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Nietzsche
Genesi dell'Opera
1870: soggiorno sulle Alpi Svizzere, prima di partire come volontario per
la guerra franco-tedesca. La visione Dionisiaca del Mondo, saggio in
quattro parti mai pubblicato, ma donato in unica copia a Cosima Wagner
per Natale. Il tema principale la contrapposizione tra concetti di
apollineo e dionisiaco, intesi come principi artistici in contrapposizione tra
loro. Apollineo = sogno; dionisiaco = ebbrezza. L'artista colui in grado
Struttura dell'Opera
La prima edizione usc nel 1872 col titolo La Nascita della tragedia dallo spirito
della musica, della quale fu ripubblicata una seconda edizione corretta, uscita
nel 1878 tramite l'editore Ernst Schmeitzner di Chemnitz (la vecchia casa
editrice era fallita). Nel 1886 usc la terza edizione, col titolo Nascita della
tragedia ovvero grecit e pessimismo, alla quale furono unite Tentativo di
Un'autocritica per sostituire la premessa per Wagner.
Per la prima edizione di NDT N. si occup anche della parte estetica del libro,
scegliendo come copertina un'illustrazione realizzata da Leopold Rau:
l'immagine rappresenta Prometeo liberato dalle catene.
L'opera suddivisa in 25 capitoli e due pi ampie parti ben amalgamate tra
loro: nella prima parte, N. ripercorre l'origine dell'arte greca fino alla tragedia.
Nella seconda parte viene analizzata l'ipotesi di una rinascita della tragedia,
grazie al lavoro di Richard Wagner.
Analisi dell'Opera
peccato attivo. Non l'uomo che ha causato il male col proprio peccato, perch
il male c'era gi: il nucleo del significato dionisiaco del mito di Prometeo, sta
nella sua volont di passare il limite dell'individuazione, pur sapendo cos di
dover sottostare a una pena.
Nel decimo capitolo, N. ribadisce come nell'antica forma della tragedia greca
erano i dolori di Dioniso e il dio stesso a essere rappresentati. Dioniso ha
continuato a essere l'unico vero eroe anche con Eschilo e Sofocle, nascosto,
soltanto, dietro alle maschere dei personaggi. Il Dioniso raccontato nelle
tragedie per N. Dioniso Zagreo, un mito attestato da varie fonti assorbito
nella teologia orfica. Nato dall'unione tra Persefone e Zeus, Dioniso Zagreo era
destinato a ereditare dal padre il dominio sul mondo degli dei, ma Era fece
rapire il piccolo dai Titani che lo fecero a pezzi e lo misero a cuocere. Zeus
accorse in aiuto del figlio, folgor i Titani e incaric Apollo di raccogliere le
membra del piccolo; Atena salv il cuore ancora vivo, lo port a Zeus che lo
inghiott rigenerando Dioniso.
Sbranare Dioniso significa per N. la vera saggezza del dio e corrisponde alla
trasformazione in aria, acqua, terra e fuoco della tradizione empedoclea.
Dionisio l'unit originaria e totale da cui si diparte la molteplicit della
materia sensibile, il punto essenziale sta nel fatto che Dionisio Zagreo rinato
dopo essere stato smembrato. Nel corso dei rituali dionisiaci gli adepti
partecipavano prima al dolore per la morte del dio, poi si eccitavano e gioivano
per la sua rinascita.
Con l'avvento della nuova cultura tragica si registra una risistemazione dei miti
omerici: la rinascita del mito avvenuta grazie alla musica dionisiaca che ha
rivitalizzato la mitologia ormai morente. La mitologia greca non si mai
cristallizzata in un corpo ermetico di testi per un uso culturale o religioso; il
bersaglio della critica sembrerebbe dunque la religione cristiana, colpevole di
aver imbalsamato il mito come fatto storico, mutando il sentimento pi
autentico religioso.
Nel capitolo undicesimo, N. accenna alla decadenza della tragedia,
immaginando una parabola evolutiva che consiste in una decadenza rispetto
alle origine e all'arte di Eschilo: con Sofocle, gi dalla seconda met del V
secolo a.C, inizierebbero i primi segnali della morte, improvvisa e violenta, tale
da lasciare soltanto un enorme vuoto. In questo vuoto artistico si espanse la
visione logico-intellettualistica alla base della tradizione culturale occidentale.
Per spiegarne la morte, N. torna all'origine della tragedia, alla conciliazione di
dionisiaco e apollineo come elemento essenziale: tra i due principi si prodotto
un conflitto tale da aver determinato lo scioglimento della loro unione. La
morte della tragedia viene associato alla morte di Pan, con riferimento
all'aneddoto raccontato da Plutarco secondo il quale, un gruppo di viaggiatori
che costeggiavano l'isola di Paxos, in direzione dell'Italia, udirono una voce
misteriosa che annunciava la morte della divinit. I cristiani avevano visto nella
morte di Pan, la morte dell'antica cultura pagana: associando Pan a Dionisio, N.
effettua un parallelismo che evidenzia come la morte di Pan al tempo di Tiberio
ha segnato la fine del mondo pagano, la morte della tragedia al tempo di
Euripide ha segnato la fine della civilt arcaica, tempio della pi alta forma
d'arte.
interrogato dal re e gettato in prigione, dalla quale, per, riesce a liberarsi. Nel
frattempo, intorno a Tebe, le baccanti compiono i loro riti e scacciano chiunque
provi ad avvicinarsi, allorch il re Penteo, travestito da baccante, si spinge sul
monte Citerone: le baccanti lo scoprono, lo scambiano per una belva e lo fanno
a pezzi. Tra di loro c' anche sua madre Agave, la quale si rende conto del
crimine commesso troppo tardi. Nell'ultima scena, Dioniso, inflessibile di fronte
al dolore di Agave, compare, per suggellare la propria vendetta contro il re.
Le Baccanti, dunque, sono la confutazione della teoria che ruota attorno alla
NDT, poich il componimento si posiziona alla fine del V secolo a.C. N. non
esitava a citarne alcuni passi, ma nel dodicesimo capitolo cerca invece di
superare le difficolt dovute a questo dramma, rifacendosi alla teoria della
ritrattazione. Euripide, alla fine della sua vita, volle riconsiderare le sue
posizioni razionalistiche ostili alla religiosit, come dimostrano le Baccanti. La
ritrattazione di un Euripide alla fine dei propri giorni, che si rende conto
dell'impossibilit di arrestare la forza del dionisiaco, sarebbe secondo N.
arrivata troppo tardi.
Nel dodicesimo capitolo, Nietzsche nomina Socrate per la prima volta in modo
esplicito, interpellandolo come demone, contestandogli, cos, la vocazione
divina che si era attribuito. Daimon era la figura greca a met strada tra la
divinit e l'umano. Socrate, non avendo lasciato niente di scritto, viene
descritto attraverso le opere di Platone come una coscienza critica ateniese,
ma molto difficile comprendere quanto sia frutto del suo pensiero effettivo e
quanto di Platone stesso. C' poi il Socrate di Aristofane, che lo descrive come
cinico, arrogante e avido; c' il Socrate di Senofonte, che lo descrive come
esteticamente coerente. C' infine il Socrate descritto da Aristotele il quale, pur
non avendolo conosciuto in maniera diretta, ebbe notizie tramite l'allievo
Platone: Socrate non viene trattato come una personalit concerta, ma come
un'entit filosofica. Con lui inizia la filosofia concettuale distaccata dalla fisica
naturale, e, anche per Nietzsche, il socratismo sancisce la fine dell'et creativa
e l'inizio di un'epoca segnata dalla razionalit. Per dimostrare ci, N. analizza
due strumenti della drammaturgia euripidea, il prologo e il deus ex machina.
Prologo: N. si riallaccia a una critica contenente gi nelle Rane di
Aristofane. Nei drammi di Eschilo e Sofocle, il prologo presentava al pubblico
l'azione drammatica, la cornice temporale e spaziale. Euripide, invece, prese il
prologo utilizzando in maniera peculiare: lo fece recitare da un solo
personaggio e a volte lo sfruttava per presentare al pubblico la propria
interpretazione dell'argomento. Il prologo eliminava ogni dubbio sulle vicende
del dramma e sul significato dei personaggi, togliendo cos di meglio la
suspense. Spesso il prologo veniva recitato da una divinit.
Deus ex Machina: utile per risolvere una situazione difficile nel finale.
Era un mezzo utile per assicurare il pubblico circa l'avvenire degli errori.
Secondo N. sia prologo che Deus ex Machina sono stati due strumenti dell'epos
logica, sfruttati a discapito della tensione tragica effettiva.
Nel tredicesimo capitolo N. si riferisce ad alcune interpretazioni che vedevano il
legame tra Socrate ed Euripide, ricordando la testimonianza ateniese per la
quale Socrate aiutava il tragediografo per le sue opere. La testimonianza di
Diogene Laerzio, e, sebbene fosse una figura ben apprezzata da N., l'autore
della NDT si rende comunque conto che quello era soltanto un pettegolezzo. La
testimonianza di Socrate ed Euripide pi certa, giunge nelle Rane, poich
cronologicamente pi vicina e sostanzialmente pi fondata.
N. vede in Socrate la conoscenza razionale che rifiuta tutto quel che istinto,
rappresentando cos il razionalismo: mentre per N. nella Grecia del V secolo a.C
era presente un nesso ottimale tra istinto e verit, Socrate distinse invece tra
vero e falso, finendo per valutare i fenomeni artistici come illusione.
L'innaturalezza del filosofo ateniese testimoniata anche dalla sua scelta di
essere condannato a morte, anzich scegliere l'esilio, per combattere, cos, un
istinto naturale, quello di sopravvivenza.
L'idea di Socrate riguardo alla poesia tragica, viene in qualche modo redatta da
Platone:
1 La tragedia si rivolge a un pubblico che non possiede molto
intelletto
(Gorgia)
2 un'arte lusingatrice a servizio del piacere e senza utilit
(Gorgia)
3 Non esprime verit in quanto soltanto imitazione di eidola
(Repubblica)
Stando ancora al pettegolezzo di Diogene Laerzio, lo stesso Platone, per
diventare allievo di Socrate, bruci le poesie che aveva redatto: un'inclinazione
artistica giovanile, soffocata per obbedire ai precetti del maestro e che sfoci
dunque, in una nuova forma di scrittura, quella del dialogo. Il dialogo un
ibrido fra narrazione, lirica, dramma, poesia e prosa. Il dionisiaco scompare
interamente, mentre l'apollineo si comprime nello schematismo logico del
pensiero filosofico; nella scena di Euripide, inoltre, troviamo eroi che difendono
il proprio punto di vista con ragione, esattamente nel modo di Socrate. In
entrambi i casi, nella tragedia euripidea e nel dialogo platonico, si dissolve
inoltre il pessimismo che N. aveva celebrato come prospettiva esistenziale
greca: con Socrate domina l'ottimismo. Il coro tragico di stampo dionisiaco
perde, cos, spessore, avviandosi purtroppo verso la distruzione della sua
essenza. Socrate, nell'attesa di essere giustiziato, sembra che vide
un'immagine che lo invitava a dedicarsi alla musica (Fedone), esattamente
come Euripide dedic la sua ultima opera a Dioniso: questo rappresenta per N.
una strada per la rinascita dello spirito dionisiaco e della tragedia, poich l'arte,
espulsa dalla logica, pu risorgere e riscattarsi.
Nel quindicesimo capitolo N. celebra con entusiasmo la civilt greca e le sue
conquiste, analizzando come la comparsa dell'uomo teoretico abbia segnato la
separazione di arte e scienza, che da allora marciano su strade parallele.
Mentre la scienza ha soddisfazione dalla conoscenza, l'arte la consegue nel
vedere e nel vivere. Lo scopo della scienza, la conoscenza, fine e debolezza
della scienza stessa la quale, da sola, non pu correggere e penetrare l'essere,
ricorrendo cos all'arte. Il naufragio dell'ottimismo teoretico, cos, apre la strada
alla conversione della scienza in arte: qui che pu nascere la conoscenza
tragica, veicolata dall'arte verso la quale il socratismo logico costretto a
ripiegare.
Schiller stato quello di non aver saputo rivitalizzare il tragico dei Greci,
soffermandosi solo a uno sguardo nostalgico. Alla musica tedesca di Bach,
Beethoven e Wagner invece riuscita la rinascita dell'antichit ellenica, grazie
a un percorso di rinnovamento dello spirito tedesco: Il tempo dell'uomo
socratico finito.
Il ventunesimo capitolo viene introdotto da un parallelo tra Greci e tedeschi,
con risvolti anche politici-militari: il rischio che un popolo con attitudine al
dionisiaco, possa andare verso la via del buddismo indiano, concezione fondata
sulla rassegnazione intesa come stato in cui si diventa totalmente indifferenti
verso tutti gli aspetti della realt fenomenica. Questa forma totale di dionisiaco
fu evitata persino dai greci, cos come la tendenza opposta, l'attitudine verso
l'apollineo inteso come genio del principio individuationis al quale si correlano
senso della politica e senso dello stato (antichi Romani).
Tra nichilismo buddista e universalismo romano, si erge la grecit, che ha
saputo trovare nella tragedia un modo per unire le due spinte opposte di
dionisiaco e apollineo: i Greci hanno saputo sconfiggere i Persiani e creare una
forma politica originale, a met strada tra civilt indiana e romana, la quale si
imposta come modello per l'eternit. La tragedia secondo N. un farmaco
prodigioso, poich in grado di favorire la coesistenza degli impulsi politici e
militare da un lato e la comprensione estetica del mondo dall'altro.
In cosa consiste l'effetto della tragedia? Da un lato, la musica, col proprio
valore universale, dall'altro il mito, coi suoi eroi protagonisti sofferenti. Poich
l'effetto della tragedia si realizzi concretamente, c' bisogno che lo spettatore
sia tragico, con un effetto che si articola in due momenti:
1 Si crea un'illusione, la tragedia tramite il mito fa credere che la
musica sia un
mezzo della rappresentazione soltanto. Il mito d alla musica
la stessa libert, proteggendo lo spettatore dalla musica stessa (che pu
scatenarsi senza freni).
2 La musica conferisce un significato metafisico al mito.
Lo spettatore, cos, riesce a mettersi in contatto con l'uno originario: N.
polemizza contro la critica musicale del tempo, che riduceva la musica al
servizio del dramma (Gervinus, storico letterario e sostenitore di tali tesi
musicali). Basandosi sul terzo atto del Tristano e Isotta, dove l'eccitazione
musicale sarebbe in grado di produrre lo sradicamento dell'individualit dello
spettatore, N. analizza la figura dell'eroe tragico come in grado di ripristinare
l'individuo frantumato. L'apollineo agisce, dunque, come un balsamo
restauratore, trasfigurando il regno del suono musicale in un mondo plastico di
immagini: tra musica e mito si viene a stabilire un'armonia, che d modo al
tragico di conseguire un alto livello di evidenza rappresentativa. Con la musica,
infatti, le immagini in scena si ampliano e anche la visione ha modo di essere
approfondita. La musica la vera idea del mondo, il dramma solo un riflesso
di quest'idea, un fantasma isolato di essa.
Nel ventiduesimo capitolo, N. paragona la sensazione di chi ha spalancato gli
occhi alla gioia di Isotta che prova nelle ultime sue parole: questo il vero
effetto della tragedia. C' un distanziamento da Schopenauer, una critica allo
schema dello Schicksaldrama, per il quale l'eroe tragico trascinato verso la
catastrofe di un destino verso il quale inutile ribellarsi. N. bersaglia anche la
filologica, riuscendo a dire cosa si cela dietro le ricerche degli iniziati. Agli occhi
di Wagner, l'opera dell'amico risulta come una vera missione spirituale, di
interesse per la Germania e di missione per la riforma culturale.
Anche Rohde scese in difesa dell'amico, pubblicando, in risposta di Filologia
dell'avvenire! di Wilamowiz, Filologia deretana (In ted. Afterphilologie
calambour giocato sull'uso doppio del termine after, usato come prefisso
peggiorativo, ma esistente anche come sostantivo nel senso di deretano).
Rohde confuta, dopo aver ripreso le sue teorie della lettera precedente, le
critiche e le obiezioni mosse da Wilamowitz, utilizzando gli strumenti della
tecnica filologica, sottolineando le grosse lacune celate dietro un'apparente
facciata di erudizione. Wilamowitz replic con un nuovo pamphlet intitolato
Filologia dell'avvenire! Seconda parte. Risposta al tentativo di salvataggio della
nascita della tragedia di Fr. Nietzshce. Wilamowitz descrive le invettive di
Rohde come isteriche e rivelatrici del gran fiasco delle tesi di N. in ambito
filologico. Per difendere l'amico, Rohde avrebbe compiuto un sacrificio
dell'intelletto vero e proprio. A seguito di ci, sia N. che Rohde constatarono
l'inutilit di un'ennesima replica, chiudendo cos la polemica.