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COMMEDIA DELL'ARTE. - Origine. - Nata circa a met del sec.

XVI, e durata fino all'inizio


del XIX, la commedia dell'arte si chiam commedia buffonesca, istrionica, di maschere,
all'improvviso, a soggetto; e, in molti paesi stranieri dal sec. XVII in poi, italiana. Ma su tutte
queste denominazioni quella di commedia dell'arte prevalse, perch definiva con precisione il
suo carattere essenziale; ch'era di essere recitata, per la prima volta in Europa, da compagnie di
comici regolarmente costituite, con artisti che vivevano dell'arte loro; in altri termini, da comici
di mestiere. Durante il Medioevo, se se ne esclude qualche infima categoria d'istrioni,
gl'interpreti del teatro religioso e di quello erudito non erano attori di professione (v. attori). Con
la commedia dell'arte appare un'organizzazione nuova, di attori specializzati, attraverso un
addestramento tecnico, mimico, vocale, perfino acrobatico, e alle volte con una preparazione
culturale. Questi attori rappresentavano anche opere pi o meno regolari, ossia scritte; e
continuarono ad avere nel loro repertorio tragedie, drammi pastorali, e le cosiddette opere regie,
ridotte dallo spagnolo. Ma il loro campo vero, per cui divennero in pochi anni famosi in tutta
Europa, fu la commedia a soggetto, ossia la commedia di cui non si scriveva se non lo scenario,
la trama, lasciandone lo sviluppo dialogico e mimico all'improvvisazione dei comici.
La commedia dell'arte si voluta far derivare, secondo alcuni studiosi, dalle farse laziali e
campane, che nella letteratura latina precedono la commedia di Plauto. S' notato che i quattro
tipi ricorrenti nelle , Pappus, Maccus, Bucco e Dossennus, erano quattro
maschere non dissimili, come psicologia, da alcune di quelle che stilizzano i personaggi della
commedia dell'arte. S' denunciata la rassomiglianza fra l'abito del mimus albus, il mimo bianco,
e quello di Pulcinella; o fra l'abito del mimus centunculus, fatto di toppe variopinte, e quello
d'Arlecchino. Si detto che la parola con cui nella commedia dell'arte si designavano i buffoni,
Zanni, rassomiglia alla parola sannio "buffone", usata dai Latini. E si pu avvertire che le
maschere brune che i comici dell'arte portavano sul viso forse ricordano, pi che le maschere
della tragedia e commedia greco-latina, i volti anneriti e sfigurati dal mosto con cui
s'impiastricciavano e si rendevano irriconoscibili i rustici attori dei fescennini. Ma l'ipotesi d'una
derivazione diretta della commedia dell'arte e dei suoi tipi, attraverso quasi due millenn,
dall'antichit latina al Rinascimento, oggi generalmente abbandonata. Tipi fissi ce ne sono stati
in tutti i generi, di farse e di commedie; appunto per quella esigenza di stilizzazione e di artificio
meccanico che una caratteristica del comico. Zanni e Pulcinelli biancovestiti non sono fioriti
soltanto in Italia, ma anche in Grecia (si pensi ai fliaci, con cappuccio, camiciotto e stocco) e in
Oriente; buffoni mascherati, pagliacci improvvisatori di dialoghi non imparati rigorosamente a
memoria ma soltanto concertati se ne sono avuti in tutti i luoghi e in tutti i tempi: li abbiamo
ancora nei circhi equestri.
Argomenti della commedia dell'arte. - Quali furono gli argomenti della commedia dell'arte? I
suoi scenar sono attinti un po' dovunque; e, spessissimo, proprio dalla commedia "sostenuta",
erudita, classicista, se non addirittura da Plauto e da Terenzio. Si conoscono, oggi, molti di
cotesti scenar (pi di mille).
In Italia ricordiamo la raccolta, che ne contiene cinquanta, pubblicata dall'attore Flaminio Scala
(1611); quella di Basilio Locatelli, nella Bibl. Casanatense di Roma, che ne contiene centotr
(1618-22); quella del cardinale-duca Maurizio di Savoia, nella Biblioteca Corsini di Roma, con
cento scenar illustrati da schematici ma vivaci acquerelli (1621-1642; scoperta nel 1885); quella
della Biblioteca Nazionale di Napoli, con centottantatr scenari che dnno parte importante a
Pulcinella (fine del '600; scoperti e donati da Benedetto Croce nel 1897); un'altra raccolta di
quarantotto scenar, scoperti da poco pure alla Casanatense di Roma; una di cinquantuno, del
Museo civico di Venezia; una di nove, della Biblioteca Barberini in Vaticano. Ventidue scenar
furon pubblicati dall'Adriani nel 1734; altri ventidue dal Bartoli nel 1880. Ci sono poi le raccolte
delle biblioteche straniere: da Parigi, dove l'Opra conserva 163 scenar arlecchineschi scritti in
prima persona dall'arlecchino Biancolelli (fine del sec. XVII) e tradotti in francese; a
Pietroburgo, dove si conserva una raccolta di 31 scenar, tradotti in russo (1733-1735) e
pubblicati nel 1917 da V. Peretz. E altri scenar son pubblicati qua e l (v. Bibl.).
La scenografia di queste trame ci riporta sovente dinnanzi alla vecchia scena della commedia
classica: la solita via, o piazza, con le due case a fronte. Le scene di "interni" sono, specie nei
primi anni, meno frequenti. Solo col tempo, e con l'arricchirsi della tecnica pittoresca e delle
belle prospettive, secondo il gusto barocco e magnifico dei secoli XVII e XVIII, avremo visioni
nuove, pi o meno fantasiose e fastose. Anche i personaggi, nel loro carattere essenziale, spesso
non sono che la trasformazione di quelli della commedia classica: i vecchi, i giovani innamorati
o scapestrati, i servi lestofanti che tengn loro mano, i parassiti, gli smargiassi, e via dicendo. E
alla commedia classica si ritorna, abbastanza spesso, con gl'intrighi: solo che qui non si hanno
pi gli scrupoli accademici circa la cosiddetta "favola doppia" (la quale, mescolando due intrecci
d'amore, pareva ribelle al principio aristotelico dell'unit d'azione): gl'intrecci d'amore nella
commedia dell'arte sono due, tre, quattro, cinque: in quello degli scenar pubblicati dal Bartoli
che s'intitola Intrighi d'amore ce ne sono addirittura sei.
Il Miclacewsky ha rappresentato alcuni di questi intrecci con i grafici che riproduciamo:
I mezzi di cui i frettolosi autori si valgono per tener desto l'interesse, o suscitare l'ilarit, se
talvolta brillano di effettiva vivacit, pi sovente appartengono al vecchio armamentario della
commedia greco-latina e della commedia erudita italiana, non di grado con l'aggiunta di volgari
motivi delle farse plebee: scamb, equivoci sgangherati, travestimenti che non dovrebbero
ingannar nessuno, agnizioni, beffe, interventi magici, bastonature, capitomboli, sconcissime
allusioni, rappresentazioni dei pi bassi fatti fisiologici e sessuali, e in genere compiacimento in
peripezie strampalate e assurde. Arlecchino si traveste da femmina, mantenendo sul volto
addirittura la maschera, e nessuno lo ravvisa pi. Una sorella o un'amante abbandonata indossano
abiti maschili, e il fratello o l'amante non la riconoscono. Chi vuole spacciarsi per morto ricorre a
un sonnifero; chi si vuol far credere matto, d in smanie da bambino ossesso. L'intrigante avverte
il pubblico dei suoi intrighi con un soliloquio; padri e figli, per far conoscere i rispettivi
sentimenti, si rinfacciano ignominiosamente turpitudini d'ogni sorta.
Si pu quindi concludere che nella commedia dell'arte ritroviamo i pi stanchi ed esauriti
elementi di quel teatro erudito il quale annoiava il gran pubblico, talora rimescolati con un vigore
nuovo, altre volte appoggiati alle meno nobili risorse delle rappresentazioni popolaresche.
Le maschere. - La commedia dell'arte doveva avere dunque in s altre ragioni di successo. Una
fu l'apparizione delle maschere. Quest'apparizione era una trasformazione. Anche la commedia
erudita presentava di solito un certo numero di personaggi i quali si rassomigliavano
incredibilmente fra loro e, pure assumendo spesso nomi differenti e dandosi l'aria di collocarsi in
paesi e climi diversi, si ripetevano da un'opera all'altra. La commedia dell'arte ebbe il coraggio di
dichiarare apertamente che i suoi personaggi erano sempre gli stessi: coraggio che le venne dal
fatto di essere opera non di autori ma di attori. Ciascuno dei quali, per raggiungere l'eccellenza,
rinuncia all'illusione di potere rinnovarsi sera per sera, nell'infinita variet imposta a chi si ponga
a servizio dei poeti; anzi decide una volta per sempre di limitarsi, in perpetuo, a una sola parte.
Per tutta la vita e in tutte le commedie che reciter, il comico dell'arte (salvo rare eccezioni) sar
un solo personaggio: sar unicamente Pantalone o Arlecchino, Rosaura o Colombina. Perfino il
suo nome si confonder con quello della sua maschera, sicch a un certo punto non si sapr pi
quale sia il vero e quale il fittizio. Alle volte, come nel caso dell'Andreini, il personaggio che
l'attrice incarna, la maschera ch'ella crea, prende senz'altro il suo nome di battesimo, Isabella.
Molto pi spesso, sar il nome della maschera a fare sparire quello dell'attore.
Per le principali maschere v. le voci relative ai loro nomi, e la voce maschere. Qui ricorderemo
sommariamente che Pantalone e il Dottor Graziano erano i due "vecchi"; gli "zanni" o "zani"
(Brighella, Arlecchino, Mezzettino, Truffaldino, Trivellino, Stoppino, Zaccagnino, Pedrolino,
Frittellino, Coviello, Francatrippa, Scapino, ecc.), in numero di due in ogni commedia, erano di
regola i servi; le servette (Franceschina, Smeraldina, Pasquetta, Turchetta, Ricciolina,
Diamantina, Corallina, Colombina, ecc.) di solito parlavano in toscano. E in toscano letterario
parlavano gl'innamorati, le cui doti principali dovevano essere di eleganza e di venust: fra gli
uomini Cinzio, Fabrizio, Flavio, Lelio; fra le donne Angelica, Ardelia, Aurelia, Flaminia,
Lucinda, Lavinia e (dal nome dell'Andreini, la pi gran virtuosa del Cinquecento) Isabella.
Caratteri per lo pi enfatici, innamorati spesso convulsi e frenetici, ma che si stemperarono
sempre pi in sdilinquimenti con l'avanzare del Settecento, in cui assunsero anche i nomi nuovi:
Florindo, Ottavio, Rosaura.
Degli altri personaggi, alcuni sono ancora maschere vere e proprie; per es. il "capitano", che ebbe
una straordinaria variet di nomi: Capitan Spaventa da Vallinferna, Rodomonte, Matamoros,
Coccodrillo, Bombardone, Scaricabombardone, Spezzaferro, Spaccamonte, Fracassa, Bellavita,
Zerbino, ecc.; i quali, anche modificando il costume secondo il tempo e il luogo, ma rimanendo
essenzialmente identici negli atteggiamenti militareschi e fanfaroni, confessarono nel grottesco
l'insofferenza italiana della magniloquente vanagloria dei dominatori spagnoli. E spagnolesco, o
infarcito di spagnolismi maccheronici, fu per lo pi il loro linguaggio: salvi naturalmente i luoghi
dove la censura dei dominatori non l'avrebbe permesso o quelli dove prevalsero imitazioni
dialettali, come il Giangurgolo calabrese. Scaramuccia spesso non fu se non il secondo capitano;
Pulcinella e Tartaglia si ascrivono fra gli zanni. Altri personaggi invece si possono ridurre a
semplici ruoli generici: per esempio il Mercante (turco, levantino), il Notaio, il Medico, il Boia,
il Marinaio, il Corriere, il Bravo, il Contadino, gli Schiavi, gli Scrocconi, i Barbieri, gli Sbirri, i
Doganieri, i Soldati, gli Ebrei, i Pazzi, ecc. assai notevole che i comici dell'arte furono i primi
ad affidare le parti femminili ad attrici, mentre fino allora esse erano state di regola
rappresentate, cos nel dramma sacro come nella commedia erudita, da uomini.
Tecnica della commedia dell'arte. - S' ripetuto per secoli che la suprema attrattiva della
commedia dell'arte consist nel fatto che i suoi attori recitavano abbandonandosi all'estro del
momento e cio improvvisando. Ma questa improvvisazione va intesa con cautela. I comici
dell'arte non soltanto concertavano - sotto la guida di quel direttore che il Perrucci chiama
corago, e con regole e procedimenti che hanno avuto i loro trattatisti - l'insieme dello spettacolo;
ma ognuno d'essi aveva un suo formulario, che mandava coscienziosamente a memoria.
Esistevano raccolte scritte, e anche stampate, di "concetti", di soliloqu, di tirate, a uso di ciascun
carattere. C'erano le "prime uscite" i "saluti", le "chiusette", ecc., in prosa e anche in versi, che
ogni comico si teneva pronti per adattarli qua e l, in non importa quale commedia. La loro
principale abilit su questo punto consisteva dunque nel sapere inserire i loro brani a tempo e a
luogo, cucendoli col resto della parte propria o altrui, in seguito a prove accuratissime. Oltre ai
repertor di queste formule, diciamo cos, letterarie, i comici dell'arte consultavano, o
ricordavano, quelle dei lazzi (gli acti, l'atti), o giuochi scenici, di cui pure esistono raccolte
copiose, paragonabili agli scherzi dei nostri pagliacci nei circhi. E dizione e azione e mimica si
davan la mano a galvanizzare, volta per volta, questa materia, che riusciva a entusiasmare il
pubblico.
La mimica dell'attore italiano si esprimeva, per lo pi, non col giuoco della fisionomia, quasi
sempre ricoperta dalla maschera, ma, come del resto era avvenuto anche nell'antichit, e avviene
tuttora in Oriente, con l'atteggiamento dell'intera figura. L'uso della maschera non fu sempre
assoluto, n adottato da tutti i personaggi: innamorati e innamorate, per es., hanno recitato a viso
scoperto. Ma di regola i comici usavano la maschera: casi come quelli dei personaggi diabolici, a
cui il Perrucci consigliava di togliersela durante le tirate pi veementi, per aver pi libera la
respirazione e la foga della dizione; o di comici di bell'aspetto, di cui il pubblico specialmente
francese volle vedere le fattezze scoperte, non furono i pi frequenti. Le maschere in cuoio, di
cui ci restano ancora modelli e campioni, furono da principio, specie per gli zanni, grottesche
fino all'orrido e all'atroce; ma poi, divenendo meno mostruose, mirarono unicamente ad
annullare la riconoscibilit dei var attori, per ridurli tutti a un tipo uniforme.
All'elemento mimico si aggiungeva poi, importante specie nei riguardi della comicit, l'elemento
acrobatico. La commedia dell'arte, spettacolo in buona parte visivo, addestrava i suoi artisti non
solo nella ginnastica, per uno scopo evidente di scioltezza e di prestanza fisica, ma addirittura
nell'acrobazia. Contorsioni e piroette, capitomboli e salti mortali erano il loro forte; e non dei soli
uomini. Gi nel 1567, in una lettera privata, si parla dei mirabili salti di un'attrice, d'un'amorosa
che sosteneva il ruolo d'Angelica. Lo Scaramuccia Fiorillo, a ottantatr anni, ancora distribuiva
schiaffi agl'interlocutori con la pianta del piede. L'Arlecchino Visentini nella parte del servo di
don Giovanni nello scenario del Festino di pietra, davanti alla statua del commendatore, faceva
un capitombolo con in mano un bicchiere pieno, senza rovesciare il vino. Lo stesso Visentini
spaventava spettatori e spettatrici uscendo dal palcoscenico e correndo in giro sui cornicioni di
tutta la sala.
Inoltre, alle virt acrobatiche i comici italiani univano quelle di ballerini e di musicisti: la
commedia dell'arte fiorita spesso di danze e di canzoni. In ogni compagnia c'era qualcuno e
qualcuna che sapesse cantare: se non era addirittura la prima donna, come Isabella Andreini o
come Orsola Cecchini. Uno Scapino famoso, il Gabrielli, recitava uno scenario scritto apposta
per lui, Gli strumenti di Scapino, in cui via via suonava il violino, la viola, il contrabasso, la
chitarra, il trombone, il mandolino, la tiorba, il liuto e altri strumenti ancora. Altri comici erano
famosi nell'imitare strumenti musicali; oppure nelle canzonette onomatopeiche, dove si
rifacevano le voci degli animali.
Quando, infine, alle virt di tutta questa tecnica si aggiunsero, specie nel Seicento, i trucchi
meccanici e le meraviglie della nuova scenografia; quando ai vecchi intrecci si mescolarono le
favole e le evocazioni mitologiche; quando ai soliti lazzi, alle solite bastonature, ai soliti spaventi
e fuggi-fuggi si frammischiarono le sorprese spettacolose; quando Pulcinella e Mezzettino
sedendo a mensa videro la tavola apparecchiata prendere il volo e sparire in aria lasciandoli a
bocca asciutta; quando si vide calare in scena dalle nubi, sopra un'aquila di cartone, Arlecchino
travestito da Mercurio; quando Isabella, trovandosi in un giardino pieno di statue, vedeva d'un
tratto tutte le statue animarsi e scendere e intrecciare danze intorno a lei; quando nell'Achille in
Sciro, dopo balli d'orsi e di scimmie, di struzzi e di nani, si videro quattro zefiri e l'aurora sul suo
carro involarsi dalla terra al cielo; allora l'entusiasmo del pubblico, colto e incolto, giunse ai
fastigi: e il successo della commedia dell'arte per pi di due secoli fu tale da non aver possibili
riscontri nella storia del teatro.
Il successo dei comici dell'arte in Europa. - Questo successo, subito affermatosi tra le corti
d'Italia, valic immediatamente i confini delle Alpi. Un suo sintomo, o eco, pu esser
considerato l'uso di quei gentiluomini tedeschi che, a quanto sembra, gi al tempo di Ferdinando
I e di Massimiliano II, ossia nella seconda met del Cinquecento, si dilettavano d'imitare essi
stessi nelle corti germaniche la commedia italiana con le sue maschere. Ben presto le compagnie
italiane pi celebri - i Gelosi, gli Uniti, gli Accesi, i Desiosi, i Confidenti, ecc. - percorsero
l'Europa tra applausi, benevolenze regali e lauti guadagni.
Nel 1571, regnando Carlo IX, in Francia, dove fu il principale agone delle loro vittorie, trionf
Alberto Ganassa, zanni famoso, pare di Bergamo, il quale corre poi con la sua compagnia a
mietere allori in Spagna, nel corral della Pacheca. Sotto lo stesso Carlo IX, gi figurano a Parigi,
col titolo di Comdiens du Roi, gli attori della compagnia dei Gelosi. E una compagnia erede
dello stesso nome, ma ricomposta, e diretta da Flaminio Scala (Lelio), invitata a Parigi dal
successore di Carlo IX, Enrico III (che l'aveva vista recitare a Venezia): ne fanno parte il
"magnifico Pantalone" Pasquati, l'Arlecchino Simone di Bologna, Francesco Andreini (Capitan
Spaventa di Vallinferna) e sua moglie, la grandissima Isabella. Altri comici italiani son chiamati
dal re di Navarra alla sua corte; mentre Elisabetta d'Inghilterra invita a Londra l'Arlecchino
Drusiano Martinelli, grande giocoliere e poco di buono, che poi si reca, col pi celebre fratello
Tristano, anche lui Arlecchino, in Spagna. Poco dopo, al cospetto di Enrico IV, tornano in
Francia Francesco Andreini e la sua Isabella, che muore a Lione, e ha funerali da regina. A lei e a
suo padre succede il figlio, Giambattista Andreini, autore e attore, che riappare a Parigi nella
compagnia del citato Tristano Martinelli. Poi la volta di Tiberio Fiorillo, Scaramuccia, il
maestro di Molire; finch nel 1660 i comici italiani si stabiliscono definitivamente a Parigi,
sovvenuti dalla cassetta del re, nel teatro del Petit Bourbon, dove recitano a turno con la
compagnia di Molire. Nel 1661 l'esordio di Dominique, l'arlecchino Domenico Biancolelli, tra
entusiasmi di spettatori che spesso degenerano in risse e bastonate; le sue bottate e i suoi motti di
spirito diventano celebri; quand'egli muore, se ne fanno raccolte anche in forme liriche, come
nell'anonimo Arliquiniana, ch' una sorta d'elegiaco poema in prosa.
Per quasi un secolo i comici italiani, che avevano di regola recitato nella loro lingua - allora assai
diffusa, ma certo non compresa da tutti: altra riprova delle loro preponderanti bravure mimiche -
ormai avevano anche adottato, in Francia, il francese. Il che aveva dato origine, per ragioni di
concorrenza, a lamentele da parte degli attori parigini; ma la vittoria fu degl'italiani, e nel loro
repertorio figurarono sempre pi spesso lavori anche regolari, scritti da autori francesi. Sarebbe
troppo lungo enumerar le vicende della loro vita, prima nel teatro Gunegaud e nel teatro
dell'Htel de Bourgogne, poi in teatri di provincia, poi ancora a Parigi nel teatro del Palais Royal,
poi daccapo al Bourgogne donde uscirono e dove rientrarono pi volte, e in uno del faubourg
Saint-Laurent. Col tempo la loro troupe, aumentando la parte musicale del repertorio, si un con
quella dell'Opra-Comique. Infine s'allog nella sala Favart, dove la Rivoluzione li sorprese,
abolendo per sempre il loro titolo di Comdiens du Roi. Tirarono ancora avanti nove anni, col
nome di Thtre de l'Opra-Comique; nome che rimase alla sala anche dopo che, nel 1801, i
comici scomparvero fondendosi con un'altra compagnia.
Altri comici italiani s'erano, intanto, lanciati in tutta Europa, in quella centrale e anche orientale:
in Austria, in Germania, in Boemia, in Polonia, in Russia, dappertutto incontrando consensi, e
spesso facendo discepoli. Fenomeno di favore universale non sempre facile a intendersi da chi si
fermi a considerare, piuttosto che la valentia degli attori, la frequente assurdit e sconcezza di cui
i loro scenar erano tramati.
Forse per arrivare a renderci piena ragione del fenomeno, conviene persuadersi che il concetto
del comico sembrava, allora, inseparabile da quello di sconcezza; che la commedia era di fatto
considerata, non come lo specchio della vita, ma come una costruzione di vivace artificio,
assolutamente estranea ad essa, e fuori delle sue leggi anche morali. A ogni modo anche questo
che spiega come, in tempo di Riforma protestante e di Controriforma cattolica, i comici italiani
furono aspramente combattuti dai maestri di vita religiosa e dalle autorit ecclesiastiche, le quali
cercarono di tirar dalla loro, qualche volta riuscendovi, anche le civili. E spiega il bollo d'infamia
idealmente ricollocato sulla fronte dell'attore.
Ci furono, vero, i transigenti e i concilianti - e nella schiera si conta San Carlo Borromeo, che
ammise la commedia dell'arte, previa censura. Ci furono, fra i trattatisti e gli stessi comici, molti
dei quali erano sinceramente devoti, autori di difese del mestiere infamato: difese consistenti nel
ripudiare gli eccessi, nel raccomandare ai fratelli la moderazione, e nell'affermare ancora una
volta gl'intenti morali del teatro comico: si legga la Supplica di Niccol Barbieri. E i comici
italiani a Parigi nel 1687 s'erano fatti scudo d'una scritta collocata sulla loro bocca d'opera:
Castigat ridendo mores; ma contraddicendo, nei fatti, cos violentemente al loro motto, che Luigi
XIV, gi marito della Maintenon, accogliendo le proteste degli scandalizzati, fin con l'ordinare
la chiusura (temporanea, s'intende) del loro teatro.
Giudizio sulla commedia dell'arte. - Perci la commedia dell'arte, che si voluta considerare
soprattutto come spettacolo popolare, ci d anche uno dei documenti pi insigni di quella che fra
il sec. XVI e il XVIII fu, nonostante gli sforzi di cattolici e di protestanti, di gesuiti e di
giansenisti, la decadenza spirituale delle alte classi sociali: delle classi, cio, le quali le fornivano
i migliori spettatori. E se chi protestava per ragioni morali era in minoranza, chi rifiutava quegli
spettacoli dal punto di vista estetico si pu dire che non esistesse: in Francia il caso di Malherbe,
a cui la commedia dell'arte non piaceva, fu pi unico che raro.
Recentemente uno studioso italiano, l'Apollonio, ha voluto dare un'ingegnosa interpretazione
etico-estetica anche del contenuto della commedia dell'arte, ossia dei suoi scenar. Ma,
sostanzialmente, essa uon fu un fenomeno letterario n poetico. Il Tonelli l'ha considerata come
qualcosa d'equivalente al barocco nelle arti plastiche; ma fu un barocco la cui frenesia s'effuse e
si disperse. Essa forn, come e pi della commedia erudita, spunti sostanziali e materia, in
Francia, alla commedia di Molire e, in Italia, a quella di Goldoni: ma materia greggia, ch'essa
non aveva elaborata.
Quindi la commedia dell'arte appartiene, oltre che naturalmente alla storia del costume, alla
storia non tanto del dramma quanto del teatro, come scena e organizzazione tecnica. Espressione
dei gusti d'una parte della societ di quei secoli, la pi frivola, la pi vuota, gi dannata al crollo,
essa fu il brillantissimo e arido tentativo di sostituire al dramma lo spettacolo; fu la portentosa
esecuzione di opere inesistenti; fu la sbalorditiva cornice d'un quadro che non c'era. E chi
s'accosti, oggi, direttameute alle tracce ch'essa ha lasciato sulla carta, troppo spesso ne avverte il
gelo e la morte; peggio, avverte che tutto ci non era mai stato vivo in s; aveva preso a prestito
la sua vita da altri, cio dagli attori.
Sono dunque gli attori che contano nella commedia dell'arte. I comici dell'arte dettero all'Europa,
come fu bene accennato dal Croce, l'organizzazione del teatro moderno. Nel quale le maschere
sono sparite; ma al loro posto sono rimasti, per secoli, i ruoli, ossia la definizione di quei limiti
fisici e spirituali oltre i quali ogni attore, appunto perch uomo e cio limitato, non pu andare;
quei ruoli che il trasformatore della commedia dell'arte, Carlo Goldoni, rispett e port a
compimento estetico. E se oggi in Francia, in Germania e in Russia, non solo i dotti, ma gli artisti
e i loro maestri tornano alla commedia dell'arte, vi tornano non perch celebratori d'un contenuto
poetico ch'essa non ebbe, ma come a un modello dell'arte dell'attore.
Bibl.: Opere di comici dell'arte: F. Scala (comico geloso, Lelio), Teatro delle favole
rappresentative, Venezia 1611; F. Andreini (comico geloso, capitan Spavento da Vallinferna),
Bravure del Capitano Spavento, Venezia 1607; P. M. Cecchini (Frittellino), Frutti delle moderne
commedie ed avvisi a chi le recita, Padova 1628; N. Barbieri (detto Beltrame), La supplica
(difesa dei Comici), Venezia 1634; P. F. Biancolelli (detto Dominique, Arlecchino), Scenario,
trad. franc., Bibl. dell'Opra, Parigi; E. Gherardi, Thtre italien, voll. 6, Parigi 1694-1700; L.
Riccoboni (Lelio), Histoire du thtre italien, Parigi 1728-31; F. Bartoli, Notizie historiche de'
Comici italiani, voll. 2, Padova 1782. - V. anche: T. Garzoni, La piazza universale di tutte le
professioni del mondo, Venezia 1595; A. Perrucci, Dell'arte rappresentativa, premeditata ed
all'improvviso, Napoli 1699; F. e C. Parfaict, Histoire de l'ancien thtre italien, Parigi 1767; F.
Valentini, Trattato sulla Commedia dell'arte ossia improvvisa, Berlino 1826; M. Sand, Masques
et bouffons, Parigi 1859; L. Moland, Molire et la Comdie italienne, 2 ed., Parigi 1867; A.
Bartoli, Scenari inediti della Commedia dell'arte, Firenze 1880; E. Campardon, Les Comdiens
du roi de la troupe italienne, Parigi 1880; V. De Amicis, La Commedia popolare latina e la
Commedia dell'arte, Napoli 1882; A. Baschet, Les comdiens italiens la cour de France, Parigi
1882; M. Scherillo, La Commedia dell'arte in Italia, Torino 1884; A. D'Ancona, Origini del
teatro italiano, 2 ed., voll. 2, Torino 1891; L. Rasi, I comici italiani, voll. 3, Firenze 1897-1905;
H. Reich, Der Mimus, Berlino 1903; I. L. Klein, Geschichte des Dramas, Lipsia 1866-68, voll.
13 (incompiuta); W. Smith, The Commedia dell'arte, New York 1912; E. Del Cerro, Nel regno
delle maschere, Napoli 1914; P. L. Ducharte, La Comdie italienne, Parigi 1926 (assai bene
illustrato, ma non scevro di errori, specie nella 1 ed.); B. Croce, I teatri di Napoli, Bari 1926; C.
Mic (Costantino Miclacewsky), La commedia dell'arte (trad. in francese dal russo), Parigi 1927;
E. Petraccone, La commedia dell'arte: storia, tecnica, scenari, Napoli 1927; B. Croce, La
commedia dell'arte, in Atti Acc. Scienze Mor. e pol. di Napoli, 1930; M. Apollonio, Storia della
Commedia dell'arte, Roma-Milano 1930. - Per raccolte di scenar, v. sopra (Argomenti della
commedia dell'arte).

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