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PARTE DELLA CONFERENZA TENUTA DA ORHAN PAMUK ALLACCADEMIA DI SVEZIA A

STOCCOLMA IN OCCASIONE DELLA SETTIMANA DEL NOBEL 2006


Due anni prima di morire, mio padre mi consegn una valigetta piena dei suoi scritti. Eravamo
nel mio studio, circondati dai miei libri. La depose con discrezione in un angolo dove non
avrebbe dato fastidio. Quella valigetta era una presenza amica e familiare, mi ricordava
intensamente linfanzia ma non riuscivo a toccarla. Perch? Senza dubbio dipendeva dal peso
misterioso del suo contenuto. Parler ora del senso di questo peso. E il senso del lavoro di un
uomo che si chiude in una stanza che, seduto ad un tavolo o in un angolo, si esprime
per mezzo di carta e penna, vale a dire il senso della letteratura.
Mio padre aveva unampia biblioteca. Da giovane, alla fine degli anni 40, aveva tradotto Valery
in turco, ma non aveva voluto vivere la vita riservata a chi scriveva poesie in un paese povero
di pochi lettori. Amava la vita e tutte le sue piacevolezze, e lo capivo.
La prima cosa che mi tenne lontano dalla valigetta era, ovviamente, il timore di non gradire ci
che avrei letto.non volevo irritarmi con lui perch non prendeva la letteratura abbastanza sul
serio. Il vero timore, la cosa essenziale che non volevo sapere o scoprire era la possibilit che
mio padre fosse un bravo scrittore. Uno scrittore colui che passa anni alla paziente ricerca
del secondo suo essere interno e del mondo che lo rende la persona che : quando
parlo di scrivere, la prima cosa che mi viene in mente non un romanzo, una poesia o una
tradizione letteraria, una persona che si chiude in una stanza, si siede ad un tavolo e, da
solo, tra le sue ombre costruisce un mondo nuovo con le parole. Queste idee, questi
sogni di rinuncia e pazienza erano pregiudizi che avevo tratto dalla mia vita di scrittore.
Cerano moltissimi scrittori geniali che conducevano una vita sociale brillante e vivace fatta di
compagnia e allegre conversazioni. Mio padre mi parlava delle volte che aveva visto Sartre per
le strade di Parigi, dei libri letti, dei film visti. Vedendogli sul viso unespressione cos diversa
da quella che aveva nellatmosfera scherzosa e allegra dei battibecchi familiari, scoprendo in lui
i primi accenni di introspezione, pensavo, soprattutto da bambino e nella prima giovinezza, che
non fosse contento. Oggi, a distanza di tanti anni, so che questa insoddisfazione la
caratteristica fondamentale che fa di un individuo uno scrittore.
Per diventare scrittore pazienza e fatica non bastano: dobbiamo innanzitutto sentire l impulso
irresistibile a fuggire la gente, la compagnia, la quotidianit e a chiuderci in una stanza.
Aspiriamo alla pazienza e speriamo di riuscire cos a creare un mondo intenso nei nostri scritti.
Ma il desiderio di chiuderci in una stanza che ci spinge allazione. Mi piacerebbe considerarmi
parte della tradizione di scrittori che ovunque si trovino nel mondo, occidente od oriente, si
tagliano fuori dalla societ richiudendosi con i loro libri nella loro stanza.
Fu questo a spingermi ad aprire la valigetta di mio padre. Aveva forse un segreto, uninfelicit
che ignoravo, qualcosa che riusciva a sopportare solo riversandolo sui suoi scritti? A turbarmi
particolarmente fu limbattermi qua e l in una voce narrante. Non era la voce di mio padre o,
meglio, non quella delluomo che conoscevo come mio padre.
Un autore parla di cose che tutti sanno senza averne consapevolezza. Esplorare
questo sapere e vederlo crescere d al lettore il piacere di visitare un mondo al
tempo stesso familiare e miracoloso. Quando un autore si chiude per anni in una stanza
per affinare la sua arte, quella di creare un mondo , se usa le sue ferite segrete come
punto di partenza ripone, che lo sappia o no, una grande fede nellumanit.
La mia fiducia viene dalla convinzione che tutti gli esseri umani si somigliano, che altri portano
ferite come le mie e che capiranno.
Si, i maggiori dilemmi che lumanit si trova ad affrontare sono ancora la fame, la povert ma
oggi la televisione e i giornali ci informano pi rapidamente e pi semplicemente di quanto
possa mai fare la letteratura.
Oggi loggetto dellindagine della letteratura devono essere soprattutto le paure
dellumanit: la paura di essere esclusi, la paura di non contare nulla e il senso di nullit che le
accompagna. Abbiamo visto popoli, societ e nazioni esterni al mondo occidentale, e mi facile
identificarmi con essi, soccombere a timori che li conducono a commettere idiozie, tutto per
paura di subire umiliazioni e a motivo della loro suscettibilit. So anche che in Occidente, un
mondo con cui mi altrettanto facile identificarmi, nazioni e popoli eccessivamente fieri della

loro ricchezza e del fatto di averci portato il Rinascimento, lIlluminismo, il Modernismo, di


tanto in tanto hanno ceduto a un autocompiacimento quasi altrettanto idiota.
Ci che invece ci spinge a chiuderci nelle nostre stanze a scrivere per anni ed anni
la convinzione opposta, quello che i nostri scritti saranno un giorno letti e compresi
perch tutta la gente del mondo si somiglia.

Come sapete, la domanda che pi spesso viene posta a noi scrittori, la domanda preferita :
perch scrive? Io scrivo perch sento il bisogno innato di scrivere! Scrivo perch non posso
fare un lavoro normale, come gli altri. Scrivo perch ce lho con voi, con tutti. Scrivo perch
posso prendere parte alla vita reale solo trasformandola. Scrivo perch credo nella letteratura
pi di quanto io creda in qualunque altra cosa. Scrivo perch apprezzo la fama e linteresse che
ne derivano. Scrivo per star solo. Scrivo perch come un bambino credo nellimmortalit delle
biblioteche e nella posizione che i miei libri occupano negli scaffali. Scrivo perch non sono mai
riuscito ad essere felice. Scrivo per essere felice.
Una settimana dopo avermi lasciato la valigia, mio padre mi fece ancora visita. Ad un certo
punto, and con lo sguardo allangolo dove avevo lasciato la valigetta e vide che lavevo
spostata. Ci guardammo negli occhi. Segu un silenzio imbarazzato. Mio padre era un uomo
accomodante: mi sorrise come sempre. Come sempre lo guardai andar via, invidiando la sua
serenit, la sua spensieratezza. Mi ricordo che quel giorno avvertii dentro di me anche un
lampo di gioia di cui mi vergognai.
Veniva dal pensiero che magari non mi sentivo a mio agio come lui nella vita, magari
non avevo condotto una vita felice e libera come la sua, ma io lavevo dedicata alla
scrittura. Avete capitomi vergognavo di pensare quelle cose di mio padre. Di tutte le
persone proprio mio padre, che non mi aveva mai fatto soffrire, che mi aveva lasciato libero.
Tutto questo dovrebbe ricordarci che la scrittura e la letteratura sono intimamente connesse a
un vuoto, al centro delle nostre vite, e a un senso di felicit e di colpa.

ORHAN PAMUK, NATO AD ISTAMBUL NEL 1952, E UNO DEI MAGGIORI SCRITTORI TURCHI
CONTEMPORANEI. I SUOI LIBRI SONO TRADOTTI IN QUARANTADUE LINGUE. IL 12 OTTOBRE
2006 E STATO INSIGNITO DEL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA

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