letto, che dorma nel proprio abito cos da essere pronto ad alzarsi senza
ritardo e che una luce debba essere tenuta accesa nel dormitorio per tutta la notte.
I Capitoli dal XXIII al XXX trattano delle violazioni alla Regola e stabilisce una scala graduale di
pene: ammonizione privata; reprimenda pubblica; separazione dai confratelli durante i pasti ed in
ogni altra occasione; flagellazione; espulsione da adottare solo come ultima risorsa, quando ogni
altro mezzo per richiamare il monaco risultato vano. In ogni caso l'espulso deve essere nuovamente
accettato su sua richiesta. Se per espulso per tre volte, allora ogni sua richiesta pu essere
ignorata.
I Capitoli XXXI e XXXII stabiliscono le qualit del monaco "Cellario" e di altri responsabili per curare
i beni del monastero, da trattare con la stessa cura dei vasi sacri dell'altare.
Il Capitolo XXXIII proibisce ai monaci il possesso privato di qualsiasi bene senza il permesso
dell'Abate. Quest'ultimo, inoltre, deve impegnarsi a fornire il necessario.
Il Capitolo XXXIV prescrive la giusta distribuzione di quanto necessario alla vita del monaco.
Il Capitolo XXXV stabilisce che i monaci servano a turno nella cucina.
I Capitoli XXXVI e XXXVII ordinano che la comunit monastica si deve prendere cura dei pi deboli
(malati, vecchi e giovani) che possono godere di dispense speciali dalla Regola, soprattutto per
quanto concerne il cibo.
Il Capitolo XXXVIII prescrive l'ascolto della lettura delle Sacre Scritture durante i pasti. Della lettura
ad alta voce incaricato un monaco a rotazione con turni settimanali. Per non disturbare la lettura,
durante i pasti vige la regola del silenzio per cui ci si pu esprimere solo a gesti. Il lettore, dal canto
suo, mangia insieme agli inservienti dopo che gli altri hanno finito, ma pu mangiare un po' anche
prima, se questo pu aiutarlo a sopportare la fatica.
I Capitoli XXXIX e XL regolano la quantit e qualit del cibo: due pasti al giorno durante i quali si
consumano due piatti di cibo cotto ciascuno. Una libbra (circa 450g) di pane ed una hemina
(un'antica unit di misura romana pari a circa un quarto di litro) di vino per ciascun monaco. La
carne "di quadrupedi" proibita a tutti eccetto che ai malati e a chi era debilitato fisicamente. Tra le
facolt dell'Abate, inoltre, c' anche la possibilit di aumentare le porzioni quotidiane, se lo reputa
necessario.
Il Capitolo XLI prescrive l'orario per i pasti, che variano in funzione delle stagioni.
Il Capitolo XLII ordina per la sera, prima della Compieta, la meditazione comune di Conferenze, Vite
dei Padri o di qualche altra opera di edificazione morale, dopodicch deve essere rispettato il pi
stretto silenzio fino la mattino.
I Capitoli dal XLIII al XLVI trattano degli errori veniali (ad esempio arrivare in ritardo alle preghiere
o ai pasti) e stabilisce le relative penitenze per i trasgressori.
Il Capitolo XLVII affida all'Abate il dovere di chiamare i fratelli al "Mondo di Dio" e di scegliere chi
deve cantare o leggere.
Il Capitolo XLVIII sottolinea l'importanza del lavoro manuale e stabilisce quanto tempo dedicargli
quotidianamente. Questo varia in funzione delle stagioni ma non deve essere inferiore alle cinque
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ore. Compito dell'Abate di verificare non solo che tutti lavorino, ma anche di assicurarsi che il
compito assegnato a ciascuno sia commisurato alle sue capacit.
Il Capitolo XLIX stabilisce gli adempimenti per la Quaresima e raccomanda qualche rinuncia
volontaria in quel periodo, con il permesso dell'Abate.
I Capitoli L e LI contengono regole per i monaci che lavorano nei campi o sono in viaggio. A loro
viene chiesto, nei limiti del possibile, di unirsi in spirito con i confratelli del monastero nelle ore
stabilite per la preghiera.
Il Capitolo LII limita l'uso dell'"oratorio" alle sole orazioni.
Il Capitolo LIII parla degli ospiti che devono essere ricevuti "come lo stesso Cristo" originando quella
tradizione di ospitalit che ha caratterizzato i Benedettini di ogni epoca. In particolare, gli ospiti
devono essere trattati dall'Abate o dai suoi incaricati con cortesia e durante la loro permanenza
devono essere posti sotto la protezione del monaco, ma non hanno il diritto ad unirsi con il resto
della comunit monastica senza un permesso speciale.
Il Capitolo LIV vieta ai monaci di ricevere lettere o regali senza il permesso dell'Abate.
Il Capitolo LV regola l'abbigliamento dei monaci che deve essere sufficiente sia in quantit e qualit,
semplice ed economico, adatto al clima ed alla localit secondo quanto stabilito dall'Abate. Ogni
monaco, inoltre, deve avere abiti di ricambio per permettere che siano lavati. In occasione di un
viaggio al monaco devono essere messi a disposizione abiti di migliore qualit. Gli abiti vecchi,
infine, devono essere messi da parte per i poveri.
Il Capitolo LVI stabilisce che l'Abate mangi con gli ospiti.
Il Capitolo LVII ordina l'umilt degli artigiani del monastero ed impone che quando i loro prodotti
sono venduti, lo devono essere a prezzi inferiori a quelli di mercato.
Il Capitolo LVIII stabilisce le regole per l'ammissione dei "postulanti" la cui volont deve essere posta
a dura prova. Questa materia era stata precedentemente regolata dalla Chiesa ai cui insegnamenti si
adegua anche San Benedetto; innanzitutto il postulante deve trascorrere un breve periodo come
ospite; quindi ammesso nel noviziato dove, sotto la guida di un maestro, la sua vocazione messa
alla prova con severit ed libero di rinunciare in ogni momento; se dopo dodici mesi persevera
ancora nelle sue intenzioni, allora pu essere ammesso a pronunciare i voti che lo legano per sempre
al monastero.
Il Capitolo LIX stabilisce le condizioni per l'ammissione dei ragazzi nel monastero.
Il Capitolo LX regola la posizione dei sacerdoti che desiderano unirsi ad una comunit monastica. Li
esorta, inoltre, ad essere un esempio di umilt per tutti e stabilisce che esercitino il loro ministero
solo con il permesso dell'Abate.
Il Capitolo LXI consente l'accoglienza di monaci esterni come ospiti e il loro incorporamento nella
comunit su richiesta.
Il Capitolo LXII stabilisce che i privilegi nella comunit siano determinati per la data di ammissione,
meriti personali o compiti assegnati dall'Abate.
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Il Capitolo LXIV stabilisce che l'Abate sia eletto dai suoi monaci che lo devono scegliere per la sua
carit, zelo e discrezione.
Il Capitolo LXV permette, se necessario, la nomina di un Priore (il vice dell'Abate) ma avverte che sia
completamente sottomesso all'Abate che pu ammonirlo, deporlo dall'incarico o espellerlo in caso di
cattiva condotta.
Il Capitolo LXVI prevede la nomina di un "portinaio", un monaco anziano ed assennato, e
raccomanda che ciascun monastero debba essere, nei limiti del possibile, autonomo cos da limitare
le relazioni con il mondo esterno.
Il Capitolo LXVII istruisce i monaci in viaggio.
Il Capitolo LXVIII ordina che tutti eseguano gioiosamente quanto viene loro comandato, per quanto
difficile possa essere il compito affidato
Il Capitolo LXIX vieta ai monaci di prendere le difese di un altro monaco.
Il Capitolo LXX proibisce che lottino tra loro.
Il Capitolo LXXI incoraggia i monaci ad essere obbedienti non solo verso l'Abate ed i superiori ma
anche reciprocamente.
Il Capitolo LXXII una breve esortazione allo zelo ed alla carit fraterna
Il Capitolo LXXIII l'epilogo dove si dichiara che la Regola non proposta come un ideale di
perfezione, ma solo come uno strumento per avvicinarsi a Dio ed intesa principalmente come una
guida per chi comincia il suo cammino spirituale.

Regola del Maestro

La Regola del Maestro (in latino Regula Magistri) una antica regola monastica di autore anonimo,
databile probabilmente alla prima parte del VI secolo.

Rapporti tra il Maestro e Benedetto

In passato poco considerata e interpretata come un ampliamento della Regola benedettina, la sua
importanza stata rivalutata specialmente riguardo al rapporto che essa intrattiene con la regola di
Benedetto: attualmente gli storici sono perlopi concordi nel ritenerla, al contrario della tradizionale
interpretazione, la fonte primaria di quest'ultima[1]. Le due regole mostrano una forte somiglianza
nelle prime due parti, mentre la terza presente solo nella regola del Maestro, molto pi lunga di
quella benedettina (circa tre volte tanto). Gli studi recenti hanno dimostrato che essa fu scritta in
maniera organica ed originale ma con un approccio molto differente dalla correlata regola
benedettina, che molto pi pragmatica e sintetica e molto pi attenta all'applicazione pratica dei
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precetti nella vita monastica. Anche la prescrizione del lavoro, centrale nella regola di Benedetto,
non ancora presente. La datazione collocabile agli inizi del VI secolo, probabilmente tra il 500 e il
530 circa, e cio tra la datazione della Vita S. Silvestri (di cui si notano tracce nella regola) e la morte
di Eugippio, che invece ne riutilizza alcuni brani nella regola a lui attribuita. Probabilmente fu scritta
nell'Italia centro-meridionale e forse fu utilizzata all'interno del Protocenobio di San Sebastiano,
presso Alatri.

Stabilitas loci

Il principio della stabilitas loci (permanenza in un luogo) uno dei cardini del monachesimo
occidentale introdotti dalla Regola di san Benedetto nel VI secolo.
Fino ad allora poteva capitare che i monasteri fossero tenuti ad accogliere presunti confratelli che
erano soliti vagabondare da un luogo all'altro. Tale pratica era guardata con sospetto da san
Benedetto, che nel primo capitolo della Regola parl di "monaci girovaghi", ovvero viandanti che
vivono andando da un monastero all'altro portando discredito alla professione monastica. Egli
escluse questa forma di monachesimo da quella cenobitica (cio sottoposta alla Regola), legando
ciascun monaco al primo monastero dove entrava, spendendovi poi tutta la vita.
La regola prevedeva comunque dei casi nel quale si poteva accogliere monaci esterni come ospiti o
incorporarli nella comunit su richiesta.








fonti
http://www.osb.org/indexit.html http://it.wikipedia.org/
http://www.santiebeati.it/10/13/ http://www.ora-et-labora.net/

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