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Alla fine del XV sec.

la Spagna era un paese unito e sotto i sovrani cattolici erano


state poste anche le isole Baleari, la Sicilia, la Sardegna e nel 1504 il regno di Napoli.
La popolazione era compresa tra i 7,5 e i 10 milioni di abitanti.
Nonostante il fiorire di talune citt, il paese restava prevalentemente agricolo e
tecnicamente arretrato, se si esclude la zona di Granada e di Valenza, dove i moriscos
(discendenti degli arabi e dei berberi divenuti cristiani) praticavano vaste irrigazioni,
la coltivazione dell'uva, delle olive, della canna da zucchero e dove avevano piantato
palme da datteri, gelsi e agrumeti.
I grandi allevatori, che avevano dato una netta prevalenza agli ovini, si erano associati
in una sorta di "cartello monopolistico", chiamato Mesta, e spadroneggiavano per
tutta la penisola, impedendo ai contadini di recintare le loro terre per salvarle dalle
rovina del passaggio di milioni di capi.
La Mesta smerciava tantissima lana l dove era fiorente l'industria tessile: Fiandre,
Francia, alcune citt italiane e hanseatiche. La monarchia appoggiava il cartello
perch ne ricavava forti entrate erariali, tanto che gi nel 1489 le aveva concesso il
diritto di utilizzare i pascoli delle comunit, anzi, addirittura di impadronirsene se i
proprietari non protestavano.
Gravati dal peso delle imposte, dal giogo degli usurai e impotenti di fronte a questi
allevatori, i contadini, nella prima met del XVI sec., erano alle corde. La produzione
agricola non bastava neppure per le esigenze locali. Tutta la Spagna settentrionale
doveva fare ricorso al grano d'importazione.
Nell'Aragona, in particolare, s'era conservato un pesante retaggio feudale.
Praticamente i giuristi di questa provincia equiparavano i contadini agli schiavi
romani e permettevano ai signori di disporre totalmente della loro vita.
In Castiglia la loro situazione era migliore solo sul piano giuridico ma non su quello
socioeconomico, per cui anche qui fuggivano in massa dai loro paesi, oppure si
trasformavano in mendicanti, vagabondi, peones (braccianti senza terra) e spesso le
leggi del paese li obbligavano a ritrasformarsi in operai con salari da fame. Nel 1585
vi fu una grande rivolta, duramente repressa, nella contea di Ribagorza, sul versante
meridionale dei Pirenei.
Le poche tracce di protocapitalismo, nella forma della manifattura sparsa o
accentrata, focalizzata sulla produzione di panni, seta, porcellane, sapone..., si
trovavano soprattutto nella zona di Siviglia, che fruiva del diritto esclusivo di
commercio con le colonie americane. Ma anche Toledo non era da meno, con la sua
produzione di armi e pelli, mentre nelle Asturie e in Biscaglia le imprese si
specializzavano nella cantieristica navale.
E cos altre citt: Segovia, Granada, Burgos..., che fornivano viveri, vestiario, armi
agli hidalgos (piccola nobilt) conquistatori del Nuovo Mondo appena scoperto, i
quali pagavano in oro e argento.
Naturalmente qui si ha a che fare con una produzione mercantile di molto inferiore a
quella coeva di paesi come Fiandre, Inghilterra, Francia e Italia, ma la Spagna aveva i
presupposti materiali per recuperare molte posizioni.
Le ragioni per cui il paese restasse prevalentemente agricolo e non riuscisse a

decollare in modo capitalistico sono molte e complesse.


Anzitutto bisogna dire che il passaggio dal feudalesimo al capitalismo avrebbe potuto
non essere considerato necessario se solo si fosse riusciti a trasformare l'economia
agraria in un qualcosa di democratico per tutti i contadini. Di fatto, nessuna rivolta
contadina mai riuscita a spezzare l'egemonia del latifondo, il servaggio, il
monopolio degli allevatori... Le rivendicazioni al massimo si sono fermate sul terreno
giuridico relativo alla libert personale.
In secondo luogo va detto che con la cacciata degli arabi e degli ebrei la formazione
di una mentalit mercantile ha come una battuta d'arresto, che sar poi irreversibile
quando si cacceranno i moriscos nel 1610 e i gesuiti nel 1767.
Persino quando si disponeva di un immenso territorio coloniale, da gestire in tutta
tranquillit, l'aspirazione principale restava quella di vivere di rendita, sfruttando il
lavoro degli indios nelle miniere, non quello di impiantare attivit produttive di
trasformazione delle materie prime. P.es. nel campo tessile le citt esportavano
soprattutto le materie prime e dovevano importare il prodotto finito perch il loro era
di bassa qualit.
Nella prima met del XVI sec. - che il periodo della massima floridezza economica
della Spagna - le importazioni hanno sempre avuto un peso preponderante nella
bilancia commerciale, proprio perch le merci capitalistiche iberiche non riuscivano
in alcun modo a conquistare i mercati europei.
In terzo luogo va detto che il continuo afflusso di metalli preziosi provenienti dalle
colonie, aveva provocato una terribile inflazione in tutto il paese. In Europa si ebbe
una vera e propria "rivoluzione dei prezzi", ma solo in Spagna essi quadruplicarono
nel corso del XVI secolo.
Va inoltre detto che le province spagnole, soprattutto le due che avevano contribuito
di pi all'unificazione nazionale, continuavano a fruire di privilegi ingiustificati per
uno Stato "moderno": p.es. ancora funzionavano i dazi e le dogane interne e non
esisteva un parlamento nazionale.
Le citt sostenevano il potere regio nella sua politica centralista antinobiliare, ma non
si riusc mai ad aver ragione delle resistenze autonomistiche dei feudatari.
La Spagna aveva realizzato l'unificazione non a favore ma contro i valori borghesi e,
nonostante questo, si voleva fruire dei vantaggi economici che la rivoluzione
manifatturiera stava portando negli altri paesi europei. L'impero coloniale sembrava
essere fatto apposta per alimentare questa convinzione. Vivere come borghesi senza
esserlo - ecco l'obiettivo primario degli hidalgos.
Quando poi a queste premesse materiali si aggiunsero improvvisamente anche quelle
politiche, la convinzione di poter vivere di rendita per un tempo indeterminato
sembrava essere divenuta una realt incontrovertibile.
Infatti l'elezione al trono imperiale di Carlo V (1516 - 1556) fu determinata da una
serie di eventi fortuiti. Nel 1516 era morto il sovrano spagnolo Ferdinando il
Cattolico, lasciando in eredit i suoi vasti domini (Spagna, Italia meridionale con
Sicilia e Sardegna, Colonie americane) al nipote Carlo d'Asburgo (1500-58), nato a
Gand dal matrimonio dell'unica sua figlia, Giovanna la Pazza con Filippo il Bello
d'Austria (morto nel 1506): cosa che unir strettamente gli interessi delle due Case

d'Austria e di Spagna.
Contemporaneamente moriva, nel 1519, l'imperatore Massimiliano (del Sacro
Romano Impero), lasciando in eredit allo stesso nipote Carlo d'Asburgo tutti i suoi
domini (Austria, Boemia, Ungheria, Fiandre, Artois, Franca Contea).
Gli aristocratici tedeschi, che mal sopportavano l'avanzata della borghesia (che presto
trover nella Riforma protestante un valido baluardo ideologico) e la minaccia di
guerre contadine (che proprio in Germania scoppieranno furibonde nel XVI secolo),
pensarono bene, convinti di non trovare in questa decisione alcun ostacolo da parte
dell'aristocrazia spagnola, di affidare le sorti dell'impero, nel 1519, proprio a Carlo
d'Asburgo, permettendogli cos di possedere un impero vastissimo, quale non s'era
mai visto dai tempi di Carlo Magno.
Lo scontro con la Francia di Francesco I, che rivendicava il titolo della corona
imperiale e che si sentiva accerchiata, fu inevitabile. Il periodo delle grandi guerre
europee, iniziato nel 1521, prosegu praticamente fino alla pace di Cateau-Cambrsis
del 1559, che sanc l'egemonia spagnola in Europa (in Italia la Spagna prese anche il
Ducato di Milano), almeno fino a quando la borghesia non seppe trovare nella
Riforma protestante nuove motivazioni ideali con cui poter affossare definitivamente
(soprattutto negli Stati Uniti) l'obsoleta idea dell'universalismo cattolico-romanogermanico, sotto l'egida degli Asburgo e con l'appoggio incondizionato del papato.
Carlo V quindi proveniva dai Paesi Bassi, era stato educato in ambiente borgognonefiammingo e quando prese il trono spagnolo si circond di consiglieri fiamminghi che
volevano soltanto spadroneggiare nel paese, dimostrando che il sovrano altro non
voleva che realizzare una monarchia assolutistica, vincendo le resistenze
autonomistiche degli aristocratici. Fatto questo, il sovrano prefer trasferirsi in
Germania, lasciando in Spagna un suo luogotenente, il cardinale Adriano di Utrecht.
A livello europeo sembrava tornata in auge una vecchia idea medievale, quella di
poter restaurare il dominio assoluto, politico ed economico, dell'aristocrazia
fondiaria, rappresentata dall'imperatore, proprio mentre nei paesi pi avanzati
d'Europa: Olanda (Fiandre), Inghilterra, Francia e Italia centro-settentrionale lo
sviluppo della borghesia, appoggiato dalle monarchie nazionali (in Italia dalle
Signorie) ne aveva ridimensionato di molto i privilegi economici e le prerogative
politiche.
Ora, al rinnovato impero feudale non restavano che due cose da fare, per potersi
reggere in piedi con sicurezza: 1. imporre esose tasse a chiunque non fosse nobile; 2.
minacciare immediate ritorsioni di tipo militare a chi non volesse piegarsi.
Nell'Europa orientale una dittatura analoga si stava formando in Turchia.
In Spagna la politica centralista di Carlo V ebbe la meglio sulle tendenze separatiste
nobiliari solo grazie all'appoggio delle citt, ma quando l'imperatore cominci a
ridurre l'autonomia alle stesse citt, che sopportavano l'onere finanziario maggiore
della sua politica imperiale, scoppi nel 1520 la cosiddetta rivolta dei "comuneros"
(citt castigliane), appoggiata dall'aristocrazia.
La rivolta, dilagata ben presto in tutta la Castiglia, si trasform in una "Lega santa"
contro Carlo V, arrivando persino a deporre il suo luogotente-cardinale.
Ma poi, nel momento cruciale, emersero gli interessi contrapposti che dividevano le

forze della Lega. La borghesia infatti chiedeva nel suo programma non solo che
l'imperatore risiedesse nel paese e che le alte cariche statali (da non porre in vendita)
fossero assegnate solo a funzionari spagnoli e che le Cortes venissero convocate ogni
triennio e che i deputati eletti fossero indipendenti dal potere regio, e che si vietasse
l'export di oro e argento, ma chiedeva anche che le terre regie alienate e usurpate
dall'aristocrazia dopo la morte della regina Isabella tornassero all'erario, che si
abolisse inoltre l'esenzione dei nobili dal pagamento delle imposte e si vietasse a
quest'ultimi di occupare d'ufficio le cariche amministrative nelle citt.
I nobili pi reazionari cominciarono ad allontanarsi dal movimento (che peraltro non
fu capace di uscire dai confini della Castiglia) e ad accordarsi con la corona.
Viceversa, gli elementi pi radicali delle citt volevano prepararsi a uno scontro
armato decisivo. Non ebbero per l'appoggio degli strati urbani pi ricchi e la
mancanza di organizzazione generale ne determin la sconfitta a Villalar nel 1521.
Anche le rivolte di Valenza e dell'isola di Maiorca subirono lo stesso risultato.
Il potere di Carlo V crebbe enormemente e con esso le estorsioni finanziarie sul
paese. I grandi proprietari fondiari tuttavia ebbero la peggio sul piano politico, poich
la corona attribu agli hidalgos il diritto di amministrare le citt. E siccome i grandi
nobili continuavano a non voler pagare le tasse, il sovrano smise di convocarli nelle
sedute parlamentari.
A dir il vero il potere di Carlo V, se aument in Spagna, diminu nettamente in
Germania, dove fu sconfitto nella lotta contro i principi protestanti tedeschi, che lo
indussero a dividere il suo impero tra il fratello Ferdinando e il figlio Filippo II
(1556-98), che eredit Spagna, Franca Contea, Paesi Bassi, Italia e Colonie
americane.
E anche in Italia il suo nome fu assai poco amato, specie dopo l'invio delle truppe
lanzichenecche che giunsero fino a saccheggiare Roma nel 1527. (1)
Ritiratosi a vita privata nel monastero di Yuste, in Estremadura, dove visse per circa
due anni, Carlo V sino alla fine consigli il figlio sulla condotta politica che doveva
tenere.
(1) Papa Clemente VII aveva promosso una Lega anti-imperiale, la cosiddetta Lega Santa di
Cognac, i cui alleati del papato erano il re di Francia, Francesco I, e le citt di Milano, Genova e
Firenze. Il timore del papato era che il sovrano asburgico, una volta impossessatosi dell'Italia
settentrionale ed avendo gi nelle sue mani l'intera Italia meridionale come eredit spagnola,
potesse essere indotto ad unificare tutti gli Stati della penisola sotto un unico scettro, a danno dello
Stato Pontificio, che rischiava, in tal modo, di scomparire come entit territoriale. L'imperatore, non
potendo agire di persona, perch pressato militarmente contro i luterani e contro i turchi, fece in
modo di scatenare contro il pontefice la potente famiglia romana dei Colonna, da sempre nemici
giurati del papa Medici. Clemente VII, pur di liberarsi dell'assedio dei Colonna, chiese aiuto allo
stesso imperatore, promettendogli in cambio la propria alleanza contro il re di Francia, denunciando
la Lega Santa. Carlo V mantenne la promessa e liber il papa dall'assedio dei Colonna, ma
Clemente VII trad la parola data, chiamando in suo aiuto proprio Francesco I. Di fronte a questo
tradimento l'imperatore dispose l'intervento armato contro lo Stato Pontificio, mediante l'invio di un
contingente di 35.000 lanzichenecchi, al comando del duca Carlo di Borbone, connestabile di
Francia, uno dei pi grandi condottieri francesi, inviso al re francese. Il duca mor durante l'assedio
ma i lanzichenecchi riuscirono lo stesso a entrare in citt e a saccheggiarla. Le devastazioni, che
durarono un anno perch le truppe erano rimaste senza paga, senza comandante e senza ordini,

ebbero un grave costo per la citt di Roma: vi furono 20.000 vittime, oltre a danni incalcolabili sul
patrimonio, anche artistico.

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