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Universit Ca' Foscari di Venezia

Dipartimento di studi umanistici

Storia della filosofia romana e tardo-antica SP (6 cfu)


Anno Accademico 2011/2012

Seneca: il tempo e la morte


nelle Epistulae ad Lucilium

Alessandro De Marchi
Alex Pilo
Andrea Possamai

SENECA: IL TEMPO E LA MORTE NELLE LETTERE A LUCILIO

BREVE RESOCONTO STORICO-BIOGRAFICO

Lucio Anneo Seneca, nacque a Cordoba in Spagna, in una ricca famiglia provinciale di rango
equestre (il padre era il retore Seneca il Vecchio). Ancora giovane si trasfer a Roma, dove fu
educato nelle scuole retoriche -in vista della carriera politica- e filosofiche. Seneca aspirava a
condurre una vita contemplativa, dedita allo studio e alla riflessione, tuttavia dovette abbandonare
tale proposito per assecondare i desideri del padre, che lo spingeva ad intraprendere la carriera
politica. Dopo essere stato in Egitto al seguito di uno zio prefetto, nel 31 Seneca fece ritorno a
Roma, dove diede inizio all'attivit forense e alla carriera politica: qui vennero subito riconosciute
ed apprezzate le sue doti, ottenendo cospicui successi che avrebbero potuto assicurargli una
brillante carriera (in quello stesso anno divenne subito questore). Sembra anche che Caligola stesso,
geloso della sua fama oratoria, arriv a decretarne la condanna a morte, da cui lo avrebbe salvato
l'intervento di un'amante dell'imperatore. Claudio, nel 41, istigato dalla moglie Messalina, lo accus
di adulterio con Giulia Lavilla, e lo condann allesilio in Corsica, dove rimase fino al 49, quando,
per intercessione della nuova moglie di Claudio, Agrippina, venne richiamato a Roma.
Avendo ormai pi di cinquantanni, Seneca non intendeva riprendere lattivit politica, dovette
tuttavia accettare lincarico di precettore del figlio di primo letto di Agrippina, che Claudio aveva
adottato: il futuro imperatore Nerone. Seneca accompagn l'ascesa al trono del giovane imperatore
( non ancora diciottenne): di fatto si trov a reggere la guida dello stato. In quegli anni Seneca
aveva nutrito la speranza, espressa nel De Clementia, di fare del giovane Nerone un sovrano
esemplare: speranza che ben presto si rivel unillusione.
Nel 59 Nerone, in rotta con la madre Agrippina, la fece uccidere. Seneca continu a seguire
limperatore anche dopo il matricidio, ma la sua influenza divenne sempre pi debole, e, forse
stanco di compromessi con i propri ideali, si ritir gradualmente alla vita privata.
Infatti, come maestro prima e poi consigliere di Nerone, egli vide da spettatore privilegiato una
serie di gravissime vicende di sangue: a partire dall'assassinio di Claudio da parte di Agrippina,
quello di Britannico (legittimo erede di Claudio) da parte di Nerone, quello, gi citato, di Agrippina
stessa da parte del figlio, fino a quello dell'altro consigliere dell'imperatore, il fidato prefetto
Afranio Burro, avvenuto, si pensa, per avvelenamento. Molto probabilmente le prime profonde

riflessioni di Seneca sulla morte avvennero in questo periodo storico, caratterizzato dal terrore e da
morti improvvise. Come lo descrive sapientemente Maria Zambrano: Ritornava l'antico terrore, la
dipendenza assoluta della sorte umana da qualcosa di esterno. La vita tornava ad essere soggetta al
timore ed alla speranza. La ragione accorreva di nuovo in suo soccorso a liberarla [] dal timore e
dalla speranza della morte1.
Dal 62 al 65, anno in cui mor, Seneca realizz quella vita contemplativa cui aspirava fin da
giovane. Tuttavia non riusc ad evitare lostilit di Nerone, che lo accus di aver partecipato alla
congiura contro la sua persona guidata da Gaio Calpurnio Pisone dell'aprile del 65. Condannato
dall'imperatore, si suicid nello stesso anno, affrontando la morte con coraggio, sull'esempio di
Socrate e molti altri grandi filosofi2.
L'opera filosofica di Seneca rappresenta uno tra i punti pi alti raggiunto dalla riflessione romana
nell'ambito della filosofia morale. Egli ha di fatto inventato, in particolare con le lettere a Lucilio, la
scrittura dell'interiorit, scrivendo di s e della propria vita, soprattutto di quella spirituale, e
proponendosi all'interlocutore come modello del saggio alla ricerca della virt.
Lepistolario di Seneca (Epistulae morales ad Lucilium), rappresenta sicuramente il suo capolavoro
filosofico, nel quale egli esprime nel modo pi consapevole la propria visione della vita e
delluomo. Si tratta di una raccolta di 124 lettere scritte tra il 62 ed il 65. Il destinatario l'amico
Lucilio di Pompei, pi giovane di Seneca, cui vennero dedicate anche altre due opere 3. Si tratta
probabilmente di lettere effettivamente scritte e spedite 4, anche se non si pu escludere che siano in
seguito state riviste e rielaborate in vista della pubblicazione (da notare infatti, come nella lettera 8
Seneca scriva sono al servizio dei posteri).
Secondo Seneca la vita un bene da apprezzare in modo virtuoso, egli cio rivendica la necessit di
sostituire una visione qualitativa della vita ad una visione meramente quantitativa. In questo senso,
tra le problematiche analizzate nelle Lettere a Lucilio, emergono in modo rilevante, proprio come
temi principali, quelle legate al concetto di Tempo e di Morte.
Tempo: Seneca invita Lucilio a rivendicare il possesso di se stesso, ovvero ad impadronirsi del
tempo che ha a disposizione, impiegandolo per studiare e riflettere, per ricercare la virt, unico vero
bene della vita, senza sprecarlo in attivit inutili, come la politica (e qui emerge prepotentemente
l'antico conflitto con il padre Lucio Anneo). Seneca parla allamico consapevole di aver sprecato
1
2
3
4

ZAMBRANO 1998, p. 16.


Celebre il racconto della morte di Seneca fatto da Tacito, Annales, XV 62-64.
Si tratta delle Naturales quaestiones e del dialogo De providenzia.
La questione rimane ancora aperta tra gli studiosi: per un breve inquadramento generale delle problematiche si
vedano: CONTE 1987; BETTINI 1999; CAVARZERE DE VIVO MASTANDREA 2003; BARONE 2009.

gran parte della sua vita, e quindi lo esorta a non commettere lo stesso errore. Egli spinge lamico a
non dipendere dal domani, dal futuro incerto, ma ad impadronirsi delloggi, a vivere il presente
intensamente nella ricerca della virt.
Morte: Lucio Seneca ha una visione complessa della morte, costituita di due aspetti diversi, uno
tradizionale e uno originale. Come molti suoi predecessori, Seneca considerava la morte qualcosa di
positivo, in quanto liberazione dai mali di una tormentata esistenza. Loriginalit sta nellidea che
luomo, seppure non se ne renda conto, muore giorno per giorno: infatti anche se si soliti
considerare la morte come qualcosa di lontano, gran parte di questa gi stata vissuta perch tutto il
tempo che gi trascorso appartiene alla morte. Inoltre, per Seneca, la morte rende tutti gli uomini
uguali, cos come uguali davanti alla morte appaiono l'ingenuo (libero per nascita) e lo schiavo:
nella lettera 91 si legge infatti nasciamo diversi, moriamo uguali.

La riflessione sul tempo

Breve introduzione.
La riflessione senechiana sul tempo, presente nelle Lettere a Lucilio, non una riflessione
sistematica. Vale a dire che Seneca non affronta in maniera specifica e completa il tema del tempo e
della temporalit. Evidentemente non era questo il tema centrale che l' autore voleva svolgere
all'interno del suo epistolario. Eppure notiamo che continuamente, nel succedersi delle lettere,
qualche piccolo spunto, qualche breve riflessione, qualche sentenza decisa non manca di
evidenziare l'importanza di una corretta comprensione dei problemi riguardanti lo scorrere del
tempo. Probabilmente Seneca era ben pi interessato ad una riflessione pratica piuttosto che teorica,
al saper trovare ci che importa e giova alla vita dell'uomo senza perdersi in una speculazione vana.
Dobbiamo infatti ricordaci che, nella misura in cui l'intento di Seneca nello scrivere il suo
epistolario era quello di farsi maestro di vita, i temi ivi contenuti non potevano che essere svolti
sotto questo rispetto, evidenziando quindi la loro affinit ed utilit per un ars vitae.
Nello svolgere, allora, questa breve riflessione sul tema del tempo in Seneca, seguiremo per lo pi
il percorso dell'autore stesso, evidenziando le linee guida pi importanti e chiarificatrici che ci pare
di aver scorto nelle lettere. Partiremo dalla marcata differenza tra il tempo finito dell'uomo e
l'immensit del tempo dell'universo, continuando poi focalizzandoci sul come va vissuto questo
attimo che la vita umana, per finire permettendoci una rapida analisi di quale ontologia della
temporalit emerga da questi scritti, con particolare riferimento al tempo passato.

La finitudine umana e la grandezza dell'universo.


Proprio perch l'intento di Seneca quello di formare il suo lettore ad una certa pratica, ad un certo
modo di vivere bisogna che sia chiaro cosa sia la vita. Essa non che un tempo limitato datoci in
sorte.
Immagina di abbracciare l'immensit del tempo e l'universo, poi paragona all'infinito quella che
chiamiamo vita umana: vedrai come poca cosa questa vita che desideriamo e cerchiamo di
prolungare.5
5 Seneca, Lettere a Lucilio, XV, 99.10, trad. it. di C. Barone, Garzanti, Milano 2009.

Quale miglior paragone se non quello con l'universo per evidenziare la finitezza umana. Per quanto
ci si possa sforzare di prolungare negli anni questa vita il risultato sar sempre il medesimo. Iniziare
a vivere saper di dover morire, sapere quindi di essere finiti. Il tempo dell'uomo un tempo
limitato, che ha un termine e che nonostante ci viene da noi consumato in mille affanni e inezie.
Che parte ne occupano le lacrime, gli affanni? E la morte desiderata prima dell'ora e le malattie e la
paura? Che parte ne hanno gli anni dell'inesperienza o quelli inutili della vecchiaia? La met della
vita, poi, la passiamo dormendo. Aggiungi fatiche, dolori, pericoli e capirai che anche di una vita
lunghissima se ne vive una minima parte.6

Se cos breve e cos mal vissuta la nostra vita, di certo non sar il prolungarla di qualche anno a
renderla migliore, specie se questo prolungamento finisce per turbare ancor di pi il nostro animo.
Non allora sulla quantit di tempo a nostra disposizione che Seneca vuole che ci illudiamo, bens
sull'importanza di viver bene quello che ci dato.

L'importanza di vivere il presente.


Se l'ammonimento di Seneca abbiamo capito esser quello di saper lavorare sulla qualit del tempo
da noi vissuto, la domanda non pu che esser Come?, come si fa, cio, a saper viver bene il nostro
tempo, il tempo della nostra vita. Gi nella prima lettera a Lucilio Seneca ci d un indicazione
fondamentale: Dunque, Lucilio caro, fai quel che mi scrivi: metti a frutto ogni minuto...7.
Dobbiamo, continua Seneca, imparare a diventare dei buoni amministratori del nostro tempo,
dobbiamo sapere come lo investiamo, come lo utilizziamo e, se capita, anche come lo perdiamo. Il
tempo infatti il solo bene che la natura ci ha dato, tanto fugace e instabile, ma al contempo
soggetto almeno in parte alle nostre decisioni.
L'intento implicito di Seneca sembra chiaro: bisogna imparare a meditare su noi stessi e sulla nostra
vita -l'invito all'introspezione forte e ribadito- solo mettendolo a frutto sapremo vivere bene il
tempo che ci spetta. La riflessione sul proprio tempo, per, non scevra di pericoli per la pace del
nostro animo: infatti, se imparare a vivere bene il momento presente relativamente facile, non
cos per il nostro rapporto con il passato e il futuro.
Le belve evitano i pericoli che vedono e, una volta schivatili, si sentono al sicuro: noi ci tormentiamo
6 Seneca, Lettere a Lucilio, XV, 99.11, trad. it. di C. Barone, Garzanti, Milano 2009.
7 Seneca, Lettere a Lucilio, , 1.2, trad. it. di C. Barone, Garzanti, Milano 2009.

e per il futuro e per il passato. Molte nostre prerogative ci nuocciono; la memoria rinnova l'angoscia
della paura, il prevedere il futuro ce l'anticipa; nessuno infelice solo per il presente. 8

Il futuro con le sue attese e speranze turba il nostro presente in quanto ci fa temere per i mali che ci
possono accadere, il passato a sua volta riporta in noi il ricordo delle sofferenze e dei dolori patiti.
Eppure, ribadisce Seneca, il passato e il futuro non ci appartengono. Chiediamoci allora perch
dovrebbero renderci infelici.
Due cose dunque, vanno eliminate: il timore di un nuovo male e il ricordo di quello vecchio; l'uno
ancora non mi tocca, l'altro non mi tocca pi.9

Potremmo pensare, quindi, che solo nel presente si possa essere felici e che passato e futuro vadano
completamenti esclusi dalla nostra riflessione. Seneca, per, ci stupisce con un'affermazione che
sembra controcorrente con quanto appena detto; scrive infatti:
Chi gioisce solo del presente limita a poco i vantaggi della vita: futuro e passato sono fonte di
piacere, l'uno con l'attesa, l'altro con il ricordo...10

Come conciliare allora, questa contraddizione che sembra emergere dagli scritti senechiani. In realt
a ben guardare, si tratta di una contraddizione apparente, infatti, il problema non sta nel passato o
nel futuro in s, bens nel nostro giudizio su di essi. Il passato e il futuro, come abbiamo visto, non
vanno temuti per i mali che ci hanno arrecato o potrebbero arrecarci; piuttosto, dice Seneca,
dovrebbero fungere da aiuto per il nostro miglioramento. Dal passato, infatti, possiamo trovare un
sostegno grazie al ricordo delle azioni valorose compiute da grandi uomini e dal futuro invece
possiamo essere pronti, grazie ad una meditazione continua su ci che di pi doloroso potrebbe
accadere, ad affrontare qualsiasi situazione che possa minare la nostra serenit.

Spunti ontologici, la riflessione sul tempo passato.


Nonostante sia stato fin qui chiarito sotto che prospettiva il nostro autore abbia affrontato il
problema del tempo, ci non toglie che dalle sue affermazioni si possa ricavare, almeno in parte,
quale concezione pi o meno implicita emerga della sua ontologia della temporalit. Che natura
8 Seneca, Lettere a Lucilio, , 5.9, trad. it. di C. Barone, Garzanti, Milano 2009.
9 Seneca, Lettere a Lucilio, X, 78.14, trad. it. di C. Barone, Garzanti, Milano 2009.
10 Seneca, Lettere a Lucilio, XV, 99.5, trad. it. di C. Barone, Garzanti, Milano 2009.

hanno il passato e il futuro per Seneca? Che cosa il tempo?


Ribadiamo che Seneca non affronta direttamente queste problematiche, eppure vorremmo seguire
l'ordine delle lettere per vedere se possibile abbozzare qualche risposta; in particolare, per una
questione di brevit, richiesta da questa esposizione, analizzeremo solamente e per sommi capi la
sua concezione del tempo passato.
Notiamo fin da subito una certa ambiguit, scrive infatti Seneca, gi nella prima lettera:
...appartiene alla morte la vita passata.11
Ora, se da un lato non chiaro cosa intenda il nostro autore quando parla del passaggio dalla vita
alla morte, dall'altro lato ancor meno chiaro quando in una lettera successiva scrive:
Tutto il tempo trascorso si trova in uno stesso luogo; lo vediamo simultaneamente, sta tutto insieme;
ogni cosa precipita nello stesso baratro.12

Ci verrebbe da pensare che se qualcosa morto allora non pi, eppure Seneca ci dice che tutto
questo tempo morto si trova nello stesso luogo e pu persino essere da noi visto, al contempo
per, questo stesso tempo passato precipitato in un baratro, termine non molto luminoso che ben
poco si adatta all'idea di visibilit.
Infine, poi, in una delle ultime lettere afferma: ...il passato ci appartiene e solo quello che stato si
trova al sicuro.13, ribadendo poi, sempre rivolto al passato: ...non pu non essere esistito.14.
Da questi brevi schizzi, sembra emergere insomma un pensiero non poco contraddittorio riguardo la
realt del tempo passato e che forse non fa che ribadire come la riflessione teoretica possa di volta
in volta essere piegata alle esigenze e ai bisogni (rassicurazioni, esortazioni, ammaestramenti...) di
quella pratica secondo la linea che abbiamo visto essere seguita del nostro autore; scanso poi, per,
-analizzata per quel che - mettere in luce tutte le sue lacune.

11
12
13
14

Seneca, Lettere a Lucilio, , 1.2, trad. it. di C. Barone, Garzanti, Milano 2009.
Seneca, Lettere a Lucilio, V, 49.3, trad. it. di C. Barone, Garzanti, Milano 2009.
Seneca, Lettere a Lucilio, XV, 99.4, trad. it. di C. Barone, Garzanti, Milano 2009.
Seneca, Lettere a Lucilio, XV, 99.5, trad. it. di C. Barone, Garzanti, Milano 2009.

LA CONCEZIONE DELLA MORTE

Motivo intimamente connesso al tema dellesperire e dominare lo scorrere precipitoso del


tempo, quello della morte rappresenta la cornice allinterno della quale prendono forma e si
organizzano le materie caratteristiche dellepistolario, definendo invero il punto obbligato verso cui
confluiscono questioni filosofiche costitutive e nevralgiche, riservate scrupolosamente alla
meditazione del proficiens Lucilio, nonch alla posterit15, autentico destinatario dellopera
senecana.
La riflessione psicologico-morale sulluso retto del proprio tempo personale 16, infatti, introduce e
stimola linterlocutore ad una fondamentale presa di coscienza: percepire la caducit intrinseca alla
condizione temporale delluomo il primo passo nella comprensione dellinevitabile precipitare
verso la morte17, termine ultimo a cui tutti siamo destinati.
A partire da questa constatazione, Seneca prospetta latteggiamento che il saggio - per
definirsi tale e quindi per dare esempio di quel vivere in armonia con la natura universale 18 - deve
tenere nei confronti della morte, fenomeno pienamente razionale, se percepito nella continuit del
cosmo stoicamente inteso. In questo senso, le epistole testimoniano in maniera esemplare ladesione
alle dottrine della Stoa, nella fattispecie per quanto riguarda la struttura fisica delluniverso e la
concezione deterministica del divenire.
Come gli eventi sono concatenati secondo una logica ferrea in un tutto coerente e compiuto,
cos il singolo - nellapprossimarsi del momento estremo - deve assumere su di s linevitabilit
della morte, prepararsi serenamente alla dissoluzione definitiva, in quanto accadimento significativo
nel ciclo di sviluppo cosmologico. In altri termini, la meditazione senecana ci invita a rapportare le
vicissitudini personali ad una dimensione pi ampia 19, che ne fonda la verit: lorganizzazione
15 Nella filosofia di Seneca veniamo tutti accomunati nella nostra inadeguatezza rispetto al modello, cio nella nostra
mancanza di coincidenza con noi stessi. (S. Citroni Marchetti, Il sapiens in pericolo. Psicologia del rapporto con
gli altri, da Cicerone a Marco Aurelio, in ANRW, vol. 36.7 (1994), pag. 4567) Tuttavia, egli ci ricorda che la natura
ci ha creato duttili e ci ha dato una ragione imperfetta, ma suscettibile di perfezionamento. (Seneca, Lettere a
Lucilio, Garzanti, Milano, 1989, ep. 49, 11)
16 Il punto essenziale, infatti, : come si pu essere educati alla sapienza nel tempo che ci concesso di vivere? (S.
Maso, Seneca: Verit e rischio dellazione educativa, in Nelle parole del mondo, Mimesis, Milano, 2011, pag. 481)
17 Se uno non vuole morire, non vuole vivere: la vita ci stata data con la condizione della morte; noi avanziamo
verso di essa. Perci da pazzi temerla: solo gli eventi dubbi si temono, quelli certi si aspettano. (Seneca, Lettere a
Lucilio, Garzanti, Milano, 1989, ep. 30, 10)
18 In tutto ci che fa o soffre, il sapiens realizza la piena coincidenza con se stesso. Ogni suo gesto da lui
conosciuto attraverso la legge della necessit che lo lega alla causalit universale, riconosciuto come proprio
attraverso lassenso, contemplato ed amato in quanto si fatto virt propria. (S. Citroni Marchetti, Il sapiens in
pericolo. Psicologia del rapporto con gli altri, da Cicerone a Marco Aurelio, in ANRW, vol. 36.7 (1994), pag. 4567)
19 Alluomo che paventa la morte, i tormenti dellesilio e del dolore, Seneca si rivolge dicendo lapidariamente : Sei
nato con questo destino; qualunque cosa possa accadere pensiamola come se fosse certa; esorta, di conseguenza, a
volgere lo spirito dai tuoi problemi personali a quelli generali. (Seneca, Lettere a Lucilio, Garzanti, Milano, 1989,

immutabile del destino, cio la concatenazione inesorabile degli avvenimenti, fornisce il modello
speculativo a cui richiamarsi per concettualizzare la morte e listanza del sapiens che la deve
necessariamente fronteggiare. Quindi, alla luce della tradizionale concezione stoica di un tutto
organico e predeterminato - realt vivificata dal pneuma razionale, necessariamente indirizzata ad
una combustione rigenerante - che viene configurandosi un tema cos esistenzialmente pregnante,
nei difficili anni della vecchiaia e del declino.
Se la filosofia stoica fa dipendere direttamente i proponimenti di carattere etico dagli
assunti fisico-logici della cosmologia20, nel disprezzo della morte - intesa pertanto come condizione
inaggirabile ed epilogo prestabilito - risiede latto virtuoso21 per antonomasia: luomo sapiente
attivamente rassegnato alla cessazione del vivere22; accettando il limite connaturato alla sua
esistenza, sfida la morte tramite lassorbimento consapevole nel presente del qui e ora 23 e attende
con serena disposizione interiore listante fatale.
Dato che verso la morte sei spinto dal momento della nascita24, trattandosi cio di un
vincolo ontologico inscindibile, non rientra nelle prerogative delluomo virtuoso il timore
incontrollato di perdere definitivamente il bene della vita e con esso i possessi materiali, in ogni
caso superflui. Secondo Seneca, bisogna al contrario prepararsi - metodicamente e con lausilio di
esercizi spirituali - alleventualit della fine, senza agitazione e assaporando il presente, occasione
chiave per esplicitare lazione retta, giacch lunico frangente a noi concesso di riscatto morale e
di realizzazione individuale.
Con leducarci a riconoscere la certezza della morte e ad avvertirne la perpetua minaccia,
neutralizzandola poi, la pedagogia senecana mira a consolidare la sicurezza di chi in cammino
verso la sapientia, vale a dire verso limperturbabilit: Lucilio deve persuadersi che pensare alla
morte, renderla oggetto di attento e rigoroso esame 25, significa fondamentalmente riflettere sulla
libert26. Praticare la virtus, in concreto, affrancarsi dalla schiavit dovuta alla dissipazione in
attivit dannose e inconcludenti; si sottrae alla tirannia del tempo comunemente inteso - ossia quello
quotidiano sprecato in vani commerci ed effimeri piaceri - solo colui che ha il coraggio di osservare
ep. 24, 15-16)
20 I decreti del fato, i disegni divini sono stati sanciti, sono immutabili, li governa una potente ed eterna necessit:
andrai l dove vanno tutti gli esseri, poich una successione ineluttabile, che nessuna forza pu infrangere, vincola
e trascina ogni cosa. (Ivi, ep. 77, 12)
21 Quando la morte vicina e destinata ad arrivare in ogni caso, richiede una fermezza danimo tenace [lentam animi
firmitatem] che piuttosto rara e la pu dimostrare solo il saggio. (Ivi, ep. 30, 8)
22 Anche noi ci accendiamo e ci spegniamo: in quellintervallo proviamo qualche sofferenza; prima e dopo, invece,
c una profonda serenit. (Ivi, ep. 54, 5)
23 La nostra vita non deve protendersi allavvenire, deve raccogliersi in se stessa; chi non in grado di vivere il
presente, in balia del futuro. (Ivi, ep. 101, 9)
24 Ivi, ep. 4, 9.
25 Con coraggio mi preparo a quel giorno in cui, deposto ogni artificio e ogni inganno, giudicher di me stesso. E
inoltre: lascia da parte i giudizi degli uomini: sono sempre incerti e ambigui. Lascia da parte gli studi fatti durante
tutta la vita: ti giudicher la morte [mors de te pronuntiatura est]. (Ivi, ep. 26, 6)
26 Ivi, ep. 26, 10

da vicino lestraneit radicale della morte, necessit uguale per tutti e invincibile 27,
estrinsecazione quindi di una legge giusta ed equa, poich secondo natura. Segue che
latteggiamento promosso dallinterrogazione filosofica si traduce nel rifiuto categorico di lasciarsi
invischiare in sentimenti torbidi e irrazionali come quelli provocati dalla paura del trapasso. Segno
di fermezza e di conciliazione con il destino non , dunque, la volont di accaparrarsi a tutti i costi
ci che ci lega ancora a questa terra28; labito di cedere immediatamente al corpo ed ai bisogni
artificiali ci imprigiona nei vizi pi deleteri e non facilita il distacco dellanima. Soltanto
laccoglimento incondizionato messo in opera dal saggio permette di contemplare il baratro con
animo sereno:
il saggio non fa niente contro la sua volont, sfugge alla necessit perch vuole ci che
essa gli imporr di fare29.

La salda e incrollabile determinazione del sapiens30 davanti alla morte si costruisce, di fatto,
man mano che egli tempra il suo carattere familiarizzando con il dolore e la sofferenza, i prodromi
cio della separazione dalla vita terrena. Alla strenua sopportazione dei mali del corpo si
accompagna cos il disprezzo virtuoso del morire, provato dopo aver compreso che la morte non
esistere31, condizione in cui si spegne la percezione e dunque la coscienza di essere.
La morte o ci consuma o ci spoglia; se ci libera dal peso del corpo, rimane la parte
migliore di noi; se ci consuma , di noi non resta niente; beni e mali scompaiono allo
stesso modo32.

Perci, segno di stoltezza abbandonarsi al timore ingiustificato di soffrire, una volta


avvenuto il trapasso. Luomo che segue costantemente la virtus, anzi - ormai molto al di sopra
della fortuna33 -, in determinate circostanze pu decidere di morire di propria mano, se si d il caso
cio che la sua rettitudine sia messa alla prova dalle avversit della sorte: la dottrina stoica impone
il suicidio, qualora ci si trovi nella condizione di non poter pi esercitare lazione onesta, il che,
paradossalmente, conferma il radicale adeguamento delluomo saggio allo svolgersi razionale e
27 Ivi, ep. 30, 11
28 Confessalo: dalla morte non ti trattengono la politica o gli affari o lamore per la natura: tu lasci malvolentieri un
mercato di viveri, in cui non hai lasciato nessun prodotto. (Ivi, ep. 77, 17)
29 Ivi, ep. 54, 7
30 Allora, la psicologia propria del sapiens non altro che il luogo del non-pericolo, dove nessun male pu
generarsi n pervenire. Inoltre, essa una psicologia del distacco, della diversit, dellaltezza rispetto agli altri.
(S. Citroni Marchetti, Il sapiens in pericolo. Psicologia del rapporto con gli altri, da Cicerone a Marco Aurelio, in
ANRW, vol. 36.7 (1994), pag. 4562-4564)
31 Seneca, Lettere a Lucilio, Garzanti, Milano, 1989, ep. 54, 4
32 Ivi, ep. 24, 18
33 Ivi, ep. 63, 1

ordinato della natura penetrata dal Logos. Dato che importante vivere bene, pi che vivere
semplicemente e pur di preservare la razionalit del proprio agire, colui che sul punto di smarrire
il controllo di s e che quindi rischia di andare contro la virt - summum bonum - deve lasciare la
vita come se la scelta di morire fosse la possibilit esistenziale pi autentica 34. Lindividuo che
esperimenta una situazione limite, in forza della quale esposto al pericolo di agire passionalmente
35

, indotto a prefigurarsi una vita di schiavit agli impulsi pi bassi e di ignobile dipendenza dagli

altri: prova decisiva di autosufficienza, il suicidio razionale36 del virtuoso un atto di eroismo che lo
svincola da vergognosi compromessi con la vita immediata e volgarmente appetitiva.
Luomo virtuoso far quello che ritiene onesto anche se gli coster fatica, anche se lo
dannegger o sar rischioso; non compir , invece, unazione indegna, anche se gli
procurer denaro o piacere o potenza: niente lo distoglier dal bene, niente lo indurr al
male37.

Seneca, appellandosi alle grandi figure dei martiri stoici romani 38, propugna un sistema etico
che prescrive di tenere a freno con risolutezza le inclinazioni pi vicine allanimalit e, daltro
canto, di essere degni, allaltezza degli accadimenti cui siamo destinati, vale a dire: siccome a
trattenerci dal gesto fatale pi la paura soggettiva 39 - quindi qualcosa di fittizio, illusorio - che la
realt oggettiva della morte, non cerchiamo facili scuse al fine di evitare linevitabile.
La vita non incompiuta, se virtuosa. Dovunque la concludi, se la concludi bene,
completa. Spesso poi bisogna farla finita con coraggio per cause che non sono tra le pi
importanti: del resto non sono importantissimi neppure i motivi che ci tengono in vita 40.
34 Il suicidio tematizzato e interiorizzato al punto da essere sentito non come fallimento (cio come conseguenza
della pertinace, astratta convinzione di essere nella ragione), ma come liberazione dal fallimento degli altri (cio
come eventuale conferma di una coerenza assolutamente sana). (S. Maso, Lo sguardo della verit. Cinque studi su
Seneca, Il Poligrafo, Padova, 1999, pag. 35)
35 Una forma fondamentale della non coincidenza con se stessi quella scissione tra la propria razionalit e la
propria affettivit rappresentata dalla diversit fra parole e azioni. (S. Citroni Marchetti, Il sapiens in pericolo.
Psicologia del rapporto con gli altri, da Cicerone a Marco Aurelio, in ANRW, vol. 36.7 (1994), pag. 4571)
36 Esso sembra assurgere a inevitabile approdo per luomo che ha sperimentato su di s la piega nefasta del destino.
Eppure, a ben guardare, non si tratta nemmeno in questa occasione di fuggire la vita; piuttosto linvito a leggere in
essa fino in fondo i segni del destino cosicch quanto era gi stato stabilito fin dal concepimento -ma non era
apparso chiaro- ora possa liberamente trasparire. (S. Maso, Lo sguardo della verit. Cinque studi su Seneca, Il
Poligrafo, Padova, 1999, pag. 36)
37 Seneca, Lettere a Lucilio, Garzanti, Milano, 1989, ep. 76, 18
38 Risulta utile chiarire infatti che non solo uomini coraggiosi hanno affrontato con sprezzo il momento della morte,
ma che alcuni, vili in altre circostanze, in questa occasione hanno emulato il coraggio dei pi forti. (Ivi, ep. 24, 9)
39 Innanzi tutto ricordati di spogliare gli avvenimenti dal tumulto che li accompagna e di considerarli nella loro
essenza: capirai che in essi non c niente di terribile se non la nostra paura. Sempre in questa direzione, Seneca
scrive: Se vorremo analizzare le cause dei nostri timori, ne troveremo alcune reali, altre apparenti. Noi non
temiamo la morte, temiamo il pensiero della morte; dalla morte siamo sempre ugualmente lontani. Cos se va
temuta, va temuta sempre: non c momento della vita che ne sia privo. (Ivi, ep. 24, 12; 30, 17)
40 Ivi, ep. 77, 4

Tale il compito di chi si dedicato con ardore e costanza alla filosofia 41, tanto da
disprezzare le sofferenze inflitte dalle innumerevoli malattie della vecchiaia, che spesso culminano
nella morte, realt essa stessa indifferente perch prevista e calcolata da tempo come uneventualit
tra le pi prossime: essa colpisce il corpo e pone termine ai suoi affanni; lanima, la parte migliore
di s, di origine divina - coltivata nella virt - raggiunge la pace e si accorda alla volont ultima del
destino.
Vivere non poi una gran cosa: tutti i tuoi schiavi, tutte le bestie vivono: limportante
morire con dignit, saggezza e coraggio42.

Ingaggiando un aspro combattimento con la fortuna43, il sapiens, dunque, si trova in uno


stato di elezione: il suo quasi uno sforzo titanico, comporta una riserva di energia spirituale da
poter incanalare in un gesto eroico e superiore 44; egli sopporta impassibile il dolore fisico e, se
necessario, pronto allestremo sacrificio, per rispetto del sommo bene.
Felice colui che gestisce qualitativamente il proprio tempo 45 e lo impiega destinandolo al
cammino di perfezionamento interiore: una vita virtuosa, seppur breve, altamente preferibile
rispetto ad un ottuso e ostinato trascinarsi attraverso i giorni. Seneca a questo punto si chiede: Ma
che vita agonizzare a lungo?46 Per rispondere, giova segnalare un passo che risuona come un
severo monito:
Ogni giorno, ogni ora ci mostra che siamo un nulla e con qualche nuovo argomento
ricorda a noi dimentichi la nostra caducit, e mentre concepiamo progetti come se
fossimo eterni ci costringe a guardare alla morte 47.

41 Questo ti d la filosofia: essere sereno di fronte alla morte, forte e addirittura lieto indipendentemente dalle
condizioni fisiche, e non cedere anche se le forze non reggono pi. (Ivi, ep. 30, 3)
42 Ivi, ep. 77, 6
43 Ivi, ep. 78, 16
44 Leroismo [] si configura come lestrema adesione al destino nella sua essenza, cio fino allannullamento di
quellapparire che vorrebbe mitigare la verit, se non nasconderla, ma cos tradirla. La possibilit di suicidarsi
coincide con lautentica disponibilit ad essere s, ad essere eroicamente s. (S. Maso, Lo sguardo della verit.
Cinque studi su Seneca, Il Poligrafo, Padova, 1999, pag. 36)
45 Di tutto il tempo a noi tocca meno di quello che uno potrebbe definire il minimo, perch il minimo pur sempre
una parte: la nostra vita quasi un nulla; e tuttavia, pazzi, facciamo progetti a lungo termine. (Seneca, Lettere a
Lucilio, Garzanti, Milano, 1989 ep. 99, 31)
46 Ivi, ep. 101, 13
47 Ivi, ep. 101, 1

Conclusioni
Per menzionare gli argomenti pi salienti emersi durante lesposizione e la successiva discussione,
riportiamo sinteticamente le questioni aperte e i punti controversi che hanno suscitato linteresse dei
partecipanti: in primo luogo, stato notato che la riflessione teoretica, quando si spinge ad indagare
le implicazioni metafisiche contenute nel concetto di morte e nellesperienza del morire, si arena
inevitabilmente e si scontra con i limiti del pensabile; risultato cio altamente problematico
proprio il senso dellesperire la morte, poich Seneca lascia intendere che se ci siamo noi, la
morte presente solo a livello soggettivo di paura, ossia come riflesso psicologico dellevento
temuto nella nostra mente, mentre, allopposto, se c la morte, noi non esistiamo e quindi non
possiamo sperimentare la condizione dellessere morti. In questo contesto, la spinosa questione
ontologica della vita dopo la morte, o meglio, della sopravvivenza dellanima in seguito al suo
svincolarsi dal corpo lascia aperte veramente molte domande.
Sempre in questa direzione, poi, stato affrontato il problema della credenza nella propria
eternit individuale: a partire da un riferimento testuale all'opera di Freud e grazie alla indagine
sulla natura del tempo nelle epistole senecane, stata suggerita uninterpretazione del vissuto
soggettivo di eternit da parte del sapiente e sono stati sottolineati i possibili riferimenti con quanto
stato proposto in sede speculativa da Severino.
In seguito, stimolati da talune supposte incongruenze nel testo senecano, abbiamo avuto
modo di rilevare alcuni aspetti critici della cosmologia stoica, concernenti la natura ciclica del
tempo e la susseguente incompatibilit con la concezione lineare divenuta tradizionale.
Inoltre, si colta loccasione per evidenziare la preponderante influenza del contesto storico
sullevoluzione del pensiero senecano, e in particolare sulla composizione delle opere: come le
vicende biografiche e le particolari vicissitudini delluomo Seneca abbiano segnato lelaborazione
filosofica e spieghino cos la predilezione verso alcuni temi fortemente presenti nella successiva
produzione filosofica.

Bibliografia
BARONE 2009 = Seneca, Lettere a Lucilio, traduzione e commento a cura di C. Barone, Milano
2009.
BETTINI 1999 = M. Bettini, Cultura e letteratura a Roma, Firenze 1999.
CAVARZERE DE VIVO MASTANDREA 2003 = A. Cavarzere A. De Vivo P. Mastandrea,
Letteratura latina, una sintesi storica, Roma 2003.
CITRONI MARCHETTI 1994 = S. Citroni Marchetti, Il sapiens in pericolo. Psicologia del
rapporto con gli altri, da Cicerone a Marco Aurelio, in ANRW, vol. 36.7 (1994).
CONTE 1987 = G. B. Conte, Letteratura latina, Milano 1987.
MASO 1999 = S. Maso, Lo sguardo della verit. Cinque studi su Seneca, Padova 1999.
MASO 2011-a = S. Maso, Seneca: Verit e rischio dellazione educativa, in Nelle parole del
mondo, Milano 2011.
MASO 2011-b = S. Maso, Lingua philosophica graeca, Milano 2011.
ZAMBRANO 1998 = M. ZAMBRANO, Seneca, (traduzione italiana a cura di Claudia
Marseguerra), Milano 1998.

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