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N 86 Gennaio 2015
Le Nostre Sentenze 4
Cassazione 7
Diritto Civile,
Commerciale,
Assicurativo
Le Nostre Sentenze 8
Assicurazioni 9
Il Punto su 11
R. Stampa 13
Eventi 14
Contatti 15
In particolare, tra i casi previsti alla lett. c) del predetto comma 2, vi sono i
contratti a termine per i quali la legge (artt. 1 co. 1, 10 e 7 del D.Lgs. n.
368/2001) stabilisce limiti quantitativi di natura legale e contrattuale, e la
cui disciplina risulta derogabile attraverso la contrattazione di prossimit.
Tenuto presente che la contrattazione di prossimit ammessa solo a
fronte di specifiche finalit, queste ultime dovranno essere indicate
esplicitamente nel contratto.
Dovranno, inoltre, essere rispettate alcune condizioni:
1. le intese devono essere finalizzate alla maggiore occupazione, alla
qualit dei contratti di lavoro, alladozione di forme di partecipazione
dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di
competitivit e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e
occupazionali, agli investimenti e allavvio di nuove attivit;
2. le intese dovranno, comunque, rispettare i limiti costituzionali nonch i
vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni
internazionali sul lavoro.
A tale ultimo riguardo, rileva quanto previsto dalla Direttiva 1999/70/CE,
relativa allaccordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo
determinato nel quale si prevede che i contratti a tempo indeterminato
sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti di lavoro
fra i datori di lavoro e i lavoratori.
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Cos, sul punto, si legge nellinterpello: .. va pertanto evidenziato come i contratti di prossimit
siano abilitati ad intervenire con discipline che, ad ogni modo, non mettano in discussione il rispetto
della cornice giuridica nella quale vanno ad inserirsi.
Su tali premesse, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha concluso affermando che
lintervento della contrattazione di prossimit non potr, comunque, rimuovere del tutto i limiti
quantitativi previsti dalla legislazione o dalla contrattazione nazionale, ma esclusivamente
prevederne una diversa modulazione.
Damiana Lesce
Comitato di Redazione: Francesco Autelitano, Stefano Beretta, Antonio Cazzella, Teresa Cofano, Luca
DArco, Diego Meucci, Jacopo Moretti, Damiana Lesce, Luca Peron, Claudio Ponari, Vittorio Provera,
Tommaso Targa, Marina Tona, Stefano Trifir e Giovanna Vaglio Bianco
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Il lavoratore ha dedotto che il licenziamento non aveva riguardato altri colleghi con analoghe mansioni e
che tale provvedimento era stato, in realt, determinato da una ragione discriminatoria, ovvero la sua
obesit. Il lavoratore era sempre stato obeso (ai sensi della definizione fornita dallOrganizzazione
mondiale della Sanit) nel corso di tutto il rapporto di lavoro (durato circa 15 anni); egli aveva cercato di
perdere peso, anche con laiuto del datore di lavoro, che lo aveva sostenuto economicamente per
frequentare corsi di fitness e praticare altre attivit fisiche.
In particolare, il lavoratore ha dedotto che, prima di essere licenziato, aveva ricevuto alcune visite
inaspettate da parte della responsabile degli assistenti allinfanzia, che desiderava informarsi sulla sua
perdita di peso, atteso che, nonostante gli sforzi, nel corso degli anni il peso era rimasto pressoch
invariato.
La Corte di Giustizia ha rilevato che la direttiva 2000/78/CE non prevede una discriminazione in ragione
dellobesit, in quanto vieta la discriminazione basata su religione o convinzioni personali, handicap, et
o tendenze sessuali.
La Corte di Giustizia, inoltre, ha precisato che lambito di applicazione della direttiva 2000/78 non deve
essere esteso, per analogia, ad altre ipotesi di discriminazione che non siano fondate sui motivi sopra
richiamati ed elencati tassativamente dallart. 1 della direttiva medesima.
In particolare, la Corte di Giustizia ha precisato che la nozione di handicap, ai sensi della direttiva
2000/78, non dipende dalla determinazione della misura in cui la persona abbia potuto, o meno,
contribuire allinsorgenza del suo handicap ed ha, quindi, affermato il principio secondo cui la direttiva
2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parit di
trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretata nel senso che lo
stato di obesit di un lavoratore costituisce un handicap, ai sensi di tale direttiva, qualora determini una
limitazione, risultante segnatamente da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature, la quale, in
interazione con barriere di diversa natura, pu ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della
persona interessata alla vita professionale su un piano di uguaglianza con altri lavoratori.
La Corte di Giustizia ha concluso che spetta al giudice nazionale verificare se lobesit possa qualificarsi
come handicap e, quindi, costituire un presupposto per affermare la sussistenza di una discriminazione
ove risulti che il provvedimento del datore di lavoro sia stato adottato in ragione di tale condizione fisica.
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LE NOSTRE SENTENZE
LA SENTENZA DEL MESE
RSU E ASSEGNAZIONE A DIVERSA UNIT PRODUTTIVA IN MEDESIMA SEDE
(Tribunale di Busto Arsizio, ordinanza 17 dicembre 2014)
Due componenti della RSU aziendale (settore pubblico impiego) agivano con ricorso in via di urgenza (ex
art. 700 c.p.c.), sostenendo che la loro assegnazione ad altra unit produttiva, nellambito della stessa
sede aziendale, avrebbe impedito ai medesimi un contatto quotidiano frequente, come in precedenza,
con gli altri dipendenti, inibendo loro di svolgere adeguatamente la campagna elettorale per le nuove
elezioni. Il Tribunale, facendo proprie le tesi esposte nella memoria difensiva dellazienda, ha ritenuto non
fondato il ricorso, affermando che la diversa assegnazione in diversa unit produttiva rientra nello ius
variandi del datore di lavoro, che ha il solo obbligo di garantire il rispetto dellequivalenza professionale e
di assicurare quanto stabilito dalla disciplina legale e contrattuale (es.: permessi sindacali). Il datore non
ha, invece, alcun obbligo di inserire i rappresentanti sindacali in una posizione lavorativa tale per cui gli
stessi possano avere pi o meno possibilit di contatto con gli altri dipendenti in orario di lavoro n
alcun obbligo di inserirli in mansioni che consentano di svolgere proficuamente la campagna elettorale.
Il Tribunale ha aggiunto (ma sotto questo aspetto rilevante la disciplina vigente nel pubblico impiego e,
in particolare, lart. 18 del contratto collettivo nazionale quadro (CCNQ) 7 agosto 1988), che
lassegnazione ad altra unit produttiva nellambito della stessa sede non comporta lobbligo di indicare i
motivi, n di richiedere il nulla osta allorganizzazione sindacale di appartenenza, in quanto non si tratta
di trasferimento.
Causa seguita da Stefano Beretta
ALTRE SENTENZE
NON MOBBING IL RIFIUTO DI CONCEDERE UNASPETTATIVA NON PREVISTA DAL CCNL, N
LA MODIFICA DEL TURNO IMPOSTA DA ESIGENZE AZIENDALI
(Corte dAppello di Roma, 16 gennaio 2015)
Una recente sentenza della Corte dAppello di Roma, Sezione Lavoro, si pronunciata in ordine alla
impugnativa di un licenziamento intimato ad un lavoratore per superamento del periodo di comporto ed
in merito alla domanda di risarcimento per preteso mobbing formulata dallex dipendente, a fronte di
asserite illegittime condotte imputate allazienda (in particolare al nuovo gestore subentrato nella
conduzione della medesima). In relazione al licenziamento, si accertato che il medesimo era stato
irrogato, in particolare, in quanto: (i) il dipendente aveva superato il periodo di conservazione del posto
di lavoro, per assenze dovute a malattia, previsto dal CCNL; ( ii) inoltre lo stesso - dopo aver chiesto ed
usufruito al termine delle assenze per malattia di un periodo di aspettativa (anche se per una durata
inferiore a quella massima prevista dalla contrattazione collettiva) - aveva, successivamente, avanzato la
richiesta di usufruire di un ulteriore periodo di aspettativa (nei limiti del periodo massimo previsto dal
CCNL), che la societ non aveva, tuttavia, concesso. I Giudici dAppello hanno confermato la sentenza
di primo grado che aveva accertato la legittimit della condotta del datore di lavoro, il quale aveva
negato la sussistenza del diritto ad un ulteriore periodo di aspettativa (aggiuntivo rispetto a quello gi
richiesto dal lavoratore), con la conseguente legittimit del provvedimento di risoluzione del contratto al
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al termine del primo periodo di aspettativa concesso dal datore di lavoro, in considerazione del
superamento del periodo di comporto. Quanto sopra, in primo luogo, poich non risulta nessun obbligo
di legge e/o di contratto a carico del datore di accoglimento di eventuali plurime richieste del lavoratore
di molteplici periodi di aspettativa fino al raggiungimento del tetto massimo previsto dal CCNL, bens
solo il diritto del dipendente di beneficiare di un periodo di aspettativa richiesto entro il limite di durata
previsto dalla contrattazione collettiva. Inoltre, la Corte di Appello ha accertato che la pretesa di usufruire
del secondo periodo di aspettativa era fondata su una asserita sindrome ansioso-depressiva e, pertanto,
da malattia psichica, come tale non legittimante, in base al CCNL, la concessione dellaspettativa.
Peraltro, in sentenza, si rilevato che lappellante non aveva formulato specifici motivi in ordine alla
pretesa frazionabilit del diritto allaspettativa, n in relazione alla asserita esclusione della suddetta
sindrome ansioso-depressiva dal novero delle malattie psichiche (con conseguente, rispettivamente,
infondatezza e genericit dei relativi motivi di ricorso).
La pronuncia in esame ha, altres, confermato il rigetto delle domande avversarie in materia di mobbing.
Il lavoratore, infatti, aveva lamentato una condotta illegittima del nuovo gestore dellazienda che non
avrebbe mantenuto la possibilit, in capo al medesimo, di operare in turno serale (come accadeva con il
precedente gestore), cos da consentirgli di svolgere altra occupazione (sic!).
In punto, i Giudici di secondo grado hanno statuito che la modifica dei turni deve ritenersi legittima, in
quanto rientrante nei poteri organizzativi ed imprenditoriali di cui allart. 41 cost. e, comunque, anche a
fronte del fatto che la rotazione dei turni stata applicata, da parte del nuovo gestore, a tutto il
personale. A ci si aggiunga il fatto che il brevissimo lasso di tempo tra lintroduzione della nuova
organizzazione e linizio della asserita patologia depressiva (solo una settimana di lavoro prima che
insorgessero i pretesi primi sintomi di ansia depressiva dedotti e posti quale conseguenza del mobbing,
con successive assenze dal lavoro), rendeva evidente la non riconducibilit della malattia ad una
condotta aziendale (fra laltro senza altri comportamenti vessatori, tali da incidere sullo stato di salute
dellinteressato). Alla luce degli elementi sopra riportati stato confermato lesito del primo grado di
giudizio, statuendo linesistenza di condotte illegittime e/o vessatorie in capo al datore di lavoro.
Causa seguita da Vittorio Provera e Marta Filadoro
SE LE PARTI HANNO FORMALIZZATO UN RAPPORTO AUTONOMO, RIVENDICANDO LA
SUBORDINAZIONE IL LAVORATORE DEVE PROVARE LA SIMULAZIONE DEL CONTRATTO
(Corte dAppello di Milano, sentenza 30 maggio - 17 giugno 2014)
Una lavoratrice, svolgente mansioni ausiliarie in ambito sanitario, ha convenuto in giudizio una struttura
ospedaliera, allegando di aver espletato attivit libero professionale, per conto di tale struttura, che ha
poi risolto il contratto. La lavoratrice ha, quindi, rivendicato la pretesa natura subordinata del rapporto,
chiedendo la condanna della medesima struttura a reintegrarla nel posto di lavoro e al pagamento di un
rilevante importo a titolo di differenze retributive. La struttura sanitaria, costituendosi, ha eccepito il
mancato assolvimento dellonere della prova, da parte della lavoratrice, della sussistenza di un preteso
rapporto subordinato. In particolare, lEnte ha evidenziato che le parti hanno formalizzato un contratto di
collaborazione libero professionale e che il rapporto non si mai svolto con vincolo di esclusiva, essendo
pacifico che la lavoratrice collaborava con altre strutture concorrenti e, anche per questo, aveva orari di
lavoro molto flessibili, dalla stessa stabiliti, onde poter coordinare i propri impegni professionali ulteriori,
rispetto a quello presso lente resistente. Tanto il Tribunale, quanto la Corte dAppello hanno rigettato le
pretese della lavoratrice, evidenziando i seguenti principi di diritto:
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1. poich qualsiasi attivit umana economicamente rilevante pu essere svolta sia in regime di lavoro
subordinato, che nelle forme del lavoro autonomo, in relazione alla scelta liberamente compiuta dalle
parti, l'analisi sulla qualificazione del rapporto non pu prescindere da quella operata dalle parti in
sede di iniziale stipulazione del contratto. Pertanto, laddove le parti abbiano formalizzato il rapporto
come autonomo, il lavoratore che contesta tale qualifica e rivendica la subordinazione deve offrire la
prova rigorosa della simulazione del contratto e/o della novazione oggettiva del rapporto in corso di
esecuzione;
2. in ipotesi di prestazioni lavorative di natura intellettuale o professionale, tali prestazioni non richiedono
per la loro stessa natura, da parte di chi le fornisce, alcuna organizzazione imprenditoriale, n
postulano un'assunzione di rischio a carico del lavoratore. Per tale ragione, lassenza di un rischio di
impresa non comporta lautomatica conversione del rapporto da autonomo a subordinato;
3. lassenza di un vincolo di esclusiva depone a favore della natura autonoma del rapporto, soprattutto
quando essa comporta anche una necessaria flessibilit dellorario di lavoro, determinato dallo
stesso lavoratore;
4. la natura autonoma del rapporto non incompatibile con la fungibilit della prestazione resa,
elemento che inerisce alla struttura organizzativa aziendale, non alla qualificazione dei rapporti di
lavoro.
Causa seguita da Tommaso Targa
SUPERIORE INQUADRAMENTO: ONERI DI ALLEGAZIONE E PROVA A CARICO DEL
LAVORATORE
(Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, 12 maggio 2014)
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Civile, Commerciale,
Assicurativo
LE NOSTRE SENTENZE
ESTRANEIT DELLA COMPAGNIA DI ASSICURAZIONE AL RAPPORTO DI SUBAGENZIA E
CONSEGUENTE CARENZA DI LEGITTIMAZIONE PASSIVA
(Tribunale di Como, 18 novembre 2014)
Nel settore assicurativo, la Compagnia e lAgente Generale sono due soggetti giuridici autonomi
e distinti e il contratto di agenzia tra di essi intercorrente , a sua volta, distinto e separato
rispetto al contratto di subagenzia, concluso tra lAgente Generale e i propri eventuali subagenti,
che postula la conclusione di contratti di assicurazione soltanto per conto dellAgente e non
anche della Compagnia.
Pertanto, qualora lAgente Generale decida di avvalersi di subagenti ai fini dellespletamento del
mandato, la Compagnia non ha alcun rapporto diretto con detti subagenti, ma rimane estranea
al rapporto instaurato tra di essi e lAgenzia Generale.
Lo ha ribadito il Tribunale di Como, dichiarando la carenza di legittimazione passiva della
Compagnia di assicurazioni rispetto alle domande avanzate nei suoi confronti dai subagenti della
propria Agenzia Generale, relative al pagamento di pretese provvigioni e dellindennit di
liquidazione per fine mandato.
Causa seguita da Stefano Beretta e Tiziano Feriani
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Assicurazioni
A cura di Bonaventura Minutolo e Teresa Cofano
FIDEJUSSIONE
RESPONSABILIT EX
ART.
2051 C.C.
LIQUIDAZIONE DEL
DANNO BIOLOGICO
MODALIT DI
PAGAMENTO
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del privato, per lungo tempo e senza fornire spiegazioni costituiva una
violazione del principio di buona fede, anche se l'assegno non era stato
incassato).
(Cassazione, n. 26543, 17 dicembre 2014)
CASO FORTUITO E
RESPONSABILIT EX
ART.
2051 C.C.
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IL PUNTO SU
A cura di Vittorio Provera
BREVETTI E VALUTAZIONE DELLALTEZZA INVENTIVA, COME EVITARE LA
BREVETTAZIONE DELLOVVIO
Nello sforzo continuo delle imprese di valorizzare i propri prodotti e/o trovati al fine di sfruttare in modo
pi efficace anche gli elementi di novit (e se possibile farne oggetto di tutela brevettuale), assume
importanza decisiva lindividuazione dei criteri e modalit attraverso cui pu essere accertata la presenza
del requisito della cosiddetta altezza inventiva. Si tratta di una verifica condotta, soprattutto,
nellambito dei contenziosi avviati per violazione dei diritti di privativa.
Al riguardo, una pronuncia del Tribunale di Milano avente ad oggetto uninvenzione di procedimento,
offre lo spunto per una riflessione in merito (si tratta della ordinanza del Tribunale di Milano del 14 ottobre
2013).
Il ricorrente deduceva di aver brevettato - mediante limpiego di un apposito bicchiere con particolari
nervature interne ed un certo sistema di rotazione del medesimo un procedimento idoneo ad eliminare
lanidride carbonica in eccesso, contenuta nelle birre ad alta fermentazione. Scopo dellinvenzione era,
dunque, quello di diminuire lassorbimento di alcool nellorganismo attraverso una riduzione
dellingestione di anidride carbonica da parte del consumatore. Linteressato aveva tutelato linvenzione
con il deposito di un brevetto nazionale, poi esteso in Europa con un brevetto europeo. Il medesimo
aveva, quindi, avviato una causa contro unazienda vetraria, lamentando che detta Societ avrebbe
realizzato e messo in commercio bicchieri simili attraverso peraltro lo sfruttamento indebito delle
conoscenze riservate apprese durante le trattative intercorse per la produzione del bicchiere sulla base
dellinvenzione di cui sopra. Era, pertanto, chiesto al Tribunale di inibire allazienda convenuta la
prosecuzione della produzione e della commercializzazione dei bicchieri in questione, nonch il ritiro dal
commercio degli stessi. La Societ resistente, dal canto suo, negava la sussistenza del preteso illecito
concorrenziale ed eccepiva linvalidit dei brevetti.
Nellambito del relativo giudizio, il Tribunale disponeva una consulenza tecnica dufficio avente
ovviamente ad oggetto la valutazione dei due brevetti (italiano ed europeo), al fine di verificare
lesistenza in capo agli stessi dei requisiti di validit. Il Consulente Tecnico dUfficio designato verificava
che (fermo lo scopo dellinvenzione come sopra gi illustrato) nella stessa descrizione del brevetto si era
asserito che costituiva fatto notorio la circostanza che il trattamento di rotazione e/o inclinazione di un
bicchiere, in cui contenuta la bevanda alcolica prima della degustazione, pu determinare una
riduzione del tasso di anidride carbonica (e, quindi, del successivo assorbimento di alcol in capo al
consumatore).
Da ci conseguiva linesistenza di elementi di novit in relazione alla semplice specificazione (contenuta
nel brevetto) che detta rotazione e inclinazione del bicchiere avvenga in fase di riempimento dello stesso
tenuto conto dellovviet del trovato rispetto alle conoscenze proprie dellesperto del settore.
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Al riguardo, lesperto del settore (che ha fornito le indicazioni sul metodo) era stato individuato dal CTU
nella figura del sommelier il quale essendo a conoscenza delle propriet degli scambi gassosi dei
prodotti alcolici, nonch della tecnica di inclinare il bicchiere durante loperazione di riempimento della
bevanda riteneva ovvio estendere detto movimento (determinato dalle nervature) anche nella fase di
riempimento, mantenendo inclinato il bicchiere.
Le conclusioni di ovviet a cui giunto il CTU, sulla base della valutazione dellesperto, sono state
condivise dal Tribunale che ha pertanto negato, al trovato, il requisito dellaltezza inventiva, in
considerazione dello stato delle conoscenze e delle capacit dellesperto.
Da tale statuizione si possono trarre alcune considerazioni.
In generale, in caso di invenzioni industriali e altre creazioni intellettuali, lambito di protezione conferita
mediante il sistema dei brevetti dipende, in primo luogo, dalla corretta individuazione del nucleo tutelabile
in funzione della descrizione e delle rivendicazioni inerenti la parte principale del brevetto (c.d. sufficiente
descrizione) (art. 51 c.p.i.). In altre parole, incombe sullinventore lonere di indicare esattamente il
trovato, s da determinare chiaramente lestensione della privativa. Tuttavia, la chiarezza descrittiva non
di per s assorbente e si accompagna ad altre condizioni di brevettabilit dellinvenzione. Brevemente,
oltre al requisito della liceit (art. 50 c.p.i.), il rilascio di un brevetto pu essere ottenuto qualora
sussistano anche i requisiti di novit (art. 46 c.p.i.), di inventiva del trovato (art. 48 c.p.i.), oltre a quello
della industriabilit (art. 49 c.p.i.).
In particolare, a differenza del presupposto della novit che risulta soddisfatto nel momento in cui
uninvenzione non sia compresa nello stato della tecnica (per esso intendendosi tutto ci che stato
reso accessibile al pubblico nel territorio dello Stato o allestero prima del deposito della domanda di
brevetto) uninvenzione caratterizzata da altezza inventiva, qualora essa sia caratterizzata dalla c.d.
novit intrinseca. In altre parole, lelemento determinante nellapprezzamento dellattivit inventiva
stabilire se la soluzione oggetto di brevettazione non risulti gi in modo evidente dallo stato della tecnica.
Pertanto, dovr essere considerato privo di altezza inventiva quel trovato che il tecnico medio del
settore, tenendo conto dello stato dellarte, avrebbe considerato ovvio realizzare.
Ma come si deve ricercare, in concreto, la sussistenza di detto requisito?
In base al percorso delineato dal Tribunale, tale giudizio c.d. di non ovviet presuppone: (i) in primo
luogo, lindividuazione del settore cui attiene linvenzione coperta da brevetto; (ii) in secondo luogo, la
costruzione di un modello astratto di persona esperta del ramo le cui conoscenze e capacit
dovranno essere fissate in modo da rispecchiare quelle presumibilmente possedute da un operatore
reale di livello medio che funger da parametro di riferimento del giudizio di non evidenza; (iii) quindi
deve essere operato un confronto tra la soluzione sostanzialmente alla portata degli esperti del settore
secondo le comuni conoscenze generali, nonch quelle c.d. potenziate dello specifico settore cui
linvenzione appartiene, in combinazione con le diverse anteriorit e quella oggetto di pretesa
invenzione, oggetto di brevetto.
Se, in seguito al confronto, risulter che le due soluzioni sono identiche o simili, ossia, sebbene espresse
in una forma diversa, sono tecnicamente equivalenti, allora non v alcuna invenzione. Come stabilito
dalla pronuncia in esame, infatti: Non pu ritenersi effettivamente inventiva la mera evidenziazione di uno
dei noti effetti di unoperazione o di un trattamento gi utilizzato e conosciuto nello stesso settore, posto
che linvenzione costituisce la soluzione nuova ed originale di un problema tecnico.
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Rassegna Stampa
Gennaio 2015
Highlights T&P 2014
Diritto24- Il Sole 24 Ore: 29/01/2015
Il Fisco riliquida una maggiore imposta sullincentivo allesodo: il datore di lavoro non paga
di Tommaso Targa
di Stefano Beretta
di Antonio Cazzella
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Eventi
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