You are on page 1of 134

IGIENE

LIgiene e la Medicina preventiva si servono dellepidemiologia per individuare le cause di malattia


ed i fattori di causa o protettivi. Lepidemiologia la disciplina che studia le malattie e i fenomeni ad
esse correlate attraverso losservazione della distribuzione e dellandamento delle malattie stesse nella
popolazione, lindividuazione dei fattori di rischio e la programmazione di idonei interventi preventivi
e curativi. Dallepidemiologia delle malattie infettive a vere e proprie sub specializzazioni.
Epidemiologia socio-sanitaria che analizza le prestazioni sanitarie erogate (definizione, nellambito di
questa, di stato di salute ottimale definito dallOMS).
Evoluzione dellepidemiologia
Ambiti di applicazione: modello delle paesi in via di sviluppo e laltro dei paesi sviluppati.
STATISTICA SANITARIA APPLICATA ALLEPIDEMIOLOGIA
Le informazioni statistiche espresse in termini quantitativi rappresentano un fondamentale strumento
per lo studio epidemiologico. Queste fonti possono fornire la rappresentazione di una popolazione
secondo due modalit: una descrive statisticamente la configurazione in un determinato
momento (stato della popolazione), laltra mette in luce le principali modificazioni che avvengono in
essa nel tempo (movimento della popolazione).
Censimento (rilevazione delle principali caratteristiche di una popolazione, in genere ogni 10 anni).
Piramide dellet (struttura della popolazione per sesso ed et).
Registri anagrafici e notificazioni obbligatorie.
Certificazioni delle cause di morte.
Registrazione delle nascite (per eventuale assistenza sanitaria di quei bambini che necessitano di
particolare cura).
Notificazione delle malattie infettive (prevenire eventuali epidemie e per adottare adeguate misure
preventive).
Fonti ospedalieri, scheda di dimissione ospedaliera e registri ospedalieri.
Indagini ad hoc: sistemi di rilevazione impiegati su insiemi (campioni) della popolazione. Maggiore
completezza e pertinenza dei dati. Interviste e questionari.
Registri di patologia.
METODOLOGIA DEL RILEVAMENTO DEI DATI
-osservazioni dirette
-sondaggi
-documentazione sanitaria
Misure della frequenza degli eventi sanitari
Per lo studio della distribuzione degli eventi allinterno di una determinata popolazione sono usati
particolari indicatori di frequenza:
Frequenza assoluta: numeri di eventi verificatisi in un determinato periodo allinterno di una
popolazione;
Rapporti: relazione tra due quantit indipendenti tra loro.
Proporzioni (o frequenze relative): rapporto tra due quantit, in cui il numeratore incluso nel
denominatore.
Tassi: si compone di una popolazione a rischio di ammalare; di un intervallo di tempo in cui si
effettua la misura; il numero di eventi che si sviluppano allinterno della popolazione scelta. In genere
un tasso viene espresso come numero di eventi per 100 o multipli di
100.

Incidenza e prevalenza
Criteri che studiano la distribuzione di un evento allinterno della popolazione, che collocano
diversamente nel tempo il processo osservazionale.
Incidenza: (Numero di nuovi casi di malattia nel tempo t / popolazione a rischio di ammalare in quel
periodo) x 100
Prevalenza: (Numero di casi di malattia rilevati in un determinato istante t / popolazione totale) x 100
Prevalenza puntuale o periodale
Per le malattie inguaribili (nelle quali i casi prevalenti rimangono tali per tutta la vita) si pu stabilire
una relazione tra incidenza (I) e prevalenza (P) (dove I e durata d della malattia siano costanti nel
tempo): P = I x d
La prevalenza influenzata dallo sviluppo e dalla durata dellevento. Tassi grezzi: numeri di eventi
verificatisi allinterno di una determinata popolazione.
Tassi specifici.
Standardizzazione dei tassi: metodologia con la quale si procede allaggiustamento dei tassi grezzi,
con la quale possibile pesare le diverse componenti.
Valutazione del rischio
I fattori di rischio possono essere attribuiti alla persona stessa, o essere elementi a cui la persona
esposta che aumentano la probabilit che una malattia o una condizione si verifichino.
Possono comprendere componenti genetiche (intrinseche allindividuo); ambientali (inquinamenti di
varia natura); comportamentali (errati stili di vita). I fattori di rischio pur aumentando le probabilit
che una determinata malattia si verifichi, no ne determina necessariamente lo sviluppo.
Rischio relativo : esprime di quanto maggiore il rischio dei soggetti esposti ad un determinato
fattore rispetto ai non esposti RR = Incidenza exp / Incidenza non exp
Studi epidemiologici
Epidemiologia di osservazione ed epidemiologia di intervento
Epidemiologia di osservazione si divide in:
1. epidemiologia ecologica o descrittiva (studi ecologici)
2. epidemiologia analitica (studi trasversali, studi a coorte, studi casocontrollo)
Studi ecologici: forniscono informazioni generali sulla diffusione(frequenza e distribuzione) delle
malattie e dei fattori di rischio. Inoltre, forniscono indicazioni generali sullassociazione di una
malattia con determinate caratteristiche di base dellindividuo. Tra le fonti da cui attingere troviamo:
schede di morte, notifiche delle malattie infettive, registri di patologia, registri ospedalieri,
censimenti, indagini ad hoc ecc. Analisi per coorti: riferite ad un gruppo di soggetti nati in un
determinato periodo.
Epidemiologia analitica: ha lo scopo di individuare la causa di una malattia o i fattori che la
favoriscono o la ostacolano. Le indagini analitiche consistono in studi progettati per verificare le
ipotesi causali suggerite dallepidemiologia descrittiva.
Studi di prevalenza o trasversali: sono quelli in cui una popolazione definita viene esaminata in un
determinato istante al fine di valutare lo stato di malattia o allesposizione ad un particolare fattore di
rischio. In realt si tratta di uno studio descrittivo, ma si differenzia da questo perch non utilizza fonti
gi esistenti, ma si ricorre a rilevamenti diretti su un campione della popolazione. Fotografia
istantanea della popolazione (difficile indagare sul rapporto temporale causa-effetto). Screening
Studi a coorte: si definisce coorte un gruppo di soggetti che hanno in comune una o pi
caratteristiche. Gli studi a coorte osservano dei soggetti appartenenti alla coorte selezionata per un
determinato periodo di tempo; esse includono il tempo come variabile essenziale. La coorte va scelta
in rapporto allipotesi che si vuole verificare. Quando si vuole verificare se un determinato fattore sia
responsabile dellinsorgenza di una malattia, la coorte sar costituita da tutti i soggetti esposti a quel
fattore; fra di essi si rilever la prevalenza allinizio dellindagine e la sua incidenza negli anni

successivi, in paragone con la prevalenza e lincidenza del resto della popolazione o con unaltra
coorte ma non esposta a quel fattore, nello stesso periodo di tempo. importante determinare la
durata del tempo di osservazione e levento terminale.
Studi caso-controllo: indagini retrospettive effettuate su due gruppi, uno costituito da soggetti affetti
da una determinata patologia (i casi) ed uno da individui con le stesse caratteristiche ma non affetti da
quella patologia (i controlli). Ad ogni caso si appaia un controllo. Confronto quantitativo o qualitativo
(esposizione o non esposizione a un determinato fattore di rischio). Studi poco costosi perch non
bisogna aspettare il verificarsi della
malattia. Stima sufficientemente approssimata del rischio relativo.
Epidemiologia sperimentale si divide in:
1. studi terapeutici
2. studi preventivi: interventi che consistono nella rimozione di uno o pi fattori di rischio o
nellimposizione di misure preventive che si ritengono efficaci. Sperimentazioni di intervento
sul campo (interventi presi su unintera comunit o su un ben preciso territorio);
sperimentazioni sul campo (interventi condotti su individui non malti, ma semplicemente a
rischio di ammalare).
EPIDEMIOLOGIA GENERALE DELLE MALATTIE INFETTIVE
Eziologia delle malattie infettive :
Malattia infettiva

Causa microbica

Specifico agente microbico


Infezione opportunistica
Minore specificit eziologia
Ecologia microbica
# Microrganismi saprofiti
# Microrganismi commensali
# Microrganismi parassiti
Microrganismi patogeni
Patogenicit: capacit del microrganismo di causare un danno allospite
Invasivit (capacit di penetrare e diffondersi in tutto lorganismo o in un
organo preferenziale) e tossigenicit (capacit di produrre tossine)
Patogeni invasivi e non invasivi producono o liberano per disfacimento
metabolici tossici, esoenzimi, endotossine, responsabili delle lesioni locali
e generali.
Virulenza: diverso grado con cui si esprime la patogenicit a seconda dei
diversi stipiti microbici.
Carica infettante Infettivit: capacit di un microrganismo patogeno di penetrare, attecchire e
moltiplicarsi nellospite.
Contagiosit: capacit di un microrganismo patogeno di passare da un
soggetto recettivo ad un altro, a seguito della sua eliminazione allesterno nel corso del suo processo
infettivo. Malattie infettive contagiose (eliminazione allesterno dellagente microbico) e non
contagiose (intervento di vettori).
Patogeni opportunisti: microrganismi saprofiti o commensali che possono essere responsabili di
processi infettivi quando vengono meno le normali barriere di difesa che impediscono loro di
penetrare nellorganismo in condizioni normali.

Spettro dospite
-Uomo o animali o entrambi
-Ubiquitari o ristrette localizzazioni geografiche
Rapporti ospite-parassita
Non sempre la penetrazione di un microrganismo patogeno seguita dal suo impianto e dalla sua
moltiplicazione nellorganismo ospite. Solo in questultimo caso (quando le barriere di difesa
dellorganismo non hanno impedito limpianto e la moltiplicazione) si realizza linfezione. Infezione
asintomatica e malattia sintomatica.
Infezione Risposta immunitaria da parte dellorganismo (in entrambi i casi)
Periodo di incubazione (PI): periodo intercorrente tra la
penetrazione dellagente patogeno e linizio della
sintomatologia clinica (dipende dal microrganismo patogeno e
dalle difese dellospite).
PI breve nelle infezioni superficiali e con lesioni localizzate
PI pi lungo quando lagente patogeno deve penetrare, moltiplicarsi,
diffondersi e raggiungere un organo bersaglio.
Barriere di difesa dellorganismo ospite
Cute e mucose (struttura, secrezioni, microrganismi commensali)
Intervento di fagociti
Produzione di anticorpi. Stato di immunit attiva (naturale o artificiale) o passiva (naturale o
artificiale)
Refrattariet: dovuta a fattori intrinseci dellospite, geneticamente determinati, che
impediscono la penetrazione, lattecchimento e la moltiplicazione del microrganismo
patogeno.
Fattori aspecifici
Il rapporto ospite-parassita un rapporto temporaneo che si conclude con il sopravvento dellospite
sul microrganismo prima che esso penetri (subito dopo il contagio), oppure dopo che penetrato e si
moltiplicato ma prima che abbia causato un danno evidente (infezione in apparente) o dopo che si
manifestata la malattia (guarigione).
Nellinfezione latente si arriva ad uno stato di equilibrio tra lospite e il
parassita, questultimo persiste nei tessuti dellospite dove si moltiplica ma
da segno della sua presenza solo occasionalmente.
Nel portatore cronico la malattia si conclusa con la guarigione, tuttavia il
microrganismo patogeno ha potuto localizzarsi in un particolare sito
anatomico dove si moltiplica e raggiunge lambiente esterno con gli
escreti.

TRASMISSIONI DELLE INFEZIONI


Caratteristica delle malattie infettive la trasmissibilit orizzontale da un ospite allaltro o in alcuni
casi verticale (attraverso la placenta).
Sorgente di infezione: ospite umano o animale di un microrganismo patogeno, quando questultimo
pu essere trasmesso ad altri organismi recettivi.
Soggetto ammalato. Leliminazione dellagente patogeno pu avvenire attraverso diversi escreti o
secreti, in rapporto alla localizzazione del processo infettivo.
Portatori. Soggetto non ammalato che alberga microrganismi patogeni e li

elimina allesterno.
-Portatori convalescenti
-Portatori cronici
-Portatori di incubazione
-Portatori sani (infezione inapparente)
Serbatoi di infezione: specie animale o vegetale o substrato inanimato in cui il microrganismo
patogeno trova il suo habitat naturale e da cui pu essere trasmesso ad organismi recettivi.
Antropozoonosi
Zooantroponosi
Vie di penetrazione e modalit di trasmissione
Mucose dellapparato digerente, dellapparato respiratorio, delle vie genito-urinarie, della
congiuntiva.
Cute, barriera che pu essere superata con la puntura di alcuni insetti o con la morsicatura di alcuni
animali. Solo le larve di alcuni elminti possono attraversare la cute sana.
Modalit di trasmissione dipendono dalle vie di ingresso obbligate o preferenziali del
microrganismo patogeno e dalla resistenza che essi hanno nellambiente.
Trasmissione diretta
- per contatto
- mediante inoculazione
- per via aerea
in genere questa modalit di trasmissione tipica di microrganismi che vengono inattivati
rapidamente nellambiente.
Trasmissione indiretta
-veicoli: substrati inerti: acqua, aria, alimenti e oggetti -vettori: organismi animati. Gli antropodi
fungono da vettori di virus, batteri, protozoi che si moltiplicano allinterno del vettore e sono
trasmessi gli ospiti recettivi mediante puntura o deposizione delle feci su lesioni della pelle. Vettori
obbligati e vettori meccanici o passivi.
Catene di contagio
-catena di trasmissione omogenea omonima (tra individui appartenenti alla stessa specie)
-catena di trasmissione omogenea eteronima (tra individui appartenenti a specie diverse)
-catena di trasmissione eterogenea omonima (tra individui della stessa specie tramite un vettore
obbligato)
- catena di trasmissione eterogenea eteronima (tra individui di specie diverse con lintervento di un
vettore)
Conoscere le catene di trasmissione sono importanti per lelaborazione di strategie di intervento
Fattori favorenti le infezioni
-Fattori individuali: fattori biologici e fattori comportamentali
-Fattori ambientali: condizioni socio-economiche, affollamento, scarsit di acqua potabile, cattivo
smaltimento di rifiuti

MODI DI COMPARSA DELLE MALATTIE INFETTIVE


Epidemia: pi casi di malattia che si presentano nella stessa popolazione o nello stesso gruppo di individui
entro un breve periodo di tempo avente la stessa origine. Pu avere durata variabile e coinvolgere un numero
pi o meno elevato di soggetti in relazione alla contagiosit del microrganismo patogeno e alla recettivit dei
soggetti.
Caso indice, casi secondari e intervallo seriale.
Mappa temporale: studio della sequenza nel tempo della malattia.
Pandemia
Endemia: lagente responsabile della malattia stabilmente presente e circola nella popolazione,
manifestandosi con un numero pi o meno elevato di casi ma uniformemente distribuito nella popolazione.
Equilibri tra il microrganismo e la popolazione (fattori biologici, fattori sociali, ambientali e metereologici).
Sporadicit: si manifesta in una popolazione in cui quella malattia assente da tempo e non si trasmette ad
altri individui rimanendo un caso isolato.
Notificazione obbligatoria e indagini di laboratorio
Storia naturale di una malattia infettiva: insieme delle carattreistiche biologiche del microrganismo patogeno,
a recettivit dellospite e le caratteristiche della popolazione concorrono a determinare il decorso nel
singolo e nella collettivit.
EPIDEMIOLOGIA GENERALE DELLE MALLATTIE NON
INFETTIVE
Non sono caratterizzate dalla trasmissibilit orizzontale
Causa: tutti gli agenti che svolgono un ruolo determinante per linizio e il decorso della malattia.
-Cause biologiche comprendenti cause genetiche (alterazioni dei geni) e cause biologiche ambientali (allergeni
naturali)
-Cause chimiche: sostanze chimiche che causano alterazioni patologiche.
Tossicit acuta, cronica e genetica.
-Cause fisiche: calore, rumori, traumi, radiazioni ionizzanti e non.
Fattori causali: pur non avendo i requisiti delle cause (unicit, indispensabilit, specificit, sufficienza)
hanno un rapporto causa-effetto con la malattia (fumo di sigaretta, abuso di bevande alcoliche, ecc.).
Fattore di rischio: condizioni che aumentano la probabilit che un evento patologico si manifesti. Variabili
biologiche, comportamentali ed ambientali.
Fattori protettivi. Variabili biologiche, comportamentali ed ambientali
.PREVENZIONE ED OBIETTIVI DELLA PREVENZIONE
La prevenzione ha il fine di impedire linsorgenza e la progressione della
malattia. A seconda degli obiettivi e dei metodi di intervento distinguiamo tre tipi di prevenzione: primaria,
secondaria e terziaria.
Prevenzione primaria.
Obiettivo della prevenzione primaria impedire linsorgenza di nuovi casi di malattia nelle persone sane.
Diminuzione del tasso di incidenza. Per ottenere la diminuzione del tasso di incidenza necessario ridurre il
rischio individuale e questo pu essere ridotto completamente a zero se si elimina completamente la causa
della malattia o ad impedire che essa agisca sulla popolazione. In questo caso anche lincidenza tender a zero
in tempi pi o meno brevi. (Brucellosi)

Metodologia della prevenzione primaria


- eugenetica;
- potenziamento delle capacit di difesa dellorganismo;
- rimozione di comportamenti nocivi;
- induzione di comportamenti positivi;
- interventi sullambiente di lavoro e di vita
Prevenzione secondaria. Obiettivo della prevenzione secondaria la scoperta e la guarigione dei casi di
malattia prima che essi si manifestino clinicamente. Riduzione del tasso di prevalenza (i casi che vengono
scoperti e subito sottoposti a cura, giungono rapidamente a guarigione) ma
non del tasso di incidenza.
Non tutte le malattie sono suscettibili di prevenzione secondaria, ma soltanto quelle aventi certi requisiti,
come: - conoscenza della storia naturale della malattia per prevederne
levoluzione;
periodo di latenza in fase asintomatica sufficientemente lungo;
disponibilit di un test (clinico, strumentale o di laboratorio);
disponibilit di terapie efficaci.
Metodologia della prevenzione secondaria
Ogni intervento di prevenzione secondaria richiede lesame di una massa di persone apparentemente sane per
effettuare lo screening, cio la selezione di coloro che non presentano ancora i sintomi della malattia.
Screening selettivo (categoria con rischio di ammalare particolarmente elevato) o di massa.
Requisiti perch si possano programmare interventi di prevenzione secondaria mediante screening:
- frequenza e gravit della malattia;
- evoluzione della malattia;
- disponibilit di efficaci terapie;
esame (saggio di laboratorio o indagine strumentale) semplice, rapido, sensibile (falsi negativi),
specifico (falsi positivi) e poco costoso.

Prevenzione terziaria. Obiettivo della prevenzione terziaria impedire linvalidit in persone gi ammalate
di malattie croniche.
OBIETTIVI STRATEGICI DELLA PREVENZIONE

proteggere il singolo individuo dalle malattie;


raggiungere il controllo delle malattie nella popolazione (diminuzione dei casi di malattia);
eliminare le malattie (scomparsa dei casi di malattia);
eradicare le malattie

PREVENZIONE DELLE INFEZIONI


Nel caso di malattie infettive si attua una prevenzione primaria e secondaria.
La prevenzione primaria delle infezioni mira ad evitare il contagio o,
quando non possibile, linfezione.
1. per evitare il contagio necessario impedire che lagente eziologico
venga a contatto con un ospite recettivo, agendo sulle sorgenti e sui serbatoi di infezione;
2. per evitare linfezione necessario impedire che il microrganismo venuto a contatto con lospite si
moltiplichi allinterno di esso.
Strategie:
A .scoprire e rendere inattive le sorgenti di infezione;
B. interrompere le catene di trasmissione;
C. aumentare le resistenze alle infezioni.

A. notificazione obbligatoria primo atto per la scoperta delle sorgenti di infezione e successiva inchiesta
epidemiologica.
Isolamento e contumacia. Disinfezione e sterilizzazione. Disinfestazione.
Scoperta e inattivazione dei portatori. Eradicazione dei serbatoi naturali.
B. Intervento sui fattori ambientali che ne favoriscono la diffusione
attraverso la bonifica dellambiente (riduzione dei casi di malattia agendo sui vettori e sui veicoli) ed
educazione sanitaria (modifica dei comportamenti).
C. Resistenze aspecifiche: barriere fisiologiche (cute e mucose).
Importanti per evitare lingresso di microrganismi saprofiti e commensali. Immunoprofilassi attiva (vaccini)
e/o passiva (immunoglobuline umane e sieri eterologhi).
Chemioprofilassi primaria (per impedire lattecchimento e il moltiplicarsi del microrganismo patogeno una
volta penetrato in soggetti esposti ad un rischio di contagio).
La prevenzione secondaria ha lo scopo di impedire che linfezione evolva in malattia conclamata.
Teoricamente si deve impedire, una volta che avvenuto il contagio e dopo che il microrganismo ha dato
inizio al processo infettivo, che questultimo dia segni clinicamente manifesti. In pratica non sempre questo
possibile a causa di periodi di incubazione piuttosto brevi.
Gli interventi consistono essenzialmente nella diagnosi precoce mediante screening e nel trattamento della
malattia in fase preclinica.
Chemioprofilassi secondaria: somministrazione di chemioterapici e farmaci a persone in cui gi in atto il
processo infettivo.
OBIETTIVI DELLA PREVENZIONE
- Protezione individuale;
- Controllo delle infezioni (processo dinamico che, per mezzo di un opportuno programma di prevenzione,
porta ad unasignificativa e progressiva riduzione dellincidenza della malattia, ad esempio tramite
vaccinazioni di massa;
- Eliminazione delle infezioni (assenza di casi di malattia pur
essendo ancora presenti i serbatoi di infezione
- Eradicazione delle infezioni (scomparsa del microrganismo
patogeno).
MODALITA E MEZZI PER LA STERILIZZAZIONE, LA
DISINFEZIONE E LA DISINFESTAZIONE
Sterilizzazione
Distruzione totale delle forme vegetative e delle forme sporali di microrganismi patogeni e non.
Sterilizzazione con il calore
Il calore agisce alterando le sostanze che costituiscono le strutture dei microrganismi; particolarmente sensibili
allazione del calore sono le proteine con funzioni enzimatiche. Diversa sensibilit dei microrganismi al
calore.
Calore umido (vapore saturo e tindalizzazione) e calore secco (incenerimento, flambaggio di superfici e
oggetti, aria calda e radiazioni infrarosse).
1. Aria calda
Stufe o armadietti con temperatura tra 180C-200C per 30-60 minuti. (vetreria di laboratorio, siringhe, altro
materiale di vetro o di metallo. Alcuni materiali possono subire alterazioni.
2. Raggi infrarossi
Notevole capacit di penetrazione
3. Vapore saturo sotto pressione
I microrganismi sono pi sensibili quando si trovano in ambiente umido.
Questo dovuto alla minore stabilit delle proteine ed alla maggiore conducibilit termica dellacqua e del
vapore rispetto allaria.

Raggi ultravioletti I raggi UV nella lunghezza donda di 2.500 possiedono la maggiore attivit microbicida.
Agiscono alterando il DNA.
Raggi gamma
Radiazioni ionizzanti prodotti dal cobalto 60
Sterilizzazione con ossido di etilene
Si utilizza per tutti quei materiali che possono subire alterazioni se sottoposte a calore umido o secco. Lossido
di etilene un etere ciclico, che passa allo stato gassoso alla tem

FEBBRE TIFOIDE
Agente eziologico: Salmonella typhi.
PATOGENESI

Le metodiche batteriologiche di accertamento diagnostico devono tenere conto delle fasi patogenetiche della
malattia:
emocoltura
Periodo di incubazione: 1-7 giorni
sieroagglutinazione
Periodo di invasione
coprocoltura
Periodo di stato
Periodo di defervescenza
SORGENTI DI INFEZIONI

Luomo malato o portatore, elimina il batterio attraverso le feci nelle fasi avanzate della malattia, o attraverso
le urine durante la fase di batteremia. I portatori sono per la maggior parte convalescenti o cronici.
Trasmissione diretta interumana (attraverso le mani) o indiretto.
Veicoli: acqua, latte, molluschi, ortaggi.
Vettori: mosche.
PREVENZIONE

Adeguato smaltimento dei liquami; clorazione delle acque della rete idrica pubblica; lotta contro le mosche;
scrupolosa adozione di misure igieniche nella manipolazione dei cibi; bollitura e pastorizzazione del
latte; controllo della commercializzazione dei frutti di mare; protezione delle acque, suolo e alimenti
dallinquinamento fecale
Periodo di incubazione: 1-7 giorni
Periodo di invasione
Periodo di stato
Periodo di defervescenza Identificazione, isolamento e bonifica dei portatori, dei contatti e dei
malati
INTERVENTI DI PREVENZIONE SPECIFICA

Vaccino inattivato: costituito da sospensioni di S.typhi e S. paratyphi inattivate con formolo o con acetone.
80-90% dei soggetti si ha una protezione immunitaria di 3-4 anni.
Vaccino vivo attenuato: preparato da un mutante di S. typhi incapace di metabolizzare il galattosio, pertanto
va inconytro ad autolisi.
Obbligo di vaccinazione:
Personale addetto ai servizi di cucina, disinfezione, pulizia degli ospedali e degli istituti e case di cura;
Personale addetto ai servizi di approvvigionamento idrico, raccolta del
latte;
Personale addetto alla manipolazione, produzione e preparazione di alimenti.

SALMONELLOSI
Il genere Salmonella comprende due specie: S. enterica, che divisa in 6 sottospecie (divise a loro volta in
serovar sulla base degli antigeni somatici O, di superficie Vi e flagellari H) e S. bongori.
Sono distrutte alla temperatura di 60C per tempi d i 15-20 minuti (processi di
pastorizzazione).
Adeguata cottura degli alimenti
Refrigerazione degli alimenti
Possibile ricontaminazione dopo la cottura o prima della refrigerazione
Si distinguono:
1. Sierotipi adattati alluomo (S. typhi, S. paratyphi A e C);
2. Sierotipi adattati a particolari ospiti animali (S. abortus-equi, S. gallinarum, S. abortus-ovis, S. typhi-suis);
3. Sierotipi non aventi un ospite preferenziale.
Degli oltre 1600 sierotipi che si conoscono solo 50 ricorrono comunemente.
Serbatoi naturali: rettili.
Negli ultimi anni si assistito ad un aumento della diffusione di sierotipi negli animali da allevamento.
PATOGENESI

Maggiore il numero di microrganismi introdotti per via orale, maggiori sono le probabilit che un certo
numero giunga nellintestino. Una volta giunte nellintestino, se riescono ad aderire allepitelio
dellintestino tenue, penetrano nella mucosa intestinale fino a raggiungere la lamina propria dove si
motiplicano e provocano diversi gradi di risposta infiammatoria.
Linfezione (che in alcuni inapparente) si manifesta dopo un periodo di 12-24 ore ( in alcuni casi anche dopo
72 ore). Sintomi: diarrea, vomito, dolori addominali, febbre (di varia intensit a seconda di diversi fattori). In
alcunu casi si possono avere anche forme setticemiche con localizzazioni diverse (S. cholerae suis e S. wien).
EPIDEMIOLOGIA

Le salmonelle sono veicolate in larga misura dagli alimenti. Meno frequenti sono i portatori cronici di
salmonelle rispetto a quelli di S. typhi. Gli animali portatori sani e quelli ammalati contribuiscono alla
trasmissione diretta tra gli animali stessi e alla trasmissione indiretta alluomo attraverso i prodotti animali.
Obbligo della notificazione dal 1975. Aumento della diffusione dei sierotipi introdotti nelle diverse regioni,
ascrivibile a diversi fattori concomitanti ( importazione di carni e bestiame, diffusione degli allevamenti
intensivi, impiego di mangimi a base di farine animali, abitudine di consumare i pasti fuori casa, aumento
del consumo di carne).
Nonostante il diffondersi di diversi sierotipi, la maggiorparte delle infezioni da salmonelle sono dovute a S.
typhimurium.
Aumento del numero delle infezioni
Aumento del numero dei sierotipi
Aumento della resistenza tra le salmonelle agli antibiotici

EPATITE VIRALE A
Al genere Campylobacter appartengono batteri Gram negativi, di forma bastoncellare, incurvati a spirale,
con un unico flagello polare (richiama la morfologia del genere Vibrio). Si conoscono diverse specie:
innocui saprofiti degli animali (C. bubulus) o della cavit orale delluomo (C. sputorum). C. fetus causa
infezioni degli annessi fetali. C. jejuni causa enterite acuta in seguito allinvasione da parte del
microrganismo dellintestino tenue e crasso. particolarmente diffusa nei paesi in via di sviluppo, legata alle
condizioni igienico-sanitarie.
Lagente eziologico (HAV) un piccolo virus a RNA, privo di rivestimento, a simmetria icosaedrica,
appartenente alla famiglia Picornaviridae.
Resiste alla temperatura di 60C per unora, a concentrazioni di 1 ppm di etere e cloro per 30 minuti,
inattivato dal calore umido a 100C per 5 minuti.
Possiede un solo determinante antigenico.
Linfezione induce la produzione di anticorpi IgM e IgG. Il virus penetra per via orale e giunge nell intestino,e
per via portale il fegato, dove si moltiplica attivamente negli epatociti, provocando lesioni di tipo
degenerativo-necrotico. Dal fegato il virus passa nel sangue, diffondendosi ad altri organi e attraverso la bile
ritorna nellintestino. Periodo di incubazione: 10-50 giorni
Periodo preitterico: 1 settimana con astenia, anoressia, nausea, dolore allipocondrio di destra e febbre che si
manifesta prima della comparsa dellittero e che in genere non supera i 38-38.5C.
Periodo itterico: 2-4 settimane, scomparsa della febbre, emissione di urine del tipico color marsala,
colorazione giallastra delle sclere. Aumento notevole delle transamminasi, della bilirubinemia e dei pigmenti
biliari nelle urine e alterazione del tracciato elettroforetico.
Non esiste lo stato di portatore cronico.
Forme atipiche di epatite virale A
# Fulminanti (encefalopatia epatica)
# Gravi o subacute
# A decorso protratto
# Recidivanti
La diagnosi clinica effettuata rilevando le modificazioni dei parametri biochimici (transamminasi).
La diagnosi eziologia effettuata con la ricerca delle IgM anti HAV nel siero di pazienti in fase acuta o
convalescenti.
E possibile effettuare la ricerca diretta del virus nelle feci e nel sangue mediante PCR.
EPIDEMIOLOGIA

La malattia diffusa in tutto il mondo, con maggiore frequenza nelle zone tropicali e subtropicali. La
diffusione del virus HAV dipende da diversi fattori:
# Densit della popolazione
# Condizioni socio-economiche
# Abitudini alimentari ecc.
In Italia il 40 % delle epatiti di tipo A (soprattutto nelle regioni meridionali).
SORGENTI DI INFEZIONE

Sorgente di infezione: luomo malato.


Il virus eliminato attraverso le feci qualche settimana prima della comparsa dellittero fino ad alcuni giorni
dopo.
Periodo di contagiosit: fase preclinica, asintomatica.
Linfezione avviene per via orale e il contagio pu avvenire direttamente o indirettamente (come per le altre
malattie a trasmissione oro-fecale).
Il contagio pu avvenire anche mediante il sangue e i suoi derivati, ma eccezionale per la breve durata della
viremia.
Maggiore frequenza nei soggetti di et compresa tra i 5 e i 15 anni. Andamento stagionale simile a quello della
febbre tifoide.

PREVENZIONE

Isolamento per non pi di 7 giorni a partire dalla scomparsa dellittero.


Disinfezione delle feci e degli oggetti venuti a contatto con i malati
Bonifica ambientale
Educazione sanitaria
Vaccinazione con virus inattivi (strategia vaccinale: somministrazione a particolari soggetti esposti a rischio di
ammalare)
Somministrazione di immunoglobuline per tutti quei soggetti esposti ad un rischio immediato.
EPATITE VIRALE E
Forma di epatite conosciuta prima come NANB.
Lagente eziologico denominato HEV un piccolo virus a RNA a
simmetria icosaedrica, privo di involucro.
Nel siero di pazienti e d convalescenti stato ritrovato un anticorpo antiHEV.
Periodo di incubazione: 6 settimane
Il decorso della malattia simile a quello causato dal virus dellepatite A,
si differenzia solo per il numero maggiore delle forme fulminanti e per la
sintomatologia piuttosto grave nelle donne in gravidanza, specialmente
nel terzo trimestre.
La diagnosi eziologia si basa sulla ricerca degli anticorpi specifici anti HEV mediante tecniche
imunoenzimatiche e Western Blot.
Diffusione: maggiormente nei paesi in via di sviluppo.
Trasmissione tipica delle malattie a trasmissione oro-fecale.
Colpisce soprattutto i giovani adulti.
Non disponibile una profilassi immunitaria.

BRUCELLOSI
La brucellosi una tipica zoonosi (che riguarda ovini, bovini, caprini, cani, renne): luomo un ospite
accidentale. Linfezione meglio conosciuta come febbre ondulante, si contrae o per contatto diretto
(professionale) o per consumo di carne infettata (alimentare) con Brucella melitensis, microrganismo tipico
del bestiame (che ha la patogenicit massima per luomo, mentre Brucella suis e Brucella abortus presentano
patogenicit decrescente).
Le brucelle sono Gram negativi di forma cocco-bacillare, immobili. Sono esigenti da un punto di vista
nutritivo, sono aerobi, ma spesso lo sviluppo favorito dalla presenza di CO2. Il genere Brucella comprende 6
specie e diversi biotipi. La malattia, che non una gastroenterite, non presenta sintomi specifici e ben definiti,
bens febbre intermittente, brividi, dolori diffusi e cefalea. Non si tratta di una infezione mortale, ma
comunque una malattia estremamente debilitante: il microrganismo infatti di difficile eliminazione poich la
sua localizzazione a livello intracellulare tale che rimane protetto dai trattamenti con antibiotici.
Possiedono due antigeni M e A localizzati alla superficie della cellula batterica ( entrambi presenti nelle tre
specie patogene).
Produzione di una endotossina, costituita da una frazione fosfolipidica e da un polisaccaride azotato.
Le brucelle sono tra le forme vegetative le pi resistenti nellambiente.
Il batterio si moltiplica nel bovino nell'utero e nelle ghiandole mammarie provocando aborti . Infettano luomo
per via alimentare o per via cutanea. Una volta penetrato nellorganismo si diffonde per via linfatica e
attraverso il circolo ematico in tutto lorganismo, localizzandosi nelle cellule del sistema reticoloendoteliale,
in particolare nei linfonodi, milza , fegato, rene e midollo osseo
f
La sintomatologia si manifesta, dopo un periodo di incubazione estremamente variabile (da pochi giorni a 4/6
settimane), con astenia, malessere generale, cefalea, algie, brividi, febbre che generalmente segue una curva
ondulante (alta al pomeriggio, bassa la notte) ma non la regola. Poi appaiono le tumefazione dei linfonodi di
milza e fegato. Possono anche comparire problemi al sistema nervoso sia centrale che periferico.
La Forma subacuta colpisce lapparato motore, complicata da meningite, meningo encefalite a liquor
limpido.
La forma cronica d uno stato di abbattimento mentale e psichico. I gangli linfatici sono il primo focus
infettivo.
La risposta immunologica consiste da un iniziale rialzo del titolo delle immunoglobuline IgM seguita dopo
qualche settimana dalle IgG. Quando si comincia il trattamento, il declino del titolo anticorpale un segno di
buona risposta terapeutica agli antibiotici.
Nella fase cronica non vi di solito batteremia, che si verifica invece nelle prime fasi della malattia.
Epidemiologia
La brucellosi endemica in tutto il mondo, in alcuni paesi sembra scomparsa e in altri sembra in declino. In
Italia i casi pur essendo diminuiti, rimangono sempre in numero elevato.
Sorgenti di infezione
Il serbatoio naturale di infezione rappresentato dagli animali malati o portatori. Il contagio interumano
eccezionale. Gli animali selvatici infettano luomo solo indirettamente attraverso il contagio di animali
domestici.
Leliminazione delle brucelle pu durare per mesi o anni, avviene attraverso le urine, il latte, le secrezioni
vaginali e i prodotti abortivi.
Tra gli alimenti i pi a rischio sono latte crudo e prodotti lattiero caseari non pastorizzati; in essi, bench il
batterio non si riproduca, in grado di tollerare:
pH< 5 per almeno due settimane a temperatura di 11-14C
Concentrazione di NaCl del 10%
Sopravvive in fase latente da 1uno a sei mesi.
I rischi di disseminare Brucella nellambiente sono molti:
Viene eliminata a lungo
Si diffonde tra gli animali con estrema rapidit
Non sempre gli animali colpiti manifestano con evidenza la malattia
Persiste a lungo nellambiente

Per luomo pu infettarsi anche per ingestione di alimenti contaminati, soprattutto latte non trattato e suoi
derivati (ma anche la carne cruda...), oppure per via aerea inalando escrementi o secrezioni varie, o ancora per
inoculazione, ovviamente accidentale, a carico soprattutto di addetti a laboratori e veterinari. Linfezione per
contatto quella che riveste maggiore importanza.
Accertamenti diagnostici
Data la disseminazione per via ematica bisogna fare lemocoltura che va tenuta per almeno 10 giorni. Questi
batteri liberano endotossine, responsabili dei picchi febbrili, che provocano una ipersensibilit cellulo
mediata di tipo ritardato. I sintomi della infezione possono aumentare o diminuire durante un lungo arco di
tempo , in rapporto al rilascio in circolo dei batteri (o dei prodotti di essi, quali il lipopolisaccaride). I
macrofagi fagocitano ma non lisano le brucelle che si moltiplicano dentro le cellule. Nelle fasi acute va
ricercato nel sangue, mentre nelle fasi croniche nel midollo osseo. Nel 10-15% di questi pazienti si hanno
complicazioni quali losteomielite. Le colture di midollo osseo sono positive in pazienti con
brucellosi acuta, sub acuta e cronica, le emocolture sono positive solo in pazienti in fase acuta. Cresce a pH tra
6.6-7.4. Non molto stringente riguardo la temperatura di crescita. E un aerobio stretto. Solo B. abortus
microaerofilo e richiede CO2 al 5-10%. In anaerobiosi non crescono. Hanno bisogno di un terreno ricco in
aminoacidi e di fattori di accrescimento quali Mg, tiamina (vit B), niacina, biotina. Altre specie richiedono
pantotenato di calcio. La base sempre un tripticase soy agar TSA (che va bene per le Brucelle meno
esigenti), con aggiunta di siero di cavallo al 5%, con aggiunta di antibiotici e/o coloranti batteriostatici.
Si puo fare il test di agglutinazione delle colonie isolate con lo stesso siero del paziente.
Lalta positivit dei campioni di midollo osseo dovuta allaccumulo di batteri nel sistema reticolo
endoteliale. Una buona crescita ottenibile utilizzando il terreno per Legionella al carbone attivo e estratto di
lievito.
Nel test di agglutinazione su vetrino, i microrganismi vengono prima sospesi in fenolo e soluzione fisiologica
e scaldati a 60 C (gli antigeni sono termostabili) per circa una ora. Si aggiunge una goccia di sospensione
e una goccia di siero monospecifico. Lagglutinazione deve avvenire entro
1 minuto.
Come si preparano i sieri monospecifici: lantisiero ricavato da animali mmunizzati da parte del ceppo liscio
e agglutinano le tre principali specie di Brucella. A e M sono gli epitopi che cross reagiscono. A il
determinante maggiore in B. abortus e B. suis ed un determinante minore in B. melitensis. Mentre M
predomina in B. melitensis . Classificazione di Huddleson
Permette di distinguere le differenti specie e i differenti biotipi.La versione
qui sotto molto semplificata .
Vi sono 6 biovar e 15 biotipi che costituiscono il genere Brucella spp..
Nella siero diagnosi di Wright si titolano sia le le IgM che le IgG. nza
di diagnosi.
Prevenzione della brucellosi nelluomo
Notificazione obbligatoria
Misure di protezione e prevenzione individuale e collettiva:
Educazione igienica del personale addetto ai lavori agricoli
Bonifica del latte
Vaccinoprofilassi (vaccini vivi ed attenuati, vaccini inattivi, vaccini preparati con frazioni antigeniche di B.
melitensis e B. abortus di ultimo impiego).
Prevenzione della brucellosi negli animali
Ricerca e individuazione degli animali infetti (ricerca di anticorpi anti-brucella nel latte);
Abbattimento degli animali che risultano infetti;
Vaccinazione deDefinizione
Le micotossine sono sostanze tossiche prodotte dal metabolismo di funghi (o muffe) che si sviluppano in
particolari condizioni su foraggi insilati, cereali e mangimi aziendali od industriali.
Effetti sulla salute d'uomo ed animali
Le micotossine posseggono azione cancerogena, mutagena e teratogena sulla salute umana, come risulta dalla

Tra gli alimenti d'origine animale, e quindi d'interesse per l'alimentazione umana, il latte e i suoi derivati sono
i prodotti pi frequentemente contaminati dalla presenza di micotossine, a causa del trasferimento di
questi metaboliti dai mangimi contaminati di cui si nutrono le bovine.
I bovini sono in grado di operare una bioconversione ruminale delle micotossine in prodotti meno dannosi,
tuttavia sono comunque suscettibili all'azione nociva di queste sostanze, cosa intuibile da alcuni sintomi di tipo
generale o specifico:
L'ingestione di sostanza secca pu aumentare o diminuire in modo incoerente con la produzione della bovina;
in genere se c' calo d'assunzione si pu pensare ad una presenza d'aflatossine, mentre aumenti d'ingestione
stanno ad indicare presenza di DON o zearalenone.
Si verificano facilmente disordini digestivi, come diarrea (anche emorragica), mancanza d'appetito e rifiuto
del cibo, stasi ruminale, chetosi, dislocazione dell'abomaso, anomale quantit di muco nelle feci.
Un'alta incidenza d'aborti, riassorbimento embrionale, ridotto grado di fertilit e concepimento sono indice di
presenza di micotossine, cos come vulva e capezzoli ingrossati, prolassi rettali o vaginali, manifestazioni
estrali in animali gravidi, calori silenti ecc..
Le forti lattifere sono particolarmente sensibili alla presenza di tossine, cosa evidenziata anche
dall'immediato calo produttivo e dall'aspetto arruffato del pelame.
Condizioni predisponenti lo sviluppo
Umidit ambientale o acqua libera (aw)
Il parametro maggiormente utile nello stimare le probabilit di sviluppo fungino l'aw, definito come il
rapporto tra la pressione di vapore di un substrato rispetto all'acqua pura. In base al diverso comportamento in
funzione della disponibilit d'acqua, le muffe sono state suddivise in:gli animali.
Pi in generale, se un substrato presenta un valore basso d'aw c' una
minor disponibilit d'acqua per lo sviluppo fungino.
Temperatura
Le temperature ideali per lo sviluppo dei funghi sono comprese tra 15 e 30C, con un optimum di 20-25C. In
effetti, alcune tossine come le ocratossine ed i tricoteceni possono ritrovarsi gi a T di + 4-6 C
(ottimale sui 18 C), mentre le aflatossine vengono prodotte preferibilmente in condizioni di caldo-umido
(ottimale sui 25 C). Climi pi temperati e secchi sono ideali per le muffe produttrici di fumonisina e
zearalenone (temperatura di sviluppo intorno ai 14 C) pH e ossigeno
Lo sviluppo delle muffe si verifica generalmente con valori di pH compresi tra 4 e 8; alcune di esse tuttavia
sono in grado di comparire anche a valori pi bassi o pi elevati. Le muffe sono generalmente organismi
aerobi, cio hanno bisogno d'aria per vivere, si sviluppano perci sulla superficie dei substrati. Diverse
specietuttavia possono crescere anche in profondit o su substrati liquidi, con bassa disponibilit d'ossigeno.

ACQUA POTABILE
Approvvigionamento idrico
Acque profonde
1) Terreni rocciosi. Attraversato da un sistema di fessurazioni nelle quali lacqua si infiltra e si approfonda. Rocce
silicee (fessure di limitata ampiezza e di numero limitato)- Acqua poco mineralizzata, non abbondante e di buona
qualit. Rocce calcaree: notevole solubilit soprattutto in presenza di acque acidule(ad esempio quelle contenenti
disciolta una elevata concentrazione di anidride carbonica). Volume e pressione elevati dellacqua danno luogo a
fenomeni carsici e in questo caso i fenomeni di autodepurazione risultano limitati. Fessurazioni limitate,
invece, possonoessere ostruite da sabbia e detriti staccatisi dalle pareti per erosione e trasportati dalle acque,
costituendo dei sistemi di filtrazione piuttosto efficaci
2) Terreni sciolti. Sono caratterizzati da unalternanza di strati permeabili (humus in superficie, ghiaie e sabbie) ed
impermeabili allacqua (argille, costituite da particelle finissime di silicati di alluminio e potassio idrati). Lacqua
percolando attraverso gli strati permeabili forma delle falde sugli strati impermeabili. Falda freatica, la prima falda
superficiale e falde profonde. Le acque di falda possono avere anche una pressione idrostatica positiva (rispetto
al livello del suolo) dando luogo a fenomeni artesiani. Nel processo di percolazione attraverso gli strati permeabili si
realizzano fenomeni di autodepurazione per filtrazione e assorbimento dei microrganismi. Tuttavia
molte acque di falde freatiche sono contaminate (spessore dello strato permeabile modesto, granulometria dei
terreni rilevante, contaminazione del suolo). Contaminazione delle falde profonde in seguito a contaminazioni
massicce in superficie allapice di conoidi alluvionali dove prendono origine le diverse falde o per perforazioni
di pozzi.
Acque superficiali
Fiumi, laghi e bacini artificiali.
a) Fiumi. La composizione dellacqua dei fiumi variabile in funzione della portata, dei fenomeni
metereologici e alla eventuale discontinuit degli scarichi. Si verificano fenomeni di autodepurazione per:
- sedimentazione;
- reazioni chimiche: ossidazione chimica e complessazione dei metalli pesanti;
- azioni biochimiche: nei sedimenti le sostanze organiche vengono demolite con meccanismi anaerobici
piuttosto lenti, man mano che si sale negli strati superficiali prevalgono meccanismi aerobi messi in atto da
una flora microbica;
- concorrenza vitale: la flora microbica autoctona assai pi adatta a sfruttare il substrato colturale nel quale si
selezionata
b) Laghi e bacini.
Acque meteoriche
Possono essere raccolte su superfici limitate o in bacini artificiali pi o meno vasti. Il passaggio attraverso
latmosfera, il dilavamento di superfici di raccolta, la conservazione in cisterne o in bacini fa si che queste
acque contengano gas e sostanze organiche ed inorganiche piuttosto variabili. Si rendono necessari trattamenti
di potabilizzazione.
Acque di mare
Inquinamenti delle acque
CRITERI DI POTABILITA
Criteri idrogeologici
Lesatta delimitazione del bacino imbrifero, lo studio del tipo di alimentazione delle falde, della composizione

e della struttura dei terreni e delle rocce attraversate, danno un primo e fondamentale ragguaglio sul grado di
protezione delle acque sotterranee. Allo studio idrogeologico si affianca uno studio sulle possibili cause di
inquinamento e studio della popolazione che insiste sul bacino, sul tipo delle attivit industriali e
agricole che comportano scarichi liquidi.
Criteri organolettici
Acqua priva di odore, colore e sapore. Torbidit transitorie (presenza di gas o di aria, presenza di particelle di
silice) e torbidit pi stabili (sostanze di origine vegetale o presenza di metalli che si ossidano in presenza di
aria).
Criteri fisici
Conducibilit elettrica, pH e temperatura.
Criteri chimici
Facies naturale di unacqua e tipo ed entit di inquinanti.
Di regola anioni e cationi non hanno un effetto negativo sulla salute e costituiscono un importante quota
dellapporto giornaliero di minerali.
Solfati e cloruri: limite 250 mg/L. Superiore a tale limite si hanno acque di gusto variabile.
Calcio e magnesio che costituiscono la durezza delle acque. Durezza temporanea (bicarbonato di calcio e
magnesio) e durezza permanente (solfati, cloruri e nitrati di calcio e magnesio). Valori superiori a 500 mg/L
comportano acqua di sapore poco gradevole e valori superiori sono causa di incrostazioni, neutralizzano
lazione di detergenti anionici e ostacolano la regolare cottura degli alimenti. Non stato fissato alcun limite di
legge.
Ferro e manganese. Sotto forma di bicarbonato ferroso e manganoso si ossidano
rapidamente a contatto con laria, dando origine a colorazioni, intorbidamenti e precipitati. In seguito ad
evaporazione possono dare depositi rossastri o brunastri.
Limite per il ferro: 200 mg/L. Limite per il manganese: 50 mg/L.
Nitrati: limite di legge 50 mg/L. Valori superiori comportano metaemoglobinemia infantile.
Fluoro: limite minimo 0,7 mg/L (prevenzione della carie dentale); limite massimo: 1,5 mg/L (prevenzione
della fluorosi dei denti).
Sodio: 200 mg/L.
Oltre alle componenti inorganiche, nellacqua sono presenti sostanze organiche.
COD o Chemical Oxygen Demand. In ecologia, parametro che esprime la quantit di composto necessaria per
ossidare attraverso un reagente chimico, le sostanze inquinanti presenti in un corpo dacqua, ad esempio un
lago.
Uno dei composti comunemente usati per la determinazione del COD il bicromato di potassio,
K2Cr2O7; la reazione tra il bicromato e le sostanze inquinanti viene fatta decorrere in una soluzione
contenente acido solforico. Il rilevamento del COD risulta indicato nel caso di acque il cui carico inquinante
costituito da sostanze non biodegradabili o comunque poco attaccabili dallazione dei batteri, caso in cui non
possibile applicare il metodo del BOD (Biological Oxygen Demand).
MISURAZIONE DEL COD
La misurazione del COD si esegue mettendo a reagire in una soluzione di acido solforico, un campione
dellacqua da esaminare con una quantit conosciuta di bicromato di potassio; avvenuta la reazione, si misura
con una reazione di titolazione il quantitativo di bicromato rimanente, da cui si pu calcolare quello
consumato nel corso della reazione. La quantit di bicromato di potassio consumato direttamente
proporzionale alla quantit di sostanza ossidabile (cio di inquinante) che era presente nella soluzione.
BOD o Biological Oxygen Demand In ecologia, parametro che esprime la quantit di ossigeno necessaria
perch possano essere ossidate e, quindi, demolite, a opera di microrganismi, le sostanze inquinanti presenti
in un corpo dacqua (ad esempio, un lago). La misurazione del BOD permette di valutare, sia pure
indirettamente, il carico inquinante presente nelle acque: infatti, valori di BOD alti indicano che nelle acque
esaminate vi stato un elevato consumo di ossigeno; ci signifca che i microrganismi ne hanno richiesto
grandi quantit per degradare forti quantitativi di inquinanti.

2 CARATTERISTICHE DEL BOD


Il parametro BOD prende in considerazione lossigeno disciolto nelle acque e viene misurato a particolari
condizioni di temperatura, di luce e di pH. Il BOD viene riferito a un certo lasso di tempo, solitamente 5
giorni; pertanto, si indica come BOD5 la quantit di ossigeno consumata nel corpo dacqua in 5 giorni. Le
sostanze inquinanti che la misurazione del BOD permette di rilevare sono: sostanze biodegradabili, cio
composti che possono essere ossidati e degradati da batteri eterotrofi, i quali dalle reazioni di ossidazione
ottengono energia per il proprio metabolismo; sostanze organiche azotate e composti derivati da nitriti, che
vengono attaccati da batteri autotrofi chemiosintetici, i quali dalle reazioni di ossidazione ottengono energia
per effettuare la fotosintesi; composti che possono essere ossidati mediante reazioni
chimiche con altri composti.
3 MISURAZIONE DEL BOD
La misura della quantit di ossigeno che viene consumata in un corpo dacqua dai batteri pu essere effettuata
in modo diretto, con un metodo che si basa sul confronto tra lossigeno presente allinizio della misurazione e
lossigeno presente nel campione dopo un certo lasso di tempo. In particolare, i campioni da esaminare
vengono raccolti entro bottiglie scure (per impedire che la luce, penetrandovi, possa stimolare attivit di
fotosintesi e conseguente liberazione di nuovo ossigeno, in alghe eventualmente presenti); si eliminano o si
correggono i fattori che potrebbero interferire con lesame (ad esempio, alcuni metalli e composti come i
nitrati); in un campione si effettua subito la misura della concentrazione dellossigeno, mentre le altre bottiglie
vengono collocate al buio per 5 giorni, alla temperatura costante di 20 C. Trascorso tale periodo, si misura la
concentrazione dellossigeno in queste bottiglie; la misura, sottratta al valore ottenuto nella prima rilevazione,
corrisponde al BOD5.
La degradazione delle sostanze organiche azotate porta a composti inorganici come lammoniaca che per
successive ossidazioni porta alla formazione di nitrati e nitriti.
La presenza di nitriti un indice di una contaminazione in atto, menttre la presenza di nitrati di una
contaminazione remota. Scarichi industriali e agricoli. Lammoniaca pu avere effetti sfavorevoli se allacqua
si aggiunge cloro (formazione di cloroammine); limite massimo 0,5 mg/L.
Fosfati (liquami domestici) e acido solfidrico (degradazione delle sostanze
organiche). Il reperirli indice di infiltrazione di liquami (salvo rare eccezioni: i fosfati si possono trovare in
rocce costituite da graniti; lacido solfidrico pu derivare da residui di attivit vulcanica).
Componenti dovute ad inquinamenti
Tensioattivi: limite massimo 200 g/L
Oli minerali 10 g/L
Rame: 2000 g/L
Fenoli (contaminanti industriali): 0,5 g/L
Processi di clorazione (in presenza notevole di sostanze organiche) e ozonizzazione.
Riduzione delle sostanze organiche ed ottimizzazione dei trattamenti.Criteri microbiologici
Indici microbiologici: carica microbica totale a 22C e a 37C; coliformi totali e fecali; enterococchi (minore
resistenza nelle acque rispetto ai coliformi); spore di clostridi solfito riduttori (elevata resistenza nelle acque).
Ricerca di enterovirus e di cisti di protozoi parassiti e uova di elminti.
SISTEMI DI POTABILIZZAZIONE
Correzione dei caratteri fisico-organolettici
1) Filtri lenti o inglesi. Costituiti da strati sovrapposti di ghiaia via via pi fine, di sabbia di granulometria
decrescente e dallo strato filtrante vero e proprio costituito da sabbia silicea di diametro medio di 0,5mm alto
70-120 cm.
Periodo di maturazione di alcuni giorni. Formazione della membrana biologica. Uso attualmente limitato
(spazi notevoli e modesto rendimento).
Riduzione del 99% della carica microbica. Trattamenti successivi disinfettanti.
2) Filtri rapidi o americani. Brevissimo tempo di maturazione. Si tratta di un procedimento combinato di
coagulazione, sedimentazione e filtrazione vera e propria. Allacqua si aggiunge un coagulante, generalmente
solfato di alluminio che in presenza di bicarbonato alcalino terrosi forma un precipitato fioccoso di idrossido

di alluminio che sedimentando, trascina al fondo una buona parte dei solidi sospesi. Le particelle pi fini di
idrossido di alluminio sfuggite alla sedimentazione vengono filtrate attraverso granuli di sabbia con
interstizi dal diametro maggiore rispetto a quelli inglesi, di pi facile colmatura e quindi di pi rapida
maturazione. Durata breve del filtro. Semplice lavaggio in controcorrente. Si ha una riduzione microbica del
95-99%.
Correzione dei caratteri chimici
Durezza
1) Metodo alla calce soda. Aggiunta di idrossido di calcio che precipita i bicarbonato alcalino terrosi.
2) Metodo di scambio ionico. Zeoliti sodiche. Naturali ed artificiali. Resine organiche contenti gruppi
scambiabili. Sistema di filtri di resine che comportano una completa demineralizzazione.
Deferizzazione e demanganizazione. In solo eccesso di ferro, aerazione abbondante, con ossidazione del
Fe++ a Fe+++ che precipita come idrossido ferrico e successiva filtrazione del precipitato. Se il ferro presente
come solfato ferroso e in presenza di manganese necessario utilizzare speciali permutiti. Se eccessi di
ferro e manganese si ritrovano in presenza di un COD piuttosto elevato si ricorre ad una clorazione al break
point od ozonizzazione e successiva separazione del precipitato su filtro.
Dissalazione di acque marine e salmastre
1) distillazione a pressione inferiore a quella atmosferica;
2) congelamento, con separazione e lavaggio del ghiaccio formatosi, povero in
Sali;
3) eletroosmosi; 4) osmosi inversa, basata su membrane semipermeabili con lapplicazione di una
forte pressione su acqua a contatto con una membrana.
Correzione delle caratteristiche microbiologiche
Mezzi fisici
Calore. Inconvenienti quali: elevati costi energetici, necessit di raffreddare lacqua, alterazione delle
caratteristiche organolettiche per perdita ddi gas, precipitazione di Sali ecc.
Raggi ultravioletti. Fattori importanti sono lintensit di emissione, profondit e velocit dellacqua,
limpidezza e contenuto di sostanze organiche ed inorganiche disciolte. Svantaggi: costi elevati di impianto e di
gestione, necessit di controlli e scarsa elasticit di fronte a portate variabili.
Mezzi chimici
- efficacia contro i microrganismi patogeni;
- innocuit nei confronti del consumatore.
Cloro gassoso. Azione ossidante
Cl2 + H2O HClO + H + Cl

HClO +H2O + H + OCl


Gli equilibri della reazione sono determinati dalla temperatura e soprattutto dal pH. Il potere ossidante pur
essendo legato sia alla forma dissociata che indissociata dellacido ipocloroso maggiore nella forma
indissociata, di conseguenza il potere ossidante maggiore in ambiente acido. Il cloro essendo un ossidante
agisce contro non solo i batteri ma nei confronti di tutte le sostanze ossidabili (in particolar modo
su quelle organiche). Ipocloriti. Ipocloriti di sodio, di potassio e di calcio. Il pi utilizzato quello di sodio.
Laggiunta di ipocloriti allacqua d gli stessi risultati del cloro gassoso.
Na + ClO

H+ ClO HClO
In rapporto ai valori di pH.
Lacido ipocloroso pu dare origine, in presenza di sostanze organiche ed inorganiche, a composti intermedi
dotati ancora di potere ossidante. Ad esempio, con lammoniaca forma monocloroamine, dicloroamine e
tricloroamine. Con composti contenenti gruppi amminici pu dare le stesse reazioni ed in presenza di fenoli a

cloro fenoli, responsabili di sapori e odori sgradevoli. Composti clororganici privi di potere ossidante
(trialometani).
Metodi di clorazione.
Cloro residuo attivo: l quantit di cloro che in grado di spoatere lo iodio dallo ioduro di potassio; lo iodio
viene poi titolato in presenza di un indicatore. Si definisce anche come cloro attivo, la quantit di cloro che
in grado di reagire colorimetricamente con lortotolidina. Cloro residuo attivo libero (acido ipocloroso) e
combinato (cloroamine, clorofenoli, ecc.).
Cloro richiesta: quantit minima di cloro che necessaria aggiungere allacqua per avere un clororesiduo
attivo.
1) clorazione semplice o marginale. Sistema tradizionale. A volumi uguali di acqua si aggiungono dosi scalari
di cloro, si lascia agire per 15-30 minuti, poi si aggiunge ortotolidina. Il primo campione in cui si il viraggio
d la clororichiesta e quindi la concentrazione minima di cloro da aggiungere allacqua. Un clororesiduo
combinato molto pi stabile e meno capace di ossidare rapidamente.
2) Clorazione al break point. Aggiungendo progressivamente cloro ad acque contenenti composti capaci di dar
luogo a cloro residuo attivo combinato, la concentrazione di questultimo prima aumenta, poi diminuisce,
poich le ulteriori aggiunte di cloro ossidano anche i composti costituenti il cloro residuo combinato. Questo
punto prende il nome di break point; continuando si ha un aumento lineare del cloro residuo attivo libero.
3) Il cloro inattivo sulle oocisti di Cryptosporidium parvum.
Biossido di cloro. Ossidante pi energico del cloro. Vantaggi:
- attivo anche a pH alcalini;
- non d origine a clororesiduo combinato;
- non d origine a trialometani;
- attivo anche contro le forme cistiche dei protozoi.
Limiti allapplicabilit:
formazione di cloriti.
Ozono.
Stato allotropico dellossigeno, ottenuto sottopendo laria secca ricca di ossigeno a differenze di potenziale di
7.000 15.000 volts. Si tratta di un ossidante energico, attivo contro virus e batteri, che non impartisce odori e
sapori sgradevoli allacqua. Velocit di azione maggiore del biossido di cloro parit di concentrazione. Oocisti
di Cryptosporidium sono inattivate al 99% ad una concentrazione di 0,3 mg/L in 2
minuti.

I DIVERSI TIPI DI PREVENZIONE:


La prevenzione un insieme di azioni e di comportamenti con il fine dimpedire linsorgenza e la progressione
delle malattie e il determinarsi di danni irreversibili quando la patologia in atto.
La prevenzione possibile se se realizza una larga diffusione dellinformazione sanitaria. Gli interventi di
prevenzione si dividono in:
- primaria;
- secondaria;
- terziaria.

PREVENZIONE PRIMARIA:
Comprende tutti gli interventi destinati ad ostacolare linsorgenza della malattia nella popolazione,
combattendo le cause e i fattori predisponenti.
Si attua attraverso:
- progetti mirati di ed. alla salute;
- profilassi immunitaria;
- interventi sullambiente per eliminare o correggere le possibili cause delle malattie;
- interventi sulluomo per rilevare e correggere errate abitudini di vita (es. fumo);
- individuazione e correzione delle situazioni che predispongono alla malattia (es. obesit).

PREVENZIONE SECONDARIA:
Comprende tutte le misure destinate ad ostacolare laumento del numero di casi di una malattia nella
popolazione, riducendone la durata e la gravit.
Ha come obbiettivo lindividuazione precoce dei soggetti ammalati o ad alto rischio per poter ottenere la
guarigione o impedirne levoluzione. Lo strumento essenziale la diagnosi precoce rivolta a persone ritenute a
rischio. Gli interventi di prevenzione secondaria rivolti a gruppi di popolazioni sono definiti screening.
Lesempio pi significativo costituito dagli screening condotti per la diagnosi precoce dei tumori alla
mammella tra la popolazione femminile fra i 40 ed i 70 anni.
La diagnosi precoce fondamentale perch rende ancora attuabili interventi terapeutici in grado di condurre
alla guarigione. Screening: es. mammografia.

PREVENZIONE TERZIARIA:
Comprende tutte le misure che hanno lo scopo di controllare landamento di malattie croniche per evitare o
limitare la comparsa di complicazioni e di esiti invalidanti. Viene applicata quando la patologia gi in atto
per evitare complicazioni e la cronicizzazione della malattia. Richiede un insieme di interventi e strutture
molto diversi. Gli strumenti fondamentali della prevenzione terziaria sono la terapia e soprattutto il recupero e
la riabilitazione negli aspetti medico, psicologico, sociale e professionale. Es. somministrazione di cure e
farmaci, attivit riabilitative fisioterapiche con lo scopo di:
- ottimizzare le capacit residue dellanziano;
- migliorare la qualit di vita del paziente;
- prevenire ulteriori complicazioni.

GLI SCREENING:
Sono una serie di controlli e accertamenti su cui si basano i programmi della sanit pubblica nel campo della
prevenzione secondaria. Con screening si intende una ricerca ,mirata di una patologia in una popolazione.
sempre unoperazione di massa che deve essere condotta con razionalit e precisi obbiettivi. Un programma di
screening giustificato solo se:
- deve interessare un numero elevato di persone e deve provocare dei danni molto gravi;
- la patologia deve essere preceduta da uno stadio precoce;
- il test utilizzato deve essere applicabile in questo periodo di reversibilit;
- deve esistere la possibilit di un efficace intervento terapeutico praticabile sui malati;
- il test deve essere ad elevata specificit, alta attendibilit, di facile e rapida esecuzione e di costo
ragionevole.

A volte con lo screening si vuole invece mettere in evidenza solo una disposizione ad ammalare o un carattere
ereditario importante da conoscere per la prevenzione. Ad es. individuare le donne portatrici di emofilia. In
molti paesi lo screening di massa stato applicato per svelare casi di diabete iniziale attraverso la ricerca e la
quantit di glucosio.

LA PREVENZINE DELLE MALATTIE INFETTIVE:


Ha lo scopo di prevenire linsorgenza e la diffusione di malattie infettive nella popolazione. Studia da un lato
gli strumenti e i mezzi per combattere gli agenti eziologici e dallaltro lato i provvedimenti rivolti al
risanamento dellambiente fisico e sociale. Lorganizzazione degli interventi prevede:
- profilassi diretta: insieme delle misure di prevenzione che mirano ad impedire la diffusione dei germi
attraverso lisolamento del malato e luccisone dei germi;

- profilassi specifica: comprende linsieme delle attivit volte a potenziare le difese dei soggetti sani per
renderli resistenti alle infezioni.
- Profilassi indiretta: insieme delle operazioni di carattere generale destinate a risanare lambiente e a
irrobustire i singoli individui.

LA PROFILASSI INDIRETTA: (Ed. sanitaria)


Comprende tutti i provvedimenti indirizzati al risanamento dellambiente di vita per creare condizioni
sfavorevoli alla divulgazione degli agenti patogeni aumentando la resistenza dellindividuo. Non viene attuata
in relazione alla presenza di un certo numero di casi di una malattia ma al rilevamento dellincidenza di
determinate malattie. La prevenzione indiretta si basa su:
- ladeguata disponibilit di risorse economiche da dedicare alla tutela della salute;
- lindividuazione di parametri sanitari per valutare lo stato sanitario di base del paese;
- il raggiungimento di condizioni socio-economiche adeguate;
- lestensione delle vaccinazioni dellinfanzia a tutti i bambini.

LA PROFILASSI DIRETTA:
Comprende sia la profilassi immediata che specifica e si divide nei provvedimenti relativi alle sorgenti, ai
veicoli, ai vettori di infezione e alluomo sano.

DENUNCIA O NOTIFICA DELLE MALATTIE INFETTIVE:


Quando un medico diagnostica ad un paziente una malattia infettiva ha lobbligo della denuncia della stessa
alle autorit sanitarie. Lobbligo non riguarda per tutte le patologie ma comprende quelle che comportano una
facile propagabilit degli agenti eziologici allinterno della collettivit. Lobbligo riguarda il medico ma si
estende anche agli altri operatori sanitari e alle autorit scolastiche e sanitarie delle istituzioni pubbliche. La
denuncia viene raccolta dal servizio di medicina preventiva della ASL e viene poi inviata allufficio regionale
competente e da qui al Ministero della salute. Per alcune malattie (es. colera, vaiolo, febbre gialla) sono
previsti dallOMS protocolli di scambio di informazioni a livello internazionale.

ACCERTAMENTO DIAGNOSTICO:
Ha lo scopo di confermare la diagnosi clinica attraverso indagini di laboratorio condotte sul siero del paziente,
o attraverso lisolamento dal sangue, dalle feci, dalle urine ecc. dellagente infettivo responsabile della
malattia. Le analisi saranno applicate gratuitamente presso i laboratori provinciali digiene e profilassi. La
denuncia deve essere fatta anche per casi sospetti ed preferibile isolare subito il paziente in attesa dei risultati
delle analisi che richiedono alcuni giorni.

INCHIESTA EPIDEMIOLOGICA:
Ha lo scopo di individuare le fonti dinfezione, il meccanismo attraverso il quale linfezione si propagata e
tutte le situazioni che hanno favorito levento infettivo. importante per riconoscere per es. un episodio di una
tossinfezioni alimentare che colpisce i partecipanti ad un pranzo a cui sono stati serviti cibi contaminati.

ISOLAMENTO:
Misura di profilassi decisa dallautorit sanitaria come conseguenza della denuncia ed ha lo scopo di
circoscrivere il focolaio infettivo, isolando il malato o il portatore. compito dellautorit sanitaria utilizzarla
solo in casi di reale pericolo. Lisolamento pu essere sia domiciliare (scelta utilizzata maggiormente) che
ospedaliero. Quest ultimo offre una serie di garanzie per evitare la propagazione dellinfezione soprattutto
quelle molto diffuse e molto gravi. Unaltra forma di sorveglianza il piantonamento che una sorveglianza
stretta al domicilio del malato affidato a persone dellautorit sanitaria con la presenza della forza pubblica. Si
ricorre raramente a questo ma solo con persone venute a contatto con un ammalato od un portatore di una
malattia infettiva molto grave o fortemente diffusiva come le malattie esotiche.

DISINFEZIONE:
E la procedura per eliminare i microrganismi patogeni. Si distinguono una disinfezione artificiale (operata
dalluomo) e naturale (costituita dal complesso di fattori naturali che influiscono negativamente sulla vita dei
germi). La disinfezione artificiale pu essere effettuata con mezzi chimici e fisici ed continua (se uccide i
germi man mano che vengono eliminati dal paziente), terminale (se attuata alla fine del processo infettivo. La
sostanza utilizzata prende il nome di disinfettante. Un buon disinfettante deve essere efficace nelleliminare,
non tossico, facile da utilizzare e deve costare poco. La sterilizzazione si propone di uccidere, in un
determinato materiale, tutti i microrganismi presenti, quindi non solo i patogeni ma anche batteri e funghi. Il
risultato finale ottenuto varia in base al tempo di esposizione, alla quantit, alla concentrazione di disinfettante
utilizzato.

MEZZI NATURALI:
- Luce solare grazie ai raggi uva;
- Temperatura, 100 battericida mentre il freddo batteriostatico;
- Essiccamento allesterno dellorganismo ospite perdono acqua e muoiono;
- Competizione con altri microrganismi.

La disinfezione naturale non comunque molto efficace perch i germi sporigeni riescono a sopravvivere a
questi tipi di interventi.

MEZZI ARTIFICIALI:
Si dividono in fisici e chimici.
MEZZI FISICI:
- Calore: fondamentale e pu avvenire attraverso incenerimento, calore secco e calore umido. Incenerimento
utilizzato per distruggere bende, siringhe e materiale duso medico. Nel calore secco si utilizzano speciali
apparecchiature dove si espongono allaria calda gli oggetti di laboratorio. Il calore umido il mezzo pi
efficace e si ottiene sotto forma di vapore o acqua a temperatura di ebollizione. Gli oggetti non vengono
alterati e la disinfezione pi energica.
- Le radiazioni.
- La filtrazione: consiste nel far passare liquidi contenenti microrganismi attraverso speciali filtri sottilissimi in
modo che le parti microbiche sono trattenute sul filtro e la soluzione (filtrato) passi al recipiente sottostante.
Questo usato per sterilizzare sieri, soluzioni ecc.
MEZZI CHIMICI:
Sono tra i pi usati per lestrema praticit e lelevato potere battericida. Alcuni sono dannosi per luomo ma
generalmente vengono venduti in forma diluita per ridurre il rischio. Ricordiamo:
- Cloro e i suoi derivati: utilizzato per rendere potabile lacqua o aggiunto alle piscine per la sua azione
antibattericida. Tra i derivati troviamo le candeggine per la disinfezione della biancheria e lamuchina per la
disinfezione di posate, bicchieri ecc.;
- Alcool etilico: antisettico disidratante in grado di denaturare le proteine del germe ma attualmente poco
usato per la sua scarsa attivit antimicrobica e perch sulle ferite ne ritarda la guarigione;
- Acqua ossigenata: utilizzata per la disinfezione delle ferite grazie alla sua azione sporicida;
- Composti del mercurio: il pi importante il mercurocromo, soluzione rossa utilizzata per disinfettare le
ferite, ha un intensa attivit antibatterica;
- Lisoformio: soluzione saponosa usata come disinfettante delle mani, dei pavimenti ecc.
LA STERILIZZAZIONE:
Mezzi chimici e mezzi fisici.
Mezzi fisici: la sterilizzazione ha il compito di uccidere, in un determinato materiale, tutti i microrganismi
presenti, non solo i patogeni ma anche i saprofiti. Sterile diverso da disinfezione perch un oggetto
sterilizzato saranno tali solo se presentano unassenza di microrganismi patogeni e non patogeni.
DISINFESTAZIONE:
E linsieme delle pratiche con lobbiettivo di eliminare o ridurre tutti i macroparassiti, possibili vettori o
serbatoi di malattie. I pi dannosi e invadenti che possono parassitare luomo o lambiente sono: le mosche, i

pidocchi, le pulci, le zanzare, le cimici, gli acari, gli scarafaggi, i ratti ecc. Quando questi sono presenti in un
edificio o in una zona si ha un intervento di disinfestazione realizzati dalla ASL che ha il compito di informare
gli abitanti sul motivo, sulla data e sulle cautele da prendere. I prodotti utilizzati per la disinfestazione si
dividono in fisici e chimici. Tra i fisici ricordiamo il calore, le trappole per topi, li ultrasuoni le lampade che
attraggono gli insetti e poi trasmettono delle scariche elettriche. I disinfestanti chimici sono pi numerosi e
rappresentano una guerra chimica con tutti i macroparassiti. Agiscono per inalazione, ingestione o per
contatto.
Un buon disinfettante deve essere: efficace, innocuo per luomo e gli animali domestici, economicamente
vantaggioso e deve uccidere le larve e le uova e non solo le forme adulte.
INTERVENTI RELATIVI ALLUOMO SANO:
Profilassi specifica: mira a rendere luomo sano pi resistente verso i parassiti. I tipi di misure che vengono
adottati sono:
1- vaccinoprofilassi,
2- sieroprofilassi e
3- chemioprofilassi.
VACCINOPROFILASSI:
Lo scopo quello di indurre una risposta immunitaria per prevenire la moltiplicazione di un agente patogeno o
virale introdotto nel nostro organismo. uno strumento di prevenzione applicato nei soggetti sani per renderli
immuni ad una specifica malattia. Lobbiettivo viene raggiunto tramite la somministrazione di un preparato, il
vaccino, efficace ed innocuo contenente lagente specifico.
Il vaccino un preparato di materiale infettivo, ottenuto con batteri, virus o con tossine prodotte dagli stessi
trattato in modo da perdere il potere tossico ma non la propriet antigene ed somministrato allindividuo per
provocare unimmunizzazione artificiale attiva. I vaccini sono dei preparati diversi tra di loro ma che
contengono sempre lantigene per la malattia da prevenire.
I tipi di vaccini pi diffusi sono:
1- V. costituiti da microrganismi viventi usati prevalentemente contro i virus che stimolano i linfociti T. questi
preparati determinano unimmunit solida e duratura. Sono di questo tipo per es. il vaccino di Sabin contro la
poliomielite.
2- V. costituiti da microrganismi uccisi col calore o altre sostanze chimiche prodotti quando non si ha la
sicurezza di dare la malattia. Es. vaccino per la pertosse o quello antinfluenzale.
3- V. costituiti da anatossine cio da tossine, perdono il loro potere tossico ma conservano il loro antigene.
Utilizzate soprattutto nelle vaccinazioni antitetanica e antidifterica.
4- V. costituiti da componenti batteriche purificate con metodiche moderne che consentono la separazione dei
diversi costituenti di una cellula batterica;
5- Attualmente vengono utilizzate alcuni vaccini ottenute attraverso la tecnica del DNA ricombinante (di
ingegneria genetica).
Le caratteristiche di un buon vaccino:
Devono essere efficaci, durevoli, innocui, di facile impiego e economicamente vantaggiosi.
Efficace: in grado di evitare il presentarsi della malattia.

Durevole: varia tra i diversi vaccini; alcuni vaccini proteggono per in anni altri invece per pochi mesi. I
richiami consentono di prolungare leffetto.
Innocuo: non deve dare reazioni collaterali e deve essere pratico dimpiego (somministrato senza personale
specializzato).
Vie dintroduzione e di somministrazione:
Via intramuscolare e sottocutanea: vie pi importanti perch in grado di assorbire completamente quantit
considerevoli di antigene. Attraverso queste vie vengono somministrati vaccini ottenuti da microrganismi
uccisi, tossine, componenti batteriche purificate.
1 Via intradermica: iniezione nel derma con ago sottile vista la piccola quantit di vaccino iniettabile
impiegata per vaccini viventi.
2 Via percutanea: deposizione del vaccino con una piccola ferita, oggi si preferisce il metodo delle punture
multiple.
3 Via orale: utilizzata per la vaccinazione antipoliomielitica, il luogo dazione lintestino. vantaggioso
anche perch non richiede attrezzature particolari.
4 Via intranasale: per la vaccinazione antirosolia, poco utilizzata per ora in Italia.
Per le vaccinazioni di massa utilizzato il jet-injector, una siringa senza ago che inserisce la dose di vaccino
nel derma.
COSTITUENTI DEI VACCINI:
Un vaccino una sospensione orale di microrganismi o di anatossine in un mezzo che ne permette la
diffusione allinterno dellorganismo.
I vaccini posso trovarsi:
- idrovaccini; sospesi in soluzione fisiologica,
- lipovaccini; sospesi in soluzione oleosa,
- Legati a sali di alluminio;
- Associati in combinazione di anatossine e vaccini batterici.
Idrovaccini: costituiti da microrganismi vivi ed attenuati, capaci di riprodursi nellorganismo e vengono
assorbiti rapidamente. Lo stimolo che provocano non per sufficientemente prolungato nel tempo e si deve
ricorrere a dei richiami.
Lipovaccini: validi in quanto diffondono con maggior lentezza ma provocano un buon grado di immunit con
una sola somministrazione. Periodo di larga utilizzazione.
I vaccini legati a sali di alluminio: immunit pi elevata e duratura, e provocano risposte anticorpali. La
presenza del sale di alluminio determina una liberazione del vaccino lenta e graduale che stimola unimmunit
di maggior durata.

Vaccini ottenuti dalla combinazione di anatossine con batteri uccisi: es. vaccino associato DTP che richiede
per tre dosi successive per limmunizzazione del soggetto.
Definizione Malattie infettive
per malattia infettiva si intende una malattia determinata dallazione di,un microrganismo
Fattori determinanti per la diffusione
delle malattie infettive
agente

ambiente

Fattori determinanti per la diffusione


delle malattie infettive

ospite

Fattori determinanti per la diffusione


delle malattie infettive
difese aspecifiche
immunit

agente
ambiente
ospite

patogenicit
virulenza
carica infettante

agente
ambiente

ospite

Fattori determinanti per la diffusione


delle malattie infettive
patogenicit
virulenza
carica infettante

possibilit di incontro
fra ospite e parassita

difese aspecifiche
immunit

agente

ambiente

ospite

Patogenicit
per patogenicit si intende la capacit d i un microrganismo di determinare malattia
invasivit: capacit di diffondersi e aggredire direttamente tessuti ed organi
tossigenicit: capacit di produrre tossine
NB: per virulenza si intende il differente grado d ipatogenicit che possono presentare ceppi
differenti della stessa specie di microrganismo
Non tutte le specie
microbiche sono patogene
Saprofiti: specie non patogene che hanno come habitat abituale lambiente esterno
Commensali: specie non patogene che hanno come habitat abituale cute e mucose
Saprofiti e commensali, in particolari condizioni possono assumere il ruolo di patogeni: si parla in
questo caso di patogeni opportunisti
Meccanismi di difesa
Aspecifici
Cute
Meccanismi mucosali
sostanze antibatteriche contenute in lacrime e saliva
movimenti ciliari della mucosa respiratoria
acidit gastrica
flora commensale (intestino, app. genitale, ecc.)
Specifici
Immunit attiva e passiva (naturale o acquisita)

Non sempre dallincontro fra ospite e


parassita si genera una malattia
no immunit Eliminazione immediata del microrganismo da parte di meccanismi aspecifici
Infezione
infezione inapparente
infezione latente
immunit
Malattia
guarigione con restitutio ad integrum
guarigione con esiti
morte
Storia naturale delle malattie infettive
Incubazione
Stadio clinico
Convalescenza
Guarigione

Trasmissione delle malattie infettive

sorgente o fonte
dellinfezione

soggetto recettivo

NB: non tutte le malattie infettive sono contagiose

Fonte dellinfezione pu essere un soggetto malato o portatore


Per portatore si intende un soggetto non ammalato che alberga nel proprio organismo microrganismi
patogeni ed quindi in grado di contagiare
portatore sano (infezione inapparente)
portatore in incubazione
portatore convalescente
portatore cronico
Serbatoio di infezione
rappresentato dallhabitat abituale del microrganismo
Ambiente
Animale
Uomo

Zoonosi (antropozoonosi)

Vie di penetrazione di agenti microbici


Cute
Mucose
Congiuntive
Apparato respiratorio
Apparato digerente
Apparato uro/genitale
Modalit di trasmissione
Diretta
sessuale
parenterale
aerea
verticale
Indiretta
veicoli
vettori

Trasmissione attraverso veicoli


virus
ambiente animali uomo uomo ambiente
Trasmissione attraverso vettori
animale insetto uomo
uomo insetto uomo

Definizione di sanit pubblica


scienza rivolta a migliorare la salute della popolazione tramite sforzi organizzati della societ, utilizzando
tecniche di prevenzione delle malattie, di protezione e di promozione della salute
Malattia: deviazione dalla normale condizione fisiologica dellorganismo che insorge per azione di fattori
nocivi, interni o esterni, e che si pu manifestare con segni e/o sintomisignificato del termine Significato del
termine malattia
la malattia non solo una condizione biologica
patologia con alterazioni di organi e/o apparati
disease
ma anche sociale
con i suoi aspetti culturali, sociali, morali, psicologici
illness
Definizione di sanit pubblica
scienza rivolta a migliorare la salute della popolazione tramite sforzi organizzati della societ, utilizzando
tecniche di prevenzione delle malattie, di protezione e di promozione della
Salute
non semplice assenza di malattia ma stato di completo benessere fisico psichico e sociale (WHO,
1947)alimentazione razionale - ambiente di vita idoneo - possibilit di studiare e lavorare - disponibilit di
alloggi idonei, etc.
Definizione di salute
La salute una condizione di armonico equilibrio funzionale, fisico e psichico, dellindividuo
dinamicamente integrato nel suo ambiente naturale e sociale
Concetto di salute
Abbandono del concetto negativo di salute come assenza di malattia
Esigenza di curare la persone, non solo le malattie
Superamento di una condizione puramente biologica dei fenomeni morbosi
Concetto di equilibrio dinamico fra individuo e ambiente
Lindividuo, nella sua unit, deve poter acquisire la capacit di ristabilire lequilibrio di
salute nellinterazione con lambiente
INDIVIDUO, SALUTE, AMBIENTE

La salute centrata nelluomo come unit


fisica-psichica-sociale
Questa centralit delluomo pone laccento sul
significato unitario della salute nelle sue
componenti inscindibili: fisica, mentale, sociale
Le tre componenti sono immerse nellambiente
e da questo sono influenzate:
ambiente interno (biologico, genetico)
ambiente esterno (naturale e sociale,
modificato e modellato dalluomo stesso)
DETERMINANTI DI SALUTE
Le cause di un cattivo stato di salute sono
complesse
# Dovute a fattori individuali, determinati geneticamente e normalmente non modificabili come il sesso e
let;
# Determinate da fattori che risentono pi del comportamento del singolo e della societ, come per esempio
lambiente e gli stili di vita, che sono quindi modificabili.

I Determinanti di Salute: quali sono?


Non modificabili
Genetica
Sesso
Et

Socio economici

Ambientali

Stili di vita

Accesso ai Servizi

Reddito
Aria
Alimentazione
Istruzione
Occupazione
Acqua e alimenti Attivit fisica
Servizi Sanitari
Esclusione sociale
Abitato
Fumo
Servizi Sociali
Disuguaglianze
Ambiente sociale
Alcool
Trasporti
socio-economiche
e culturale
Attivit sessuale
Attivit
Farmaci
produttive

Fattori predisponenti
# conoscenze
# credenze
# percezioni
# attitudini
# auto-efficacia
# conoscenze
# credenze

Comportamento
individuale

Fattori abilitanti
# disponibilit e accessibilit
alle risorse
# leggi e altre forme di
impegno delle istituzioni
# capacit correlate alla salute
# disponibilit e accessibilit
alle risorse
# leggi e altre forme di
impegno delle istituzioni
# capacit correlate alla salute
Fattori rinforzanti
# famiglia
# gruppo dei pari
# insegnanti
# datori di lavoro
# operatori sanitari
# famiglia
# gruppo dei pari
# insegnanti

# datori di lavoro
# operatori sanitari

Salute

Ambiente
( condizioni del vivere)

Il livello globale di salute legato a:

Fattori salutogeni
Area
fisica

-Fattori comportamentali: alimentazione corretta, attivit fisica regolare, non dipendenze


da alcool, fumo, droghe, riposo, adozione di misure di sicurezza, igiene personale
-Fattori ambientali: qualit aria, acqua, suolo, controllo agenti patogeni

Area
Libert e indipendenza, autostima, convinzioni personali, spirituali, religiose, emozioni
psicologica positive, controllo stress, relazioni interpersonali positive
Area
sociale

Risorse finanziarie adeguate, lavoro e istruzione, servizi e abitazioni, coesione sociale

Fattori Patogeni
Area
Fattori comportamentali: alimentazione scorretta, sedentariet, dipendenze da
personale alcool, fumo, droghe, affaticamento, non adozione di misure di sicurezza, non
rispetto di igiene

Area
Fattori ambientali: inquinamento aria, acqua, suolo, non controllo agenti
psicologica patogeni.
Dipendenza, scarsa autostima, disimpegno personale, stress,
relazioni interpersonali conflittuali
Area
sociale

Povert, disoccupazione, abbandono scolastico, emarginazione sociale,


disservizi..
.

Definizione di sanit pubblica


scienza rivolta a migliorare la salute della popolazione tramite sforzi organizzati della societ, utilizzando
tecniche di prevenzione delle malattie, di protezione e di promozione della salute

Atti finalizzati a eradicare o a eliminare le malattie o a minimizzare il loro impattoprevenzione primaria,


secondaria e terziaria
Dizionario di Epidemiologia, IV Edizione, a cura di John M. Last

Definizione di sanit pubblica


scienza rivolta a migliorare la salute della popolazione tramite sforzi organizzati della societ, utilizzando
tecniche di prevenzione delle malattie, di protezione e di promozione della
salute

formata da quella serie di:controlli legali ed amministrativi regole e procedure codici


destinati ad influenzare la societ civile in modo da favorire la salute
(es.: leggi sulle cinture di sicurezza, inquinamento, etichette degli
alimenti, etc.
Dizionario di Epidemiologia, IV Edizione, a cura di John M. Lastdefinizione di sanit pubblica

Promozione della salute e educazione sanitaria


la promozione della salute sostiene lo sviluppo personale e sociale attraverso linformazione, leducazione
alla salute e attraverso il potenziamento delle competenze
in questo modo, accresce le possibilit per le persone di esercitare un controllo sulla loro salute e sul loro
ambiente e di fare scelte che contribuiscono al loro benessere
Carta di Ottawa per la promozione della salute
(Ottawa Charter for Health Promotion, OMS, 1986)

Promozione della salute


Potenziamento dei fattori salutogeni:
1.in condizioni di salute per mantenersi sani
2.in condizioni di malattia-disabilit per mantenere e potenziare le capacit residue, cos da consentire le
Attivit e la Partecipazione nelle varie aree di vita (domestica, lavorativa, sociale...)
Es. 1. Adozione di uno stile di vita corretto
2 Riabilitazione
Educazione sanitaria
esperienza di apprendimento basata su presupposti validi che forniscano agli individui, ai gruppi e
alla comunit lopportunit di acquisire le informazioni e la capacit di fare delle scelte
consapevoli sulla propria salute (JointCommittee, 2001)
lobiettivo principale delleducazione sanitaria quello di aiutare le persone ad attuare
appropriate decisioni correlate alla salute
circa comportamenti da attuare
circa luso di risorse disponibili

Modifica degli atteggiamenti

Educazione
sanitaria

Acquisizione delle
conoscenze

Adozione di
comportamenti

Salute

EDUCAZIONE SANITARIA
Strategia finalizzata a fornire Conoscenze, Comportamenti e Motivazioni per la
Promozione della salute e la Prevenzione delle malattie
Motivi Etici

La Salute un diritto dei cittadini ed compito dei Servizi


mettere in atto azioni congiunte dei diversi settori (politico,
economico, sociale, sanitario...). LES strategia per tale
obiettivo

Motivi Culturali

La Salute oggetto di attenzione dei mass-media ed il


cittadino riceve e chiede sempre pi informazioni. LES
propone la informazioni corrette sulla cultura della Salute

Motivi Sanitari

La Salute va conservata e, in caso di malattia, recuperata.


LES in grado di migliorare il livello di salute

Motivi Economici

La perdita della Salute ha un costo elevato. LES insegna


come mantenere, difendere e recuperare la Salute, riducendo
i costi della assistenza

METODI1

1. Interventi individuali (singoli pazienti)


2. Interventi collettivi (gruppi di cittadini)

STRUMENTI
Informazioni :
1. Conoscenza dei comportamenti positivi per la salute
2. Comprensione dei propri fattori di rischio e/o della malattia
3. Comprensione degli interventi da attuare per ridurre il rischio di
malattia o laggravamento-ricadute della stessa (strategie per la
interruzione abitudini voluttuarie, dieta ipocalorica per ridurre il
sovrappeso, modalit di pratica motoria)
4. Adesione ai programmi di diagnosi precoce
5. Conoscenza dei servizi di supporto
Empowerment
Attribuzione di potere al Paziente e alla Famiglia
1.Stesura del piano assistenziale con il paziente e la famiglia
Educazione al self-car
Sviluppo della autonomia di cura, con dimostrazione di:
1. Attuazione di pratiche (es. preparazione cibi, rilevazione di FC
allenante, esecuzione di tratatmenti riabilitativi)
2. Sollecitazione alla adesione a gruppi di auto-aiuto

Storia naturale di una patologia


Eventi che precedono la

comparsa di una patologia

che ne caratterizzano
la fase iniziale

il decorso
inizio

levoluzione
malattia
Storia naturale di una patologia
Eventi che precedono la
comparsa di una patologia

che ne caratterizzano
la fase iniziale
fase di
latenza

assenza di
malattie

Fase sintomatica

fattori di
rischio

Risoluzione

il decorso

levoluzione
inizio sintomi
e segni visibili
Ritorno all'assenza di
malattia

O
morte

stato cronico

Definizione di salute pubblica


Lindividuazione del concetto di salute pubblica estremamente complesso: il problema infatti non
quello di stabilire lesatta etimologia dellespressione, ma di capire quali conseguenze negative
derivino al consumatore qualora questo bene venga messo in pericolo da particolari condotte
criminose. Innanzitutto essenziale operare una distinzione tra salute ed assenza di malattia. In
ambito penalistico il concetto di salute pubblica e quello di malattia sono completamente diversi tra
loro tanto che il legislatore ha ricondotto la prima di queste definizioni agli articoli 440, 442 e 444,
mentre la seconda agli articoli 583 e 590 del
Codice Penale.
La nozione di salute, a sua volta, trae fondamento non solo come gi visto, dal dettato costituzionale
(articolo 32), ma anche dalla definizione offerta nellAtto Costitutivo dellOrganizzazione Mondiale
della Sanit firmato a New York il 22.07.1946; tale definizione stata recepita nel nostro
ordinamento giuridico con il D.L.C.P.S. 1068/48; da
questo Decreto si evince una significativa presa di posizione sul concetto di salute inteso quale stato
di completo benessere fisico, mentale, e sociale che non deve arbitrariamente identificarsi con la
completa assenza di malattie. A sua volta questa concezione costituisce lo
sviluppo di quanto contenuto nellarticolo 25 n. 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti
dellUomo che la premessa fondamentale di ogni ordinamento giuridico
democratico. D altra parte, se per un verso questadefinizione stata ritenuta ampiamente
soddisfacente, per un altro la stessa stata considerata generica ed imprecisa.
In ogni caso, si verifica una situazione di pericolo per la salute non solo quando ricorre la possibilit
che dalla condotta incriminata derivi una malattia nel corpo o nella mente, ma anche qualora venga
messo in pericolo lo stato di benessere psicofisico e sociale del soggetto stesso. Diviene pertanto
rilevante ogni disarmonia o squilibrio psicofisico cos da determinare unestensione dei fatti che
possono ricadere sotto la previsione delle norme incriminatici
contemplate dal Codice Penale.
Dopo aver chiarito cosa deve intendersi per stato di salute ci si impegnati onde stabilire quale
debba essere il punto di riferimento cui rapportare questo concetto: secondo
alcuni studiosi, esso dovrebbe essere riferito allindividuo c.d. medio ed in buona salute, mentre
secondo altri, a 13 particolari categorie di individui quali per esempio i bambini o gli anziani. Nel
primo caso entra in gioco un particolare alimento od un particolare ingrediente avuto riguardo della
potenziale nocivit dello stesso verso i loro assuntori abituali (es. la farina lattea per un lattante),
mentre nellaltro non viene preso in considerazione nessun prodotto in particolare. Vi poi che
vorrebbe legare il concetto di pericolosit alle condizioni psicofisiche di un determinato soggetto.
La soluzione intermedia appare come la pi equilibrata: se non possibile stabilire leffettiva
pericolosit di un alimento in riferimento alluomo medio indistintamente e genericamente, non
neppure agevole
ricondurre la nocivit di una sostanza alle particolari condizioni di salute di un determinato soggetto.
La dottrina pi autorevole in materia, escludendo il riferimento alla normalit assoluta, ha inteso
attribuire rilevanza al pericolo cagionato da un determinato alimento nei confronti della categoria di
soggetti che si nutrono dello stesso. Solo in questo modo possibile valutare la pericolosit della
sostanza senza incorrere in equivoci.
Prendendo per esempio in considerazione una partita di carne bovina contenente una (illecita) quantit
di estrogeni, 14 vi unaltissima probabilit che le stesse vengano
consumate da bambini e donne in stato di gravidanza; sicuramente gli estrogeni sono pericolosi per le
suddette categorie di consumatori, probabilmente sono pericolose
per il soggetto medio, sano e nel pieno delle sue forze.

Quindi ci che conta distinguere tra categorie complesse e ben individuate, che inevitabilmente
devono essere tenute in considerazione, e situazioni particolari che non possono intervenire a definire
il concetto di salute: si pensi ad un soggetto allergico che pu rischiare la morte per shock
anafilattico se si ciba di alimenti quale il pane aromatizzato
al sesamo: nessuno potrebbe ritenere integrato il reato di cui allarticolo 444 del Codice Penale da
parte del commerciante che pone in vendita tale tipo di pane, solo perch una percentuale irrilevante
di persone allergica a questa sostanza. In altri termini, la pericolosit va definita escludendo le
situazioni eccezionali o anormale, e tenendo conto invece di ampie categorie di soggetti, avuto
riguardo delle particolari condizioni di ognuna di esse, tralasciando parimenti le situazioni troppo
generalizzate.
Conseguentemente, pericolosa per la salute pubblica la sostanza che pu creare un perturbamento
nello stato di 15 benessere psico-fisico anche di soggetti non medi, ma
appartenenti a categorie generali di cittadini. Per quanto riguarda sostanze alimentari e bevande che
pur essendo legalizzate, possono risultare dannose per particolari categorie di persone, (anziani,
malati etc), sar il soggetto a dover difendersi da tale pericolosit evitandone lassunzione.
Nel caso di contraffazioni o adulterazioni alimentari, invece la sostanza pericolosa introdotta
surrettiziamente, e il soggetto a rischio si trova nellimpossibilit di difendersi,
proprio perch consuma il prodotto per apportare al proprio organismo un certo contributo calorico,
ed invece, senza saperlo, turba il proprio delicatissimo equilibrio ormonale.
La tutela penale pertanto, giustificata a favore di quei soggetti che si trovano in una particolare
situazione di debolezza, tale da ritenere del tutto ingiustificata ed inaccettabile unesposizione al
pericolo derivante dallassunzione di sostanze nocive. Il principio che compito dello Stato sia anche
quello di rimuovere le condizioni che determinano il venir meno dell effettiva uguaglianza tra i
cittadini, non pu non far ritenere necessario un atteggiarsi dellintervento repressivo penale 16 che
tenga conto delle situazioni particolari di debolezza e di maggior esposizione a rischi; sembra dunque
inevitabile che il nostro legislatore penale sia chiamato a proteggere con maggior efficacia proprio
quelle situazioni che pi sono
esposte ad aggressioni o lesioni. In questo modo possibile realizzare leffettivo stato di benessere
fisico, psichico e sociale che permette lo sviluppo armonico di tutte le
funzioni dei cittadini, avuto particolare riguardo delle categorie di soggetti che versano in situazioni
meritevoli di tutela, a prescindere da situazioni di anormalit oeccezzionalit.

Malattie infettive a trasmissione aerea


Ambiente:
densit della popolazione
occasioni di contagio
clima

Ospite:
stato immunitario
difese locali

Come si trasmette linfluenza?


* Il virus viene trasmesso tramite goccioline di saliva starnutendo, tossendo o semplicemente parlando
* E altamente contagioso
*I soggetti infetti sono contagiosi da pochi giorni prima e per i 5-7 giorni successivi alla comparsa dei sintomi
* La trasmissione facilitata dal contatto stretto
I virus influenzali
A
sottotipi: H1N1, H3N2, (H2N2)
serbatoio: uomo (anatre, polli, suini)
soggetto a drift e shift antigenici
epidemie diffuse e pandemie

B
soggetto a drift antigenico
serbatoio: uomo
epidemie diffuse

C
associato a casi sporadici o
eventi epidemici minori

Variazioni maggiori e minori


Shift: variazione maggiore, sostituzione di uno dei due antigeni di superficie, sierologicamente diverso
Drift: variazione minore, H ed N pur presentando variazioni mantengono una parentela antigenica
Caratteristiche delle pandemie
Cambiamenti strutturali importanti dellemagglutinina e/o neuraminidasi Shift antigenico
Riguarda solo linfluenza di tipo A
Morbosit
-fino al 50%
- fino all80% in popolazioni selezionate e chiuse
Diffusione mondiale
Caratteristiche delle epidemie
Mutazioni secondarie o minori degli antigeni di superficie (emagglutinina o neuraminidasi)
Drift antigenico
Influenza A o B
Insorge improvvisamente
- picco entro 2-3 settimane
- durata di 6-8 settimane
Morbosita
- 10-20% complessivamente
- 40-50% in popolazioni selezionate e chiuse (case di riposo o cura)
Lattivit epidemica pu essere localizzata o diffusa
Ipotesi del riassortimento genetico del virus A dellinfluenza
I virus umani responsabili delle pandemie del 1957 e 1968

contenevano geni strettamente imparentati a quelli dei virus aviaria

influenzia aviaria

influenza umana

Co- infezione nel maiale

Ceppo ricombinante capace di


infettare luomo ma che contiene
nuovi geni di origine aviaria

Influenza da virus A(H9N2)


Ceppo isolato da due bambini ospedalizzati di 1 e 4 anni a Hong Kong nellaprile 1999.
Il sottotipo virale risultato antigenicamente simile ad analoghi isolati in suini, sempre ad Hong
Kong nel 1997 (nel corso dellepidemia da virus A H5N1).
Per i due casi non stata riferita alcuna complicanza clinica di rilievo
Prevenzione dellinfluenzale
Sorveglianza epidemiologica
Sorveglianza virologica

Definizione clinica di caso


Esordio brusco della febbre 38 C
Sintomi respiratori
Dolori muscolari

Vaccinazione

Rete OMS di sorveglianza

I vaccini antinfluenzali
A cellule intere, split e a subunit
Disponibili vaccini con adiuvanti
Indicazione alla vaccinazione
tutti i soggetti >64 anni
portatori di patologie croniche importanti
lavoratori addetti a settori di pubblica utilit
Vaccinazione da ripetere ogni anno con una sola dose di vaccino (salvo diversa indicazione
da parte delle autorit sanitarie)
EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE DELLE MALATTIE A TRASMISSIONE RESPIRATORIA
Via principale di eliminazione degli agenti infettanti l'apparato respiratorio. La sorgente esclusivamente
umana e il serbatoio costituito quasi esclusivamente dall'uomo ammalato o portatore sano.

E' possibile la diffusione per contatto diretto con le secrezioni naso - faringee, tracheali, bronchiali ecc.

TBC: tubercolosi
Agente eziologico = Micobacterium tuberculosis
Incubazione = 4 - 12 settimane
Cenni Clinici = la sintomatologia all'esordio caratterizzata da febbre,tosse produttiva con sudorazione
notturna e perdita di peso. La prima infezione, o tbc primaria , presenta un ingrossamento dei linfonodi latero cervicali, in base alla risposta immunitaria si passa dalla febbricola ed astenia a forte interessamento
polmonare con febbre e difficolt respiratorie. La tbc post prima si presenta con infezione d'organo o
disseminazioni (rene, meningi, ossa)
Contagiosit = altamente contagiosa; inoltre, la contagiosit dipende dalla presenza e dalla carica di bacilli
nell'escretato; pu persistere per anni
Epidemiologia = malattia diffusa in tutto il mondo, ma soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove colpisce
in tutte le et ed anche nell'infanzia (prima infezione). La contagiosit elevata deriva dall'alta carica delle
secrezioni polmonari e dal contatto prolungato con i soggetti malati. Le fonti di infezione sono l'uomo. Il
malato elimina i bacilli per via aerea, e di rado, attraverso le feci (tubercolosi intestinale), le urine (tubercolosi
renale) ed eccezionalmente per altre vie. Le vie di penetrazione sono: inalatoria, che si realizza in oltre il 95%
dei casi. Le altre sono la via orale (con latte e derivati) e quella cutaneo - mucosa (lesioni cutanee, mucosa
congiuntivale ecc).
Prevenzione = denuncia obbligatoria. L'isolamento obbligatorio sino alla negativizzazione dell'espettorato
Vaccinazione = Il vaccino non obbligatorio. La vaccinazione viene effettuata su gruppi a rischio quali il
personale sanitario e gli studenti delle facolt sanitarie

Difterite
La difterite una malattia infettiva acuta provocata dal batterio Corynebacterium diphtheriae, che, una volta
entrato nel nostro organismo, rilascia una tossina in grado di danneggiare/distruggere organi e tessuti. Gli
organi coinvolti variano a seconda del tipo di batterio: il pi diffuso colpisce la gola, il naso e talvolta le
tonsille, mentre un altro tipo, presente soprattutto nelle zone tropicali, provoca ulcere della pelle. Pi
raramente, linfezione coinvolge la vagina o la congiuntiva. La diagnosi differenziale va effettuata con le
seguenti patologie: faringiti batteriche e virali, mononucleosi infettiva, sifilide orale, candidosi, angina di
Vincent. La diagnosi viene confermata dallesame batteriologico delle lesioni.
L'ultimo caso di difterite in et pediatrica in Italia (peraltro in una bambina non vaccinata) risale al 1991.
Come si trasmette
La difterite si trasmette per contatto diretto con una persona infetta o, pi raramente, con oggetti contaminati
da secrezioni delle lesioni di un paziente. In passato, anche il latte non pastorizzato ha rappresentato un
veicolo di infezione.
Chi a rischio
Per quanto la difterite possa colpire a qualsiasi et, la difterite riguarda essenzialmente i bambini non
vaccinati. Nei Paesi con clima temperato, si diffonde durante i mesi invernali.
La sintomatologia
Il periodo di incubazione dura da due a cinque giorni. Quando linfezione riguarda lapparato orofaringeo, i
primi sintomi sono mal di gola, perdita dellappetito e febbre leggera. Entro due o tre giorni, sulla superficie
delle tonsille e della gola si forma una caratteristica membrana grigiastra, dai margini infiammati. Talvolta
queste lesioni possono sanguinare e assumere un colore verdastro o nero. Altri sintomi associati allinfezione
possono essere gonfiore del collo e ostruzione delle vie respiratorie.
Le complicanze

Generalmente la malattia ha un decorso benigno, ma in alcuni casi possono insorgere complicanze gravi a
livello cardiaco: aritmie, con rischio di arresto cardiaco, miocardite, insufficienza cardiaca progressiva.
La terapia
Gli individui che sviluppano la malattia vanno trattati immediatamente con lantitossina e antibiotici, quindi
messi in isolamento per evitare che contagino altre persone. In genere, gi dopo due giorni di terapia non sono
pi contagiosi.
Meningite
La meningite uninfiammazione delle membrane (le meningi) che avvolgono il cervello e il midollo spinale.
La malattia generalmente di origine infettiva e pu essere virale, batterica o causata da funghi.
La forma virale, detta anche meningite asettica, quella pi comune: di solito non ha conseguenze gravi e si
risolve nellarco di 7-10 giorni
La forma batterica pi rara ma estremamente pi seria, e pu avere conseguenze fatali.
Il periodo di incubazione della malattia pu variare a seconda del microorganismo causale.
Nel caso della meningite virale va dai 3 ai 6 giorni, per la forma batterica dai 2 ai 10 giorni.
La malattia contagiosa solo durante la fase acuta dei sintomi e nei giorni immediatamente precedenti
lesordio.
I batteri pi frequentemente in causa sono tre:
Neisseria meningitidis (meningococco) un ospite frequente delle prime vie respiratorie. Dal 2 al 30%
della popolazione sana alberga meningococchi nel naso e nella gola senza presentare alcun sintomo, e
questa presenza non correlata a un aumento del rischio di meningite o di altre malattie gravi. La
trasmissione avviene per via respiratoria, e il rischio di sviluppare la malattia sembra maggiore in
persone che hanno acquisito linfezione da poco, rispetto a chi portatore da pi tempo. Esistono 13
diversi sierogruppi di meningococco, ma solo 5 (denominati A, B, C, W 135 e Y) causano meningite e
altre malattie gravi. In Italia e in Europa i sierogruppi B e C sono i pi frequenti.
I sintomi non sono diversi da quelli delle altre meningiti batteriche, ma nel 10-20% dei casi la malattia
rapida e acuta, con un decorso fulminante che pu portare al decesso in poche ore, anche in presenza
di una terapia adeguata.
I malati sono considerati contagiosi per circa 24 ore dallinizio della terapia antibiotica specifica. La
contagiosit comunque bassa, e i casi secondari sono rari. Il meningococco pu tuttavia dare origine a
focolai epidemici.
Disponibile un vaccino contro il meningococco C.
Streptococcus pneumoniae (pneumococco) , dopo il meningococco, uno degli agenti pi comuni della
meningite. Oltre alla meningite, pu causare polmonite o infezioni delle prime vie respiratorie, come
lotite. Come il meningococco, si trasmette per via aerea e pu trovarsi nelle prime vie respiratorie,
senza causare alcuna malattia. Esistono molti tipi di pneumococco. Le meningiti da pneumococco si
presentano in forma sporadica; non indicata la profilassi antibiotica di chi stato in contatto con un
caso.
Haemophilus influenzae tipo b (emofilo o Hib) era fino alla fine degli anni novanta la causa pi
comune di meningite nei bambini fino a 5 anni. Con lintroduzione della vaccinazione i casi di
meningite causati da questo batterio si sono ridotti moltissimo. In caso di meningite da Hib indicata
la profilassi antibiotica dei contatti stretti.
Per quanto riguarda la meningite virale, gli agenti pi frequenti sono herpes virus ed enterovirus.
La meningite di origine fungina si manifesta invece soprattutto in persone con deficit della risposta
immunitaria e pu rappresentare un pericolo per la vita.
La sintomatologia
I sintomi della meningite sono indipendenti dal germe che causa la malattia.
All'inizio i sintomi possono essere aspecifici: sonnolenza, cefalea, inappetenza. In genere, per, dopo 2-3

giorni peggiorano e compaiono nausea e vomito, febbre, pallore, fotosensibilit; tipiche la rigidit della nuca e
quella all'estensione della gamba.
Nei neonati alcuni di questi sintomi non sono molto evidenti, mentre pu esserci un pianto continuo,
irritabilit e sonnolenza al di sopra della norma, e scarso appetito. A volte si nota l'ingrossamento della testa,
soprattutto nei punti non ancora saldati completamente (le fontanelle), che pu essere palpato facilmente.
Le complicanze
La malattia pu avere complicazioni anche gravi, con danni neurologici permanenti, come la perdita
delludito, della vista, della capacit di comunicare o di apprendere, problemi comportamentali e danni
cerebrali, fino alla paralisi.
Tra le complicazioni di natura non neurologica, possibili i danni renali e alle ghiandole surrenali, con
conseguenti squilibri ormonali.
La terapia
Il trattamento deve essere tempestivo. La meningite batterica viene trattata con antibiotici; la cura pi
efficace se il ceppo agente dell'infezione viene caratterizzato e identificato. Nel caso di meningiti virali, non
c' cura antibiotica, ma la malattia meno grave e i sintomi si risolvono di solito nel corso di una settimana,
senza necessit di alcuna terapia specifica.
Le misure di profilassi
Occorre identificare i contatti stretti da sottoporre a chemioprofilassi o a sorveglianza sanitaria. Quindi,
individuare i conviventi e coloro che hanno avuto contatti stretti con lammalato nei 10 giorni precedenti la
data della diagnosi.I 10 giorni sono il tempo massimo previsto per la sorveglianza sanitaria, tenuto conto del
massimo periodo di incubazione della malattia. Qualora al momento dellidentificazione fossero gi trascorsi
10 giorni dallultimo contatto, i soggetti esposti non sono pi considerati a rischio (vedi Circolare min. n. 4
del 13 marzo 1998)

Morbillo
E una malattia infettiva causata da un virus del genere Morbillivirus, della Famiglia Paramyxovirus, che si
localizza in vari organi e tessuti.
La recettivit (possibilit di essere infettati da un agente patogeno) universale e il morbillo una delle
malattie pi contagiose che si conoscano.
Prima dellintroduzione dei vaccini antimorbillosi, quasi tutti i bambini si ammalavano di morbillo prima del
15 anno di vita.
Il morbillo una malattia endemo-epidemica, vale a dire che sempre presente nelle collettivit, presentando
picchi epidemici ogni 3-4 anni, legati al fatto che i nuovi nati vengono a formare gradualmente una massa
cospicua di soggetti suscettibili allinfezione.
Il morbillo lascia unimmunit che dura per tutta la vita; anche limmunit indotta dal vaccino di durata
lunghissima.
Come si trasmette
Il morbillo una delle malattie pi contagiose che si conoscano; si trasmette per via aerea, attraverso le
goccioline di saliva emesse con tosse, starnuti o semplicemente parlando.
Il periodo di contagiosit va da poco prima del periodo prodromico a 4 giorni dopo la comparsa dellesantema.
Nelle persone con alterazioni del sistema immunitario il morbillo pu assumere un decorso particolarmente
grave e prolungato, con persistenza delleliminazione del virus per molte settimane dopo la fase acuta.
Chi a rischio
Praticamente tutti, se non hanno avuto la malattia naturale o se non sono stati vaccinati, sono a rischio di
contrarre il morbillo.
La sintomatologia
Dopo un periodo di incubazione (periodo che intercorre tra lesposizione ad un contatto infettante e la
comparsa dei primi sintomi) che pu variare da un minimo di 7 ad un massimo di 18 giorni (solitamente per

di una decina di giorni), si ha comparsa di febbre, raffreddore, tosse secca, congiuntivite, chiazze rossastre
sulla mucosa della bocca e della faringe e macchioline bianche sulle gengive, allaltezza dei molari (macchie
di Koplik): questo il periodo prodromico della malattia, che dura 4-5 giorni, al termine del quale compare
un'eruzione cutanea maculo-papulosa che dal collo e dal capo si estende ad interessare tutto il corpo (esantema
discendente).
Linizio dellesantema solitamente accompagnato da un innalzamento della febbre che diminuisce poi
piuttosto rapidamente.
Lesantema persiste per 5-6 giorni e, cos come era iniziato, scompare a cominciare dal collo.
Per qualche giorno rimane una desquamazione della pelle (fase di convalescenza). Il decorso del morbillo pu
essere mite nei lattanti, se ancora in parte protetti da anticorpi di origine materna ma, solitamente, la malattia
pi grave nei bambini molto piccoli e negli adulti.
Le complicanze
Le pi frequenti sono laringiti e laringotracheiti, polmoniti e broncopolmoniti, anche dovute a superinfezione
batterica, otiti medie, encefaliti ed encefalomieliti. Queste ultime si manifestano con frequenza di circa un
caso su 1000.
La mortalit dellencefalite morbillosa arriva al 15% e si stima che il 20-40% delle persone sopravvissute ad
una encefalite morbillosa subiscano conseguenze permanenti a livello neurologico.
Una complicanza del morbillo, rarissima, ma dagli effetti devastanti, la panencefalite sclerosante subacuta
(PESS).
Si tratta di una encefalite a lenta evoluzione, che pu manifestarsi in un caso su 100.000 a distanza di molti
anni dallinfezione con virus morbilloso, per lo pi in persone che avevano avuto il morbillo nei primi due
anni di vita.
La terapia
Riposo a letto in un ambiente confortevole, ben riscaldato ed arieggiato, ma non eccessivamente illuminato,
insieme con una dieta leggera, ricca di zuccheri e liquidi, costituiscono la base per il trattamento del morbillo.
Possono essere impiegati rimedi ad azione sintomatica per la febbre e la tosse ma la terapia antibiotica, sempre
su prescrizione medica, dovrebbe essere attuata solo in caso di complicazioni di natura batterica
(broncopolmoniti).

Rosolia
E una malattia infettiva, molto contagiosa, causata da un virus, appartenente al genere Rubivirus, famiglia
Togaviridae, che si localizza in vari organi e tessuti. Precedentemente alla introduzione dei vaccini antirosolia,
almeno l80% delle persone venivano infettate dal virus della rosolia prima dei 20 anni.
Molto spesso la rosolia non si presenta con segni clinici evidenti e con una sintomatologia ben definita, per cui
le infezioni possono passare del tutto inosservate; questo pu essere particolarmente rischioso nel caso di
uninfezione contratta durante la gravidanza. La rosolia , come il morbillo, una malattia endemo-epidemica:
essa cio sempre presente nelle collettivit con picchi epidemici ogni 7 anni e pi.
La rosolia, sia in forma clinicamente evidente che di infezione inapparente, lascia unimmunit (protezione nei
confronti di successive infezioni) che dura per tutta la vita. Anche limmunit indotta dal vaccino di lunga
durata.
Come si trasmette
La rosolia una malattia molto contagiosa, anche se non raggiunge i livelli di diffusivit del morbillo.
Il virus della rosolia viene trasmesso per via aerea, attraverso le goccioline di saliva emesse con la tosse, gli
starnuti o anche semplicemente parlando.
Il virus della rosolia passa attraverso la placenta e, per questa via, infetta il prodotto del concepimento.
Il periodo di contagiosit, in cui la malattia pu essere trasmessa dalle persone infette (con o senza sintomi
manifesti) a quelle suscettibili, va da una settimana prima a 4 giorni dopo la comparsa dellesantema, che pu
mancare del tutto.
I bambini affetti da sindrome da rosolia congenita possono eliminare il virus e quindi, rimanere infettanti per
molti mesi dopo la nascita.

Chi a rischio
Praticamente tutti, tranne i vaccinati o coloro che sono immuni per avere gi contratto la malattia.
Nel caso delle donne in gravidanza, il rischio si estende, con conseguenze che possono essere drammatiche, al
prodotto del concepimento.
La sintomatologia
Dopo un periodo di incubazione, che pu variare da un minimo di 12 ad un massimo di 23 giorni (solitamente
per di 16-18 giorni), si ha comparsa di febbre, mal di testa, dolori alle articolazioni, raffreddore e gonfiore
dei linfonodi posti ai lati delle orecchie e dietro la nuca.
Sul viso e sul collo compaiono macchioline leggermente sollevate, di colore roseo o rosso pallido, molto meno
fitte di quelle del morbillo e senza alcuna tendenza a confluire tra loro.
Tale eruzione cutanea, sotto forma di esantema, si estende successivamente al resto del corpo e scompare nel
giro di due o tre giorni.
Un bagno o una doccia caldi rendono pi evidente lesantema, che non compare affatto in circa il 40% dei
casi, mentre nel 20-25% dei casi compaiono soltanto la febbre e la tumefazione dei linfonodi. La rosolia,
quindi, si manifesta in modo conclamato soltanto nel 50% circa dei casi.
Le complicanze
La rosolia considerata una malattia ad evoluzione benigna, tuttavia complicazioni come artriti acute e
artralgie sono frequenti, soprattutto nel caso di rosolia contratta in et adulta.
Complicazioni meno frequenti della rosolia sono la trombocitopenia (diminuzione del numero delle piastrine,
elementi del sangue fondamentali per il processo della coagulazione) e lencefalite, che si manifesta in circa
un caso su 6.000. Lencefalite da rosolia pu essere mortale.
Se la rosolia viene contratta da una donna durante la gravidanza, tutti gli organi ed i tessuti fetali sono
coinvolti e gli effetti sul prodotto del concepimento possono essere molto gravi: aborto spontaneo; morte
intrauterina del feto; malformazioni e lesioni di tipo infiammatorio, principalmente a carico del sistema
nervoso, dellapparato cardiocircolatorio, degli organi di senso, con ritardato sviluppo fisico e psichico
(Sindrome da rosolia congenita).
Il rischio di avere gravi malformazioni nel feto quando la rosolia viene contratta in gravidanza massimo nel
primo trimestre (85% nelle prime 8 settimane, 52% dalla nona alla dodicesima settimana di gestazione),
mentre le infezioni contratte dopo la ventesima settimana raramente provocano malformazioni congenite.
Le donne che intendano intraprendere una gravidanza, non vaccinate o non immuni in seguito alla malattia,
dovrebbero sottoporsi, prima del concepimento, ad una ricerca degli anticorpi antirosolia ed eventualmente
alla vaccinazione (il test offerto gratuitamente secondo il Decreto ministeriale 10 settembre 1998 per la tutela
della maternit).
La terapia
Il riposo a letto, insieme con una dieta leggera ma ricca di zuccheri e liquidi, costituiscono la base per il
trattamento della rosolia.
Per alleviare i sintomi dellartrite il medico curante potr prescrivere la terapia sintomatica pi adatta.
Per le donne in gravidanza
Se si ha il sospetto che una donna in gravidanza possa avere contratto linfezione, opportuno eseguire
immediatamente la ricerca degli anticorpi antirosolia su un campione di sangue conservando una parte del
campione utilizzato per lesame, in modo da poterlo confrontare con campioni prelevati successivamente.
La presenza di anticorpi della classe IgG nel campioni segno di uninfezione avvenuta nel passato e, quindi,
di immunit nei confronti di infezioni successive, mentre la presenza di anticorpi della classe IgM indica
infezioni in atto.
Se nel campione non si riscontrano anticorpi, necessario ripetere lesame a distanza di circa un mese.
La positivit nel secondo campione segno di infezione recente o in atto; se anche il secondo campione risulta
negativo, il test deve essere nuovamente ripetuto dopo 6 settimane dallesposizione al contagio. La persistenza
della negativit indica che linfezione non avvenuta.

Epatite virale B
E una malattia infettiva causata da un virus, costituito da pi componenti, che colpisce il fegato.
La sintomatologia
Lepatite virale B, dopo un periodo di incubazione di 2-6 mesi dallinfezione, si manifesta con la comparsa di
inappetenza, malessere generale, febbre e nausea, particolarmente nei confronti del fumo.
Dopo qualche giorno compare littero, cio la presenza di colorito giallognolo della pelle, dovuto alla
aumentata concentrazione di bilirubina nel sangue a causa della diminuita funzionalit del fegato.
Anche le sclere (la parte bianca dellocchio) possono tendere al colore giallo. Un altro segno caratteristico
della malattia in atto il colore delle urine che si presentano scure come marsala, sempre per la presenza della
bilirubina.
Nella maggior parte dei casi la malattia guarisce e nel sangue rimane la presenza di anticorpi anti-virus
dellepatite B (anti-HBc, anti-HBs, anti-HBe) che testimoniano lavvenuta infezione. In un certo numero di
casi, per, per fattori non ancora chiariti, il virus continua a replicarsi e a produrre particelle infettanti
chiamate antigeni (HBsAg, HBeAg), gli anticorpi protettivi non si formano, ed in tale situazione il soggetto
pu trasmettere linfezione ad altre persone, la sua malattia pu cronicizzare ed evolvere verso quadri clinici di
grave compromissione epatica. In questi casi importante eseguire periodicamente, sotto controllo medico,
esami della funzionalit epatica. A volte capita che, facendo delle analisi del sangue per controllo, un soggetto
scopra di essere positivo per gli anticorpi anti-HBV (indice di guarigione) o per gli antigeni (indice di
replicazione virale e di potenziale infettivit), ma non ricordi di aver mai avuto lepatite virale B. Ci
possibile perch, per fattori non ancora chiariti, lepatite virale B non sempre si manifesta con i classici
sintomi che sono stati suddescritti e decorre in modo inapparente.
Come si trasmette
E una malattia che si trasmette venendo a contatto con liquidi biologici, quali sangue e suoi derivati, sperma e
liquidi vaginali infetti; la trasmissione pu avvenire anche da madre infetta al bambino durante la gravidanza.
Cosa fare quando ci si ammala
E importante ricorrere tempestivamente al proprio medico curante il quale prescriver delle analisi che
confermino la diagnosi di epatite B (presenza di antigeni o di anticorpi per HBV) e per valutare la funzionalit
del fegato (cio il valore degli enzimi transaminasi - GOT o AST e GPT o ALT - e delle gammaGT). La rapida
guarigione favorita dallo stare a riposo a letto, seguendo una dieta leggera e ricca in zuccheri e proteine,

limitando il consumo dei grassi ed evitando lalcool.


Come si evita
Esiste una vaccinazione sicura ed efficace nel prevenire lepatite virale B; la malattia pu essere prevenuta,
comunque, adottando corretti comportamenti quali:
usare il preservativo nei rapporti sessuali con partner sconosciuti o portatori di HBsAg;
evitare lo scambio di siringhe usate;
evitare lo scambio di oggetti personali quali spazzolino da denti, forbicine, rasoi, tagliaunghie, siringhe
riutilizzabili;
in caso di tatuaggi, fori alle orecchie o in altre parti del corpo (piercing), pratiche estetiche che
prevedano luso di aghi, accertarsi delle condizioni igieniche dei locali in cui vengono eseguiti e
pretendere luso di aghi usa e getta;
esistono, inoltre, precise indicazioni per gli operatori sanitari da adottare nellassistenza ai pazienti per
evitare il contatto con il sangue ed i liquidi biologici eventualmente infetti.

Modalit di trasmissione delle malattie infettive


CATENA DELLINFEZIONE
SERBATOI :
AGENTI:

PERSONE: MALATI (noti o meno), PORTATORI

BATTERI

AMBIENTE: ATTREZZATURE,

FUNGHI
VIRUS

STRUMENTARIO,

PARASSITI

DISPOSITIVI MEDICI,
SOLUZIONI,
ACQUA, ARIA, SUPERFICI

PORTE DINGRESSO:

VIE DI TRASMISSIONE

OSPITI

Mucose (congiuntive)

per contatto (diretto ed indiretto)

SUSCETTIBILI

Cute lesa

per droplet

Tratto gastrointestinale

per via aerea

Tratto respiratorio

tramite veicoli
tramite vettori

Condizioni necessarie per la catena dellinfezione


1. una quantit sufficiente di microrganismi (dose infettante)

2. la capacit del microrganismo di causare infezione (patogenicit)


3. la capacit del microrganismo di causare malattia (virulenza)
4. unappropriata modalit di trasmissione o trasferimento del microrganismo dalla fonte allospite
5. fattori ambientali che favoriscono la trasmissione dei microrganismi (sopravvivenza o crescita)
6. un ospite suscettibile (neonato, anziano, immunodepresso)
7. una corretta porta di ingresso nellospite

Trasmissione da contatto
Si tratta del pi importante e frequente modo di trasmissione delle infezioni in ambito sanitario
contatto diretto contatto fisico diretto (da superficie corporea a
superficie corporea) tra un soggetto colonizzato o infetto e un soggetto suscettibile
Contatto indiretto
Trasferimento passivo dei microrganismi a un ospite suscettibile tramite oggetti intermedi inanimati, come
strumenti, aghi, attrezzature, superfici circostanti il paziente, abiti, mani contaminate non lavate, guanti non
cambiati, ecc.
Trasmissione da contatto
Rosolia congenita
Scabbia
Pediculosi
Varicella
Herpes simplex neonatale o mucocutaneo
Herpes Zoster
Infezioni cutanee da Stafilococchi
Diarrea da: Salmonella, Shigella
Virus dellepatite A
SARS
Trasmissione da droplet (goccioline)
E una forma di trasmissione da contatto. Non deve essere confusa con la trasmissione per via aerea.
I droplets sono goccioline di dimensione 5 micron (large droplets)
Sono generate dal paziente fonte con la tosse, gli starnuti e durante particolari procedure come
aspirazione e broncoscopia.
Vengono espulse nellaria a breve distanza e possono depositarsi sulla congiuntiva o sulle mucose nasali e
orali del nuovo ospite.
Malattie trasmissione da droplet

Malattia invasiva da Haemophilus influenzae: meningite, epiglottite, sepsi, altre


Malattia invasiva da Neisseria meningitidis : meningite, polmonite, sepsi
Difterite
Polmonite da Mycoplasma
Pertosse
Faringite o polmonite streptococcica
Influenza e Parainfluenza
Parotite
Rosolia
Rhinovirus
SARS

Trasmissione per via aerea ( Airborne)

1 metro

Malattie trasmissibili per via aerea


morbillo
varicella
tubercolosi
vaiolo
febbri emorragiche virali con polmonite
influenza?
SARS CoV?

Trasmissione attraverso veicoli


Trasmissione attraverso veicoli
una singola fonte contaminata quale:
alimento, acqua o bevande, serve a trasmettere linfezione a uno o pi soggetti
una singola fonte contaminata quale:
medicazione, fluido intravenoso, presidio sanitario serve a trasmettere linfezione a uno o pi soggetti.
Malattie trasmissibili attraverso veicoli

ALIMENTI

SANGUE, PRESIDI MEDICI

salmonellosi

epatite B

shigellosi

epatite C

campilobatteriosi

epatite D

tifo

AIDS

epatite A

legionellosi...

isteriosi
Trasmissione attraverso vettori
la trasmissione mediata da vettori animati (insetti, roditori)
malaria

encefalite giapponese

malattia di Lyme

dengue

leishmanios

febbre gialla

encefalite da zecche

peste, tripanosomiasi

Segnalazione di un caso di malattia infettiva sospetta o accertata


Scheda di segnalazione di caso di malattia infettiva (SSCMI)
Tempi di segnalazione (rapida/ordinaria)
Dal medico ai Servizi competenti dellAzienda
Servizio competente di ciascuna Azienda Sanitaria

I MOTIVI PER VACCINARSI:


INFLUENZA

-PROTEZIONE INDIVIDUALE: Evita la malattia


-PROTEZIONE DEI COLLEGHI: Protezione della struttura organizzativa (assenze di massa)
-PROTEZIONE DEGLI UTENTI: Migliore qualit del servizio

ROSOLIA MORBILLO VARICELLA


ROSOLIA
Pu decorrere come infezione inapparente o con la forma clinica evidente
Se contratta in GRAVIDANZA:
- Aborto spontaneo, morte intrauterina
- Malformazioni del feto
La VACCINAZIONE EFFICACE E DURATURA

MORBILLO
Malattia tra le pi contagiose, trasmessa per via .

E endemica, in quanto sempre presente nella popolazione, con PICCHI EPIDEMICI (20-30 mila casi/anno) ogni 3-4 anni
MALATTIA in GRAVIDANZA: non conseguenze per il feto

VACCINAZIONE: rivolta soprattutto alle


persone di et inferiore a 30 anni mai vaccinate e
senza ricordo di malattia
VARICELLA
TRASMISSIONE:

contagio diretto interumano; il virus mediante le secrezioni oro-faringee penetra

nell'organismo per via aerea.

RISCHIO BIOLOGICO da VIRUS EPATITICI B e C e da HIV


Contagio diretto e/ o parentale
Sangue
Alto rischio

Sperma, secrezioni vaginali


Liquido cefalorachidiano, pleurico

Liquidi

amniotico,peritoneale,pericardico,sinoviale

corporei
* Basso rischio

Saliva, sputo, sudore, lacrime, feci,


secrezioni nasali,urine,vomito

se non contaminati da sangue

VIE DI TRASMISSIONE

Parenterale (trasfusione)
Esposizione

Mucose
Cute non integra
Percutanea

Virus Epatite B (HBV)


Penetrazione attraverso la cute di ago cavo o di un tagliente contaminati con sangue proveniente
da un soggetto possibile fonte di infezione
Presente nel sangue da pochi virioni a 109 virioni/ml
Resistente allessicamento, alcool, detergenti semplici
Sopravvive a temperatura ambiente >7giorni, al calore (60) per 10 ore
Possibile trasmissione in modo inapparente per contaminazione di superfici, strumenti sanitari,

cute non integra

Virus Epatite C (HCV)


Presente nel siero da 105 a 108 virioni/ml
Sopravvive in plasma secco a temperatura ambiente > 16 ore ma < 4 giorni
Inattivato in autoclave e da detergenti ad attivit intermedia
La trasmissione avviene attraverso grosse quantit di sangue oppure in seguito a ripetute esposizioni
parenterali

Virus dell'Immunodeficenza Umana (HIV)


Circolano nel sangue da pochissime copie fino a >500.000 copie/ml
Non resiste allessicamento perdendo dopo poche ore il 90-99% della sua vitalit
Incapace di riprodursi al di fuori dellospite
Non in grado di diffondersi o di mantenere la capacit infettante al di fuori dellospite

TETANO
Il Tetano una malattia che colpisce i muscoli ed i nervi del nostro organismo: grave, ma pu essere
prevenuta con successo. Di solito ha origine quando una ferita della pelle viene contaminata da un batterio di
nome Clostridium tetani, che spesso si trova nel terreno.Dopo essere penetrati nellorganismo, il batteri
producono una neurotossina (una proteina che agisce come un veleno sul sistema nervoso), di
nome tetanospasmina, in grado di provocare spasmi muscolari. La tossina pu diffondersi in tutto il corpo
mediante il flusso sanguigno ed il sistema linfatico, in questo modo va ad interferire con la normale attivit dei
nervi in tutto lorganismo, causando spasmi muscolari generalizzati.
In realt il tetano ormai molto raro negli Stati Uniti e negli altri paesi che hanno reso obbligatorie le
vaccinazioni antitetaniche, almeno per le categorie a rischio come in Italia: ogni anno nel nostro Paese
vengono diagnosticati circa 100 morti di tetano. In molti paesi sviluppati che hanno programmi di prevenzione
e di vaccinazione meno efficaci la malattia invece molto pi frequente, situazione ancora pi grave si registra
nei Paesi del Terzo Mondo.
Se non viene curato, il tetano pu essere letale; questa malattia in grado di provocare la morte per collasso
cardio-respiratorio, causando la contrazione con paralisi della muscolatura, perch si localizza a livello dei
nervi. In un caso su dieci porta a morte per limpossibilit di respirare.

CauseI
In Italia la maggior parte dei casi di tetano causata da un taglio o da una lesione profonda, come ad esempio
ununghia schiacciata: a volte la lesione talmente lieve che il paziente non va nemmeno dal dottore.Le
lesioni che comportano la morte della pelle (come ad esempio le scottature, il congelamento, la cancrena o le
lesioni da schiacciamento) hanno maggiori probabilit di provocare il tetano. Anche le ferite contaminate da
terra, saliva o feci, soprattutto se non vengono disinfettate con attenzione, e le punture effettuate con aghi non
sterili (come ad esempio quando ci si droga o si fa un tatuaggio od un piercing casalingo) presentano un
rischio maggiore.Esiste anche un altro tipo di tetano, il tetano neonatale, che si verifica nei neonati partoriti
in condizioni igieniche precarie, soprattutto se il cordone ombelicale si infetta dopo essere stato reciso. Negli
Stati Uniti, prima dellintroduzione dei vaccini, il tetano neonatale era molto pi frequente. Al giorno doggi le
vaccinazioni antitetaniche obbligatorie producono gli anticorpi che le madri trasmettono ai figli durante la
gravidanza. Questi anticorpi materni ed il miglioramento delle tecniche di recisione del cordone ombelicale
hanno diminuito drasticamente la frequenza del tetano neonatale nei paesi sviluppati.

Sintomi
Il primo sintomo del tetano spesso sono gli spasmi muscolari della mascella (trisma), che possono essere
accompagnati da difficolt di deglutizione. Seguono quindi altri muscoli del capo che danno luogo al Riso
Sardonico (aspetto tipo iena), poi si rileva la discesa degli effetti del tetano che provoca rigidit e dolore dei
muscoli del collo, delle spalle, della schiena e degli arti, fino ad arrivare alla posizione cane di fucile (tutto
rannicchiato).
I sintomi possono verificarsi in un periodo variabile da alcuni giorni ad alcuni mesi dopo che si venuti in
contatto con i batteri; in genere il periodo di incubazione varia da 2 giorni a mesi, anche se la maggior parte
dei casi si manifesta entro 14 giorni. Ferite pi gravi sono in genere legate a periodi di incubazione minore.

Cura e terapia
I medici hanno un ruolo importante nella prevenzione del tetano, perch si devono accertare che le
vaccinazioni dei bambini siano valide e perch si occupano della profilassi post-esposizione se il paziente ha
una ferita che a rischio tetano.
Il bambino che si
ammala di tetano dovr essere ricoverato in ospedale, di solito nel reparto di terapia intensiva. Qui, di norma,
gli verranno somministrati degli antibiotici per eliminare i batteri ed il siero per neutralizzare la tossina gi
rilasciata dai batteri. Al bambino verranno anche somministrati farmaci in grado di tenere sotto controllo gli
spasmi muscolari e altre terapie a supporto delle funzioni vitali dellorganismo.

Prevenzione
Esistono due modi importanti per prevenire il tetano: fare le vaccinazioni antitetaniche, insieme a tutte le altre
vaccinazioni obbligatorie, oppure dopo una lesione che potrebbe provocare il tetano, ricevere una dose di
vaccino (profilassi antitetanica post-esposizione). Per i bambini, il vaccino antitetanico fa parte delle
vaccinazioni DtaP (contro la difterite, il tetano e la pertosse). I bambini di solito ricevono una serie di 3 dosi di
vaccino prima dei due anni, e poi una dose di richiamo tra i 5 e i 6 anni. In seguito consigliata unulteriore
dose di richiamo tra gli 11 e i 12 anni e, in et adulta, un richiamo del vaccino contro il tetano e la difterite
ogni 10 anni. Non lasciate che i vostri bambini saltino questi appuntamenti importanti e fateli vaccinare al
momento giusto. Come per qualsiasi calendario di vaccinazione, ci sono dei casi particolari e delle eccezioni
da tenere presenti. Il medico vi fornir tutte le informazioni aggiornate. La vaccinazione degli adulti si esegue
somministrando due dosi di vaccino per via intramuscolare ad una distanza di 4 settimane, seguita da una terza
dose dopo 6-12 mesi. La protezione non permanente, per restare protetti occorre una dose di richiamo ogni
dieci anni.
Anche nella profilassi antitetanica post-esposizione, ossia dopo
linfortunio, vengono somministrate dosi di vaccino antitetanico, ma solo dopo che si verificata la ferita o la
lesione. Il numero di dosi dipende da quanti anni sono trascorsi dallultimo richiamo, dal totale di vaccinazioni
antitetaniche effettuate fino a quel momento e dalla natura della ferita. Il medico pu consigliarvi un richiamo
di vaccino antitetanico e/o uniniezione di immunoglobulina tetanica (siero) per neutralizzare tutte le tossine
prodotte dai batteri.
Tutte le
ferite della pelle, soprattutto le lesioni profonde o le ferite che potrebbero essere contaminate da feci, terra o
saliva, dovrebbero essere disinfettate e medicate immediatamente.
La medicazione delle ferite
fondamentale, ma non rappresenta unalternativa in grado di sostituire la vaccinazione. Il tetano neonatale pu
essere prevenuto se tutte le

LA SCABBIA
Aspetti epidemiologici
CASI SPORADICI e piccoli cluster familiari
CASI SOMMERSI legati al turismo sessuale
FOCOLAI EPIDEMICI frequenti nelle strutture assistenziali
SINTOMI: PRURITO INTENSO SPECIE NOTTURNO, TRONCO e/o ARTI
SCABBIA: controllo della trasmissione
Trattare adeguatamente gli effetti letterecci e la biancheria personale
a) Cambio lenzuola
b) Confezionamento lenzuola e oggetti in sacchetti per alcuni giorni
Organizzare un programma continuativo di sorveglianza
Terapia della SCABBIA
terapia topica con permetrina 5%
terapia topica con benzoato di benzile 25%
Terapia della PEDICULOSI
terapia tipica con permetrina (NIX crema)
shampoo con : piretrina (MOM)

Trasmissione attraverso vettori


la trasmissione mediata da vettori animati (insetti, roditori)
malaria

encefalite giapponese

malattia di Lyme

dengue

leishmanios

febbre gialla

encefalite da zecche

peste, tripanosomiasi

Segnalazione di un caso di malattia infettiva sospetta o accertata


Scheda di segnalazione di caso di malattia infettiva (SSCMI)
Tempi di segnalazione (rapida/ordinaria)
Dal medico ai Servizi competenti dellAzienda
Servizio competente di ciascuna Azienda Sanitaria

La malaria
3 novembre 2011 - La Mal aria cos definita in seguito alla credenza che venisse contratta dai miasmi
malsani emanati dalle acque stagnanti delle paludi una grave malattia causata da protozoi parassiti trasmessi
alluomo da zanzare ad attivit crepuscolare-notturna del genere Anopheles.
Oggi la malaria endemica in vaste zone dellAsia, Africa, America latina e centrale, isole caraibiche e
Oceania, con circa 500 milioni di malati ogni anno e oltre un milione di morti, minacciando nel complesso
oltre il 40% della popolazione mondiale, soprattutto quella residente in Paesi poveri. Assieme alla tubercolosi
e allAids, la malaria oggi una delle principali emergenze sanitarie del pianeta. Oltre a essere endemica in
molte zone del pianeta, la malaria viene sempre pi frequentemente importata anche in zone dove stata
eliminata, grazie ai movimenti migratori, risultando in assoluto la prima malattia dimportazione, trasmessa da
vettori, in Europa e negli Usa.
Gli agenti patogeni e i loro vettori
I protozoi agenti eziologici della malaria umana sono 4, tutti appartenenti al genere Plasmodim: Plasmodium
falciparum, agente della cosiddetta terzana maligna, la forma pi grave che pu portare al decesso, P. vivax e
P. ovale, agenti di due forme di tersi a benigna, e P. malariae, agente della quartana. Un quinto plasmodio, P.
knowlesy, che ha come serbatoi alcuni primati, pu pi raramente causare anche una forma di quartana
benigna anche nelluomo.
La malaria si contrae in seguito alla puntura della femmina di una delle circa 60 specie diverse di zanzare
appartenenti al solo genere Anopheles, dopo che questa si a sua volta infettata suggendo il sangue da un
soggetto malarico. Prima che lAnofele diventi infettante, il plasmodio deve compiere un ciclo di sviluppo
allinterno della zanzara stessa, che pu durare da qualche giorno a qualche settimana, a seconda della specie
plasmodiale e soprattutto della temperatura ambiente.

Allinterno dellospite umano, il parassita (endocellulare) si modifica passando attraverso diversi stadi di
sviluppo e riuscendo a eludere le difese del sistema immunitario, localizzandosi prima nel fegato, dove invade
gli epatociti e si amplifica per schizogonia, quindi invadendo i globuli rossi, dove si riproduce nuovamente per
schizogonia, dando luogo a nuove generazioni di parassiti ogni 3 (terzana) o 4 (quartana) giorni. Dopo alcuni
cicli di sviluppo, il Plasmodio produce le forme sessuate (gametociti), il Plasmodio nuovamente pronto a
infettare una nuova zanzara.
Comparsa dei sintomi della malattia
La comparsa dei sintomi dipende da fattori diversi, i cui pi importanti sono la specie plasmodiale e la carica
infettante. In linea di massima, i sintomi della malaria da P. falciparum appaiono da 7 a 14 giorni dopo la
puntura da parte della zanzara infetta e sono di varia natura, (mal di testa, vomito, diarrea (sudorazioni e
tremori, ecc), comuni, almeno inizialmente, a quelli un influenza o ad altre infezioni, ma comunque sempre
accompagnati da febbre elevata. La malaria da P. falciparum arriva a essere letale distruggendo i globuli rossi
e quindi causando una forte anemia ma soprattutto ostruendo i capillari che irrorano il cervello (in questo caso
si tratta di malaria cerebrale) o altri organi vitali (in genere, ma non sempre, gli accessi febbrili si presentano
ciclicamente seguendo il ciclo stesso di riproduzione e moltiplicazione del parassita).
Le forme di malaria dovute agli altri parassiti sono decisamente meno gravi. I sintomi possono presentarsi
anche con qualche giorno di ritardo rispetto a P. falciparum, ma soprattutto P. viva e P. ovale possono dare
recidive a distanza di qualche mese dallattacco primario, per via di alcune forme che rimangono silenti nel
fegato (ipnozoiti) per periodi dipendenti dalla specie (soprattutto P. ovale pu riapparire dopo molti mesi) e dal
ceppo plasmodiale. P. malariae pu invece dare recrudescenze anche a distanza di anni, per via di forme che
rimangono vitali nel circolo ematico, evadendo le difese immunitarie e causando un nuovo accesso malarico
quando queste si abbassano per motivi diversi.
Dove si contrae la malaria
P. falciparum presente in tutte le aree a endemia malarica situate nella fascia tropicale e subtropicale, di 4
continenti, ma il rischio maggiore di contrarre questo plasmodio si corre nei Paesi dellAfrica sub-Sahariana,
in Papua-Nuova Guinea e in alcune isole del Pacifico orientale. La malaria da P. vivax predominante in
America Latina, e in molti Paesi Asiatici. Soprattutto P. vivax la sola specie presente in quelle aree a clima
temperato dove ancora persiste lendemia malarica (Medio oriente, Turchia, Nord Africa). P. ovale molto
comune in Africa occidentale, raro o assente negli altri continenti. La distribuzione di P. malariae si
sovrappone pi o meno a quella di P. falciparum, dove per presente come specie minoritaria.
Prevenzione
Ceppi di P. falciparum, e pi recentemente anche di P. vivax, resistenti ai pi comuni farmaci antimalarici si
sono selezionati in molte zone di endemia, soprattutto nel Sud-Est asiatico e in Africa Orientale. Sebbene
farmaci ancora pienamente efficaci siano disponibili sul mercato, non esiste un unico schema profilattico
applicabile dovunque; pertanto la profilassi idonea per chi si rechi in zona di endemia, va studiata caso per
caso, in base al Paese visitato, al tipo di viaggio e al tempo di permanenza. Sul fronte vaccini, la ricerca non ha
ancora prodotto un vaccino effettivo anche se esistono diversi possibili candidati su cui gli scienziati stanno
lavorando, soprattutto grazie al completamento della sequenza gnomica di Plasmodium spp.
Profilassi
Esistono per numerose misure di prevenzione e di profilassi a basso costo, che vengono promosse soprattutto
nei Paesi africani dalla Global Partnership Roll Back Malaria coordinata dallOrganizzazione mondiale della
sanit. Luso di zanzariere trattate con insetticidi e di trattamenti preventivi a intermittenza con farmaci
antimalarici pu significativamente ridurre lincidenza della malattia nelle zone endemiche, sia tra i bambini
che tra le donne in gravidanza, soggetti particolarmente vulnerabili.
Le donne incinte sono una categoria particolarmente a rischio. Quelle non immuni rischiano malattie cliniche
sia acute che gravi, con conseguenze che possono arrivare fino al 60% delle perdite del feto e oltre il 10%
delle morti materne. Le donne incinte semi-immuni che contraggono la malaria rischiano anemie gravi e

crescite fetali compromesse, anche se non mostrano sintomi di malattie severe. Circa 10 mila di queste donne
e 200 mila dei loro neonati muoiono ogni anno in seguito a infezione da malaria durante la gravidanza.
Una diagnosi accurata e precoce una delle chiavi per gestire in modo efficace la malattia. Attualmente la
pratica diagnostica si basa su due approcci: quello clinico che identifica i sintomi della malattia, e quello volto
a isolare e riconoscere lagente causale, utilizzando test immunocromatografici o, molto pi comunemente,
con osservazioni al microscopio. Una rapida risposta allinsorgenza, con trattamento farmacologico con i
farmaci pi recentemente sviluppati e dati in combinazione, in alternativa alle monoterapie tradizionali, pu
ridurre significativamente il numero di morti. Luso esteso e poco controllato di terapie a base di chinolina e di
antifolati ha contribuito ad aumentare lo sviluppo delle resistenze. Nellultima decade, un nuovo gruppo di
antimalarici, diversi composti combinati dellartemisinina (ATCs), stanno dando ottimi risultati terapeutici
anche nellarco di una settimana, con riduzione della presenza di plasmodio e quindi della sua capacit di
trasmissione e miglioramento dei sintomi.
Lo sforzo messo in atto dalla Global Partnership quello di adottare una strategia globale coordinata in tutte le
zone in cui la malattia endemica e in quelle a rischio, e di monitorare in modo efficace e continuo levolversi
della resistenza manifestata dal plasmodio, e le sue aree di diffusione. Gli effetti pi disastrosi della malaria si
hanno infatti nellevento epidemico in zone dove la popolazione non affatto immunizzata alla presenza
stabile del plasmodio e dove le strutture di risposta sono pi carenti.
I fattori che possono favorire lo sviluppo di una epidemia sono sia naturali, come una variazione climatica o
uninondazione, che antropici, come una guerra o lo sviluppo di opere agricole, di dighe, di miniere o
lincapacit di esercitare un controllo sulla zanzara, il vettore del plasmodio. Grandi movimenti migratori
interni a un continente favoriscono ancor pi lesposizione di popolazione vulnerabile al parassita. La
combinazione di fattori meteorologici, socioeconomici ed epidemiologici, sia a livello locale che globale, pu
permettere una previsione del rischio di epidemie, soprattutto se dovute a fattori antropici. Lo studio accurato
dei fenomeni epidemici del passato e la costruzione di una rete di monitoraggio e di un database per registrare
loccorrenza e la prevalenza della malaria nelle diverse zone diventano quindi importanti strumenti di
prevenzione.

Toxoplasmosi: prevenzione, alimentazione, sintomi, gravidanza


Secondo i Centers for Disease Control and Preventing (CDC), circa 60 milioni di persone negli Stati Uniti
potrebbero avere la toxoplasmosi. Molti non sanno nemmeno di averla perch possibile avere uninfezione
asintomatica o con sintomi comuni ad altre malattie.
Questa infezione causata da un
microscopico parassita (protozoo Toxoplasma gondii) che pu vivere nelle cellule degli uomini e degli
animali, soprattutto gatti e animali da allevamento.
Diagnosi
E
possibile diagnosticare con sicurezza la toxoplasmosi attraverso prove di laboratorio che rilevano i
microscopici parassiti nel sangue, nel liquido spinale, nel liquido amniotico,nella placenta, nei linfonodi, nel
midollo osseo o altri tessuti derl corpo.
Pi frequentemete si prescrivono
tuttavia esami del sangue per misurare i livelli di anticorpi (sostanze che fanno parte delle reazioni immuno
difensive del corpo) prodotti per combattere i parassiti.
Sofisticati nuovi test genetici riescono ad identificare il DNA contenente geni di parassiti della toxoplasmosi
dopo che hanno invaso il corpo. Questi test sono utili soprattutto per testare nel liquido amniotico la presenza
di toxoplasmosi congenita in un feto, rilevabile anche attraverso gli ultrasuoni. Entrambi i test non sono
purtroppo sufficientemente accurati e possono dare falsi risultati positivi.
Sintomi
La
toxoplasmosi si trasmette dagli animali alle persone, a volte senza causare alcun sintomo. Quando i bambini
hanno dei sintomi, possono variare in base allet del bambino ed alla risposta del sistema immunitario
allinfezione.
Anche i gatti infettati spesso non
mostrano alcun segno di infezione da toxoplasmosi.
Le infezioni da toxoplasmosi nelle persone
possono essere di tre tipi:
1.toxoplasmosi congenita, in cui un bambino viene infettato prima di nascere,
2.toxoplasmosi in soggetti sani (con gli stessi sintomi che pu avere una donna incinta),
3.toxoplasmosi in pazienti con sistema immunitario indebolito
Toxoplasmosi congenita
Quando una donna incinta (anche se non ha sintomi) contrae la toxoplasmosi durante la gravidanza e non
viene curata, c pi di una possibilit che possa trasmettere linfezione al feto. I bambini che vengono
infettati durante il primo trimestre di gravidanza della mamma tendono a manifestare i sintomi pi gravi.
E invece raro che una donna che abbia contratto la toxoplasmosi prima di rimanere incinta trasmetta
linfezione al feto perch lei, e di conseguenza il suo bambino, avranno sviluppato immunit allinfezione.
Pu invece succedere che una donna in gravidanza, che abbia avuto una precedente infezione, diventi
immunocompomessa e la sua infezione si ripresenti. Si consiglia quindi di norma di aspettare prima di cercare
una gravidanza almeno 6 mesi dopo la toxoplasmosi.
Fino al 90% dei bambini nati
con una toxoplasmosi congenita non manifestano sintomi nella prima infanzia, ma una grande percentuale di
loro mostrer segni di infezione mesi o anni dopo. I pochi che mostrano chiari segni di infezione alla nascita, o
poco dopo, potrebbero essere nati prematuramente e/o essere sottopeso.
Altri segni e sintomi , se si manifestano, possono essere:
febbre,
ghiandole gonfie (linfonodi),
ittero (pelle e occhi ingialliti a causa di anormali livelli di bilirubina chimica del fegato),
una testa particolarmente grande o piccola,
esantema,
lividi o emorragia sotto la pelle,

anemia,
fegato o milza ingrossata,
Alcuni bambini con toxoplasmosi congenita presentano poi disturbi al cervello e al sistema nervoso causa di
attacchi epilettici, problemi nel tono muscolare, difficolt di alimentazione, perdita di udito e ritardo mentale.
C infine un alto rischio di danni agli occhi, in particolare alla retina (il rivestimento dietro allocchio
sensibile alla luce, responsabile della vista) che si manifesta con gravi problemi alla vista. Se un bambino
nasce con la toxoplasmopsi congenita e non viene curato durante linfanzia, manifester sempre qualche segno
di infezione (spesso danni agli occhi) dalla prima infanzia alladolescenza.
Toxoplasmosi in pazienti sani
Un soggetto sano che viene infettato dalla toxoplasmosi pu non manifestare sintomi o solo ghiandole gonfie
nel collo, senza particolari conseguenze.
Toxoplasmosi in pazienti
immunocompromessi
I soggetti il cui sistema
immunitario indebolito (ad esempio malati di AIDS, cancro, o sotto terapia di farmaci assunti dopo trapianti
di organo) sono invece in una condizione di forte rischio se infettati dal protozoo.
Soprattutto per i malati di AIDS, la toxoplasmosi potrebbe casusare encefalite toxoplasmica (un
infiammazione al cervello) con sintomi quali:
febbre,
attacchi,
emicrania,
psicosi,
problemi alla vista, al linguaggio, ai movimenti, alla capacit di pensiero.
Trasmissione
Si pu contrarre la toxoplasmosi:
toccando o venendo a contatto con le feci infette del gatto (i gatti prendono linfezione mangiando
roditori infetti, uccelli e altri piccoli animali),
mangiando carne cruda o non cotta bene che contaminata,
mangiando cibi crudi, frutta non lavata o verdure che sono state contaminate dal concime
Sebbene linfezione normalmente non si diffonda da persona a persona, ad eccezione della
gravidanza,in rari casi la toxoplasmosi pu essere trasmessa attraverso trasfusioni di sangue e organi
donati per trapianto.
Pericoli
I pericoli maggiori sono legati alla toxoplasmosi congenita ed in tutti casi di forte immunodepressione.
Durata
Nonostante i parassiti siano in grado di moltiplicarsi nel giro di una settimana nellorganismo ospite, i sintomi
possono manifestarsi fino a settimane o mesi dopo il contatto con il protozoo. Una volta contratta la
toxoplasmosi il microrganismo responsabile stazioner a vita nellorganismo, seppure in forma latente
(inattiva) non pi in grado di manifestare alcun tipo di sintomo. Solo in caso di episodi di immunodepressione
linfezione pu nuovamente ricomparire. In un bambino con sistema immunitario indebolito, la toxoplasmosi
congenita pu essere fatale.
Cura e terapia
A meno di sistema immunitario indebolito o gravidanza, non c bisogno di curare un infezione da
toxoplasmosi. I sintomi (principalmente le ghiandole gonfie) regrediscono in poche settimane o mesi. I
bambini dovrebbero comunque essere sempre visitati da un dottore, perch le ghiandole gonfie potrebbero
essere anche segno di unaltra malattia.
Se una donna
incinta manifesta uninfezione da toxoplasmosi, nel consulto con il medico e uno specialista di malattie

infettive si decider il piano di cure. Le ricerche hanno mostrato che curando la madre si pu aiutare a ridurre
la gravit della malattia nel bambino, ma non necessariamente prevenirla.
I bambini nati con una toxoplasmosi congenita vengono curati con una variet di farmaci anti-toxoplasmosi, di
solito per il primo anno successivo alla nascita.
In un
bambino pi grande, sano, che sviluppa una seria infezione da toxoplasmosi, la cura di norma dura dalle 4 alle
6 settimane (o almeno 2 settimane dopo che i sintomi sono scomparsi).
I bambini con
un sistema immunitario indebolito spesso hanno bisogno di essere ricoverati quando contraggono la
toxoplasmosi e quelli che hanno lAIDS possono aver bisogno di assumere farmaci anti-toxoplasmosi a vita.
Prevenzione
Se il gatto di casa vive sempre allinterno e non mai stato cibato con carne cruda o non cotta bene,
probabilmente ha un basso di rischio di contrarre o diffondere la toxoplasmosi. Tuttavia esiste la possibilit di
contrarla mangiando carne cruda o non cotta bene, o prodotti contaminati.
Per prevenire la
toxoplasmosi:
cuoci bene la carne,
lava le mani con sapone e acqua dopo aver toccato cibi crudi o verdure non lavate,
lava tutta la frutta e le verdure prima di servirla, sbucciarla unulteriore garanzia,
congela la carne per qualche giorno prima di cucinarla, perch aiuta a ridurre la probabilit di
toxoplasmosi,
lava bene i taglieri, gli altri utensili e le superfici della cucina (soprattutto quelle che vengono a
contatto con la carne cruda) con acqua calda saponata dopo ogni uso,
fai cuocere bene la carne,
se sei incinta fai cambiare la lettiera del tuo gatto a qualcunaltro. E chiedi a lui o lei di usare
detergente o acqua calda per pulirla e lavarsi bene le mani dopo averlo fatto. Se nessun altro pu
cambiare la lettiera, indossa dei guanti quando lo fai e lava bene le mani subito dopo,
tieni il tuo gatto sempre in casa per evitare che prenda la toxoplasmosi con gli escrementi,e/o piccoli
animali infetti che cerchi di prendere o mangiare,
tieni la sabbiera allaperto e coperta, per evitare che gatti vagabondi la usino come lettiera,
non dar da mangiare al tuo gatto carne cruda,
tieniti alla larga dai gatti randagi,
non prendere un nuovo gatto se sei incinta,
metti i guanti quando pratichi giardinaggio e lava le mani subito dopo,
usa delle zanzariere per evitare che entrino in casa gli insetti (le feci dei gatti sono il covo preferito di
mosche e blatte, e le zanzare potrebbero diffondere le feci, e di conseguenza la toxoplasmosi, sul cibo),
non bere acqua non depurata,soprattutto se stai viaggiando verso paesi sottosviluppati.

DEFINIZIONE DI "INFEZIONE OSPEDALIERA"


Si definiscono infezioni ospedaliere "le infezioni che insorgono durante il ricovero in ospedale, o in
alcuni casi dopo che il paziente stato dimesso, e che non erano manifeste clinicamente n in
incubazione al momento dell'ammissione". Tutte le infezioni gi presenti al momento del ricovero
(con un quadro clinico manifesto o in incubazione) vengono, invece, considerate acquisite in
comunit (infezioni comunitarie), ad eccezione di quelle correlabili ad un precedente ricovero
ospedaliero. I pazienti rappresentano la popolazione a maggior rischio di infezione ospedaliera;

altre figure possono, per, contrarre, anche se meno frequentemente, una infezione in ospedale:
personale ospedaliero, personale volontario di assistenza, studenti, tirocinanti.
Per le infezioni nei neonati sono stati adottati criteri particolari: vengono, infatti, definite
comunitarie le infezioni acquisite per via transplacentare (es. Herpes simplex, rosolia,
toxoplasmosi, CMV e sifilide) ed insorte entro 48 ore dal parto. Vengono, invece, considerate
ospedaliere le infezioni acquisite durante il passaggio attraverso il canale del parto e le infezioni
che insorgono dopo 48 ore dalla nascita.
EPIDEMIOLOGIA
Aspetti di base
L'insorgenza di una infezione conseguenza della interazione tra un agente infettivo ed un ospite
suscettibile. Tale interazione pu verificarsi anche senza necessariamente dar luogo a malattia:
l'infezione insorge solo se si rompe l'equilibrio esistente per particolari caratteristiche del
microrganismo (patogenicit, virulenza, invasivit, dose infettante, variante antigenica, resistenza
al trattamento), per una condizione di maggiore suscettibilit dell'ospite oppure per particolari
modalit di trasmissione che fanno s che i microrganismi abbiano accesso diretto ad aree del
corpo normalmente sterili.
Si intende per serbatoio di infezione il luogo ove un determinato microrganismo riesce a
sopravvivere e in alcuni casi anche a moltiplicarsi.
Un ruolo centrale nella trasmissione delle infezioni svolto dalle mani del personale ospedaliero:
moltissimi microrganismi sia gram-positivi (S. aureus, S. epidermidis) che gram-negativi (E. coli,
Serratia, Enterobacter, Acinetobacter spp., Pseudomonas spp) sono in grado di colonizzare
temporaneamente o stabilmente le mani. Anche tutti i liquidi (farmaci, apparecchiature
contenenti liquidi ecc.) rappresentano un buon serbatoio per i microrganismi ed, in particolare,
per le Enterobacteriaceae, che per questo motivo sono molto frequentemente causa di infezioni
ospedaliere. Nel caso di gram-positivi, al contrario dei gram-negativi, il serbatoio e la fonte di
infezione sono in genere rappresentati dall'uomo (soggetti colonizzati o infetti).
L'ambiente ospedaliero (inteso come sistemi idrici, sistemi di ventilazione, superfici ambientali in
prossimit dei pazienti) gioca, al contrario di quanto si credesse alcuni anni fa, un ruolo nella
trasmissione solo di alcune ben determinate infezioni: alcune infezioni di origine comunitaria
(tubercolosi, varicella, morbillo che si trasmettono per via aerea), lo stafilococco aureo e lo
streptococco di gruppo A in sala operatoria, gli Aspergillus spp. (trasmessi per via aerea), la
Legionella (trasmessa attraverso i sistemi idrici e gli impianti di condizionamento dell'aria), il
Clostridium difficile, il virus dell'epatite B e il virus respiratorio sinciziale (per i quali stata
dimostrata una contaminazione ambientale in caso di epidemia).

FREQUENZA DI SPECIFICHE LOCALIZZAZIONI DI INFEZIONE

Le infezioni ospedaliere si distribuiscono in quattro principali localizzazioni, che rappresentano


l'80% circa di tutte le infezioni osservate: il tratto urinario, le ferite chirurgiche, l'apparato
respiratorio, le infezioni sistemiche (sepsi, batteriemie). Tra queste le pi frequenti sono le
infezioni urinarie, che da sole rappresentano il 35-40% di tutte le infezioni ospedaliere.
L'importanza relativa di ciascuna localizzazione di infezione varia nel tempo, in diversi reparti e in
diversi sottogruppi di pazienti. Per descrivere la frequenza di infezioni nel tempo e per specifici
gruppi di pazienti, si far riferimento al sistema di sorveglianza statunitense, perch solo in
questo Paese esiste un sistema di sorveglianza delle infezioni in funzione dagli anni '70. Il NNIS (il
sistema di sorveglianza statunitense) ha rilevato negli ultimi quindici anni un cambiamento nella
frequenza relativa delle localizzazioni di infezioni e della loro incidenza: all'inizio degli anni '80, le
infezioni urinarie rappresentavano il 40% delle infezioni ospedaliere rilevate, le infezioni della
ferita chirurgica il 20%, le polmoniti il 16% e le batteriemie il 6%. Nel 1990, la distribuzione di
queste infezioni era, invece, la seguente: infezioni urinarie 35%, infezioni della ferita chirurgica
18%, polmoniti 16%, batteriemie 11%. Le infezioni sistemiche stanno diventando via via pi
frequenti, come conseguenza di un graduale aumento dei fattori di rischio responsabili di queste
infezioni, quali le condizioni di rischio intrinseco del paziente, l'uso di antibiotici e di cateterismi
intravascolari.
FREQUENZA DI INFEZIONI OSPEDALIERE PER REPARTO E PER ESPOSIZIONE A PROCEDURE INVASIVE

I reparti nei quali si osserva una frequenza pi elevata di infezioni ospedaliere sono quelli che
ricoverano pazienti gravi e nei quali si effettuano interventi assistenziali invasivi: in particolare, i
reparti di terapia intensiva e i reparti chirurgici. Le infezioni segnalate a tale sistema di
sorveglianza rappresentano secondo alcune stime i due terzi di quelle realmente insorte: tali dati,
sono per utili per avere una idea di quali siano i reparti a maggior rischio di infezione
L'esposizione a procedure invasive rappresenta uno dei fattori di rischio pi forti per l'insorgenza
di complicanze infettive. Ci dovuto a: 1) accesso diretto dei microrganismi ad aree del corpo
normalmente sterili; 2) moltiplicazione dei microrganismi per le condizioni favorevoli che si
determinano (presenza di materiali plastici, di liquidi, creazione di nicchie ove i microrganismi
possono crescere); 3) contaminazione dei presidi stessi durante la produzione o al momento
dell'uso (mani del personale).
MICRORGANISMI RESPONSABILI DELLE INFEZIONI OSPEDALIERE E ANTIBIOTICO-RESISTENZA

Uno dei fenomeni pi preoccupanti dell'epidemiologia delle infezioni ospedaliere a livello mondiale
rappresentato dall'emergenza e rapida disseminazione di microrganismi con resistenze
antibiotiche. I microrganismi pi problematici da questo punto di vista sono gli enterococchi, gli
stafilococchi meticillino-resistenti, i gram-negativi, la Candida e i micobatteri tubercolari

multiresistenti.
Enterococchi. Gli enterococchi sono noti per la rapida emergenza di resistenze a molti antibiotici,
quali gli aminoglicosidi, le penicilline e, pi recentemente, i glicopeptidi.
Stafilococchi meticillino-resistenti (MRSA). Introdotti in una struttura sanitaria da un paziente o un operatore
colonizzati (soprattutto a livello delle narici) o infetti.
Bacilli gram-negativi. - Candida. - Micobatterio tubercolare multiresistente.
EPIDEMOLOGIA E PROFILASSI DELLE INFEZIONI OSPEDALIERE

Le infezioni ospedaliere sono la complicanza pi frequente e grave dellassistenza sanitaria. Si definiscono


cos infatti le infezioni insorte durante il ricovero in ospedale, o dopo le dimissioni del paziente, che al
momento dellingresso non erano manifeste clinicamente, n erano in incubazione. Sono leffetto della
progressiva introduzione di nuove tecnologie sanitarie, che se da una parte garantiscono la sopravvivenza a
pazienti ad alto rischio di infezioni, dallaltra consentono lingresso dei microrganismi anche in sedi corporee
normalmente sterili. Un altro elemento cruciale da considerare lemergenza di ceppi batterici resistenti agli
antibiotici, visto il largo uso di questi farmaci a scopo profilattico o terapeutico.
Negli ultimi anni lassistenza sanitaria ha subito profondi cambiamenti. Mentre prima gli ospedali erano il
luogo in cui si svolgeva la maggior parte degli interventi assistenziali, a partire dagli anni Novanta sono
aumentati sia i pazienti ricoverati in ospedale in gravi condizioni (quindi a elevato rischio di infezioni
ospedaliere), sia i luoghi di cura extra-ospedalieri (residenze sanitarie assistite per anziani, assistenza
domiciliare, assistenza ambulatoriale). Da qui la necessit di ampliare il concetto di infezioni ospedaliere a
quello di infezioni correlate allassistenza sanitaria e sociosanitaria (Ica).
Fattori di rischio
Le persone a rischio di contrarre unIca sono innanzitutto i pazienti e, con minore frequenza, il personale
ospedaliero, gli assistenti volontari, studenti e tirocinanti. Tra le condizioni che aumentano la suscettibilit
alle infezioni ci sono:
et (neonati, anziani)
altre infezioni o gravi patologie concomitanti (tumori, immunodeficienza, diabete, anemia,
cardiopatie, insufficienza renale)
malnutrizione
traumi, ustioni
alterazioni dello stato di coscienza
trapianti dorgano.
Modalit di trasmissione
Ecco i principali meccanismi di trasmissione delle Ica:
contatto diretto tra una persona sana e una infetta, soprattutto tramite le mani
contatto tramite le goccioline emesse nellatto del tossire o starnutire da una persona infetta a una
suscettibile che si trovi a meno di 50 cm di distanza
contatto indiretto attraverso un veicolo contaminato (per esempio endoscopi o strumenti chirurgici)
trasmissione dellinfezione a pi persone contemporaneamente, attraverso un veicolo comune
contaminato (cibo, sangue, liquidi di infusione, disinfettanti, ecc)
via aerea, attraverso microrganismi che sopravvivono nellaria e vengono trasmessi a distanza.
Tipologia delle infezioni
Circa l80% di tutte le infezioni ospedaliere riguarda quattro sedi principali: il tratto urinario, le ferite
chirurgiche, lapparato respiratorio, le infezioni sistemiche (sepsi, batteriemie). Le pi frequenti sono le
infezioni urinarie, che da sole rappresentano il 35-40% di tutte le infezioni ospedaliere. Tuttavia, negli ultimi

quindici anni si sta assistendo a un calo di questo tipo di infezioni (insieme a quelle della ferita chirurgica) e a
un aumento delle batteriemie e delle polmoniti.
Laumento delle infezioni sistemiche la conseguenza di un graduale aumento dei fattori di rischio specifici,
in particolare luso abbondante di antibiotici e di cateterismi vascolari.
Per quanto riguarda i microrganismi coinvolti, variano nel tempo. Fino allinizio degli anni Ottanta, le
infezioni ospedaliere erano dovute principalmente a batteri gram-negativi (per esempio, E. coli e Klebsiella
pneumoniae). Poi, per effetto della pressione antibiotica e del maggiore utilizzo di presidi sanitari di materiale
plastico, sono aumentate le infezioni sostenute da gram-positivi (soprattutto Enterococchi e Stafilococcus
epidermidis) e quelle da miceti (soprattutto Candida), mentre sono diminuite quelle sostenute da gramnegativi.
La resistenza agli antibiotici
Tra i batteri gram-positivi, quelli con maggiore resistenza agli antibiotici sono Staphylococcus
aureus resistente alla meticillina (-oxacillina), gli pneumococchi resistenti ai beta-lattamici e multiresistenti,
gli enterococchi vancomicina-resistenti. Tra i gram-negativi, le resistenze principali sono le beta-lattamasi a
spettro allargato in Klebsiella pneumoniae, Escherichia coli, Proteus mirabilis, la resistenza ad alto livello
alle cefalosporine di terza generazione tra le specie di Enterobacter e Citrobacter freundii, le multiresistenze
osservate in Pseudomonas aeruginosa, Acinetobacter eStenotrophomonas maltophilia.
Inoltre, a partire dal 1988 sono state segnalate negli Stati Uniti numerose epidemie di tubercolosi
multiresistente in ospedale fra pazienti sieropositivi. Negli anni Novanta segnalazioni simili sono state
riportate anche in Europa (Italia, Gran Bretagna, Francia, Spagna), tutte accomunate da una letalit
elevatissima (72-90%), da un intervallo breve tra esposizione e sviluppo della malattia e tra diagnosi e
decesso. La tubercolosi multiresistente rappresenta un rischio consistente per gli operatori sanitari.
Prevenzione
Non tutte le infezioni correlate allassistenza sono prevenibili: , quindi, opportuno sorvegliare selettivamente
quelle che sono attribuibili a problemi nella qualit dellassistenza. In genere, si possono prevenire le
infezioni associate a determinate procedure, attraverso una riduzione delle procedure non necessarie, la scelta
di presidi pi sicuri, ladozione di misure di assistenza al paziente che garantiscano condizioni asettiche.
Le Ica hanno un costo sia in termini di salute che economici, sia per il paziente che per la struttura. Da qui la
necessit di adottare pratiche assistenziali sicure, in grado di prevenire o controllare la trasmissione di
infezioni sia in ospedale che in tutte le strutture sanitarie non ospedaliere. Occorre cio pianificare e attuare
programmi di controllo a diversi livelli (nazionale, regionale, locale), per garantire la messa in opera di quelle
misure che si sono dimostrate efficaci nel ridurre al minimo il rischio di complicanze infettive.

IGIENE: si occupa dei problemi inerenti la difesa e la promozione della salute individuale e collettiva. Essa
studia i fattori condizionanti lo stato di salute (FATTORI DI RISCHIO e FATTORI PROTETTIVI) e concorre
con altre discipline ad individuare gli strumenti per
Modificare opportunamente lambiente
Aumentare le capacit di resistenza dellorganismo allazione delle cause offensive esterne
Prevenzione PRIMARIA
Informare, formare ed educare
Se necessario: obbligare, proibire
Contrastare lazione dellambiente di vita e di lavoro degli agenti eziologici e dei fattori di rischio
Favorire la realizzazione di favorevoli condizioni ambientali, culturali, sociali ed economiche
Identificare i soggetti con comportamenti a rischio

Aumentare le resistenze e le difese individuali


Favorire la realizzazione dei prerequisiti per la salute
(pace, alloggio, educazione, cibo, reddito, ambiente sicuro di vita, ecosistema stabile, risorse
sostenibili, giustizia sociale ed equit)
Prevenzione SECONDARIA
Si attua nel periodo di latenza o di incubazione
di fondamentale importanza quando:
fallita o mancata la prevenzione primaria
Non esiste prevenzione primaria efficace e/o attuabile
Programmi di SCREENING per la prevenzione SECONDARIA

Screening = Vaglio, Separazione


Sani

Sani con elementi di


avvenuta esposizione

PREVENZIONE

PREVENZIONE

PRIMARIA

SECONDARIA

Malati asintomatici
Diagnosi
TERAPIA

PREREQUISITI dei programmi di SCREENING

Rilevanza sociale (diffusione o gravit) della patologia oggetto di screening

Disponibilit di trattamenti efficaci

Disponibilit di servizi di 2 livello per approfondimento diagnostico

Esistenza di uno stadio pre-clinico individuabile

Disponibilit di un test attuabile e a rischio accettabile

Accettabilit del test da parte della popolazione

Definizione di parametri di normalit

Rapporto favorevole costi-benefici

Attuazione continuativa del programma

PATOLOGIA CRONICA-DEGENERATIVA

Ambientali,comportamentali,
multipli,aspecifici,
in genere ad azione lenta
Per lo pi lunga(anni o decenni)
Spesso subdolo e lento
Cronico
Sfavorevole (in genere)
Allunga il decorso (pi malati)

Caratteristiche delle malattie sociali


1) Larga diffusione nella popolazione (ed alta incidenza) e continuit di alta frequenza,
2) gravi ripercussioni di ordine economico e sociale determinati da queste popolazioni
3) gravit di danni che provocano nel singolo individuo colpito (es meningite)
Tumori: Malattia ad eziologia non certa, di cui si conoscono i Fattori di rischio: agenti fisici, agenti
chimici, agenti virali ed ormonali
Malattia reumatica: malattia delle articolazioni rilevante danno economico per il singolo poich
colpisce in et lavorativa.
Malattie cardiovascolari: ereditariet, fattori genetici, sesso, alti tassi di colesterolo e trigliceridi.Fattori
di rischio: alterate abitudini alimentari, fumo e riduzione attivit fisica
Stati dismetabolici: obesit, alto indice di mortalita e le malattie correlateFattori di rischio: scorretta
abitudine alimentare
Tossicosi da stupefacenti: stato di intossicazione periodica e cronica nociva allindividuo e alla societ
causata da droga naturale o sintetica (OMS) la cui causa individuata nella costituzione psicologica del
tossicodipendente e nellambiente in cui vive
Uso e abuso di alcool: forma di bere che nella sua estensione eccede il tradizionale ed abituale uso
dietetico o la sua condiscendenza alle abitudini sociali di bere della comunit (OMS)causa malattie
collegate e problemi sociali
Tabagismo: responsabile del 30% dei tumori totali e 80% di quelli polmonari. Uso legato al
comportamento individuale.Provvedimenti legislativi: divieto di propaganda pubblicitaria, divieto di
vendita ai minori di 14 anni, divieto di fumo nei luoghi pubblici

Le malattie cardiovascolari
Sono responsabili di un terzo delle morti a livello mondiale e rappresentano la principale causa di morte
nei Paesi sviluppati.
In Italia nel 1990 le malattie cardiovascolari sono state responsabili di oltre il 43% della mortalit
generale. Tuttavia, nel corso degli ultimi decenni, la mortalit notevolmente diminuita
Dal punto di vista epidemiologico, attualmente, rivestono grande importanza:
la cardiopatia ischemica,
lipertensione arteriosa
le malattie circolatorie dellencefalo (ictus cerebrale).
Nonostante landamento in discesa della mortalit quindi, la patologia cardiovascolare tuttora un
rilevante problema sanitario e sociale, sia in termini di spesa sanitaria che in termini di disabilit e
bisogno di assistenza.
Cardiopatia ischemica (C.I.)
E linsufficienza cardiaca, acuta o cronica, derivante dalla riduzione o arresto dellapporto
di sangue al miocardio, in associazione con processi patologici nel sistema delle arterie
coronariche.
La riduzione dellapporto ematico , nella maggior parte dei casi, conseguenza delle lesioni
aterosclerotiche insorte nel corso degli anni per il depositarsi dei grassi e il restringimento progressivo del
lume vasale.
La presenza dellateroma, la formazione di un trombo a livello della placca ateromasica calcificata o
ulcerata, oppure uno spasmo, potrebbero dar luogo allocclusione repentina del vaso, con stato ischemico
e conseguente infarto del miocardio.
Epidemiologia delle C.I.
Le manifestazioni cliniche pi tipiche delle C.I. sono:
Angina pectoris;
Infarto del miocardio;
Morte improvvisa (da pochi minuti fino a 24 ore
dallinsorgenza della sintomatologia acuta);
Scompenso cardiaco e aritmie non mortali (pi
frequenti nelle persone anziane)

Il rischio di C.I. come tutte le malattie cardiovascolari, basso in et giovanile ma aumenta


esponenzialmente dai 45 anni in poi negli uomini e dai 55 anni in poi nelle donne In unet compresa tra i
35 e i 74 anni il rischio di morte per C.I. complessivamente maggiore nelluomo che nella donna. Tale
differenza tende per progressivamente a ridursi con lavanzare dellet fino ai 75 anni, quando il rischio
diviene simile in entrambi i sessi
Lincidenza della C.I. nella popolazione registra
differenze geografiche importanti.
Nei Paesi
sviluppati

Sono le classi socioeconomiche


pi basse a presentare una pi
alta prevalenza dei fattori di
rischio e quindi una pi alta
incidenza di malattia e mortalit.

Nei paesi in
via di sviluppo

Limpatto maggiore a carico dei


gruppi di popolazione
socio economicamente
pi svantaggiati.

Numerosi studi epidemiologici negli anni hanno portato a delineare linsieme dei fattori di rischio, capaci
di mettere in relazione la prevalenza della C.I. in varie popolazioni e il loro
ambiente di vita.
I fattori di rischio
let
il sesso
la storia familiare positiva per la malattia coronarica
la predisposizione genetica
lobesit
lipertensione
lipercolesterolemia
Sono distinti in:

MAGGIORI: ipercolesterolemia (pi elevato il livello di

HDL tanto minore il rischio di C.I. mentre il contrario

avviene per LDL) e il fumo di sigaretta (in particolare il

monossido di carbonio e nicotina).

MINORI: diabete e la ridotta tolleranza al glucosio,

lereditariet, la scarsa attivit fisica e lobesit


Gli stress psico-emotivi sono importanti come fattori scatenanti nei soggetti con lesioni coronariche
preesistenti. Lesposizione ai fattori emotivi difficilmente quantificabile per cui sfugge ad unaccurata
valutazione epidemiologica.

Prevenzione

I principali obiettivi sono:

primaria

riduzione dei livelli medi di colesterolemianegli adulti(200 mg/ml)


diminuzione di NaCl nella dieta (<5 g/die)
eliminazione del fumo di sigaretta
aumento dellattivit fisica
regime dietetico normocalorico e variato

Prevenzione

Prevenzione delle C.I.

Secondaria

Riduzione o rimozione dei fattori di rischio


gi presenti, insistendo sulla necessit che i
soggetti a rischio (ultraquarantenni,
ipercolesterolemici, infartuati, ipertesi,
fumatori) modifichino lo stile di vita.
Senza la rimozione dei fattori di rischio,
lassunzione di farmaci ipocolesterolemizzanti,
potensivi, betabloccanti e calcio-antagonisti, sebbene
efficace, non in grado di attivare il
programma di prevenzione secondaria.

Ipertensione arteriosa
Gli studi epidemiologici sullipertensione presentano notevoli difficolt perch i valori di pressione arteriosa
non sono costanti ma variano in rapporto a molteplici fattori:
la posizione in corso di determinazione,
lattivit fisica,
le condizioni psicologiche e fisiche,
lorario della determinazione (bioritmo)
latteggiamento di chi effettua il rilevamento
Ipertensione arteriosa In condizioni standard le uniche variabili sono rappresentate dallet e dal sesso. In
tutte le popolazioni, con lavanzare dellet, aumenta la prevalenza dellipertensione.
In Italia lipertensione responsabile del 6,3% della mortalit per malattie cardiovascolari.

Prevenzione:
PREVENZIONE PRIMARIA : Si

traduce in uno stile di vita teso alleliminazione dei fattori di rischio;

principalmente nel contenere il consumo di NaCl, nel mantenere il peso forma e nel limitare il consumodi
alcool.
PREVENZIONE SECONDARIA: Si

effettua mediante la somministrazione di farmaci ipotensivi

a tutti i soggetti con valori maggiori di quelli soglia. Ci realizzabile negli individui con ipertensione grave
(piccola quota di ipertesi) ma leffetto epidemiologico minimo. prioritaria, pertanto, lidentificazione degli
individui asintomatici.

Ictus cerebrale

la manifestazione clinica fondamentale della malattia cerebrovascolare e si manifesta con segni clinici, a
rapido sviluppo, di turbe delle funzioni cerebrali di tipo focale o globale, della durata di oltre 24 ore o che
portano a morte.
Si distingue in due tipi:
su base emorragica (15%)
su base ischemica (85%) (tromboembolica)
Le cause delle lesioni vascolari, in rapporto alla sede, sono rappresentate:
dallemorragia subaracnoidea (deriva da anomalie vascolari
o da aneurismi congeniti),
dallemorragia cerebrale (consegue a microaneurismi
acquisiti)
dallinfarto cerebrale (la cui causa una una
tromboembolia originata da placche ateromatose delle grosse e
medie arterie)
Lictus rappresenta in Italia, come in gran parte dei paesi industrializzati, la terza causa di morte dopo i tumori
e le cardiopatie ischemiche, rappresentando l11-13% delle morti totali. Esso inoltre la pi importante causa
di invalidit nelle comunit occidentali.
La mortalit pi elevata nei maschi in tutti i gruppi di et ma lincidenza dellictus aumenta in modo
esponenziale in entrambi i sessi, con laumentare dellet, tanto che 3 episodi di ictus su 4 colpiscono persone
di et maggiore di 65 anni.
I fattori di rischio
LIPERTENSIONE ritenuta il principale fattore di rischio dellictus cerebrale.
Altri fattori importanti sono:
il fumo di sigaretta;
il diabete;
lalcool;
liperomocistinemia.
PREVENZIONE PRIMARIA: Si realizza con la scelta di uno stile di vita che eviti laumento dei

valori pressori mediante unalimentare equilibrata, povera di


sale e il ricorso allattivit fisica sistematica.
PREVENZIONE SECONDARIA : Consiste nella diagnosi precoce, ovvero con il trattamento dietetico
e farmacologico degli ipertesi.

DIABETE

E una sindrome dismetabolica ad andamento cronico, caratterizzata dallincapacit dellorganismo


di utilizzare normalmente il glucosio; la concentrazione di questo zucchero nel sangue
pertanto aumenta (iperglicemia) e pu comparire anche nelle urine (glicosuria) dove in condizioni
normali assente.
La diagnosi di diabete e di ridotta tolleranza al glucosio fondata essenzialmente sulla
rilevazione dei tassi glicemici a digiuno e dopo carico di glucosio.
Si distinguono 4 tipi di diabete mellito:
1) Insulino dipendente (tipo I)- Corrisponde al diabete giovanile, ed determinato da un danno irreversibile
delle isole del Langherans, con carenza insulinica pi o meno improvvisa.
E caratterizzato dallinizio rapido, con insulinemia bassa o assente e tendenza alla cheto-acidosi;
necessita quindi della terapia insulinica
Colpisce soprattutto let giovanile, inizia spesso in modo brusco ed ha la sua maggiore incidenza neimesi
invernali.
Secondo lipotesi eziologia pi attendibile, sarebbero in causa gruppi di virus (in particolare i virus
Coxsackie), la cui azione si esplicherebbe sia direttamente nei confronti delle cellule beta, sia
indirettamente attraverso meccanismi autoimmunitari
2) Non insulino-dipendente (tipo II)- E la forma di diabete di gran lunga pi frequente e
comprende la quasi totalit dei casi nelladulto. Colpisce di norma dopo i 40 anni. E dovuto ad una anomalia
della secrezione di insulina o della sua azione biologica I pi importanti fattori di rischio oggi accertati sono:

lobesit,

la sedentariet,

la carenza di fibre vegetali nellalimentazione,

il genotipo.

3) Associato ad altra patologia- In queste forme cliniche lintolleranza al glucosio sempre secondaria ad
altre cause ben accertate.
4) Diabete gestazionale- Si manifesta nelle donne con insorgenza del diabete o della ridotta tolleranza al
glucosio limitatamente al periodo della gravidanza

La prevenzione
Diabete non insulino-dipendente
La prevenzione della malattia diabetica pu essere effettuata efficacemente dal momento che il
fattore ereditario non viene attivato alla nascita, ma solo dopo lintervento degli altri fattori
di rischio, che abitualmente fanno sentire i loro effetti nellet adulta.
Diabete insulino-dipendente
La prevenzione allo stato attuale fuori dalle nostre possibilit.

TUMORI
Con il termine TUMORE (o CANCRO) sono indicate malattie che, che, pur pur avendo avendo in
in comune comune alcune alcune caratteristiche caratteristiche biologiche, biologiche, che sono
diversissime tra loro per cause determinanti sintomatologia sintomatologia e e per per i i mezzi
mezzi di di diagnosi diagnosi e e di di cura. cura.
Nella maggior parte dei casi si presenta :
*Insorgenza non improvvisa, si presenta in modo subdolo con decorso lento
*Non compare senza cause
*Pu guarire e questo avviene tanto pi facilmente quando la diagnosi precoce
*Pu portare a volte alla morte.
NEI PAESI SVILUPPATI I

La seconda causa di morte dopo

TUMORI RAPPRESENTANO

le malattie cardiovascolari; sia

OGGI

la mortalit globale per


neoplasie, sia quella specifica
per tipo di tumore, mostrano
una notevole variabilit geografica

TASSI DI MORTALITA'

Negli ultimi 50 anni, nelle aree occidentali crescita in aumento


esponenziale con l'et . In 21 anni aumentata del 40%

VALORI DELLA MORTALITA

Pi elevata negli uomini

esposti a sostanze cancerose sul lavoro

Tumori femminili sono curabili nel 50% dei casi (mammella


Cervice uterina)

I fattori di rischio delle neoplasie maligne


INDIVIDUALI

1. Sesso
2. Razza
3. Ereditariet
4. Progressi stati morbosi
ESTERNI

A. comportamentali
1. Fumo di tabacco
2. Alcool
3. Regimi dietetici (alimentazione e dieta)

4. Comportamenti sessuali
B. ambiente di vita
1. Inquinamento atmosferico(radiazioni naturali)
2. Inquinamento delle acque, del suolo, degli alimenti
3. Fattori iatrogeni
C. ambiente di lavoro
1.

produzione, manipolazione di sostanze mutagene e/o cancerogene

2.

Radiazioni diagnostiche

PREVENZIONE PRIMARIA

Si basa sulla rimozione degli agenti cancerogeni fisici,chimici, biologici,


riduzione all'esposizione delle sostanze presenti nell'ambiente

PREVENZIONE SECONDARIA

Diagnosi precoce, screening, intervento chirurgico o farmacologico

PREVENZIONE TERZIARIA Terapie farmacologiche

per la prevenzione delle recidive(metastasi) e

terapie riabilitative psico- fisiche


BRONCOPNEUMOPATIE CRONICHE OSTRUTTIVE

Le broncopneumopatie croniche ostruttive (B.P.C.O.) comprendono un gruppo di affezioni croniche, di solito


ostruttive, clinicamente anche molto differenti per il diverso grado di associazione dei sintomi della bronchite,
dellasma e dellenfisema.
Il decorso cronico caratterizzato, generalmente,dallostruzione delle vie bronchiali e dallipersecrezione di
muco
In passato le B.P.C.O. sono state considerate malattie minori, almeno rispetto ad altre dellapparato
respiratorio quali bronchiti e polmoniti. Negli ultimi decenni stato
registrato, un sensibile incremento di queste affezioni.
Le principali cause di tale incremento sono
Labitudine al fumo;
Laumento dellinquinamento atmosferico urbano;
Lincremento della produzione di sostanze tossiche ed irritanti;
Particolare importanza assume la BRONCHITE CRONICA, la patologia oggi pi diffusa.
I motivi sono:
La sindrome evolve frequentemente verso linsufficienza respiratoria ed il cuore polmonare cronico;
Provoca danni economici rilevanti per minor rendimento produttivo e maggior onere assistenziale;
Ha la possibilit di interventi di prevenzione primaria e secondaria.Bronchite cronica
I principali sintomi per una corretta diagnosi sono:

Presenza di tosse e catarro per almeno 3 mesi allanno o per almeno 2 anni consecutivi;
Assenza di altre particolari malattie suppurative croniche in siti circoscritti dei bronchi (bronchiectasie);
Ostruzione bronchiale che caratterizza, per, altre B.P.C.O
Si distinguono almeno tre forme di bronchite cronica:
Bronchite cronica semplice

Caratterizzata da
periodico e cronico
aumento delle secrezioni e
produzione di espettorato

Bronchite cronica
mucopurulenta

Caratterizzata da escreato
mucopurulento, senza una
particolare alterazione
broncopolmonare

Bronchite cronica ostruttiva

Diffuso restringimento delle


vie aeree intrapolmonari

I principali fattori di rischio evidenziati dagli studiepidemiologici sono:


Il fumo di tabacco
Linquinamento atmosferico
I fattori occupazionali
Le condizioni socio-economiche
Let infantile
La bronchite cronica pi frequente nei fumatori
Nei lavoratori esposti allinalazioni di polveri (minatori e operai di fonderie) viene osservata una maggiore
frequenza di bronchiti.
E ipotizzata una esposizione a fattori nocivi (in ambiente domestico, maggiore consumo di sigarette) tra gli
appartenenti a classi sociali pi basse.
L esposizione a fattori di rischio in et infantile (fumo passivo) sembra predisporre ad una frequenza
maggiore di bronchite cronica ostruttiva.

Prevenzione
Prevenzione primaria

Rimozione dei fattori casuali di

rischio come labolizione


dellabitudine al fumo, riduzione
dellinquinamento atmosfericio e la
protezione dei bambini al fumo
passivo
Prevenzione secondaria

Diagnosi precoce e terapia delle


alterazioni funzionali
eventualmente gi insorte. Utile
ricorrere alla vaccinazione da
effettuare, ad ogni inizio di
stagione, alle categorie a rischio.

IMPATTO AMBIENTALE DEGLI INQUINANTI

Inquinamento
dell'aria
Si considera inquinata un'aria che abbia una composizione chimica diversa da quella media determinata su campioni
prelevati in zone lontane da ogni fonte di inquinamento (v. tab. I). I principali agenti inquinanti presenti nell'aria sono le
polveri (o materiali particellati) e alcuni gas quali il diossido di zolfo, il monossido di carbonio, gli ossidi di azoto e
alcuni idrocarburi. Le polveri di origine artificiale (da combustioni, da lavorazioni meccaniche nell'industria e
nell'agricoltura, ecc.) si aggiungono a quelle gi presenti naturalmente (ceneri prodotte da eruzioni di vulcani o da
incendi di foreste, spruzzi vaporizzati di acqua marina, ecc.). Le particelle con diametro minore sono trattenute in aria
per molto tempo e in parte trascinate da correnti ascensionali fino alla stratosfera. Tra queste polveri ve ne sono anche di
quelle contenenti nuclidi radioattivi prodotti nelle esplosioni nucleari eseguite nell'atmosfera.
L'atmosfera depurata dalle particelle in sospensione per sedimentazione, nel caso delle pi grosse, per azione della
pioggia, nel caso di quelle minori; le particelle, infatti, funzionano, ad alta quota, come centri di cristallizzazione per il
vapor acqueo e sono poi trascinate gi dalla pioggia. A bassa quota le polveri sottili in sospensione nell'aria, come i fumi
(smoke), funzionando da centri di condensazione, danno luogo a goccioline d'acqua in sospensione formanti nebbia
(fog); ne risultano delle nebbie scure e contaminanti indicate con il termine smog (formato per fusione delle due
predette
parole).
Sia queste nebbie sia quelle comuni divengono pi nocive quando disciolgono gas inquinanti, perch ne aumentano la
concentrazione e la tossicit; il caso pi frequente si ha con il diossido di zolfo, che inoltre, in tali condizioni, si ossida
facilmente a triossido di zolfo (anidride solforica), formando quindi acido solforico, sostanza particolarmente corrosiva.
Viceversa, anche brezze locali deboli consentono efficaci diluizioni delle sostanze inquinanti. Pertanto, per prevedere
l'inquinamento che risulter dall'immissione nell'aria di una data quantit di gas o di fumo, occorre conoscere i dati
meteorologici locali. Essi si debbono per determinare a bassa quota e considerando anche l'influenza di ostacoli ai moti
dell'aria; tale micrometeorologia si differenzia dalla meteorologia comune che, per la previsione del tempo, si interessa
di venti in quota e del moto di grandi masse d'aria.
Un primo problema nell'esame dell'inquinamento dell'aria l'individuazione delle principali fonti di inquinamento e di
quelle
sostanze
che
possono
essere
prese
come
indici
per
la
loro
valutazione.
Attualmente si considerano tre tipi di fonti: gli impianti per il riscaldamento domestico e le centrali termiche, gli
autoveicoli
con
motore
a
scoppio
e
Diesel
e
le
industrie.
Per gli impianti termici generalmente si considerano come indici le concentrazioni del diossido di zolfo, delle ceneri e
della fuliggine (polveri); per gli autoveicoli quelle del monossido di carbonio e degli idrocarburi incombusti; per le
industrie, pur essendo gli agenti inquinanti i pi vari, poich tra questi il diossido di zolfo e le polveri sono
quantitativamente prevalenti, le loro concentrazioni possono essere usate come indici nel caso di grandi zone industriali
l grande apporto che gli impianti per il riscaldamento domestico recano all'inquinamento urbano dimostrato dalle
maggiori concentrazioni di fuliggini e soprattutto di diossido di zolfo che si riscontrano nell'aria urbana nei mesi in cui
si effettua il riscaldamento.
L'inquinamento dovuto agli autoveicoli nelle citt notevole e particolarmente dannoso alla popolazione, perch esso
prodotto nelle vie a livello del suolo, dove il ricambio dell'aria generalmente lento, e soprattutto perch, per i frequenti
e improvvisi ingorghi del traffico, si possono raggiungere forti concentrazioni locali di monossido di carbonio e di
prodotti vari derivati dall'incompleta combustione del carburante.
Quanto infine agli inquinamenti di origine industriale, essi sono costituiti da un gruppo assai eterogeneo di sostanze che
devono essere trattate caso per caso ai fini del controllo e dell'abbattimento, ma che debbono essere esaminate assieme
quando si affronta il problema dell'ubicazione delle nuove zone industriali o residenziali.
Valutazione delle conseguenze dell'inquinamento atmosferico
Danni alla salute. - In passato furono gli effetti tossici acuti sull'uomo che richiamarono l'attenzione delle autorit e
dell'opinione pubblica sui problemi dell'inquinamento atmosferico; attualmente, invece, i lontani episodi della valle
della Mosa (1-5 dicembre del 1930, con 20 morti), di Donora (Pennsylvania, 26-30 ottobre del 1948, con 20 morti), ecc.
rappresentano dei casi limite che ormai potrebbero difficilmente ripetersi, essendo le zone industrializzate sotto

controllo, almeno preventivo, specie quelle in localit meteorologicamente sfavorite. Ripetibili, sia pure in scala ridotta,
sono invece quei periodi di inquinamento con effetti subacuti, come quello di Londra del 1952, in cui i disturbi, pur
essendo meno vistosi, furono considerati la causa di un eccesso di mortalit di circa 3.500 persone, prevalentemente
malati cronici alle vie respiratorie o di cuore.
Attualmente sono i portatori di malattie come la bronchite cronica, l'enfisema e altre affezioni delle vie respiratorie che
subiscono il danno maggiore dell'inquinamento atmosferico urbano, specie se congiunto a condizioni meteorologiche
sfavorevoli. ancora difficile dimostrare la correlazione tra inquinamenti e malattie del tipo suddetto in quelle citt
dove le condizioni di inquinamento sono meno gravi, soprattutto perch prevalgono in molti individui i danni similari
conseguenti al fumo del tabacco; stato dimostrato che vi sinergismo tra le cause, cio l'effetto complessivo
maggiore della somma delle due. Pi semplici, e quindi pi numerose, sono le indagini sperimentali su animali, per
studiare le concentrazioni massime consentibili e anche per comprendere il meccanismo d'azione biochimico dei vari
inquinanti.
Danni ai materiali. - Occorre distinguere tra danni specifici prodotti da una sostanza che inquina l'aria nelle vicinanze
di un dato tipo di industria e danni generici causati in vaste zone dall'inquinamento complessivo prodotto da centri
industriali e urbani. Nel primo caso il problema di solito pi facilmente risolvibile con la prevenzione
dell'inquinamento, in quanto questo ha dimensioni limitate, e comunque anche i danni sono piccoli nel complesso
dell'economia. Nel secondo caso, invece, che quello generale, i danni sono assai pi vasti e la loro riduzione
necessariamente lenta; infatti, si tratta in prevalenza dell'azione del diossido di zolfo, di polvere e di fuliggine,
inquinanti che, come gi detto, non possono ancora essere completamente abbattuti in tutte le loro fonti.
Tali danni si manifestano come corrosione di molti materiali, specialmente metallici; l'azione corrosiva del diossido di
zolfo e dell'acido solforico che da esso deriva maggiore in presenza di materiale particellato che accelera questa
trasformazione. Ma anche la polvere e la fuliggine, da sole, insudiciando i materiali, portano a un loro deprezzamento e
rendono necessarie ripuliture pi frequenti che spesso ne accelerano l'usura, come nel caso dei tessuti.
e) Risultati acquisiti e previsioni nella lotta contro l'inquinamento atmosferico
Per valutare l'incidenza dei risultati acquisiti e fare qualche previsione per il futuro, occorre esaminare la situazione di
paesi nei quali l'intervento attivo nella lotta contro l'inquinamento atmosferico operante da oltre un decennio, come il
caso della Gran Bretagna. Qui infatti il primo Clean air act divenne legge nel 1956 e inoltre vi sono ampi dati sulle
emissioni e sufficienti misure dell'inquinamento, fin da prima dell'applicazione di tale legge. Dal raffronto risulta, dopo
la predetta data, una costante diminuzione dell'inquinamento da fumi e da diossido di zolfo nonostante che la
popolazione sia aumentata nel frattempo del 10% e la produzione di energia abbia avuto un incremento annuo del 17%;
a tali miglioramenti medi contribuiscono successi locali maggiori o minori, su cui influiscono molte cause. La
conclusione fondamentale che l'aumento dei consumi ancora compatibile con una riduzione dell'inquinamento
atmosferico, purch vengano presi efficaci provvedimenti amministrativi e tecnici. Come gi vi sono state le
trasformazioni profonde di alcune attivit, quale il passaggio, nelle ferrovie, dalla trazione a vapore a quelle Diesel ed
elettrica, anche per il futuro sono prevedibili cambiamenti profondi, come il prevalere, nella costruzione delle nuove
centrali termoelettriche, del tipo a energia nucleare su quello a combustibile convenzionale. Quest'ultima sostituzione
consentir anche di contenere l'aumento annuale dell'emissione di diossido di carbonio che, essendo solo lentamente
assorbito dagli oceani o fissato nel suolo come carbonato e non potendo essere assorbito dalle piante verdi, attraverso la
fotosintesi clorofilliana, in misura maggiore dell'attuale, va annualmente aumentando di concentrazione nell'atmosfera
(dal 1945 al 1970 di circa il 5%, raggiungendo le 320 ppm). Anche se ci non si ritiene possa per ora provocare danni,
un ulteriore aumento porterebbe a un corrispondente innalzamento della temperatura media terrestre. Tale effetto
globale sembra tuttavia destinato a essere pi che neutralizzato da un effetto inverso prodotto dall'aumento del
contenuto in polveri dell'atmosfera, che, diminuendo la trasparenza di questa, riduce l'irradiazione solare della Terra.
4.Inquinamento del suolo da rifiuti solidi
In passato i rifiuti solidi connessi con i consumi urbani erano in prevalenza biodegradabili e il loro utilizzo come
fertilizzanti era facilitato dalla vicinanza dei terreni agricoli. Attualmente invece, con l'aumento dell'uso di prodotti
industriali (carta, plastica, vetro, ecc.), la composizione chimica dei rifiuti assai variata ed essi non sono pi utilizzabili
come concimi senza una cernita. In generale, per, si trova ora pi conveniente bruciarli in impianti inceneritori, che si
autoalimentano come sorgente di calore e che anzi in alcuni modelli forniscono energia termica da utilizzare. Essi sono

forniti di adeguati sistemi di depurazione dei fumi, in modo da non provocare inquinamenti atmosferici; un particolare
problema rappresentato dalla combustione del cloruro di polivinile (tipo di plastica ora molto diffuso), che bruciando
d luogo ad acido cloridrico gassoso.
Una soluzione intermedia che forma oggetto di studio il cosiddetto compostaggio, costituito da parziale degradazione,
per combustione, dei residui solidi e loro utilizzazione come fertilizzante in agricoltura.
5.Altri inquinamenti
a) Inquinamento termico delle acque
Un aspetto particolare della contaminazione ambientale l'inquinamento termico, causato dall'impiego dell'acqua dei
fiumi e dei laghi per il raffreddamento di condensatori in centrali termiche e nucleari. In queste condizioni, infatti, si
provoca un innalzamento, sia pure lieve, della temperatura del fiume o del lago.
Tale variazione di temperatura pu indurre, in un corso d'acqua, un'alterazione degli equilibri ecologici, di cui non
spesso possibile valutare a priori le conseguenze; queste sono ancora pi gravi nei laghi, dove il prendere l'acqua pi
fredda negli strati pi bassi, restituendola quindi alla superficie del lago a una temperatura pi alta, pu provocare un
aumento della velocit di ricambio degli strati inferiori dell'acqua, che, insieme alla contaminazione termica, pu
causare un profondo rivolgimento degli equilibri limnici
Particolari sistemi di osservazione e di rilevamento a raggi infrarossi consentono di stabilire con esattezza, anche
operando a bordo di un aereo, i limiti e l'intensit dell'inquinamento termico.
Attualmente la necessit di limitare la contaminazione termica delle acque sta creando ulteriori difficolt alla
pianificazione degli insediamenti di centrali elettriche, sia termiche sia nucleari, specie in zone altamente popolate e
industrializzate, come per esempio nel bacino del Reno.
b) Inquinamento sonoro dell'ambiente
La produzione catena alimentare - come il cibo viene contaminato
Produzione
Produzione significa crescere le piante che raccolgono o alzando gli animali che usiamo per il cibo. Maggior parte degli
alimenti proviene da animali domestici e piante, e la loro produzione avviene in aziende agricole o ranch. Alcuni
alimenti vengono catturati o raccolti in natura, come alcuni pesci, funghi e selvaggina.
Molti inquinanti si accumulano lungo la catena alimentare
Esempi di contaminazione in produzione
Se gli organi riproduttivi di gallina sono infetti, il tuorlo di un uovo possono essere contaminati nella gallina
prima ancora di averla prevista.
Se i campi vengono irrorati con acqua contaminata per l'irrigazione, frutta e verdura possono essere contaminati
prima del raccolto.
Fish in alcune barriere tropicali pu acquisire una tossina da parte delle creature marine pi piccole che
mangiano.

Elaborazione
Elaborazione significa cambiare piante o animali in ci che noi riconosciamo e acquistare il cibo.Trattamento comporta
fasi diverse per diversi tipi di alimenti. Per la produzione, il trattamento pu essere semplice come pulizia e la cernita, o
pu coinvolgere rifilatura, affettatura, o triturazione e insaccamento. Il latte viene di solito trattati con pastorizzazione
che, a volte viene trasformato in formaggio. Frutta a guscio pu essere arrostito, tagliato, o terra (ad esempio con burro
di arachidi). Per gli animali, il primo passo del trattamento la macellazione. Carne e pollame possono poi essere
tagliato in pezzi o di terra. Essi possono inoltre essere affumicati, cotti o congelati e possono essere combinati con altri
ingredienti per fare una salsiccia o antipasto, come un potpie.

Esempi di contaminazione in Trattamento


Se l'acqua contaminata o ghiaccio usato per lavare, preparare, o frutta o verdura freddo, la contaminazione
pu diffondersi a tali elementi.
Burro di arachidi pu essere contaminata se arachidi tostate sono conservati in condizioni immonde o di entrare
in contatto con le arachidi contaminate prime.
Durante il processo di macellazione, gli agenti patogeni sulla pelle di un animale che provenivano dall 'intestino
pu entrare nel prodotto finale carne.
Distribuzione
Distribuzione di cibo significa ottenere dalla pianta agricola o di trasformazione al consumatore o di un centro di
assistenza alimentare come un ristorante, una caffetteria, o cucina dell'ospedale.Questo passaggio potrebbe comportare
il trasporto di alimenti solo una volta, come il trasporto su gomma di prodotti dall'allevamento al mercato degli
agricoltori locali. Oppure potrebbe coinvolgere molte fasi. Per esempio, tortini hamburger surgelati possono essere
trasportati da un impianto di trasformazione di carne a un fornitore di grandi dimensioni, conservato per alcuni giorni
nel magazzino del fornitore, ancora una volta trasportati ad un impianto di distribuzione locale per una catena di
ristoranti, e, infine, consegnato a un ristorante individuale.
Esempi di contaminazione di distribuzione
Se il cibo refrigerato viene lasciato su una piattaforma di carico per lungo tempo nella stagione calda, che pu
raggiungere temperature che permettono ai batteri di crescere.
Prodotti freschi pu essere contaminato se viene caricato in un camion che non stato pulito dopo il trasporto di
animali o prodotti animali.
Il contenuto di un barattolo di vetro che si rompe nel settore dei trasporti possono contaminare gli alimenti
vicini.

ECCO IL CASO DEL DDT


Pur non essendo pi utilizzato in Europa dagli anni 70, il DDT si ritrova ancor oggi nel
latte materno o nel grasso degli orsi del Polo Nord
Diossine, Furani, PCB, sono pericolosi perch:Si concentrano lungo la catena alimentare
-Bio accumulabilit

Interferenti endocrini
Gli studi tossicologici indicano che l'esposizione a livelli bassi di diossine durante i periodi cruciali dello sviluppo pu
indurre danni permanenti alla salute. Finora tuttavia, erano noti solo i meccanismi d'azione anti estrogenica delle
diossine, che determinano gli effetti - osservati sperimentalmente e sospettati clinicamente sul ciclo riproduttivo
femminile (in particolare,disturbi dell'ovulazione e infertilit).
Restavano per inspiegati, a livello molecolare, gli effetti a carico dell'apparato riproduttivo maschile, come il calo
della fertilit, o le malformazioni. Soprattutto, restava da chiarire l'origine delle manifestazioni pi fortemente associate
all'esposizione a diossine, come i disturbi della funzione immunitaria, alcuni tumori.
Per tutelare la salute pubblica pi importante controllare la quantit di diossine emesse giornalmente da un

impianto e non la concentrazione nei sui fumi la quantit di diossine emesse


dipende dalla Quantit di rifiuti inceneriti
Altri interferenti endocrini : PCB, BPA (bisfenolo A)ALT
ALTRI INQUINANTI: Metalli pesanti (mercurio e metilmercurio, cromo, ecc)
Radionuclidi (centrali nucleari)

Ambiente e salute
Fonti di inquinamento atmosferico
Lavorazioni industriali
Impianti termici
Traffico veicolare
Contaminanti atmosferici
Ossidi di zolfo (SO2 SO3)
Prodotto legato alla presenza di zolfo nei combustibili
Azione irritante sulle mucose
Ossidi di azoto (NO, NO2)
Traffico veicolare
Azione irritante sulle mucose
Contaminanti atmosferici
Monossido di carbonio (CO)
Prodotto della incompleta combustione
Intossicazione acuta (coma, morte)
Intossicazione cronica (cefalea, astenia,vertigini)
Ozono (O)
Prodotto della ossidazione fotochimica
Azione irritante sulle mucose
Polveri

Importanti quelle comprese fra 0,5 e 4


Asbesto (mesotelioma)
Inquinamento atmosferico e salute umana
Asma
Broncopatia cronica ostruttiva
Malattie cardiovascolari
Cancro al polmone
3 milioni di persone ogni anno muoiono per patologie correlate allinquinamento atmosferico
Il 30%-40% dei casi di asma ed il 20%- 30% dei casi di patologie respiratorie sono legate allinquinamento
Un aumento di 75 g/m3 di NO2 determina un incremento del 30% di morti per malattie respiratorie in bambini <5
anni
Rifiuti liquidi (liquami)
Acque nere
Acque bianche
Acque di scarico industriale

Fognature
Fognatura dinamica
Sistema unitario (insieme acque nere e
bianche)
Separato (per acque nere e bianche)
Misto (scaricatori di piena)
Fognatura statica (pozzo nero)

Smaltimento dei liquami


Trattamenti primari
Allontanamento materiali grossolani
(griglie o trituratori)
Separazione della sabbia (vasche, 30 cm/sec)
Separazione dei grassi
Sedimentazione primaria
Trattamenti secondari
Letti percolatori (vasche con fondo poroso)
Sistemi a fanghi attivi
Trattamento dei fanghi
Digestione dei fanghi (trattamento
biologico)
Le acque potabili

Disinfezione dei fanghi (cloro o calore)


Essiccamento dei fanghi
letti di essiccamento con sabbia e ghiaia
Smaltimento dei fanghi
Riutilizzo in agricoltura
Smaltimento in discarica
Incenerimento
Problemi legati agli effluenti degli
impianti di trattamento dei liquami
Eutrofizzazione (composti azotati
e fosforati)
Carica microbica residua (clorazione)

Approvvigionamento idrico
Requisiti di potabilit
Sistemi di potabilizzazione

Fonti di approvvigionamento idrico


Acque meteoriche
pure allorigine, possono contaminarsi durante la raccolta
pH acido (CO2)
Acque superficiali (laghi, fiumi, bacini)
Suscettibili di facile contaminazione
Composizione chimica estremamente variabileFonti di approvvigionamento idrico (2)
Acque telluriche
di falde superficiali (freatiche): pi facilmente contaminate
di falde profonde: pi difficilmente contaminate, generalmente pi dure
di vene rocciose: filtrazione limitata, caratteristiche chimiche variabili
Acque marine (e salmastre)
raramente utilizzate per lelevato costo della dissalazioneRequisiti di potabilit (1)
Caratteri organolettici

colore
odore
sapore
torbidit
Caratteri fisici
temperatura
conducibilit elettrica
pHRequisiti di potabilit (2)
Caratteri chimici
Valutazione del grado di mineralizzazione
Alcalinit totale
Residuo fisso (<1500 mg/l a 180)
Durezza temporanea (bicarbonati di Ca e Mg) e permanente (cloruri, nitrati, solfati, ecc. di Ca e Mg)
Solfati, Cloruri, Na e K, Fe
Indici di inquinamento organico
COD (Chemical Oxygen Demand, sostanze organiche ossidabili)
Prodotti della degradazione di sostanze organiche: ammoniaca, nitriti, nitrati, fosfati, H2 S, detergenti
Parametri chimici tossici
piombo, mercurio, arsenico, pesticidi, IPARequisiti di potabilit (3)
Caratteri batteriologici
Carica batterica totale (a 36 C e 22 C, rispettivamente <10 e <100 colonie per ml di acqua)
Indicatori di contaminazione fecale
Coliformi totali e fecali
Streptococchi fecali (inquinamento recente)
Clostridi solfito-riduttori (inquinamento remoto)
Sistemi di potabilizzazione
Correzione dei caratteri fisico-organolettici
Correzione dei caratteri chimici (durezza)
Correzione dei caratteri batteriologici
Filtrazione, UV, (calore)
Ozono, cloro
Clorazione
Clorazione semplice
clororichiesta: quantit minima di cloro richiesta dallacqua per realizzare lazione microbicida e la formazione di
clororesiduo attivo
si misura aggiungendo a campioni di acqua di egual volume dosi scalari di cloro (0,2 - 0,4 0,6 - 0,8 - 1,0 mg/l) e valutando il clororesiduo attivo con la colorazione allortotolidina

Microclima e inquinamento indoor


Il microclima linsieme dei fattori (temperatura, umidit, velocit dellaria, calore radiante) che regolano le condizioni
climatiche di un ambiente chiuso o semi-chiuso come ad esempio un ambiente di lavoro.
Considerando che la maggior parte della popolazione urbana trascorre il 75-80 % del tempo allinterno di edifici chiusi,
facilmente intuibile quale importanza rivesta la qualit del microclima per il benessere delluomo.
Il corpo umano, per le sue caratteristiche termiche, pu essere paragonato ad una macchina termica alimentata da
combustibili sotto forma di alimenti che vengono trasformati parte in lavoro (10-20%) e in massima parte in calorie (8090%). Essendo, poi,
costretto a mantenere costante la sua temperatura interna, cio quella degli organi pi
importanti (sistema nervoso centrale, cuore, polmoni, ecc.), deve essere in grado di dissipare nellambiente il calore
metabolico che viene prodotto in eccesso, specie quando si incrementa il lavoro meccanico muscolare o si riduce la
cessione di calore se in ambienti caldo umidi.
La quantit di calore prodotto da un individuo a completo riposo di circa 1,2
Kcal/min, corrispondente a circa 70 Kcal/ora ed a 1700 Kcal/giorno (metabolismo di
base), corrispondente cio al consumo energetico di base per la normale attivit degli
organi viscerali (60%) e dei muscoli (20%).
Nel corso di qualsiasi attivit fisica si ha un aumento delle produzione di calore proporzionale al tipo di attivit svolta, si
parla cos di lavoro moderato quando
richiesto un dispendio energetico non superiore a 2,5 Kcal/min, lavoro medio compreso tra 2,5 Kcal/min e 5 Kcal/m,
lavoro pesante se superiore a 5 Kcal/min.
La termodispersione

Leccessivo calore prodotto viene smaltito quasi esclusivamente per via cutanea
attraverso vari meccanismi fisiologici:
Conduzione-Convenzione
Il corpo cede calore a tutto ci cui strettamente a contatto: vestiti, aria che ci circonda; questultima a sua volta
riscaldandosi va verso lalto richiamando altra aria pi fresca che a sua volta viene riscaldata e cos via. evidente che
se la temperatura dellaria elevata questo meccanismo si annulla, potendo cos diventare negativo e indurre un
riscaldamento nella cute (superando i 30-32 C di T ambientale). Con questo meccanismo il corpo cede dal 25 al 30%
del calore.
Irraggiamento
Il corpo umano in grado di emanare calore mediante onde elettromagnetiche trasferendo cos energia termica verso
corpi pi freddi (pareti, mobili, etc). Con questo meccanismo si riesce ad eliminare il 45-50% di tutto il calore prodotto.
Anche questo meccanismo risente per dello stato termico degli oggetti circostanti: in presenza di forti
fonti di calore (caldaie, forni di fonderie, etc), lirraggiamento pu diventare negativo, cio il corpo pu surriscaldarsi
per lelevato calore proveniente da queste fonti.
Evaporazione
Consiste nel passaggio dellacqua dallo stato liquido a quello gassoso (1 gr. dacqua evaporato a 30 C sottrae al corpo
0,58 Kcal.)
Levaporazione interviene quando la temperatura ambiente raggiunge i 35 C, quando cio viene a cessare la
termodispersione con le modalit della conduzione-convezione e dellirragiamento.
un meccanismo che avviene attraverso queste tre modalit fisiologiche: lespirazione, la perspiratio insensibilis (in
riposo ed a temperatura bassa), la sudorazione (nel lavoro muscolare e a temperatura elevata).
- Espirazione: si verifica durante la normale respirazione quando laria inspirata di temperatura inferiore a quella
corporea, mentre laria espirata abbandona i polmoni con una temperatura di 33-34 C ed una saturazione in vapore
dacqua al 100%.
- Perspiratio Insensibilis: consiste nella evaporazione costante ed autonoma dalla pelle e dalle mucose che si svolge
indipendentemente dalla funzione delle ghiandole sudoripare. Questo meccanismo comporta una scarsa ma persistente
evaporazione dalla superficie cutanea: essa fa perdere in media nel corso di unora 25 gr di acqua, con una sottrazione di
14,5 Kcal/ora.
- Sudorazione: con la sudorazione invece si pu avere facilmente la perdita di 1 litro
di sudore per ora. Essa entra in gioco nel momento in cui la produzione calorica (lavoro fisico in ambiente caldo),
supera la perdita delle precedenti modalit di termodispersione.
Quanto pi laria ambiente satura di umidit tanto minore levaporazione; tanto pi
elevata la velocit dellaria tanto pi essa favorita.
Levaporazione interviene nella misura del 20-30% della quota globale di calore che
lorganismo pu disperde
La situazione termica di un organismo pu quindi essere rappresentata mediante la
sua equazione di bilancio termico (BT) che, nella sua forma semplificata, viene espressa nel seguente modo:
BT=M C R E (*)
(*) dove:
M= calore metabolico prodotto dallorganismo. Pu essere distinto nelle due componenti: metabolismo basale e
dispendio energetico associato alla specifica attivit lavorativa.
C= quantit di calore scambiata per CONVEZIONE-CONDUZIONE
R= quantit di calore scambiata per IRRAGGIAMENTO.
E= quantit di calore dissipata attraverso lEVAPORAZIONE del sudore.
Il calore metabolico M sempre e soltanto positivo, quello di evaporazione sempre negativo, mentre il calore di
convezione C e quello di irraggiamento R possono
essere alternativamente di segno + o a seconda che gli scambi termici siano rispettivamente diretti dallambiente
alluomo o viceversa. Trascurabile la quantit di calore
scambiate per conduzione.
Quando il bilancio termico uguale a zero (BT=0) si ha la condizione ideale di omeotermia, cio la stabilit
dellequilibrio termico.
Se il bilancio termico supera lo zero (BT>0) la temperatura corporea aumenta; se il bilancio termico inferiore a zero

(BT<0) la temperatura corporea tende a diminuire.


Per cercare di mantenersi vicino alla neutralit termica, lorganismo attua dei meccanismi di compenso, sotto il diretto
controllo di zone ipotalamiche, che permettono di aumentare la quota di calore che viene ceduta (vasodilatazione
cutanea, riduzione del vestiario, riduzione dellattivit fisica, etc.) o di ridurla
(vasocostrizione cutanea, aumento del vestiario, aumento dellattivit fisica).
Perdurando condizioni climatiche incongrue lipotalamo stimola il sistema endocrino
verso una maggiore o minore increzione di ormoni (specialmente tiroidei) che provvedono a modificare i processi
metabolici.
Quando lequilibrio termico viene mantenuto con un minimo sforzo da parte dei sistemi di termoregolazione, le
corrispondenti condizioni microclimatiche possono essere definite di benessere termico e lindividuo non avverte n
freddo n caldo, ma esprime soddisfazione per la propria situazione termica
Con il termine di disconfort termico o disagio si intendono quelle condizioni
microclimatiche che danno luogo alla sensazione di caldo o di freddo (che gi richiedono un impegno dei meccanismi di
termoregolazione).
Si parla di stress termico o scompenso quando lorganismo non riesce pi a
mantenere costante la T interna potendo sfociare verso uno stato di vera e propria
malattia (colpo di calore, esaurimento, congelamento, assideramento).
Un ambiente di lavoro confortevole deve avere una temperatura tale da consentire
ai lavoratori di compiere la propria attivit senza alcun pericolo per la propria salute.
Abbiamo anche altri fattori che possono condizionare il benessere termico dellindividuo come per esempio: il vestiario
indossato, il tipo di attivit svolta nel lavoro, la
percezione soggettiva del caldo o del freddo.
Il corpo umano ha una temperatura interna costante di circa 37 gradi C, condizione necessaria a garantire il regolare
svolgimento di tutti i processi biochimici allinterno
dellorganismo e quindi la vita stessa.Variazioni della temperatura oltre i normali limiti
determinano sofferenze delle principali funzioni fisiologiche con ripercussioni pi o
meno gravi sulle capacit lavorative e, in condizioni estreme, manifestazioni patologiche.
Non esistono al momento attuale delle norme precise che prevedano dei valori
standard delle variabili microclimatiche salvo che per alcune lavorazioni particolari;
viene sempre prospettata la necessit generica di assicurare ai lavoratori un certo
benessere termico anche in funzione del lavoro svolto.
Dal punto di vista igienistico vengono considerate delle fasce di benessere termico
nellambito delle quali lorganismo ha minori necessit di correzioni, differenti a seconda delle stagioni:
20-25 C per la T dellaria;
50-60 % per lumidit relativa;
0,05-0,2 m/s per la ventilazione.
In generale si considerano adeguati per luomo valori di temperatura in inverno intorno ai 20 C ed in estate dagli 8 ai 3
C in meno della temperatura esterna, in funzione
di un tempo di permanenza nel locale pi o meno lungo; per quanto riguarda lumidit
relativa si cerca di mantenerla tra il 40-60% al fine di evitare lessiccamento delle vie
respiratorie o la condensa sulle superfici fredde (finestre) dei locali.
Negli ambienti dove il riscaldamento fornito da radiatori o apparecchi simili si
verifica una progressiva diminuzione dellumidit relativa; pertanto importante provvedere allinstallazione di
umidificatori idonei che riequilibrino il contenuto dellumidit dellaria (ad esempio le vaschette colme dacqua poste
sui radiatori, la presenza delle
piante, i vaporizzatori ad elettricit).
Nei luoghi di lavoro chiusi necessario far s che tenendo conto dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici ai quali sono
sottoposti i lavoratori, essi dispongano di aria salubre in quantit sufficiente. Laria dei locali chiusi di lavoro deve
essere, perci, convenientemente e frequentemente rinnovata.
microclima e inquinamento indoor
22Sicurezza e Salute nellAteneo
Se viene utilizzato un impianto di aereazione, esso deve essere mantenuto funzionante. Ogni eventuale guasto deve

essere segnalato.
Se sono utilizzati impianti di condizionamento dellaria o di ventilazione meccanica,
essi devono funzionare in modo che i lavoratori non siano esposti a correnti daria
fastidiose e/o dirette.
Gli impianti di condizionamento devono garantire:
un effettivo ricambio di aria in termini di volume;
limmisione di aria pura nellambiente di lavoro;
una disposizione delle bocche di immissione dellaria esterna e di quelle di
ripresa, tale da evitare qualsiasi contaminazione.
Per quanto riguarda un effettivo ricambio di aria nei posti di lavoro necessario
disporre di molte bocche di immissione ad esempio mediante controsoffittature forate. Le bocchette di ripresa devono
essere dotate di un sistema aspirante e disposte in
modo tale da garantire un effettivo ricambio dellaria ambientale (per es. in basso in
prossimit del pavimento). Infine, le prese daria esterne devono essere localizzate lontano da possibili fonti di
inquinamento (per es. lontano dalla superficie stradale) e dotate di un sistema filtrante.
La manutenzione sugli impianti deve essere tale da poterne garantire la conservazione di questi nelle migliori condizioni
di pulizia ed efficienza. In ambienti tipo ufficio
i filtri vanno puliti ogni sei mesi.
Misura delle caratteristiche fisiche del microclima
abbastanza facile al giorno doggi poter misurare le variabili del microclima sia singolarmente che in modo integrato.
La temperatura si misura mediante comuni termometri ad alcool o a mercurio.
La ventilazione mediante anemometri a filo caldo.
Per lumidit comune luso di igrometri o di un sistema a doppio termometro, il bulbo
di uno tenuto umido.
Per il calore radiante viene utilizzato il globo termometro ( costituito da un termometro a mercurio che incorporato in
una sfera di rame annerita).
Sistemi elettronici pi moderni e completi (centraline microclimatiche) consentono il
rilievo contemporaneo dei vari parametri e lintegrazione dei vari valori anche nel tempo.
In molti articoli di varie leggi e decreti sono comunque date delle indicazioni generiche circa le caratteristiche del
microclima negli ambienti di lavoro
Art. 2087 cod.civ. Obbligo per il datore di lavoro di adottare le misure che, secondo la particolarit del lavoro,
lesperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare lintegrit fisica e la personalit morale dei lavoratori
Art. 10 Legge 864/70 Nei locali utilizzati dai lavoratori deve essere mantenuta la temperatura pi confortevole e pi
stabile possibile in relazione alle circostanze
Allegato I, punto 7.1direttiva CEE 89/654 La temperatura dei locali di lavoro deve essere adeguata allorganismo
umano durante il tempo di lavoro, tenuto conto dei metodi di lavoro applicati e degli sforzi fisici imposti ai lavoratori
Allegato, punto 16.6.1 direttiva CEE 92/104 Nei luoghi di lavoro chiusi occorre provvedere affinch, in relazione ai
metodi di lavoro in uso ed allentit delle sollecitazioni fisiche a carico dei lavoratori,
questi ultimi dispongano di sufficiente aria fresca
Art.7 comma 1 DPR 303/56 modificato dal D.Lgs 626/94 A meno che non sia richiesto diversamente dalle necessit
della lavorazione, vietato adibire a lavori continuativi i locali chiusi che non abbiano le seguenti caratteristiche:
buona difesa contro gli agenti atmosferici
isolamento termico sufficiente
aperture sufficienti per un rapido ricambio daria
ben asciutti e ben difesi contro lumidit
Art. 9 DPR 303/56 modificato dal D.Lgs 626/94 Nei luoghi di lavoro chiusi i lavoratori devono disporre

di aria salubre in quantit sufficiente, leventuale impianto di aerazione deve essere sempre mantenuto
efficiente e si devono evitare correnti daria fastidiose
Art 11 DPR 303/56 modificato dal D.Lgs 626/94 Quando non conveniente modificare la temperatura di tutto
lambiente, si deve provvedere alla difesa dei lavoratori contro le temperature troppo alte o troppo basse mediante
misure tecniche localizzate o mezzi di protezione individuali

Ambienti termici
Convenzionalmente gli ambienti termici vengono distinti in:
1) AMBIENTI MODERATI
2) AMBIENTI CALDI
3) AMBIENTI FREDDI
Gli ambienti moderati sono principalmente caratterizzati da un moderato
grado dintervento alla termoregolazione corporea e in cui risulta facilmente realizzata la condizione di omeotermia
(mantenimento costante della T interna) del soggetto.
In concreto tali ambienti sono caratterizzati da:
condizioni ambientali piuttosto omogenee e con ridotta variabilit nel tempo;
assenza di scambi termici localizzati fra soggetto ed ambiente che abbiano
effetti rilevanti sul bilancio termico complessivo;
attivit fisica modesta e sostanzialmente analoga per i diversi soggetti;
uniformit del vestiario indossato dai diversi operatori
Gli ambienti caldi sono caratterizzati da un notevole intervento del sistema di termoregolazione umano al fine di
diminuire laccumulo di calore nel corpo.
Lazione termoregolatrice si esplica, come gi accennato, primariamente sul piano fisiologico mediante i meccanismi di
vasodilatazione dei vasi sanguigni cutanei (con aumento della temperatura della cute) e di sudorazione
Le caratteristiche degli ambienti caldi sono:
valori elevati di temperatura in relazione alle caratteristiche dellattivit svolta e del vestiario indossato dagli operatori;
possibili alti valori di umidit relativa dellaria e richiedenti un considerevole scambio termico per sudorazione al fine
di conservare lomeotermia;
variabilit della temperatura e dellumidit da postazione a postazione di lavoro;
disuniformit del livello di impegno fisico richiesto e del vestiario indossatodagli operatori.

Gli ambienti freddi sono caratterizzati da condizioni che richiedono un sensibile intervento del sistema di
termoregolazione umano per limitare la potenziale
eccessiva diminuzione della temperatura caratteristica dei diversi distretti ed in particolare del nucleo corporeo. Lazione
termoregolatrice si traduce sul piano fisiologico
nella vasocostrizione dei capillari cutanei, che comporta una diminuzione della temperatura della cute e nellincremento
della produzione di calore per via metabolica (di cui
i brividi e lorripilazione ne sono segni evidenti).
In concreto e con specifico riferimento alle attivit lavorative, gli ambienti freddi
presentano i seguenti aspetti fondamentali:
valori di temperatura bassi (indicativamente compresi fra 0 e 10C per ambienti moderatamente freddi e inferiori a 0C
per ambienti freddi severi);
contenuta variabilit spaziale e temporale delle condizioni;
attivit fisica e tipologia del vestiario indossato abbastanza uniformi.

Indici microclimatici
La sensazione soggettiva di benessere non dipende da uno solo dei relativi fattori
ambientali (temperatura, umidit, velocit dellaria, ecc.), bens dalla loro combinazione.
Per esprimere questo concetto, sono stati quindi studiati vari indici microclimatici che
sono lespressione della correlazione tra parametri ambientali e sensazioni soggettive
di benessere o disagio termico, ricavate da un gran numero di esperienze sperimentali in camere climatiche.
Tra i numerosi indici proposti gli Indici di Fanger, attualmente, sono tra i pi utilizzati per la determinazione di un

ambiente accettabile per lavori sedentari; essi consentono di poter valutare le condizioni microclimatiche di un ambiente
di lavoro in funzione del giudizio (caldo, freddo, confortevole) espresso dai soggetti in esame e del
loro eventuale disagio termico.
Se il complesso di fattori:
- resistenza termica del vestiario
- attivit fisica svolta
- parametri ambientali oggettivi

Gli indici di Fanger sono il PMV ed il PPD.


PMV (predicted mean vote o voto medio previsto):
esprime un voto medio previsto per la sensazione di benessere termico di un campione di soggetti posti nel medesimo
ambiente, i quali esprimono la propria sensazione termica soggettiva attraverso una scala psicofisica comprendente sette
voci.
Il PMV risulta un indice particolarmente adatto alla valutazione di ambienti lavorativi a microclima moderato, quali
abitazioni, scuole, uffici, laboratori di ricerca, ospedali, ecc.....
PPD (predicted percentage of disatisfied o percentuale prevista di insoddisfatti): individuato il valore medio della
sensazione termica espressa dalla popolazione di soggetti nei confronti dellambiente (PMV), Fanger ha correlato tale
valore numerico al grado
di insoddisfazione dei soggetti stessi individuando la percentuale di presumibili soggetti insoddisfatti associata ad ogni
valore dellindice PMV compreso tra +3 e -3.
Questi due indici, strettamente correlati tra loro, consentono di poter valutare le condizioni microclimatiche di un
ambiente di lavoro in funzione del giudizio (caldo, freddo, confortevole) espresso dai soggetti in esame e del loro
eventuale disagio termico.
Viene definito soggetto insoddisfatto quello che, nellambiente in esame si dichiarerebbe decisamente insoddisfatto,
ossia voterebbe -3, -2 oppure +2, +3.
La correlazione tra lindice PMV e PPD stata elaborata sulla base di ricerche sperimentali che hanno coinvolto
complessivamente circa 1300 soggetti indossanti abiti leggeri ed esposti per tre ore consecutive negli ambienti
climatizzati in prova.
Dallesame di tali ricerche emerso che anche in corrispondenza del valore medio (PMV=0) esiste comunque una
percentuale pari al 5% di soggetti insoddisfatti, ossia che voterebbero -3, -2, +2, +3; la percentuale di insoddisfatti
cresce rapidamente man manoche il valore dellindice PMV si discosta da zero.
La norma ISO 7730, tenendo conto che il mantenimento di un valore di PMV=0 in permanenza nei diversi punti di un
ambiente un livello difficilmente raggiungibile sul piano tecnico, propone come obiettivo concreto da raggiungere
negli ambienti di lavoro per il benessere dei lavoratori il range:
PMV=-0,5 e PMV=+0,5
Tale requisito, insieme al controllo dei fattori di disagio termico, dovrebbe consentire il raggiungimento di un valore
PPD=10% e il contenimento della percentuale reale di insoddisfatti al di sotto del 20%.
In conclusione un ambiente viene definito in condizioni di benessere termico per valori di PMV +/- 0,5 e PPD minore
del 10%, mentre le condizioni microclimatiche sono accettabili se la percentuale degli insoddisfatti non supera il 20%.

Igiene nell'ambiente
L'igiene ambientale riguarda quell'aspetto dell'igiene che mira e si interessa di tutela della salute negli ambienti di vita,
ovvero nei diversi contesti in cui le persone trascorrono la loro vita non lavorativa, intesi sia come spazi aperti:
l'ambiente outdoor, che confinati: l'ambiente indoor (l'ambiente urbano, quello domestico, i luoghi pubblici e anche i
mezzi di trasporto collettivo). Tutti gli ambienti sono soggetti a inquinamento, anche se di diverso tipo (gas di scarico di
automobili, emissioni industriali che ricadono su aree abitative ma anche le emissioni date a livello domestico da
mobili, arredi e prodotti per la pulizia, tutti fattori che causano un deterioramento della qualit dell'aria nell'ambiente).
La buona qualit dell'ambiente strettamente legata al mantenimento dello stato di salute dell'uomo, ma non solo, anche
delle altre specie animali che abitano in quel contesto; in quanto l'esposizione a contaminanti presenti in acqua,
aria, cibo, suolo e derivanti dai rifiuti possono avere molti effetti nocivi sul benessere e salute delle specie viventi. Per
mantenere una buona qualit ambientale sono quindi necessari provvedimenti di salvaguardia di essa in grado di ridurre
fattori di rischio per la salute. L'organismo che, a livello nazionale, si occupa di protezione e igiene ambientale
l'ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, istituito con la Legge 133/2008, con
modificazioni, del D.Legge 25 giugno 2008, n.112, che opera sotto la tutela del Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare. A livello regionale, le competenze in materia di igiene e controllo ambientale ricadano sulle ARPA,
agenzie regionali per la protezione dell'ambiente, istituite nella maggior parte delle regioni italiane a seguito del
Referendum popolare della primavera del 1993 che ha tolto la potest in materia ambientale alle ASL. Esse operano per
la prevenzione e la promozione della salute collettiva, indirizzando le loro risorse al conseguimento della massima
efficacia nell'individuazione e nella rimozione dei fattori di rischio per l'uomo e l'ambiente; in particolare, si occupano
di tutela della collettivit dai rischi sanitari connessi all'inquinamentoambientale attraverso azioni di monitoraggio
dell'inquinamento atmosferico ed acustico, da impianti di smaltimento di rifiuti solidi urbani, dalla detenzione e
smaltimento dei rifiuti speciali tossici e nocivi, delle qualit delle acque destinate al consumo umano, delle piscine
pubbliche o di uso pubblico, della qualit delle acque di balneazione, di scarichi civili, produttivi e sanitari; esse, inoltre,
si occupano della produzione di mappe di rischio ambientale e di valutazione dell'impatto ambientale-sanitario,
perseguendo gli obiettivi di protezione, attraverso i controlli ambientali che tutelano la salute della popolazione e la
sicurezza del territorio e la prevenzione, attraverso la ricerca, la formazione, l'informazione e l'educazioneambientale.
Igiene negli alimenti
L'igiene degli alimenti e dei prodotti alimentari in genere riguarda quella branca dell'igiene che comprende l'insieme
delle norme e delle misure applicative atte a garantire la salubrit e lasicurezza degli alimenti, intesa come
consapevolezza della qualit igienico-sanitaria, nutrizionale e organolettica degli alimenti, e della qualit ambientale dei
processi di produzione, trasformazione, preparazione e consumo dei cibi. La qualit e la sicurezza degli alimenti
dipendono dagli sforzi di tutte le persone coinvolte nella complessa catena della produzioneagricola, della lavorazione,
del trasporto, della preparazione, della conservazione e del consumo; proprio per questo, l'Organizzazione Mondiale
della Sanit intende la sicurezza alimentare come una responsabilit condivisa dal campo alla tavola. Per mantenere e
preservare la qualit e la sicurezza degli alimenti lungo l'intera filiera sono importanti procedure per garantire la
salubrit dei cibi e sistemi di monitoraggio per una garanzia che le operazioni vengano effettuate in maniera corretta;

tutto ci possibile grazie all'applicazione del quadro giuridico del settore alimentare incentrato sulla politica dai campi
alla tavola andando a coprire l'intera filiera alimentare, all'attribuzione al mondo della produzione della responsabilit
primaria di una produzione alimentare sicura, all'esecuzione di appropriati controlli ufficiali, alla capacit di attuare
efficaci e rapide misure di salvaguardia e correzione di fronte a emergenze sanitarie manifestate in qualsiasi punto della
filiera. Per quanto riguarda la normativa sono da citare il Libro Bianco sulla Sicurezza Alimentare (Bruxelles- 12
gennaio 2000) e soprattutto il Regolamento CE n.178/2002,dove si trovano i principi generali sui quali dovrebbe vertere
la politica europea in materia di sicurezza alimentare:
una strategia globale, integrata, applicata a tutta la alimentare (dai campi alla tavola),
una definizione chiara dei ruoli di tutte le parti coinvolte, per individuare le responsabilit di tutti gli operatori
della filiera,
la rintracciabilit degli alimenti destinati agli esseri umani e agli animali e dei loro ingredienti, al fine di
identificare ogni singolo prodotto finale,
la coerenza, l'efficacia e il dinamismo della politica alimentare, che deve confrontarsi con un sistema globale e
in continuo cambiamento, caratterizzato da innovazioni nei sistemi di produzione e che deve far fronte spesso a
episodi destabilizzanti in grado di arrecarne gravi danni all'immagine,
l'analisi dei rischi articolato in valutazione, gestione e comunicazione dei rischi, sia tra produttore, che verso il
consumatore,
l'indipendenza, l'eccellenza e la trasparenza dei pareri scientifici, in quanto gli esperti devono garantire
indipendenza da pressioni esterne, devono essere in grado di risolvere le controversie in materia di scientifica
con l'adeguato grado di autorevolezza e devono anche garantire l'accesso dei cittadini a risultati e
raccomandazioni scientifiche,
l'applicazione del principio di precauzione nella gestione dei rischi, che stabilisce la possibilit di adottare
misure di protezione restrittive anche in assenza di dati certi in materia,
la necessit di instaurare un dialogo continuo con i consumatori e garantire informazione, educazione e ascolto,
seguendo anche criteri legati ad altri fattori pertinenti, come considerazioni ambientali, benessere degli animali,
agricoltura sostenibile, aspettative dei consumatori quanto alla qualit dei prodotti, adeguata informazione e
definizione delle caratteristiche essenziali dei prodotti, nonch dei loro metodi di lavorazione e produzione.
Il regolamento ha, inoltre, istituito l'AESA (Autorit Europea per la Sicurezza Alimentare), che ha compiti fondamentali
che vanno dal parere scientifico indipendente su tutti gli aspetti relativi alla sicurezza alimentare, alla gestione di sistemi
di allarme rapido, alla comunicazione e al dialogo con i consumatori in materia di sicurezza alimentare e di questioni
sanitarie e la realizzazione di reti con le Agenzie nazionali e gli organismi specifici. Innovazione fondamentale
introdotta in Italia con il D.Lgs 155/97, in recepimento delle Direttive 93/43/CEE e 96/3/CE stato il sistema di
autocontrollo dell'igiene degli alimenti, l'HACCP (Hazard Analisis Critical Control Point), secondo cui tutte le aziende
sono tenute ad adottare tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza igienica e la salubrit dei prodotti alimentari
e quindi l'idoneit degli alimenti al consumo attraverso:
analisi del pericolo
identificazione dei punti di controllo critici
definizione di limiti critici
applicazione di procedure di sorveglianza
definizione di azioni correttive
procedure per la registrazione dei dati
procedure atte a verificare il funzionamento
I punti di controllo, definiti Critical Control Point devono essere individuati in azienda e devono rispondere a criteri ben
precisi per essere considerati tali: devono essere associati al pericolo individuato, interni al processo, misurabili e
standardizzabili e deve essere possibile l'applicazione di misure di contenimento del problema. In Italia, a livello locale,
la competenza per quanto riguarda l'igiene degli alimenti di completenza prevalentemente delle Unit Sanitarie Locali,
pi precisamente dei Servizi di Igiene degli Alimenti e della Nutrizione Sian, facenti parte dei Dipartimenti di
Prevenzione delle Ulss, con compiti di controllo direttamente sugli alimenti, sui requisiti strutturali e funzionali delle

imprese alimentari, verifica preliminare alla realizzazione e/o attivazione di imprese alimentari, tutela delle acque
destinate al consumo umano e altri compiti inerenti alla sicurezza alimentare
La raccolta differenziata come la raccolta idonea a raggruppare rifiuti urbani in
frazioni merceologiche omogenee, compresa la frazione organica umida, destinate al
riutilizzo, al riciclaggio ed al recupero di materia prima.
Mentre tale decreto non prescrive in maniera vincolante alcuna tipologia specifica di
raccolta differenziata, esso prevede buoni obiettivi di raccolta differenziata.
Tali obiettivi sono riportati nellart. 24, comma 1 che prevede che in ogni Ambito
Territoriale Ottimale (ATO) previsto nellart. 23 (di solito corrispondente ai confini
provinciali) sia:
assicurata una raccolta differenziata dei rifiuti urbani pari alle seguenti percentuali
minime di rifiuti prodotti:
a) 15% entro due anni dalla data di entrata in vigore del decreto;
b) 25% entro quattro anni dalla data di entrata in vigore del decreto;
c) 35% a partire dal sesto anno successivo alla data di entrata in vigore del decreto
Il coinvolgimento dei cittadini nel sistema di gestione dei rifiuti favorisce la loro sensibilizzazione alle problematiche
connesse con la gestione dei rifiuti e lo sviluppo di una coscienza ecologica e pu giocare un ruolo favorevole nella
promozione della riduzione alla fonte dei rifiuti.
Lintegrazione del progetto di raccolta differenziata nel pi generale piano di gestione
dei rifiuti urbani di fondamentale importanza tenuto conto che:
- la sola raccolta differenziata non in grado di risolvere tutti i problemi di gestione
dei rifiuti;
- il miglior piano di gestione quello che integra opportunamente una vasta
diversificazione di tecnologie di recupero (di materiali ed energia) e di
smaltimento;
- la raccolta differenziata pu contribuire a ridurre lincompatibilit di alcuni tipi di
rifiuto con i sistemi di recupero e di smaltimento previsti ovvero rendere possibili
modalit di recupero altrimenti impossibili (ad esempio compostaggio per la
produzione di compost di qualit)
- Tecnologie e gestione della raccolta differenziata
Tre modelli in uso per attuare la raccolta differenziata sono:
raccolta mediante contenitori stradali,
raccolta presso lutenza (sistema porta a porta),
conferimento a piattaforme di raccolta,
classificabili ulteriormente in base al tipo di utenza in raccolte a utenza generica e a
utenza specifica.

c)

Raccolta mediante contenitori stradali

sistema di raccolta differenziata ad utenza generica


contenitori di opportuna forma e dimensioni (in genere campane, cassonetti, o bidoni carrellati,
centri definiti comunemente isole o piazzole ecologiche )
Il sistema di raccolta mediante contenitori stradali molto utilizzato a causa della sua
intrinseca semplicit e per il fatto di poter essere applicato a numerosi materiali
(carta e cartone, contenitori per liquidi in vetro, plastica e metallo, sostanza organica,
vestiti e calzature usati).. Nel caso di raccolte monomateriale esiste il rischio di
contaminazione con materiali non desiderati, ovvero incompatibili con i successi
trattamenti di riciclaggio.
Da ci risulta necessario ricorrere ad ulteriori fasi di selezione che possono essere
manuali, automatiche o semiautomatiche; tale fatto ha suggerito di utilizzare i
contenitori stradali come dispositivi di raccolta differenziata multimateriale. Limpatto ambientale di questo sistema
deriva sostanzialmente dal fatto della
difficolt a localizzare i contenitori, in particolare nei centri storici, per occupazione di
suolo pubblico e per problemi estetici. Inoltre tale raccolta pu causare problemi di
traffico e rumorosit durante le operazioni di svuotamento.

Gestione dei rifiuti


Contenitori per la raccolta differenziata dei rifiuti
L'importanza sociale e ambientale di una corretta ed efficiente gestione dei rifiuti si pu evincere dallo stato delle strade
in caso di sospensione del servizio per sciopero
Per gestione dei rifiuti si intende l'insieme delle politiche volte a gestire l'intero processo dei rifiuti, dalla loro
produzione fino alla loro sorte finale, e coinvolgono quindi: la raccolta, il trasporto, il trattamento ( riciclaggio o
smaltimento) e anche il riutilizzo dei materiali di scarto, solitamente prodotti dall'attivit umana, nel tentativo di ridurre
i loro effetti sulla salute dell'uomo e sull'ambiente.
Un interesse particolare negli ultimi decenni riguarda la riduzione degli effetti dei rifiuti sulla natura e sull'ambiente e la
possibilit di recuperare risorse da essi, e la riduzione della produzione di rifiuti stessi
Principi del sistema integrato italiano
La strategia adottata dall'Unione Europea e recepita in Italia con il DL Ronchi del '97 [1] (abrogato e sostituito con il DL
152/06 Parte IV [2] e s.m.i.[3]) affronta la questione dei rifiuti delineando priorit di azioni all'interno di una logica di
gestione integrata del problema. Esse sono, come descritto nella predetta parte IV negli articoli 180 e 181 nell' ordine di
priorit definito dall'articolo 179:
Criteri di priorit (Art 179)
Sviluppo di tecnologie pulite

Ideazione e messa in commercio di prodotti che non contribuiscano o diano un contributo minimo alla
produzione di rifiuti ed all'inquinamento
Miglioramenti tecnologici per eliminare la presenza di sostanze pericolose nei rifiuti
Ruolo attivo delle amministrazioni pubbliche nel riciclaggio dei rifiuti e loro utilizzo come fonte di
energia
Prevenzione della produzione di rifiuti (Art. 180)
Corretta valutazione dell'impatto ambientale di ogni prodotto durante il suo intero ciclo vitale
Capitolati di appalto che considerino l'abilit nella prevenzione della produzione
Promuovere accordi e programmi sperimentali per prevenire e ridurre la quantit e pericolosit dei rifiuti
Attuare il DL 18 febbraio 2005 n. 59 e la direttiva 96/61/CE specifica per la riduzione e prevenzione
integrate dell'inquinamento
Recupero dei rifiuti (Art 181)
il riutilizzo, il reimpiego ed il riciclaggio
Produzione di materia prima secondaria trattando i rifiuti stessi
Favorire tramite misure economiche e capitolati nelle gare d'appalto il mercato dei prodotti reimpiegati
Uso dei rifiuti per produrre energia (recupero energetico (ossidazione biologica a freddo,
gassificazione, incenerimento)
Pertanto, se il primo livello di attenzione rivolto alla necessit di prevenire la formazione dei rifiuti e di ridurne la
pericolosit, il passaggio successivo riguarda l'esigenza di riutilizzare i prodotti (es. bottiglie, con il vuoto a rendere) e,
se non possibile il riuso, riciclare i materiali (es. riciclaggio della carta). Infine, solo per quanto riguarda il materiale
che non stato possibile riutilizzare e poi riciclare (come ad esempio i tovaglioli di carta) e il sottovaglio (ovvero la
frazione in piccoli pezzi indistinguibili e quindi non riciclabili di rifiuti, che rappresenta circa il 15% del totale), si
pongono le due soluzioni del recupero energetico tramite sistemi a freddo o a caldo, come la bio-ossidazione
(aerobica o anaerobica), la gassificazione, la pirolisi e l'incenerimento oppure l'avvio allo smaltimento in discarica.
Dunque anche in una situazione ideale di completo riciclo e recupero vi sar una percentuale di rifiuti residui da smaltire
in discarica o da ossidare per eliminarli e recuperare l'energia. Da un punto di vista ideale il ricorso all'incenerimento ed
alle discariche indifferenziate dovrebbe essere limitato al minimo indispensabile. La carenza di efficaci politiche
integrate di riduzione, riciclo e riuso fanno dello smaltimento in discarica ancora la prima soluzione applicata in Italia
ed in altri paesi europei [4]. Per quanto riguarda il recupero, esistono progetti ed associazioni che si occupano dello
scambio di beni e prodotti usati (per esempio Freecycle).
La prevenzione dei rifiuti
La prevenzione dei rifiuti consiste in un insieme di politiche volte a disincentivare, penalizzare economicamente o
addirittura vietare la produzione di materiali e manufatti a ciclo di vita molto breve e destinati a diventare rifiuti senza
possibilit di riuso. Soggetti interessati possono quindi essere tanto le imprese quanto i comuni cittadini, incentivati a
ridurre a monte la produzione dei rifiuti, ad effettuare la raccolta differenziata. Oltre ad uno stimolo "etico", tali soggetti
possono anche essere incentivati da una riduzione della TARSU, ad esempio quando ricorrano al compostaggio
domestico (si consideri che la frazione organica comunque una parte molto significativa dei rifiuti delle famiglie).
Il trattamento dei rifiuti
Il trattamento dei rifiuti consiste nell'insieme di tecniche volte ad assicurare che i rifiuti, qualunque sia la loro sorte,
abbiano il minimo impatto sull'ambiente.
Pu riguardare sostanze solide, liquide o gassose, con metodi e campi di ricerca diversi per ciascuno.
Le pratiche di trattamento dei rifiuti sono diverse tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, tra citt e campagna e a
seconda che i produttori siano residenziali, industriali o commerciali. Il trattamento dei rifiuti per gli utenti residenti e
istituzionali nelle aree metropolitane solitamente responsabilit delle autorit di governo locale, mentre il suo
trattamento per utenti commerciali e industriali solitamente responsabilit di colui che ha prodotto i rifiuti.
Lo schema seguente riassume le modalit e le filiere per il trattamento dei rifiuti solidi urbani secondo le attuali
politiche di gestione in Italia.

Naturalmente, si tratta di uno schema teorico che non sempre, non completamente e non dappertutto, attuato allo
stesso modo e soprattutto solo una delle possibili modalit di gestione dei rifiuti. Evoluzioni tecniche e/o differenti
indirizzi e priorit di gestione dei rifiuti possono comportare modifiche sostanziali allo schema, ma esso fornisce
comunque uno schema di massima e le corrette terminologie riguardanti l'argomento. [5]
La filiera della raccolta differenziata
I rifiuti raccolti in maniera differenziata possono sostanzialmente essere trattati, a seconda del tipo, mediante due
procedure:
1. riciclaggio, per le frazioni secche;
2. compostaggio, per la frazione umida.
Riciclaggio dei rifiuti
Il riciclaggio comprende tutte le strategie organizzative e tecnologiche per riutilizzare come materie prime materiali di
scarto altrimenti destinati allo smaltimento in discarica o distruttivo.
In Italia, il tasso di raccolta differenziata sta gradualmente crescendo ( oggi intorno al 22,7% per merito, soprattutto,
delle regioni del Nord, dove supera il 35%), ma ancora inferiore alle potenzialit. Soluzioni particolarmente efficienti
come la raccolta differenziata porta a porta, ove adottate, permettono di incrementare notevolmente la percentuale di
rifiuti riciclati.
A titolo di confronto, si consideri che in Germania il tasso di raccolta differenziata raggiungeva nel 2004 ben il 56% a
livello nazionale.
Numerosi sono i materiali che possono essere riciclati: metalli, carta, vetro e plastiche sono alcuni esempi; vi sono
tuttavia complessit associate ai materiali cosiddetti "poliaccoppiati" (cio costituiti da pi materiali differenti) come ad
esempio flaconi di succhi di frutta o latte, nonch per oggetti complessi (per esempio automobili, elettrodomestici ecc):
non sono tuttavia problemi insormontabili e possono essere risolti con tecnologie particolari, in parte gi adottate anche
in Italia.
Particolare il caso della plastica, che come noto esiste in molte tipologie differenti e pu essere costituita da molti
materiali differenti (PET, PVC, polietilene ecc.). Tali diversi materiali vanno gestiti separatamente e quindi separati fra
loro: questa maggior complicazione in passato ha reso l'incenerimento economicamente pi vantaggioso del riciclo.
Oggi tuttavia appositi macchinari possono automaticamente e velocemente separare i diversi tipi di plastica anche se
raccolti con un unico cassonetto, pertanto l'adozione di queste tecnologie avanzate permette un vantaggioso riciclo.
Purtroppo in alcuni casi la plastica (in genere quella di qualit inferiore) viene comunque avviata all'incenerimento
anche se dal punto di vista energetico e ambientale non certo la scelta ottimale.
Compostaggio della frazione umida
Il compostaggio una tecnologia biologica usata per trattare la frazione organica dei rifiuti raccolta differenziatamente
(anche detta umido) sfruttando un processo di bio-ossidazione, trasformandola in ammendante agricolo di qualit da
utilizzare quale concime naturale: da 100 kg di frazione organica si ricava una resa in compost compresa nell'intervallo
di 30-40 kg. Tramite digestione anaerobica viene ottenuto anche del biogas che pu essere bruciato per produrre energia
elettrica e calore; in tal modo possibile diminuire il livello di emissioni inquinanti della discarica e migliorarne la
gestione approfittando anche della conseguente diminuzione dei volumi legata al riciclo dell'umido.
Il compostaggio, come si vede dal grafico, si differenzia dal TMB per il fatto di trattare esclusivamente l'umido e non il
rifiuto indifferenziato, anche se il TMB pu comprendere un processo simile al compostaggio (si veda sotto).

La filiera della raccolta indifferenziata


I rifiuti raccolti indifferenziatamente sono naturalmente molto pi difficili da trattare di quelli raccolti in modo
differenziato. Possono essere seguite tre strade principali:
1. Trattamenti a freddo, ovvero separazione e parziale recupero di materiali, biostabilizzazione e conferimento in
discarica
2. Trattamenti a caldo ovvero incenerimento tal quale o a valle di separazione e produzione di CDR e conferimento
in discarica
3. Conferimento diretto in discarica (oggi molto usato ma certamente da evitarsi).
In ogni caso evidente che gli inevitabili scarti di questi processi finiranno per forza di cose in discarica.
Trattamento a freddo dei rifiuti
Un impianto di separazione a freddo della componente secca per l'ulteriore recupero di materiali da riciclare.
Scopo dei processi di trattamento a freddo dei rifiuti indifferenziati o residui (ossia i rifiuti che rimangono dopo
la raccolta differenziata) di recuperare una ulteriore parte di materiali riciclabili, ridurre il volume del materiale in
vista dello smaltimento finale e di stabilizzare i rifiuti in modo tale che venga minimizzata la formazione dei gas di
decomposizione ed il percolato. Da questi processi (fra cui il compostaggio), si ricava in genere sia materiali riciclabili,
sia il biogas, cio, in pratica, metano.
Il principale tipo di trattamento a freddo il Trattamento meccanico-biologico (TMB). Esso separa la frazione organica
ed i materiali riciclabili: permette quindi una ulteriore riduzione dell'uso delle discariche e degli inceneritori, il tutto con
emissioni inquinanti nettamente inferiori rispetto a tali impianti. Infatti tratta i rifiuti indifferenziati a valle della raccolta
differenziata, incrementando il recupero di materiali. In Germania, ad esempio, impianti TMB sono diffusi da circa una
decina d'anni.
Il TMB pu essere utilizzato anche per produrre CDR (combustibile derivato dai rifiuti): questa l'applicazione
principale che ufficialmente ne viene fatta in Italia, soprattutto al sud. In questo caso dovrebbe essere rimosso solamente
l'umido ed i materiali non combustibili (vetro, metalli) mentre carta e plastica sarebbero confezionati in "ecoballe" da
incenerire: in questo modo il trattamento a freddo si pu intrecciare con quello termico.
Dati relativi al quantitativo di rifiuti trattati in Italia tramite TMB e riferiti al 2004 indicano un totale di 7.427.237 t di
rifiuti, con un picco nelle regioni del sud 3.093.965 t. L'incidenza percentuale del dato relativo al 2004 indica un valore
pari al 20,5% del totale di rifiuti smaltiti tramite biostabilizzazione e produzione di CDRL e inchieste giudiziarie per la
crisi dei rifiuti in Campania stanno tuttavia evidenziando che le "ecoballe" prodotte non sono classificabili come CDR,
per cui i quantitativi ufficiali sopra citati dovranno essere rivisti sulla base degli esiti di pi approfondite verifiche.
Trattamento termico dei rifiuti
Fra i processi di trattamento a caldo (o termico) dei rifiuti, si distinguono tre processi di base:
1. Combustione (incenerimento)
2. Pirolisi
3. Gassificazione
Tutte queste tecnologie producono residui, a volte speciali, che richiedono smaltimento, generalmente in discarica. Sia
in Italia che in Europa, gli impianti di trattamento termico di gran lunga pi diffusi per i rifiuti urbani sono gli
inceneritori.
Incenerimento con recupero energetico
L'incenerimento una tecnologia consolidata che permette di ottenere energia elettrica e fare del teleriscaldamento
sfruttando i rifiuti indifferenziati o il CDR. Questi vengono bruciati in forni inceneritori e l'energia termica dei fumi
viene usata per produrre vapore acqueo che, tramite una turbina, genera energia elettrica. La quantit di energia elettrica
recuperata piuttosto bassa (19-25%), mentre quella termica molto maggiore. Tale energia recuperata da

confrontarsi con quella necessaria al riciclaggio, che a sua volta si compone di vari fattori: la separazione, il trasporto
alle rispettive fonderie o industrie di base, la fusione o trattamento fino alla produzione del materiale base, uguale a
quello vergine.
Pirolisi e gassificazione
La pirolisi e la gassificazione sono dei trattamenti termici dei rifiuti che implicano la trasformazione della materia
organica tramite riscaldamento a temperature variabili (a seconda del processo da 400 a 1200 C), rispettivamente in
condizioni di assenza di ossigeno o in presenza di una limitata quantit di questo elemento. Gli impianti che sfruttano
tali tecnologie in pratica, piuttosto che fondarsi sulla combustione, attuano la dissociazione molecolare ottenendo in tal
modo molecole in forma gassosa pi piccole rispetto alla originarie (syngas) e scorie solide o liquide. In confronto agli
odierni inceneritori i rendimenti energetici possono essere maggiori se il syngas ottenuto viene bruciato in impianti ad
alto rendimento e/o ciclo combinato (dopo opportuni trattamenti per eliminare eventuali vari residui, fra cui polveri,
catrami e metalli pesanti a seconda del rifiuto trattato), mentre l'impatto delle emissioni gassose risulta sensibilmente
ridotto.[8] In particolare il rendimento in produzione elettrica pu arrivare, a detta di alcuni produttori, a oltre il doppio
del pi moderno inceneritore (si vedagassificatore).
Nonostante la tipologia di rifiuti trattabili sia (per alcuni tipi di impianto) la stessa degli inceneritori, tuttavia sono pochi
gli impianti di questo genere che trattano rifiuti urbani tal quali: molto spesso infatti riguardano frazioni merceologiche
ben definite quali plastiche, pneumatici, scarti di cartiera, scarti legnosi o agricoli oppure biomasse in genere. Questi
impianti pi specifici sono maggiormente diffusi. Ci nonostante vi chi ritiene che gli impianti di pirolisi e di
gassificazione siano destinati a sostituire in futuro gli attuali inceneritori anche per i rifiuti urbani, diffondendosi
ulteriormente e divenendo i principali trattamenti termici di riferimento.
Va anche osservato che in genere gli impianti di pirolisi e/o gassificazione sono pi piccoli degli inceneritori, cio
ciascun impianto tratta un minor quantitativo di rifiuti. Questo comporta alcuni vantaggi: anzitutto si evita il trasporto
dei rifiuti per lunghe tratte, responsabilizzando ciascuna comunit locale in merito ai propri rifiuti (smaltiti in loco e non
"scaricati" a qualcun altro). In secondo luogo la flessibilit e le minor taglia degli impianti permette facilmente di
aumentare la raccolta differenziata e ridurre il quantitativo di rifiuti totali, politiche difficilmente attuabili con
inceneritori da centinaia di migliaia di tonnellate annue che necessitano di alimentazione continua. Infine anche i costi
di realizzazione ed i tempi di ammortamento dovrebbero essere inferiori.
Discarica
Il principale problema delle discariche la produzione di percolato e l'emissione di gas spesso maleodoranti, dovuti alla
decomposizione della frazione organica. Entrambi i problemi possono essere risolti rimuovendo la frazione organica
mediante raccolta differenziata o pretrattando i rifiuti con il trattamento meccanico-biologico a freddo esposto in
precedenza, riducendo fra l'altro anche i volumi da smaltire. La discarica pu essere cos usata per smaltire tutti i residui
del sistema integrato di gestione dei rifiuti con un impatto ambientale minimo.
Conclusioni, costi e ruoli nel sistema integrato
La combustione dei rifiuti non di per s contrapposta o alternativa alla pratica della raccolta differenziata finalizzata al
riciclo, ma dovrebbe essere solo un eventuale anello finale della catena di smaltimento. Inoltre ovvio che, se un
inceneritore viene dimensionato per bruciare un certo quantitativo di rifiuti, dovr essere alimentato per forza con quel
quantitativo, richiedendo di fatto l'ulteriore apporto di massa di rifiuti in caso di un quantitativo inadeguato.
Per ragioni tecnico-economiche la tendenza oggi quella di realizzare inceneritori sempre pi grandi, con la
conseguenza di alimentare il "turismo dei rifiuti" (cio il trasporto di rifiuti anche da altre province se non da altre
nazioni). In Italia questo fenomeno stato accentuato dai forti incentivi statali che hanno favorito l'incenerimento a
scapito di altre modalit di smaltimento pi rispettose dell'ambiente.
Nei fatti, tuttavia, l'incenerimento pu generare logiche speculative alternative alla raccolta differenziata: lo dimostrano
pressioni politiche e tangenti scoperte a settembre 2010 in Abruzzo mediante intercettazioni telefoniche. Qui si deciso
di abbassare gli obblighi di raccolta differenziata per favorire l'incenerimento, come "richiesto" da imprenditori
interessati alla costruzione di impianti di incenerimento e che non "gradivano" che la raccolta differenziata raggiungesse
anche solo il 40%.

In Italia si sono inceneriti nel 2004 circa 3,5 milioni di t/anno su un totale di circa 32 milioni di tonnellate di RSU totale
prodotto, cio circa il 12% (per un confronto con altri paesi europei si veda Inceneritore); tale pratica specie al Nord in
aumento, e in Lombardia ad esempio raggiunge il 34%.[7]Ci che balza all'occhio il grande ricorso allo smaltimento
indiscarica, che in diminuzione (dal 2001 al 2004, al Nord -21%, al Sud -4% e al Centro -3%) [7] ma che interessa
attualmente in tutto circa il 56,9% dei rifiuti urbani prodotti (45% al Nord, 69,5% al Centro, 73,2% al Sud; si stima che
sul totale nazionale il 76% sia rifiuto da raccolta indifferenziata e il 24% siano residui dai diversi processi di
trattamento: biostabilizzazione, CDR, incenerimento, residui da selezione delle R.D.), con conseguenze ambientali che
si vanno aggravando soprattutto nel Sud, dove i pochi impianti di trattamento finale sono ormai saturi e la raccolta
differenziata stenta a decollare: gli inceneritori sarebbero perci, secondo alcuni, da aumentare (soprattutto al Sud).
Tuttavia, se si considera che nei comuni pi virtuosi la raccolta differenziata supera gi adesso l'80%, si deduce che
persino al Nord essa ancora molto meno sviluppata di quanto potrebbe e che in alcune aree del Nord gli impianti di
incenerimento sarebbero perfino sovradimensionati. Pertanto, il timore di alcuni che non si potr sviluppare appieno la
raccolta differenziata e il riciclo per consentire agli inceneritori di funzionare senza lavorare in perdita, oppure si
dovranno importare rifiuti da altre regioni.
Una considerazione importante infatti che gli investimenti necessari per realizzare i termovalorizzatori sono molto
elevati (il costo di un impianto in grado di trattare 421.000 t/anno di rifiuti valutabile in circa 375 milioni di euro, cio
circa 850-900 per tonnellata di capacit trattatabile[11]), e il loro ammortamento richiede, tenendo anche conto del
significativo recupero energetico, circa 20 anni; perci costruire un impianto significa avere l'obbligo (sancito da veri
e propri contratti) di incenerire una certa quantit minima di rifiuti per un tempo piuttosto lungo.
emblematico a questo proposito il caso dell'inceneritore costruito recentemente dall'Amsa a Milano, Silla 2:
inizialmente aveva avuto l'autorizzazione per bruciare 900 t/giorno di rifiuti, poi si passati a 1250 e infine a 1450t/g.
Se si guarda alla gestione dei rifiuti a Milano, ci si accorge che la raccolta differenziata raggiunge il 30% circa [12] (dato
sostanzialmente invariato da anni), e gran parte del rimanente viene incenerito da Silla 2. Si consideri che la media di
riciclo della provincia di Milano , escludendo il capoluogo, del 51,26% in costante miglioramento, e in particolare del
59,24% per i comuni con meno di 5 000 abitanti e del 55% per quelli fra i 5 e i 30 000,[ e che a Milano la raccolta dei
rifiuti organici non mai andata oltre la sperimentazione in piccole aree della citt, nonostante il pi che collaudato
sistema di raccolta dei rifiuti porta a porta e la notevole sensibilizzazione della popolazione, che permetterebbero
sicuramente di fare molto di pi.
interessante confrontare i costi dello smaltimento dei rifiuti di una citt come Milano che fa ampio ricorso
all'incenerimento con quelli di citt che puntano sulla differenziata: a Milano nel 2005 si sono spesi 135,42 /abitante
contro una media provinciale di 110,16 e contro gli 83,67 di Aicurzio, paese pi virtuoso di Lombardia nel 2005 col
70,52% di raccolta differenziata.[12] Il sindaco di Novara inoltre nel 2007 ha dichiarato che portando in due anni la
raccolta differenziata nella citt dal 35 al 68% si sono risparmiati due milioni di euro, mentre ad esempio il sindaco di
Torino per sostenere la necessit dell'inceneritore del Gerbido ha dichiarato che in qualsiasi centro urbano superare il
50% un miracolo, perch la gestione di questo tipo di raccolta ha dei costi non sostenibili per i cittadini; eppure a San
Francisco oltre il 50% gi dal 2001.[13]

Europa valorizzazione/incenerimento, in 18 nazioni. In alcune situazioni, impianti di questo genere sono da tempo
inseriti in contesti urbani, ad esempio a Vienna, Parigi, Londra, Copenaghen. Paesi quali Svezia (circa il 45% del
rifiuto viene incenerito), Svizzera (~100%), Danimarca (~50%) e Germania (~35%) ne fanno largo uso;
inOlanda (in particolare ad Avr e Amsterdam) sorgono alcuni fra i pi grandi inceneritori d'Europa, che permettono
di smaltire fino a un milione e mezzo di tonnellate di rifiuti all'anno (~33% del totale). In Olanda comunque la politica
oltre a porsi l'obiettivo di ridurre il conferimento in discarica di rifiuti recuperabili quella di bruciare sempre meno
rifiuti a favore di prevenzione, riciclo e riuso (ad esempio mediante incentivi, come cauzioni e riconsegna presso i centri
commerciali sul riutilizzo delle bottiglie di vetro e di plastica).

Tecnologie di incenerimento
Gli inceneritori pi diffusi in Europa sono del tipo "a griglie". Trattandosi sostanzialmente di impianti che sfruttano il
calore sviluppato dalla combustione, non importante solo il tonnellaggio di combustibile (i rifiuti), ma anche il suo
potere calorifico, ovvero il calore sviluppato durante la combustione (in genere pari a circa 9000-13000 MJ/t). In altre
parole, un inceneritore progettato (ed autorizzato) per bruciare 100000 t di rifiuti con potere calorifico di 13000 MJ/t,
pu arrivare a bruciare anche il 45% in pi se i rifiuti hanno potere calorifico di 9000 MJ/t.[18]
Il funzionamento di un "termovalorizzatore" a griglie pu essere suddiviso in sei fasi fondamentali:
1.Arrivo dei rifiuti Provenienti dagli impianti di selezione dislocati sul territorio (ma anche direttamente dalla
raccolta del rifiuto), i rifiuti sono conservati in un'area dell'impianto dotato di sistema di aspirazione, per evitare
il disperdersi di cattivi odori. Con un carroponte i materiali sono depositati nel forno attraverso una tramoggia.
La tecnologia di produzione della frazione combustibile (CDR) ed il suo incenerimento sfrutta la preventiva
disidratazione biologica dei rifiuti seguita dalla separazione degli inerti (metalli, minerali, ecc.) dalla frazione
combustibile, che pu essere "termovalorizzata" producendo energia elettrica con resa nettamente migliore
rispetto all'incenerimento classico e con una diminuzione di impatto ambientale.[19]
2.Combustione Il forno solitamente dotato di una o pi griglie mobili (forno "a griglie") per permettere il
continuo movimento dei rifiuti durante la combustione. Una corrente d'aria forzata viene inserita nel forno per
apportare la necessaria quantit di ossigeno che permetta la migliore combustione, mantenendo alta la
temperatura (fino a 1000 C e pi). Per mantenere tali temperature, qualora il potere calorifico del combustibile
sia troppo basso, talvolta viene immesso del gas metano in una quantit variabile fra i 4 e 19 m per tonnellata di
rifiuti. Accanto a una camera di combustione primaria viene associata una camera di combustione secondaria
(camera di post-combustione), con lo scopo di completare la combustione dei fumi nel miglior rispetto della
normativa vigente.
3.Produzione del vapore surriscaldato La forte emissione di calore prodotta dalla combustione di metano e
rifiuti porta a vaporizzare l'acqua in circolazione nella caldaia posta a valle, per la produzione di vapore
surriscaldato ad alto contenuto entalpico.
4.Produzione di energia elettrica Il vapore generato mette in movimento una turbina che, accoppiata a un
motoriduttore e a un alternatore, trasforma l'energia termica in energia elettrica producendo corrente alternata per
espansione del vapore surriscaldato.
5.Estrazione delle ceneri Le componenti dei rifiuti non combustibili vengono raccolte in una vasca piena
d'acqua posta a valle dell'ultima griglia. Le scorie, raffreddate in questo modo, sono quindi estratte e smaltite in
discariche speciali. Ovviamente, separando preventivamente gli inerti dalla frazione combustibile si ottiene una
riduzione delle scorie. L'acqua di raffreddamento (circa 2.5 m3/t) deve essere depurata prima di essere scaricata
in ambiente. Le ceneri sono classificate come rifiuti speciali non pericolosi, mentre le polveri fini (circa il 4% del
peso del rifiuto in ingresso) intercettate dai sistemi di filtrazione sono classificate come rifiuti speciali pericolosi.
Entrambe sono smaltite in discariche per rifiuti speciali. Vi sono state esperienze di riuso delle ceneri pesanti.
6.Trattamento dei fumi Dopo la combustione i fumi caldi (circa il 140-150% in peso del rifiuto in
ingresso[20]) passano in un sistema multi-stadio di filtraggio, per l'abbattimento del contenuto di agenti
inquinanti sia chimici che solidi. Dopo il trattamento e il raffreddamento i fumi vengono rilasciati in atmosfera a
circa 140 C.[21]
Tipologie di inceneritore
Il joule l'unit di misura dell'energia, del lavoro e del calore
MJ=Megajaule
In funzione della specifica tecnologia adoperata nella camera di combustione primaria, possibile distinguere le
seguenti tipologie di inceneritore.

Inceneritore a griglie
Questi inceneritori possiedono un grosso focolare, con griglie metalliche normalmente a gradini formate da barre o rulli
paralleli. La griglia pu essere mobile o fissa e in diverse zone vengono raggiunte differenti temperature che permettono
un pi graduale riscaldamento. presente anche un sistema di raffreddamento. Oltre alla normale combustione
primaria, viene effettuata anche una combustione secondaria, ottenuta con un'ulteriore insufflazione d'aria che genera
una notevole turbolenza, permettendo di migliorare il miscelamento aria-combustibile. Le ceneri prodotte vengono
raccolte e raffreddate in vasche piene d'acqua.
Gli inceneritori pi vecchi e impiantisticamente pi semplici consistevano in una camera di mattoni con una griglia
posta rispettivamente sopra e sotto la raccolta delle ceneri. Mentre quella posta superiormente, e avente una apertura in
cima o lateralmente, veniva utilizzata per caricare il materiale da bruciare, quella inferiore permetteva la rimozione del
residuo solido incombusto tramite l'apertura laterale.
In confronto con le altre tipologie di inceneritori, gli impianti con griglie mobili sono quelli maggiormente sfruttati per i
rifiuti urbani e permettono, grazie al movimento dei rifiuti all'interno della camera di combustione, una ottimizzazione
della combustione stessa. Una singola griglia in grado di trattare pi di 35 t/h di rifiuti e pu lavorare 8.000 ore l'anno
con una sola sospensione dell'attivit, per la durata di un mese, legata alla manutenzione e controlli programmati.
[22] Una parte dell'aria necessaria alla combustione primaria viene fornita dal basso della griglia e questo flusso viene
anche sfruttato per raffreddare la griglia stessa. Il raffreddamento importante per il mantenimento delle caratteristiche
meccaniche della griglia, e molte griglie mobili sfruttano anche il raffreddamento tramite un flusso interno di acqua.
L'aria necessaria alla combustione secondaria viene immessa ad alta velocit superiormente alla griglia e ha lo scopo di
portare a completamento la reazione di combustione, realizzando una condizione di eccesso di ossigeno e una
turbolenza che assicura un mescolamento ottimale di combustibile e comburente.
da notare per che alle griglie legato un certo insieme di problematiche tecniche tra le quali spicca il deposito di
polveri, con la necessit di un certo livello di manutenzione periodica programmata.
Inceneritore a letto fluido
Rappresentazione schematica di un letto fluido
La combustione a letto fluido ottenuta inviando dal basso un forte getto di aria attraverso un letto di sabbia. Il letto
quindi si solleva, mentre le particelle si mescolano e sono sotto continua agitazione. A questo punto vengono introdotti i
rifiuti e il combustibile. Il sistema sabbia/rifiuto/combustibile viene mantenuto in sospensione sul flusso di aria pompata
e sotto violento mescolamento e agitazione, assumendo in tale modo caratteristiche simil-fluide (da cui il letto fluido).
Questo processo, detto fluidizzazione, ha l'effetto di diminuire la densit del sistema in oggetto pur senza alterarne la
natura originaria. Tutta la massa di rifiuti, combustibile e sabbia circola completamente all'interno della fornace. La
tecnologia a letto fluido di comune utilizzo nell'ambito dell'ingegneria chimica, e viene utilizzata ad esempio anche in
reattori per attuare la sintesi chimica e nell'ambito della petrolchimica.
Una camera di combustione a letto fluido permette di ridurre le emissioni di ossidi di zolfo SOx) mescolando calcare o
dolomite in polvere alla sabbia: in tal modo infatti lo zolfo non viene ossidato formando gas, bens precipita sotto forma
di solfato. Tra l'altro, tale precipitato caldo permette di migliorare lo scambio termico per la produzione di vapor acqueo.
Dato che il letto fluido consente anche di operare a temperature inferiori (800 C), operando a tali temperature
possibile ridurre le emissioni di ossidi di azoto (NOx).[23]
Uno studio comparativo ha confrontato le emissioni di polveri sottili, caratterizzandone dimensione, composizione e
concentrazione, e di elementi traccia relativamente all'utilizzo di una camera a griglie e di una camera a letto fluido
(FBC) a monte dei sistemi di filtraggio. emerso che le emissioni di particelle con diametro inferiore a 1 m (PM1)
sono approssimativamente quattro volte maggiori nel caso delle griglie, con valori di 1-1,4 g/Nm3 (grammi al
normalmetrocubo) mcontro i 0,25-0,31 g/Nm3 del letto fluido. stata misurata anche la quantit totale media di ceneri
prodotte, che risultata essere di 4,6 g/Nm3 nel caso del letto fluido e di 1,4 g/Nm3 nel caso delle griglie.[25]

Il letto fluido ha il vantaggio di richiedere poca manutenzione e ovviamente, data la particolare costituzione, non
necessita di componenti in movimento. Possiede anche un rendimento leggermente superiore rispetto ai forni a griglia,
ma richiede combustibile a granulometria piuttosto omogenea.
Le tipologie di letto fluido pi sfruttate rientrano principalmente in due categorie: sistemi a pressione atmosferica
(fluidized bed combustion, FBC) e sistemi pressurizzati (pressurized fluidized bed combustion, PFBC). Questi ultimi
sono in grado di generare un flusso gassoso ad alta pressione e temperatura in grado di alimentare una turbina a gas che
pu realizzare un ciclo combinato ad alta efficienza.[26]
Inceneritore a forno rotativo
Gli impianti a forno rotativo[27] hanno utilizzo di elezione nell'ambito dello smaltimento dei rifiuti industriali e speciali,
ma possono anche essere utilizzati per i RSU. Si hanno due camere di combustione: la camera di combustione primaria
consiste in un tubo cilindrico costruito in materiale refrattario e inclinato di 5-15, il cui movimento attorno al proprio
asse dirotazione viene trasmesso ai rifiuti. La rotazione fa accumulare all'estremit del cilindro le ceneri e il resto della
frazione non combusta solida, che viene infine raccolta all'esterno. I gas passano invece in una seconda camera di
combustione stavolta fissa. La camera di combustione secondaria necessaria per portare a completamento le reazioni
di ossidazione in fase gassosa.
In relazione alla pericolosit del rifiuto trattato, le emissioni gassose possono richiedere un pi accurato sistema di
pretrattamento prima dell'immissione in atmosfera. Molte particelle tendono a essere trasportate insieme con i gas caldi,
per questo motivo viene utilizzato un "post-bruciatore" dopo la camera di combustione secondaria per attuare una
ulteriore combustione.[28] Un semplice diagramma schematico di un forno rotativo questo.
Inceneritore a focolare multi-step
Il nome di questa tecnologia legato al passaggio su pi focolari del materiale da trattare. I rifiuti vengono trasportati
attraverso la fornace muovendo una dentatura meccanica che fa parte di braccia agitanti montate su un asse centrale
rotante che si estende a una certa altezza dal focolare. I rifiuti in entrata vengono caricati da una estremit, mentre i
residui della combustione vengono asportati dall'altra estremit. Il carico/scarico dei rifiuti viene ripetuto
automaticamente secondo il numero di focolari presenti. Un modello specifico il forno di pirolisi a piani, studiato in
origine per l'incenerimento di fanghi di varia natura (inclusi i fanghi biologici inattivati) ed occasionalmente usato
nell'incenerimento di RSU che abbiano buone caratteristiche di trasporto.
Con questo metodo, oltre ai rifiuti industriali e solidi urbani, possibile trattare anche fanghi di varia origine.
Recupero energetico
Tubature per teleriscaldamento a Tubinga, in Germania
Negli impianti pi moderni, il calore sviluppato durante la combustione dei rifiuti viene recuperato e utilizzato per
produrre vapore, poi utilizzato per la produzione di energia elettrica o come vettore di calore (ad esempio per il
teleriscaldamento). Il rendimento di tali impianti per molto minore di quello di una normale centrale elettrica, poich
i rifiuti non sono un buon combustibile per via del loro basso potere calorifico, e le temperature raggiunte in camera di
combustione sono inferiori rispetto alle centrali tradizionali. Talvolta per aumentare l'efficienza della combustione
insieme ai rifiuti viene bruciato anche del gasmetano.
L'indice di sfruttamento del combustibile i inceneritori e centrali elettriche pu essere aumentato notevolmente
abbinando alla generazione di energia elettrica il teleriscaldamento, che permette il recupero del calore prodotto che
verr poi utilizzato per fornire acqua calda. Tuttavia non sempre il calore recuperato pu essere effettivamente utilizzato
per via delle variazioni stagionali dei consumi energetici; ad esempio, in estate lo sfruttamento del calore pu calare
notevolmente, a meno che non siano presenti attrezzature che permettano di sfruttarlo per il raffreddamento.
Oggi gran parte degli inceneritori sono dotati di qualche forma di recupero energetico[30] ma va rilevato che solo una
piccola minoranza di impianti collegata a sistemi di teleriscaldamento e pertanto viene recuperata solo l'elettricit.
L'efficienza energetica di un termovalorizzatore variabile tra il 19 e il 27% se si recupera solo l'energia elettrica [ ma
aumenta molto col recupero del calore (cogenerazione). Ad esempio, nel caso dell'inceneritore di Brescia si ha un

rendimento del 26% in produzione elettrica e del 58% in calore per teleriscaldamento, con un indice di sfruttamento del
combustibile dell'84%.[32] A titolo di confronto una moderna centrale termoelettrica a ciclo combinato, il cui scopo
primario ovviamente quello di produrre elettricit, ha una resa del 57% per la produzione elettrica, e se abbinata al
teleriscaldamento raggiunge l'87%.[33] Tipicamente per ogni tonnellata di rifiuti trattata possono essere prodotti circa
0,67 MWh di elettricit e 2 MWh di calore per teleriscaldamento.[34]
Volendo invece confrontare il rendimento energetico delle varie tecnologie di trattamento termico dei rifiuti, il discorso
molto pi complesso, meno documentato e fortemente influenzato dal tipo di impianto. In linea di massima le
differenze sono dovute al fatto che, mentre in un inceneritore i rifiuti vengono direttamente bruciati ed il calore viene
usato per produrre vapore, negli impianti di gassificazione/pirolisi i rifiuti vengono invece convertiti parzialmente in gas
(syngas) che pu essere poi utilizzato in cicli termodinamici pi efficienti, come ad esempio un ciclo combinato sopra
richiamato. La possibilit di utilizzare diversi cicli termodinamici permette a tali impianti maggiore flessibilit nella
regolazione dei rapporti fra produzione di calore e di elettricit, rendendoli meno sensibili alle variazioni stagionali dei
consumi energetici (in altre parole d'inverno si pu produrre pi calore e d'estate pi elettricit).
Scorie
L'incenerimento dei rifiuti produce scorie solide pari circa al 10-12% in volume e 15-20% in peso dei rifiuti introdotti, e
in pi ceneri per il 5%.[35] Gran parte della massa immessa nei forni viene infatti combusta ottenendo dei fumi che
verranno opportunamente pretrattati prima di essere emessi dal camino.
Le ceneri volanti e le polveri intercettate dall'impianto di depurazione dei fumi sono rifiuti speciali altamente
tossici (in quanto concentrano molti degli inquinanti pi nocivi), che come tali sono soggetti alle apposite
disposizioni di legge e sono poi conferiti in discariche speciali.
Le scorie pesanti, formate dal rifiuto incombusto acciaio, alluminio, vetro e altri materiali ferrosi, inerti o altro
, sono raccolte sotto le griglie di combustione e possono poi essere divise a seconda delle dimensioni e quindi
riciclate se non troppo contaminate.
Le scorie sono generalmente smaltite in discarica e costituiscono una grossa voce di spesa. Tuttavia, possono rivelarsi
produttive: un esempio di riciclaggio di una parte delle scorie degli inceneritori l'impianto BSB di Noceto, nato dalla
collaborazione fra CIAl (Consorzio Imballaggi Alluminio) e Bsb Prefabbricati; qui si trattano le scorie provenienti dai
termovalorizzatori
gestiti
dalle
societ Silea
S.p.A. (impianto
di Lecco)
e Hera (impianti
di Rimini, Ferrara, Forl, Ravenna) con 30.000 tonnellate di scorie l'anno da cui si ricavano 25.000 tonnellate (83%) di
materiale destinato alla produzione di calcestruzzo, 1.500 tonnellate (5%) di metalli ferrosi e 300 tonnellate (1%) di
metalli non ferrosi di cui il 65% di alluminio. Infine, circa l'11% delle scorie non pu essere recuperato.
Le scorie e le ceneri vengono caricate su un nastro trasportatore; i rottami ferrosi pi consistenti sono subito raccolti,
quelli pi piccoli vengono rimossi poi con un nastro magnetico. Appositi macchinari separano dal resto i rimanenti
metalli a-magnetici (prevalentemente alluminio); tutto il resto, miscelato con opportune dosi di acqua, inerti, cemento e
additivi, e reso cos inerte, va a formare calcestruzzo subito adoperato per la produzione di elementi per prefabbricati.
Con un trattamento di questo genere, si riduce la necessit della discarica in seguito al trattamento nell'inceneritore in
quanto ultimo anello della catena di gestione dei rifiuti, dal momento che le scorie pesanti risultano praticamente
costituite solamente da sostanza organica o coke incombusti in ragione di una percentuale variabile dal 3,5% al 10-15%.
A titolo di confronto, si segnala che il solo inceneritore di Brescia produce circa 105.000 tonnellate di scorie, che
vengono in buona parte (nel 2011 il 100%) riciclate come materiali grazie al recupero di alcuni tipi di metalli
(ferro,alluminio, rame, piombo e zinco) e di inerti utilizzabili nell'edilizia. Solo una percentuale ridotta (0% nel 2011 e
comunque negli anni precedenti andava a sostituire ghiaia, materiale pi pregiato) finisce in discarica.
Tuttavia, alcuni studi hanno dimostrato la tossicit dei calcestruzzi contenenti scorie[senza fonte][37], anche se con
tecniche opportune la si pu ridurre significativamente: sono ancora in corso degli studi.[38] Non noto
il bilancio energetico totale (e le relative emissioni) di queste procedure ed in che quota questo eroda il recupero
energetico della filiera di trattamento dei rifiuti mediante incenerimento.
Un'altra tecnologia che si sta sperimentando la vetrificazione delle ceneri con l'uso della torcia al plasma. Con questo
sistema si rendono inerti le ceneri, risolvendo il problema dello smaltimento delle stesse come rifiuti speciali, inoltre si
studia la possibilit di un loro riutilizzo come materia prima per il comparto ceramico e cementizio.

Altri trattamenti termici dei rifiuti


Esistono alcune alternative ai classici inceneritori, attualmente per poco diffuse in Europa.
Gassificatori e pirolizzatori
Un'alternativa a tutti gli impianti di incenerimento per combustione sono i gassificatore (da non confondersi
coi rigassificatori) e gli impianti di pirolisi. In tali impianti i rifiuti vengonodecomposti termochimicamente mediante
l'insufflazione di una corrente di azoto nei gassificatori anche ossigeno) ad elevate temperature, ottenendo come prodotti
finali un gas combustibile (detto syngas) e scorie solide. In pratica mentre negli inceneritori il materiale viene riscaldato
in presenza di ossigeno e avviene una combustione che genera calore e produce composti gassosi ossidati, negli impianti
di pirolisi lo stesso riscaldamento viene effettuato in assenza totale di ossigeno e il materiale subisce
la scissione dei legami chimicioriginari con formazione di molecole pi semplici. La gassificazione, che avviene in
presenza di una certa quantit di ossigeno, pu essere considerata come una tecnologia intermedia tra l'incenerimento e
la pirolisi propriamente detta.
Esistono numerosi processi basati su pirolisi e gassificazione, pi o meno diffusi e collaudati, che differiscono fra loro
per tipo di rifiuto trattato, per emissioni e per prodotti di risulta (liquidi, gassosi, solidi). In generale la maggior parte di
essi caratterizzata dal fatto che il materiale da trattare deve essere finemente sminuzzato per essere investito in
maniera uniforme dalla corrente di azoto (pirolizzatori) o azoto e ossigeno (gassificatori). Le temperature operative sono
in genere fra 400 e 800 C nel caso della pirolisi e mentre per la gassificazione sono nettamente pi elevate. Le
emissioni delle due tecnologie sono sensibilmente differenti rispetto a quelle relative ad un inceneritore, e variabili in
relazione agli specifici impianti e processi utilizzati nonch al tipo di materiale trattato.
Torcia al plasma
Un particolare tipo di gassificazione fa uso di una torcia al plasma a temperature comprese fra i 7000 e i 13000 C, che
decompone del tutto le molecole organiche e vetrifica tutti i residui eliminando cos in teoria le problematiche relative
all' inquinamento, poich non dovrebbe permettere la produzione di nessun composto gassoso tossico o pericoloso
comediossine, furani o ceneri diventando perci un ottimo modo per trattare pneumatici, PVC, rifiuti ospedalieri e altri
rifiuti industriali, nonch rifiuti urbani non trattati. I punti critici di tali impianti sono per lo sfruttamento commerciale
del materiale vetrificato e la produzione di nanopolveri, che possono sfuggire alla vetrificazione e sono presenti nei fumi
in concentrazioni non ancora esattamente determinate.
Soluzioni di filtraggio delle emissioni al camino
I sistemi di depurazione dei fumi attuali sono costituiti da varie tecnologie e sono pertanto detti multistadio. Questi
sistemi si suddividono in base al loro funzionamento in semisecco, secco, umido e misto. La caratteristica che li
accomuna quella di essere concepiti a pi sezioni di abbattimento, ognuna in linea di massima specifica per
determinati tipi di inquinanti. In base alla natura chimica della sostanza da "abbattere" vengono fatte avvenire
delle reazioni chimiche con opportuni reagenti allo scopo di produrre nuovi composti non nocivi, relativamente inerti e
facilmente separabili.
A partire dagli anni ottanta si affermata l'esigenza di rimuovere i macroinquinanti presenti nei fumi della combustione
(ad esempio ossido di carbonio, anidride carbonica, ossidi di azoto e gas acidi come l'anidride solforosa) e di perseguire
un pi efficace abbattimento delle polveri in relazione alla loro granulometria. Si passati dall'utilizzo di sistemi,
quali ciclonie multicicloni, con efficienze massime di captazione delle polveri rispettivamente del 70% e dell'85%,
ai precipitatori elettrostatici (ESP) o filtri a maniche che garantiscono efficienze notevolmente superiori (fino al 99% e
oltre). Attualmente le norme vigenti fanno riferimento alle emissioni di polveri totali.
Accanto a ci, sono state sviluppate misure di contenimento preventivo delle emissioni, ottimizzando le caratteristiche
costruttive dei forni e migliorando l'efficienza del processo di combustione. Questo risultato si ottenuto attraverso
l'utilizzo di temperature pi alte (con l'immissione di discrete quantit di metano), di maggiori tempi di permanenza dei
rifiuti in regime di alte turbolenze e grazie all'immissione di aria secondaria per garantire l'ossidazione completa dei
prodotti della combustione.

Tuttavia l'aumento delle temperature, se da un lato riduce la produzione di certi inquinanti (per es. diossine), dall'altra
aumenta la produzione di ossidi di azoto e soprattutto di particolato il quale quanto pi fine, tanto pi difficile da
intercettare anche per i pi moderni filtri, per cui si deve trovare un compromesso, considerato anche che il metano
usato comunque ha un costo notevole. Per questi motivi talvolta gli impianti prevedono postcombustori a metano e/o
catalizzatori che funzionano a temperature inferiori ai 900 C.
Abbattimento degli NOx
Come detto la formazione di ossidi d'azoto aumenta quasi esponenzialmente al crescere della temperatura di
combustione. Vanno citate le attrezzature specificatamente previste per l'abbattimento degli ossidi di azoto, per i quali i
processi che vengono normalmente utilizzati sono del tipo catalitico o non catalitico.
La prima di queste tecnologie, definita riduzione selettiva catalitica (SCR), consiste nell'installazione di un reattore a
valle della linea di depurazione in cui viene iniettata ammoniacanebulizzata, che, miscelandosi con i fumi e
attraversando gli strati dei catalizzatori, trasforma alla temperatura di 300 C gli ossidi di azoto in acqua e azoto
gassoso, gas innocuo che compone circa il 79% dell'atmosfera. Visto che possibile che una certa quantit di
ammoniaca non reagita sfugga dal camino ("ammonia slip"), sono state elaborate altre metodiche che non fanno uso di
ammoniaca quale reagente ovvero che prevedono l'uso di un ulteriore catalizzatore per prevenirne la fuga.
La seconda tecnologia, chiamata Riduzione Selettiva Non Catalitica (SNCR), spesso preferita perch pi economica,
presenta il vantaggio di non dover smaltire i catalizzatori esausti ma ha caratteristiche di efficacia inferiori ai sistemi
SCR, e consiste nell'iniezione di un reagente (urea che ad alta temperatura si dissocia in ammoniaca) in una soluzione
acquosa in una zona dell'impianto in cui in cui la temperatura compresa fra 850 C e 1.050 C con la conseguente
riduzione degli ossidi di azoto in azoto gassoso e acqua. Altri processi non catalitici sfruttano la riduzione con
ammoniaca attuata tramite irraggiamento con fascio di elettroni o tramite l'utilizzo di filtri elettrostatici.
Abbattimento dei microinquinanti
Altri sistemi sono stati messi a punto per l'abbattimento dei microinquinanti come metalli pesanti (mercurio, cadmio
ecc) e diossine.
Riguardo ai primi, presenti sia in fase solida che di vapore, la maggior parte di essi viene fatta condensare nel sistema di
controllo delle emissioni e si concentra nel cosiddetto "particolato fine" (ceneri volanti). Il loro abbattimento poi
affidato all'efficienza del depolveratore che arriva a garantire una rimozione superiore al 99% delle PM10 prodotte, ma
nulla pu contro il PM2,5 e le nanopolveri. Per tale motivo le polveri emesse sono considerate particolarmente nocive.
Per quanto riguarda l'abbattimento delle diossine e dei furani il controllo dei parametri della combustione e della postcombustione (elevazione della temperatura a oltre 850 C), sebbene in passato fosse considerato di per s sufficiente a
garantire valori di emissione in accordo alle normative, oggi considerato insufficiente e quindi accompagnato (nei
nuovi impianti) da un ulteriore intervento specifico basato sulle propriet chimicofisiche dei carboni attivi. Questo
ulteriore processo viene effettuato attraverso un meccanismo dichemiadsorbimento, cio facendo "condensare" i vapori
di diossine e furani sulla superficie dei carboni attivi. Questi non sono altro che carbone in polvere, il quale pu esibire
600 m di superficie ogni grammo: detto in altri termini funziona come una specie di "spugna". Queste propriet
garantiscono abbattimenti dell'emissione di diossine e furani tali da premettere di operare al di sotto dei valori richiesti
dalla normativa. Anche qui la filtrazione della polvere di carbone esausta affidata al depolveratore in quanto
evidentemente i carboni esausti (cio impregnati di diossine) sono altamente nocivi e sono considerati rifiuti speciali
pericolosi, da smaltire in discariche speciali.
Sono allo studio metodi di lavaggio dei fumi in soluzione oleosa per la cattura delle diossine che sfruttino la loro
spiccata solubilit nei grassi.
Abbattimento delle polveri
Un precipitatore di polveri

La pericolosit delle polveri prodotte da un inceneritore potenzialmente estremamente elevata. Questo confermato
dai limiti particolarmente severi imposti dalla normativa per i fumi, limitata per alle polveri totali senza discriminare le
relative dimensioni delle stesse. Infatti, se da un lato la combustione dei rifiuti produce direttamente enormi quantit di
polveri dalla composizione chimica varia, dall'altra alcune sezioni dei sistemi di filtrazione ne aggiungono di ulteriori
(in genere calce o carboni attivi) per assorbire metalli pesanti e diossine come sopra spiegato. Pertanto, le polveri
finiscono per essere un concentrato di sostanze pericolose per la vita umana ed animale.
Per tali motivi, l'importanza e l'efficacia dei depolveratori molto elevata. Vengono in genere usati sia filtri elettrostatici
(dagli elevati consumi elettrici, poco efficaci su ceneri contenenti poco zolfo ma in generale abbastanza efficaci se
frequentemente ripuliti[40]), sia filtri a maniche (non adatti ad alte temperature e soggetti ad intasamento). Attualmente
la legge non prevede limiti specifici per le polveri fini (PM10, ecc.) per cui la reale efficacia di tali sistemi su queste
particelle oggetto di dibattiti accesi. Tuttavia il rispetto della legge vigente , in genere, ampiamente garantito. In ogni
caso, le polveri trattenute devono essere smaltite in discariche per rifiuti speciali pericolosi: in taluni casi vengono
smaltite all'estero (in Germania le miniere di salgemma vengono usate per questo oltre che per i rifiuti radioattivi).
Incentivi all'incenerimento
In Italia, i costi dello smaltimento dei rifiuti tramite incenerimento sono indirettamente sostenuti dallo Stato sotto la
forma di incentivi alla produzione di energia elettrica: infatti questa modalit di produzione era considerata (sebbene in
violazione delle normative europee in materia), come da fonte rinnovabile (assimilata) alla stregua di idroelettrico,
solare, eolico e geotermico.[41]
Le modalit di finanziamento sono due, correlate ma diverse:
1.pagamento maggiorato dell'elettricit prodotta per 8 anni (incentivi cosiddetti CIP 6);
2.riconoscimento di "certificati verdi" che il gestore dell'impianto pu rivendere (per 12 anni).
Problematiche sanitarie
Gli aspetti sanitari relativi alle ricadute sulla popolazione di una data attivit umana non possono essere valutati
solamente sulla base dei valori di emissione al camino (o allo scarico per inquinanti liquidi). In altri termini, fra i valori
di emissione e l'effetto sulla salute possono inserirsi altri fattori, direttamente influenzati dalle emissioni ma intermedi
fra "emissione" e "salute". Tali inquinanti "intermedi" sono detti inquinanti secondari per distinguerli dagli inquinanti
primari direttamente emessi dagli impianti. Risulta ad esempio noto dalla chimica ambientale che alcuni inquinanti di
estrema importanza per la salute sono inquinanti secondari (come l'ozono, non prodotto dalla combustione ma generato
dall'interazione fra inquinanti primari derivati dalle combustioni e radiazione solare).
Un approccio sanitario completo deve (o dovrebbe) quindi valutare anche gli inquinanti secondari, cosa per molto
difficile in pratica. Anche per questo motivo ci si limita pertanto agli inquinanti primari (facilmente rilevabili in quanto
misurabili al camino o allo scarico) e, per gli inceneritori, le indagini considerano in primis le diossine ed i metalli
pesanti.
A proposito dei dati, appunto strettamente sanitari, si rileva anche il fatto che gli stessi dati epidemiologici per loro
natura possono sottostimare o fallire nel rilevare il rischio reale. Il problema complesso; sull'errore influisce una buona
dozzina di fattori, metodologici o no. Se ne segnalano i principali.
Alcune metodiche di studio in genere congelano una data situazione anzich seguirla nel tempo, processo lungo
e costoso (cross-sectional vs longitudinal epidemiologic studies);
si focalizzano su un determinato agente causale trascurando interazioni e sinergie tra i contaminanti;
si focalizzano solo su una specifica determinata patologia, magari per direzioni impartite dal committente;
fanno uso di statistica univariata e non di quella multivariata, di approccio in genere pi ostico.
Bisogna considerare anche l'individuazione corretta della popolazione esposta;
la possibilit che la popolazione generale sia meno sana di quella in studio.
Anche per questo aspetto si pu rappresentativamente citare un lavoro di Lorenzo Tomatis, gi direttore IARC e punto
di riferimento internazionale sugli aspetti sanitari e ambientali.[54]

Studi epidemiologici
Son stati effettuati numerosi studi per analizzare l'incidenza di tumori nei dintorni di impianti di incenerimento. I
risultati sono al momento ancora contrastanti.
Studi epidemiologici, anche recentissimi, condotti in paesi sviluppati e basati su campioni di popolazione esposta molto
vasti, evidenziano una correlazione tra patologie tumorali (sarcoma) e l'esposizione a diossine derivanti da inceneritori e
attivit industriali.[55]
Altre indagini epidemiologiche prendono in particolare considerazione gli inceneritori come fonte d'inquinamento da
metalli pesanti, ed eseguono accurate analisi considerando sia fattori socio-economici sia le popolazioni esposte nelle
precise zone di ricaduta (mappe di isoconcentrazione tracciate per rilevamento puntuale e interpolazione spaziale col
metodo di kriging). L'analisi, accurata pur se limitata solo ad alcune popolazioni, evidenzia inequivocabilmente aumenti
statisticamente significativi di patologie tumorali, ad esempio nelle donne residenti in zona da almeno cinque anni.
Nello studio viene ugualmente rilevata l'esposizione ad ossidi di azoto NOx).[56]
Un lavoro giapponese del 2005 ha tentato di mettere in relazione le diossine presenti nel latte materno con la distanza
dagli inceneritori. Le conclusioni sono state che (nei limiti e nell'estensione dello studio) nonostante gli inceneritori
fossero la maggior fonte di diossine in Giappone al momento dello studio, i livelli di diossine nel latte materno non
hanno mostrato apparente correlazione con le distanze tra il domicilio delle madri e gli inceneritori di rifiuti.
Un'analisi sintetica degli effetti sulla salute, svincolati dalla sola analisi dei singoli composti emessi difficilmente
studiabili se non in totoper gli effetti sinergici e di amplificazione dei componenti della miscela , si pu invece evincere
da alcuni altri lavori: sempre in Giappone si rilevata correlazione tra l'aumento di una serie di disturbi minori nei
bambini e distanza dagli impianti.[ Passando a problemi di ordine maggiore, si sono rilevati aggregati (cluster) di
aumento di mortalit per linfoma non Hodgkin; altri studi, nonostante difficolt relative all'analisi dei dati, aggiungono
risultati significativi sull'incidenza di tumore polmonare, linfoma non Hodgkin, sarcomi ai tessuti molli, tumori
pediatrici, malformazioni neonatali. Diversi studi europei rivelano, sempre nell'ambito delle patologie tumorali,
correlazioni con la presenza di inceneritori, in coerenza con analoghi studi precedenti.
Ma, in questo ambito, gli studi sono controversi e discordanti: a titolo di esempio uno studio effettuato in Gran
Bretagna, con lo scopo di valutare l'incidenza di varie tipologie di cancro in una popolazione che vive in prossimit di
impianti di incenerimento, ha evidenziato che il rischio aggiuntivo di contrarre il cancro dovuto alla vicinanza degli
inceneritori estremamente basso. Sempre lo stesso studio rileva che un moderno inceneritore influisce
sull'assorbimento umano medio di diossina in percentuale inferiore all'1% dell'assorbimento totale derivato dall'insieme
delle emissioni ambientali (come precedentemente rilevato l'assorbimento di diossina avviene principalmente con la
dieta). Inoltre, riguardo a specifiche patologie tumorali, lo studio afferma che non c' evidente correlazione tra
l'esposizione alle emissioni degli inceneritori e l'incidenza di cancro allo stomaco, all'apparato gastrointestinale e
ai polmoni; i fattori socio-economici hanno un ruolo determinante. Sull'incidenza dell'angiosarcoma, lo studio in
questione evidenzia che non possibile effettuare alcuna correlazione a causa della mancanza di informazioni
sull'accuratezza della diagnosi effettuata sulla popolazione generale; comunque la commissione di studio giunta alla
conclusione che non c' alcuna prova pi generale dell'esistenza di aggregati e non sono necessari ulteriori studi nel
breve termine.[62] Sempre in Gran Bretagna, nel 2008 la British Society for Ecological Medicine (BSEM) ha
pubblicato uno studio[ avente l'obiettivo di riassumere i risultati dei principali studi epidemiologici e dimostrare gli
effetti nocivi degli inceneritori sulla salute. Tale studio stato ampiamente criticato dall'Health Protection Agency
britannica che ha accusato la BSEM di aver utilizzato per le sue conclusioni solamente gli studi scientifici con risultati
favorevoli alle conclusioni volute, tralasciandone altri con opposte vedute[64].
Sull'effetto dei metalli pesanti dispersi dalla combustione di rifiuti pericolosi sulla salute della popolazione si rileva che
le emissioni non si limitano alle sostanze aerodisperse, ma possono riguardare anche le acque o i siti di stoccaggio delle
ceneri.[65]

Uno studio britannico ha analizzato la distribuzione del piombo e cadmio derivato dalle emissioni di polveri sottili di un
inceneritore per fanghi di depurazione evidenziando che nelle adiacenze dell'inceneritore si rilevano picchi maggiori di
concentrazione, seppure l'impatto sia relativamente piccolo rispetto alle altre attivit antropiche nella zona oggetto di
studio
In Italia, negli anni 2001-2004, stato commissionato dal Ministro dell'Ambiente Altero Matteoli uno studio
sulla Sostenibilit ambientale della termovalorizzazione dei rifiuti solidi urbani, svolto dal dipartimento di Fisica
tecnica dell'Universit degli Studi di Roma "La Sapienza" e dal dipartimento di ingegneria impiantistica dell'Universit
di Perugia. Secondo i resoconti della Commissione Ambiente e Territorio dell'epoca la tecnologia di
termovalorizzazione ormai affidabile e sostenibile, [...] Inoltre, quando gli impianti sono a norma, i rischi di
insorgenze di malattie tumorali nella popolazione sono stati abbattuti drasticamente. [...] i rischi di carattere sanitario
connessi alla realizzazione di termovalorizzatori di ultima generazione sono assolutamente trascurabili.
Tale studio stato criticato sia in Commissione, sia da soggetti esterni hanno rilevato come esso trascuri completamente
le problematiche ambientali e non specifichi quali siano i parametri e indicatori di tale compatibilit ambientale di tali
impianti.
Norme vigenti in Italia
Secondo l'articolo 216 del testo unico delle leggi sanitarie, gli inceneritori sono classificati come fabbriche insalubri di
prima classe e come tali "debbono essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni".
Emissioni
Il valore delle emissioni viene misurato "al metrocubo di fumi" cio per concentrazione, e non sui valori totali.
I limiti di concentrazione degli inquinanti imposti dalla normativa sono riferiti al metro cubo di fumi e non all'emissione
totale. Pertanto, bruciando pi rifiuti si ottengono pi fumi e quindi pi emissioni inquinanti, ma si rimane sempre nei
parametri di legge.
Detto in altri termini, i limiti sono relativi alla concentrazione dell'inquinante all'emissione, ma non al flusso di massa:
quindi si occupano della qualit dell'emissione, per incentivare l'adozione delle migliori tecnologie disponibili, ma non
della quantit delle emissioni cio dell'impatto complessivo sull'ambiente. Per tale motivo, le norme non garantiscono
necessariamente un valore di concentrazione degli inquinanti "sicuro" in base a studi medici ed epidemiologici
sull'effetto degli inquinanti, ma si riferiscono ai valori che possibile ottenere tecnicamente con gli impianti migliori.
I limiti sulle emissioni non sono stabili ma vengono adeguati nel tempo in base alle tecnologie di abbattimento degli
inquinanti disponibili sul mercato, seppure con l'inevitabile ritardo dovuto ai tempi legislativi. Spesso per tali limiti
vengono richiesti solo per la costruzione di nuovi impianti, mentre agli impianti gi esistenti vengono concesse lunghe
deroghe.
Nonostante le normative vigenti, non sono comunque mancati casi di impianti in cui si siano rilevate alcune infrazioni
per il mancato rispetto di normative o per il superamento del tonnellaggio di rifiuti inceneriti originariamente ammesso.
comunque difficile che l'accertamento di un'infrazione sfoci in provvedimenti molto severi come il sequestro
dell'impianto, perch in tal caso si potrebbe creare un'emergenza rifiuti molto pericolosa. Fra febbraio e giugno del
2007, tuttavia, l'inceneritore di Trieste stato posto sotto sequestro per il superamento dei limiti di legge riguardanti le
emissioni di diossine, superiori anche di 10 volte il limite autorizzato.
L'adeguamento dei vecchi impianti alle nuove normative procede a rilento, ed solitamente collegato agli ampliamenti
degli impianti. Da ci deriva che spesso impianti di piccole dimensioni hanno emissioni (riferite al metrocubo di fumi e
non al flusso totale) maggiori di impianti pi grandi.
Norme sulle emissioni
Le nuove tecnologie permettono oggi di raggiungere valori assai elevati di abbattimento delle emissioni inquinanti, nel
rispetto del Decreto Legislativo 133/2005.

Il provvedimento regola tutte le fasi dell'incenerimento dei rifiuti, dal momento della ricezione nell'impianto fino alla
corretta gestione e smaltimento delle sostanze residue:
disciplina i valori limite di emissione degli impianti di incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti,
i metodi di campionamento, di analisi e di valutazione degli inquinanti derivanti dagli stessi impianti,
i criteri e le norme tecniche generali riguardanti le caratteristiche costruttive e funzionali, nonch le condizioni
di esercizio degli impianti, con particolare riferimento alle esigenze di assicurare una elevata protezione
dell'ambiente contro le emissioni causate dall'incenerimento e dal coincenerimento dei rifiuti,
i criteri temporali di adeguamento degli impianti gi esistenti alle disposizioni del presente decreto;
prevede che i cittadini possano accedere a tutte le informazioni, cos da essere coinvolti nelle eventuali
opportune decisioni.
Valori di emissione in atmosfera e nelle acque
Per ogni tonnellata di rifiuti immessi, si ha l'emissione di circa 6000 metri cubi di fumi.
Per quanto riguarda l'Italia, i limiti di legge imposti agli inceneritori per le emissioni in atmosfera sono evidenziati nella
tabella 2, in paragone semplificato con altri tipi di impianto presenti sul territorio (si veda il DL 133/2005 per gli
inceneritori e il DL 3 aprile 2006, n. 152 per gli altri impianti):
Le polveri
Gli inceneritori, e in generale qualsiasi processo di combustione di combustibili solidi e liquidi, rilasciano nell'aria
polveri sottili. Indicativamente, per un inceneritore, considerando una produzione di fumi di 6000 m/t di rifiuti e il
limite giornaliero di 10 mg/Nm, l'emissione di 60 grammi/t.
Tuttavia, questa una indicazione solo quantitativa: molto importante anche l'aspetto qualitativo cio la finezza delle
polveri emesse (PM10, PM2,5 ecc.). In genere pi sono alte le temperature di combustione e pi aumenta la finezza
delle polveri. Tali polveri sottili sono nocive a causa delle loro piccole dimensioni e del fatto che con s trasportano,
tramite fenomeni chimico-fisici quali l'adsorbimento, materiali tossici e nocivi residui della combustione, come
idrocarburi policiclici, policlorobifenili, benzene, metalli pesanti e diossine, pericolosi perch persistenti e accumulabili
negli organismi viventi.
Gli inceneritori contribuiscono all'emissione antropica di polveri fini e ultrafini in aree urbane, motivo per cui tali
emissioni sono sotto osservazione per valutarne l'importanza relativa rispetto alle altre fonti (naturali o antropiche), non
ancora del tutto chiarita. Anche per via delle recenti preoccupazioni sulle nanopolveri gli inceneritori sono visti con
sospetto sia da alcuni ricercatori che da parte dell'opinione pubblica, mentre altri li considerano sostanzialmente innocui.
Un recente studio svolto per la Provincia di Bolzano ha misurato la concentrazione di particelle di diametro compreso
tra i 5,5 e i 350 nanometri (quindi polveri cosiddette ultrafini) in vari punti, trovando valori di 10-20000 particelle per
centimetro quadrato nei pressi dell'autostrada, 5-7000 al camino dell'inceneritore, 5-10000 nel punto di massima
ricaduta delle sue polveri e 5000 in una zona non antropizzata.[Si noti che i dati sono espressi in numero di particelle
per unit di superficie e quindi non secondo il classico rapporto grammi di polvere per volume d'aria. Questo perch,
data la finezza di tali polveri inutile "pesarle". Del resto questo genere di problematiche emerso relativamente di
recente e non sono state ancora stabilite dalla legge delle regole di determinazione quantitativa.
Infatti, la legge italiana e le norme europee pongono limiti di qualit dell'aria solamente riferiti al PM10 (polveri di
diametro aerodinamico inferiore 10 micrometri cio 10000 nanometri), quantificando il limite medio massimo di tali
polveri sottili nell'aria in 50 microgrammi/m (milionesimi di grammo per metrocubo d'aria). I limiti relativi alle
emissioni degli inceneritori (e degli altri impianti industriali) sono ancora meno accurati: non considerano per niente la
finezza delle polveri, ma solo il peso totale di 10 milligrammi/m3 (millesimi di grammo al metrocubo di fumi). Ad oggi,
l'unico ambito in cui i limiti di emissione sono imposti sul PM10 quello dei veicoli (si vedano le norme Euro3 ed
Euro4).

Diossine e furani
Struttura molecolare della TCDD, la pi tossica fra le Diossine
Il bilancio di materia di un impianto di incenerimento nella prassi gestionale odierna.
Le diossine ed i furani sono tossici, cancerogeni e mutageni per l'organismo umano. Sono poco volatili per via del loro
elevato peso molecolare e sono solubili nei grassi, dove tendono ad accumularsi. Proprio per questo motivo tendono ad
accumularsi nella catena alimentare e nell'organismo umano per cui anche un'esposizione a livelli minimi ma prolungata
nel tempo pu recare gravi danni alla salute. Le sorgenti delle diossine sono varie e hanno avuto molte variazioni nel
corso degli anni, ed difficile quantificarne esattamente la rilevanza relativa: gli inceneritori sono comunque una delle
fonti maggiori, e vanno tenuti sotto accurata osservazione
Per quanto concerne l'incenerimento, le diossine vengono prodotte quando materiale organico bruciato in presenza di
cloro, sia esso ione cloruro o presente in composti organici clorurati come le plastiche in PVC.
La soglia minima di sicurezza per tali sostanze ancora oggetto di investigazione scientifica; i limiti imposti dalla UE
sulle emissioni sono di 0,1 nanogrammi/m3 (miliardesimi di grammo per metro cubo di fumi: sulle leggi valgono le
considerazioni precedenti, all'inizio del paragrafo).
Per ridurre l'emissione di vari inquinanti fra cui la diossina, negli inceneritori vietato (per legge) che i fumi scendano
sotto gli 850 C, che poi il motivo per cui gli inceneritori non possono accettare materiale dal potere calorifico troppo
basso oppure devono integrare la combustione con metano.[21]L'obiettivo di minimizzare le emissioni di diossine
contrasta in parte con il recupero dell'energia, in quanto una elevata temperatura di combustione e un veloce
raffreddamento dei fumi (condizioni ideali per ridurre la formazione di diossina) sono incompatibili con una massima
efficienza nel recupero dell'energia termica.[83]
Gli impianti tecnologicamente pi avanzati presentano un elevato grado di efficienza tale da contenere le emissioni a
livelli significativamente inferiori al limite di legge ma bisogna considerare che la legge impone solo delle misurazioni
periodiche e non continue sulla produzione di diossina,[84]e che solo in pochissimi impianti italiani tenuta sotto
costante controllo. Inoltre, le misurazioni, necessarie solo ad assicurare il rispetto della legge, spesso non sono precise e
non servono a conoscere l'effettiva emissione in atmosfera. Ad esempio, in inceneritori come quello di Brescia la
concentrazione di diossina nei fumi pu essere abbastanza bassa da risultare non rilevabile dagli strumenti adottati (a
Brescia la soglia di misurabilit di 0,0001 ng/Nm3 di fumi, ovvero circa 5 ng/t di rifiuti). (I valori in emissione variano
tra 0,0001 e 0,005 ng/Nm3, quindi l'emissione giornaliera data una emissione di circa 13milioni di m3/giorno sarebbe
pari a 1.300 65.000 ng/giorno). Le concentrazioni di diossina e degli altri microinquinanti organici come IPA e PCB
nelle emissioni del termovalorizzatore sono dello stesso ordine di grandezza (per le diossine di poco superiori, per PCB
e IPA inferiori) delle concentrazioni di fondo presenti nell'aria esterna. Quindi complessivamente non si aggiungono
microinquinanti organici all'aria, mentre vengono distrutti quelli gi presenti nei rifiuti in ingresso all'impianto.[21]
Gli inceneritori rilasciano diossina non solo nell'atmosfera attraverso i fumi, ma anche nella terra e nell'acqua: le
diossine sono presenti nelle scorie e nei residui solidi o liquidi del filtraggio dei fumi, e possono diffondersi per
percolazione nel luogo di deposito di tali rifiuti o per dispersione delle acque di lavaggio delle zone di inquinate. La
quantit di diossina nelle scorie secondo misurazioni del DETR, Dipartimento inglese per l'ambiente di circa 1272 nanogrammi/kg; il miglioramento tecnologico ha ridotto notevolmente l'emissione complessiva di diossina, tuttavia i
sistemi di filtraggio pi sono efficienti pi concentrano le diossine prodotte nei loro residui: nei residui del filtraggio dei
fumi attraverso precipitatori elettrostatici delle polveri (circa 30 kg/t di rifiuti) in passato la concentrazione era
elevatissima, fra i 6600 e i 31100 ng/kg; negli impianti recenti di 810-1800 ng I-TEQ/kg (quindi ca. 24,3-54 ng
diossina/t rifiuti) e 680-12200 ng I-TEQ/kg nei fanghi dalle torri di lavaggio dei fumi (circa 101 kg/t di rifiuti, quindi
ca. 8,5-152,5 ng diossina/t rifiuti).[85]

Uno dei principali motivi della differenza tra i risultati dei diversi studi risiede nel diverso arco temporale in cui questi si
sono svolti, infatti il fattore di emissione delle diossine da incenerimento si ridotto di circa 50 volte negli ultimi 15
anni, quindi chiaramente studi degli anni '90 forniscono dati notevolmente diversi da quelli pi recenti.
Gas serra
La valutazione dell'emissione effettiva di gas serra da parte degli inceneritori questione dibattuta. Se da un lato
l'emissione al camino quantificabile (~1400 kg/t, si veda oltre), per una valutazione completa dell'influenza sulle
emissioni globali di anidride carbonica bisognerebbe considerare in primo luogo la tipologia di rifiuti (organici o no,
pretrattati o indifferenziati ecc.), le altre possibili modalit di smaltimento dei rifiuti residui [86], nonch la produzione
di CO2 media usata per calcolare le emissioni evitate, ecc.
Un confronto fra il bilancio totale di CO2 derivante dall'uso dell'inceneritore (termoutilizzatore) e di una discarica priva
di sistemi per la captazione di biogas, per lo smaltimento di rifiuti urbani stato presentato nel 2005 dall'Universit di
Firenze[87].
In base a questo studio, statisticamente per una tonnellata di rifiuto urbano "termovalorizzato" si deve considerare una
produzione di 1402 kg di CO2[20] (per combustione), un risparmio di 554 kg di CO2 ottenuto col recupero energetico
(verrebbero emessi producendo la stessa energia con fonti fossili), altri 910 kg di anidride carbonica assorbita in origine
dalla componente rinnovabile, per un bilancio totale negativo di contributo di 62 kg di CO2 sottratti ai gas serra. Questo
sempre che vengano realmente bruciate solamente biomasse e non materiali di origine fossile (plastiche ecc.)
Viceversa una discarica produrrebbe per fermentazione della componente organica circa 56 kg/t di metano (gas serra
circa 21 volte pi potente della CO2, e quindi equivalenti a 1181 kg/t di CO2) oltre a 295 kg/t di CO2; di contro, il
carbonio sequestrato in origine dalla componente organica, non trasformato in anidride carbonica durante la
fermentazione, equivarrebbe ad un sequestro di 591 kg/t di CO2. Si otterrebbe quindi un bilancio totale positivo di 886
kg di CO2 al contributo dei gas serra.
Secondo questo studio la produzione di CO2 sarebbe quindi nettamente maggiore per una discarica di rifiuti
indifferenziati che per un inceneritore. Questa procedura di valutazione ed i suoi risultati sono stati utilizzati per valutare
il progetto dell'inceneritore di Torino[88].
Va tuttavia rilevato che questo tipo di analisi non considera che le discariche controllate abbinate agli impianti di
preselezione (TMB) e/o compostaggio con produzione di biogaspermettono il recupero del metano di fermentazione (i
sopra citati 1181 kg/t equivalenti di CO2) riducendo drasticamente le emissioni di gas serra della discarica: inserendo
questa componente nel confronto, la discarica avrebbe emissioni di CO2 nettamente inferiori ad un inceneritore,
ribaltando il risultato dello studio.
Occorre quindi sottolineare che questi confronti e considerazioni riguardanti il recupero energetico e la riduzione dei gas
serra sono forzatamente solo indicativi e facilmente manipolabili, poich in funzione delle tipologie di impianti, rifiuti e
trattamenti considerati, le conclusioni possono essere radicalmente diverse.

I RIFIUTI E LOSPEDALE
L'ospedale, cos come ogni altra realt aziendale produttiva, d origine ad una notevole quantit di rifiuti. Il problema
relativo al loro smaltimento piuttosto complesso e riguarda tutti gli operatori sanitari. Le fasi di gestione dei rifiuti ed
in particolare quella di raccolta dei rifiuti possono, infatti, comportare dei rischi per la salute degli operatori stessi.
CHE COSE LO SMALTIMENTO DEI RIFIUTI? La raccolta, la cernita, il trasporto, il trattamento dei rifiuti, nonch

l'ammasso e il deposito dei medesimi sul suolo o nel suolo.Le operazioni di trasformazione necessarie per il riutilizzo, il
recupero o il riciclo dei rifiuti.

RIFERIMENTI LEGISLATIVI

La gestione dei rifiuti in ospedale viene normata dal DPR 254/2003 (G.U. 211/2003), indirizzato
principalmente alle Strutture Sanitarie, che rappresenta il Regolamento attuativo del Decreto
Legislativo 22/1997.
Questo decreto recepisce larticolo 24 della legge 31 luglio 2002, n. 179; la vecchia normativa al
riguardo stata abrogata.
DPR 15 LUGLIO 2003, N. 254 Disciplina la gestione dei rifiuti sanitari e degli altri rifiuti allo scopo di garantire elevati

livelli di tutela dell'ambiente e della salutepubblica e controlli efficaci. I rifiuti disciplinati dal presente regolamento
sono:
i rifiuti sanitari non pericolosi;
i rifiuti sanitari assimilati ai rifiuti urbani;
i rifiuti sanitari pericolosi non a rischio infettivo;
i rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo;
i rifiuti sanitari che richiedono particolari modalit di
smaltimento;
i rifiuti da esumazioni e da estumulazioni, nonch i rifiuti
derivanti da altre attivit cimiteriali.
i rifiuti speciali, prodotti al di fuori delle strutture sanitarie, che
come rischio risultano analoghi ai rifiuti pericolosi a rischio
infettivo.
RISCHI CONNESSI CON LA GESTIONE DEI RIFIUTI

Rischio infettivo:
Legato solo ad alcuni tipi di rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo e a rifiuti che richiedono particolari modalit di
trattamento. Questi prodotti vengono in gran parte sterilizzati prima dello smaltimento. I rischi di natura infettiva sono
essenzialmente conseguenti a infortuni con conseguenti ferite da taglio o da punta.
CAUSE DI INFORTUNI DA RISCHIO BIOLOGICO

Manipolazione poco attenta de rifiuto,effettuata senza l'ausilio di dispositivi di protezione individuali.


Utilizzo di contenitori non adeguati per dimensioni, resistenza, impermeabilizzazione, chiusura, oppure applicazione di
tecniche scorrette di condizionamento.
ALTRI RISCHI CONNESSI CON LA GESTIONE DEI RIFIUTI

Rischio infettivo:
Legato solo ad alcuni tipi di rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo e a rifiuti che richiedono particolari modalit di
trattamento. Questi prodotti vengono in gran parte sterilizzati prima dello smaltimento. I rischi di natura infettiva sono
essenzialmente conseguenti a infortuni con conseguenti ferite da taglio o da punta.
CAUSE DI INFORTUNI DA RISCHIO BIOLOGICO

Manipolazione poco attenta del rifiuto, effettuata senza l'ausilio di dispositivi di protezione individuali .Utilizzo di
contenitori non adeguati per dimensioni, resistenza, impermeabilizzazione, chiusura, oppure applicazione di tecniche
scorrette di condizionamento.

ALTRI RISCHI CONNESSI CON LA GESTIONE DEI RIFIUTI

Rischio chimico: dovuto alla presenza nei rifiuti di sostanze chimiche (disinfettanti e farmaci, in particolare quelli
tumorali) derivanti dall'attivit ospedaliera. Rischio nella movimentazione dei contenitori per i rifiuti anche presente
un rischio di origine traumatica.
MISURE GENERALI DI PREVENZIONE

Utilizzo dei dispositivi di protezione individuali (guanti, ecc.).Adeguata chiusura e corretta manipolazione dei
contenitori per i rifiuti, prestando particolare attenzione ai taglienti.Rispetto delle modalit di raccolta diverse per i vari
tipi di rifiuti.Quando possibile, copertura vaccinale degli operatori.
CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI SANITARI

Non pericolosi

Assimilabili ai rifiuti urbani

Pericolosi non a rischio infettivo

Pericolosi a rischio infettivo

Che richiedono particolari modalit di smaltimento

RIFIUTI SANITARI NON PERICOLOSI

Rifiuti taglienti non utilizzati, contenitori vuoti di farmaci, soluzioni per infusione, farmaci scaduti
Esiste un formulario di registrazione e norme di carico/scarico. Da un punto di vista giuridico questi sono rifiuti speciali.
Lo smaltimento viene fatto tramite ditta autorizzata.
RIFIUTI ASSIMILABILI AI RIFIUTI SOLIDI URBANI

Rifiuti il cui smaltimento segue il normale iter dei rifiuti solidi urbani (RSU).
Non prevista alcuna registrazione.
Alcuni di essi sono passibili di riciclo e raccolta differenziata.
Costituiti da: Residui da preparazione pasti (strutture di ristorazione), residui da pasti esclusi
quelli da infettive (vista una malattia trasmissibile tramite tali residui), spazzatura, indumenti
monouso, gessi ortopedici, assorbenti igienici, pannolini e altri rifiuti per i quali sono possibili
riciclaggio o raccolta differenziata.
RSU RICICLABILI O PER I QUALI EPREVISTA LA RACCOLTA DIFFERENZIATA

Contenitori in vetro di farmaci e bevande


Soluzioni per infusione privati di cannule, aghi ed accessori,esclusi contenitori di antiblastici, materiali biologici,
radioattivio provenienti da pazienti in isolamento infettivo.

Mercurio

Pile

Oli minerali

Rifiuti di imballaggio e giardinaggio

Vetro

Carta e cartone

Toner

Pellicole e piastre radiografiche

RIFIUTI PERICOLOSI NON A RISCHIO INFETTIVO

Rifiuti di laboratorio (solventi, reagenti, miscele).

Modalit smaltimento da per rifiuti pericolosi (formulario, registro carico/scarico e smaltimento con ditta
autorizzata).

Da un punto di vista giuridico si tratta di rifiuti speciali.

RIFIUTI PERICOLOSI A RISCHIO INFETTIVO

Componente di pericolosit pi rilevante dei rifiuti ospedalieri


Materiali venuti a contatti con liquidi biologici, secreti o escreti, come sangue urina o feci.
Si tratta sia dei materiali sicuramente infetti o presunti tali (assimilabili a questi anche i rifiuti
provenienti da materiale laboratoristico venuto a contatto con materiali biologici)
TAGLIENTI O NON TAGLIENTI

Taglienti: Aghi, vetri, lancette, pungidito, rasoi, bisturi monouso. Rientrano in questa categoria i taglienti utilizzati,
quelli non utilizzati.Non taglienti: Presidi vari medici e chirurgici, filtri, sangue, urine e feci.
GESTIONE DI QUESTI RIFIUTI: DEPOSITO

Raccolta con deposito temporaneo non superiore ai 5 giorni in condizioni che non comportino rischi per la salute, salvo
situazioni particolari (quantitativi inferiori a 200 litri per i quali si pu arrivare a 30 giorni).
GESTIONE DI QUESTI RIFIUTI: DISINFEZIONE

Gi durante la raccolta, rifiuti sono sottoposti a disinfezione (glutaraldeide, ortofenilfenolo e lisoformio o, solo nel caso
di termodistruzione, ipoclorito) prima dellallontanamento dal
luogo nel quale sono stati prodotti (compito affidato al Responsabile dei Rifiuti della struttura).
Se possibile si fa sterilizzazione (miglior gestione della riduzione del rischio infettivo) che per non un obbligo di legge e
richiede impianti, certificazione, controlli periodici e appositi registri.
GESTIONE DI QUESTI RIFIUTI: STOCCAGGIO E RACCOLTA

Stoccaggio e raccolta necessitano di un apposito imballaggio a perdere con la scritta


Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo . I materiali taglienti infetti devono essere raccolti in contenitori di cartone
speciale con apertura a scatto e coperchio ribaltabile con chiusura irreversibile. In questo caso limballaggio a sua volta
deve essere contenuto in quello esterno recante la scritta sopra Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo taglienti e
pungenti.
RIFIUTI SANITARI CHE RICHIEDONO PARTICOLARI SISTEMI DI SMALTIMENTO

Animali da esperimento, organi e parti anatomiche non riconoscibili e sostanze stupefacenti. Prevista registrazione.In
tutti i casi lo smaltimento, tramite Ditta autorizzata, viene fatto con la termodistruzione va effettuata in apposite
strutture.Da un punto di vista giuridicogli animali da esperimento, tessutied organi rientrano nei rifiuti pericolosia
rischio infettivo.

Smaltimento Rifiuti Sanitari


I rifiuti sanitari devono essere gestiti in modo da diminuirne la pericolosit', da favorirne il
reimpiego, il riciclaggio e il recupero e da ottimizzarne la raccolta, il trasporto e lo smaltimento.
rifiuti
sanitari
A tale fine devono essere incentivati:
possono
essere
l'organizzazione di corsi di formazione del personale delle strutture sanitarie sulla corretta
classificati come:
gestione dei rifiuti sanitari, soprattutto per minimizzare il contatto di materiali non infetti con
i
rifiuti
potenziali fonti infettive e ridurre la produzione di rifiuti a rischio infettivo;
la raccolta differenziata dei rifiuti sanitari assimilati agli urbani prodotti dalle strutture sanitarie; sanitari
non
l'ottimizzazione dell'approvvigionamento e dell'utilizzo di reagenti e farmaci per ridurre la
pericolosi;
produzione di rifiuti sanitari pericolosi non a rischio infettivo e di rifiuti sanitari non pericolosi;
i
rifiuti
l'ottimizzazione dell'approvvigionamento delle derrate alimentari al fine di ridurre la produzione sanitari
di rifiuti alimentari;
assimilati
l'utilizzo preferenziale, ove tecnicamente possibile, di prodotti e reagenti a minore contenuto di ai
rifiuti
sostanze pericolose;
urbani;
l'utilizzo preferenziale, ove tecnicamente possibile, di plastiche non clorurate;
i
rifiuti
l'utilizzo di tecnologie di trattamento di rifiuti sanitari tendenti a favorire il recupero di materia e sanitari
pericolosi
di energia.
non
a
rischio
infettivo;
i
rifiuti
sanitari
pericolosi a
rischio
infettivo;
i
rifiuti
sanitari che
richiedono
particolari
modalit di
smaltiment
o.
Rifiuti sanitari non pericolosi
Sono i rifiuti costituiti da materiale metallico non ingombrante, da materiale metallico ingombrante, vetro per farmaci e
soluzioni privi di deflussori e aghi, gessi ortopedici.
Tali rifiuti denunciabili con il codice CER 180104 e, per gli oggetti da taglio, con il codice CER 180101, qualora non
presentino condizioni di pericolosit da un punto di vista infettivo, devono essere recuperati.
Sono inoltre rifiuti sanitari non pericolosi le parti anatomiche ed organi incluse le sacche per il plasma e le sostanze per
la conservazione del sangue (codice CER 180102).
Appartengono a questa categoria ancora i farmaci scaduti (codice CER 180105) ed i rifiuti provenienti dai laboratori dei
servizi sanitari che non presentano caratteristiche di pericolosit.
Rifiuti sanitari assimilati ai rifiuti urbani
I seguenti rifiuti sanitari, qualora non rientrino tra quelli classificati come pericolosi, sono assoggettati al regime
giuridico e alle modalit di gestione dei rifiuti urbani:
i rifiuti derivanti dalla preparazione dei pasti provenienti dalle cucine delle strutture sanitarie;
i rifiuti derivanti dall'attivit di ristorazione e i residui dei pasti provenienti dai reparti di degenza delle
strutture sanitarie, esclusi quelli che provengono da pazienti affetti da malattie infettive per i quali sia
ravvisata clinicamente, dal medico che li ha in cura, una patologia trasmissibile attraverso tali residui;

vetro, carta, cartone, plastica, metalli, imballaggi in genere, materiali ingombranti da conferire negli
ordinari circuiti di raccolta differenziata, nonch altri rifiuti non pericolosi che per qualit e per quantit
siano assimilati agli urbani ai sensi dell'articolo 198, comma 2, lettera g), del decreto legislativo 3 aprile
2006, n. 152;
la spazzatura;
indumenti e lenzuola monouso e quelli di cui il detentore intende disfarsi;
i rifiuti provenienti da attivit di giardinaggio effettuata nell'ambito delle strutture sanitarie;
i gessi ortopedici e le bende, gli assorbenti igienici anche contaminati da sangue esclusi quelli dei
degenti infettivi, i pannolini pediatrici e i pannoloni, i contenitori e le sacche utilizzate per le urine (se
non considerati rifiuti pericolosi).
Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo:
tutti i rifiuti che provengono da ambienti di isolamento infettivo nei quali sussiste un rischio di
trasmissione biologica aerea, nonch da ambienti ove soggiornano pazienti in isolamento infettivo affetti
da patologie causate da agenti biologici di gruppo 4, di cui all'allegato XI del decreto legislativo 19
settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni;
i rifiuti che presentano almeno una delle seguenti caratteristiche:
1provengano da ambienti di isolamento infettivo e siano venuti a contatto con qualsiasi liquido
biologico secreto od escreto dei pazienti isolati;
2 siano contaminati da:
a-sangue o altri liquidi biologici che contengono sangue in quantit tale da renderlo visibile;
feci o urine, nel caso in cui sia ravvisata clinicamente dal medico che ha in cura il paziente una
patologia trasmissibile attraverso tali escreti;
liquido seminale, secrezioni vaginali, liquido cerebro-spinale, liquido sinoviale, liquido pleurico,
liquido peritoneale, liquido pericardico o liquido amniotico.
i rifiuti provenienti da attivit veterinaria, che:
siano contaminati da agenti patogeni per l'uomo o per gli animali;
siano venuti a contatto con qualsiasi liquido biologico secreto od escreto per il quale sia ravvisato,
dal medico veterinario competente, un rischio di patologia trasmissibile attraverso tali liquidi.
Questi rifiuti sanitari sono individuati dalle voci 180103* e 180202* del Catalogo Europeo dei Rifiuti.
Recupero di materia dai rifiuti sanitari
Ai fini della riduzione del quantitativo dei rifiuti sanitari da avviare allo smaltimento, deve essere favorito il recupero di
materia delle seguenti categorie di rifiuti sanitari, anche attraverso la raccolta differenziata;
a) contenitori in vetro di farmaci, di alimenti, di bevande, di soluzioni per infusione privati di cannule o di
aghi ed accessori per la somministrazione, esclusi i contenitori di soluzioni di farmaci antiblastici o
visibilmente contaminati da materiale biologico, che non siano radioattivi ai sensi del decreto legislativo
17 marzo 1995, n. 230, e non provengano da pazienti in isolamento infettivo;
b) altri rifiuti di imballaggio in vetro, di carta, di cartone, di plastica, o di metallo, ad esclusione di quelli
pericolosi;
c) rifiuti metallici non pericolosi;
d) rifiuti di giardinaggio;
e) rifiuti della preparazione dei pasti provenienti dalle cucine delle strutture sanitarie;
f) liquidi di fissaggio radiologico non deargentati;
g) oli minerali, vegetali e grassi;
h) batterie e pile;
i) toner;
l) mercurio;

pellicole e lastre fotografiche.

Sterilizzazione dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo


Il processo di sterilizzazione consiste nell'abbattimento della carica microbica tale da garantire un S.A.L. (Sterility
Assurance Level) non inferiore a 10-6.
La sterilizzazione e' effettuata secondo le norme UNI 10384/94, parte prima, mediante procedimento che comprenda
anche la triturazione e l'essiccamento ai fini della non riconoscibilit e maggiore efficacia del trattamento, nonch della
diminuzione di volume e di peso dei rifiuti stessi. Possono essere sterilizzati unicamente i rifiuti sanitari pericolosi a
solo rischio infettivo. La sterilizzazione dei rifiuti sanitari a rischio infettivo e' una facolt esercitabile ai fini della
semplificazione delle modalit di gestione dei rifiuti stessi.
La sterilizzazione dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo e' effettuata in impianti autorizzati ai sensi degli articoli
208 e 209 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni. Gli impianti di sterilizzazione
localizzati all'interno del perimetro della struttura sanitaria non devono essere autorizzati ai sensi degli articoli 208 e 209
del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, a condizione che in tali impianti siano trattati esclusivamente rifiuti prodotti
dalla struttura stessa. A tali fini si considerano prodotti dalla struttura sanitaria dove e' ubicato l'impianto di
sterilizzazione anche i rifiuti prodotti dalle strutture sanitarie decentrate ma organizzativamente e funzionalmente
collegate con la stessa.
L'attivazione degli impianti di sterilizzazione localizzati all'interno delle strutture sanitarie deve essere preventivamente
comunicata alla provincia ai fini dell'effettuazione dei controlli periodici.
Il direttore o il responsabile sanitario o i soggetti pubblici istituzionalmente competenti devono procedere alla convalida
dell'impianto di sterilizzazione prima della messa in funzione degli stessi. La convalida deve essere ripetuta ogni
ventiquattro mesi, e comunque ad ogni intervento di manutenzione straordinaria dell'impianto, e la relativa
documentazione deve essere conservata per cinque anni presso la sede della struttura sanitaria o presso l'impianto e deve
essere esibita ad ogni richiesta delle competenti autorit.
Gli impianti di sterilizzazione sono sottoposti ad adeguati controlli periodici da parte delle autorit competenti.
Fatto salvo l'obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico presso l'impianto di sterilizzazione deve essere tenuto un
registro con fogli numerati progressivamente nel quale, ai fini dell'effettuazione dei controlli, devono essere riportate le
seguenti informazioni:
a) numero di identificazione del ciclo di sterilizzazione;
b) quantit giornaliera e tipologia di rifiuti sottoposti al processo di sterilizzazione;
c) data del processo di sterilizzazione.
Deposito temporaneo, deposito preliminare, raccolta e trasporto dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo
Per garantire la tutela della salute e dell'ambiente, il deposito temporaneo, la movimentazione interna alla struttura
sanitaria, il deposito preliminare, la raccolta ed il trasporto dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo devono essere
effettuati utilizzando apposito imballaggio a perdere, anche flessibile, recante la scritta "Rifiuti sanitari pericolosi a
rischio infettivo" e il simbolo del rischio biologico o, se si tratta di rifiuti taglienti o pungenti, apposito imballaggio
rigido a perdere, resistente alla puntura, recante la scritta "Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo taglienti e
pungenti", contenuti entrambi nel secondo imballaggio rigido esterno, eventualmente riutilizzabile previa idonea
disinfezione ad ogni ciclo d'uso, recante la scritta "Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo".
Gli imballaggi esterni devono avere caratteristiche adeguate per resistere agli urti ed alle sollecitazioni provocate
durante la loro movimentazione e trasporto, e devono essere realizzati in un colore idoneo a distinguerli dagli imballaggi
utilizzati per il conferimento degli altri rifiuti.
Fatte salve le disposizioni sopracitate:
a Il deposito temporaneo di rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo deve essere effettuato in condizioni tali da
non causare alterazioni che comportino rischi per la salute e pu avere una durata massima di cinque giorni
momento della chiusura del contenitore. Nel rispetto dei requisiti di igiene e sicurezza e sotto la responsabilit del
produttore, tale termine e' esteso a trenta giorni per quantitativi inferiori a 200 litri. La registrazione sul registro di
carico e scarico deve avvenire entro cinque giorni;

b le operazioni di deposito preliminare, raccolta e trasporto dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo restano
sottoposte al regime generale dei rifiuti pericolosi;
c per i rifiuti pericolosi a rischio infettivo destinati agli impianti di incenerimento l'intera fase di trasporto deve essere
effettuata nel pi breve tempo tecnicamente possibile;
d Il deposito preliminare dei medesimi non deve, di norma, superare i cinque giorni. La durata massima del
deposito preliminare viene, comunque, fissata nel provvedimento di autorizzazione, che pu prevedere anche
l'utilizzo di sistemi di refrigerazione.
Deposito temporaneo, deposito preliminare, messa in riserva, raccolta e trasporto dei rifiuti sanitari sterilizzati
I rifiuti sanitari sterilizzati, assimilati ai rifiuti urbani, devono essere raccolti e trasportati con il codice CER 200301, utilizzando appositi imballaggi a perd ere,

anche flessibili, di colore diverso da quelli utilizzati per i rifiuti urbani e per gli altri rifiuti sanitari assimilati, recanti,
ben visibile, l'indicazione indelebile "Rifiuti sanitari sterilizzati" alla quale dovr essere aggiunta la data della
sterilizzazione.
Le operazioni di raccolta e trasporto dei rifiuti sanitari sterilizzati, assimilati ai rifiuti urbani, sono perci sottoposte al
regime giuridico ed alle norme tecniche che disciplinano la gestione dei rifiuti urbani. Se vengono smaltiti fuori
dell'ambito territoriale ottimale (ATO) presso impianti di incenerimento di rifiuti urbani o discariche di rifiuti non
pericolosi, devono essere raccolti e trasportati separatamente dai rifiuti urbani.
I rifiuti sanitari sterilizzati, non assimilati ai rifiuti urbani in quanto avviati in impianti di produzione di combustibile
derivato da rifiuti (CDR) od avviati in impianti che utilizzano i rifiuti sanitari sterilizzati come mezzo per produrre
energia, devono essere raccolti e trasportati separatamente dai rifiuti urbani utilizzando il codice CER 191210.
Le operazioni di movimentazione interna alla struttura sanitaria, di deposito temporaneo, di raccolta e trasporto, di
deposito preliminare, di messa in riserva dei rifiuti sanitari sterilizzati, devono essere effettuati utilizzando appositi
imballaggi a perdere, anche flessibili, di colore diverso da quelli utilizzati per i rifiuti urbani e per gli altri rifiuti sanitari
assimilati, recanti, ben visibile, l'indicazione indelebile "Rifiuti sanitari sterilizzati" alla quale dovr essere aggiunta la
data della sterilizzazione.
Alle operazioni di deposito temporaneo, raccolta e trasporto, messa in riserva, deposito preliminare dei rifiuti sanitari
sterilizzati si applicano le disposizioni tecniche che disciplinano la gestione dei rifiuti speciali non pericolosi.

Smaltimento dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo


I rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo devono essere smaltiti mediante termodistruzione in impianti autorizzati ai
sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, con le modalit qui sotto riportate.
I rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo che presentano anche altre caratteristiche di pericolo di cui all'Allegato I del
decreto legislativo n. 152 del 2006, devono essere smaltiti solo in impianti per rifiuti pericolosi.
I rifiuti sanitari pericolosi a solo rischio infettivo possono essere smaltiti, nel rispetto delle disposizioni di cui al decreto
del Ministro dell'ambiente 19 novembre 1997, n. 503, e successive modificazioni:
a) in impianti di incenerimento di rifiuti urbani e in impianti di incenerimento di rifiuti speciali. Essi sono
introdotti direttamente nel forno, senza prima essere mescolati con altre categorie di rifiuti. Alla bocca
del forno e' ammesso il caricamento contemporaneo con altre categorie di rifiuti;
b) in impianti di incenerimento dedicati
Le operazioni di caricamento dei rifiuti al forno devono avvenire senza manipolazione diretta dei rifiuti; per
manipolazione diretta si intende una operazione che generi per gli operatori un rischio infettivo.
Smaltimento dei rifiuti sanitari sterilizzati
I rifiuti sanitari sterilizzati:
a possono essere avviati in impianti di produzione di CDR o direttamente utilizzati come mezzo per
produrre energia;
b nel rispetto delle disposizioni del decreto del Ministro dell'ambiente 19 novembre 1997, n. 503, e

successive modificazioni, possono essere smaltiti in impianti di incenerimento di rifiuti urbani o in


impianti di incenerimento di rifiuti speciali alle stesse condizioni economiche adottate per i rifiuti urbani;
qualora nella regione di produzione del rifiuto non siano presenti, in numero adeguato al fabbisogno, ne'
impianti di produzione di CDR, ne' impianti che utilizzano i rifiuti sanitari sterilizzati come mezzo per
produrre energia, ne' impianti di termodistruzione, previa autorizzazione del presidente della regione,
possono essere sottoposti al regime giuridico dei rifiuti urbani e alle norme tecniche che disciplinano lo
smaltimento in discarica per rifiuti non pericolosi. L'autorizzazione del presidente della regione ha
validit temporanea sino alla realizzazione di un numero di impianti di trattamento termico adeguato al
fabbisogno regionale.

Farmaci scaduti
I farmaci sono prodotti chimici di sintesi sulle cui confezioni compare sempre una data di scadenza. Trascorso il termine
ultimo indicato dalla casa farmaceutica, i medicinali non sono pi utilizzabili e devono essere smaltiti correttamente. La
parte del prodotto pericolosa quella costituita dai principi attivi. In discarica, mischiati alla spazzatura domestica,
possono dar luogo ad emanazioni tossiche e possono inquinare il percolato (il liquido che si accumula sul fondo della
discarica). La presenza di antibiotici nei rifiuti pu favorire la selezione di ceppi di microbi e virus assai pericolosi. E'
per questo motivo che i farmaci scaduti non devono essere gettati nei normali cassonetti, ma collocati negli appositi
contenitori
presso
le
farmacie
e
le
isole
ecologiche.
Lo smaltimento dei farmaci scaduti avviene attraverso la termodistruzione, oppure attraverso la loro inertizzazione in
contenitori ermetici.

INTOSSICAZIONI ALIMENTARI
Cosa sono?
Le intossicazioni alimentari sono manifestazioni patologiche che si determinano in seguito al consumo di alimenti
contenenti tossine prodotte da microrganismi che si sono moltiplicati nellalimento precedentemente al suo consumo.
Perch si manifesti lintossicazione pertanto non obbligatoriamente ci deve essere il microrganismo, bens
indispensabile la presenza della sua tossina.
Le sole e vere intossicazioni alimentari di origine batterica sono:
Intossicazione botulinica o botulismo
Intossicazione stafilococcica
Esistono poi le cosiddette tossinfezioni alimentari in sensu strictu determinate dal consumo di alimenti contenenti sia
tossine che batteri. In questo caso la tossicit data sia dalle tossine preformate sia da quelle prodotte da cellule vive
ingerite con lalimento allinterno dellospite e dai microrganismi viventi che continuano la moltiplicazione
nellintestino.
Sono tossinfezioni alimentari le sindrome tossiche provocate da:
Bacillus cereus
Clostridium perfringens
Vibrio parahaemolyticus
Botulismo

Responsabile di questa gravissima intossicazione, quasi sempre mortale,Clostridium botulinum, il cui habitat naturale
rappresentato dal suolo e dalla polvere.
Caratteristiche di Cl. botulinum
Bastoncino - Gram positivo - Sporigeno (spora terminale o subterminale
Anaerobio obbligato
Attualmente si conoscono 7 diversi tipi sierologici di Cl. Botulinum indicati con altrettante lettere dellalfabeto: A - B C- D - E - F e G, distinti in base alla specificit antigenica e delle esotossine prodotte. Tutte hanno in comune la
caratteristica di produrre la tossina, ma si differenziano tra loro per lattivit proteolitica, per la specificit nei confronti
dellospite e per una certa distribuzione geografica.
La tossina una esotossina prodotta dal microrganismo durante la crescita microbica e poi liberata nellalimento; una
volta ingerita vieneassorbita nellintestino tenue e da qui portata, attraverso il circolo anguigno, al sistema nervoso,
agendo sulle sinapsi e sulle placche neuromuscolari ostacolando la liberazione di acetilcolina. Si tratta di una
neurotossina avente azione paralizzante a livello del sistema nervoso periferico; facilmente distrutta dal calore (80C per
15 min. i tipi A e B), ma stremamente potente infatti sufficiente una quantit pari a 1*10-8/g di tossina a determinare
la morte. I primi sintomi si manifestano dopo 18-36 ore lingestione dellalimento contaminato e sono rappresentati da:
nausea, vomito e diarrea. In breve tempo per subentrano disturbi pi gravi a carico della vista, difficolt di parola e di
deambulazione sino alla paralisi dei muscoli e dellattivit respiratoria con conseguente morte che sopraggiunge nel
65% dei casi.
Esistono antisieri specifici tuttavia la loro somministrazione, perch sia efficace, deve essere estremamente tempestiva.
Le condizioni che determinano la germinazione delle spore e la moltiplicazione del microrganismo e quindi la
produzione della tossina sono:
assenza di aria (condizioni di anaerobiosi)
temperatura > 10C
Aw > 94%
pH > 4.5
Concentrazione di NaCl < 7-8%
Assenza di nitrati
Presenza di altre forme microbiche che, attraverso la loro attivit metabolica, possono realizzare condizioni idonee alla
crescita e moltiplicazione del patogeno anche in ambienti originariamente inadatti (conserve acide).
La difficolt con cui si verificano contemporaneamente tutte queste condizioni spiega la scarsa diffusione di questa
intossicazione. In particolare il rischio a livello di produzioni industriali, se vengono rispettate tutte le procedure,
nullo. Pi pericolose sono invece le preparazioni casalinghe, soprattutto nel caso di conserve poco acide (verdure,
carne). Gli alimenti maggiormente incriminati sono insaccati, carne in scatola e conserve vegetali sottolio. E buona
norma evitare il consumo di prodotti provenienti da confezioni gonfie, indice di una produzione di gas, mentre negli
insaccati un campanello dallarme pu essere la presenza di zone verdastre ad indicare una pi o meno spinta proteolisi,
talvolta associata anche a fenomeni di rammollimento e a cattivi odori.
Prevenzione
Preparazioni casalinghe
accurata pulizia dei prodotti
utilizzo di prodotti freschi
riscaldamento a 121C per 3 minuti
(pentola a pressione)

acidificazione e salatura
Preparazioni industriali
materie prime di qualit
controllo parametri della sterilizzazione
Laccertamento di laboratorio consiste nel dimostrare la presenza nel siero del paziente, nelle feci o nellalimento
residuo di un fattore termolabile,letale per il topolino, che specificatamente neutralizzato da una delle antitossine
botuliniche.
Intossicazione stafilococcica
Rappresenta forse la pi diffusa intossicazione alimentare dei nostri tempi.
Responsabile la specie Staphylococcus aureus, cocco Gram positivo, anaerobio facoltativo, saprofita delle mucose e
della cute di uomo ed animali. Alcuni suoi ceppi durante la crescita sono in grado di produrre negli alimenti delle
tossine, responsabili di una gastroenterite, conseguente il consumo di cibi contaminati. Le condizioni ideali di
produzione della tossina, definita anche enterotossina, non sempre coincidono con quelle della crescita, a sua volta
influenzata da temperatura, attivit dellacqua, concentrazione di NaCl, potenziale redox, pH dellalimento. La
principale caratteristica di questa enterotossina di essere termostabile, pertanto i normali trattamenti di cottura non
sono in grado di inattivarla.
Sono attualmente state identificate 5 diverse enterotossine indicate come A-B-C-D- ed E. La tossina A quella
maggiormente implicata nei casi di intossicazione (circa 80%), seguono poi la D, la C e la B, mentre la E molto rara.
Si tratta di proteine semplici e bench diverse tra loro possiedono una certa capacit di reazione incrociata. I tipi B e C
sono prodotte alla fine della fase stazionaria (prodotti del metabolismo secondario), mentre A, D ed E sono prodotte
nella fase logaritmica. Le tossine sembrano codificate a livello cromosomiale, ma per alcune di queste recentemente
stata avanzata lipotesi di una loro espressione a livello plasmidico. I sintomi si manifestano rapidamente dopo
lingestione del cibo contaminato, generalmente tra le 2 e le 6 ore e sono rappresentate da nausea, aumentata
salivazione, vomito, cefalea, forti e frequenti dolori addominali e alcune volte diarrea, la febbre rara.Le preparazioni
pi comunemente implicate, sono quelle piuttosto complesse, molto manipolate, a elevato contenuto proteico, poco
acide e non propriamente sottoposte a refrigerazione dopo la cottura: carni (arrosti freddi), prodotti a base di carne
(pasticci vari) e salumi, prodotti a base di uova, pesci cotti ed affumicati. Tra le carni quelle macinate presentano il
maggior rischio a causa delle numerose manipolazioni cui sono sottoposte e della maggiore superficie di esposizione.
Da non dimenticare inoltre che, essendo lo stafilococco un microrganismo resistente ad alte concentrazioni di sale,
anche i prodotti sottoposti a salagione possono essere fonte di intossicazione. La contaminazione dei cibi pu avvenire
prima o dopo la cottura; il periodo pi pericoloso per la produzione di tossina comunque quello che intercorre tra la
cottura ed il momento della distribuzione che nella ristorazione collettiva talvolta molto lungo. In questo intervallo di
tempo nella maggior parte dei casi lalimento cotto viene lasciato a temperatura ambiente ed esposto allaria, dando cos
la possibilit al microrganismo, se presente, di moltiplicarsi e di produrre tossina. Lintervallo di temperatura critico
quello tra i 20 ed i 40C. Infine se la contaminazione da parte del microrganismo avviene dopo al cottura l'assenza di
altra microflora facilita la moltiplicazione dello stafilococco che non ha pi forme di competizione. A causa della sua
diffusione eliminare lo Stafilococco molto difficile.
La prevenzione di questa intossicazione si basa prevalentemente sullistruzione del personale circa limportanza di
condurre in maniera corretta le operazioni di cottura e di successiva refrigerazione dei pasti, nonch sulleducazione
alligiene personale da parte degli addetti alle varie preparazioni alimentari. In particolare la prevenzione deve mirare ad
impedire la moltiplicazione del microrganismo cos da evitare la produzione di tossina.
Le precauzioni da prendere sono:
Mantenere i cibi cotti a temperatura al di sopra della quale gli stafilococchi cessano di moltiplicarsi (> 70C)
Raffreddare rapidamente gli alimenti e conservarli refrigerati in contenitori poco profondi (Temperatura al cuore non
superiore a 7C)

Preparare e consumare gli alimenti nel pi breve tempo possibile al fine di non dare alle forme presenti il tempo di
moltiplicarsi (2-3 ore)
Massimo rispetto delle norme di buona produzione
I principali fattori coinvolti nelle epidemie sono quindi in ordine decrescente:
inadeguato raffreddamento
lungo intervallo di tempo tra la preparazione ed il consumo
personale malato e/o in carenti condizioni igieniche
inadeguata cottura.
Esame batteriologico che dimostra la presenza dello stafilococco
nellalimento.
Clostridium perfringens
E' un bastoncino Gram positivo sporigeno immobile, anaerobio obbligato in grado di crescere in un ampio intervallo di
temperatura (5-55C) e di pH (5-8). Molto diffuso in natura dove si trova nelle acque, nel suolo e nellintestino di uomo
ed animali.
Si conoscono 5 diversi tipi indicati come A, B, C, D, E in grado di produrre vari tipi di tossine, tuttavia solo i tipi A e C
sono pericolosi per luomo. Pi specificatamente il tipo A quello coinvolto nelle tossinfezioni, mentre il tipo C molto
pi raro ed responsabile di una enterite necrotica molto pi grave della precedente.
Chimicamente la tossina un polipeptide semplice facilmente distrutto dalla temperatura (60C per 10 minuti) e viene
prodotta durante la fase di sporulazione, pertanto le condizioni che favoriscono la germinazione delle spore, ne
favoriscono anche la produzione che avviene generalmente a livello intestinale I primi sintomi compaiono tra le 6 e le
24 ore successive lingestione di cibo contenente cellule vive e consistono in forti dolori addominali, diarrea, nausea. Il
decorso solitamente benigno. Si tratta di una tossinfezione legata quasi esclusivamente alla Ristorazione Collettiva e
soprattutto al consumo di carne non adeguatamente trattata al calore o mal refrigerata. Tra le carni comunque le pi
pericolose sono quelle tipo arrosto arrotolato, in quanto la loro superficie esterna, pi contaminata, viene portata con la
fase di arrotolamento allinterno della massa dove pi facilmente si instaurano condizioni di anaerobiosi e gli scambi di
calore avvengonmolto pi lentamente.
Particolarmente pericoloso lasciare lalimento a temperatura ambiente poich in queste condizioni viene favorita la
germinazione delle spore e la liberazione di tossina.
La tossinfezione si manifesta solo in seguito a:
presenza del microrganismo patogeno vivo
condizioni di temperatura che ne favoriscano la proliferazione sino ad un numero minimo pari a 10alla 6 ufc/g di
prodotto
consumo dellalimento da parte di una collettivit
Le misure preventive sono:
controllo qualit nella scelta delle materie prime
rispetto delle pi elementari norme igieniche
rigoroso controllo della temperatura nella fase di refrigerazione e di e di cottura (almeno 65C per alimenti caldi; non
pi di 3C per alimenti freddi sino al consumo
Bacillus cereus

E' un bastoncino Gram positivo sporigeno, anaerobio facoltativo molto


diffuso in natura. Produce numerose sostanze extracellulari, ma importanti
per luomo sono due tossine entrambe responsabili di tossinfezioni alimentari conseguente al consumo di alimenti
contaminati con cellule
vive.
Condizioni di crescita di Bacillus cereus
T ottimale = 30-37C
T minima = 5C
T massima = 55C
pH = 4.9 - 9.3
Aw minima = 0.95
Bacillus cereus produce due tipi di tossina: tossina diarroica e tossina emetizzante.
La tossina diarroica prodotta durante la fase esponenziale di crescita e raggiunge il massimo nella successiva fase
stazionaria, dopo di che la sua produzione cessa. E termolabile ed possibile la sua determinazione solo in presenza di
un numero di cellule non inferiore a 10 alla settima ufc/g
La sindrome
si manifesta sottoforma di diarrea acquosa e forti dolori addominali tra le 6 e le 15 ore dopo il consumo di alimenti
contaminati, raramente compaiono anche nausea e vomito. I sintomi scompaiono dopo circa 20-24 ore.
La tossina emetizzante differisce dalla precedente in quanto termostabile e resistente a valori estremi di pH (2-11). Si
tratta di una sindrome molto pi acuta della precedente con un periodo di incubazione non superiore alle 6 ore; la
sintomatologia peraltro molto simile a quella dellintossicazione stafilococcica
Condizioni ottimali produzione tossina
diarroica
T = 18 - 43C
pH = 6 - 8.5
presenza di glucosio
Alimenti coinvolti
Tossina diarroica

Tossina emetizzante

insalata o purea di patate

riso bollito o fritto

verdure in insalata

pollo latte in polvere

piatti precucinati

creme

Laccertamento di laboratorio si considera positivo quando si isoli B. cereus in cariche elevate (10 5-109 ufc/g) da
residui di alimenti oppure dalle feci e dal vomito dei soggetti colpiti.
Vibrio parahaemolyticus
Batterio Gram negativo, di forma bastoncellare con un flagello ad una estremit, alofilo, che trova il suo habitat
naturale nei sedimenti e nelle acque costiere e marine.
Solo gli stipiti che contengono una emolisina sono enterotossici.

Periodo di incubazione : 12-24 ore ma anche in alcuni casi 96 ore.


Sintomi: diarrea profusa, nausea e dolori addominali, in alcuni casi anche la febbre e il vomito.
Questa tossinfezione molto frequente in Giappone, per il consumo di pesce crudo sminuzzato e lasciato macerare in
salse.

Le Tossinfezioni Alimentari
Le tossinfezioni alimentari sono causate da microbi patogeni come batteri, virus e parassiti o altre tossine presenti in
cibi contaminati. Molti di questi microbi si trovano comunemente negli intestini di animali sani da produzione
alimentare. I rischi di contaminazione sono presenti dal produttore al consumatore e devono essere controllati in vari
modi.
Gli alimenti possono essere contaminati in diverse fasi della catena alimentare. Durante la macellazione la carne pu
venire contaminata entrando in contatto con piccole quantit di contenuto intestinale. Nella fase di trasformazione degli
alimenti, i microbi possono essere introdotti per contaminazione crociata da un altro prodotto agricolo non lavorato o da
esseri umani infetti venuti a contatto con il cibo. In cucina i microbi possono essere trasmessi da un alimento allaltro
tramite utensili impiegati per preparare entrambi i cibi senza essere sottoposti ad alcun lavaggio intermedio. Una cottura
adeguata degli alimenti uccide gli agenti patogeni.
Tossinfezioni alimentari pi diffuse
Le tossinfezioni alimentari pi diffuse nellUnione europea (UE) sono causate da batteri
come Campylobacter, Salmonella, Listeria e da virus che penetrano nellorganismo attraverso il tratto gastrointestinale,
dove spesso si avvertono i primi sintomi. Molte delle tossinfezioni alimentari segnalate non fanno parte di focolai noti,
ma vengono registrate come casi singoli.
Il Campylobacter la causa batterica di diarrea pi frequente nellUE. La carne di pollo cruda spesso contaminata
dal Campylobacter; questo agente patogeno, infatti, pu vivere negli intestini dei volatili sani. Il consumo di pollo poco
cotto o di cibi pronti entrati in contatto con carne di pollo cruda la causa alimentare pi comune allorigine di questa
infezione. Il Campylobacter provoca febbre, diarrea, crampi addominali e pu essere responsabile dellinsorgere di
postumi le condizioni patologiche/croniche che possono derivare da una malattia.
Anche la Salmonella un batterio che si trova comunemente negli intestini di uccelli e mammiferi. Pu essere
trasmesso alluomo attraverso gli alimenti, in particolare tramite carne e uova. La malattia che provoca, la salmonellosi,
si manifesta generalmente con febbre, diarrea e crampi addominali. Se entra nel circolo sanguigno pu causare infezioni
potenzialmente letali.
Bench nelluomo siano meno comuni di quelle provocate da Campylobacter eSalmonella, le infezioni da Listeria sono
responsabili di un elevato tasso di mortalit, in particolare in gruppi vulnerabili come gli anziani. Sono inoltre molto
pericolose per le gestanti perch possono causare infezioni fetali, morti fetali e parti di feti morti. I cibi pronti, come
formaggi e prodotti a base di pesce o carne, sono spesso allorigine delle infezioni nelluomo.
Le tossinfezioni alimentari provocate da questi tre batteri vengono classificate tutte come zoonosi di origine alimentare
malattie o infezioni che possono essere trasmesse dagli animali alluomo attraverso il cibo. Tra le zoonosi figurano

anche malattie trasmesse alluomo per vie diverse dal cibo, ad esempio tramite il contatto diretto con gli animali. stato
riscontrato che ogni anno queste patologie colpiscono oltre 380 000 cittadini UE.
Quadro UE
Il pacchetto legislativo UE in materia di igiene dei prodotti alimentari stabilisce i requisiti igienici per produttori e
operatori del settore alimentare e fissa norme per lorganizzazione di controlli ufficiali su carne fresca, latte e altri cibi.
Si tratta di unimportante base normativa per ridurre al minimo la prevalenza delle tossinfezioni alimentari nellambito
di un approccio dal produttore al consumatore alla sicurezza alimentare.
Il quadro per la sorveglianza e il controllo delle tossinfezioni alimentari contenuto nella legislazione UE sulle zoonosi.
La direttiva 2003/99/CE sulle misure di sorveglianza delle zoonosi e degli agenti zoonotici istituisce un sistema di
raccolta e analisi dei dati relativi agli Stati membri sulla prevalenza di batteri patogeni in diverse popolazioni animali.
LUE sviluppa misure di controllo volte a prevenire e ridurre la presenza di questi batteri sulla base dei dati risultanti
dalle suddette attivit di sorveglianza.
Il regolamento (CE) n. 2160/2003 stabilisce misure comunitarie per il controllo della Salmonella e di altri agenti
zoonotici specifici presenti negli alimenti. Per attuarlo, la Commissione europea ha adottato regolamenti specifici, ad
esempio sulluso degli antimicrobici e dei vaccini per il pollame, restrizioni al commercio intracomunitario di uova da
mensa e restrizioni alle importazioni di pollame vivo da paesi terzi. La Commissione ha inoltre fissato obiettivi che gli
Stati membri devono rispettare per ridurre la Salmonella in varie popolazioni animali, tra cui galline ovaiole, polli da
carne, tacchini, suini da ingrasso e suini da riproduzione.
Il regolamento (CE) n. 2073/2005 della Commissione sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari
definisce criteri di sicurezza alimentare per alcuni importanti batteri, tossine e metaboliti di origine alimentare, tra
cui Salmonella eListeria, presenti in alimenti specifici. In ultima analisi la sicurezza degli alimenti deve essere garantita
da un approccio preventivo che preveda la progettazione di processo e prodotto e lapplicazione di standard industriali
riconosciuti a livello internazionale come le buone pratiche igieniche (GHP) e di fabbricazione (GMP) e i principi
dellanalisi di rischio e punti critici di controllo (HACCP).
Esistono oggi al mondo pi di 250 tossinfezioni alimentari, che si manifestano con differenti sintomi e sono causate da
diversi agenti patogeni, perlopi batteri, virus e parassiti. Con il passare degli anni, vengono identificati continuamente
nuovi patogeni (i cosiddetti patogeni emergenti, come Campilobacter jejuni, Escherichia coli 157:H7,Listeria
monocytogenes, Yersinia enterocolitica, etc), alcuni dei quali si diffondono anche per effetto dellincremento di scambi
commerciali, di ricorso alla ristorazione collettiva, di grandi allevamenti intensivi e di viaggi.
Infezione
Le tossinfezioni alimentari possono derivare dallinfezione con microorganismi patogeni che colonizzano le mucose
intestinali oppure dallingestione di alimenti contaminati da questi microorganismi o anche dalla presenza nei cibi di
tossine di origine microbica, che causano malattia anche quando il microrganismo produttore non c pi.
Oltre alle tossine di origine biologica, possono causare contaminazioni del cibo anche sostanze chimiche ad azione
velenosa, come ad esempio i pesticidi utilizzati in agricoltura. Per evitare questo genere di problemi, la distribuzione di
queste sostanze strettamente regolamentata.
Esistono poi categorie di alimenti naturalmente tossici, come ad esempio i funghi velenosi o alcune specie di frutti di
mare.
La contaminazione dei cibi pu avvenire in molti modi. Alcuni microrganismi sono presenti negli intestini di animali
sani e vengono in contatto con le loro carni (trasmettendosi poi a chi le mangia) durante la macellazione. Frutta e
verdura possono contaminarsi se lavate o irrigate con acqua contaminata da feci animali o umane. Fra gli altri,
la Salmonellapu contaminare le uova dopo aver infettato il sistema ovarico delle galline. I batteri del genere Vibrio,
normalmente presenti nelle acque, vengono filtrati e concentrati dai frutti di mare, come ostriche e mitili, e quindi
possono causare infezioni se gli alimenti vengono ingeriti crudi.

Le infezioni possono essere trasmesse al cibo, da parte degli operatori, anche durante la fase di manipolazione e
preparazione degli alimenti ( il caso del batterio Shigella, del virus dellepatite A, e di molti altri patogeni) sia per
contatto con le mani che con gli strumenti della cucina, utilizzati ad esempio nella preparazione di diversi alimenti e non
disinfettati a dovere. Un cibo cotto e quindi sicuro (la maggior parte dei microrganismi non resiste a temperature
superiori ai 60-70 gradi) pu contaminarsi per contatto con cibi crudi. Inoltre, grande importanza rivestono le condizioni
in cui i cibi sono mantenuti durante le varie fasi di conservazione: la catena del freddo, ad esempio, previene lo sviluppo
e la moltiplicazione di alcuni microrganismi, che per essere tossici necessitano di una popolazione molto numerosa.
Sintomi e diagnosi
Normalmente, il sistema interessato dalle tossinfezioni alimentari quello gastrointestinale con manifestazione di
nausea, vomito, crampi addominali e diarrea, e con una insorgenza dei sintomi in un arco di tempo relativamente breve
(da ore a giorni). Nel caso di ingestione di alimenti contaminati, viene solitamente colpita la prima parte dellapparato
gastroenterico e i sintomi (nausea e vomito pi che diarrea e molto pi raramente febbre e brividi) si manifestano in
tempi pi brevi. Nel caso invece di tossinfezioni causate da microrganismi che tendono a diffondersi anche nel sistema
sanguigno, i tempi di manifestazione possono essere pi lunghi, e il sintomo pi frequente la diarrea, accompagnata da
febbre e brividi.
Tuttavia, vi sono casi in cui i sintomi interessano altri apparati corporei e il decorso della malattia molto diverso. Nel
caso del prione legato alla malattia di Creutzfield-Jacob, ad esempio, il periodo di incubazione pu essere anche di molti
anni e le manifestazioni sintomatiche non interessano il sistema gastrointestinale, ma quello neurale.
La diagnosi di una tossinfezione possibile solo attraverso test di laboratorio che identificano lagente patogeno.
Tuttavia, in molti casi, una diagnosi non viene effettuata perch non c una denuncia alle autorit sanitarie
dellinfezione.
Inoltre, uno dei problemi in termini di gestione delle tossinfezioni alimentari chiarire lorigine della malattia,
soprattutto quando questa si trasforma in epidemia. Dato che molti microrganismi patogeni possono diffondersi anche
attraverso canali diversi dal cibo (ad esempio attraverso lacqua, laria o per contatto diretto), non sempre facile per le
autorit identificare la fonte dellinfezione e intervenire.
Nel corso dellultimo secolo, le malattie di origine alimentare sono cambiate molto, soprattutto nei paesi industrializzati.
Da una prevalenza di febbre tifoidea e di colera, infatti, grazie allimplementazione di migliori pratiche di gestione degli
alimenti, si passati a malattie pi recenti. Negli Stati Uniti sono stati identificati come agenti patogeni a met degli
anni 90 il parassita Cyclospora e il batterio Vibrio parahemolyticus che ha infettato le ostriche. Negli stessi anni,
lEuropa si trovava ad affrontare lemergenza Bse, che nella versione capace di infettare gli esseri umani, la malattia di
Creutzfield-Jacob, costituisce ancora oggi una delle principali preoccupazioni nel campo della sicurezza alimentare.
Gli agenti patogeni
Le infezioni pi note sono quelle causate dai batteri Campylobacter, Salmonella, e Escherichia coli e dai virus del
gruppo dei calicivirus.
Campylobacter genera febbre, crampi addominali ed la causa pi comune di diarrea al mondo. Si trova soprattutto
nelle carni di volatili e pollame, che quindi dovrebbero sempre essere ben cotti.
La Salmonella uno dei batteri pi comunemente diffusi come origine di una tossinfezione alimentare, e si trova negli
intestini di rettili, uccelli e mammiferi. I sintomi della salmonellosi sono diarrea, vomito e crampi addominali, ma in
soggetti immunodepressi pu causare condizioni anche molto serie.
I ceppi di Escherichia coli produttori di verocitotossina o Shiga-tossina (VTEC oppure STEC) sono patogeni enterici
che producono una potente tossina responsabile di gravi forme morbose nelluomo. Esistono numerosi sierotipi VTEC,
individuati attraverso gli antigeni somatico O e flagellare H. Sebbene si conoscano oltre 100 sierotipi VTEC, solo alcuni
sono stati associati frequentemente a malattia grave nelluomo sono. Tra questi, il pi noto e diffuso il sierogruppo
O157 seguito da O26, O145, O111, O121, O103. Questi sierogruppi sono generalmente caratterizzati dalla presenza di

fattori di virulenza aggiuntivi alla VT, in particolare la capacit di aderire e colonizzare la mucosa intestinale (geneeae),
e vengono chiamati entero-emorragici (EHEC) in relazione alla malattia clinica che causano nelluomo.
La manifestazione clinica associata a infezione da VTEC varia dalla diarrea acquosa, alla colite emorragica e alla
Sindrome Emolitico Uremica (SEU). Questultima la manifestazione pi grave delle infezioni da VTEC e colpisce
soprattutto i bambini. generalmente legata agli stipiti VTEC produttori di vero tossina di tipo 2 (portatori del gene
vtx2).
La SEU rappresenta la causa pi importante di insufficienza renale acuta nellet pediatrica, in particolare nei primi anni
di vita. caratterizzata da anemia emolitica, piastrinopenia e insufficienza renale acuta di grado variabile, sino alla
necessita di trattamento dialitico sostitutivo. Il 25-30% dei pazienti colpiti da SEU pu essere interessato da
complicazioni neurologiche. Nella fase acuta, la SEU pu essere fatale nel 3-5% dei casi e una percentuale simile pu
sviluppare insufficienza renale cronica.
I VTEC sono considerati agenti di zoonosi poich i ruminanti, in modo particolare il bovino, sono portatori asintomatici
di questi batteri e costituiscono il loro reservoir naturale.
Linfezione alluomo si trasmette attraverso lingestione di alimenti o acqua contaminati o per contattato diretto con gli
animali. Tra gli alimenti contaminati pi a rischio ci sono la carne cruda o poco cotta, il latte non pastorizzato formaggi
e altri derivati a base di latte non pastorizzato. Anche i vegetali (frutta e ortaggi e germogli) e i succhi possono veicolare
linfezione, come dimostrato dalle numerose epidemie legate a questi tipi di alimento (spinaci, lattuga, germogli alfaalfa). La contaminazione dei vegetali avviene soprattutto attraverso pratiche di fertirrigazione e comunque attraverso la
contaminazione con reflui zootecnici. Unaltra via di trasmissione delle infezioni da VTEC quella oro-fecale da
persona a persona. Questa via necessita di un contatto stretto tra gli individui ed quindi molto spesso riportata
nellambito familiare e scolastico (scuole dinfanzia e comunit).
La gravit della malattia dipende dalle caratteristiche di virulenza del ceppo infettante, dallet e condizioni generali del
paziente e dalla dose infettante, che pu essere anche molto bassa (inferiore a 100). Il tempo dincubazione di circa 3 / 4
giorni, pu variare tra i 2 e gli 8 giorni. Anche nei casi complicati dalla SEU lesordio sintomatologico generalmente
caratterizzato da diarrea spesso ematica, accompagnata da dolore addominali intenso e vomito. La febbre, se presente,
raramente supera i 38C. Nei casi non complicati la malattia ha carattere autolimitante con una durata compresa tra 2 e 4
giorni. Le complicanze tipiche della SEU si manifestano a seguito del passaggio nel torrente circolatorio della tossina
liberata nel lume intestinale.
Non esiste terapia specifica nei confronti dei VTEC e le infezioni vengono trattate con terapie di supporto
(reidratazione, emo-dialisi e/o dialisi peritoneale, plasmaferesi, emotrasfusioni). La terapia antibiotica sconsigliata o
addirittura controindicata poich potrebbe favorire il rilascio della tossina con peggioramento delle manifestazioni
cliniche.
I Calicivirus sono molto comuni ma non facilmente diagnosticati in quanto non ci sono test di laboratorio disponibili.
Causano acute infezioni gastrointestinali con vomito pi che diarrea, che si concludono nel giro di un paio di giorni. Si
ritiene che questi virus si passino principalmente da persona a persona e che quindi un cuoco o un operatore infetto che
lavori in cucina possa facilmente contaminare il cibo che tocca.
Altre tossinfezioni sono causate da patogeni che possono infettare luomo anche attraverso altre vie, come il batterio
Shigella, il virus dellepatite A e diversi parassiti. In altri casi invece, la malattia non deriva dallingestione diretta di
agenti patogeni, ma piuttosto dallalimentazione con cibo contaminato da una tossina di origine microbica che agisce
anche in assenza del microrganismo produttore. questo il caso del batterio Staphylococcus aureus che produce tossine
in grado di causare vomito violento. A questa categoria appartiene anche il temutissimo batterio Clostridium
botulinum che produce una tossina in grado di causare una paralisi mortale nel giro di 24-36 ore.
La Asl di Pavia ha messo a punto una tabella che elenca i principali agenti patogeni che causano tossinfezioni
alimentari: qui vengono indicati anche i tempi di incubazione e gli alimenti pi frequentemente contaminati.

Conservazione degli alimenti


Il problema della conservazione degli alimenti di enorme importanza per ragioni economiche, geografiche, politiche,
climatiche,
per
l'incremento
demografico
e
per
il
continuo
aumento
dell'urbanizzazione.
Alcuni alimenti si mantengono inalterati per molti anni o indefinitamente. I cereali, in particolare, se vengono protetti
dai parassiti si alterano difficilmente, e per questo la produzione cerealicola ha sempre costituito un indice significativo
dell'economia
e
della
produttivit
agricola
degli
Stati.
Per contrasto, la conservazione degli alimenti carnei estremamente difficile in quanto le proteine di cui sono ricchi
rappresentano un ottimo substrato per molti microrganismi; particolarmente attivi sulle carni sono i germi putrefattivi
che generalmente rendono tali alimenti inadatti al consumo.
I problemi igienici inerenti alla lavorazione delle sostanze alimentari si riferiscono sia al rispetto delle norme di carattere
generale (pulizia degli ambienti e delle persone), sia alla necessit di impedire che microrganismi o parassiti dannosi per
l'uomo invadano gli alimenti per i quali hanno particolare affinit. Sotto questo aspetto di grande importanza
diffondere la conoscenza delle malattie trasmissibili attraverso gli alimenti ed escludere le persone affette da patologie
infettive dalle attivit legate al consumo, alla produzione, al confezionamento e alla distribuzione delle sostanze
alimentari.
Tecnologie disponibili
Conservare il cibo significa impedire o contrastare il naturale processo di decomposizione cui va soggetto tutto ci che
proviene dal regno vegetale ed animale, processo determinato dall'irrancidimento dei grassi e dall'azione di
microrganismi che si nutrono delle sostanze organiche componenti ogni prodotto vegetale e animale. Quindi conservare
significa anche eliminare questi microrganismi o inibirne la loro azione.
La cottura una pratica antichissima attuata per migliorare il gusto dei cibi, per sterilizzarli, per uccidere eventuali
parassiti, per rendere i cibi talora pi digeribili e per distruggere alcune sostanze tossiche eventualmente presenti. La
cottura provoca la coagulazione delle sostanze proteiche le quali, pur divenendo meno digeribili, risultano
maggiormente appetibili e quindi pi attive nella stimolazione delle attivit secretorie dello stomaco e dell'intestino
indispensabili per l'assimilazione degli alimenti. Con la cottura avvengono l'idrolisi del saccarosio, la solubilizzazione
dell'amido e la sua trasformazione in destrine. Per quanto riguarda i grassi, sebbene vengano modificati solo a
temperature molto elevate, difficilmente raggiunte durante la cottura degli alimenti, si ha comunque una disidratazione
per cui il grasso acquista consistenza granulosa e diviene pi facilmente digeribile. Alle alte temperature (p. es. nella
frittura) le sostanze grasse vanno incontro ad alterazioni provocate da un insieme di reazioni a catena di tipo ossidativo
che portano alla formazione di numerosi composti (perossidi, aldeidi, chetoni) responsabili dell'irrancidimento dell'olio
e di accertata tossicit.
Oltre alla cottura, sono disponibili vari metodi per la conservazione degli alimenti e la loro scelta dipende sia dal tipo di
alimento sia da fattori ambientali, economici, igienici e psicologici. Comuni sistemi di conservazione sono la
disidratazione (carni, pesci, legumi disseccati), la liofilizzazione, l'affumicamento, la salatura o l'aggiunta di zucchero in
concentrazioni incompatibili con la sopravvivenza dei microrganismi, il frazionamento (l'utilizzo delle frazioni meno
labili degli alimenti, come avviene comunemente per i lattoderivati); l'impiego di prodotti chimici (additivi, antisettici,
antiossidanti); la pastorizzazione e la sterilizzazione, la refrigerazione e la surgelazione; l'irradiazione, la fermentazione,
con la quale si favorisce la produzione batterica di sostanze inibenti l'ulteriore decomposizione dell'alimento; la
conservazione in atmosfera controllata; l'inscatolamento; il confezionamento con film plastici.
Metodi di conservazione tradizionali
Di seguito riportiamo un elenco sintetico dei metodi dei tradizionali sistemi di conservazione.

1.con le alte temperature: cottura o solo scottatura. Si pu avere una conservazione temporanea dei cibi o anche
molto lunga e prolungata: i microrganismi vengono eliminati temporaneamente nei cibi che rimangono a
contatto con l'aria e definitivamente in quelli chiusi in recipienti ermetici (sterilizzazione e appertizzazione);
2.con le basse temperature: si usava fin dall'antichit nelle zone e nelle stagioni fredde; ora con gli apparecchi
frigoriferi possibile ovunque (con la refrigerazione, la congelazione o la surgelazione, secondo l'intensit del
processo). I microrganismi vengono rallentati o bloccati nella loro attivit, che riprende per non appena la
temperatura si alza.
3.con l'aggiunta di sostanze conservanti che uccidono o inattivano i batteri. Tra queste la pi anticamente usata
il sale e la salamoia mentre in tempi pi recenti si sono introdotte altre numerose sostanze chimiche come
l'anidride solforosa, l'acido salicilico, l'acido ascorbico, i nitriti e tante altre sostanze pi o meno consentite e
salutari. In questo gruppo si possono includere i cibi conservati sottaceto, sottolio e sotto alcool o con lo
zucchero (marmellate): tutte sostanze che contrastano in qualche modo l'attivit dei microrganismi;
4.l'affumicatura e l'insaccatura delle carni, come pure la conservazione dei formaggi, combinano gli effetti della
salatura, della parziale disidratazione con la protezione dall'aria e dagli agenti esterni che favorirebbero la
decomposizione;
5.la conserva un prodotto che stato confezionato in un recipiente ermeticamente chiuso (tipicamente lattine o
contenitori in vetro) e sottoposto ad un trattamento termico (sterilizzazione), sufficiente per distruggere o
inattivare qualsiasi tipo di microrganismo. In questo modo, il prodotto pu essere immagazzinato a temperatura
ambiente per lunghi periodi, tanto che pu durare in perfetto stato per vari anni. Un esempio sono le conserve di
carne e pesce.
6.la semi conserva un prodotto mantenuto in un recipiente impermeabile allacqua e che ha subito un
trattamento che lo stabilizza per un tempo limitato. Un esempio sono le acciughe sotto sale o i filetti di acciughe
in olio doliva, maturati per effetto del sale. Sintroducono in barili separati da strati di sale e per fare in modo
che il sale penetri bene, si applicano dei pesi sopra il barile per esercitare pressione: in questo modo si produce
una perdita dacqua dalla carne e si verifica una serie di trasformazioni che, durante un periodo di almeno sei
mesi, portano a modificazioni dell'aroma, della consistenza e del sapore. Non trattandosi di prodotti sterilizzati,
vanno mantenuti in un posto fresco o refrigerato (5/12 C).
7.disidratazione/essiccazione (v. avanti)
Metodi di conservazione tecnologici
pastorizzazione: questo trattamento deve il suo nome a Pasteur che, intorno al 1860, osserv come il vino sottoposto
alla temperatura di 60 C per alcuni minuti, potesse essere conservato a lungo.
La pastorizzazione distrugge la microflora dei liquidi organici anche oltre il 99 per cento, ma poich non si
raggiungono temperature sufficienti a devitalizzare i microrganismi termofili, n tanto meno le spore, l'alimento
pastorizzato deve comunque essere conservato in condizioni atte a limitare lo sviluppo di questi microrganismi.
Con il processo di pastorizzazione le propriet fisico chimiche ed il gusto dei prodotti sono conservate praticamente
inalterate per un periodo di tempo differente in rapporto a prodotti stessi. Generalmente la pastorizzazione si applica a:
latte
birra
vino
budini
dessert
succhi di frutta
ed seguita da un rapido raffreddamento del prodotto, spesso associato ad altri sistemi di conservazione. Il
raffreddamento dell'alimento ha anche lo scopo di evitare che le alte temperature danneggino eccessivamente le
caratteristiche
organolettiche
e
nutrizionali
del
prodotto.
La durata del trattamento dipende dalla natura dell'alimento:

processo

temperatura durata

note

pastorizzazione bassa
60 - 65 C

30 min

utilizzata per vino, birra e latte per caseificazione

pastorizzazione alta75 - 85 C

2 - 3 min

un tempo era utilizzata per il latte. Sostituita dalla


HTST (High Temperature Short Time).

pastorizzazione rapida
75 - 85 C
sterilizzazione

15 - 20 secdetta anche HTST o stassanizzazione.

con questo procedimento si eliminano tutti i microrganismi presenti nei liquidi e nei solidi. Il prodotto comunque non
del tutto asettico e non pu mantenersi all'infinito: per ottenere una sterilizzazione completa infatti occorrerebbero,
alle temperature impiegate, tempi molto lunghi con grosse perdite nutritive.
La sterilizzazione viene utilizzata sia per i prodotti confezionati che sfusi, ma affinch l'azione del calore sia duratura,
occorre che il prodotto da sterilizzare sia racchiuso in recipienti nei quali possibile creare il vuoto.
Si realizza a diversi livelli di temperatura per un lasso di tempo variabile in rapporto alla temperatura stessa e ai diversi
alimenti:
in autoclave per qualche minuto, a 115 C circa.
Distrugge o blocca l'attivit di enzimi, microrganismi e tossine. Rende gli alimenti pi facilmente digeribili,
mantenendone intatto il valore nutritivo, e salva il potenziale della vitamina C e della vitamina B1.
Questo trattamento valido per una grande variet di prodotti come legumi, frutta, carne, pesce ed alimenti
cucinati, ed efficace molto a lungo, tranne per gli alimenti molto acidi come i succhi di frutta e la salsa di
pomodoro.
mediante riscaldamento a pi' di 115 C, dai 20 ai 30 minuti.
Rende i cibi batteriologicamente puri: ne diminuisce il valore proteico lasciando intatti i contenuti di vitamina A
e di vitamina B2.
A temperatura superiore ai 140 C viene trattato sopratutto il latte, di cui non altera il valore nutritivo ed il gusto,
e il trattamento di sterilizzazione viene indicato con la sigla UHT (Ultra HighTemperature). I tempi si riducono
a pochi secondi.
Dal punto di vista nutrizionale, la sterilizzazione meno vantaggiosa della pastorizzazione, in quanto l'alta temperatura
inattiva le vitamine e fa denaturare le proteine.

Disidratazione
tra i metodi naturali di conservazione, la disidratazione/essiccazione un sistema ampiamente utilizzato per la
conservazione dei cibi. L'essiccazione all'aria era molto usata per carni e pesce (dopo averli salati), nonch per frutta,
droghe
ed
erbe
varie.
L'essiccazione non prevede drastici interventi di natura fisica come forti riscaldamenti, raffreddamenti, esposizioni a
raggi di varia natura che cambiano l'aspetto, la consistenza e spesso il contenuto vitaminico e salino; non ci sono
aggiunte di sostanze chimiche n di altri ingredienti (come sale, olio, aceto, zucchero, alcool) che comunque alterano il
sapore degli alimenti da conservare.
L'essiccazione un metodo di conservazione "apparentemente" poco usato, perch in ambito domestico per la
conservazione del cibo si fa riferimento soprattutto al frigorifero e al congelatore, mentre parlando di cibi conservati,
oltre ai surgelati, si pensa ai cibi in scatola o alle conserve, marmellate, sottaceto, sottolio, e cos si trascura la gran
massa di legumi e cereali con tutti i loro derivati, come pure di tutti i prodotti animali, come carni, latte e latticini
ottenuti
proprio
con
l'utilizzo
di
foraggi
essiccati.
Per molti secoli e fino a pochi decenni or sono si essiccavano frutta e ortaggi per l'inverno o per i viaggi via mare
usando il sole nelle regioni pi calde e soleggiate, oppure il forno a legna che, dopo la cottura del pane e degli alimenti,
veniva utilizzato per l'essiccazione. Una volta spento il fuoco e terminata la combustione delle braci, all'interno del

forno, nel corso del suo lento raffreddamento, si manteneva una temperatura non elevata ma abbastanza costante da
permettere l'essiccazione di molti alimenti come carne, frutta, verdura, sementi ed altro.
Il processo di essiccazione richiede alcune manipolazioni preliminari. I frutti e gli ortaggi di grossa taglia, non possono
essere essiccati interi o divisi a met; quindi devono essere tagliati: a fette, pezzi, cubetti, striscioline ecc. Le forme e le
dimensioni del taglio dipendono dalle caratteristiche del prodotto. Poich l'essiccazione avviene per evaporazione
dell'acqua contenuta all'interno delle cellule, l'acqua deve attraversare successivi strati cellulari (ce ne possono essere
pi di 10 per ogni millimetro di spessore) fino a raggiungere la superficie. E' ovvio che quanto pi grosse sono le fette
tanto pi lungo sar questo percorso e di conseguenza il tempo di essiccazione sar maggiore, sicch i tempi di
essiccazione, a parit di condizioni esterne e di prodotto, sono all'incirca proporzionali agli spessori delle fette. Quindi,
approssimativamente uno spessore doppio richiede un tempo di essiccazione pressoch doppio. Da queste premesse si
pu pensare che sia pi conveniente ridurre i prodotti a fette sottili in modo da ridurre i tempi di essiccazione; tuttavia,
tagliando il prodotto a fette molto sottili occorrer una superficie pi grande per la distribuzione delle fette stesse e
quindi occorrer ripetere pi volte l'operazione. Pertanto, se lo spessore doppio richiede il doppio del tempo, permette di
essiccare anche una quantit doppia. In conclusione, l'esperienza ha mostrato che lo spessore delle fette deve essere per
lo pi compreso fra 4 e 10 mm, senza con questo escludere la possibilit di fare anche fette pi grosse.
Per riporre il prodotto essiccato da conservare bisogna assicurarsi che sia perfettamente secco e cio che il suo grado di
umidit sia inferiore al 13 - 15% . Questi valori si possono raggiungere anche con aria ambiente, senza l'uso del
riscaldatore, ma solo se il clima caldo e asciutto. Solo con l'aria riscaldata si sicuri di essiccare correttamente anche
in presenza di clima freddo e umido e di portare l'umidit del prodotto a valori sensibilmente inferiori a quelli minimi di
sicurezza.
Per decidere quando il prodotto ha raggiunto un grado corretto di essiccazione, sufficiente controllare il
comportamento dei vari prodotti sottoposti ad essiccazione: all'inizio perderanno umidit abbastanza rapidamente, con
una sensibile diminuzione di volume e di peso e con un graduale aumento della consistenza al tatto; con l'esaurirsi del
processo queste trasformazioni rallentano gradualmente fino a fermarsi del tutto.
Ogni sostanza infatti raggiunger una condizione di equilibrio di umidit interna che dipende dal tipo di frutto o di
ortaggio e dalle condizioni ambientali in cui si opera; tale equilibrio (anche se l'umidit ambientale molto elevata) con
l'uso dell'aria calda, sicuramente al di sotto della soglia minima di umidit in grado di assicurare la conservazione.
Una volta raggiunto il giusto grado di essiccazione necessario riporre in recipienti e in luoghi adatti alla conservazione
il prodotto essiccato. La corretta conservazione pu essere garantita anche in recipienti non ermeticamente chiusi,
purch in luoghi asciutti e al riparo dalla luce. In questo caso l'umidit interna potr variare a seconda della maggiore o
minore umidit ambientale, ma sempre restando entro i limiti di conservabilit. Infatti, l'essiccazione non mette i cibi al
riparo da muffe e parassiti. Per il primi, l'attacco si verifica se il prodotto non sufficientemente secco o lo si collocato
in ambienti particolarmente umidi senza chiusura ermetica; per i secondi, occorre tenere a mente che non sempre
vengono dall'esterno. Infatti nonostante tutti gli accorgimenti come pulizia, lavaggi, sbucciatura e scottatura della parte
superficiale, potrebbe comparire a lungo andare, in alcuni recipienti, qualche piccola larva, come quelle che vediamo a
volte formarsi nella pasta, nel riso, nelle farine, o in altri prodotti similari. Questo dovuto a contaminazioni (uova
deposte da piccole farfalle) subite ancora sulla pianta o durante le fasi di raccolta, trasporto e stoccaggio, precedenti
all'essiccatura.
Qualora si sospetti una contaminazione da parassiti o se ne riscontrino i primi effetti, sufficiente mettere il prodotto in
un forno a 70-80 C per 10-15 minuti, per poi stendere a raffreddare prima di riporre nei recipienti di conservazione.
Questo procedimento lo si pu attuare gi preventivamente per quella frutta che si prevede di consumare dopo vari
mesi.
L'essiccazione una pratica piuttosto diffusa per quanto riguarda erbe medicinali, erbe aromatiche e fiori. La diffusione
di composizioni con fiori secchi a scopo decorativo si notevolmente diffusa nelle abitazioni, nei negozi, pubblici
esercizi, alberghi e altri locali.
L'impiego di fiori essiccati, normalmente provenienti da specie profumate, utile anche per la preparazione di potpourri, da esporre in coppe, vassoi o altri contenitori per la profumazione dei locali. I pot-pourri si possono preparare
mischiando petali di fiori (geranio, rosa, lavanda, fiordaliso), bucce essiccate di frutta (arancia, limone, pompelmo,
cedro), spezie (cannella, chiodi di garofano, noce moscata, ecc.) , eventualmente aggiungendo alcune gocce di essenza

profumata. Possono essere sistemati in cofanetti di vetro, ceramica o altro, muniti di coperchio, da aprire quando si
voglia diffondere il profumo nell'ambiente.
Tutte le foglie con superficie lucida, coriacea o ricoperte di peluria sono di essiccazione molto lenta e pertanto si
possono essiccare anche esposte all'aria, in ramoscelli o mazzetti appesi per molti giorni. L'essiccazione forzata
abbrevierebbe i tempi, ma non certo in proporzione agli spessori, come per la frutta, e comunque richiederebbe vari
giorni.
Altre foglie ed erbe si avvantaggiano dell'uso di un essiccatore, ma anche qui non vale la regola di 2 o 3 ore per
millimetro di spessore, ma richiedono tempi notevolmente pi lunghi in rapporto allo spessore (che di solito inferiore
al millimetro), in quanto le cellule sono integre e inoltre le foglie tendono a conservare l'umidit interna ( un
meccanismo primario di autodifesa e di autoconservazione che ogni pianta possiede contro la siccit) rallentando
l'essiccazione .
Da queste premesse si comprende che le erbe in genere vanno essiccate senza fretta, sia perch tendono a perdere acqua
lentamente, sia soprattutto perch forzando troppo il processo si rischia, con temperature troppo elevate, di far perdere
proprio quelle sostanze e quegli aromi per cui si vuole conservarle. Infatti molti principi attivi delle piante officinali,
come molte essenze delle erbe aromatiche, sono termolabili cio vengono distrutti o inattivati da temperature superiori
ai 35-40, come pure dall'esposizione diretta ai raggi solari (si devono essiccare all'aria, ma all'ombra).
Pertanto si pu ricorrere agli essiccatori, purch siano muniti di movimentazione forzata dell'aria, che spesso
sufficiente anche da sola a dare il risultato voluto, inserendo resistenze o riscaldatori solo con clima freddo o umido e
controllando la temperatura di uscita dell'aria.
Per dare un'idea concreta del processo di disidratazione forzato, ci riferiamo ad un essiccatore solare per alimenti, piante
aromatiche ed officinali, particolarmente adatto ad un utilizzo familiare o per piccole produzioni. Le sue caratteristiche
lo rendono elemento indiscusso in tutte quelle attivit di trattamento di conservazione in cui si intenda mantenere la
piena
continuit
dei
processi
di
agricoltura
biologica.
L'essiccatore "Elio" utilizza la radiazione solare come sorgente energetica, di conseguenza non ha emissioni dannose in
atmosfera. Infatti, il processo di essiccazione ottenuto in modo del tutto tradizionale, sebbene utilizzando una moderna
tecnologia ecologica.
L'essiccazione avviene grazie all'aria calda prodotta dal pannello solare (2) che aspira l'aria dall'esterno (1) la riscalda e
la immette nella camera di essiccazione (3), l'aria carica di umidit viene espulsa dall'apertura (4).
L'essiccazione, quindi, avviene per l'intenso flusso di aria, questo consente di ottenere un buon grado di essiccazione in
tempi rapidi, al riparo da agenti atmosferici ed altri elementi che potrebbero danneggiare il prodotto.
La temperatura massima della camera di essiccazione non supera mai i 50C, questo consente il mantenimento degli oli
essenziali e delle propriet organolettiche dei prodotti trattati.
L'impiego del policarbonato nelle pareti della camera di essiccazione (3), oltre a conferire ottime caratteristiche di
robustezza e durata nel tempo, opera una buona schermatura dai raggi UVA, consentendo una buona conservazione
delle caratteristiche cromatiche ed organolettiche dei prodotti.
Questo trattamento comporta una lieve perdita vitaminica, sopratutto a livello di vitamina C e di vitamina B1, ma
consente una conservazione per tempi molto lunghi. I prodotti sottoposti a disidratazione devono essere in ottimo stato
igienico, perch rimane comunque la possibilit di permanenza di forme patogene dopo il trattamento. Si applica a:
the
latte
caff
uova
minestre
legumi
frutta
patate

Irradiazione
Utilizzata per la prima volta negli USA nel 1943 per sterilizzare gli hamburger, una delle pi recenti tecniche di
conservazione introdotte. Consiste nel sottoporre gli alimenti all'azione di radiazioni elettromagnetiche come raggi X,
raggi gamma e ultravioletti, ed la tecnica pi discussa perch si teme che renda gli alimenti radioattivi: in realt le
radiazioni ionizzanti non vengono trattenute.
La dose utilizzata generalmente da bassa a media e comunque tale da non determinare la formazione di residui
radioattivi nei prodotti trattati.
I trattamenti permettono di:
ridurre la carica microbica di alcuni alimenti aumentandone i tempi di conservazione
distruggere i parassiti e gli insetti infestanti in alternativa ai disinfestanti chimici
inibire la germinazione dei tuberi e dei bulbi
A dosaggi bassi e medi gli effetti sulle caratteristiche nutrizionali degli alimenti sono modesti e comunque non tali da
compromettere la qualit del prodotto. Dosaggi elevati di radiazioni ionizzanti eseguono una vera e propria
sterilizzazione.
Alcuni alimenti non possono essere irradiati perch il procedimento provoca uno sgradevole cambiamento nell'aspetto,
nel gusto o nell'odore dei prodotti: l'irradiazione infatti pu scurire alcuni tipi di carne e peggiorarne il sapore e la
consistenza, ossidare i grassi insaturi rendendoli rancidi e, se usata a dosi elevate, annerire il pesce.
Viene utilizzata in:
patate, cipolle, aglio per bloccarne la germinazione;
alcuni frutti tropicali (es. ananas e banane) per ritardarne la maturazione;
cereali, riso, alcuni frutti e alcune verdure per eliminare insetti ed altri parassiti;
fragole per ritardarne la marcescenza;
carne bovina, pollame, pesce per eliminarne i microrganismi patogeni.
In molti casi gli alimenti irradiati sono indistinguibili alla vista e al gusto da quelli freschi non trattati. In Italia il DM
30/08/1973 permette l'uso delle radiazioni gamma, liberate dalla disintegrazione di alcuni isotopi del cobalto e del cesio,
solo al fine di bloccare di germinazione. Vi l'obbligo di dichiarare se gli alimenti sono stati irradiati, ma
attualmente non vi sono mezzi semplici e affidabili per accertare se essi sono stati sottoposti a tale trattamento.

Liofilizzazione
E' un processo di disidratazione condotto a bassa temperatura e sottovuoto, in modo da lasciare inalterata la struttura e le
propriet degli alimenti, offrendo buona sicurezza batteriologica.
L liofilizzazione viene ottenuta per congelamento rapido dell'alimento a temperature di -30, -40 C, e successiva
disidratazione per sublimazione sotto vuoto a bassa temperatura.
I liofilizzati conservano le stesse qualit nutrizionali dei prodotti di partenza e vanno reidratati prima del consumo: si
tratta di un'operazione pressoch istantanea e l'alimento ricostituito del tutto simile a quello fresco.
Un altro vantaggio, oltre alla conservazione assicurata per parecchi anni (purch al riparo dall'umidit), quello di
ridurre considerevolmente il peso ed il volume dei cibi, e questo rende ragione del fatto che tutto il cibo consumato sino
ad oggi dagli astronauti nelle missioni spaziali liofilizzato.
I cibi liofilizzati vengono confezionati in involucri resistenti all'ossigeno ed all'umidit, generalmente alluminio e
polietilene, ma anche vetro. La liofilizzazione si applica a:
caff
the solubile
camomilla solubile
succhi di frutta
frutta esotica
funghi
patate

prodotti dietetici
prodotti per l'infanzia
farmaci soggetti ad idrolisi e da ricostituire al momento dell'uso.
Il confezionamento di questi prodotti un'operazione delicata, compiuta o sottovuoto o in atmosfera controllata.

Malattie infettive
Malattia infettiva (Contaminazione, Penetrazione, Localizzazione, Infezione) - una malattia causata da un
microrganismo patogeno (che si moltiplica in maniera esponenziale, velocemente e si diffonde nellorganismo).
Inoltre c malattia infettiva quando le difese immunitario sono basse.
Fattori che influenzano: Patogecinit, Invasivit, Virulenza, Carica Infettante,
Infettivit.Serbatoio dInfezione: persona.
Fonte d'infezione: microrganismo infettante. es: morbillo HIV, varicella
Fattori che influenzano il Batterio: temperatura, clima caldo ne ostacolano la formazione.
Infezione: penetrazione e moltiplicazione di microrganismi in un microrganismo (uomo,
animale, pianta).
Agente Eziologico: il microrganismo che poi si diffonde. Pu essere Esogeno (esterno) o
Endogeno (interno).
TRASMISSIONE DIRETTA: Contatto, Trasmissione Sessuale.

TRASMISSIONE INDIRETTA: Veicoli (materiale inanimato ovvero acqua, suolo, terra).


Salmonella: batterio; epatite A: virus; stafilococco aureus: batterio

Microrganismi
I Microrganismi sono organismi viventi estremamente piccoli e unicellulari. I microrganismi si
dividono in:
Batteri ( cellule procariote, senza nucleo, diverse forme, immobili e mobili) e di solito lorganismo
li combatte con la Fagocitosi (processo di inglobazione tramite enzimi dei lisosomi) , alghe, miceti
e protozoi.
Virus sono anchessi microrganismi, per vivere devono penetrare all'interno di una cellula e
moltiplicarsi al suo interno, hanno un proprio
nucleo. Sono dei Parassiti. Il Virus ha 2 fasi: extracellulare (materiale generico chiuso in una
proteina) e intracellulare (assemblaggio nuovi vironi). Il Virione pu essere icosaedrico o
elicoidale. Virus con Doppio Filamento (DNA);
un Filamento (RNA). Terapia Antivirale: farmaci specifici. Non sono facili da distruggere in quanto
diventano sempre pi forti.
TERAPIA ANTIBATTERICA: Antibiotico specifico per quel batterio.
Microrganismi Patogeni: sono in grado di generare malattia.
Modo di Contrazione: via aerea, sessuale, alimentare, cute.
MICRORGANISMI NON PATOGENI: non sono in grado di generare malattie.
MICRORGANISMI Patogeno opportunista: normalmente non patogeno, ma in particolari
condizioni in grado di generare malattia.
Commensali: vivono nella cute , non hanno azione patogena e risultando utili per l'uomo.

Parassiti: microbi che aggrediscono l'uomo generando malattia.


Tossina: E prodotta da microbi e a volte mortale. Si assume per via alimentare.
Endotossine (alta concentrazione batterica) non ci si pu vaccinare;
Esotossine (bassa concentrazione batterica, ci si vaccina).

You might also like