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CARTESIO

1. Il fondatore del razionalismo


Cartesio da una svolta decisiva al passaggio dal Rinascimento all'et moderna. Nella sua filosofia, i temi fondamentali della filosofia rinascimentale diventano un problema in cui sono coinvolti l'uomo come soggetto e il mondo oggettivo. Egli,
inoltre, il fondatore del razionalismo, ossia di quella corrente della filosofia moderna che vede nella ragione l'organo della verit, nonch lo strumento per elaborare una nova visione complessiva del mondo. Cartesio nacque nel 1569 e venne
educato nel collegio dei gesuiti di La Flche. Qui ricevette una grande cultura: studi, infatti, retorica, grammatica, latino, ecc; tuttavia egli pose sotto una luce critica tali studi e li ritenne insufficienti per un orientamento sicuro all'indagine: proprio
alla ricerca di tale orientamento dedicher tutti i suoi sforzi. Cartesio apparteneva alla nobilt di toga e, dopo aver terminato la scuola dei gesuiti, divenne ufficiale dell'esercito durante la guerra dei Trent'anni. Il costume militare del tempo
permetteva ai nobili un'ampia libert, per cui egli pot viaggiare per tutta l'Europa. Durante tali viaggi non solo impar pi di quanto aveva imparato sui libri fino a quel momento, ma si dedic anche agli studi di matematica e di fisica e continu ad
elaborare la sua dottrina del metodo. Nel 1628 si stabil in Olanda: qui compose un trattato di metafisica, riprese lo studio della fisica, ed ebbe l'idea di scrivere un trattato sul mondo a cui avrebbe dato il nome di Trattato della luce. Tuttavia la
condanna di Galilei lo sconsigli dal pubblicare lopera, nella quale egli sosteneva la dottrina copernicana. In seguito pubblic tre saggi, sulla Diottrica, sulle Meteore e sulla Geometria, ai quali premise una prefazione intitolata Discorso del
metodo.
In seguito Cartesio riprese e concluse la stesura del trattato di metafisica. Questo venne mandato a un gruppo di filosofi e teologi che esposero alcune osservazioni, e poi pubblicato con il titolo Meditazioni sulla filosofia prima, con l'aggiunta delle
Obiezioni che le erano state rivolte e delle Risposte di Cartesio.
Intorno al 1644, dopo aver scritto l'opera intitolata Le passioni dell'anima, egli cedette ai ripetuti inviti della regina Cristina di Svezia di andare a stabilirsi presso la sua corte. Nell'ottobre giunse a Stoccolma; ma nel rigido inverno nordico si
ammal di polmonite e mor l'11 febbraio 1650.
2. Il metodo
Quando usc dalla scuola dei gesuiti si rese conto di non possedere nessun criterio per distinguere il vero dal falso; aveva semplicemente acquistato nozioni che nella vita servivano poco e niente. Egli, innanzitutto, rifiuta il sapere tradizionale;
critica: aristotelismo: una dottrina sterile e incapace di portare a nuove conoscenze; teologia: una dottrina dogmatica che si basa su verit rivelate; magia, alchimia, astronomia: sono imposture; filosofia: una dottrina contraddittoria. Cartesio
considera il sapere tradizionale un edificio da abbattere. Ci perch tale sapere si fonda sulla cultura letteraria, che retorica e formalistica, e sulla memoria e sul passato; il sapere tradizionale, inoltre, esclude la natura e la scienza (ci di cui si
interessa Cartesio). Cartesio considera il sapere tradizionale inutile perch non fornisce conoscenze nel campo conoscitivo e morale: non serve, quindi, per poter distinguere il vero dal falso, e il giusto dallo sbagliato.
I termini del problema
Cartesio cerca un metodo che sia vero e utile (teoretico e pratico) allo stesso tempo: esso deve dare all'uomo una conoscenza non solo pratica ma anche teorica, e deve condurlo a distinguere il vero dal falso in vista dell'utilit e dei vantaggi
che possono derivarne dalla vita umana. Tale metodo dovr rendere l'uomo padrone della natura, e dovr mettergli a disposizione i frutti della terra e altre comodit; infine dovr mirare alla conservazione della salute.
In sintesi, il metodo dev'essere un criterio di orientamento unico e semplice, che serva all'uomo in ogni campo pratico e teoretico, e che abbia come fine ultimo il vantaggio dell'uomo del mondo. Cartesio sostiene che tutti gli uomini
possiedono la ragione (bona mens) che, quindi, universale e unica: proprio sulla ragione che dovr basarsi il nuovo sapere. Tuttavia la ragione non serve a nulla senza un metodo che funge da manuale d'istruzione e che sappia rendere il
nuovo sapere sistematico, universale e necessario. Cartesio si chiede se debba essere lui ad inventare questo metodo, o se esista gi una scienza che lo possieda. Egli, a questo punto, indica la matematica come scienza certa, necessaria, ed
in possesso del metodo. Non sufficiente, tuttavia, conoscere le regole matematiche, astrarle da tali discipline e formularle in generale per poterle applicare alle altre branche del sapere: necessario anche giustificarle. In altre parole, si tratta
di giustificare il metodo e la possibilit della sua applicazione universale. Il fatto che le scienze matematiche possiedano gi il metodo facilita il compito del filosofo che, quindi, comincia veramente soltanto nella giustificazione delle regole
metodiche.
Cartesio, quindi, deve:
formulare le regole del metodo tenendo presente il procedimento matematico; fondare con una ricerca metafisica il valore assoluto ed universale del metodo individuato;
dimostrare la validit
del metodo nei vari rami del sapere.
Le regole
Il metodo della matematica consiste in due operazioni:
intuizione: atto immediato con il quale si percepisce qualcosa per mezzo dei sensi e della mente; deduzione: lunga catena di ragionamenti coerenti tra loro. Questi ragionamenti
partono da degli assiomi (ossia da delle verit evidenti) generali non dimostrati, ma comunque considerati veri in quanto sono evidenti. Da queste due operazioni, Cartesio fa derivare le Quattro regole del metodo:
1. Evidenza. Essa corrisponde all'intuizione matematica e consiste nell'accettare per vero solo ci che chiaro e distinto alla mente dell'uomo;
2.
Analisi. Consiste nel dividere un problema complesso nei suoi elementi semplici; 3. Sintesi. Consiste nel far derivare dalle conoscenze semplici le conoscenze complesse. Questa regola corrisponde alla deduzione (far derivare
dalle idee semplici quelle pi
complesse) 4. Enumerazione e revisione. L'enumerazione consiste nella verifica dell'analisi; la
revisione consiste nella verifica della sintesi. Questa regola, quindi, offre il controllo delle due regole precedenti, senza tralasciare alcun passaggio o elemento.
3. Il dubbio e il cogito ergo sum
Le regole del metodo individuate da Cartesio non hanno in s la propria giustificazione. Non le giustifica nemmeno il fatto che vengano utilizzate con successo dalla matematica, perch potrebbero non essere utili ai fini di altre discipline, e ci le
destituirebbe della necessaria validit assoluta. Cartesio, quindi, deve giustificare le Quattro regole risalendo alla loro radice: l'uomo come soggettivit, o come ragione.
Dal dubbio metodico al dubbio iperbolico
Secondo Cartesio possibile trovare una verit assoluta che sia il fondamento del nuovo sapere e del nuovo metodo ponendo sotto una luce critica tutto il sapere e tutte le conoscenze. Bisogna sopprimere l'approvazione di ogni cosa
comunemente accettata, dubitare di tutto, e considerare falso, almeno provvisoriamente, tutto ci che pu essere messo in dubbio. Se in questo modo si giunger ad un principio che non potr essere messo in dubbio, questo principio dovr
essere considerato il fondamento di tutte le altre conoscenze. In questo principio si trover la giustificazione del metodo: da qui il nome dubbio metodico. Il dubbio metodico si distingue dal dubbio scettico per il fatto che quest'ultimo nega la
possibilit di una verit certa e giunge alla sospensione del giudizio. Cartesio ritiene che nessuna forma di conoscenza possa sottrarsi al dubbio. Si deve dubitare innanzitutto dei saperi e delle opinioni presenti e passate; queste, infatti, sono
soggettive e relative in quanto dipendono dalle persone, dai tempi, e dai paesi. Si deve dubitare delle conoscenze sensibili: ci perch i sensi qualche volta ci ingannano, per cui possono ingannaci sempre, e perch nei sogni si hanno delle
conoscenze simili a quelle che si hanno nella veglia, per cui non possibile fare una distinzione tra sogno e realt. Possono essere messe in dubbio, poi, le conoscenze matematiche e le verit della logica. Infatti, finch non si certi dell'origine
dell'uomo, si pu supporre che l'uomo sia stato creato da un genio maligno, ossia da una potenza malvagia, che lo inganna facendogli apparire chiaro ed evidente ci che falso e assurdo. In questo modo, quindi, vengono messe in dubbio
anche le verit pi certe, l'esistenza dell'uomo stesso e del mondo esterno. Il dubbio si estende a ogni cosa e diventa assolutamente universale: si giunge cos al dubbio iperbolico.
Ma proprio nel dubbio iperbolico che si intraveda una prima incertezza. Io posso ammettere di ingannarmi e di essere ingannato in tutti i modi possibili, ma per essere ingannato ed ingannare io devo esistere, cio essere qualcosa e non nulla.
La sola proposizione assolutamente vera , quindi, io esisto, in quanto il dubbio stesso la conferma. Pu dubitare solo chi esiste: cogito ergo sum.
La natura del cogito
La proposizione io esisto contiene una prima indicazione su ci che sono io che esisto. Non posso affermare che io esisto come corpo, poich sull'esistenza dei corpi non si sa nulla e vi il dubbio. Pertanto io esisto come cosa che dubita, cio
che pensa. In altro parole, la certezza del mio esistere si riferisce solo al fatto che io penso La proposizione io esisto equivale dunque alla proposizione io sono un soggetto pensante, cio spirito, intelletto, o ragione. Pu darsi che le cose che
io penso e percepisco non esistano, ma impossibile che non esista io che penso di percepire quell'oggetto A questo punto rimane il problema dell'esistenza del mondo esterno. E' seguendo questi ragionamenti che si giunge alla Regola
dell'Evidenza. Questa, infatti, si fonda sul cogito, che l'evidenza primaria e originaria, in quanto dimostra l'esistenza della mente che pensa in modo chiaro, distinto ed immediato, e del pensiero. Il principio cartesiano riprende il pensiero di
movimento che era stato sviluppato da Agostino e Campanella, anche se lo ripete sulla linea di un altro problema. Infatti, se Agostino cercava di stabilire la presenza di Dio, e Campanella cercava di stabilire la natura dell'anima, Cartesio cercava
di trovare nell'esistenza del soggetto pensante, il cui essere evidente a se stesso, il principio che garantisce la validit della conoscenza umana e l'efficacia dell'azione umana sul mondo.
Le discussioni intorno al cogito
I contemporanei di Cartesio discussero ampiamente circa il cogito. OBBIEZIONE 1. Qualcuno accus il ragionamento cartesiano di essere un circolo vizioso affermando che, se il principio del cogito viene accettato perch evidente, la regola
dell'evidenza risulta anteriore allo stesso cogito, per cui la pretesa di giustificarla in virt del cogito diventa illusoria. Cartesio rispose a tale obbiezione dicendo che il cogito costituisce l'evidenza prima e originaria che rende possibile ogni altra
evidenza, dal momento che il cogito la certezza immediata che l'io ha della propria esistenza nel momento in cui dubito (pensa). Solo dopo questa consapevolezza sono possibile le altre evidenza dato che, per definizione, l'evidenza la forza
con cui un'idea o una conoscenza si impongono alla mente in modo chiaro e distinto, quindi l'evidenza presuppone la consapevolezza, da parte dell'io, della propria esistenza in quanto pensiero. Quindi il cogito che giustifica la regola
dell'evidenza e non il contrario.
OBBIEZIONE 2. Gassendi obbiettava che il cogito non fosse un'intuizione immediata ma un sillogismo abbreviato, del tipo Tutto ci che pensa esiste. Io penso. Io esisto. Gassendi respingeva tale sillogismo in quanto la premessa Tutto ci
che pensa esistenon dimostrata, per cui il cogito non evidente. Cartesio rispose a tale obbiezione insistendo sul carattere intuitivo del cogito. In altri termini la certezza che noi esistiamo perch pensiamo non il frutto di un ragionamento o di
un'argomentazione logica, ma di un'esperienza interiore concreta: il fatto che avverto e sento me stesso in quanto pensante. Quindi, l'espressione penso quindi sono esprime come se fosse un ragionamento la percezione di un'azione: il
pensare che, come tutte le altre percezioni, un'intuizione immediata. Si tratta, quindi, di un enunciato performativo, ossia che esprime un'azione che vera per il fatto di essere pronunciata.
OBBIEZIONE 3. Una terza obbiezione viene mossa da Hobbes. Questo, sebbene concordi con Cartesio nel dire che l'io, in quanto pensa, esiste, asserisce che dall'affermazione io penso dunque sono non discende il fatto che io sia
sostanza pensante. A questo punto, infatti, dire io sto passeggiando porterebbe a dire che io sono una passeggiata. Per Hobbes la causa del pensiero non deve essere necessariamente identificata nel pensiero, pu essere identificata nella
materia: il cervello. Cartesio risponde osservando che:
esiste la res cogitans.
Il principio del cogito non mi da la sicurezza di altre esistenza oltre la mia. Io sono un essere pensante che ha idee e sono sicuro del fatto che tali idee esistano nel mio spirito; tuttavia non sono sicuro che a queste idee corrispondano realt
effettive fuori di me. Per risolvere tale problema, Cartesio divide tutte le idee in tre categorie: innate: idee che sembrano essere innate in me (capacit di pensare e avere idee); avventizie: idee che sembrano essere estranee o venute dal di
fuori (idee delle cose naturali); fattizie: idee formate o trovate da me stesso (idee delle cose inventare). Per scoprire se a qualcuna di queste idee corrisponda una realt esterna, bisogna chiedersi la possibile causa di esse.
L'idea di Dio e le prove dell'esistenza
Il genio maligno era la chiave di tutto; tuttavia, dimostrando l'esistenza di una realt esterna partendo dall'esistenza di un Dio buono, si sarebbe risolto tutto pi facilmente. Egli dimostra l'esistenza di Dio con tre prove.
PRIMA PROVA. Le idee che rappresentano altri uomini o cose naturali, essendo imperfette, sono prodotte da me. Invece, l'idea di Dio, cio di una sostanza infinita, eterna, onnisciente, onnipotente e creatrice, difficile che sia stata creata da
me; io, infatti, sono privo della perfezione l'idea di Dio rappresenta. La causa di un'idea deve sempre essere perfetta tanto quanto lo l'idea stessa: per il fatto che io sono una sostanza finita, non posso essere la causa dell'idea di una sostanza
infinita (Dio). La causa di Dio deve essere una sostanza infinita, la quale, quindi, deve essere ammessa come esistente. Questa la prima prova dell'esistenza di Dio.
SECONDA PROVA. Si pu riconoscere l'esistenza di Dio partendo dal fatto che io ho natura finita. Ma se fossi la causa di me stesso, mi sarei dato le perfezioni che concepisco e che sono appunto contenute nell'idea di Dio. E' evidente, quindi,
che non mi sono creato da me e che mi ha creato Dio, il quale mi ha creato finito ma mi ha dato l'idea di infinito.
TERZA PROVA. Questa la tradizionale prova ontologica che Cartesio riprese dalla filosofia medievale di Anselmo d'Aosta. Non possibile concepire Dio come Essere perfetto senza ammettere la sua esistenza, perch l'esistenza una delle
sue perfezioni necessarie. Secondo Cartesio, l'esistenza di Dio richiesta dalla stessa durata della mia esistenza, in quanto tutto ci che non ha la causa in se stesso cesserebbe di esistere qualora la sua causa non continuasse
incessantemente a crearlo. La creazione continua.
Dio come garante dell'evidenza e la possibilit dell'errore
Una volta riconosciuta l'esistenza di Dio, il criterio dell'evidenza trova la sua ultima conferma. Dio, essendo perfetto, non pu ingannarmi, per cui la facolt di giudizio che ho ricevuto da lui non pu indurmi in errore se viene adoperata rettamente.
Per Cartesio, quindi, Dio ci permette di passare dalla certezza del nostro io alla certezza delle altre evidenza. L'esistenza di Dio garanzia della validit del metodo: Dio non mi inganna, la ragione vera, le verit sul mondo sono attendibili.
Ma a questo punti, come possibile l'errore? Secondo Cartesio, questo dipende da due cause: l'intelletto e la volont. L'intelletto umano limitato (quello di Dio infinito); la volont umana libera e quindi pi estesa dell'intelletto. La volont
consiste nella possibilit di fare o non fare, di affermare o negare, ecc; tali scelte possono essere fatte sia rispetto alle cose che l'intelletto presenta in modo chiaro e distinto, sia rispetto a quelle che presenta in modo meno chiaro. La possibilit
dell'errore risiede proprio nella possibilit di affermare o di negare ci che l'intelletto non riesce a capire chiaramente.
L'errore non ci sarebbe se io dessi giudizio solo su ci che l'intelletto capisce chiaramente e se mi astenessi di giudicare ci che non abbastanza chiaro. Poich la mia volont, che libera, pu indurmi a dare giudizi su ci che non
abbastanza evidente, nasce la possibilit dell'errore. L'errore dipende dunque unicamente dal libero arbitrio che Dio ha dato all'uomo, e lo si pu evitare solo attenendosi alle regole del metodo (in primo luogo alla regola dell'evidenza).
L'evidenza, avendo ottenuto ormai ogni garanzia (in quanto fondata sulla veridicit di Dio), consente di eliminare il dubbio che stato avanzato in principio sulla realt delle cose corporee. Io ho l'idea di cose corporee che esistono fuori di me e
agiscono sui miei sensi. Quest'idea, essendo evidente, non pu essere ingannevole: devono dunque esistere cose corporee corrispondenti alle idee che noi ne abbiamo.
Le critiche alla concezione cartesiana di Dio
Gassendi: dio non una idea innata ma deriva dalleducazione. Deriva dalla negazione del finito (noi). Cartesio risponde con il contrario il finito deriva dalla negazione di infinito.
5. IL DUALISMO CARTESIANO
Accanto alla sostanza pensante, che costituisce l'io, si deve ammettere una sostanza corporea, divisibile in parti, quindi estesa. Tale sostanza estesa, per, non possiede tutte quelle propriet che noi percepiamo di essa. La grandezza, la
quantit, il movimento, e tutte le determinazioni quantitative, sono certamente qualit reali della sostanza; ma il colore, il profumo, il sapore, ecc, non esistono come tali nella realt corporea e corrispondono in questa realt a qualcosa che noi
non conosciamo.
In tal modo, Cartesio ha spezzato la realt in due zone distinte ed eterogenee, una opposta all'altra, con caratteristiche differenti:

res cogitans, ovvero la sostanza pensante: immateriale, inestesa, consapevole e libera, e la sua esistenza dimostrata dal dubbio;
res extensa, ovvero la sostanza estesa: spaziale, inconsapevole e meccanicamente determinata (segue determinate leggi), che non altro che il mondo fisico dei corpi.
A questo punto a Cartesio si presenta il problema di come unire le due sostanze, ovvero di spiegarne il rapporto biunivoco, e, per quanto riguarda l'uomo, di riuscire spiegare la relazione tra anima e corpo. Cartesio pensa di risolvere tale
questione con la teoria della ghiandola pineale (l'epifisi). Questa, infatti, era considerata l'unica parte del cervello che, non essendo doppia, poteva unificare le sensazioni che vengono dagli organi di senso.

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