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PURGATORIO CANTO VI

1-12: il canto si apre con una similitudine che riproduce una scena di vita quotidiana e cittadina,
quella del gioco della zara. Questa scena popolare, per, contrasta con il coro tragico dei morti per
dannati: infatti le anime, che chiedono suffragi e che furono un tempo famosi uomini politici, sono
accumunate agli assistenti di un gioco popolare. Questa scena di vita animata da un vincente, che
dovrebbe essere Dante, in quanto gli concesso di compiere il viaggio, e un perdente, che non
sappiamo chi possa indicare. La Zara era un gioco di strada in cui si improvvisavano bische
allaperto negli angoli delle vie e nelle piazze e vi erano due giocatori circondati da gruppi di
perditempo e curiosi. Il gioco consisteva nel lanciare tre dadi a turno e nel dire la corretta somma
dei numeri che sarebbero usciti. Se si prevedeva che uscisse il 3, 4, 17 o 18 si doveva gridare zara.
E tutto ci che era stato puntato sarebbe rimasto nel piatto. Ognuno doveva avere i propri dadi, per
questo molto spesso il gioco era organizzato da bari, con dadi truccati, che dopo aver vinto si
allontanavano in fretta e chi aveva perso rimuginava tristemente e provava a lanciare i dadi di
nuovo per vedere dove aveva sbagliato. La parola zara viene dallarabo Zahr e significa dado,
quando gli arabi si recarono in Spagna divenne Azar, poi diventata la francese Hazard e litaliana
Azzardo, che quindi lunione dellarticolo Az e della parola zahr: il dado. Nella seconda parte
della similitudine si completa il paragone con le anime: come tutti i nullafacenti circondavano il
vincitore per strappargli del denaro, cos le anime per strappare a Dante la promessa di una
preghiera che valga la salvezza della propria anima lo circondano, ma lui superbo e con rapidit si
allontana da loro. abituato a essere il protagonista e in questo caso avrebbe preferito una
manifestazione di stima nei suoi confronti. La perplessit dei critici su questa similitudine, in quanto
manca di legami logici con il poema, in parte alleviata dallidea che il tema del gioco introduca
gi lepisodio centrale del canto, ossia lincontro con Sordello, che si pensava fosse un accanito
giocatore.
13-24: Dante, come tutti i fiorentini, ce laveva con gli Aretini ed per questo che non li troveremo
mai in Paradiso: per Benincasa fu fatale, mentre era giudice a Siena, aver condannato a morte il
fratello e lo zio di Ghino di Tacco, che lo uccise durante un processo a Roma. Guccio era un leader
ghibellino, zio del vescovo di Arezzo, che mor nellArno durante linseguimento di un gruppo di
esuli guelfi; Marzucco fu un giudice che divenne frate francescano, laggettivo buon si riferisce alla
scelta francescana, forte invece perch al funerale del figlio non si disper, nonostante fosse stato
decapitato dal conte Ugolino, che aveva lasciato il corpo con la testa staccata in piazza a Pisa, ma
fingendosi un cittadino pisano aveva chiesto che fosse tolto perch puzzava. Il conte per lo
riconobbe e gli permise di dare sepoltura al figlio. Orso venne ucciso dal cugino che voleva
vendicare la morte del padre, Pier della Broccia era un chirurgo di Filippo III, ma fu ucciso
dallinvidia dei cortigiani, perch fu fatto impiccare per tradimento. Fu accusato, infatti, da Maria
Brabante, moglie in seconde nozze di Filippo III, di aver avvelenato il figlio della prima moglie, ma
Dante dice che bene che si penta, finch viva, se non vuole finire nella schiera dei falsi
accusatori, dannati nellInferno.
25-42: dopo essersi allontanati dalle anime Dante pone a Virgilio un problema teologico, ossia se
abbia senso che le anime del Purgatorio chiedano il suffragio, perch nel libro VI dellEneide la
Sibilla aveva detto a Palinuro, morto insepolto, la cui anima vagava fuori dallAde e che la pregava
di portarlo al di l dellAcheronte, di non sperare di poter cambiare le decisioni degli dei. Virgilio,
allora, risponde di aver scritto ci da uomo pagano e non da uomo dotato di fede cristiana, perci
aveva applicato le leggi religiose del suo tempo. Per quanto riguarda le anime espianti, Dio accetta
le preghiere e la giustizia divina non sminuita se lamore dei vivi per i morti si manifesta
attraverso preghiere che diminuiscono la percorrenza delle anime nel Purgatorio.
43-57: Virgilio preannuncia a Dante che lui non sar pi necessario, ma che solo Beatrice lo guider
nel Paradiso e potr chiederle tutti i dubbi in teologia. Virgilio cosciente della propria
insufficienza di fronte ai misteri della fede cristiana. Dante stimolato a procedere dal nome di

Beatrice e nonostante fosse stanco ora non sente pi nemmeno la fatica, ma vorrebbe affrettare il
passo, mentre Virgilio rallentato perch sa che significa che la sua missione finir, per questo
sottolinea che potranno camminare solo finch ci sar luce e gli predice che prima di arrivare al
Paradiso vedr sorgere altre volte il Sole: infatti ancora il 10 aprile, mentre arriveranno al paradiso
terrestre la mattina del 13. Inoltre il Sole gi nascosto dal pendio, perch Dante non proietta pi
lombra, quindi gli rimane poco per procedere.
58-75: Virgilio vede unanima discosta dal gruppo e la mostra a Dante, come aveva fatto con
Farinata. unanima solitaria, perch ha bisogno di isolarsi, espressione del desiderio di offrire la
propria dignit. Gli aggettivi onesta e tarda erano stati usati anche per gli spiriti magni, per
sottolinearne leccezionale nobilt danimo e anche altera e disdegnosa esprimono la propensione al
distacco e il netto contrasto con le anime che, a inizio canto, si affollavano intorno a Dante con
vociare da taverna, mentre questa solitaria e silenziosa per eccellenza danimo. paragonata a un
leone, che pur riposandosi, pronto subito al movimento. Virgilio si avvicina allanima per
chiederle indicazioni, esclude Dante perch ha raggiunto una certa sicurezza nel muoversi.
Questanima, per, come Farinata, chiede di declinare le proprie generalit: questa era una costante
di galateo feudale, infatti i personaggi di rango non accettavano mai di parlare prima della
presentazione della propria persona. Allora Virgilio si presta a recitare lepitaffio della sua tomba,
ma appena lanima sente la parola Mantova si muove verso linterlocutore. Si tratta infatti di
Sordello di Mantova, uno dei pi grandi trovatori in lingua dhoc, e non appena sente il nome della
propria citt mosso dallamore di patria, che gli fa superare il divario di secoli tra i rispettivi
periodi di vita. Cos Virgilio e Sordello si abbracciano: questo mantiene anche dopo la morte un
atteggiamento di disprezzo per il mondo e una dignit pi forte di qualsiasi umiliazione;
lexemplum di Dante negli anni dellesilio, quando aveva rifiutato i perdoni che gli erano stati
offerti, e gli d lo spunto politico per linvettiva dei versi seguenti.
76-90: labbraccio fra i due poeti offre a Dante loccasione per una lunga invettiva. Linvettiva
uno stile oratorio che deve contenere personificazioni, apostrofi, esclamazioni, anafore, enfasi e un
linguaggio realistico e violento se necessario. Dante trae lo spunto per questa invettiva dallantitesi
tra la fratellanza fra Sordello e Virgilio e lincapacit dei comuni italiani di raggiungere la pace. Si
serve di questinvettiva per riprendere i motivi della sua insoddisfazione politica, legata alla
divisione in fazioni, alla corruzione di queste fazioni, alle lotte fratricide e allarroganza dei nobili,
temi gi trattati nel canto politico dellInferno con Ciacco, ma ora non si limita a Firenze, bens
parla dellItalia intera. Dante, per, sbaglia nel non tener conto dei cambiamenti della storia: infatti
non vive pi in unet imperiali, ma in una comunale, caratterizzata dalla ricerca di indipendenza
dei comuni. Si rivolge allItalia come sede di dolore e nave senza timoniere, per cui torna il topos
della navigazione e dellimportanza di saper andare avanti. La definisce bordello e non pi signora
delle province, come anche Giustiniano aveva detto che sarebbe dovuta essere. Prosegue con una
metafora della giumenta: riprende a proposito il corpus iuris civilis di Giustiniano, questo, infatti,
aveva riordinato le leggi, quindi aveva dato le briglie ai successori, ma le briglie sono inutili senza
la sella, che il trono. In Italia non cera un imperatore che esercitasse lautorit imperiale, per cui
vi erano leggi valide, ma nessuno che le facesse rispettare, per questo la vergogna maggiore che se
proprio non ci fossero.
91-108: dopo lapostrofe allItalia, Dante si rivolge agli ecclesiastici, che invece di limitarsi a curare
le anime si dedicano allattivit politica e impediscono al legittimo imperatore di occupare il trono,
mostrando di non comprendere ci che Dio ha loro ordinato nel Vangelo dove si legge: date a
Cesare quel che di Cesare, e a Dio quel che di Dio. Per cui, tornando alla metafora della
giumenta, dopo che la Chiesa ha preso la predella, quella parte di briglia che si tiene quando si
conduce a piedi il cavallo, impedendo che limperatore monti in sella, lItalia diventata indomita e
selvaggia. Dante prosegue anche con uninvettiva contro limperatore Alberto dAsburgo, definito
tedesco perch per ricostruire il regno di Germania, rinunci di fatto a esercitare il suo potere
sullItalia. Lo colpisce, perci, come imperatore, ma anche come uomo, manchevole dei doveri che

Dio gli aveva imposto. Chiede quindi che abbia una punizione divina con valore esemplare anche
per i successori, cos che si convincano a occuparsi dellItalia. Accenna infine alle lotte fratricide tra
alcune famiglie, causate dal fatto che Alberto non si curava della felicit del suo popolo. Vi sono
diverse interpretazioni sui nomi di queste famiglie: la prima vuole che siano tutte ghibelline, ma di
quattro citt differenti, quindi Montecchi di Verona, Cappelletti di Cremona, Monaldi di Perugia e
Filippeschi di Orvieto, laltra li vuole guelfi e ghibellini di due citt, ossia Montecchi e Cappelletti
come guelfi e ghibellini di Verona, e Monaldi e Filippeschi guelfi e ghibellini di Orvieto.
109-126: vi unapostrofe del vieni: accusa limperatore di essere ignavo e gli chiede di toccare con
mano i disagi dellItalia da lui causati. Come esempio riporta il feudo si Santafiora, che apparteneva
agli Aldobrandeschi, una famiglia decaduta a causa delle lotte interne contro Siena, a cui aveva
dovuto cedere gran parte dei propri domini. Rappresenta Roma come una donna lasciata sola che
invoca invano la compagnia del marito, ossia dellimperatore. Roma era la perla dellimpero,ma ora
soggetta alle divisioni interne che determinano lo scorrere del sangue, mentre regnerebbero pace,
concordia e amore se fosse applicata la giustizia. Dante chiama Cristo Giove perch vuole mitigare
un po la domanda che ha posto, facendo una contaminatio tra religione pagana e cristiana. Con
Marcello si riferisce forse al console Caio Claudio Marcello, partigiano di Pompeo e nemico di
Cesare, oppure a Marco Marcello, che aveva salvato la patria espugnando Siracusa, e il passo di
Dante significherebbe o che ogni villano si atteggia a oppositore dellautorit imperiale, oppure a
salvatore della patria.
127-151: i versi finali sono caratterizzati da uninvettiva ironica contro Firenze, che il poeta
nonostante tutto ama e la chiama Firenze mia. Nel Purgatorio lunica volta che il nome di Firenze
ricorre esplicitamente, sar sempre indicata con perifrasi. Questa apostrofe caratterizzata da
unantifrasi che sfuma in unironia sarcastica. A differenza di cittadini di altre citt che coltivano la
giustizia ma la manifestano con cautela, i Fiorentini parlano sempre di giustizia senza applicarla
mai, anzi sono pronti ad assumersi gli incarichi pubblici, ma lo fanno con leggerezza, per pura
ambizione e senza senno. A Firenze dominano lingiustizia e linstabilit politica, per cui anche la
ricchezza di cui dotata provoca divisioni, guerre e corruzioni perch non mantenuta stabile.
Inoltre le decisioni politiche non durano , a differenza di Atene e Sparta, dove nacquero le leggi
civili e dove le legislazioni erano stabili. Anzi, oltre a cambiare spesso leggi e moneta, ha rinnovato
anche la cittadinanza, esiliando alcuni membri e richiamandone in patria altri, perci Dante esorta
Firenze a guardare al suo passato, quando i cittadini uscivano dalla citt per commerciare e non
come esuli. Questi cambiamenti sono paragonati alla spasmodica variazione di postura di una
malata nel letto, che, per, in questo modo, non otterr nessun sollievo.

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