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Ente Parco
Nazionale del Vesuvio
COMUNIT EUROPEA
Fondo Europeo
di Sviluppo Regionale
Fondo Europeo
di Sviluppo Regionale
CITAZIONI
BIBLIOGRAFICHE CONSIGLIATE
ISBN 88-87925-01-1
2000 - Ente Parco Nazionale del Vesuvio, Napoli
ELEMENTI DI BIODIVERSIT
DEL PARCO NAZIONALE DEL VESUVIO
(BIODIVERSITY IN THE VESUVIUS NATIONAL PARK)
Orfeo Picariello, Nicola di Fusco, Maurizio Fraissinet
Editors
EDITORS
ORFEO PICARIELLO
Dipartimento di Zoologia
Universit degli Studi di Napoli Federico II
Via Mezzocannone, 8 - I-80134 Napoli
E-mail: picariel@unina.it
NICOLA DI FUSCO
Ministero delle Politiche Agricole e Forestali
Coordinamento Provinciale Corpo Forestale dello Stato
Via Arena, 56 - I-81100 Caserta
MAURIZIO FRAISSINET
Parco Nazionale del Vesuvio
Piazza Municipio, 8 - I-80040
San Sebastiano al Vesuvio (Napoli)
Nicola Maio
Dipartimento di Zoologia
Universit degli Studi di Napoli Federico II
Via Mezzocannone, 8 - I-80134 Napoli
Giovanni Mastrobuoni
Dipartimento di Zoologia
Universit degli Studi di Napoli Federico II
Via Mezzocannone, 8 - I-80134 Napoli
Stefano Mazzoleni
Dipartimento di Arboricoltura, Botanica
e Patologia vegetale
Universit degli Studi di Napoli Federico II
Via Universit, 100 - I-80055 Portici (Napoli)
E-mail: mazzolen@unina.it
Roberto Nazzaro
Dipartimento di Biologia vegetale
Universit degli Studi di Napoli Federico II
Via Foria, 223 - I-80139 Napoli
E-mail: nazzaro@unina.it
Renata Palmieri
Associazione Naturalistica ARION
Viale delle Mimose, Torre orientale, 1 - I-81030
Castelvolturno (Caserta)
E-mail: arionarion@libero.it
Orfeo Picariello
Dipartimento di Zoologia
Universit degli Studi di Napoli Federico II
Via Mezzocannone, 8 - I-80134 Napoli
E-mail: picariel@unina.it
Massimo Ricciardi
Dipartimento di Arboricoltura, Botanica
e Patologia vegetale
Universit degli Studi di Napoli Federico II
Via Universit, 100 - I-80055 Portici (Napoli)
E-mail: masricci@unina.it
Danilo Russo
School of Biological Sciences
University of Bristol
Woodland Road, BS8 1UG
Bristol - Gran Bretagna
Ottavio Soppelsa
Dipartimento di Zoologia
Universit degli Studi di Napoli Federico II
Via Mezzocannone, 8 - I-80134 Napoli
E-mail: soppelsa@unina.it
Salvatore Vicidomini
Via Velardi, 10 - I-84014
Nocera Inferiore (Salerno)
Umberto Violante
Dipartimento di Biologia vegetale
Universit degli Studi di Napoli Federico II
Via Foria, 223 - I-80139 Napoli
Guido Volpe
Associazione Naturalistica ARION
Viale delle Mimose, Torre orientale, 1 - I-81030
Castelvolturno (Caserta)
E-mail: arionarion@libero.it
VII
INDICE
p. IX
PREFAZIONE
Willer Bordon - Ministro dellAmbiente
p. XI
PRESENTAZIONE
Aldo Cosentino - Servizio Conservazione della Natura - Ministero dellAmbiente
p. XIII
INTRODUZIONE
Maurizio Fraissinet - Presidente Parco Nazionale Vesuvio
27
51
67
79
99
107
115
131
139
171
215
243
263
IX
PREFAZIONE
XI
PRESENTAZIONE
Il Ministero dellAmbiente attraverso le strutture del Servizio Conservazione Natura assume oggi grande valenza quale punto di riferimento per le politiche di tutela e salvaguardia
della biodiversit su tutto il territorio nazionale.
In particolare lo studio e la ricerca sulla biodiversit sono due facce di una stessa medaglia
in un Paese come il nostro che si presenta fra i pi ricchi e variegati, per tale aspetto, nel panorama europeo.
Un ruolo di primaria rilevanza istituzionale svolge in questo campo il sistema nazionale
delle Aree protette che nellultimo decennio, a decorrere dalla legge quadro sulle aree protette del 1991, ha visto listituzione di nuovi Enti Parco ed il consolidamento dei vecchi Parchi
storici nazionali; si passati quindi da 5 a oltre 20 Parchi nazionali ed il legislatore con nuove
disposizioni normative ne ha previsto lulteriore incremento.
Lattuale sistema delle aree protette comprende oltre ai Parchi nazionali, cento parchi
regionali e 250 riserve naturali statali e regionali che costituiscono il polmone verde del Paese
nonch un costante e vigile laboratorio di scienze naturali a cielo aperto per lo sviluppo e lindividuazione di nuove forme di conservazione e gestione della biodiversit.
Certamente questo deve offrire al Paese lopportunit di crescere e migliorare la sensibilit ambientale e la conoscenza pi approfondita e partecipativa della natura.
Questo spirito propositivo e divulgativo delle tematiche sulla biodiversit hanno stimolato lEnte Parco Nazionale del Vesuvio a realizzare in collaborazione con il Servizio Conservazione Natura, anche con lutilizzo di fondi dellUnione Europea, un testo sulla biodiversit
dellarea protetta.
La lettura del libro evidenzia la presenza di un piccolo scrigno pieno di gemme preziose,
infatti su un area Parco di ridotte dimensioni quale quella del Parco del Vesuvio si rinvengono cos tante e variegate forme di vita da far brillare gli occhi, da far crescere lentusiasmo e la voglia di operare sul territorio per conservare questi inestimabili tesori per le generazioni che verranno.
Il libro il frutto della collaborazione di numerosi studiosi campani che hanno voluto mettere a disposizione i risultati inediti delle loro ricerche naturalistiche nel territorio del Parco.
La stesura del libro stata coordinata dalla fattiva ed intensa collaborazione del professore Picariello e del colonnello Di Fusco componenti del Consiglio direttivo dellEnte Parco
nonch del professore Fraissinet, attuale Presidente.
Il libro sulla biodiversit del Parco Nazionale del Vesuvio offre anche spunti di notevole
rilevanza: per la prima volta sono stati descritti con rigoroso criterio scientifico i principali
aspetti naturalistici di questo piccolo angolo di paradiso e si fornito un utile strumento di
lavoro per chi opera nel settore delleducazione ambientale.
Certamente il libro potr costituire un punto di riferimento per future ricerche sulla biodiversit allinterno del Parco.
Sento quindi la necessit di ringraziare vivamente il Ministro dellAmbiente che sta operando nel migliore dei modi per la promozione e divulgazione del sistema delle aree protette
nazionali, i funzionari dellUnione Europea per la concessione del contributo economico, i
collaboratori del Servizio Conservazione Natura che hanno seguito levolversi del lavoro dal
punto di vista amministrativo, gli autori ed i coordinatori che hanno realizzato materialmente il libro.
Un particolare e sentito ringraziamento deve andare a tutti coloro che nella Zona Vesuviana lavorano per lEnte Parco per conservare e tramandare alle future generazioni la biodiversit che vive e pulsa intorno al Vulcano pi famoso del mondo.
Aldo Cosentino
Servizio Conservazione della Natura - Ministero dellAmbiente
XIII
INTRODUZIONE
L a parola biodiversit divenuta, di recente, di attualit. Allindomani del summit di Rio
L
de Janeiro, in cui si fece notare alla collettivit mondiale che la conservazione della biodiversit del pianeta aveva lo stesso valore strategico della conservazione dellacqua e dellaria per
la sopravvivenza della nostra specie, il concetto di biodiversit entrato nel novero di quelli
che occorre tenere presente da un punto di vista culturale, economico e gestionale.
Esistono diverse scale con cui prendere in considerazione la biodiversit: si va da quella
intraspecifica, che tratta la diversit genetica esistente tra gli individui di una stessa specie, a
quella, pi ampia, che prende in considerazione, invece, linsieme delle specie che vivono in un
determinato territorio, pi o meno ampio. A queste si possono associare alcuni indici, rilevabili matematicamente, quali ad esempio, il famoso indice H di Shannon tanto utilizzato
dagli ornitologi, che misura il grado di biodiversit di una comunit di specie allinterno di una
singola classe.
Senza la grande diversit di forme di vita di questo pianeta, luomo non si sarebbe evoluto e non potrebbe continuare a sopravvivere. Sulla scorta di questo progetto internazionale, i
governi di tutto il mondo e per essi, in particolare i Parchi naturali, sono chiamati a tutelare
questo inestimabile patrimonio, fatto di tante forme di vita diverse tra loro, ma accomunate
dalla unicit dei meccanismi biologici.
Per conservare la biodiversit occorre in primo luogo conoscerla e controllarla nel tempo.
Per questo fine lEnte Parco Nazionale del Vesuvio ha ottenuto dalla Comunit Europea, per
il tramite del Servizio Conservazione della Natura, un contributo per la stampa di un volume
che illustrasse la biodiversit del Parco.
Per la stesura del libro lEnte Parco si avvalso dei maggiori esperti di storia naturale del
Vesuvio, alcuni dei quali presenti allinterno dello stesso Consiglio Direttivo. Per essi, e per il
Parco, stata anche loccasione per fare il punto della situazione, ed eventualmente aggiornarla, allindomani dellistituzione dellarea protetta. Come noto, infatti, il complesso vulcanico del Somma-Vesuvio da sempre uno dei vulcani pi studiati al mondo, non solo per
quanto attiene gli aspetti strettamente vulcanologici, per i quali ha rappresentato e rappresenta la culla di questa disciplina, ma anche per gli aspetti naturalistici correlati, basti pensare che
lo studio dei processi di colonizzazione delle rocce laviche da parte della vegetazione iniziato sul Vesuvio, uno dei pochi vulcani al mondo dove, gi nel secolo scorso, era possibile datare con precisione le diverse colate laviche.
Nel libro sono stati trattati i principali aspetti botanici e zoologici della biodiversit del
Parco, affiancando ad essi alcuni approfondimenti che riguardano alcuni taxa particolarmente
interessanti del territorio del Parco, quali i funghi, le orchidee, le farfalle, le api, i chirotteri, ecc.
Il libro completato dalla trattazione degli aspetti climatici del territorio del Parco.
Si realizzata, a mio avviso, unopera importante che mette un punto fermo sulla biodiversit di un territorio vulcanico, che senza retorica pu essere considerato uno scrigno di tesori biologici di inestimabile valore, impreziosito dal caratteristico ambiente vulcanico e dalla
cornice storica e antropologica che ne fa un unicum straordinario per lintero pianeta.
A tutti gli Autori va quindi il mio ringraziamento per aver voluto mettere gratuitamente
a disposizione del Parco le loro competenze ed i risultati delle loro ricerche naturalistiche.
Non posso chiudere questa introduzione senza lespressione di un sentito ringraziamento
a coloro che hanno voluto la realizzazione di questa opera: lon. Willer Bordon, Ministro dellAmbiente, e il dr. Aldo Cosentino, Direttore Generale del Servizio Consevazione della
Natura, sotto la cui gestione il sistema dei Parchi sta assumendo connotazioni sempre pi
robuste su scala europea.
Maurizio Fraissinet
Presidente Ente Parco Nazionale del Vesuvio
XIV
XV
ELEMENTI DI BIODIVERSIT
DEL PARCO NAZIONALE DEL VESUVIO
(BIODIVERSITY IN THE VESUVIUS NATIONAL PARK)
Boletus aereus
foto di L. Capano
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
RIASSUNTO
SUMMARY
N
Nel corso di una ricerca decennale sulla flora micologica del Somma-Vesuvio sono state
censite 249 specie di macromiceti. Molte specie sono state segnalate per la prima volta per
larea del Somma-Vesuvio. Viene riportato anche un elenco di 113 specie fungine determinate da Capano (1999a).
D
During ten years of research into the mycological
flora of the Somma-Vesuvius volcanic complex, 249
species of macromycetes were censused, many of which
had never previously been reported in the area. We also
report a list of 113 fungal species drawn up by Capano
(1999a).
PAROLE
KEY
CHIAVE:
WORDS: Vesuvius,
INTRODUZIONE
II primi studi sui macromiceti dellarea vesuviana sono stati svolti da Pasquale (1869)
e Comes (1878); questi eminenti botanici partenopei effettuarono sporadiche ricerche
solo in alcune stazioni. Si reso necessario quindi compiere una serie di ricerche di campo
ed in laboratorio al fine di stilare una check-list aggiornata dei macromiceti dellintero
complesso Somma-Vesuvio.
METODOLOGIE DI RICERCA
La ricerca micologica oggetto del presente lavoro iniziata nel 1988 ed stata svolta
effettuando frequenti escursioni in vari periodi dellanno sulle diverse fasce vegetazionali
del territorio; i funghi sono stati raccolti e classificati presso il Dipartimento di Biologia
vegetale dellUniversit di Napoli Federico II. Nei casi dubbi si proceduto allesame
microscopico delle spore e di altri elementi come basidi, opportunamente colorati se
necessario. Per la classificazione delle specie e laggiornamento della relativa nomenclatura ci si avvalsi di numerosi testi tra cui: Bresadola (1927-1933), Ceruti (1948), Berteaux (1966), Romagnesi (1967), Cetto (1976-1983), Moser (1980), Goidanich & Govi
(1982), Julich (1989).
Molti esemplari sono stati fotografati in vivo ed alcuni conservati in exiccata presso il
suddetto Dipartimento.
I risultati preliminari di tale lavoro sono gi stati pubblicati (Violante et al., 1994).
In Tabella 1 riportato lelenco di 249 specie raccolte nel territorio del complesso
Somma-Vesuvio. Le specie contrassegnate con il simbolo
sono state segnalate anche
da altri autori.
Di ciascuna entit micologica vengono riportate le caratteristiche tossicologiche e di
commestibilit.
In Tabella 2 vengono riportate altre 113 specie di macromiceti segnalati da Capano
(1999a) nel periodo 1994-1998.
TABELLA 1
BASIDIOMYCETES
HETEROBASYSIOMYCETES
AURICULARIACEAE
TREMELLACEAE
Tremiscus helvelloides (D.C.: Pers.) Donk.
DACRYOMYCETACEAE
Calocera viscosa (Pers.: Fr.) Fr. 1827
APHYLLOPHORALES
THELEPHORACEAE
LEGENDA
TABELLA 1
HYDNACEAE
Hydnum repandum L.: Fr.
Hydnum rufescens Fr.
Sarcodon amarescens (Qul.)
Trametes hirsuta (Wulf.: Fr.) Pilat.
AURISCALPIACEAE
Auriscalpium vulgare S.F. Gray
HYMENOCHAETACEAE
Coltricia perennis (L.: Fr.) Murr.
Inonotus dryadeus (Pers.: Fr.) Murr.
Inonotus hispidus (Bull.: Fr.) Karst.
FISTULINACEAE
Fistulina hepatica (Schaeff.) Fr.
POLYPORACEAE
Albatrellus confluens (Alb. & Schw. ex Fr.) Kotl. & Pouz. 1957
Albatrellus ovinus (Schaeff. ex Fr.) Kotl. & Pouz. 1957
Chondrostereum purpureum (Pers.: Fr.) Pouzar
Fomes fomentarius (L.: Fr.) Fr.
Fomitopsis pinicola (Sw.: Fr.) Karst.
Funalia gallica (Fr.) Boud. & Sing.
Grifola frondosa (Dicks. ex Fr.) S.F. Gray 1821
Heterobasidion annosum Fr.
Meripilus giganteus (Pers.: Fr.) Karst.
Phaeolus schweinitzii (Fr.) Pat.
Polyporus brumalis (Pers.: Fr.)
Polyporus melanopus (Pers.) Fr. 1821
Polyporus tuberaster (Pers) Fr.
Polyporus varius (Pers) Fr. 1821
Trametes versicolor (L.: Fr.) Pilat
GANODERMATACEAE
Ganoderma applanatum (Pers) Pat.
Ganoderma lucidum (Fr.) Karst.
CORTICIACEAE
Merulius tremellosus Fr.
Stereum hirsutum (Willd.: Fr.) S.F. Gray 1821
Stereum rugosum (Pers.: Fr.) Fr. 1838
LEGENDA
TABELLA 1
CLAVARIACEAE
Ramaria aurea (Schaeff.: Fr.) Qul. 1888
Ramaria flaccida (Fr.) Bourdot
Ramaria formosa (Fr.) Qul. 1888
Ramaria gracilis (Fr.) Qul.
Ramaria pallida (Schaeff.: Schulzer) Ricken 1920
Ramaria stricta (Fr.) Qul.
CANTHARELLACEAE
Cantharellus cibarius Fr.
Cantharellus crispus (Pers.: Fr.) Fr.
Cantharellus infundibuliformis (Scop.) Fr. 1838
Boletus aereus
foto di L. Capano
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
BOLETALES
BOLETACEAE
PAXILLACEAE
Paxillus involutus (Batsch.: Fr.) Fr.
GOMPHIDIACEAE
Gomphidius roseus (L.: Fr.) Fr.
LEGENDA
ELENCO
TABELLA 1
RUSSULACEAE
Lactarius acerrimus Britz.
Lactarius aedematopus (Scop.) Fr
Lactarius aspideus (Fr.: Fr.)
Lactarius basidiosanguineus Kuhn & Romagn.
Lactarius camphoratus (Bull.: Fr.)
Lactarius controversus (Pers.: Fr.)
Lactarius deliciosus (L.: Fr.) S.F. Gray
Lactarius fuliginosus (Fr.)
Lactarius lignyotus Fr.
Lactarius piperatus (Scop.: Fr.) S.F. Gray
Lactarius resimus (Fr.: Fr.) ss. str.
Lactarius trivialis Fr.
Lactarius vellereus (Fr.) Fr.
Lactarius vinosus Qul.
Russula acrifolia Romagn.
Russula albonigra Krombh.
Russula consobrina Fr.
Russula cyanoxantha (Schaeff.) Fr.
Russula delica Fr.
Russula emetica (Schaeff.: Fr.) Pers.
Russula foetens (Pers.: Fr.) Fr.
Russula furcata ss. str. Bres.
Russula grisea (Pers.) Fr. (1838)
Russula integra (L.) Fr.
Russula nigricans (Bull.) Fr.
Russula pectinatoides Peck. ss. Singer
Russula puellaris Fr.
Russula queletii Fr.
Russula sardonia Fr.
Russula sororia (Fr.) Rommel
Russula torulosa Bres.
Russula transiens (Sing.) Romagn.
Russula violeipes Qul
Russula virescens (Schaeff.) Fr.
Russula xerampelina (Schaeff.) Fr.
Russula acrifolia
foto di L. Capano
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
HIGROPHORACEAE
Hygrocibe parvulus (Peck.) Murr.
Hygrophorus dichrous Kuhn. & Romagn.
Hygrophorus hypothejus (Fr.) Fr.
Hygrophorus miniatus (Fr.) Fr.
Hygrophorus poetarum Heim
LEGENDA
TABELLA 1
TRICHOLOMATACEAE
Armillaria mellea (Vahl.: Fr.) Kummer
Catathelasma imperiale (Qul.) Sing.
Clitocybe amara (Alb. & Schw.: Fr.) Kummer
Clitocybe cerussata (Fr.) Kummer
Clitocybe conglobata (Vitt.) Bres.
Clitocybe dealbata (Sow.: Fr.) Karst.
Clitocybe metachroa (Fr.) Kummer
Clitocybe phyllophila (Pers.: Fr.) Kummer
Clitocybe sinopica (Fr.: Fr.) Kummer
Clitocybe vibecina (Fr.) Qul.
Clitocybula lacerata (Scop.: Lasch.) Mtz.
Gerronema albidum (Fr.) Sing.
Laccaria amethyistea (Bull.) Murr.
Laccaria laccata (Scop.: Fr.) Berk. & Br. (1883)
Lepista gilva (Pers.: Fr.) Roze
Lepista nuda (Bull.: Fr.) Cke
Lepista paneola (Fr.) Karst.
Lyophyllum loricatum (Fr.) Kuhner
Melanoleuca vulgaris (Pat.) Pat
Pseudoclitocybe cyathiformis (Bull.: Fr.) Sing.
Richenella fibula (Bull.: Fr.) Raith.
Tricholoma columbetta (Fr.) Kummer
Tricholoma imbricatum (Fr.: Fr.) Kummer
Tricholoma saponaceum (Fr.) Kummer
Tricholoma sejunctum (Sow.: Fr.) Kummer
Tricholoma sulphureum (Bull.: Fr.) Kummer
Tricholoma terreum (Schaeff.) Kummer
Tricholoma virgatum (Fr.: Fr.) Kummer
Tricholomopsis rutilans (Fr.) Schaeff.
MARASMIACEAE
Collybia longipes (Bull.) Mos.
Collybia dryophila (Bull.: Fr.) Kummer
Collybia velutipes (Curt.: Fr.) Sing.
Micromphale brassicolens (Romagn.) Ort.
Micromphale perforans (Hofm.:Fr.) Sing.
Marasmius androsaceus (L.: Fr.) Fr.
Marasmius bulliardii Qul.
Marasmius oreades (Bolt.: Fr.) Fr.
Mycena alcalina (Fr.: Fr.) Kummer (auct.)
Mycena aurantiomarginata (Fr.) Qul.
Mycena epipterygia (Scop.: Fr.) S.F. Gray
Mycena inclinata (Fr.) Qul. 3
Mycena polygramma (Bull.: Fr.) S.F. Gray
Mycena pura (Pers.: Fr.) Kummer
LEGENDA
ELENCO
TABELLA 1
MARASMIACEAE
Mycena sanguinolenta (Alb. & Schw.: Fr.) Kummer
Strobilurus tenacellus (Pers.: Fr.)
ENTOLOMATACEAE
Entoloma hirtipes (Schum.: Fr.) Mos.
Entoloma lividoalbum (Kuhn. & Romagn.) Kubich.
Entoloma nidorosum (Fr.) Qul.
Entoloma rhodopolium (Fr.) Kummer
Nolanea pascua (Pers.: Fr.) Kummer
PLUTEACEAE
Pluteus murinus Fr. (1835)
Volvariella volvacea (Bull.: Fr.) Sing.
AGARICACEAE
Agaricus arvensis Schaeff.
Agaricus campestris L.: Fr.
Agaricus langei (Moller & Schulz.) Sing.
Cystoderma superbum Huijsman
Macrolepiota excoriata (Sch.: Fr.) Wasser
Macrolepiota procera (Scop.: Fr.) Sing.
AMANITACEAE
Amanita caesarea (Scop.: Fr.) Pers.
Amanita citrina (Schaeff: Fr.) S.F. Gray
Amanita gemmata (Fr.) Bertil. (auct.)
Amanita ovoidea (Bull.: Fr.) Link.
Amanita pantherina (D.C.: Fr.) Krombh.
Amanita phalloides (Vaill.: Fr.) Link.
Amanita strobiliformis Vitt.
Amanita vaginata (Bull.: Fr.) Vitt.
Amanita verna (Bull.: Fr.) Vitt. (1826)
Amanita virosa (Fr.) Bert.
BOLBITACEAE
Agrocybe aegerita (Paul.) Sing.
Agrocybe praecox (Pers.: Fr.) Fayod
STROPHARIACEAE
Hypholoma fasciculare (Huds.: Fr.) Karst.
Paneolus campanulatus (Bull.: Fr.) Qul.
Psilocybe bullacea (Bull.: Fr.) Kummer (1871)
Stropharia semiglobata (Batsch.) Qul.
LEGENDA
10
Armillaria mellea
foto L. Capano
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
11
Agaricus langei
foto di L. Capano
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
12
TABELLA 1
COPRINACEAE
Coprinus atramentarius (Bull.: Fr.) Fr.
Coprinus disseminatus (Pers.: Fr.) S.F. Gray
Coprinus filamentifer Kuhn.
Coprinus micaceus (Bull.: Fr.) Fr.
Psathyrella candolleana (Fr.: Fr.) M.re
Psathyrella sarcocephala (Fr.: Fr.) Sing.
CORTINARIACEAE
Cortinarius anomalus (Fr.) Fr.
Cortinarius brunneus (Pers.: Fr.) Fr.
Cortinarius bulliardii (Pers.: Fr.) Fr.
Cortinarius gentilis (Fr.) Fr.
Cortinarius limonius (Fr.) Fr.
Cortinarius mucosus (Bull.) Fr.
Cortinarius salor Fr.
Cortinarius semisanguineus Fr.
Cortinarius speciosissimus Kuhn. & Romagn.
Hebeloma crustuliniforme
Hebeloma longicaudum (Fr.) ss. L.Ge.
Hebeloma subsaponaceum Karst.
Hebeloma testaceum (Batsch.: Fr.) Qul.
Hebeloma versipelle (Fr.) Gill.
Inocybe atripes Atk.
Inocybe cookei Bres.
Inocybe fastigiata (Schaeff.) Qul.
Inocybe lutescens Velen.
Inocybe nitidiuscula (Britz.) Sacc.
Inocybe patouillardii Bres.
Inocybe rimosa (Bull.: Fr.) Kummer
Inocybe sambucina (Fr.) Qul.
Inocybe umbrina Fr.
Rozites caperatus (Pers.: Fr.) Karst.
CREPIDOTACEAE
Crepidotus mollis (Sch.: Fr.) Kummer
Tubaria furfuracea (Pers.: Fr.) Gill.
GASTEROMYCETES
ASTRACEAE
GEASTRACEAE
Geastrum triplex Jungh.
LEGENDA
ELENCO
13
TABELLA 1
LYCOPERDACEAE
SCLERODERMATACEAE
Scleroderma citrinum Pers.
Scleroderma geastrum Fr.
Scleroderma verrucosum (Bull.: Pers.) Pers.
NIDULARIACEAE
Crucibulum laeve Kambly
Cyathus olla (Batsch.: Pers.) Pers.
Cyathus striatus (Hudson.: Pers.) Pers.
PHALLACEAE
Phallus impudicus L.: Pers.
CLATRACEAE
Clathrus ruber Pers.
ASCOMYCETES
HELVELLACEAE
MORCHELLACEAE
Disciotis venosa (Pers.) Boud.
Mitrophora semilibera (D.C.: Fr.) Lev.
Morchella conica Pers.
Morchella conica var. deliciosa Fr.
Morchella elata Fr.
Morchella esculenta Pers. ex St. Amans
PEZIZACEAE
Acetabula vulgaris Fuck.
Peziza vesciculosa Bull.: Fr.
Sarcosphaera macrocalyx (Reiss.) Aucrow
GEOGLOSSACEAE
Spathularia flavida Pers.: Fr.
PYRONEMATACEAE
Otidea onotica (Pers.) Fuck.
LEGENDA
14
Clathrus ruber
foto di L. Capano
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
15
Coprinus disseminatus
foto di L. Capano
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
16
TABELLA 2
BASIDIOMYCETES
HETEROBASYSIOMYCETES
AURICULARIACEAE
Auricularia mesenterica (Dicks.: S.F. Gray) Pers.
TREMELLACEAE
Tremella mesenterica Retz.: Hook.
APHYLLOPHORALES
THELEPHORACEAE
HYMENOCHAETACEAE
Phellinus torulosus (Pers.: Pers.) B. & G.
PLEUROTACEAE
Schizzophyllum commune Fr.: Fr.
POLYPORACEAE
Polyporus badius (Pers.: S.F. Gray) Schw.
Polyporus leucomelas Fr.
CLAVULINACEAE
Clavulina cinerea (Bull. Fr.) Schroet.
Clavulina rugosa (Fr.) Schroet.
CANTHARELLACEAE
Cantharellus cornucopioides L.
BOLETALES
BOLETACEAE
RUSSULACEAE
Lactarius atlanticus Bon.
Lactarius atlanticus var strigiper Bon.
Lactarius chrysorrheus (Fr.: Fr.) Fr.
Lactarius intermedius (Fr.) Cooke
Russula amoena Qul.
Russula amoenicolor Romagn.
Russula cessans Pers.
Russula chloroides Krombh.
Russula densifolia Gill.
Russula fragilis (Pers.: Fr.) Fr.
Russula luterosella (Briz.)
LEGENDA
ELENCO
DI ALTRE
113
17
TABELLA 2
RUSSULACEAE
AGAROMYCETIDAE
HIGROPHORACEAE
TRICHOLOMATACEAE
PLEUROTACEAE
Panus conchatus (Bull.: Fr.) Fr.
LEGENDA
18
Hydnellum aurantiacum
foto di L. Capano
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
19
Tricholoma caligatum
foto di L. Capano
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
Tricholoma equestre
foto di L. Capano
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
20
TABELLA 2
MARASMIACEAE
ENTOLOMATACEAE
PLUTEACEAE
Pluteus cervinus (Sch.) Kummer
Volvaria glojocephala (Fr.: Fr.) Sing.
Volvaria parvula (Weinm.) Speg.
AGARICACEAE
AMANITACEAE
BOLBITACEAE
STROPHARIACEAE
COPRINACEAE
CORTINARIACEAE
LEGENDA
ELENCO
DI ALTRE
113
21
TABELLA 2
CORTINARIACEAE
Gymnopilus spectabilis (Fr.) Sing.
Hebeloma mesopheum (Pers.) Qul.
Hebeloma sinapizans (Paul.) Gill.
Inocybe dulcamara (Pers.) Kumm.
Inocybe geophylla (Sow.: Fr.) Kumm.
Inocybe geophylla var. lilacina (Peck.) Gillet
Inocybe jurana Pat
Inocybe laeta Sing.
Inocybe praetervisa Qul.
GEASTRACEAE
Geaster sessile (Sow.) Pouz.
LYCOPERDACEAE
Lycoperdon saccatum Schm.
ASCOMYCETES
HELVELLACEAE
MORCHELLACEAE
Morchella conica var. deliciosa Fr.
LEOTIACEAE
Leotia lubrica (Scop.: Fr.) Pers.
PYRONEMATACEAE
Otidea umbrina (Pers.) Bres.
LEGENDA
22
23
Volvaria parvula
(a sinistra giovane corpo fruttifero)
foto di L. Capano
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
24
CONSIDERAZIONI FINALI
IIl lavoro di ricerca, durato oltre dieci anni, aggiorna i dati pubblicati da Violante (et
al., 1994) apportando nuovi contributi alla conoscenza micologica del Somma-Vesuvio.
Le 249 specie censite appartengono a 42 Famiglie. Ai Basidiomiceti appartengono
235 specie, mentre agli Ascomiceti 14 specie. Le Famiglie con maggiore numero di specie sono le Russulaceae (35), Tricholomataceae (29), Boletaceae (26), Cortinariaceae (24)
tra i Basidiomiceti; le Morchellaceae (6) tra gli Ascomiceti.
Le altre 113 specie censite da Capano elevano a 362 il numero totale dei macromiceti epigei finora censiti allinterno del Parco Nazionale del Vesuvio. Questo alto valore di
biodiversit micologica del Vesuvio un patrimonio biologico da esplorare allo scopo di
conoscere in maggiore dettaglio i rapporti tra ambiente e cicli vitali fungini.
Lintero territorio del parco caratterizzato da temperature non molto diversificate sui
versanti e alle varie quote altimetriche; tale clima mediterraneo favorisce la diffusione dei
macromiceti, sia in numero di specie che in densit di popolazioni.
I numerosi fenomeni eruttivi succedutisi nel tempo fino al 1944 hanno mutato la
struttura morfologica e le caratteristiche dei suoli vesuviani, condizionando le cenosi
vegetali ivi presenti e le specie fungine sia saprofite che micorriziche.
Larea vesuviana, molto antropizzata e limitrofa ai centri costieri e alle pianure Acerrana, Nolana e Nocerino-Sarnese, stata assoggettata ad un intenso prelievo di macromiceti. Nel passato la raccolta dei funghi non era regolamentata e la riserva forestale Tirone-Alto Vesuvio era accessibile liberamente. Numerosi raccoglitori arrecavano danno alla
flora micologica estirpando i corpi fruttiferi e distruggendo le specie non ritenute eduli;
le spore non erano diffuse nellambiente in quanto i funghi venivano trasportati in buste
di polietilene.
Nel 1987 la riserva forestale veniva recintata, tabellata e sottoposta a vigilanza da parte
del Corpo Forestale dello Stato; laccesso consentito solo per motivi di studio e per
escursioni naturalistiche (art. 2 del D.M. 29 marzo 1972). Nella riserva forestale il leccio
sta sostituendo gradualmente i numerosi boschi di conifere impiantate e riprodottesi nel
tempo, la foresta quindi tende a stabilizzarsi verso un climax a lecceta mediterranea. In
questo lasso di tempo si riscontrato un significativo incremento della densit delle
popolazioni fungine, favorito anche dalle migliorate condizioni ambientali dei boschi
vesuviani.
Il Parco Nazionale del Vesuvio ha regolamentato il prelievo dei macromiceti: nella
zona 1, a tutela integrale, non possibile raccogliere funghi epigei se non per motivi di
ricerca; nelle restanti aree vige un apposito regolamento redatto dal Consiglio Direttivo
dellEnte Parco.
La Legge Quadro Nazionale 352/93 ha fornito una serie di regole per la gestione del
patrimonio micologico italiano, demandando alle regioni il compito di emettere regolamenti adatti alle esigenze locali. Purtroppo, sino ad oggi, la proposta di legge sostenuta
nella nostra regione dal Gruppo Micologico Campano non ha trovato ancora attuazione.
Si auspica che la Regione Campania promulghi al pi presto un'apposita legge regionale allo scopo di regolamentare il prelievo dei funghi, dettando chiare e semplici regole, come ad esempio il limite massimo di raccolta, i giorni in cui vietata la raccolta,
lobbligo di mantenere i funghi in cesti di vimini al fine di favorire la dispersione delle
spore, norme queste che tendono, tra laltro, anche ad evitare la rarefazione delle specie
fungine.
Ad integrazione della legge quadro nazionale stato poi pubblicato il D.P.R. 376/95
che, regolando la disciplina della raccolta e della commercializzazione dei funghi epigei
freschi e conservati, ha portato il numero delle specie di funghi freschi spontanei e coltivati che possono essere commercializzati a circa una cinquantina.
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BIBLIOGRAFIA
27
E-mail: masricci@unina.it
2 Dipartimento di Scienze della Vita, Seconda Universit di Napoli. Via Vivaldi, 43, I-81100 Caserta
RIASSUNTO
SUMMARY
U
Un importante ruolo nella colonizzazione dei substrati primitivi svolto dai Licheni e
dalle Briofite. Vengono illustrati i lineamenti essenziali delle cenosi in cui questi organismi
vegetali svolgono il loro ruolo di piante pioniere con particolare riferimento agli ambienti
ed ai substrati pi diffusi nellarea vesuviana. Sono infine presentati gli elenchi floristici,
desunti dalla letteratura, dei Licheni e delle Briofite (Epatiche e Muschi) del SommaVesuvio.
PAROLE
KEY
CHIAVE:
WORDS:
28
INTRODUZIONE
LLe prime fasi della colonizzazione degli ambienti primitivi e dei substrati rocciosi
poco o nulla alterati delle aree vulcaniche, e quindi anche di quelli del Somma-Vesuvio,
sono opera di organismi vegetali poco evoluti tra i quali prevalgono i licheni e le briofite.
Alle briofite appartengono due tipi di organismi: i muschi e le epatiche, dei quali i
primi sono certamente pi noti delle seconde. Queste entit, di ridotte dimensioni e semplicemente organizzate, sono poco appariscenti e sicuramente meno note delle altre piante dei vulcani dove per esse, pi che altrove, assumono una grande importanza naturalistica e biologica per la funzione che esse riescono a svolgere.
LICHENI E BRIOFITE
NEGLI AMBIENTI PRIMITIVI
LLa composizione della flora lichenica e di quella briofitica risente in maniera significativa del tipo di ambiente e le differenze che si rilevano sono per lo pi correlate al tipo
di substrato al punto che spesso anche in spazi alquanto ristretti si osservano variazioni
di un certo rilievo.
Per consentire di cogliere al meglio questo fenomeno e dare al tempo stesso unidea
pi precisa sulla distribuzione dei licheni e dei muschi sul Somma-Vesuvio, lattenzione
verr rivolta ad ambienti diversi, privilegiando i tipi di substrato pi diffusi e pi ricchi di
licheni e di briofite e cio: le lave scoriacee, quelle a corda nonch muri e altri manufatti
29
per le specie sassicole; le cortecce delle conifere e delle latifoglie per le specie corticole;
il suolo per le specie terricole.
Sulle lave delle eruzioni pi recenti (1906, 1929, 1944) e sulle scorie laviche sparse sul
suolo prevalgono i licheni di tipo fruticuloso. Tra di essi predomina nettamente lo Stereocaulon vesuvianum Pers. che ricopre quasi completamente la superficie delle colate con un
feltro grigiastro costituito da tante minuscole ramificazioni cosparse di minute granulazioni. Meno frequenti, ma non di rado ben rappresentati, sono sia le specie a tallo crostoso come Trapelia mooreana (Carrol) P. James e Candelariella aurella (Hoffm.) Zahlbr.
colorate rispettivamente di giallo chiaro e di verdastro.
Le briofite colonizzano questi ambienti in tempi relativamente pi lunghi rispetto ai
licheni. Tuttavia la frequenza e il numero di specie che qui ritroviamo aumenta sensibilmente con laumentare dellet delle lave. Sulle lave delle eruzioni pi recenti prevalgono
le specie sassicole come Grimmia pulvinata (Hedw.) Sm., Tortula muralis Hedw. e diverse specie appartenenti al genere Didymodon e Weissia. Sulle colate pi antiche, dove sono
pi frequenti le piccole concavit con accumulo di terreno, si sviluppano tappeti di specie
terricole come Funaria hygrometrica Hedw., Barbula convoluta Hedw., Weissia controversa
Hedw. e il caratteristico Bryum argenteum Hedw. dallaspetto simile ad una piccola cordicella di colore bianco. Nelle anfrattuosit delle rocce, dove si realizzano condizioni
microambientali pi umide e ombrose, si ritrovano di frequente anche alcune epatiche
tallose come Lunularia cruciata (L.) Lindb. e Radula complanata (L.) Dumort.
LAVE SCORIACEE
Nelle pinete dellarea vesuviana i licheni che si insediano sulla corteccia dei pini sono
alquanto rari. In questi boschi le specie licheniche tendono piuttosto a preferire come
substrato la superficie del suolo dove comune soprattutto Cladonia rangiformis Hoffm.,
costituita da una miriade di minuscoli rami verticali pi volte divisi in due. Questi vanno
a formare spesso cuscini irti di punte che possono estendersi anche per alcuni decimetri.
Sui massi e sugli altri substrati rocciosi sparsi sono rappresentate in varia misura altre
specie del genere Cladonia.
In questi boschi, anche le briofite, come i licheni, si insediano pi frequentemente sul
terreno dove, localmente, si sviluppano estesi e folti tappeti di Scleropodium purum
(Hedw.) Limpr. Un habitat caratteristico quello della base degli alberi ricoperta quasi
30
esclusivamente dal muschio cosmopolita Hypnum cupressiforme Hedw. Sulla corteccia dei
pini sono del tutto assenti le specie tipicamente epifite. I substrati rocciosi, disseminati
nel sottobosco delle pinete, costituiscono, in assoluto, lambiente pi caratteristico per lo
sviluppo delle briofite, grazie alla ridotta competizione con le piante vascolari e la lettiera. Questi substrati possono spesso presentarsi interamente ricoperti di muschi tra i quali
i pi frequenti sono: Hypnum cupressiforme Hedw., Rhynchostegium confertum (Dicks.)
Bruch et al., Scorpiurum circinatum (Brid.) M. Fleisch. et Loeskee. Non sono inoltre rare
alcune epatiche a tallo fortemente aderente al substrato come Radula complanata (L.)
Dumort.
BOSCHI E PIANTE ISOLATE DI LATIFOGLIE
Sulla corteccia delle latifoglie i licheni sono molto abbondanti; il tronco ed i rami di
questo tipo di piante non di rado ricoperto quasi completamente dai talli lichenici (per
lo pi crostosi) che, sebbene poco appariscenti, si sviluppano strettamente contigui luno
allaltro o addirittura si sovrappongono tra di loro.
Queste specie corticole sono inoltre molto numerose e di difficile riconoscimento per
la loro notevole uniformit di aspetto. In questa sede ci sembrato pertanto sufficiente
indicare quelle pi comuni o comunque maggiormente rappresentate sugli alberi e sugli
arbusti presenti nellarea vesuviana indicando il tipo di pianta su cui si incontrano pi frequentemente.
Sui tronchi e sui rami delle robinie (Robinia pseudacacia L.) si trovano soprattutto
Caloplaca luteoalba (Turner) Th. Fr., Lecanora pallida (Schreber) Rabenh. e Pertusaria leucostoma (Bernh.) Massal. dal tallo crostoso poco appariscente. Sulle roverelle (Quercus
pubescens Willd.) dominano Ramalina fastigiata (Pers.) Ach., Ramalina farinacea (L.)
Ach. costituite da ciuffi pendenti di elementi appiattiti di colore verde grigiastro chiaro,
cui si aggiunge spesso Parmotrema chinense (Osbeck) Hale et Ahti, a tallo foglioso di colore grigio chiaro a lobi arrotondati. La corteccia degli esemplari di noce comune (Juglans
regia L.) sparsi nei coltivi sono ricoperti da Parmelia borreri (Sm.) Turner e da Opegrapha
varia Pers.
Sulle numerose specie di fruttiferi coltivati nellarea vesuviana (albicocchi, peschi,
meli, susini, ecc.) le specie pi rappresentate sono Lecidella elaeochroma (Ach.) Haszel.,
Candelariella xanthostygma (Ach.) Lettau, entrambe a tallo giallastro, ma di aspetto crostoso nella prima e sotto forma di granulazioni sparse nella seconda. Frequente su questi
alberi anche Parmelia soredians Nyl., a tallo foglioso verde chiaro. Su piante legnose varie
vivono poi Hyperphyscia adglutinata Flrke e Physconia distorta (With.) Laundon,
entrambe a tallo foglioso grigiastro a lobi pi sottili delle Parmelie. A queste due specie
non di rado si aggiunge Pertusaria albescens (Huds.) M. Choisy et Werner, a tallo crostoso biancastro o grigio, spesso fessurato e ricoperto da granulazioni biancastre. I rami di
molti arbusti sono ricoperti da Evernia prunastri (L.) Ach. che si presenta in ciuffi pendenti costituiti da sottili lacinie nastriformi.
Nelle formazioni a latifoglie presente una notevole ricchezza e variabilit di
microambienti che consentono uno sviluppo di comunit briofitiche molto rigogliose.
Esse si insediano su differenti substrati come il suolo, le rocce o la corteccia degli alberi. Sul terreno le briofite sono scarsamente rappresentate per la presenza di una spessa lettiera che occupa gran parte del suolo. Le specie pi frequenti sono Brachythecium rutabulum (Hedw.) Bruch et al., B. velutinum (Hedw.) Bruch et al. e Hypnum cupressiforme
Hedw. specie forestali tipiche dei terreni umidi e ricchi di humus. Uno degli aspetti pi
interessanti rilevabili allinterno dei boschi dato dalle comunit sassicole che a causa
della ridotta competizione con le piante superiori, tendono a formare, su questo tipo di
31
substrato, dei popolamenti quasi puri. Le specie pi frequenti sono: Ctenidium molluscum
(Hedw.) Mitt., Homalothecium sericeum (Hedw.) Bruch et al., sulle rocce poste nei luoghi
pi umidi e ombrosi, diverse specie appartenenti al genere Grimmia, Tortula e Orthotrichum su quelle soleggiate.
Anche la corteccia degli alberi, ed in modo particolare quelle degli alberi pi vecchi,
costituisce un habitat preferenziale per le briofite. Le specie pi comuni che possiamo
ritrovare alla base degli alberi sono Hypnum cupressiforme Hedw., Scorpiurum circinatum
(Brid.) M. Fleisch. et Loeskee, Rhynchostegium confertum (Dicks.) Bruch et al. e Rhynchostegiella tenella (Dicks.) Limpr. Nelle parti alte del tronco si ritrovano con maggiore
frequenza le specie esclusivamente epifite come Leptodon smithii (Hedw.) Weber et D.
Mohr, dal caratteristico aspetto a piccolo gomitolo, Zygodon rupestris Schimp. ex Lorentz,
varie specie appartenenti al genere Orthotricum ed epatiche di piccolissime dimensioni
come Frullania dilatata (L.) Dumort. e Metzgeria furcata Raddi. Queste specie non mancano anche quando le piante si presentano isolate nei coltivi o negli ambienti antropizzati.
Oltre che sulla superficie del suolo nei boschi, i muschi, ancor pi dei licheni, colonizzano il terreno negli arbusteti e nelle aree scoperte anche in ambienti fortemente
antropizzati come i margini delle strade e dei sentieri. Le specie che vivono in questi
ambienti sono prevalentemente a ciclo annuale e possono essere notate soprattutto nel
periodo invernale-primaverile. In questi ambienti si ritrovano varie specie appartenenti al
genere Barbula, Didymodon, Bryum e Pottia, queste ultime di dimensioni che a volte non
superano i pochi millimetri. Un ruolo importante viene svolto dai muschi nella colonizzazione dei terreni scoperti interessati da incendi recenti. Su questi suoli frequente la
presenza di Funaria hygrometrica Hedw., un muschio che, dopo appena pochi mesi dallincendio, riesce a sviluppare estesi tappeti e ad assicurare, quindi, la rapida ricostituzione di una copertura vegetale (Esposito et al., 1999).
Cos come sulla corteccia delle latifoglie e forse ancor pi che su questo tipo di substrato, i licheni sono estremamente comuni e presenti con un notevole numero di specie
su ogni tipo di costruzione come pareti di edifici, muri di separazione e di contenimento, tetti di tegole, lastricati, ecc. soprattutto quando la manutenzione delle superfici di tali
opere non sia eccessivamente accurata.
Ulteriore punto di contato con i licheni delle cortecce il tipo di tallo che predomina nei licheni che si insediano sui manufatti e sulle opere murarie. Su queste ultime la
maggioranza delle specie presenti sono di tipo crostoso e hanno tallo poco consistente e
semipolveroso Non mancano, comunque, entit fogliose. Tra queste vanno innanzi tutto
ricordate la Xanthoria parietina (L.) Th. Fr. e la Lecanora muralis (Schreber) Rabenh., dai
talli fogliosi arancione cupo la prima e verde chiaro piuttosto pulverulento la seconda. Le
numerose specie crostose, su questi substrati, appartengono in prevalenza ai generi Caloplaca, Buellia, Verrucaria e Pertusaria.
Numerosi sono anche i muschi che, su questi substrati artificiali, trovano condizioni
di vita ottimali. Le specie prevalenti sono generalmente di piccole dimensioni ma riuniti
in folte colonie a formare estesi cuscinetti come nel caso delle specie appartenenti al genere Grimmia e Tortula, o tappeti come le varie entit appartenenti ai generi Bryum e
Barbula. Nei siti pi umidi possibile anche lo sviluppo di estese colonie di epatiche tra
le quali la specie pi comunemente ritrovata Lunularia cruciata (L.) Lindb. sul cui tallo
aderente strettamente al substrato si possono facilmente osservare i caratteristici organi a
scodelletta atti alla riproduzione vegetativa.
32
LLe prime notizie riguardanti i licheni del Somma-Vesuvio si trovano in alcuni contributi ormai antichi di Pasquale (1869), Licopoli (1873) e Jatta (1889-90; 1909-11) mentre notizie pi recenti sono riportate da Aprile (1980).
In base a questultimo lavoro stato redatto lelenco appresso riportato. In esso sono censite 148 entit per ciascuna delle quali vengono indicati lautore o gli autori dei ritrovamenti sul Somma-Vesuvio e la natura del substrato quando questo viene indicato.
Per quel che riguarda le briofite, i primi contributi a carattere floristico per larea vesuviana risalgono anchessi al secolo scorso e sono sempre opera di Pasquale (1869) e Licopoli (1873). Le accurate esplorazioni ed erborizzazioni condotte da questi due autori sono
testimoniate dalla ricca collezione di campioni derbario conservati presso il Dipartimento di Biologia Vegetale dellUniversit di Napoli. Notizie pi recenti sono riportate in una
brevissima nota di Maini (1963) sulle crittogame delle fumarole del Vesuvio. Un breve
elenco di muschi vesuviani stato pubblicato da Maiello (1967). Da diversi anni tali studi
sono stati da noi ripresi ma sono ancora in fase di elaborazione. Qui di seguito riportato lelenco floristico delle briofite (23 epatiche e 100 muschi) del Somma-Vesuvio redatto in base ai dati della letteratura. Per ciascuna entit viene indicato lautore o gli autori
dei ritrovamenti, la localit e il tipo di substrato se specificato.
Per la nomenclatura delle entit ci si attenuti alle recenti vedute di Nimis (1993).
Non si tenuto pertanto conto della nomenclatura seguita dagli Autori delle precedenti
segnalazioni.
Acarospora fuscata (Nyl.) Arnold
Aprile, 1980 (Ritrovata esclusivamente sui muri di un pozzo tra i vigneti ad Est della
Cappella Vecchia (Torre del Greco), m 150)
Acarospora trachitica Jatta
Jatta, 1889-90 (sulle trachiti: Torre del Greco); Jatta, 1909 (sulle trachiti presso Torre
del Greco)
Acarospora umbilicata Bagl.
Aprile, 1980 (muri a secco presso Cappella Vecchia (Torre del Greco) m 150);
Licopoli, 1873 (Tironi di S. Vito, Cappuccini della Torre)
Anaptychia ciliaris (L.) Krber
Pasquale, 1869 (Portici, Torre del Greco); Licopoli, 1873 (S. Vito, Torre del Greco su
rocce antiche e compatte); Jatta, 1889-90 (sui tronchi)
Arthonia cinnabarina (Garov.) Oxner
Jatta, 1889-90 (sui tronchi)
Arthonia endlicheri (Garov.) Oxner
Jatta, 1889-90 (sulle rocce vulcaniche)
Aspicilia cinerea (L.) Krber
Jatta, 1889-90 (sulle rocce)
Bacidia arnoldiana Krber
Licopoli, 1873 (rara)
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LICHENI
DEL PARCO NAZIONALE DEL
VESUVIO
34
LICHENI
DEL PARCO NAZIONALE DEL
VESUVIO
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LICHENI
DEL PARCO NAZIONALE DEL
VESUVIO
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LICHENI
DEL PARCO NAZIONALE DEL
VESUVIO
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LICHENI
DEL PARCO NAZIONALE DEL
VESUVIO
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LICHENI
DEL PARCO NAZIONALE DEL
VESUVIO
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LICHENI
DEL PARCO NAZIONALE DEL
VESUVIO
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LICHENI
DEL PARCO NAZIONALE DEL
VESUVIO
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LICHENI
EPATICHE
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EPATICHE
VESUVIO
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EPATICHE
DEL PARCO NAZIONALE DEL
VESUVIO
Targionia hypophylla L.
Pasquale, 1869 (comune sulle rocce); Licopoli, 1873 (su lave antiche, su ceneri e detrito)
Aloina aloides (Schultz) Kindb.
Pasquale, 1869 (in muris); Licopoli, 1873 (Ottaviano, Cercola)
Aloina rigida (Hedw.) Limpr.
Licopoli, 1873 (sulle lave antiche e sui muri)
Anomobryum julaceum (P. Gaertn. et al.) Schimp.
Pasquale, 1869 (sulle rocce e sulle lave)
Barbula convoluta Hedw.
Pasquale, 1869 (frequente sul terreno e sulla sabbia); Maiello, 1967 (Strada Matrone)
Barbula convoluta Hedw. var. commutata ( Jur.) Husn.
Pasquale, 1869
Barbula unguiculata Hedw.
Pasquale, 1869
Bartramia ithyphylla Brid.
Licopoli, 1873 (Sopra Pugliano, Somma, Ottaviano, S. Vito)
Bartramia pomiformis Schwaegr.
Licopoli, 1873 (comunissima)
Bartramia stricta Brid.
Pasquale, 1869 (S. Vito, Torre del Greco, M. Somma)
Brachythecium albicans (Hedw.) Bruch. et al.
Maiello, 1967 (piazzale a quota 1000)
Trattasi di specie a distribuzione subboreale la cui presenza sul territorio vesuviano
andrebbe ulteriormente indagata in quanto rappresenterebbe la prima segnalazione per la
regione Campania.
Brachythecium rutabulum (Hedw.) Bruch et al.
Pasquale, 1869 (sui suoli ombreggiati, Regi Parchi); Licopoli, 1873
Brachythecium velutinum (Hedw.) Bruch et al.
Pasquale, 1869 (rocce vulcaniche e tronchi, Regi Parchi)
Bryum argenteum Hedw.
Pasquale, 1869 (abbondante sul suolo nudo); Licopoli, 1873 (Monticelli, sulle scorie
e sulla sabbia); Maiello, 1967 (Valle del Gigante)
Bryum bicolor Dicks.
Pasquale, 1869; Licopoli, 1873 (Camaldoli della Torre, Tironi di S. Vito)
MUSCHI
DEL PARCO NAZIONALE DEL
VESUVIO
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MUSCHI
VESUVIO
45
MUSCHI
DEL PARCO NAZIONALE DEL
VESUVIO
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MUSCHI
VESUVIO
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MUSCHI
DEL PARCO NAZIONALE DEL
VESUVIO
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MUSCHI
VESUVIO
49
MUSCHI
DEL PARCO NAZIONALE DEL
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BIBLIOGRAFIA
VESUVIO
51
E-mail: masricci@unina.it
2 Dipartimento di Scienze Ambientali, Facolt di Scienze Ambientali, Seconda Universit di Napoli. Via Vivaldi, 43, I-81100 Caserta.
RIASSUNTO
SUMMARY
Q
Questo capitolo illustra i lineamenti essenziali della flora e della vegetazione del
Somma-Vesuvio. Informazioni sulla flora vesuviana si trovano gi nelle opere degli autori
dellantichit classica e testimonianze in proposito ci provengono anche dalle pitture e dai
resti di piante dissepolti negli edifici sotterrati dalleruzione del 79 d.C. ( Jashemski, 1979;
Ricciardi & Aprile, 1982). Dopo le notizie dovute ai prelinneani Imperato (1599) e Colonna (1616), informazioni pi esaurienti sulla flora vesuviana si trovano nellopera di Michele Tenore (1811-38; 1830) e soprattutto nei due dettagliati contributi pubblicati da Pasquale (1840, 1869) mentre Licopoli (1873) riferisce delle crittogame che crescono sulle lave
vesuviane.
Conoscenze aggiornate sul popolamento floristico del Somma-Vesuvio figurano in una
recente pubblicazione dovuta a Ricciardi et al., (1986). Questi autori hanno accertato la presenza di 610 entit mentre non sono state pi ritrovate 293 specie riportate in passata da
altri studiosi. Questo impoverimento della flora vesuviana riconducibile allaccentuarsi
dellantropizzazione verificatasi soprattutto negli ultimi decenni. Tra le piante del SommaVesuvio abbondano le specie annuali, seguite dalle piante erbacee perenni, dagli alberi e
dagli arbusti. Notevole lincidenza delle specie mediterranee e di quelle ad ampia distribuzione mentre solo 18 sono le specie endemiche pi o meno rare il cui basso numero va
forse ricondotto alla recente origine di questo complesso vulcanico.
Lassenza di manifestazioni dopo leruzione del 1944 ha determinato nellarea un rapido e massiccio intensificarsi dellantropizzazione anche a quote relativamente elevate.
Infatti, mentre in basso si verificato un notevole aumento dellurbanizzazione, alle quote
medio-alte sono stati effettuati rimboschimenti non sempre coerenti con lambiente vulcanico. Da tali fenomeni si sono salvati, sia pure in ridotta misura, solo i lapilli e le ceneri delle
pendici del Gran Cono Vesuviano, gran parte delle lave del 1944 e alcuni tratti delle colate del 1906 e del 1858 dove sono presenti interessanti aspetti di vegetazione primitiva.
In queste situazioni dominano i licheni, primi colonizzatori dellambiente, tra i quali
frequentissimo lo Stereocaulon vesuvianum Pers. mentre rarissime sono le fanerogame.
Sui substrati incoerenti del cono prevalgono piccoli arbusti, in particolare Rumex
scutatus L., Artemisia variabilis Ten., Scrophularia canina L. subsp. bicolor (Sm.) W. Greuter,
Silene vulgaris (Moench) Garcke subsp. angustifolia mentre lHelichrysum litoreum Guss. e il
Centranthus ruber (L.) DC., insieme al Cytisus scoparius (L.) Link., abbondano l dove
aumenta la pietrosit. Notevole un po dovunque la frequenza delle ginestre, in particolare Spartium junceum L. e Genista aetnensis (Biv.) DC., la quale, introdotta per imboschimento, si diffusa in maniera anomala divenendo infestante.
Le pendici meridionali del Vesuvio tra i 150 e i 1000 m s.l.m. sono state per ampi tratti rimboschite con pini (soprattutto Pinus pinea L. e Pinus halepensis Miller) e Cytisus
scoparius (L.) Link, oltre che con piantagioni di Robinia pseudacacia L. e Genista aetnensis
(Biv.) DC., non troppo coerenti con lambiente in quanto estranee alla vegetazione autoctona.
52
Le pendici settentrionali del Monte Somma sono occupate da vasti castagneti che sono
pi diffusi al disotto dei 900 m mentre, pi in alto, si afferma un bosco misto di latifoglie
decidue con Ostrya carpinifolia Scop., Fraxinus ornus L. e Acer obtusatum Waldst. et Kit.
subsp. neapolitanum (Ten.) Pax. Verso la vetta, da ricordare la presenza di alcuni nuclei
relitti di Betula pendula Roth., pianta non troppo frequente a queste latitudini. Sulle ripide
pareti meridionali del Monte Somma piuttosto comune Quercus ilex L. mentre, negli spazi
aperti a tutte le altitudini, si insediano cespuglieti di Cytisus scoparius (L.) Link e Spartium
junceum L.
Sui tratti pi bassi delle falde del Somma-Vesuvio fin da tempi remoti stata praticata lagricoltura intensiva, soprattutto vigneti, frutteti e orti. Queste coltivazioni sono andate incontro ad un progressivo abbandono, cedendo il passo ad una urbanizzazione caotica e
irrazionale che ha determinato un notevole incremento di forme di vegetazione a basso
grado di naturalit, tipiche dei coltivi abbandonati, delle zone ruderali e di tutti gli ambienti sottoposti ad un elevato grado di disturbo.
PAROLE
KEY
CHIAVE: Vesuvio,
WORDS: Vesuvius,
53
IIl paesaggio botanico del Somma-Vesuvio per effetto dellattivit vulcanica, ha subi-
PREMESSA
to, nel corso dei secoli, continue variazioni che hanno interessato sia il numero ed il tipo
delle piante che lo hanno popolato sia laspetto dei boschi, delle macchie e di tutti gli altri
tipi di vegetazione che, nel tempo, lo hanno rivestito. Cos, ad epoche nelle quali i boschi
di latifoglie erano ampiamente diffusi dalla base fino alle vette dellintero complesso, si
sono alternati periodi nei quali quasi tutta larea vesuviana si presentava con la fisionomia
di un desolato deserto per le coltri di sabbie vulcaniche e di lapilli e per i fiumi di pietra delle colate laviche che ricoprivano il vulcano dalle sue cime fino alla base.
Queste alterne vicende del popolamento vegetale vesuviano, hanno perfino fatto s
che durante i pi lunghi periodi di inattivit, che coincisero con i momenti in cui maggiore fu lo sviluppo della vegetazione boschiva, le genti giungessero addirittura a dimenticare la natura vulcanica di questo monte.
Ai fenomeni naturali, che hanno modificato pi volte e in modo molto incisivo il paesaggio sia nella morfologia che nella copertura vegetale, si sono poi sovrapposti, nel corso
dei secoli, gli interventi delluomo sotto forma soprattutto di pratiche agricole e di rimboschimenti. Queste attivit, insieme allurbanizzazione hanno, in tempi pi recenti,
variato notevolmente il paesaggio vesuviano.
LLe pi antiche informazioni su quella che fu in passato la flora vesuviana ci sono fornite dalle raffigurazioni di piante rappresentate nei dipinti, nei mosaici e nelle sculture
dissepolti nelle aree archeologiche poste ai piedi del vulcano, insieme ai resti degli insediamenti umani che vennero sotterrati dalla famosa eruzione del 79 d.C. Altra testimonianza del tutto particolare, legata allo stesso catastrofico evento e alla quale stato possibile attingere informazioni sulle piante di quel tempo, rappresentata dal gran numero
di resti di vegetali, per lo pi carbonizzati, che sono stati anchessi riportati alla luce insieme alle citt e alle ville distrutte. Lesame di questi reperti ha consentito ad alcuni Autori (Meyer, 1980; Ricciardi e Aprile, 1982) di fornire una serie di indicazioni sulla presenza di un certo numero di piante nellarea vesuviana nel I secolo d. C.
Le pi antiche notizie bibliografiche sulle piante del Vesuvio si possono trovare in non
pochi di quei documenti che ci hanno tramandata la storia degli eventi che, allombra di
questo vulcano, si sono susseguiti, a partire dagli albori della civilt greco-romana, attraverso il Medioevo e fino al secolo XVII. Gi nellopera di autori latini, quali Plinio e
Columella, figurano infatti riferimenti, anche se sporadici, alle piante vesuviane.
Citazioni floristiche meno vaghe per il Vesuvio, riguardanti peraltro sempre pochissime piante, risalgono ai botanici napoletani prelinneani Ferrante Imperato (l599) e Fabio
Colonna (1616). I primi ragguagli di una certa consistenza sulla flora del complesso
Somma-Vesuvio sono, invece, quelli che il fondatore della scuola floristica napoletana
Michele Tenore riporta nella sua monumentale Flora Napolitana (1811-38), nella Sylloge
(1831, 1833, 1835, 1842) e nel resoconto delle escursioni da lui effettuate nellanno 1825
nei dintorni di Napoli (Tenore, 1832). La vicinanza allAteneo napoletano ha fatto s che
numerosi botanici dellOttocento erborizzassero sul Vesuvio. Il solo Pasquale, per, pubblica nel 1840 e nel 1869 due contributi molto dettagliati sulla flora vesuviana il secondo
dei quali rappresenta in effetti un rifacimento del primo con molte dettagliate precisazioni e anche non poche rettifiche di errori.
Altre citazioni floristiche sono dovute a Licopoli (1873), che rivolge il suo interesse
solo alle Crittogame, mentre Baccarini (1881) si limita a riportare uno scarno elenco di
specie chiaramente ripreso dai lavori di Pasquale (1840, 1869) e che a questi praticamente nulla aggiunge. Ben poco di nuovo apportano alla conoscenza della flora del Vesuvio i
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55
Oggi si dispone di conoscenze aggiornate sulla flora del Somma-Vesuvio grazie a una
O
recente indagine condotta da Ricciardi et al. (1986) rivolta, allanalisi della flora autoctona. In tale opera vengono pertanto censite solo le piante sicuramente spontanee e quelle
ormai palesemente naturalizzate nellarea vesuviana. Pertanto non vengono prese in considerazione le numerose specie esotiche presenti nei parchi e nei giardini tanto frequenti
in tutta la zona. Per quel che attiene alle piante di interesse agrario, di esse vengono citate solo incidentalmente quelle che pi di frequente vengono coltivate nei campi e negli
orti vesuviani (Tabella 1). Considerando, oltre alle piante effettivamente ritrovate da questi autori, anche tutte le citazioni desumibili dalla letteratura floristica vesuviana, si arriva ad un totale di 906 entit. Di queste, oltre 100 vengono segnalate per la prima volta
per il Vesuvio mentre non sono state invece pi rinvenute nella zona poco meno di 300
entit riportate in passato da altri Autori. Si pu quindi ritenere che la flora accertata sul
Vesuvio sia costituita, al momento, da circa 610 entit.
Questo sensibile impoverimento della flora vesuviana, se la si paragona a quella di cui,
alla fine del secolo scorso, riferisce Pasquale (1869) senzaltro riconducibile allaccentuarsi dellantropizzazione che, sebbene fin da tempi molto remoti abbia interessato estesi tratti di questo territorio, proprio negli ultimi decenni ha toccato livelli mai raggiunti
in passato.
Le specie non pi ritrovate di recente e quasi certamente scomparse sono, non di rado,
piante legate ad ambienti particolari e quindi proprio a quelli che la mano delluomo ha
completamente cancellato dallarea vesuviana. Rientrano infatti tra di esse specie tipiche
dei pratelli umidi subcostieri come Ophioglossum lusitanicum L., Allium chamaemoly L.,
Juncus capitatus Weigel, Romulea sp. pl. Analoga considerazione vale per Medicago marina L., Crypsis aculeata (L.) Aiton, Crypsis schoenoides (L.) Lam., Echinophora spinosa L.,
ed Eryngium maritimum L., proprie degli arenili, mentre irreperibili si sono rivelate anche
alcune specie dei boschi e delle rupi come Mercurialis perennis L. e Sanicula europaea L.
ed alcune specie di Saxifraga indicate da Pasquale (1869) per il Monte Somma. Le nuove
acquisizioni, a loro volta, sono costituite per lo pi da entit banali mentre pochi sono gli
elementi di un certo interesse floristico o fitogeografico.
La maggior parte delle specie che compongono la flora del Somma-Vesuvio costituita da specie annuali (Terofite) che superano il 40% dellintera flora; numerose (28%)
sono anche le erbacee perenni (Emicriptofite) mentre piuttosto ridotta la percentuale
(14%) delle entit arbustive ed arboree (Fanerofite). In generale, il popolamento vegetale del vulcano anche caratterizzata da un elevato numero di specie proprie dellarea
mediterranea. Queste, infatti raggiungono, nel loro insieme, le 256 unit costituendo pi
del 42% dellintera flora. Tra di esse prevalgono, in numero di 137, quelle la cui diffusione interessa anche regioni alquanto interne (Eurimediterranee) contro le 108 appartenenti alla categoria di quelle pi strettamente legate alle zone pi calde e aride (Stenomediterranee) mentre appena 11 sono le Mediterraneo-Montane. Non trascurabile
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TABELLA 1
PIANTE
NOME SCIENTIFICO
NOME ITALIANO
Allium cepa L.
cipolla
Allium sativum L.
aglio
Brassica oleracea L.
cavolo
Brassica rapa L.
broccolo, rapa
Capsicum annuum L.
peperone
mandarino
limone
pompelmo
arancio
Corylus avellana L.
nocciolo dEuropa
Ficus carica L.
fico
finocchio
Juglans regia L.
noce
Lactuca sativa L.
lattuga
Lupinus albus L.
lupino
pomodoro
melo
Morus alba L.
gelso bianco
Morus nigra L.
Olea europaea L.
olivo
Phaseolus vulgaris L.
fagiolo - fagiolino
Pisum sativum L.
pisello
Prunus armeniaca L.
albicocco
Prunus avium L.
ciliegio
Prunus domestica L.
susino, prugno
mandorlo
pesco
Pyrus communis L.
pero
Raphanus sativus L.
ravanello
Solanum melongena L.
melanzana
Solanum tuberosum L.
patata
Vicia faba L.
fava
Vitis vinifera L.
vite
anche il numero delle piante il cui areale interessa, con maggiore o minore estensione, i
continenti europeo e asiatico e che sono 112. Poco rappresentati, infine, i contingenti
delle specie nordiche (Boreali) e dellEuropa occidentale (Atlantiche) che non raggiungono, nel loro insieme, il 10% dellintera flora, fatto questo comunque prevedibile in questo settore della penisola italiana. Altri gruppi piuttosto numerosi sono quelli delle specie diffuse in quasi tutte le parti del globo (Cosmopolite) e delle specie esotiche, sia col-
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TABELLA 2
SPECIE
DISTRIBUZIONE
Napoletano, Basilicata
Napoletano
tivate che avventizie, che ammontano rispettivamente a 135 e 58. Questo dato si spiega
per lelevata incidenza, nei paesi vesuviani, di zone a forte impatto antropico, in particolare aree agricole ed urbanizzate.
Poche sono su questo vulcano le piante endemiche e cio le specie diffuse su territori
di limitata estensione nei quali la loro presenza indice di una buona qualit dellambiente (Tabella 2). Lunica specie veramente rara rinvenuta sul Vesuvio la Silene giraldii
Guss. Al contrario, notevole la diffusione, in tutta larea vesuviana, di quella flora sinantropica, che tipica dei coltivi abbandonati, degli incolti, delle aree ruderali e dei bordi
delle strade. Le specie di questi ambienti, per lo pi erbacee annuali, sono diverse centinaia e questo elevato numero comporta limpossibilit di elencarle in questa sede. Informazioni pi dettagliate ed esaurienti in proposito potranno comunque essere assunte dalla
letteratura specializzata sullargomento ed in particolare dalla Flora del Somma-Vesuvio di
Ricciardi et al. (1986).
Negli ambienti meno disturbati, la flora composta da piante diverse a seconda del
tipo di substrato e del grado di evoluzione del suolo.
Sulla superficie delle scorie delle colate laviche pi recenti, frequentissimo lo Stereocaulon vesuvianum Pers., lichene caratteristico delle rocce vulcaniche, che ricopre con un
compatto feltro grigio e che, sebbene prenda il nome dal Vesuvio, ampiamente diffuso
nelle zone fredde e temperate di tutta la Terra. Molto meno frequenti altri licheni come
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59
Parmelia conspersa (Ehrh.) Ach. e Candelariella xanthostygma (Pers.) Lett. mentre del
tutto trascurabile la presenza di fanerogame.
Nelle zone prive di coperture arboree, dove spesso ancora affiorano le lave eruttate
negli ultimi due secoli, tra le spaccature delle rocce, nelle sacche di terreno, tra le fessure
delle lave a corda e sui massi porosi e frastagliati delle scorie superficiali, la flora piuttosto ricca. Molto frequenti sono lArtemisia variabilis Ten., il Centranthus ruber DC. e
lHelichrysum litoreum Guss., accompagnati da un ricco corteggio di graminacee, asteracee, leguminose e di specie erbacee annuali appartenenti ad altre famiglie e a fioritura per
lo pi primaverile.
Nella flora vesuviana un posto di rilievo occupato dalle ginestre che imprimono una
fisionomia del tutto particolare allambiente, soprattutto per le note di colore che esse
conferiscono alle pendici del vulcano nel corso della loro fioritura. Di queste leguminose
arbustive le pi diffuse sono la ginestra comune (Spartium junceum L.), la odorata ginestra celebrata da Leopardi, e la ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius (L.) Link) la cui
massima concentrazione si ha in corrispondenza del vasto declivio detto appunto Piano
delle Ginestre che si distende, sulle pendici sud-occidentali del Vesuvio, tra i 500 e i 600
m di quota.
Unaltra pianta che, soprattutto sui versanti meridionali, imprime al paesaggio botanico del Vesuvio la sua fisionomia tanto particolare certamente il pino domestico o pino
da pinoli (Pinus pinea L.). Da questa conifera infatti costituito quasi esclusivamente lo
strato arboreo delle estese pinete diffuse in maggioranza tra i 150 e i 1000 m di quota.
Questa essenza, intorno al 1850, stata introdotta in maniera massiccia sul Vesuvio,
dove era peraltro sporadicamente presente gi prima. Al riguardo anche Pasquale (1869)
sottolinea come, nel secolo scorso, essa sia stata diffusa dalluomo a scopo di coltivazione. Pi rari, ma anchessi ben rappresentati in questi boschi, sono il pino dAleppo (Pinus
halepensis Miller) e il pino marittimo (Pinus pinaster Aiton). Tutti questi pini riescono a
vegetare bene anche sullo strato di ceneri e lapilli che ricopre le colate laviche. da questa particolarit che trae sicuramente la sua origine il termine dialettale lave con il quale,
ancora oggi, vengono indicate appunto le pinete. Il sottobosco di queste formazioni, per
la povert del substrato e la lettiera di aghi di pino che si decompone lentamente e produce poco humus, estremamente povero con una presenza quasi esclusiva della ginestra
dei carbonai (Cytisus scoparius (L.) Link) e della ginestra comune (Spartium junceum L.).
In alcuni tratti del Colle Umberto, sorto tra il 1895 e il 1899, per il rimboschimento,
insieme al pino domestico (Pinus pinea L.), stato utilizzato anche il pino nero (Pinus
nigra Arnold). A queste due specie di pino, nelle zone pi umide, si aggiunge spesso lontano napoletano (Alnus cordata (Loisel.) Loisel.).
Altri sono i tipi di piante presenti nelle boscaglie che ricoprono le pendici settentrionali del Monte Somma dove il microclima pi umido e fresco e il substrato pi evoluto e fertile. Qui lalbero pi frequente il castagno (Castanea sativa Miller), che abbonda soprattutto nella fascia meno elevata. Mano a mano che la quota aumenta, diventano
invece pi frequenti la roverella, (Quercus pubescens Willd.), il carpino nero (Ostrya carpinifolia Scop.) e lorniello (Fraxinus ornus L.). Nel sottobosco di queste formazioni si
intrecciano Coronilla emerus L., Cytisus villosus Pourret, Crataegus monogyna Jacq. e numerose altre specie arbustive e erbacee. A queste piante ed a quelle arboree in particolare,
mescolata, piuttosto abbondante, la Robinia pseudacacia L. proveniente da zone rimboschite alla base del Gran Cono. Sempre nel sottobosco e anche nelle radure, crescono
abbondanti ledera (Hedera helix L.), Festuca drymeja Mert. et Koch, insieme a individui
pi rari di Orchis maculata L. e Lilium bulbiferum L. subsp. croceum (Chaix) Baker dai
grandi fiori arancione.
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In queste zone possibile osservare alcuni degli aspetti botanici meno noti che il
Vesuvio offre. Si tratta di un certo numero di piante del tutto assenti altrove sul vulcano
quali il Sorbus graeca (Spach) Kotschy, la Cephalanthera rubra (L.) L. C. Rich. e soprattutto la betulla Betula pendula Roth., specie assai sporadica se non addirittura rara nel
meridione dItalia che, sul Vesuvio, testimonianza relitta dei boschi mesofili che ricoprirono le pendici del vulcano in un periodo in cui il clima era pi umido e fresco di quello attuale.
A partire dalla base del Gran Cono Vesuviano, nuclei pi o meno numerosi di robinie (Robinia pseudacacia L.) crescono misti a Cytisus scoparius (L.) Link e Genista aetnensis (Biv.) DC. alle quali si accompagna un ridotto corteggio di specie, in una flora che si
impoverisce sempre pi collaumentare dellaltitudine.
Un cenno particolare merita la presenza sul Vesuvio della Genista aetnensis DC. e del
Senecio aethnensis Jan ex DC., entrambi specie endemiche della Sicilia. Di queste la prima
stata volutamente introdotta sul Vesuvio intorno al 1906 (Agostini, 1959) per rimboschimento mentre, insieme ai suoi semi, sempre secondo Agostini (l.c.), sarebbero pervenuti sul Vesuvio anche quelli del Senecio. La ginestra dellEtna, tra laltro, ha rivelato particolari capacit di adattamento; questo grosso arbusto si infatti diffuso su aree sempre
pi vaste fino a divenire quasi infestante senza che si sia raggiunto lo scopo di ottenere
un efficace rimboschimento.
Dai 1000 metri di quota, lungo le pendici del Gran Cono che culminano con il cratere del 1944, il numero delle specie diventa sempre pi esiguo. Sul terreno molto acclive crescono infatti quasi esclusivamente Rumex scutatus L. (anchesso introdotto accidentalmente dalla Sicilia insieme alla ginestra dellEtna), Silene vulgaris (Moench) Garcke
subsp. angustifolia Hayek, Artemisia variabilis Ten., Rumex angiocarpus Murb. e Scrophularia canina L. subsp. bicolor (Sm.) W. Greuter. Queste piante sono poi quasi le sole che
popolano anche le pareti a picco dellinterno del cratere del 1944.
SSe del paesaggio botanico del Vesuvio si analizzano le caratteristiche della vegetazione, balza subito agli occhi la considerevole incidenza di vaste aree agricole e la notevole
diffusione di consorzi, in gran parte boschivi, poco o nulla naturali in quanto frutto di
unazione pi o meno incisiva della mano delluomo. Le aree caratterizzate da aspetti
vegetazionali a elevato grado di naturalit si rinvengono quasi esclusivamente alle quote
pi elevate, sulle piroclastiti e sulle lave pi recenti ed anche sui versanti interni del
Somma.
Un primo esempio di vegetazione naturale quello rappresentato dai consorzi pionieri costituiti quasi unicamente da Licheni tra i quali, come gi detto, prevale nettamente lo Stereocaulon vesuvianum Pers. Da queste formazioni primitive sono ricoperte le
lave pi recenti in particolare quelle del l944. Uno degli aspetti pi rappresentativi di tali
popolamenti si ritrova sulla colata che, dopo aver attraversato tutta la Valle dellInferno,
scendendo a valle raggiunse labitato di S. Sebastiano al Vesuvio.
I Licheni, costituiti dalla simbiosi di unalga con un fungo, innescando le prime fasi
di degradazione della roccia, avviano, sui grossi blocchi porosi delle lave, la formazione di
un suolo adatto a piante pi esigenti e a vegetazioni pi evolute.
Altri aspetti di vegetazione, anchessi pionieri, ma di piante vascolari, sono stati studiati da Mazzoleni & Ricciardi (1993). Essi interessano le coltri di materiali piroclastici
incoerenti, cio sabbie e lapilli, presenti sulle pendici del Gran Cono Vesuviano e in poche
altre aree ai piedi di esso. Rispetto alle lave colonizzate dai Licheni, si tratta di formazioni pi evolute nelle quali il dinamismo molto attivo e diversificato come attestano le dif-
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ferenze nella composizione floristica e nella struttura di queste formazioni a seconda della
granulometria e del grado di consolidamento del substrato. Nelle zone a maggiore pendenza e dove i detriti di medie dimensioni (da 0.5 a 3 cm) provocano un continuo movimento franoso in superficie, presente un consorzio pioniero rado che ricopre il terreno
in maniera irregolare e molto discontinua con dominanza di Rumex scutatus L. Tale popolamento sostituito, dove il substrato relativamente pi stabile e maggiore la presenza di sabbia, da formazioni con prevalenza di Artemisia variabilis Ten. e Scrophularia canina L. subsp. bicolor (Sm.) W. Greuter. Dove invece sono presenti rocce affioranti ed il
suolo meno profondo, ma a tessitura fine, aumenta la dominanza di Rumex angiocarpus
Murb. e Silene vulgaris (Moench) Garcke subsp. angustifolia Hayek.
Di queste piante va detto che si tratta di cespugli di taglia assai ridotta capaci di
sopravvivere in questo ambiente ostile anche grazie ad un apparato radicale specializzato
che ne permette ladattamento sia allaccentuata pendenza, sia allestrema permeabilit
del suolo che determinano un molto rapido allontanamento delle acque piovane dagli
orizzonti superficiali del suolo.
Nel tempo, queste formazioni pioniere tendono a stabilizzare il substrato e vengono a
loro volta sostituite da arbusti di maggiori dimensioni spesso provenienti da cespuglieti
presenti a quote meno elevate. Ad esempio, alla base dei versanti del Gran Cono Vesuviano volti a occidente, dove la pendenza minore, su pendici ancora discretamente pietrose e franose, si afferma uno stadio di vegetazione a Cytisus scoparius (L.) Link.
Un altro tipo di cespuglieti a leguminose arbustive caratteristico delle effusioni laviche meno recenti (1929-1906) ma ancora in buona parte affioranti. Si tratta di uno stadio leggermente pi evoluto dove una maggiore disponibilit di substrato determina una
composizione floristica pi ricca. In corrispondenza delle rocce laviche pi superficiali,
diminuiscono le ginestre e diventano pi abbondanti Helichrysum litoreum Guss., Centranthus ruber (L.) DC., Artemisia variabilis Ten. e, nelle radure sabbiose pi pianeggianti, si affermano numerose specie erbacee che fioriscono precocemente tra il tardo inverno e linizio della primavera.
Un tipo di vegetazione relativamente pi evoluto si rinviene sulle lave eruttate tra la
prima met dellOttocento e il 1906, molte delle quali fiancheggiano le due strade carrozzabili che, partendo da Ercolano, Torre del Greco e Boscotrecase, portano verso il cratere. In tali ambienti, dove maggiore il grado di disgregazione delle rocce laviche e quindi il suolo pi favorevole alla vita delle piante, aumenta la copertura da parte delle fanerogame, soprattutto piccoli cespugli e piante erbacee perenni.
Passando alla vegetazione boschiva si gi detto, che molte sono oggi sul SommaVesuvio le formazioni di origine non naturale. Tra queste un posto preminente occupato dai rimboschimenti a Conifere e dalle pinete a Pinus pinea L., dei versanti meridionali dove venivano tradizionalmente praticate la raccolta dei coni per lutilizzazione dei
pinoli, i tagli di ripulitura per fare fascine nonch, sia pure limitatamente alle pinete di
propriet privata, i tagli colturali di sfollo. Queste pratiche hanno contribuito ad abbassare drasticamente in questi boschi il gi ridottissimo grado di naturalit dovuto all'impianto artificiale. Il recente abbandono di tali pratiche di sfruttamento ha fatto s che,
nelle stazioni meno disturbate, pi fresche ed a substrato pi evoluto e profondo, iniziasse a subentrare, sempre pi abbondante, il leccio (Quercus ilex L.) che, in alcune punti,
gi riuscito a sostituire in buona parte i pini. Questi boschi tendono cos ad assumere una
fisionomia ed una struttura pi coerente allambiente naturale come sta accadendo, ad
esempio, alle spalle dellOsservatorio Vesuviano e in alcuni tratti lungo lo stradello demaniale Alto Vesuvio.
Un altro tipo di ricoprimento vegetale, ancor pi manifestamente prodotto dalla
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mano delluomo, rappresentato dagli estesi rimboschimenti a robinia (Robinia pseudacacia L.), e ginestre. Si tratta di complessi relativamente stabili ma di ridotto valore
ambientale in quanto sembra difficile una loro ulteriore evoluzione verso tipi di vegetazione pi naturali. Esempi di questo tipo sono localizzati su aree piuttosto vaste tra il
bivio per lex Seggiovia e lattacco del sentiero pedonale per il cratere.
Infine, tra i boschi meglio strutturati e floristicamente pi ricchi, vanno citati quelli
dei versanti del Monte Somma volti a settentrione. Su queste pendici e nei profondi valloni che le solcano, si ha una maggiore diffusione di formazioni boschive dalto fusto rappresentate, alle quote meno elevate, da boschi di castagno (Castanea sativa Miller) quasi
puri. Anche questi ultimi, come le pinete dei versanti meridionali, possono essere assimilati a delle vere e proprie coltivazioni, essendo stato questo albero favorito dalluomo per
la sua utilit. Solo ad altitudini maggiori, nei boschi e nelle boscaglie del M. Somma, sono
meglio ravvisabili i lineamenti di alcuni popolamenti vegetali naturali. A partire dai 400
metri di quota, infatti, lo strato arboreo di queste formazioni, si arricchisce di un discreto contingente di elementi tipici dei boschi di caducifoglie del nostro Appennino, quali
la roverella (Quercus pubescens Willd.), lacero napoletano (Acer obtusatum Waldst. et Kit.
ex Willd. subsp. neapolitanum (Ten.) Pax), lorniello (Fraxinus ornus L.) ed il carpino nero
(Ostrya carpinifolia Scop.).
Un ultimo aspetto da ricordare quello dei nuclei di leccio (Quercus ilex L.) che si
insediano sulle pareti verticali del M. Somma esposte a meridione in corrispondenza dellAtrio del Cavallo.
IL PAESAGGIO AGRARIO
FFin da tempi assai remoti, sui tratti pi bassi delle falde del Vesuvio, stata diffusamente praticata quasi ogni forma di agricoltura.
Le testimonianze di questo antico sfruttamento del territorio sono del tutto particolari in quanto sono rappresentate da una serie di elementi a dir poco esclusivi. Questi sono
rappresentati in primo luogo delle citazioni degli autori latini che trattarono del lavoro
dei campi. Da ricordare il riferimento di Columella nelle Rerum rusticarum (12.10.1) a
una variet di cipolla detta Pompeiana mentre di una variet di uva, chiamata anchessa
Pompeiana parla Plinio nella Naturalis Historia (14.38). Anche le pitture, i mosaici e le
sculture di Pompei, Ercolano, Stabia e Oplonti ci mostrano aspetti del paesaggio agricolo vesuviano e i frutti che esso produceva. Un Vesuvio ricoperto alla base di vigneti raffigurato in un affresco proveniente dalla Casa del Centenario a Pompei e oggi nel Museo
Nazionale di Napoli. Innumerevoli sono poi i dipinti di cesti e di vasi di frutta e le decorazioni a festoni di spighe di grano e grappoli duva tornati alla luce insieme agli edifici
sepolti dalleruzione del 79 d.C.
Della realt agricola vesuviana di quel tempo sono attestati ancor pi tangibile gli
impianti degli orti e dei frutteti che ci sono stati restituiti dagli scavi archeologici
( Jashemski, 1979) ed i resti carbonizzati di 15 piante di interesse agrario identificate da
Mayer (1980).
Di certo i coltivi conferivano al territorio vesuviano una fisionomia molto particolare;
la grande fertilit del suolo vulcanico e la mitezza del clima nel periodo invernale hanno
sempre favorito tipi di colture pregiate, in particolare alberi da frutta, ortaggi e fiori. Tra
i primi sempre stata la vite (Vitis vinifera L.) ad occupare il posto pi importante, seguita dallalbicocco (Prunus armeniaca L.) e poi, limitatamente ai versanti a settentrione, dal
ciliegio (Prunus avium L.), dal nocciolo (Corylus avellana L.) e dagli agrumi che sono praticamente diffusi dovunque. Pi numerose le colture erbacee che si succedevano nel corso
delle stagioni, compresa quella invernale, quando, in zone pure assai vicine, i rigori dei
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EPOCA DI RACCOLTA
piselli
dicembre, marzo-aprile
finocchi
febbraio-marzo
fave
marzo-aprile
fagiolini
aprile e ottobre
pomodorini
giugno-luglio
broccoli
da novembre ad aprile
cavoli
da novembre ad aprile
Negli ultimi decenni lo spazio riservato alle coltivazioni si andato sempre pi riducendo sulle pendici del vulcano; a questo fenomeno ha contribuito, accanto al continuo
espandersi delledilizia, il sempre crescente abbandono della pratica agricola. Solo la floricoltura, in particolare la coltivazione del garofano, si sottrae, sia pure in parte, a questa
sorte per lelevato reddito che assicura restando pertanto quasi lunica forma di agricoltura ancora praticata. Le serre, infatti, si estendono su superfici non trascurabili non solo
nelle zone ancora a vocazione agricola ma anche allinterno di aree ormai completamente urbanizzate.
chiaro che la flora e la vegetazione del Somma-Vesuvio sono la risultante sia della
modesta elevazione raggiunta da questo complesso (m 1281) che dei periodici rimaneggiamenti dovuti allattivit eruttiva. Un ruolo non indifferente ha inoltre avuto la notevole degradazione ambientale, di origine essenzialmente antropica, che si verificata negli
ultimi 150 anni e che ha interessato in maggior misura i versanti meridionali ed occidentali soprattutto dalla costa fino a circa 200 m di quota. In questa fascia, infatti, a seconda
della esposizione e della pendenza e con digitazioni verso lalto irregolarmente articolate,
si estende unampia zona allinterno della quale lagricoltura cede sempre pi il posto a
centri urbanizzati che sarebbe meglio definire caotici agglomerati di edifici, molti dei
quali sorti abusivamente.
LLe particolarit del popolamento vegetale del Somma-Vesuvio, cos come pi in alto
illustrate, evidenziano come, nelle scelte gestionali, bisogner modulare gli interventi a
seconda delle diverse realt ambientali. Per i boschi di latifoglie del Monte Somma, ad
esempio, i criteri silvicolturali da seguire dovranno tenere conto della conversione da
ceduo in alto fusto di queste formazioni.
Nel caso delle pinete a Pinus halepensis Miller, Pinus pinaster Aiton e Pinus nigra
Arnold non si dovr interferire con la naturale successione verso tipi di vegetazione a
latifoglie a leccio dominante successione che gi in atto in alcune aree meno disturbate.
GESTIONE E TUTELA
64
Nel caso del pino domestico, si potr invece anche valutare lopportunit di consentire ancora, sia pure in maniera controllata, la tradizionale raccolta dei pinoli.
Tenuto conto del valore paesaggistico unico che, sul Somma-Vesuvio, rivestono i
popolamenti pionieri delle lave e dei materiali incoerenti, si ritiene che essi vadano tutelati tenendo conto della loro naturalit e dinamicit. In questo senso, ad esempio, gli
interventi di riforestazione sulla colata lavica del 1944 sono da considerarsi non solo
incompatibili con la natura di questo tipo di vegetazione ma anche in contrasto con laspetto proprio di tale ambiente primitivo. In tali aree sarebbe pertanto opportuno intervenire rimuovendo le giovani piante impropriamente messe a dimora nei recenti rimboschimenti.
Tenuto conto delle caratteristiche del popolamento vegetale vesuviano, lEnte Parco
Nazionale del Vesuvio, nellattuazione delle finalit per le quali stato istituito, tra cui
rientra la salvaguardia delle formazioni vegetali, potr conseguire questo suo scopo articolando gli interventi di gestione in modo da tutelare e favorire i naturali processi evolutivi della vegetazione del Somma-Vesuvio.
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BIBLIOGRAFIA
67
RIASSUNTO
SUMMARY
IIn questo lavoro vengono analizzate le principali caratteristiche dei popolamenti forestali del Somma-Vesuvio. Lattenzione viene rivolta soprattutto alle formazioni la cui origine dovuta agli interventi di imboschimento effettuati a partire dal 1906. Vengono inoltre
descritte tutte le opere di sistemazione idraulico-forestali effettuate dall800 ad oggi e i
principali aspetti delle cenosi arbustive ed arboree attualmente esistenti nelle aree in cui
sono state eseguite operazioni di imboschimento e rimboschimento. Si accenna infine
anche alle tecniche di impianto seguite e alle principali specie forestali presenti sul territorio del Parco.
T
This study analyses the main characteristics of the
forest populations on Somma-Vesuvius. We focus on
the plant communities which originate from afforestation conducted since 1906. All the hydraulic works carried out since the 19th century are also described, as are
the main aspects of currently existing shrub and tree
communities in areas where afforestation and reafforestation have taken place. Finally, the planting techniques used and the main forest species found within the
parks boundaries are described.
PAROLE
KEY
CHIAVE: Vesuvio;
WORDS: Vesuvius,
68
INTRODUZIONE
NICOLA DI FUSCO
LLa flora del Somma-Vesuvio, stata censita alcuni anni fa da Ricciardi (et al., 1986);
alcuni aspetti della sua vegetazione pioniera sono stato descritti da Agostini (1952) e
Mazzoleni & Ricciardi (1993). Cos come accade su tutti i vulcani attivi, i popolamenti
vegetali sono condizionati soprattutto dalle caratteristiche del substrato che, in questi
ambienti, costituito da colate laviche di varia et, non di rado recenti, e da materiali
piroclastici quali lapilli, ceneri e pozzolane (De Lorenzo, 1937). Da tale matrice si sono
originati suoli sciolti e incoerenti, ad elevata permeabilit, spesso quasi del tutto privi di
humus ma ricchi di silice e soprattutto di potassio, elemento questultimo che conferisce
al terreno quella fertilit di cui le popolazioni vesuviane si sono sempre giovate per le coltivazioni agrarie soprattutto nella fascia meno elevata (Di Fusco & Di Caterina, 1998).
Lo spessore dei suoli lungo le pendici vesuviane, variabile in quanto spesso affiorano colate laviche. Tale caratteristica, insieme alla diversa esposizione dei versanti del sistema Somma-Vesuvio non solo ha determinato la distribuzione della vegetazione spontanea ma ha condizionato anche gli interventi di gestione del patrimonio boschivo fin dagli
inizi del 1900, momento in cui, essendone stata finalmente compresa limportanza, sono
state effettuate sulle pendici del vulcano le prime importanti opere di sistemazione idraulico-forestale. Molte delle specie che compongono la vegetazione forestale del SommaVesuvio sono state introdotte sul vulcano dalluomo in tempi pi o meno recenti. questo il caso delle due entit pi frequenti e precisamente del pino domestico e del castagno che, essendo di introduzione pi antica, formano oggi dei boschi discretamente strutturati. Questa buona conformazione fa s che molti attribuiscano loro una importanza
ambientale fin troppo elevata rispetto al valore che essi effettivamente rivestono. Nella
loro valutazione bisogna infatti tenere conto della loro origine antropica e delle alterazioni causate dallo sfruttamento a cui sono stati sempre sottoposti. Non mancano peraltro
sul Vesuvio esempi di vegetazione arborea di maggior rilevanza in quanto a grado di naturalit. Essi purtroppo non sono molto diffusi e si possono identificare con alcuni frammenti di boschi misti di latifoglie decidue localizzati in corrispondenza della fascia pi
elevata dei versanti settentrionali del Monte Somma.
Fatto sicuramente positivo sotto il profilo della qualit della vegetazione arborea del
Vesuvio il diffondersi del leccio. Questo fenomeno si sta verificando soprattutto sui versanti meridionali intorno ai 500-600 m di quota ed particolarmente evidente nei pressi dellOsservatorio Vesuviano e lungo la pista di servizio forestale.
A condizionare laspetto delle formazioni boschive vesuviane, oltre allazione delluomo, hanno contribuito gli effetti delle diverse eruzioni. Dopo tali eventi si avuta, di
norma, una lenta ricostituzione del manto boschivo che, fino ai primi anni di questo secolo, si rigenerava in maniera quasi del tutto naturale mentre, a partire da tale periodo,
stato maggiormente influenzato, nel suo riformarsi, da specifici interventi di riforestazione.
Per quel che riguarda gli eventi che hanno influito sul paesaggio e sullambiente vesuviano in questultimo secolo non si pu fare a meno di sottolineare il ruolo giocato dalluomo. Questi, oltre ad estendere sempre pi lesercizio dellattivit agricola giungendo
fino agli estremi limiti della convenienza economica, ha ulteriormente stravolto estesi
tratti di territorio con costruzioni e strade inutili e a rischio. Se si pensa che sulla zona
vesuviana gravitano attualmente non meno di seicentomila abitanti con insediamenti che
giungono fino a quote di 300-500 m, appare evidente, oltre al grave pericolo che
incombe sulla popolazione vesuviana, anche quale possa essere lentit del degrado ambientale.
69
C
Con laumento della popolazione nellarea vesuviana ci si resi finalmente conto, allinizio del ventesimo secolo, della necessit di porre in sicurezza le pendici pi acclivi e
quindi pi pericolose mediante interventi di sistemazione idraulico-forestale. I primi
interventi a carattere sistematorio vennero realizzati nella prima met dell800 dai comuni interessati senza alcun coordinamento tecnico; i lavori erano finalizzati essenzialmente alla regimentazione delle acque. Tali acque in primavera e ancor pi autunno, periodi
di massima piovosit, trascinavano a valle nei centri abitati materiali incoerenti costituiti
da detriti, lapilli e terreno. Le acque hanno spesso provocato allagamenti dei centri abitati e procurato notevoli danni alle colture agricole.
Gi il governo borbonico dimostr lintenzione di voler provvedere alla bonifica montana dei Monti Somma e Vesuvio con lapposita legge del 11 maggio 1855. I lavori, sebbene progettati, non furono per realizzati a causa dei travagli politici seguiti allannessione al Regno dItalia.
Successivamente, con le leggi 25 giugno 1888, 18 giugno 1899 e 22 marzo 1900,
anche il governo del Regno dItalia pianific la sistemazione idraulica dei valloni del
Somma e del Vesuvio. Questi per hanno continuato a provocare periodici allagamenti ai
sottostanti paesi circumvesuviani che si sono ripetuti con notevole frequenza, in particolare in questultimo trentennio. Le alluvioni hanno inoltre provocato interramenti ed
occlusioni di sentieri e strade anche di importante comunicazione. Allinizio del ventesimo secolo, a seguito dei suddetti provvedimenti legislativi, vennero realizzate traverse di
trattenuta di materiali incoerenti (lapilli e scorie laviche), vasche di decantazione, di
assorbimento, di colmata e piccoli argini in muratura a secco o in terra lungo le aste torrentizie. In tale fase gli imboschimenti ebbero ovviamente poco spazio.
A seguito delleruzione del 1906, i cui primi fenomeni precursori si ebbero la mattina del 4 aprile, con una spaccatura a sud del monte, mentre nelle ore pomeridiane dello stesso
giorno incominci il franamento del cono e dal cratere si inizi il lancio, a notevole distanza, dei
lapilli... (Lacava, 1914), le pendici dei Monti Somma e Vesuvio furono oggetto di
interventi idraulico-forestali sulla base della legge 19 luglio 1906 n. 390. In conseguenza della stessa violenta eruzione furono emanate pure le leggi 30 giugno 1909 n.
407, 13 aprile 1911 n. 311 e 26 giugno 1913 n. 764, provvedimenti legislativi di carattere eccezionale che stanziarono cospicue risorse statali a favore del territorio vesuviano danneggiato.
I fondi erogati furono destinati alla sistemazione idraulico-forestale mediante la
costruzione di sentieri a girapoggio, di graticciate vive o morte, di fascinate, di briglie in
legname (tronchi) ed in muratura a secco e soprattutto opere di imboschimento. La maggior parte dei materiali impiegati proveniva dalla stessa zona.
A causa della prima guerra mondiale, gli interventi vennero sospesi nel 1914 e, circa
un decennio dopo, lintero perimetro dei monti Somma e Vesuvio venne classificato comprensorio di bonifica di prima categoria ai sensi e per effetto della prima vera legge forestale, definita anche legge Serpieri (R.D. n. 3267 del 30 dicembre 1923) e successivamente per la legge n. 215 del 13 febbraio 1933. In forza di tale ultimo provvedimento i
lavori di natura esclusivamente estensiva proseguirono con ottimi risultati fino al 1943,
interessando spesso luoghi impervi e di difficile accesso.
I lavori di bonifica montana furono sospesi nuovamente a causa della seconda guerra
mondiale.
SISTEMAZIONI IDRAULICO-FORESTALI
70
NICOLA DI FUSCO
71
Entrando dal tratto terminale di via Cifelli, a confine tra i comuni di Trecase ad
ovest e Boscotrecase ad est (alcuni decenni addietro i due territori facevano parte dello
stesso comune di Boscotrecase), si varca lingresso (chiamato dai locali la Catena)
della Riserva Forestale di Protezione. Risalendo lungo la strada asfaltata costruita negli
anni trenta e denominata allepoca autostrada del Vesuvio, si giunge alla localit Tirone dove, ad una formazione pura di pino domestico, ne segue una pi estesa di pino
domestico e pino marittimo consociati, impiantati nel biennio 1912-1913 che si protende sino a quota 650.
Da detta quota fino a 800 m ha inizio la localit Cognoletto caratterizzata da una
consociazione mista di pino domestico, pino marittimo, robinia, ginestra comune e ginestra dellEtna. Limpianto di queste ultime tre essenze stato effettuato essenzialmente al
fine di consolidare i costoni piroclastici pi acclivi e instabili.
La ginestra dellEtna, specie arbustiva molto rustica e poco esigente, riuscita a
rivestire quasi interamente il versante raggiungendo quota 850 con trasgressioni fino a
quota 1000.
Da questultima quota fino al cratere la pendice pressoch nuda ma, in questi ultimi anni, si sta osservando una colonizzazione a chiazze delle zone pi acclivi. Tra gli anni
Settanta ed Ottanta sono state effettuate alcune semine di ginestra dellEtna sul Vesuvio.
Larea ricadente in comune di Ottaviano che confina a Sud-Est con la localit
Cognoletto di Boscotrecase denominata Cognole. Tale zona, fino a quota 800,
ricoperta da un folto robinieto e ginestreto misto, impiantato nel 1964. La parte superiore, sino al cratere, stata oggetto di semine di ginestre, attecchite sino a quota 1000.
La fascia centro-meridionale della Riserva ubicata in comune di Torre del Greco e
comprende le localit Petraro, Fossobianco, Casermette e Piano delle Ginestre. In questa
zona predominano formazioni miste di leccio, pino domestico, pino marittimo e robinia,
con sottobosco arbustivo costituito da ginestra comune e ginestra dei carbonai. Sono
inoltre presenti, sia pure in maniera discontinua, lontano napoletano e la roverella, oltre
a pochissimi esemplari di castagno di piccole dimensioni e scarsamente sviluppati a causa
della scarsa profondit e dellaridit dei suoli.
Da quota 650 a 900 predomina unampia fascia di robinia consociata a ginestra: in
questarea sono stati impiantati nel decennio 1965-1975 pini dAleppo e pini neri alle
quote pi alte.
DI
72
NICOLA DI FUSCO
La fascia pi elevata della Riserva, che si spinge fino allorlo craterico, denominata
Alto-Vesuvio. Il suolo qui costituito prevalentemente da piroclastiti incoerenti ed
ricoperto in modo discontinuo da un ridotto numero di essenze spontanee oltre alle quali
di tanto in tanto si notano colonie sparse di ginestra dellEtna e di altre ginestre sino a
quota 1000.
La zona ad ovest, ricadente nel comune di Ercolano, comprende le localit Piano delle
Ginestre, Eremo, Casa Matrone, Vetrana, Colle Umberto, Colle Margherita, Atrio del
Cavallo, Valle del Gigante ed Alto-Vesuvio.
Una pineta a pino domestico e pino marittimo, spesso consociati, a volte coetanei,
presente nelle localit Casa Matrone e Vetrana. Questo impianto risale al decennio 19401950: va tenuto presente che i lavori di imboschimento vennero effettuati attenendosi ai
criteri vigenti a quel tempo, che prevedevano limpianto di specie arboree anche in terreni molto primitivi come i letti di lava. Ci comport innumerevoli difficolt legate proprio allambiente pedologico particolarmente inospitale, come lassenza di terreno e la
notevole aridit, tanto che spesso fu necessario trasportare in spalla con apposite ceste il
terriccio sul posto dellimpianto. Le giovani piantine di pino e di leccio indigene impiegate provenivano da piccoli vivai provvisori realizzati sul posto in localit Casermette e
Casa Bianca.
Sul Colle Umberto e sul Colle Margherita sono presenti formazioni di pino domestico nella zona occidentale e di pino nero nella parte centrale in prossimit del confine
del comune di Torre del Greco.
Nei pressi dellAtrio del Cavallo, ai margini della colata lavica del 1944 e della Valle
dellInferno, sono diffusi ginestreti e robinieti frammisti a pini mediterranei. In dette
localit si rinvengono isolati esemplari di betulla che resistono alle proibitive condizioni
ambientali che caratterizzano tutta larea. Questo settore dellAlto-Vesuvio ricoperto da
ginestra dellEtna fino a quota 1020 circa; anche la residuale zona superiore presenta isolate formazioni di ginestra dellEtna nella fascia pi meridionale posta sul versante nord.
La zona pressoch priva di vegetazione della Riserva in prossimit dellorlo craterico,
tra quota 1020 e 1281, colonizzata da formazioni di piante erbacee che ricoprono il terreno in maniera discontinua a causa del tipo particolare di suolo, delle condizioni microclimatiche e dellacclivit delle pendici. Tale area occupa una superficie di circa 80 ettari.
Il versante orientale, ricadente nei comuni di Boscotrecase ed Ottaviano, ricoperto
essenzialmente da conifere; una limitata superficie ricoperta da una pineta adulta a pino
domestico e pino marittimo, ricadente in comune di Terzigno, stata acquistata dal
Corpo Forestale dello Stato alcuni decenni addietro.
L
Lopera del Corpo Forestale dello Stato nellarea vesuviana dal 1912, epoca di acquisizione della Foresta demaniale, ad oggi stata indubbiamente condizionata dalla necessit di adottare particolari tecniche colturali a causa del tipo di ambiente in cui si operava.
Oltre alle difficolt dovute alla semplice apertura, in un suolo estremamente incoerente, delle buche per la messa a dimora delle piantine di 1 o 2 anni provenienti da vivai
del posto, non riuscita sempre agevole la stessa semina dei pinoli dei pini con il sistema
a spaglio, cio semina manuale, su piccole aree di terreno disponibile previa lavorazione andante, o in piccoli solchi su strisce. I terreni sciolti e incoerenti hanno poi rappresentato un ostacolo nei confronti della piantagione con cavicchio dei semi di robinia e
delle ginestre. Solo dagli anni 50 in poi gli interventi si sono ispirati a nuove tecniche silvicolturali che descriviamo brevemente:
73
semine di ginestra comune e ginestra dei carbonai alle quote meno elevate e di ginestra dellEtna a quelle pi alte e inospitali, allo scopo di favorire linsediamento e la successiva colonizzazione di specie erbacee ed arbustive;
messa a dimora di robinia, specie tipicamente colonizzatrice, ma soprattutto consolidatrice delle pendici;
semine o messa a dimora di semenzali di diverse specie di pini;
semine di ghiande di leccio tra i pini, per tentare di favorire la sostituzione dei boschi
di conifere naturalizzate con formazioni a latifoglie autoctone in armonia con il contesto
ambientale.
SPECIE ARBOREE PI RAPPRESENTATIVE
DEL PARCO NAZIONALE DEL VESUVIO
Questa specie ha trovato ottime condizioni di diffusione e sviluppo sul versante nord
del Monte Somma e condizioni discrete nelle vallette fresche con terreni profondi situate sul versante sud-est del Vesuvio.
Sin dagli anni 40 il fungo Cyphonectria parasitica, agente della fitopatia nota con il nome
di cancro della corteccia del castagno ha distrutto molti castagneti dellarea sommana.
Per fortuna il diffondersi della forma ipovirulenta del patogeno e le frequenti ceduazioni
hanno permesso di superare la fase acuta di questa fitopatia. Oggi infatti sembra che i
cedui castanili e i castagneti da frutto vesuviani non soffrano quasi pi nessun danno a
causa del cancro della corteccia. Qualche tentativo di introduzione del castagno nella
Riserva Tirone-Alto Vesuvio non ha sortito buoni risultati, in quanto, degli individui
messi a dimora, sono sopravvissuti sporadici esemplari dal portamento cespuglioso.
castagno
Castanea sativa Miller
I tentativi effettuati dopo il 1910 di utilizzare questa specie per rimboschimento sul
Vesuvio non hanno sortito risultati sempre positivi. Lontano napoletano stato introdotto in modo affrettato nelle piccole aree vuote tra le conifere gi adulte e non risulta
essere stato effettuato alcun impianto monofitico.
La vegetazione arborea dominante ha condizionato tale specie. Una prova sperimentale,
effettuata su terreno gi colonizzato da ginestra e robinia alla localit Colle Umberto, ha
dato ottimi risultati specialmente su terreni freschi e profondi.
ontano napoletano
Alnus cordata (Loisel.) Loisel.
leccio
Quercus ilex L.
una frugale leguminosa arborea molto diffusa sia sui versanti del Somma che su
quelli del Vesuvio. Originaria del Nord America, stata utilizzata come specie arborea
pioniera, colonizzatrice, con notevoli capacit di adattamento, con una certa attitudine a
migliorare i terreni privi di sostanza organica e soprattutto a consolidare quelli sciolti e
franosi delle pendici pi scoscese. Le piantagioni di semenzali di un anno sono riuscite a
consolidare talvolta intere scarpate franose, fino a quota 1000. Dove altre specie arboree
stentano a svilupparsi e a diffondersi, la robinia vi riesce egregiamente. Attualmente, in
diverse zone, questa pianta inizia a creare problemi di invadenza eccessiva a danno di lecci e pini.
robinia
Robinia pseudoacacia L.
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NICOLA DI FUSCO
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NICOLA DI FUSCO
pino domestico
Pinus pinea L.
pino marittimo
Pinus pinaster Aiton
Come pi volte riferito, questa specie legnosa stata impiegata in consociazione con
il pino domestico. Specie frugale e associabile ad altre essenze, la sua diffusione ha interessato vaste aree in tutta la fascia in cui si trova il pino domestico, ossia dai 250 ai 900 m.
Il pino marittimo presenta un maggiore grado di rinnovazione naturale rispetto al pino
domestico a seguito di incendio boschivo radente.
pino dAleppo
Pinus halepensis Miller
Specie forestale estremamente frugale e resistente ai lunghi periodi di siccit, impiegata in via sperimentale lungo la fascia meridionale della Riserva ed ai margini assolati
delle pinete di pino domestico e marittimo. I risultati non hanno deluso le aspettative.
pino nero
Pinus nigra Arnold
ginestre
Spartium junceum L.
Genista aetnensis (Biv.) DC.
Cytisus scoparius (L.) Link
Le ginestre sono gli arbusti pi largamente diffusi sul Vesuvio, capaci di colonizzare i
suoli pi inospitali. Esse si riproducono e si diffondono con estrema facilit, anche dove
esiste una minima disponibilit di suolo. Le ginestre riescono ad impiantarsi anche in aree
pressoch desertiche, favorendo successivamente il graduale insediamento di piante meno
rustiche e pi esigenti. Da sempre le ginestre hanno rappresentato lelemento iconografico del paesaggio vesuviano, tant che anche il Leopardi, nella primavera del 1836,
dedic alla ginestra il suo testamento spirituale.
77
RINGRAZIAMENTI
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BIBLIOGRAFIA
Dactylorhiza saccifera
foto di R. Nazzaro
79
E-mail: vincenzo.lavalva@unina2.it
RIASSUNTO
SUMMARY
SSul Vesuvio sono attualmente presenti 17 specie appartenenti alla famiglia delle Orchidaceae. Lultimo contributo floristico sullarea ha segnalato 15 entit, la cui presenza viene
qui confermata. A tale elenco vanno, quindi, aggiunte altre due specie, una delle quali nuova
per larea, laltra gi segnalata alla fine del XIX secolo.
PAROLE
KEY
CHIAVE:
WORDS: Vesuvius,
80
INTRODUZIONE
LLe orchidee sono piante a fiore appartenenti alla classe delle Liliopsida (Monocotiledoni). Secondo la gran parte degli studiosi la differenziazione di questa famiglia sarebbe
avvenuta recentemente (2-3 milioni di anni fa, contro i circa 100 milioni di anni delle
prime Liliopsida). Esse vengono ritenute ancor oggi in intensa attivit evolutiva.
Il numero di specie di orchidee conosciute per la flora mondiale di circa 25.000,
distribuite quasi esclusivamente nella fascia intertropicale. In Italia, paese europeo con il pi
alto numero di specie appartenenti a questa famiglia, se ne contano poco pi di un centinaio.
Le orchidee sono attualmente oggetto di numerosi studi volti a conoscere la loro
distribuzione sul territorio (Nazzaro et al., 1991-1992; 1995) e a chiarire i rapporti evolutivi tra i vari generi (Pridgeon et al., 1997; Cozzolino et al., 1998).
La prima segnalazione di unorchidea (Orchis italica) per il Vesuvio risale al XVII
secolo (Colonna, 1616). Numerosi furono i contributi durante il XIX secolo (Tenore,
1831; Pasquale, 1869; Baccarini, 1881; Comes, 1887; Migliorato, 1896; 1897). Durante
questi studi floristici nellarea del Parco Nazionale del Vesuvio furono censite 18 entit.
Nellultimo studio floristico pubblicato per larea vesuviana (Ricciardi et al., 1986)
vengono segnalate 15 orchidee, 3 delle quali nuove per larea. In tale contributo viene evidenziato come le trasformazioni di alcuni habitat vesuviani, causati dalla pressione antropica subita dal territorio negli ultimi decenni, abbiano verosimilmente provocato la scomparsa delle entit in precedenza segnalate e non pi ritrovate. Solo di recente sono state
rinvenute altre due entit (Ricciardi, com. pers.), pertanto le orchidacee oggi presenti nel
territorio del Parco ammontano a 17 entit.
MORFOLOGIA
Le orchidee non presentano radici molto sviluppate. Gran parte dei generi che vivono nelle regioni temperate (Anacamptis, Barlia, Dactylorhiza, Gennaria, Neotinea, Ophrys,
Orchis, Platanthera, Serapias, Spiranthes) presentano radici (di solito 2) ingrossate, pi o
meno globose ed ovoidi, dette rizotuberi. Altri generi (Cephalanthera, Epipactis, Listera)
hanno fusti sotterranei (rizoma) da cui si dipartono le radici.
Tutte le orchidee italiane hanno un fusto non ramificato terminante con una infiorescenza pi o meno ricca. Le foglie possono essere riunite alla base del fusto (rosetta basale) o distribuite lungo questo (foglie cauline).
Ogni fiore dellinfiorescenza accompagnato da una brattea, piccola foglia modificata che copre il fiore in boccio.
Nel fiore delle orchidee, come in quello delle altre Liliopsida, non possibile distinguere il calice dalla corolla, in quanto tutti i pezzi del perigonio sono simili tra loro (tepali). I sei tepali sono divisi in due gruppi (verticilli) di tre. Nel verticillo pi esterno si
distinguono due tepali laterali ed uno mediano, che spesso curvato in avanti e a volte
insieme a quelli laterali contribuisce a formare un casco.
Il verticillo interno presenta anchesso due tepali laterali e uno mediano. I tepali laterali interni sono generalmente diversi per forma e/o grandezza da quelli esterni. Il tepalo mediano interno (labello) si distingue da tutti gli altri per le modificazioni, a volta
molto vistose, di dimensione o forma o colorazione.
Il labello, pur essendo il superiore tra i tepali interni, nella maggioranza dei generi di
orchidee nostrane collocato inferiormente per la torsione di 180 subita dallovario o dal
peduncolo fiorale durante lo sviluppo del fiore. Tale fenomeno detto resupinazione.
In molti generi presente lo sprone, un prolungamento posteriore del labello a forma
di cilindro o sacco nel quale si pu raccoglie una sostanza zuccherina, il nettare. In alcuni generi il labello presenta una strozzatura mediana che permette di distinguere una
parte basale (ipochilo) da una apicale (epichilo).
81
Nel genere Ophrys il labello presenta lo specchio, area sempre glabra, dalla forma e
colorazione variabili.
Il fiore delle orchidee sempre ermafrodita, cio dotato di androceo e gineceo. Landroceo ridotto ad un solo stame; fa eccezione tra le orchidee italiane solo la scarpetta
di Venere (Cypripedium calceolus L.) che ne possiede due.
Il polline, prodotto in notevole quantit, riunito in due piccole masse (pollinodi). In
genere ogni pollinodio si collega tramite un peduncolo (caudicola) con un disco basale
adesivo (retinacolo) che permette a tutta la struttura di aderire al corpo dellinsetto impollinatore.
La parte basale del gineceo data dallovario, situato inferiormente al punto di inserzione dei tepali; esso, nei generi nei quali avviene la resupinazione, mostra gli effetti della
torsione, presentandosi contorto.
Lo stilo e gli stimmi sono saldati con lo stame in ununica struttura, il ginostemio, che
in alcuni generi si pu prolungare in modo evidente nel becco o rostro. Alla base del ginostemio presente un cavit dotata di superficie appiccicosa a cui aderiscono i pollinodi
trasportati dagli insetti.
Le orchidee sono generalmente impollinate dagli insetti (impollinazione entomofila),
che vengono attratti da segnali visivi, olfattivi o dalla presenza del nettare, rari sono i casi
di autoimpollinazione.
Le colorazioni e i disegni del labello attirano e guidano linsetto verso la fauce dello
sprone, che si apre alla base del labello, subito sotto il ginostemio. Spesso lo stimolo visivo associato a quello olfattivo, dovuto alla emissione di forti profumi. Linsetto si posa
sul labello e spinge il capo nella fauce dello sprone per succhiare il nettare.
Durante la suzione del nettare linsetto urta contro i retinacoli, che gli si appiccicano
al capo insieme a tutta la struttura staminale. Mentre visita il fiore successivo, raccogliendo i nuovi pollinodi, quelli precedentemente raccolti rimangono appiccicati al ginostemio.
In Ophrys la forma del labello e il disegno dello specchio di ciascuna specie imitano
laddome della femmina dellinsetto impollinatore. A questi stimoli visivi se ne associano
anche di olfattivi, venendo prodotti dei feromoni con odore simile a quello della femmina. Il maschio, credendo di avere avvistato un esemplare del sesso opposto, si posa sul
labello nel tentativo di accoppiarsi; in tal modo gli restano appiccicati addosso i pollinodi, che verranno trasportati su un altro fiore della stessa specie durante il successivo
infruttuoso tentativo di accoppiamento.
Alla impollinazione segue la fecondazione, con la successiva trasformazione dellovario in frutto, una capsula che contiene alcune migliaia di semi.
I semi delle orchidee, piccolissimi, sono privi di sostanze di riserva. Lembrione, quindi, non dispone di riserve energetiche da spendere per laccrescimento, n ancora in
grado di procurarsene mediante la fotosintesi; ci condiziona il suo sviluppo, che pu
avvenire solo nel caso vi sia un apporto esterno di energia. A ci provvede un fungo con
cui si instaura una stretta cooperazione a livello delle radici (simbiosi micorrizica). Lorchidea, in tal modo, riceve le sostanze organiche di cui carente durante le prime fasi
dello sviluppo dellembrione. Successivamente essa acquista la capacit di fotosintetizzare, per cui non dipende pi dalla simbiosi per sopravvivere.
Alcuni generi (Limodorum, Neottia, ecc.), non sviluppando un efficiente meccanismo
fotosintetico, rimangono per tutta la vita dipendenti dal fungo per il reperimento delle
sostanze organiche.
RIPRODUZIONE
82
IBRIDAZIONE
LLe schede di seguito riportate descrivono le orchidee che possibile incontrare nellarea del Parco Nazionale del Vesuvio.
Per quanto riguarda linquadramento tassonomico dei generi Anacamptis e Orchis sono
state seguite le recenti vedute di Bateman et al. (1997) che prendono in considerazione,
oltre alle somiglianze morfologiche, principalmente le affinit genetiche tra le varie
entit. Tali vedute sono state confermate dalle ricerche sul DNA plastidiale di Cozzolino
et al. (1998) e sul DNA nucleare di Aceto et al. (1999).
Vengono di seguito forniti gli eventuali sinonimi, letimologia dellepiteto specifico,
lhabitat tipico, le aree di diffusione mondiali e italiane. Relativamente al Parco Nazionale del Vesuvio sono indicate le quote (in metri s.l.m.) a cui lentit presente e il periodo
di fioritura. Viene, quindi, brevemente descritta la morfologia di ogni specie. Ciascuna
scheda termina con un elenco delle precedenti segnalazioni e, ove se ne ravvisi la necessit, annotazioni sulla entit trattata.
Specie
Sinonimi
Etimologia
Habitat
Areale
Distr. italiana
VESUVIO
Altitudine
Fioritura
Morfologia
Precedenti
segnalazioni
Specie
Sinonimi
83
intorno ai 400 m
aprile-maggio
Pianta alta 10-30 cm. Foglie lineari-lanceolate, con apice acuto,
ripiegate a doccia lungo la nervatura centrale, le superiori abbraccianti lo scapo. Infiorescenza cilindrica a completo sviluppo, densa,
composta da 20-30 fiori emananti un gradevole odore di vaniglia.
Brattee lanceolate, ad apice acuto, generalmente lunghe come lovario o poco pi, verdastre con lievi sfumature rosa, percorse da una
nervatura centrale. Tepali conniventi in un casco appuntito a forma
di becco, gli esterni saldati, tranne nella parte apicale, e di colore
variabile dal verdognolo al rosso porpora; tepali interni racchiusi
allinterno del casco. Labello riflesso in direzione dello scapo, trilobo,
rosso violaceo o verdastro sfumato di porpora, con la parte centrale
pi chiara e dotata di punteggiature o di ununica grande macchia;
lobo mediano sensibilmente pi lungo dei laterali. Sprone di forma
conica, curvato verso il basso, lungo quanto lovario o poco meno.
Ricciardi et al., 1986, sub Orchis coriophora var. fragrans.
Etimologia
Habitat
Areale
Distr. italiana
VESUVIO
Altitudine
Fioritura
Morfologia
Anacamptis morio
foto di R. Nazzaro
84
Precedenti
segnalazioni
Note
Specie
Sinonimi
Orchis papilionacea L.; Orchis papilionacea L. var. rubra ( Jacq.) Reichenb.; O. papilionacea L. subsp. rubra ( Jacq.) Arcangeli; O. rubra Jacq.
Etimologia
La disposizione dei tepali ricorda le ali di una farfalla, da cui lepiteto specifico di origine latina papilio (farfalla)
Habitat
Areale Dalla Turchia asiatica al Portogallo e alle coste occidentali nord africane
Distr. italiana Presente in tutte le regioni italiane
VESUVIO
Altitudine
Fioritura
Morfologia
200-1000 m
aprile-maggio
Pianta alta 10-40 cm. Foglie lineari-lanceolate o lanceolate, acute,
le inferiori riunite in rosetta basale, le superiori di dimensioni progressivamente minori e abbraccianti lo scapo che soffuso di viola
per buona parte della sua lunghezza. Infiorescenza ovata o cilindrica, moderatamente densa, composta da 4-20 fiori. Brattee ovatolanceolate, ad apice acuto, in genere lievemente pi lunghe dellovario, solitamente di colore rosa porporino con nervature longitudinali pi scure. Tepali esterni ovato-lanceolati, pi o meno conniventi a formare un lasso casco, da rosa violacei a rosso porporini,
con nervature longitudinali pi scure; tepali interni conniventi, di
dimensioni minori rispetto agli esterni. Labello intero, allargato
nella parte apicale, molto spesso concavo, caratterizzato da una
colorazione uniforme che va dal bianco rosato al rosa violetto o, talvolta, con la parte basale pi chiara. Sprone conico, curvato verso il
basso, pi breve dellovario.
Specie
Sinonimi
Etimologia
Habitat
85
400-500 m
aprile-maggio
Pianta alta 15-70 cm. Foglie basali ridotte ad una guaina, le rimanenti distribuite lungo tutto lo scapo, generalmente oltre sei volte
pi lunghe che larghe, acuminate, ripiegate lungo la nervatura centrale. Infiorescenza lassa, comprendente fino a circa 20 fiori bianchi. Brattee, ad eccezione di quella inferiore, sensibilmente pi
brevi dellovario. Tepali di solito appena conniventi: gli esterni lanceolati e acuti, gli interni di dimensioni lievemente minori, di forma
ellittica e ad apice ottuso. Labello concavo, sensibilmente minore
rispetto agli altri tepali, con ipochilo a forma di sacchetto ed epichilo pi o meno cuoriforme, con la parte interna giallo-paglierina
caratterizzata da creste longitudinali giallo-aranciate.
attorno ai 1000 m
maggio
Pianta alta 20-60 cm. Scapo pubescente e superiormente soffuso di
rosa porporino. Foglie basali ridotte ad una guaina, le rimanenti da
lineari-lanceolate a lanceolate, acute, distribuite lungo tutto lo
scapo. Infiorescenza lassa, solitamente composta da non pi di 12
fiori. Brattee pi lunghe dellovario, le inferiori superanti i fiori.
Tepali lanceolati, ad apice acuto, rosei o roseo porporini con parte
basale notevolmente pi chiara, gli esterni spesso appena conniventi
86
o, talvolta, patenti, gli interni di dimensioni lievemente minori. Labello lungo come i tepali esterni, diviso in un ipochilo gozzuto, di colorazione biancastra e un epichilo ad apice acuto, biancastro con bordi
roseo porporini e dotato di creste giallastre nella parte centrale.
Precedenti
segnalazioni Pasquale, 1869; Baccarini, 1881; Ricciardi, 1972; Ricciardi et al., 1986
Specie
Sinonimi
Etimologia
Anacamptis papilionacea
foto di C. Bifulco
Habitat
Areale
Distr. italiana
VESUVIO
Altitudine
Fioritura
Morfologia
Cephalanthera longifolia
foto di R. Nazzaro
Sinonimi
Etimologia
Dal latino saccus (sacco) e fero (porto) per la forma saccata dello sprone
Habitat
Areale
Distr. italiana
VESUVIO
Altitudine
Fioritura
Morfologia
87
Precedenti Pasquale, 1869, sub Orchis maculata; Baccarini, 1881, sub O. maculata;
segnalazioni Comes, 1887, sub O. maculata; Migliorato, 1896; Ricciardi, 1972, sub
O. maculata; Ricciardi et al., 1986.
Note
Specie
Sinonimi
Etimologia
Habitat
A tale entit devono essere sicuramente attribuite anche le segnalazioni di D. maculata L., tipica delle regioni europee settentrionali e
delle Alpi. Del gruppo di D. maculata solo D. saccifera presente nel
meridione dItalia.
Epipactis helleborine (L.) Crantz subsp. helleborine
Epipactis latifolia (L.) All.; Helleborine latifolia (L.) Moench;
H. viridans Samp.; Serapias helleborine L. var. latifolia L.
Per la somiglianza delle foglie di questa specie con quelle del veratro bianco (Veratrum album L.), il cui nome latino era helleborus
(elleboro)
Boschi di latifoglie; a mezzombra o allombra
100-1100 m
giugno-luglio
Pianta alta 30-100 cm, con scapo pubescente in special modo nella
parte apicale. Foglie basali ridotte a guaine; foglie cauline avvolgenti lo scapo e disposte lungo una linea spiralata, le inferiori di
forma ovato-ellittica, le altre gradualmente pi strette e lunghe procedendo verso lalto. Infiorescenza discretamente lassa a completo
sviluppo, comprendente fino a 30 fiori peduncolati disposti quasi
sempre unilateralmente. Brattee di forma lanceolata, di dimensioni
maggiori verso la base dellinfiorescenza, dove quasi sempre sono
Dactylorhiza saccifera
foto di R. Nazzaro
88
Sinonimi
Etimologia
Habitat
Areale
Distr. italiana
VESUVIO
Altitudine
Fioritura
Morfologia
Sinonimi
Etimologia
Per le macchie presenti sulle foglie a questa entit stato attribuito lepiteto specifico di origine latina maculatus (macchiato)
Habitat
Areale
Distr. italiana
VESUVIO
Altitudine
Fioritura
Morfologia
89
90
Specie
Sinonimi
Etimologia
Habitat
Areale
Distr. italiana
VESUVIO
Altitudine
Fioritura
Morfologia
Ophrys sphegodes
foto di R. Nazzaro
Serapias cordigera L.
Etimologia
Habitat
Areale
Distr. italiana
VESUVIO
Altitudine
Fioritura
Morfologia
300-500 m
aprile-maggio
Pianta alta 20-50 cm, con scapo arrossato nella parte apicale. Foglie
inferiori generalmente lineari-lanceolate, acute, percorse da scanalature longitudinali e spesso dotate di macchie scure basali; foglie
superiori abbraccianti lo scapo. Infiorescenza densa, formata da
3-10 fiori. Brattee ovato-lanceolate, da rosa grigiastre a porporine,
solcate longitudinalmente da venature pi scure, di lunghezza mag-
91
giore rispetto allovario e, alla base dellinfiorescenza, superanti l'intero fiore. Tepali conniventi a formare un casco, gli esterni saldati
nella parte basale, ovato-lanceolati, acuminati e concolori alle brattee, gli interni molto pi sottili e lievemente pi brevi degli esterni,
dilatati alla base e acuminati. Labello di grandi dimensioni, con
ipochilo molto scuro, nascosto dal casco tepalico e portante alla
base due callosit divergenti anteriormente e con epichilo cuoriforme, lungo circa il doppio dellipochilo e perpendicolare a questo,
rosso porporino, con margine ondulato e fitti peli sia alla base che
nella parte centrale.
Precedenti Pasquale, 1869; Baccarini, 1881; Ricciardi et al., 1986
segnalazioni
Specie
Sinonimi
Etimologia
Habitat
Areale
Distr. italiana
VESUVIO
Altitudine
Fioritura
Morfologia
Precedenti
segnalazioni
Specie
Serapias lingua L.
Serapias columnae (Reichenb. fil.) Lojac.; S. elongata Tod.; S. excavata Schlechter; S. laxiflora Chaub. var. columnae Reichenb. fil.; S. oxyglottis Willd.; S. parviflora Parl. subsp. columnae (Reichenb. fil.) So;
S. todari Tineo
Dal latino lingua (lingua), in riferimento alla forma dellepichilo
Prati umidi, garighe, chiarie nei boschi. In piena luce o a mezzombra
Coste mediterranee
Manca in Piemonte, Lombardia e Trentino
Neotinea maculata
intorno ai 100 m
marzo-aprile
Pianta alta 10-30 cm. Foglie lineari-lanceolate, con apice acuto,
percorse da scanalature longitudinali, le superiori man mano di
dimensioni minori e abbraccianti lo scapo. Infiorescenza lassa,
composta da 2-6 fiori. Brattee ovato-lanceolate, ad apice acuto,
lunghe allincirca quanto il fiore o poco pi, da rosee a rosso porporine, percorse longitudinalmente da nervature pi scure. Tepali
uniti a formare un casco allungato, gli esterni ovato-lanceolati, ad
apice acuto e concolori alle brattee, gli interni allargati nella parte
basale, di lunghezza minore e molto pi sottili rispetto agli esterni.
Labello dotato nella zona basale di una singola callosit solitamente molto scura, lucida, a volte con un solco centrale appena accennato; ipochilo quasi completamente nascosto dal casco tepalico e
con margine porpora scuro; epichilo lanceolato od ovato-lanceolato, molto pi lungo dellipochilo, di solito rosa porporino con la
parte centrale pi chiara.
Baccarini, 1881
Serapias vomeracea (Burm. fil.) Briq.
Sinonimi
Etimologia
Dal latino vomer (vomere), per lepichilo che ricorda il vomere dellaratro.
foto di R. Nazzaro
92
Habitat
Areale
Distr. italiana
VESUVIO
Altitudine
Fioritura
Morfologia
Sinonimi
Etimologia
Habitat
Areale
Distr. italiana
VESUVIO
Altitudine
Fioritura
Morfologia
93
Sul Vesuvio stato ritrovato anche librido tra Anacamptis papilionacea e A. morio. Gli
individui nati dalla ibridazione sono stati chiamati Orchis xgennarii Reichenb. fil. e presentano caratteristiche morfologiche intermedie tra le due specie genitrici. Il nome attribuito a tale ibrido rispecchiava linquadramento tassonomico delle due specie parentali
nel genere Orchis; attualmente esse sono comprese nel genere Anacamptis, ci impone
una nuova collocazione tassonomica dellibrido in oggetto.
Anacamptis xgennarii (Reichenb. fil.) Nazzaro et La Valva, comb. nov.
Basionimo: Orchis xgennarii Reichenb. fil., Icon. Fl. Germ. 14: 172 (1851)
Tale ibrido stato gi segnalato nellarea vesuviana da Ricciardi et al. (1986),
sub Orchis xgennarii
La popolazione di questo ibrido presente sul Vesuvio stata recentemente oggetto
di studi biomolecolari con i quali si dimostrato che, relativamente a questa localit,
la frequenza con la quale A. morio fornisce la linea materna tre volte superiore rispetto a A. papilionacea (Aceto et al., 1999).
94
Spiranthes spiralis
foto di R. Nazzaro
95
Anacamptis xgennarii
foto di R. Nazzaro
96
CONCLUSIONI
II taxa di orchidee presenti allinterno dellarea del Parco Nazionale del Vesuvio sono
complessivamente 17. Di questi, 16 erano stati precedentemente gi segnalati, mentre
nuova per larea Ophrys bombyliflora. Tra le diciassette entit presenti compresa anche
Serapias lingua, indicata come scomparsa nellultimo contributo floristico pubblicato per
larea (Ricciardi et al., 1986). Rispetto alle 21 entit segnalate nei precedenti contributi (il
primo dei quali risale al XVII secolo) risultano scomparse 5 entit. La diminuzione del
numero di taxa significativa, superando di poco il 20%. Tale diminuzione testimonia il
notevole degrado ambientale subito da questarea che ha portato alla scomparsa di
ambienti particolari.
97
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BIBLIOGRAFIA
99
RIASSUNTO
SUMMARY
Gli Autori hanno studiato la pedofauna presente lungo i versanti Nord, Sud, Est del
G
Vesuvio. I prelievi sono stati effettuati in stazioni scelte ad intervalli di 100 m, partendo da
800 m s.l.m. sino alla sommit del cratere. I valori di densit e struttura della mesopedofauna vengono correlati ai dati microambientali e pedologici.
T
The soil fauna was studied on the northern,
southern and eastern slopes of Vesuvius. Samples were
taken from sites at altitude intervals of 100 m, starting
from 800 m a.s.l. up to the summit of the crater. The
density and structure of the soil fauna are correlated
with microenvironmental and pedological data.
PAROLE
KEY
CHIAVE: pedofauna,
WORDS:
100
INTRODUZIONE
Lambiente ipogeo, ovvero il dominio sotterraneo lhabitat delle specie viventi sotto
L
la superficie del suolo; come composizione abiotica e biotica uno degli ecosistemi pi
interessanti e caratterizzanti delle condizioni generali della biosfera. Risulta inoltre strettamente correlato alle condizioni di esistenza (specialmente alimentari) delluomo.
La porzione superficiale della litosfera utilizzata dagli esseri viventi chiamata terreno, o suolo: la maggiore attivit biotica si svolge in una porzione corrispondente, alle
nostre latitudini, solo ai primi 30 cm, detta edaphon, per cui gli organismi viventi in tale
zona costituiscono la fauna edafica o pedofauna (Cremaschi & Rodolfi, 1991).
Il suolo sede di unintensa attivit ecologica, per le continue interrelazioni tra la
componente mineralogica e quella biotica (Torrent, 1995); la sua origine dinamica pu
essere identificata con la seguente formula tratta da Battaglini (1979):
suolo = f (roccia madre x clima x morfologia x attivit biologica)
tempo
questa formula mette in evidenza che il suolo funzione diretta dei fattori che lo hanno
determinato.
Secondo Khnelt (1961) il suolo si divide in: orizzonte A (il pi ricco sia da un punto
di vista floristico che faunistico) divisibile negli strati L, F, H; orizzonte B divisibile negli
strati B0 e B1; e orizzonte C che la roccia madre (suolo minerale).
Nellambito dellorizzonte A lo strato L (Litter) si identifica con la lettiera vegetale;
lo strato F (Fermentation) costituito da materiali vegetali decomposti dai funghi; lo
strato H (Humus) caratterizzato da materiale organico decomposto.
Il suolo composto da particelle solide di differente forma e dimensioni, nei cui spazi
si formano dei pori attraverso cui il suolo scambia acqua ed aria con lambiente, i movimenti di questi consentono inoltre al calore ed ai nutrienti di fluire. Il numero ed il diametro dei pori sono in diretta relazione con il contenuto in materia organica del suolo, la
tessitura e la struttura.
La temperatura del suolo, pur essendo strettamente legata a quella esterna, in un
certo modo costante per cui vengono a stabilirsi condizioni climatiche che favoriscono la
vita endogena.
Il pH, dipendente dalla roccia madre, modificato da processi biogeochimici, pertanto molto variabile anche in zone ristrette, ed senzaltro un fattore limitante.
Sappiamo che il numero degli organismi presenti nel suolo straordinariamente elevato: quanto pi piccole sono le loro dimensioni, tanto maggiore il loro numero, di conseguenza la loro funzione pi specifica e la loro influenza sulle propriet del suolo pi
importante (Donker et al., 1994).
Il ruolo degli invertebrati del suolo quello di preparare la degradazione dei detriti
mediante una fittissima frammentazione della materia organica morta (Franz, 1962).
Questo lavoro svolto da una biomassa piccola e con un metabolismo singolarmente basso.
Da precedenti studi (Battaglini & Lucini, 1982) sappiamo che i phyla predominanti
nella pedofauna di suoli di origine vulcanica, sono Nematodi ed Artropodi.
Gli Artropodi costituiscono sicuramente il phylum principale, la cui abbondanza
dipende dalle caratteristiche del suolo, unite allumidit e temperature ottimali e alla presenza di notevoli risorse trofiche. La loro abbondanza in genere inversamente proporzionale alle loro dimensioni.
I due taxa che sicuramente pi degli altri sono rappresentativi della pedofauna in suoli
di origine vulcanica sono Acari e Collemboli.
101
Tra gli Acari gli Oribatidi costituiscono uno dei gruppi pi numerosi del suolo sia per
numero di specie che per quantit di individui.
I Collemboli sono abitatori essenzialmente della lettiera, preferiscono superfici umide
sebbene alcune specie si muovano attivamente in luoghi asciutti anche di giorno, e rappresentano circa il 32% degli Artropodi totali della pedofauna forestale, con una densit
che oscilla dai 10.000 ai 100.000 individui per metro cubo.
P
Precedenti nostre ricerche sulla pedofauna hanno messo in evidenza che i suoli di origine vulcanica ospitano zoocenosi quantitativamente molto alte (Battaglini & Lucini,
1983). La densit per cm3 di alcuni taxa come ad esempio gli Acari di gran lunga maggiore rispetto a tutti i dati riportati in letteratura per altri tipi di terreni.
Come zona di studio sono stati scelti solo i versanti N, S, E del Vesuvio, il versante
W molto ripido non possiede ampie aree provviste di suoli umici. Le stazioni di prelievo
sono state localizzate al di sopra della isoipsa 800 m s.l.m., poich proprio al di sopra
di tale isoipsa che si hanno suoli veramente vulcanici. La descrizione delle stazioni
riportata in un precedente lavoro (Battaglini et al., 1973a, 1973b). Fra i vari criteri di scelta delle stazioni si preferito il criterio altimetrico che d possibilit di valutare le variazioni dovute a caratteri microambientali e pedologici diversi. I prelievi sono cominciati a
quota 800 m e distanziati altimetricamente di 100 m luno dallaltro fino a giungere alla
quota di 1100 m.
La tecnica adoperata per il prelievo il carotaggio manuale, tipico degli studi sulla pedofauna; la successiva estrazione avviene in laboratorio tramite imbuti modificati (Battaglini, 1967).
Le analisi delle propriet pedologiche dei suoli delle varie stazioni si sono basate
essenzialmente sui dati di granulometria, porosit, umidit e pH, in quanto parametri pi
significativi per la interdipendenza pedofauna-suolo.
II prelievi della pedofauna hanno messo in luce che, eccetto le stazioni a 800 m, dove
sono presenti gli strati L, F, H, nelle altre vi un solo tipo di strato del suolo: il tipo B0/B1
mancano cio gli strati L, F, H tipici di suoli molto umici. Ne scaturisce che la pedofauna del Vesuvio presenta, come ci si aspettava, un basso livello di biodiversit. Gli individui prelevati, infatti, sono stati in totale 1212 che, se come valore assoluto basso, relativamente al tipo di suolo, abbastanza alto.
La mesopedofauna formata da 8 taxa di cui 9 appartengono al phylum degli Artropodi ed 1 al phylum dei Nematodi. Degli Artropodi l87% formato da Acari, il 9,5% da
Collemboli, lo 0,6% da Nematodi ed il restante 2,5% da alcuni ordini di Artropodi Unirami. Per quanto concerne gli Acari circa il 30% e costituito da Oribatidi; per i Collemboli circa il 55% formato da Entomobriomorfi.
La distribuzione della pedofauna nei 3 versanti cos ripartita: 42,6% nel versante N,
29,5% nel versante S, 27,8% nel versante E. Tra i quattro taxa fondamentali, gli Oribatidi sono sempre i pi abbondanti, seguono gli Acari sensu lato, i Collemboli e tutti gli altri.
Tali proporzioni sono costanti in tutti i versanti. In Tabella 1 sono riportati i valori di
abbondanza percentuale dei taxa componenti la pedofauna divisi per altitudine e per versante. Come si pu notare le stazioni poste a 800 e 900 m sono quelle a maggiore densit di popolazione, con una notevole diversit di taxa, mentre a 1000 m e ancor di pi a
1100 m la pedofauna si dirada e solo alcuni taxa sono rappresentati: Acari, Oribatidi e
solo eccezionalmente Collemboli Entomobriomorfi.
RISULTATI
102
TABELLA 1
Versante Nord
800
Nematodi
Acari
Collemboli
(sensu lato)
Oribatidi
Simfipleoni
Poduromorfi
Entomobriomorfi
Embiotteri
Imenotteri
Psocotteri
Coleotteri
stazioni (m s.l.m.)
1000
900
50,0
42,3
44,1
45,5
71,0
21,9
5,1
1,3
1,4
3,9
2,1
5,5
0,6
2,6
1100
64,3
35,7
1,3
1,4
Versante Sud
Nematodi
Acari
Collemboli
(sensu lato)
Oribatidi
Simfipleoni
Poduromorfi
Entomobriomorfi
Embiotteri
Imenotteri
Psocotteri
Coleotteri
800
5,7
48,8
33,0
1,1
8,0
1,1
2,3
stazioni (m s.l.m.)
1000
900
0,6
62,2
45,0
26,7
22,8
0,6
11,1
8,2
20,0
1,7
1100
68,9
26,7
4,4
1,1
Versante Est
800
Nematodi
Acari
Collemboli
Embiotteri
Imenotteri
Psocotteri
Coleotteri
(sensu lato)
Oribatidi
Simfipleoni
Poduromorfi
Entomobriomorfi
83,1
14,9
2,0
stazioni (m s.l.m.)
1000
900
0,8
45,5
63,8
34,1
20,5
2,4
12,5
13,6
6,8
1100
65,2
25,8
4,5
4,5
103
104
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Da quanto premesso deriva che lattenzione va rivolta sui rapporti che intercorrono
D
tra pedofauna e ambiente per esaminare quali fattori ecologici giocano un ruolo limitante o predominante sulla esistenza dei vari taxa della pedofauna. Si possono confrontare i
valori percentuali massimi e minimi di densit con i caratteri pedologici.
Per gli Acari e i Collemboli i valori massimi si hanno nelle stazioni a 800 e 900 m,
ove si rileva alta granulometria (granuli maggiori di 5660 ) che permette lareazione
migliore, una temperatura pi costante e una umidit relativamente alta; i Collemboli, infatti, hanno bisogno di umidit per sopravvivere perch dotati di sottile esoscheletro.
Gli Oribatidi sono presenti con valori pi o meno costanti in tutte le stazioni dei vari
versanti: sono infatti presenti anche a 1100 m; la corazza che li avvolge, infatti, permette loro di sopravvivere anche a bassissimi tassi di umidit.
I valori minimi si hanno quando i granuli sono pi piccoli, cio di diametro minore
di 2000 e umidit molto bassa.
Il suolo esaminato presenta una struttura chimico-fisica con caratteri cos marcati da
provocare una decisa selezione della pedofauna ivi presente. Innanzi tutto si potuta
notare una rarefazione della pedofauna con laumento dellaltitudine fino a raggiungere
valori minimi alla sommit; quindi sarebbe laltitudine il fattore limitante, tuttavia studi
effettuati su montagne a 1000 e 1200 m (Dolomiti) hanno messo in evidenza una grande quantit di Acari e Collemboli a tali quote.
La scarsit della pedofauna, come densit specifica di taxa sarebbe direttamente legata alla pedologia e non allaltitudine. A conferma di ci sarebbe il dato dellassenza degli
strati L, F, H in tutte le stazioni superiori a 800 m.
Si pu osservare che Acari e Collemboli pur avendo bisogno di una grande umidit si
sono adattati a vivere in un suolo che non si presenta molto umido e che gli Acari e i Collemboli preferiscono suoli a granuli grossi e infine gli Oribatidi sono il taxon che meglio
si adatta a condizioni non ottimali di sopravvivenza.
Daltro canto possibile notare che lazione colonizzatrice della pedofauna ha seguito vie particolari di penetrazione. Infatti dai risultati ottenuti si arguisce che il Monte
Somma, frenando i venti settentrionali ha creato condizioni tali da agevolare linsediamento della pedofauna nel versante Nord.
Concludendo si pu dire che i gruppi preponderanti della pedofauna del Vesuvio
mostrano fattori limite diversi per i diversi taxa. Infatti lumidit gioca un ruolo per i Collemboli e Acari, mentre per gli Oribatidi solo la porosit. Tuttavia la presenza, anche se
scarsa sulla cima del Vesuvio in un suolo polverulento e senza umidit, mette in luce la
grande plasticit evolutiva della pedofauna con una caratterizzazione ben evidente di
peculiari valenze ecologiche per ogni singolo taxon.
105
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Napoli: Universit di Napoli Federico II Press.
BIBLIOGRAFIA
107
RIASSUNTO
SUMMARY
IIn base ai risultati di una ricerca svolta nel 1966, si riportano 20 specie di Nematodi
associati a muschi e licheni viventi nelle aree non antropizzate del Parco Nazionale del
Vesuvio. Di tali specie si indica la distribuzione nellarea presa in esame, in rapporto ai parametri ecologici pi significativi. Mononchus stomabarratus Maiello, 1967, Teratocephalus
minutus Maiello, 1967 e Plectus incertus Maiello, 1967 sono taxa descritti su materiale del
Vesuvio.
108
TERESA MAIELLO
II Nematodi liberi sono organismi presenti in tutti gli ambienti biologici, compresi
taluni particolarmente ostili in cui varie specie trovano tuttavia condizioni favorevoli al
loro insediamento (Meyl, 1953; Goodey, 1963). il caso di quelle forme che, grazie
soprattutto allassociazione con organismi vegetali pionieri, riescono a colonizzare gli
ambienti vulcanici a substrato lavico o lapillico, non ancora alterati dallintervento
umano. Queste singolari caratteristiche degli animali in oggetto sugger a suo tempo uno
studio della nematofauna muscicola e lichenofila del Vesuvio, nellambito delle ricerche
faunistiche promosse dallIstituto e Museo di Zoologia dellUniversit di Napoli sotto la
direzione del Prof. Mario Salfi (Maiello, 1967).
Furono prese in esame 22 stazioni situate, a diverse altitudini, lungo la strada carrozzabile di Ercolano e la Strada Matrone, allepoca percorribile in auto fin quasi alla vetta
(Tab. 1). Nellarco di un anno (1966), vi furono prelevati 94 campioni nei quali furono
individuate 18 specie di muschi citati in Tabella 2 con la denominazione attuale ed un
lichene (cfr. Ricciardi et al., in questo volume). Lo studio, in parte anche di carattere
quantitativo, di questo materiale, rivel la presenza di 20 specie di Nematodi tra cui
dominanti: Plectus parietinus Bastian, 1865; Tylenchus davaini (Filipjev, 1934) e Paratripyla intermedia Brzeski, 1964 tre delle quali (Mononchus stomabarratus Maiello, 1967,
Teratocephalus minutus Maiello, 1967 e Plectus incertus Maiello, 1967) nuove per la Scienza (Tab. 3).
Questi risultati mettono sufficientemente in risalto la spiccata individualit del popolamento nematologico vesuviano e il notevole livello di biodiversit che lo contraddistingue. appena il caso di rilevare che, a distanza di trentanni ed in assenza di importanti
alterazioni antropogenetiche, i dati faunistici qui presentati possono risultare particolarmente utili per un eventuale futuro monitoraggio dello stato di salute dellambiente nel
Parco Nazionale del Vesuvio.
109
C
B
A
110
TERESA MAIELLO
B
C
111
TABELLA 1
STAZ. ALT. DATA
LOCALIT, SUBSTRATO
BRIOFITE NEMATODI
2, 4, 6
7, 8, 9,18
3, 4
7, 8, 9
3, 4
4, 14, 15
4, 6
1, 2, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 15, 17,
19
4, 9, 18
2, 4, 6, 7, 8, 9, 11, 16, 20
13, 17
3, 7
5, 6, 7, 8, 11, 18, 19
14
12, 14
1, 2, 3, 4, 6, 7, 8, 9, 11,
12, 13, 15, 16, 18, 20
12
6, 8, 18
12
8, 18
1, 2, 3, 4, 6, 7, 8, 9, 10,
12, 14, 16, 18, 19, 20
7, 12
1, 3, 13, 18, 19
3, 11
1, 6, 7, 8, 18
3, 8, 16
7, 8, 9
6, 14, 18
18
2, 3, 4, 6, 7, 18, 20
1, 8
6, 18
1, 2, 4, 7, 8, 9, 10, 17
2, 3, 4, 6, 8, 12, 14, 18, 20
112
TERESA MAIELLO
TABELLA 2
ELENCO
DELLE SPECIE DI
BRIOFITE
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
TABELLA 3
ELENCO
DELLE SPECIE DI
NEMATODI
MUSCICOLI
E LICHENOFILI DEL
VESUVIO
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
20.
113
GOODEY T., 1963 Soil and freshwater nematodes. London: Methuen & Co.
MAIELLO T., 1967 Contributo allo studio dei Nematodi brioedafici e lichenofili del Vesuvio.
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BIBLIOGRAFIA
Charaxes jasius
foto ARION
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
115
E-mail: arionarion@libero.it
2 Dipartimento di Zoologia, Universit di Napoli Federico II. Via Mezzocannone, 8, I-80134 Napoli. E-mail: ariani@unina.it
RIASSUNTO
SUMMARY
U
Uno studio pluriennale (1967-1999) dei Lepidotteri del Parco Nazionale del Vesuvio
ha permesso di rilevarvi la presenza di 44 specie di Hesperioidea e Papilionoidea. Una di
esse: Hesperia comma (L., 1758) non risulta precedentemente citata di localit campane. La
lepidotterofauna diurna del complesso vulcanico del Somma-Vesuvio appare alquanto differenziata rispetto a quella dei vicini massicci montuosi di natura sedimentaria, in conseguenza delle diverse caratteristiche climatiche e/o litologiche.
A
As a result of a long-term field study (1967-1999),
44 species of Lepidoptera Hesperioidea and Papilionoidea are reported from the Vesuvius National Park
(Campania, Southern Italy). Among them, Hesperia
comma (L., 1758) was not previously recorded from this
region. The volcanic complex of Somma-Vesuvius
shows a somewhat different fauna with respect to the
nearby sedimentary mountains, because of different climatic and/or lithological characteristics.
PAROLE
KEY
CHIAVE:
116
INTRODUZIONE
noto
117
La raccolta e lo studio dei Lepidotteri del Vesuvio hanno avuto inizio nel 1967, quinL
di ben prima della costituzione dellomonimo Parco Nazionale, e si sono protratti fino al
1999. Negli ultimi tempi, in conseguenza dei vincoli imposti allarea in esame, gli esemplari raccolti sono stati per la maggior parte rimessi in libert dopo lidentificazione. Il
materiale (legit Volpe) depositato nella Collezione Volpe e presso il Dipartimento di
Zoologia, Universit di Napoli Federico II.
Il classico trattato del Verity (1940-1953) ed i manuali di Higgins & Riley (1975) e
Manley & Allcard (1970) sono serviti di base per la determinazione delle specie e la
conoscenza della relativa geonemia. La nomenclatura seguita , come la successione dei
taxa, quella adottata da Balletto e Cassulo (1995).
LLa vegetazione pioniera del Vesuvio costituita in maniera pressoch esclusiva da Stereocaulon vesuvianum, un lichene che ricopre con un fitto feltro grigio le colate laviche pi
recenti.
Sulle sabbie e lapilli, presenti sulle pendici del Gran Cono Vesuviano e poche altre
aree ai piedi di esso, si rinvengono cespugli di Artemisia variabilis, Scrophularia canina,
Silene vulgaris e Rumex scutata, capaci di sopravvivere in questo ambiente ostile grazie ad
un apparato radicale specializzato. Sulle effusioni laviche meno recenti vegetano i cespuglieti di leguminose arbustive quali la ginestra comune, la ginestra dei carbonai e la ginestra dellEtna, che caratterizzano lambiente vesuviano con le loro stupende fioriture. La
ginestra dellEtna ha rivelato particolari capacit di adattamento, diffondendosi su vaste
aree del Parco. Sulle rocce laviche affioranti sono presenti Helichrysum litoreum, la valeriana rossa (Centranthus ruber) e, nelle radure sabbiose, specie erbacee a fioritura precoce. Su queste formazioni vivono numerose specie di Lepidotteri come Colias crocea,
Anthocharis cardamines, Polyommatus icarus e Lasiommata megera.
Il popolamento vegetale del versante settentrionale del Monte Somma caratterizzato da formazioni di caducifoglie ad alto fusto, rappresentate dai castagneti, sia da frutto che cedui, e da boschi misti di roverella, acero napoletano e carpino nero, tipici dellAppennino, misti alle essenze della macchia mediterranea che prospera alle stesse
quote anche sul versante meridionale. In questi ambienti vivono: Papilio machaon, Lampides boeticus, Iolana iolas, Charaxes jasius, Maniola jurtina, Pyronia cecilia e Hipparchia
statilinus.
Il versante meridionale del Vesuvio, tra i 150 e gli 800 m s.l.m., caratterizzato da
estesi boschi a pino domestico, ai cui margini facile incontrare Callophrys rubi, Melitaea athalia, Melitaea didyma, Coenonympha pamphilus e Pararge aegeria. Nelle stazioni
pi fresche e a substrato adeguatamente profondo subentra il leccio, che in alcune zone
sostituisce quasi del tutto i pini: troviamo qui Satyrium ilicis e Hipparchia fagi.
Allinterno del Parco trovano posto aree coltivate costituite da vigneti, frutteti ed
orti. Numerose sono anche le colture erbacee, che si succedono nel corso delle stagioni.
Le farfalle che vivono ai margini di queste zone sono: Iphiclides podalirius, Colias crocea,
varie Pieris, Aporia crataegi, Polygonia egea e Vanessa atalanta.
118
LE SPECIE RINVENUTE
SSi enumerano qui di seguito le specie di cui stata rilevata la presenza nellarea del
Parco. Le indicazioni relative ad habitat e piante alimentari si intendono riferite allarea
in oggetto. Nel caso di specie polifaghe (come nella maggior parte dei casi), viene citata
solo la specie nutrice principale presente sul Somma-Vesuvio (cfr. Ricciardi et al., 1986).
HESPERIOIDEA
Famiglia HESPERIIDAE
Hesperia comma
foto Arion
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
PAPILIONOIDEA
Famiglia PAPILIONIDAE
119
Famiglia PIERIDAE
Iphiclides podalirius
foto Arion
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
Aporia crataegi
foto Arion
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
120
Famiglia PIERIDAE
Famiglia LYCAENIDAE
121
Famiglia NYMPHALIDAE
122
Leptidea sinapis
foto Arion
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
Gonepteryx rhamni
foto Arion
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
123
Lycaena phlaeas
foto Arion
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
Callophrys rubi
foto Arion
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
Colias crocea
foto Arion
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
124
Famiglia NYMPHALIDAE
125
Famiglia SATYRIDAE
126
Charaxes jasius
foto Arion
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
Limenitis reducta
foto Arion
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
127
Hipparchia fagi
foto Arion
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
Lasiommata megera
foto Arion
Archivio fotografico Parco Nazionale del Vesuvio
128
DISCUSSIONE
LLe caratteristiche del popolamento in Lepidotteri diurni del complesso SommaVesuvio e le relative differenze rispetto ad altri massicci montuosi della Campania,
appaiono abbastanza nettamente correlate ad almeno tre fattori, a loro volta ed in varia
misura condizionanti le caratteristiche della flora e della vegetazione: la posizione geografica e le sue implicazioni a livello climatico; laltezza; le caratteristiche litologiche. Per
quanto attiene al primo fattore, la breve distanza dalla costa lelemento che determina
un clima eminentemente mediterraneo, con conseguente rigoglioso sviluppo della macchia. Ci spiega la presenza di specie quali Lampides boeticus (ubiquitaria termofila), Pyronia cecilia (a geonemia S-europeo-anatolico-maghrebina) e soprattutto Charaxes jasius (a
geonemia W-mediterraneo-transadriatica), elemento di spicco in comune con il Faito
(Stauder, 1914), Amalfi (Worm-Hansen, 1935), Vivara (DAntonio & Fimiani, 1988) e
i Campi Flegrei (Volpe & Palmieri, 1999). Il clima mite, associato a unaltitudine massima relativamente modesta (1281m), sembra essere per converso responsabile dellassenza, sul Somma-Vesuvio, di Papilionidi del genere Parnassius Latreille, presenti invece con
P. mnemosyne (L., 1758) sui pi elevati e continentali massicci del Matese (Prola et al.,
1978) e del Taburno (versante W, 1220 m: Fiorito, 1979). Il carattere vulcanico, a costituzione petrografica prevalentemente tefritica o tefroleucitica, differenzia infine nettamente il Somma-Vesuvio dagli altri rilievi campani, tutti di natura sedimentaria ad ossatura calcarea o calcareo-dolomitica. A quanto sopra sembra imputabile la mancanza, nellarea del Parco, di reperti relativi a specie tipicamente legate ai substrati calcarei, quali i
licenidi Polyommatus bellargus (Rottemburg, 1775) presente invece sul Faito (Stauder,
1914), ad Amalfi (Worm-Hansen, 1930), sul Terminio (Piani di Verteglia, 1170 m: Albero, 1977) e sugli Alburni (Prola et al., 1978), e Polyommatus coridon (Poda, 1761), segnalato per le falde del Camposauro (Turati, 1911), il Faito (Stauder, 1923, 1924) e il Matese (Hartig, 1947). da notare che connotazioni analoghe rispetto al Vesuvio presenta la
lepidotterofauna diurna dei Campi Flegrei (Volpe & Palmieri, 1999).
Le specie di Hesperioidea e Papilionoidea di cui pu considerarsi accertata la presenza in Campania sono circa 115 (da un inventario del Parenzan, com. pers.; lindeterminatezza del numero deriva principalmente dalla discussa sistematica del genere Hipparchia). Tra tali specie non era finora compresa Hesperia comma, che figura invece tra quelle riscontrate sul Vesuvio (nonch altrove in Campania: G. Volpe, reperti inediti) e deve
pertanto considerarsi nuova per la regione.
RINGRAZIAMENTI
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Sorrentinischen Halbinseln und des Cocuzzo Massivs in Calabrien. Z. wiss. InsektBiol., 11: 1-7, 71-75,
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STAUDER H., 1924 Lepidopteren aus Unteritalien. I. Societas ent., 39: 3-4, 7-8, 10-12, 15-16, 19-20, 23-24,
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Archo bot. biogeogr. ital., 39: 1-256.
131
RIASSUNTO
SUMMARY
N
Nel presente lavoro sono state riunite tutte le segnalazioni faunistiche bibliografiche
relative agli Hymenoptera Apoidea e Formicidae del Parco Nazionale del Vesuvio ed aree
limitrofe. Sono stati riportati numerosi generi. Apoidea: Amegilla, Ammobates, Andrena,
Anthidiellum, Anthophora, Apis, Bombus, Ceratina, Cerceris, Chalicodoma, Coelioxys, Colletes,
Eucera, Habropoda, Halictus, Hylaeus, Lasioglossum, Megachile, Melecta, Nomiodes, Osmia,
Panurgus, Rhodanthidium, Sphecodes, Spilomena, Tachysphex, Tetralonia, Thyreus, Xylocopa.
Fomicidae: Aphaenogaster, Camponotus, Cardiocondyla, Crematogaster, Formica, Hypoponera,
Lasius, Leptothorax, Linepithema, Liometopum, Messor, Myrmercina, Pheidole, Plagiolepis,
Solenopsis, Tapinoma, Temnothorax, Tetramorium, Trichoscapa.
PAROLE
KEY
CHIAVE: Vesuvio,
WORDS: Vesuvius,
132
SALVATORE VICIDOMINI
CENNI STORICI
Gli Imenotteri sono uno dei pi importanti ed interessanti gruppi di Insetti non solo per
G
quanto riguarda la loro classificazione ma anche dal punto di vista ecologico ed etologico; essi offrono infatti una vasta gamma di comportamenti sociali che sono oggetto di
numerose indagini etologiche. Tuttaltro che trascurabile inoltre il loro ruolo economico svolto in qualit di impollinatori di numerose colture agrarie e di parassitoidi per
il bio-controllo degli insetti nocivi alle colture stesse (Free, 1993; La Salle & Gauld,
1993; Crozier & Pamilo, 1996; Gauld & Bolton, 1996; Matheson et al., 1996; Choe &
Crespi, 1997). A tuttoggi rarissime sono le ricerche faunistiche pubblicate riguardanti
gli Imenotteri della Campania.
Dopo il fondamentale lavoro di Achille Costa sugli Imenotteri del Regno di Napoli
(Costa, 1858-1872) nessun entomologo ha pubblicato ricerche faunistiche su questordine di insetti, ad eccezione di sporadiche segnalazioni fino agli anni 70 (cfr.: Vicidomini,
1999, 2000). Dagli anni 70 in poi Ermenegildo Tremblay e Rosa Priore hanno coordinato un importante lavoro di determinazione di tutti gli esemplari della collezione di
Apoidei del Dipartimento di Entomologia e Zoologia Agraria Filippo Silvestri dellUniversit di Napoli Federico II (Portici), affidando lintera collezione ai migliori specialisti
europei e pubblicando successivamente una serie di articoli sui vari gruppi di Apoidei
(e.g.: Priore, 1977; Scaramella et al., 1983). In tal modo si ottenuto un quadro preliminare dellapifauna dellarea vesuviana. Le segnalazioni riguardanti gli Sfecidi risultano
ancora pi scarse rispetto gli altri Apoidei (Costa, 1858-1872, 1867; Beaumont, 1936,
1959; Dollfuss, 1986).
I Formicidi italiani hanno ricevuto notevole attenzione da parte degli entomologi
durante gli ultimi 150 anni. Un discreto numero di pubblicazioni prodotte dagli eminenti mirmecologi C. Emery, W. Goetsch e F. Santschi includono dati sulla mirmecofauna
campana. A partire dagli anni 60 C. Baroni-Urbani ha compiuto una serie di studi faunistici ed ecologici sulle formiche del Mediterraneo ed ha pubblicato lautorevole catalogo delle specie italiane di Formicidi (Baroni-Urbani, 1971). Dagli anni 70 ai nostri giorni i Formicidi della Campania hanno ricevuto una scarsissima e sporadica attenzione
(Vicidomini, 2000).
In questo contributo sono state prese in considerazione solo la superfamiglia Apoidea
e la famiglia Formicidae.
METODI
L
Lelenco delle specie organizzato in famiglie secondo linquadramento tassonomico
proposto da alcuni autorevoli testi (Apoidei: Pagliano, 1993, 1994; Roig-Alsina &
Michener, 1993; Formicidi: Baroni-Urbani, 1971) con le specie ordinate alfabeticamente
allinterno di ogni famiglia di appartenenza. Le sinonimie sono state ricavate dagli autori precedentemente citati e si fa riferimento solo allelenco delle specie organizzato in
famiglie, non ad altri ranghi tassonomici.
Lelenco delle specie e dei relativi siti di raccolta sono stati ricavati da Vicidomini
(1999) per gli Apoidei, Sfecidi esclusi, da Baroni-Urbani (1971) per i Formicidi; per gli
Sfecidi le citazioni bibliografiche vengono invece espressamente riportate per ogni specie.
APOIDEA E FORMICIDAE (HYMENOPTERA: INSECTA) DEL PARCO NAZIONALE DEL VESUVIO ED AREE LIMITROFE
133
APOIDEA
FAMIGLIA
Genere
Specie
Siti di raccolta
ANDRENIDAE
Andrena Fabricius, 1775 A. agilissima (Scopoli, 1770)
A. bicolor Fabricius, 1775
A. bisulcata Morawitz, 1878
A. cinerea Brull, 1832
A. creberrima Prez, 1895
A. dorsata (Kirby, 1802)
A. flavipes Panzer, 1799
A. fulvitarsis Brull, 1832
A. fuscosa Erichson, 1835
A. hesperia Smith, 1853
A. nigroaenea (Kirby, 1802)
A. ovatula (Kirby, 1802)
A. schmiedeknechti Magretti, 1883
A. spreta Prez, 1895
A. tibialis (Kirby, 1802)
A. vulpecula Kriechbaumer, 1873
A. wilkella (Kirby, 1802)
Panurgus Panzer, 1806 P. calcaratus (Scopoli, 1763)
Portici
Portici
Saviano
Portici
Portici
Portici
Portici, Saviano
Portici
Portici, Torre del Greco
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
APIDAE
Amegilla Friese, 1897 A. albigena (Lepeletier, 1841)
A. garrula (Rossi, 1790)
A. savigny (Lepeletier, 1841)
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
Monte Nuovo, Portici
Portici
Portici
ubiquitaria
Portici
Portici, Resina
Portici
Portici
Vesuvio, Portici
Portici
Portici, Resina, Torre del Greco
Boscoreale, Boscotrecase,
Cicciano, Portici, S. Anastasia,
Torre Annunziata,
Torre del Greco
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
ELENCO
134
SALVATORE VICIDOMINI
APOIDEA
FAMIGLIA
Genere
Specie
Siti di raccolta
Portici
Portici, Resina
Vesuvio
APIDAE
Portici
Portici
Palma C., S. Gennaro, Portici
Vesuvio, Portici,
Somma Vesuviana
COLLETIDAE
Colletes Latreille, 1802 C. dimidiatus Brull, 1840
C. succinctus (L., 1758)
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
HALICTIIDAE
Halictus Latreille, 1804 H. asperulus Prez, 1895
H. fulvipes (Klug, 1817)
H. scabiosae (Rossi, 1790)
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici, Torre del Greco
MEGACHILIDAE
ELENCO
Portici
Portici
Portici
Portici
APOIDEA E FORMICIDAE (HYMENOPTERA: INSECTA) DEL PARCO NAZIONALE DEL VESUVIO ED AREE LIMITROFE
135
APOIDEA
FAMIGLIA
Genere
Specie
Siti di raccolta
MEGACHILIDAE
Osmia Panzer, 1806 O. cornuta (Latreille, 1805)
O. fulviventris (Panzer, 1798)
Rhodanthidium Isensee, 1927 R. septemdentatum (Latreille, 1809)
Portici
Portici
Portici
SPHECIDAE
Cerceris Latreille, 1802 C. arenaria (L., 1758)
C. sabulosa (Panzer, 1799)
Spilomena Shuckard, 1838 S. mocsaryi Kohl, 1898
Tachysphex Kohl, 1883 T. coriaceus (Costa, 1867)
FAMIGLIA
Genere
Specie
Siti di raccolta
Portici
Portici
Pompei
Pompei, Portici
Portici
Portici
Portici
Pompei, Portici
Portici
Portici
Bellavista, Portici
Portici
Portici
Portici
Pompei, Portici
Pompei, Portici
Portici
Portici, Vesuvio
Valle di San Rocco
Portici, Vesuvio
ELENCO
ELENCO
FORMICIDAE
136
SALVATORE VICIDOMINI
FAMIGLIA
Genere
Specie
Siti di raccolta
Portici
Portici
FORMICIDAE
Plagiolepis Mayr, 1861
ELENCO
DISCUSSIONE
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
Portici
IIn base alle informazioni bibliografiche disponibili si evince subito una notevole
carenza di dati faunistici riguardanti gli Apoidei del Parco Nazionale del Vesuvio e zone
limitrofe, sia rispetto allintero territorio nazionale che campano, poich non risultano
segnalate numerosissime specie ed un discreto numero di generi, n alcuna specie della
famiglia Melittidi (Pagliano, 1990, 1994; Vicidomini, 1999). Gli Sfecidi sono certamente il gruppo in cui la carenza di dati faunistici pi evidente in quanto a fronte di oltre
40 generi segnalati per la Campania solo tre sono segnalati nell'area vesuviana (Pagliano,
1990; Vicidomini, in preparazione). Anche per i Formicidi i taxa elencati per larea vesuviana denotano una notevole sottostima rispetto alla mirmecofauna italiana e campana
(Vicidomini, 2000). Le specie raccolte sul Vesuvio o in siti strettamente interni al Parco
Nazionale sono le seguenti: Anthophora crinipes, Aphaenogaster campana, Bombus ruderatus, Cerceris arenaria, Cerceris sabulosa, Melecta punctata, Myrmica sabuleti, Pheidole pallidula, Xylocopa violacea.
Appare evidente quindi, da un lato la carenza di dati bibliografici riguardanti il popolamento imenotterologico della Campania e dellarea vesuviana e dallaltro la necessit di
un incremento delle conoscenze a riguardo in modo tale da ottenere una visione pi realistica delleffettivo patrimonio della entomofauna dellItalia meridionale, certamente sottostimata. Lincremento dei dati imenotterologici pu essere conseguito tramite tre linee:
a) proseguire il programma di restauro e revisione delle collezioni entomologiche del
Museo di Zoologia di Napoli, analogamente a quanto stato fatto per il Dipartimento di
Entomologia e Zoologia di Portici (Scaramella et al., 1983);
b) avviare ricerche faunistiche sul territorio da realizzare in collaborazione con i parchi
nazionali e regionali della Campania;
c) recuperare e riunire i dati faunistici relativi alla Campania contenuti in altri musei ed
istituti universitari italiani.
Nel Dipartimento di Entomologia e Zoologia agraria di Portici si proceduto solo
alla determinazione degli Apoidei non Sfecidi, ma restano ancora da classificare Formicidi e Sfecidi.
APOIDEA E FORMICIDAE (HYMENOPTERA: INSECTA) DEL PARCO NAZIONALE DEL VESUVIO ED AREE LIMITROFE
137
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BIBLIOGRAFIA
139
E-mail: guarino@dgbm.unina.it
RIASSUNTO
SUMMARY
N
Nel corso degli anni 1998-99 sono state condotte indagini faunistiche di campo sulle
popolazioni di anfibi e rettili del Parco Nazionale del Vesuvio. Il monitoraggio degli anfibi
stato effettuato rilevando i siti di riproduzione nellarea del Parco. Il monitoraggio dei rettili stato effettuato mediante escursioni periodiche lungo i principali sentieri e stradelli
vesuviani. Sono stati esplorati vari siti campione per ogni fascia altitudinale, coprendo
anche le diverse tipologie vegetazionali presenti nellarea. Mediante contemporanee ricerche archivistiche, bibliografiche e museologiche stata delineata la storia dei popolamenti
erpetologici vesuviani allo scopo di effettuare confronti con i dati faunistici attuali. Nel presente lavoro si riportano i dati preliminari delle ricerche svolte.
Nellarea del Parco sono state da noi rilevate direttamente due specie di Anfibi (Bufo
viridis, Rana esculenta) ed otto specie di Rettili (Tarentola mauritanica, Hemidactylus turcicus, Podarcis sicula, Chalcides ocellatus, Coluber viridiflavus, Elaphe longissima, Elaphe quatuorlineata, Vipera aspis). Salamandrina terdigitata, Triturus italicus, Bufo bufo, Rana dalmatina, Rana italica, Hyla intermedia tra gli Anfibi, e Lacerta bilineata, Podarcis muralis, Anguis
fragilis, Natrix natrix tra i Rettili, sono state segnalate prima del 1990, ma non pi confermate nellarea del Parco. La presenza di Bufo bufo considerata accidentale.
Nonostante si sia impoverita di specie rispetto al passato, lerpetofauna del Vesuvio
riveste una grande importanza soprattutto per i rettili che negli ambienti naturali del Parco
trovano condizioni ideali per riprodursi. Il Vesuvio rappresenta quindi unarea fondamentale per la conservazione dei rettili della Campania. Per quanto riguarda gli anfibi, degna di
nota la diffusione del B. viridis, scarsamente rilevato in altre aree della Campania.
PAROLE
KEY
CHIAVE:
WORDS: Amphibians,
140
INTRODUZIONE
METODOLOGIE DI RICERCA
II dati sono stati raccolti seguendo tre diverse metodologie di ricerca. stata innanzitutto intrapresa unindagine storica archivistica e bibliografica al fine di tracciare un quadro esaustivo della bibliografia erpetologica vesuviana; successivamente stata condotta
unaccurata indagine zoologica museologica. Parallelamente stato condotto uno studio
di campo effettuando numerose missioni in tutte le aree sia del Parco che circostanti
(circa 210 km quadrati), al fine di raccogliere dati faunistici aggiornati e soprattutto di
effettuare un confronto con i dati bibliografici e museali.
Molti atlanti erpetologici separano i dati antecedenti al 1980, considerati storici, dai
successivi, considerati attuali (cfr. Mazzotti et al., 1999). Nel nostro caso abbiamo scelto
141
TABELLA 1
COD. COMUNE
ALT.
AMB.
a1
S. Sebastiano al Vesuvio
225-300
coltivi ed incolti
a2
S. Sebastiano al Vesuvio
300
incolti
b1
Massa di Somma
215
incolti
c1
Pollena Trocchia
260
U, A
c2
Pollena Trocchia
530-580
c3
Pollena Trocchia
734
c4
Pollena Trocchia
200-330
d1
S. Anastasia
270
U, A
d2
S. Anastasia
200
d3
S. Anastasia
100-350
F, A
d4
S. Anastasia
340
d5
S. Anastasia
360
F, A
d6
S. Anastasia
370
U, F
F
F, U
F
d7
S. Anastasia
160
d8
S. Anastasia
130
coltivi
d9
S. Anastasia
110
coltivi
d10
S. Anastasia
123
STAZIONI
DI RILEVAMENTO DELLERPETOFAUNA
COD.: codice attribuito alla stazione di rilevamento che per motivi conservazionistici stata
omessa; ALT.: altitudine, espressa in metri s.l.m.;
nel caso di transetti stato riportato un intervallo altitudinale. AMB.: ambienti, suddivisi in
forestali (F), umidi (U), di alta quota (V), antropici (A). Diverse stazioni allinterno di habitat
omogenei sono state raggruppate in ununica
riga, anche se ricadenti in quadranti differenti.
142
TABELLA 1
COD. COMUNE
STAZIONI
DI RILEVAMENTO DELLERPETOFAUNA
COD.: codice attribuito alla stazione di rilevamento che per motivi conservazionistici stata
omessa; ALT.: altitudine, espressa in metri s.l.m.;
nel caso di transetti stato riportato un intervallo altitudinale. AMB.: ambienti, suddivisi in
forestali (F), umidi (U), di alta quota (V), antropici (A). Diverse stazioni allinterno di habitat
omogenei sono state raggruppate in ununica
riga, anche se ricadenti in quadranti differenti.
ALT.
AMB.
200
vecchia cava
200-230
e3
Somma Vesuviana
280
U, A
e4
Somma Vesuviana
268
e5
Somma Vesuviana
500
e6
Somma Vesuviana
830
e7
Somma Vesuviana
1030
e8
Somma Vesuviana
220-320
bosco misto
e9
Somma Vesuviana
150
coltivi
e10
Somma Vesuviana
120
coltivi
e11
Somma Vesuviana
111
coltivi
f1
Ottaviano
220
rudere
f2
Ottaviano
225-250
f3
Ottaviano
280
f4
Ottaviano
290
rudere
f5
Ottaviano
400
f6
Ottaviano
750
f7-f9 Ottaviano
130-580
f10
Ottaviano
650-1000
f11
Ottaviano
475
bosco misto
g1
S. Giuseppe Vesuviano
150-210
coltivi
h1
Terzigno
66
U, A
h2
Terzigno
75
U, A
pozza temporanea
h3-h4 Terzigno
100-170
U, A
Terzigno
300
U, A
d11
h5
S. Anastasia
U, A
143
TABELLA 1
COD. COMUNE
ALT.
AMB.
Terzigno
72
h7-h8 Terzigno
50-60
Terzigno
160-190
cava di pietra
h10-h13 Terzigno
90-180
coltivi (4 stazioni)
130-230
cave
h6
h9
j1
Boscotrecase
k1
Boscoreale
m1
80
U, A
Trecase
550
m2
Trecase
700
m3
Trecase
70-440
n1
Pompei
20
ruderi in tufo
n2-n3 Pompei
15-38
p1
35
F, A
p2
40
350-680
70-250
p10
15
F, A
p11
80
F, A
p12
60
F, A
p13
110
F, A
p14
208
p15
50
centro abitato
q1
Ercolano
U, A
pozza allagata
q2-q10 Ercolano
150-750
q11
Ercolano
1244
r1-r2
Portici
20
A, F
mura (2 stazioni)
r3
Portici
70
A, F
STAZIONI
DI RILEVAMENTO DELLERPETOFAUNA
COD.: codice attribuito alla stazione di rilevamento che per motivi conservazionistici stata
omessa; ALT.: altitudine, espressa in metri s.l.m.;
nel caso di transetti stato riportato un intervallo altitudinale. AMB.: ambienti, suddivisi in
forestali (F), umidi (U), di alta quota (V), antropici (A). Diverse stazioni allinterno di habitat
omogenei sono state raggruppate in ununica
riga, anche se ricadenti in quadranti differenti.
144
Manoscritti e documenti inediti sono stati consultati nelle biblioteche delle seguenti
istituzioni napoletane: Dipartimento di Zoologia, Dipartimento di Biologia Evolutiva e
Comparata, Accademia delle Scienze Matematiche e Fisiche, Accademia Pontaniana,
Stazione Zoologica Anton Dohrn, Emeroteca Tucci, Club Alpino Italiano. Sono stati
consultati anche i fondi conservati nelle seguenti istituzioni: Archivio di Stato, archivio
del Museo Zoologico, Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III, Biblioteca Universitaria, Archivio Storico dellUniversit di Napoli. stato infine consultato il database
erpetologico informatizzato della Societas Herpetologica Italica. Tale ricerca ha completato
un precedente lavoro che forniva un provvisorio quadro sintetico delle informazioni
bibliografiche (Picariello et al., 1999).
RICERCA MUSEOLOGICA
Le ricerche museali sono state eseguite esaminando tutti i cataloghi delle collezioni
erpetologiche conservate presso le seguenti istituzioni: Museo Zoologico, Sezione di
Zoologia del Centro Musei delle Scienze Naturali dellUniversit di Napoli Federico II,
Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino, Museo Zoologico de La Specola dellUniversit di Firenze, Museo Civico di Storia Naturale di Milano, Museo di Storia
Naturale di Basilea, Museo di Storia Naturale e del Territorio dellUniversit di Pisa,
Museo del Dipartimento di Entomologia e Zoologia Agraria dellUniversit Federico II
in Portici, Museo Naturalistico degli Alburni di Corleto Monforte, Antiquarium Nazionale di Boscoreale. Sono state esaminate anche le seguenti raccolte erpetologiche: collezione Domenico Capolongo, collezione del Corpo Forestale dello Stato di Trecase, collezione Paolo Annunziata, collezione Luciano Dinardo, collezione Orfeo Picariello.
Tutti i quadranti UTM di 1 km2 nei confini del Parco sono stati monitorati almeno una
volta nel corso della presente ricerca.
RICERCA DI CAMPO
Il rilevamento diretto degli anfibi stato effettuato monitorando i siti di riproduzione di questi vertebrati nellarea del Parco. Durante lo studio sono state visitate sorgenti,
pozze temporanee o artificiali situate in discariche o in cave (abbandonate o ancora attive), fontane, canali e pozzi di irrigazione, abbeveratoi. Le visite ai siti, cominciate nellottobre del 1998, sono state concentrate soprattutto da febbraio a giugno dellanno successivo, periodo che corrisponde alla stagione riproduttiva della maggior parte degli anfibi della nostra regione (Caputo et al., 1992; Caputo et al., 1993; Caputo & Guarino,
1993; Guarino et al., 1993; Picariello et al., 1993a; Picariello & Laudadio, 1998).
Il rilevamento diretto dei rettili stato effettuato mediante escursioni periodiche,
soprattutto da aprile ad ottobre del 1999, lungo i principali sentieri e stradelli vesuviani.
Sono stati esplorati vari siti campione per ogni tipologia vegetazionale presente nellarea e per differenti fasce altitudinali. Per ogni stazione di rilevamento stata descritta
la vegetazione ed il tipo di biotopo. La categorizzazione dei biotopi seguita la stessa di
quella utilizzata da altri autori in recenti studi di faunistica erpetologica e prevede la suddivisione degli ambienti in: forestali (F), umidi (U), di alta quota (V), antropici (A)
(Mazzotti et al., 1999). Sono stati inoltre registrati alcuni parametri microclimatici, quali
temperatura dellaria, temperatura dellacqua e umidit relativa. Per la flora del Parco si
invece fatto riferimento a Ricciardi et al. (1986).
Si sempre provveduto allidentificazione delle specie previa cattura, a mano o (nel
caso degli anfibi) con retini telescopici, adottando tutte le precauzioni necessarie a minimizzare il disturbo agli animali. Successivamente allidentificazione e ad alcune annotazioni riguardanti la taglia, lo stadio, il sesso e la condizione riproduttiva, tutti gli animali
sono stati rilasciati nello stesso luogo di cattura. Anche gli individui occasionalmente trovati morti nelle stazioni di rilevamento sono stati da noi utilizzati per il monitoraggio
145
erpetologico: i resti delle carcasse sono stati recuperati e conservati in alcol 70%.
Nella ricerca faunistica di campo sono state incluse le segnalazioni raccolte dagli autori durante occasionali escursioni nellarea del Parco nel corso degli anni 1991-1997.
Non stato possibile compiere missioni notturne alla ricerca di anfibi e rettili a causa
dellespresso divieto del Corpo Forestale dello Stato per scopi di sicurezza. Per questo
motivo non abbiamo potuto registrare i canti damore degli anfibi e segnalare la presenza notturna di Gecconidi e di giovani Colubridi.
Nellarea del Parco sono state da noi rilevate direttamente due specie di Anfibi (Bufo
N
RISULTATI
CLASSE AMPHIBIA
viridis, Rana esculenta). La presenza di altre sei specie (Salamandrina terdigitata, Triturus
italicus, Bufo bufo, Rana dalmatina, Rana italica, Hyla intermedia) nota solo attraverso
dati bibliografici e museologici.
SPECIE SEGNALATE PRIMA DEL 1990
E NON CONFERMATE
Questa piccola salamandra endemica degli Appennini stata descritta come specie
nuova per la scienza (Salamandra ter-digitata) per la prima volta dallo zoologo francese Lacpde esaminando un esemplare morto proveniente proprio dal Vesuvio (Lanza,
1988). Il Lacpde (1788, 1825), infatti, afferma testualmente:
Noi abbiamo identificato una nuova specie di salamandra, sinora mai descritta da nessun
autore, che risulta facilmente distinguibile dalle altre specie mediante diversi caratteri diagnostici. A differenza delle altre specie di salamandre lunica che possiede costole ben visibili sul
dorso; i suoi arti anteriori sono provvisti solo di tre dita mentre i posteriori ne hanno quattro; la
testa appiattita e arrotondata; la coda sottile, pi lunga della testa e del tronco e lanimale la
arrotola facilmente. Al Conte di Mailli, Marchese di Nesle, va il merito di aver trovato un individuo di questa nuova specie di salamandra sul cratere del Vesuvio, nei pressi delle lave ardenti
vomitate da questo vulcano. Il vulcano un sito insolito per una salamandra, ma questo ritrovamento confermerebbe la tesi secondo cui le salamandre sarebbero dotate del potere di resistere
alle fiamme: noi invece riteniamo che alcune circostanze particolari hanno trascinato lindividuo
ritrovato dal Marchese di Nesle nei pressi delle lave del Vesuvio; lardore delle fiamme avrebbe
sicuramente bruciato la salamandra a tre dita se essa non fosse stata catturata prima di essere bruciata dalla lava. Nonostante ci, la prolungata esposizione al calore ha prodotto minor danno a
questa salamandra rispetto a tutte le altre specie di quadrupedi ovipari che vivono nelle zone torride. Il Marchese di Nesle ci ha reso omaggio di questa salamandra a tre dita che egli stesso ha
raccolto sul Vesuvio e noi cogliamo questa occasione per testimoniargli la nostra riconoscenza per
i servizi che egli rende quotidianamente alla storia naturale. Lindividuo portato dallItalia da
questo illustre appassionato di un colore bruno fum con tracce di rosso sulla testa, sui piedi,
sulla coda e sulle parti inferiori del corpo. Lesemplare si disseccato al tal punto che si possono
contare facilmente le vertebre e le costole sotto pelle [...].
G. Negri nellestate del 1902 rinvenne due esemplari nei ciuffi di muschi acquatici dei boschi di Quisisana, Castellammare di Stabia, (Patroni, 1903), uno dei quali
ancora oggi conservato nel Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino (Elter,
1981; Gavetti & Andreone, 1993).
Nel corso della nostra ricerca non abbiamo riscontrato la presenza di tale specie nel
Parco, non essendo state rilevate uova, n larve, n individui adulti nei pochi luoghi
umidi potenzialmente idonei, come ad esempio le sorgenti ed i valloni del Monte
Somma. Vale la pena ricordare che la salamandrina stata segnalata in anni recenti in
zone circostanti (Vallone delle Ferriere, Amalfi, Monti Lattari) (Caputo et al., 1986;
Caputo & Guarino, 1992).
Salamandrina terdigitata
(Lacpde, 1788)
salamandrina dagli occhiali
Caudata, Salamandridae
146
stato osservato da Dinardo (1990) nel lagno di S. Maria del Pozzo, in localit Masseria Allocca (Somma Vesuviana) il 28 marzo 1978 a quota 72 m. Lo stesso autore ha
osservato esemplari di tritone italico anche nei canali intorno alla vasca di Starza della
Regina (Somma Vesuviana) fino agli anni 80. Nel museo del Dipartimento di Entomologia e Zoologia di Agraria di Portici conservato un esemplare prelevato l11 novembre 1936 a Schito, frazione di Castellammare di Stabia.
Nel corso delle nostre recenti ricerche in tutto il territorio del Parco non sono state
rilevate ovature, larve, neometamorfosati, n individui adulti.
Ricciardi (com. pers.) osserv diversi esemplari di questa specie nel 1948 sui Camaldoli di Torre del Greco e nelle aree limitrofe. Dinardo (1990) lo considerava diffuso sul
Vesuvio, nelle zone di vegetazione pioniera e nei boschi: a titolo di esempio si riporta la
sua segnalazione di campo del 24 ottobre 1978 nel Vallone di Castello (Somma Vesuviana), a quota 650 m. Alcuni naturalisti hanno segnalato la presenza del rospo comune
sul Somma-Vesuvio (Fraissinet, 1990; Ricciardi et al., 1996; Di Fusco & Di Caterina,
1998; Ardito, 1998, 1999).
Nel luglio 1995 Moschetti (com. pers.) ne ha osservato un esemplare schiacciato su
di una strada interna del Parco Gussone di Portici. Un esemplare adulto stato osservato nel Comune di Ercolano, una sera dottobre 1997 (G. Muriello, com. pers.)
Nel corso delle nostre recenti ricerche in tutto il territorio del Parco non sono state
rilevate ovature, girini, neometamorfosati e neppure individui adulti.
stata osservata da Dinardo (1990) il 15 aprile 1978 nel Vallone del Cancherone
(Somma Vesuviana), a 420 m, dove sino agli anni 80 esisteva una sorgente che alimentava uno stagno, nel quale furono anche osservati Hyla intermedia e Bufo viridis. Nel mese
di aprile 1999 lo stagno risultava scomparso a causa del prosciugamento della sorgente:
non sono state quindi rilevate tracce della presenza di nessuna delle tre specie.
Era presente negli anni settanta nei Valloni di Castello, del Cancherone e del Murello: in questultima stazione stata segnalata il 20 giugno 1978 a quota 150 m. (Dinardo,
1990). Nel corso dei nostri recenti sopralluoghi nei Valloni del Monte Somma, oltre che
in diverse altre localit del Parco, non stata rilevata la presenza di detta specie.
stata segnalata nei pressi delle sorgenti dellOlivella il 28 aprile 1975 e in localit Fossa
della Neve, a 350 m, il 28 marzo 1978 (Dinardo, 1990).
Sin dagli anni 70 la presenza del rospo smeraldino stata documentata sul versante
settentrionale del Monte Somma, come ad esempio a Somma Vesuviana nel 1978 e nel
1980 (Dinardo, 1990) (cfr. Tab. 2). DAniello & Masucci (1998) riportano un sito riproduttivo ubicato nel Comune di S. Gennaro Vesuviano, nei pressi dei confini del Parco.
Attualmente lo stagno stato recintato con un muro in calcestruzzo, per cui i rospi
non possono raggiungere il sito per riprodursi.
Il rospo smeraldino attualmente diffuso nei versanti orientale, settentrionale ed
occidentale del Somma-Vesuvio. Numerosi siti riproduttivi sono stati osservati durante
la primavera del 1999 nei comuni di Terzigno, Ottaviano, Somma Vesuviana e Pollena
Trocchia. Attualmente non ci risulta presente sul versante meridionale (Fig. 1).
147
TABELLA 2
ST.
DATA
1914
05-08-1978
05-08-1980
1990
1997
agosto 1998
h2
09-04-1999
h4
09-04-1999
h5
09-04-1999
c1
15-04-1999
U, A
e3
29-04-1999
G, A
h1
29-04-1999
f2
30-04-1999
h1
21-05-1999
G, J
h3
21-05-1999
f2
23-07-1999
h1
23-07-1999
h4
23-07-1999
N, A
,5
d10
07-04-2000
U, A
(in vocalizzazione) 1
d11
07-04-2000
U, G, A uova; girini; 1
e3
U, G, A 2
in una peschera
,6
BUFO
, 2 neometamorfosati
, 2 ovature
VIRIDIS:
DATI FAUNISTICI STORICI E DI CAMPO
St.: stazione di studio; S: dato storico (bibliografico o museale) antecedente al 1990; V: dato
proveniente da varie fonti rilevato a partire dal
1990; RMZ: Real Museo Zoologico
dellUniversit degli Studi di Napoli;
Cat.: Catalogo; es.: esemplare; oss.: osservato/i;
A: adulto; U: uova; G: girino;
N: neometamorfosato; J: giovane.
148
FIGURA 1
Figura 1
Distribuzione nellarea vesuviana
del rospo smeraldino (Bufo viridis).
Sulla cartina mostrato il reticolato UTM
con maglie di un chilometro.
In grigio scuro indicata la zona 1,
in grigio chiaro la zona 2 del Parco.
: osservazioni dal 1990 in poi
: osservazioni precedenti il 1990
gere lacqua dove ogni femmina depone alcune migliaia di uova in lunghi cordoni gelatinosi. Il rinvenimento in data 9 aprile 1999, in una pozza temporanea nella stazione h5
(Terzigno) di ovature e di girini privi di arti ci ha permesso di far risalire la data delle
prime deposizioni alla seconda met di marzo.
Come si verifica in altre regioni italiane le popolazioni vesuviane di B. viridis concentrano lo sforzo riproduttivo in pochi giorni, in concomitanza con i primi sensibili rialzi
della temperatura ambientale e le prime abbondanti piogge primaverili, quando si formano le pozze. Molte femmine muoiono durante il periodo riproduttivo mentre quelle
che sopravvivono abbandonano precocemente il sito a differenza dei maschi che vi si trattengono pi a lungo.
Lo sviluppo dei girini di norma breve: infatti gi a met maggio (cio a distanza di
circa due mesi dalla deposizione) si osservano i primi neometamorfosati, che abbandonano subito la pozza per rifugiarsi nella macchia circostante. Il 21 maggio 1999 ad es. alcuni neometamorfosati e numerosissimi girini in diversi stadi di sviluppo sono stati osservati nella stazione h1; nella stessa pozza, a fine luglio, erano gi tutti metamorfosati.
Se i tempi di sviluppo tendono a prolungarsi (cfr. stazione f2 in Tab. 1) la maggior
parte dei girini muore dal momento che le pozze temporanee in cui si trovano vanno
incontro a prosciugamento nei mesi estivi.
Rana esculenta complex L. 1758
rana verde minore (Anura, Ranidae)
La presenza di rane verdi nellarea vesuviana testimoniata da osservazioni effettuate negli anni 1980-81 nel Vallone del Murello (Somma Vesuviana) e in localit Fossa
149
della Neve (Ottaviano) (Dinardo, com. pers.). La sua presenza nellAgro Nocerino-Sarnese documentata dai girini conservati nel museo del Dipartimento di Entomologia e
Zoologia di Agraria di Portici, prelevati a Poggiomarino il 29 giugno 1908.
Attualmente la specie stata rinvenuta in sole tre stazioni: una pozza allagata, a livello del mare, alimentata da sorgenti sotterranee, nella stazione q1 (Tab. 1) di Ercolano
(2/3/1999 e 22/6/1999); una vasca artificiale nel Comune di Boscoreale (stazione k1) sita
a 80 m (1/4/1999) e una pozza nella stazione h5 nel comune di Terzigno a 300 m
(12/7/1998). Si tratta in tutti i casi di esemplari alloctoni introdotti: negli scavi di Ercolano sono stati immessi dal personale insieme ai rospi negli anni 80. Mentre i rospi sono
scomparsi, le rane si sono riprodotte ed acclimatate. Negli anni precedenti tale specie non
era mai stata segnalata nei tre suddetti siti.
Nella stazione di Ercolano la riproduzione ha luogo precocemente (marzo), forse a
causa dellelevata temperatura dellacqua (sino a 28C); in altre aree della Campania invece le rane verdi si riproducono di norma tra maggio e giugno. Le femmine di una stessa
popolazione di Rana esculenta complex possono mostrare una riproduzione bifasica, cio
possono deporre due volte nellarco di una stagione riproduttiva, con un breve periodo di
stasi dellattivit riproduttiva tra la prima e seconda ondata deposizionale. (Rastogi et al.,
1983). Negli scavi di Ercolano i primi neometamorfosati sono stati osservati alla fine di
giugno del 1999, insieme a maschi adulti in canto e numerosi girini in diversi stadi di sviluppo.
Nel Parco Nazionale del Vesuvio sono state da noi rilevate direttamente otto specie di
Rettili (Tarentola mauritanica, Hemidactylus turcicus, Chalcides ocellatus, Podarcis sicula,
Coluber viridiflavus, Elaphe longissima, Elaphe quatuorlineata, Vipera aspis). Altre quattro
specie (Lacerta bilineata, Podarcis muralis, Anguis fragilis, Natrix natrix) risultano note
solo in letteratura.
CLASSE REPTILIA
Un esemplare di ramarro catturato a Portici prima del 1940 conservato nel Museo
del Dipartimento di Entomologia e Zoologia Agraria di Portici. Un altro esemplare catturato a Castellammare di Stabia nel luglio 1914, conservato nel Museo Zoologico dellUniversit di Napoli. La specie stata in anni recenti segnalata nellarea vesuviana
(Cecio, 1983; Fraissinet, 1990; Di Fusco & Di Caterina, 1998; Ardito, 1998, 1999).
Nonostante sia stato ricercato nei pressi di tutti gli ambienti umidi del Parco, come ad es.
i valloni del Monte Somma, non stato mai rinvenuto.
Dinardo (1989b) ne segnala la presenza per il Vallone del Sacramento (S. Anastasia)
il 20 luglio 1978 a 382 m. La specie stata anche segnalata da Fraissinet (1990), Ricciardi
et al. (1996), e Di Fusco & Di Caterina (1998).
Un esemplare di questa specie stato osservato nel Lagno del Cavone, nei pressi di
S. Maria del Pozzo (Somma Vesuviana) il 28 giugno 1977 a 350 m (Dinardo, 1989b).
150
Tale specie ampiamente diffusa nellarea vesuviana, soprattutto nei centri abitati e
nelle aree agricole. stata rilevata prevalentemente nelle ore diurne in 18 stazioni (cfr.
Tab. 3) con un minimo altitudinale di 20 ed un massimo di 360 m. (Fig. 2). Gli ambienti in cui la tarantola muraiola stata osservata con maggiore frequenza sono: muretti a
secco, tetti delle case, fessure di abitazioni e ruderi. Nel periodo della ricerca sul campo
non abbiamo avuto la possibilit di raccogliere dati sullattivit riproduttiva delle popolazioni vesuviane della tarantola muraiola, ma studi condotti su altre popolazioni dellItalia
meridionale hanno evidenziato che tale specie pu deporre due volte lanno tra aprile e
giugno (Angelini et al., 1983; Picariello et al. 1989). Abbiamo inoltre osservato nelle
borre di strigiformi da noi raccolte la presenza di ossa attribuibili a Gecconidi di media
taglia.
Segnalazioni storiche di T. mauritanica per larea vesuviana risalgono alla prima met
dell800 con un esemplare di Pompei, conservato nel Museo Zoologico de La Specola
dellUniversit di Firenze e da sette esemplari presi a Portici, conservati nel Museo del
Dipartimento di Entomologia e Zoologia di Portici. Dinardo (1989b) ne riporta la presenza a Somma Vesuviana nel 1978 (cfr. Tab. 3).
FIGURA 2
Figura 2
Distribuzione nellarea vesuviana
del geco comune (Tarentola mauritanica).
Sulla cartina mostrato il reticolato UTM
con maglie di un chilometro.
In grigio scuro indicata la zona 1,
in grigio chiaro la zona 2 del Parco.
: osservazioni dal 1990 in poi
: osservazioni precedenti il 1990
151
TABELLA 3
ST.
DATA
sett. 1850
30-05-1978
1990-1991
1992
1997
n1
18-12-1997
1 es.
1998
d1
15-04-1999
A, J
q2
25-04-1999
2 es.
p2
06-05-1999
1 es.
r1
12-05-1999
1 es.
r3
12-05-1999
A, J
h3
21-05-1999
3 es.
f4
29-05-1999
5 es.
d2
11-06-1999
1 es. su muro
d7
25-11-1999
1 es. su muro
e2
18-06-1999
1 es.
h6
18-06-1999
1 es. morto
h8
18-06-1999
A, J
1 es.
n2
14-07-1999
1 es.
r3
20-07-1999
vari es.
p7
26-11-1999
1 es. mummificato
vari es.
TARENTOLA
MAURITANICA:
St.: stazione di studio; S: dato storico (bibliografico o museale) antecedente al 1990; V: dato
proveniente da varie fonti rilevato a partire dal
1990; MZF: Museo Zoologico de La Specola
dellUniversit degli Studi di Firenze;
MZP: Museo del Dipartimento di Entomologia e Zoologia Agraria dellUniversit degli
Studi di Napoli Federico II, Portici;
es.: esemplare; A: adulto; J: giovane.
152
indubbiamente il rettile pi diffuso e comune nellarea del Parco. Le prime informazioni sulla sua presenza risalgono al 1850 con un esemplare di Pompei conservato nel
Museo Zoologico de La Specola dellUniversit di Firenze e da due esemplari di
Boscotrecase del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino. Capolongo (com.
pers.) e Dinardo (1989a, 1989b) lhanno segnalata negli anni Settanta e Ottanta in
numerosi siti (cfr. Tab. 4). Da noi stata rinvenuta in tutti i tipi di ambienti e in tutte le
stazioni, dal livello del mare fino ai bordi del cratere (1244 m) (cfr. Fig. 3). La schiusa
delle uova nellarea vesuviana avviene per lo pi in agosto perch in settembre sono stati
trovati numerosi neonati, lunghi circa 7 cm.
Questa specie si caratterizza per il polimorfismo delle livree: nelle aree sommitali, prive
di vegetazione arborea, predominano esemplari melanotici, cio con livree grigie o marroni.
TABELLA 4
ST.
PODARCIS
SICULA:
ST.: stazione di studio; S: dato storico (bibliografico o museale) antecedente al 1990; V: dato
proveniente da varie fonti rilevato a partire
dal 1990; MRT: Museo Regionale di Scienze
Naturali di Torino; MZF: Museo Zoologico
de La Specola dellUniversit degli Studi
di Firenze; MNB: Museo di storia naturale di
Basilea; es.: esemplare; A: adulto; J: giovane.
DATA
sett. 1850
fine 800
1885
27-04-1964
giugno 1964
07-10-1972
07-10-1972
07-10-1972
07-10-1972
07-10-1972
07-10-1972
anni 80
25-08-1985
25-08-1985
1990-91
1992
10-06-1992
10-06-1992
153
TABELLA 4
ST.
DATA
1997
1998
18-12-1997
n1
20-02-1998
vari es.
m2
20-02-1998
vari es.
m3
27-08-1998
vari es.
d6
25-10-1998
A, J
vari es.
p11
26-10-1998
vari es.
p12
26-10-1998
vari es.
p13
26-10-1998
vari es.
d5
06-02-1999
vari es.
f4
06-02-1999
A, J
vari es.
f7
06-02-1999
A, J
vari es.
f8
06-02-1999
A, J
vari es.
f9
06-02-1999
A, J
vari es.
f10
06-02-1999
A, J
vari es.
g1
01-04-1999
vari es.
k1
09-04-1999
vari es.
h5
09-04-1999
vari es.
h10
09-04-1999
vari es.
h11
09-04-1999
vari es.
h12
09-04-1999
vari es.
h13
09-04-1999
vari es.
j1
09-04-1999
A, J
vari es.
h2
09-04-1999
A, J
vari es.
f5
09-04-1999
vari es.
e4
09-04-1999
vari es.
e8
15-04-1999
vari es.
c1
15-04-1999
vari es.
PODARCIS
SICULA:
154
TABELLA 4
PODARCIS
SICULA:
ST.
DATA
c2
15-04-1999
A, J
c3
15-04-1999
A, J
vari es.
c4
15-04-1999
vari es.
d1
15-04-1999
A, J
d6
15-04-1999
a1
25-04-1999
A, J
vari es.
a2
25-04-1999
A, J
vari es.
b1
25-04-1999
A, J
vari es.
n2
25-04-1999
vari es.
p1
25-04-1999
vari es.
p3
25-04-1999
A, J
vari es.
p4
25-04-1999
A, J
vari es.
p5
25-04-1999
A, J
vari es.
p6
25-04-1999
vari es.
p7
25-04-1999
vari es.
p8
25-04-1999
vari es.
p9
25-04-1999
vari es.
d3
29-04-1999
A, J
vari es.
d4
29-04-1999
vari es.
f2
30-04-1999
A, J
vari es.
p2
06-05-1999
vari es.
r1
12-05-1999
vari es.
r2
12-05-1999
vari es.
r3
12-05-1999
vari es.
h1
21-05-1999
vari es.
h2
21-05-1999
vari es.
p1
21-05-1999
A, J
vari es.
f1
29-05-1999
vari es.
f6
29-05-1999
A, J
vari es.
sotto tegole
1 es.
155
TABELLA 4
ST.
DATA
f11
29-05-1999
vari es.
p10
29-05-1999
vari es.
p11
29-05-1999
vari es.
p12
29-05-1999
vari es.
p13
29-05-1999
vari es.
d8
29-05-1999
vari es.
d9
29-05-1999
vari es.
e9
29-05-1999
vari es.
e10
29-05-1999
vari es.
e11
29-05-1999
vari es.
e5
03-06-1999
A, J
vari es.
e6
03-06-1999
A, J
vari es.
e7
03-06-1999
vari es.
d2
11-06-1999
1 es.
h6
18-06-1999
1 es.
h7
18-06-1999
1i es.
h8
18-06-1999
1 es.
h9
18-06-1999
vari es.
p2
22-06-1999
vari es.
e1
09-07-1999
vari es.
n2
14-07-1999
5 es.
h4
23-07-1999
1 es. morto
q1
24-07-1999
vari es.
q2
24-07-1999
vari es.
q3
24-07-1999
vari es.
q4
24-07-1999
vari es.
q5
24-07-1999
vari es.
q6
24-07-1999
vari es.
q7
24-07-1999
vari es.
PODARCIS
SICULA:
156
TABELLA 4
ST.
PODARCIS
SICULA:
DATA
q8
24-07-1999
vari es.
q9
24-07-1999
vari es.
q10
24-07-1999
vari es.
q11
24-07-1999
vari es.
f4
09-10-1999
vari es.
d7
25-11-1999
vari es.
p14
30-12-1999
1 es.
p15
30-12-1999
1 es.
FIGURA 3
Figura 3
Distribuzione nellarea vesuviana
della lucertola campestre (Podarcis sicula).
Sulla cartina mostrato il reticolato UTM
con maglie di un chilometro.
In grigio scuro indicata la zona 1,
in grigio chiaro la zona 2 del Parco.
: osservazioni dal 1990 in poi
: osservazioni precedenti il 1990
157
un sauro dal corpo tozzo e dalle zampe corte, la cui colorazione dorsale marrone
con caratteristici ocelli bianchi bordati di nero. Eccezionalmente pu raggiungere i 30 cm
di lunghezza, di cui circa la met spettano alla coda, tozza ma pi sottile rispetto al corpo.
La prima segnalazione del gngilo per larea vesuviana rappresentata da un esemplare tassidermizzato conservato nel Museo Zoologico di Napoli catturato da N. Tiberi
nel 1863 nellex Regio Bosco inferiore di Portici, nel viale cosiddetto della Regina. Da
questa data in poi, lanimale fu oggetto di interesse da parte di numerosi studiosi ed un
gran numero di esemplari furono prelevati e donati a diversi zoologi e musei italiani.
Monticelli riporta: [...] questo Scincoide stato di poi rinvenuto a pi riprese anche dal Prof.
Berlese della R. Scuola superiore di Agricoltura in Portici che ne possiede esemplari nella collezione zoologica della Scuola e ne ha inviate al Dr. Peracca di Torino. Anche il Museo dei Vertebrati
italiani in Firenze ne possiede esemplari raccolti in detta localit (Monticelli, 1902). [...] Finora
ne sono stati raccolti allincirca una trentina di esemplari dal giorno che ne ho avuto notizia, or sono
non molti anni, ne ho ricevuto di giovani ed adulti, e tra questi anche di femmine pregne che hanno
partorito in cattivit (Monticelli, 1914).
Ancora oggi, infatti, diversi musei italiani conservano complessivamente 16 esemplari catturati a Portici, oltre ai tre del Museo Zoologico di Napoli e precisamente: quattro
individui adulti, forse catturati dal Berlese, sono conservati nel Museo del Dipartimento
di Entomologia e Zoologia Agraria di Portici (Scaramella, 1985), due esemplari catturati nel 1868, donati da Peracca, si conservano nel Museo Regionale di Scienze Naturali di
Torino ed altri 7 esemplari con data 14 maggio 1891, donati da Monticelli e da Peracca, si
trovano nel Museo Zoologico de La Specola dellUniversit di Firenze. La specie, come
testimonia lo stesso Monticelli, si era dunque acclimatata: questanno [Berlese] ne ha avuti
parecchi esemplari, fra i quali una femmina gravida, ci che prova che il Gongylus ocellatus normalmente vive e si riproduce nellex R. Bosco di Portici (Monticelli, 1914). Tale affermazione avva-
lorata dai due neonati del luglio 1914 conservati in alcool nel Museo Zoologico di Napoli.
Nel corso di un secolo il gngilo si espanse dal parco inferiore (ex Bosco di Mascabruno, oggi Parco Urbano), al bosco superiore (oggi Parco Gussone). Monticelli (1914)
afferma: [...] ho potuto constatare, da esemplari arrecatimi o da me fatti ivi catturare, che anche
in altre localit del detto ex R. Bosco, non solo di quello inferiore (e precisamente nellagrumeto
che trovasi a ridosso del loggiato di destra della spianata del Granatello), ma anche di quello superiore, sono diventati endemici i Gongili. Pertanto nel Bosco superiore (ora Parco Gussone) questi
sono stati finora rinvenuti solo in quella parte estrema a destra del detto bosco, che trovasi allaltezza di Pugliano, dove havvi una depressione del suolo (Piano della vaccheria) ora adibita ad uso
di Orto didattico e sperimentale.
Forse per il prelievo eccessivo o forse per cause naturali, la specie ha avuto un rapido
declino nella seconda met di questo secolo. Moschetti & Walters (1992) affermano che
durante i numerosi rilevamenti faunistici condotti dal 1987 al 1991 il gngilo non stato
mai rinvenuto; Lanza & Corti (1993) affermano che da ritenersi estinto a Portici. Successivamente, per, questa specie stata segnalata nel Parco Gussone di Portici (cfr. stazione r3). Un individuo adulto, infatti, stato rinvenuto morto su di una strada allinterno di tale parco nel luglio del 1993. Nellestate dellanno successivo stato rinvenuto un
secondo individuo maschio adulto nella stessa stazione (Caputo et al., 1997).
Numerose ricerche condotte dagli autori nel 1998-99, durante il periodo di massima
attivit della specie (da maggio, stagione degli accoppiamenti, a luglio, periodo delle
nascite) hanno dato sinora esito negativo.
certamente il serpente pi diffuso nellarea vesuviana. Da noi stato segnalato in
nove stazioni, distribuite dai 70 m fino a 600 m (cfr. Tab. 5).
Altre segnalazioni antecedenti agli anni 90 provengono da reperti museali: quattro
158
esemplari catturati a Portici tra il 1925 e il 1940 sono conservati nel Museo del Dipartimento di Entomologia e Zoologia Agraria di Portici; due esemplari sono stati raccolti a S. Sebastiano al Vesuvio ed Ercolano da Capolongo nel 1972-73. Altri tre
esemplari sono stati ritrovati morti nel 1981 a Somma Vesuviana, S. Anastasia e nella
Valle dellInferno da Dinardo (1989a).
Nellarea vesuviana il biacco frequenta quasi tutti gli habitat, anche quelli antropizzati come aree agricole ed aree verdi urbane. Gli esemplari osservati nellarea del
Parco presentano tutti una colorazione dorsale nero brillante e quindi appartengono
alla sottospecie carbonarius.
Elaphe longissima (Laurenti, 1768)
saettone, colubro di Esculapio
Squamata, Colubridae
Il saettone stato da noi rinvenuto in due stazioni: il 20 giugno 1997 stato catturato un esemplare nei pressi della Strada Matrone di Trecase (Lenk, com. pers.). Un
secondo esemplare stato rinvenuto morto nella stazione d6 nel Comune di S. Anastasia, il 25 ottobre 1998. E. Kramer cattur un maschio adulto di saettone il 14 aprile 1964 sul Monte Somma a 500 m. Altre segnalazioni di E. longissima antecedenti a
quelle degli autori, risalgono rispettivamente al 21 e 27 ottobre 1972, e si riferiscono
ad una femmina e ad un maschio adulti rinvenuti sul Vesuvio nelle zone a macchia
mediterranea ai margini della pineta di S. Sebastiano al Vesuvio, conservati nella collezione D. Capolongo presso il Museo Zoologico di Firenze. Nel 1998 un esemplare stato fotografato ad Ercolano allinterno della Riserva Forestale Tirone-Alto
Vesuvio e Vallo Diano (Fraissinet, com. pers.).
I pochi dati riportati in letteratura sul saettone per larea studiata sono molto contrastanti in quanto Fraissinet (1990) ne considera dubbia la presenza, mentre Ardito
(1998, 1999) lo riporta genericamente presente nel Parco.
Tale specie presente in tutta larea vesuviana dove stata segnalata in sei diversi
siti ricadenti in un intervallo altitudinale compreso tra 100 e 380 m, da noi stata rinvenuta nella stazione d6 di S. Anastasia e lungo la Strada Matrone di Trecase (cfr. Tab.
6 e Fig. 4).
Nel comprensorio vesuviano la vipera frequenta gli ambienti pi vari ma sembra
prediligere quelli forestali. La maggior parte degli esemplari esaminati di un colore
tendenzialmente marrone bruno sul dorso con una serie di bande trasversali scure sia
unite che alternate. Sono inoltre stati rinvenuti anche esemplari melanotici. degna
di nota la segnalazione di un maschio adulto di circa 80 cm, catturato nelle campagne
di Ercolano, che rappresenta una delle maggiori lunghezze sinora accertate per questa
specie.
159
TABELLA 5
ST.
DATA
14-04-1964
27-04-1964
07-10-1972
25-08-1973
15-05-1976
maggio 1981
18-05-1981
15-10-1991
1991
1994
1995
1996
1997
1997
1997
1998
aprile 1998
febbraio 1999
09-06-1999
n3
07-04-1999
c2
15-04-1999
2 es. in cespugli
h1
21-05-1999
f4
01-06-1999
m1
01-06-1999
A, J
p4
01-06-1999
A, J
1 es.
r3
20-07-1999
2 esuvie
f4
09-10-1999
1 esuvia e 1 es.
e1
in accoppiamento
COLUBER
VIRIDIFLAVUS:
St.: stazione di studio; S: dato storico (bibliografico o museale) antecedente al 1990; V: dato
proveniente da varie fonti rilevato a partire dal
1990; MZP: Museo del Dipartimento di Entomologia e Zoologia Agraria dellUniversit
degli Studi di Napoli Federico II, Portici;
MZF: Museo Zoologico de La Specola dellUniversit degli Studi di Firenze;
MNB: Museo di Storia Naturale di Basilea;
es.: esemplare; oss.: osservato/i;
A: adulto; J: giovane.
160
FIGURA 4
Figura 4
Distribuzione nellarea vesuviana
della vipera comune (Vipera aspis).
Sulla cartina mostrato il reticolato UTM
con maglie di un chilometro.
In grigio scuro indicata la zona 1,
in grigio chiaro la zona 2 del Parco.
: osservazioni dal 1990 in poi
: osservazioni precedenti il 1990
DISCUSSIONE
ANFIBI
C
Confrontando i dati bibliografici e museologici con i risultati delle nostre ricerche di
campo si evince che il numero di specie di Anfibi dellarea vesuviana era maggiore nel
passato. Tenendo in considerazione linfondatezza delle segnalazioni di due specie (S. terdigitata e R. italica) nella seconda met del Novecento almeno quattro specie di Anfibi,
T. italicus, B. bufo, R. dalmatina e H. intermedia, si sono probabilmente estinte sul Vesuvio. Le cause di tale scomparsa sono molteplici e legate innanzitutto allurbanizzazione
dellarea pedemontana, allinaridimento del territorio e alla sistematica distruzione dei
principali siti riproduttivi.
Il complesso Somma-Vesuvio da sempre povero di risorse idriche superficiali per cui
ovvio che poche specie di anfibi sono presenti rispetto alle circostanti aree appenniniche, ma la rarefazione degli anfibi del Parco essenzialmente un fenomeno recente e
ancora in atto. Nel corso della nostra ricerca di campo sui siti riproduttivi di anfibi,
durante tutto lanno 1999, abbiamo perlustrato con cadenza bisettimanale molti valloni
sia dellarea sommana che costiera. Nonostante le abbondanti e prolungate precipitazioni verificatesi nel corso della primavera del 1999, lacqua di ruscellamento non mai
ristagnata nelle piccole pozze sul fondo dei valloni, anche a quote relativamente basse,
impedendo di fatto la riproduzione degli anfibi in tali siti.
Le piccole zone umide che costellano i pendii vesuviani vengono alimentate solo dalla
161
TABELLA 6
ST.
DATA
1920
14-04-1964
1964
1970
04-06-1972
1 es., LT= 54 cm, Torre del Greco, baracche forestali, macchia mediterranea e pineta, 600 m (D. Capolongo legit)
15-06-1972
10-10-1972
25-03-1973
1 es., sorgenti dellOlivella, Vallone del Sacramento, S. Anastasia, collezione L. Dinardo, 382 m (Dinardo, 1989a)
16-06-1982
1997
1997
inizio anni 90
d6
25-10-1998
m1
24-05-1999
A, J
VIPERA
ASPIS:
St.: stazione di studio; S: dato storico (bibliografico o museale) antecedente al 1990; V: dato
proveniente da varie fonti rilevato a partire dal
1990; RMZ: Real Museo Zoologico dellUniversit degli Studi di Napoli; MNB: Museo di
Storia Naturale di Basilea; Cat.: Catalogo; es.:
esemplare; A: adulto; J: giovane; LT: lunghezza
totale; LAC: lunghezza apice muso-cloaca; LC:
lunghezza coda; SD: numero squame dorsali;
SV: numero squame ventrali;
SC: numero squame caudali.
162
163
La prima descrizione valida ai fini nomenclaturali quella del Lacpde. Riteniamo che la provenienza vesuviana dellesemplare non sia attendibile, in quanto
non pu essere stato rinvenuto sul cratere del Vesuvio, n tanto meno sulle lave
ardenti, come riportato dal Marchese di Nesle. Lo stesso Lacpde dubita della provenienza dellanimale oltre che di altre affermazioni del nobile, sia pur con il dovuto rispetto ad un esponente di rango cos elevato; piuttosto sembra probabile che tale
esemplare possa essere stato trovato in zone dove ancora oggi presente, come i
Monti Lattari, il Faito o la Penisola Sorrentina (Caputo et al., 1986).
Anche per i Rettili, il confronto tra i dati bibliografici e museologici e quelli da noi
raccolti direttamente sul campo denota un impoverimento in anni recenti del numero di
specie presenti nellarea del Parco. In particolare, allo stato attuale non risulterebbero pi
presenti: L. bilineata e N. natrix, mentre risultano segnalazioni dubbie per P. muralis e A.
fragilis.
evidente che la massiccia antropizzazione dellarea vesuviana, con conseguente
distruzione degli habitat naturali, ha inciso negativamente sulle comunit rettiliane ivi
presenti. Il mancato rinvenimento nellarea vesuviana di N. natrix da mettere in relazione con la distruzione dei microambienti umidi ricordati per gli anfibi e con lassenza
delle sue prede abituali, cio le rane.
RETTILI
164
165
E. quatuorlineata sembra assai raro sul Vesuvio, dove viene anche intensamente
cacciato.
Il gngilo rappresenta uno dei casi meglio documentati di acclimatazione di rettile in
Italia. Monticelli (1902) afferma testualmente: La presenza del Gongylus nel R. Bosco di Portici si spiega facilmente, considerando le condizioni di questo bosco creato artificialmente da Carlo
III, intorno al 1736, sulle lave del Granatello e con importazione di alberi e di terra di ogni parte,
ammettendo che degli individui possano essere stati trasportati insieme a terra degli alberi di agrumi fatta venire dalla Sicilia. Successivamente Monticelli (1914) aggiunge che forse alcuni
individui vi furono immessi volutamente: , difatti, tradizione tramandata, che alcuni vecchi
del personale di custodia del Bosco tuttora ripetono per dare una spiegazione del fatto, che, cio, al
tempo dei primi Borboni di Napoli fossero state importate le cosiddette Lacerte palermitane o siciliane nel Bosco per bellezza. Questa seconda ipotesi ci sembra, per, assai meno attendibile.
Nel corso del primo secolo di acclimatazione il gngilo si riprodotto con continuit
colonizzando anche altre aree dellex bosco Reale. Nella seconda met del Novecento la
popolazione ha subito una drastica riduzione numerica. Le cause di tale rarefazione sono
a tuttoggi sconosciute. Sulla base delle interviste ai tecnici della Facolt di Agraria si
appurato che dalla seconda met del Novecento nei campi sperimentali dei vari Dipartimenti sono stati immessi notevoli quantitativi di pesticidi e anticrittogamici per ricerche
applicate. Sicuramente questi prodotti non hanno favorito la entomofauna di cui si nutrono i Sauri dei due boschi. La rarefazione ha probabilmente coinvolto anche le altre specie insettivore, come ad es. P. sicula, le cui numerose popolazioni limitrofe possono aver
ricolonizzato i boschi in questione. Sulla base delle nostre ricerche dobbiamo ritenere il
gngilo in fortissima rarefazione.
Lesemplare conservato nel Museo Zoologico di Napoli appartiene alla sottospecie C. o.
tiligugu (Gmelin, 1789), dato che conferma lorigine di questi animali dalla Sicilia. interessante ricordare che il gngilo un rettile viviparo: gli scambi tra la madre e gli embrioni avvengono per mezzo di una placenta allantoidea; al termine della gestazione la femmina partorisce di solito sei piccoli (Angelini & Ghiara, 1991).
Un serio problema che sovente si incontra nel censimento di popolazioni naturali
autoctone in una determinata area riguarda lintroduzione di specie non pi presenti o
mai esistite nellarea in questione (specie alloctone). Le segnalazioni di Testudo hermanni
sono generiche per la Provincia di Napoli e non danno informazioni sullo stato di salute
delle popolazioni di tale specie nel comprensorio vesuviano. probabile che anche nellarea del Parco, come in altre zone della Campania, individui alloctoni di T. hermanni
siano sfuggiti alla cattivit o siano stati deliberatamente abbandonati in natura. Di sicuro T. hermanni era presente nellarea vesuviana prima delleruzione pliniana, come testimoniano alcuni reperti di scheletri di tale specie custoditi presso lAntiquarium Nazionale di Boscoreale. Non possibile, per, stabilire lorigine di tali esemplari sulla base del
semplice ritrovamento entro giardini di ville rustiche vesuviane, perch esiste sempre la
possibilit che le testuggini siano arrivate a Pompei per scopi commerciali. Situazioni
analoghe si presentano anche per altre specie di testuggini terrestri, solitamente allevate,
come ad esempio Testudo marginata. Un esemplare adulto di tale specie stato fotografato l8 settembre 1999 nei pressi dei Cognoli di Trocchia, a 920 m s.l.m., nel ginestreto.
Sicuramente, tale individuo sfuggito alla cattivit oppure stato rilasciato intenzionalmente poich tale specie, allo stato attuale, presente solo in Grecia e in Sardegna. Va
ricordato che le popolazioni autoctone di testuggini terrestri hanno subito nellultimo
cinquantennio un drastico calo, soprattutto nelle regioni dellItalia meridionale (Frisenda, 1988). Il commercio e la detenzione di queste specie, incluse nellelenco CITES degli
animali protetti, sono vietati.
Nellarea vesuviana molte specie di rettili sono spesso vittima delle superstizioni, del
166
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
RINGRAZIAMENTI
Desideriamo ringraziare per la disinteressata e preziosa collaborazione: E. Aloj Totaro (Univ. del Sannio, Benevento); P. Annunziata (ASL Terzigno); G. Aprea (Dip. Biologia evolutiva e comparata Univ. Napoli Federico II); M. Avino (Arcicaccia, Ottaviano);
R. Barile (Napoli); C. Bifulco (Ente Parco Nazionale del Vesuvio); V. Botte (Sez. Zoologia, Centro Musei, Univ. Napoli Federico II); D. Capolongo e A. Capolongo (Roccaraionola, Napoli); V. Caputo (Univ. di Ancona); C. Corti (Univ. Firenze); N. Di Fusco
(Corpo Forestale dello Stato Caserta); L. Dinardo (Napoli); E. Eboli (Dip. Zoologia,
Univ. Napoli Federico II); S. Filosa (Centro Musei di Scienze Naturali, Univ. Napoli
Federico II); M. Fraissinet (Ente Parco Nazionale del Vesuvio); E. Gavetti (Museo
Regionale di Scienze Naturali Torino); G. Luongo (Dip. Geofisica e Vulcanologia, Univ.
167
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Amphibians., Stuttgart: Gustav Fischer Verlag.
171
RIASSUNTO
SUMMARY
V
Viene presentata la check-list commentata delle specie di uccelli presenti nel territorio
del Parco nazionale del Vesuvio e delle aree contigue. Sono state censite 138 specie, di cui
62 nidificanti, alle quali si potrebbero aggiungere altre 8 specie la cui nidificazione non
certa. Il numero di specie nidificanti interessante, considerato il territorio piuttosto limitato (circa 10.000 ettari), con parte della superficie, per di pi, costituita da rocce laviche.
Lanalisi zoogeografica delle specie nidificanti ha messo in evidenza che la categoria pi
rappresentata quella paleartica. Tra le nidificazioni pi interessanti da citare: 3-4 coppie
di Poiana, una-due coppie di Falco pecchiaiolo, due coppie di Sparviere, tornato a nidificare in seguito alla istituzione del Parco, 5 coppie di Gheppio e una di Pellegrino.
PAROLE
KEY
CHIAVE:
WORDS: Vesuvius,
172
BREVE STORIA
DELLA ORNITOLOGIA VESUVIANA
AREA DI STUDIO
L
Larea oggetto della presente ricerca ornitologica comprende i territori dei 13 comuni
del Parco (Boscoreale, Terzigno, San Giuseppe Vesuviano, Ottaviano, Somma Vesuviana,
SantAnastasia, Pollena Trocchia, Massa di Somma, San Sebastiano al Vesuvio, Ercola-
173
no, Torre del Greco, Trecase, Boscotrecase), nonch i territori comunali di Portici (con il
Parco Gussone) e di Cercola, che pur non rientrando nella Comunit del Parco, fanno
parte delle aree contigue. Per il Parco Gussone di Portici stata avanzata la richiesta di
inclusione nel territorio del Parco. Si esclusa dalla ricerca larea delle vasche situate a
valle dei comuni di Somma Vesuviana, Ottaviano e San Giuseppe Vesuviano, che per la
diversa condizione ambientale e la lontananza dal territorio del Parco, assumono un interesse ornitologico diverso dal contesto in esame.
Il Somma-Vesuvio presenta un popolamento avifaunistico di grande interesse in
quanto tale complesso vulcanico collocato vicino alla costa ed lunico monte situato
tra la Pianura Nolana e lAgro Sarnese-Nocerino. La vicinanza alla costa favorisce la sosta
di specie migratrici che, provenendo dal mare, individuano nella sagoma del vulcano un
importante punto di riferimento in prossimit della costa ed il luogo ove potersi riposare
dopo un lungo viaggio che li ha visti attraversare, in un volo non-stop, il Mediterraneo.
La rigogliosa macchia mediterranea ed i boschi vesuviani sono luoghi ideali per recuperare le energie spese nel faticoso volo migratorio; la vegetazione mediterranea, infatti,
in primavera ricca di fioriture, e quindi di insetti, mentre in autunno maturano numerosi frutti, ricchi di sostanze energetiche necessarie per il volo migratorio di ritorno verso
i quartieri di svernamento africani.
Il complesso vulcanico costituito da due montagne con differenti caratteristiche
ambientali. In un territorio di superficie alquanto ristretta, presente un mosaico di
ambienti costituito da diversi habitat di modesta estensione ma strettamente associati:
foreste, suoli lavici colonizzati da piante pioniere, aree agricole coltivate prevalentemente
a frutteti e a vigneti, centri urbani, giardini e parchi pubblici, piccole vasche di raccolta
delle acque meteoriche. Il Vesuvio presenta prevalentemente una vegetazione di tipo
mediterraneo, mentre il Monte Somma caratterizzato da boschi mesofili. Sul primo
prevale unavifauna tipica dei biotopi mediterranei, con la presenza, in periodo invernale,
di numerose specie svernanti; sul secondo, caratterizzato da boschi tipici dellAppennino
meridionale, prevale lavifauna tipica di questi habitat.
LLa nomenclatura e la sistematica sono in accordo con la recente check-list degli uccelli italiani (Brichetti & Massa, 1998).
Per le categorie fenologiche si sono usate le definizioni proposte da Fasola & Brichetti
(1984), adattandole alle peculiarit del territorio vesuviano.
Sedentaria specie o popolazione legata per tutto il corso dellanno a un determinato territorio, all'interno del quale si svolge lintero ciclo riproduttivo; gli erratismi
stagionali di breve portata si verificano generalmente in autunno-inverno, a seguito di
particolari situazioni climatiche.
Migratrice specie o popolazione che compie annualmente spostamenti dalle
aree di nidificazione verso i quartieri di svernamento. Una specie considerata migratrice per un determinato territorio quando vi transita senza nidificare o svernare.
Nidificante specie o popolazione che porta regolarmente a termine il ciclo
riproduttivo in un determinato territorio. Tale termine viene abbinato ad altri (per es.,
sedentaria) insufficienti a indicare la nidificazione. Le specie migratrici nidificanti sono
denominate estive.
Svernante specie o popolazione migratrice che trascorre linverno o buona parte
di esso in un determinato territorio, ripartendo in primavera verso le aree di nidificazione.
Accidentale specie che viene osservata sporadicamente in una determinata
zona, in genere con singoli individui o, comunque, in numero limitato di esemplari.
FENOLOGIA
174
Essendo il territorio in esame di ridotta estensione e inserito allinterno di un comprensorio pi ampio, caratterizzato da differenti tipologie ambientali, stata inserita anche la voce
Visitatrice, indicando con tale termine quelle specie che, nidificando o svernando in altri siti
della provincia di Napoli, visitano regolarmente il territorio del Parco per alimentarsi.
Nella check-list vengono adottate le seguenti abbreviazioni delle categorie fenologiche:
B = Nidificante (breeding); viene sempre indicato anche se la specie sedentaria;
S = Sedentaria; viene, in genere, abbinato a B (SB);
M = Migratrice; le specie migratrici nidificanti (estive) sono indicate con
M reg., B;
W = Svernante (wintering); le specie la cui presenza nel periodo invernale non
costante vengono indicate come W irr.;
Visit. = Visitatrice;
Acc. = Accidentale;
reg. = regolare; viene normalmente abbinato solo a M;
irr. = irregolare; viene abbinato a tutti i simboli;
par. = parziale; viene abbinato a SB per indicare specie con popolazioni sedentarie e migratrici, e a W per indicare che lo svernamento riguarda solo una parte della
popolazione migratrice;
? = indica dati dubbi.
La sequenza delle abbreviazioni segue lordine di importanza fenologica per la specie.
Nella check-list vengono riportati in maiuscoletto il nome dellordine (finale -ES) e della
famiglia (finale -DAE).
GAVIIFORMES
GAVIIDAE
CICONIFORMES
ARDEIDAE
Tarabusino Ixobrychus minutus (L., 1766)
M reg.
Larea vesuviana posta, probabilmente, su di
una rotta migratoria che, nel passato, utilizzava le vasche di raccolta delle acque della piana
vesuviana per la sosta. A questo si aggiunga la
vicinanza con il fiume Sarno. Regolarmente,
durante la migrazione primaverile, si osservano individui lungo la costa.
Nitticora Nycticorax nycticorax (L., 1758)
M reg.
Valgono le considerazioni fatte per la specie precedente. Da segnalare losservazione di un gruppo di 15 adulti in sorvolo sul Parco Gussone il
10 aprile 1990 (Moschetti & Walters, 1992).
B- Nidificante; S- Sedentaria; M- Migratrice; W- Svernante; Visit.- Visitatrice;
Acc.- Accidentale; reg.- regolare; irr.- irregolare; par.- parziale; ?- indica dati dubbi.
175
CICONIFORMES
ARDEIDAE
ACCIPITRIFORMES
ACCIPITRIDAE
176
ACCIPITRIFORMES
ACCIPITRIDAE
177
ACCIPITRIFORMES
ACCIPITRIDAE
FALCONIFORMES
FALCONIDAE
178
179
FALCONIFORMES
FALCONIDAE
GALLIFORMES
PHASIANIDAE
Quaglia Coturnix Coturnix (L., 1758)
M reg.
Migratrice regolare di doppio passo. LEnte B?
Parco organizza apposite campagne antibracconaggio con il Corpo Forestale dello Stato in
coincidenza con il transito primaverile delle
Quaglie. A seguito dei numerosi sequestri di
strumenti e reti, le primavere del 1998, 1999 e
2000 sono risultate alquanto tranquille per la
specie nel territorio del Parco. Canti di maschi
sono stati ascoltati nelle primavere inoltrate
degli anni 1998, 1999 e 2000 nelle aree coltivate sia della parte bassa del versante costiero,
che di quello interno. La tranquillit di cui
B- Nidificante; S- Sedentaria; M- Migratrice; W- Svernante; Visit.- Visitatrice;
Acc.- Accidentale; reg.- regolare; irr.- irregolare; par.- parziale; ?- indica dati dubbi.
180
GALLIFORMES
PHASIANIDAE
gode la specie nel Parco, unita alla presenza di
maschi in canto anche in primavera inoltrata e
in estate, fa presupporre una probabile nidificazione della specie nel Parco. Si dovranno
intensificare le ricerche per appurare la certezza della nidificazione.
GRUIFORMES
RALLIDAE
CHARADRIIFORMES
CHARADRIIDAE
181
CHARADRIIFORMES
SCOLOPACIDAE
COLUMBIFORMES
COLUMBIDAE
182
COLUMBIFORMES
COLUMBIDAE
CUCULIFORMES
CUCULIDAE
183
CUCULIFORMES
CUCULIDAE
STRIGIFORMES
TYTONIDAE
SB
Barbagianni Tyto alba (Scopoli, 1769)
Specie relativamente comune nel Parco. Nidi- M reg.
fica ai margini dei centri abitati, nelle vecchie W par.
abitazioni e nei ruderi. LEnte Parco ha organizzato unapposita campagna di sensibilizzazione per la salvaguardia della specie. Nidifica
anche nel Parco Gussone a Portici (Moschetti & Walters, 1992). In questa localit sono
state raccolte e analizzate 147 borre, che
hanno messo in evidenza una dieta basata
essenzialmente su roditori e uccelli, e in misura minore insettivori, pipistrelli e insetti. Di
recente sono state rinvenute numerose borre
nel Castello Mediceo, ad Ottaviano, e si sta
procedendo allanalisi dei contenuti. Durante
le migrazioni, e in inverno, si aggiungono altri
individui alla popolazione residente nel Parco.
STRIGIDAE
SB
Assiolo Otus scops (L., 1758)
Distribuito e comune sullintero territorio del M reg.
Parco, dove pu essere considerato ancora W par.
comune. Qualche individuo si ferma anche a
svernare, come testimoniato, del resto, dallosservazione fatta il 22 gennaio 1999 nella
Riserva Tirone-Alto Vesuvio. Nidifica nelle
aree agricole, nelle zone boschive e nei centri
B- Nidificante; S- Sedentaria; M- Migratrice; W- Svernante; Visit.- Visitatrice;
Acc.- Accidentale; reg.- regolare; irr.- irregolare; par.- parziale; ?- indica dati dubbi.
184
STRIGIFORMES
STRIGIDAE
185
CAPRIMULGIFORMES
CAPRIMULGIDAE
APODIFORMES
APODIDAE
CORACIIFORMES
MEROPIDAE
186
187
188
CORACIIFORMES
MEROPIDAE
PICIFORMES
PICIDAE
189
PASSERIFORMES
ALAUDIDAE
M reg.
190
PASSERIFORMES
MOTACILLIDAE
caratterizzati dalla presenza delle piante pioniere. Nel corso dei rilevamenti per lAtlante
ornitologico del Parco si avuto modo di confermare la presenza di alcune coppie nidificanti nelle zone sommitali del Parco.
Prispolone Anthus trivialis (L., 1758)
M reg.
Migratrice regolare, ma rara, osservabile
soprattutto durante il passo primaverile.
Pispola Anthus pratensis (L., 1758)
M reg.
Transita regolarmente, anche se poco comu- W
ne, durante i periodi migratori. Negli ambienti idonei qualche individuo si ferma a svernare.
Cutrettola Motacilla flava L., 1758
M reg.
Transita regolarmente durante le migrazioni,
sebbene in numero limitato. Annunziata
(1994) segnala di aver osservato prevalentemente la sottospecie cinereocapilla.
Ballerina gialla Motacilla cinerea Tunstall, 1771
M reg.
Comune durante le migrazioni e in inverno. In W
questa stagione stata osservata anche a quote
medio-alte sul versante sommese. Annunziata
(1994) segnala qualche caso di nidificazione,
senza, per specificare, le localit. probabile
comunque che si tratti di aree esterne al Parco.
Ballerina bianca Motacilla alba L., 1758
M reg.
Comune durante le migrazioni ed in inverno, W
soprattutto nei territori posti alle quote pi SB
basse e nei centri abitati. Annunziata (1994)
segnala per il passato alcuni casi di nidificazione, senza specificare, per, le localit. Nel corso
della primavera del 2000 lo stesso Annunziata
(in verbis) ha fotografato un nido nelle campagne di Terzigno.
TROGLODYTIDAE
Scricciolo Troglodytes troglodytes (L., 1758)
SB
Residente e nidificante comune nel Parco.
Lareale riproduttivo ampio e interessa
diverse aree caratterizzate dalla presenza di
vegetazione boschiva. Nidifica anche nel
Parco Gussone (Moschetti & Walters, 1992).
B- Nidificante; S- Sedentaria; M- Migratrice; W- Svernante; Visit.- Visitatrice;
Acc.- Accidentale; reg.- regolare; irr.- irregolare; par.- parziale; ?- indica dati dubbi.
191
TROGLODYTIDAE
Sono stati inanellati individui sia nel Parco
Gussone che nella zona di Santa Maria a
Castello, in Somma Vesuviana (Fraissinet &
Milone, 1992).
PRUNELLIDAE
Passera scopaiola Prunella modularis (L., 1758)
M reg.
Comune in tutto il territorio del Parco, ad W
eccezione delle zone edificate, nel periodo
delle migrazioni autunnali e primaverili e in
inverno. Analoghe considerazioni vanno fatte
anche per il Parco Gussone (Moschetti e
Walters, 1992). Tra Parco Gussone, Santa
Maria a Castello(Fraissinet e Milone, 1992) e
Mauro sono stati inanellati complessivamente
40 individui.
Sordone Prunella collaris (Scopoli 1769)
M reg.
Abbondante in inverno sulle pendici del Gran W
Cono. Stormi di centinaia di individui, anche
confidenti nei confronti delluomo, sorvolano
o stazionano sulle pareti laviche ricoperte
dalla vegetazione pioniera. Una prima segnalazione era stata fornita da Giancarlo
Moschetti nel 1998, ma non si descriveva
labbondanza di individui fatta registrare nel
corso degli ultimi inverni.
TURDIDAE
M reg.
Pettirosso Erithacus rubecula (L., 1758)
Specie comune in tutto il territorio del Parco W
nel periodo invernale e durante le migrazioni. SB
Diviene, invece, pi localizzata nel periodo
riproduttivo, si rinviene infatti nella Riserva
Tirone-Alto Vesuvio, nei boschi della via Traversa, che collega Ercolano a Santa Maria a
Castello, nel Vallone Profica, a San Giuseppe
Vesuviano, nel Vallone del Fico a Trezigno e
nei castagneti del Monte Somma. Nel Parco
Gussone solo svernante (Moschetti & Walters, 1992). risultata una delle specie pi
inanellate nelle campagne di inanellamento
invernali di Santa Maria a Castello, Parco
Gussone e Mauro: 68 esemplari.
B- Nidificante; S- Sedentaria; M- Migratrice; W- Svernante; Visit.- Visitatrice;
Acc.- Accidentale; reg.- regolare; irr.- irregolare; par.- parziale; ?- indica dati dubbi.
192
PASSERIFORMES
TURDIDAE
193
PASSERIFORMES
TURDIDAE
194
195
PASSERIFORMES
TURDIDAE
196
PASSERIFORMES
TURDIDAE
SYLVIIDAE
SB
Usignolo di fiume Cettia cetti (Temminck, 1820)
Residente nidificante alquanto localizzato. In
precedenza Moschetti, Walters & Rocco
(1992) avevano osservato due soli maschi in
canto sul versante costiero del Vesuvio, in una
zona a macchia mediterranea e boscaglia, compresa tra i 400 e gli 800 m s.l.m. Annunziata
(1994) lo considera invece specie rara durante
il periodo migratorio. Evidentemente si riferisce alle zone interne del complesso vulcanico
dove, effettivamente, non sembra essere comune. probabile che la specie sia aumentata nel
corso degli ultimi anni. Fraissinet, infatti, non
lo riporta nella check-list pubblicata nel 1992
(Fraissinet, 1992). Moschetti & Walters
(1992) lo riportavano come migratore irregolare nel Parco Gussone, di recente Moschetti lo
ha rinvenuto come nidificante.
Beccamoschino Cisticola juncidis (Refinesque, 1810)
SB
Comune nelle zone basse del Somma-Vesuvio, in particolare nei centri abitati e nei
B- Nidificante; S- Sedentaria; M- Migratrice; W- Svernante; Visit.- Visitatrice;
Acc.- Accidentale; reg.- regolare; irr.- irregolare; par.- parziale; ?- indica dati dubbi.
197
PASSERIFORMES
SYLVIIDAE
198
PASSERIFORMES
SYLVIIDAE
199
PASSERIFORMES
SYLVIIDAE
SB
Capinera Sylvia atricapilla (L., 1758 )
Specie particolarmente comune nel Parco. Si M reg.
riproduce dal livello del mare ( frequente anche W
nel Parco Gussone) ai 1000 metri di quota. Frequenta diversi ambienti: boschi, arbusti, giardini, coltivi. Il Parco visitato anche da popolazioni in transito migratorio, o che vi si trattengono per trascorrervi linverno. Inanellati, complessivamente, pi di una decina di esemplari
svernanti tra Santa Maria a Castello, Parco
Gussone (Fraissinet & Milone, 1992) e Mauro.
Lu bianco Phylloscopus bonelli (Vieillot, 1819)
M irr.
Di comparsa rara e irregolare nel periodo
della migrazione primaverile.
Lu verde Phylloscopus sibilatrix (Bechstein, 1793)
M reg.
Specie migratrice regolare, pi frequente nel
periodo primaverile. Ascoltati i maschi in
canto nella lecceta del Parco Gussone fino agli
inizi di maggio (Moschetti & Walters, 1992).
Lu piccolo Phylloscopus collybita (Vieillot, 1817)
M reg.
Comune durante le migrazioni e in inverno. In W
questultima stagione frequenta soprattutto le SB
zone a bassa quota, siano essi coltivi alberati,
giardini, parchi urbani, o macchia mediterranea.
Nel periodo riproduttivo si spinge a quote superiori: coppie nidificanti sono state rinvenute nei
castagneti e nei boschi misti del Monte Somma,
nel Vallone Profica, a San Giuseppe Vesuviano e
nella Riserva Naturale Tirone-Alto Vesuvio. Il
Lu piccolo specie svernante nel Parco Gussone (Moschetti & Walters, 1992).
Lu grosso Phylloscopus trochilus (L., 1758)
M reg.
Specie migratrice di doppio passo, pi frequente in quello primaverile.
Regolo Regulus regulus (L., 1758)
M reg.
Osservato regolarmente durante la migrazione W
autunnale e in inverno, soprattutto a quote basse,
nei giardini e parchi urbani, nei coltivi e nella
macchia mediterranea. Svernante anche nel
Parco Gussone (Moschetti & Walters, 1992).
Fiorrancino Regulus ignicapillus (Temminck, 1820)
M reg.
Fraissinet (1992) lo riporta come specie W
migratrice regolare, svernante e probabilmen- SB
te nidificante. La nidificazione stata accerta
in questi ultimi anni nei castagneti del Monte
B- Nidificante; S- Sedentaria; M- Migratrice; W- Svernante; Visit.- Visitatrice;
Acc.- Accidentale; reg.- regolare; irr.- irregolare; par.- parziale; ?- indica dati dubbi.
200
PASSERIFORMES
SYLVIIDAE
Somma, nei boschi misti del vallone Mazzamei, a San Giuseppe Vesuviano, e nella lecceta della Riserva Naturale Tirone-Alto Vesuvio. Nidifica anche nel parco Gussone
(Moschetti & Walters, 1992). Nel periodo
invernale la specie diviene pi erratica.
Numerose osservazioni si hanno nelle zone
poste a quote pi basse, in particolare nei
giardini e nei parchi urbani. Inanellati 4
esemplari in periodo invernale nel Parco Gussone (Fraissinet & Milone, 1992).
MUSICAPIDAE
Pigliamosche Muscicapa striata (Pallas, 1764)
M reg.
Comune durante la migrazione primaverile, B
meno facile da osservare in quella tardo
estivo-autunnale. Comune nel Parco anche
come nidificante, localizzato per lo pi nelle
zone alberate con radure, giardini e frutteti.
Nidificazioni sono state accertate nel Vallone
Profica, a San Giuseppe Vesuviano, nei giardini delle ville di Via De Nicola e via Vesuvio,
a Torre del Greco e a Ercolano, lungo la strada provinciale, oltre i 400 m s.l.m., nei noccioleti di Ottaviano. Nidifica anche nel Parco
Gussone, a Portici.
Balia dal collare Ficedula albicollis (Temminck, 1815)
M reg.
Comune durante la migrazione primaverile.
Degna di attenzione losservazione di un
esemplare il 24 maggio 1999 nel Vallone Profica. Migratrice primaverile anche nel Parco
Gussone (Moschetti & Walters, 1992).
Balia nera Ficedula hypoleuca (Pallas, 1764)
M reg.
Comune durante la migrazione primaverile.
Migratrice primaverile anche nel Parco Gussone (Moschetti & Walters, 1992).
AEGITHALIDAE
Codibugnolo Aegithalos caudatus (L., 1758)
SB
La nidificazione stata accertata solo di recente. M reg.
In precedenza, infatti, Annuziata (1994) lo citava W
solo quale specie di passo e svernante. Nel corso di
questi ultimi anni, invece, stata rinvenuta come
specie comune e ben distribuita sia nel periodo
riproduttivo che in quello dello svernamento.
Osservati involi di 2, 3 e 4 piccoli per coppia.
B- Nidificante; S- Sedentaria; M- Migratrice; W- Svernante; Visit.- Visitatrice;
Acc.- Accidentale; reg.- regolare; irr.- irregolare; par.- parziale; ?- indica dati dubbi.
201
PASSERIFORMES
PARIDAE
Acc.
Cincia dal ciuffo Parus cristatus L., 1758
Riportata come specie di raro avvistamento
nel periodo migratorio da Annunziata (1994).
Scebba (1993) cita un abbattimento avvenuto
a SantAnastasia nel marzo del 1891.
Cincia mora Parus ater L., 1758
SB
Una piccola popolazione localizzata nella
Riserva Naturale Tirone-Alto Vesuvio. Altri
nuclei potrebbero essere ubicati sui versanti
nord - orientali del Vesuvio e nella pineta di Terzigno. Nel corso della stagione riproduttiva del
2000, per, non si sono avuti contatti con la specie, che probabilmente sta andando incontro a
una fase di forte rarefazione, in virt forse anche
del fatto che la pineta della Riserva Naturale sta
contraendosi a vantaggio della lecceta.
Cinciarella Parus caeruleus L., 1758
SB
distribuita in maniera omogenea nel territorio del Parco, prediligendo, ovviamente, le
superfici forestali e i coltivi alberati adiacenti
le aree boschive. Non frequenta, invece, le
zone pi elevate del Parco, oltre i 900 metri,
per lassenza di ambienti idonei. Sedentaria
nidificante anche per il Parco Gussone
(Moschetti e Walters, 1992). Inanellati 15
esemplari nel Parco Gussone in periodo
invernale (Fraissinet & Milone, 1992).
Cinciallegra Parus major L., 1758
SB
Valgono le stesse considerazioni espresse per
la specie precedente. Va solo segnalato che la
Cinciallegra pi frequente nelle zone di
bassa quota e nelle aree coltivate. Sedentaria
nidificante anche per il Parco Gussone
(Moschetti & Walters, 1992). Inanellati 15
esemplari nel Parco Gussone ed uno a Santa
Maria a Castello in periodo invernale (Fraissinet e Milone, 1992), altri 4 esemplari inanellati, successivamente, in localit Mauro.
SITTIDAE
Picchio muratore Sitta europaea L., 1758
SB
Mai segnalato per il passato, nel corso della
stagione riproduttiva 1999 si accertata la
presenza di una piccola popolazione nei
boschi del Monte Somma. Al momento si a
conoscenza di nuclei nidificanti nel Vallone
Profica e nei boschi misti del versante massese e anastasiano del Somma.
B- Nidificante; S- Sedentaria; M- Migratrice; W- Svernante; Visit.- Visitatrice;
Acc.- Accidentale; reg.- regolare; irr.- irregolare; par.- parziale; ?- indica dati dubbi.
202
203
PASSERIFORMES
CERTHIIDAE
Rampichino Certhia brachydactyla Brehm, 1820
SB
Sedentario nidificante poco comune nel Parco.
Rinvenuto nidificante solo in alcuni boschi
misti maturi, con predominanza di leccio,
situati nella Riserva Naturale Tirone-Alto
Vesuvio, nel Vallone Profica, sul Monte
Somma e in poche altre localit. Sedentario
nidificante comune, invece, nel Parco Gussone
(Moschetti & Walters, 1992). Nel Parco Gussone sono stati inanellati sei esemplari in
periodo invernale (Fraissinet & Milone, 1992).
REMIZIDAE
M irr.
Pendolino Remiz pendulinus (L., 1758)
Viene citata come specie migratrice rara da
Annunziata (1994).
ORIOLIDAE
Rigogolo Oriolus oriolus (L., 1758)
M reg.
Transita regolarmente durante le migrazioni B?
primaverile e autunnale. una specie su cui
occorrer, comunque, prestare maggiore
attenzione nel periodo riproduttivo, perch
le abitudini elusive della stessa e la presenza
nel Parco di ambienti idonei alimentano una
qualche speranza di trovarla, un giorno, nidificante nel Parco. Analoghe considerazioni
fanno Moschetti & Walters (1992) per il Parco
Gussone, dove arrivano a ipotizzarne una possibile nidificazione. Successive campagne di
rilevamento condotte per lAtlante ornitologico
del Parco hanno per escluso tale possibilit.
LANIDAE
Averla piccola Lanius collurio L., 1758
M reg.
Nidificante poco comune, localizzata nelle aree B
aperte e soleggiate, siano esse incolti o aree
agricole, spesso adiacenti ad aree boschive.
Nidificante nel Parco Gussone.
Averla capirossa Lanius senator L., 1758
M reg.
Migratrice regolare, pi frequente nel periodo
riproduttivo. Moschetti & Walters (1992) la
consideravano possibile nidificante per il
Parco Gussone, ma recenti campagne di rilevamento condotte per lAtlante ornitologico
del Parco hanno escluso tale possibilit.
B- Nidificante; S- Sedentaria; M- Migratrice; W- Svernante; Visit.- Visitatrice;
Acc.- Accidentale; reg.- regolare; irr.- irregolare; par.- parziale; ?- indica dati dubbi.
204
PASSERIFORMES
CORVIDAE
Ghiandaia Garrulus glandarius (L., 1758)
SB
Sedentaria e nidificante in tutti gli ambienti
boschivi del Parco, anche quelli pi degradati
o in stadi giovanili, che per vengono utilizzati quasi esclusivamente per fini alimentari.
preda abituale della volpe e degli accipitriformi presenti nel Parco.
Taccola Corvus monedula L., 1758
Visit.
Nel coro degli anni 90 una piccola popola- SB
zione nidificante si insediata nellarea occupata dal Parco Gussone, dalla reggia Borbonica, nonch dai giardini e dalle strutture
architettoniche delle ville del Miglio dOro.
Pertanto pu accadere di rinvenire esemplari
della specie intenti ad alimentarsi nelle zone
agricole del Parco. Ci spiega la doppia
dizione: visitatrice occasionale nel territorio
del Parco, residente nidificante nellarea del
Bosco Gussone.
Cornacchia grigia Corvus corone cornix L., 1758
Visit.
Nel corso degli anni 90 la specie ha fatto SB
registrare un processo espansivo in Provincia
di Napoli, in seguito al quale ha colonizzato,
con una piccola popolazione, la fascia costiera
vesuviana, insediandosi, in particolare, nellarea costituita dal Parco Gussone, la Reggia
Borbonica e le Ville del Miglio dOro. Alcuni
esemplari visitano le zone agricole del Parco
per alimentarsi. Ci spiega la doppia dizione:
visitatrice occasionale nel territorio del Parco,
residente nidificante nellarea del Bosco Gussone.
Corvo imperiale Corvus corax L., 1758
SB
Una piccola popolazione si riproduce sulle
falesie di roccia lavica nelle zone pi in quota
del Parco: oltre i 1.000 metri s.l.m.. Negli
ultimi anni, per, la specie ha fatto registrare
un calo preoccupante, e nelle primavere del
1999 e del 2000 stata accertata la riproduzione di una sola coppia, sebbene siano segnalate da osservatori locali altre due coppie.
B- Nidificante; S- Sedentaria; M- Migratrice; W- Svernante; Visit.- Visitatrice;
Acc.- Accidentale; reg.- regolare; irr.- irregolare; par.- parziale; ?- indica dati dubbi.
205
PASSERIFORMES
STURNIIDAE
Storno Sturnus vulgaris L., 1758
W
Nelle prime ore del mattino stormi della specie si dirigono verso le aree agricole del Parco
per alimentarsi. Nel tardo pomeriggio si spostano, invece, verso i dormitori notturni posti
nella citt di Napoli. Considerazioni analoghe
vengono espresse da Moschetti & Walters
(1992) per il Parco Gussone.
PASSERIDAE
Passera dItalia Passer italiae (Vieillot, 1817)
SB
Comune soprattutto nei territori urbanizzati
ed agricoli del Parco. Si spinge anche a quota
1.000 metri s.l.m. per le strutture antropiche
poste nel piazzale di sosta prima dellascesa al
Gran Cono. Sedentaria e nidificante anche
nelle aree aperte e urbanizzate del Parco Gussone (Moschetti & Walters, 1992).
Passera mattugia Passer montanus (L., 1758)
SB
Meno frequente della specie precedente, ma
ugualmente distribuita nelle zone pedemontane
coltivate e nei centri abitati, in prossimit di aree
verdi e coltivi. Frequente nel parco Gussone
(Moschetti & Walters, 1992). Inanellati 2
esemplari in periodo invernale nel Parco Gussone (Fraissinet e Milone, 1992) e 30 esemplari
complessivamente in localit Mauro.
Passera lagia Petronia petronia (L., 1766)
M irr.
Annunziata (1994) riporta che un tempo nidificava sulle falesie rocciose del Somma-Vesuvio, e che oggi, invece, divenuta solo specie
di rara apparizione con soggetti erratici.
Fringuello alpino Montifringilla nivalis (L., 1766)
Acc.
Un esemplare osservato l8 gennaio 2000 sulle
pendici esterne del Cratere insieme ai Sordoni. Il Cratere era innevato.
FRINGILLIIDAE
Fringuello Fringilla coelebs L., 1758
SB
Comune in tutto il territorio del Parco. Nidi- M reg.
fica anche tra i ginestreti: sia in quelli posti a W
quota 1.000, alla base del Gran Cono,
B- Nidificante; S- Sedentaria; M- Migratrice; W- Svernante; Visit.- Visitatrice;
Acc.- Accidentale; reg.- regolare; irr.- irregolare; par.- parziale; ?- indica dati dubbi.
206
PASSERIFORMES
FRINGILLIIDAE
sia in quelli della Valle dellInferno. Comune
anche nel Parco Gussone (Moschetti & Walters, 1992). Alle popolazioni sedentarie si
aggiungono, nel corso dellanno, individui
migratori o svernanti. Inanellati 3 esemplari in
periodo invernale nel Parco Gussone (Fraissinet & Milone, 1992).
M reg.
Peppola Fringilla montifringilla L., 1758
Considerata migratrice regolare, di doppio
passo, da Annunziata (1994) e osservata in
migrazione primaverile da Moschetti & Walters (1992) al Parco Gussone.
Verzellino Serinus serinus (L., 1766)
SB
Specie molto comune nelle aree agricole e nelle
zone verdi dei centri abitati. Altrettanto comune nel bosco mediterraneo della Riserva Naturale Tirone-Alto Vesuvio. Meno frequente nei
boschi mesofili del Monte Somma, dove
stata osservata solo alle quote pi basse e in
punti assolati e caldi. Rara nelle zone alte, sebbene xeriche e assolate, del territorio del Parco.
Comune nel Parco Gussone (Moschetti &
Walters, 1992). Inanellati 4 esemplari nel
Parco Gussone (Fraissinet & Milone, 1992).
Verdone Carduelis chloris (L., 1758)
SB
Comune in diversi ambienti del Parco, in par- M reg.
ticolare nelle aree agricole, nei giardini dei W
centri abitati, nei tratti pi caldi e assolati delle
zone boschive. Raro, o del tutto assente, nelle
zone poste a quote pi alte. Comune anche nel
Parco Gussone (Moschetti & Walters, 1992).
207
PASSERIFORMES
FRINGILLIIDAE
Lucarino Carduelis spinus (L., 1758)
M reg.
Transita nel periodo migratorio autunnale in W
piccoli stormi, che possono anche trattenersi
per qualche giorno nel Parco. Qualche esemplare, invece, si sofferma per pi tempo nella
stagione invernale associandosi in piccoli
gruppi, sia monospecifici che composti da
diverse specie di fringillidi. Moschetti &
Walters (1992) lo considerano visitatore occasionale per il Parco Gussone.
Fanello Carduelis cannabina (L., 1758)
M reg.
Transita regolarmente nel territorio del Parco W
nei periodi migratori. Annunziata (1994) B?
segnala nidificazioni sul Monte Somma. Nel
corso dei rilevamenti per lAtlante ornitologico del Parco non ne stata accertata la nidificazione. Piccoli stormi frequentano le aree
coltivate pedemontane nel periodo invernale.
Svernante nel Parco Gussone (Moschetti &
Walters, 1992).
Crociere Loxia curvirostra L., 1758
M irr.
La specie nota per manifestare periodiche B irr.
invasioni nei periodi migratori e invernali. Ci
dovrebbe essere accaduto nel Parco nellinverno del 1990 (Scebba, 1993). Nella stagione
riproduttiva del 1991 qualche coppia deve
essersi trattenuta a nidificare nella pineta di
Terzigno, come testimoniato da Annunziata
(1994) e da alcuni inanellamenti di giovani
riportati da Scebba (1993).
Ciuffolotto Pyrrhula pyrrhula (L., 1758)
W irr.
Annunziata (1994) ne segnala la presenza
invernale nel Parco durante gli inverni pi
rigidi. Riscontrato lo svernamento anche nellinverno 1999/2000.
Frosone Coccothraustes coccothraustes (L., 1758)
M irr.
Segnalato come specie di doppio passo da
Annunziata (1994) e come migratore irregolare da Fraissinet (1992). La specie manifesta
una certa irregolarit nella migrazione, con
annate in cui si osserva in maniera anche frequente, e altre in cui, invece, sembra scomparsa (Scebba, 1993). Il fenomeno sembra verificarsi anche nel Parco Nazionale del Vesuvio.
B- Nidificante; S- Sedentaria; M- Migratrice; W- Svernante; Visit.- Visitatrice;
Acc.- Accidentale; reg.- regolare; irr.- irregolare; par.- parziale; ?- indica dati dubbi.
208
PASSERIFORMES
EMBERIZIDAE
Zigolo giallo Emberiza citrinella L., 1758
M irr.
Segnalato come specie rara durante il flusso
migratorio da Annunziata (1994).
Zigolo nero Emberiza cirlus L., 1766
SB
Comune nel Parco. Pi frequente nei territori aperti e assolati. probabile che la specie
sia in una fase di incremento nel Parco, in
quanto, per il passato, stata citata come rara
migratrice, anche se regolare (Frassinet, 1992;
Annuziata, 1994).
M reg.
Zigolo muciatto Emberiza cia L., 1766
Transita regolarmente nei periodi migratori B
(Annunziata, 1994). Moschetti, Walters &
Rocco (1992) hanno osservato un maschio con
imbeccata in atteggiamento di allarme, e un
maschio con imbeccata vicino ad un ciuffo di
erba, il 30 giugno 1992, sui pendii lavici, in una
quota compresa tra gli 850 e i 1050 m. Rinvenuto successivamente nidificante nella primavera del 2000 nella zona del Gran Cono.
Migliarino di palude Emberiza schoeniclus (L., 1758)
Acc.
Annunziata (1994) la cita come specie avvistata raramente durante le migrazioni, senza
per fornire ulteriori elementi. Lassenza nel
Parco di ambienti idonei fa presupporre che
debba trattarsi di presenze accidentali.
Strillozzo Miliaria calandra (L., 1758)
M irr.
Citata da Annunziata (1994). Le osservazioni devono riferirsi, probabilmente, alle zone
agricole pedemontane del versante orientale,
dove potrebbe trovare ancora habitat idonei.
209
SPECIE ESCLUSE
210
211
212
COMMENTI CONCLUSIVI
LLe 138 specie riportate rappresentano il numero pi alto di entit finora segnalate sul
Somma-Vesuvio; analoghe considerazioni vanno fatte per le specie nidificanti, che
ammontano a 62, comprese quelle che si riproducono irregolarmente nel Parco, pi altre
8 la cui nidificazione dovr essere ulteriormente accertata. Una tale ricchezza di informazioni dovuta alle numerose missioni di studio effettuate in seguito allistituzione del
Parco nazionale. In alcuni casi, laumento delle specie va attribuito anche allazione di
conservazione della natura svolta dallEnte: il caso, ad esempio, del ritorno alla nidificazione dello Sparviere; in altri casi, invece, alcune specie, come Poiana, Gheppio,
Colombaccio e Upupa, hanno fatto registrare sensibili aumenti popolazionistici.
Lanalisi delle categorie corologiche delle 62 specie nidificanti nel Parco Nazionale del
Vesuvio (incluse quindi quelle nidificanti in maniera irregolare ed escluse quelle di cui
non si ha ancora certezza), evidenziata in Figura 1, mostra una distribuzione sostanzialmente simile a quella dellavifauna nidificante su scala nazionale (Brichetti & Gariboldi,
1997). Lunica differenza consiste nella percentuale della categoria paleartico-orientale
che raggiunge un valore circa doppio rispetto alla percentuale nazionale, fenomeno, del
resto, osservato anche per lavifauna della vicina citt di Napoli (Fraissinet, 1995).
Per quanto attiene le riprese si osserva soprattutto un alto numero di Quaglie, specie
oggetto nel passato di una forte pressione venatoria. Molte delle riprese si riferiscono a
individui inanellati in Italia. Le riprese di esemplari inanellati allestero vengono essenzialmente da paesi dellEuropa orientale, fenomeno tipico della Regione Campania che, com
noto, interessata da rotte migratorie prevalentemente orientate in direzione NE-SW.
FIGURA 1
Figura 1
Categorie corologiche degli uccelli nidificanti
nel Parco Nazionale del Vesuvio
213
In tanti hanno contribuito ad arricchire le conoscenze ornitologiche del Parco Nazionale del Vesuvio. In particolare sentiamo di dover ringraziare Paolo Annunziata, Francesco Ausiello, Carlo Bifulco, Stefano Carlino, Vincenzo Cavaliere, Giovanni De Falco,
Ettore Di Caterina, Giorgio Eutropio, Roberto Guglielmi, Luigi Guido, Serafino
Madonna, Nicola Maio, Gino Menegazzi, Giancarlo Moschetti, Emilio Musella, Francesco Petretti, Orfeo Picariello, Stefano Piciocchi, Pasquale Raia e Mark Walters.
RINGRAZIAMENTI
ANNUNZIATA P., 1994 Uccelli del Parco del Vesuvio. Castellammare di Stabia (Napoli): Tipografia Somma.
BRICHETTI P. & MASSA B., 1998 Check-list degli uccelli italiani aggiornata a tutto il 1997.
Riv. it. Orn., 68: 129-152.
BRICHETTI P. & GARIBOLDI A., 1997 Manuale pratico di Ornitologia. Bologna: Edagricole.
CECIO A., 1983 Prime osservazioni sulla fauna vesuviana e considerazioni critiche. Atti del Convegno Mostra
per il Parco Nazionale del Vesuvio, Napoli: 90-92.
DINARDO L., 1995 Gufo comune. Summana, 31: 27-28.
FASOLA M. & BRICHETTI P., 1984 Proposte per una terminologia ornitologica. Avocetta, 8: 119-125.
FRAISSINET M., 1985a Il Monte Somma ieri e oggi. Quaderni vesuviani, 6-7: 50-52
FRAISSINET M., 1985b Atlante degli uccelli nidificanti e svernanti in provincia di Napoli (II parte).
Gli Uccelli dItalia, 10: 139-142.
FRAISSINET M., 1985c La fauna di tipo suburbano del Somma-Vesuvio. Quaderni vesuviani, 4: 65-67.
FRAISSINET M., 1986 Atlante degli uccelli nidificanti e svernanti in provincia di Napoli (III parte).
Gli Uccelli dItalia, 11: 51-56.
FRAISSINET M., 1989 La fauna vertebrata del complesso vulcanico Somma-Vesuvio (1 parte).
Quaderni vesuviani, 15: 21-24.
FRAISSINET M. & CAPUTO E., 1984 Atlante degli uccelli nidificanti e svernanti in provincia di Napoli.
Gli Uccelli dItalia, 9: 57-75, 135-150.
FRAISSINET M. & KALBY M., 1989 Atlante degli uccelli nidificanti in Campania. Monografia n.1 dellASOIM,
Napoli: Regione Campania.
FRAISSINET M., 1990 La fauna vertebrata del complesso vulcanico Somma-Vesuvio (2 parte).
Quaderni vesuviani, 16: 25-29.
FRAISSINET M., 1992 La fauna vertebrata del Somma-Vesuvio. Quaderni vesuviani, 20: 21-26.
FRAISSINET M. & MILONE M., 1992 Migrazione e inanellamento degli uccelli in Campania. Monografia n.2
dellASOIM, Napoli: Regione Campania.
FRAISSINET M., 1995 Atlante degli uccelli nidificanti e svernanti nella citt di Napoli. Napoli: Electa Napoli.
PICARIELLO O., FRAISSINET M. & MAIO N., 1999 Gli animali selvatici del Parco Nazionale del Vesuvio e del
Cilento-Vallo di Diano; pp. 339-382. In: Lucarelli F. (ed.), La rete MAB nel Mediterraneo. Parchi
Nazionali del Cilento Vallo di Diano e del Vesuvio. Il ruolo dellUNESCO. Napoli: Studio Idea.
MAIO N., 1999 Relazione dellattivit svolta e dei risultati conseguiti nel 2 e 3 trimestre 1999 (aprile e
settembre). Borsa di studio dellEnte Parco nazionale del Vesuvio sul monitoraggio zoologico (dattiloscritto).
MOSCHETTI G. & WALTERS M., 1992 Il Parco Gussone di Portici (Napoli) e la sua avifauna.
Gli Uccelli dItalia, 17: 16-26.
MOSCHETTI G., WALTERS M. & ROCCO M., 1992 Osservazioni inedite sul complesso vulcanico
Somma-Vesuvio, Napoli. Gli Uccelli dItalia, 17: 42-43.
SCEBBA S., 1993 Gli Uccelli della Campania. Napoli: Edizioni Esselibri.
BIBLIOGRAFIA
215
E-mail: odierna@dgbm.unina.it
RIASSUNTO
SUMMARY
N
Nel corso degli anni 1998-99 sono state condotte indagini di campo sui Mammiferi del
Parco Nazionale del Vesuvio. I monitoraggi sono stati effettuati tramite losservazione
diretta, il rilevamento di vari segni di presenza ed il rinvenimento di esemplari morti.
Mediante contemporanee ricerche di archivio, bibliografiche e museologiche stata
delineata la storia della teriofauna vesuviana allo scopo di effettuare confronti con le specie
della fauna attuale. Nel presente lavoro si riportano i dati preliminari delle ricerche svolte.
Nellarea del Parco sono state rilevate 17 specie di Mammiferi (Erinaceus europaeus,
Suncus etruscus, Crocidura suaveolens, Talpa romana, Eliomys quercinus, Myoxus glis, Muscardinus avellanarius, Microtus savii, Rattus rattus, Rattus norvegicus, Mus domesticus, Apodemus
sylvaticus, Oryctolagus cuniculus, Lepus europaeus, Vulpes vulpes, Martes foina, Mustela nivalis).
I Chirotteri non sono stati presi in considerazione perch trattati nel capitolo successivo.
Diverse specie di Insettivori (Sorex samniticus, Sorex araneus, Sorex minutus, Neomys
fodiens, Crocidura russula, Talpa europaea); Roditori (Sciurus vulgaris, Arvicola terrestris);
Lagomorfi (Lepus corsicanus, Lepus capensis) e Carnivori (Canis lupus, Meles meles, Lutra
lutra, Mustela putorius, Felis s. silvestris) sono state segnalate in letteratura, ma non pi confermate nellarea del Parco.
Nonostante si sia impoverita di specie rispetto al passato, la teriofauna del Vesuvio riveste una grande importanza soprattutto per gli Insettivori e Roditori che costituiscono la
risorsa fondamentale dei predatori. Il Vesuvio rappresenta quindi unarea fondamentale per
la conservazione di questi micromammiferi.
PAROLE
KEY
CHIAVE:
WORDS:
216
INTRODUZIONE
METODOLOGIE DI RICERCA
LLe limitate conoscenze faunistiche sulla teriofauna del Vesuvio risalgono ad Oronzio
Gabriele Costa, che comp periodiche perlustrazioni dal 1838 al 1848 sul territorio vesuviano per effettuarvi censimenti faunistici. Lo scienziato, con il figlio Achille, pubblic
numerosi dati sullentomofauna ma pochi sui vertebrati (O. G. Costa, 1839a, 1839b, A.
Costa, 1839, 1857). Scarsi inoltre sono i resoconti pubblicati dai numerosi naturalisti che
hanno esplorato il vulcano nel corso degli ultimi due secoli.
Nel decennio 1970-1980 il naturalista napoletano Luciano Dinardo ha effettuato
numerose missioni sul Somma-Vesuvio raccogliendo una notevole mole di dati teriologici che costituiscono lunica fonte scientifica di informazioni riguardanti la distribuzione
della fauna omeoterma dal dopoguerra ad oggi. I numerosi resoconti faunistici pubblicati da dilettanti o da giornalisti non zoologi hanno descritto la teriofauna vesuviana senza
il supporto di ricerche faunistiche originali sul campo: le checklist pubblicate risultano
quindi parziali, o addirittura contengono dati erronei.
La nostra ricerca si basa su missioni di campo effettuate nel corso degli anni 19981999 finalizzate al monitoraggio di tutti i mammiferi attualmente presenti sul territorio
vesuviano. I dati cos acquisiti ci hanno permesso di effettuare considerazioni critiche tra
le specie della fauna storica, quella presente nel parco nel dopoguerra e lattuale. Il territorio vesuviano ha infatti subito nella seconda met di questo secolo una massiccia urbanizzazione che ha condizionato i suoi attuali aspetti naturalistici (Amori et al., 1984).
Nel presente lavoro si riportano i dati preliminari delle ricerche ancora in corso. Tali
ricerche rientrano in un pi ampio progetto di monitoraggio e studio della biodiversit
del Vesuvio, promosso dallEnte Parco. I Chirotteri non sono stati presi in considerazione perch oggetto di uno specifico lavoro (cfr. Russo & Mastrobuoni, presente volume).
II dati sono stati raccolti seguendo tre diverse metodologie di ricerca. stata innanzitutto intrapresa unindagine archivistica e bibliografica al fine di tracciare un quadro esaustivo della letteratura teriologica vesuviana; successivamente stata condotta unaccurata
indagine zoologica museologica. Parallelamente stato condotto uno studio di campo
effettuando numerose missioni in tutte le aree sia del Parco che circostanti (circa 210 km
quadrati), al fine di raccogliere dati faunistici aggiornati e soprattutto di effettuare un
confronto con i dati bibliografici e museologici.
La distribuzione delle specie pi comuni stata rappresentata utilizzando la scala
UTM 1:50.000 con maglie di 1 km. Le stazioni di rilevamento sono elencate in Tabella 1.
I rilevamenti della stessa specie lungo transetti che includono pi quadranti UTM sono
stati considerati come ununica stazione per quadrante.
Per quanto concerne gli aspetti tassonomici si fatto generalmente riferimento a Wilson & Reeder (1993) per la nomenclatura, ed alla checklist dei vertebrati italiani per la
sistematica ufficiale dei mammiferi italiani (Amori et al., 1993).
Manoscritti e documenti inediti sono stati consultati nelle biblioteche delle seguenti
istituzioni napoletane: Dipartimento di Zoologia; Dipartimento di Biologia Evolutiva e
Comparata; Club Alpino Italiano; Accademia delle Scienze Matematiche e Fisiche;
Accademia Pontaniana; Stazione Zoologica Anton Dohrn; Emeroteca Tucci. Sono
stati consultati anche i fondi conservati nelle seguenti istituzioni: Archivio di Stato; archivio del Museo Zoologico; Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III; Biblioteca Universitaria; Archivio Storico dellUniversit di Napoli. Tale ricerca ha completato i primi
risultati raccolti in un precedente lavoro che fornisce un provvisorio quadro sintetico delle
informazioni bibliografiche (Picariello et al., 1999).
217
Le ricerche museali sono state eseguite esaminando le collezioni teriologiche conservate presso le seguenti istituzioni: Museo Zoologico (Sezione di Zoologia del Centro
Musei delle Scienze Naturali dellUniversit di Napoli Federico II); Museo Regionale
di Scienze Naturali di Torino; Museo Zoologico de La Specola dellUniversit di Firenze; Museo Civico di Storia Naturale di Milano; Museo di Storia Naturale e del Territorio dellUniversit di Pisa; Museo del Dipartimento di Entomologia e Zoologia Agraria
dellUniversit degli Studi di Napoli Federico II (Scaramella et al., 1985); Museo Naturalistico degli Alburni di Corleto Monforte; Antiquarium di Boscoreale. Sono state esaminate anche le seguenti raccolte teriologiche: collezione craniologica Domenico Capolongo, collezione Paolo Annunziata, collezione Luciano Dinardo.
RICERCA MUSEOLOGICA
INDAGINE DI CAMPO
218
nerastro che essiccandosi forma una crosta sottile, mentre le borre di civetta sono piccole, grigiastre e con evidente presenza di cuticole di Artropodi (Brown et al., 1989; Mikkola, 1983; Geroudet, 1984; Chiavetta, 1988). Casolari abbandonati e basi di pareti rocciose sono i principali luoghi dove possibile rinvenire borre di Strigiformi nellarea del
Parco (Nappi, 1999).
Lanalisi in laboratorio dei rigurgiti viene effettuata aprendo gli stessi con delle pinzette, a secco, oppure ammorbidendoli in acqua quando troppo duri; si estraggono quindi i crani nella maniera pi scrupolosa possibile in modo da recuperarne i pezzi pi piccoli e il conteggio viene effettuato considerando le emiarcate mascellari o mandibolari pi
rappresentate numericamente. Malgrado i crani cos ottenuti non siano quasi mai integri,
conservano i denti e altri caratteri che, osservati al microscopio, consentono di giungere
alla determinazione della specie o quantomeno del genere. Il metodo usato nel presente
lavoro essenzialmente in accordo con quello suggerito da Contoli (1980).
Per quanto riguarda la diagnosi specifica dei micromammiferi si fatto riferimento a
Toschi, (1959), Toschi (1965), Richter (1970), Chaline et al. (1974), Graf et al. (1979),
Amori et al. (1984), Yalden & Morris (1990). Una piccola collezione di crani e pelli conservata presso il Dipartimento di Zoologia di Napoli ci servita come confronto.
Il monitoraggio diretto dei Lagomorfi stato effettuato mediante missioni periodiche, soprattutto nei mesi da febbraio ad ottobre, lungo i principali sentieri e stradelli che
da ciascun comune vesuviano conducono al Monte Somma e al Vesuvio e mediante interviste a cacciatori della zona. Nel presente lavoro sono stati presi in considerazione anche
i dati provenienti dallesame esterno delle feci in quanto, anche se riconducibili solo ai
generi Lepus ed Oryctolagus, nel Parco tali generi appartengono esclusivamente alle specie Lepus europaeus ed Oryctolagus cuniculus. La diagnosi specifica di L. europaeus stata
effettuata su pellicce e crani di diversi esemplari rinvenuti morti nellarea del Parco (Palacios, 1996).
Anche per i Mustelidi ci si basati sulla morfologia e posizione delle feci, essendo
animali difficili da osservare direttamente di giorno: nel Parco del Vesuvio infatti sono
presenti solo Martes foina e Mustela nivalis. Non stato possibile compiere missioni notturne e trappolamenti a causa dellespresso divieto del Corpo Forestale dello Stato.
Per la diagnosi specifica dei reperti dei Mustelidi esaminati ci si avvalsi di Toschi
(1965) e di esemplari di riferimento conservati presso il Museo Zoologico di Napoli.
TABELLA 1
COD.
a1
STAZIONI
DI RILEVAMENTO DEI
MAMMIFERI
COMUNE
S. Sebastiano al Vesuvio
ALT.
160
c1
Pollena Trocchia
100
c2
Pollena Trocchia
700
d1
S. Anastasia
124
d2
S. Anastasia
d3
S. Anastasia
250
d4
S. Anastasia
200
d5
S. Anastasia
130
d6
S. Anastasia
380
219
TABELLA 1
COD. COMUNE
ALT.
d7
S. Anastasia
106
e1
Somma Vesuviana
140
e2
Somma Vesuviana
150
e3
Somma Vesuviana
160
e4
Somma Vesuviana
120
e5
Somma Vesuviana
160
strada asfaltata
e6
Somma Vesuviana
230
e7
Somma Vesuviana
115
e8
Somma Vesuviana
109
e9
Somma Vesuviana
85
e10
Somma Vesuviana
68
e11
Somma Vesuviana
70
e12
Somma Vesuviana
260
f1
Ottaviano
160
f2
Ottaviano
280
f3
Ottaviano
275
f4
Ottaviano
f5
Ottaviano
f6
Ottaviano
450
f7-f8
Ottaviano
f9
Ottaviano
980
Valle dellInferno
h1
Terzigno
100
h2
Terzigno
55
h3
Terzigno
42
h4
Terzigno
360
m1
Trecase
70-440
m2
Trecase
n1
Pompei
38
rudere
p1
40
p2
120
q1
Ercolano
340
strada asfaltata
q2
Ercolano
500
strada asfaltata
q3
Ercolano
210
strada asfaltata
r1
Portici
70
r2
Portici
20
parco urbano
STAZIONI
DI RILEVAMENTO DEI
MAMMIFERI
220
RISULTATI
N
Nel Parco e nelle aree limitrofe sono state rilevate sia con metodi diretti che indiretti quattro
specie di Insettivori (Erinaceus europaeus, Suncus etruscus, Crocidura suaveolens, Talpa romana), otto
specie di Roditori (Eliomys quercinus, Myoxus glis, Muscardinus avellanarius, Microtus savii, Rattus
rattus, Rattus norvegicus, Mus domesticus, Apodemus sylvaticus), due di Lagomorfi (Oryctolagus cuniculus, Lepus europaeus) e tre di Carnivori (Vulpes vulpes, Martes foina, Mustela nivalis). Di seguito
sono riportati tutti i dati, sia storici che recenti, relativi alle specie monitorate nellarea di studio e la
loro distribuzione (cfr. Figg. 1-8). Nel presente contributo viene anche riportata la segnalazione
della presenza negli ultimi due secoli di altre 15 specie (Sorex samniticus, Sorex araneus, Sorex minutus, Neomys fodiens, Crocidura russula, Talpa europaea, Sciurus vulgaris, Arvicola terrestris, Lepus corsicanus, Lepus capensis, Canis lupus, Meles meles, Lutra lutra, Mustela putorius, Felis silvestris silvestris)
nota solo attraverso dati bibliografici e museologici e non confermata dalle recenti indagini di campo.
Alcuni autori a partire dagli anni 70 hanno segnalato la presenza del riccio sul
Somma-Vesuvio (Fraissinet, 1990; Dinardo, 1991b; Moschetti & Walters, 1992;
Di Fusco & Di Caterina, 1998).
Nel corso delle nostre recenti ricerche il riccio risultato presente in tutto il territorio
del Parco dal livello del mare sino a 700 m (cfr. Tab. 2). Anche sul Somma-Vesuvio il riccio
frequenta prevalentemente il bosco misto, ai margini di aree agricole. Lo si osserva di frequente schiacciato sulle strade pedemontane.
Il mustiolo presente in tutto il territorio del Parco essendo stato rinvenuto sia nel
versante tirrenico a livello del mare, sia nel versante settentrionale fino a 300 m s.l.m. S.
etruscus preda abituale di Tyto alba e nelle sue borre sono stati rinvenuti i resti in diverse stazioni del Parco: un apposito studio condotto sullalimentazione del barbagianni
TABELLA 2
ST.
ERINACEUS
EUROPAUES:
DATA
1971
15-06-1982
1990-91
8-10-1995
primavera 1997
febbraio 1998
1 es. oss., sentiero che porta alla lava del 1944, Ercolano
(S. Mastrullo, com. pers.)
estate 1998
d4
29-04-1999
e7
29-04-1999
25-05-1999
221
negli anni 1991-92, ne ha rivelato la presenza nel Parco Gussone di Portici (Moschetti &
Walters, 1992; Moschetti et al., 1995; Viglietti, 1998). Nello stesso sito resti di mustiolo
sono stati rinvenuti anche in borre di A. noctua nel 1992 (Moschetti & Mancini, 1993)
ed un esemplare morto nellaprile 1993 (Moschetti, com. pers.). Anche il nostro studio
sulla distribuzione di questa specie di insettivoro stato condotto prevalentemente
mediante lanalisi delle borre degli strigiformi, in base alle quali risultato presente nelle
stazioni di Torre del Greco e nelle stazioni di Ottaviano. La sua presenza a Somma Vesuviana testimoniata da un esemplare della collezione L. Dinardo, conservato in alcool,
rinvenuto morto presso la Masseria Starza della Regina il 28 maggio 1982 (Dinardo, 1991c).
S. etruscus nellarea vesuviana vive soprattutto in aree antropizzate caratterizzate da
bosco misto antropizzato ad ontani, acacie e alberi da frutta.
Anche questa specie presente in tutto il territorio del Parco essendo stata rilevata nelle
stesse stazioni di S. etruscus dal livello del mare fino a 300 m. Resti di C. suaveolens sono stati
rinvenuti in borre di Tyto alba nel Parco Gussone di Portici negli anni 1991-92 (Moschetti & Walters, 1992; Moschetti et al., 1995; Viglietti, 1998) e nel corso della nostra ricerca
nelle stazioni di Torre del Greco e di Ottaviano. A Somma Vesuviana stata osservata in
Masseria del Duca, a 95 m, il 18 giugno 1982 (Dinardo, 1991c).
La crocidura minore nellarea vesuviana vive negli stessi ambienti di S. etruscus.
Cavazza (1913) riporta il rinvenimento di esemplari di C. russula a Scafati (Salerno)
nel 1913, ma recenti studi hanno dimostrato che gli esemplari in questione appartengono alla specie C. leucodon (Nappi, 1998).
La prima segnalazione di talpa romana per larea vesuviana risale al 1935 ed rappresentata da due esemplari rinvenuti a Portici e conservati nelle collezioni del Museo del
Dipartimento di Entomologia e Zoologia Agraria di Portici; la sua presenza in questa
localit confermata sino al 1982 nel Parco Gussone di Portici (Moschetti, com. pers.).
In letteratura la talpa nel Parco riportata da Dinardo (1991b) nel 1981, da Fraissinet
(1990) e da Di Fusco & Di Caterina (1998).
La specie stata da noi rinvenuta in otto stazioni dai 40 m ai 300 m, nei comuni di
Torre del Greco, S. Anastasia, Somma Vesuviana, Ottaviano e Terzigno (cfr. Tab. 3). La
talpa romana presente nei pianori di altura, come ad es. la Valle dellInferno, nei boschi
misti, nei prati e nei coltivi del Monte Somma (cfr. Fig. 1).
Sulla base delle nostre ricerche sul campo e dai dati disponibili in letteratura si evince che il topo quercino un animale comune nel territorio del Parco. Risulta presente nei
comuni di Cercola, Pollena Trocchia, S. Anastasia, Somma Vesuviana, Ottaviano, S. Giuseppe Vesuviano, Terzigno (Pavan & Mazzoldi, 1983); stato osservato in localit Masseria Allocca (Somma Vesuviana) (Dinardo, 1990a); ad Ottaviano sui noccioleti (Fraissinet, 1990); nei boschi meno degradati delle pendici settentrionali del Monte Somma
(Ricciardi et al., 1996) e nei coltivi e noccioleti del Vesuvio (Di Fusco & Di Caterina,
1998; Ardito, 1998). Preferisce i muretti a secco e le siepi nei pressi di coltivi alberati,
noccioleti e boschi misti, dove si nutre preferenzialmente di frutta, nocciole e ghiande,
non disdegnando gli insetti (Toschi, 1965). Per queste sue abitudini eco-alimentari si
spinge sino alla sommit dei boschi misti del Somma-Vesuvio. Grazie alle sue ridotte
dimensioni e alle sue abitudini crepuscolari e notturne, rientra nella nicchia trofica del
barbagianni ed quindi facile rinvenire suoi resti ossei (crani e denti) nelle borre di questi strigiformi. Sulla base di tali ricerche sono stati rinvenuti resti di questa specie in
diverse stazioni del parco (cfr. Fig. 2, Tab. 4).
222
FIGURA 1
Figura 1
Distribuzione nellarea vesuviana
della talpa romana (Talpa romana).
Sulla cartina mostrato il reticolato UTM
con maglie di un chilometro.
In grigio scuro indicata la zona 1,
in grigio chiaro la zona 2 del Parco.
: osservazioni dal 1990 in poi
: osservazioni precedenti il 1990
Myoxus glis (L., 1766)
ghiro
Rodentia, Gliridae
Risulta presente nei comuni di S. Anastasia, Somma Vesuviana, Ottaviano, S. Giuseppe Vesuviano, Terzigno, Boscotrecase, Ercolano, Torre del Greco (Pavan & Mazzoldi, 1983; Fraissinet, 1990; Ricciardi et al., 1996; Di Fusco & Di Caterina, 1998; Ardito,
1998). Lunica segnalazione di ghiro per Portici risale al 5 ottobre 1939 ed rappresentata da un esemplare conservato del Museo del Dipartimento di Entomologia e Zoologia Agraria di Portici. Il ghiro stato anche segnalato nel Vallone di Castello a 950 m, il
15 luglio 1975 e nei boschi di betulle, ontani e castagni del Vallone del Murello, fino a
800-900 m nella primavera del 1976 (Dinardo, 1990a). Nel corso della nostra ricerca
stato rinvenuto un esemplare adulto in letargo nel comune di S. Anastasia il 28 febbraio
1999, e sono stati rinvenuti il 20 settembre 1999 alcuni esemplari morti ad Ottaviano.
Il ghiro viene spesso cacciato di notte con laiuto di potenti torce. A tuttoggi resta
viva nei paesi vesuviani lantica tradizione culinaria risalente allepoca romana, come
testimoniano i ritrovamenti dei gliraria nelle ville rustiche di Pompei e altri paesi vesuviani.
223
TABELLA 3
ST.
DATA
22-05-1935
anni 40
21-04-1981
maggio 1981
1982
1991
1998
sett. 1998
e12
20-01-1999
d3
15-04-1999
p1
06-05-1999
29-05-1999
d4
01-06-1999
e9
14-10-1999
e11
10-12-1999
p2
30-12-1999
TALPA
ROMANA:
degradati del Somma e nei coltivi mediterranei del versante vesuviano (Ricciardi et
al., 1996; Di Fusco & Di Caterina, 1998; Ardito, 1998). Come il topo quercino
anche il moscardino viene predato da Strigiformi e risulta presente in diverse stazioni del comprensorio del parco (Portici, S. Anastasia, Ottaviano) sulla base di analisi delle borre.
M. savii sicuramente larvicola pi comune in Italia meridionale, dove frequenta
principalmente campi incolti o coltivati, margini e radure di boschi e boschi non troppo
fitti, dove si nutre prevalentemente di tuberi, radici, semi, germogli e cortecce (Toschi,
1965). Tali ambienti sono presenti in tutto il territorio del Parco dove la specie sembra
essere comune, tanto da costituire una delle prede di elezione degli Strigiformi. Dinardo
(1991a) lo riporta per il versante settentrionale del Monte Somma e nella pianura sottostante, in dirupi, valloni, canali e ambienti antropizzati (cfr. Fig. 3, Tab. 5).
Specie erratica, ha invaso lEuropa nel XVIII secolo provenendo dallAsia centrale.
Frequenta preferibilmente i piani bassi degli edifici, le fogne e cantine, localit umide,
canali e fossi dove si nutre di tutto ci che incontra essendo onnivoro e vorace (Toschi,
1965). La scarsit dei ritrovamenti nelle borre rispetto al ratto nero imputabile alleco-
224
FIGURA 2
Figura 2
Distribuzione nellarea vesuviana
del topo quercino (Eliomys quercinus).
Sulla cartina mostrato il reticolato UTM
con maglie di un chilometro.
In grigio scuro indicata la zona 1,
in grigio chiaro la zona 2 del Parco.
: osservazioni dal 1990 in poi
: osservazioni precedenti il 1990
etologia di questa specie, pi adattata alla vita notturna, elusiva e scaltra dellaltra, dotata
di vista, udito e fiuto sviluppatissimi. Il ratto di fogna inoltre predilige ambienti fortemente urbanizzati dove gli strigiformi, suoi predatori occasionali, non sono molto presenti. La specie presente in tutti i centri abitati del Parco (cfr. Tab. 6).
Rattus rattus (L., 1758)
ratto nero
Rodentia, Muridae
Nel comprensorio del Parco specie comune: nel corso delle nostre ricerche ne abbiamo
rinvenuto numerosi crani nelle borre di strigiformi. Frequenta case, masserie e depositi agricoli e lo si incontra anche nei noccioleti, pinete, querceti e campi coltivati, terreno di caccia
ideale per gli strigiformi (cfr. Tab. 7). Dinardo (1990b) lo ha osservato in vecchie masserie
nelle zone comprese tra S. Anastasia e Somma Vesuviana, negli anni 70 e 80 (cfr. Fig. 4)
un roditore molto comune nel territorio del parco: frequenta sia case abbandonate
che abitate, sia campagne e, soprattutto nella buona stagione, i margini dei boschi e la
macchia. Le prime segnalazioni risalgono agli anni 30 con un esemplare di Portici, conservato nelle collezioni del Museo del Dipartimento di Entomologia e Zoologia Agraria
di Portici. Dinardo (1990b) lo riporta a Somma Vesuviana nel 1980. Nel corso delle
nostre ricerche stato rinvenuto in molti comuni del Parco (cfr. Fig. 5, Tab. 8).
225
TABELLA 4
ST.
DATA
1976 - 1977
14-06-1981
1990
giu.-ott. 1991
1991
autunno 1991
giugno 1993
estate 1998
e5
09-04-1999
h1
21-05-1999
p1
06-05-1999
f3
29-05-1999
ELIOMYS
QUERCINUS:
ambienti frequentati nel parco gli stessi delle altre aree della Campania: boschi, parchi e
coltivi fino a oltre mille metri di quota. Le prime segnalazioni risalgono gli anni 70.
DErrico & Di Maio (1974) lo riportano a Portici e Dinardo (1989, 1990b) lo riporta a
Somma Vesuviana e a S. Anastasia sul finire degli anni 80.
Nel corso delle nostre ricerche stato rinvenuto in quasi tutti i comuni del Parco (cfr. Tab. 9).
Il coniglio selvatico oggi presente nel Parco con una popolazione localizzata soprattutto sul versante orientale del Vesuvio, in particolare nellarea di Terzigno e di Trecase:
dalle interviste a coltivatori del posto risulta, infatti, che si alimenti nelle campagne
pedemontane e si ripari nelle pinete in alta montagna. Anche Di Fusco & Di Caterina
(1998) ne riportano la presenza sul Vesuvio. Negli anni 40-60 veniva cacciato con certezza anche in tutto il versante tirrenico del Vesuvio, dalle pinete di Torre del Greco sino
ad Ercolano, dove oggi sembra estinto (Ricciardi et al., 1996). Fraissinet (1990) lo considera estinto negli anni 70; Ardito (1998) sostiene che dopo lestinzione la specie stata
oggetto di nuovi ripopolamenti a scopo venatorio.
Secondo Ricciardi (com. pers.) negli anni 40 le lepri europee sono state introdotte
nella Valle dellInferno, dove si organizzavano squadre di caccia al pelo col furetto. Negli
anni 70-80 la lepre europea stata segnalata nella Valle del Gigante sino a 850 m, nei
valloni e Cognoli di Levante situati sul versante orientale dell Monte Somma e nei Valloni del Sacramento, del Cancherone e di Castello sul versante settentrionale (Dinardo,
1992a). Attualmente la specie presente soprattutto nella zona 1 a riserva integrale del
Parco. stata da noi rinvenuta lungo la strada Matrone e nei sentieri collaterali, nel Piano
226
FIGURA 3
Figura 3
Distribuzione nellarea vesuviana
dellarvicola del Savi (Microtus savii).
Sulla cartina mostrato il reticolato UTM
con maglie di un chilometro.
In grigio scuro indicata la zona 1,
in grigio chiaro la zona 2 del Parco.
: osservazioni dal 1990 in poi
: osservazioni precedenti il 1990
delle Ginestre, nella Valle dellInferno e nella Valle del Gigante, dove vive nel ginestreto e nei
boschi di acacia, fino ai 980 m dei Cognoli di Ottaviano (cfr. Fig. 6, Tab. 10).
Vulpes vulpes (L., 1758)
volpe
Carnivora, Canidae
Le prime segnalazioni pubblicate riguardanti la presenza della volpe nel Parco risalgono agli anni 70 (Dinardo, 1989, 1992b). Tale autore la riporta presente nel Vallone del
Cancherone e di Castello, nella Valle del Gigante, nella Valle delle Ginestre e nella Riserva Tirone-Alto Vesuvio. Anche Pavan & Mazzoldi (1983) hanno riportato nel 1977 la
volpe presente in quasi tutti i comuni del Parco (S. Anastasia, Somma Vesuviana, Ottaviano, S. Giuseppe Vesuviano, Terzigno, Boscotrecase, Torre del Greco, Ercolano e Portici).
La nostra ricerca di campo ha confermato la presenza di questo carnivoro in tutti gli
habitat del territorio vesuviano e delle aree limitrofe, dai boschi misti alle pinete e agli
arbusteti, fino ai 980 m della Valle dellInferno, dove preda pure la lepre europea. Essendo una specie onnivora ed opportunista, la si ritrova anche in ambienti antropizzati, come
le aree agricole del parco e i centri urbani vesuviani, ove si alimenta spesso di rifiuti.
Numerose carcasse sono state rinvenute sulle strade vesuviane a scorrimento veloce (cfr.
Fig. 7, Tab. 11). La volpe, manifestando una spiccata plasticit ecologica, adegua la propria dieta sulla base del tipo di ambiente frequentato e della disponibilit locale e stagionale delle risorse trofiche. Nel Parco si nutre, oltre che delle abituali prede selvatiche
come lepri e conigli selvatici, che rinviene nelle aree poco antropizzate, come la Riserva
Forestale Tirone-Alto Vesuvio, ma anche di animali domestici, in particolare di animali
da cortile, come testimoniano le numerose catture in prossimit di pollai. Essendo dive-
227
TABELLA 5
ST.
DATA
15-06-1977
1990 - 1991
estate 1991
giu.-ott. 1991
autunno 1991
gennaio 1992
primavera 1992
h1
21-05-1999
p1
06-05-1999
f3
29-05-1999
d4
01-06-1999
f2
01-06-1999
d4
11-06-1999
h2
18-06-1999
h3
18-06-1999
p1
22-06-1999
e7
09-07-1999
e8
09-07-1999
n1
14-07-1999
e9
14-10-1999
MICROTUS
SAVII:
nuta praticamente onnivora si trova spesso in ambienti molto antropizzati, come le campagne
nei dintorni del Vesuvio e nei centri urbani vesuviani, ove si alimenta anche di rifiuti.
Diffusa dalle campagne del Monte Somma fino alle quote pi alte del Vesuvio, stata
segnalata a Somma Vesuviana nei pressi della Masseria la Starza della Regina dal 1980
al 1988 (Dinardo, 1989, 1993b). Ardito (1998, 1999) la considera, invece rara. Dati
recenti sulla presenza di questo mustelide nel parco provengono da un esemplare catturato a Terzigno nel 1990, successivamente tassidermizzato, e da una foto di un individuo
adulto rimasto intrappolato in un pollaio di Terzigno nel 1998 (Annunziata, com. pers.).
Feci chiaramente riconducibili al genere Martes sono state rinvenute in dieci stazioni nei comuni di: Pollena Trocchia, S. Anastasia, Ottaviano, Terzigno ed Ercolano, dai
160 m di Terzigno fino ad altitudini di 980 m sui Cognoli di Ottaviano (cfr. Fig. 8, Tab. 12).
228
TABELLA 6
RATTUS
NORVEGICUS:
ST.
DATA
1971 - 1975
15-05-1980
1990-1991
1991 - 1992
q1
25-04-1999
1 es. schiacciato
p1
22-06-1999
e2
09-07-1999
1 es. schiacciato
n1
14-07-1999
1 cranio
r2
20-07-1999
a1
22-11-1999
e8
10-12-1999
1 es. oss.
q3
14-12-1999
ST.
DATA
primavera 1976
prim-estate 1982
06-04-1980
1990-1991
1991-1992
aprile 1992
p1
06-05-1999
f3
29-05-1999
d4
11-06-1999
p1
22-06-1999
n1
14-07-1999
TABELLA 7
RATTUS
RATTUS:
229
FIGURA 4
Figura 4
Distribuzione nellarea vesuviana
del ratto nero (Rattus rattus).
Sulla cartina mostrato il reticolato UTM
con maglie di un chilometro.
In grigio scuro indicata la zona 1,
in grigio chiaro la zona 2 del Parco.
: osservazioni dal 1990 in poi
: osservazioni precedenti il 1990
In assenza di dati di campo e di segnalazioni bibliografiche di altre specie appartenenti al genere Martes, ipotizziamo che le tracce da noi rinvenute appartengano con
molta probabilit a M. foina. Sulla base di tali rinvenimenti possiamo considerare la faina
diffusa in tutto il territorio vesuviano. Essa, infatti, frequenta sia habitat aperti come
arbusteti e incolti, sia forestali come boschi misti e pinete, sia aree rurali antropizzate,
come testimoniano le feci rinvenute sui sentieri, nei pressi di cavit e cunicoli tra rocce
laviche e allinterno di ruderi.
I dati storici disponibili in letteratura segnalano la presenza della donnola sul Monte
Somma tra la fine degli anni 70 e linizio degli anni 80 (Dinardo, 1989, 1993a). Sul
Vesuvio riportata da Cecio (1983), Fraissinet (1990), Ricciardi et al. (1996), Di Fusco
& Di Caterina (1998). Ardito (1998, 1999) la considera rara. In base ai dati raccolti dalla
nostra ricerca possibile affermare che M. nivalis presente nel versante settentrionale
ed orientale del Parco dai 200 m ai 300 m, nei comuni di Somma Vesuviana, Ottaviano
e Terzigno (cfr. Tab. 13).
La notevole versatilit ecologica le permette di colonizzare nel Parco pressoch tutti
gli ambienti agricoli e forestali, soprattutto del Monte Somma, come confermano le feci
attribuibili a questa specie, rinvenute in coltivi ed allinterno di ruderi.
230
FIGURA 5
Figura 5
Distribuzione nellarea vesuviana
del topolino delle case (Mus domesticus).
Sulla cartina mostrato il reticolato UTM
con maglie di un chilometro.
In grigio scuro indicata la zona 1,
in grigio chiaro la zona 2 del Parco.
: osservazioni dal 1990 in poi
: osservazioni precedenti il 1990
Le uniche segnalazioni di questa specie riguardano esemplari osservati, sia morti che
vivi, presso le masserie Allocca, Starza della Regina, del Duca e nei Valloni del Cancherone (Somma Vesuviana) e delle sorgenti dellOlivella (S. Anastasia) negli anni 1978-81
da Dinardo (1991c).
231
TABELLA 8
ST.
DATA
31-03-1922
24-10-1938
15-05-1980
1991
estate 1991
giu.-ott. 1991
resti in borre di Strigiformi, Parco Gussone, Portici (Moschetti & Walters, 1992)
autunno 1991
inv. 1991-92
primav. 1992
giugno 1999
p1
06-05-1999
f3
29-05-1999
d4
01-06-1999
f2
01-06-1999
d4
11-06-1999
h3
18-06-1999
p1
22-06-1999
e7
09-07-1999
n1
14-07-1999
MUS DOMESTICUS:
DATI FAUNISTICI STORICI E DI CAMPO
Anche per questa specie lunica citazione quella di Dinardo (1991c) che ha osservato alcuni esemplari nel 1980 in prossimit dei canali e delle pozze in localit Masseria
Castagnola (Somma Vesuviana) e nel Lagno dei Leoni (Somma Vesuviana) il 5/6/1983.
Lunica segnalazione per questa specie nel Somma-Vesuvio riportata da Cecio (1983).
Nel Parco non sono stati da noi rinvenuti esemplari di T. europaea.
232
TABELLA 9
ST.
DATA
19-11-1974
20-09-1974
20-09-1980
1985-1989
24-04-1989
1991-1992
p1
06-05-1999
SYLVATICUS:
f3
29-05-1999
f2
01-06-1999
d4
01-06-1999
p1
22-06-1999
n1
14-07-1999
APODEMUS
Gli unici dati su questa specie risalgono alle segnalazioni di mandibole e resti vari rinvenuti in borre da Dinardo presso il Lagno dei Leoni il 18 maggio 1975 (75 m) e nel
Fosso del Cancherone (Somma Vesuviana) nellottobre 1977 (Dinardo, 1991a). Nonostante che laspetto generale del cranio sia simile a quello di Microtus savii, le sue maggiori dimensioni lo rendono difficilmente confondibile e quindi possiamo escludere un
errore di identificazione da parte di Dinardo. Lassenza di resti di arvicola nelle borre da
noi raccolte ci fa ritenere che questo taxon sia divenuto molto raro se non addirittura
estinto nellarea del parco.
Sembra che nel diciannovesimo secolo esistesse una popolazione autoctona di L. corsicanus sul Vesuvio: infatti, lunica segnalazione di lepre nana ci viene dalla testimonianza di un anziano cacciatore di Ottaviano, che ricorda la presenza sul Monte Somma
di lepri di piccola taglia con la testa scura, sino agli anni 20 (M. Avino, com. pers.). A
tuttoggi questa sembra essere lunica segnalazione di lepre italica.
Fraissinet (1990) sostiene che questa specie sia stata introdotta a scopo venatorio nellarea del Somma-Vesuvio.
233
FIGURA 6
Figura 6
Distribuzione nellarea vesuviana
della lepre europea (Lepus europaeus).
Sulla cartina mostrato il reticolato UTM
con maglie di un chilometro.
In grigio scuro indicata la zona 1,
in grigio chiaro la zona 2 del Parco.
: osservazioni dal 1990 in poi
: osservazioni precedenti il 1990
TABELLA 10
ST.
DATA
20-04-1979
1980-89
m1
20-02-1998
genn. 1999
f6
18-01-1999
f9
19-01-1999
m2
22-01-1999
h1
09-04-1999
f6
29-05-1999
genn. 1999
feci; 1 es.
feci
LEPUS
feci
EUROPAEUS:
234
FIGURA 7
Figura 7
Distribuzione nellarea vesuviana
della volpe (Vulpes vulpes).
Sulla cartina mostrato il reticolato UTM
con maglie di un chilometro.
In grigio scuro indicata la zona 1,
in grigio chiaro la zona 2 del Parco.
: osservazioni dal 1990 in poi
: osservazioni precedenti il 1990
Anche per questa specie esistono solo segnalazioni storiche. Il lupo era, infatti, sicuramente presente nellarea vesuviana sino agli anni 20, come testimonia luccisione di un
esemplare, avvenuta sul Vesuvio, da parte di Michele Paduano, un famoso cacciatore della
zona: la carcassa dellanimale fu successivamente portata a Torre del Greco e messa in
mostra a pagamento (Ricciardi, com. pers.). Anche un articolo del Corriere della Sera del
7 febbraio 1924 riporta che il lupo si vede spesso in febbraio sul Vesuvio, segnalazione
ritenuta attendibile da Altobello (1924). Non esistono altre segnalazioni per questa specie.
Di questa specie esistono solo segnalazioni per lAgro Sarnese, area limitrofa del Parco.
La lontra era, infatti, presente con certezza nel fiume Sarno e nelle aree umide circostanti
nei primi anni del XX secolo, come testimonia lesemplare naturalizzato del Museo Zoologico di Napoli, acquistato il 25 ottobre 1911 da Francesco Saverio Monticelli e registrato sul Catalogo nella Collezione della Fauna Generale. Nel 1960 la lontra fu segnalata
nuovamente a Poggiomarino, sempre nei pressi del fiume Sarno (Cagnolaro et al., 1975).
235
TABELLA 11
ST.
DATA
1970
28-04-1973
1973
1974-78
16-03-1976
1976-77
S. Anastasia, Somma Vesuviana, Ottaviano, S. Giuseppe Vesuviano, Terzigno, Boscotrecase, Torre del Greco, Ercolano,
(Pavan & Mazzoldi, 1983)
1990-91
1997
m2
20-02-1998
q2
20-02-1998
f4
20-02-1998
f4
13-03-1998
d3
27-08-1998
feci
d6
27-08-1998
feci
h4
07-01-1999
c1
19-01-1999
e5
19-01-1999
e3
18-06-1999
e1
23-07-1999
f1
17-08-1999
f9
19-01-1999
f6
29-05-1999
26-10-1999
d1
25-11-1999
d5
10-12-1999
e4
10-12-1999
e9
10-12-1999
e11
10-12-1999
feci
d7
12-12-1999
feci
VULPES
VULPES:
236
FIGURA 8
43
44
45
46
47
48
25
49
50
51
52
53
54
55
56
57
58
59
25
Somma Vesuviana
SantAnastasia
24
24
Pollena Trocchia
23
23
Ottaviano
Massa di Somma
22
San Giuseppe
Vesuviano
MONTE SOMMA
22
21
21
20
VESUVIO
NAPOLI
19
19
Terzigno
Portici
18
18
17
17
Ercolano
16
16
15
Figura 8
Distribuzione nellarea vesuviana
della faina (Martes foina).
Sulla cartina mostrato il reticolato UTM
con maglie di un chilometro.
In grigio scuro indicata la zona 1,
in grigio chiaro la zona 2 del Parco.
: osservazioni dal 1990 in poi
: osservazioni precedenti il 1990
Boscotrecase
14
14
Boscoreale
Trecase
13
13
Torre Annunziata
12
12
Pompei
11
43
44
45
46
47
48
49
50
51
52
53
54
55
56
11
57
58
59
Soltanto Pavan & Mazzoldi (1983) riportano la presenza della puzzola alla fine degli
anni 70 nei comuni di S. Anastasia, Somma Vesuviana, Ottaviano, S. Giuseppe Vesuviano, Terzigno e Torre del Greco. La nostra ricerca non ha rilevato segni della presenza
attuale di M. putorius nellarea del Parco.
Secondo Pavan & Mazzoldi (1983) sarebbe stato presente nei comuni di Ottaviano e
S. Giuseppe Vesuviano fino agli anni 70. Al pari della precedente specie non la riteniamo attualmente presente nellarea del parco. Anche Di Fusco & Di Caterina (1998), lo
considerano estinto.
237
TABELLA 12
ST.
DATA
16-05-1980
giugno 1986
maggio 1988
1990
q2
20-02-1998
f4
20-02-1998
feci
f4
13-03-1998
feci
sett. 1998
d6
25-10-1998
feci
d3
27-08-1998
feci
15-01-1999
f9
19-01-1999
feci
f3
06-02-1999
feci
c2
15-04-1999
feci
h3
18-06-1999
e6
10-12-1999
feci
10-12-1999
feci
e9
10-12-1999
feci
e11
12-12-1999
feci
MARTES FOINA:
DATI FAUNISTICI STORICI E DI CAMPO
TABELLA 13
ST.
DATA
1976
1981
10-04-1983
1991
e12
20-01-1999
feci
f3
06-02-1999
feci
e10
09-07-1999
feci
f3
17-08-1999
feci
MUSTELA NIVALIS:
DATI FAUNISTICI STORICI E DI CAMPO
238
DISCUSSIONE
Prima delleruzione pliniana il paesaggio del Vesuvio era molto diverso dallattuale:
P
due fiumi, ad esempio, scorrevano lungo le sue pendici tra foreste mediterranee, che costituivano gli habitat ideali per cervi, caprioli, lupi e cinghiali (Vastarelli, 1911). Leruzione
ha cancellato i corsi dacqua e distrutto le foreste e probabilmente listituzione di riserve
reali in epoca angiona e aragonese sul Vesuvio era finalizzata alla conservazione delle
superstiti popolazioni di Ungulati a scopi venatori. I Borboni istituirono nel diciottesimo
secolo due tipi di riserve di caccia: le riserve naturali, come quella del Quisisana (Castellammare di Stabia) e le riserve artificiali, come quella dei boschi della Reggia di Portici e La Favorita di Ercolano dove venivano immessi animali alloctoni come orsi, cervi
fagiani e pavoni per scopi venatori (Rosati, 1870).
Le profonde trasformazioni forestali determinate da numerosi rimboschimenti a
pinete e ginestreti alloctoni, a partire dalla seconda met dellOttocento, hanno provocato negative ripercussioni sulla teriofauna vesuviana (cfr. Di Fusco, presente volume).
Il numero di specie di Mammiferi dellarea vesuviana desunte da dati bibliografici e
museologici era maggiore nel passato rispetto ai taxa osservati nel corso del presente studio di campo. Tenendo in considerazione linfondatezza delle segnalazioni di alcune specie (T. europea, C. russula, L. capensis, M. putorius, F. s. silvestris) nella seconda met del
Novecento almeno dieci specie di Mammiferi (S. samniticus, S. araneus, S. minutus, N.
fodiens, S. vulgaris, A. terrestris, L. corsicanus, C. lupus, M. meles, L. lutra) si sono probabilmente estinte sul Vesuvio e nelle aree limitrofe. Nelle mappe di distribuzione delle specie rilevate attualmente nellarea di studio, in accordo con analoghe ricerche condotte sullerpetofauna (Maio et al., presente volume) e sulle condizioni termo-igrometriche del
Vesuvio, abbiamo scelto di separare le segnalazioni antecedenti al 1990 da quelle successive, ritenendo che le profonde alterazioni del territorio vesuviano negli anni Ottanta
abbiano causato la scomparsa di molte specie.
Le cause di tale scomparsa sono molteplici e legate innanzitutto allurbanizzazione
dellarea pedemontana, allinaridimento del territorio e alla sistematica distruzione degli
habitat di elezione delle specie. Il Somma-Vesuvio oggi un territorio essenzialmente
arido per cui ovvio che, rispetto alle circostanti aree appenniniche, sono presenti un
numero minore di specie: le piccole zone umide che permettevano la sopravvivenza degli
Insettivori legati a tali ambienti sono oggi diminuite. La presenza storica di S. samniticus,
S. araneus, S. minutus, N. fodiens e A. terrestris sul Somma confermerebbe che nel passato
sul Vesuvio vi erano ambienti umidi come nei vicini Appennini, oppure potrebbe trattarsi di introduzioni accidentali.
Il mutato uso del suolo, i terrazzamenti a fini agricoli, le cave, le discariche, gli abusi
edilizi, lincremento esponenziale della viabilit automobilistica, labbandono delle colture agricole tradizionali hanno contribuito a ridurre le popolazioni di mammiferi dai territori del Parco. Lagricoltura di sussistenza si trasformata in frutticoltura specializzata:
nei moderni frutteti si adoperano pesticidi e diserbanti che contribuiscono alla rarefazione sia degli invertebrati che dei micromammiferi loro predatori.
Quasi tutti i Mammiferi sono notturni ma non stato possibile effettuare missioni di
notte con faro, finalizzate al censimento diretto delle specie, per espresso divieto del
Corpo Forestale; le sole ricognizioni diurne e analisi indirette non ci permettono di tracciare un quadro esaustivo sia delle specie che della consistenza delle relative popolazioni.
Alcune specie, segnalate in bibliografia per larea vesuviana, sono sicuramente frutto di
erronee determinazioni ovvero di errate conoscenze biogeografiche: C. russula, infatti,
una delle specie erroneamente segnalate in quanto in Italia la Pianura Padana considerata il limite meridionale del suo areale; T. europaea presente in Italia settentrionale e
cntrale sino al Lazio; L. capensis vive solo in Africa e Medio Oriente. La specie presente
239
240
sistema efficiente di smaltimento dei rifiuti, con discariche abusive ancora presenti sul
territorio.
Anche M. domesticus una specie legata da millenni agli ambienti di origine antropica, conducendo una vita selvatica solo nelle regioni dove il clima mite. Nelle zone urbane soppiantato dal genere Rattus.
A. sylvaticus ampiamente diffuso nel territorio del parco come dimostrano i numerosi ritrovamenti nelle borre di Strigiformi. Non essendo stato possibile effettuare trappolamenti, non abbiamo dati certi sulla presenza nel Parco di A. flavicollis, specie probabilmente presente in quanto frequente in altre zone limitrofe; sono inoltre noti numerosi casi di simpatria tra le due specie.
In Italia centromeridionale, sulla base delle specie di Insettivori e Roditori rinvenute
in borre, possibile effettuare una suddivisione tra diete appenniniche e diete costiere di
T. alba (Contoli, 1981). I siti di raccolta di borre dellarea vesuviana, in base al livello
quantitativo e qualitativo di alcune componenti della dieta del barbagianni, possono essere considerati costieri in quanto in essi si osserva, rispetto alle stazioni appenniniche, una
maggiore abbondanza di Crocidurini, nonch di R. rattus e M. domesticus: tali specie,
infatti, nelle aree interne della penisola italiana, sono scarse o assenti perch conducono
un regime di vita strettamente commensale. Tali siti sono caratterizzati inoltre dallassenza dei generi Sorex e Clethrionomys, entit particolarmente mesofile e positivamente
correlate alla boscosit del territorio (Lovari et al., 1976; Amori et al., 1984; Contoli,
1986). In tutte le stazioni vesuviane le prede dominanti risultano essere Microtus savii e
Apodemus sp.
Non abbiamo dati sufficienti per stimare la densit di popolazione di O. cuniculus, n
possibile stabilire lo status conservazionistico di tale specie, in quanto le ricerche teriologiche nellarea vesuviana sono ancora in una fase preliminare e necessitano di missioni
notturne. Con certezza possibile affermare che il coniglio selvatico non attualmente
oggetto di caccia, come lo era sino agli anni Sessanta (Ricciardi, com. pers.) n risulta
essere mai stato introdotto da alcuna associazione venatoria, quindi la popolazione attuale autoctona.
Sulla base delle nostre conoscenze non possibile azzardare unipotesi sulle cause dellestinzione di L. corsicanus: non sappiamo, infatti se sia stato il risultato di una eccessiva
pressione venatoria negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale,
come sembra probabile, o se le frequenti immissioni effettuate nel corso di questo secolo
della lepre europea abbiano prodotto la rarefazione della specie autoctona (Picariello et
al., 1999).
Lattuale presenza di L. europaeus dovuta alle numerose immissioni a scopo venatorio della specie. Le introduzioni di animali alloctoni risalgono al 1825, anno in cui fu istituita la riserva artificiale di caccia della Favorita di Ercolano: ogni anno, il 3 novembre,
infatti, in occasione della festa di S. Uberto, venivano comprati e liberati lepri, caprioli,
cinghiali, orsi e numerose specie di uccelli (Rosati, 1870). Le introduzioni di lepri alloctone sono poi riprese nel XX secolo e continuate ininterrottamente dagli anni 40 fino ai
nostri giorni. A tuttoggi vengono costantemente immesse femmine gravide, sia legalmente, nelle zone di ripopolamento e cattura della fauna selvatica (Z.R.C.) confinanti
con il Parco, sia illegalmente allinterno del territorio. Allo stato attuale non abbiamo dati
che ci permettono di asserire con certezza lacclimatazione della specie, in quanto la
costante introduzione di nuovi individui manterrebbe inalterata la densit di popolazio-
241
ne. Per avere un quadro certo sulla biologia di questo lagomorfo nellarea vesuviana saranno necessarie ulteriori ed apposite ricerche.
Il lupo era sicuramente presente nel territorio vesuviano fino agli anni successivi alla
prima guerra mondiale. La sua scomparsa da attribuirsi alla distruzione degli antichi
boschi autoctoni, nonch alle apposite battute di caccia. Il lupo, infatti, a causa della rarefazione delle sue prede naturali, come avviene ancora oggi in molte regioni, attaccava il
bestiame domestico spingendo gli allevatori, molti dei quali reduci di guerra ed esperti
nelluso del moschetto, a dargli la caccia. Anche nellarea vesuviana comparve cos la figura caratteristica del luparo, abile cacciatore notturno, specializzato nelluccisione di lupi,
che portavano in giro lanimale ammazzato per i paesi vesuviani, allo scopo di lucrare
ricompense.
La volpe, dopo la scomparsa del lupo, diventata sul Somma-Vesuvio il predatore al
vertice della piramide trofica insieme alla faina ed ai rapaci. Questo canide assai frequente nel territorio del parco e lascia abbondanti segni di presenza nei diversi ambienti.
Le volpi possono essere vettori di malattie infettive come lechinococcosi e la rabbia
il cui fronte epidemiologico sembra in espansione dalle aree dellex Yugoslavia, zone oggi
frequentate dai cacciatori italiani e dai loro cani. Essendo un animale che frequenta sia
ambienti forestali che antropizzati, la volpe pu rappresentare un potenziale vettore di
patologie legate ad entrambe le tipologie ambientali. Anche la leishmaniosi una patologia che interessa volpi e ratti. In base a indagini svolte dallIstituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno e dallA.S.L. di Torre del Greco larea vesuviana uno dei
principali focolai di tale infezione in Campania: la leishmaniosi stata infatti riscontrata
in oltre il 20% degli animali esaminati nellarea vesuviana. Anche se non esistono dati sufficienti, ipotizzabile che pure le volpi possano essere possibili serbatoi silvestri di tale infezione.
Nel Parco del Vesuvio la faina, come la volpe, un predatore che frequenta spesso pollai e conigliere: pertanto considerato dai locali un animale dannoso e per tale ragione
viene spesso abbattuto. Dallanalisi degli escrementi possibile affermare solo che essi
appartengono al genere Martes. In base alle osservazioni di esemplari da parte di naturalisti e degli autori e dallesame di segnalazioni bibliografiche ipotizziamo che le tracce da
noi rinvenute appartengano a M. foina. Sulla base di tali rinvenimenti possiamo considerare la faina presente in tutto il territorio vesuviano.
La donnola diffusa in tutti gli ambienti del Monte Somma, come confermano i
numerosi ritrovamenti di feci attribuibili a questa specie. Anche se attiva durante il giorno, un animale difficile da osservare dato che il suo riparo pu essere costituito da una
qualsiasi fessura o piccola cavit fra le rocce laviche, siepi, muretti a secco, legnaie o edifici abbandonati: per tale ragione il monitoraggio di questa specie si basato soprattutto
sullesame morfologico delle feci.
Il tasso sicuramente estinto sul Vesuvio ma sarebbe stato presente fino agli anni 40:
i vecchi cacciatori locali lo ricordano col nome dialettale di melogna.
Le segnalazioni relative a M. putorius e F. silvestris nellarea vesuviana derivano da
schede compilate da personale non specializzato. Tali dati non risultano attendibili in
quanto non esiste alcuna segnalazione, n storica n attuale, sulla presenza di tali specie
nel Parco. La puzzola, inoltre, frequenta esclusivamente aree poco antropizzate e nei pressi di corsi dacqua o bacini idrici, habitat che non sono rappresentati sul Vesuvio. Anche
il gatto selvatico sopravvive solo in foreste con basso impatto antropico (Ragni et al. 1996;
Bizzarri et al. 1999, Sangiuliano, 1999).
242
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
243
RINGRAZIAMENTI
244
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DINARDO L., 1991c Gli Insettivori dellarea Somma-Vesuvio. II parte. Summana, 23: 26-29.
245
247
RIASSUNTO
SUMMARY
IIn questo lavoro presentiamo un primo quadro della chirotterofauna del Parco Nazionale del Vesuvio. A tal fine sono state condotte ricerche bibliografiche relative agli ultimi
due secoli, integrate da alcune informazioni museologiche e preliminari indagini di campo
basate sul monitoraggio ultracustico. Nel corso di queste ultime, effettuate da giugno a settembre 1999, si fatto ricorso al metodo dellespansione temporale dei segnali ultrasonori
emessi dai chirotteri. Le registrazioni venivano effettuate da punti di ascolto, durante transetti percorsi a piedi o da unautovettura che si spostava a bassa velocit.
Lidentificazione specifica, quando possibile, stata ottenuta confrontando i segnali con
un ampio database relativo ai chirotteri campani. Per larea di studio si dispone unicamente di antiche segnalazioni per i seguenti taxa: Rhinolophus ferrumequinum, R. euryale,
Miniopterus schreibersii, Myotis myotis, Eptesicus serotinus, Plecotus auritus/austriacus.
I dati raccolti sul campo hanno evidenziato una prevalenza di specie antropofile nella
composizione della chirotterofauna. Possiamo, al momento, essere certi dellattuale presenza dei seguenti taxa: Rhinolophus hipposideros, Myotis emarginatus, Pipistrellus kuhlii, P. pipistrellus (specie criptica corrispondente al fonotipo 45 kHz), Hypsugo savii e Tadarida teniotis. Questultima specie non era mai stata segnalata in precedenza nell'area vesuviana. Si
discutono, infine, le relazioni tra la composizione della chirotterofauna e le influenze antropiche sul territorio vesuviano, nonch gli interventi possibili per la conservazione di questa
importante componente faunistica.
T
This study represents the first systematic attempt
to provide a checklist of the Vesuvius National Park bat
fauna. We conducted a literature search covering the
past two centuries, supplemented by information from
museums and preliminary field surveys based on ultrasound monitoring.
During field work conducted from June to September 1999, we recorded time-expanded echolocation
and social calls emitted by foraging bats. Recordings
were made at selected sites, during transects travelled
on foot or from a car moving at low speed. When possible, species identification was achieved by comparing
the recorded signals with those of an extensive database of bats from Campania. For the study area, only
historical records are available for the following species:
Rhinolophus ferrumequinum, R. euryale, Miniopterus schreibersii, Myotis myotis, Eptesicus serotinus, Plecotus auritus/austriacus. Our field data showed a dominance of
house-dwelling species in the bat community.
At present, we can be sure of the current occurrence of the following species: Rhinolophus hipposideros,
Myotis emarginatus, Pipistrellus kuhlii, P. pipistrellus
(cryptic species corresponding to the phonic type 45
kHz), Hypsugo savii and Tadarida teniotis. The last species had never been observed previously in the Vesuvian
territory.
Lastly, we discuss the relationship between bat
community structure and human pressure on the Vesuvius natural habitats, and suggest some possible conservation measures for this important mammal group.
PAROLE
KEY
CHIAVE: Chirotteri,
WORDS: Bats,
248
INTRODUZIONE
LO STATO DI CONOSCENZA
DEI CHIROTTERI CAMPANI
LLa Campania si estende per circa 13.595 km2. Buona parte degli habitat tipici
dellItalia meridionale vi sono rappresentati. Purtroppo il territorio campano e la ricca
biodiversit che esso ospita sono minacciati da una popolazione in crescente aumento
(circa 5.800.000 abitanti nel 1996), dallinquinamento e da una distruzione e frammentazione degli habitat di dimensioni preoccupanti. Tale situazione rischia di colpire anzitutto le componenti biocenotiche maggiormente sensibili, tra cui possiamo senza dubbio
includere buona parte dei chirotteri presenti in Campania. Questi mammiferi sono inoltre minacciati da fattori quali la vasta diffusione di pesticidi, il disturbo, la distruzione o
lalterazione dei rifugi (roosts), luso di sostanze tossiche nel trattamento antiparassitario
del legno allinterno degli edifici utilizzati come rifugio e la persecuzione diretta alimentata da sciocche ed infondate superstizioni.
La conoscenza dei chirotteri campani tuttora incompleta per diversi aspetti concernenti sia lecologia che la distribuzione delle specie. Nello scorso secolo, studiosi illustri
quali O. G. Costa e F. S. Monticelli si interessarono di chirotteri della Campania e di altre
aree del Sud Italia, pubblicando diversi lavori su questi mammiferi (cfr. ad es. Costa,
1839, in cui si fornisce un primo elenco delle specie campane; Monticelli, 1886a, 1886b,
1896).
249
Nel corso di questo secolo, Gulino & Dal Piaz (1939) e Lanza (1959) hanno fornito
un quadro tuttora fondamentale della distribuzione dei chirotteri nelle diverse regioni
dItalia. A partire dagli anni 70, D. Capolongo si interessato della faunistica dei chirotteri troglofili e pi in generale degli organismi cavernicoli (cfr. ad es. Capolongo et al.
1974; Capolongo, 1989; Capolongo & Caputo, 1990); Vernier (1982, 1983, 1988) ha
pubblicato osservazioni sui chirotteri di alcuni sistemi ipogei carsici campani.
Dal 1995 uno degli autori del presente contributo (DR) ha intrapreso ricerche faunistiche, ecologiche e comportamentali sui chirotteri campani. Una prima indagine port
al reperimento di 14 specie (Russo & Picariello, 1998). Uno studio successivo (Russo &
Mancini, 1999) ha preso in esame il territorio molisano ed il versante campano del Matese. Dal 1997 la ricerca ulteriormente progredita, in collaborazione con lUniversit di
Bristol, focalizzandosi, oltre che sul completamento del quadro distributivo, anche sulluso dellhabitat e su numerosi aspetti bioacustici finalizzati alla identificazione specifica ed
allo studio dellecologia del foraggiamento e del comportamento sociale.
Le metodiche impiegate includono ispezioni dei rifugi, catture con mist-nets, monitoraggio bioacustico mediante espansione temporale e radio-tracking.
Siamo al momento certi dellattuale presenza in Campania di almeno 17 specie, ossia
di Rhinolophus ferrumequinum, R. hipposideros, R. euryale, Myotis myotis, M. blythii, M.
capaccinii, M. emarginatus, M. daubentonii, Eptesicus serotinus, Pipistrellus pipistrellus (specie criptiche corrispondenti ai fonotipi 45 kHz e 55 kHz), P. kuhlii, Hypsugo savii, Plecotus austriacus, Miniopterus schreibersii, Nyctalus noctula, Tadarida teniotis. Inoltre del raro
Myotis bechsteinii abbiamo reperito alcuni crani (non databili con accuratezza) in cavit
carsiche; di M. nattereri esistono due segnalazioni (Vernier, 1983; Russo & Mancini,
1999), relative al reperimento di crani, ed una di Zava et al. (1996) per il Parco del Cilento, mentre Barbastella barbastellus riportato esclusivamente da una antica osservazione
(cfr Gulino & Dal Piaz, 1939). P. auritus stato segnalato solo da Sbordoni (1963). Per
dovere di completezza segnaliamo anche losservazione di Nyctalus lasiopterus condotta da
Zava et al. (1996) mediante bat detector in eterodina (Fornasari, in litteris). Tale segnalazione, stante la soggettivit e lincertezza del metodo delleterodina, nonch loggettiva
rarit del taxon in questione, richiede a nostro avviso conferma.
Tra le aree campane, quella vesuviana purtroppo una delle meno studiate, in tempi
T
recenti, dal punto di vista chirotterologico. La quasi totalit delle informazioni bibliografiche disponibili, delle quali un quadro sintetico stato fornito da Picariello et al. (1999),
risale al secolo scorso. Si tratta di unarea relativamente vasta, nella quale alcuni fenomeni di degrado tipici del territorio campano (si pensi allabusivismo edilizio, alla messa in
opera di cave e di discariche non autorizzate) si sono manifestati con particolare aggressivit. Se lantropizzazione ha potuto esercitare un impatto negativo su diverse specie
segnalate storicamente, pu essere stata daltro canto sopportata da taxa strettamente
antropofili, di cui parleremo, caratterizzati da alta valenza ecologica, capacit di sfruttare
edifici anche di fattura moderna quale rifugio e plasticit trofica.
Il presente lavoro non ha alcuna presunzione di riuscire a presentare un quadro, seppure incompleto, dei chirotteri del Vesuvio. La descrizione che segue integra linformazione bibliografica disponibile con osservazioni condotte nel 1999 mediante rilevamento
ultracustico.
Lobiettivo principale porre una base preliminare per ulteriori indagini che dovranno essere incoraggiate e sostenute affinch lEnte Parco possa effettivamente dotarsi di un
piano efficace di conservazione della chirotterofauna vesuviana.
LO STATO DI CONOSCENZA
DEI CHIROTTERI DELLAREA VESUVIANA
250
MATERIALI E METODI
A
Ai fini dellindagine bibliografica, abbiamo preso in esame la letteratura disponibile
relativa agli ultimi due secoli.
La ricerca di campo stata condotta da giugno a settembre 1999. I rilevamenti sono
stati effettuati da punti di ascolto, durante transetti percorsi a piedi o da unautovettura
che si spostava a bassa velocit, sostando ogni volta che la presenza di chirotteri veniva
rivelata da un bat detector S25 (Ultra Sound Advice, Londra) utilizzato in divisione di
frequenza. Due secondi delle emissioni ultracustiche venivano espansi temporalmente
(x10) utilizzando un PUSP (Portable Ultra Sound Processor, Ultra Sound Advice, Londra) a cui i segnali erano inviati attraverso luscita HF dellS25, e registrati con un walkman professionale Sony WM D6C su cassette Sony metal XR da 90 m. Le registrazioni
sono state esaminate per lidentificazione utilizzando il software BatSound e confrontandole con un ampio database ultracustico relativo alla chirotterofauna campana. Ci preme
sottolineare che in ambienti ricchi di specie, quali quelli campani, il metodo ultracustico
conduce ad identificazioni di sufficiente precisione solo in alcuni casi, mentre in diversi
altri (si pensi, ad esempio, ai chirotteri del genere Myotis) la determinazione certa ed
oggettiva al livello specifico , al momento, impossibile. Funzioni discriminanti basate
sullanalisi multivariata (Vaughan et al., 1997a) e sullimpiego di neural network (Parsons
& Jones, 1999) possono migliorare la probabilit di identificazione corretta e quantificare il livello di attendibilit della diagnosi. Il nostro gruppo di ricerca sta cercando di definire metodologie simili per i chirotteri dellItalia meridionale; relativamente al presente
lavoro, nella nostra analisi siamo stati assolutamente prudenti, trascurando ogni segnale
di difficile o dubbia interpretazione e limitandoci ai casi in cui eravamo assolutamente
certi dellidentit dei chirotteri rilevati. Un valido aiuto, nella discriminazione tra Pipistrellus pipistrellus e P. kuhlii, risultato dal metodo di identificazione dei social calls messo
a punto da Russo & Jones (1999b).
RISULTATI
D
Di seguito forniamo una descrizione delle specie osservate e/o riportate in letteratura
per larea vesuviana, con indicazione delle localit e, quando possibile, degli ambienti a cui
le segnalazioni si riferiscono. I caratteri morfologici salienti, salvo laddove diversamente
specificato, seguono le descrizioni di Lanza (1959) e Schober & Grimmberger (1997).
FAMIGLIA RHINOLOPHIDAE
Rhinolophus ferrumequinum (Schreber, 1774)
ferro di cavallo maggiore
Il ferro di cavallo maggiore presenta una struttura caratteristica intorno alle narici,
comune a tutti i Rinolofidi, detta foglia nasale, di morfologia complessa ed utile ai fini
diagnostici. Lavambraccio di R. ferrumequinum misura 51-61 mm ed il peso di una ventina di grammi.
Gli impulsi ultrasonori dei Rinolofidi vengono emessi attraverso le narici e sono
opportunamente concentrati e direzionati dalla foglia nasale. Essi sono costituiti da una
componente a frequenza costante lunga qualche decina di ms, preceduta e seguita da due
brevi porzioni a frequenza modulata (Fig. 1). Nei R. ferrumequinum della Campania si
riscontra energia massima in genere intorno ad 80-82 kHz (Russo, dati inediti).
Come gli altri Rinolofidi, il ferro di cavallo maggiore riconosce ed intercetta le prede
primariamente grazie alle variazioni di intensit e frequenza (effetto Doppler) che le ali
di queste, muovendosi, producono sulleco (cfr. ad es. Neuweiler, 1989).
251
Questo Rinolofide si distingue dal precedente per la diversa morfologia della foglia
nasale e per la taglia nettamente minore: lavambraccio misura 34-42 mm ed il peso in
genere di 4-6 g.
I segnali di ecolocazione (Fig. 1) studiati in Campania hanno frequenza di picco compresa nel range 107-114 kHz (Russo, dati inediti).
La specie, frequente in Campania per classificata come minacciata a livello europeo (Stebbings, 1988) si rifugia in cavit naturali, artificiali e negli edifici; non di rado
negli hibernacula presente con pochi individui isolati o associati con R. ferrumequinum
(Russo & Picariello, 1998). Recenti osservazioni per larea vesuviana si riferiscono proprio ad individui isolati svernanti in cavit (Picariello, com. pers.). Monticelli (1886a) ne
segnala un individuo reperito nel teatro sepolto di Ercolano, mentre nella collezione
teriologica del Museo de La Specola dellUniversit di Firenze presente un esemplare maschio in alcol (n cat. 3915, ex n119 Coll. Lanza, acquisito dal museo fiorentino sul
finire degli anni 50) recante lindicazione grotta vesuviana n3 (Agnelli, in litteris).
252
FIGURA 1
Figura 1
Tipici segnali FM/CF/FM di Rinolofidi campani.
R.f.= Rhinolophus ferrumequinum;
R.e.= R. euryale;
R.h.= R. hipposideros.
Di norma la sola componente armonica I evidente
(come nel caso dei segnali R.e., R.h.); in R.f. la
registrazione stata effettuata a breve distanza dal
chirottero, per cui si nota anche la componente
fondamentale (a frequenza pi bassa) dellimpulso.
FAMIGLIA VESPERTILIONIDAE
Miniopterus schreibersii (Kuhl, 1819)
miniottero
253
FIGURA 2
Figura 2
Segnali di ecolocazione di Miniopterus schreibersii (a),
Pipistrellus pipistrellus tipo fonico 45 kHz (b),
Tadarida teniotis (d).
In (c) rappresentato un social call di P. pipistrellus
tipo fonico 45 kHz.
Questo Vespertilionide , tra i Myotis presenti in territorio europeo, quello di taglia
maggiore (lavambraccio misura 50-68 mm, ed il peso compreso tra i 28 e i 40 g).
La sua distinzione dalla specie gemella Myotis blythii (Tomes, 1857) pu dirsi certa solo
se condotta su base biochimica, sebbene la craniometria, le misure dellavambraccio e dellaltezza del padiglione auricolare, e la presenza (in M. blythii) o lassenza (in M. myotis)
di una macchia bianca sul capo possano consentire una diagnosi specifica con buona probabilit corretta (Arlettaz, 1995; Arlettaz et al., 1997). Specie troglofila (in Campania
stata finora reperita solo in cavit carsiche) ed antropofila, M. myotis caccia specialmente
in aree spoglie di vegetazione, dove questo chirottero prende contatto col suolo per ghermire le prede. I segnali di ecolocazione, com tipico del genere Myotis, sono del tipo FM,
ossia coprono unampia gamma di frequenze in un tempo di pochi ms, senza alcuna porzione in cui la frequenza si mantenga pi o meno costante (CF).
Per larea vesuviana ne esiste una sola segnalazione, relativa ad una settimana dopo
leruzione del 1843 (La Cava, 1843). In essa la specie figura come Vespertilio murinus,
nome spesso usato dagli zoologi italiani del passato per indicare il vespertilio maggiore,
ma che in realt corrisponde ad un altro chirottero, assai raro in Italia (Lanza, 1959).
254
Mancini e Russo (dati inediti) hanno reperito nel 1999 una colonia riproduttiva di oltre
100 esemplari in un vecchio edificio. Nel Parco Nazionale del Vesuvio Maio et al. (1999)
hanno osservato una piccola colonia riproduttiva di vespertilio smarginato nel comune di
Ottaviano. I nuovi ritrovamenti suggeriscono che la specie sia, in Campania, pi frequente di quanto inizialmente ritenuto.
Eptesicus serotinus (Schreber, 1774)
serotino
Si tratta del chirottero a pi ampia distribuzione nel territorio europeo, nonch anche
del pi abbondante in molte aree dellEuropa centrale e settentrionale. il pi piccolo
rappresentante della chirotterofauna europea, con un peso che si aggira generalmente
255
FIGURA 3
Figura 3
Sequenza di ecolocazione del tipo feeding buzz
in Pipistrellus kuhlii.
Si noti come lintervallo temporale tra successivi
impulsi si abbrevi progressivamente fino al punto
(C) corrispondente alla cattura della preda
intorno a 4-6 g ed una lunghezza di avambraccio di 27-34,6 mm. Fino a poco tempo fa
si riteneva che il pipistrello nano rappresentasse ununica specie. Si tratta, in realt, di
unentit costituita da due specie criptiche ed i primi indizi di ci sono stati forniti da
studi sul suo comportamento di ecolocazione.
Anche questo chirottero, come laffine P. kuhlii, produce impulsi di ecolocazione FMCF (Fig. 2b). Zingg (1990) verific che in Svizzera il pipistrello nano emette segnali con
frequenza di massima intensit di 44-46 kHz oppure 50 kHz. Lautore ipotizz che a
queste due modalit di emissione corrispondessero due comportamenti di foraggiamento distinti.
In altre regioni europee erano stati osservati pipistrelli nani che emettevano segnali
di frequenza di picco intorno a 49 kHz oppure superiore a 50 kHz (Ahln, 1981; Miller & Degn, 1981; Weid & Von Helversen, 1987). Jones & van Parjis (1993) dimostrarono che in Gran Bretagna coesistono due varianti di questo taxon, luna detta fonotipo o tipo fonico 45 kHz con emissione a frequenza di picco intorno a 46 kHz, laltra con segnali intorno a 55 kHz (da cui il nome di tipo fonico 55 kHz). I due tipi fonici non si associano nei rifugi e presentano piccole ma significative differenze morfologiche ( Jones & van Parijs, 1993; Barlow et al., 1997): in particolare, il 55 kHz tende ad
essere di taglia minore, con pelo pi chiaro ed uniforme e cute facciale anche pi chiara; il 45 kHz, in genere leggermente pi grande, ha pelo bicolore e faccia pi scura
( Jones, com. pers.).
Studi sui segnali sociali emessi dai maschi durante la stagione degli accoppiamenti
(songflights) e da entrambi i sessi nelle aree di foraggiamento (social calls) hanno mostrato che queste emissioni vocali presentano struttura diversa a seconda del tipo fonico
(Barlow & Jones, 1997a) ed hanno valenza comunicativa solo tra individui del medesimo fonotipo (Barlow & Jones, 1997b). Anche la dieta e luso dellhabitat sono diversi tra
pipistrelli 45 kHz e 55 kHz (Barlow, 1997; Vaughan et al., 1997b).
La prova conclusiva che i due tipi fonici sono in realt specie criptiche venuta dallo
studio del DNA mitocondriale (Barratt et al., 1997).
Russo & Jones (1999a) hanno dimostrato su base bioacustica che entrambe le specie
sono presenti in Italia ed in Campania se ne verificata la simpatria.
Nellarea vesuviana abbiamo registrato tipiche emissioni, corredate dei caratteristici
256
social call (Barlow & Jones, 1997a), della sola specie criptica 45 kHz (Fig. 2b, c) - quella
che, in base ad una recentissima proposta nomenclaturale ( Jones & Barratt, 1999), conserva il nome P. pipistrellus, mentre laltra assume quello di P. pygmaeus Leach, 1825 in
osservanza della norma tassonomica del sinonimo pi prossimo.
Nel Parco P. pipistrellus meno frequente di P. kuhlii. Lo abbiamo rilevato in caccia
intorno alle luci della caserma del C.F.S. di Trecase, ai margini di aree boscate (nelle prossimit dellOsservatorio Vesuviano) ed a Ottaviano, nel centro abitato come in alcuni
giardini della periferia. Monticelli (1886a) di questa specie riferisce: Io lho trovata
abbondante a Pompei. Il Museo zoologico de La Specola dellUniversit di Firenze possiede in collezione un esemplare maschio in alcol di P. pipistrellus raccolto dal Monticelli
a Pompei il 26-8-1883 (n catalogo 5114, ex n37 Collezione Italiana Giglioli).
Hypsugo savii Bonaparte, 1837
pipistrello di Savi
Questa specie, dedicata allo zoologo pisano Paolo Savi, stata a lungo denominata
Pipistrellus savii. Horcek & Hank (1986), evidenziando i caratteri intermedi tra il suddetto genere ed Eptesicus, lhanno attribuita ad un genere a s, Hypsugo.
Lavambraccio misura 30-36.5 mm ed il peso compreso tra i 5 ed i 10 g. Lapice della
coda sporge di 2-5 mm ed il trago tipicamente tozzo e con bordo esterno assai convesso. In ambienti di volo aperti la specie produce segnali di ecolocazione lunghi allincirca
una decina di ms, spesso completamente CF (Russo, oss. pers.) e con frequenza di massima energia in genere di circa 33-35 kHz (Ahln, 1981).
H. savii discretamente frequente in Campania, ove mostra una significativa tendenza alla sinantropia nella scelta dei rifugi come nella selezione degli ambienti di
foraggiamento.
Piuttosto frequente anche nella citt di Napoli nellestate 1999, ad es., una colonia
di questa specie si insediata in un chiostro del museo di San Martino (Russo, dati inediti) manifesta una certa tendenza ad alimentarsi presso le luci stradali, comportamento che abbiamo ripetutamente osservato negli abitati del territorio vesuviano. Abbiamo
rilevato il pipistrello di Savi nei comuni di Torre del Greco, Trecase, San Sebastiano al
Vesuvio. Monticelli (1886a) lo segnal a Portici.
In Europa esistono due specie ascritte al genere Plecotus: lorecchione (Plecotus auritus
L., 1758) e lorecchione meridionale (Plecotus austriacus Fischer, 1829). Si tratta di specie
criptiche, assai simili sul piano morfologico, che risultano simpatriche in Italia. I seguenti caratteri sono discriminanti: larghezza del trago, lunghezza del pollice e della sua
unghia, dentatura, morfologia del baculum, cio dellosso penieno (Topal, 1958; Lanza,
1959; Swift, 1998). Inoltre P. austriacus presenta una mascherina facciale pi scura e generalmente manto tendente al grigiastro, mentre questultimo bruno in P. auritus, sia pure
con molta variabilit.
Entrambe le specie sono caratterizzate dalla presenza di grandi padiglioni auricolari,
o pinnae, di lunghezza pari ad almeno 25 mm (Stebbings, 1986), che vengono ripiegati
allindietro a corna dariete dallanimale quando in stato di omeotermia allinterno del
roost, e quasi totalmente distesi longitudinalmente lungo il corpo dietro gli avambracci dal
soggetto torpido (Swift, 1998).
Sebbene questultima postura possa avere il ruolo di limitare la perdita di calore corporeo, Speakman (1988) ha evidenziato che lerezione delle pinnae non correlata con la
temperatura corporea (o con la temperatura corporea sottratta della temperatura ambientale). Lautore ritiene che la postura delle orecchie tipica del torpore non sia mantenuta
257
nello stato di omeotermia solo perch incompatibile con comportamenti, come la toelettatura, che necessitano del movimento degli avambracci.
Le grandi orecchie servono ai Plecotus per aumentare la sensibilit alle basse frequenze (Coles et al., 1989) e quindi percepire passivamente (ossia in assenza di ecolocazione)
i rumori prodotti dal movimento delle prede, spesso rappresentate da lepidotteri Nottidi sensibili alle frequenze degli impulsi di ecolocazione (Anderson & Racey, 1991; Rydell
et al., 1995; Waters & Jones, 1996). Inoltre, siccome gli orecchioni producono deboli
impulsi ultracustici (gli zoologi anglofoni chiamano questi animali whispering bats, ossia
pipistrelli sussurratori) per apparire acusticamente meno cospicui ai lepidotteri timpanati di cui si nutrono, le grandi pinne servono anche a raccogliere lappena percettibile eco
che ne risulta. Le prede vengono ghermite mentre sono posate sulla vegetazione oppure,
meno spesso, catturate in volo (cfr. per es. Swift, 1998).
In Campania Plecotus appare infrequente ed i pochi esemplari che abbiamo potuto
finora esaminare appartengono alla specie austriacus. Sbordoni (1963) segnala per il
Cilento P. auritus, determinato sulla base di caratteri craniometrici.
Per il Vesuvio esiste una segnalazione di Costa (1839) riferita a P. auritus, ma non possiamo dire a quale specie di orecchione lAutore si riferisse perch solo nel 1959-60
P. austriacus stato distinto come specie a s (Lanza, 1959; Bauer, 1960).
Durante la nostra indagine abbiamo registrato segnali riconducibili probabilmente al
genere Plecotus nelle aree di pineta di Trecase e presso Colle Umberto, sebbene riteniamo
prudente attendere losservazione diretta di esemplari per ottenere una definitiva conferma ed unadeguata diagnosi al livello specifico.
FAMIGLIA MOLOSSIDAE
lunico rappresentante europeo di questa famiglia, un taxon di microchirotteri che
comprende 13 generi ed 89 specie a corologia essenzialmente tropicale (Altringham, 1996).
Si tratta di un chirottero di grossa mole (lunghezza dellavambraccio: 57-65 mm,
peso: 2550 g), peculiare per la coda tipicamente libera da buona parte dalluropatagio e
per laspetto cinomorfo del muso che gli ha valso il nome comune.
Vola rapidamente e frequenta ambienti di foraggiamento aperti, emettendo segnali di
ecolocazione (Fig. 2d) di frequenza quasi costante (9-15 kHz), con durata ed intervallo
tra due impulsi successivi lunghi (rispettivamente circa 15 ms e 740 ms). Rydell & Arlettaz (1994) hanno ipotizzato che le frequenze dei segnali di ecolocazione, basse tanto da
rendere udibile la presenza del molosso senza alcun rivelatore ultrasonoro, rappresentino
un adattamento evolutosi per evitare che lepidotteri e neurotteri timpanati, prede frequenti di Tadarida e sensibili a suoni di maggiore frequenza, possano percepire la presenza del predatore sfuggendogli.
In passato T. teniotis stato ritenuto non frequente in Italia (Lanza, 1959), ma le
osservazioni recenti suggeriscono il contrario. In Campania specie piuttosto comune e
dotata di ampia versatilit ecologica, frequentando anche ambienti fortemente antropizzati come le aree metropolitane (Russo & Mastrobuoni, 1998).
Nel territorio del Parco Nazionale del Vesuvio abbiamo ripetutamente rilevato il
molosso, in giugno e settembre 1999, in volo di foraggiamento nei territori comunali di
Trecase ed Ottaviano, al di sopra della volta di boschi di latifoglie e di conifere come pure
presso coltivi, alla periferia dei centri abitati, ed in corrispondenza del margine settentrionale del cono vulcanico (Valle del Gigante).
258
259
L
Lelenco faunistico compilato sulla base della conoscenza storica della chirotterofau-
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
na vesuviana e dei nuovi dati raccolti sul campo consta complessivamente di 12 specie.
Siamo, con molta probabilit, di fronte ad una sottostima del reale livello di biodiversit della comunit di chirotteri dellarea legata al fatto che la conoscenza di questo comparto faunistico ancora in una fase assolutamente preliminare.
Dallesame della composizione in specie finora rilevata e delle stime di abbondanza
operabili appare evidente una preponderanza di taxa antropofili, chiaramente legata alla
forte antropizzazione delle pendici del complesso Vesuvio-Somma.
Linquinamento luminoso, tipico di strade e centri abitati, pu aver favorito le specie
capaci di cacciare presso le luci stradali (Pipistrellus spp., H. savii): queste ultime concentrano alte densit di insetti aumentando significativamente il successo di cattura dei chirotteri (cfr. ad es. Rydell 1992, Blake et al. 1994).
I pochi troglofili presenti nellelenco risultano da segnalazioni storiche e sono stati
rilevati in cavit artificiali: ci riferiamo, in particolare, a quelli riportati da Monticelli
(1886a) per il teatro sepolto di Ercolano. Di fatto, i taxa cavernicoli tendono a selezionare spesso, tra le cavit naturali, quelle di origine carsica, evidentemente assenti nella nostra
area. Un altro limite per linsediamento di alcune specie di chirotteri in particolare quelle fitofile rappresentato dalla diffusione nellarea di boschi artificiali di conifere. Questi
alberi presentano raramente cavit adatte ad essere utilizzate come rifugio dai chirotteri.
Il nostro lavoro preliminare, oltre a confermare gli antropofili storicamente noti per il
Vesuvio, ha evidenziato la presenza di T. teniotis, piuttosto frequente nellarea.
Limportanza dei chirotteri nel panorama della biodiversit italiana impone lo svolgimento di ulteriori, approfondite indagini su questi mammiferi nellarea vesuviana nonch
la realizzazione di interventi di conservazione efficaci, ad esempio opere di miglioramento ambientale, quali la messa in posto di bat boxes soprattutto nei boschi di conifere, cos
da incrementare la disponibilit di rifugi e la creazione di un catasto dei principali roosts di chirotteri che possa consentirne una effettiva ed adeguata protezione.
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263
RIASSUNTO
SUMMARY
Vengono riportati alcuni rilievi climatici desunti dalla stazione meteorologica situata
V
presso la Stazione Forestale di Trecase, sul versante meridionale del Vesuvio. Vengono inoltre riportati i dati termo-pluviometrici registrati dalla stazione meteorologica dellOsservatorio Vesuviano, sul versante occidentale del Vesuvio. Ulteriori dati climatici relativi alle
stazioni di Pompei, Torre del Greco e Portici sono stati desunti dallatlante climatologico
di Walter & Lieth (1960).
PAROLE
KEY
CHIAVE: Vesuvio,
WORDS: Vesuvius,
264
INTRODUZIONE
NICOLA DI FUSCO
METODOLOGIE DI RICERCA
II valori termici e pluviometrici sono stati tabulati e rappresentati mediante diagrammi secondo Walter & Lieth (1960). Larea con triangolini proporzionale al periodo di
aridit estiva. Larea in nero proporzionale alla piovosit e quindi allumidit invernale
FIGURA 1
TRECASE
Stazione Forestale
355 m s.l.m.
Rilievi termo-pluviometrici relativi
al biennio 1993/1994.
265
FIGURA 2
ERCOLANO
Osservatorio Vesuviano
612 m s.l.m.
Rilievi termo-pluviometrici relativi
agli anni 1961/1970.
Il tratteggio obliquo indica periodi con
temperature minime inferiori a 0C.
FIGURA 3
POMPEI
25 m s.l.m.
Rilievi termo-pluviometrici relativi
ad un decennio di osservazione.
266
NICOLA DI FUSCO
FIGURA 4
FIGURA 5
PORTICI
82 m s.l.m.
Rilievi termo-pluviometrici relativi
ad un trentennio di osservazione.
Il tratteggio obliquo indica periodi con
temperature minime inferiori a 0C.
267
in quanto rappresenta quantit di pioggia superiori ai 100 mm: al di sopra di tale valore
la scala della piovosit, a destra dei diagrammi, ridotta di un fattore 10.
I valori termici registrati nella stazione meteo dellOsservatorio Vesuviano nei periodi 1924-1932 e 1961-1970 sono riportati in Tabella 1.
Per le precipitazioni, i valori medi stagionali riferiti ai periodi 1921-1930 e 1961-1970
sono riportati in Tabella 2.
In Tabella 3 sono riportati i valori medi mensili delle temperature e precipitazioni
della stazione meteo dellOsservatorio Vesuviano, ubicata nel territorio del Comune di
Ercolano per il periodo 1961-1970. Come si pu osservare dal diagramma pluviotermico
in Fig. 2 il periodo di aridit si instaura sistematicamente in giugno-luglio, mentre il
periodo di massima umidit si verifica prevalentemente nei mesi di novembre-dicembre.
In Tabella 4 sono riportate le medie mensili delle temperature e precipitazioni registrate a Trecase nel biennio 1993-1994.
RISULTATI
TABELLA 1
TEMPERATURA
media annua
media del mese pi freddo (gennaio)
media mese pi caldo (agosto)
media minima annua
minima assoluta
escursione termica media annua
1924-1932 (C)
1961-1970 (C)
13,7
5,0
22,0
-4,0
-8,0
18
13,4
6,1
21,4
-5,2
-9,2
17,4
P(mm) 1921-1930
P(mm) 1961-1970
324
208
73
319
924
375,2
218,9
100,6
314,6
1009,3
96
TABELLA 2
STAGIONI
inverno
primavera
estate
autunno
Totale
Numero medio di giorni piovosi
S
S ulla base dei dati sopra esposti, la Riserva forestale Tirone-Alto Vesuvio, ricadente
nella pi vasta area a protezione integrale del Parco Nazionale del Vesuvio, presenta un
andamento climatico tipicamente mediterraneo (Mennella, 1967-1972).
Lungo le pendici del complesso vulcanico il clima varia secondo un cline, dal piano
basale dove esso simile a quello della pianura circostante, alla vetta dove il clima assimilabile a quello pedemontano caratterizzato da maggiore piovosit e minore aridit estiva.
Dal confronto dei diagrammi pluviotermici secondo Walter & Lieth (1960) si pu
osservare come le localit situate sul versante meridionale del Vesuvio risultino pi aride in
estate e meno piovose in autunno-inverno. Le localit del versante occidentale come Portici
ed Ercolano risultano invece caratterizzate da una maggiore piovosit e relativa minore
aridit.
DISCUSSIONE
268
NICOLA DI FUSCO
TABELLA 3
MESE
OSSERVATORIO VESUVIANO
Medie mensili delle temperature
e precipitazioni nel decennio 1961-1970.
Valori medi delle temperature mensili
massime (Tmax), minime (Tmin),
medie (Tmed), dellescursione media (esc.),
della piovosit P e dei giorni piovosi
Gennaio
Febbraio
Marzo
Aprile
Maggio
Giugno
Luglio
Agosto
Settembre
Ottobre
Novembre
Dicembre
media annua
estate
8,8
9,2
11,2
14,8
18,6
21,9
24,6
24,8
22,2
18,2
14.1
10,0
16,5
23,8
3,5
3,3
4,6
8,0
11,2
15,3
17,8
18,1
15,7
12,4
8.6
4,9
10,3
17,0
6,1
6,2
7,9
11,4
14,9
18,6
21,2
21,4
18,9
15,3
11.3
7,4
13,4
20,4
esc.(C)
5,3
5,9
6,6
6,8
7,4
6,6
6,8
6,7
6.5
5,8
5.5
5,1
6,2
6,7
P(mm)
118,9
88,3
93,4
65,9
59,6
41,5
20,1
39,0
81,7
92,9
140.0
168,0
1009,3
33,5
gg. piovosi
10
9
9
8
6
5
3
4
7
9
12
14
96
4
Il complesso Somma-Vesuvio, localizzato sul versante tirrenico, interessato da frequenti perturbazioni occidentali di origine atlantica che investono direttamente i rilievi
vulcanici determinando una maggiore umidit ambientale. La piovosit nella stazione
dellOsservatorio Vesuviano raggiunge i 1000 mm annui con valori massimi nei mesi di
novembre-gennaio e minimi in luglio; nelle aree sommitali laridit estiva molto ridotta.
Il mese pi piovoso dicembre, mentre quello pi arido luglio.
Quasi ogni anno la neve compare sul cono fino a quota 800 tra dicembre e gennaio,
con una persistenza che supera anche una settimana. Pi raramente si verificano nevicate primaverili destinate a rapido discioglimento. In media i giorni piovosi sono circa 90.
TABELLA 4
MESE
TRECASE
Medie mensili delle temperature
e precipitazioni nel biennio 1993-1994.
Valori medi delle temperature mensili
massime (Tmax), minime (Tmin),
medie (Tmed), dellescursione media (esc.),
della piovosit P e dei giorni piovosi
Gennaio
Febbraio
Marzo
Aprile
Maggio
Giugno
Luglio
Agosto
Settembre
Ottobre
Novembre
Dicembre
media annua
estate
12,5
12,3
15,3
16,7
21,0
27,0
29,7
32,0
26,3
23,1
15,6
12,8
20,3
29,5
7,1
5,9
7,5
9,1
12,2
17,2
19,5
21,5
17,5
15,0
10,0
7,0
12,4
19,4
9,8
9,1
11,3
12,7
16,6
21,7
24,5
26,7
21,9
19,0
12,9
9,9
16,3
24,3
esc.(C)
5,4
6,4
7,8
7,6
8,7
9,7
10,2
10,5
8,8
8,1
5,6
5,8
7,9
10,1
P(mm)
gg. piovosi
112,4
58,8
52,5
59,6
75,2
29,6
7,4
0
67,2
71,0
84,5
112,0
730,2
12,3
18
6
4
12
14
7
3
0
10
9
15
15
104
3
269
(Mazzarella, 1999). Questi eventi calamitosi potrebbero scatenare dei processi franosi
lungo i versanti meno stabili, con disastrose conseguenze nei centri abitati circumvesuviani, come gi avvenuto sui monti di Sarno e di recente sul Partenio (Mazzarella et al.,
2000).
Sulle pendici del Somma-Vesuvio anche le piccole variazioni climatiche favoriscono
linstaurarsi di un mosaico diversificato di aree fitoclimatiche, come peraltro puntualizza
Agostini (1952), secondo cui le variazioni delle condizioni ecologiche che si vengono a
realizzare lungo i fianchi del vulcano, in funzione dellaltitudine, sono tali da determinare una differenziazione nella distribuzione altimetrica dei vari consorzi.
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