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AGOSTINO
LA MUSICA
INDICE:
LIBRO I
LIBRO II
LIBRO III
LIBRO IV
LIBRO V
LIBRO VI
2
21
37
50
69
84
LIBRO PRIMO
MUSICA MOVIMENTO NUMERI
Concetto di musica come arte e scienza (1, 1 - 6, 12)
Grammatica e musica e suono.
Misura ritmica...
2. 3. M. - Hai poi detto che nel canto e nella danza vi sono molte produzioni
illiberali e che, se dovessimo includerle nella misura ritmica, questa nobilissima
disciplina diverrebbe illiberale. stata una osservazione molto sensata.
Esaminiamo dunque dapprima che cosa significa misurare ritmicamente, poi
che cosa significa misurare ritmicamente secondo arte perch non stato
aggiunto invano alla definizione. Infine non si deve trascurare il motivo per cui
si usata la nozione di scienza. Infatti, salvo errore, la definizione risulta di
questi tre elementi.
D. - Va bene.
M. - Ammettiamo dunque che misura ritmica detta da misura. E allora non ti
appare la difficolt che soltanto nelle azioni che si compiono mediante un
determinato movimento si pu oltrepassare o non raggiungere la misura,
oppure si pu incorrere nella difficolt che si abbia qualche cosa fuor di misura,
anche senza il movimento?.
D. - No, certamente.
M. - Quindi misura ritmica si dice non incongruamente una determinata
capacit di muovere, o almeno una capacit, con cui si ottiene che qualche
cosa si muova secondo arte. Non si pu infatti dire che qualche cosa si muova
secondo arte, se non mantiene la misura.
D. - Non si pu certamente. Ma allora bisognerebbe applicare la misura ritmica
cos intesa a tutte le produzioni artistiche. Niente, per quanto ne capisco io, si
esegue secondo arte se non col muovere secondo arte.
M. - E se tutto questo fosse dovuto alla musica? Comunque il termine di
misura ritmica pi usato, ed a ragione, per gli strumenti musicali. Tu devi
ammettere, cos almeno penso, che un conto un pezzo di legno o argento o
altro materiale passato al tornio, ed altro il movimento dell'artigiano nell'atto
di tornirli.
D. - Son d'accordo che differiscono notevolmente.
M. - E il movimento non s'intende per s, ma piuttosto per l'oggetto che si
vuole tornito?
D. - Chiaro.
M. - Ma se quegli muovesse le membra al solo scopo di muoverle con armonia
ed eleganza, non diremmo che sta eseguendo una pantomima?
D. - S.
M. - E allora, secondo te, un qualche cosa ha pi valore e pregio se intesa
per s o ad altro?
D. - Per s, che dubbio?
M. - Ed ora torna al tema gi esposto della misura ritmica. L'abbiamo
considerata come determinata capacit di muovere. Esamina se il termine ha
maggiore applicazione nel movimento, per cos dire, libero, che cio s'intende
per s e di per s genera diletto estetico, ovvero in quello che in qualche
modo illibero. Sono in certo senso illibere tutte le cose che non sono fine a s,
ma si riferiscono ad altro.
D. - Nel movimento cio che inteso per s.
M. - Quindi gi probabile che la scienza del misurare ritmicamente scienza
del muovere secondo arte, in maniera che il movimento sia inteso per s e di
per s generi diletto.
D. - S, probabile.
...secondo arte.
sulla ragione?
D. - Anzi io penso che si fondano su entrambe.
M. - Non faccio obiezioni. Ma la scienza dove la fondi, sulla ragione o
sull'imitazione?
D. - Anch'essa su entrambe.
M. - Dunque riconosci la scienza agli uccelli. Hai loro riconosciuto la capacit
d'imitare.
D. - No, perch ho affermato che la scienza sussiste in entrambe sicch
impossibile che sia nella sola imitazione.
M. - E ritieni che possa essere nella sola ragione?
D. - S.
M. - Quindi pensi che arte e scienza si differenziano. Infatti la scienza pu
sussistere nella sola ragione, l'arte invece esige l'unione di imitazione e
ragione.
D. - Non veggo la conseguenza. Io avevo affermato che molte e non tutte le
arti sono costituite da ragione ed insieme da imitazione.
M. - E considererai scienza la nozione che risulta da entrambe, ovvero le
concederai soltanto la dimensione della ragione?
D. - E che cosa m'impedisce di considerarla scienza, quando alla ragione si
unisce l'imitazione?
Scienza ed esecuzione musicale.
artigiani e altri operai. Essi con l'ascia o con la scure battono sempre allo
stesso posto e menano il colpo soltanto dove la loro intelligenza indica. E talora
siamo da loro scherniti, se nel tentativo di fare altrettanto, non vi riusciamo.
D. - come tu dici.
M. - Ma quando non vi riusciamo, non sappiamo forse il punto da colpire o la
lunghezza del pezzo da staccare?
D. - Qualche volta non lo sappiamo, qualche volta s.
M. - Supponi dunque che un tale sappia tutto ci che gli artigiani debbono fare
e che lo sappia alla perfezione, sebbene sia meno capace nell'esecuzione, e
che sia perfino in grado di suggerire agli abilissimi esecutori con maggiore
competenza di quanto essi non sappiano giudicare. Puoi affermare che questa
capacit non derivi dalla pratica?
D. - No.
M. - Quindi non solo si devono attribuire all'esercizio anzich alla scienza la
celerit e l'agilit, ma anche la misura del movimento nelle membra.
Altrimenti, pi si dotati di scienza e meglio si userebbero le mani. Lo diciamo
in riferimento all'auletica e alla citaristica, in cui sono interessate le dita e le
articolazioni. Per noi un affare piuttosto difficile. Ma non per questo
dobbiamo pensare che si tratti di scienza, anzich di pratica e di assidua
imitazione ed esercizio.
D. - Non posso pi obiettare. Spesso sento dire che medici assai colti sono
superati dai meno colti nelle amputazioni e nelle incisioni di vario genere, per
quell'aspetto che richiede l'uso delle mani e dei ferri. Definiscono chirurgia
questo settore della medicina. Con tale termine si designa appunto una
determinata pratica di medicare mediante l'operazione delle mani. Quindi
passa ad altro e chiudi ormai l'argomento.
Scienza e doti naturali.
" lungamente durevole " soltanto " non lungamente durevole ". In definitiva al
termine " lungamente " opposto l'altro " non lungamente ", allo stesso modo
che se non volessi usare " velocemente " e preferissi dire " non lentamente ",
si avrebbe il medesimo significato.
M. - Giusto. Non si sottrae nulla alla verit, quando si parla cos. Infatti anche
io non ricordo se esiste questo nome che anche tu dici di non rammentare, o
perch lo ignoro o al momento non mi viene in mente. Quindi stabiliamo di
chiamare queste due coppie di contrari in questo modo: " lungamente " e " non
lungamente ", " lentamente " e " velocemente ". E prima di tutto, se vuoi,
discutiamo sul " lungamente durevole " e " non lungamente durevole ".
D. - Va bene.
Legge armonica nei rapporti numerici.
sei a nove, otto a dodici, dieci a quindici, e cos via. Dunque anche in questo
tipo, come negli altri, non s'incontra un limite. Non c' bisogno di parlare dei
dinumerati. Da quanto stato detto, ciascuno pu ben comprendere che anche
nella loro serie non si ha un limite. Non sei d'accordo?.
...legge metrica nel limite.
12. 21. M. - Hai il concetto. Ora il tre il primo dispari completo perch, come
stato detto, consta di principio, medio e fine. Non necessario dunque che vi
sia anche un pari completo e perfetto, in cui si abbiano principio, medio e fine?
D. - Certamente.
M. - Ma esso, qualunque sia, non pu avere il medio indivisibile come il dispari.
Se l'avesse, non potrebbe esser diviso in due parti eguali, perch, come
abbiamo detto, questa caratteristica del numero pari. Medio indivisibile
l'uno, divisibile il due. E medio nei numeri quello, da cui le due parti sono fra
di s eguali. stato esposto qualche concetto oscuro, che meno comprendi?
D. - Anzi anche questi concetti sono per me evidenti. Sto cercando appunto un
numero pari completo e mi si presenta per primo il quattro. Nel due non
possibile infatti rinvenire i tre elementi, per cui il numero completo, e cio il
principio, il medio e la fine.
M. - Hai risposto proprio come volevo e come la logica esige. Riprendi
attentamente l'esame dell'uno. Vedrai che esso non ha n medio n fine,
perch soltanto principio, o meglio principio perch privo del medio e
della fine.
D. - Chiaro.
M. - Che dire del due? In esso non possiamo concepire il principio e il medio,
perch il medio si ha soltanto dove c' la fine, n il principio e la fine, perch
impossibile raggiungere la fine senza attraversare il medio.
D. - La logica mi costringe ad accettare; rimango quindi molto perplesso che
rispondere su questo numero.
M. - Esamina se anche esso possa essere principio di numeri. Intanto manca
del medio e della fine e tu stesso hai detto che la logica ti costringe ad
accettare tale conclusione. Resta che anche esso sia principio. Oppure rimani
perplesso nello stabilire due principi?
D. - S, molto perplesso.
M. - Faresti bene, se i due principi fossero costituiti per opposizione. Invece nel
caso nostro questo secondo principio deriva dal primo. Questo da nessuno,
l'altro da esso. Infatti uno e uno fanno due, ed entrambi sono principi, pur
restando che tutti i numeri derivano dall'uno. Ma poich i numeri sono originati
dalla moltiplicazione e dalla addizione, l'origine del prodotto e della somma
giustamente si attribuisce al due. Ne deriva che l'uno il principio, da cui tutti i
numeri procedono e il due il principio, per mezzo del quale tutti i numeri
sono derivati. Hai qualche cosa in contrario da obiettare?.
D. - No, nulla e sebbene sono io a rispondere alle tue domande, non riesco a
riflettere sull'argomento senza stupore.
Loro funzione nell'addizione.
12. 24. M. - Ma osserva le altre propriet, affinch tu non debba supporre che
il quattro sia privo di una caratteristica, mancante a tutti gli altri numeri e che
invece valida per il raggruppamento, di cui sto parlando. Si hanno appunto
dall'uno al quattro una ben determinata numerazione e una razionale formula
di successione numerica. Infatti emerso dal nostro dialogo che allora
soprattutto dai molti si ha l'uno, quando i medi si equivalgono agli estremi e gli
estremi ai medi.
D. - S.
M. - Dimmi dunque quali sono gli estremi e quale il medio, quando numeriamo
uno, due e tre.
D. - Uno e tre sono gli estremi, due il medio.
M. - E adesso rispondi quanto fa uno pi tre.
D. - Quattro.
M. - E due, che l'unico medio, si pu addizionare soltanto a se stesso.
Pertanto dimmi quanto d due volte due.
D. - Quattro.
M. - Cos dunque il medio equivalente agli estremi e gli estremi al medio.
Pertanto come nel tre caratteristica determinante che posto dopo l'uno e il
due, poich risulta da uno pi due, cos nel quattro caratteristica
determinante che posto dopo uno, due e tre, poich risulta da uno pi tre e
da due volte due. questa l'equivalenza degli estremi col medio e del medio
con gli estremi mediante la proporzione che in greco si dice
Dimmi se hai capito.
D. - Abbastanza.
M. - Vedo che hai capito e addirittura che hai scienza di quanto stato detto.
Ma per non attardarci ancora, avverti che dall'uno al quattro avviene una
successione assolutamente razionale. Essa si ha prima di tutto grazie al
numero dispari e pari, poich il primo dispari completo il tre e il primo pari
completo il quattro. Ne abbiamo parlato poco fa. Inoltre l'uno e il due sono
principi e quasi semi dei numeri e da essi risulta il tre. Sono cos gi tre
numeri. E se essi vengono assommati secondo proporzione, appare ed
generato il quattro che ad essi giustamente si unisce. Si verifica cos fino a
questo numero quella ben definita successione che cerchiamo.
D. - Comprendo.
Il dieci numero limite.
12. 26. M. - Bene. Ma ti ricordi che cosa avevamo iniziato a cercare? Dato che
nella illimitatezza dei numeri vi sono determinati partizioni per numerare,
l'assunto era, come penso, poter trovare la ragione, per cui la prima partizione
nel numero dieci che ha un'importante funzione nel contesto degli altri
numeri, perch, cio, chi numera avanza fino al dieci e poi torna all'uno.
D. - Mi ricordo bene che a causa di questo problema abbiamo fatto parecchie
digressioni, ma non trovo che abbiamo combinato qualche cosa per risolverlo.
Tutta la lunga dimostrazione s' fermata al punto che v' razionale e ben
definita successione non fino al dieci ma fino al quattro.
M. - Non vedi proprio dunque qual il risultato della somma di uno, due, tre e
quattro?
D. - Veggo finalmente, veggo, confesso che tutto ci ammirevole e che il
problema proposto ha avuto soluzione. Uno pi due, tre e quattro fanno
proprio dieci.
M. - Dunque ragionevole che questi primi quattro numeri, la loro successione
e raggruppamento siano considerati di maggior pregio degli altri.
Rapporti di movimenti a numeri.
LIBRO SECONDO
PIEDI METRICI
Piedi semplici e compositi (1, 1 - 8, 15)
Fra grammatica e musica...
1. 1. M. - Stai dunque bene attento e ascolta alfine, per cos dire, una nuova
introduzione della nostra discussione. E prima di tutto dimmi se hai bene
appreso la distinzione che i grammatici fanno fra sillabe brevi e lunghe, ovvero
se preferisci, che tu l'abbia appresa o no, continuare la nostra ricerca come se
fossimo del tutto inesperti in materia. Ci sar cos di guida solo il ragionamento
e non ci vincoleranno l'inveterata usanza e la tradizione non esaminata
criticamente.
D. - Mi stimola a preferire il secondo procedimento non solo la ragione, ma
anche l'ignoranza di codeste sillabe. Perch non dovrei confessarlo?
M. - Ebbene, dimmi almeno se tu hai mai rilevato da te che nella nostra lingua
alcune sillabe sono pronunciate rapidamente e non lungamente, altre invece
pi lentamente e lungamente.
D. - Debbo affermare che non sono stato insensibile a queste cose.
M. - Ora devi sapere che tutta quella disciplina, la quale in greco detta
grammatica e in latino letteratura, ha la funzione di difesa della tradizione, o
da sola, come insegna la pi sottile dimostrazione, o principalmente, come
ammettono anche le menti ottuse. Per esempio, se dici cano o se per caso
impieghi questa parola in un verso, in modo da allungare nella pronuncia la
prima sillaba, ovvero la collochi nel verso l dove occorrerebbe una lunga, il
grammatico, come custode della tradizione, ti riprender adducendo come
unica ragione la necessit di dover abbreviare la sillaba, soltanto perch quelli
che ci hanno preceduto, i cui libri restano e sono esaminati dai grammatici, ne
facevano una breve e non una lunga. Nel caso dunque ha valore soltanto la
tradizione. Al contrario la funzione della musica, da cui dipendono tanto la
stessa razionale misura delle parole quanto il loro ritmo, esige soltanto che sia
lunga o breve la sillaba, la quale si trova in questa o in quella sede, secondo la
regola delle loro misure. Se tu metti la parola cano l dove bisogna mettere
due lunghe e nella pronuncia allunghi la prima che breve, la musica non se
ne sdegna, poich i tempi delle parole son giunti all'udito, quali convengono a
quel ritmo. Ma il grammatico ti ordina di correggere e di mettere una parola, la
cui prima sillaba deve esser lunga secondo l'autorit degli antichi, di cui egli ha
in consegna gli scritti.
...diverso criterio di misurare le sillabe.
dilettato, la misura dei ritmi che ti diletta e se essa alterata, quel diletto
non pu offrirsi all'udito.
D. - chiaro.
M. - Dimmi allora, per quanto attiene al suono del verso, quale differenza c'
se io dico: Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris 1, oppure: Qui
primis ab oris.
D. - Quanto attiene alla misura, per me hanno il medesimo suono.
M. - Ma avvenuto per la mia pronuncia, cio con quel difetto che i grammatici
chiamano barbarismo; infatti primus ha una lunga e una breve, invece primis
due lunghe, ma io ho abbreviato l'ultima, cos che il tuo udito non stato
offeso. Pertanto si deve pi volte provare se senti, mentre io parlo, cosa sia
nelle sillabe il " lungamente " e il " non lungamente ", in maniera che la nostra
discussione possa continuare col dialogo, come l'abbiamo cominciata. Ripeter
dunque quello stesso verso, nel quale avevo commesso un barbarismo e
allungher, come vogliono i grammatici, quella sillaba che avevo pronunciato
breve per non offendere il tuo udito. Dimmi se la misura di questo verso
invade il tuo senso col medesimo diletto. Io pronuncerei: Arma virumque cano
Troiae qui primis ab oris.
D. - Ora non posso negare di essere infastidito per non so qual difetto del
suono.
M. - E non a torto. Sebbene non ci sia stato barbarismo, stato commesso
l'errore che tanto la grammatica quanto la musica biasimano, la grammatica,
perch la parola primis, di cui l'ultima sillaba si deve pronunciare lunga, stata
messa dove occorreva una breve, la musica, soltanto perch una lunga
qualunque si trova dove occorreva una breve e il tempo richiesto dalla misura
ritmica non stato reso. Perci se distingui abbastanza bene ci che vuole
l'udito e ci che esige la tradizione, ci rimane da esaminare perch l'udito
stesso a volte appagato e a volte urtato da suoni lunghi e brevi. ci che
attiene appunto al " lungamente " e " non lungamente ". Ricordi, credo, che
abbiamo gi iniziato a sviluppare questa parte.
D. - Ho gi ravvisato l'argomento e lo ricordo e aspetto il seguito con vivo
interesse.
Numeri e sillabe brevi e lunghe.
allungamento e che cessa appena proferita, occupa tuttavia un certo spazio nel
tempo ed ha una sua pur piccola durata.
D. - Riconosco la necessit di ci che dici.
M. - Dimmi allora da dove iniziamo il numero.
D. - Naturalmente dall'uno.
M. - Ragionevolmente dunque gli antichi hanno chiamato un solo tempo
questo, per cos dire, minimo di spazio che occupa una sillaba breve. Si passa
infatti dalla breve alla lunga.
D. - vero.
M. - Pertanto devi avvertire anche quanto segue. Nei numeri il primo sviluppo
dall'uno al due; allo stesso modo nelle sillabe, in quanto si passa dalla breve
alla lunga, la lunga deve avere un tempo doppio. Perci se logicamente si
chiama un tempo lo spazio che occupa una breve, logicamente si chiamano
due tempi lo spazio che occupa una lunga.
D. - Logicamente certo, riconosco infatti che lo richiede la dimostrazione.
Piedi e numeri eguali e moltiplicati.
sillabe?
D. - Certamente no; infatti le sillabe hanno avuto questa misura, che una
breve abbia un tempo e una lunga due, inoltre ogni sillaba breve o lunga.
Dunque in qual modo due sillabe possono congiungersi in rapporto in modo da
formare un piede, se non unendo breve e breve, breve e lunga, lunga e breve,
lunga e lunga?
M. - Dimmi anche quanti tempi ha il piede pi piccolo di due sillabe e cos pure
il pi grande.
D. - Il pi piccolo due, il pi grande quattro.
M. - E vedi che l'estensione pu andare soltanto fino al numero quattro, sia nei
piedi che nei tempi?
D. - Lo vedo chiaramente e ricordo la regola dell'estensione dei numeri e con
grande diletto spirituale noto che quella propriet presente anche in questo
caso.
M. - I piedi dunque sono formati da sillabe, cio di movimenti di suoni distinti
e, per cos dire, articolati, le sillabe invece si distendono nel tempo. Non
necessario perci, secondo te, che l'estensione del piede arrivi fino a quattro
sillabe, come noti che giunge fino al numero quattro quella degli stessi piedi e
tempi?
D. - Penso come tu stai dicendo, riconosco che ci sembra proprio di una logica
esatta e attendo la soluzione.
Piedi di tre sillabe con due brevi...
una lunga e le altre brevi, cio quanti piedi formano. Se lo trovi, dimmelo.
D. - Noto che si pu formare un solo piede, il quale sia composto da una lunga
e due brevi. Non ne vedo altro.
M. - Secondo te dunque ha una sola sillaba lunga su tre soltanto quel piede, in
cui la lunga messa per prima?
D. - Non potrei pensarlo poich le due brevi possono esser messe per primo e
la lunga in ultimo.
M. - Rifletti se esiste un terzo caso.
D. - S, evidentemente; infatti la lunga pu esser collocata fra le due brevi.
M. - Esamina se esiste un quarto caso.
D - Assolutamente impossibile.
M. - Potresti rispondere ora quante volte possono combinarsi tre sillabe che
hanno una lunga e due brevi, cio quanti piedi formano?
D. - S, certo; si sono combinate tre volte ed hanno formato tre piedi.
M. - Ebbene puoi ora concludere da solo come debbono esser disposti questi
tre piedi o devi esservi condotto un po' alla volta?
D. - Ma non approvi la disposizione, con cui ho scoperto le varie combinazioni?
Ho osservato per primo una lunga e due brevi, quindi due brevi e una lunga ed
infine una breve, una lunga e una breve.
M. - E a te non dispiacerebbe se si disponesse cos da andare dal primo al
terzo e dal terzo al secondo, e non piuttosto dal primo al secondo e poi al
terzo?
D. - Mi dispiace certamente, ma dimmi, scusa, se hai notato nel nostro caso un
tale errore.
M. - In queste tre combinazioni tu hai posto per primo il piede che comincia
con una lunga. Hai notato appunto che la unit stessa della sillaba lunga, dato
che qui se ne ha una sola, le conferisce la precedenza e che pertanto dovesse
iniziare la disposizione, di modo che sia primo quel piede, in cui essa viene per
prima. Ma allora avresti dovuto notare che secondo il piede, in cui essa
seconda e terzo quello, in cui essa terza. Pensi dunque di dover rimanere
nella medesima opinione?
D. - No, anzi la condanno senza esitazione. Chi non ammetterebbe che questa
la disposizione migliore, anzi la vera?.
M. - Dimmi ora con quale regola dei numeri vengono divisi anche questi piedi e
le loro parti rapportate.
D. - Osservo che il primo e l'ultimo sono divisi con la regola dell'uguaglianza,
poich quello pu esser diviso in una lunga e due brevi e questo in due brevi e
una lunga, di modo che le singole parti hanno un tempo doppio e perci sono
eguali. Nel secondo piede invece, giacch la lunga si trova in mezzo, se viene
attribuita alla prima parte, il piede diviso in tre tempi e un tempo e se viene
attribuita alla seconda parte, diviso in un tempo e tre tempi. Perci nella
divisione di questo piede vale la regola dei numeri moltiplicati.
Piedi di quattro sillabe in generale.
brevi. Non poteva venire di seguito che esaminare quante figure produceva
una lunga con due brevi. E lo abbiamo esaminato; dopo il primo piede tre altri,
come era necessario, ne sono stati disposti. Non potresti ormai da solo
esaminare quelli che seguono, allo scopo di non tirar fuori ogni concetto con
minute domande?
D. - Dici giusto; infatti chi non vedrebbe che vengono di seguito quelli in cui
sono una breve e le altre lunghe? Alla breve, per il fatto che una sola, in
base al ragionamento precedente, vien data la precedenza. Primo sar quindi
quel piede, in cui essa prima, secondo quello in cui seconda, terzo quello in
cui essa terza e anche ultima.
M. - Tu vedi, credo, anche con quali regole questi piedi si dividono, in modo
che le loro parti possano essere rapportate.
D. - Certamente. Il piede che si compone di una breve e due lunghe pu esser
diviso soltanto in modo che la prima parte, che contiene la breve e la lunga,
abbia tre tempi, e la seconda i due tempi che si trovano in una lunga. Il terzo
piede simile al precedente, in quanto ammette una sola divisione, ne
differisce in quanto quello si divide in tre e due tempi e questo invece in due e
tre tempi. Infatti la sillaba lunga che viene per prima ha una durata di due
tempi, restano una lunga e una breve, ci che forma una durata di tre tempi. Il
piede di mezzo, che ha la breve in mezzo, pu avere una doppia divisione,
poich la breve pu essere attribuita all'una o all'altra parte, pu, cio,
dividersi in due e tre tempi o in tre e due tempi. Pertanto la regola dei
sesquati che configura questi tre piedi.
M. - Abbiamo gi esaminato tutti i piedi di tre sillabe, o ne rimane un altro?
D. - Noto che ne rimane uno, quello che si compone di tre lunghe.
M. - Esamina dunque anche la sua divisione.
D. - L sua divisione una e due sillabe, oppure due e una, cio i tempi sono
due e quattro, oppure quattro e due. Dunque le parti di questo piede si
rapportano secondo la regola dei numeri moltiplicati.
Piedi di tre sillabe con due e tre lunghe.
6. 11. Viene di seguito che eliminando due delle quattro brevi, le sostituiamo
con due lunghe. Esaminiamo quante combinazioni di piedi possono produrre
giacch brevi e lunghe sono a due e due. Vedo dunque che dapprima si devono
porre due brevi e due lunghe poich pi regolare l'inizio dalle brevi. Ora
questo piede consente una duplice divisione. Si divide appunto in due e quattro
oppure in quattro e due tempi, in maniera che le due brevi formano la prima
parte e le due lunghe la seconda, oppure le due brevi e la lunga la prima parte
e la lunga che rimane la seconda. Si ha un altro piede, quando le due brevi che
abbiamo posto all'inizio del piede, come la disposizione richiede, sono collocate
nel mezzo. La divisione di questo piede in tre e tre tempi; infatti una lunga e
una breve formano la prima parte e una breve e una lunga la seconda. Quando
le brevi sono poste in ultimo, giacch questa figura viene di seguito, formano
un piede che ha due divisioni: la prima parte ha due tempi con una lunga, la
seconda quattro tempi con una lunga e due brevi, oppure la prima parte
quattro tempi con due lunghe e la seconda due con due brevi. Le parti di
questi tre piedi, per quanto attiene al primo e al terzo, si rapportano secondo
la regola dei numeri moltiplicati; il mediano ha le parti eguali.
...con due brevi separate e...
6. 12. Successivamente devono esser separate le due brevi che finora abbiamo
tenuto unite. La separazione minore e da cui si deve cominciare quella in cui
vi sia tra loro una sillaba lunga, la pi grande quella in cui ve ne siano due.
Quando una sola lunga le separa, essa lo fa in duplice maniera, si producono,
cio, due piedi. La prima maniera che vi sia all'inizio una breve, quindi una
lunga, un'altra breve e la lunga che rimane. L'altra maniera che le brevi sono
in seconda ed ultima posizione, le lunghe nella prima e nella terza; si avranno
cos una lunga e una breve, una lunga e una breve. La pi grande separazione
si ha quando le due lunghe sono nel mezzo e delle due brevi una al primo
posto, l'altra all'ultimo. Questi tre piedi, in cui le brevi sono separate, si
dividono in tre e tre tempi, cio il primo in breve e lunga, breve e lunga, il
secondo in lunga e breve, lunga e breve, il terzo in breve e lunga, lunga e
breve. Cos disponendo variamente tra di loro, quanto possibile, due sillabe
brevi e due lunghe, si formano sei piedi.
...con una e nessuna breve.
6. 13. Rimane ora da togliere tre delle quattro brevi e sostituirle con tre
lunghe. Rester una sola breve e poich una sola breve posta all'inizio e
seguita da tre lunghe forma un piede, posta in seconda posizione ne forma un
secondo, in terza un terzo, in quarta un quarto. Di questi quattro piedi i primi
due si dividono in tre e quattro tempi, gli altri due in quattro e tre, ma tutti
hanno le loro parti rapportate secondo la regola dei sesquati. Infatti la prima
parte del primo piede una breve e una lunga con durata di tre tempi, la
seconda due lunghe con quattro tempi. La prima parte del secondo piede una
lunga e una breve, dunque tre tempi, la seconda due lunghe, per quattro
tempi. Il terzo ha come prima parte due lunghe, per quattro tempi ed una
breve e una lunga, cio tre tempi, occupano la sua seconda parte. Due lunghe
formano similmente la prima parte del quarto piede, di quattro tempi e una
lunga e una breve la seconda, con tre tempi. Il piede che rimane di quattro
sillabe, da cui si eliminano tutte le brevi sicch viene ad esser formato di
quattro lunghe. Esso si divide in due e due lunghe in base ai numeri eguali,
cio in quattro e quattro tempi. Ecco lo svolgimento che hai voluto da me. Ora
continua tu la ricerca mediante il dialogo.
Il quattro limite nell'estensione del piede.
7. 14. M. - S. Hai osservato per quanto vale anche per i piedi lo sviluppo fino
al quattro che stato rilevato nei numeri stessi?.
D. - S, riconosco negli uni e negli altri la medesima legge di sviluppo.
M. - E se i piedi sono stati formati da un contesto di sillabe, non si deve
ritenere anche che da un contesto di piedi possa esser formato un qualche
cosa che non ha pi n il nome di sillaba n quello di piede?
D. - Certamente, a mio avviso.
M. - E che cosa credi che sia?
D. - Il verso penso.
M. - Ma poniamo che si vogliano unire indefinitamente senza imporre loro una
determinata misura, salvo che non intervenga o la mancanza della voce,
ovvero l'interruzione dovuta ad un evento, o la decisione di passare ad altro.
Sar da te considerato verso un contesto che abbia venti, trenta o cento o
anche pi piedi, come volendo si potrebbe fare se si uniscono in una durata in
qualsivoglia modo lunga?
D. - Certamente no. Non dar il nome di verso a piedi qualsiasi che noter
uniti ad altri piedi qualsiasi o a molti piedi riuniti insieme in una serie
indefinita, ma potr mediante una qualche disciplina comprendere il genere e il
numero dei piedi, cio quali e quanti piedi formano il verso e in base ad essa
giudicare se un verso ha urtato il mio udito.
M. - Ma questa disciplina, qualunque essa sia, certamente non ha stabilito a
capriccio la regola e la misura ai versi, ma in base a un qualche criterio.
D. - Se disciplina, non doveva o poteva essere altrimenti.
M. - Allora, se vuoi esaminiamo e cerchiamo di comprendere questo criterio.
Se infatti teniamo presente la sola autorit, sar verso quello che un non so
quale Asclepiade o Archiloco, cio antichi poeti, han voluto che fosse chiamato
verso, ovvero la poetessa Saffo e altri, da cui prendono il nome certi generi di
versi, poich essi per primi li hanno configurati e composti. Si dice appunto un
verso asclepiadeo, archilocheo, saffico e i Greci hanno applicato mille altri nomi
di autori a versi di diverso genere. Pertanto non irrazionalmente si pu ritenere
che se uno disporr come vuole, quanti e quali piedi vuole, per il solo motivo
che nessuno prima di lui ha fissato ai versi quella determinata misura, con ogni
ragione potr esser chiamato creatore e propagatore di un nuovo genere di
versi. Se questa libert gli viene rifiutata, c' da chiedersi con legittimo
rammarico quali meriti infine quei poeti avessero, se senza seguire un criterio,
han fatto chiamare e considerare verso un contesto di piedi, composto da loro
a capriccio. O sei d'altro avviso?
D. - certamente come dici e sono d'accordo che il verso generato da un
criterio razionale e non dall'autorit. Studiamolo, ti prego senza indugio.
Elenco dei 28 piedi.
8. 15. M. - Esaminiamo dunque quali piedi debbono unirsi tra di loro quindi che
cosa nasce da queste combinazioni giacch non si forma il verso soltanto e
infine tratteremo tutto l'argomento del verso. Ma, secondo te, si potrebbe
utilmente ottenere questi intenti, se non conosciamo i nomi dei piedi. In verit
sono stati da noi distribuiti con tale disposizione che possono esser nominati in
base alla loro stessa disposizione. Si potrebbe quindi dire: primo, secondo,
terzo e cos sia per i rimanenti. Ma poich non si devono disprezzare le vecchie
denominazioni e non ci si deve allontanare con leggerezza dalla consuetudine,
salvo quella che vada contro ragione, si devono usare i nomi che i Greci hanno
dato ai piedi e che i nostri usano gi in luogo dei nomi latini. Usiamoli dunque
senza perderci in una ricerca etimologica. Essa comporterebbe molte parole e
scarsa utilit. Infatti adopri utilmente nella conversazione le parole pane,
albero, pietra, anche se non sai perch sono stati chiamati cos.
D. - La intendo proprio come tu dici.
M. - Il primo piede si chiama pirrichio con due brevi, di due tempi, come fuga.
Il secondo, giambo, con una breve e una lunga, come parens, di tre tempi.
Il terzo, trocheo o coreo, con una lunga e una breve, come meta, di tre tempi.
Il quarto, spondeo, con due lunghe, come aestas, di quattro tempi.
Il quinto, tribraco, con tre brevi, come macula, di tre tempi.
Il sesto, dattilo, con una lunga e due brevi, come Maenalus, di quattro tempi.
Il settimo, anfibraco, con una breve, una lunga e una breve, come carina, di
quattro tempi.
L'ottavo, anapesto, con due brevi e una lunga, come Erato, di quattro tempi.
Il nono, bacchio, con una breve e due lunghe, come Achates, di cinque tempi.
Il decimo, cretico o anfimacro, con una lunga, una breve e una lunga, come
insulae, di cinque tempi.
L'undicesimo, palimbacchio, con due lunghe e una breve, come natura, di
cinque tempi.
Il dodicesimo, molosso, con tre lunghe, come Aeneas, di sei tempi.
Il tredicesimo, proceleusmatico, con quattro brevi, come avicula, di quattro
tempi.
Il quattordicesimo, peone I, con la prima lunga e tre brevi, come legitimus, di
cinque tempi.
Il quindicesimo, peone II, con la seconda lunga e tre brevi, come colonia, di
cinque tempi.
Il sedicesimo, peone III, con la terza lunga e tre brevi, come Menedemus, di
cinque tempi.
Il diciassettesimo, peone IV, con la quarta lunga e tre brevi, come celeritas, di
cinque tempi.
Il diciottesimo, ionico minore, con due brevi e due lunghe, come Diomedes, di
sei tempi.
Il diciannovesimo, coriambo, con una lunga due brevi e una lunga come
armipotens, di sei tempi.
Il ventesimo, ionico maggiore, con due lunghe e due brevi, come iunonius, di
sei tempi.
Il ventunesimo, digiambo, con una breve, una lunga, una breve e una lunga,
come propinquitas, di sei tempi.
Il ventiduesimo, dicoreo o ditrocheo, con una lunga, una breve, una lunga e
una breve, come cantilena, di sei tempi.
Il ventitreesimo, antispasto, con una breve, due lunghe e una breve, come
saloninus, di sei tempi.
Il ventiquattresimo, epitrito I, con una breve e tre lunghe, come sacerdotes, di
sette tempi.
Il venticinquesimo, epitrito II, con la seconda breve e tre lunghe, come
conditores, di sette tempi.
Il ventiseiesimo, epitrito III, con la terza breve e tre lunghe, come
Demosthenes, di sette tempi.
Il ventisettesimo, epitrito IV, con la quarta breve e tre lunghe, come
Fescenninus, di sette tempi.
Il ventottesimo, dispondeo, con quattro lunghe, come oratores, di otto tempi.
Piedi misti (9, 16 - 14, 26)
Uguaglianza nella mistione dei piedi.
9. 16. D. - Posseggo queste nozioni. Ora spiega quali piedi si congiungono fra
di loro.
M. - Lo potrai intendere con facilit se intendi che l'uguaglianza e la
somiglianza prevalgono sulla disuguaglianza e la dissomiglianza.
D. - Ritengo che non vi sia alcuno che non la intenda cos.
M. - Bisogna dunque seguire questa regola soprattutto nella combinazione dei
piedi e non allontanarsene, se non v' una validissima ragione.
D. - Son d'accordo.
M. - Non dovrai dunque avere incertezze nell'unire fra loro pirrichi con pirrichi,
giambi e trochei, che son detti anche corei, e spondei e cos senza esitazione
potrai unire gli altri della medesima specie. V' infatti somma eguaglianza,
quando piedi del medesimo nome e genere si susseguono. Non ti sembra?
D. - Non mi pu sembrar diversamente.
M. - E non ammetti che alcuni piedi debbano essere uniti ad altri di differente
genere, rispettando la regola dell'uguaglianza? Niente infatti pi piacevole
per l'udito che essere dilettato dalla variet, senza esser privato
dell'uguaglianza.
D. - Sono d'accordo.
M. - E pensi che possano ritenersi eguali piedi differenti che non siano della
medesima misura?
D. - No, secondo me.
M. - E sono da ritenersi della medesima misura soltanto quelli che occupano il
medesimo tempo?
D. - Certamente.
M. - Allora riunirai, senza urtare l'udito, quei piedi che riconoscerai di tempi
eguali.
D. - Ne consegue, penso.
Singolarit dell'anfibraco.
10. 18. Ma per il nostro esame ci opportuno ricordare questi due concetti,
l'arsi e la tesi. Nel segnare la percussione infatti, dato che la mano si alza e si
abbassa, l'arsi si aggiudica una parte del piede, la tesi l'altra. Chiamo parti dei
piedi quelle di cui dianzi abbiamo sufficientemente parlato, quando li abbiamo
enumerati per ordine. Se sei d'accordo, comincia ad esaminare brevemente le
misure delle parti in tutti i piedi. Ti accorgerai cos che cosa di singolare
accaduto al piede in esame.
D. - Osservo per primo che il pirrichio ha eguale lunghezza in levare e in
battere. Anche lo spondeo, il dattilo, l'anapesto, il proceleusmatico, il
coriambo, il digiambo, il dicoreo, l'antispasto, il dispondeo si dividono
ugualmente perch la percussione in essi segna eguale durata al battere che al
levare. In secondo luogo noto che il giambo ha il rapporto di uno a due, e
ritrovo il medesimo rapporto nel coreo, nel tribraco, nel molosso e in entrambi
gli ionici. Invece il levare e il battere dell'anfibraco, giacch essi, nel raffrontarli
a piedi di egual misura, successivamente mi si presentano, si trovano nel
rapporto di uno a tre. Ma andando avanti non trovo proprio un altro piede, le
cui parti si rapportino con lunghezza cos diversa. Infatti, quando considero i
piedi composti di una breve e due lunghe, cio il bacchio, il cretico, il
palimbacchio, noto che l'arsi e la tesi avviene in essi secondo la regola dei
sesquati di due terzi. Il medesimo rapporto esiste in quei quattro piedi che
sono formati di una lunga e tre brevi che sono denominati i quattro peoni
secondo il numero ordinale. Restano i quattro epitriti, cos chiamati
ugualmente secondo il numero ordinale, ma il loro levare e battere sono
rapportati secondo il sesquato di tre quarti.
L'anfibraco nel rapporto di uno a tre.
presenta una differenza notevole fra le sue parti, al punto che una parte
semplice e l'altra tripla? Una certa somiglianza delle parti tanto pi da
apprezzarsi quanto pi vicina alla eguaglianza. E dunque, quando si ha lo
sviluppo dall'uno al quattro secondo la legge dei numeri, niente pi simile a
s che se stesso. Pertanto prima di tutto si deve apprezzare nei piedi che le
parti abbiano la medesima misura fra di loro, poi ha la precedenza l'unione del
semplice al doppio nell'uno e nel due, viene quindi l'unione sesquata di due
terzi nel due e nel tre e infine la sesquata di tre quarti col tre e il quattro.
Invece il rapporto dell'uno al tre rientra certamente nella regola dei numeri
moltiplicati, ma non ha una propria conformit nella disposizione. Infatti nella
numerazione non si va dall'uno al tre, ma si passa dall'uno al tre attraverso il
due. Questa la ragione, per cui si ritiene di dovere escludere l'anfibraco dalla
combinazione in esame. Se tu la accetti, esaminiamo gli altri temi.
D. - Certo che l'accetto; ha piena evidenza e certezza.
Difficolt per ogni ionici, il molosso e i peoni.
11. 21. M. - Or sappi che gli antichi hanno ritenuto di poter mescolare questi
piedi e hanno composto versi mediante la loro mescolanza. Ma affinch non
sembri che ti voglia convincere con l'autorit, ascolta qualcuno di questi versi e
senti se offende il tuo udito. E se non solo non ti urter, ma piuttosto ti
diletter, non vi
sar alcuna ragione di rifiutare la loro mescolanza. Sono questi i versi che
voglio farti ascoltare:
At consona/ quae sunt, nisi/ vocalibus/ aptes Pars dimidi/ um vocis o/ pus
proferet/ ex se Pars muta so/ni comprimet/ ora moli/entum Illis sonus/
obscurior/ impediti/orque Utcumque ta/men promitur/ ore semi/cluso 2.
Penso che siano sufficienti perch tu possa intendere ci che voglio. Dimmi, ti
prego, se questo ritmo non ha dilettato il tuo udito.
D. - Mi pare anzi che suoni con un ritmo sommamente dilettevole.
M. - Considera dunque i piedi. Troverai nei cinque versi che i primi due sono
formati di soli ionici e gli ultimi tre contengono anche un dicoreo, sebbene tutti
dilettano interamente il nostro senso per la loro comune eguaglianza.
D. - L'avevo gi notato e con pi facilit data la tua pronuncia.
M. - Perch allora esitiamo ad accettare l'opinione degli antichi, convinti non
dalla loro autorit ma dalla stessa ragione? Essi ritengono appunto che
possano unirsi normalmente piedi che hanno egual durata, purch abbiano
percussione regolare, anche se diversa.
D. - Mi rimetto interamente giacch quel ritmo non mi permette di contraddire.
...di ionici e digiambi.
12. 23. M. - Giusto. Bisogna anche sapere che tale proporzione, quando non si
ha eguaglianza di tempi, deve significare qualche cosa nella mescolanza dei
piedi, e non che significhi molto, ma pur sempre qualche cosa. Infatti puoi
intendere, dopo avere interrogato il tuo udito, che in luogo di un piede di sei
tempi, si pu porre un altro qualsiasi piede di sei tempi. Dapprima prendiamo
l'esempio del molosso virtutes, dello ionico minore moderatas, del coriambo
percipies, dello ionico maggiore concedere, del digiambo benignitas, del
dicoreo civitasque, dell'antispasto volet iusta.
D. - Li tengo presenti.
M. - Pronuncia in un contesto tutte queste parole o piuttosto ascoltale mentre
le pronuncio io, affinch il tuo udito sia pi disposto nel giudicare. Ed appunto
per farti sentir bene, senza offendere il tuo udito, l'andatura eguale del ritmo,
ripeter per tre volte tutta la frase, e non dubito che baster: Virtutes
moderatas percipies, concedere benignitas civitasque volet iusta; virtutes
moderatas percipies, concedere benignitas civitasque volet iusta; virtutes
moderatas percipies, concedere benignitas civitasque volet iusta. Forse
qualche cosa in questa serie di piedi ha offeso il tuo udito per mancanza di
uguaglianza e armonia?
D. - No, certo.
M. - Ne hai avuto diletto? Ma inutile chiederlo perch in materia consegue che
genera diletto tutto ci che non urta.
D. - Non posso dire di avere altra impressione dalla tua.
M. - Ammetti dunque che tutti questi piedi di sei tempi possono normalmente
mescolarsi in un contesto?
D. - S.
Altra mescolanza non aritmica dei medesimi.
13. 24. M. - Qualcuno potrebbe obiettare che questi piedi, i quali rapportati
con questa disposizione hanno potuto esser pronunciati tanto ritmicamente,
non potrebbero esserlo se la disposizione fosse variata. Non temi questo?
D. - La variazione comporta certamente qualche cosa, ma non difficile farne
l'esperimento.
M. - Fallo a tempo libero. Troverai che il tuo udito dilettato da una
multiforme variet e da una unitaria eguaglianza.
D. - Lo far, quantunque con tale esperimento non v' alcuno, il quale non
preveda che necessariamente si otterr quell'effetto.
M. - Hai ragione. Ma poich utile al nostro scopo, ripeter la frase con la
percussione. Cos potrai giudicare se v' qualche aritmia e insieme fare
l'esperimento sul cambiamento della disposizione che, come abbiamo previsto,
non comporter alcuna aritmia. Ora cambia la disposizione e dopo avere
collocato, a tuo piacimento, i medesimi piedi diversamente da come sono stati
collocati da me, permettimi di declamarli con la percussione.
D. - Voglio che primo sia lo ionico minore, secondo lo ionico maggiore, terzo il
coriambo, quarto il digiambo, quinto l'antispasto, sesto il dicoreo, settimo il
molosso.
M. - Volgi dunque l'udito al suono e la vista alla battuta della percussione
perch bisogna non che sia udita ma veduta la mano che batte la percussione
e avvertita attentamente la durata dell'arsi e della tesi.
D. - Sono interamente attento nei limiti della mia capacit.
M. - Ascolta dunque la tua disposizione con la percussione: Moderatas,
concedere, percipies, benignitas, volet iusta, civitasque, virtutes.
D. - Mi accorgo che la percussione non aritmica e che il levare ha la
medesima durata del battere, ma sono strabiliato dal fatto che abbiano potuto
avere tale percussione piedi che, come i due ionici e il molosso, sono divisi nel
rapporto di uno a due.
M. - Cosa avviene dunque, secondo te, dato che in essi sono dati tre tempi al
levare e tre al battere?
D. - Secondo me, non avviene altro se non che la sillaba lunga, la quale nello
ionico maggiore e nel molosso seconda e nello ionico minore terza, divisa
dalla percussione stessa. Poich essa ha due tempi, ne d uno alla prima
parte, l'altro alla seconda e cosi l'arsi e la tesi hanno ciascuno tre tempi.
L'anfibraco inconciliabile al ritmo.
aggiudichino uno e tre tempi, ma due tempi ciascuno. Hai qualche cosa da
opporre?
D. - Non ho altro da dire se non che anche l'anfibraco deve essere incluso.
M. - Pronunziamo dunque con la percussione una frase composta di piedi di
quattro tempi in cui sia inserito anche un anfibraco ed in egual modo
esaminiamo con l'udito se qualche aritmia infastidisce. Ascolta dunque questo
ritmo ripetuto tre volte con la percussione per facilitare il giudizio: Sumas /
optima, / facias / honesta; Sumas / optima, / facias honesta; / sumas /
optima, / facias / honesta.
D. - Ti supplico, risparmia il mio udito perch, anche senza la percussione, la
sequenza di questi piedi violentemente aritmica nell'anfibraco.
M. - Quale ragione si deve supporre perch non avviene in esso quel che
avviene nel molosso e negli ionici? Forse perch in essi le parti estreme sono
eguali a quella di mezzo? Fra i numeri pari appunto, il primo che si presenta
con la parte di mezzo eguale agli estremi il sei. Dunque, poich i piedi di sei
tempi hanno due tempi nel mezzo e due per ogni lato, facilmente in certo
modo quello di mezzo si estende verso gli estremi, cui congiunto
dall'eguaglianza. Ci non accade invece nell'anfibraco, in cui le parti laterali
differiscono dalla mediana poich questa ha due tempi e quelle uno. Si
aggiunge che negli ionici e nel molosso, dato che il medio assorbito dagli
estremi, si hanno tre tempi per ciascuno, nei quali a loro volta gli estremi sono
eguali al medio anche esso eguale. E ci manca all'anfibraco.
D. - proprio come tu dici e non senza ragione l'anfibraco in quella serie
offende l'udito, mentre gli altri lo dilettano.
Combinazione di piedi sesquati.
loro giacch tutti e due nella divisione cominciano da quattro tempi e perci
hanno la medesima misura e cadenza. Resta il piede di otto tempi, chiamato
dispondeo che, come il pirrichio, non ha eguali. Hai ascoltato da me ci che hai
chiesto e son stato capace di fare. Il resto a te.
M. - Lo far. Ma dopo un dialogo cos lungo riposiamoci un po' e ricordiamo i
versi estemporanei che la stanchezza dianzi mi ha suggerito:
Voglio alfine che ti risparmi; lo studio affatica, e lascia che lo spirito voli libero
nello spazio. Piace, ed da saggi, distendere l'attenzione applicata alle attivit
liberali. D. - Certo che piace ed io obbedisco volentieri.
1 - VIRGILIO, Aen. 1, 1.
2 - TERENZIANO MAURO, De litteris 89-93: G.L. 6, 328.
LIBRO TERZO
RITMO E METRO
Teoria di ritmo verso e metro (1, 1 - 2, 4)
Ritmo e limite.
M. - Perch credi che ti accada? Forse perch si tratta di parole? Infatti mentre
in un dialogo possiamo rispondere sulle idee pertinenti a una disciplina, non
cos sulle parole, appunto perch le idee sono universalmente innate nella
mente di tutti gli uomini, mentre i loro nomi sono stati imposti dall'arbitrio di
individui e il loro significato si fonda sull'uso dovuto alla tradizione. Ecco perch
vi pu essere diversit di linguaggi, ma non certo di idee che sono stabilite
nella stessa verit. Ascolta dunque da me ci che da te non potresti
rispondere. Gli antichi non hanno chiamato metro soltanto il verso. Dunque,
per ci che ti riguarda, giacch non si tratta pi di nomi, cerca di comprendere
se fra le due forme vi sia una differenza. Infatti un ritmo di piedi si chiude con
una fine cos determinata che non ha importanza dove si abbia un comma
prima di giungere alla fine, un altro invece non solo si chiude con una fine
determinata, ma prima della fine a un certo punto si avverte una partizione,
come se fosse formato da due cola.
D. - Non capisco.
M. - Fai attenzione dunque a questo esempio:
Ite igitur, / Camenae Fonticolae / puellae Quae canitis/sub antris Mellifluos /
sonores Quae lavitis / capillum Purpureum Hip/ pocrene Fonte, ubi fu/sus
olim Spumea
la/vit
almus Ora
iubis
/
aquosis. Pegasus,
in
/
nitentem Pervolatu/rus aethram.
Tu noti certamente che i primi cinque versi hanno un emistichio nel medesimo
punto, cio nel coriambo. Ad esso si aggiunge il bacchio per completare il
breve verso. Tutti gli undici versi sono formati appunto da un coriambo e da un
bacchio. Gli altri, eccetto uno, cio Ora iubis aquosis, non hanno nel medesimo
punto un comma completo.
D. - Comprendo, ma non vedo a che scopo.
M. - Ma appunto per farti capire che questo metro non ha una sede, per cos
dire, normativa, con cui si abbia un emistichio prima della fine del verso. Se
cos fosse, tutti avrebbero nel medesimo punto il comma o sarebbero rarissimi
quelli che non l'avessero. Ora su undici versi sei lo hanno e cinque no.
D. - Capisco e attendo a che mira la dimostrazione.
M. - Fai dunque attenzione a questo notissimo verso: Arma vi/rumque ca/no
Tro/iae qui/ primus ab / oris. E per non portarla alle lunghe, dato che la poesia
notissima, esamina da questo fin dove vuoi i singoli versi e vi troverai un
emistichio al quinto semipiede, cio dopo due piedi e mezzo. Infatti questi
versi son formati di piedi di quattro tempi e quindi la fine dell'emistichio, di cui
si parla, per cos dire normativa al decimo tempo.
D. - chiaro.
Verso colon e cesura.
4. 10. M. - Veggo ormai che puoi facilmente elencare nella disposizione tutti gli
altri ritmi. Perci senza mia interrogazione o piuttosto come se tu fossi
interrogato su tutto, dimmi con tutta la brevit e chiarezza possibili come i
piedi che restano, se mescolati normalmente ad altri, conservino il proprio
nome nel ritmo.
D. - Lo far e non sar una fatica, tanta la chiarezza delle precedenti
dimostrazioni. Nessun piede potr essere unito al tribraco perch tutti quelli
che hanno tempi eguali ai suoi hanno la precedenza. Al dattilo pu essere unito
l'anapesto perch viene dopo e scorre con egual tempo e eguale percussione.
Ad ambedue, per la medesima ragione, pu essere unito il proceleusmatico. Al
bacchio possono essere uniti il cretico e i peoni I, II e IV. Al cretico possono
unirsi tutti i piedi di cinque tempi che vengono dopo di lui, ma non tutti con la
medesima divisione. Gli uni infatti si dividono in due e tre tempi, gli altri in tre
e due tempi. Ma il cretico stesso pu esser diviso in due maniere, dato che la
breve di mezzo pu essere attribuita alla prima o alla seconda parte. Il
palimbacchio invece, per il fatto che la sua divisione inizia con due tempi e
termina con tre, ha come adatti alla unione tutti i peoni, escluso il secondo. Dei
trisillabi rimane il molosso, dal quale iniziano i piedi di sei tempi, che possono
tutti essergli uniti, in parte perch ne condividono il rapporto dell'uno al due ed
in parte per quella divisione, rilevata dalla percussione, della sillaba lunga di
mezzo che cede un tempo a ciascuno degli estremi. Nel sei appunto il medio
eguale agli estremi. Per questo motivo il molosso e i due ionici sono battuti non
solo nel rapporto di uno a due, ma anche in due parti eguali di tre tempi
ciascuna. Avviene cos che successivamente a tutti i piedi di sei tempi possono
essere uniti gli altri di sei tempi. Rimane soltanto l'antispasto, il quale non
ammette unione con alcun altro. Seguono i quattro epitriti. Il primo di essi
ammette l'unione col secondo, il secondo rifiuta l'unione con ogni altro, il terzo
si unisce col quarto e il quarto con nessuno. Resta il dispondeo che far, anche
esso, il ritmo da solo poich non trova un ritmo dopo di s, n ad esso eguale.
Cos sono otto in tutti i piedi che fanno un ritmo senza mescolanza: il pirrichio,
il tribraco, il proceleusmatico, il peone IV, l'antispasto, l'epitrito II e IV e il
dispondeo. Gli altri ammettono l'unione con quelli che li seguono in maniera da
ottenere il nome di ritmo, anche se se ne possono contare pochi in questa
serie. Questo , credo, sufficiente per l'argomento che hai voluto da me
esposto nei particolari. tuo compito ora esaminare ci che resta.
Si danno piedi con pi di quattro sillabe?
D. - Niente, assolutamente.
M. - Considera dunque quante sillabe si danno.
D. - Se ne formano cinque, evidente.
M. - Vedi pertanto che pu essere superato il numero di quattro sillabe.
D. - Lo vedo bene.
M. - E se sostituisci quattro brevi alle due lunghe dello ionico, non devi
necessariamente calcolare sei sillabe in un solo piede?
D. - S.
M. - E se scomponi in brevi tutte le sillabe dell'epitrito, c' forse da dubitare
che si avrebbero sette sillabe?
D. - No, certo.
M.- E il dispondeo? Non fa otto sillabe se si pongono due brevi al posto di tutte
le lunghe?
D. - proprio vero.
Il piede con pi di quattro sillabe non ha figura.
5. 12. M. - Qual dunque la ragione per cui si costretti a scandire dei piedi
con un s gran numero di sillabe e nello stesso tempo si deve ammettere, in
base alle dimostrazioni gi esposte, che il piede usato per i ritmi non deve
superare le quattro sillabe? Non ti sembra che i due concetti si oppongono?
D. - S certamente e non so come si possano accordare.
M. - Anche questo facile. Basta che ricordi di nuovo se dianzi logicamente
emerso dal nostro dialogo che il pirrichio e il proceleusmatico debbono essere
riconosciuti nel loro schema dalla percussione. Cos soltanto il piede a divisione
normale creer il ritmo, quanto dire che da esso il ritmo prender il nome.
D. - Ricordo e non vedo perch mi debba pentire di aver accettato tali concetti.
Ma a che scopo le tue parole?
M. - Perch tutti i piedi di quattro sillabe, tranne l'anfibraco, formano un ritmo,
vale a dire, hanno la precedenza nel ritmo e lo costituiscono nell'uso e nel
nome. Al contrario molti dei piedi, che hanno pi di quattro sillabe, possono
sostituirli, ma da soli non formano un ritmo e non possono avere il nome di
ritmo. Per questo penserei di non chiamarli piedi. Pertanto la opposizione che
ci turbava, come penso, risolta ed eliminata, giacch in luogo di un piede
possiamo porre pi di quattro sillabe e tuttavia non considerare piede se non
quello con cui il ritmo si forma. Bisognava infatti che fosse stabilito al piede un
certo limite dello sviluppo in sillabe. Ora il limite, che si potuto nel miglior
modo stabilire, perch derivato dalla stessa legge dei numeri, si arrestato al
quattro. Quindi si potuto avere un piede di quattro sillabe lunghe. Quando
poi a suo posto stabiliamo otto brevi, dato che occupano la medesima durata,
si possono sostituire all'altro piede. Ma poich superano la normale estensione
cio il quattro, si vieta che siano posti di per se stessi e formino un proprio
ritmo, e non tanto per esigenza estetica dell'udito, ma per norma d'arte. Hai
qualche cosa da obiettare?
Il piede pi lungo di quattro lunghe.
5. 13. D. - S, e lo dico. Che cosa impediva che il piede potesse giungere fino
ad otto sillabe, quando vediamo che si pu accettare questo numero per ci
che riguarda il ritmo? E non mi turba il tuo assunto che il piede messo al
posto di un altro, che anzi proprio questo mi suggerisce di chiedere, anzi di
lamentare, che non sia consentito anche col proprio nome un piede che lo pu
a posto di un altro.
6. 14. M. - Ti facile ora capire con evidenza che si hanno alcuni piedi posti in
luogo di quelli che hanno la precedenza nel ritmo, ed altri che sono posti
assieme ad essi. Infatti nei ritmi, in cui si pongono due brevi in luogo di una
lunga, a posto del piede che d il nome al ritmo, se ne pone un altro, come un
tribraco in luogo del giambo o del trocheo, oppure un dattilo, un anapesto o un
proceleusmatico in luogo di uno spondeo. Invece nei ritmi, in cui ci non
avviene, non in suo luogo, ma insieme ad esso si pone un qualsiasi piede che
viene dopo e gli si pu unire, come l'anapesto assieme al dattilo, il digiambo e
il dicoreo assieme ai due ionici e similmente i rimanenti secondo la propria
legge con gli altri. Ti sembra poco chiaro o sbagliato?
D. - Ora capisco.
M. - Dimmi dunque se i piedi posti in luogo di altri possono anche essi di per s
formare il ritmo.
D. - S.
M. - Tutti?
D. - S.
M. - Dunque un piede di cinque sillabe pu col proprio nome formare un ritmo
poich pu esser posto in luogo del bacchio, del cretico o qualunque peone?
D. - Certamente no. Ma esso non si considera pi un piede se ben ricordo la
sua progressione fino al quattro. Quando ho risposto che tutti lo possono,
intendevo dire che i veri piedi lo possono.
M. - Lodo la tua diligenza e attenzione nel ritenere perfino il nome. Ma sappi
che molti hanno ritenuto di dover denominare piedi anche quelli di sei sillabe,
ma di pi nessuno, che io sappia. Ma anche quelli che lo hanno insegnato,
hanno affermato che non si devono impiegare piedi tanto lunghi per formare
un ritmo o metro. E cos non hanno dato ad essi neppure il nome. Pertanto
veramente esatto il limite dello sviluppo che giunge fino a quattro sillabe,
poich tutti questi piedi, congiungendosi, hanno potuto formare un piede,
sebbene divisi non ne hanno potuto formare due. Cos i dotti, che sono arrivati
fino a sei sillabe, hanno osato attribuire soltanto il nome di piede a quelli che
sorpassano le quattro sillabe, ma non hanno permesso che essi aspirassero
alla precedenza nel ritmo e nel metro. Ma quando in luogo di una lunga si
pongono due brevi, si arriva, come dimostra, la logica, fino a sette e otto
sillabe, ma nessuno ha esteso il piede fino a tal numero. Veggo dunque
risultare dal nostro dialogo che qualsiasi piede con pi di quattro sillabe,
quando si pongono due brevi in luogo di una lunga, non pu essere utilizzato
assieme a quelli normali, ma a loro posto e che non creano di per s il ritmo.
Quindi perch non vada oltre il limite ci che logicamente deve averlo e poich
penso che nel nostro dialogo si sufficientemente trattato del ritmo, passiamo,
se vuoi, al metro.
D. - D'accordo.
Ritmo e metro (7, 15 - 9, 21)
Ritmo e costituzione del metro.
7. 15. M. - Dimmi dunque se, secondo te, il metro formato dai piedi oppure i
piedi dal metro.
D. - Non capisco.
M. - Piedi congiunti formano il metro ovvero i piedi sono formati di metri
congiunti?
D. - Ho capito ci che dici e penso che il metro sia formato da piedi congiunti.
M. - E perch lo pensi?
D. - Perch hai detto che tra il ritmo e il metro vi questa differenza, che nel
ritmo la connessione dei piedi non ha alcun limite determinato, nel metro
invece lo ha; perci la connessione dei piedi propria del ritmo e del metro,
ma nel primo non ha un limite, nel secondo invece s.
M. - Un piede solo dunque non un metro.
D. - No, certamente.
M. - E un piede e un semipiede?
D. - Neppure.
M. - Perch? Forse perch il metro formato di pi piedi e non possibile
parlare di pi piedi, dove se ne hanno meno di due?
D. - S.
M. - Esaminiamo dunque quei metri da me dianzi ricordati e vediamo di quali
piedi si compongono. Non ti pi lecito ormai essere incapace di riconoscerne
la struttura. Eccoli:
Ite igitur Camenae Fonticolae puellae Quae canitis sub antris Mellifluos
sonores Credo che siano sufficienti per ci che ci proponiamo. Scandiscili e
dimmi quali piedi hanno.
D. - Non posso proprio. Ritengo che si devono scandire quelli che possibile
congiungere normalmente, e non so trarmi d'impaccio. Se infatti considero il
primo piede un coreo, si ha di seguito un giambo che ha tempo eguale, ma
cadenza differente; se lo considero un dattilo, non si ha di seguito un piede che
gli sia eguale almeno nella durata; se un coriambo, si ha la medesima
difficolt, giacch ci che rimane non gli si accorda n per durata n per
cadenza. Perci o questo non un metro, o falso quanto stato da noi
discusso sull'unione dei piedi. Non trovo altro da dire.
La funzione della pausa per terminare il metro.
Per accertarsi del fatto, i tre tempi si aggiungano o per mezzo di un secondo
giambo o di un coreo o di un tribraco, ad esempio: Quae canitis / locos /
bonos; o: Quae canitis / locos / monte; o Quae canitis / locos / nemore.
Aggiungendo questi piedi la ripetizione scorre dilettosa ed egualita senza la
pausa e mediante la cadenza si avverte che ciascuno dei tre piedi ha una
durata eguale a quella, in cui si interponeva la pausa. dunque evidente che si
aveva una pausa di tre tempi. Dopo il coriambo si pu mettere una sola sillaba
lunga, in modo da avere una pausa di quattro tempi. Infatti il coriambo pu
anche dividersi in maniera che arsi e tesi siano in rapporto di uno a due.
Esempio di questo metro : Quae canitis/ res. Se ad esso aggiungeremo o due
lunghe o una lunga e due brevi o una breve, una lunga e una breve o due brevi
e una lunga o quattro brevi, si avr un piede di sei tempi che pertanto pu
essere ripetuto senza interporre la pausa. Tali sono: Quae canitis /res
pulchras, Quae canitis /res in bona, Quae canitis /res bonumve, Quae canitis
/res teneras, Quae canitis /res modo bene. Conosciuti con evidenza questi
concetti, ti sar, come penso, abbastanza chiaro che non possibile una pausa
minore di un tempo e maggiore di quattro. Questo dunque quello sviluppo
proporzionato, su cui abbiamo detto tante cose; inoltre in tutti i piedi non si
hanno arsi e tesi che occupano pi di quattro tempi.
Bastano un piede, un semipiede e la pausa a dare un metro.
8. 19. Quando si canta dunque o si declama qualche cosa che abbia una fine
determinata e pi di un piede e che per movimento naturale, ancor prima del
riconoscimento dei ritmi, diletta l'udito per una certa proporzione, si ha gi un
metro. Ma supponiamo che abbia meno di due piedi. Se comunque pi d'uno
ed esige la pausa, non senza misura, quantunque nel limite che sufficiente
a completare la durata dovuta al secondo piede. Cos l'udito percepisce come
due piedi ci che, prima di tornare a capo, ha la durata di due piedi per il fatto
che si aggiunge al suono anche una determinata pausa ritmica. Ed ora vorrei
che tu mi dica se hai conoscenza certa delle nozioni esposte.
D. - S ne ho conoscenza certa.
M. - Perch presti fede a me o perch sei certo da te che son vere?
D. - Da me son certo, sebbene le conosco come vere dietro la tua esposizione.
Il verso richiede due cola.
9. 21. M. - E la lunghezza del metro? Pensi che debba superare quella del
verso, giacch anche il metro pi corto pi corto del verso pi corto?
D. - No.
M. - Dunque il metro pi corto di due piedi e il verso di quattro, o anche il
metro pi corto della durata di due piedi e il verso pi corto della durata di
quattro, pausa compresa; inoltre il metro non supera gli otto piedi. Non
necessario dunque, giacch anche il verso metro, che il verso non superi gli
otto piedi?
D. - S.
M. - Inoltre il verso non supera i trentadue tempi e il metro costituisce anche
la stessa lunghezza del verso, se non ha il congiungimento dei due cola, che
indispensabile al verso, ma si chiude soltanto con una fine determinata; infine
il metro non deve essere pi lungo del verso. Non dunque evidente che,
come il verso non deve superare gli otto piedi, cos il metro non deve superare
i trentadue tempi?
D. - Son d'accordo.
M. - Il metro e il verso avranno dunque la medesima durata, il medesimo
numero di piedi, il medesimo limite, oltre il quale entrambi non devono andare.
Tuttavia il metro ha il suo limite quadruplicando il numero dei piedi, da cui si
ha il pi corto, e il verso quadruplicando il numero dei tempi, da cui si ha il
verso pi corto. Cos nell'osservanza dell'ideale legge del quattro il metro
partecipa al verso in piedi la misura dell'espandersi e il verso al metro in
tempi.
D. - Comprendo e approvo e mi piace che esista questo reciproco
collegamento.
LIBRO QUARTO
CLASSIFICAZIONE E REGOLE DEL METRO
Classificazione dei metri (1, 1 - 12, 15)
Indifferenza se l'ultima sillaba del metro breve o lunga.
2. 3. M. - Esamina anche questi: Si aliquid es,/ age bene./ Male qui agit,/ nihil
agit/ et ideo/ miser erit. D. - Anche essi si ascoltano con gradimento, tranne
nel punto in cui la fine del terzo si incontra con l'inizio del quarto.
M. - proprio questo che mi aspettavo dal tuo udito. Non senza motivo il
senso contrariato quando attende un solo tempo di tutte le sillabe senza
interposizione di pausa. Invece l'incontro delle due consonanti t ed n, che
rendono lunga la sillaba precedente e le danno la durata di due tempi,
ingannano simile attesa. questa la forma che i grammatici chiamano sillaba
lunga per posizione. Ma a causa dell'indeterminatezza dell'ultima sillaba
nessuno trova difettoso questo metro, bench un udito rigidamente disciplinato
lo condanna anche senza accusatore. Infatti puoi osservare quanta sia la
differenza se invece di Male qui agit,/nihil agit, si dica: Male qui agit,/homo
perit.
D. - Questo metro veramente genuino.
3. 4. M. - Ed ora dimmi la tua opinione sui seguenti pirrichi, l'un dopo l'altro:
Quid e/rit ho/mo Qui amat/ homi/nem, Si amet/ in e/o Fragi/le quod/
est? Amet/ igi/tur Ani/mum homi/nis, Et e/rit ho/mo Ali/quid a/mans. Che te
ne sembra?
D. - Debbo ammettere che si svolgono con una perfezione che piace.
M. - E questi?
Bonus/ erit/ amor, Ani/ma bo/na sit, Amor/ inha/bitat Et a/nima/
domus. Ita/ bene ha/bitat, Ubi/ bona/ domus, Ubi/ mala,/ male. D. - Anche
questi ascolto con diletto nella loro sequenza.
M. - Ed ora ascolta metri con tre piedi e mezzo:
Ani/mus ho/minis/ est Mala/ bona/ve agi/tans. Bona/ volu/it ha/bet, Mala/
volu/it habet. D. - Anche essi, mediante la pausa di un tempo, sono
esteticamente ben fatti.
M. - Seguono quattro pirrichi completi. Ascoltali e giudica:
Ani/mus ho/minis/ agit Ut ha/beat/ ea/ bona, Quibus/inha/bitet/ homo, Nihil/
ibi/ metu/itur. D. - Anche in essi la misura esatta e dilettosa.
M. - Ascolta ora nove sillabe brevi; ascolta e giudica:
Homo/ malus/ amat/ et e/get, Malus/ete/nim ea/ bona a/mat, Nihil/ ubi/
sati/at e/um D. - Declama ora cinque pirrichi.
M. - Levi/cula/ fragi/lia/ bona, Qui amat/ homo/ simi/liter/ habet. D. -
sufficiente e li giudico buoni. Ora aggiungi un semipiede.
M. - S.
Vaga/ levi/a fra/gili/a bo/na, Qui amat/ homo/ simi/lis e/rit e/is. D. - Proprio
bene. Aspetto ora sei pirrichi.
M. - Ascoltali:
Vaga/ levi/cula/ fragi/lia/ bona, Qui ada/mat ho/mo si/milis/erit/ eis. D. -
sufficiente, aggiungi un semipiede.
M. - Flui/da le/vicu/la fra/gili/a bo/na Quae ada/mat a/nima/ simi/lis e/rit
e/is. D. - sufficiente e va bene. Componi ora sette pirrichi.
M. - Levi/cula/ fragi/lia/ graci/lia/ bona, Quae ada/mat a/nimu/la si/milis/ erit/
eis. D. - Sia aggiunto un semipiede. Dona al buon gusto.
Vaga flui/da le/vicu/la fra/gili/a bo/na Quae ada/mat a/nimu/la fit/ ea/ simi/lis
e/is. D. - Penso che restino soltanto gli otto piedi per uscire da questi
particolari. E sebbene l'udito trovi belli per la genuina misura ritmica i metri
che hai declamati, non vorrei tuttavia che ti affanni a cercare tante sillabe
brevi. Se non sbaglio, trovarle riunite in una frase pi difficile che se si
avesse licenza di mescolarvi delle lunghe.
M. - Non sbagli proprio e per provarti la mia gioia perch ci si permette di
proseguire oltre, comporr il restante metro di questa forma con un pensiero
pi felice:
Soli/da bo/na bo/nus am/at et/ea/ qui amat/ habet Ita/que nec/ eget/ amor/
et e/a bo/na De/us est.
D. - Ho in abbondanza i metri composti del pirrichio. Seguono i metri giambici.
Di essi mi son sufficienti due esempi per ciascuno. Mi piacerebbe ascoltarli
senza intermissione.
...giambici...
mo/ventur/
haec
sed/
ordi/ne. Veri/tate/
facta/
cuncta/
cernis/
ordi/nata, veri/tas ma/net, no/vans mo/vet quod/ inno/vatur. Veri/tate/ facta/
cuncta/ sunt et/ ordi/nata/ sunt, veri/tas no/vat ma/nens, mo/ventur/ ut
no/ventur/ haec. Veri/tate/ facta/ cuncta/ sunt et/ ordi/nata/ cuncta, veri/tas
ma/ nens no/vat, mo/ventur/ ut no/ventur/ ista.
...spondaici...
semipiede, quindi non si ha pausa nel pirrichio e due tempi di pausa nel
tribraco.
M. - Cambiando dunque la cadenza hai nei pirrichi anche esempi di metri
tribraci fino a sedici sillabe, cio a cinque tribraci e un semipiede. Devi
contentarti. Gli altri li puoi svolgere da solo o con la voce o con la percussione,
se ritieni ancora di dover esaminare simili metri con l'udito.
D. - Far ci che riterr opportuno. Esaminiamo i rimanenti.
Dopo il dattilo la pausa di due tempi.
bacchio, sicch ci che manca sia in pausa. Vorrei tuttavia esaminarlo con
l'udito mediante un esempio.
M. - facile presentare degli esempi; non penso per che ne sarai dilettato
come dai precedenti. I piedi di cinque tempi, come quelli di sette, non hanno la
sequenza ritmica di quelli che si dividono in parti eguali o nel rapporto di uno a
due o di due a uno. grande appunto la differenza tra i movimenti sesquati e i
movimenti eguali o moltiplicati, di cui abbiamo abbastanza discorso nel primo
libro. Pertanto come i poeti considerano questi piedi di cinque e sette tempi
con grande disprezzo, cos ben volentieri li usa la prosa. Lo potrai rilevare pi
facilmente negli esempi che hai richiesto. Eccone uno: Laborat/ magister/
docens tar/dos. Ripetilo interponendo una pausa di tre tempi. Per fartela
percepire meglio, ho posto dopo i tre piedi una lunga che l'inizio di un
cretico, il quale pu essere congiunto al bacchio. Non ho dato un esempio per il
primo metro che di quattro sillabe, ritenendo che un solo piede non fosse
sufficiente per avvertire il tuo udito della durata che la pausa deve avere dopo
di esso ed una lunga. Ora li compongo e li ripeter in modo che nella pausa tu
possa percepire tre tempi: Labor nul/lus, // Amor ma/gnus.
D. - chiaro che questi piedi sono pi adatti per la prosa ed inutile elencare
gli altri con esempi.
M. - Dici bene. Ma, a tuo avviso, quando si deve osservare la pausa, si pu
mettere soltanto una lunga dopo il bacchio?
D. - No, certamente, ma anche una breve e una lunga, che costituiscono il
primo semipiede di un bacchio. Ci stato permesso cominciare con un cretico
perch pu essere congiunto con un bacchio, a pi forte ragione dunque ti sar
permesso di farlo col bacchio, soprattutto perch non abbiamo posto tutta la
seconda parte del cretico, che eguale in tempi alla prima parte del bacchio.
Metri pausa ed uguaglianza dei tempi.
stesso che porre un anapesto a causa dell'ultima sillaba che con la pausa di
solito si considera lunga. All'epitrito I normalmente son posti di seguito il
giambo, il bacchio, il cretico e il peone IV. Ci valga anche per l'epitrito II e la
pausa sar di quattro e due tempi. Lo spondeo e il molosso possono
normalmente seguire gli altri due epitriti, a condizione che sia lecito scomporre
in due brevi la prima dello spondeo e la prima o la seconda del molosso. In
questi metri si avr dunque la pausa di tre o un tempo. Resta il dispondeo. Se
dopo di esso si porr uno spondeo, si deve stare in pausa quattro tempi, se un
molosso, due, con la possibilit di scomporre in due brevi una lunga,
eccettuata l'ultima, tanto nello spondeo che nel molosso. Ecco quanto tu hai
voluto che io passassi in rassegna. Trovi delle mende?
Metri con piedi di sei tempi...
11. 12. M. - Non io, ma tu, se porgi attento l'orecchio a giudicare. Ti chiedo
appunto, mentre io pronuncio con la percussione questi tre metri: Verus
opti/mus,/ Verus opti/morum,/ e Veritatis/inops, se il tuo udito percepisce
quest'ultimo con la medesima ritmicit degli altri due. Li potrai giudicare
facilmente ripetendoli e usando le percussioni con le dovute pause.
D. - Percepisce ritmici i primi due, aritmico l'ultimo, chiaro.
M. - Dunque di norma non si pone il giambo dopo il dicoreo.
D. - No.
M. - Si deve ammettere al contrario che pu regolarmente esser posto dopo
tutti gli altri piedi, se i seguenti metri si ripetono con la norma delle dovute
pause:
Fallacem/ cave Male castum/ cave. Multiloquum/ cave. Fallaciam/ cave. Et
invidum/ cave. Et infirmum/ cave. D. - Intendo ci che dici e son d'accordo.
M. - Esaminiamo anche se ti infastidisce il metro seguente, poich con
l'interposizione della pausa di due tempi, nel ritorno a capo si svolge con
cadenza aritmica. Pu esso esser ritmico come i seguenti?
Veraces/
regnant. Sapientes/
regnant. Veriloqui/
regnant. Prudentia/
regnat. Boni in bonis/ regnant. Pura cuncta/ regnant..
D. - No, questi si svolgono con cadenza ritmica regolare, l'altro aritmico.
M. - Terremo presente dunque che nei metri di sei tempi il dicoreo si chiude
irregolarmente con il giambo e l'antispasto con lo spondeo.
D. - S, certamente.
...e con piedi di tre tempi in fine.
all'ultima, in quelli invece che non possono essere divisi cos, la parte media
eguale soltanto o alla prima parte o all'ultima o a nessuna delle due.
D. - So anche questo, ma vorrei sapere cosa sta ad indicare.
M. - Ma a farti capire che il giambo posto irregolarmente con la pausa dopo il
dicoreo, perch esso costituisce la parte mediana del dicoreo stesso, ma non
eguale n alla prima n all'ultima e pertanto discorda nell'arsi e nella tesi. Ci
s'intende anche per lo spondeo che egualmente non vuole esser posto con la
pausa dopo l'antispasto. Hai da esporre qualche difficolt contro queste
nozioni?
D. - No, nessuna. Tuttavia il fastidio che si verifica nell'udito, quando i piedi
suddetti sono posti con quella disposizione, si verifica nel confronto con quella
euritmia che diletta l'udito, quando i medesimi piedi sono posti con la pausa
dopo gli altri piedi di sei tempi. Infatti se tu mi chiedessi, dopo aver presentato
degli esempi, come suonano, per tacere di altri, il giambo dopo il dicoreo e lo
spondeo dopo l'antispasto con relativa pausa, ti dico lealmente che forse li
approverei e loderei.
M. - Non ti contraddico. A me basta che tale disposizione, nel confronto con tali
ritmi, ma pi euritmici, come tu dici, ti d fastidio. Ed essa tanto pi da
riprovarsi perch non avrebbe dovuto essere in aritmia con quei piedi che,
essendo della medesima forma, si svolgono, come dobbiamo ammettere, tanto
ritmicamente se chiusi da quei semipiedi. E non ti pare che, in base alla
medesima regola, neanche dopo l'epitrito II pu esser posto un giambo con la
pausa? Infatti anche di questo piede il giambo costituisce la parte mediana, ma
in modo che non si eguaglia n ai tempi della prima n a quelli della seconda.
D. - Questa dimostrazione mi convince.
I piedi da due a cinque tempi danno 250 metri regolari...
12. 14. M. Ed ora, se vuoi, dimmi il numero di tutti i metri che abbiamo
trattato finora, cio di quelli che cominciano con i relativi piedi completi e sono
chiusi invece, alcuni con i relativi piedi completi e quindi senza interposizione
della pausa, mentre si torna a capo, ed altri che sono chiusi con piedi
incompleti e quindi con la pausa. Ovviamente, come la dimostrazione ha
accertato, gli incompleti devono essere in euritmia con i completi. La
numerazione inizia da due piedi incompleti fino a otto completi, senza che
siano oltrepassati i trentadue tempi.
D. - faticoso ci che mi imponi, ma ne vale la pena. Ma ricordo che poco fa
eravamo gi arrivati a settantasette metri dal pirrichio al tribraco. Infatti i piedi
di due sillabe ne formano quattordici ciascuno, che nel totale sono
cinquantasei, e il tribraco, a causa della duplice divisione, ne forma ventuno. A
questi settantasette dunque si aggiungono quattordici metri dattilici e anapesti.
Infatti se i piedi si pongono completi e senza pausa, giacch il metro comincia
da due e arriva fino a otto piedi, essi formano sette metri ciascuno. Se poi si
aggiungono un semipiede e la pausa, giacch il metro comincia da un piede e
mezzo e arriva fino a sette e mezzo, se ne hanno altri sette ciascuno. E sono
gi in tutti centocinque metri. Il bacchio non pu estendere il proprio metro
fino agli otto piedi per non oltrepassare i trentadue tempi, e cos ogni altro
piede di cinque tempi, ma possono arrivare fino a sei piedi. Il bacchio dunque e
il peone II, che gli eguale per tempi e divisione, partendo dai due fino ai sei
piedi, se completi e disposti senza pausa, formano cinque metri ciascuno;
invece con la pausa, cominciando da uno fino a cinque semipiedi, formano altri
cinque piedi ciascuno se dopo viene posta una lunga ed ugualmente cinque
ciascuno se dopo si pongono una breve e una lunga. Formano dunque quindici
metri ciascuno che addizionati divengono trenta. In tutti dunque sono gi cento
trentacinque metri. Il cretico e i peoni I e IV, che sono divisi egualmente,
essendo ammesso porre dopo di essi una lunga, un giambo, uno spondeo e un
anapesto, giungono a formare settantacinque metri. Infatti, giacch sono in
tre, formano senza pausa cinque metri ciascuno e con la pausa ne formano
venti ciascuno che nel totale divengono, come ho detto, settantacinque.
Aggiungendoli alla somma precedente si arriva a duecentodieci. Il palimbacchio
e il peone III, che gli simile nella divisione, se completi senza pausa, danno
cinque metri ciascuno, e con la pausa cinque ciascuno con una lunga, cinque
ciascuno con uno spondeo, cinque ciascuno con un anapesto. Essi si
aggiungono al totale maggiore e si avranno in tutto duecento cinquanta metri.
...e da sei a otto tempi altri 321, in tutto 571 meno tre.
12. 15. Il molosso e gli altri piedi di sei tempi, in tutti sette, se completi,
formano quattro metri ciascuno; con la pausa invece, giacch si pu porre
dopo ciascuno di essi una lunga, un giambo, uno spondeo, un anapesto, un
bacchio, un eretico e il peone IV, formano ventotto metri ciascuno, in tutti
cento novantasei che, addizionati con i precedenti quattro per ciascuno, danno
la somma di duecento ventiquattro. Bisogna per sottrarne otto poich il
giambo posto irregolarmente dopo il dicoreo e lo spondeo dopo l'antispasto.
Rimangono duecento sedici metri che aggiunti all'altra somma fanno in tutti
quattrocento sessantasei metri. Non si potuto rilevare la regola del
proceleusmatico con i piedi con cui in euritmia a causa dei numerosi
semipiedi che dopo di esso si possono porre. Si possono aggiungere infatti una
lunga con pausa come dopo il dattilo e gli altri di egual durata, di modo che si
hanno due tempi di pausa, oppure tre brevi con un tempo di pausa, la quale fa
s che l'ultima breve sia considerata lunga. Gli epitriti, se completi, formano tre
metri ciascuno, giacch il metro inizia da due piedi e arriva fino a quattro. Si
supererebbero appunto i trentadue tempi, ed inammissibile, se si
aggiungesse un quinto piede, Con la pausa, gli epitriti I e II formano tre piedi
ciascuno, se seguiti dal giambo, tre ciascuno se dal bacchio, tre ciascuno se dal
eretico e tre ciascuno se dal peone IV. E fanno trenta con i tre per ciascuno
senza pausa. Gli epitriti III e IV ne formano tre ciascuno prima della pausa, tre
ciascuno con lo spondeo, tre ciascuno con l'anapesto, tre ciascuno col molosso,
tre ciascuno con lo ionico minore, tre ciascuno con il coriambo. E sono,
compresi quelli senza pausa, trentasei. Gli epitriti formano dunque in totale
sessantasei metri che con ventuno proceleusmatici, addizionati alla somma
precedente, fanno cinquecento cinquantatr metri. Resta il dispondeo che, se
completo, produce anche esso tre metri, e aggiunta la pausa ne forma tre con
lo spondeo e altrettanti con l'anapesto, il molosso, lo ionico minore e il
coriambo. Ed essi, addizionati ai tre che si formano se completi, fanno diciotto
metri. Sono dunque in tutti cinquecento settantuno metri.
Regole della pausa e cesura (13, 16 - 15, 29)
I semipiedi possono trovarsi all'inizio del metro...
13. 16. M. - Sarebbero tutti questi, se non si dovesse sottrarne tre giacch si
detto gi che il giambo non pu esser posto dopo l'epitrito II. Comunque la tua
esposizione buona. Ed ora dimmi come suona al tuo udito questo metro:
Triplici vides ut ortu Triviae rotetur ignis 1
D. - Molto ritmicamente.
M. - Puoi anche dirmi di quali piedi composto?
D. - No, e non trovo, mentre li scandisco, come sono in rapporto fra di loro. Se
pongo all'inizio un pirrichio o un anapesto o un peone III, quelli che seguono
non s'accordano ad essi. Posso ravvisare dopo il peone III un cretico e la
sillaba finale lunga che il cretico non rifiuta, se posta dopo. Questo metro
per non pu essere formato regolarmente da questi piedi, se non viene
interposta la pausa di tre tempi, ma qui non si ha pausa perch il metro
soddisfa l'udito col ritorno a capo.
M. - Esamina dunque se deve cominciare da un pirrichio, poi si scandisce un
dicoreo e poi uno spondeo, che completa i sei tempi, di cui due sono all'inizio.
Si pu avere all'inizio anche un anapesto, poi essere scandito un digiambo in
modo che la finale lunga con i quattro tempi dell'anapesto completi i sei tempi
corrispondenti al digiambo. Da ci puoi comprendere che sezioni di piedi
possono esser posti non solo alla fine, ma anche all'inizio dei metri.
D. - Adesso capisco.
...e il piede compiuto alla fine.
13. 17. M. - E se io tolgo una sola sillaba lunga finale, cos da avere questo
metro: Segetes meus labor, non avverti che si ha il ritorno a capo con la pausa
di due tempi? Da ci chiaro che si pu porre una parte del piede all'inizio del
metro, un'altra alla fine ed un'altra in pausa.
D. - S, anche questo chiaro.
M. - Ed ci che accade se in questo metro si scandisce un dicoreo completo.
Se invece un digiambo e si pone all'inizio un anapesto, si pu osservare che la
parte del piede posta in principio ha gi quattro tempi e gli altri due richiesti
sono in pausa alla fine. Da questa constatazione apprendiamo che il metro pu
iniziare con una sezione del piede e finire con un piede completo, ma non
senza pausa.
D. - Anche questo evidente.
Si d anche la pausa non finale o cesura.
13. 18. M. - E puoi scandire il metro seguente e dire di quali piedi formato?
Iam satis/ terris nivis/ atque dirae Grandinis misit Pater et rubente Dextera
sacras iaculatus arces 2.
D. - Posso porre all'inizio un cretico e poi scandire altri due piedi di sei tempi,
uno ionico maggiore e un dicoreo e fare la pausa di un tempo che si aggiunge
al cretico per completare i sei tempi.
M. - Al tuo esame mancato qualche cosa. Il dicoreo alla fine e, data la
pausa, la sua ultima sillaba che breve passa per lunga. Dici di no?
D. - Anzi dico di s.
M. - Non bisogna dunque porre in fine un dicoreo, salvo che non vi sia la pausa
nel ritorno a capo, altrimenti l'udito non percepirebbe un dicoreo, ma un
epitrito II.
D. - chiaro.
M. - Come lo scandiremo dunque questo metro?
D. - Non lo so.
14. 18. M. - Poni attenzione dunque se il metro suona bene quando, nel
pronunciarlo, dopo le prime tre sillabe faccio la pausa di un tempo. Cos alla
fine non sar richiesto alcun tempo di modo che vi pu esser regolarmente un
dicoreo.
14. 19. M. - Aggiungiamo anche questa regola all'arte poetica, e cio che,
quando si richiede, si osservi la pausa non soltanto alla fine, ma anche prima
della fine. E si richiede quando, a causa dell'ultima breve, irregolare alla fine
la pausa in sostituzione dei tempi dei piedi, come nel caso citato, oppure
quando si pongono due piedi incompleti, uno all'inizio, l'altra alla fine, come in
questo metro:
Gentiles nostros// inter oberrat equos 3//.
Hai percepito, penso, che ho osservato la pausa di due tempi dopo le cinque
sillabe lunghe e che si deve fare una pausa della medesima durata alla fine,
mentre si torna a capo. Se infatti si scandisce questo metro con la regola dei
sei tempi, si ha per primo uno spondeo, secondo un molosso, terzo un
coriambo e infine un anapesto. Allo spondeo dunque e all'anapesto mancano
due tempi per completare un piede di sei tempi. Pertanto si fa una pausa di
due tempi dopo il molosso prima della fine e di due dopo l'anapesto alla fine.
Se invece si scandisce con la regola dei quattro tempi, vi sar una lunga
all'inizio, poi si scandiscono due spondei e due dattili e infine chiuder una
lunga. Si fa dunque una pausa di due tempi dopo entrambi gli spondei prima
della fine e di due alla fine, in maniera da completare i due piedi, le cui mezze
parti sono state poste una al principio e una alla fine.
Metri senza cesura nei quali...
14. 20. Talora tuttavia l'intervallo che si deve ai due piedi incompleti posti in
principio e in fine dato soltanto dalla pausa finale, se essa tale che non
ecceda un semipiede, come in questi due versi:
Silvae la/borantes/ geluque Flumina/ constiterint/ acuto 4.
Il primo metro infatti comincia da un palimbacchio, continua con un molosso e
termina con un bacchio. Si hanno quindi due tempi di pausa. E se ne viene
attribuito uno al bacchio, l'altro al palimbacchio, si avranno tre piedi di sei
tempi ciascuno. Il secondo metro comincia al contrario con un dattilo, continua
in un coriambo e si chiude con un bacchio. Si dovr dunque osservare una
pausa di tre tempi. Di essi uno sar dato al bacchio, due al dattilo; cos in tutti
i piedi si avranno i sei tempi.
...la pausa va a completare il piede finale.
14. 21. Prima dunque si accorda il tempo che si richiede a completare il piede
finale, poi a quello posto all'inizio. L'udito non permette proprio che avvenga
diversamente. E non c' da meravigliarsene, giacch nel ritornare a capo si
riporta all'inizio ci che alla fine. Ora nel metro gi citato: Flumina/
constiterint/ acuto, mancano tre tempi per completare i sei di ciascun metro e
se non si vogliono dare con la pausa ma col suono, possono essere impiegati
con un giambo, un trocheo e un tribraco, giacch tutti hanno tre tempi.
Tuttavia l'udito stesso non tollera proprio che essi siano dati mediante il
trocheo perch in esso la prima lunga e l'altra breve. Bisogna al contrario
che prima si percepisca ci che richiesto dal bacchio finale, cio una sillaba
breve e non una lunga che richiesta dal dattilo iniziale. Il fatto si pu
verificare con questi esempi:
Flumina/
constiterint/
acuto/
gelu. Flumina/
constiterint/
acute/
gelida. Flumina/ constiterint/ in alta/ nocte. Nessun dubbio che i primi due si
svolgono ritmicamente e il terzo no.
14. 23. Cos, quando si pongono due piedi incompleti, quello dell'inizio non
deve essere pi grande di quello della fine. L'orecchio lo rifiuta, come nel
metro: Optimum/ tempus adest/ tandem, in cui il primo piede un cretico, il
secondo un coriambo, il terzo uno spondeo. Si hanno dunque tre tempi di
pausa, di cui due vanno allo spondeo posto in fine perch si abbiano i sei
tempi, ed uno va al cretico posto all'inizio. Se invece si dice: Tandem/ tempus
adest/ optimum, introducendo la medesima pausa di tre tempi, ognuno pu
percepire che il metro torna a capo ritmicamente. Conviene pertanto che il
piede incompleto alla fine abbia la medesima lunghezza di quello dell'inizio,
come in questo: Silvae la/borantes/ geluque, oppure che il pi corto sia in
principio e il pi lungo alla fine, come in Flumina/ constiterint/ acuto. E non a
torto, perch da un lato se si ha l'uguaglianza non v' disaccordo, e dall'altro
se il numero diverso, ma si va dal pi piccolo al pi grande, come si fa nella
serie dei numeri, l'ordine stesso ristabilisce l'accordo.
Pausa mediana e finale.
15. 25. Si aggiunga anche alla nostra conoscenza che, quando si fa pausa
prima della fine, non si deve avere in quel punto una parola che termina con
sillaba breve. Altrimenti, secondo la regola spesso ricordata, l'udito, data la
pausa che seguirebbe, la percepirebbe come lunga. Pertanto in questo metro:
Montibus/ acutis, non si pu fare la pausa di un tempo dopo il dattilo, come si
15. 26. Si deve notare anche che se si pone un piede catalettico in principio, o
si restituisce in quel punto stesso mediante la pausa ci che dovuto a
completarlo, come in Iam satis// terris nivis atque dirae, oppure alla fine, come
in Segetes/ meus labor//. Invece a un piede catalettico posto alla fine o si
restituisce con la pausa in fine ci che dovuto a completarlo, come in Ite
igitur/ Camoenae//, ovvero in uno dei punti mediani, come in questo: Ver
blandum// viget arvis//, adest hospes hirundo 5//. Infatti il tempo dovuto a
completare il bacchio finale, si pu trascorrere in pausa o alla fine del ritmo, o
dopo il primo piede che un molosso, o dopo il secondo che uno ionico
minore. E ci che si deve a completare piedi incompiuti posti in mezzo deve
essere restituito in quello stesso punto, come in Tuba terribilem sonitum//
dedit aere curvo 6//. Se infatti si scandisce questo metro in modo da
considerare il primo piede un anapesto, il secondo uno dei due ionici con
cinque sillabe, dopo aver scomposto, s'intende, la lunga del principio o della
fine in due brevi, il terzo un coriambo e l'ultimo un bacchio, tre saranno i tempi
da restituire, uno in fine al bacchio, due in principio all'anapesto, in modo che
si abbiano sei tempi ciascuno. Ma l'intera durata dei tre tempi pu essere posta
in pausa alla fine. Se invece si comincia da un piede intero, scandendo cinque
sillabe per uno dei due ionici, di seguito si ha un coriambo e poi non si trover
altro piede compiuto. Perci si dovr osservare la pausa per la durata di una
lunga e, inseritala nel ritmo, si avr un altro coriambo. A chiudere resta un
bacchio, il cui tempo mancante si restituisce con la pausa in fine.
...secondo i vari modi di scandire.
15. 27. Dall'esposto risulta evidente, secondo me, che, quando si fa la pausa
in punti mediani, si restituiscono tempi richiesti alla fine o tempi richiesti dove
si fa la pausa. Ma talora non normativo fare la pausa in mezzo al metro,
quando il metro pu essere scandito in varie maniere; come nell'esempio
citato. Qualche altra volta invece normativo, come in questo: Vernat
temperies, aurae//, tepent//, sunt deliciae//. Intanto chiaro che questo ritmo
pu scorrere con piedi di sei e quattro tempi. Se di quattro tempi, si deve far
pausa di un tempo dopo l'ottava sillaba e di due alla fine. Si pu scandire per
primo uno spondeo, secondo un dattilo, terzo uno spondeo, quarto un dattilo
se si inserisce nel ritmo una pausa dopo la lunga poich non possibile dopo la
breve, quinto uno spondeo, sesto un dattilo, l'ultima lunga con cui si chiude il
ritmo e che si completa con due tempi di pausa alla fine. Se invece si
scandiscono piedi di sei tempi, si avr per primo un molosso, secondo uno
ionico minore, terzo un cretico che diviene un dicoreo per l'aggiunta della
pausa di un tempo, quarto uno ionico maggiore, l'ultima lunga, dopo la quale si
ha una pausa di quattro tempi. Si potrebbe scandire anche in altro modo. Si
pone all'inizio una lunga, alla quale fanno seguito uno ionico maggiore, un
molosso e un bacchio che diviene un antispasto; per l'aggiunta della pausa di
un tempo, in ultimo un coriambo chiude il metro, sicch la pausa di quattro
tempi alla fine va a completare la lunga sola posta all'inizio. Ma l'udito rifiuta
15. 28. Pertanto v' una scansione normativa, che abbiamo esposto, del metro
presentato con l'esempio: Vernat temperies//, aurae// tepent//, sunt
deliciae//; e si ha quando si fa pausa di un tempo dopo la decima sillaba e di
quattro in fine. Ma ve n' un'altra facoltativa, se si vuole osservare una pausa
di due tempi dopo la sesta sillaba, di uno dopo l'undicesima e di due alla fine.
Si avrebbe cos all'inizio uno spondeo, cui fa seguito un coriambo, al terzo che
uno spondeo deve essere aggiunta la pausa di due tempi, sicch diventa un
molosso o uno ionico minore, al quarto posto c' un bacchio che con l'aggiunta
della pausa di un tempo diviene un antispasto, con il coriambo al quinto posto
si chiude il ritmo come suono, ma con due tempi in fine restituiti mediante la
pausa allo spondeo collocato all'inizio. E vi un'altra scansione. Se si vuole, si
osserver una pausa di un tempo dopo la sesta sillaba, di uno dopo la decima
e l'undicesima e di due alla fine. Si ha cos per primo uno spondeo, secondo un
coriambo, terzo un palimbacchio che diviene antispasto inserendo nel ritmo la
pausa di un tempo, quarto uno spondeo che diviene dicoreo con
l'interposizione della pausa di un tempo, cui fa seguito un'altra pausa di un
tempo, e ultimo il coriambo chiude il ritmo, di modo che si ha la pausa di due
tempi dovuti allo spondeo iniziale. Esiste una terza scansione, se si osserva la
pausa di un tempo dopo il primo spondeo e si mantiene il resto come nel
sistema precedente. Alla fine per si avr la pausa di un solo tempo, poich lo
spondeo, posto all'inizio, con la pausa di un tempo che lo segue divenuto un
palimbacchio, di modo che la pausa finale che serve a completarlo di un solo
tempo. Da ci comprendi ormai che nei metri sono interposte delle pause, di
cui alcune normative, altre facoltative. Sono normative quando richiesto
qualche cosa per completare il piede, facoltative quando i piedi sono
regolarmente compiuti.
Variet delle pause facoltative.
15. 29. Quanto si detto dianzi, che cio non si deve pausa superiore ai
quattro tempi, stato detto delle pause normative, poste nei punti in cui si
devono completare i tempi richiesti. Al contrario in quelle che abbiamo definito
pause facoltative anche permesso enunciare un piede e percorrerne in pausa
un altro. E se si far con intervalli eguali, non si avr pi un metro, ma un
ritmo, poich non appare un limite determinato, da cui ricominciare. Pertanto
se, ad esempio, si vuole mediante pause ottenere una certa variet fino a fare
in pausa dopo il primo piede i tempi del secondo, non si pu tuttavia
continuare cos all'infinito. Ma permesso con qualsiasi variazione, inserendo
nel ritmo le pause, estendere il metro al numero stabilito di tempi, come in
questo: Nobis// verum in/ promptu est//, tu si/ verum/ dicis. Si ha facolt di
fare in esso, dopo il primo spondeo, una pausa di quattro tempi e di altri
quattro dopo i due seguenti, ma non si avr la pausa dopo i tre spondei finali
16. 30. Ora esponiamo qualche nozione sulla mescolanza dei piedi e sulla
strofa metrica. Sono stati gi esposti molti concetti quando abbiamo esaminato
quali piedi si devono mescolare fra di loro. Per quanto attiene alla strofa
metrica si dovranno esprimere alcuni concetti quando cominceremo a trattare
del verso. In definitiva i piedi si uniscono in un contesto secondo le regole
trattate nel secondo libro. Si deve sapere a proposito che tutte le forme di
metro, che sono state rese celebri dai poeti, hanno i loro creatori e
perfezionatori e che da essi sono state dettate leggi ben definite che proibito
abrogare. Dal momento infatti che le hanno stabilite con metodo razionale, non
conveniente derogare da esse, quantunque si potrebbe sempre nel rispetto
della razionalit e senza offesa dell'estetica uditiva. La conoscenza di questo
argomento non affidata all'arte ma alla tradizione, quindi anzich avere
conoscenza si accetta l'autorit. Non possiamo neanche avere scienza, se non
saprei quale poeta di Falerii ha composto i metri che suonano cos:
Quando flagel/la ligas, ita/ liga, Vitis et ul/mus uti simul/ eant 7.
Possiamo soltanto accettare la tradizione ascoltandoli e leggendoli. invece
compito, che ci riguarda, dell'arte poetica esaminare se questo metro si
compone di tre dattili e di un pirrichio finale, come suppongono molti inesperti
di musica. Essi non hanno capacit d'intendere che il pirrichio non pu esser
posto dopo il dattilo o che piuttosto, come la teoria insegna, il primo piede in
questo metro deve essere un coriambo, il secondo uno ionico con una lunga
divisa in due brevi e l'ultimo un giambo, dopo il quale si avr una pausa di tre
tempi. Gli individui non del tutto incolti potrebbero constatarlo se il metro fosse
pronunciato e cadenzato da un grammatico secondo i due modi citati. Cos con
gusto naturale e proprio di tutti giudicherebbero che cosa prescrive la regola
dell'arte.
Metri variabili, invariabili e semivariabili.
16. 31. Comunque si deve rispettare la norma voluta dal suddetto poeta, che
cio, quando si usa questo metro, i ritmi rimangono invariabili. Infatti questo
metro non delude l'udito. Non lo deluderebbe comunque, anche se si ponesse
al posto del coriambo un digiambo o lo stesso ionico senza scomporre la lunga
in brevi o qualunque altro fosse in euritmia. Dunque non si dovr variare nulla
in questo metro, non perch si deve evitare la mancanza di proporzione, ma
perch si rispetta la tradizione. La teoria insegna che sono istituiti metri
invariabili, ai quali, cio, non bisogna cambiare nulla, come quelli di cui
abbiamo gi parlato abbastanza, altri invece variabili, nei quali si possono
usare piedi in luogo di altri, come in questo: Troiae/ qui pri/mus ab o/ris,
ar/ma virum/que cano. Infatti in esso possibile sostituire in qualsiasi posto
uno spondeo con un anapesto. Ve ne sono altri n totalmente invariabili n
totalmente variabili, come questo:
Pendeat/
ex
hume/ris
dul/cis
chelys, Et
nume/ros
e/dat
vari/os
quibus Assonet/ omne vi/rens la/te nemus, Et tor/tis er/rans qui/ flexibus 8.
Puoi osservare che in esso si possono ovunque porre spondei e dattili, tranne
che all'ultimo piede che l'autore del metro ha voluto fosse sempre un dattilo. E
puoi osservare che in queste tre forme di metri la tradizione ha il suo peso.
Piedi misti conciliabili e inconciliabili...
16. 32. Per quanto riguarda, nella commischianza dei piedi, la competenza
della facolt razionale che sola pu giudicare del dato sensibile, si deve tener
presente ci che segue. Le parti dei piedi che, quando si ha la pausa, sono
poste aritmicamente dopo certi piedi, come il giambo dopo il ditrocheo o
l'epitrito II, lo spondeo dopo l'antispasto, si collocano irregolarmente anche
dopo altri piedi che ad essi sono mescolati. Infatti chiaro che il giambo
posto regolarmente dopo il molosso, come indica il seguente metro se ripetuto
pi volte con pausa finale di tre tempi: Ver blandum/viret/ floribus. Ma se in
luogo del molosso posto un ditrocheo al principio, come in questo caso: Vere
terra/ viret/floribus, l'udito lo rifiuta decisamente. Ed facile mediante il
giudizio dell'udito far la prova anche con altri metri. E se ne ha una
motivazione evidente. Quando piedi fra loro congiungibili vengono congiunti, si
devono aggiungere alla fine parti che si accordano con tutti i piedi collocati in
quel contesto perch non nasca in qualche modo un contrasto fra i piedi
commischiati.
...secondo il genere dattilico o dell'uguale...
16. 34. Non minore stupore desta l'antispasto. Se nessun altro piede gli si
unisce o il solo digiambo in un determinato modo, permette che il metro si
chiuda col giambo, ma niente affatto se accompagnato da altri piedi. Unito al
dicoreo rifiuta il giambo a causa dello stesso dicoreo. E fin qui non me ne
stupisco affatto. Ma non so proprio perch congiunto con altri piedi di sei tempi
rifiuta alla fine il giambo che di tre tempi. forse una cagione pi nascosta di
quanto sia possibile a noi scoprirla con evidenza. Ma dimostro il fatto con
questi esempi. Non si mette in dubbio che questi due metri: Potestate/placet e
Potestate/potentium/placet, con una pausa di tre tempi alla fine si enunciano
entrambi ritmicamente. Ma aritmicamente con la medesima pausa questi:
Potestate/ praeclara/ placet, Potestate/ tibi multum/ placet, Potestate/ iam tibi
sic/ placet, Potestate/ multum tibi placet, Potestate/ magnitudo/ placet. Per ci
che attiene alla facolt percettiva, essa ha adempiuto alla propria funzione nel
problema in parola e ha indicato ci che ha accettato e ci che ha rifiutato, ma
sulla cagione del fenomeno bisogna consultare la facolt razionale. E la mia in
tanta oscurit non pu che vederla in questi termini. L'antispasto ha la sua
prima parte eguale a quella del digiambo poich entrambi cominciano con una
breve e una lunga, la seconda parte invece con un dicoreo perch sono chiusi
entrambi da una lunga e una breve. Perci l'antispasto posto da solo ammette
alla fine del metro il giambo che corrisponde alla sua prima parte e lo
ammette, anche se unito al digiambo col quale ha questa parte eguale.
Ammetterebbe il giambo finale anche col dicoreo, se col dicoreo si accordasse
tale chiusura. Unito con gli altri invece non lo ammette perch il giambo
contrasta in tale congiungimento.
Considerazioni sulle strofe (17, 35 - 37)
Strofe differenti per tempi e per piedi...
17. 35. Per quanto attiene alla strofe metrica, basta tener presente per ora
che in essa si possono congiungere metri differenti purch convengano nella
percussione, cio nell'arsi e nella tesi. E i metri possono esser differenti per
lunghezza, se metri lunghi si congiungono con metri pi corti, come in questo
esempio:
Iam satis terris nivis atque dirae Grandinis misit Pater et rubente Dextera
sacras iaculatus arces Terruit ur/bem 9.
Puoi vedere infatti quanto l'ultimo di questi, conchiuso da un coriambo e da
una sillaba lunga finale, sia pi corto dei tre precedenti eguali fra loro. Inoltre i
metri sono differenti per i piedi, come questi:
Grato/ Pyrrha sub an/tro, Cui fla/vam religas/ comam 10.
Puoi osservare che il primo di questi due versi formato da uno spondeo e un
coriambo, ed una sillaba lunga in fine che richiesta dallo spondeo per
completare i sei tempi. Il secondo invece si compone di uno spondeo e un
coriambo e le due ultime brevi che con lo spondeo iniziale completano i sei
tempi. Sono dunque eguali nei tempi ma nei piedi hanno. qualche cosa di
diverso.
...e per la presenza o assenza della pausa.
17. 36. Esiste un'altra differenza delle strofe metriche. Alcuni metri sono messi
insieme in modo da non richiedere fra l'uno e l'altro la pausa, come negli ultimi
due, altri invece richiedono che fra l'uno e l'altro si faccia una determinata
pausa, come questo:
Vides ut alta stet nive candidum Soracte, nec iam sustineant onus Silvae
laborantes, geluque Flumina constiterint acuto 11.
Infatti se si ripetono ad uno ad uno, i primi due metri richiedono la pausa finale
di un tempo, il terzo di due, il quarto di tre; ma se sono recitati l'uno dopo
l'altro obbligano alla pausa di un tempo nel passare dal primo al secondo, di
due dal secondo al terzo, di tre dal terzo al quarto. Se si torna dal quarto al
primo, si far la pausa di un tempo. Ma la norma che vale nel tornare al primo
vale anche nel passare ad altra strofa. Giustamente noi latini chiamiamo
questa forma di unione dei metri circuito che in greco si dice
. Il
circuito non pu essere pi piccolo di due membri, cio due metri, ed hanno
convenuto che non sia maggiore di quello che giunge fino a quattro membri. Si
pu dunque chiamare bimembre il pi piccolo, trimembre quello di mezzo e
quadrimembre l'ultimo. I greci li chiamano appunto
LIBRO QUINTO
TEORIA DEL VERSO
Teoria generale del verso (1, 1 - 3, 4)
Il verso si distingue dal metro...
1. 1. M. - Fra i letterati antichi si discusse con accesa polemica sulla natura del
verso e il buon esito non mancato. Ne fu specificato il concetto che,
trasmesso mediante la letteratura alla conoscenza dei posteri, stato
convalidato non solo dalla tradizione ma anche da una teoria scientificamente
autorevole. Gli antichi dunque hanno rilevato che tra metro e ritmo esiste
questa differenza, che ogni metro un ritmo, ma non ogni ritmo un metro.
Infatti ogni regolare contesto di piedi numeroso e poich il metro lo ha, esso
non pu non essere numero, cio non essere ritmo. Ma non la medesima
cosa essere svolto con piedi, sia pure regolari, ma senza un limite determinato
ed avere sviluppo, sempre con piedi regolari, ma esser conchiusi in un limite
determinato. Quindi le nozioni dovevano essere distinte anche col nome, in
modo che il primo fosse chiamato con significato proprio soltanto ritmo e il
secondo fosse tanto ritmo da essere chiamato anche metro. D'altra parte, tra i
ritmi che hanno un determinato limite, cio i metri, ve ne sono alcuni, nei quali
non si ha la regola di una divisione verso il mezzo ed altri, nei quali si ha
costantemente. Si doveva dunque segnalare con dei nomi anche questa
differenza. Perci quella forma di ritmo, in cui non si ha questa regola, prende
propriamente il nome di metro, hanno invece chiamato verso quel metro in cui
si ha. Il ragionamento stesso ci mostrer forse l'etimologia di questa
denominazione mentre avanziamo nell'esame. Ma non pensare che la norma
sia cos tassativa da non permettere di chiamare versi anche altri metri. Per
un conto l'abusare di una parola sul fondamento di una somiglianza e altro il
significare un oggetto col proprio nome. Ma basta con la terminologia. In
materia hanno valore determinante, come abbiamo appreso, l'accordo dei
dialoganti e la tradizione dell'antichit. Col nostro metodo esaminiamo dunque,
se vuoi, queste altre strutture con l'udito che le fa percepire, con la teoria che
ne fa avere conoscenza. Riconoscerai cos che gli antichi non hanno stabilito le
nozioni in parola, come se esse non esistessero gi interamente e
compiutamente nelle cose, ma che le hanno soltanto scoperte col
ragionamento e designate con un nome.
...perch proporzionalmente divisibile in due cole.
2. 2. Dunque ti chiedo prima di tutto se un piede diletta l'udito per una ragione
diversa da quella che in esso le due parti, poste una in levare ed una in
battere, si implicano con ritmica proporzione.
D. - Ho avuto gi in precedenza una conoscenza certa del tema.
M. - E si dovrebbe supporre che il metro, il quale evidentemente formato da
un insieme di piedi appartiene alla categoria delle cose indivisibili? Intanto
l'indivisibile non potrebbe estendersi nel tempo e del tutto irrazionalmente si
penserebbe che indivisibile ci che formato di piedi divisibili.
D. - Non posso non ammettere questa divisibilit.
M. - E tutte le cose divisibili non sono forse pi belle se le loro parti, anzich
essere discordi e dissonanti, si armonizzano in una determinata proporzione?
D. - Senza dubbio.
M. - E quale numero operatore di una divisione proporzionale? Il due?
D. - S.
il medesimo ritmo. Il nome deriverebbe cos dall'atto di chi si volge per tornare
indietro sulla via. evidente per che questa propriet gli comune con metri
che non sono versi. Piuttosto forse per opposizione ha avuto il nome, allo
stesso modo che i grammatici hanno chiamato deponente il verbo che non
depone la lettera finale r, come lucror e conqueror. Cos il metro che si
compone di due commi, dei quali l'uno non pu essere messo a posto
dell'altro, nel rispetto della legge dei ritmi, chiamato verso perch non pu
subire l'inversione. Ma anche se tu accetti l'una o l'altra etimologia o le riprovi
tutte e due e ne cerchi un'altra, o se disprezzi, come me, tutte le questioni di
questa portata, per ora non ha alcuna importanza. Giacch evidente il
concetto stesso che significato dal nome, non ci si deve affannare a cercarne
l'etimologia, a meno che non hai da dire qualche cosa in proposito.
D. - Io no, ma passa al resto.
Teoria dei cola e della scansione (4, 5 - 6, 12)
Senso e teoria...
consiste nella sola brevit o lunghezza. Tu non puoi affermare che la differenza
dell'estate e inverno non appartiene al tempo, ma d'altra parte non la puoi far
consistere in una durata pi o meno lunga, anzich nella violenza del freddo e
caldo, dell'umidit e siccit o altro fenomeno del genere.
D. - Ora capisco e ammetto Che questa nota distintiva della chiusura deve
esser desunta dalla brevit del tempo.
I due cola tendono ad eguagliarsi.
antennarum. Infine il secondo colon non abbia semipiedi in numero pari, come
: Tibi deum benignitas, perch il verso, chiuso con un piede completo, non
avrebbe la fine caratterizzata da un tempo pi breve.
D. - Capisco queste leggi e per quanto ne son capace le affido alla memoria.
Esempio di scansione e cola nell'esametro.
5. 9. M. - Poich dunque sappiamo che il verso non deve esser chiuso con un
piede completo, come pensi che si debba scandire il verso epico, in modo che
siano rispettate la legge dei due cola e la nota distintiva della fine?
D. - Vedo dunque che sono dodici semipiedi. Ora per evitare la inversione i
cola non possono avere sei semipiedi, inoltre non devono tra di loro differire
troppo, come tre a nove o nove a tre, infine non si deve dare all'ultimo colon
semipiedi in numero pari, come otto e quattro e quattro e otto, perch il verso
non finisca con un piede completo. Quindi la divisione va fatta in cinque e sette
o sette e cinque. Sono infatti i numeri dispari pi vicini e certamente i commi si
avvicinano di pi di quanto si avvicinerebbero con quattro e otto. Per
considerare la norma inderogabile, ritengo che un emistichio, sempre o quasi
sempre, compiuto al quinto semipiede, come nel primo verso di Virgilio:
Arma virumque cano, nel secondo: Italiam fato, nel terzo: Littora multum ille
et, nel quarto: Vi superum saevae, e cos di seguito in quasi tutto il poema.
M. - vero. Ma devi esaminare quali piedi scandisci per non violare alcuna
parte delle leggi che abbiamo gi stabilito come inderogabili.
D. - Sebbene l'argomento mi sia chiaro, tuttavia sono in imbarazzo per la
novit. Infatti siamo soliti scandire in questo verso soltanto lo spondeo e il
dattilo e non vi quasi nessuno, per quanto ignorante, che non l'abbia sentito
dire, sebbene non lo sappia fare. Ora se voglio seguire questa diffusissima
consuetudine, si deve abrogare la legge della chiusura perch il primo colon si
chiuderebbe con un semipiede e il secondo con un piede compiuto, mentre
deve essere il contrario. Ma troppo irregolare abolire la legge della chiusura e
d'altronde ho appreso che nei ritmi pu accadere di cominciare da un piede
incompiuto, Resta dunque da considerare che in questo verso con lo spondeo
non si pone il dattilo ma l'anapesto. Cos il verso comincer da una sillaba
lunga, e poi due piedi, spondei o anapesti, oppure alternati, rendono compiuto
il primo colori; poi altri tre piedi anapesti o lo spondeo in qualsiasi posto o
anche in tutti e in fine una sillaba, con cui il verso si termina regolarmente,
completano il secondo colon. Accetti questa scansione?.
La scansione nella tradizione e nella teoria.
6. 11. Stando cos le cose, come avviene che il secondo colon del verso
termina con un piede incompiuto? Bisogna appunto che il principio del primo
colon sia o un piede intero, come nel trocaico: Roma, Roma, cerne quanta sit
deum benignitas, oppure una parte di piede, come nell'epico: Arma virumque
cano, Troiae qui primus ab oris. Pertanto eliminando ogni esitazione, scandisci,
se vuoi, anche il verso seguente e indicamene i cola e i piedi: Phaselus ille
quem videtis, hospites.
D. - Scorgo che i suoi cola sono composti di cinque e sette semipiedi. Il primo
Phaselus ille, il secondo quem videtis, hospites, e scorgo che i suoi piedi son
giambi.
M. - Scusa, ma non badi a non chiudere il verso con un piede compiuto?
D. - Hai ragione, non so dove ero col pensiero. Chi infatti non vedrebbe che si
deve cominciare da un semipiede come nell'epico? E quando s'usa tale criterio
per questo genere, non si scandisce pi a giambi ma a trochei in modo che lo
chiuda regolarmente un semipiede.
...e nell'asclepiadeo minore.
7. 13. M. - Hai proprio colto nel segno. La ragione allora ha dimostrato che si
danno due forme di versi, uno in cui il numero dei semipiedi nei cola eguale e
un altro in cui diverso. Dunque esaminiamo accuratamente, se vuoi, in che
modo questa non proporzione dei semipiedi si riconduce ad una certa
proporzione in base a una propriet numerica un tantino oscura ma profonda.
Ti chiedo quindi quanti numeri indico, quando dico due e tre.
D. - Due, naturalmente.
M. - Dunque anche il due uno come numero e il tre e qualsiasi altro si possa
dire.
D. - S.
M. - Non ti sembra perci che il numero uno si pu non irrazionalmente
rapportare a qualsiasi altro numero? Sebbene infatti non si potrebbe dire che
uno due, tuttavia in certo senso, senza errore, si pu dire che due un uno e
cos tre e quattro.
D. - D'accordo.
M. - E ancora, dimmi quanto fa due per tre?
D. - Sei.
M. - E sei pi tre fanno altrettanto?
D. - Assolutamente no.
M. - Ora moltiplica tre per quattro e dimmi il prodotto.
D. - Dodici.
M. - Vedi che ugualmente dodici superiore a quattro.
D. - E di molto.
M. - Per non farla lunga, si deve fissare la seguente regola. Dal due in poi,
prendendo due numeri qualsiasi, il minore moltiplicato per il maggiore
necessariamente lo sorpassa.
D. - Che dubbio? Il due il pi piccolo numero plurale, ma se lo moltiplico per
mille, sorpassa il mille del doppio.
M. - vero. Ma prendi l'uno e qualsiasi altro numero superiore e poi moltiplica,
come stato fatto per gli altri numeri, il minore per il maggiore. Forse che il
prodotto sar egualmente superiore al numero maggiore?
D. - Certamente no. Il minore ci sar tante volte quante il maggiore. Infatti
uno per due due, uno per dieci dieci, uno per mille mille, e per qualsiasi
altro numero lo moltiplicher, l'uno ci sar necessariamente tante volte tanto.
M. - Dunque il numero uno ha una certa propriet d'eguaglianza con tutti gli
altri numeri e non solo perch un numero come un altro, ma anche perch
d un prodotto eguale alle volte per cui moltiplicato.
D. - chiarissimo.
Versi con commi riducibili o no all'eguaglianza.
7. 14. M. - Ed ora volgi l'attenzione ai numeri dei semipiedi con cui sono
formati nel verso cola ineguali e troverai, in base alla legge che abbiamo
discusso, una mirabile eguaglianza. Infatti, secondo me, il verso pi corto con
numero ineguale di semipiedi in due cola ed ha quattro e tre semipiedi, come
in questo: Hospes ille// quem vides. Il suo primo colon, che Hospes ille, pu
esser diviso con eguaglianza in due parti di due semipiedi ciascuno. Il secondo
invece, che quem vides, si divide in modo che la prima parte abbia due
semipiedi e l'altra uno, ma come se fossero due e due in base a quella
propriet di eguaglianza che l'uno ha con tutti gli altri numeri. Ne abbiamo gi
trattato sufficientemente. Ne deriva che con questa divisione il primo colon in
certo senso eguale al secondo. Perci il verso, in cui sono quattro e cinque
semipiedi, come in: Roma, Roma//, cerne quanta sit, non cos regolare. Sar
quindi un metro piuttosto che un verso, poich i cola hanno una ineguaglianza
tale che con nessuna divisione possono essere ricondotti ad un rapporto di
eguaglianza. Vedi bene, come penso, che i quattro semipiedi del primo colon:
Roma, Roma, si possono dividere in due e due, ma i cinque seguenti: cerne
quanta sit, si dividono in due e tre semipiedi. Ed in essi l'eguaglianza non si
manifesta assolutamente. Cinque semipiedi appunto, a causa del due e tre,
non possono assolutamente equivalere a quattro. Invece abbiamo visto dianzi
nel verso pi corto che tre semipiedi, con l'uno e il due, equivalgono a quattro.
Vi qualche concetto che non hai compreso o non approvi?
D. - Anzi tutti i concetti sono chiari e da me accettati.
Applicazione facile alla tetrapodia giambica...
8. 16. M. - Ed ora dobbiamo parlare dei versi di cinque e sette semipiedi, come
sono i due molto noti, che sono l'epico e quello che chiamano comunemente
giambico, anche esso senario. Infatti Arma virumque cano//, Troiae qui primus
ab oris si divide in modo che il primo colon Arma virumque cano abbia cinque
semipiedi, e il secondo Troiae qui primus ab oris sette. Anche Phaselus ille//
quem videtis, hospites ha un primo colon Phaselus ille di cinque semipiedi ed
un altro di sette: quem videtis, hospites. Ma tanta elevatezza si trova in
imbarazzo nell'applicazione della legge dell'eguaglianza. Infatti quando saranno
divisi i primi cinque semipiedi in due e tre e gli altri sette in tre e quattro, le
due suddivisioni di tre semipiedi si corrisponderanno, ma a condizione che
anche le altre due si corrispondano in modo tale che una sia di un semipiede e
l'altra di cinque. E si potrebbe congiungere in base alla legge per cui l'uno pu
unirsi ad ogni altro numero e farebbero anche nella somma sei che equivale a
tre pi tre. Ma nel nostro caso si hanno due e quattro che, sebbene diano la
somma di sei, tuttavia per nessuna propriet di eguaglianza due e quattro si
corrispondono cos da congiungersi, per cos dire, con un vincolo tanto stretto.
Ma qualcuno potrebbe dire che sufficiente per una certa regola di proporzione
che, come tre pi tre fanno sei, cos anche due pi quattro. Non credo di dover
ribattere l'argomentazione perch una certa eguaglianza c'. Ma non vorrei
affermare che cinque e tre semipiedi siano in rapporto di maggiore
corrispondenza che cinque e sette. La notoriet della tetrapodia giambica non
tanto grande come quella di questi due. Eppure tu puoi constatare che in essa,
addizionando uno e tre non solo si trovata la somma eguale a due pi due,
ma anche che addizionando uno a tre, a causa del raccordo dell'uno con tutti
gli altri numeri, le parti si corrispondono di pi che nell'unione di due pi
quattro, come in questi. Ti rimane oscuro qualche concetto?
D. - No, certamente. Ma, non so come, mi d fastidio che questi senari, pur
essendo pi usati delle altre forme e pur affermandosi che hanno una certa
prevalenza sugli altri, abbiano nel raccordo dei cola una minore efficienza dei
versi di pi oscura fama.
M. - Sta' di buon animo. Io ti sveler in essi quel raccordo che soli fra tutti
hanno meritato di possedere perch tu capisca che non ingiustamente sono
stati preferiti. Ma la discussione, sebbene pi gradita, anche pi lunga e si
deve rimandare alla fine. Cos, quando avremo discusso degli altri fino a che ci
sembrer sufficiente, ormai liberi da ogni preoccupazione, torneremo ad
esaminare attentamente la loro struttura interna.
D. - A me va bene, ma vorrei che fossero sviluppati i concetti che abbiamo
intrapreso a trattare. Ascolter l'altro argomento con maggiore distensione.
M. - A paragone dei concetti gi trattati, divengono pi graditi quelli che
attendi.
...difficile anche per il senario ipercatalettico...
9. 17. Ora esamina se in due cola, l'uno che presenta sei semi-piedi e l'altro
sette, si trovi un'eguaglianza tale che si abbia regolarmente un verso. Tu
capisci che di seguito al verso di cinque e sette semipiedi si deve esaminare
questo. Eccone un esempio: Roma, cerne quanta // sit deum benignitas 5.
D. - Osservo che il primo comma pu essere diviso in parti che hanno tre
semipiedi ciascuna e il secondo in tre e quattro. Congiungendo le suddivisioni
eguali si hanno sei semipiedi, ma tre pi quattro fanno sette e non si
raccordano al numero sei. Ma si considerino due e due nella parte in cui se ne
hanno quattro e due e uno dove se ne hanno tre. Addizionando le parti che ne
hanno due ciascuna, si ha la somma di quattro. Addizionando per quelle di
due semi-piedi in una e di uno nell'altra, se si considerano quattro in base al
rapporto dell'uno con gli altri numeri, fanno otto e, sorpassano la somma di sei
pi che se fossero sette.
...facile per il tetrametro catalettico...
fanno quattro. Restano due da una parte e uno dall'altra che, uniti, secondo la
legge di quella corrispondenza per cui l'uno eguale agli altri numeri, sono
considerati in certo senso quattro. Si ha dunque un otto che equivale al primo
otto.
D. - Ma perch non ne posso ascoltare un esempio?
M. - Ma perch l'abbiamo enunciato tante volte. Comunque perch tu non
abbia a pensare che sia stato omesso proprio dove occorreva, sempre quello:
Roma, Roma, cerne quanta // sit deum benignitas, oppure: Optimus beatus ille
// qui procul negotio.
...e per quello non catalettico.
10. 21. M. - Non essere impaziente. Stiamo gi parlando della superiorit degli
esametri. Voglio prima di tutto mostrarti se ne sono capace, che gli esametri
pi qualificati possono essere soltanto delle due figure seguenti, che sono
anche le pi note. Una il verso epico, come: Arma virumque cano, Troiae qui
primus ab oris, che l'opinione corrente scandisce con spondei e dattili e una pi
sottile teoria con spondei e anapesti. L'altro detto senario giambico, ma in
base alla medesima teoria si scopre che trocaico. Ora ti rimane evidente,
come credo, che se non si alternano sillabe brevi alle lunghe, la successione
dei tempi diviene in certo senso troppo lenta e se al contrario non si alternano
sillabe lunghe alle brevi, la successione diviene troppo rapida e quasi vibrata.
Nessuna delle due dunque proporzionata, anche se entrambe soddisfano
l'udito con l'eguaglianza dei tempi. Per questo i versi che hanno sei pirrichi o
sei proceleusmatici non possono aspirare alla dignit dell'esametro epico n
quelli che hanno sei tribraci alla dignit del senario trocaico. Inoltre se in questi
versi che la ragione stessa reputa pi perfetti si cambia la disposizione dei
cola, tutto il verso sar sconvolto al punto che si dovranno scandire piedi
diversi. Sono dunque pi invertibili, per cos dire, di quelli che son formati o di
tutte brevi o di tutte lunghe. Perci non ha rilevanza se in questi schemi pi
omogenei si dispongono i cola con cinque e sette semipiedi oppure con sette e
cinque. Con nessuna delle due il verso varia con un mutamento tale che
sembri svolgersi con altri piedi. Negli altri invece se la composizione poetica
cominciasse con versi, in cui il comma all'inizio ha cinque semipiedi, non
bisognerebbe mischiarvi versi che hanno sette semipiedi all'inizio. Altrimenti
sarebbe possibile invertire tutti i cola perch non si darebbe diversificazione di
piedi che liberi dall'invertimento. Tuttavia concesso agli epici, molto
raramente, di allineare tutti spondei. Ma questa nostra ultima epoca non ha
approvato il fatto. Sebbene nei senari giambici ossia trocaici sia consentito
porre in qualsiasi sede il tribraco, tuttavia stato considerato molto brutto che
in queste composizioni poetiche il verso sia scomposto in tutte brevi.
...ed hanno parit di brevi e lunghe.
10. 22. Sono esclusi dunque dalla composizione in esametri gli epitriti, non
solamente perch sono pi adatti alla prosa, ma anche perch se sono sei,
come pure i dispondei, superano i trentadue tempi. Sono esclusi anche i piedi
di cinque tempi perch la prosa li impiega soprattutto come clausole. Sono
esclusi inoltre dal computo di tempi, di cui stiamo parlando, i molossi e gli altri
piedi di sei tempi, sebbene conferiscano alle composizioni poetiche grande
bellezza. Restano i versi di tutte sillabe brevi, cio quelli che hanno pirrichi,
proceleusmatici e tribraci, o di tutte lunghe, cio quelli che hanno spondei. E
sebbene essi rientrino nella dimensione dell'esametro, devono cedere tuttavia
alla dignit e proporzione di quelli che sono variati con brevi e lunghe e che
perci hanno minore possibilit di subire invertimento.
L'uso ha consacrato questi schemi.
che per una eventualit essi sono stati ravvisati e usati per primi. Ma non
stata una eventualit, credo, che si sia preferito finire il verso epico con due
lunghe piuttosto che con due brevi e una lunga poich l'udito rimane pi
soddisfatto delle lunghe, e che il trocaico avesse nel semipiede, finale una
sillaba lunga anzich una breve. Il fatto sta che gli schemi scelti per primi
dovevano necessariamente escludere gli altri che potevano essere composti dei
medesimi cola, ma scambiati di posto. Se si dunque giudicato migliore
l'esametro con questo schema: Arma virumque cano, Troiae qui primus ab
oris, invertendolo si sarebbe avuto un altro schema a danno dell'estetica,
come: Troiae qui primus ab oris, arma virumque cano. Altrettanto si deve
intendere per lo schema trocaico. Infatti se pi bello: Beatus ille qui procul
negotio 6, non opportuno ottenere lo schema che si ha invertendolo cos: Qui
procul negotio beatus ille. Tuttavia se qualcuno ne avesse il coraggio e
componesse versi simili, ovvio che compone sempre esametri, ma con
schemi diversi. Gli altri per sono pi perfetti.
Gli esametri e la licenza poetica.
11. 24. Dunque i due senari, i pi belli di tutti, non hanno potuto conservare la
loro purezza contro l'arbitrio degli uomini. Nello schema trocaico, e non solo
senario, ma dalla quantit minore di piedi fino alla lunghezza maggiore che ha
otto piedi, i poeti hanno ritenuto di poter mescolare tutti i piedi di quattro
tempi che si usano nella poesia. I greci poi li pongono alternativamente al
primo e terzo posto e cos di seguito, se il verso comincia con un semipiede, se
invece comincia con un trocheo completo, i piedi pi lunghi sono posti al
secondo e quarto posto e cos di seguito rispettando la quantit dei piedi. Per
rendere tollerabile la contaminazione, non hanno diviso con la percussione
ciascun piede in due parti, di cui una in arsi e una in tesi, ma dando un piede
intero all'arsi e un altro alla tesi e considerando quindi l'esametro come un
trimetro, hanno ricondotto la percussione alla divisione degli epitriti. Ora
quantunque gli epitriti siano propri pi della prosa che della poesia e
quantunque non si abbia pi un esametro ma un trimetro, se almeno questo
schema si osservasse regolarmente, non sarebbe completamente turbata la gi
trattata eguaglianza dei ritmi. Ma ora, purch i piedi di quattro tempi siano
posti nelle sedi indicate, ammesso porli in tutte quelle sedi ma anche
dovunque e tutte le volte che si vuole. I nostri antichi poeti poi, nell'interporre
piedi di tal genere, non hanno potuto conservare nemmeno la quantit
richiesta. Perci nello schema trocaico i poeti, con questa contaminazione
arbitraria, hanno ottenuto ci che si deve supporre volessero ottenere, e cio
che le composizioni drammatiche fossero il pi possibile vicine alla prosa. Ma si
detto abbastanza sul motivo per cui i versi trocaici e dattilici sono stati
preferiti fra i senari. Vediamo ora perch gli esametri sono stati ritenuti versi
pi perfetti di altri versi con un altro qualsiasi numero di piedi. A meno che tu
non abbia qualche difficolt in proposito.
D. - No, sono d'accordo. Ma attendo con impazienza di conoscere, se adesso
almeno possibile, quella eguaglianza di commi, alla quale dianzi mi hai
profondamente interessato.
Arsi e tesi vere dimensioni del senario.
12. 25. M. - Sii attento dunque e dimmi se, secondo te, possibile dividere la
lunghezza in parti all'infinito.
D. - I concetti mi sono evidenti. Ritengo sia impossibile dubitare che la
lunghezza, cio la linea, ha una sua met e pu dunque esser divisa con una
trasversale in due linee. E poich le due linee ottenute dalla divisione sono
senza dubbio linee, chiaro che anche di esse si pu fare altrettanto. Perci,
per quanto piccola, ogni lunghezza pu esser divisa in altre parti all'infinito.
M. - Hai risposto prontamente e bene. Ed ora dimmi se esatta l'affermazione
che la linea da tracciarsi per ottenere la superficie, che da essa ha origine,
genera una superficie corrispondente al proprio quadrato. Se infatti si traccia in
superficie meno o pi di quanto lunga la linea con cui si traccia, non si ha il
quadrato, se tanto quanto la linea, non si ha altro che il quadrato.
D. - Capisco e ne ho certezza; che cosa infatti di pi vero?
M. - Capisci, penso, che cosa se ne conclude. Se invece di una linea si pongono
delle pietruzze eguali disposte in lungo, questa lunghezza non giunge al
quadrato se le pietruzze non sono moltiplicate per lo stesso numero. Se, ad
esempio, si allineano due pietruzze, non si avr il quadrato se non
aggiungendone altre due in larghezza, se tre, bisogna aggiungerne sei, ma tre
e tre distribuite nelle due dimensioni in senso di larghezza, giacch se sono
disposte in lunghezza, non si ottiene alcuna figura. Infatti la lunghezza senza
larghezza non figura. E cos proporzionalmente si possono considerare gli
altri numeri. Infatti come due, per due e tre per tre sono quadrati nei numeri,
cos quattro per quattro, cinque per cinque, sei per sei e cos all'infinito negli
altri numeri.
D. - Anche questi concetti sono veri ed evidenti.
M. - Ed ora rifletti se esiste la lunghezza di tempo.
D. - Non v' dubbio; non si ha tempo senza lunghezza.
M. - E il verso pu non occupare una certa lunghezza di tempo?
D. - Anzi necessario che l'abbia.
M. - E che cosa invece delle pietruzze poniamo pi convenientemente in questa
lunghezza? I piedi che sono divisi necessariamente in due parti, una in arsi e
una in tesi, o piuttosto gli stessi semipiedi che sono uno in arsi e uno in tesi?
D. - Penso che pi convenientemente invece delle pietruzze si pongono i
semipiedi.
Perfetta eguaglianza fra i commi dei senari.
12. 26. M. - Ed ora ricorda quanti semipiedi ha il comma pi breve del verso
epico.
D. - Cinque.
M. - Fa' un esempio.
D. - Arma virumque cano.
M. - E desideri altro se non conoscere come gli altri sette semipiedi siano in
rapporto di eguaglianza con questi cinque?
D. - No, niente altro.
M. - E i sette semipiedi possono formare da soli un verso completo?
D. - S. Il primo e pi breve verso ha proprio questo numero di semipiedi, con
l'aggiunta al ritmo della pausa in fine.
M. - Dici bene, ma perch possa essere verso, come si divide in due cola?
D. - In quattro e tre semipiedi, naturalmente.
M. - Moltiplica dunque ciascuna di queste due parti secondo il quadrato e d
quanto fa quattro per quattro.
D. - Sedici.
M. - E tre per tre?
D. - Nove.
M. - Ed insieme?
D. - Venticinque.
M. - Dunque sette semipiedi possono contenere due cola. Se ciascuno dei due
cola si riporta alla legge del quadrato, danno assommati il numero venticinque.
Ed una parte del verso epico.
D. - S.
M. - Ora il primo emistichio che ha cinque semipiedi non pu essere diviso in
due cola e deve corrispondere con una determinata eguaglianza all'altro. Non
deve dunque essere moltiplicato tutto intero secondo il quadrato?
D. - Non la penso diversamente e scopro finalmente la singolare eguaglianza.
Infatti cinque per cinque fanno ugualmente venticinque. E per questo non
immeritatamente gli esametri sono divenuti pi noti e perfetti. A mala pena
pu esprimersi la differenza che esiste fra la loro eguaglianza, sebbene con
commi ineguali, e quella di tutti gli altri versi.
Diverse eguaglianze nel verso.
13. 28. Inoltre non si fanno composizioni poetiche soltanto con versi, in cui si
mantiene il medesimo schema, come quelle dei poeti epici e anche comici, ma i
poeti lirici costruiscono anche sistemi strofici, che i greci chiamano
,
non soltanto con metri che sfuggono alle regole del verso, ma anche con versi.
Ad esempio questo di Orazio:
Nox erat, et caelo fulgebat luna sereno Inter minora sidera 8
un sistema di due cola ed formato di versi. Ma questi due versi non
potrebbero essere uniti nel sistema, se l'uno e l'altro non si rapportassero a
piedi di sei tempi. Infatti lo schema del verso epico non si rapporta con quello
del giambico e del trocaico, poich i piedi del primo si dividono in parti eguali e
quelli degli altri nel rapporto di due a uno. I sistemi strofici si compongono
dunque o unicamente di metri, senza versi, come quelli, di cui abbiamo parlato
precedentemente quando abbiamo trattato dei metri o unicamente di versi,
come quelli di cui si sta parlando o in modo da essere contemperati di versi e
metri, come questo:
1
2
3
4
5
6
7
8
9
LIBRO SESTO
RITMOLOGIA
Premessa a quattro categorie di lettori.
2. 2. Pertanto, amico mio, col quale ora sto ragionando per passare dalle cose
materiali a quelle spirituali, rispondimi, se vuoi. Quando noi pronunciamo
questo verso: Deus creator omnium 1, dove pensi che siano i quattro giambi,
di cui formato, e i dodici tempi, cio soltanto nel suono che si ascolta, o
anche nell'udito di chi lo ascolta e anche nell'azione di chi lo pronuncia?
Oppure, essendo questo verso conosciuto, bisogna ammettere che questi ritmi
sono anche nella nostra memoria?
D. - In tutti questi luoghi, penso.
M. - E anche in altri?
D. - Altro non ne vedo, a meno che forse non vi sia una qualche facolt
interiore e superiore, da cui questi ritmi derivano.
M. - Io non chiedo che cosa si possa supporre. Perci se questi quattro modi ti
sembrano tali che non ne vedi un altro ugualmente evidente, distinguiamoli, se
ti va, gli uni dagli altri ed esaminiamo se se ne pu avere uno senza gli altri.
Non potrai negare infatti, credo, la possibilit che in qualche luogo si verifichi
un suono, il quale percuota l'aria con frequenza uniforme e di brevi pause, ad
esempio per stillicidio o qualche altro urto di corpi e che non vi sia alcuno che
ascolti. Quando ci avviene, si pu avere, oltre il primo modo, cio che il suono
stesso ha i ritmi, un altro dei quattro modi?
D. - Nessun altro, secondo me.
...nell'udito...
3. 4. D. - Son d'accordo.
M. - Considera dunque il terzo modo che nella stessa tecnica e azione di chi
pronuncia. Esamina se questi ritmi si possono dare senza quelli che sono nella
memoria. Infatti, anche restando in silenzio, possiamo svolgere in noi stessi
certi ritmi rappresentandoceli con la durata di tempo con cui sarebbero svolti
mediante la dizione. Evidentemente questi ritmi si hanno in una determinata
azione della coscienza che non proferisce alcun suono e non produce
modificazione nell'udito. Quindi tale azione prova che questo modo pu
aversi senza i primi due, di cui uno nel suono, l'altro in chi ascolta. Ma noi
cerchiamo se si avrebbe senza che intervenga la memoria. Ora se l'anima
produce i ritmi che troviamo nel pulsare delle vene, il problema risolto,
poich essi evidentemente si hanno mediante un'azione e per averli non siamo
aiutati dalla memoria. E se per quanto li riguarda si rimane dubbiosi che
derivino da un'attivit dell'anima, riguardo a quelli invece che produciamo
aspirando e respirando non v' dubbio che siano ritmi per gli intervalli di tempo
e che l'anima li produce in maniera tale che con l'intervento della volont pu
variarli in molti modi e tuttavia perch siano prodotti non v' alcun bisogno
della memoria.
D. - A me sembra che questo modo pu aversi senza gli altri tre. E sebbene io
non metta in dubbio che le pulsazioni delle vene e la frequenza della
respirazione variano in rapporto alla condizione fisica dei corpi, non si pu
negare tuttavia che il fenomeno avviene per azione dell'anima. Ed anche se
questo dinamismo, in rapporto alla diversit dei corpi, in alcuni pi veloce, in
altri pi lento, non si avrebbe tuttavia se non fosse l'anima che lo attiva.
M. - Considera allora anche il quarto modo, cio di quei ritmi che sono nella
memoria. Infatti se li riscopriamo col ricordo, e quando ci portiamo ad altre
rappresentazioni, li abbandoniamo di nuovo come riposti nei loro nascondigli,
evidente, come penso, che si possano avere senza gli altri.
D. - Non dubito che si possono avere senza gli altri, tuttavia se essi non
fossero stati uditi o rappresentati, non sarebbero affidati alla memoria. Perci,
anche se restano quando gli altri cessano, sono in noi impressi da essi che li
precedono.
...e un quinto nel giudizio dell'udito...
4. 7. M. - Esamina ora gli altri tre modi di essere dei ritmi ed esponi anche di
essi quale sia il pi perfetto e da considerarsi superiore agli altri.
D. - Non facile. Da quella regola, per cui bisogna anteporre le cause agli
effetti, sono costretto a dare la palma ai ritmi nella fonte sonora. Infatti noi li
percepiamo con l'udito e percependoli ne siamo modificati. Essi dunque
producono quelli che sono nella modificazione dell'udito nell'atto di udire. A
loro volta questi ritmi che si hanno con la percezione ne producono altri nella
memoria e sono ragionevolmente da considerarsi pi perfetti di essi perch li
producono. E fin qui, giacch percepire e ricordare sono propri dell'anima, non
provo indecisione se devo reputare una facolt dell'anima pi perfetta di
un'altra che egualmente in essa. Mi rende indeciso il dover considerare i ritmi
della fonte sonora, che certamente del corpo o in qualche modo nel corpo,
pi elevati di quelli che si riscontrano nell'anima nell'atto del percepire. Ma qui
di nuovo mi rende indeciso il non doverli considerare pi elevati, dal momento
che essi producono, gli altri sono da essi prodotti.
M. - Meravigliati piuttosto del fatto che il corpo pu agire sull'anima. Forse non
lo potrebbe se il corpo, che l'anima informava e dirigeva ai fini senza alcuna
pena e con somma facilit, volto al peggio dal primo peccato, non fosse
sottoposto alla concupiscenza e alla morte. Ma esso conserva tuttavia una
bellezza nell'ordine del sensibile e perci stesso fa risaltare la dignit
dell'anima, la cui ferita e malattia non meritarono di rimanere senza l'onore di
una certa nobilt. La somma Sapienza di Dio si degnata, per un mirabile e
ineffabile mistero, di prendere su di s questa ferita, quando ha assunto l'uomo
senza peccato ma non senza la condizione di peccatore. Infatti voluto
nascere, soffrire e morire come uomo, non per averlo meritato ma per infinita
bont, affinch evitassimo pi la superbia, per cui meritatamente siamo caduti
in questi mali, che gli oltraggi che egli ha ricevuto immeritatamente, affinch
noi scontassimo con animo sereno la morte dovuta, se egli non dovuta ha
potuto sostenerla per noi. Si aggiunga ogni altro concetto relativo, in tale
mistero, all'interiore purificazione che dai santi e dai pi buoni si possa
pensare. E dunque non cosa da meravigliarsi se l'anima, agendo nella carne
mortale, subisca la soggezione del corpo. E non perch essa pi perfetta del
corpo, bisogna pensare che tutto ci che avviene in essa sia pi perfetto di ci
che avviene nel corpo. Ritieni, penso, che il vero da ritenersi pi perfetto del
falso.
D. - Chi ne dubiterebbe?
M. - forse vero l'albero che si vede nel sogno?
D. - Certo no.
M. - Ma ora la sua immagine si ha nell'anima e invece l'immagine di quello che
ora vediamo riprodotta nel corpo. Ora sebbene il vero pi perfetto del falso
e l'anima pi perfetta del corpo, il vero che nel corpo pi perfetto del
falso che nell'anima. E come il vero pi perfetto perch vero e non perch
si ha nel corpo, cos il falso forse meno perfetto perch falso e non perch
si ha nell'anima. A meno che tu non abbia da obiettare.
D. - Proprio niente.
5. 10. E per non farla lunga, mia opinione che quando l'anima sente
mediante il corpo non ne subisce la modificazione, ma agisce con maggiore
coscienza nelle modificazioni del corpo e che queste funzioni, facili quando si
ha congruenza dell'oggetto, difficili quando si ha l'incongruenza, sono
avvertite. E tutto questo ci che si chiama avere sensazione. Ma il senso, che
sussiste anche quando non si ha sensazione, un organo del corpo che l'anima
muove mediante una complessione organica tale da essere pi disposta
mediante esso a influire coscientemente sulle modificazioni del corpo stesso, a
congiungere l'omogeneo con l'omogeneo e a respingere l'oggetto nocivo.
Dunque, secondo la mia opinione, muove l'elemento luminoso nella vista,
l'elemento aereo molto secco e mobile nell'udito, l'elemento umido tenebroso
nell'odorato, umido nel gusto, terreno e per cos dire crasso nel tatto. Ma sia
che i quattro elementi siano implicati con questa distribuzione o con un'altra,
l'anima li muove in uno stato d'incoscienza, se quelli che concorrono al fine
unitario del benessere fisico sono coordinati in un accordo per cos dire
amichevole. Ma quando sono implicati elementi che influiscono sul corpo con
una certa forza, per cos dire, di alterazione, l'anima adempie funzioni pi
coscienti, applicate ciascuna agli organi periferici. Si dice allora che essa ha
percezione visiva, uditiva, olfattiva, gustativa e tattile. Con queste funzioni
essa si assicura gli oggetti confacenti con piacere e con pena reagisce a quelli
non confacenti. mia opinione che l'anima con la sensazione offre alle
modificazioni del corpo queste funzioni, ma che non le subisce.
...nello stimolo uditivo o suono...
5. 13. Dunque l'anima voltasi dal suo padrone al suo schiavo necessariamente
diviene meno perfetta e allo stesso modo voltasi dal suo schiavo al suo
padrone necessariamente si perfeziona ed offre al suo schiavo una vita molto
facile e perci non dedita al lavoro e alla fatica. A tal genere di vita appunto
5. 15. Ma vorrei sapere se su questi concetti hai qualche difficolt che ti turba.
D. - Mi pare che esponi una teoria probabile e non oserei opporre nulla.
M. - Dunque la sensazione consiste nel far reagire il corpo alla modificazione
che in esso stata prodotta. Non ritieni dunque che per questo motivo non si
ha sensazione quando si tagliano ossa, unghie o capelli? E il motivo non che
queste parti non hanno vita in noi, giacch non altrimenti potrebbero entrare
nella complessione fisica, nutrirsi, crescere e mostrare la propria vitalit nel
riprodursi. Ma essi sono stimolati da un'aria, elemento mobile, meno attiva
sicch la reazione non pu essere tanto rapida quanto la modificazione con cui
si reagisce quando si ha quella che si dice sensazione. Poich si ha scienza che
tale vita si ha anche negli alberi e nelle altre piante, non lecito considerarla
migliore non solo della nostra vita, superiore anche per il pensiero, ma
nemmeno di quella delle bestie. Altro infatti non avere sensazione a causa di
una radicale insensibilit ed altrui non averne per una perfetta salute fisica.
Infatti nel primo caso mancano gli organi che reagiscono alle modificazioni del
corpo, nell'altro mancano le modificazioni stesse.
D. - Capisco e ne sono certo.
I cinque modi di ritmi nell'anima.
6. 16. M. - Ritorna dunque all'argomento e dimmi quale dei tre modi di ritmi,
di cui uno nella memoria, uno nella sensazione e un altro nel suono ti sembra
pi perfetto.
D. - Pongo quello del suono dopo gli altri due che sussistono e in certo senso
vivono nell'anima ma sono incerto quale di questi due giudicare pi perfetto.
Avevamo detto per che quelli che sono nell'azione si devono considerare pi
perfetti di quelli che sono nella memoria per il solo motivo che i primi sono
causa, gli altri effetti. Dunque per lo stesso motivo bisogna considerare anche
questi ritmi, che si hanno nell'anima nell'atto di udire, pi perfetti di quelli che
si formano nella memoria, come del resto ritenevo dianzi.
M. - Penso che la tua risposta non sia irragionevole. Ma poich si discusso
che anche i ritmi che sono nel dato sensibile sono operazioni dell'anima, come
li distingui da quelli che sono nell'atto di sentire dell'anima, quando anche
senza suono e senza intervento della memoria essa produce un movimento
ritmico nella successione di tempo? Forse dal fatto che i primi sono dell'anima
nel rapporto col corpo e gli altri dell'anima che reagisce, nell'atto di udire, alle
modificazioni del corpo?
D. - Accetto questa distinzione.
M. - Ebbene, secondo te, si deve rimanere nell'opinione che i ritmi relativi al
corpo sono pi perfetti di quelli che si hanno nella reazione alle modificazioni
del corpo?
D. - Quelli che si producono nel silenzio mi sembrano pi autonomi non solo di
quelli che si hanno in relazione al corpo, ma anche di quelli che si hanno in
relazione alle sue modificazioni.
M. - Vedo che abbiamo distinto e ordinato secondo gradi di perfezione cinque
modi di ritmi. Diamo loro, se vuoi dei nomi adatti affinch non sia necessario
nella rimanente parte del discorso usare pi nomi che concetti.
D. - S.
M. - Siano chiamati del giudizio estetico i primi, in formazione i secondi,
espressi i terzi, del ricordo i quarti, dell'evento sonoro i quinti.
D. - D'accordo, user volentieri questi termini.
Il valore extratemporale dei ritmi giudiziali...
7. 17. M. - Stai attento allora e dimmi quali di essi ti sembrano non divenienti,
o pensi che tutti vengano a cessare fluendo nel succedersi dei propri tempi?
D. - Penso che solo quelli di giudizio siano non divenienti, vedo che gli altri
trascorrono nell'atto che si formano o si cancellano nella memoria con l'oblio.
M. - Sei ugualmente certo del non divenire dei primi come lo sei del divenire
degli altri, o piuttosto bisogna esaminare pi attentamente se quelli di giudizio
veramente non sono nel divenire?
D. - S, esaminiamo.
M. - Dimmi dunque, quando pronuncio un verso un po' pi velocemente o pi
lentamente, purch rispetti la legge per cui i piedi si rapportano dell'uno a due,
inganno forse il giudizio del tuo udito?
D. - No, certamente.
M. - E il suono che si diffonde con sillabe pi rapide e quasi precipitose pu
riempire un tempo maggiore di quello in cui si effonde?
D. - Come possibile?
M. - Se dunque i ritmi di giudizio fossero contenuti da limite di tempo in una
durata eguale a quella in cui si propagano i sonori, potrebbero arrogarsi il
giudizio di ritmi sonori che fossero proferiti un po' pi lentamente con lo
schema giambico?
D. - No, assolutamente.
M. - dunque evidente che i ritmi precostituiti a giudicare non sono soggetti al
limite dei tempi.
D. - proprio evidente.
...viene discusso...
8. 22. poi evidente che con i ritmi di giudizio sono valutati esteticamente
quelli di memoria perch la stessa memoria a presentarli. Infatti se i ritmi
espressi sono valutati soltanto perch la memoria li presenta, a pi forte
ragione ci si convince che i ritmi ricordati vivono nella memoria perch ad essi,
in quanto conservati, siamo richiamati dopo altre rappresentazioni dalla
memoria. Infatti quando si richiama qualche cosa alla memoria non si fa altro
che riscoprire ci che vi era stato depositato. Inoltre una impressione
dell'anima non ancora cancellata ritorna al pensiero nel presentarsi di
impressioni simili. E questo ci che si dice ricordo. Si riproducono cos o
soltanto nel pensiero o anche nel gesto ritmi che sono stati prodotti
precedentemente. Da ci si conosce che essi non vengono per la prima volta
ma tornano al pensiero perch, mentre venivano affidati alla memoria, erano
richiamati con difficolt e si aveva anche bisogno di qualche raffigurazione per
fissarli. Eliminata questa difficolt, quando essi stessi in forma adatta si
presentano alla volont di seguito nella loro successione temporale, noi
avvertiamo con tale prontezza che non sono nuovi, sicch quelli fissati pi
fortemente, anche se noi pensiamo ad altro, si riproducono quasi da soli. Vi
anche qualche altra cosa da cui noi sentiamo, secondo me, che una
impressione presente nell'anima gi vi stata, che il riconoscere. Si ha
quando con una specie di luce interiore si mettono in confronto impressioni
nuove proprie dell'azione che si compie mentre si ricorda, e quindi pi vivaci,
con ricordi ormai impalliditi. Questa forma di conoscenza il riconoscimentoricordo. Anche i ritmi di memoria sono dunque valutati esteticamente da quelli
di giudizio, mai soli ma sempre congiunti con quelli in formazione o espressi o
con entrambi, che li mettono in luce quasi strappandoli al loro nascondiglio e li
richiamano al ricordo dopo averli ravvivati mentre stavano scomparendo. Cos
mentre i ritmi espressi possono essere giudicati soltanto perch la memoria li
presenta ai ritmi di giudizio, a loro volta i ritmi di memoria possono essere
valutati se sono presentati dai ritmi espressi, ma con questa differenza. Perch
siano valutati i ritmi espressi, la memoria mostra, per cos dire, le orme
fresche lasciate mentre essi fuggivano. Invece quando valutiamo, udendoli, i
ritmi di memoria, per cos dire, le medesime orme sono rinfrescate dal
passaggio dei ritmi espressi. E infine che bisogno si ha di parlare dei ritmi
sonori dal momento che se si odono, sono valutati nei ritmi espressi? Se poi
l'evento sonoro si ha dove non si pu udirlo, chi pu dubitare che non possono
essere giudicati da noi? Per quanto poi attiene al ritmi di tempo che si hanno
nelle danze e nella mimica in genere, vale ci che si detto dei suoni che si
odono dall'organo dell'udito. Li giudichiamo con i ritmi di giudizio sempre con
l'aiuto della memoria.
I ritmi razionali (9, 23 - 11, 33)
I ritmi sensibili e razionali.
9. 24. M. - Non ti preoccupare dei nomi; un affare che dipende da noi poich
i nomi sono imposti dall'arbitrio e non dalla natura. Se dunque ritieni che i due
ritmi sono identici e non vuoi accettare due diversi modi di ritmo, ti confonde,
salvo errore, il fatto che una medesima anima produce gli uni e gli altri. Ma
devi riflettere che anche nei ritmi in formazione la medesima anima muove il
corpo o mossa verso il corpo, che negli espressi questa medesima anima
reagisce alle modificazioni del corpo e che in quelli di memoria essa stessa si
muove sulle onde dei ricordi fino a quando non si placano. Quindi noi nel fare i
ritmi e distinguerne i diversi modi prendiamo in considerazione movimenti e
stati diversi di un solo essere, cio dell'anima. Or dunque altro esser mossa
verso gli oggetti che modificano il corpo, che si ha nella sensazione, altro
muoversi al corpo che si ha nel produrre ed altro conservare l'effetto prodotto
nell'anima da questi movimenti, che ricordare. Allo stesso modo altro
accettare o rifiutare movimenti ritmici nell'atto che son prodotti o quando sono
rievocati dal ricordo, e questo si ha nel diletto della concordanza di tali
movimenti o stati diversi e nel fastidio della loro discordanza; e altro valutare
se danno diletto estetico secondo una norma razionale o no, e questo si ha con
un atto di ragione. Dobbiamo dunque ammettere che sono due modi distinti,
come tre son quelli detti di sopra. Se dunque ammettiamo ragionevolmente
che qualora il sentimento estetico non fosse compenetrato esso stesso di alcuni
ritmi, non potrebbe certamente approvare le misure regolari e rigettare le
discordanti, dobbiamo anche ammettere che la ragione, la quale trascende il
sentimento estetico, non potrebbe assolutamente senza dei ritmi pi duraturi
giudicare dei ritmi che le sono inferiori. E se questo vero, evidente che
sono stati trovati nell'anima cinque modi di ritmi, e se vi aggiungerai i ritmi
corporei, che abbiamo chiamato sonori, riconoscerai che ne sono stati
classificati e disposti in ordine sei modi. Ora, se vuoi, siano chiamati sensibili i
ritmi che si sono introdotti quasi di nascosto per avere la precedenza nella
trattazione ed abbiano il nome, perch pi dignitoso, di ritmi di giudizio
estetico questi ultimi che sono stati riconosciuti pi eccellenti. Penserei di
cambiare nome anche ai ritmi sonori perch, chiamandoli corporei,
designeranno anche pi apertamente i ritmi della danza e della mimica.
Sempre che tu approvi i concetti esposti.
D. - Certo che li approvo perch mi sembrano veri ed evidenti, accetto anche
questa rettifica dei termini.
La ragione nel costituire la musica...
10. 25. M. - Ed ora rifletti sul potere dialettico della ragione nei limiti in cui
possiamo intuirlo dalle sue opere. Infatti per parlare soprattutto di ci che
concerne l'assunto di questa opera, prima di tutto ha considerato in che cosa
consiste la misura ritmica secondo arte e ha stabilito che consiste in un certo
movimento libero e volto al fine della propria bellezza. Quindi essa ha
compreso che nei movimenti sensibili altro l'essere variato mediante brevit
e lunghezza di tempo, secondo che si ha maggiore o minore lunghezza, ed
altro esser variato mediante la percussione nello spazio secondo certi gradi di
velocit o di lentezza. Fatta questa distinzione, essa ha compreso come la
variazione, che nella successione di tempo mediante lunghezze misurate e
adattate all'udito, ha dato origine con diversi congiungimenti ai vari ritmi e ha
descritto i loro schemi e distribuzione fino alle misure dei versi. Infine ha
considerato quale funzione nel misurare i ritmi, formarli, ascoltarli e ricordarli
esercita l'anima, di cui essa stessa la parte superiore, ha distinti questi che
son dell'anima da quelli del corpo ed ha conosciuto che neanche essa potrebbe
percepire questi ritmi, distinguerli e conferire loro ritmicit secondo arte senza
certi suoi ritmi e li ha considerati pi perfetti di quelli di ordine inferiore con
una sua valutazione estetica.
...nel valutare i piedi e...
10. 26. A questo punto, quando l'anima agisce cos con un proprio diletto
estetico, il quale pondera la successione dei tempi ed esprime il proprio
giudizio per misurare i ritmi suddetti, che cosa che apprezziamo nei ritmi
sensibili? Soltanto una determinata consonanza e le lunghezze misurate con
eguaglianza. Il pirrichio, lo spondeo, il dattilo, l'anapesto, il proceleusmatico, il
dispondeo, non produrrebbero diletto se non rapportassero una delle loro parti
all'altra con divisione quantitativamente equivalente. Il giambo, il trocheo e il
tribraco hanno di bellezza che con la loro parte minore dividono con
eguaglianza la parte maggiore in due parti di eguale quantit. Inoltre i piedi di
sei tempi suonano con leggiadra finezza soltanto perch hanno divisione
secondo l'uno e l'altro schema, cio in due sedi eguali di tre tempi, oppure in
una parte di un tempo e un tempo e in un'altra di due e due tempi. In questo
modo la maggiore contiene due volte la minore e a sua volta divisa con
equivalenza dalla minore che con i due tempi scompartisce i quattro in misure
di due tempi ciascuna. E i piedi di cinque e sette tempi sembrano pi adatti alla
prosa che al verso soltanto perch la loro parte minore non divide la maggiore
in parti uguali. Ma sono ammessi secondo il loro schema a dare la ritmicit dei
tempi perch nei piedi di cinque tempi la parte minore ha costantemente due
tempi primi mentre la maggiore tre tempi primi, e nei piedi di sette tempi la
parte minore ha costantemente tre tempi primi mentre la maggiore quattro.
Cos in tutti i piedi non v' mai la parte pi piccola caratterizzata con la
divisione da una determinata misura, se ad essa le altre non concordano nella
massima eguaglianza possibile.
...l'eguaglianza nei ritmi e nel verso.
10. 27. Nella combinazione dei piedi, sia che essa si svolga in una libera
successione, come nei ritmi, sia che ritorni a capo da una fine ben
determinata, come nei metri, sia anche che si distingua in due cola, i quali si
corrispondano con un determinato schema, come nei versi, un piede si
congiunge ad un altro soltanto in base al fattore della eguaglianza. E proprio
per questo la sillaba di mezzo del molosso e degli ionici, che lunga, pu
essere divisa in due tempi eguali non scindendola ma a facolt di chi recita con
la percussione, sicch il piede rientra nel rapporto di tre a tre, quando
combinato con quelli che hanno il medesimo rapporto fra le parti. E questo si
ha soltanto per la validit del principio d'eguaglianza perch, cio, la sillaba di
mezzo equivalente alle due laterali che sono di due tempi ed anche essa di
due tempi. Ma non si pu ottenere nell'anfibraco, quando unito ad altri piedi
di quattro tempi, appunto perch in esso non si trova una simile eguaglianza,
dato che la sillaba di mezzo di due tempi e le laterali di un tempo. Per lo
stesso motivo con le pause non si froda l'udito, perch il debito viene pagato al
diritto d'eguaglianza non in suono ma in lunghezza di tempo. Cos una sillaba
breve seguita dalla pausa viene considerata lunga non per convenzione ma per
un connaturato criterio che regola l'udito, soltanto perch vietato dal
medesimo principio d'eguaglianza restringere in limiti pi stretti un suono
posto in una quantit di tempo maggiore. Pertanto il significato stesso di udire
e tacere consente di prolungare una sillaba oltre i due tempi in modo che sia
occupata dal suono la quantit di tempo che si pu occupare con la pausa. Al
contrario se la medesima sillaba occupa meno di due tempi e rimane un po' di
tempo per un movimento senza suono delle labbra, si ha una violazione della
eguaglianza perch eguaglianza non si ha fra meno di due cose. Infine nella
eguaglianza dei cola, con la quale si hanno i vari sistemi, che i greci chiamano
, e si pongono versi di schema diverso, si torna con un
approfondimento al concetto di eguaglianza per il semplice fatto che il colon
pi breve si raccorda nella percussione col pi lungo mediante l'equivalenza dei
piedi. Nel verso poi in un approfondito esame dei ritmi, si scopre che i commi
in esso congiunti, sebbene ineguali, conservano la dinamica dell'eguaglianza.
Limiti del sentimento estetico.
11. 29. Non abbiamo dunque un cattivo concetto delle cose che ci sono
inferiori e con l'aiuto del Dio e Signore nostro ordiniamoci al fine fra le cose che
sono sotto di noi e quelle che sono sopra di noi per non essere ostacolati dalle
inferiori ed essere dilettati soltanto dalle superiori. Il godimento appunto
quasi la legge di gravitazione dell'anima. Il godimento dunque muove l'anima
al fine. Dove infatti sar il tuo tesoro, ivi sar anche il tuo cuore 4; dove il
godimento, ivi il tesoro; dove il cuore, ivi la felicit o l'infelicit. E cose
superiori son quelle in cui permanente la sovrana, stabile, non diveniente,
eterna eguaglianza. In essa non v' il tempo perch non v' divenire e da essa
i tempi hanno origine, sono diretti al fine e regolati come imitazioni
dell'eternit attraverso i periodi in cui il moto circolare del cielo torna
all'identico, riconduce all'identico i corpi celesti e obbedisce alle leggi
d'eguaglianza, armonia e finalit con i giorni, i mesi, gli anni, i lustri e gli altri
movimenti orbitali delle stelle. Cos le cose terrene sottomesse a quelle celesti
fondono in una ritmica successione i movimenti orbitali dei propri tempi in un
quasi poema dell'universo.
...bellezza che si manifesta...
11. 30. Molte di queste cose ci sembrano senza e contro finalit, poich siamo
inseriti, secondo i nostri meriti, nel loro ordinamento al fine, senza conoscere
quale opera di bellezza la divina Provvidenza sta compiendo nei nostri
confronti. Se qualcuno, ad esempio, fosse collocato come una statua in un
angolo di una sala molto spaziosa e bella, non potrebbe percepire la bellezza
della costruzione perch ne fa parte. Cos un soldato in una schiera non pu
cogliere la disposizione di tutto l'esercito. E se in qualche composizione poetica
le sillabe si animassero a percepire solo per il tempo in cui si ode il loro suono,
non potrebbero certamente godere della ritmicit e bellezza dell'opera nella
sua interezza, perch non potrebbero valutarla in una visione unitaria, sebbene
sia stata condotta a termine per mezzo di ognuna di esse nel loro susseguirsi.
Cos Dio ha ordinato l'uomo che pecca, e quindi fuori dell'ordine, ma non
contro l'ordine. Infatti si posto fuori dell'ordine per sua volont col perdere la
tendenza all'uno che possedeva finch ha obbedito ai precetti di Dio ed stato
ordinato al fine soltanto in parte, in modo che non avendo voluto condurre al
fine la legge condotto al fine dalla legge. Ora tutto ci che si fa secondo
legge, si fa con giustizia e tutto ci che si fa con giustizia, non si fa contro
l'ordine, poich anche nelle nostre opere malvagie le opere di Dio sono giuste.
Infatti l'uomo in quanto uomo un bene, l'adulterio invece in quanto adulterio
necessariamente un male, ma spesso dall'adulterio nasce un uomo, cio
dall'opera cattiva, dell'uomo l'opera buona di Dio.
...nei ritmi sensibili...
11. 31. Ma torniamo all'argomento, giacch per chiarirlo abbiamo fatto queste
considerazioni. I ritmi della ragione eccellono in bellezza. Se ci separassimo da
essi, nel piegarci verso il corpo, i ritmi in formazione non darebbero la misura a
quelli del senso. Questi a loro volta conducono la bellezza sensibile dei tempi ai
corpi da muovere, e cos si formano anche i ritmi espressi nel loro incontro con
i sonori. L'anima, ricevendo tutte queste impressioni, le moltiplica, per cos
dire, in se stessa e produce i ritmi del ricordo. E questo dinamismo dell'anima
chiamato memoria, grande aiuto nelle attivit molteplici della esperienza
sensibile.
...nei fantasmi estetici...
11. 32. Dunque tutti gli oggetti conservati dalla memoria e derivanti dai
movimenti dell'anima, che sono reazioni alle modificazioni del corpo, sono detti
in greco
. Non trovo come vorrei chiamarli in latino. Ritenere
come conoscenze certe tali rappresentazioni adesione allo scetticismo che
portinaio dell'errore. Ma quando questi movimenti si scontrano e divengono,
per cos dire, un mare agitato per i diversi e contrastanti venti dell'atto di
coscienza, si ha un generarsi di movimenti da altri movimenti, ma non di quelli
che si hanno dall'irrompere delle modificazioni del corpo impressionato
nell'organo sensoriale, ma simili, quasi immagini di immagini. Hanno insegnato
a chiamarli fantasmi. In un modo infatti mi rappresento mio padre che ho visto
spesso e in un altro mio nonno che non ho mai visto. Il primo dato
rappresentazione, l'altro fantasma. Quello lo trovo nella memoria, l'altro in
quel movimento dell'anima che sorto dagli oggetti conservati nella memoria.
difficile scoprire e spiegare come abbiano origine i fantasmi. Penso
comunque che se non avessi mai visto corpi umani, non potrei in alcun modo
rappresentarmeli al di dentro con forma visibile. Ora ci che mi figuro da un
oggetto visto, me lo figuro con la memoria, e tuttavia altro trovare nella
memoria la rappresentazione del fantasma e altro trar fuori il fantasma dalla
memoria. Ma lo pu il dinamismo dell'anima. Per assai grande errore
considerare come oggetto di conoscenza i fantasmi anche se veri. Comunque
nell'uno e nell'altro caso v' ci che non irragionevolmente possiamo
considerare l'aver coscienza, cio avere rappresentato o immaginato quegli
oggetti. Infatti non sono uno sconsiderato se dico di avere avuto un padre e un
nonno, ma sarei proprio pazzo se dicessi che sono quelli che la mia coscienza
conserva nella immaginazione o nel fantasma. Ma alcuni accettano i propri
fantasmi con tanta sconsideratezza che unico contenuto di tutte le false
filosofie quello di considerare come oggetti di conoscenza derivati dal senso
le immaginazioni e i fantasmi. Opponiamoci dunque a questi oggetti e non
commisuriamo ad essi la mente al punto di ritenere che mentre se ne ha una
rappresentazione comprensiva, essi siano oggetto di puro pensiero.
...verso una bellezza superiore.
11. 33. Se dunque tali ritmi, che si hanno nell'anima nel suo applicarsi ad
azioni poste nel tempo, hanno una loro bellezza, anche se essi la realizzano
attimo per attimo nel loro divenire, perch la divina Provvidenza
12. 35. M. - Supponi che stiamo indagando sull'arte ritmica e metrica, usata
da coloro che compongono versi. Pensi che essi abbiano in s alcuni ritmi, sul
cui modello compongono i versi?
D. - Non posso ritenere diversamente.
M. - Quali che siano questi ritmi, ritieni che siano nel divenire con i versi o che
permangano?
D. - Permangono, certamente.
M. - Devi dunque ammettere che certi ritmi divenienti sono formati con altri
non divenienti?
D. - La ragione mi costringe ad ammetterlo.
M. - E, secondo te, questa arte non altro che un'attitudine della coscienza
dell'artista?
D. - S.
M. - E credi che questa attitudine si trovi anche in chi profano in questa arte?
D. - No, certo.
M. - E in chi l'ha dimenticata?
D. - Neanche in lui, perch anche egli profano, anche se una volta ne era
intenditore.
M. - E pensi che se qualcuno in un dialogo gli fa ricordare, i ritmi passeranno
dalla coscienza del dialogante alla sua, oppure che egli interiormente nella
propria coscienza si muova verso qualche cosa da cui gli viene restituito quel
che aveva perduto?
D. - Penso che egli ricordi in se stesso.
M. - E pensi che col dialogo possa esser mosso a ricordare, se l'ha
completamente dimenticato, quale sillaba breve e quale lunga, sebbene a
causa di una umana antica precettistica e convenzione sia stata data ad alcune
sillabe una lunghezza maggiore e ad altre minore? Infatti se ci fosse
stabilmente deciso dalla natura o dall'arte, alcuni grammatici pi vicini a noi
non avrebbero considerato lunghe alcune sillabe che gli antichi hanno
considerato brevi o e considerato brevi altre che quelli han considerato lunghe.
D. - Credo che possibile perch qualsiasi cosa venga dimenticata pu tornare
alla memoria in un dialogo che induce a ricordare.
M. - Mi stupisci se pensi che mediante dialogo con qualsiasi individuo tu puoi
ricordare ci che hai mangiato a pranzo un anno fa.
D. - Confesso che non mi possibile e non penso pi che si possa mediante un
dialogo far ricordare a quel tizio sillabe, di cui ha dimenticato completamente
le lunghezze.
M. - Ma cos, soltanto perch nella parola Italia la prima sillaba era
considerata breve per decisione di alcuni individui e ora per decisione di altri
considerata lunga. Ma nessuno dei morti ha potuto, nessuno dei viventi pu e
nessuno dei posteri potr fare che uno pi due non facciano tre e che il
rapporto fra due e uno non sia due.
D. - Niente pi evidente.
M. - Ma supponi che, come abbiamo fatto noi espressamente per l'uno e il due,
quel tizio fosse interrogato su tutte le regole riguardanti i numeri
dell'aritmetica, che non conosce non perch se n' dimenticato ma perch non
le ha mai apprese. Non ritieni che, salvo le sillabe, potrebbe apprendere nello
stesso modo l'arte poetica?
D. - Che dubbio?
M. - Dunque a quale oggetto, secondo te, egli volger l'atto del pensiero
affinch i numeri della ritmica siano partecipati alla sua mente e vi producano
quell'attitudine che si chiama arte? Oppure ritieni che a lui almeno li
comunicher il dialogante?
D. - Penso che anche egli come l'altro dialogante rifletter su se stesso per
conoscere intellettivamente, mentre. risponde, che son veri i concetti trattati
nel dialogo.
Dio sede fontale dei ritmi ideali.
12. 36. M. - Ed ora dimmi se, secondo te, i ritmi, sui quali si indaga in questi
termini, sono nel divenire?
D. - No, assolutamente.
M. - Dunque non neghi che sono eterni.
D. - Al contrario, lo affermo.
M. - E potrebbe insinuarsi il timore che si dia una loro ineguaglianza e che essa
ci sfugga?
D. - Per me non v' assolutamente nulla di pi immune da timore della loro
eguaglianza.
M. - Da chi dunque si deve credere che venga partecipato all'anima l'essere
eterno e non diveniente se non da Dio il solo eterno e non diveniente?.
D. - Non vedo che si possa credere altro.
M. - Infine non forse evidente che chi nel dialogo con un altro muove
nell'interiorit l'atto del pensiero a Dio per avere pura intellezione del vero non
diveniente, se non conserva questo suo atto nella memoria, non pu tornare
ad avere pura conoscenza di quel vero, senza che qualcuno lo faccia ricordare?
D. - Chiaro.
Prudenza come scelta del bene superiore.
13. 37. M. - Chiedo ora a quale oggetto si volger costui nell'allontanarsi dalla
pura intellezione del mondo ideale perch vi debba essere richiamato dalla
memoria. O si deve forse pensare che la coscienza volta ad altro ha bisogno di
un nuovo ritorno?
D. - Penso che sia cos.
M. - Consideriamo, se vuoi, qual l'oggetto, al quale egli si pu volgere per
distogliersi dalla pura intellezione della non diveniente e somma eguaglianza.
Non ne vedo pi di tre modi. La coscienza dunque, quando se ne distoglie, o si
volge a un essere di egual valore ma altro o superiore o inferiore.
D. - Non riconosco esseri superiori all'eterna eguaglianza, quindi si deve
indagare sugli altri due casi.
M. - Ma conosci, scusa, qual essere si possa dare di egual valore, ma altro da
lei?
D. - No, non lo conosco.
M. - Resta dunque da cercare che cosa le inferiore. Ma non ti si presenta
prima di tutto l'anima stessa appunto perch ammette decisamente che l'ideale
eguaglianza non diviene, mentre avverte che lei diviene per il fatto stesso che
ha pura conoscenza in maniera diversa dei vari oggetti? Avendo dunque
conoscenza di oggetti diversi l'uno dall'altro, attua la successione del tempo
che non esiste negli oggetti eterni e non divenienti.
D. - Son d'accordo.
M. - E questa attitudine o movimento dell'anima, con cui essa conosce
intellettivamente le cose eterne e che le temporali, anche se sono in essa
stessa, sono loro inferiori, e sa che si deve tendere alle superiori anzich alle
inferiori, secondo te, non la prudenza?.
D. - Non altro, secondo me.
Bellezza nel mondo e amore disordinato...
13. 38. M. - E credi che si debba esaminare di meno il fatto che nell'anima
l'aderire alle cose eterne non si verifica nell'atto stesso che in essa si ha la
conoscenza che bisogna aderirvi?
D. - Al contrario chiedo insistentemente che lo esaminiamo e desidero sapere
da che cosa deriva.
M. - Lo capirai facilmente se considererai a quali oggetti di solito si volge
questo atto con i ritmi del ricordo. La distoglie anche l'amore della vuota
conoscenza di simili nozioni e compie questo atto con i ritmi del senso, i quali
si valgono di determinate norme, per cos dire, che traggono diletto dalla
imitazione dell'arte. Da esse nasce perci la curiosit pedantesca, nemica della
serenit, come appare perfino dalla etimologia, e per vuotezza incapace della
pienezza del vero.
...come orgoglio e fuga da interiorit...
13. 41. E questa tendenza dell'anima avere sotto di s altre anime, non di
bruti perch permesso dall'ordinamento divino, ma anime ragionevoli, cio
dei propri simili, unite a un medesimo destino sotto una legge comune.
L'anima superba tende ad agire su di esse e questa azione le sembra tanto pi
alta di quella sui corpi, quanto l'anima in generale pi perfetta del corpo. Ma
solo Dio, non per mezzo del corpo ma da s, pu agire su anime ragionevoli.
Tuttavia per la nostra condizione di peccatori avviene che sia consentito a certe
anime influire su altre agendo mediante i corpi delle une o delle altre con
segni, o naturali come l'espressione del viso o il cenno, o convenzionali come le
parole. Infatti agiscono con segni coloro che usano il comando o la persuasione
o altro mezzo, se v' oltre il comando e la persuasione, con cui ottengono
l'effetto mediante o assieme ad altre anime. Ne conseguito giustamente che
le anime, le quali han voluto eccellere per superbia sulle altre, non riescano, in
parte perch insipienti in s, in parte perch asservite all'essere fisico destinato
a morire, a dominare senza difficolt e dolori neanche le attivit del proprio
corpo. Essi dunque mediante questi ritmi e movimenti, con cui anime
influiscono su altre, si distolgono col tendere a onori e lodi dalla visione della
pura e ideale verit. Infatti Dio solo onora l'anima rendendola felice nel
segreto, se vive alla sua presenza nella giustizia e nella piet.
...ricerca di prestigio sociale.
13. 42. Dunque i movimenti che un'anima mostra esteriormente per mezzo di
altre anime, di persone aderenti o soggette, sono simili ai ritmi in formazione
perch essa li compie come se li compisse mediante il proprio corpo. I
movimenti poi che mostra esteriormente, quando desidera rendere aderenti o
soggette altre anime, sono annoverati fra gli espressi. Muovendo in questa
maniera infatti essa agisce come mediante i sensi in modo da rendere uno con
s ci che si accoglie come dal di fuori e da respingere ci che non pu. E la
memoria riceve entrambi questi movimenti e li rende oggetto di ricordo,
gonfiandosi, quale un mare in tempesta, come avviene nelle immaginazioni e
fantasmi di tal genere di attivit. Non mancano movimenti come i ritmi di
giudizio per valutare ci che in tale attivit si ottiene con vantaggio o
svantaggio. Non dispiaccia considerarli propri del senso, perch sono sensibili i
segni con cui le anime in questo modo influiscono su altre. Non c' da
meravigliarsi dunque se l'anima, presa da tanti e cos pressanti interessi, si
distoglie dalla pura intellezione della verit. Certamente, per poco che ha
tregua da essi, ha visione di lei, ma poich non li ha ancora superati, non le
permesso di fissarsi nella verit. Da ci deriva che l'anima non abbia insieme il
conoscere dove si deve trovar quiete e il poter trovarla. Ma avresti forse
qualche obiezione?.
D. - Non v' nulla che osi obiettare.
Amore purificato a Dio e al prossimo...
14. 43. M. - Che resta dunque? Ma forse, dopo aver considerato, come ci
stato possibile, la contaminazione delle passioni e la caduta dell'anima,
dobbiamo esaminare quale pratica le sia comandata per legge divina perch
resa pi leggera mediante la turificazione torni a salire dove non c'
movimento ed entri nel godimento del suo Signore?.
D. - Va bene.
M. - Non pensare che ne parli troppo a lungo, giacch le divine Scritture con
tanti libri forniti di grande autorit e santit, non inculcano altro che di amare il
Dio Signore nostro con tutto il cuore, tutta l'anima e tutta la nostra mente e di
amare il prossimo nostro come noi stessi 9. Se dunque volgiamo a questo fine
tutti i movimenti e ritmi dell'azione umana, senza dubbio saremo purificati. O
pensi diversamente?
D. - No, certo. Ma quanto questo precetto breve a udirsi, tanto veramente
difficile a praticarsi.
...e retto amore del mondo...
14. 44. M. - Ma che cosa facile? Forse amare i colori, i suoni, i piaceri del
gusto, il profumo delle rose e i corpi piacevoli al tatto? Ed forse facile per
l'anima amare questi oggetti, giacch in essi ricerca soltanto la proporzione di
eguaglianza, ma se li esamina un po' pi attentamente, vi scorge solo una
copia e impronta lontana?. E le sarebbe difficile amare Dio, giacch
rappresentandoselo nel pensiero, per quanto le possibile quando ancora
ferita e macchiata, non pu concepire in lui alcunch di ineguale, di dissimile in
s, di diviso nello spazio, di mutato nel tempo? Ovvero le d forse godimento
costruire grandi monumenti e perpetuarsi nelle opere d'arte, poich in esse le
son graditi i ritmi? Altro io non vi scorgo. Eppure niente vi si pu scorgere di
proporzionalmente eguale che i principi dell'arte pura non possono sottoporre a
critica. E se cos, perch dall'alto edificio della intelligibile eguaglianza crolla
tanto in basso e innalza edifici terreni con i propri rottami? Questo non stato
promesso da colui che non sa ingannare. Il mio giogo, ha detto, leggero 10.
Dunque l'amore di questo mondo presenta maggiori difficolt. Infatti l'anima
non trova in esso quel che cerca, cio l'essere fuori del movimento
nell'eternit, poich la bellezza infima ha la sua compiutezza nel movimento
dei sensibili e ci che in essa imitazione dell'essere posto fuori del
14. 45. Ma come giudichi l'individuo che riferisce non al piacere sensibile ma
soltanto alla salute fisica tutti i ritmi che si compiono mediante il corpo o come
reazione alle modificazioni del corpo e che sono conservati nella memoria? O
se riconduce non a personale prestigio sociale ma al bene delle anime stesse
tutti i ritmi che si ottengono mediante le anime di persone a lui legate o che si
compiono per legarle e che si conservano nella memoria?. O se usa i ritmi che
nell'una e nell'altra categoria hanno nell'udito funzioni di critica e ricerca degli
altri nel loro succedersi, non a scopo di una vuota e dannosa pedanteria ma di
una indispensabile approvazione o disapprovazione? Costui non forma forse
tutti questi ritmi senza incappare nelle loro reti? Infatti ha come fine la salute
fisica, ch non sia compromessa, e riconduce tutte queste azioni al bene del
prossimo che ha il dovere di amare come se stesso in virt del vincolo naturale
del rapporto civile.
D. - Stai parlando di un uomo grande e veramente pieno di umanit.
...come rientro nella eticit e fini...
14. 46. M. - Dunque non i ritmi inferiori alla ragione, nel loro genere belli, ma
l'amore della bellezza inferiore macchia l'anima. Se in essi infatti ama non
solamente l'eguaglianza, di cui abbiamo gi sufficientemente parlato nei limiti
del nostro assunto, ma li ama anche come fine, l'anima ha perduto il proprio
fine. Non uscita tuttavia dalla finalit delle cose poich si trova nel grado e
dignit in cui, per universale ordinamento, esse si trovano. Altro infatti
disporsi al fine ed altro esser disposto al fine. Essa si dispone al fine amando
con tutta se stessa ci che al di sopra di lei, cio Dio, e come se stessa le
anime dei propri simili. Con questa forza dell'amore essa dispone al fine le
cose, senza esserne contaminata. E ci che la contamina non cattivo, poich
anche il corpo una creatura di Dio ed ornato di una sua bellezza anche se
infima, ma che in confronto alla dignit dell'anima ha poco valore, come il
pregio dell'oro contaminato dall'unione con l'argento anche il pi puro.
Pertanto non escludiamo dall'azione della divina provvidenza i ritmi, quali che
siano, anche se formati dalla nostra soggezione alla morte, pena del peccato,
poich essi nel loro genere sono belli. Ma non li amiamo come se, godendo di
essi, trovassimo la felicit. Ce ne libereremo, giacch sono nel tempo, come di
una tavola nel naufragio, cio non buttandoli come zavorra e non
aggrappandoci ad essi come se non andassero a fondo, ma usandone bene. E
dall'amore del prossimo praticato nella sua pienezza parte per noi la scala
sicura per unirci a Dio e per non essere conservati nel fine soltanto dal suo
ordinamento, ma per conservare, stabile e definitivo, il nostro fine.
...anche mediante la cultura umana...
14. 47. Ma l'anima ama la disposizione al fine giacch lo provano gli stessi
ritmi sensibili. E proprio da questa Disposizione il primo piede il pirrichio,
secondo il giambo, terzo il trocheo e cos di seguito gli altri. Giustamente
potresti osservare che qui l'anima ha seguito piuttosto la ragione che il senso.
Ma bisogna accreditare ai ritmi sensibili il fatto che sebbene, ad esempio, otto
sillabe lunghe hanno la medesima quantit di sedici brevi, tuttavia nella
lunghezza di un piede le brevi richiedono di essere unite alle lunghe. E quando
la ragione valuta il senso e i piedi proceleusmatici le vengono presentati come
eguali agli spandei, essa trova che nel caso ha valore soltanto la funzione di
una ordinata disposizione, poich le sillabe lunghe sono lunghe soltanto nel
confronto con le brevi e le brevi sono brevi soltanto nel confronto con le
lunghe. E perci un verso giambico, sebbene pronunciato pi lentamente,
purch si rispetti il rapporto dell'uno a due, non perde il suo nome. Al contrario
un verso formato di piedi pirrichi, se gradualmente gli si aumenta la lunghezza
nel pronunciarlo, diviene all'improvviso un verso spondaico, se ci si attiene
ovviamente alla musica e non alla prosodia. Ma se il verso formato di dattili e
anapesti, poich le lunghe sono percepite nel confronto con le brevi, quale che
sia la lunghezza con cui si pronuncia, conserva il suo nome. Cos le aggiunte di
un semipiede non vanno applicate all'inizio col medesimo schema che alla fine
e non tutte si devono usare, anche se si accordano nella percussione.
Egualmente si ha la collocazione in fine di due brevi anzich di una lunga. E
tutti questi fenomeni sono misurati dal senso. E in essi non in discussione il
ritmo dell'eguaglianza, che non ha nulla da perdere tanto se quello o un
altro, ma il legame della disposizione nell'unit. Sarebbe troppo lungo
percorrere gli altri casi attinenti alla medesima funzione nei ritmi di tempo. Ma
ovviamente il senso biasima anche le figure visibili quando sono chinate oltre il
conveniente o rovesciate o simili. In esse non in discussione l'eguaglianza
poich la proporzione delle parti rimane, ma la cattiva disposizione. Infine in
tutte le nostre sensazioni e azioni, quando gradualmente adattiamo al nostro
desiderio oggetti insoliti e perci sgraditi, li accettiamo dapprima con
sopportazione e poi con soddisfazione. Cos ci costruiamo il piacere con una
disposizione finalizzata e sentiamo avversione se gli oggetti precedenti non
sono legati a quelli di mezzo e questi ai seguenti.
...in vista del bene superiore.
14. 48. Pertanto non riponiamo il nostro godimento nel piacere della carne,
negli onori e lodi degli uomini e nella ricerca delle cose che stimolano il corpo
dal di fuori, giacch possediamo nella nostra interiorit Dio, in cui tutto ci che
amiamo stabile e immutabile. Accade cos che, pur avendo questi beni
temporali, non se ne rimane irretiti, che senza provar dolore possono mancar i
beni esterni e che senza provar dolore alcuno o per lo meno non grave il corpo
stesso sia tolto a noi e restituito dalla morte alla natura per essere
trasformato. Infatti il riferirsi dell'anima alla sola porzione di tempo in cui vive
la limita ad attivit che turbano. Altrettanto fa, nella non considerazione della
legge universale, l'amore di una determinata attivit limitata all'individuale,
che tuttavia non pu rendersi altra dal tutto che Dio ordina al fine. Dunque
soggetto alle leggi chi non ama le leggi.
Purificazione e virt morali...
15. 50. Ma la pratica per cui l'anima, con l'aiuto di Dio suo Signore, si libera
dall'amore della bellezza inferiore, combatte per debellare la propria abitudine
in lotta contro di lei e con questa vittoria trionfer in se stessa sulle potenze di
questa aria e poich esse la contrastano e tendono ad impedirglielo, sale a Dio
che la rende immobile e forte, non , secondo te, la virt che si chiama
temperanza?
D. - La ravviso e capisco.
M. - Inoltre l'anima progredisce in questo cammino e non l'atterriscono la
perdita dei beni temporali o la morte stessa mentre pregusta e quasi afferra i
godimenti eterni e ha la forza di dire ai propri compagni a lei inferiori: Per me
bene scioglier la vela ed esser con Cristo, ma a voi necessario che io
rimanga nella carne 15.
D. - cos, credo.
M. - Ma questa disposizione dell'anima per cui essa non teme avversit o
morte, non si deve forse chiamarla fortezza?
D. - Anche questo conosco.
M. - E la legge che l'anima si data, per cui non si assoggetta ad alcuno se
non a Dio solo, non desidera essere eguagliata ad alcuno se non agli spiriti pi
puri e non dominare su alcuno salvo i bruti e i corpi, quale virt pensi che sia?
D. - Chi non capisce che la giustizia?.
M. - Comprendi bene.
Rimangono dopo la vita le virt contemplative?
16. 51. Ti propongo un altro quesito. Dianzi emerso dal nostro dialogo che la
prudenza una virt con cui l'anima conosce il luogo in cui trovar quiete. Vi si
eleva con la temperanza, cio col volgersi dell'amore a Dio, che detto carit,
e col volgersi in altro senso dall'amore del mondo e a questo si accompagnano
fortezza e giustizia. Chiedo dunque la tua opinione sul tempo, in cui l'anima
giunger alla maturazione del proprio amore ed elevazione dopo aver compiuto
la propria santificazione e compiuto anche il ritorno a nuova vita del proprio
corpo. Eliminate dalla memoria le perturbazioni dei fantasmi, comincer a
vivere in Dio stesso a Dio solo, quando avr avuto compimento ci che ci si
promette in questi termini: Dilettissimi, ora siamo figli di Dio e non si ancora
manifestato che cosa saremo. Ma sappiamo che quando si manifester, saremo
simili a lui, perch lo vedremo come 16. Ti chiedo dunque se, secondo te, le
virt che abbiamo elencato esisteranno anche allora.
D. - Io non vedo, quando saranno passate le contrariet, contro cui si lotta,
come potrebbe esservi la prudenza, la quale non sceglie che cosa seguire se
non nelle contrariet, o la temperanza, la quale non distoglie l'amore se non
dalle cose che le sono contrarie, o la fortezza, la quale non sopporta che le
contrariet, o la giustizia la quale desidera di essere eguale alle anime pi felici
e dominare la natura inferiore soltanto nelle contrariet, cio quando non ha
ancora raggiunto ci che vuole.
Rimangono prudenza...
16. 52. M. - La tua risposta non del tutto irragionevole e a certi dotti cos
sembrato, lo ammetto. Ma nel leggere i libri, che sono i pi autorevoli di tutti,
vi trovo scritto: Gustate e vedete che il Signore soave 17. L'apostolo Pietro ha
espresso cos il medesimo concetto: Se tuttavia avete gustato che il Signore
buono 18. E ci si avvera, secondo me, in queste virt che purificano l'anima
con la conversione stessa. Infatti l'amore delle cose temporali non sarebbe
debellato se non con l'attrattiva delle cose eterne. Ma quando si giunti al
passo che dice: E i figli degli uomini si rifugeranno sotto la copertura delle tue
ali, saranno inebriati dall'abbondanza della tua casa e tu li disseterai al
torrente del godimento di te, perch la sorgente della vita presso di te 19, il
testo non dice pi che il Signore sar soave ad esser gustato. Puoi osservare
per quale scaturire e scorrere della sorgente eterna viene indicato, giacch se
ne ha come conseguenza una specie di ebbrezza. E con questo termine, mi
pare, mirabilmente significato l'oblio dei vuoti fantasmi posti nel divenire. Il
testo soggiunge di seguito altri concetti e dice: Nella tua luce avremo visione
della luce. Continua ad offrire la tua misericordia a coloro che hanno scienza di
te 20. Nella luce si deve intendere in Cristo che la Sapienza di Dio ed tante
volte chiamato luce. Non si pu dunque negare che si avr la prudenza nel
luogo dove si dice Avremo visione, e: A coloro che hanno scienza di te. Non si
potrebbe infatti avere visione e scienza del bene ideale dell'anima dove non si
ha la prudenza.
D. - Ora capisco.
...giustizia, temperanza e...
16. 55. Ma sia che nelle parole citate si deve intendere questo o altro, potresti
negare che l'anima, posta nella felicit della perfezione morale, ha visione
diretta dell'intelligibile, rimane stabilmente senza macchia, non pu subire
alcuna contrariet, si assoggetta a Dio solo e si eleva al di sopra di tutti gli
esseri?
D. - Anzi non vedo come altrimenti sarebbe nella piena perfezione e felicit.
M. - Dunque la sua pura intellezione, santificazione, impassibilit e
adeguazione alla legge o sono le quattro virt nel loro grado pi perfetto e
alto, ovvero, per non affaticarci invano con i nomi se si d'accordo sui
concetti, in luogo di queste virt, di cui l'anima si serve nella vita terrena, essa
deve sperare facolt corrispondenti nella vita eterna.
Dio produce gli esseri e...
17. 57. Perci questo verso che ci siamo proposto come esempio: Deus
creator omnium, molto gradito non solo all'udito per il suono ritmico ma
anche all'anima per la razionalit e verit del pensiero. Potrebbe turbarti per
la pigrizia mentale, per parlare con indulgenza, di coloro i quali affermano che
non si pu produrre l'essere dal nulla, sebbene detto nella Scrittura che Dio
onnipotente l'ha fatto 24. Ma l'artigiano con i ritmi razionali propri della sua arte
pu produrre i ritmi sensibili propri della sua tecnica, inoltre con i ritmi sensibili
pu produrre i ritmi in formazione con cui muove le membra nell'agire e ai
quali competono gi lunghezze di tempo, e infine pu costruire dal legno forme
visibili disposte razionalmente nello spazio. E la natura, che obbedisce agli
ordini di Dio, non potrebbe produrre il legno stesso dalla terra e dagli altri
elementi ed egli gli stessi elementi primi senza che preesistessero?
necessario anzi che un muoversi ordinato nel tempo preceda il disporsi
ordinato dell'albero nello spazio. Infatti ogni genere di piante in determinate
quantit di tempo, a seconda del seme, attecchisce, germoglia, spunta fuori,
mette le foglie, si irrobustisce e produce o il frutto o di nuovo la vigoria del
seme in un misterioso avvicendarsi di ritmi. A pi forte ragione ci avviene per
i corpi degli animali, in cui la disposizione delle membra offre allo sguardo
assai di pi una ritmica proporzione. Ora sarebbe possibile che mediante gli
elementi siano prodotti questi esseri e sarebbe stato impossibile che gli
elementi fossero prodotti dal nulla? Come se fra di essi ve ne sia qualcuno pi
imperfetto e basso della terra. Ma essa ha inizialmente la forma elementare di
corpo, giacch si d'accordo che esistano in essa una determinata unit, valori
numerici e l'ordinamento al fine. Infatti qualsiasi sua particella, per quanto
piccola, da un punto indivisibile si estende necessariamente nella linea, riceve
per terza la superficie e per quarto il volume con cui il corpo completo. Da chi
proviene dunque questa progressione aritmetica dalla prima alla quarta? Da chi
anche l'eguaglianza delle parti, che si trova nella linea, superficie e volume?.
Da chi questo rapporto razionale (ho voluto cos tradurre analogia), per cui il
rapporto che ha la linea indivisibile, lo ha anche la superficie alla linea e il
volume alla superficie? Da chi dunque, scusa, tutto ci se non dalla somma
eterna principialit dei valori numerici, della proporzione, della eguaglianza e
della finalit? Ma se si toglieranno queste dimensioni alla terra, diverr un
nulla. Perci Dio onnipotente ha prodotto la terra, e la terra stata prodotta
dal nulla.
...e l'armonia sovrana del tutto.
17. 58. Ed inoltre la stessa struttura qualitativa, per cui la terra si distingue
dagli altri elementi, non mostra forse l'uno nel limite con cui l'ha ricevuto?
Infatti nessuna delle sue parti manca di proporzione col tutto e nel
congiungimento organico di esse tiene nel suo genere la sfera pi bassa ma la
pi adatta alla sua conservazione. Le si riversa sopra l'elemento acqua, che
tende anche essa all'unit perch pi ornata e pi penetrata dalla luce a causa
della maggiore proporzione delle parti e che occupa la sfera conveniente alla
propria finalizzazione e conservazione. Che dire dell'elemento aria che tende
all'unit mediante un'organicit molto pi agevole, che tanto pi ornata
dell'acqua quanto questa lo della terra e tanto pi sicura
nell'autoconservazione? Che dire infine della sfera pi alta del cielo, in cui ha
limite il tutto dei corpi visibili, in cui si hanno l'ornamento pi grande del
mondo visibile e il grado pi alto dell'autoconservazione? Certamente le sfere,
di cui percepiamo il muoversi nel tempo con la funzione dei nostri sensi, e tutti
gli esseri che in esse esistono possono ricevere e conservare la disposizione
nello spazio che appare con l'essere in un luogo, soltanto se li precede, fuori
dello spazio e del tempo, una successione di tempi che sono nel movimento.
Allo stesso modo un movimento animatore precede e misura in una
successione di tempi gli esseri posti nello spazio nel loro formarsi. E questo
movimento esegue l'ordinamento del Signore creatore di tutte le cose e non ha
in s in atto le lunghezze dei tempi della propria successione secondo numero,
ma in potenza che distribuisce i tempi. E sopra di questa potenza i ritmi
razionali e intelligibili delle anime costituite stabilmente nella felicit
trasmettono senza riceverlo da altri esseri, fino all'ordine costituito sulla terra e
sotto di essa, lo stesso ordinamento di Dio al fine, senza di cui non cade una
foglia dall'albero e per cui i capelli del nostro capo hanno il loro numero 25.
L'opera di Agostino e la polemica antiereticale.
17. 59. Ho trattato con te dei concetti che ho potuto e come l'ho potuto, io
tanto piccolo di cose tanto grandi. Ma se qualcuno legge questo nostro discorso
una volta pubblicato, sappia che stato scritto per individui molto pi deboli di
quelli che seguendo l'autorit dei due testamenti adorano la consustanziale e
incommutabile Trinit dell'uno sommo. Dio, principio ordinatore e fondamento
del tutto, e la onorano in fede speranza e carit. Infatti essi non sono purificati
dal freddo bagliore delle filosofie umane ma dal grande e ardente fuoco
dell'amore. Ma non riteniamo che si devono trascurare coloro che gli eretici
ingannano con la promessa fallace del pensiero e della scienza, e per questo
nell'esame delle vie procediamo pi lentamente degli uomini santi che, volando
al di sopra di esse, non si degnano di prenderle in considerazione. Ma non
oseremmo farlo se non vedessimo che molti figli devoti della ottima madre la
Chiesa cattolica i quali, avendo conseguito, quanto richiesto, la capacit
dialettica con gli studi del periodo scolastico, lo hanno gi fatto per necessit di
ribattere gli eretici.
1 - AMBROGIO, Hymn. 4, 1.
2 - Qo 7, 26.
3 - Rm 7, 24-25.
4 - Mt 6, 21.
5 - Rm 7, 25.
6 - Sir 10, 14.
7 - Sir 10, 15.
8 - Sir 10, 9-10.
9 - Dt 6, 5; Mt 22, 37-39; Mc 12, 30; Lc 10, 27.
10 - Mt 11, 30.
11 - 1 Gv 2, 15-16.
12 - 1 Cor 15, 53.
13 - Rm 8, 11.
14 - 1 Cor 13, 12.
15 - Fil 1, 23-24.
16 - 1 Gv 3, 2.
17 - Sal 33, 9.
18 - 1 Pt 2, 3.
19 - Sal 35, 8-10.
20 - Sal 35, 10-11.
21 - Sal 35, 11.
22
23
24
25