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2007/2008
STEFANO BONUCCI
- Introduzione:
• Lo scenario del primo dopoguerra:
• Economia;
• Società;
- La rivoluzione bolscevica...
gli effetti del ‘Grande Terrore’....
- Il nazionalsocialismo....
l’ascesa di Hitler...
- Concause ed analogie.
- Considerazioni conclusive.
Lo scenario del primo dopoguerra:
La prima guerra
mondiale, non risolve i
problemi per i quali era
scoppiata, alcuni anzi
risultano acuiti proprio a
causa del trattato di pace
di Versailles, e se ne
aprono di nuovi. La
vecchia Europa esce dal
conflitto profondamente
lacerata e divisa e perde
gran parte del suo
prestigio internazionale, compresa la sua posizione di centro del mondo. Crollano gli imperi
multinazionali, nasce l’URSS, altre potenze extraeuropee come Stati Uniti e Giappone,
entrano con autorità nel gioco politico ed economico mondiale.
Il lungo e tormentato dopoguerra, si trova ad affrontare nuove situazioni quali: l’affermazione
della società di massa e con essa l’intensificazione dei conflitti sociali; la crisi delle istituzioni
e dei regimi liberali; le grandi difficoltà economiche a raggio mondiale e la instabilità dei
sistemi economici e monetari (29) che creano il panico; la nascita ed il consolidamento dei
partiti totalitari: fascismo nazismo, che prenderanno il potere in Italia e in Germania, il
bolscevismo della neonata Unione Sovietica che aspirava ad un ‘mondo comunista’….
Economia:
Il vecchio stato liberale, diventato durante la guerra il motore dell'economia bellica, non
riusciva a gestire il passaggio dall'economia militare all'economia di pace, causando grande
disagio e miseria. Alla fine del conflitto la situazione economica dei paesi belligeranti
presentava il conto: il deficit pubblico causato dalle ingenti spese, la disoccupazione, la
difficoltà della riconversione produttiva. I conflitti sociali si fecero più acuti e radicali:
l'inflazione e la disoccupazione rendevano ancora più stridente il contrasto fra le classi. Molte
industrie, non debitamente adattate a produzioni diverse, rimanevano ferme, per i reduci era
difficile trovare lavoro. Aumentava così la disoccupazione e il prezzo di molti prodotti,
mentre il malcontento si aggravava e sfociava in scioperi, assalti di negozi, manifestazioni di
protesta nelle fabbriche e nelle campagne.
L'Europa aveva l'urgenza di una riconversione industriale. Gli investimenti avvenuti durante
la guerra nel settore economico e l'alta domanda avevano favorito l'ammodernamento
tecnologico delle imprese più forti, ed avevano accelerato il processo di concentrazione
industriale. L'utilizzo delle risorse aveva comportato un massiccio intervento del potere
pubblico: lo stato aveva rastrellato ed investito i capitali, assumendo già nel corso del
conflitto un vero e proprio ruolo di direzione della vita economica.
Gli Stati Uniti, che avevano sostenuto economicamente le potenze della Triplice durante la
guerra, si erano trovati a dover intervenire aiutando l'Europa nella ricostruzione, allo scopo di
rientrare dei prestiti concessi, acquisendo così il
primato economico e divenendo maggiori
creditori verso l'Europa, nonché maggiori
produttori mondiali. Si avviò la produzione di
massa (economia di scala) e le connesse
trasformazioni nell'organizzazione del
lavoro (Il taylorismo).
La produzione in serie di beni durevoli era rivolta ad un mercato sempre più alto, mentre
aumentavano le capacità d’acquisto: si verificava un'espansione dei ceti medi e del terziario
(consumismo: automobili simbolo di benessere, la radio come strumento di informazione ma
anche di manipolazione).
Gli Stati Uniti si trovarono però in difficoltà: lo squilibrio tra
produzione e potere d'acquisto dei salari e la conseguente flessione
della domanda, insieme alla speculazione finanziaria ed all'instabilità
del sistema economico e monetario internazionale (crisi del gold
standard), dovuto anche alla mancanza di una politica commerciale e
monetaria concordata, culminavano nel 1929 con il crollo di Wall
Street. La crisi internazionale causò la recessione ed il crollo di numerose banche e delle
attività commerciali, mentre i paesi adottarono politiche protezionistiche.
Proseguire con la ricostruzione in Europa era difficoltoso. Si erano inaspriti sempre più i
conflitti sociali e politici. Il sistema liberale e democratico veniva criticato da sinistra e destra.
La lotta di classe diveniva particolarmente acuta, la crisi economica e morale sfociò anche in
falliti episodi rivoluzionari. Si accresceva la spirale di sfiducia reciproca e la mancanza di
coordinamento tra le varie politiche economiche internazionali, crescevano le misure
protezionistiche e l'intervento dello Stato nell'economia.
La Germania post Versailles, in piena iperinflazione, con il
ritiro dei capitali esteri e la disoccupazione vedeva
crescere gli estremismi del partito nazionalsocialista. Gli Stati
Uniti inauguravano il New Deal con Roosevelt, mentre in Europa
la crisi economica ed il malcontento sociale feceva ascendere al
potere nuovi partiti di massa (fascisti, socialisti e
popolari). Proprio in Italia, la sottovalutazione della
pericolosità da parte di liberali e cattolici di questi nuovi movimenti (biennio rosso e paura del
socialismo), fece si che il fascismo prendesse potere.
Società:
Rispetto al passato, la Grande guerra era la prima in cui si realizzava il connubio fra apparato
industriale e militare e in cui veniva direttamente investita la popolazione civile; per la prima
volta uno storico cambiamento nella coscienza di milioni di uomini che avevano maturato la
consapevolezza della propria forza ed importanza collettiva.
La guerra aveva mobilitato le masse ed ora in tutti i paesi si doveva fare i conti con una
partecipazione popolare alla vita politica. L'esperienza della guerra aveva scosso le strutture
politiche ovunque: i vertici statali avevano dilatato il loro ruolo decisionale a scapito degli
organismi rappresentativi, mentre le libertà democratiche subivano forti restrizioni.
Si assisteva alla diffusione della società di massa e alla presa di coscienza da parte degli
intellettuali, della nascita di un nuovo modello che, in relazione al salto qualitativo operato
dalla seconda rivoluzione industriale, faceva assumere alle masse un ruolo di enorme
importanza nella sfera economica, politica e culturale.
Il diffondersi della società di massa determinava altresì l'affermazione di strumenti di
comunicazione di massa e la nascita della cultura di massa, la quale avrebbe favorito l'ascesa
dei totalitarismi. Infatti fascismo, nazismo e stalinismo
avevano in comune la volontà di organizzare le masse
attraverso un sistema di dominazione autoritario
caratterizzato dal monopolio politico, gestito da un partito
unico di massa guidato da un dittatore, dal monopolio dei
mezzi di comunicazione di massa.
1 Cit. : “Guerra e pace nel XX secolo, dai conflitti tra Stati allo scontro di civiltà”
civilizzazione occidentale) avrebbero fatto nascere quello delle << potenze del sangue>> e
degli <<eroi>>. Era il preludio di ciò che effettivamente avvenne nei due decenni successivi,
anche se con profonde differenze ideologiche. I regimi di Hitler e Mussolini, sostituendo al
concetto illuministico di civilizzazione quello di civiltà, mentre quello bolscevico, alla civiltà
russa, un nuovo concetto di civilizzazione con l’instaurazione dell’Eden laico, in cui ogni
uomo avrebbe potuto vivere liberamente, perché avrebbe dato secondo le sue possibilità e
ricevuto secondo i suoi bisogni. O almeno questo era il concetto di Marx ed Engels della fine
della preistoria e dell’inizio della storia, cui idealmente la rivoluzione russa si ispirava. Ma ‘la
storia’ quella effettivamente percorsa, ci consegna uno stanilismo che, sul nulla economico,
dovrà servirsi dell’estrema concentrazione della politica per costruirsene gli elementi di base,
la sovrastruttura doveva crearsi la struttura, inaugurando una stagione del terrore che, come
vedremo, è al tempo stesso concausa dell’ascesa dei regimi di destra tedesco ed italiano
contravvenendo, suo malgrado, al proposito iniziale dell’instaurazione di un ‘comunismo
universale’. Una ‘concausa’ condivisa con lo spirito
conservatore e nazionalistico delle potenze vincitrici a
Versailles. Infatti sulle rovine della vecchia Europa non ne
nacque una nuova, soprattutto a causa delle rancorose
divisioni tra paesi vincitori e vinti. Sulle ceneri dell’Europa
postbellica, il presidente americano Wilson, con i suoi 14
punti, inaugurando il principio di autodeterminazione dei popoli, aveva auspicato la nascita di
una Germania democratica, quale asse centrale del rinnovamento europeo, ma la Francia
voleva lo schiacciamento definitivo del nemico tradizionale ed i timori che la Germania
avesse potuto riprendere forza era condivisa dalla Gran Bretagna, tanto da far così prevalere
la strada dell’umiliazione della Germania, le cui rivendicazioni saranno all’origine della
Seconda guerra mondiale.
La crisi economica di Wall Street del 1929, metteva in discussione il modello economico
capitalistico occidentale ponendolo in contrapposizione a quel modello economico
dell’Unione Sovietica che minacciava le classi alte di perdere i propri privilegi e l’incapacità
dei governi liberali di far fronte alla crisi, stava aprendo le porte al nazismo ed al fascismo.
Negli anni Venti, gli Stati Uniti furono il centro del nuovo sviluppo dell’economia, in virtù
della loro posizione economica predominante postbellica, che gli consentì di contribuire con
ingenti prestiti alla ricostruzione dell’Europa, della stessa Germania. La caduta del modello
economico americano, che aveva fatto sognare l’Europa intera, faceva ora guardare a quello
Sovietico, che snocciolava i risultati del primo piano quinquennale2:
4 Cit.: “Guerra e pace nel XX secolo, dai conflitti tra Stati allo scontro di civiltà”
L’immagine fu quella di Herbert Hoover, segretario al Commercio, che ebbe a dire: <<..Oggi
abbiamo, in un certo senso, la trasmissione della visione per la prima volta nella storia del
mondo. Il genio umano ha distrutto l’ostacolo della distanza in un nuovo aspetto e in una
maniera fin qui sconosciuta..>>. Negli anni precedenti la crisi del ’29, i più autorevoli
protagonisti della vita economica americana, avevano fatto a gara nel rilasciare dichiarazioni
ottimistiche. Intanto il cinema diffondeva nel mondo l’immagine del modello di vita
americano. Che il ‘sogno’ americano si traducesse in una scalata
del grattacielo ‘Preferisco l’ascensore’(1923), o in un
modesto impiego ‘La folla’(1928), in Europa appariva
comunque un traguardo desiderabile per l’uomo comune, una
conquista. Alle soglie del ‘29 l‘economia americana era
al collasso. L’alta produttività5 che aveva permesso di
mantenere inalterati i salari ed i prezzi dei prodotti sul mercato, favoriva gli investimenti che
permettevano a loro volta di aumentare la stessa produttività. A tale circolo vizioso, non
corrispose però una crescita proporzionata del potere d’acquisto. Le attività speculative poste
in essere dalle banche e dalla borsa, dovuta alla
volontà da parte degli investitori di detenere titoli
non per i dividendi ma per speculare senza
preoccuparsi della qualità dei titoli, fece si che - al
momento in cui all’aumento artificiale del valore delle
azioni industriali per effetto della speculazione, non corrispose più un effettivo aumento della
produzione e della vendita di beni- scoppiasse la bolla, determinando una massiccia vendita di
azioni che provocò il crollo della borsa, colpendo soprattutto quel ceto di media borghesia che
nel corso degli anni Venti aveva sostenuto la domanda di beni di consumo. L’interconnessione
del sistema bancario con il settore industriale fece il resto. Infatti al
momento in cui la borsa crollò, si diffuse un’ondata di panico fra i
piccoli risparmiatori che assaltarono le banche nel tentativo di salvare il
proprio denaro determinando una crisi di liquidità con il conseguente
fallimento di molte banche, che trascinarono nella crisi le industrie,
costrette così a chiudere o a ridimensionarsi. I licenziamenti e l’elevata
5 http://it.wikipedia.org/la_grande_depressione
diminuzione delle domande di lavoro bloccò quasi completamente l’economia americana. La
scelta dell’isolazionismo e l’assenza di una valida regolamentazione del mercato economico
internazionale, non consentiva alternative. Va altresì riconosciuto, che una prima causa di
fragilità del sistema economico internazionale era insita nell’eredità dei debiti di guerra. Alla
fine del conflitto infatti Gran Bretagna, Francia e Italia si erano ritrovate debitrici con gli Stati
Uniti di somme ingentissime, che costringevano tutte e tre ad una politica di esportazioni
molto aggressiva per procurarsi la valuta necessaria per pagare i debiti. Inoltre la decisione di
addebitare alla Germania i costi bellici, aveva presentato il primo conto. La politica
economica degli Stati Uniti, che avevano scelto di sostenere l’economia tedesca con ingenti
finanziamenti - affinché questa raggiungesse la capacità di far fronte ai debiti contratti -, non
aveva ancora dato i suoi frutti. Al momento infatti questi finanziamenti avevano creato un
curioso triangolo. La Germania usava gran parte di queste risorse per pagare i debiti a Gran
Bretagna e Francia, e queste a loro volta usavano i capitali per pagare i propri debiti. Dunque
questo sistema sarebbe sopravvissuto fin quando gli U.S.A. non fossero stati in grado di
esportare capitali in Germania, cosa che appunto non era ancora avvenuta. Il ritiro dei prestiti
americani fece saltare il sistema delle riparazioni di guerra trascinando tutti i paesi Europei
nella crisi (tranne l’U.R.S.S.). L’incapacità dei governi liberali di trovare soluzioni comuni sul
piano internazionale alla crisi , spinse tutti i paesi a introdurre misure protezionistiche e forme
di partecipazione diretta dello Stato alla vita economica nazionale, inaugurata proprio dagli
U.S.A. con il famoso New Deal (in Italia con la fondazione dell’I.R.I.). Ma l’effetto più
devastante della crisi fu
proprio il tasso di
disoccupazione, negli
U.S.A. ben 12 milioni,
in Inghilterra 3 milioni,
in Germania 6 milioni, e
con essa l’intensificarsi
dei conflitti sociali. Si
stava formando la base
di consenso per portare i
regimi di destra al
potere.
La rivoluzione bolscevica... gli effetti del ‘Grande terrore’:
6 Cit.: http://cronologia.leonardo.it/mondo24b.htm
‘esportare’ tale modello a livello planetario (quest’ultima più evidente nel pensiero leninista
che in quello di Stalin, che di fatto ‘accordò’ se così si può dire l’idea della rivoluzione
liberatrice mondiale con quella del primato russo)-, tutto ciò ebbe, ovviamente, il suo
contraccolpo. Maggiormente sentito proprio nella nazione ‘di centro’ ed al centro delle
attenzioni bolsceviche in vista della nuova tappa della epifania rivoluzionaria: la Germania.
Qui è proprio la paura del terrore a scatenare la reazione. La paura di ogni ceto sociale di
perdere, per via del terrore, quanto accumulato attraverso il proprio lavoro e garantito
dall'ordine statale. La paura delle classi alte di perdere i propri privilegi e della cittadinanza
tutta di vedere infine cancellata la propria civiltà. La paura di molti di fronte alle notizie di
torture e stermini di massa perpetrati dal potere bolscevico. Vi è un accumulo di paura per il
terrore promesso e dispiegato dalla rivoluzione che viene catalizzato da Hitler e dal
nazionalsocialismo. E' questa emozione fondamentale, intimamente difensiva, che dà l'avvìo a
quella che è stata definita l'epoca dei fascismi (in Italia, dopo il biennio rosso). E che
ideologicamente si configura come resistenza della proprietà e dell'acquisito, della libertà,
della vita e della tradizione contro l'espropriazione e il collettivismo, contro l’eguagliamento
assoluto e l'asservimento di tutti allo Stato.
Il Nazionalsocialismo...l’ascesa di Hitler...
7 Cit.: “Guerra e pace nel XX secolo, dai conflitti tra Stati allo scontro di civiltà”
marchi, un chilo di burro 550 miliardi. Salari e stipendi erano spesi interamente per mangiare.
Si profilava la catastrofe economica ed un profondo senso d’insicurezza nella popolazione
tedesca. Già nel 1921, si verificarono tumulti e rivolte contro ‘l’avidità dei mercanti’
accusati di speculare sulla mancanza di grano , e nel 1923 si chiedeva ‘giustizia’ in nome
dell’economia morale’, protestando contro il commercio disonesto e l’immoralità di cui erano
accusati i grassatori del popolo dediti all’alcolismo al gioco ed alla lussuria. La propaganda
della destra che attribuiva la crisi e l’inflazione all’armistizio, venne poi alimentata
dall’occupazione dei bacini minerari della Ruhr (in pegno del pagamento dei debiti di
guerra). La Repubblica di Weimar8 fu incolpata della grande depressione degli anni 30, gli
stessi partiti politici ne volevano lo smantellamento sia a destra che a
sinistra, rendendo impossibile una maggioranza in parlamento.
Maggioranza che all’interno del Reichstag spesso, proprio per
l’istituzione della rappresentanza proporzionale richiedeva la
coalizione con partiti d’ideologia estremista, la qual cosa, coniugata con
l’istituzione del voto di sfiducia che portò a molti cancellieri in rapida
successione, aggiunse un ulteriore fattore di instabilità politica della Repubblica,
determinandone il collasso. A questo clima di instabilità politica, di costernazione e
risentimento popolare delle classi meno abbienti, si aggiunse la preoccupazione della
borghesia, che un nuovo e minaccioso disordine potesse nascere dalla crescita dei consensi al
partito comunista in ragione della massa imponente dei disoccupati, che raggiungeva i sei
milioni. E così, nelle elezioni del 1932, dopo un avvio incerto, mentre i comunisti salivano al
14,6%, i nazionalsocialisti, raggiungevano il 37,4% dei voti, diventando il primo partito ed il
30 gennaio 1933, Hitler veniva nominato cancelliere dal Presidente Hindenburg.
Quando Adolf Hitler9 prese il potere in Germania, il 30 gennaio 1933, non lo fece come
dittatore ma seguendo un percorso, nella forma costituzionale, perfettamente democratico.
L'ex imbianchino e caporale decorato al valore della Prima guerra mondiale, l'ipnotico retore
austriaco che tra i tavoli delle birrerie di Monaco aveva infiammato i reduci umiliati, i
disoccupati, i perdenti di una Storia rivoltatasi contro il destino tedesco, aveva ottenuto la
8 Cit._http://it.wikipedia.org/wiki/Repubblica_di_Weimar
9 Cit.: http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/hitler1a.htm, di Ferruccio Gattuso.
carica di capo del governo come ogni abile politico prima di lui: conquistando il favore della
gente, raccogliendo voti.
Il primo governo Hitler fu infatti un governo di coalizione, nel quale il Partito
Nazionalsocialista dei Lavoratori possedeva soltanto tre ministeri su undici.
La storiografia non ha smesso di interrogarsi sulle responsabilità oggettive del popolo tedesco
nella scalata al potere di una delle più grandi figure criminali di questo secolo, quel che è
certo però è che - benché per avvicinarsi alla massima carica del governo tedesco, Hitler
avesse blandito con astuzia ogni ceto sociale, minimizzando gli aspetti estremistici del suo
progetto politico - la Germania degli anni Trenta conosceva perfettamente il percorso di
questo carismatico personaggio venuto dal nulla. Un libro, il Mein
Kampf, stava ad attestare dove si dirigesse l'utopia del programma
hitleriano, e ciascun tedesco poteva cancellare ogni dubbio sulle
intenzioni del nazismo semplicemente andando ad acquistarne una copia
in libreria. Ma la grande depressione degli anni trenta ed il fantasma
‘innaturale’ per la tradizione culturale e mentale tedesca: il disordine; la
Germania di Weimar con tutte le sue incertezze politiche, economiche e
sociali che posero i tedeschi davanti a una scelta fra due opposte rivoluzioni, la comunista e la
nazista; il risentimento per le ingenti ‘vessazioni’ del Trattato; la paura determinata dai ‘venti’
del leninismo e dallo stalinismo poi, avevano generato ‘il mostro’. Quello che i nazisti
offrivano al popolo tedesco era ciò che esso anelava a sentirsi dire: il recupero dell’orgoglio
nazionale, il ritorno all’ordine ed alla stabilità, la difesa di determinati privilegi di
corporazione. Hitler aveva preso atto e cavalcato il risentimento del popolo tedesco nei
confronti dei francesi - fautori del Trattato- e degli ebrei , la razza che più rappresentava quel
capitalismo internazionale che sfruttava le loro terre (le miniere della Rhur ad esempio). E
così introduceva l’arianesimo, rispetto al quale i primi erano una sorta di ‘traditori’10:
“...Popolazioni ariane sottomettono popoli stranieri e fatalmente, i conquistatori peccano
contro il principio della conservazione del proprio sangue, cominciano ad unirsi agli indigeni
sottomessi e terminano così la loro esistenza; perchè al peccato è sempre seguita la cacciata
del paradiso..”, associandoli ai secondi in un alleanza tra finanza (ebraica) e nazionalismo che
insieme costituiva secondo Hitler la più pericolosa minaccia per la Germania “...il popolo
10 Cit.: “Guerra e pace nel XX secolo, dai conflitti tra Stati allo scontro di civiltà”
francese che si va sempre più <<negrizzando>>, essendosi associato agli scopi della
dominazione mondiale ebraica, comporta un costante pericolo per l’esistenza della razza
bianca europea. Perchè l’avvelenamento, compiuto con sangue negro sulle rive del Reno, nel
cuore dell’Europa, è conforme tanto alla sadica e perversa volontà di vendetta di questo
nemico ereditario del nostro popolo, quanto alla fredda volontà dell’ebreo di avviare per tale
via l’imbastardimento del continente europeo nel suo punto centrale, e di rapire alla razza
bianca le fondamenta della sua esistenza infettandole con un umanità inferiore..”. Al concetto
europeo del 19°secolo, del dominio della razza bianca mondiale sulle altre, che aveva
giustificato il colonialismo, Hitler stava sostituendo quello del suo nucleo più puro, l’ariano-
germanico, sul resto della razza bianca europea, proponendo il suo
progetto reazionario di ritorno alla purezza, secondo il quale necessitava
realizzare un ‘uomo nuovo’, che corrispondeva all’ariano arcaico,
l’unico privo del processo di ‘civilizzazione’ che il corso dei secoli
aveva ‘imbastardito’. Ma tale progetto universalistico si scontrava con
altri due medesimi progetti: il capitalismo globale e la rivoluzione
socialista, ed il popolo ebraico era considerato spiritualmente
responsabile, per via del suo messianismo universalistico e in quanto considerato alla testa di
Wall Street e del Cremlino, essendo constatabile che forte era la presenza ebraica nella elìte
di entrambe. Hitler aveva dato un nome al nemico ed un ideologia per la quale combattere, e
l’identificazione operata tra ebraismo, bolscevismo, ed in certa misura capitalismo universale,
seppur potrebbe apparire un passaggio forzato, risultava vincente in quanto era riuscita a far
leva sullo spirito di rivalsa del popolo tedesco in quel dato momento storico. Non risulta però
ancora oggi definitivamente chiarito il passaggio dalla contrapposizione allo spirito
antigiudaico, all’idea dello sterminio, della ‘soluzione finale’. Nell'opinione corrente nel
primo dopoguerra c'erano certamente elementi che favorivano questa persuasione11 : l'origine
ebraica di Marx e l'idea, diffusa in quegli anni, sulla preponderanza degli ebrei tra i capi del
bolscevismo, nonché la voce corrente allora, che lo stesso Lenin fosse ebreo. Non sono
tuttavia argomenti che servano a spiegare l'antisemitismo nazista nel suo carattere proprio,
irriducibile agli altri antisemitismi della storia; per il nazismo non si trattava soltanto di una
11 Cit. p.19-20:”Ecco come Stalin spinse Hitler sul trono” tratto da: Il Sabato,26.3.1983, n.13;
congiura per il dominio mondiale a cui la maggioranza degli ebrei, e degli ebrei potenti,
avrebbe partecipato; Hitler, convinto sostenitore di una teoria darwiniana, secondo la quale la
vita è una continua lotta in cui solo i forti sono destinati a vincere, credeva nell’esistenza di
una razza ariana superiore e conquistatrice, progressivamente inquinatasi per commistione
con le ‘razze inferiori’. Gli ebrei erano portatori del virus della dissoluzione morale in quanto
‘popolo senza patria’, le cui idee, rappresentavano il pericolo mortale per la Germania e per
l'Europa.
L’Europa e la sua civiltà stavano per pagare un altissimo
prezzo per il fenomeno nazista, e che in modo più speciale tale
prezzo veniva pagato da quello che in estrema sintesi si può
definire lo spirito conservatore europeo.
Concause ed analogie:
Conclusioni:
Un ultima analisi - specificatamente in merito a quest’ultimo concetto - volta più al futuro può
essere infine aggiunta. Abbiamo visto come la rivoluzione bolscevica nacque e si propagò a
partire dall’idea dell’abolizione della proprietà privata e scatenò una reazione perfettamente
comprensibile nella sua genesi anche se inaccettabile nei suoi effetti. La spinta bolscevica
nasceva in contrapposizione con quel diritto di proprietà che era rimasto a lungo legittimato
dal liberismo economico, che traeva origine dal pensiero lockiano12, secondo il quale il diritto
di proprietà c’era già nello stato di natura, una sorta di estensione, tramite il ‘lavoro’ del corpo
umano, a parti della realtà. E quindi in contrapposizione con il concetto dello ‘stato
12 Cit.: http://www.storiafilosofia.it
poliziotto’, ossia dello stato che non doveva intervenire nella società se non per garantire la
correttezza nei rapporti sociali, concetti dai quali, conseguiva l’inviolabilità della proprietà
privata. Di altro avviso era l’ideologia ispiratrice bolscevica, secondo la quale tale diritto non
era giustificato in chiave storica o di utilità sociale, bensì considerata, come già detto,
l’origine di ogni diseguaglianza sociale e politica. Doveva essere lo stato il gestore di
quell’Edern laico visualizzato nel pensiero di Marx. Il diritto di proprietà, così come
concepito nel liberismo economico, non poteva essere condiviso da chi voleva accentrare,
‘collettivizzare’ tutto in seno allo stato, in quanto appariva incorporato nel diritto alla libertà
personale e alla vita, talché ove esso fosse stato integralmente abolito, all'uomo si sottraeva
ogni dignità e non poteva essere quindi accettato e giustificato.
La riflessione cui è devoluta questa conclusione, è la seguente: se l'uguaglianza tra gli uomini
o l'uguale diritto alla vita appaiono immediatamente ed evidentemente diritti naturali - anche
se non si può dire che suoni totalmente falso -, è altrettanto evidente che ciò sia vero riguardo
alla proprietà?. E in effetti il diritto alla proprietà non era incondizionatamente considerato
diritto naturale neanche dai teorici classici del giusnaturalismo.
In questa inclusione o esclusione del diritto di proprietà dalla sfera dei diritti inalienabili
dell'uomo è il nocciolo del tremendo conflitto della prima metà del Novecento europeo e
questo lo rende qualcosa di estremamente serio. E ancora oggi, se la democrazia appare
universalmente riconosciuta come il sistema più omogeneo all'uomo in quanto fondato sulla
legge di natura, non altrettanto pacifico è il giudizio sul meccanismo economico che sottende
quel sistema politico e cioè il capitalismo fondato appunto sulla proprietà privata,
(specialmente se ‘la proprietà’ è diritto, solo per pochi). Proprio su questo punto si stanno
riaprendo grandi conflitti in grado di minacciare la democrazia politica e la stessa
convivenza pacifica nel mondo ( vedi questione Iraq ) . Si può presumere, infatti, che quel
nocciolo duro potrebbe produrre l'energia sufficiente allo scatenamento di conflitti globali a
espressione religiosa, etnica, tra civiltà.
Non comprendere le ragioni di chi scatenò conflitti devastanti nel secolo scorso non è un buon
viatico per padroneggiare i conflitti che già si annunciano su scala persino più larga nel secolo
13 Cit.: http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/pioxi1.htm
BIBLIOGRAFIA:
Aurelio Lepre: “Guerra e pace nel XX secolo, dai conflitti tra Stati allo scontro di civiltà”, Il
Mulino
Ernst NOLTE: “tra nazismo e bolscevismo differenze ma non diversità”, tratto da: Avvenire,
18.4.1990;
Augusto Del Noce:”Ecco come Stalin spinse Hitler sul trono” tratto da: Il Sabato,26.3.1983,
n.13, p.19-20;
http://it.wikipedia.org/wiki/Rivoluzione_russa
http://www.storiafilosofia.it
http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/hitler1a.htm
http://it.wikipedia.org/la_grande_depressione
http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/pioxi1.htm
http://cronologia.leonardo.it/mondo24b.htm
http://it.wikipedia.org/wiki/Repubblica_di_Weimar