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Indice
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Giuseppe Citt
Vito Evola
Alessandra Falzone
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I limiti del mio corpo sono i limiti del mio mondo. IL tema del corpo proprio nella riflessione filosofica contemporanea e
nella scienza cognitiva incarnata
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Who is reading the neural activity? Sulla funzione cognitiva dei neuroni specchio
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Preghiere per una nazione malata. Le basi morali delle metafore di Silvio Berlusconi
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Edoardo Fugali
Vittorio Gallese
Paolo Giuspoli
Mario Graziano
Francesco La Mantia
Alessandra Falzone
1.
2.
1. Il primo e il terzo paragrafo di questa Introduzione sono stati scritti da Domenica Bruni e il secondo da Edoardo Fugali. Il paragrafo conclusivo opera
di entrambi gli autori.
1.
ladozione della logica matematica per la comprensione dellattivit del sistema nervoso e del pensiero
umano;
2. la fondazione di una metadisciplina, come la teoria
dei sistemi, cui spetta il compito di formulare principi
universali che valgano per tutti i sistemi complessi;
3. la teoria dellinformazione come teoria statistica della
trasmissione dei segnali e dei canali di comunicazione;
4. la possibilit di creare robot e sistemi capaci di autoorganizzazione.
La tesi fondamentale che caratterizza la rivoluzione cognitivista (che si diffonde a partire dal 1956, lanno delle
celebri conferenze di Cambridge e Dartmouth) che lintelligenza emula nei suoi tratti fondamentali il funzionamento di un computer, al punto che la cognizione pu
essere definita in termini di computazioni eseguite su
rappresentazioni simboliche, dotate di valore rappresentativo (Newell & Simon, 1972; Fodor & Pylyshyn, 1988). I
due concetti fondamentali che stanno alla base di questa
ipotesi sono quello di rappresentazione e di intenzionalit: i simboli posseggono entrambe queste propriet, ossia
rappresentano sotto determinate modalit gli oggetti del
mondo e vertono su di essi. Gli stati intenzionali e le rappresentazioni sono realizzati fisicamente sotto forma di
un codice simbolico implementato dal cervello o da una
macchina, il che non vale soltanto a mostrare in che modo
gli stati intenzionali e le rappresentazioni sono fisicamente possibili, ma richiede che venga spiegato anche come
essi possano determinare causalmente il comportamento
intelligente. qui che entra in gioco la nozione di simbolo,
inteso come unentit di natura fisica dotata al contempo
di valore semantico: viene dunque istituito un parallelismo
forte tra il piano fisico, ossia le operazioni sintattiche effettuate da una macchina, e il piano semantico delle rappresentazioni e dellintenzionalit, al fine di mostrare come
lintelligenza e lintenzionalit siano essenzialmente riconducibili a un meccanismo che obbedisce a leggi fisiche. Va
detto che per quanto sia necessaria la realizzazione fisica
del livello simbolico, questo resta irriducibile al medium
materiale, vale a dire che indifferente quale specifica modalit di realizzazione venga prescelta per implementare i
processi computazionali. In questa prospettiva, la mente
funziona come un elaboratore di rappresentazioni interne
al sistema, in cui possibile individuare unistanza pianificatrice centrale che processa le informazioni secondo la
sequenza lineare input/manipolazione di simboli/output,
laddove gli aspetti sensori-motori della cognizione si limitano alle informazioni veicolate dalle percezioni in entrata
e alle risposte comportamentali in uscita. Il cognitivismo
classico riesce dunque ad elaborare una concezione della mente compatibile con i requisiti di scientificit del
meccanicismo fisicalistico, ma al prezzo di estromettere
dallordine di considerazione prescelto due caratteristiche
che la psicologia del senso comune attribuisce agli stati
mentali, ossia il loro essere consci e la loro appartenenza
a un soggetto unitario. In primo luogo, i processi mentali
indagati dagli scienziati della cognizione sono inconsci e
subpersonali, nel senso radicale di una costitutiva incapacit da parte del soggetto che ne il portatore di accedere ad essi sul piano della consapevolezza: ci di cui siamo
coscienti al massimo una proiezione epifenomenica di
manipolazioni computazionali che hanno luogo a un livello profondo rispetto a quello apparente, ed questa pro-
predefiniti, ma nella produzione attiva di strategie dipendenti dal contesto in cui gli agenti cognitivi sono collocati,
dato che la mente non un dispositivo di immagazzinamento e di elaborazione di dati, ma un organo di controllo
del corpo biologico nelle sue interazioni con lambiente
(Clark, 1997). Questo mutamento di prospettiva comporta
una critica radicale del concetto di rappresentazione invalso nella scienza cognitiva tradizionale: il termine stesso
postula lesistenza di un mondo gi dato, che in seconda
istanza le nostre attivit cognitive si incaricherebbero di
riprodurre in modo speculare. A questo concetto i teorici
dellenattivismo contrappongono il modello della comprensione, da intendere come un processo circolare nel
quale individuo e ambiente sono i termini di una relazione
inscindibile che li precede entrambi e in cui agire e conoscere sono reciprocamente implicati nella produzione di
un mondo che siamo noi stessi a rifigurare di continuo.
evidente riguardo a questo punto lintento di riallacciarsi alla tradizione ermeneutica e fenomenologica e ai
suoi esponenti di punta, quali soprattutto Heidegger e
Merleau-Ponty, perseguito gi con un notevole anticipo
rispetto allaffermarsi del paradigma embodied/enacted da
H. Dreyfus intorno ai primi anni Settanta del secolo scorso.
Dreyfus imputa in sostanza alla scienza cognitiva tradizionale la pretesa di ricondurre lintelligenza a leggi espresse in algoritmi formali che governano processi interni di
computazione in modo indipendente dal contesto. A
rendere problematica lassimilazione del comportamento
umano a questo modello il fatto che la nostra capacit di
risolvere problemi e di entrare in relazione con gli oggetti
del mondo e le altre persone presuppone una conoscenza
di sfondo tacita che non codificata in formato proposizionale, ma discende da abilit pratiche spesso implicite e
altamente sensibili al contesto dellazione (Dreyfus, 1972;
1992). Dreyfus si riallaccia qui a due nozioni chiave della
filosofia heideggeriana, che costituiscono un precedente
teorico importante per lenattivismo, ossia lessere-nelmondo e la distinzione tra utilizzabilit e semplice-presenza. Lessere-nel-mondo, afferma Heidegger (1927), una
struttura costitutiva dellesistenza, in cui si esprime lapertura originaria e intenzionale dellEsserci ossia dellindividuo umano verso un mondo che lo trascende e con
cui nondimeno intrattiene una relazione di intrinseca appartenenza, nonch il suo carattere di progettualit. Nel
suo commercio quotidiano col mondo, in cui non semplicemente inserito come un oggetto inerte in un contenitore, ma che contribuisce esso stesso a forgiare nella sua
fisionomia caratteristica, lEsserci si rapporta alle cose anzitutto in quanto utilizzabili. Solo in situazioni limite, quali limprovvisa perdita di funzionalit che uno strumento
pu subire a causa di una rottura o di un guasto, o nel caso
delladozione deliberata dellatteggiamento teoretico, le
cose si appalesano allEsserci nel modo della semplicepresenza, ossia a partire da unattitudine obiettivante che
spoglia loggetto di ogni determinazione che non sia quella fisica della localizzazione spazio-temporale. Strettamente apparentata allaccezione heideggeriana di utilizzabilit
la nozione di affordance (dal tedesco Aufforderung) che
lo psicologo J. J. Gibson (1979) riprende dalla psicologia
della Gestalt a designare le caratteristiche degli oggetti
che ci spingono irresistibilmente a prenderli tra le mani
e a farne uso. I nostri sistemi percettivi sono sintonizzati
direttamente con le affordances mondane senza che sia
necessaria lintermediazione di rappresentazioni interne: il
3.
Studiare la cultura stata da sempre una caratteristica
propria degli antropologi e pi in generale delle scienze
sociali. Tuttavia, se si esamina come le scienze sociali affrontano la cultura si nota lassenza di una definizione che
metta daccordo gli studiosi. Su una cosa in effetti concordano, ossia nel considerare il loro oggetto di studio svincolato dalla biologia degli individui e autonomo rispetto
alle loro caratteristiche psicologiche. Lidea reiterata dalle
scienze sociali che le creature umane siano animali culturali, ossia che tutto ci che caratterizza il nostro comportamento sia determinato dalle pratiche sociali che veicolano
la trasmissione di valori e credenze (il linguaggio verbale
rappresenta il meccanismo principale di trasmissione),
escludendo qualsiasi considerazione di natura biologica e
psicologica. I fatti culturali sono, secondo questa visione,
autonomi. Siamo di fronte, dunque, a una prospettiva che
non si cura di ci che costituisce i singoli individui, ma si
sbilanciata verso le pratiche collettive che caratterizzano i
gruppi sociali. Scrive mile Durkheim: Vi sono [] modi
di agire, di pensare e di sentire che presentano la notevole
propriet di esistere al di fuori delle coscienze individuali
(trad. it., 1963: 25). I doveri dettati dai costumi e dal diritto,
le credenze e le pratiche della vita religiosa, il sistema dei
segni che ciascuno di noi utilizza per esprimersi, il sistema
monetario sono cose che esistono prima dellindividuo
proprio perch esistono al di fuori di lui. Si delinea cos
da un lato un mondo culturale completamente privo di
vincoli con gli esseri umani in carne e ossa, dallaltro un
modo di procedere dellindagine scientifica caratterizzata
profondamente dalla separazione tra fatti sociali e biologici. John Tooby e Leda Cosmides (1992) si riferiscono a una
simile prospettiva che giunge a una concezione dualistica
della natura umana usando lespressione Metodo standard delle scienze sociali (MSSS). immediatamente chiaro quale genere di problema emerga da una concezione
dualista. Il problema il seguente: come interagiscono i
due fenomeni? Chi adotta la prospettiva del MSSS sostiene che lagire nella societ che consente agli individui
di introiettare la complessit dellorganizzazione culturale
che si agita fuori di lui dal momento che i fatti sociali di-
Dello stesso parere sembra essere Michael Shermer, biologo sperimentale e professore di economia alla Claremont
Graduate University che nel suo Why Darwin Matters: The
Case Against Intelligent Design (2006) attribuisce un ruolo
centrale allevoluzionismo per il progresso della conoscenza scientifica. Dalle parole di Shemer: Darwin importante
perch levoluzione importante. Levoluzione importante perch la scienza importante. La scienza importante
perch rappresenta la storia fondante del nostro tempo,
una saga epica che ci racconta chi siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando. Viviamo in un universo pieno
di meraviglie e di stravaganze, i cui misteri la scienza sta
contribuendo a svelare. Una di queste meraviglie levoluzione, un concetto tanto affascinante quanto controverso
e dibattuto. La causa delle numerose controversie crediamo risieda in un motivo ben preciso: nessun fatto, nessuna
indagine scientifica ci coinvolge in prima persona come la
teoria dellevoluzione per selezione naturale. Ci di cui si
una piccola parte non pu essere n un mezzo per s, n
un fine al di l di s scrive Telmo Pievani ne La vita inaspettata (2011: 232). E ci di cui si una piccola parte siamo
noi, creature umane, profondamente convinti che lintelletto sia lunico scopo di questo mondo e ossessionati dal nostro posto nelluniverso. Levoluzione avvicina, in ununica
catena dellessere, tutte le creature quelle ancora viventi e
quelle scomparse gi da molto tempo e ci insegna non solo
che siamo tutti imparentati, ma che siamo anche il prodotto di forze impersonali e cieche.
Questo aspetto, da alcuni celebrato e da altri scetticamente respinto, rappresenta il cuore dellevoluzione che
Charles Darwin nel capitolo conclusivo dellOrigine delle
specie (1859) descrive con queste parole:
Secondo Darwin la psicologia avr una nuova fondazione che si baser sui principi propri della selezione naturale
responsabili dellevoluzione delle capacit umane. Se le
nostre capacit cognitive si sono evolute al pari dellandatura bipede e della postura che ci caratterizzano, esse
sono soggette, dunque, alla selezione naturale. In un certo
senso questo potrebbe essere considerato un modo piuttosto minimalista di declinare la nuova psicologia ma, se
vogliamo, proprio questo senso che crediamo non susciti disaccordo fra gli studiosi o fra coloro che fanno propria
la teoria della selezione naturale e la straordinaria rivoluzione intellettuale che essa porta con s. La psicologia
evoluzionistica caratterizzata da particolari interrogativi
incentrati sullorigine della mente umana (Buller, 2005) e
viene ritenuta una sorta di paradigma unificante che sarebbe in grado di spiegare come nel corso della storia si
siano evolute le diverse funzioni della cognizione umana.
Essa un particolare tipo di approccio alle scienze psicologiche in cui i principi guida e i risultati derivanti dalla
biologia evoluzionistica, dalle scienze cognitive, dallantropologia e dalle neuroscienze vengono integrati con la
psicologia con un fine ben preciso, ossia dare vita a una
mappatura della natura umana. Con il termine natura
umana, gli psicologi evoluzionisti si riferiscono allindividuazione di tutto ci che caratterizza larchitettura computazionale e neurale della mente e del cervello tipica
delle creature umane. Secondo tale visione, le componenti funzionali dellarchitettura cognitiva sono state progettate dalla selezione naturale per risolvere i problemi
In questo numero
I contributi che presentiamo qui al lettore esibiscono
una rispondenza al doppio titolo che abbiamo scelto per
il secondo numero di Reti, Saperi, Linguaggi sia quanto
allo stile di ricerca che li anima sia quanto ai contenuti specifici in essi trattati. Direttamente ispirati alle tesi di Lakoff
e Johnson sul ruolo delle metafore concettuali nella genesi
e nella strutturazione della cognizione umana sono i contributi di Elisabeth Wehling e Marco Casonato. La Wehling
analizza le modalit in cui le metafore del discorso politico
di Berlusconi hanno permeato di s limmaginario collettivo della cittadinanza italiana, fino ad agire pervasivamente sui meccanismi inconsci soggiacenti al decision making,
mentre Casonato si concentra in particolare sullesempio
delle metafore concettuali dellamore e sulla funzione che
esse svolgono nella dinamica trasferenziale tra paziente e
terapeuta che si instaura nel setting psicoanalitico. In maniera analoga, e sulla scorta di unoriginale ripresa delle
tesi di Sapir e Whorf, insiste sulla preminenza degli aspetti
embodied e embedded della cognizione nella genesi delle nostre competenze linguistiche Vito Evola, secondo cui
la lingua naturale, parlata da un agente situato in un ambiente concreto e incarnato in un corpo fenomenologico,
plasma anche i processi di pensiero pi astratti.
La prospettiva incarnata lorizzonte di riferimento in
cui si colloca il tentativo intrapreso da Maria Primo di ricondurre i suoni linguistici alla loro origine gestuale e motoria,
in direzione di un superamento degli approcci formalistici in fonetica e del recupero dellunit tra il livello dellespressione e quello della programmazione. Vittorio Gallese sinserisce autorevolmente nel dibattito sulla embodied
cognitive science proponendo una teoria della costituzione
dellintersoggettivit a partire dal dispositivo della simulazione incarnata implementato a livello neuronale dal
sistema specchio che si fonda sulle pi recenti evidenze
sperimentali maturate in sede di neuroscienza cognitiva e
sul recupero delle teorie fenomenologiche dellempatia e
dellintracorporeit (Husserl, Stein, Merleau-Ponty).
Paolo Giuspoli offre una serie di interessanti spunti per
una riflessione critica intorno alle basi biologiche dellimitazione e della cognizione sociale individuate in letteratura neuroscientifica nel sistema-specchio, invitando
a mantenere un atteggiamento di cautela riguardo al rischio di incorrere in indebite sovrapposizioni tra il piano
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Abstract
The discussion concerning the new trends in cognitive science seems very strictly tied to two fields of research: neuroscience and biology. First of all, because cognitive phenomena are neuroscientific and biological phenomena as well.
Secondly, because such disciplines are able to contribute to the understanding of mental events and cognitive capabilities. In this paper, I deal with a special class of biological entities, superorganisms, in order to show how biological inspired
computation could benefit from the studies on such particular entities, that are intermediate between low organisms and
higher level organisms made by low organisms. Latest scientific outcomes about superorganisms are interesting from the
point of view of the notion of emergence, that is crucial in biological and cognitive science, for it explains phenomena by
means of two connected features: autonomy and dependence on lower levels of a certain phenomenon. In superorganisms we could see some ways in which high levels depends on low levels, and such a dependence arises from a connection
of cooperative and competitive actions of lower entities. I argue that biological inspired models of cognition could benefit
from some traits of superorganisms, in order to simulate cognitive capabilities as representation and perception.
Keywords
Superorganisms, emergence, biocomputation, representation, modularism, connectionism.
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una marcata tendenza costitutiva della prima per il riduzionismo e della seconda per lemergentismo, connessa
con gli studi sulla mente, il pensiero e la cognizione che si
sono sviluppati negli ultimi decenni e che in questo periodo stanno vivendo una fase di transizione da modelli
di spiegazione riduzionistici e analitici a modelli che adottano approcci integrati. Perci, se da un parte gli studi sul
pensiero in generale e la psicologia, nelle sue varie sottodiscipline, sembrano sulla soglia di essere assorbiti dalle
neuroscienze quanto a metodi, linguaggio e universo
ontologico, pagando in questo modo un forte tributo al
riduzionismo, dallaltra, la prospettiva integrata, multilivello, emergentistica della biologia sembra fornire agli studi
sulla mente nuove vie per sfuggire ad un riduzionismo ed
a un eliminazionismo intesi in senso forte2. Questa sembra
anche una delle lezioni che si pu trarre dalla modellistica
computazionale cognitiva biologicamente ispirata (biologically inspired) e dalla bio-computazione. Si pu vedere,
infatti, in questo tipo di ricerche una duplice motivazione
di fondo: quella di ricondurre gli studi sui vari aspetti del
pensiero a una pi generale cornice biologistica, essendo
esso, il pensiero, un fenomeno che trova origine, evolutivamente, nel mondo biologico e, ontologicamente, negli
organismi viventi, fatto ormai non pi trascurato dallinsieme delle discipline interessate a questo tipo di ricerche;
e quella di recuperare dal mondo del vivente schemi, forme e processi per simulare e modellare il pensiero senza
rinunciare alle sue peculiarit, ma neanche alla plausibilit
esplicativa da un punto di vista evolutivo.
Al di l delle questioni sollevate dalla psicologia evoluzionistica, che qui non possiamo affrontare e commentare per ragioni di spazio, uno degli aspetti pi interessanti
della prospettiva biologically inspired legato ai numerosi
tentativi che sono stati fatti attraverso di essa per spiegare
le forme di pensiero pi astratte, come i vari tipi di ragionamento logico e analogico, i quali sembrano implicare
imprescindibilmente aspetti rappresentazionali, sequenziali, top down e di controllo unificato e/o centralizzato del
2. Sul problema della spiegazione in scienza cognitiva da un punto di
vista epistemologico si rimanda a Marraffa, Paternoster (2011).
processo di ragionamento. Le due cose paiono stare, infatti, su poli opposti, quasi antagonisti, e le vie daccesso per
arrivare a una comprensione dei secondi attraverso la prima sembrano molto strette, o molto difficili da percorrere,
e intrinsecamente correlate con il concetto di rete.
2. Biocomputazione e rappresentazione
Allo scopo di definirne alcune coordinate, si pu ricordare che
la biocomputazione, o computazione biologicamente ispirata,
un campo allinterno della computazione naturale, un filone di
ricerca a sua volta composito, perch comprende, fra gli altri, sia
i tentativi di utilizzare i computer per simulare e in questo modo
sintetizzare i fenomeni naturali, sia i programmi di ricerca basati
sulla costruzione di metodi per il problem solving che si ispirano
ad aspetti naturali, in particolare ripresi dal mondo biologico. A
questo complesso panorama va aggiunta la considerazione che
la robotica si pone al di fuori di, ma molto vicino e in stretta connessione a, questo tipo di ricerche, sfruttando cospicuamente i
risultati delle metodologie impiegate nella computazione naturale e nella biocomputazione.
Se vero che uno degli assunti epistemologici della biologia
si fonda sullidea che ogni fenomeno suo oggetto di studio per
essere compreso va vagliato anche, e necessariamente, dal punto di vista della sua storia evolutiva, questo aspetto solo una
delle variabili in gioco nella biocomputazione. In altri termini, la
biocomputazione, come la computazione naturale, pu portare
a comprendere, in un movimento di ritorno, alcuni fenomeni
biologici. Tuttavia, essa sfrutta piuttosto le caratteristiche dei fenomeni naturali, modellizzandole, come euristiche, prefiggendosi come scopo principale quello di risolvere questioni legate
alle computazione in modo migliore o ottimale rispetto ai metodi tradizionali dellintelligenza artificiale (IA). Tutto ci ha avuto
negli anni un forte impatto anche sulla scienza cognitiva, per
quanto riguarda la comprensione di quei fenomeni mentali che
sono stati al centro del dibattito degli ultimi decenni. Dunque,
la biocomputazione, come branca della computazione naturale, non ha prodotto solo nuovi strumenti per lo svolgimento di
compiti un tempo dominio esclusivo dellIA di tipo, cosiddetto,
ingegneristico, ovvero tesa al risultato pi che alla comprensione del fenomeno, ma anche nuovi metodi per ideare e realizzare
simulazioni a fini esplicativi della cognizione umana.
Alcuni campi allinterno della biocomputazione hanno avuto
uninfluenza fin dagli anni Settanta del secolo scorso, procedendo in parallelo con lo sviluppo delle reti neurali e del connessionismo. Si pensi, ad esempio, agli algoritmi genetici (Holland,
1992)3, sviluppati gi prima che il connessionismo ritrovasse
nuova fortuna dopo decenni di relativo oblio e che nascono
come algoritmi di ottimizzazione nella soluzione di problemi di
ricerca. Essi furono impiegati, anche se non esclusivamente, nel
campo dellIA per affrontare problemi difficili da risolvere con algoritmi di tipo classico e furono cos chiamati perch si ispirano
alla genetica e alla selezione naturale, costituendo una sottoparte degli algoritmi di matrice darwiniana, generalmente chiamati
algoritmi evolutivi. Il principio su cui si fondano gli algoritmi genetici quello della riproduzione selettiva di stringhe di codice,
chiamate geni, che codificano diverse soluzioni per un problema
di ottimizzazione. Tale riproduzione selettiva, di popolazione in
popolazione, avviene secondo i canoni classici della selezione
darwiniana: mutazione (casuale) e fitness (verso lobiettivo ottimale), con anche una certa misura di crossing-over genetico. Ci
che conta, per, che la facolt di ricorrere a questi principi
resa possibile dalla loro interpretazione funzionale, che ne permette una modellizzazione passibile di applicazioni ad ampio
raggio, dalla bioinformatica e allingegneria fino alleconomia e
alle scienze sociali.
La scelta di ricorrere a euristiche di ispirazione biologica e
naturale anche per risolvere problemi tipici dellIA e legati alla
3. La prima edizione del 1975.
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scienza cognitiva comune a varie branche della biocomputazione. Oltre agli algoritmi genetici e alle reti neurali, possiamo
ricordare gli automi cellulari, i sistemi immunitari artificiali, la
vita artificiale, le reti di comunicazione, le reti sensoriali e altre
euristiche ancora, tutte ispirate a fenomeni specifici del mondo
biologico. Al di l degli indubbi progressi in termini di strumenti
messi a disposizione da questo tipo di ricerche, la scorporabilit
o separabilit funzionale di questo tipo di fenomeni, al di l delle critiche rivolte al funzionalismo computazionale4, ne ha permesso un uso anche in termini esplicativi per quanto riguarda
determinate capacit riconducibili al pensiero e allintelligenza.
Si tratta in particolare di quelle capacit che possono essere definite di alto livello, come il ragionamento, il senso di identit, la
pianificazione e altre, che appaiono tutte chiamare in causa una
sostanziale, imprescindibile capacit rappresentazionale. Lutilizzo di elementi funzionali ripresi da sistemi biologici, unitamente
al concetto di emergenza e ai contributi della matematica impiegata per spiegare i fenomeni complessi, ha dischiuso negli ultimi
decenni nuovi e interessanti tentativi di spiegazione dei fenomeni mentali di livello superiore.
14
4. La nozione di superorganismo
Una delle modalit della computazione biologicamente ispirata cui non si accennato in precedenza, ma in cui rintracciabile in massimo grado la tendenza a recuperare gli aspetti
emergentistici tipici di alcuni fenomeni biologici, quella della
swarm intelligence (intelligenza di sciame). In natura esistono diversi esempi di comportamenti complessi che nascono dallinterazione del comportamento collettivo di molti agenti locali dalle
possibilit limitate. il caso delle colonie di formiche, vespe, api,
termiti, ma anche degli stormi di uccelli o dei banchi di pesce.
A differenza dei fenomeni complessi in fisica, nel caso biologico degli sciami o delle colonie, lenorme potere adattativo di tali
insiemi di esseri viventi ne ha fatto degli ottimi candidati per
la spiegazione bottom up di fenomeni altrimenti difficilmente
spiegabili allinterno di una cornice evolutiva, cio non come risultato di una creazione imposta dallalto. Tuttavia, limportanza
del fenomeno della swarm intelligence non sta soltanto nel comprendere come essa possa essersi determinata da un punto di
vista evolutivo, ma nel capire anche che cosa ha determinato la
nascita e lo sviluppo di questi fenomeni.
Dal punto di vista delle computazione, la prima applicazione degli elementi funzionalmente rilevanti e scorporabili della
swarm intelligence avvenuta in robotica (Beni, Wang, 1989; Beni
2007), ma essa ha influenzato anche altri campi di ricerca come
lIA o le neuroscienze (Bonabeau, Dorigo, Theraulaz, 1999), portando alla costruzione di algoritmi e sistemi di agenti in grado di
coglierne gli aspetti essenziali. Quello che a noi interessa valutare se i punti di forza di questo tipo di sistemi adattativi complessi, cio la robustezza e la flessibilit, possono essere utili nel
comprendere, e simulare, non solo il comportamento di sistemi
complessi, ma anche certe forme di ragionamento. Alcune indicazioni in questo senso possono venire dalla considerazione di
un fenomeno strettamente collegato a quello della swarm intelligence: il superorganismo.
Lidea di accostare il funzionamento del cervello a quello
delle colonie di insetti eusociali si sviluppa negli anni Settanta
anche a seguito della pubblicazione del noto studio di Wilson
sullargomento (Wilson, 1971). Un dialogo di Hofstadter (1979:
337-364) ne forse lesempio pi celebre e affronta il tema dellemergenza dei livelli in un sistema organizzato secondo caste di
individui che basano la loro linterazione e la loro comunicazione
su segnali di tipo prevalentemente chimico (ma non solo), collegandolo al problema della conoscenza e dellintelligenza: tutti
questi strati di struttura sono necessari ad immagazzinare quei
tipi di conoscenza che permettono a un organismo di essere
intelligente in un qualche ragionevole senso della parola. Ogni
sistema che possiede la facolt del linguaggio ha essenzialmente
lo stesso insieme di livelli sottostanti (Hofstadter, 1979: 351). Il
paragone fra un cervello e un formicaio serve a Hofstadter come
giustificazione della sua teoria simbolica, che, in aperto contrasto
con il simbolismo dellIA e della scienza cognitiva tradizionale
(che, da un punto di vista filosofico, possiamo far coincidere con
la Teoria Computazionale e Rappresentazionale della Mente di
Fodor), vuole essere un tentativo di spiegazione della capacit
di avere e costruire rappresentazioni mentali, che eviti le rigidit
delle rappresentazioni tradizionali e salvi al contempo la flessibilit come tratto distintivo delle effettive rappresentazioni mentali umane. I simboli per Hofstadter rappresentano la realt grazie a
una relazione di isomorfismo e compiono la loro funzione quando sono attivi, cio quando inviano messaggi per risvegliare,
o attivare, altri simboli. In altri termini, forse pi vicini a quelli
delle contemporanee ricerche in ambito neurocomputazionale,
si potrebbe dire che lisomorfismo dei simboli non solo permette
il riconoscimento di pattern, ma lo fa proprio perch esso stesso una questione di pattern; , cio, la caratteristica di alcune
porzioni cerebrali di costituire pattern dotati della possibilit di
allinearsi, o sincronizzarsi, con la realt, in una continua dinamica di allineamento e disallineamento in cui consiste lessenza del
ragionamento umano (e forse di alcuni animali superiori) on-line
e off-line.
Se lintento di Hofstadter stato quello di dare una risposta
a un problema molto sentito negli anni Settanta anche nellIA,
il problema del significato, ci potremmo chiedere se il concetto
di superorganismo pu gettare luce ancora oggi non tanto sul
modo in cui funziona il cervello, ma sul modo in cui si strutturano alcuni tipi di ragionamento, anche in considerazione del
fatto che il problema del significato collassato in una duplice
questione a lungo, e tuttora, dibattuta: la questione dei concetti e delle rappresentazioni mentali. Tralascer ora di parlare dei
concetti9 e mi concentrer sulle rappresentazioni e sulla capacit
rappresentazionale, dopo aver brevemente illustrato alcuni tratti
rilevanti della nozione di superorganismo.
In un recente studio, Hlldobler e Wilson (2009) fanno il punto
in merito alle ricerche sulle colonie di insetti eusociali. Tale disamina diventa anche loccasione per fare alcune interessanti considerazioni sulla nozione di superorganismo, con cui possibile
caratterizzare talune particolari societ di insetti. Gli autori non
mancano di riconoscere che, nel corso degli ultimi decenni, le
reti di individui cooperanti delle societ degli insetti hanno suggerito nuovi schemi per la progettazione dei calcolatori e hanno fatto luce sul modo in cui probabilmente i neuroni cerebrali
interagiscono nella creazione della mente (Hlldobler, Wilson,
2009: 21). Tale affermazione, pur nella sua genericit, testimonia
linflusso non limitato alla biocomputazione, ma estendibile alla
(neuro)scienza cognitiva, allIA e alla filosofia della mente, che la
nozione di superorganismo ha avuto per alcuni suoi aspetti peculiari.
Gli elementi che hanno interessato gli studiosi delle capacit (neuro)cognitive sono in genere due: la presenza nei superorganismi di un sistema di comunicazione robusto, flessibile
e raffinato, gestito nella grande maggioranza dei casi da fattori
chimici, che assume il nome di stigmergia (ad esempio, la traccia
feromonica lasciata dalle formiche per costituire un percorso
fra il formicaio e una certa fonte di cibo); una suddivisione del
lavoro in caste, che diventa sempre pi rigida in quelle specie in
cui il superorganismo , o si considera, pi evoluto. Al di l delle spiegazioni su come si possa essere evoluto un superorganismo10, uno degli aspetti pi interessanti evidenziato dagli autori
limportanza che riveste in questo caso la selezione naturale
multilivello, la quale opera a livello genetico, ma anche a quello
degli organismi, dei gruppi e dellintera colonia. La suddivisione
in caste, ad esempio, diventa qualcosa di sempre pi evidente
nellevoluzione del superorganismo, fino a realizzarsi morfologicamente nei singoli individui, la cui diversa funzione si rispecchia
nella loro forma. Ci va a scapito della forza selettiva opposta,
quella imposta agli individui dalla lotta per la riproduzione individuale e quindi della trasmissione del proprio materiale genico,
e proprio per questo produce una eusocialit pi evoluta, in cui
9. Anche se la questione strettamente collegata, nonch piena di
numerosi aspetti irrisolti. Su questo tema si veda Cordeschi & Frixione
(2011).
. Che chiamano in causa il dibattito in merito allaltruismo sulla selezione di parentela (kin selection) di Haldane, poi ripresa da Hamilton e
inserita nel teoria pi generale della fitness inclusiva (Hamilton, 1964,
1972).
15
anche come una realizzazione effettiva di uno degli aspetti peculiari dellemergenza, cio quello che accosta allautonomia dei
livelli superiori la loro influenza su quelli inferiori. Questo, per,
solo a patto di accettare come causa originaria di questa serie di
azioni una selezione evolutiva che operi a livello di colonia e non
a un livello dirigenziale autonomo in grado di prendere decisioni.
Il comportamento emergente sorge, perci, sulla base di algoritmi molto semplici ed eseguibili velocemente da individui
con cervelli molto piccoli. Tali algoritmi determinano lo sviluppo
e il comportamento dei membri della colonia facendo emergere,
grazie alle caratteristiche senzienti e alle modalit di comunicazione e interazione dei singoli individui, quellintelligenza complessiva della colonia che maggiore dellintelligenza di ciascuno dei suoi membri e che opera sulla base di uninformazione, di
una conoscenza, distribuita rappresentata in modo distribuito
tra tutti i membri specializzati della colonia. Hlldobler e Wilson
chiariscono, inoltre, che in questo processo di auto-organizzazione mantenere una visione separatista fra i livelli sarebbe sbagliato: per quanto tali propriet emergenti destino meraviglia in chi
le osserva, di per s i loro meccanismi non sono misteriosi. [ vi
in effetti] unampia gamma di fenomeni emergenti abbastanza
semplici da poter essere spiegati con un graduale aumento di
complessit a partire dal comportamento degli elementi costituenti. Questo il vantaggio offertoci dalle piccole dimensioni
del cervello degli insetti sociali e dalle decisioni generali, semplici e rapide, che essi devono prendere avvalendosi di algoritmi
limitati (2009: 74; corsivo aggiunto). Nel caso dei superorganismi
la complessit il portato di una specializzazione degli individui,
non di un loro comportamento individuale divenuto sempre pi
complesso (Hlldobler, Wilson, 2009: 129). Questo lelemento
che ha determinato lo sviluppo di simili entit, che sono intermedie fra organismi di diversa complessit (ad esempio, tra una
formica, unape o una termite e una scimmia o un essere umano),
in cui lunione pi flessibile fra i diversi organismi loro componenti ha prodotto vantaggi e svantaggi diversi da quelli dei organismi multicellulari, ma che, esattamente come in questi, possono essere studiati a differenti livelli. La compattezza e lunit
degli organismi multicellulari, infatti, non implica che non si possano ritrovare negli uni e negli altri in larga parte le medesime
caratteristiche biologiche. Daltra parte, come afferma il biologo
Thomas Seeley (citato in Hlldobler, Wilson, 2009: 163): la teoria
della selezione multilivello mostra che, quando la selezione tra
gruppi predomina su quella allinterno del gruppo, i gruppi stessi
possono raggiungere un elevato grado di organizzazione funzionale (Seeley, 1997)12.
16
va del fare analogie, intesa nel senso pi ampio di scoprire o costruire relazioni di somiglianza a un qualche livello sulla base di
elementi (dellambiente di elaborazione) che costituiscono a un
tempo gli elementi del problema e lo spazio stesso del problema.
Tuttavia, non c una ragione di principio per cui larchitettura di
base su cui sono costruiti tali modelli debba essere confinata alla
costruzione di analogie.
In secondo luogo, laspetto pi interessante di questi modelli che rientrano nella pi generale categoria dei sistemi complessi adattativi, almeno dal punto di vista della dinamica della
loro elaborazione interna e, dunque, possono essere considerati
unaltra forma, specifica e particolare, di computazione biologicamente ispirata. Laspetto che ci interessa il modo in cui essi
affrontano il problema della rappresentazione, cercando di superare gli ostacoli della rappresentazione tradizionalmente intesa
in IA, ma anche di conservare un certo livello rappresentazionale
come elemento imprescindibile delle abilit cognitive14.
In linea generale, larchitettura di questi modelli si basa su tre
componenti fondamentali: una rete concettuale in cui rappresentata la conoscenza stabile del programma sotto forma di nodi
e archi etichettati; uno spazio di lavoro in cui sono rappresentati gli elementi del problema e che corrisponde alla memoria di
lavoro (o memoria a breve termine); un insieme di microagenti,
detti codicelli (codelets), in grado di eseguire semplici operazioni.
Lelaborazione del programma consiste nellinterazione tra queste tre componenti fondamentali. I codicelli esaminano gli elementi nello spazio di lavoro, costruendo e distruggendo relazioni di accoppiamento e raggruppamento sulla base dei concetti
della rete concettuale (opposizione, uguaglianza, a destra di,
ecc.); nel fare questo causano lattivazione dei concetti nella rete,
che a sua volta genera linvio di nuovi codicelli per stabilizzare le
strutture promettenti fino ad arrivare a una visione unica in base
alla quale dare la soluzione del problema (analogico) da risolvere (ad esempio in COPYCAT, trovare una stringa di lettere che
sia in relazione con unaltra, ma nella stessa relazione che c fra
due stringhe iniziali e che quella da analogizzare15). La visione
unitaria il risultato emergente dellagire dei singoli codicelli, la
cui attivit competitiva/collaborativa autonoma, ma allo stesso
tempo determinata sia dalla rete concettuale sia dallinformazione che viene costruita progressivamente, in termini di strutture
di dati, nello spazio di lavoro. Tale visione unitaria, e i passaggi
che portano ad essa, possono essere visti anche come linformazione totale di cui il sistema dispone in un determinato istante
di elaborazione, informazione che suddivisa fra le tre componenti del programma. Per tale ragione, essa una sorta di rete di
dati relazionalmente organizzati che sta a un livello superiore di
quello della rete concettuale che costituisce una sola delle componenti. Tale rete informazionale di livello superiore sembra cogliere la quintessenza degli aspetti rappresentazionali necessari,
ma non troppo rigidi, di cui un sistema cognitivo deve disporre
per poter essere intelligente, in un senso ampio del termine che
comprende anche lessere in grado di adattarsi autonomamente
allambiente/contesto in cui si trova. Ci conforta lidea che una
rappresentazione non reticolare (ad esempio, una lista di descrizioni) sia non tanto impossibile, quanto infruttuosa dal punto di
vista cognitivo; e per tale ragione non esplicativa degli aspetti
centrali della cognizione.
Una rappresentazione di questo tipo pu essere definita
parziale ma sufficiente (Lawson & Lewis, 2004) ed uno dei
pilastri alla base di modelli come MADCAT e STARCAT, che hanno cercato di estendere oltre la costruzione di analogie e verso
uninterazione effettiva con lambiente (ad esempio, in compiti
di mappatura e navigazione da parte di robot mobili) larchitettura dei modelli subcognitivi (Lewis & Lawson, 2004). Una rappresentazione parziale ma sufficiente in continua evoluzione
. A differenza, tanto per fare un esempio, delle architetture di sussunzione alla Brooks (1991).
. Si veda Mitchell (1993). Per un modello pi sbilanciato sulla simulazione di questo tipo di abilit in ambienti reali, ma non dissimile quanto ad
assunzioni di base, si veda French (1995).
17
18
Abstract
A long-lasting question for philosophers and cognitive neuroscientists has been how knowledge is organized in our
brain. Insights from neuropsychological studies reporting patients with a selective impairment for processing natural or
artificial objects in cognitive tasks led to the development of important theoretical advancements on semantic knowledge organization. However, very little has been done to date regarding the way humans organize knowledge about
other humans and social categories. Starting from the current state of the research on the organization of semantic
memory, we review the reasons whereby social groups might be a category on its own and, as such, could have a distinct
and separate neural correlate.
Keywords
Semantic memory, category specificity, social groups, stereotypes.
1. Introduzione
Negli ultimi trentanni i neuroscienziati hanno suggerito diversi meccanismi che potrebbero essere alla base dellorganizzazione delle nostre conoscenze (si veda Forde & Humphreys,
2002). Qui di seguito presentiamo le pi importanti.
In una serie di studi, Warrington, Shallice e McCarthy (Warrington & McCarthy, 1983; Warrington & Shallice, 1984; Warrington & McCarthy, 1987) per primi hanno descritto pazienti con deficit categoriali-specifici, ovvero pazienti che mostravano enormi
difficolt nellesecuzione di compiti che riguardavano una categoria specifica, avendo per inalterata la capacit di eseguire
gli stessi compiti con altre categorie. Questi autori proposero,
quindi, che le categorie sono definite dal tipo dinformazioni su
cui si basa il riconoscimento dei loro esemplari. Secondo questa
teoria, nota come Sensory-Functional Theory (teoria sensorialefunzionale), mentre il riconoscimento delle entit naturali o viventi (per esempio unarancia) richiede principalmente lelaborazione di caratteristiche percettive (nel caso dellarancia, la forma
rotonda, il colore arancio, la caratteristica buccia e cos via), il
riconoscimento degli oggetti artificiali (o non viventi) dipende
principalmente dalle informazioni riguardanti le loro funzioni e
le azioni che essi permettono di eseguire (per esempio, un martello pu essere impugnato per piantare i chiodi nel muro).
Altri autori come, per esempio, Garrard, Lambon Ralph, Hodges e Patterson (2001) o Tyler e Moss (2001), hanno invece proposto la Teoria del Principio della Struttura Correlata, secondo cui
lorganizzazione concettuale rifletterebbe la co-occorrenza statistica delle propriet degli oggetti.
Infine, Caramazza e i suoi collaboratori (Caramazza & Shelton,
1998; Caramazza & Mahon, 2003; Mahon & Caramazza, 2011)
hanno sostenuto che la conoscenza concettuale organizzata
secondo vincoli specifici, caratteristici di un dato dominio concettuale (Domain-Specific Hypothesis, DSH in breve). Secondo la
DSH, levoluzione avrebbe favorito lesistenza di circuiti neurali
innati allo scopo di permettere unelaborazione efficiente di un
numero limitato di ambiti concettuali (vedi Mahon & Caramazza, 2011). Secondo questa ipotesi la spinta evolutiva potrebbe
aver favorito il modo in cui la conoscenza concettuale sia organizzata nel cervello, tale per cui le informazioni relative a ci che
rilevante per la sopravvivenza (cio, animali, frutta, verdura e
conspecifici) sarebbero rappresentate insieme. Questo spiegherebbe perch un danno alla corteccia temporale spesso riduca la
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20
4. Direzioni future
Queste riflessioni aprono un ampio ventaglio di possibilit di
ricerca con implicazioni sia teoriche che applicative. Nellambito
21
Abstract
Transference, itself a metaphorical concept, operates through metaphor. Conceptual metaphors for love underlie much psychoanalytic discourse about the patient-analyst relationship. We analyze a series of metaphors--e.g, love is magic, love is a collaborative work of
art, love is a journey--and examine how they may function within psychoanalytic therapy. Deeply entrenched metaphors like Love is a
journey and Therapy is a journey allow us to reason about love and therapy on the basis of what we already know about journeys. Metaphorical referencing to journeys commonly occur in both the narration of dreams and the general discourse of analytic patients, and they
may be used to monitor the progress of a treatment and to identify issues in it that require attention.
Keywords
1. Introduzione
La Teoria della Metafora Concettuale (Lakoff & Johnson, 1980;
1999; Lakoff, 1987; 1996 inter alia), considera la metafora non tanto un mero strumento linguistico astratto, o retorico, ma un sistema adattativo per comprendere concetti pi astratti nei termini
di concetti pi concreti. Infatti, la metafora non solo permette
di comprendere nuovi domini attraverso proiezioni analogiche,
ma anche permette di moltiplicare lampiezza delle proprie basi
di conoscenza in modi fortemente adattativi. La metafora pu
essere intesa come uno schema processuale di corrispondenze,
detto mapping, che parte da un origine, il Dominio Fonte, ed
diretto al Dominio Target.
Laccezione della proiezione secondo la teoria di tipo matematico; ad esempio: di X Y, dove Y il dominio fonte e X
quello target. Ad esempio: Guarda sin dove siamo arrivati, La
nostra relazione andata fuori strada e altre metafore, sono solo
alcuni esempi in cui i termini che usiamo per esprimere una categoria concettuale astratta, amore in questo caso (Y = amore =
relazione), si rendono comprensibili grazie ai termini di unaltra
categoria concettuale, ma meno astratta: i viaggi (X = andare fuori
strada = viaggio).
Per Lakoff e Johnson (1980) il sistema concettuale umano, in
base al quale si pensa e agisce essenzialmente di natura metaforica.
La TMC (dora in avanti per semplificare si utilizzer lacronimo
che sta per Teoria della Metafora Concettuale) costituisce uno dei
pi rilevanti sviluppi della Linguistica degli ultimi trentanni ed
componete essenziale della linguistica cognitiva. La linguistica cognitiva pu essere considerata una linguistica semanticocentrica, laddove la linguistica chomskyana risulta grammaticoe sintattico-centrica.
La TMC si focalizza sulla natura di taluni processi mentali umani inconsci, cos come si manifestano nel linguaggio o in altre
attivit simboliche. Inoltre questa teoria pone laccento, come la
psicoanalisi, su come i processi mentali abbiano un fondamento
nellesperienza corporea. proprio laccento su questa derivazione che ha permesso lo sviluppo del paradigma dellembodiment
che oggi ampiamente accreditato.
Da quando questa teoria ha iniziato a fornire varie interpretazioni sulle manifestazioni del linguaggio umano, ha contribuito anche a fare chiarezza su importanti aspetti della natura del
dialogo psicanalitico, oltre che su sulla teoria psicanalitica stessa.
Gli psicoanalisti sono sempre stati consapevoli della natura
metaforica di molte faccende con cui hanno avuto a che fare.
Tuttavia sono solo agli inizi della nuova visione radicale prevista dalla TMC. Da parte loro, scienziati e linguisti cognitivi hanno
mostrato inizialmente scarsa consapevolezza del contributo che
la psicoanalisi e la psicoterapia pu ottenere dai loro rispettivi
22
ambiti.
Questo articolo intende fornire un ulteriore contributo (Casonato, 1998 a, 1998 b) allinterdisciplinarit tra Psicoanalisi e Scienze Cognitive. Ma pi in generale e, cosa pi importante, portare
la TMC nel mondo della Psicoanalisi e includere il sapere psicanalitico nella generazione di nuove teorizzazioni in TMC, promette di offrire una pi ampia e unitaria comprensione di processi
mentali inconsci finora ritenuta possibile.
3. Il Transfert
Il termine di paragone come se, utilizzato quando si parla di
transfert (ad esempio: il paziente inconsciamente tratta la sua
terapeuta come se ella rappresentasse la figura materna), basato su unampia quantit di metafore tramite cui gli psicoanalisti
costruiscono le peculiari realt dei loro differenti approcci alla
psicoanalisi classica.
Arlow (1969) fu un precursore nellaffermare che il processo
psicoanalitico in se stesso una metafora. Semi (1981) propone un punto di vista analogo. Schafer (1983) accentua la caratteristica intrinsecamente narrativa del transfert e definisce il
transfert come una macchina del tempo la quale, portando il
paziente a lavorare sulla propria infanzia, non altro che un abile
impiego di metafore che ri-definiscono, in termini psicoanalitici,
lesperienza clinica del paziente stesso. In altre parole lanalista
usa metaforicamente i richiami allinfanzia per costruire unesperienza psicoanalitica che segue diverse tradizioni, proprio come
possono essere utilizzate altre metafore psicoanalitiche di base,
che tratteremo in questo articolo .
Esperienze cos costruite entrano a far parte del dominio concettuale di transfert clinico: aspetto molto significativo perch il
transfert riveste unimportanza indiscutibile in psicoanalisi ed ha
avuto un forte impatto sulla cultura terapeutica che ne derivata.
Lidea di Transfert compare nel saggio Studi sullisteria di Breuer
e Freud (1895) nellaccezione di falsa connessione (nei termini
della scienza neurologica dellOttocento) nei ricordi dei pazienti.
Ci significava che il paziente stava trasferendo nella figura del
medico alcune idee emerse durante il processo analitico. Tale visione anche collegata al cosiddetto modello archeologico dell
attivit clinica ed alla concezione di Breuer della memoria come
un magazzino e sistema di archivio.
Nei successivi sviluppi del concetto di Transfert si mantenne
la nozione di falsa connessione, intesa per come una sorta
di distorsione della realt. In questa prospettiva sembrava che il
terapeuta possedesse la realt giusta mentre il paziente quella
sbagliata che andava corretta attraverso la psicoterapia.
Pi tardi emerse il concetto di Transfert come regressione e
venne considerato un tentativo di rievocare e riprodurre episodi
dell infanzia durante la seduta, grazie allo psicoanalista.
Oggi si preferisce il termine di ricostruzione o meglio di riattualizzazione o messa in scena dei contenuti intrapsichici e
relazionali dellindividuo.
Nel passato il modo di concepire il Transfert era legato anche allidea di natura ciclica e di reversibilit tipiche della cultura
scientifica del Novecento. Schafer (1983) ha sottolineato con forza alcune delle assurdit implicite nella metafora della psicoanalisi come macchina del tempo che fa uso della regressione per
riportare il paziente ad un momento della sua infanzia.
Il Transfert visto anche come una forma di spostamento, concetto che ha unorigine metapsicologica ed legato ad un altro
concetto, quello di energia psichica. Una scarica energetica viene
inviata lungo un percorso associativo, cio da un idea centrale
di forte intensit emozionale ad una pi periferica e debole. La
comprensione dello spostamento si basa sulla neurologia introspettiva degli ultimi decenni del Novecento: le idee contenute
nel sistema nervoso possono muoversi mosse dalle cariche energetiche.
Il Transfert stato considerato anche la manifestazione di una
coazione a ripetere a cui Freud (1920) assegn un fondamento
biologico. Una tale compulsivit porta inevitabilmente lindivi-
23
Sento elettricit tra di noi, C stata una scintilla, Ero (magneticamente) attratto da lei, Sono attratti lun laltro, La sua vita intera
le ruotava attorno, Latmosfera intorno a loro sempre carica, C
unincredibile energia nella loro relazione, La nostra stata subito
unattrazione di pelle.
Connessa a questa metafora c la concezione che la relazione damore sia qualcosa di magico. In letteratura questa una
tipica qualit del potere che le donne possono esercitare sugli
uomini. Si pensi ad esempio a Circe nellOdissea: uomini comuni
trasformati in porci e la sottomissione sessuale dellincantatrice
su Ulisse. Quindi
lamore magia
Gett il suo incantesimo su di me, La magia non c pi, Ero incantato, Mi ha ipnotizzato, Lui mi tiene in uno stato di trance,
Ero estasiato da lei, Sono affascinato da lei, ammaliante.
24
lamore pazzia
Queste metafore damore costituiscono una sorta di nocciolo duro concettuale che plasma i linguaggi clinici specialistici
come le storie personali dei pazienti.
Lakoff e Johnson (1980, p. 173) hanno evidenziato che si tratta
di metafore convenzionali, ossia metafore che strutturano il sistema concettuale comune della nostra cultura, che riflesso nel nostro linguaggio quotidiano.
Esse sono accettate nella narrativa usuale della nostra comunit e costituiscono la rete entro la quale il linguaggio clinico
specialistico legittimato. Oltre a questo le metafore consentono la produzione di nuovi significati attraverso la ricombinazione
di differenti ambiti di esperienza.
Sia Lakoff e Johnson (1980) che Schafer (1983) suggeriscono
che le metafore possano dare nuovi significati al nostro passato e
a ci che conosciamo e in cui crediamo. Le metafore damore comuni nella societ occidentale coincidono con le caratteristiche
proprie della seduta analitica.
Queste straordinarie corrispondenze e sovrapposizioni sono
ci che produce luoghi comuni psicoanalitici che rendono la relazione terapeutica unesperienza da provare, plausibile e vera.
Le metafore damore permettono tutto questo.
Il ruolo dellamore, come fattore terapeutico tecnicamente
usato, riguarda la seguente metafora:
lamore unopera darte fatta in collaborazione
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26
Amore
Viaggio
Amanti
Viaggiatori
Coppia paziente-terapeuta
Relazione damore
Essere in un rapporto
Essere intimi
Avere obiettivi in comune
Veicolo
Essere fisicamente vicini
in un veicolo
Mete comuni del viaggio
Ostacoli durante il
viaggio
La terapia
La relazione analitica; Transfert/ Controtransfert (Sogni sullanalisi)
Obiettivi terapeutici condivisi; Compimento della terapia
Difficolt relazionali
27
allora le espressioni vicoli ciechi e crocevia valgono sia per lamore che per la psicoanalisi.
Se si dispone di corrispondenze ontologiche e altre conoscenze sui viaggi, nuove estensioni per la mappatura saranno
rapidamente comprese (Lakoff, 1986). Ad esempio una forma
aberrante di terapia con caratteristiche ipo-maniacali ben resa
da questa metafora Stiamo guidando nella corsia di sorpasso in
autostrada che implica una conoscenza del tipo: Quando guidi
nella corsia di di sorpasso fai tanta strada in poco tempo e questo
s eccitante, ma efficace solo in apparenza e soprattutto pericoloso. Il pericolo sta nel veicolo (il rapporto pu non durare)
o nei passeggeri o nel guidatore spericolato. Questi, che corrispondono agli amanti o alla coppia paziente-analista, possono
ferirsi emozionalmente e la terapia-veicolo pu essere distrutta o danneggiata. Leccitazione del viaggio damore pu anche
trasformarsi in unattrazione sessuale. Sempre Lakoff scrive (ivi)
che la nostra comprensione di una nuova metafora (cfr. nota 2)
dipende, nella maggior parte dei casi, da una comprensione di
metafore convenzionali pre-esistenti, che fanno cio gi parte
del sistema concettuale di una cultura.
La TMC permette di affrontare nuovi e interessanti tematiche
e problemi mai prima dora formulati, oltre alla possibilit di generare nuove metafore.
Riprendendo la schematizzazione utilizzata da questi autori
(cfr. Tab. 1), possibile analizzare nuove metafore strutturali che
permettano alla psicoanalisi (o anche alla psicoterapia in generale) di fornire un Dominio Fonte concettuale, un sapere psicoanalitico-terapeutico, per possibili interventi clinici. Per fare questa
operazione bisogna partire da metafore pi elementari.
Una prima metafora (ontologica) i propositi come destinazioni o,
detta in altri termini le intenzioni sono spazi (Lakoff, 1986). La tabella
2 nella pagina seguente sintetizza le corrispondenze tra i domini.
Come nellesempio precedente anche qui si trovano corrispondenze epistemiche grazie alle quali la conoscenza del dominio dello spazio viene proiettata in quella sia delle intenzioni che
della terapia, dando origine alla metafora (strutturale) la terapia
una destinazione.
Espressioni metaforiche, estendibili in ambito terapeutico,
sono: Abbiamo ancora molta strada da fare, Ci siamo quasi, Il nostro obiettivo in vista, Abbiamo raggiunto il nostro
obiettivo, Per tutto il tempo stata una strada in salita, Ora
pu girarsi e guardare indietro.
Legata alla metafora dellamore come un viaggio la vita un
viaggio che influenza il modo di raccontare la propria biografia
durante unanalisi.
Una lunga relazione damore cos compresa come un viaggio attraverso la vita di coppia e il veicolo , come detto pi sopra, il rapporto stesso. Tutto questo corrisponde alla tipica concettualizzazione, in cui amore, viaggio, vita, storia di vita, storia
di un viaggio (transfert) si sovrappongono e si intrecciano lun
laltro. Metaforicamente chi vive una relazione damore da lungo
tempo, viaggia insieme al partner, poich scopi comuni corrispondono a destinazioni comuni.
Metafora strutturale
(La terapia una destinazione)
Domino Fonte = Spazio, Dominio Target = Intenzione:, Dominio
Target esteso = Terapia
Terapia/ Psicoanalisi
Metafora ontologica
(Le intenzioni sono spazi)
Dominio Fonte = Spazio, Dominio Target = Intenzione
Spazio
Intenzioni
Destinazione
Proposito
Realizzazione del proposito
Giungere a destinazione
Impedimenti nel muoversi
Tenere bene in vista la
destinazione
Difficolt
Mantenere il proposito
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Segli psicoterapeuti, durante il loro lavoro,tengono ben presente sia il contenuto manifesto del sogno sia la direzione delle
relative associazioni fornite dal paziente, nonch le variazioni del
dominio dei viaggi, hanno la possibilit di meglio comprendereil
prosieguo dellanalisi.
Schafer (1983), nella situazione clinica, si domanda e risponde:
un viaggio solitario o ci sono dei compagni? Chi conduce,
pilota, guida o blocca la strada, e fino a che punto svolge bene
questo lavoro? Il viaggio viene fatto nellaria, in mare, nella giungla o in una cantina buia e piena di topi? La strada libera da
serpenti e trabocchetti? Chi viaggi ha perso la strada? Ha passato
la stazione? Ha perso il treno? La destinazione nota?C luce
alla fine del tunnel? Avendo a disposizione una serie di domande
e di aspettative analitiche, sappiamo come organizzare e seguire queste storie sognate ed elaborate mediante lassociazione
(1983: 248).
Per riconoscere i vari frammenti di storie di viaggi nei sogni,
come autobus che appaiono, un sentiero o un cartello stradale,
lanalista deve attingere ad altre fonti. Ad esempio la preoccupazione infantile per il via vai degli stimoli e delle persone in cui ci
si imbatte nel corso della sua crescita. Sempre Schafer (ibidem)
sottolinea come lanalista sia pronto per trovare altri frammenti
dalla narrazione del suo paziente in altro materiale. Ad esempio
lanalizzando chiede di prendere in prestito soldi per il taxi, imbocca luscita sbagliata dallautostrada mentre si sta recando in
seduta oppure inciampa mentre si avvia verso il lettino. Lanalista
sar allora prester particolare attenzione ad una ad una delle
metafore del viaggio espresse nel linguaggio del suo paziente.
Nelle metafore infatti si trova sempre un potenziale o implicito filo narrativo, che poggia su modelli concettuali dellinfanzia. Lachmann e Lichtengerg (1992) riportano un tipico sogno di
viaggio presentato in unanalisi, relativo ai costrutti transferali di
una paziente.
Inizialmente ella aveva assegnato allanalista (come anche al
fidanzato della donna o ad altre persone importanti della sua
vita) la parte della madre vulnerabile di cui doveva prendersi
cura, e doveva fare tesoro delle poche ore preziose durante le
quali sarebbero stati ancora a sua disposizione.
In un momento successivo, la paziente inizi ad esperire lanalista come un adulto competente, in grado di alleviarla dal precoce fardello provato nellaccudire gli altri. Sei mesi dopo laffiorare
del transfert, si smosse ulteriormente la sua precaria natura della
dipendenza dagli altri raccontando questo sogno:
Cera questa piccola automobile. Un uomo, abito grigio, paffuto, basso, un tipo anonimo. La macchina era a due posti, cos
piccola che io viaggiavo sul lato esterno, seduta sul tetto, nella
parte posteriore, tenendomi aggrappata con le dita. Pensavo
davvero che mi avrebbe permesso di viaggiare nei sedili davanti,
ma ero confinata nel mio posto (ivi: 126, trad. nostra).
La paziente ha continuato poi a parlare della sua burrascosa
relazione con il fidanzato. Durante la seduta lumore stato amichevole, anzi ha condiviso risate con il terapeuta per la chiarezza
delle immagini e allusioni del sogno, in particolare del piccolo e
paffuto uomo anonimo.
Il transfert che emerse era centrato sulla sua ammirazione e idealizzazione dellanalista. Si sentiva indegna e infantile. In particolare era acutamente consapevole di temere che lanalista perdesse
interesse nei suoi confronti e lei doveva tenersi aggrappata.
Schafer (1983) pone laccento sul fatto che lanalista non si
aspetta di trovare ununica storia di viaggio, ma si imbatte in una
serie di storie di viaggi, raccontate o implicite. La competenza
dellanalista a lavorare su tutte queste narrative e nellelaborarle
un aspetto essenziale della sua competenza generale nellinterpretazione analitica (ivi: 250).
Ci significa che la competenza psicoanalitica con la pratica
pu essere raffinata per la comprensione e lutilizzo del sistema
metaforico umano.
Vediamo ora come la terapia-come-viaggio possa manifestarsi nelle associazioni di un paziente.
29
In questo modo non so dove vado a parare (ivi: 249). La paziente di Schafer che ha espresso questo dubbio stava riflettendo, perplessa, sulle sue associazioni. La storia implicita del viaggio emersa dallanalisi era che la donna associava agilmente solo
quando le era nota la destinazione. Nonostante limpressione di
libera associazione, in realt stava seguendo un piano di viaggio
prestabilito. Schafer riusc a scoprire la sua strategia: a livello preconscio lottava contro lidentificazione con una madre disgregata, mentre a quello inconscio agiva unidentificazione, che le
metteva orrore, nei confronti di un padre troppo controllato e a
sua volta controllante.
In un successivo resoconto del suo viaggio, legato a prototipi
sessuali, emerse che la paziente viveva una doppia trappola: la
paura di perdere controllo e, allo stesso tempo, la sensazione di
essere imprigionata in una situazione in cui sarebbe stata troppo
strettamente controllata.
Questa simultaneit permise lemergere di due lati di ununica
posizione conflittuale, perch il viaggio e la prigionia si erano fusi
in ununica metafora. In quella che si poteva considerare unaltra
versione delle sue storie di prigione e di viaggio, storie condensate e conflittuali, la donna si presentava come un cane addestrato
con severit obbediente, pulito, protettivo, leale, che si rannicchiava tutto quando riceveva una parola dura e scodinzolava a
una parola gentile; cos, per lei, sapere dove andava a parare con
le associazioni significava anche essere un buon cane (ivi: 249).
Come abbiamo discusso in precedenza le immagini utilizzate
nei sogni non sono arbitrarie: sono vincolate da metafore generali. Le metafore generali sono dei set di corrispondenze, ad un
livello sovraordinato, tra domini concettuali, di cui uno la fonte
e laltro il target.
Le immagini del sogno vengono scelte da livello base (e subordinato), ossia da casi speciali di categorie sovra ordinate presenti nelle metafore generali.
Si supponga per esempio che la metafora lamore un viaggio
venga utilizzata nel sogno. In questo caso le immagini del sogno saranno di un particolare tipo di viaggio, come un viaggio
in macchina o su uno scuolabus. Il sogno includer quindi una
macchina, strade, ponti, brutto tempo, incroci e cos via.
Il pensiero metaforico naturale, di conseguenza anche luso
di immagini nei pensiero onirico naturale.
Schafer (1983) propone di arrivare a interpretazioni praticabili attraverso lesame in seduta di domande/interventi analitici
sul tipo: Il viaggiatore da solo o con qualcun altro? Chi guida ?
questi un bravo guidatore o no? Il viaggio in aria, per mare,
sulla strada, dentro unabitazione o in un luogo profondo, scuro
o sporco? possibile collegare ad un problema attuale il sogno
odierno del paziente che stava facendo il percorso camminando
tra la porta e il lettino dello studio dello psicoanalista?
Oppure quando, allinizio della sua analisi, una donna sogn
di iniziare il viaggio su uno scuolabus, ci si chiedeva se avrebbe
potuto avere fiducia nellautista? Nello sfondo del sogno la donna ricord pi avanti un incidente dauto in cui sua sorella perse
la vita.
Pu essere considerato un sogno orientato da un piano (Weiss,
1993) nelle prime fasi di una seduta psicoanalitica: il paziente sta
costruendo lesperienza di iniziare unanalisi e si chiede se pu o
meno avere fiducia nell analista-autista, incorporando nel presente viaggio-analitico, per il tramite del transfert, quello traumatico di uno scuolabus dirottato da un folle armato vissuto
durante linfanzia.
Il piano del paziente quello di viaggiare (entrare in analisi),
superando i sentimenti di paura grazie ad un autista-analista che
sia davvero bravo.
Troviamo un esempio anche nel sogno di Freud cosiddetto
della preparazione anatomica(1899) in cui la strada si stringeva
dopo un po e si trasformava in una strada piena di sporcizia. La
strada diventava sempre pi stretta e il terreno accidentato e pericoloso. Il sognatore, esausto, raggiungeva una capanna in cima
dove gli era apparso un abisso. Sapeva che al posto delle assi due
bambini potevano aiutarlo per attraversare labisso (Freud, 1899).
Questo sogno stato considerato come lauto-rappresentazione del periodo della vita di Freud mentre scriveva Linterpretazione Dei Sogni (1899).
Alla luce della Teoria della Metafora Concettuale di Lakoff e
Johnson possibile rintracciare luso della metafora la vita un
viaggio, che consente di interpretare il sogno per il fatto che appartiene ad un sistema concettuale umano tipico e condiviso da
paziente ed analista.
Una metafora convenzionale che struttura questo tipo di sogno la Metafora della Struttura degli Eventi5 (Lakoff e Johnson,
1980) composta da un certo numero di parti:
gli stati sono luoghi;
le azioni sono movimenti autoprodotti;
i propositi sono destinazioni;
i significati sono sentieri;
le difficolt sono ostacoli al movimento.
Richiamando la metafora lamore un viaggio si pu vedere
come questa sia unestensione di una vita che persegue scopi un viaggio.
lamore un viaggio ha un doppio fondamento di cui uno una
vita che persegue scopi un viaggio, laltra di una vita che persegue scopi
un impresa.
Queste due metafore base si estendono sia a lamore un viaggio sia a lamore alleanza, ovvero unimpresa tra due persone. In
questo modo noi parliamo di amanti come partner. Sembra
quindi che ci sia un accordo implicito tra la coppia, o anche in
casi particolari un contratto di una sorta di amore perverso.
Si pu trovare unanalogia anche nella coppia analitica.
Le relazioni damore di lunga durata falliscono alle stesse condizioni di unimpresa che fallisce, quando quello che i partner disinvestono dalla relazione non importante quanto quello che
vi investono (esiti poveri di una terapia).
La linguistica cognitiva fornisce anche esempi sui sogni di
volo con metafore implicite come
le azioni sono movimenti autoprodotti;
la libert assenza di costrizione;
lazione intensa un movimento veloce.
Volare, in questultima metafora, una forma di movimento
senza costrizioni, ma con il sottinteso pericolo di cadere e crollare, con conseguente danno. Metaforicamente il volo unazione
intensa con un senso di libert in grado di esprimere immaginazione narcisistica grandiosa, cos come esplosioni maniacali.
7. Associazioni libere
Luso delle metafore per rappresentare lanalisi come un viaggio differente tra paziente e analista. Esiste anche un pericolo di collusione se si prende per garantito che lunico modo per
descrivere la situazione analitica la metafora del viaggio. Detta
visione unitaria esclude a priori luso di altre metafore che possono essere generate dal sistema concettuale umano. Se ci dovesse succedere, una proficua analisi del controtransfert (ovvero
che lanalista sia in grado di riconoscere consapevolmente le
metafore che egli stesso usa), dipenderebbe in parte dallabilit
dellanalista di rendersi conto quando rimane bloccato nelluso
della sola metafora la vita un viaggio. Se vi riuscisse potrebbe
cercare trame di storie e relative metafore che tendono a essere
nascoste nella narrativa del paziente.
Entro il contesto metaforico lo psicoanalista, comunque, potrebbe mettere in atto manovre per produrre validi interventi
nel corso della terapia. Detto altrimenti la metafora stabilisce un
contesto in cui diventa possibile introdurre differenti e peculiari
modi di pensare il viaggio-terapia. Lakoff e Johnson (1980) offrono degli esempi che possono essere estesi all ambito psicoanalitico:
Guardi fino a che punto siamo arrivati - un analista potrebbe dire al
paziente dopo cinque anni di terapia;
5. (cfr n. 3 e 4)
30
8. Conclusioni
Dopo aver letto questo articolo, qualcuno potrebbe tornare ai
primi paragrafi e chiedersi ancora una volta come una metafora
abbia qualcosa da dirci sul funzionamento del cervello. Dovrebbe anche meravigliarsi di come delle semplici metafore possano
essere rilevanti anche in una terapia psichiatrica a cui la psicoterapia dovrebbe dare i suoi contributi in questo senso.
Infine dovrebbe affermare, in base alla teoria retorica classica,
che le metafore sono solo parole. Direbbe forse che migliorano
la comunicazione, ma creano facili illusioni e non possono essere
vere nellaccezione scientifica del termine che la psichiatria biologica contemporanea impone.
Un tale lettore tradizionale potrebbe insistere e dire che le
metafore servono solo per abbellire le nostre storie o i nostri
discorsi. Cosa hanno a che fare quindi con un serio trattamento
psichiatrico o psicoterapeutico? E come, ancora pi cruciale, possono essere connesse le metafore allattivit cerebrale al posto di
essere dei meri epifenomeni?
In breve possiamo ricordare che il grande contributo della
scienza cognitiva allo studio delle metafore risale alla fine degli
anni settanta, quando si riconobbe che le metafore, invece di es-
31
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32
Dipartimento di Scienze Cognitive, della Formazione e degli Studi Culturali, Universit di Messina
Abstract
The aim of this article is to focus the use of computational models in the study of language acquisition. Specifically, we will refer to
a kind of model neural networks whose primary focus is to simulate the computations that occur in the brain. These models, moreover, assume the biological plausibility and the psychological plausibility as their hallmarks. After examining some central issues that
affect the process of language learning in the specific phase of the vocabulary spurt (the multimodality of human cognition and the
trajectory of cognitive and linguistic development), we will show, through the analysis of two computational approaches, how these
issues are computationally addressed.
Keywords
Neural networks, multimodality of cognition, naming explosion, shape of change, naming errors.
modelli
Lutilizzo dei modelli computazionali per lo studio di un fenomeno complesso quale lacquisizione del linguaggio implica
numerose riflessioni relative alla validit di tali modelli soprattutto in riferimento alla loro plausibilit biologica e psicologica.
In letteratura si possono distinguere due macro-classi di modelli computazionali. Allinterno della prima classe si possono
inserire tutti quei modelli basati sullintelligenza artificiale simbolica dei quali uno scopo primario di realizzazione lo studio
di determinati fenomeni cognitivi prescindendo dai processi cerebrali coinvolti.
Nella seconda classe, invece, si possono inserire tutti quei
modelli che assumono tra i loro fondamenti teorici la centralit
della simulazione delle computazioni che avvengono nel cervello. Un loro fine realizzativo primario generare comportamenti
simili a quelli osservati nella realt gettando luce, cos, su come il
cervello riesce ad implementare i vari compiti cognitivi.
Lo scopo di questo lavoro problematizzare lutilizzo delle
reti neurali, appartenenti, alla seconda tipologia di modelli sopra menzionata, nei termini di strumenti danalisi del fenomeno
dellapprendimento del linguaggio, in relazione a delle problematiche specifiche quali la traiettoria dello sviluppo cognitivolinguistico e la natura multimodale dellinput con cui il bambino
viene in contatto in determinate fasi del processo dontogenesi.
Come punto davvio si utilizzer la seguente definizione: un
modello la rappresentazione compatta di un fenomeno che pu
generare un comportamento paragonabile a quello sotto esame
nel sistema reale di riferimento. In pi un mezzo per rendere pi
evidenti le caratteristiche chiave di un oggetto danalisi (Nyamapfene, 2009: 36). Inoltre, un modello, incrementando la chiarezza
della teoria che affianca, offre la possibilit di formulare e verificare nuove ipotesi.
Generalmente lo si trova allinterno di una teoria, allinterno
cio di un modo ben preciso di guardare e concepire un determinato fenomeno. Lo si pu concepire, come detto, come ci che
articola con maggior precisione di dettaglio una teoria specifica, cosa che una descrizione semplicemente verbale potrebbe
non essere in grado di fare. Esso offre lopportunit di esplorare
aspetti di un fenomeno che pu non essere facilmente testato
nel mondo reale; lo si pu pensare come un vero e proprio generatore di ipotesi: suggerisce nuovi modi di comprendere un
fenomeno, anche se la validit di unipotesi dipender, in ultima
istanza, dai test empirici effettuati nel mondo reale.
Allo scopo di chiarire ulteriormente il ruolo giocato da tali di-
33
34
35
36
piena di difficolt. Pur essendo i modelli connessionisti, in definitiva, modelli dellapprendimento, bisogna considerare il fatto
che essi sono comunque delle semplificazioni relative a fenomeni molto complessi. Difatti, al di l della semplificazione offerta
da un modello, lo sviluppo cognitivo e linguistico di ogni bambino si presenta come un processo che si dispiega su diversi livelli
e a diversi gradi di complessit. A livello temporale, ad esempio,
esso sembra un processo di integrazione costante in cui ci sono
componenti che si dispiegano lungo scale temporali differenti.
Ci sono componenti che si dispiegano lungo lasse dellimmediatezza che orientano il processo nellimmediato e che possono
essere identificate con linput percettivo immediato loggetto e
le sue propriet sensibili tra le quali facciamo rientrare anche la
percezione del suo nome. Asse temporale immediato che si dispiega nel dominio della consuetudine, della reiterazione e della
sensibilit al contesto che di per s necessita e, nello stesso tempo, contribuisce a strutturare la storia a lungo termine di chi apprende facendo emergere regolarit di relazione tra le parole, le
propriet degli oggetti e le organizzazioni categoriali che sono
acquisite su una scala temporale molto meno frenetica. Spostandosi su un altro livello, invece, bisogna tenere in considerazione
anche il fatto che i bambini avendo pulsioni, desideri e attenzioni
nel processo di crescita recitano un ruolo di attori e non sono
mere entit passive che assorbono semplicemente stimoli esterni pi o meno complessi.
Bene, i modelli computazionali, quelli connessionisti in particolare, sapranno farsi carico di questi problemi?
Sapranno accettare queste sfide?
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37
Abstract
One of the fundamental premises of contemporary cognitive linguistics and psychology is that human perception and expression
are intimately coupled with human biology, to a much greater degree than linguists and psychologists had previously thought. In this
essay I provide an overview of contemporary literature from cognitive linguistics and psychology that posits language-thought independence. I also highlight the theoretical problems and the further empirical research specific to these issues which make this position
problematic. I then provide evidence for the counter-theory, that thinking in fact involves natural language and that language and
thought influence one another.
This position indexes the supposition that our minds are embodied in a phenomenological body built on our everyday experiences,
and daily external stimuli dynamically form our way of thinking. The mind is the product of the interaction of introspections and daily
interactions; it is influenced, and to a certain extent even conditioned, by language and how it is used. Understanding the dynamic
nature of language and thought will guide us in better understanding figurative language in general and metaphor in particular as well
as how they motivate our way of reasoning about our world.
Keywords
1. Introduzione1
Uno degli assunti fondamentali della linguistica e psicologia
cognitive che ogni percezione ed espressione connessa alla
nostra biologia. Dopo una panoramica della letteratura cognitivista orientata per lindipendenza tra linguaggio e pensiero, evidenzier punti problematici di questa posizione avvalendomi di
ricerche empiriche da un lato condotti in ambito neuro-cognitivista e dallaltro di tipo psicolinguistico. Proporr degli spunti a
favore della contro-tesi per cui il pensiero implica la lingua naturale: linguaggio e pensiero, cio, si influenzano lun laltro.
Questa posizione (Evola, 2010a; 2010b; 2008) implica che la
mente umana sia in corpore (embodied) in un corpo fenomenologico e strutturata dalle nostre esperienze, e gli stimoli esterni quotidiani offerti dallambiente in cui si situati (embedded)
formino dinamicamente il modo di pensare degli esseri umani.
La mente costrutto pi filosofico che scientifico il locus di
formazione di concetti quali il S e il Mondo, il Reale e il possibile;
il prodotto dellinterazione delle proprie introspezioni con le interazioni quotidiane; influenzata, e in una certa misura persino
condizionata, dalla lingua parlata e da come usata. Conoscere
la natura dinamica del rapporto tra linguaggio e pensiero permette una migliore comprensione della natura del linguaggio
e di come la lingua motivi il modo in cui si ragiona del proprio
mondo.
Il nesso tra linguaggio e pensiero ha tormentato filosofi, linguisti e psicologi nel corso della storia, non solo dellOccidente
(e.g. Boas, 1911; Whorf, 1956; Vygotsky; 1962; Chomsky, 1968 e
2000; vedi anche Katz, 1998; Lakoff & Johnson, 1999; Cacciari,
1991) ma anche dellOriente (si pensi, ad esempio, ai grammatici
indiani dellantichit, Bhartrhari e Pnini). Sebbene si asserisca
che il linguaggio ha una funzione socio-comunicativa, molti studiosi mostrano forti riserve nei confronti di affermazioni come
quelle in Jackendoff (1992: 7): Meaning, of course, is presumably
the reason for there being such a thing as language at all, since
the language faculty is at bottom a device for externalizing and
communicating meaning. Eppure, per dirla con Katz (1998: 5):
[this] seeming obvious relation [] has not proven so obvious
to others, and one can discern several relations in the literature.
. Questa ricerca stata in parte finanziata dalla Bonn-Aachen International Center for Information Technology e dalla Excellence Initiative
(DFG) dei governi federale e statali tedeschi. Un ringraziamento particolare va a Luisa Brucale, Marco Casonato, Mara Green e Gina Joue per i loro
commenti e preziosi consigli.
38
Nelle pagine seguenti si riassumer (e criticher) la letteratura cui Katz (1998) si riferisce, ricapitolando la sua revisione della
letteratura precedente e integrandola con altri casi studio (cfr.
infra) relativi alle due tendenze costituenti e opposte nelle scienze linguistiche (indipendenza versus dipendenza nel rapporto
linguaggio-pensiero) rifiutando le prove comunemente usate a
favore dellidea secondo cui il pensiero si produce indipendentemente dal linguaggio.
39
Controversa
pu essere considerata anche la descrizione della dissociazione tra linguaggio e pensiero nelle sindromi di Down
e di Williams, soprattutto perch tra le due la sindrome di Williams relativamente poco documentata. Maratsos e Matheny
(in Katz, 1998: 8) sottolineano alcuni dei problemi succitati legati
a questa tesi, citando luso difettoso di compiti piagetiani per
misurare le capacit cognitive, i cui risultati negativi potrebbero implicare la presenza di problemi legati allattenzione e alla
memoria e non essere necessariamente connessi con lincapacit
relativa ad alcuni compiti cognitivi. Inoltre, la presenza di competenze grammaticali, tra cui luso del passivo e del condizionale,
non considerata dirimente dal momento che tali competenze
si riscontrano anche in bambini neurologicamente tipici.
I soggetti affetti da afasia di Wernicke mostrano una minore asemanticit (Heeschen, 1985) ma manifestano problemi di
ordine sintattico pi radicati di quanto si ipotizzasse negli studi
precedenti (cfr. Kolk, Van Grunsven, & Geyser, 1985). Daltro canto, a proposito dellafasia di Broca, essa potrebbe essere meglio
caratterizzata come un disturbo dellesecuzione piuttosto che
della competenza linguistica (Linbarger, Schwartz, & Saffran,
1983). Inoltre, gli studi di Kimura (1993) indicano che pazienti
con lesioni allarea di Broca o a quella di Wernicke si comportano
in modo analogo nei compiti di produzione o di comprensione,
ma in modo nettamente divergente per quanto attiene ai movimenti orali o motori. Sembra che non basti una lesione allarea
di Broca per soffrire di afasia (Mohr, 1976) e, al contrario, sono
documentati dei casi di afasia di Broca senza il coinvolgimento
dellarea di Broca (Dronkers et al., 1992). Discrepanze simili esistono anche per gli afasici di Wernicke (Dronkers, Redfern, &
Ludy, 1995). Verosimilmente i processi linguistici sono prodotti
da reti di zone individuali che danno un contributo specifico e
interattivo; tali reti sono diverse per uomini e donne, per monolingui e bilingui, per mancini e destrimani (Dronkers et al., 1992).
La teoria della modularit stata modificata negli ultimi anni
da scoperte rese possibili da nuove tecniche non-invasive e da
metodi di indagine elaborati negli studi psico- e neuro-linguistici
(ad esempio, eye-tracking, modellazione computazionale, fMRI,
MEG, TMS, gli ERP, etc.). Tali studi tendono a spostare lattenzione su alcune zone di convergenza connesse con lattivazione
di funzioni caratterizzanti, ma nelle quali tali funzioni non sono
propriamente eseguite (Casonato, 2003: 7; si veda in particolare
Damasio, 1994). Lipotesi di una doppia dissociazione, cio di una
visione funzionalmente indipendente del linguaggio e del pensiero, ha bisogno di ulteriori prove prima di potere essere accettata; al contrario, lipotesi secondo cui il pensiero sia dipendente
dal linguaggio appare pi convincente.
40
5. Relativit Linguistica
Una versione pi moderata dellipotesi whorfiana come la
relativit linguistica pi convincente e ha pi prove empiriche a supporto. Questa versione pi debole (conosciuta come
Neowhorfianismo) ritiene che il linguaggio non determini il
pensiero, ma possa facilitarlo o inibirlo. Il genere grammaticale, il
lessico, e altri elementi linguistici hanno la capacit di alterare il
modo in cui si pensa.
5.1. Spazio
La propria lingua impone dei frame che condizionano in un
modo o in un altro il proprio modo di pensare (Evola, 2010a), ad
esempio, a proposito dello spazio. In alcune lingue come litaliano
o linglese, ma non in altre come il coreano, esiste una distinzione
codificata tra contenimento e supporto, cio tra ci che posto
dentro un contenitore (la mela nella ciotola, la lettera nella busta) e ci che posto sopra una superficie (la mela sul tavolo,
il quadro sul muro). In coreano invece esiste una distinzione linguistica relativa al grado di contatto/adesione pi o meno stretti
tra due oggetti. In coreano, dunque, come termine di rapporto
per esprimere che una mela dentro una ciotola si usa nehta,
ma volendo parlare di una lettera dentro una busta dovremo usare kitta in quanto questultima espressione veicola un rapporto
di contatto pi stretto. Lo stesso kitta verrebbe usato anche per
dire che il quadro sul muro perch c lo stesso rapporto di contenimento/adesione. McDonough et al. (2000; si veda Boroditsky,
2001) hanno studiato come questi due modi per rappresentare
i rapporti spaziali si manifestino anche nel modo di pensare di
parlanti nativi coreani o inglesi a cui sia stato assegnato il compito di identificare scene di contenimento o di supporto. I parlanti
coreani hanno mostrato tempi di reazione pi rapidi rispetto a
quelli degli inglesi quando veniva loro chiesto di scegliere limmagine che rispetto alle altre fosse dissimile relativamente al
parametro di contatto/adesione (ad esempio limmagine di un
oggetto con un alto livello di inclusione/adesione collocato tra
vari oggetti con un livello pi basso rispetto allo stesso parametro ). Ancora pi rimarchevole sono i risultati degli esperimenti
condotti su bambini in et prelinguistica provenienti da famiglie
di parlanti coreani e inglesi, i quali, in test di preferential looking
(fissazione preferenziale), erano ugualmente capaci di distinguere oggetti delluno e dellaltro tipo. I bambini in et prelinguistica
sembrano, quindi, non avere costrizioni per quanto riguarda le
rappresentazioni spaziali, pertanto possibile concludere sostenendo che le distinzioni spaziali si apprendono con la lingua e
sono rafforzate da essa (Choi & Bowerman, 1991; Choi & Gopnik,
1995; Boroditsky, 2001).
Prove di restrizioni sulla rappresentazione spaziale sono presenti anche nelle ricerche di Stephen Levinson (1996) che ha
studiato il sistema di riferimento assoluto in tzeltal, una lingua
parlata nella regione messicana del Chiapas da un popolo autoctono discendente dai Maya. A differenza dellitaliano e dellinglese, lingue in cui la posizione di un oggetto pu essere codificata
4. Per un resoconto su come alcuni individui religiosi descrivono le loro
esperienze mistiche e su come questi fenomeni si manifestino linguisticamente, si veda Evola (2010b).
come a destra di o davanti a unaltra cosa, in tzeltal questi concetti non sono lessicalizzati e si usano invece termini propri di
un sistema di referenza assoluta (analogo al sistema di direzioni
cardinali nord/sud). Un parlante tzeltal direbbe che qualcosa si
trova in salita o in discesa rispetto a unaltra cosa, ponendo la
collina della comunit come punto di riferimento assoluto. Ci
vale per qualsiasi tipo di oggetto, anche piccolo, e anche in una
stanza chiusa o su un terreno piano. Secondo Levinson, i parlanti tzeltal sono fortemente influenzati dalla loro lingua anche in
compiti non prettamente linguistici come la creazione di mappe
mentali (si veda anche Levinson, 2003).
5.4. Attributi
5.2.Oggetti
John Lucy, antropologo dellUniversit di Chicago, ha notato
invece che i Maya dello Yucatec tendono a parlare delle cose nei
termini della materia di cui sono costituite, quindi una candela
cera lunga e sottile. In uno studio (Lucy & Gaskins, 2001) veniva chiesto a parlanti Yucatec-Maya di associare oggetti ritenuti
simili; quando veniva mostrato loro, ad esempio, un pettine di
plastica con il manico, veniva facilmente associato ad esso un
pettine di plastica senza manico, mentre i parlanti inglesi preferivano fare unassociazione per forma, abbinando un pettine
di legno con il manico. Per i Maya dello Yucatec, la somiglianza
si trova nella materia e non nella forma, proprio perch, come
lesperimento vuole suggerire, nella loro lingua, diversamente da
quanto accada in italiano o in inglese, predomina un sistema di
categorizzazione per materia e non per forma.
5.3. Tempo
Le ricerche di Lera Boroditsky al MIT hanno fornito prove
delle costrizioni che il linguaggio impone al pensiero. Concetti
astratti come quello di tempo sono fortemente influenzati dalla
rappresentazione dello spazio per mezzo di metafore (cfr. Lakoff,
1993; Haspelmath, 1997; Casonato, 2004; Evola, 2008; inter alia).
In uno studio (Boroditsky & Ramscar, 2002) si chiede ai soggetti
dellesperimento di immaginare una situazione in cui un incontro previsto per un giorno preciso della settimana, il mercoled,
sia stato spostato in avanti di due giorni. Viene poi chiesto ai soggetti di rispondere ad una domanda: Che giorno lincontro, ora
che stato riprogrammato? I soggetti, reclutati ad una stazione
dei treni, sono stati divisi in due categorie: chi viaggiava come
passeggero e chi aspettava un passeggero. I risultati hanno mostrato che coloro che hanno concepito il tempo come in movimento verso di loro (cio, chi aspettava) hanno percepito che in
avanti fosse pi vicino, rispondendo quindi al quesito con luned. Invece coloro che hanno percepito il proprio muoversi nel
tempo (i viaggiatori) tendevano a sentire in avanti5 pi lontano,
rispondendo quindi venerd. Questa unulteriore indicazione
di quanto contesto, linguaggio e cognizione siano intimamente
interconnessi. Il contesto dei parlanti o meglio, la loro interazione fenomenologica con il loro mondo condiziona il loro modo
di incarnare (embody) i loro percetti (in questo caso il Tempo percepito nei termini dello Spazio), e quindi la percezione della loro
stessa realt.
In un altro studio Boroditsky (2001) analizza la categoria del
tempo in inglese e in mandarino. Litaliano esibisce un comportamento analogo a quello inglese in quanto il tempo considerato
come qualcosa di lineare nello spazio, quindi il futuro davanti e
il passato dietro di noi.6 In mandarino, vengono usati sistema5. Next Wednesdays meeting has been moved forward 2 days. What day
is the meeting, now that it has been rescheduled? In inglese, move forward ambiguo, lecitando delle risposte in inglese forse improponibili
in italiano.
. Fino a poco tempo fa, si riteneva che in tutte le culture esistesse solamente un modello del Tempo, in cui il passato era concettualizzato come
dietro al concettualizzatore e il futuro davanti a lui. Ricerche sul campo
recenti sugli Aymara, un popolo indigeno delle Ande, condotti da Rafael
Nez (Nez & Sweetser, 2006) hanno mostrato che per i parlanti ay-
41
42
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43
Dipartimento di Scienze Cognitive, della Formazione e degli Studi Culturali, Universit di Messina
Abstract
The term species-specificity has been often used to define what elements underlie human nature. It has had various meanings,
most of which can be interpreted as special, unique. A due definition of this term is not only necessary to move out linguistic misinterpretation from our research field, but it is also useful to investigate, in a non anthropocentric way, such anatomical and functional traits
that have been considered uniquely human since Aristotelian works. In the present paper a technical definition of species-specificity is
offered as a constraining capability: an auditory-vocal technology which influences the sapiens specific way to build representations
of reality. This is possible thanks to biological structure which have been selected during human evolution (including the loss of some
morphological aspects, i.e. gracilization, a process named handicap selection).
Keywords
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45
46
47
Dipartimento di Scienze Cognitive, della Formazione e degli Studi Culturali, Universit di Messina
Abstract
Consciousness and self-consciousness are not emanations of a disembodied mind, but presuppose the dimension of living body,
since it exhibits like our conscious experiences the property of self-reference. As the only substantial bearer of every mental state and
constitutive basis of personal subject, the living body is an ontologically genuine and epistemologically autonomous experiential layer
which can be reduced neither to the sole mental dimension nor to the component of objective body, although the latter is inextricably
bound with it. The objective body becomes the only subject of scientific explanation once the naturalistic attitude of cognitive science
has been adopted. With this article I will contribute to the attempt to give rise to an integrated approach which takes into account
both the phenomenological analyses about the living body and the experimental evidences relative to the cognitive mechanisms that
realize the sense of bodily self.
Keywords
Bodily self-awareness, body schema, body image, sense of ownership, sense of agency, living body.
48
1.1. Alle radici della coscienza del S: schema corporeo e immagine corporea
Analizziamo partitamente entrambi questi punti, cercando
in primo luogo di individuare i contrassegni salienti della nostra certezza corporea, impresa questa che non si preannuncia
affatto facile, dati i molteplici modi grazie ai quali facciamo esperienza del nostro corpo e alla disparit di opinioni che regna nel
dibattito filosofico riguardo a quali siano tra questi quelli privilegiati. Si impone anzitutto a tal proposito una prima distinzione
tra il modo in cui percepiamo come dallinterno il corpo che noi
stessi siamo e con il quale intratteniamo una relazione talmente
intima da indurci allidea di coincidere in tutto e per tutto con
esso, e il modo in cui percepiamo il corpo che ci capita di essere
le nostre sembianze riflesse allo specchio e esibite allo sguardo
altrui e che spesso non manca di sorprenderci, magari ingenerando singolari effetti di estraniazione. Istruttiva a tal proposito
49
al mantenimento della postura e deputati al controllo dellazione. Questo non vuol dire per che qui ci troviamo di fronte
a un insieme pi o meno instabile di meri riflessi meccanici o di
rappresentazioni neuronali; vero invece che lo schema corporeo si configura grazie allapporto congiunto dei processi che lo
costituiscono come una struttura integrata e olistica che informa
di s azioni consapevoli e orientate a uno scopo e che quindi
coestensiva al corpo vissuto soggettivo cos come si offre sul piano dellesperienza preriflessiva e prenoetica. In quanto componente materiale dellazione e dellintenzione consapevole esso
partecipa dellintenzionalit ad esse sottese, pur senza rivestire
direttamente questa caratteristica. De Vignemont (2011a: 87) individua proprio nel fatto di essere impiegato per il compimento
dellazione il criterio funzionale che identifica lo schema corporeo e lo contraddistingue rispetto a ogni altra rappresentazione
del corpo. In modo pi radicale, Gallese e Sinigaglia (2010: 747748) attribuiscono direttamente allo schema corporeo una genuina intenzionalit di carattere motorio che guida e permea di
s lazione, senza limitarsi al monitoraggio e alla calibrazione dei
processi sensori-motori preposti allesecuzione dei movimenti.
Tra le informazioni processate al livello dello schema corporeo, corrispondenti in sostanza a quelle elencate sotto il primo
punto della tassonomia proposta da Bermdez, rientrano le sensazioni tattili e propriocettive, e in generale i contenuti spaziali di
tutte le sensazioni corporee, il che mostra come la localizzazione
degli stimoli costituisca una delle sue caratteristiche funzionali
principali (Longo et al., 2009: 167). Sotto questo profilo, lo schema corporeo si configura come un modello dinamico basato su
meccanismi bayesiani di integrazione multimodale, relativi cio
a inferenze probabilistiche soggettive operate dallagente sulle
informazioni sensoriali in entrata e gli output motori, dati determinati vincoli biologici e ambientali (de Vignemont, 2010:
669 e 678-679). Lo schema corporeo consta di due componenti, ossia un dispositivo di monitoraggio in tempo reale e
a breve termine delle informazioni relative alla postura corporea (Tsakiris, 2010: 707) e una struttura stabile a lungo termine, peraltro passibile di modificazioni anche significative nel
corso del tempo (Graziano & Botvinick, 2002: 151-152), anche
se nella sua costituzione entrano in gioco delle componenti
innate. A supporto dellipotesi dellinnatezza dello schema
corporeo, Gallagher (2005: 70 ss.) riporta gli studi di Meltzoff
e Moore sullimitazione neonatale (Meltzoff & Moore, 1977 e
1983) e il fenomeno degli arti fantasma aplasici (Weinstein &
Sersen, 1961) che, per quanto abbiano a stretto rigor di termini lo statuto di immagini corporee, si fondano sugli stessi
circuiti neurali preposti allo schema motorio di coordinazione
tra la bocca e la mano. Pienamente integrato con lambiente
circostante, lo schema corporeo abbastanza plastico perch
possa espandersi fino a incorporare al suo interno strumenti,
dispositivi prostetici e perfino avatar virtuali (Gallagher, 2005:
37; de Vignemont, 2011a: 84).
Limmagine corporea, che comprende tutte le rappresentazioni personali, intenzionali e consapevoli del proprio corpo
non finalizzate al compimento dellazione, si genera a livello riflessivo grazie allapporto congiunto di tutti i canali sensoriali,
sebbene a svolgere un ruolo preponderante sia la modalit visuale. A costituire limmagine corporea concorrono dunque tutte le rappresentazioni consce raggruppate nella tassonomia di
Bermdez sotto il secondo e terzo punto, ossia rappresentazioni
percettive, rappresentazioni concettuali (conoscenze semantiche, attitudini e credenze), affetti e valutazioni emotive, che nel
loro insieme hanno quale contenuto intenzionale il corpo come
oggetto compiutamente individuato e ben distinto dagli altri
oggetti dellambiente circostante. Sotto questo riguardo, il corpo viene appreso come qualunque altro oggetto materiale nel
corso di una successione di aspetti parziali e quindi in modo non
olistico, a differenza di quanto avviene nello schema corporeo.
Anche al livello dellimmagine corporea occorre distinguere tra
rappresentazioni a breve termine, ossia i percetti corporei, che
sono sempre consci, e rappresentazioni a lungo termine (atti-
50
tripartita che distingue tra: a) lo schema corporeo nel senso precedentemente precisato (fatte salve le riserve sulla sua natura inconscia), b) una descrizione strutturale del corpo che trae le sue
risorse dalla percezione e dalla propriocezione per dare forma a
una mappa corporea di natura visuospaziale, e c) una semantica corporea che presuppone lutilizzo di capacit concettuali e
linguistiche. Una classificazione analoga per molti versi a questa
stata proposta da Bermdez (2005: 303-308) e da Longo et al.
(2010: 655 ss.). Le rappresentazioni corporee si suddividono anzitutto in rappresentazioni di ordine inferiore e rappresentazioni di
ordine superiore (Bermdez tiene da parte sua a precisare come
tale distinzione non coincida con quella tra conscio e inconscio o
personale e sub-personale):
1. al livello base si collocano le sensazioni somatiche che
comprendono rappresentazioni somatosensorie della
superficie cutanea (Medina & Coslett, 2010: 645), informazioni sulla struttura e sui limiti del corpo, rappresentazioni in tempo reale delle parti corporee; queste rappresentazioni espletano la duplice funzione di localizzare
le sensazioni nello spazio intracorporeo e di specificare
le parti del corpo disponibili per lazione. Questo livello
preriflessivo, che coincide sostanzialmente con lo schema corporeo, si caratterizza per il suo legame diretto e
immediato con lazione.
2. al livello propriamente cognitivo sono situate le rappresentazioni di ordine superiore, che comprendono:
percezioni di alto livello del corpo e degli oggetti
che con esso vengono in contatto (somatopercezione):
conoscenze astratte, credenze e attitudini sul
proprio corpo e sui corpi in generale (somatorappresentazione), tra cui rientrano rappresentazioni concettuali e semantiche, rappresentazioni
affettive e rappresentazioni omeostatiche.
Vediamo di ricapitolare le considerazioni sinora svolte. La variet dei modi e delle prospettive secondo cui possiamo riferirci
al nostro corpo d luogo a una proliferazione di rappresentazioni e di esperienze refrattarie a lasciarsi classificare sulla base
di criteri univoci che consentano di tracciare una netta linea di
discrimine tra una categoria e laltra, tanto pi che sul piano
dellesperienza pratica e in assenza di dissociazioni patologiche
i differenti tipi di rappresentazione corporea sono inestricabilmente intrecciati tra loro. Tra i criteri passati in rassegna senza
dubbio quello basato sullorigine o sul tipo delle informazioni
processate a mostrarsi meno adeguato, mentre maggiormente
produttivi sembrano invece il criterio funzionale e quello offerto
dalla direzione del riferimento intenzionale. Quanto al primo, ho
gi avuto modo di rilevare come la possibilit di individuare il
concetto di schema corporeo e di distinguerlo da quello di immagine corporea (o per meglio dire da tutti i molteplici generi
di rappresentazione che a vario titolo rientrano sotto questetichetta) risieda nel suo essere finalizzato allesecuzione dellazione. In particolare, mentre lo schema corporeo preposto allazione e alla localizzazione degli stimoli corporei, rispondendo
alle domande relative al come e al dove, le rappresentazioni
dellimmagine corporea rispondono alla domanda relativa al
cosa e sono funzionali primariamente allesigenza di categorizzare le parti corporee, le sensazioni, gli affetti e in generale
tutte le attribuzioni di senso e di valore relative al corpo (de Vignemont, 2007: 439).
Riguardo al criterio della direzione del riferimento intenzionale, occorre in via preliminare sgombrare il campo da un equivoco
esiziale. Possiamo legittimamente attribuire allo schema corporeo il rango di una rappresentazione che in quanto tale definita
per il suo dirigersi verso un contenuto intenzionale oggettuale?
Gallagher (1986: 149; 1995: 239) e Legrand (2006: 97) assumono
al riguardo una posizione piuttosto netta: lo schema corporeo
rende s possibile e vincola al tempo stesso la coscienza intenzionale sottesa alla percezione e allazione; tuttavia, di per
se stesso considerato, non coincide n con una percezione, con
unimmagine o anche solo con una forma marginale di consapevolezza, ma esprime piuttosto lassetto strutturale del corpo nel
compimento dellazione in ottemperanza a interessi di ordine
pragmatico. Se lo schema corporeo costituisce un sub-componente fondamentale per la genesi del senso di certezza corporeo, di certo non corrisponde allo strato del corpo vissuto come
proprio che qualifica in modo eminente questo tipo di consapevolezza. Quanto alle rappresentazioni che ricadono sotto il titolo
dellimmagine corporea, abbiamo rilevato a pi riprese come il
loro carattere oggettuale non le renda idonee a catturare nella
sua effettiva fisionomia qualitativa e nel suo modo soggettivo
di manifestazione la consapevolezza corporea. Occorrer allora
muovere un passo innanzi verso lesperienza della corporeit
cos come la viviamo ordinariamente e prendere in considerazione unulteriore coppia concettuale, che vede strettamente
congiunti e integrati i due poli del senso di propriet e di agentivit.
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Zahavi, D. (2002). First-Person Thoughts and Embodied SelfAwareness: Some Reflections on the Relation between Recent Analytical Philosophy and Phenomenology. Phenomenology and the Cognitive Sciences, 1, 1, 7-26.
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Abstract
Primates and human beings are social animals whose cognitive development capitalizes upon the interaction with other conspecifics. Fundamental among social abilities is the capacity to accurately detect and understand the intentional conduct of others, to
anticipate their upcoming actions, and to appropriately adjust ones own behavior. From an evolutionary perspective, the traditional
view claims the existence of a sharp cognitive discontinuity between humans and nonhuman primates. However, recent findings in
cognitive neuroscience shed light on the existence of a common neural mechanism that could account for action and intention understanding abilities both in humans and nonhuman primates. The discovery of mirror neurons and of other mirroring mechanisms in the
human brain shows that the very same neural substrates are activated when these expressive acts are both executed and perceived.
I summarize here recent neuroscientific evidence shedding light on the neural mechanisms likely underpinning important aspects of
intersubjectivity and social cognition. I discuss this evidence in relation to empathy and introduce my theory of embodied simulation, a
crucial functional mechanism of intersubjectivity by means of which the actions, emotions, and sensations of others are mapped by the
same neural mechanisms that are normally activated when we act or experience similar emotions and sensations.
Keywords
Introduction
Primates, and particularly human beings, are social animals
whose cognitive development capitalizes upon the interaction
with other conspecifics (adults, siblings, etc.). During social interactions we manifest our inner intentions, dispositions and
thoughts by means of overt behavior. Similarly, we try to figure
out what are the intentions, dispositions and thoughts of others,
when witnessing their behavior. Detecting another agents intentions, or other inner states, helps anticipating this agents
future actions, which may be cooperative, non-cooperative, or
even threatening. Accurate understanding and anticipation
enable the observer to adjust her/his responses appropriately.
Fundamental among social abilities is the capacity to accurately
detect and understand the intentional conduct of others, to anticipate their upcoming actions, and to appropriately adjust ones
own behavior.
The phylogenetic origins of this capacity and its development
in ontogenesis are matters of debate in both comparative and
developmental psychology.
From an evolutionary perspective, the traditional view claims
the existence of a sharp cognitive discontinuity between humans and nonhuman primates. Humans supposedly understand
others by means of their capacity to mind read, that is, to attribute a causal role to internal mental states. All other animal species
would be confined to the observable causal aspects of reality,
that is, would be basically just behavior readers. From an ontogenetic perspective, theories differ about how and when the
supposed mind reading ability emerges during infant cognitive
development.
Recent findings in cognitive neuroscience shed light on the
existence of a common neural mechanism that could account for
action and intention understanding abilities both in humans and
nonhuman primates. These findings revealed that the motor cortex, long confined to the mere role of action programming and
execution, in fact plays a crucial role in complex cognitive abilities such as the understanding of the intentions and goals of actions. When observing other acting individuals, and facing their
full range of expressive power (the way they act, the emotions
and feelings they display), a meaningful embodied interpersonal
link is automatically established.
The discovery of mirror neurons and of other mirroring mechanisms in the human brain shows that the very same neural
substrates are activated when these expressive acts are both
executed and perceived. Thus, we have a neurally instantiated
we-centric space. I posit that a common underlying functional
mechanism embodied simulation mediates our capacity to
share the meaning of actions, intentions, feelings, and emotions
with others, thus grounding our identification with and connectedness to others.
The article is structured as follows. I summarize recent neuroscientific evidence shedding light on the neural mechanisms
likely underpinning important aspects of intersubjectivity and
social cognition. This evidence has accumulated since our discovery in the macaque monkey premotor cortex of a particular
class of neurons known as mirror neurons. I discuss this evidence in relation to empathy and introduce my theory of embodied
simulation, a crucial functional mechanism of intersubjectivity by
means of which the actions, emotions, and sensations of others
are mapped by the same neural mechanisms that are normally
activated when we act or experience similar emotions and sensations. Embodied simulation theory provides a model of potential interest not only for our understanding of how interpersonal
relations work but also for our understanding of important psychopathological aspects of intersubjectivity.
1. Mirror neurons
Mirror neurons are premotor neurons that fire both when an
action is executed and when it is observed being performed by
someone else. (Gallese et al., 1996; Rizzolatti, et al. 1996). Neurons with similar properties were also discovered in a sector of
the posterior parietal cortex (Gallese et al., 2002; Fogassi et al.,
2005). The same motor neuron that fires when the monkey grasps a peanut is also activated when the monkey observes another individual performing the same action.
Action observation causes in the observer the automatic activation of the same neural mechanism triggered by action execution. The novelty of these findings is the fact that, for the first
time, a neural mechanism allowing a direct mapping between
the visual description of a motor act and its execution has been
identified. This mapping system provides a parsimonious solu-
1.Versione modificata da: Gallese, V. (2010). Embodied Simulation and its Role in Intersubjectivity. In T. Fuchs, H.C. Sattel, P. Henningsen (eds.). (2010), The
Embodied Self. Dimensions, Coherence and Disorders. Stuttgart: Schattauer, pp. 78-92.
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60
basic connotation of empathy: the other is experienced as another being as oneself through an appreciation of similarity. An
important component of this similarity resides in the common
experience of action. As Edith Stein points out, if the size of my
hand were given at a fixed scale, as something predetermined, it
would become very hard to empathize with any other types of
hand not matching these predetermined physical specifications.
However, we can perfectly recognize childrens hands and
monkeys hands as such despite their different visual size and
texture. Furthermore, we can recognize hands as such even
when all the visual details are not available, even despite shifts
of our point of view, and when no visual shape specifications is
provided. Even if all we can see are just moving light-dot displays
of peoples behavior, we are not only able to recognize a walking
person, but also to discriminate whether it is ourselves or someone else we are watching (see Cutting and Kozlowski, 1977). Since
in normal conditions we never look at ourselves when walking,
this recognition process can be much better accounted for by a
mechanism in which the observed moving stimuli activate the
observers motor schema for walking, than solely by means of
a purely visual process. Again we see how our understanding of
others cannot be reduced to a purely vision-driven enterprise.
This seems to suggest that our grasping of the meaning of
the world doesnt exclusively rely on the cognitive hermeneutic
of its visual representation, but is strongly influenced by actionrelated sensory-motor processes, that is, we rely on our own embodied personal knowledge. The monolithic character of perception must be refuted. There are different ways of perceiving
others, only some of which enable the sense of connectedness
that I define intentional attunement.
Merleau-Ponty in the Phenomenology of Perception (1945; English transl. 1962: 185) writes:
The sense of the gestures is not given, but understood, that
is, recaptured by an act on the spectators part. The whole difficulty is to conceive this act clearly, without confusing it with a cognitive operation2. The communication or comprehension of gestures come about through the reciprocity of my intentions and
the gestures of others, of my gestures and intentions discernible
in the conduct of other people. It is as if the other persons intention inhabited my body and mine his. These words fully maintain
their illuminating power in the present century, even more so as
they can now be grounded on solid empirical evidence.
By means of Einfhlung we come to know about the presence
of others and of the specific nature of their experiences directly,
rather than through a cognitive operation. This way of entering
intersubjectivity is the most basic; it includes the domain of action, and spans and integrates the various modalities for sensing
and communicating with others. It is at the core of our experience of self and other, the root of intersubjectivity.
It must be added, though, that while it is certainly true that
mirror neurons fire no matter whether the action is executed or
perceived, it is also true that the intensity of their response is not
the same in these two different situations. On average the motor discharge exhibited by mirror neurons in macaque monkeys
during action execution is significantly higher than that evoked
by the observation of a similar action performed by others. More
generally, it must be stressed that embodied simulation doesnt
imply that we experience others the way we experience ourselves. The I-Thou identity relation constitutes only one side of the
intersubjectivity coin. As posited by Edmund Husserl (1969;
1989), and recently re-emphasized by Dan Zahavi (2001), it is the
alterity of the other to guarantee the objectivity we normally attribute to reality.
The alterity character of others as we experience them also
maps at the sub-personal neural level, because the cortical circuits at work when we act neither completely overlap, nor show the
same activation intensity as when others are the agents and we
are the witnesses of their actions. The same logic also applies to
sensations (see Blakemore et al., 2005) and emotions (see Jabbi
2. My emphasis.
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Dipartimento di Scienze Cognitive, della Formazione e degli Studi Culturali, Universit di Messina
Abstract
The experimental investigations on the so called Mirror Neurons (MNs) have promoted an ample debate on the genesis and the
biological found of the imitation and, more generally, of the social cognition. Such debate is gradually strengthened on the wake of
numerous experimental confirmations of the presence of MNs even in the human brain. The presentation of the results of this investigations introduce, however, such logical-conceptual hybridizations to produce some ambiguities in the interdisciplinary discussion.
This paper proposes a brief recognition on some conceptual problems and their epistemological roots, that may interfere on a new
promising phase of research.
Keywords
Introduzione
Titoli di opere di sintesi di successo internazionale come So
quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio (Sinigaglia
& Rizzolatti, 2006 e 2008), o Mirroring people. The New Science of
how we connect with Others (Iacoboni, 2008), e ancora articoli
come The Roots of Empathy e Le basi neurofisiologiche dellintersoggettivit (Gallese, 2003 e 2010) sono alcuni dei contributi di
una massiccia promozione in corso dellipotesi di un Mirror Neurons System (MNS). Secondo i suoi principali sostenitori, un vero
e proprio sistema di attivazione neuronale nel nostro cervello
fungerebbe da strumento di traduzione istantanea e diretta di
specifici atti motori compiuti da altri nel linguaggio del proprio
vissuto personale. Questo strumento di traduzione permetterebbe di evitare la mediazione degli strumenti rappresentazionali
e linguistici di interpretazione del comportamento degli altri,
generando una modalit immediata di condivisione dellesperienza. Un tale strumento di traduzione risulterebbe oltretutto
universale, in quanto radicato nel comune sostrato biologico.
Secondo questo orientamento interpretativo, tale sistema di
rispecchiamento andrebbe considerato, dunque, come il sostrato o la base neuronale per il riconoscimento della azioni entro
sistemi gestuali di comunicazione interpersonale, costituendo
un ponte necessario tra il fare e il comunicare (Rizzolatti &
Arbib, 1998); com stato suggerito, esso non solo pu rappresentare un sostrato neuronale per la comprensione di quello che
gli altri stanno facendo, ma pu contribuire alla scelta del modo
in cui io potrei interagire con loro (Caggiano et al., 2009: 406).
Lesame dei meccanismi di risonanza neurale verrebbe inoltre
ad avere un ruolo centrale nellilluminare la funzione del sistema
motorio nella genesi del senso del s, nel quadro di una indagine sulle radici mirror della distinzione tra s e laltro (Sinigaglia &
Rizzolatti, 2011). Per di pi, il loro studio permetterebbe di offrire
conoscenze necessarie per chiarire il sostrato neuronale del pensiero concettuale, al punto da consentire una nuova formulazione di quelli che sono stati denominati brains concepts (Gallese &
Lakoff, 2005) e risolvere problemi plurimillenari legati alla genesi
del pensiero, costruendo i ponti dal vedere al comprendere
(Keyers, 2006). In un senso pi ampio, si dovrebbe chiarire come
il sistema mirror svolga una funzione basilare di supporto allevoluzione culturale dei linguaggi umani in tutta la loro ricchezza (Rizzolatti & Arbib, 1998: 193).
Come si pu evincere da questa breve rassegna, la diffusa tendenza volta a interpretare i cosiddetti MNs come il sostrato o la
base neuronale dellempatia, del riconoscimento degli altri e dei
processi fondamentali della comunicazione, acuisce lesigenza di
unattenta valutazione di tali proposte interpretative. Nel presente saggio si propone una breve ricognizione su alcuni problemi
di carattere concettuale, e sulle loro radici metodologiche ed epi-
65
1.
Per chi abituato a considerare le funzioni cognitive fondamentali e il comportamento umano da una prospettiva topdown, come accade per lo pi nella riflessione filosofica, il campo
delle indagini interdisciplinari sui MNs presenta un aspetto disorientante: la diffusa contaminazione di usi concettuali e prospettive di osservazione diversi, dal livello di analisi elettrochimica
fino a quello proprio dellattivit mentale autocosciente. Tale
contaminazione pu apparire come un prezzo da pagare per
lapertura di un promettente nuovo campo interdisciplinare di ricerca. Dopotutto questa non una novit: spesso proprio da una
simile atmosfera culturale, caratterizzata da una febbrile attivit
per la definizione di nuove rappresentazioni della vita umana, oltre che da un notevole livello di competizione per attrarre risorse
per il potenziamento di alcuni promettenti settori di ricerca, si
approdati a delle straordinarie stagioni per linnovazione scientifica e culturale. In tali momenti di svolta, lo stato generale iniziale
di diffusa e confusa contaminazione s spesso evoluto verso una
pi chiara consapevolezza non solo della direzione di sviluppo,
ma anche dei modelli di ricerca scientifica, delle metodologie,
dei linguaggi e degli strumenti concettuali utilizzati.
Una tale consapevolezza maturata attraverso un faticoso lavoro di riflessione critica sui modelli e sui linguaggi dominanti in
un determinato mondo culturale. E le motivazioni fondamentali
di tale lavoro sono emerse in genere dalla percezione di un vuoto, o meglio, da un senso di vertiginoso disorientamento, contrastante con la pomposa ostentazione di innumerevoli prodotti di
ricerca, spesso accomunati dai medesimi presupposti, linguaggi,
procedure, prospettive di indagine.
Oggi questa vertigine si avverte intensamente. Pi precisamente, ci che si avverte uno scarto: quello tra la precisione con
cui, da un lato, si effettuano pregevoli microanalisi dellattivit
neuronale e i modi approssimativi con cui, dallaltro, si pretende
di lavorare a teorie generali unificate, che dovrebbero condurre in breve tempo a spiegare esaustivamente il perch e il come
dellintera estensione delle attivit cognitive, a partire dallanalisi
elettrochimica e neuronale dellattivit cerebrale.
Perch tale scarto sia esperito pi intensamente forse necessario che anzitutto si esplicitino i limiti costitutivi degli strumenti di osservazione utilizzati, che pure hanno raggiunto livelli
avanzatissimi di precisione quanto alla determinazione cronometrica e alla localizzazione dellattivit cerebrale, e dellutilizzo
di peculiari formati rappresentazionali (per la conversione di dati
in immagini, come avviene tramite PET e fMRI, o per la rappre-
2.
3.
Se la rilevazione empirica di MNs nelluomo ha fornito una risposta certa su questioni relative alla presenza e alla localizzazione di neuroni specchio nel cervello umano, tuttavia rimangono
da affrontare ulteriori questioni, non propriamente secondarie,
anzitutto dal punto di vista concettuale. Prima di tutto si pu
legittimamente porre la domanda sui concetti fondamentali
utilizzati in questo ambito di ricerca: che cosa significa rispecchiamento neuronale e quale valore dobbiamo assegnare ad
espressioni come neuroni specchio? Dopotutto, se il riferimento alla bi-attivazione (in risposta sia allesecuzione sia allosservazione di tale esecuzione da parte di altri) risulta chiaro, non
invece chiara lattribuzione ad un neurone della propriet del
rispecchiamento, termine che etimologicamente e concettualmente si riferisce ad un livello descrittivo differente da quello di
. Per una rassegna sui progressi effettuati nelle indagini sui neuroni specchio, si veda: Rizzolatti & Sinigaglia, 2010. In anni recenti si dimostrata la
presenza di neuroni specchio non solo in due aree limitrofe (F5a ed F5p)
rispetto a quella delle prime rilevazioni, ma anche in altre aree intensamente connesse con larea F5, nella parte rostrale del lobulo parietale inferiore e nellintraparietale anteriore; queste ricevono informazioni visive sia
da aree prive di propriet motorie, del solco temporale superiore, sia dal
giro temporale mediale, il quale potrebbe essere coinvolto nei processi
di identificazione degli oggetti. La presenza di neuroni specchio stata
individuata recentemente anche nellarea intraparietale laterale (Sheperd
66
4.
Laffermazione che determinati tipi di neuroni rispondono selettivamente allosservazione di diversi tipi di atti motori (motor acts) viene diffusamente associata alla tesi che essi risultano
funzionali alla conoscenza del significato di tali atti, ovvero alla
comprensione delle intenzioni che li guidano.
Tuttavia, logicamente improprio affermare che un meccanismo neuronale in grado di distinguere tra tipi differenti di atti
intenzionali: solo se ci si riferisce ad un individuo consapevole,
sensato parlare di capacit di distinguere, di cogliere significati, di
comprendere4. In modo simile assurdo dire che un cervello capisce o apprende, o che una mano sente dolore. Eppure il problema si costantemente riproposto nellintera tradizione occidentale, sotto figure molto diverse; con la sua eccezionale sensibilit
teoretica, Wittgenstein aveva dedicato dense e importanti riflessioni a questa spinosa ma rilevante questione5. Evidentemente, il
3. Cfr. in proposito AA.VV., Mirror Neuron Forum, ed. by Glenberg (2011).
4. Com noto, questa modalit di attribuzione stata denominata da
Hacker e Bennett fallacia mereologica. Cfr. in proposito Bennett &
Hacker, 2005 e Bennett et al., 2007.
5. Il volume di Bennett e Hacker Philosophical Foundations of Neuroscience (2003, 2005) pu essere considerato come il tentativo di applicare
67
successo nella diffusione di un tale uso concettuale nella letteratura neuroscientifica non pu giustificare per s la validit di un
tale uso concettuale.
5.
Si pu allora legittimamente sollevare la domanda: in che
senso ci si riferisce alla capacit propria di un circuito neuronale di
elaborare una forma di conoscenza (understanding), precisamente quel tipo di conoscenza che ci permette di cogliere immediatamente e dallinterno (from the inside) il significato (meaning) di
un atto motorio compiuto da altri?
In From action to meaning, Rizzolatti e Gallese affermano che
la funzione fondamentale dei MNs la seguente: code actions. Ad
es., lattivazione dei MNs selettivi per la presa, secondo gli autori,
asserts that a object is graspable (Rizzolatti, Gallese, 1997, p. 222) .
Ci che si viene a presupporre che la comprensione del
comportamento degli altri avvenga attraverso una composizione di pi piani di elaborazione cognitiva. Per s, la percezione
visiva consentirebbe solo una pictorial description del reale, senza
rilievo, fornendo immagini che di per se stesse sarebbero meaningless; solo attraverso lassociazione di tali immagini alla propria esperienza motoria sarebbe possibile il riconoscimento del
significato di un atto.
In altri termini, come successivamente specificato (Rizzolatti
& Sinigaglia, 2010: 269-270), si ipotizza un livello di riconoscimento puramente descrittivo del comportamento motorio degli altri,
simile a quello effettuato dalle aree del ventral stream per il riconoscimento di oggetti inanimati. Nel caso in cui losservazione attivi il sistema motorio attraverso ci che viene denominato
Mirror Neurons System, allora latto pu essere non solo catalogato estrinsecamente, ma anche conosciuto e compreso. Per comprensione si intende in questo contesto la conoscenza del significato reale (real) del messaggio implicito nellatto osservato,
ossia la sua associazione con laspetto intenzionale dellazione.
Questo pu essere colto immediatamente per rispecchiamento
neurale, se lazione appartiene al repertorio motorio dellosservatore, e la rappresentazione del suo scopo pu quindi essere
compartecipata dallosservatore (ivi e Buccino et al., 2004).
Il valore euristico di questa proposta teorica e di domande del
tipo How the parieto-frontal circuit can give meaning to pictorial
descriptions? (Rizzolatti & Sinigaglia, 2010: 270), indiscutibile.
Rimangono invece seri dubbi sui presupposti teorici che stanno
alla base di questo tipo di domande. Laffermazione che objects,
as pictorially described by visual areas, are devoid of meaning (Rizzolatti & Gallese, 1997: 222) vale di per s unampia e articolata
analisi, anche solo sul piano della formulazione e delluso concettuale. In particolare, necessario discutere in che modo, in
quale formato e per quale osservatore le aree visive sarebbero
in grado di descrivere oggetti. In questo contesto rimane del
tutto problematica la netta separazione tra latto puramente descrittivo e latto con cui si attribuiscono dei significati al contenuto dellesperienza visiva, per lo meno se ci riferiamo a condizioni
non patologiche di attivit percettiva.
6.
Una delle questioni centrali, per i problemi che si vanno qui
discutendo, certamente il modo in cui negli studi considerati
ci si riferisce al significato (meaning) di un atto motorio. In un
noto articolo di Iacoboni et al. su questo tema, dal titolo Grasping
the Intentions of Others, si considera il cosiddetto Mirror Neurons
System (MNS) come un action recognition mechanism: lo si ritiene
sistematicamente al dibattito neuroscientifico contemporaneo alcune
dense riflessioni di Wittgenstein su questo tema, documentate soprattutto nelle Philosophische Unteruchungen, nelle Philosophische Bemerkungen
e nelle Bemerkungen ber die Philosophie der Psychologie.
capace non solo di distinguere tra diversi tipi di azione, ma, per
la prima volta, lo si ritiene anche un meccanismo for coding the
intentions of others (Iacoboni et al., 2005: 529-530)6.
Sorvoliamo qui sul problema dellattribuzione al sistema
motorio della capacit di utilizzare un meccanismo neuronale
(il MNS), in modo tale da riconoscere le intenzioni che sottendono le azioni degli altri7 e limitiamoci a considerare il modo in cui
il problema viene concettualmente definito. Va specificato che
per azione viene inteso un atto motorio che goaldirected; per
intenzione si intende invece il motivo che sta dietro (behind) latto
motorio e lo guida alla realizzazione di quellobiettivo.
Si badi bene: ci che qui viene indicato non ha a che vedere con la dimensione complessa del proposito, delle riflessioni
e delle finalit che il soggetto si pone attraverso una riflessione
consapevole. N si fa riferimento a quello che viene denominato
agire teleologico (cfr. Csibra & Gergely, 2007).
Con quale significato vengono qui utilizzati i concetti di goaldirected action e di intention? Ci che chiaro che si presuppone una netta differenza tra la componente intenzionale e la
descrizione cinematica dellatto motorio. E proprio tale netta
separazione sembra rendere possibile la rappresentazione di un
atto motorio come non significante o ambiguo, o comunque
tale da richiedere uninterpretazione; questultima verrebbe ad
esplicitare ci che sta dietro e guida latto osservato.
Lesperimento presentato in Grasping the Intentions of Others
chiarisce questa impostazione concettuale, mostrando come la
capacit di comprendere le intenzioni che sorreggono e guidano
il comportamento degli altri venga ridotta, per essere pi facilmente valutabile sperimentalmente, allassociazione di un atto
motorio nel raggiungimento di un obiettivo (la presa della tazza)
con un determinato contesto (la tavola imbandita per una pausa
t).
Dallindagine sperimentale risulta che aree corticali correlate allafferrare e al controllo della presa sono particolarmente
sollecitate nello spettatore di un video-clip quanto le immagini rappresentano un atto motorio (la presa di una tazza) in un
preciso contesto (prima o dopo una pausa t), ma non quando
rappresentano isolatamente o latto di presa della tazza per s o
il mero contesto.
Le risposte neuronali dellosservatore, che spinto ad associare un atto a un determinato contesto, vengono interpretate
dunque come lindizio della capacit del nostro MNS non solo
di discriminare un preciso atto motorio in quanto diretto ad un
obiettivo (afferrare la tazza), ma anche di determinare il significato intenzionale di unazione svolta entro un preciso contesto;
vale a dire, vengono interpretate come lindizio della capacit di
comprendere le intenzioni degli altri osservandone le azioni.
Ove per intenzione si intende il perch (the why) di una determinata azione (Iacoboni et al. 2005: 530).
Tuttavia, ci che conta per Iacoboni et al. non la teorizzazione di un atto intuitivo, ma il nesso funzionale tra latto motorio
osservato e lintenzione sottostante, vale a dire, nelles. considerato, tra la presa della tazza e lintenzione di bere o riordinare.
Gli autori si riferiscono esplicitamente ad un precedente studio
(Di Pellegrino et al., 1992), proponendosi di colmare quella che
appare una lacuna concettuale nellesplicazione di tale nesso
logically related9. Nelle pagine seguenti, tuttavia, gli autori non
sembrano fornire una chiarificazione concettuale allaltezza dei
risultati delle loro indagini empiriche10.
7.
Com possibile determinare per rispecchiamento neuronale
lintenzione che guida una goaldirected action? Com possibile
rispecchiare, automaticamente e inconsapevolmente, lintenzione sottesa ad unazione prima ancora di conoscere lintenzione
dellagente? Le indicazioni sperimentali fornite da Iacoboni et
al. hanno avuto il merito di aver contribuito a porre sperimentalmente la questione in modo fino ad allora inedito. I termini
della questione non risultano tuttavia del tutto chiari. Quello che
Lassociazione action-context consentirebbe, attraverso un
meccanismo di rispecchiamento neuronale, di rispondere allintenzione che sottende allatto di presa osservato. Di fatto, quello
. Rizzolatti e Sinigaglia hanno evidenziato come questo studio abbia fornito per la prima volta la prova empirica che il circuito di rispecchiamento neuronale parieto-frontale coinvolto nella codifica delle intenzioni
motorie, mostrando, in particolare, come losservazione del medesimo
movimento entro un contesto che esplica lintenzione dellatto induca
una pi intensa attivazione del caudal inferior frontal gyrus dellemisfero
destro (Rizzolatti e Sinigaglia, 2010: 270).
7. Conferma Iacoboni in unintervista pubblicata sulle pagine informative
dellUCLA: Our findings show for the first time that intentions behind
actions of others can be recognized by the motor system using a mirror mechanism in the brain. The same area of the brain responsible for
understanding behavior can predict behavior as well. Dan Page, UCLA
Neuroscientists Pinpoint New Function for Mirror Neurons; Specialized
Brain Cells Predict Intentions as Well as Define Actions, UCLA Newsroom, 23.2.2005.
68
. Le due immagini sono tratte da una composizione fotografica pubblicata in Iacoboni et al., 2005.
9. In that previous study, however, the role of these logically related
mirror neurons was never theoretically discussed and their functions remained unclear. The present findings not only allow one to attribute a
functional role to these logically related mirror neurons, but also suggest that they may be part of a chain of neurons coding the intentions of
other peoples actions (Iacoboni et al. 2005: 533)
. Secondo gli autori, the Intention condition contained information
that allowed the understanding of intention, whereas the Action and
Context conditions did not. Questo dimostrerebbe che the context
cued the intention behind the action.
Tuttavia i fotogrammi che presentano la mera Action condition risultano
ambiguous non solo perch presentano un atto di presa decontestualizzato, ma, a mio avviso, soprattutto perch presentano sempre e soltanto
una mano che afferra una tazza vuota. La visione di presa di una tazza piena, contenente un liquido del colore di una bevanda familiare, potrebbe
invece suggerire per s sola lassociazione allatto del bere, anche senza
alcun riferimento ad un before tea context.
8.
10.
V un altro aspetto importante da considerare: limprevedibilit del comportamento di soggetti agenti che conosciamo solo
attraverso la visione di brevi clip, tanto pi se ci si limita ad osservare fotografie o immagini povere di informazioni. Infatti, da una
singola immagine, o anche da una breve sequenza dimmagini,
non ci possibile in genere risalire alle intenzioni del soggetto
agente; semmai ci limitiamo ad aspettarci che egli vada a compiere una certa qual cosa. Una determinata scena (come quella
che raffigura una mano protesa ad afferrare una tazza, nel contesto di una tavola imbandita per una pausa t) potrebbe proseguire in modi molto diversi e comunque congruenti rispetto alle
immagini prima osservate.
Unequipe guidata da Buccino ha mostrato come di fronte
a sequenze di movimenti che terminano in modo inatteso losservatore presenti un incremento nellattivazione di aree corticali (in questo caso rilevate tramite fMRI), che andrebbero ad
integrare la debole risposta dei meccanismi di rispecchiamento
neuronale (Buccino et al., 2007). E cos, se il soggetto osservato,
mentre cammina, finisce per inciampare oppure per rovesciare il
contenuto del bicchiere, allora nellosservatore vengono sollecitate aree corticali (come il giro sinistro sopramarginale) che sono
in genere coinvolte nei processi attentivi legati al controllo dei
movimenti, nella loro articolazione spaziale e temporale. Nellosservazione di esiti imprevisti, si inoltre riscontrata lattivazione di altre aree corticali (nella giunzione temporale-parietale e
nelladiacente regione posteriore del solco temporale superiore),
in genere correlate ad attivit non intuitive, legate allinterpretazione di credenze. Questi risultati sono stati ribaditi da altre indagini sperimentali (ad es. Liepelt et al., 2008)13.
9.
Sono da considerare attentamente anche altre variabili in gioco in ci che viene indicata come la capacit di comprendere per
rispecchiamento neuronale le intenzioni degli altri. Se si formula
lipotesi che il cosiddetto MNS fornisce risposte automatiche e
naturali di rispecchiamento alla visione di determinati atti intenzionali, si dovrebbe valutare con attenzione il fatto che non ci
stiamo riferendo ad un sistema cognitivo che opera autonomamente rispetto al soggetto osservatore in carne ed ossa e alla sua
storia personale. Il medesimo atto pu suscitare nellosservatore
. Lo studio ha dimostrato come nella percezione visiva di movimenti
apparenti, le aree motorie e parietali non presentano unattivazione significativa in relazione a movimenti biomeccanicamente impossibili,
suggerendo che queste regioni si attivino selettivamente secondo le capacit motorie dellosservatore.
. Perch non ci sono noti, oppure perch non ci noto il modo di eseguirli.
69
. Si veda in proposito la meta-analisi curata da Van Overwalle &
Baetens (2009) e condotta su 200 indagini svolte con fMRI, dedicate allo
studio sperimentale dei circuiti neuronali correlati al riconoscimento di
atti intenzionali. Gli autori propongono la tesi della complementariet
del Mirror Neurons System, il quale sarebbe coinvolto nel rispecchiamento
percettivo dei movimenti corporei degli altri, rispetto ad un cosiddetto
Mentalizing System (situato, secondo Van Overwalle, 2009 in aree della
giunzione temporo-parietale e della corteccia prefrontale mediale),
il quale sarebbe coinvolto nella elaborazione astratta (per linguaggio
verbale o simbolico) di riflessioni relative al perch del comportamento
altrui. Cos gli autori: these two systems are never concurrently active.
This suggests that neither system aids or subserves the other. Rather,
they are complementary. This conclusion is contrary to suggestions that
11.
verisimile, dunque, che la responsivit dei MNs sia significativamente modulabile dallesperienza motoria dellosservatore. Lipotesi che tale responsivit sia modificabile attraverso uno
specifico allenamento stata sottoposta a indagini sperimentali
da parte di C. Heyes, C. Catmur et al. Il gruppo ha dimostrato che
attraverso un apposito training possibile arrivare a provocare
delle risposte neuronali inverse, le quali possono arrivare ad inibire anche completamente certi automatismi imitativi (Heyes et
al., 2005; Gillmeister et al., 2008, Cook et al., 2010). Ad es., si dimostrato come, addestrando qualcuno a ripetere con modalit
inversa un movimento delle dita osservato si riesce a inibire una
risposta di rispecchiamento motorio. Non solo: in questo modo si
riesce a modificare a tal punto la risposta soggettiva allosservazione da modificare anche il contenuto che oggetto del rispecchiamento neuronale; ad es. si pu ottenere il rispecchiamento
del movimento inverso rispetto a quello osservato (Catmur et al.,
2007), oppure, sempre attraverso un apposito training, si pu
ottenere che alla visione di un gesto della mano faccia riscontro,
nelle aree premotoria e parietale, una dominanza nel rispecchiamento neurale correlato al movimento del piede (Catmur et al.,
2008).
A supporto di questa tesi vanno considerati anche alcuni
studi che hanno confermato la maggiore attivazione di MNs in
ballerini esperti (Calvo-Merino, 2005 e 2006; Cross et al., 2006)
mentre osservano movimenti di loro competenza, rispetto a movimenti che invece non rispecchiano le loro competenze specifiche (ad es. quando un ballerino classico osserva movimenti della
capoeira). Tali scoperte sono state confermate da altre analoghe
indagini sperimentali condotte con esperti musicisti (Haslinger
et al., 2005) e arcieri (Kim et al., 2011).
12.
A conclusione, si pu rilevare che lampia discussione internazionale sui MNs esige oggi il passaggio ad un livello di maggiore
accuratezza concettuale ed epistemica. In questottica, sarebbe
opportuno concentrare lattenzione su problemi legati alla convergenza e alla composizione di livelli di descrizione differenti,
anche se rivolti alla comprensione di un medesimo oggetto di
indagine.
Da questa prospettiva allora rilevante la seguente precisazione di Rizzolatti e Sinigaglia: la comprensione della ragione
(reason) sottostante allintenzione motoria sembra essere localizzata in aree corticali, che fino ad ora non hanno mostrato avere
the mirror system might aid the mentalizing system to inferring intentions of others. Van Overwalle e Baetens specificano: Thus,we do not
at all suggest that these two systems are disconnected in real-world social inferencing. Quite on the contrary, in judging others, we often rely
on both a targets motor intentions and explicit verbal information (e.g.,
observing the target of a gossip and hearing harsh words spoken about
him or her). E concludono: How these two types of information interact
is still a newarea in social neuroscience, one that we are only beginning
to explore by means of tasks as exemplified by actions that are unexpected and inconsistent. One question for future research is to explore
what happens in the social brain when tasks potentially recruit both systems, but when the motor and the verbal inputs contradict each other
(ivi, 579).
70
premessa vera perch la domanda sul chi non pertiene al livello di osservazione di peculiari meccanismi neuronali. Tuttavia, proprio per questo, la triplice asserzione che segue
risulta incomprensibile: il sistema motorio di un individuo per
s non pu essere n linterprete, n il responsabile dellinterpretazione di eventi motori, e nemmeno pu essere in grado di conoscere alcunch per inferenza, se non in senso metaforico o per
analogia.
Una tale ibridazione concettuale, sia pur efficace sul piano
euristico, pu certo risultare funzionale ad una sorta di soggettocentrismo biologico. Lesperienza umana in generale, con la sua
componente essenziale di relazioni interpersonali, risulterebbe
allora paradossalmente qualcosa che viene ad assumere un rilievo e un senso per il sistema motorio operante in un individuo,
rendendo inutile, in una tale fusione di orizzonti, non solo la domanda sul chi, ma anche quella sul perch.
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. Per una introduzione alla discussione in corso relativa alla rivalutazione della teoria della percezione linguistica di Liberman, che ha chiaramente ispirato il modello proposto dai primi teorici dei MNs, si veda il
numero monografico di Brain and Language, 112 (2010) curato da G.
Hickok e da lui efficacemente presentato in The role of mirror neurons in
speech and language processing, ivi, 1-2.
71
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72
Second nature
For a liberal naturalism of mathematics
Mario Graziano - mgraziano@unime.it
Abstract
The term naturalism has, over the course of the history of philosophy, taken on different and changing meanings, so we can apply
it to a large number of philosophical areas, all having in common only an unspecified reference to the field of nature. Fortunately, contemporary naturalism has changed in recent years, with less erratic and ambiguous connotations, thus allowing for the possibility of
identifying two distinct meanings: scientific naturalism and liberal naturalism, respectively. In this paper, we shall demonstrate how
the distinction between different types of naturalism may more or less positively affect the field of numbers and arithmetic properties.
Keywords
Introduction
The term naturalism, over the course of the history of philosophy, has taken on different and changing meanings, so we
can apply it to a large number of philosophical areas (the Ionian
philosophers, Aristotle, the philosophy of Hume and Spinoza,
nineteenth-century positivism, logical empiricism and pragmatism, to name just the most popular areas), all having in common
only an unspecified reference to the field of nature. Fortunately,
contemporary naturalism has changed in recent years, with less
erratic and ambiguous connotations, thus allowing for the possibility of identifying some common traits in different fields of
application (De Caro & Macarthur 2004). Generally, two distinct
meanings can be identified, scientific naturalism (much better
known) and liberal naturalism (less known, but which in recent
years has had a rapid rise), respectively. Both of the two perspectives share what might be called the constitutive theory of naturalism, namely, the use of laws, explanations, and entities that
are given in nature and therefore do not belong to the realm of
the supernatural (religious beliefs, mysticism, demiurges, deities,
and so on). In addition, both modern conceptions of naturalism
agree that the natural sciences are the ideal model to which all
other sciences must comply in order to be legitimated in their
cognitive activity.
However, although both concepts make claims as to the value of natural science and the experimental data that can be
derived from it, the two views are divided on the role to which
philosophy should be assigned. In fact, according to the conception of scientific naturalism, which in its most radical form has
been commonly traced back to Quine (but which has also been
associated with the perspectives of the analytic philosophers
such as Dennett and Churchland), philosophy is not an activity
that arises from a point of view that is external to the natural
sciences (as theorised by, among others, Aristotle, Descartes and
Kant), but rather, philosophy is, in itself, a part of science: it arises
as part of our system of the world, in continuity with the rest of
science. In short, Quine argued for the need to abandon once
and for all the dream of a Philosophia Prima, a philosophy that
is more important than natural science: the Philosophia Prima
must give way to the Scientia Prima.
In contrast, theorists of the liberalised conception of naturalism, though they also believe that scientific knowledge is fundamental to philosophy and that philosophical formulations must
take into account the achievements of natural science, do not
accept the continuity thesis of scientific naturalism because for
those authors, philosophy differs from science in the method,
object and purpose of the research. According to the theorists,
only in this way can philosophy overcome the sharp division that
exists in the scientific version of naturalism, between the actual
phenomena of the physical world and those that relate to the
73
different fields of human existence. This allows the recovery concepts such as normativity, intentionality and free will, which are
hardly reducible to the physical world, thereby giving them the
dignity of belonging to the domain of the natural world, away
from any metaphysical contamination.
We shall see below how this distinction between different
types of naturalism may affect more or less positively the field of
numbers and arithmetic properties.
lar to sensory intuition, as Godel claimed, but rather, it is a faculty of perception, i.e., the perception of sets of medium-sized
physical objects, whose formation can be detected in the brain
(Maddy, 1990). In this sense, we arrive at the second strategy that
has been adopted by Maddy, i.e., the reductionist strategy, according to which these properties are ontologically genuine, but
only because they are ontologically identical to, or occurring according to, scientifically acceptable properties. In Realism in Mathematics, 1990, Maddy indicates that the discoveries that were
made in those years came from neuroscience and experimental
psychology in order to focus on the analogy between the insight
of sets and the perception of objects (an idea was intuited by Godel, as mentioned above). Drawing on the findings of the neurophysiologist Donald Hebb (1980), who showed that neurons not
only confine themselves to carrying out immediate perceptual
activity but, on the contrary, they continue their mutual functional electrical stimulation well after the cessation of sensory stimulus, by which are formed cell assemblies (groups of neurons
in the connection), Maddy identifies in these groups of neurons
that maintain a connection with each other the neurophysiologic consideration of her idea of physical object.
In other words, according to the author, in order to form a gathering of cells that are capable of grasping an object, for example, delta, it will first require the gathering of the mobile phone
that is capable of detecting the angles. Then, these will give rise
to the gatherings that are able of capture a certain type of triangle from a certain perspective, and then a number of gatherings
of different perspectives give rise to a perspective that integrates
the various perspectives as described above, thereby referring
them to a single object. Maddy is convinced that these observations fully validate, from the neurophysiologic point of view,
Piagets theories concerning the formation of the concept of the
object by children. In fact, she also writes in the same work: This
expectation is substantiated by the experiments of Jean Piaget
and his colleagues. The childs ability to acquire perceptual beliefs about physical objects, as judged from behaviour, develops
between the ages of one and eighteen months. At the beginning
of this period, the childs world is a welter of isolated incidents
(Maddy, 1990: 54). Therefore, according to the author, the same
neurons are the ones that are set in motion by the continuing
perception of the object, although from different perspectives
by which it is perceived, which are continually challenged to
keep their electricity on each other and by then generating a
cell that serves as a gathering object detector. From these considerations, especially based on Piagets experiments of seriation
and commissioning, Maddy suggests a similar development
with regard to the formation of the assembly concept. In fact,
she goes on to say: In this way, even an extremely complicated
September would have a spatial-temporal location, as long as it
has things in the physical ITS transitive closure. And any number
of different sets would be located in the examination place, for
example, the set of the set of three eggs and the two set of hands
is located in. The same place as the set of the set of two eggs and
the set of the egg and the other two hands. (Maddy, 1990: 59).
Therefore, in Realism in Mathematics, Maddy is convinced of
the value of Piagets experiments and his idea that there is a relationship between a general intelligence structure and the evolution of mathematical competence. However, in the last 25 years,
the Piaget model has been questioned for evidence of numerical capacities in animals and children. Many works have, in fact,
shown that not only animals and children are able to represent
numbers crudely, but that this ability summons brain structures
that are similar among species. Furthermore, numerical experiments on adult cognition have highlighted the important role
played by nonverbal processes and have shown how logic is not
a primordial and primary aspect of numerical representation:
mathematical ability, albeit an approximate one, seems be present in children from the earliest days of life, constituting a sort of
universal jurisdiction that mathematical neuroscientist, Stanislas
Dehaene (2011), calls number sense, which we share with other
74
of sentences like Oliver Twist lived in London, that is, they are
irrevocably false.
Fortunately, in recent years, a type of naturalism has become increasingly popular that is less radical than the scientific
modes proposed by Quine-Maddy or than the eliminativism
by Field, showing that there are other ways in which naturalists
can go beyond the reductionist model of scientific naturalism.
In this proposal, the key appears to be compatible (rather than
continuous) between philosophy and science, which forcefully
leads to the anti-reductionist focusing on themes of normativity. Scientific naturalism is not in fact able to provide an account
for the inadequate explanation of the constitutive features of
human nature. However, how can we reconcile the normative level with the causal (which is typical of the natural sciences)? This
question comes in response to John McDowell, whose proposal
is emblematic of the position that has been taken by mediating
liberalised naturalists. According to McDowell, the specificity of
human beings is unique because they come with a second nature (De Caro & Macarthur 2010). Referring to the notion of a
space of reasons by Wilfrid Sellars, McDowell argues that the
best way to explain some features of human behaviour is to refer
not only to the causes that govern bodily movement but also,
especially, the reasons for human actions: reasons. However,
these should not be considered to be abstract entities that are
independent of human experience but, in contrast, they are an
integral part of our nature (they are, in fact, our second nature). In this case, the liberal naturalism of McDowell meets the
first requirement (which we might call ontological) on which
scientific naturalism, as opposed to the difficulties presented
by Maddy, namely the investigation into the nature of the explanations of all types of entities that are required by paragraph
of this explanation, without a priori constraints: in this way we
will not have any difficulty in accepting the existence of entities
such as morals, as the modal or intentional (and the truth or falsity of the corresponding ratings), provided that these entities
are essential to take into account the important aspects of our
thinking, which means that no explanations can include supernatural entities that violate the laws of nature. In the case of mathematical entities, then, we must not commit a misrepresentation, and proceed to privilege the real, once and for all, which is
true only according to our beliefs and symbolic mathematics. To
clarify the issue on mathematical entities, we need two different
notions of existence, and liberal naturalism has no difficulty in
explaining both notions. We borrow the dual notion of existence
from a philosopher of language, Aldo Bonomi, who distinguishes
between r-esistance and l-existence: The r-existence is, in the
terminology above, the existence-in the ordinary sense. L - here
it means to belong to a certain domain of interpretation. It is an
existence that has a linguistic nature in the sense that objects
exist-that owe their identity to linguistic criteria. All you need to
state that something exists is that you can find that object in the
logical space of discourse in which it appears (Perconti, 2003:
10). Therefore, liberal naturalism as defined by McDowell, but
also all by others who are inspired by this form of naturalism,
has no difficulty in accepting conceptual analysis (and here we
come to a second requirement, which is that of methodology)
as a method that is a legitimate investigation unless it represents
a fruitful way to explain certain phenomena, as long as this method can be proved to be incompatible with the investigations of
the natural sciences, for example, neuroscientific investigations.
If this is true, then normativity is not incompatible with a descriptive and causal investigation: that is to say, logically at least, that
normativity can be compatible with descriptive and causal investigations.
However, does this hold for all knowledge? Lets review an
example, taken from Pascal Engel (2001), in a field that is close to
mathematics, which is that of decision theory. According to decision theory, in rational choice, Bayesian rational agents obey
a minimal standard, which is that of maximising expected utility.
The normative theory of rational choice under this formula and
75
the principles of choice that flow from it. The descriptive part
of the theory has the task of determining whether in fact these
agents follow rules. As has been highlighted by several experimental psychologists, in certain circumstances, the agents do
not follow the normative theory as theorised, which gives rise
to certain paradoxes (one of the most famous is that of Allais),
in which the agents will systematically move away from maximising their usefulness. Decision theorists may argue that this
response is so irrational that it contains an error of reasoning or
some factor that has influenced the response of causal agents.
In this case, it therefore appears that interpretive understanding
is not a causative factor. It is, as it were, opaque, and contains
no reference to a rule, but rather it refers only to a psychological
process that is responsible for the error, but to say what it means
give to understand that error, giving to understand why agents
do (Engel, 2001: 16).
While Engels warning does not require us to accept how
the cognitive epistemic is irreconcilable with the best available
practices, one must nevertheless emphasise the example that he
reported does not undermine liberal naturalism for several reasons. First, naturalisms apparent paradoxes includes errors, and
decision theory can easily explain such shifts for reasons that
are other than those prescribed by traditional the neoclassical
theory of utility maximisation, for example, an agent can decide
to give up today to try to maximise more tomorrow, or because they forego maximising, the agent thinks of acquiring social
prestige, and so on. Therefore, we are not always true and just
in advance of committing errors, as theorised by experimental
psychologists as well as by Engel. In secundis, a new paradigm
is having more success in explaining economic changes in the
context of a union between a formal explanation and a causal
explanation of economic factors: the neuroeconomy that does
not reject in toto the neoclassical explanation, but, rather, it tries to find neural correlates (Camerer, 2003). Finally, it should be
noted that the liberal naturalist (perhaps McDowell can be excluded in this case) will have no difficulty in accepting a reduction
or elimination, but only if this proves to be either impossible or
epistemically fruitful.
If anything, the real problem of liberal naturalism, considered in the positive light of Engel, is that if we want to provide
the description of not only a certain phenomenon but also the
adequate explanation of why a certain thing happens, we should
aim to answer the question of whether it is possible for humans
(unlike other physical systems), to participate in a second nature. In fact, when you engage in arguing that rational agents are
natural systems, then you have almost groped duty to provide
an answer to this question. To answer this question, however,
we do not have to abandon liberal naturalism because all of the
knowledge that is available to rational agents, including mathematics, is part of a natural process of adaptation. It is under such
a process that mathematics has occupied an important place in
the course of human evolutionary history as a decisive step towards the achievement of higher cognitive abilities, which has
supported the formulation of hypotheses about the shapes of
bodies that are present in the environment, as well as their position and their number. This has meant that humans have discovered more and more new properties of the environment that
have led us to advance towards more appropriate behaviours
and to have greater success. The need to formulate hypotheses
derived, therefore, in the simplified view, from the signals that
are provided by bodily sensory receptors, which were not sufficient and therefore required imbuing these signals with meaning, which, in itself, was ambiguous and susceptible to multiple
interpretations.
The notion that mathematics is part of a natural process of
adaptation is clear in arithmetic. As demonstrated by Stanislas
Dehaenes experiments and those of other cognitive neuroscientists, the idea of numbers is not derived from our sensations
(otherwise, children would have numerical concepts within
a few days after birth, requiring only the ability to manipulate
them) but we must assume that our brain has an innate ability
that allows us to detect small numbers and that this ability is a
product of evolution. Of course, arithmetic is not sufficient to develop these innate abilities, but we also need the ability to create
systems of symbols, both spoken and written. Only by virtue of
these additional skills may we appoint different infinite numbers,
address continuous quantities of discrete things and invent the
rules of arithmetic. The latter skills, however, are not the product
of biological evolution, but rather they are the product of another type of evolution, a cultural one, which, unlike the former, is
much faster and more accurate.
Therefore, the interrelationship of these considerations indicates that naturalism proves to be liberalised, even the best of
all possible naturalisms, if only because the objectivist view of
science is subjective and sees human beings as agents.
References
Camerer, C. F. (2003). Strategizing in the Brain. Science, 300, 167375.
De Caro, M., & Macarthur, D. (eds.). (2004). Naturalism in Question.
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Dehaene, S., Piazza, M., Pinel, P., & Cohen, L. (2003). Three parietal
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Engel, P. (2001). L espace des raisons est sans limites? Paris: Gallimard Folio.
Maddy, P. (1990). Realism in mathematics. Oxford: Oxford University Press.
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Parsons, C. (2007). Mathematical Thought and its Objects. Cambridge: Cambridge University Press.
Perconti, P. (2003). Leggere le menti. Milano: Bruno Mondadori
Editore.
76
Abstract
In this paper, I will examine some aspects of a research program called Distributed Cognition. My goal is twofold: a) to clarify the
many meanings of the word distribution in the context of cognitive science; b) to analyze the relationship between Distributed cognition and three distinct topics i.e: 1) Computational Theory of Mind; 2) Social Cognition; 3) Personal Mind. In the conclusions, I
will try to fomulate some questions that remain open in the debate on Distributed Cognition.
Keywords
1. Difficolt ed esitazioni
Discutere di cognizione distribuita dora in poi, CD pu forse sembrare un esercizio intellettuale sterile e privo di effettivo
interesse. Questa valutazione ha dalla sua parte un dato difficilmente contestabile: CD si trasformata rapidamente nelloggetto di culto di numerosi studiosi appartenenti ad aree diverse del
dibattito scientifico. Messo tra parentesi il potere banalizzante
delle mode culturali, rischio costantemente presente in queste
forme di venerazione religiosa, lostacolo principale che si oppone a un esame dettagliato di questo approccio allo studio della
cognizione sembra un altro: lassenza totale di novit. Rispetto
alla prima fonte di esitazione, questa seconda difficolt presenta un numero maggiore di elementi problematici. In fondo, le
mode culturali, se non sono esattamente un falso problema, restano una malattia comune di molte discipline per le quali esiste
gi una cura efficace: attendere che esse terminino. Ben diversa,
invece, la questione sollevata dal secondo capo daccusa. In
questo caso, non si tratta di neutralizzare i nefasti effetti di fraintendimenti e indebolimenti concettuali, ma di capire se CD abbia
in dotazione un potenziale euristico originale. Il dubbio che non
sia cos suggerito implicitamente dai partigiani pi autorevoli
di questo programma di ricerca.
77
cessi cognitivi possono essere distribuiti tra i membri di un gruppo sociale, oppure possono essere distribuiti nel senso che le
operazioni del sistema cognitivo comportano la coordinazione
di strutture interne ed esterne (materiali o ambientali), o ancora
possono essere distribuiti nel tempo in modo tale che i prodotti
di eventi passati possano trasformare la natura di eventi successivi (2068). Questo il repertorio concettuale primario di CD. Il
resto un lungo e articolato commento ai tre sensi di distribuzione introdotti.
3. Presupposti teorici di CD
Talora, i commenti possono nascondere gradevoli sorprese.
Una parte consistente dei contributi prodotti nellambito di CD ne
ha ricostruito i presupposti teorici di base. Il lavoro di ricostruzione condotto ha permesso di esaminare i contesti di provenienza
delle principali idee promosse da questo programma di ricerca.
Ne emerso uno scenario composito, di notevole ricchezza e variet. Dai grandi classici del pensiero sociologico, antropologico
e psicologico fino ad alcune pietre miliari delle scienze cognitive,
la letteratura sullargomento pullula di continui riferimenti alle
opere di Durkheim, Marx, Vygotsky, Wittgenstein ma cos pure
ai lavori di Minsky e del gruppo PDP. Le radici di CD, oltre che
profonde (Hutchins, 2001: 2068), sembrano spingersi cos nelle
direzioni pi disparate. Fuor di metafora: essa trae ispirazione da
prospettive teoriche differenti. La presenza di fonti tanto numerose e diverse costituisce nello stesso tempo un punto di forza e
di debolezza. un punto di forza perch garantisce un approccio
pluralistico ai problemi e allanalisi dei fenomeni esaminati; un
punto di debolezza perch presta il fianco a una critica fondamentale, cui si accennato poco prima: lassenza di novit.
3.1 Approfondimenti
Questa critica, sia pur nella forma di una cauta ammissione,
stata fatta propria anche da studiosi che militano nelle fila di CD.
Cole & Engestrm (1993), Karasavvidis (2002) e Angeli (2008)
solo per citare alcuni dei contributi pi interessanti sono casi
esemplari di questa tendenza. Nel contesto di tali lavori, lesame
delle caratteristiche peculiari di questo programma di ricerca
preceduto dallosservazione secondo cui distributed cognition
is not new. Probabilmente, nelle intenzioni degli autori, si tratta solo di unindicazione di chiarimento. Letta in unaltra ottica,
per, questa indicazione fa il paio con il dubbio precendentemente sollevato: se CD non una novit, allora non certo che
essa rappresenti un punto di vista originale nellanalisi dei fenomeni cognitivi. Questa incertezza dipende dal fatto che non sono
chiari i parametri in base ai quali valutato il potenziale euristico
di CD. Se essi si riducono a pochi criteri arbitrari che limitano tale
valutazione allesame di concetti e modelli provenienti da altre
discipline, allora questo potenziale ha ben poco da offrire. Ver-
rebbe cos confermato il pregiudizio, spesso serpeggiante in letteratura (cfr. Grison, 2006: 31), secondo cui CD la riproposizione
aggiornata di categorie e metodi che appartengono a tradizioni
di ricerca pi antiche: La cognizione distribuita un programma di ricerca che oggi gode di notevole visibilit []. Resta il fatto tuttavia che lesistenza di questa corrente gi vecchia e risale a
parecchi decenni fa15. possibile per adottare una lettura diversa di questo programma di ricerca e sfatare cos il mito che esso
sia solo un revival cognitivo di vecchie glorie del passato. Questo mutamento prospettico pu essere innescato tenendo conto di pochi dettagli essenziali. Si tratta di valutare, da un lato, il
modo in cui CD integra i contenuti di istanze teoriche differenti e,
dallaltro, di esaminare il tipo di obiezioni che le vengono mosse.
Sul primo punto, vi poco da aggiungere: CD lungi dallessere
unaccozzaglia disordinata di metodi e strategie di analisi un
programma di ricerca consolidato che si imposto negli attuali
dibattiti per la capacit di coordinare in un quadro organico e
intuitivamente accettabile domini di indagine eterogenei. Naturalmente, questa capacit di coordinazione rappresenta gi un
segno di originalit non banale. Quanto al secondo punto, invece, si possono fare diverse considerazioni. Qui mi limiter a formularne una sola: quella principale. Nel corso degli ultimi anni,
CD stata sottoposta a un numero crescente di critiche, spesso
durissime, che hanno incontrato il favore di figure disciplinari
differenti. Etnoantropologi (Button, 2008), filosofi della mente di
orientamento analitico (Sprevak, 2009; Di Francesco, 2004; Rupert, 2004) e fisici dei sistemi complessi interessati a tematiche
di ontologia sociale (Chavalarias, 2006; 2007) hanno valutato
con profondo acume critico il valore epistemologico di alcune
sue proposizioni fondamentali. Al di l degli esiti cui ciascuna di
queste critiche pervenuta, il dato che emerso la centralit
indiscussa di CD come punto di riferimento di alcuni tra i pi interessanti dibattiti di filosofia delle scienze cognitive degli ultimi
ventanni. La forza delle obiezioni mosse stata direttamente
proporzionale al credito goduto da questo programma di ricerca
presso studiosi e appassionati. Pi che una moda culturale o una
stanca riproposizione di vecchie teorie camuffate, esso stato
linterlocutore credibile di punti di vista rivali, altamente qualificati, che ne hanno confermato, se non loriginalit, lo spessore
teorico. Da qui la necessit di analizzare le obiezioni in gioco e di
metterne a fuoco i contenuti essenziali.
4. CD: obiezioni
Le obiezioni rivolte a CD possono essere suddivise, grosso
modo, in due filoni principali: uno relativo al punto di vista delle
scienze umane dora in poi, PSU; un altro relativo al punto di
vista della filosofia della mente dora in poi, PFM. Iniziamo con
lesaminare il primo filone.
. Corsivi nostri.
78
79
lacune, lattacco a CD cos articolato in due passi. Il primo approfondisce alcune critiche gi formulate nel contesto di PSU; il
secondo, invece, sviluppa una serie di considerazioni originali su
alcuni limiti e problemi specifici di questo programma di ricerca.
Iniziamo con lesaminare il passo iniziale. Buona parte dei contributi consultati (Sprevak, 2009; Di Francesco, 2004) concorda nel
ritenere che il modello di mente ideato nellambito di TCM sia
compatibile, in linea di principio, con le assunzioni teoriche principali di CD:il funzionalismo computazionale [] inclina [] in
favore di una concezione distribuita e sostanzialmente a-personale
(della mente).19 Le ragioni di questa compatibilit (o inclinazione) sono profonde e risiedono nella possibilit di esportare il concetto di elaborazione dellinformazione, cuore pulsante di TCM,
al di fuori dei confini della scatola cranica. In fondo, a partire da
osservazioni del genere che Button (2008) imposta il proprio esame critico di CD. Nel nuovo contesto per questa prima valutazione associata a un secondo giudizio che riflette su alcune
importanti ricadute di tale esportazione. Gli esiti principali di
queste ricadute interessano la sfera delle esperienze vissute soggettive che compongono larga parte di MP. Il punto in questione , grosso modo, il seguente: nellottica di TCM, mente ed elaborazione dellinformazione possono essere facilmente
assimilate. Questassimilazione, per un verso, compatibile con
lapplicazione dei modelli di elaborazione dellinformazione al
corpo, allambiente e, pi in generale, alle interazioni individuo/
ambiente e individuo/individuo che costituiscono lunit di
analisi fondamentale di CD; per un altro, essa compatibile con
letture radicalmente antisoggettiviste della mente che fondano
la spiegazione delle sue principali operazioni su propriet specifiche dellelaborazione informazionale o, in taluni approcci, su
propriet specifiche della sua implementazione. Il primo aspetto
una diretta conseguenza dellalto grado di esportabilit dellelaborazione dellinformazione, che fa il paio con la tendenza, ampiamente sperimentata nei limiti di CD, di disperdere il punto di
vista computazionale nellambiente fisico e sociale. Il secondo
aspetto invece una diretta conseguenza del fatto che, nel contesto di TCM, lassimilazione di mente ed elaborazione dellinformazione determina una scollatura profonda tra le esperienze in
prima persona del soggetto e lattivit cognitiva in senso ampio:
se la mente elaborazione dellinformazione, allora essa dove
c elaborazione dellinformazione. E non [] dove c
esperienza.20 In altri termini, questa assimilazione esclude (o limita fortemente) la presenza di fattori soggettivi nella cognizione, che si trova cos ridotta a un insieme di computazioni eseguite per trasformare sequenze di input percettivi in sequenze di
output comportamentali. CD un effetto amplificato di questa
scollatura: i fenomeni cognitivi possono essere collocati al di fuori della scatola cranica e scaricati su interazioni di vario tipo perch essi sono il risultato di unattivit di pensiero che, in virt del
suo formato computazionale, risulta indipendente da qualsiasi
esperienza soggettiva e di conseguenza, svincolata da questo
o quel soggetto particolare. Da qui il passo successivo e conclusivo: CD un programma di ricerca incompleto poich scioglie la
cognizione in un flusso di interazioni computazionali che non si
fanno carico di riflettere gli aspetti soggettivi e individuali dellesperienza ossia le peculiarit di MP. Per evitare conclusioni cos
pessimistiche, si sostenuto che i rapporti tra CD ed MP possono
essere letti in termini emergentisti. Secondo questa lettura, i flussi
interazionali di CD costituirebbero una base di emergenza adeguata di MP. In altre parole, entro tali flussi, dovrebbe essere possibile delimitare un sotto-insieme dinterazioni specifiche da cui
avrebbe origine MP. Sebbene ragionevole, questa lettura deve
per misurarsi con parecchie obiezioni, una delle quali sembra
difficilmente aggirabile. Vediamo qual . Loperazione che permette di delimitare questo ipotetico sotto-insieme contraria
allo spirito di CD. Si tratta di unoperazione che comporta la determinazione immediata di un confine tra quel che cade allinterno del sotto-insieme e quel che ne resta al di fuori. Essa ripropone
. Di Francesco, 2004: 118.
.Ibidem, p. 118.
cio i termini di una distinzione (interno/esterno) che CD, per definizione, rigetta radicalmente. I fenomeni cognitivi possono distribuirsi in una rete di multiple interazioni correlate solo perch
i confini tra individuo e individuo (o individuo e ambiente) sono
fluidi. E tale fluidit, presa sul serio, rende del tutto obsoleta ogni
rigida distinzione tra interno ed esterno. Di conseguenza,
nellambito di CD, questa operazione perde qualsiasi valore epistemologico e conferma il sospetto per cui nessun flusso di interazioni pu offrire una base di emergenza adeguata per MP. Il
confine che dovrebbe delimitare un sotto-insieme di interazioni
adeguato allo scopo pu essere tracciato solo in un contesto in
cui le categorie di interno ed esterno hanno un chiaro valore epistemologico. Tolto CD, non resta che MP. Nel contesto delle
mente personali, infatti, la distinzione tra interno ed esterno
ha un valore fondativo, giacch su di essa che basata la nozione di mente personale. Da qui un paradosso e un limite. Il paradosso che lunico candidato ideale a fungere da base di emergenza per MP sia MP stesso, giacch solo nellambito di MP che
il confine pu essere tracciato ed solo grazie a questo confine
che il campo prospettico della soggettivit diviene intellegibile.
Il limite, invece, che, sulla scia di questo paradosso, CD non offre n una base di emergenza adeguata n una cornice epistemologica sufficientemente dettagliata entro cui esaminare questo campo. Le conclusioni pessimistiche, cui si accennava poco
prima, sono cos ancora una volta confermate. Nelle parole di Di
Francesco (2004: 125): Una possibilit piuttosto naturale per
colmare la distanza tra queste due nozioni del mentale potrebbe
essere quella di ritagliare allinterno della mente estesa un sottoinsieme di processi da cui emergerebbe la mente personale. Il
punto per che questo sotto-insieme non pu essere individuato utilizzando lapparato concettuale della mente estesa. Proprio per le ragioni affermate dai suoi sostenitori, questultima
cancella la distinzione tra interno ed esterno. solo a partire
dalla mente personale che sappiamo individuare i confini pertinenti alla nostra distinzione. Ma se cos il modello della mente
estesa da solo non potr fornirci unanalisi esauriente del fenomeno
della soggettivit.21
5.1
Quanto al primo argomento, dalle analisi condotte emerso
chiaramente che tra CD e TCM sussistono affinit strettissime:
CD come sostiene Button (2008) aderisce a un ideale computazionale di mente e legge i comportamenti umani in funzione di
questo ideale. Daltra parte, vi sono aspetti di TCM che sembrano
anticipare aspetti specifici di CD. Il cerchio dei rapporti tra CD
e TCM sembrerebbe cos chiudersi perfettamente su se stesso.
Tuttavia, CD anche il nodo di una rete di programmi di ricerca
che si tradizionalmente costituita in aperta polemica con TCM.
Gli approcci allo studio della cognizione che si ispirano alla teoria qualitativa dei sistemi dinamici (TDM) rappresentano un caso
esemplare di questa tradizione. Entro tale contesto lappeal epistemologico di TCM risulta notevolmente ridimensionato e buona parte dei suoi concetti-cardine sono sottoposti a un lavoro di
. Corsivi miei.
80
5.2
Quanto al secondo argomento, dalle analisi condotte emerso con altrettanta chiarezza che CD e CS non sono programmi di
ricerca equivalenti. Come sostengono Chavalarias (2007) e su
una linea interpretativa analoga Lvy (1997), CS un raffinamento di CD. Esso risulta centrato su comportamenti collettivi
umani che hanno in dotazione propriet irriducibilmente specifiche, ossia propriet non replicabili nel contesto di altri generi
di comportamenti collettivi. Tuttavia, vi un livello al quale queste forme differenti di comportamento sembrano assomigliarsi
moltissimo. Si tratta del livello costituito dai cosiddetti ordini
spontanei: forme di comportamento collettivo che emergono
dalla coordinazione di azioni individuali non intenzionali e che
ritroviamo tanto nei fenomeni sociali umani (per es: i mercati finanziari) quanto nei fenomeni sociali non umani (per es: formicai
e termitai). Alla luce di queste significative convergenze, c da
chiedersi allora fino a che punto i confini che distinguono un programma di ricerca dallaltro siano cos marcati e netti.
5.3
Quanto al terzo e ultimo argomento, dalle analisi condotte
emerso chiaramente che CD non in grado di tener conto di
MP. Come sostiene Di Francesco (2004), CD non offre una base
di emergenza adeguata per MP, giacch impossibile delimitare
nel flusso dinterazioni che essa identifica un sotto-insieme specifico da cui MP potrebbe avere origine. Su questo punto non
ho alcuna questione da sollevare. Mi limito a prenderne atto e
a farne idealmente loggetto di indagine di riflessioni successive. Resta il fatto per che questaspetto problematico, unito alle
osservazioni enucleate nei paragrafi 5.1 e 5.2, conferma quanto
indicato allinizio di questo lavoro: CD resta, nonostante tutto, un
punto di riferimento essenziale per gli attuali dibattiti in scienze
cognitive. E ci vale senzaltro per ciascuna delle questioni qui
brevemente trattate. Dai rapporti tra CD e TCM sino a quelli tra
CD e CS (o CD ed MP), emergono quesiti di grande interesse teorico per i quali per non disponiamo ancora di risposte adeguate
e certe. La formulazione di tali risposte, e il chiarimento preliminare dei domini di indagine correlati, costituiscono, da questo
punto di vista, unoccasione di confronto disciplinare singolare e
preziosa. C da augurarsi allora che le ricerche future procedano
esattamente in questa direzione.
Ringraziamenti
Bibliografia
Angeli, C. (2008). Distributed Cognition: A Framework for Understanding the Role of Computers in Classroom Teaching and
Learning. Journal Of Research On Technology In Education, 40
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81
Abstract
The question whether and to what extent language should be regarded as an innate endowment of the human brain or the result
of (ontogenetically) environmental stimulus and (phylogenetically) historical development is still open. The paper proposes some evidence, strictly linguistic in nature, against the widespread idea that the acquisition of language features from the stimulus available to
the child should be impossible without an innate Universal Grammar working as a Language Acquisition Device already present in the
brain at birth. It also evaluates in a methodological perspective the two main paths of explanation for the presence of linguistic features in our competence, namely their being encoded in a brain module and their being acquired from experience, concluding that - on
epistemological grounds - the latter has to be preferred.
1. Introduction
Well known experimental work4, mainly consisting of longitudinal studies on language acquisition by children, have shown
evidence that language competence ontogenetically progresses along patterns not easily compatible with the presence of a
grammar in the brain at birth. Roughly speaking, children first
manage linguistic expressions which they directly take from the
stimulus they receive, and then they increase such expressions
in variety and length by simple analogy, without having recourse
to grammatical patterns. Grammatical generalizations seem to
appear later.
82
83
13. Cf. Cook & Newson (1996:117), where Morgans argument is presented as valuable evidence.
. An important exposition of exactly the opposite view is in Chafe
(2002).
84
6. Epistemological remarks
It may be objected that our explanations of how the child can
learn from the stimulus those linguistic patterns that are attributed to universal grammar actually go as far as telling how the child
migh well acquire those patterns, but do not demonstrate that the
same patterns do not exist in the brain at birth. In other words,
the Language Acquisition Device may be at work, and actually also
responsible for the acquisition of some features that - if it were not
at work - would be (less easily) acquired only from the stimulus.
In principle this is possible, but it must be stressed that different concurring explanations are not all equally worthy. In particular, the two alternatives considered here can be characterized in
terms of different epistemological legitimacy.
On the one side, the knowledge we have so far of the working of the brain is quantitative rather than qualitative, being
based on imaging techniques such as PET and fMRI, as well as
on the measurements of event related potentials (ERPs) in the
brain, such as (E)LAN, MMN or P600, and the like21. More specifically, what we know is that the brain activates (at best: in certain
. Cf. Gleitman & Wanner (1982: 5-7).
21. Cf. e.g. Moro et al. (2001), 2006), Friederici & Weissenborn (2007),
Friederici, Steinhauer & Pfeifer (2002), Friederici, Schlesewsky & Fiebach
(2008), Crinion et al. (2006).
Innatist approach
Premise:
the acquisition
of a linguistic Environmental approach
feature F
needs explanation
explanation is made in
terms of
a conjectured rule (R),
supposedly present
in the brain of the child
explanation is made in
terms of
inductions (I) from the
stimulus
on the part of the child,
semantic-contextual in
nature
what we have
is an AD HOC
explanation
what we have is a
PROPERLY SAID
explanation
85
mological dignity. This affects the interpretation of any linguistic fact. For instance, in order to explain how children get to
know that the language spoken by their parents has obligatory
Subject, we might search for an explanation in terms of brain organization. Since it is still impossible to establish what could be
in the brain such things as the anatomical/physiological basis for
a grammatical rule, we are compelled to suppose a hypothetical
structure in the brain whose existence makes it explicit to the acquirer that any language must have either obligatory Subject or
not, and that s/he must search confirmation for one of these just
two alternatives in the stimulus. It may be the right guess, but
there is no way to check it independently, by means of specific,
qualitative inquiry of brain phenomena. In sum, the only reason
to think that such a structure exists is that if it exists it may be apt
to explain this aspect of language acquisition. As a consequence,
if such a structure is meant to be an explanation for language
acquisition, it is an ad hoc explanation, circular and tautological
in nature.
Under such conditions, the best we can do may still be to assume a specialized brain module as an explanation for linguistic
facts, but just in case there is no other possible path to get an explanation for those facts. Otherwise, solutions in terms of brain
structure should be regarded as violations of Occams razor, since what they definitely do is creating entia (explicationis) praeter
necessitatem from scratch, in order to account for things that can
be explained in other terms with more connection to empirically
observable facts. For example, the speakers awareness that their
language has obligatory Subjet can be attributed to a mental
capacity which is separately observable in other domains of human consciousness (such as, in this case, the capacity to generalize a pattern from its overwhelming occurrence). This means
having recourse to real and observable facts: as a consequence,
this explanation must be preferred to the ones that consist in ad
hoc stipulations (such as the existence of a dedicated brain structure), and methodologically rules them out.
7. Conclusions
Although we have not directly addressed the problem of
what kind of structures devoted to language should have evolved in the human brain, in section 5 we may have added a little
contribution, specifically linguistic in nature, to the understanding of what those structures may not be. In particular, we have
tried to show that some pretended evidence of the presence of
an innate universal grammar is no evidence at all. Our argument
adds itself to the different ones we have summarized in sections
2-4, in supporting the view of language as a function managed
by more general-purpose brain modules, probably common to
other functions of the mind. In this view24, the brain preconditions for the management of language are not as specific as a
(universal) grammar; the (different) grammars of the languages
are historical products of human civilization, and we acquire
them from our environments because they are not in anyones
brain at birth.
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(pp. 353-376).
. Obviously, it is the view maintained in many different ways, against
Chomskys, by scholars from different disciplines such as, just to cite a
few, Jean Piaget (cf. Piattelli Palmarini (ed.) 1979), Hilary Putnam (cf. Putnam, 1967), Philip Lieberman (cf. Lieberman, 1984; 1991), and many others.
86
87
Dipartimento di Scienze cognitive, della Formazione e degli Studi culturali, Universit di Messina
Abstract
The aim of this paper is reunifying phonetics and phonology, and at a more abstract level, the overcoming of the mind-body problem. By calling some generativist theory into question, it will be argued that the nature of sound is not only acoustic but also articulatory, that is dynamic. To follow such a perspective is to reconsider phonetic and phonological primitives, that is considering that those
primitives are to be searched out of the linguistic domain. In conclusion, this hypothesis asserts that minimal units of linguistic production and perception are not phones or phonemes but articulatory gestures.
Keywords
Articulatory gestures, body, language, mind, phonetics, phonology
Introduzione
Questo articolo intende mettere in luce alcuni aspetti critici
della fonetica e della fonologia tradizionale rispetto alla natura
del suono linguistico. In particolare, lidea che tale approccio,
seppure di indubbia utilit per unanalisi descrittiva del fenomeno lingua, non sia altrettanto adeguato a rendere esplicativamente conto dello sviluppo ontogenetico dei fonemi negli infanti e nei bambini. A partire da questi suggerimenti proporremo di
riconsiderare lidea stessa di suono linguistico: dal suono linguistico inteso quasi esclusivamente come atto acustico, si cercher
di mettere in risalto la natura dinamica del suono. Lo si far attraverso tre approcci alla natura gestuale del suono: la fonologia
articolatoria, il modello di coarticolazione come coproduzione e
la teoria Frame/Content. In conclusione, sottolineare la natura
gestuale e articolatoria del suono un modo per mettere in relazione il piano dellespressione e quello del contenuto. In maniera
pi generale, questo anche un modo per minare il dualismo
mente-corpo, recuperando lunit tra il piano della programmazione e quello dellesecuzione, attraverso lanalisi dei movimenti
articolatori come gesti sovrapponentisi.
1. La fonologia classica
Secondo la categorizzazione in uso dalla fonologia un particolare fonema sia definito dalle relazioni contrastive che esso instaura con gli altri fonemi della lingua a cui appartiene: ad esempio la /t/ di tino un fonema della lingua italiana perch se a /t/
si sostituisce /p/, /l/ o /f/, la parola cambia significato. In effetti,
questa la pi importante caratteristica del fonema messa
in luce da Trubetzkoy (1939) vale a dire il fatto che il fonema
ununit del linguaggio, priva di significato ma che determina differenza di significato, e, ad esempio, /tino/, /pino/, /lino/
o /fino/, in italiano sono parole che si differenziano per un solo
suono ma che hanno significati diversi. Il fonema il correlato
psicologico, la rappresentazione o pi semplicemente lidea, che
sta nella mente dei parlanti-ascoltatori, del suono realmente e
concretamente proferito, ovvero il fono.
Nella visione tradizionale, fono e fonema sono considerate
le unit minime della produzione del linguaggio. Alla stregua
del fonema, anche il fono si definisce sulla base alle differenze
che intrattiene con gli altri foni allinterno del sistema. Tuttavia,
in questo secondo caso, le differenze si basano su unanalisi dei
tratti distintivi. I tratti distintivi sono delle caratteristiche che
qualificano i diversi foni, ad esempio: /p/ una consonante occlusiva (il modo di articolarla, infatti, prevede una stretta tale da
bloccare completamente il passaggio dellaria per un certo periodo di tempo), bilabiale (perch il luogo di produzione sono le
labbra), sorda (perch la vibrazione delle corde vocali assente).
Questo modo di categorizzare i suoni delle lingue, molto utile da
88
un punto di vista descrittivo, ha dominato a lungo nella comunit scientifica da Trubetzkoy, a Jakobson (che insieme a Fant e
Halle, nel 1952 ha stabilito i primi dodici tratti distintivi), a Chomsky (che in collaborazione con Halle, nel 1968, ha esteso a 25 il
numero dei tratti distintivi), solo per citarne i alcuni.
Sebbene questo modo di definire i foni sia di indubbia validit per la categorizzazione degli inventari fonologici tuttavia, dal
nostro punto di vista, la sua utilit resta limitata agli aspetti descrittivi, e non esplicativi, della natura dei suoni. In altre parole, la
nostra idea che la teoria dei tratti sia troppo formale e che non
renda conto della produzione effettiva dei parlanti. Per questo
motivo, la nostra proposta vuole aderire a un approccio che si
presenta in aperta opposizione alla fonetica tradizionale. In pratica, intendiamo assumere un paradigma teorico che si prefigge
di rendere conto, nella spiegazione dei fenomeni articolatori,
non solo delleffetto sonoro dei foni, ma anche dei movimenti
programmati e prodotti nel tempo che gli organi articolatori
compiono per realizzare i suoni delle lingue.
2. Fonetica e fonologia
Lapproccio a cui si intende aderire rappresentato dalla fonologia articolatoria, teorizzata da Browman e Goldstein. Catherine Browman e Louis Goldstein (1986; 1989; 1990a; 1990b; 1992;
1995; Goldstein & Browman, 1986) hanno sostenuto che le unit
minime di parlato non siano foni o fonemi, ma piuttosto dei gesti
articolatori:
a gesture is identified with the formation (and release) of a characteristic constriction within one of the relatively independent articulatory subsystems of the vocal tract [] As actions, gestures have
some intrinsic time associated with them they are characterisations
of movements through space over time [] gestures are the basic
atoms of phonological structures (Browman e Goldstein, 1989, p.
201).
In questa prospettiva, i gesti rappresentano unit naturali, non esclusivamente linguistiche, le quali hanno principalmente tre caratteristiche: (1) sono azioni, quindi sono
dinamiche e non statiche come i foni; (2) non sono neutrali
allarticolazione e allacustica, ma hanno piuttosto una natura
articolatoria; (3) sono unit gestuali potenzialmente sovrapponentisi. Tali gesti possono sovrapporsi perch, come ricorderemo dai paragrafi precedenti, gli organi dellapparato
vocale possono muoversi indipendentemente e contemporaneamente per raggiungere la posizione esatta necessaria alla
realizzazione dei foni.
La fonologia articolatoria ha degli importanti precursori, essa
deriva dalla Teoria della coarticolazione come coproduzione
(Fowler, 1980, 1981) e dalla Teoria motoria della percezione del
parlato (Liberman, Cooper, Shankweiler e Studdert-Kennedy,
89
Tuttavia possiamo andare ancora pi indietro, agli albori della fonetica acustica, per notare come gi Pierre-Jean Rousselot,
considerato il padre della fonetica sperimentale, aveva chiara in
mente limportanza degli aspetti dinamici del suono, nonostante
allepoca (i primi del novecento) non si disponesse ancora di una
strumentazione sofisticata come quella attuale.
Au point de vue physiologique, chaque articulation se divise en
trois actes: la mise en position des organes ou tension, la tenue et
la dtente. En effet, pour produire un son quelconque, lorgane vocale doit quitter un tat indiffrent pour prendre la position voulue,
maintenir celle-ci quelques instants et ensuite labandonner. [] On
croit gnralement que les voyelles correspondent des stations organiques, par opposition aux consonnes qui correspondraient des
mouvements. En dautres termes, les voyelles seraient produites au
seul moment de la tenue. Les tracs montrent ce quil y a dexagr
dans cette doctrine [Les tracs montrent] trs clairement que
la production du son ne concide pas exclusivement avec le moment
de la tenue, et que celleci mme ne peut pas tre dfinie strictement
comme une station organique (Rousselot, P.J., 1924: 334-337).
Labb Rousselot aveva verificato che la produzione del suono non coincide con il momento della tenuta, e che la fase della
tenuta non statica ma dinamica. Suo nipote, Fauste Laclotte
(1899), studiando la realizzazione di unit sillabiche giunge agli
stessi risultati, mostra che se cambia la vocale che segue la consonante, anche la consonante stessa sar prodotta in maniera
diversa. Non solo, Laclotte mostra che linfluenza di una vocale si
estende anche oltre il segmento precedente fino alla vocale che
precede quella consonante. Laclotte non definisce questo fenomeno coarticolazione, perch il termine allepoca non esisteva
sar coniato solo nel 1933 da due linguisti tedeschi, Menzerath
e de Lacerda; al contrario, considera tale fenomeno un caso di armonia vocalica (attualmente il termine coarticolazione si utilizza
per processi fonetici di base, quasi sempre impercettibili senza
unadeguata strumentazione, mentre larmonia vocalica si situa
al livello fonologico).
Ma non forse propria della natura del suono la dinamicit?
La fisica acustica ci insegna che per avere un suono sono necessarie tre condizioni, vale a dire: (1) la perturbazione prodotta da
una sorgente elastica, dunque in grado di emettere vibrazioni
(in altre parole movimenti), (2) la trasmissione di tali vibrazioni
attraverso un mezzo elastico, (3) la ricezione delle vibrazioni da
parte di un corpo elastico. In pratica, il suono si propaga solo attraversi corpi in grado di vibrare, ci significa che il movimento
indispensabile al suono. Dunque, non possibile pensare a gesto e suono come a una dicotomia perch il suono una forma
particolare di gesto.
Finora abbiamo considerato limportanza dei fattori motori nella produzione. Tuttavia la produzione solo uno dei due
aspetti in gioco nel parlato, laltro fondamentale aspetto la percezione. La domanda a cui vogliamo rispondere la seguente:
quanto contano gli aspetti motori nella percezione dei suoni? Un
buon punto di partenza la teoria motoria della percezione del
parlato di Alvin Liberman e colleghi (1967, 1985). Secondo Liber-
90
man una percezione tanto veloce di suoni, quale quella umana (nel parlato veloce si pu arrivare fino a circa 20/30 fonemi al
secondo), permessa dal fatto che i gesti articolatori che compongono i fonemi possono avere una durata anche pi lunga dei
suoni stessi, in questo senso la percezione non si basa sui foni ma
sui gesti che compongono i foni, in altri termini, il meccanismo
percettivo funziona a bassa velocit e tuttavia riesce ad avere
una performance ad alta velocit. Nellipotesi di Liberman la percezione, dunque, non solo non esclusivamente acustica, ma ha
anche una forte componente gestuale: la percezione possibile
perch vi una sorta di identit tra il sistema che produce e il
sistema che percepisce. In sostanza, la comprensione (al livello di
percezione) di unespressione linguistica in un individuo elaborata dallo stesso meccanismo che produce il parlato in quellindividuo. Questo tipo di comprensione motoria che Liberman
ipotizza ha trovato conferma scientifica in tempi recenti, grazie
alla scoperta dei neuroni specchio (Rizzolatti & Sinigaglia, 2006).
Un secondo caso che vogliamo illustrare in favore dellimportanza degli aspetti motori nella percezione un esperimento
pubblicato su Nature nel 1976 da Harry McGurk e John MacDonald. I due linguisti americani avevano filmato un soggetto che
pronunciava la sillaba /ga/, a questo video avevano inserito
laudio della sillaba /ba/. Sottoponendo il video a un gruppo di
parlanti, essi osservarono che ci che la maggioranza dei parlanti sentiva non era n /ba/, n /ga/, ma piuttosto /da/ (McGurk e
MacDonald, 1976). Tale effetto, che prende il nome da uno dei
due sperimentatori, detto effetto McGurk e mostra che la percezione multimodale. In altre parole, il nostro sistema percettivo integra le informazioni appartenenti a diversi sistemi sensoriali. Lo stesso esperimento stato in seguito replicato con una
variante: questa volta, la voce e il video appartenevano a soggetti di sesso opposto. Leffetto McGurk si rivelato valido anche
in questo caso, difatti, ci che veniva percepito era il risultato
congiunto dello stimolo visivo e dello stimolo uditivo, sebbene
i soggetti avessero riconosciuto che la voce apparteneva ad un
individuo di sesso opposto rispetto a quello del viso che avevano
visto (Green, Kuhl, Meltzoff e Stevens, 1991).
3. Evidenze ontogenetiche
Chiamare in causa elementi come i gesti articolatori fondamentale per qualunque lavoro sulla produzione verbale che
intenda descrivere lo sviluppo ontogenetico delle abilit vocali.
I gesti non sono entit esclusivamente linguistiche, ma esistono
prima e indipendentemente dal linguaggio. In questo senso, si
possono prestare bene a fare da ponte tra il prelinguaggio e il
linguaggio. Un primo modo per mettere alla prova la fonologia
gestuale , allora, quello di vedere come essa spiega i processi
coarticolatori di sviluppo della vocalit nei bambini.
In questo ambito di studi un dato piuttosto condiviso quello secondo cui il parlato dei bambini ha una variabilit pi alta
rispetto a quello degli adulti. A tale dato, tuttavia, si offrono
spiegazioni molto diverse a seconda delle ipotesi teoriche a cui
i ricercatori aderiscono. Le teorie che si oppongono sono essenzialmente due: la prima, avanzata da Kent (1983) e Katz, Kripke
e Tallal (1991) (in linea con la Standard Theory chomskiana che
assume come unit distintive i segmenti e i tratti distintivi), laltra
sostenuta da Nittrouer, Whalen (1989) e Nittrouer, StuddertKennedy e McGowan (1989) in linea con la fonologia articolatoria.
Secondo i primi, i bambini hanno la tendenza a produrre un parlato pi segmentato rispetto agli adulti. Ci sarebbe dovuto al
fatto che labilit motoria per la produzione di sequenze sonore
ordinate serialmente viene acquisita prima della coordinazione
temporale. Si ipotizza, allora, che il bimbo acquisti dapprima la
padronanza articolatoria del segmento e, successivamente, la
capacit di adattarlo al contesto, in pratica, le unit invarianti si
adattano progressivamente al contesto variabile. Secondo tali
autori lestensione della coarticolazione negli adulti comparabile a quella osservata nei bimbi, la differenza sta soprattutto
4. Conclusioni
Riepilogando, abbiamo mostrato come gli approcci formali e astratti alla fonetica e alla fonologia, mettendo da parte la
temporizzazione e di conseguenza gli atti necessari alla produzione articolata sebbene utili da un punto di vista descrittivo,
appaiano deboli e poco proficui da un punto di vista esplicativo.
A nostro avviso, necessario recuperare un approccio gestuale per superare la dicotomia tra piano dellespressione e piano
della programmazione in altre parole tra fonetica e fonologia
che si traduce a livello teorico in un dualismo mente-corpo.
91
92
Dipartimento di Scienze cognitive, della Formazione e degli Studi culturali, Universit di Messina
Abstract
The warning coming from Chomskys lesson on language is that any philosophical investigation about the nature of mind must be
constrained in terms of psychological plausibility. Specifically in Chomskys model of language findings from learning theory led
to posit the existence of an innate and domain-specific biological organ for language acquisition, the Universal Grammar. However
when the question of the evolutionary plausibility is introduced as a further constraint, the hypothesis of Universal Grammar does not
seem so satisfactory. As it is shown in contemporary debate, Universal Grammars hypothesis seems implausible just from a biological
and evolutionary point of view. More broadly, scholars argue that by taking an evolutionary perspective, the assumption of a domainspecific Universal Grammar become superfluous and that language and language acquisition, rather than being a product of a biological organ, is a result of repeated cycles of cultural learning. The main aim of this paper is to discuss this conclusion and to analyze the
implication of this viewpoint on the nature of language. While we support the attempt to bind the problem of language acquisition
to an evolutionary perspective, we claim that considerations on the cultural nature of language are by no means conclusive. Further
arguments and evidences need to be found.
Keywords
Language Theories, Psychological Plausibility, Evolutionary Plausibility, Universal Grammar, Language Acquisition
93
2. Dilemma linguistico
Pur sostenendo la tesi che il linguaggio sia un componente
innato della mente-cervello, Chomsky non si impegna a sostenere che il linguaggio sia un adattamento biologico. Ci che
rende incompatibile la grammatica generativa con la teoria
dellevoluzione , secondo Chomsky (1988), la complessit della
GU. Riaprendo il dibattito su questo tema, Pinker e Bloom (1990)
hanno insistito sullo stretto legame tra complessit adattiva e
teoria dellevoluzione per selezione naturale, giustificando la
conclusione che anche la GU, proprio perch complessa, possa
essere considerata un adattamento biologico modellato dalla selezione naturale ai fini della comunicazione (Pinker, 1994,
2003).
La legittimit della darwinizzazione di Chomsky portata
avanti da Pinker e Bloom (1990) deve tuttavia essere valutata
prendendo in considerazione due aspetti differenti. Laspetto
convincente dellargomento che il riferimento alla complessit
della GU non possa essere utilizzato per motivare il rifiuto di una
spiegazione gradualista basata sul meccanismo della selezione
naturale; per spiegare la complessit adattiva che caratterizza
gli oggetti biologici non possiamo che chiamare in causa la selezione naturale (Dawkins, 1986). A tale riguardo, non casuale
che Chomsky (2010) abbia recentemente tentato di fare a meno
della complessit della GU. A dispetto degli esiti per nulla convincenti e comunque ancora troppo compromettenti sul piano
della plausibilit evolutiva (Kinsella, Marcus, 2009; Rossi, 2012),
unoperazione di questo tipo rappresenterebbe comunque una
vittoria pirrica: per un modello che per rispondere al problema
dellacquisizione del linguaggio ha fatto perno sulla complessit
della GU, rinunciare alla complessit della GU sarebbe come rinunciare alla GU stessa, vale a dire fare a meno del nucleo teorico
fondante del generativismo.
Laltro aspetto della questione capire se, pi nello specifico,
il modello della GU sia incompatibile con levoluzione per selezione naturale per problemi di altra natura che toccano la questione della complessit soltanto indirettamente e che hanno
piuttosto a che fare con delle assunzioni compromettenti dal
punto di vista evolutivo sulla natura del linguaggio e della GU
(Ferretti, 2010; Kinsella, 2006; Rossi, 2012). Puntando su questo
secondo aspetto, Christiansen, Chater (2008) sferrano un duro
attacco allidea che esista un meccanismo specializzato come
la GU. Tra le giustificazioni pi convincenti che scoraggiano lipotesi dellevoluzione di strutture specifiche per il linguaggio
fondate su principi astratti e arbitrari, i due autori propongono
un argomento che punta sulla tensione tra la tesi del linguaggio
come adattamento biologico e ladozione di un approccio funzionalista per spiegarne levoluzione. Gli adattamenti sono sempre selezionati perch funzionali per un ambiente locale; ma gli
94
3. Dilemma darwiniano
Rifiutando di caratterizzare il linguaggio naturale in analogia
coi linguaggi formali della matematica e della logica proposizionale, la tesi prevalente nei modelli funzionali che il linguaggio
sia soggetto a una evoluzione storico-culturale e sia, pertanto,
un adattamento di natura culturale: non il cervello che si
adattato al linguaggio, bens il linguaggio che si adattato al
cervello sfruttando sistemi cognitivi e meccanismi di apprendimento gi presenti.
Lipotesi della natura culturale del linguaggio poggia sostanzialmente su due capisaldi teorici: (1) una prospettiva organicistica sul linguaggio e (2) una concezione dellapprendimento del
linguaggio basata sulla semplicit duso da parte degli utenti. In
entrambi i casi, il peso dellargomento scaricato sulla centralit
teorica attribuita alla dimensione del cambiamento linguistico.
Per quanto riguarda la prospettiva organicistica, dallidea che
il linguaggio e soprattutto le lingue siano del tutto simili a degli
organismi possibile derivare il parallelismo tra cambiamento
biologico e cambiamento linguistico. Laltra evoluzione per
dirla con Deacon (1997: 91) quella delle lingue intese come
virus, parassiti benefici, organismi viventi (Christiansen, 1994).
Da questo punto di vista, il cambiamento linguistico pu essere
considerato eccola lanalogia con il cambiamento biologico
alla stregua di un processo evolutivo basato su meccanismi culturali di replicazione e di variazione. Scrivono Christiansen e Chater: Historical processes of language change provide a model
of language evolution: indeed, historical language change may
be language evolution in microcosm (2008: 503).
Discutere la questione del cambiamento linguistico in questi
termini ha senso soltanto allinterno di una prospettiva in cui occuparsi dellevoluzione del linguaggio significa sostanzialmente
occuparsi dellevoluzione delle lingue. sulla legittimit di questo passaggio argomentativo che si gioca la partita sulla natura biologica o culturale del linguaggio. In effetti, Christiansen e
Chater (2008) insistono proprio su questo tema per scongiurare lipotesi che il linguaggio possa essere lesito di un processo
di evoluzione per selezione naturale: The rapidity of language
change and the geographical dispersal of humanity suggests
that biological adaptation to language is negligible (ivi, p. 503).
La rapidit del cambiamento linguistico , in altri termini, il fattore determinante nello sbilanciare il processo di adattamento a
vantaggio dellevoluzione culturale.
Il secondo corno del problema tocca la relazione tra cambiamento linguistico e teoria dellapprendimento. Ci sono almeno
due ragioni per cui questi autori devono investire parecchie risorse argomentative sul piano della teoria dellapprendimento.
La prima ragione da prendere in considerazione, come abbiamo
gi specificato nel paragrafo iniziale di questo lavoro, che il piano dellacquisizione rappresenta storicamente il punto di forza
dei modelli formali: quando si deve dar conto di come sia possibile per il bambino acquisire sistemi linguistici cos complessi, il
riferimento a una competenza innata specifica per il linguaggio
sembra inevitabile. La seconda ragione deriva direttamente da
un presupposto interno al modello del linguaggio proposto dai
funzionalisti e sul quale si fonda, in ultima analisi, la critica allipotesi formale: concettualizzare levoluzione del linguaggio come
una dinamica sociale evoluzionistica delle lingue sposta automaticamente il carico esplicativo sulle condizioni socio-culturali
esterne alle menti dei parlanti o, in altri termini, su un modello
dellacquisizione basato pesantemente sullapprendimento pi
A causa del cambiamento linguistico continuo, sembra necessario adottare una concezione radicalmente differente dellapprendimento. In effetti, la relazione tra cambiamento linguistico
e processi di apprendimento risulta del tutto invertita rispetto al
modello chomskiano: la continua variabilit delle lingue vincola
il tipo di processi di apprendimento cui necessario far riferimento per dar conto dellacquisizione e dellevoluzione storica
delle lingue. Insistendo sulla stretta relazione tra processi che
sottostanno allacquisizione, alluso e al cambiamento linguistico, il tentativo di mostrare che la tesi della natura culturale del
linguaggio sia sostenibile soprattutto quando si disposti ad affrontare la questione della plausibilit psicologica del modello di
acquisizione chiamato in causa unitamente alla questione della
plausibilit evolutiva. Su questo piano argomentativo, lobiettivo
di fondo di Chater e Christiansen (2010) mostrare che adottando una prospettiva evolutiva sul cambiamento linguistico si
possa anche restringere il ventaglio delle teorie sullacquisizione
a nostra disposizione. In un quadro di questo tipo, una qualche
forma di GU non ha pi ragione di essere presupposta.
La sfida riuscire a mostrare che la complessit del linguaggio
soltanto il prodotto di processi di trasmissione storico-culturali
che rendono le strutture linguistiche in continuo movimento,
e cio soggette incessantemente alla contingenza del cambiamento. Ovviamente, intendere in questo senso la complessit ha
profonde ricadute anche a livello dei meccanismi cognitivi sottostanti che ne stanno alla base. Non necessario chiamare in causa principi astratti specifici, basta il riferimento a semplici principi
dominio generali per spiegare al contempo lemergenza, levoluzione e lapprendimento delle strutture portanti delle lingue. In
questo senso, il processo di complicazione del codice espressivo
guidato da un processo di grammaticalizzazione che agisce
sulla dimensione storica delle lingue (Hopper, Traugott, 2003).
Nello spazio concettuale delle ipotesi sul linguaggio laltra
faccia del dilemma linguistico il dilemma darwiniano: una
prospettiva funzionalista ed evolutivamente orientata sembra
obbligare una conclusione culturalista sulla natura del linguaggio; i modelli che sembrano guadagnare terreno sul piano della
plausibilit evolutiva spostano il linguaggio fuori dallazione della selezione naturale. Eppure
95
struttura linguistica; a questo livello di analisi lorigine (culturale) della struttura linguistica loggetto di tutta la riflessione.
Our concern [] is exclusively with the situation that we hypothesize to have characterized early language, when these processes took
place for the first time, that is, when there were, for example, verb but
no auxiliaries hence, when human language was less complex than
it is today. On the basis of this hypothesis, we see no reason to adopt
assumption U2 (Heine, Kuteva, 2007: 32).
possibile mettere in discussione questa posizione? Lessere apprendibile e la trasmissibilit sono propriet dimportanza
fondamentale, soprattutto per garantire la sopravvivenza del
codice espressivo nelle prime fasi dellevoluzione del linguaggio.
Il punto in questione capire se, a partire da queste considerazioni, sia obbligatorio guardare al linguaggio e alla grammatica
come al prodotto di cambiamenti linguistici ripetuti basati su
processi di apprendimento culturali. Unassunzione implicita
dietro a questo discorso che i meccanismi di apprendimento
nella filogenesi siano del tutto simili a quelli che regolano tanto
levoluzione storica delle lingue quanto lapprendimento del linguaggio nellontogenesi. Come precisano Beckner et al. (2009):
Given that grammaticalization can be detected as ongoing
in all languages at all times, it is reasonable to assume that the
original source of grammar in human language was precisely
this process: As soon as humans were able to string two words
together, the potential for the development of grammar exists,
with no further mechanisms other than sequential processing,
categorization, conventionalization, and inference-making
(Beckner et al., 2009:8).
Ancora una volta, il presupposto di questa considerazione,
spesso sottaciuto nella letteratura funzionalista, la tesi delluniformitarianismo del cambiamento linguistico che sta alla base
dellidentificazione tra evoluzione storica delle lingue ed evoluzione del linguaggio. Tuttavia, questa tesi pu essere considerata
valida soltanto a patto di equiparare o identificare tre processi
filogenetici, glottogenetici (o storici), ontogenetici che, per
quanto interdipendenti, sono solitamente mantenuti distinti.
The explanatory role of glossogeny commenta Fitch (2008)
is complementary to, not in competition with, that of biological
evolution (ivi, p. 522). Quanto meno, lidentificazione tra questi
processi non pu essere data per scontata (Argyropoulos, 2010).
Sostenere che alla base della glottogenesi, dellontogenesi
e della filogenesi debbano essere collocati processi differenti
ha ripercussioni interessanti sulla questione della tipologia dei
cambiamenti linguistici e, di conseguenza, sui meccanismi di apprendimento che ne stanno alla base. Dal nostro punto di vista
possibile mantenere la distinzione tra questi processi; se cos fosse, sarebbe possibile mettere in discussione luniformitarianismo
anche sul piano dei cambiamenti linguistici.
Unindicazione che va in questa direzione, arriva proprio dagli studi sullacquisizione del linguaggio. Come mostra un lavoro
di Diessel (in press), un parallelismo stretto tra processi storici e
processi ontogenetici sembra non funzionare: meccanismi di apprendimento differenti potrebbero regolare diverse tipologie di
cambiamenti linguistici. Pertanto lidentificazione tra evoluzione
del linguaggio ed evoluzione storica delle lingue non pu pi
essere presupposta.
4. Conclusioni
La questione della natura del linguaggio deve essere affrontata affiancando al vincolo della plausibilit psicologica quello
della plausibilit evolutiva. Il tentativo di vincolare sul piano evolutivo i modelli dellacquisizione del linguaggio ci sembra una
mossa ampiamente condivisibile. A non convincerci invece,
lipotesi specifica sulla natura culturale del linguaggio avanzata
96
97
Abstract
We are capable of imitating movements, gestures, actions, skills, behaviors, pantomimes, sounds, vocalizations, speech, emotions
and we have particular imitation system in the brain, the mirror neurons, their properties indicate that they represent a mechanism
that areas onto their motor counterpart. This matching mechanism may underlie a variety of functions that the first and sound are
emulation, imitation and understanding of intentionality. The researches say that society is not formed by autonomous unit, but by
relations. In the 20th century, social scientists and philosophers began to study how and why people imitate actions, emotions and
processes how the ideas come up because is necessary to explain how human society come up and how people related to each other
through persistent relations. The consequences of this mechanism is that responsibility have to became the centre of the reflection.
Keywords
Imitation, mimic, mirror neurons, motor system, learning
Aristotele riassume cos gli elementi salienti che caratterizzano lorigine e il perch dellimitazione. Per imitare bisogna sapere che cosa, da chi, come, quando e perch imitare e soprattutto
individuare lorigine della facolt di saper copiare, in che cosa
consiste e a che cosa serve. Per strade diverse a questa abilit
sono stati connessi termini come emulazione, mimesi, mimica e,
ovviamente, imitazione. Per molti versi sul termine imitare, che il
dizionario considera sinonimo di copiare, a livello accademico
in corso una vera e propria contesa, a colpi di nuove definizioni e
introduzioni quotidiane di nuovi livelli.
Molti studiosi evoluzionisti attuano per una netta distinzione fra emulazione (Romanes, 18831; Vallortigara, 2000), la capacit di copiare in modo approssimativo poich non se ne comprende la finalit - il senso - , e imitazione, la facolt di copiare
dettagliatamente. In questultimo caso si tratterebbe della perizia di ricopiare la struttura organizzativa di un comportamento, il
che porterebbe con s una comprensione analitica del processo
di ci che vale la pena copiare e un raffinato intendimento della
finalit dellatto imitativo. Infatti, se dichiariamo che una persona
tenta di emularne unaltra pensiamo che la prima tenta di copiare la seconda, ma non che riesce a eguagliarla. Questa distinzione trova fondamento scientifico in molti lavori fra cui quelli
di Deborah Custance (1996) dellUniversit di Londra, che sulla
scia delle considerazioni dellantropologo Marcel Jousse sul mimismo (1974; 1975), ha misurato labilit di copiare di diverse
specie di scimmie e quella dei bambini da uno a tre anni e ha
quantificato che, in media in un gesto ripetuto, la precisione in
questi primati rispetto alluomo circa il 40 per cento inferiore.
Ed questa difformit relativa alla precisione che fa s che molti
etologi sostengano che quello che chiamiamo imitazione per gli
esseri umani in realt emulazione nel caso dei primati diversi
dalluomo2 e nei bambini al di sotto dellanno di et.
1. John George Romanes, discepolo di Charles Darwin, individua lesistenza di una sorta di scala della facolt imitativa fra animali e umani,
costruita sulla base della complessit e della precisione, sia per quanto
riguarda gli oggetti fisici, sia per quanto concerne i soggetti.
2. Negli animali, le forme base di inganno involontario sono dette mimicry, termine con il quale di solito si intende lemulazione di modelli pericolosi per mezzo di una mimica innocua fatta di segnali visivi o uditivi, o di
odori sgradevoli, allo scopo di ingannare i predatori.
98
Lemulazione per poter avvenire deve comunque essere supportata da due condizioni: la capacit di riproduzione di atti che
diano vita tecnicamente a oggetti simili o a gesti approssimativamente equivalenti e dalla capacit osservazionale circa le propriet degli oggetti e dei soggetti e dei potenziali rapporti fra di
loro e fra le componenti che li costituiscono3.
Storicamente, limitazione spesso stata proposta come un
meccanismo o il meccanismo centrale di mediazione culturale
per spiegare, da un lato, le origini e i processi di trasmissione,
dallaltro la stabilizzazione dei fenomeni culturali, sia nelle specie
animali, sia in popolazioni umane con specifiche tradizioni comportamentali, o a fronte di fenomeni di massa come i processi e
le modalit di consumo.
Come si crea la corrispondenza tra latto motorio altrui e quello originario, cio come si fa, per esempio, a imitare un tuffo come
quello eseguito da una nuotatrice provetta?; oppure come si fa
a essere tristi ogni volta che si vede qualcuno triste?; o ancora
come si fa a provare il dolore quando si vede qualcuno che soffre
per un dolore fisico? In fondo si tratta di comportamenti perlopi
acquisiti senza riflettere. A questo quesito se ne aggiunge uno di
natura contigua e parallela: com possibile replicare un gesto
osservato, fare qualcosa che si visto fare ma non si mai fatto prima? Come avviene la trasmissione di competenze motorie
da un individuo che le possiede gi a un altro a cui non appartengono? Riprodurre per la prima volta atti concerne aspetti e
movimenti nuovi e coordinati, il che implica lindividuazione di
soluzioni, che probabilmente i soggetti stessi sono sul punto di
scoprire autonomamente, ma che losservazione dellesecuzione
da parte di altri rappresenta lultimo anello che ne consente la
riproduzione. Perlopi questo avviene o percependo latto altrui
o seguendo istruzioni vocali.
Affinch possa esservi imitazione, una coemergenza psicofisica, due soggetti devono contestualmente possedere lidentico
corredo motorio e un medesimo pattern neurale; infatti necessario che non appena un soggetto vede compiere un atto si attivano in lui i suoi neuroni motori che governano i muscoli degli
arti coinvolti nellatto percepito, consapevolmente o inconsapevolmente. Questa corrispondenza neurale governata dal sistema specchio (Rizzolatti, Sinigaglia, 2006), che nel momento in
cui si sta osservando un atto responsabile della segmentazione
dellatto osservato e dei singoli elementi da cui esso composto.
Se ad esempio linsegnante di pianoforte esegue un accordo che
lallievo non ha mai compiuto, pressoch fuor di dubbio che,
salvo un deficit stabile o temporaneo allarto, lallievo in grado
di muovere le dita della mano con le stesse modalit con cui lo fa
linsegnante; se egli inarca le dita e allunga il mignolo per concludere laccordo, chiaro che questo movimento delle dita sar dal
discepolo facilmente ripetibile, anche se dopo molto esercizio.
Ogni atto motorio composto di pi atti diversificati che congiunti portano alla fluidit del movimento che ognuno esegue
o vede eseguire. In colui che deve apprendere inizia cos un processo neurale volto alla frammentazione di questo atto continuo
nei suoi singoli atti, appartenenti tutti anche al suo patrimonio
motorio. Successivamente, lo stesso processo neurale che ha
dato inizio al frazionamento di ci che viene percepito, avvia un
procedimento inverso volto alla ricostruzione, al riassemblamento dei singoli atti motori in un avvicendamento adeguato affinch latto che deve essere eseguito si approssimi verosimilmente
a quello osservato. Questo processo avviene sia che latto sia solo
percepito, sia che esso venga effettivamente eseguito, infatti
non tutti gli atti percepiti vengono riprodotti, anche se vengono
sempre internamente copiati.
Il fatto di copiare internamente latto osservato non implica
quindi che noi ripetiamo effettivamente ogni atto che osserviamo dato che entra in gioco perlopi un meccanismo di inibizione
(Baldissera et al.,2001; Ramachandran, 2011)4, che blocca il passaggio dallazione potenziale a quella reale, bench la potenzialit evocata consenta di rilevare comunque unattivazione dei
muscoli corrispondenti. Ogni nuovo atto prospettato deve fare
necessariamente riferimento a schemi di movimento gi posseduti, cosicch conoscere un atto significa riconoscerlo, ricollegarlo
a un atto simile che si trova o gi in potenza eseguibile o gi nella
memoria; esso viene dunque solamente riletto e se rieseguito,
riscritto. Cera una traccia e la traccia viene approfondita e raffinata e, probabilmente, leggermente variata. I circuiti neuronali
cos modellati creano una sorta di calco che fa s che i nostri movimenti nel tempo divengano automatici, fluidi e naturali.
Lapprendimento e la fluida effettuazione degli atti richiede
tempo, attenzione e costanza e il risultato del processo imitati4. Si tratterebbe di uninibizione a livello spinale. Si basa su questa dinamica lallenamento ideomotorio, cio lallenamento mentale utilizzato
dagli atleti per prendere sempre maggiore familiarit con lesercizio da
eseguire.
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vo, esogeno o endogeno, tanto pi efficace quanto pi il grado di attenzione, analisi, applicazione e riproduzione intenso.
Pertanto vedere, guardare e notare sono atti contigui ma non
identici. Se vuoi vedere, guarda. Se puoi guardare, osserva (Kay
Kaus Ibn Iskandar, 1981), lesortazione al prestare attenzione,
allavere occhio, al vedere come, al vedere cosa, al saper vedere,
ad attuare il passaggio da un vedere che passivo e convergente
al guardare che attivo e irradiante, al notare che la presenza
piena di noi stessi al contesto. Losservare, il notare i dettagli e le
sfumature a sua volta un esercizio, il frutto di una riscrittura
frequente di un processo che mnesticamente si consolida, il consolidarsi dellabitudine allessere attenti, cosicch da eccezionale
il notare diventa normale e fluido e facilita la qualit dei processi
imitativi.
Il sistema specchio in realt non si attiva in base alla codifica
e alla decodifica di singoli atti, ma alla loro natura teleologica,
per cui lapprendimento imitativo, che in questo quadro si configura fondato sullimitazione incarnata, risulta poco efficace se
allesecuzione di un atto o peggio ancora di singoli movimenti o
di singoli gesti non se ne identifica la finalit. Inoltre, gli obiettivi
perseguibili dipendono da un contesto (Schwarz, 2010), lambito
che consente la significazione dellagire e della consapevolezza
del suo effetto. possibile apprendere un gesto, un atto, un movimento, pi o meno complesso, per semplice percezione, cio
per semplice esposizione allo stimolo, unicamente perch ne
viene intesa la finalizzazione e quindi lintenzione: io so gi quello
che tu stai per fare e sono in grado di prevedere il fine cui tende
il tuo gesto e questo perch sono io stesso in grado di identificarne lobiettivo, lo scopo o la motivazione (Turri, 2012). Tutto
ci significa che il percettore possiede un vero e proprio meccanismo di previsione che gli permette di essere proiettato anticipatamente verso lesito dellatto motorio che sta percependo.
Il contesto in cui si svolge latto suggerisce con pi forza quale
quello che con maggiore probabilit si dimostrer vero e se
poi un individuo conosce il comportamento consueto adottato
dallaltro individuo, labitudine, dato il particolare contesto in cui
si vede svolgere lazione, sar naturale che inizialmente questi
presupponga lesito motorio che solitamente conclude latto in
quel contesto di quellindividuo. Qualora per si capisse che la
persona porter a termine diversamente il gesto motorio, non
preclusa la facolt di correggere immediatamente lintuizione
del fine cui il suo gesto tende. Di conseguenza, in base al diverso tipo di movimento che si vede fare, si pu ugualmente con
facilit comprenderne la finalit. Nel caso in cui latto motorio
osservato faccia gi parte delle competenze motorie dellindividuo che osserva, come saper nuotare, avviene unattivazione dei
neuroni specchio ancora pi marcata, perch ci che percepito
risulta essere familiare e quindi saldamente inscritto nel patrimonio motorio dellosservatore.
Il sistema specchio quindi in grado di selezionare sia il tipo di
atto, sia la sequenza dei movimenti che lo compongono e si attiva
anche nel caso di atti mimati, cio nelle pantomime che non richiedono una effettiva interazione fisica con oggetti, o nel caso di
gesti intransitivi, cio quei gesti che sono privi di un correlato oggettuale come quando per esempio si alza un braccio o lo si agita
e quindi questa tipologia di neuroni si attiva sia durante la visione
di un atto motorio visto, sia durante la messa in opera in prima
persona dello stesso atto, sia negli atti comunicativi oro facciali.
Ma c di pi. In una ricerca stato chiesto a due soggetti
di sincronizzare il tamburellare delle loro dita su una scrivania:
si sincronizzavano con maggior precisione senza utilizzare un
metronomo rispetto a quando stato loro chiesto di usarlo (Levintin, 2008:47). Ci potrebbe sembrare controintuitivo, giacch
un metronomo ha un battito molto pi regolare, e quindi pi
prevedibile. Tuttavia lesperimento ha dimostrato che gli esseri
umani si adattano alla reciproca performance, in un processo di
coadattamento. In pratica interagiscono tra loro, ma non con il
metronomo, dal che evidente che fra due oggetti con sistema
motorio e la presenza di uno privo di sistema motorio assiologicamente prevale la relazione fra i primi.
Pertanto apprendere per imitazione un processo complesso, correlato allobiettivo da perseguire, carico di significazione
e che privilegia lefficacia e la funzione alla forma, dove questa
la conseguenza di quella. Quindi per imitare necessario che
lorganismo abbia la capacit di costruire strutture gerarchiche di
atti, con una competenza pi generale di comprenderne le conseguenze e che per essere qualitativamente raffinato richiede
attenzione ed esercizio.
Nellatto dellimitare il soggetto imitante essendo il suo movimento appartenente al proprio patrimonio motorio potenziale,
sar logica conseguenza che il suo personale approccio allatto
sar per certi versi dissimile da quello di colui che imitato, e da
ci dipender la differente interpretazione ed esecuzione di uno
stesso atto. Essendo il suo movimento, appartenente al suo patrimonio motorio, sar logica conseguenza che il suo atto sar per
certi versi dissimile da quello del soggetto imitato e anche da ci
dipender la differenza di stile; aspetto facilmente riscontrabile
osservando sia chi pratica uno sport sia chi suona uno strumento
musicale.
Possiamo imitare gli atti altrui, perch il nostro corpo riflette in tempo reale, per dir cos, quello della persona che stiamo
percependo, permettendo cos una sorta di comunicazione non
linguistica fra corpi, il che fa s che limitazione sia ben al di l di
un atto meccanico, poich non rispecchia lo schema rigido del
se deve, ma riproduce le procedure di sviluppo della biologia,
racchiuse nella formula se allora. C di pi: se quel che fai tu
simile a quel che faccio o potrei fare io, allora io sono in qualche
modo te, simile a te e tu a me. Ma io sono immediatamente e ancor pi con il passare del tempo diverso da te perch attivo unimitazione di te con il mio stile personale, la mia haecceitas, cio
per molti versi mentre copio interpreto. Pertanto limitazione non
necessariamente un processo passivo e depersonalizzante, ma
piuttosto di unattivit potentemente creativa.
Possiamo quindi affermare che limitazione una raffinata
impresa cognitiva, in primo luogo embodied e perlopi inconsapevole, e solo successivamente o secondariamente riflessiva
(intellective) e volontaria (Turri, 2012). Un esempio di imitazione
riflessiva e volontaria sia ha per esempio quando per realizzare
delle performance in coppia, come nel caso del nuoto sincrono,
le atlete si copiano vicendevolmente nel dettaglio di ogni singolo movimento in modo da coordinarne ciascuno gesto con quello dellaltra, spesso sulla base delle istruzioni di un allenatore.
Per copiare bene bisogna sapere che cosa, da chi, come, quando e perch copiare, e poi trovare un linguaggio proprio, realizzando cos unimitazione che incorpora lo stile personale e per
fare questo, salvo rari casi, ci vuole molto tempo, esercizio, attenzione, riflessione su di s e sugli altri. Copiare, riscrivere quello
che fa un altro, , se ci pensiamo bene, la forma principale e iniziale di apprendimento per tutti noi. Il copiatore ha necessit di
uno sperimentatore da copiare, ma una societ di copiatori senza stile personale si avvierebbe inesorabilmente alla decadenza.
Persino gli amanuensi medioevali, che non facevano altro che
copiare, nel riprodurre hanno compiuto trascrizioni non fedeli e
per questo foriere di innovazioni che hanno dato vita a lunghi
dibattiti in ambito ermeneutico.
100
quale il filosofo stagirita assegna autonomia sia al processo mimetico inteso come attivit ed esperienza estetica fondamentale,
sia al mthos come suo prodotto. Da allora questo termine non
mai scomparso dal pensiero filosofico in generale e soprattutto
dallestetica. Infatti, se esiste un termine nella tradizione artistica
che risulta inflazionato questo proprio mimesi, tanto che le ambiguit connesse con il termine mimica, al confronto, sono poca
cosa. Nella cultura occidentale lorigine del termine mimesi sicuramente ascrivibile alle ragioni che sono state indicate da Eric
Havelock (1963), secondo il quale la filosofia nasce quando la
scrittura sorge e si sostituisce alla comunicazione orale6, quando
cio alle regole della rappresentazione teatrale, in cui trionfa la
mimesi, interviene appunto la scrittura.
Il termine mimica non risolve il problema di una polisemia di
significati, ma indubbiamente li circoscrive allindividuo e al suo
agire con il corpo, in quanto possiede qualcosa di cui il termine
mimesi non invece dotato: il riferimento costante e irrinunciabile alla fisicit. La stessa parola mimica indica unassunzione
della nostra postura speculare a quella di chi ci di fronte, quando mimiamo gli stessi gesti, come in una danza non verbale.
il corpo il veicolo e lattore della mimica e non c mimica senza
corpo: una mimica astratta, dietro la quale non vi sia un corpo
agente, almeno come ricordo, unassurdit. E ci che distingue
la mimica dal fisionomico che la prima fa riferimento al fenotipo
e la seconda al genotipo. Cosicch il termine mimica ha un utilizzo corrente molto pi ristretto del termine imitazione e viene
in genere adoperato come termine tecnico nella critica teatrale e
cinematografica per esprimere gli atti espressivi che chiamano in
causa il sistema motorio, con particolare riferimento alla mimica
corporea e soprattutto a quella facciale, di cui il gioco dei mimi
ne la plastica rappresentazione, visto che richiede di comprendere in primo luogo la classe delloggetto dellimitazione: persona, animale, pianta, oggetto fisico o immaginario (gli angeli) e
poi di quale oggetto specifico si tratta.
Quando noi parliamo di mimica ci riferiamo a una pratica, a un
atto, latto mimico, consapevole o inconsapevole, mentre quando parliamo di imitazione, possiamo riferirci sia agli individui che
agli oggetti e in questultimo caso non c ombra di dubbio che
latto imitativo consapevole e necessita della conoscenza sia
delloggetto finale che si desidera realizzare, con tutti i suoi particolari, sia del processo da attuare per realizzarlo.
Fuor di dubbio il termine imitazione e il termine mimica
hanno una relazione ma non si identificano e questa mancata
identit risulta pi chiara grazie allausilio di esempi linguistici.
Mettiamo a confronto due locuzioni:
- Lucia imita la smorfia di Elisabetta e produce una smorfia;
- Lucia imita la torta di Elisabetta e produce una torta.
Se a entrambe le locuzioni sostituiamo al termine imita il
termine mima, ne deriverebbe che la prima locuzione assume
la seguente forma Lucia mima la smorfia di Elisabetta e produce una smorfia e la seconda Lucia mima la torta di Elisabetta e
produce una torta.
Indubbiamente la seconda non risponde a verit, non ha un
il fatto che nellantica Grecia la mimesi era in primo luogo connessa alla
musica e alla danza, alla rappresentazione che il corpo attuava nella
vita cultuale, come nelle feste dionisiache; tuttavia esiste una tradizione
neoplatonica che attribuisce il termine mimesi anche ad arti diverse. In
Platone il termine mimesi fa riferimento sia a chi compie un atto compositivo sia a chi riproduce un testo (poesia, brano musicale, ecc.) come
tradizionalmente solito fare un attore o un musicista, cosicch dietro
allaccezione platonica si possono rintracciare sia il gesto di imitazione
della realt costituita da oggetti fisici, sia la mimica corporale di altri individui. Nel capitolo decimo della Repubblica egli compara la mimesi alla
doxa perch il carattere soggettivo sottende sia la mimesi rispetto alloriginale sia la dxa rispetto allaltheia.
6. Nella scrittura necessario riprodurre in modo inequivocabile le lettere o gli ideogrammi. Nella stessa storia della scrittura ritroviamo il ruolo
centrale che limitazione rappresenta per gli individui, poich la scrittura
ha avuto la necessit di definire una grafica uniforme imitata e imitabile per essere veicolo di comunicazione in modo da creare identit
culturali.
correlato oggettuale. Non possiamo quindi invertire meccanicamente i termini, perch mentre il termine imitare utilizzabile
al posto di mimare, non si d linverso, cio non siamo in grado
di dire, se non modificandone la semantica che Lucia mima la
torta di Elisabetta. In questultimo caso immediatamente pensiamo che Lucia non sta facendo qualcosa di reale ma qualcosa di fittizio; compie un atto che non produce un oggetto fisico.
Possiamo invece dire che Lucia imita la smorfia di Elisabetta e
produce un smorfia. Quindi entrambi gli atti hanno a che vedere
con la produzione di un oggetto (torta, smorfia) operata da un
soggetto (Lucia) a partire da un oggetto (la torta, la smorfia); ma
mentre il termine imitare pu fare riferimento a oggetti appartenenti a classi differenti, mimesi ha come referente ununica
classe di oggetti: quelli prodotti dagli atti degli individui .
Il termine imitazione quindi inclusivo del termine mimica.
Nel caso dellimitazione di una torta latto prodotto scientemente con il fine di produrre un oggetto il pi possibile alloggetto da imitare (la torta) - il che possibile anche in modo
indipendente dal singolo soggetto tramite processi produttivi
standardizzati - e con lo scopo di rassomigliare in modo pressoch indistinguibile alloggetto originale. Il caso pi significativo,
in tal senso, quello delle banconote false: il soggetto che opera
limitazione, in un certo senso non deve inserire nulla di proprio.
Nel caso della mimica loggetto prodotto, la smorfia, dipende
invece fortemente dal soggetto, poich la sua fisionomia, il suo
grado di attenzione ai particolari, la sua conoscenza, le sue abilit
svolgono un ruolo fondamentale. Tanto che se Lucia e una terza
amica imitano entrambe la torta di Elisabetta otterranno due oggetti, due torte, molto simili fra loro e molto simili alloriginale; viceversa, se Lucia e una sua amica mimano la smorfia di Elisabetta
otterranno due atti, le due smorfie, che probabilmente saranno
molto diverse fra loro. Per esempio, quando Elisabetta da bambina faceva finta di essere mimava - una trottola o una libellula
non si pu certo dire che imitava la trottola o la libellula, poich
non aveva alcuna consapevole accuratezza del meccanismo che
mette in moto una trottola o non era in grado di alzarsi davvero
da terra; semplicemente nel primo caso Elisabetta ruotava su se
stessa con le braccia divaricate fino a perdere lequilibrio e nel
secondo caso distendeva le braccia e le muoveva leggermente
su e gi con delicatezza.
Cosicch, se la loro terza amica vedendo le due torte pu essere tratta in inganno e valutare che siano state fatte dalla stessa
persona tanto sono identiche (un esempio sono anche gli oggetti di marchi famosi contraffatti, che vengono imitati avendo
come modello un originale indistinguibile dal falso); viceversa
quando la loro terza amica vede le loro due smorfie non valuta
affatto che si tratti della medesima smorfia e quando Elisabetta
mima la libellula, nessuno sano di mente pensa che ella sia effettivamente una libellula. Dal che si deduce che mentre limitazione pu essere ingannevole, la mimica non lo .
101
per questa via lattenzione dal singolo alla relazione8, circoscrivendo per lanalisi del processo imitativo alla sola infanzia.
Riguardo alla tendenza innata dellessere umano a imitare e
a conoscere il mondo attraverso la mimesi degli altri individui,
lantropologo Marcel Jousse (1974:79) lo studioso che propone
le riflessioni pi consonanti con ci che emerge dalla scoperta
del sistema specchio; egli avanza la nozione di mimismo, definendo con questo termine la tendenza dellessere umano a mimare nellambito dellinterazione sociale, e per lui limitazione
ascrivibile a un sistema innato connesso con lintenzionalit e la
gestualit e che si manifesta sin dalla nascita.
Ren Girard (1972) ha invece sostenuto che la facolt imitativa
la caratteristica che definisce la dimensione sociale, in quanto
essa rappresenterebbe la base sia dellintersoggettivit che della
societ stessa, e sarebbe la modalit permanente del funzionamento mentale e una prerogativa che si esplicherebbe lungo lintero arco della vita. La riflessione di Girard prende avvio dalla tesi
che nelle societ primitive le rivalit allinterno dei gruppi umani
generavano situazioni di violenza indifferenziata, che si propagavano per mimetismo9 e trovavano soluzione solo in una crisi sacrificale che causava lestromissione, perlopi con luccisione, di
una persona o di gruppi di persone, designate come responsabili
della violenza10. il meccanismo del capro espiatorio che risolverebbe la crisi, una crisi che i miti raccontano insieme ai suoi benefici effetti, distorcendone per la realt, dato che contengono
solo la versione della folla, la quale ritiene se stessa innocente e la
vittima colpevole. Lessere umano sarebbe caratterizzato, secondo Girard, dal valore imitativo delle percezioni come lo stesso
Freud aveva dapprima intuito e poi trascurato che lo conducono fino allimitazione vera e propria di un modello, che viene
copiato consapevolmente. Per Girard lapprendimento imitativo
sarebbe la condizione delladattamento culturale e alla base delle acquisizioni negli esseri umani e il rapporto sarebbe sempre
triangolare: soggetto, modello, oggetto desiderato. Egli sostiene
che limitazione di un modello, bench siano gli oggetti e non
i soggetti che regolano e determinano leffetto imitativo, crea
sentimenti di rivalit e invidia; sentimenti che danno cos vita a
un antimodello, a unimmagine speculare riflessa del soggetto.
La trasformazione da Dottor Jekyll a Mr Hyde sarebbe dovuta
quindi al fatto che limitazione (un meccanismo) non riguarda il
modello in quanto tale, ma il suo desiderio (uno stato mentale).
Secondo Girard noi imitiamo dagli altri, come in uno specchio,
i nostri desideri, le nostre opinioni, il nostro stile di vita e il contesto sociale-educativo sarebbe il responsabile nella definizione
dei desideri11, cio della molla dellimitazione, ma nel contempo
ne rappresenterebbe anche la fonte del conflitto intersoggettivo
e sociale. Secondo Girard la rivalit mimetica si svilupperebbe a
partire dai conflitti per lappropriazione degli oggetti, che in una
condizione di contagio mimetico, genererebbe la violenza generalizzata. Limitazione sarebbe cos un modo di essere con laltro,
la modalit che permeerebbe e genererebbe la totale trasformazione della vita, il che richiederebbe la partecipazione intensa e
libera della volont, base della nostra capacit di apprendimento
8. Si tratta di una teoria che ha subito interessanti rivisitazioni da parte di
Giovanni Liotti, ma che vedeva gi la luce in Spinoza, con le argomentazioni sullimitatio affectuum, cio sullautomaticit del processo imitativo,
e sullinfluenza della letteratura rinascimentale sulla vis imaginandi, cio
sulle propriet di trasmissione e contagio dellimmaginazione.
9. La rivalit mimetica, quale fondamento mitologico dei reali rapporti
umani, al centro anche delle elaborazione di Kroly Kernyi (1944).
. Lunica alternativa che Girard intravvede per far s che non si producano conflitti generalizzati, che prima i miti e poi la storia remota e
ancor pi quella recente hanno prodotto, il monito di Paolo di Tarso:
Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo (1Cor 11,1). Il conflitto
trova sempre una vittima sacrificale come fu il Cristo individuale o
sociale, come le vittime dei totalitarismi (ebrei, zingari, malati psichiatrici
e oppositori politici per il nazismo); la soluzione per Girard farsi martire
votivo.
. Richiama a suo sostegno una frase di Andr Gide, evocativa di un testo leopardiano, secondo il quale esistono persino le mode nella maniera
di soffrire.
102
menti sostanziali nei metodi sperimentali. Il primo cambiamento avvenuto in relazione al modo di formulare le domande:
chiedersi se il neonato odora, sente, vuole e pensa comporta
lindividuazione di un modo per domandarglielo. Il secondo
mutamento ha valorizzato il fatto che i bambini non sono solo
indaffarati nel dormire, mangiare, piangere, ma fin dalla nascita
durante la veglia hanno momenti di inattivit vigile, una condizione ideale per la ricerca sperimentale, poich il lattante non
attratto da attivit ben identificate.
Questo sguardo innovativo alla vita neonatale ha riorientato
lo stesso significato di imitazione, connotando limitazione come
scambio, come modalit costitutiva delle relazione fra individui,
nella direzione di come Helmuth Plener (1975) aveva indicato
con riferimento alla mimica. Diventa lapalissiano che in prima
istanza la finalit dellabilit imitativa sia comunicare per rispondere a un gesto comunicativo e viceversa.
Per lo psicologo Andrew Meltzoff (2009) la capacit emulativa
riscontrabile alla nascita (da lui registrata dopo 42 minuti dal
parto), ma le ecografie relative alla vita intrauterina consentono di osservare che quando il feto porta il dito alla bocca quasi
sempre si attivano anche movimenti anticipatori della bocca, che
non si verificano mai quando il feto porta le mani sul viso; il che
porterebbe a dire che si attivano assai precocemente le catene
motorie che portano a gesti imitativi complessi, a dimostrazione
che la mente umana predisposta a incontrare gli altri virtuali
ancora prima di incontrare gli altri reali.
Un compito fondamentale nel processo imitativo svolto sin
da subito dagli oggetti. La relazione con gli oggetti, ovviamente
considerati dai neonati un gioco, come gi argomentavano il filosofo Benjamin e lantropologo Jousse, rappresentano un divertimento, un modo di scoprire e di verificare le proprie abilit, il che
contribuisce a sviluppare quel senso di agentivit che il lattante
ha gi esperito nellinterazione fisica con ladulto; e proprio questo consolidamento del senso di agentivit, unito allesperienza
di attenzionalit condivisa su certi oggetti, sembra assecondare
la comparsa di una primigenia consapevolezza della relazione fra
latto delle persone e gli oggetti; si attiverebbe cos un importante
precursore della capacit di comprendere laltro come agente che
ha delle intenzioni rispetto agli oggetti che non ne hanno. Cosicch
limitazione nei neonati si presenta come una modalit di abbinamento a un obiettivo, il cui discrimine la percezione del possesso
o meno che gli oggetti hanno di un sistema motorio (Turri, 2011).
Tesi enattive e teleologiche sullimitazione sono state avanzate da molti studiosi14 e fra questi Colwyn Trevarthen (2001), le
cui riflessioni sono coerenti con la teoria dellattaccamento e che
lo vedono sostenitore di una teoria innatista dellintersoggettivit, che mette in luce il ruolo delle emozioni come regolatore del
contatto mentale. Trevarthen utilizza sia i lavori di Meltzoff sullimitazione, sia la teoria dellaltro virtuale del filosofo Stein Brten
(1988a, 1988b, 1989, 2004) che ha ipotizzato sin dalla met degli
anni Ottanta che la mente umana sia di per s dialogica, tanto
che per questo filosofo la stessa percezione comporterebbe la
presenza reale o virtuale di un altro, ed questa realt, o virtualit, che consentirebbe la percezione dei propri movimenti.
indubbio che le emozioni si comunichino fra soggetti e
svolgano funzioni cardine15: dirigono la cognizione e generano
valutazioni essendo esse stesse una modalit espressiva delle
valutazione e rappresentano lorganizzazione adattativa innata,
creano la possibilit della cooperazione e favoriscono lacquisizione del bagaglio educativo, sociale e culturale, approssimano
o definiscono le dinamiche morali (Turri, 2012)16.
. Fra I tanti mi sembra rilevante ricordare Louis Sander, Esther Thelen,
Linda Smith, Edward Tronick, Beatrice Beebe, Alan Fogel, Daniel Stern,
Kenneth Keye e Frank Lachmann.
. Proteggono lintegrit vitale, guidano la percezione e lapprendimento
attraverso la valutazione precognitiva delle situazioni composte da
oggetti e soggetti, promuovono e sviluppano linterazione con i comportamenti e le motivazioni di altri soggetti nellambiente di riferimento e
nel mondo.
16. Per Darwin la mimica ha negli atti volontari la sua genesi bio-etologi-
103
Anche le sensazioni svolgono un ruolo centrale nel processo di rispecchiamento imitativo e quindi rappresentano uno dei
contenuti dellintersoggettivit, tanto che gli esperimenti mostrano che i muscoli di uno spettatore che guarda unaltra persona a cui viene inflitto un dolore in un punto specifico di un arto
si rilassano e si bloccano nelle identiche parti in cui viene inflitto
dolore allaltro (Avanzati et al., 2005) . In altre parole si verificano
reazioni imitative basate sulle caratteristiche sensoriali del dolore provato dallaltra persona a carico delle stesse aree del corpo
di chi osserva.
6. Imitazione e responsabilit
Lapprendimento per imitazione - esistono altre modalit di
apprendimento - ha luogo prevalentemente in presenza di un
elemento di novit, sorpresa o violazione delle aspettative, sia
esso un ragionamento logico, un gesto o unemozione. Per imitare necessario che gli obiettivi stessi siano familiari o siano
identificabili e quindi si tratta per lo pi di imitazione di processi,
anche se limitazione include sia il processo imitativo sia ogni singolo atto, e allinterno degli atti include sia limitazione di oggetti
sia la mimica dei soggetti. Il procedimento descritto non coinvolge unicamente lapprendimento per imitazione dei gesti ma
anche labilit nel campo emotivo, visto che il sistema specchio
presidia gli atti, presidia tutte le tipologie di atti: esecuzioni di
compiti, emozioni, linguaggio, pensiero. Infatti si imitano gesti,
compiti ed esecuzione di compiti, ragionamenti e forme di ragionamento, fonologia, sintassi e semantica, emozioni, reazioni, stili
di comportamento.
Le ricerche hanno mostrato che quando percepiamo un nostro simile eseguire un compito o provare una certa emozione o
sensazione si attivano nel nostro cervello gli stessi neuroni che
entrano in funzione quando siamo noi stessi a compiere quel
gesto, a provare quella emozione o sensazione, rivelando cos
che noi siamo il risultato delle nostre relazioni, involontarie e
volontarie e queste sono immediatamente condivise. Visto che riproducendo azioni, emozioni e sensazioni degli altri nella nostra
mente, esse vengono riprodotte-imitate al nostro interno, anche
e soprattutto quando non lo sappiamo. Imitiamo costantemente
qualcuno, sia esso reale o immaginario. Limitazione reciproca
di fatto un atto comunicativo per lo pi inconsapevole, una sincronizzazione dei corpi, dei singoli movimenti, che suscita senso
di intimit e gradimento, per lo pi inconsapevolmente, nella
persona imitata.
La gran parte del mio tempo la passo in contesti diversi dai
tuoi e i miei circuiti cerebrali e con questi il mio corpo si attivano
su sollecitazione di fattori differenti dai tuoi, cosicch sin da bambini, al pari di alcuni uccelli canterini, non ci limitiamo a imitare
ma innoviamo, tanto che lo stile che fa la differenza. La soggettivit umana, il cui epifenomeno lo stile individuale, scopre se
stessa come quel certo corpo, quelle emozioni, quei sentimenti,
quei pensieri, quellesecuzione di compiti, quel linguaggio che ,
soltanto attraverso la relazione con laltro, ma proprio per questo
essa un processo e quindi soggetta a modifiche nel tempo.
Se la socialit un fatto costitutivo, inscritto nel nostro corpo,
ci implica di per s la responsabilit verso se stessi e verso gli
altri, che esercitiamo al di l delle nostre intenzioni consapevoli,
la cui dimensione si amplia perch qualunque cosa noi facciamo
o proviamo trova una cassa di risonanza nel nostro sistema motorio e nel sistema nervoso centrale e la medesima cosa avviene
per laltro; ed per questa via che le persone, i libri e i film con
i quali decidiamo di passare il nostro tempo producono quello
che siamo, poich sono questi gli oggetti con i quali facciamo
esperienza (Turri, 2011). come se allinterno di vincoli biologici
e ambientali la fisionomia naturale, fosse costituita dalla reciproca. Theodor Piderit (1919) va oltre e sostiene che i movimenti muscolari
mimici determinati dagli stati danimo non si riferiscono unicamente a
soggetti o eventi allo stato presente reale, ma fanno riferimento in parte
anche a oggetti immaginari.
104
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105
Abstract
Silvio Berlusconis public discourse is jam-packed with potent conceptual metaphors (CMT: Lakoff & Johnson, 1980); such metaphors
are known to have a strong impact on unconscious decision-making, especially when they relate to political morality. This article discusses the structure and the (conservative) moral bases of two of Berlusconis metaphors: The framing of his political leadership as
divine and his social and political opposition as a fatal disease.
Keywords
Berlusconi, metaphors, Conceptual Metaphor Theory.
Introduzione
Iniziamo con questa prima metafora: Sono lunto del signore,
c qualcosa di divino nellessere scelto dalla gente1, pronunciata
da Silvio Berlusconi il 25 novembre 1994. Parlava agli italiani del
suo primo mandato da Primo Ministro. Diciassette anni pi tardi
al suo quarto mandato il suo partito, Popolo delle Libert,
viene sconfitto dalla sinistra alle amministrative di maggio con
le sorprendenti vittorie di Milano e Napoli. Rivolto ai cittadini
dice: Vi pentirete [] pregate il buon Dio che non vi succeda nulla di male [] ora che gli altri hanno vinto.2 Sono passati circa
ventanni ma le metafore che usa il Presidente del Consiglio sono
sempre le stesse. Proprio lui, Silvio Berlusconi, stato scelto dal
Signore per guidare il popolo italiano. Lopposizione quindi il
contrario di Dio: il male. Chi ha permesso che il male vincesse
ha voltato le spalle a Dio, motivo per cui verr da Lui punito: pregate il buon Dio che non vi succeda nulla di male.
Proseguiamo ora con una seconda metafora: Il sistema giudiziario un cancro che non pu pi essere tollerato a lungo, deve
essere estirpato, pronunciata da Berlusconi il 9 marzo 2003. Dalla
prima volta in cui sceso in campo, per usare unaltra sua nota
espressione metaforica, si instancabilmente prodigato per una
legge che garantisse limmunit alle quattro pi alte cariche dello stato, tra cui la sua. Alla fine stato in grado di beneficiare di
ben tre immunit3 per se stesso. Nel gennaio 2011 - dopo che la
Corte Costituzionale ebbe dichiarato incostituzionale il legittimo
impedimento il Primo Ministro, a Berlino, fece questa dichiarazione alla stampa: Ne ho parlato anche con Angela Merkel, la patologia per la nostra Democrazia la presenza di un ordine giudiziario che si trasformato in un potere giudiziario [].4 Nel corso
degli anni Berlusconi sempre rimasto fedele alla sua metafora:
il sistema giudiziario, in particolare i giudici, a suo dire ideologizzati e politicizzati dalla sinistra, sono i sintomi di una patologia,
di una malattia letale capitata allItalia: il cancro. I giudici e i pm
ideologizzati sono una metastasi della nostra democrazia.5
1. http://www.repubblica.it/2003/k/rubriche/cartacanta/28ago/28ago.
html [28/07/2011]
2. http://www.corriere.it/politica/speciali/2011/elezioni-amministrativeballottaggi/notizie/30_maggio_pdl_commenti_9326e2b0-8ad7-11e093d0-5db6d859c804.shtml. [28/07/2011]
3. Il caso Mills, il processo per la compravendita dei diritti televisivi e quello per diffamazione aggravata dalluso del mezzo televisivo (cooperative
rosse e camorra). [NdT]
4. http://www.adnkronos.com/IGN/News/Politica/Berlusconi-Nessunpericolo-per-il-governo-da-decisione-Consulta_311529923226.html
[28/07/2011]
5. http://www.corriere.it/politica/08_giugno_25/berlusconi_confeser-
Silvio Berlusconi utilizza dunque queste due potenti metafore per strutturare6 la sua leadership politica e, come vedremo,
anche quella dellopposizione. Ci chiediamo: le sue scelte linguistiche sono consapevoli? Pu un qualsiasi politico, di destra
o di sinistra, utilizzare le stesse metafore per guadagnare consensi? Non del tutto. Dietro queste si nascondono infatti i valori del conservatorismo di destra, rappresentati dalle dicotomie
bene - male e ci che giusto - ci che sbagliato. Entrambe le metafore hanno profonde radici in una visione del mondo
conservatrice e il loro uso coerente da parte del Primo Ministro
produce conseguenze importanti: esse evocano, nelle menti di
chi le ascolta, nozioni di moralit che, a loro volta, ne influenzano
il comportamento politico (per una revisione: Wehling, 2011).
Diamo uno sguardo ad alcuni dati di fatto.
1. Traduzione di Gabriele Cerioli. Tit. orig. Praying for a sick nation. Silvio Berlusconis metaphors and their moral bases
106
107
morali dentro.
Come molte metafore concettuali anche LA MORALITA PUREZZA deriva dalla nostra esperienza quotidiana che accumuliamo crescendo. Ogni volta che facciamo esperienza di due cose
insieme, il nostro cervello rafforza le connessioni neurali che le
associano e, passato del tempo, lassociazione diventa automatica. Riprendiamo la metafora LA SOMIGLIANZA PROSSIMITA:
cose simili stanno spesso vicine fisicamente le une alle altre. Vediamo questa correlazione nel mondo sempre pi spesso. Alla
fine la nostra mente decide: LA SOMIGLIANZA PROSSIMITA.
La metafora LA MORALITA
PUREZZA deriva inoltre da una correlazione tra purezza e benessere. Ognuno impara che mangiare
cibo avariato provoca malattie e quindi fa male. Bere acqua torbida da un ruscello in un bosco causa mal di stomaco, mentre
bere acqua pulita dal rubinetto fa bene ed quindi una cosa
buona. Benessere e moralit sono concettualmente connesse in
tal modo, cos noi impariamo e utilizziamo regolarmente questa
metafora (Lakoff, 1996). Comunque, mentre i conservatori enfatizzano fortemente questa metafora nel loro discorso sociale e
politico, essa non occupa un simile posto, altrettanto fondamentale, nel pensiero liberale.8 Perch i conservatori si focalizzano
maggiormente sulla purezza rispetto ai liberali? Perch, come
spiegato pi sopra, questo concetto si collega alla preferenza accordata dai conservatori allauto-disciplina e allobbedienza alle
regole.
A volte la nozione di purezza si fonde con quella di contaminazione allinterno di un unico frame concettuale: la metafora LA
MORALITA PUREZZA si lega a L IMMORALITA UNA MALATTIA
CONTAGIOSA. Ecco come lavora la base esperienziale tra le due
metafore.
Dunque il concetto di moralit si connette con quello di benessere: stare bene una cosa buona, ovvero morale. Come un
bambino, se non ci assicuriamo di rimanere puliti, ci ammaliamo
e stiamo male. A volte fare questo semplice: non mangiamo
cibo avariato cos non ci viene il mal di pancia. Laviamo
la sporcizia dalla nostra pelle perch non inizi a pruderci. Cos impariamo: LA MORALITA PUREZZA. Altre volte invece le cose sono un
po pi complesse e questo quanto capita con la metafora L
IMMORALITA
UNA MALATTIA CONTAGIOSA: le malattie contagiose, come linfluenza e la varicella, ci fanno star male quando
le prendiamo. Per evitare di contrarle possiamo fare due cose:
una tenerci molto puliti, per esempio lavarci spesso le mani.
Linferenza metaforica e morale che ne deriva : Meglio stiamo,
meno saremo infettati dallimmoralit degli altri. Laltra stare a
debita distanza da chi ammalato finch guarisce, come nellesempio dei genitori che tengono a casa dallasilo i propri figli malati di varicella fino a che il pericolo di contagio non sia cessato9.
In questo secondo caso linferenza : per non infettare gli altri
con la loro immoralit, i cattivi devono tenersi a debita distanza
dai buoni.
Quali sono gli effetti politici di queste due metafore morali?
Che inferenze si possono trarre da esse? LA MORALITA
PUREZZA permette di inferire una politica di promozione dellastinenza dai rapporti sessuali. LIMMORALITA UNA MALATTIA
CONTAGIOSA permette invece di inferire atteggiamenti a favore
dellimprigionamento dei criminali per contenere la diffusione
della criminalit e posizioni contro ladozione tra coppie gay:
lomosessualit, spesso interpretata come un vizio immorale o
una malattia, potrebbe contaminare i bambini. Si pu vedere un
ulteriore effetto framing di questa metafora nelle politiche antiimmigrazione (Landau et al., 2009).
Entrambe le metafore pervadono il discorso pubblico conservatore. Si pensi a questa considerazione dellora ex arcivescovo
di Milano Dionigi Tettamanzi, pronunciata lo scorso anno in occasione della celebrazione di un santo: LItalia di oggi malata
come lo era Milano ai tempi di San Carlo e della peste. [] Lim8. Anche a sinistra pu esprimersi la metafora della purezza ma in tuttaltri ambiti rispetto alla destra, ad esempio laria pulita e lambiente pulito.
9. Per un approfondimento di queste metafore e della loro relazione con
il pensiero politico liberale e conservatore, si veda Wehling (in revisione).
UNA MALATTIA CONTAGIOSA sono centrali nel sistema di credenze del conservatorismo (Lakoff, 1996). Possiamo
quindi aspettarci due comportamenti quando queste si esprimono nel discorso pubblico: primo, dalle persone estremamente
conservatrici, come la base dei partiti conservatori, una pi forte
reazione alle metafore. Il loro quotidiano modo di ragionare fa
affidamento molto pi pesantemente ad esse rispetto a quelle
dei liberali. Secondo, dalle persone politicamente posizionate
al centro, disposte ad appoggiare entrambe le visioni del mondo, di destra e di sinistra (i cosiddetti biconcettuali: Lakoff, 1996;
2008), ci si aspetta che si spostino a destra quando sono esposte
alle metafore centrali del conservatorismo, perch queste evocano una morale conservatrice.
In letteratura si trovano evidenze per entrambi i fenomeni.
Sul primo, uno studio recente mostra che i conservatori reagiscono pi intensamente alle attivazioni concettuali della
purezza, rispetto ai liberali (Feinberg e Willer, in preparazione): i
partecipanti sono stati invitati a leggere testi differenti sul riscaldamento globale. Un testo era impostato nel frame della purezza, cio con concetti quali laria inquinata e ci sta contaminando. Laltro era invece centrato sulla protezione dellambiente dai
danni. Chi si dichiarato liberale si dimostrato favorevole ad
una politica ambientalista, indipendentemente dal tipo di testo
a cui era stato sottoposto. Chi invece si dichiarato conservatore
risultato pi preoccupato per lambiente e per una politica ambientalista solo dopo aver letto il testo strutturato con i concetti
di purezza e contaminazione.
Sul secondo, vediamo come le persone si spostano a destra
quando vengono attivate dalla metafora della contaminazione
(Landau et al., 2009). Quando sono portate a pensare a malattie
contagiose e, simultaneamente, alla propria nazione nei termini
di un essere umano (questa metafora molto comune, si pensi alle espressioni nascita e morte di una nazione), le persone
manifestano posizioni estreme anti-immigrazione che, come
noto, sono ben radicate nella cultura conservatrice di destra.
Si noti inoltre la complessit del processo di framing metaforico: attivare la metafora LA NAZIONE UNA PERSONA insieme
ad uno stato di allerta che riguarda malattie contagiose, porta
a esprimere pensieri e comportamenti molto pi estremi. I partecipanti allesperimento che invece non erano stati attivati da
questa metafora, prendevano posizioni meno forti nei confronti
dellimmigrazione.11
Dopo aver mostrato limportanza e limpatto che il framing
metaforico ha sulle menti, torniamo ora alle due metafore usate
da Silvio Berlusconi.
108
PUREZZA e L IMMORALITA
109
Grazie alla metafora dellopposizione di sinistra come un cancro, Berlusconi propone una narrativa infarcita di contaminazione e morte della morale.
La metafora della minaccia sociale e politica come malattia
letale popolare tra i leader conservatori. Si consideri questa dichiarazione di Wladimir Putin del 2004: Il terrorismo la peste
del ventunesimo secolo23
Conclusioni
Introducendo nel discorso pubblico italiano le sue due metafore, Berlusconi propone un punto di vista conservatore su ci
che giusto e sbagliato. Non ne parla per esplicitamente, n
dovrebbe daltro canto prestarvi particolare attenzione, perch
le sue concezioni sono espresse grazie alla struttura inferenziale
dei frame metaforici.
Ecco a cosa assomigliano le due narrative morali quando si
decodificano le rispettive metafore concettuali: a un film in 3D ci serviamo anche noi di una metafora. Uno sguardo superficiale
permette la versione a due sole dimensioni del discorso di Silvio
Berlusconi e la nostra mente probabilmente sta commentando:
Il Primo Ministro italiano parla di divinit e cancro, che fatto
astruso! Ad unanalisi pi approfondita tuttavia possibile decifrare le inferenze morali tratte dalle metafore. Il nostro cervello
funziona in 3D.
Nella versione a tre dimensioni Berlusconi propone un discorso di ordine morale Dio al di sopra delluomo -, di obbedienza ad
unautorit assoluta le vie del Signore sono infinite -, e di un sistema di ricompense e punizioni paradiso e inferno, tutti concetti
centrali per la fede cattolica che prevale in Italia. Egli propone
anche un discorso di purezza morale la democrazia infestata,
impura e sta male -, di contaminazione dellimmoralit la metastasi si sta diffondendo nel corpo della democrazia -, infine di una
lotta tra la vita e la morte la democrazia sta morendo.
Dato quello che sappiamo su come la nostra mente funziona
nelle decisioni sociali e politiche, i discorsi in 3D, proseguendo
con la metafora cinematografica, sono quelli che governano il
nostro comportamento politico. Silvio Berlusconi stato eletto
Primo Ministro ben quattro volte; complesso spiegarne i motivi
ma le metafore che usa in pubblico possono senza dubbio considerarsi degli ottimi indizi.
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110
Dipartimento di Scienze cognitive, della Formazione e degli Studi culturali, Universit di Messina
Abstract
In the last few years, investigations about embodied nature of language have had a crucial role in the definition of linguistic function
as a biological one. This perspective accounts for a more general epistemological domain which aims to consider human cognition
as the result of a process of natural selection. According to this view human mind cannot be considered only as an epiphenomenon
of the brain. Neither one can assume a phrenologically based perspective, as the majority of the first neuroscientific researches. This
perspective includes the grounded cognition approach by Barsalou (1999), which shows that language is strictly constrained by basic
cognitive abilities vampirized by language during evolutionary path. In this work we propose to review the classical argument of
anchored cognition in which basic linguistic skills influences language by developing the idea that even language (as a pervasive
cognitive function) has a return effect on our perceptive abilities. Studies on the shift of visual attention in linguistic tasks, for example,
demonstrate a selective influence of language on visual perception. In this view, linguistic function, from one hand, is constrained by
our perceptive abilities, from the other, it influences and redefines perceptive abilities, often considered neutral, that is free from complex cognitive processes.
Keywords
Grounded cognition, language grounding, evolution, exaptation, mutlimodal representation
Introduzione
La funzione linguistica stata considerata nelle ultime tre decadi di studi come esito di un processo di selezione naturale. In
sostanza il linguaggio non una capacit cognitiva che si distanzia qualitativamente dalle altre ed frutto di un salto evolutivo
che ha differenziato Homo sapiens dagli altri ominidi, ma una
funzione cognitiva che si potuta affermare grazie alla presenza
di altre capacit di base precedenti che sono state rifunzionalizzate (esattate) dal linguaggio.
In questa prospettiva rientrano gli studi di grounded cognition
(Barsalou, 1999) che cercano di dimostrare come il linguaggio sia
strettamente vincolato a capacit cognitive che potremmo definire di base (come la percezione o la capacit di interagire con
il mondo circostante tramite lazione) che sono state vampirizzate dal linguaggio durante il percorso evolutivo. Fin qui, per,
nulla di nuovo rispetto alle prospettive etologiche sui vincoli cognitivi (le cosiddette cecit cognitive, cfr. Pennisi, 2003) che ogni
specie animale presenta in base alla selezione ambientale.
In questa lavoro viene proposto di rivedere la versione classica
della cognizione ancorata che prevede un modello di influenza
delle capacit di base sul linguaggio, ampliandola verso lidea
che anche il linguaggio in quanto funzione cognitiva pervasiva
(presente, cio, in circuiti autonomi nel cervello ma che influenza
molti altri processi cognitivi) agisca retroattivamente sulle nostre
capacit percettive. Studi sullo spostamento dellattenzione visiva in base ai compiti linguistici, ad esempio, dimostrerebbero
proprio uninfluenza selettiva del linguaggio sulla percezione
visiva, (cfr. Papafragou et al., 2008). In questo modo si potrebbe
sostenere che la funzione linguistica, se da un lato vincolata
nella sua realizzazione dal basso cio dalle nostre capacit percettive, dallaltro influenza e ridefinisce, almeno durante compiti
di attenzione visiva, verso il basso proprio le capacit percettive
spesso ritenute neutrali, non condizionate dai processi cognitivi
complessi.
111
2. Language grounding
Ma fino a che punto possibile legittimare il funzionamento del linguaggio tramite una teoria dellancoraggio al mondo?
possibile rintracciare una base percettiva modale solo da un
punto di vista delle componenti linguistiche (sintassi, semantica
et.) o si tratta di una relazione vincolante per la decodifica del
linguaggio? Ecco, questo uno degli aspetti pi interessanti della prospettiva grounded applicata al linguaggio: questultimo,
infatti, funzionerebbe grazie al fatto che il nostro cervello in
grado di simulare modalmente le rappresentazioni percettive
connesse alla parola che utilizziamo. Questo processo avviene
sia in fase di decodifica (la comprensione delle parole e delle frasi si verifica tramite processi simulativi che abbinano significati
a rappresentazioni sensoriali connesse) sia in fase di codifica, di
produzione delle parole. Questultimo aspetto particolarmente
interessante per coloro che desiderano fornire una spiegazioni evoluzionista su alcune propriet del linguaggio. In maniera
particolare, potrebbe essere utile per comprendere come il linguaggio, tradizionalmente descritto come un sistema simbolico,
riesce a descrivere la realt esterna.
Come avviene questo processo di connessione tra il livello
simbolico del linguaggio e il mondo? Tramite quali processi la
funzione linguistica si aggancerebbe alla realt?
Secondo Pulvermller (2005) il linguaggio si ancora al mondo
proprio tramite dispositivi percettivi e motori, gli stessi che adoperiamo per metterci in relazione con lambiente in cui viviamo.
In sostanza la relazione tra il linguaggio e la realt sarebbe mediata dai dispositivi senso-motori e il linguaggio parassitario di
questi meccanismi.
In questo senso il grounding, lancoraggio, sarebbe il processo attraverso cui un individuo che agisce in un ambiente connette le rappresentazioni modali a eventi tramite dei precisi schemi
112
della cognizione tramite percezione e azione, dunque, applicabile anche alle funzioni cognitive pi complesse come memoria, azione e soprattuto linguaggio. Altre teorie hanno cercato di
giustificare il funzionamento del linguaggio tramite meccanismo bottom-down come quello previsto dal symbol grounding.
Secondo Harnad (1996), ad esempio, i simboli deriverebbero da
processi sensoriali che danno vita a categorizzazioni. Le forme
linguistiche elementali sarebbero costituite dai nomi delle categorie di oggetti o eventi. Il linguaggio pu funzionare in maniera
efficiente solo perch costantemente ancorato alla percezione
della realt.
Lipotesi dellancoraggio del livello simbolico (linguistico) alla
realt tramite la percezione e lazione non si basa solo sulla modellizzazione teorica, ma corroborata da un numero elevato di
ricerche empiriche. Tramite metodiche di visualizzazione dellattivit cerebrale in vivo, queste ricerche hanno dimostrato che i
processi linguistici di codifica e decodifica di oggetti o accadimenti determinando attivazioni cerebrali sensori-motorie. Tali
attivazioni avrebbero una corrispondenza significativa con quelle prodotte durante lazione reale con quelloggetto/in quel
contesto (Goldberg et al. 2006; Jeannerod 2008a, 2008b; Martin
2007; Pulvermller 2008; Raposo et al. 2009). Anche i casi neursopsicologici in cui soggetti presentavano danni specifici nel sistema visivo hanno dimostrato come la capacit di nominazione
ma anche quella di categorizzazione di nomi relativi allafferenza
sensoriale visiva, e che quindi richiedono nella norma il coinvolgimento della rappresentazione percettiva visiva per produrre
una categorizzazione modale, vengono alterati nel caso di contesti che prevedono una dipendenza da azioni (Damasio 1989;
Damasio & Damasio 1994; Martin & Caramazza 2003).
Secondo i dati raccolti nellambito del language grounding,
dunque, il linguaggio assume una plausibilit cognitiva e semantica perch agganciato al mondo, nel senso che il primo
intrattiene una relazione motivata dalla percezione e col secondo. In questo senso, il linguaggio sfrutta strutture cognitive sviluppatesi per altre funzioni (percezione e azione) e determina la
possibilit di categorizzare percezioni modali e trattarle come
simboli motivati.
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ipotesi formalizzanti come il modello della percezione a sandwich in cui input, elaborazione e output sono processi separati
e autonomi, ma anche per comprendere il ruolo del linguaggio
allinterno della cognizione umana.
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