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LDB

Roberto Esposito

Le persone e le cose
Einaudi

Introduzione
Se c un postulato che sembra organizzare
lesperienza umana fin dai suoi primordi,
quello della divisione tra persone e cose.
Nessun altro principio ha una radice altrettanto profonda nella nostra percezione, e
anche nella nostra coscienza morale, quanto
la convinzione che non siamo delle cose dal
momento che le cose sono il contrario delle
persone. Eppure ci che ci appare unevidenza quasi naturale lesito di un lunghissimo processo di disciplinamento che ha percorso la storia antica e moderna modificandone i contorni. Quando nelle Istituzioni il
giurista romano Gaio individua nelle persone
e nelle cose le due categorie che, insieme a
quella delle azioni processuali, costituiscono
la materia del diritto, non fa che conferire
valenza giuridica a un criterio ampiamente
diffuso. Da allora esso, riprodotto in tutte le

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codificazioni moderne, diventato il presupposto che fa da sfondo implicito a ogni altra


argomentazione di carattere giuridico, ma
anche filosofico, economico, politico, etico. Il
mondo della vita risulta tagliato da uno spartiacque che lo divide in due zone definite
dalla loro opposizione reciproca. O si al di
qua di esso, tra le persone, o di l, tra le cose,
senza nessun segmento intermedio che possa
congiungerle.
Eppure gli studi antropologici raccontano
una storia diversa, ambientata in societ in
cui persone e cose fanno parte del medesimo
orizzonte al punto non solo di interagire, ma
di integrarsi a vicenda. Pi che meri strumenti, o oggetti di propriet esclusiva, le
cose costituiscono il filtro attraverso il quale
uomini, non ancora modellati dal dispositivo
della persona, entrano in relazione tra loro.
Connessi in una pratica che precede la segmentazione della vita sociale nei linguaggi
separati della religione, delleconomia, del

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diritto, essi vedono nelle cose degli esseri animati in grado di influire sul proprio destino
e dunque meritevoli di cura particolare. Per
cogliere il profilo di queste societ non
bisogna guardarle dal lato delle persone n
da quello delle cose, ma dallangolo di
visuale del corpo. proprio questo, infatti, il
luogo sensibile in cui le cose sembrano interagire con le persone, fino a divenirne una
sorta di prolungamento simbolico e materiale. Per averne unidea, possiamo riferirci a
ci che oggi significano per noi alcuni oggetti
dellarte o della tecnica, apparentemente dotati di una vita propria che per certi versi
comunica con la nostra.
Gi questo accostamento fra societ arcaiche ed esperienza contemporanea una
riprova di come nella storia nulla scompaia
senza lasciare tracce, pur riproducendosi in
modalit spesso incomparabili. Non solo, ma
anche del fatto che lorizzonte moderno, geneticamente costituito alla confluenza tra

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filosofia greca, diritto romano e concezione


cristiana, non esaurisce larco dei possibili.
Ci che, nellepoca del suo tramonto, sembra
profilarsi una incrinatura del modello
dicotomico allinterno del quale il mondo
delle cose stato a lungo contrapposto, e sottoposto, a quello delle persone. Quanto pi
gli oggetti tecnici incorporano, con il sapere
che li ha resi fungibili, una sorta di vita soggettiva, tanto meno possibile schiacciarli in
una funzione esclusivamente servile. Allo
stesso tempo, attraverso luso delle biotecnologie, quelle che un tempo apparivano monadi individuali, possono includere dentro di
s elementi provenienti da altri corpi e
perfino materiali inorganici. In questo modo
il corpo umano diventa il canale di transito e
loperatore, certo delicatissimo, di una
relazione sempre meno riducibile a una logica binaria.
Ma prima di rintracciare nel punto di vista
del corpo un diverso sguardo su cose e

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persone, bisogna ricostruire le coordinate di


lungo periodo che hanno compresso, e
ancora comprimono, lesperienza umana entro tale binomio escludente. Anche perch a
trovarsi esclusa stata proprio la dimensione
del corpo. Naturalmente non sul piano della
prassi, che ha sempre ruotato intorno a esso,
n su quello del potere, misurato proprio
dalla diversa facolt di padroneggiarne le
prestazioni. Ma certo su quello del sapere,
soprattutto giuridico e filosofico, che, nel
complesso, ha teso a rimuovere la specificit
del corpo. Non rientrando n nella categoria
di persona n in quella di cosa, questo ha oscillato a lungo tra luna e laltra senza trovare
una stabile collocazione. Se la persona, nella
concezione giuridica romana come pure in
quella, teologica, cristiana, non ha mai coinciso con il corpo vivente che la incarnava,
anche la cosa stata in qualche modo decorporeizzata, risolta in idea o in parola dalla
tradizione filosofica antica e moderna. In

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entrambi i casi come se la divisione di principio tra persona e cosa si fosse riprodotta in
ciascuna delle due, separandole dal loro contenuto corporeo.
Quanto alla persona, gi il termine greco
da cui proviene d ragione dello scarto nei
confronti del corpo vivente. Come la
maschera non aderisce mai completamente
al viso che ricopre, cos la persona giuridica
non coincide con il corpo delluomo cui si
riferisce. Se nella dottrina giuridica romana
essa indica, anzich lessere umano in quanto
tale, il suo ruolo sociale, in quella cristiana
situata in un nucleo spirituale irriducibile
alla dimensione corporea. Colpisce come ci
che possiamo ben definire dispositivo della
persona, nonostante le sue metamorfosi interne, non si liberi mai di questa frattura originaria. Posta dal diritto romano allinterno
del genere umano tagliato da soglie di personalit decrescenti che dallo stato del pater
arrivano a quello, reificato, dello schiavo ,

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essa situata dalla dottrina cristiana nella


distinzione tra anima e corpo e dalla filosofia
moderna nella differenza tra sostanza
pensante e sostanza estesa. In ciascuno di
questi casi, diversamente, il bios viene
sezionato in due zone di differente valore,
una delle quali subordinata allaltra.
Quello che ne risulta una dialettica, di
volta in volta rielaborata in forme nuove, tra
personalizzazione e depersonalizzazione.
persona, a Roma, chi possiede, fra le altre
cose, esseri umani anchessi schiacciati sul
regime della cosa, come sono non solo gli
schiavi, ma, con diversa gradazione, tutti gli
individui alieni iuris, non padroni di se
stessi. Una relazione di dominio che si riproduce, nella filosofia moderna fino a Kant e
oltre, nella scomposizione dellidentit soggettiva in due nuclei asimmetrici, luno destinato a dirigere laltro secondo il proprio inflessibile giudizio. Non sorprende che in tale
concezione luomo sia considerato un

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composto di razionalit e animalit, qualificabile come persona solo nella misura in cui
in grado di dominare lanimale che lo abita.
Che questo coincida con la sfera del corpo,
naturalmente soggetto a istinti e passioni, d
ragione della sua esclusione dallessenza pienamente umana delluomo. Anche se quello
che viene escluso, perch estraneo al binomio tra persona e cosa, proprio lelemento che consente il transito dalluna allaltra. Come hanno potuto, infatti, intere generazioni di uomini, ridurre altri esseri umani
allo stato di cose, se non asservendone integralmente il corpo alla propria volont?
Ma questo non che il primo vettore della
ricostruzione genealogica qui delineata. A
esso se ne incrocia un altro, opposto e complementare, che gli fa da contrappunto. Al
processo di depersonalizzazione delle persone corrisponde quello di derealizzazione
delle cose. Lepicentro, tematico e teoretico,
del libro costituito dal nodo che collega le

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due categorie delle persone e delle cose nel


medesimo esito dissolutivo. Per coglierne il
senso non bisogna perdere di vista il paradossale incrocio tra unit e divisione che fa
delluna il luogo di effettuazione dellaltra.
Persone e cose sono assimilate, pur nel loro
contrasto, dalla medesima scissione che le
divide. Nei protocolli costitutivi del nostro
sapere, infatti, le cose vengono investite da
una separazione simile a quella che taglia le
persone, cos da perdere progressivamente la
loro sostanza. Se gi il diritto guarda alle
cose dal punto di vista formale dei rapporti
di appartenenza, astraendo dai loro contenuti materiali, la metafisica produce un analogo effetto di scarnificazione. La cosa viene
divisa da se stessa non appena la si radica in
unidea trascendente, come fa Platone, o
anche in un fondamento immanente, come
vuole Aristotele. In ognuno dei casi, anzich
coincidere con la propria esistenza singolare,
la cosa viene sospesa a unessenza che la

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oltrepassa, sia che questa venga posta fuori


di essa sia che venga situata al suo interno.
Perfino Hegel, in un differente orizzonte
dialettico, afferma la cosa sullo sfondo del
suo negativo. quellimplicazione tra ente
e ni-ente conseguente alla riduzione
moderna della cosa a oggetto cui
Heidegger assegna il nome di nichilismo.
Anche il linguaggio, allorch nomina la
cosa, determina un pari effetto di scorporazione. Trasformandola in parola, esso la
svuota di realt e ne fa un puro segno. Non
solo il nome della rosa non coincide con la
rosa reale, ma ne annulla la concretezza singolare in un significante generale. In questo
esito dissolutivo c qualcosa di pi della
frattura che Foucault ha visto aprirsi tra parole e cose allorigine dellepoca moderna e
che ha piuttosto a che fare con la forma intrinsecamente negativa della lingua umana.
Questa pu dire la cosa solo negandone la
presenza reale, trasferendola su un piano

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immateriale. Se, con un ampio giro di compasso, dal terreno della lingua si passa a
quello delleconomia, si assiste a un processo
non troppo dissimile. La riduzione della cosa
a merce, in prodotto di consumo e poi da
questo in materiale di scarto, determina un
effetto altrettanto dissolvente. Moltiplicata
in una produzione tendenzialmente illimitata, la cosa perde la propria singolarit, divenendo equivalente a infinite altre. Una
volta allineata in uno stock di oggetti interscambiabili, essa pronta a essere sostituita
da un esemplare identico, e poi, quando non
serve pi, distrutta. Anche chi, a partire da
Benjamin, vede nella riproducibilit tecnica
una liberazione della cosa dalla sua aura
tradizionale, non pu nascondere leffetto di
perdita che essa determina nei confronti di
chi la possiede.
La tesi delle pagine seguenti che lunica
maniera per sciogliere questo nodo metafisico tra cosa e persona di accostarsi a esso

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dal punto di vista del corpo. Non coincidendo n con la persona n con la cosa, il
corpo umano apre un angolo di visuale esterno alla scissione che luna proietta sullaltra.
Si gi fatto riferimento a societ arcaiche
connotate da tipi di scambio diversi da
quello mercantile. Ma non certo a esse a
un passato irrevocabilmente perduto che il
libro guarda. Lepoca moderna, n sul piano
del potere n su quello del sapere, superabile allindietro. Il confronto che si apre
semmai con una linea di pensiero che,
dallinterno della modernit, percorre una
traiettoria diversa da quella, vincente, che va
da Descartes a Kant. I nomi di Spinoza e
Vico, e poi quello, solitario, di Nietzsche rimandano a una relazione con il corpo sottratta
alla dicotomia cartesiana tra res cogitans e
res extensa e tesa a farne il luogo peculiare di
unificazione della nostra esperienza individuale e collettiva.

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In questa prospettiva il corpo non solo


ricostruisce la relazione tra persone e cose
spezzata dalla grande divisione gaiana, ma
ripercorre allinverso quel transito moderno
dalla res allobiectum che ha finito per
svuotare la cosa dallinterno. Il segmento di
filosofia novecentesca che rilegge il rapporto
fra cose e persone attraverso il filo del corpo
la fenomenologia, soprattutto francese. Per
essa il corpo delluomo ha una duplice funzione. Intanto di riempire lo iato, allinterno
dellessere umano, tra logos e bios prodotto
dal dispositivo separante della persona. E poi
quella di restituire alloggetto intercambiabile il suo carattere di cosa singolare. Da
questo lato come se, a contatto con il corpo,
le cose acquistassero esse stesse un cuore che
le riconduce al centro della nostra vita. Se le
sottraiamo a un destino seriale e le reinseriamo nel loro sfondo simbolico, ci accorgiamo
che fanno parte di noi non meno di quanto
noi siamo parte di esse. La tecnica biologica

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dellimpianto e del trapianto, che oggi immette nel corpo dellindividuo frammenti di
corpi altrui, o addirittura cose in forma di
macchine corporee, significativa di una
trasformazione che travolge i confini proprietari della persona. Contro ogni prospettiva
nostalgicamente reattiva, bisogna vedere in
questa antropotecnica, cio nella nostra capacit di modificare noi stessi, oltre che un
possibile rischio, una risorsa decisiva per
lanimale costitutivamente tecnologico che
fin dallorigine noi siamo.
Ma, riportato al suo significato polivalente,
il corpo umano ritrova anche una funzione
politica, oggi divenuta assolutamente centrale. Naturalmente la politica ha sempre
avuto un rapporto privilegiato con il corpo
dei singoli e delle popolazioni. Ma ci che
fino a un certo momento passava per una
serie di filtri categoriali e mediazioni
istituzionali si fa materia diretta delle nuove
dinamiche politiche. La vita biologica, pi

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che semplice orizzonte, sempre pi insieme


soggetto e oggetto di potere. il passaggio
cruciale cui Michel Foucault ha assegnato
prima di altri il nome di biopolitica, alludendo proprio al ruolo preminente assunto
in esso dal corpo. Non solo lindividuo, che
nellepoca moderna era limitato alla nozione
formale di soggetto di diritto, tende a coincidere con la sua dimensione corporea. Ma
anche il popolo entra in un rapporto inedito
con una corporeit fatta di bisogni, desideri,
necessit che riguardano la vita biologica in
tutti i suoi registri. In questo senso il corpo
diventa sempre pi la posta in gioco di interessi contrastanti di carattere etico, giuridico, teologico. E dunque epicentro di conflitto politico. Ma ci, questo nuovo rilievo
del corpo, pu determinare conseguenze diverse e anche opposte di tipo escludente
oppure inclusivo. Se, schiacciato sulla sua dimensione razziale, esso stato loggetto di
unesclusione
arrivata
ai
limiti

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dellannientamento, nella sua figura collettiva pu divenire operatore di ricomposizione politica allinterno del popolo e dei
popoli.
Come diversi concetti politici fondamentali, anche quello di popolo porta dentro di s
una dualit costitutiva che tende a separarlo
da se stesso. Esso da un lato la totalit dei
cittadini in una forma che vuole coincidere
con la nazione. Ma dallaltro, fin dal demos
greco, nomina anche la sua parte subalterna
e, in senso proprio, popolare, plebea. Come
il dispositivo della persona, esso include al
proprio interno una zona per altri versi esclusa ed emarginata. Si pu dire che larga
parte della storia politica occidentale ruoti
intorno a questo margine mobile che al contempo unisce e separa i due popoli allinterno di ogni popolo. Fin dallantica metafora dei due corpi del re, si sempre percepito, allinterno dellorganismo politico, un
dislivello fra testa e corpo, re e popolo,

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sovranit e rappresentanza che ne assicurava la funzionalit. Oggi, nel regime biopolitico contemporaneo, tale scarto reso
ancora pi tangibile dallingresso del corpo
in ogni dinamica politica significativa. La
stessa persona del leader come era diversamente accaduto ai capi totalitari e come
inevitabile nella societ dello spettacolo
non pi separabile dallesibizione continua
del proprio corpo, in una sovrapposizione
mai cos integrale di dimensione pubblica e
dimensione privata.
A questo incorporamento biopolitico della
persona risponde, allaltro polo del quadrante politico, il corpo, collettivo e impersonale, di masse di donne e di uomini che
non si riconoscono pi nei canali della rappresentanza. Naturalmente la composizione di
tali soggettivit politiche varia a seconda
delle situazioni e dei contesti. Ma ci che si
intravede, nei movimenti di protesta che oggi
tornano a riempire le piazze di gran parte del

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mondo, linevitabile allargamento degli istituti della democrazia al di l dei suoi confini
classici e moderni. C, in quelle moltitudini,
certo di differente tipo, qualcosa che precede
anche le loro rivendicazioni, costituita appunto dalla pressione congiunta di corpi che
si muovono allunisono. Ci cui essi fanno
segno, con un carattere irriducibile al profilo
disincarnato della persona, una riunione
delle due parti del popolo che non passi pi
per lesclusione di una di esse. Il compito cui
tali eventi sembrano chiamarci, insomma,
la rottura di quella macchina teologico-politica che da tempo immemorabile unifica il
mondo attraverso la subordinazione della
sua parte pi debole. Quanto di tale richiesta
trover risposta nei fatti, resta ancora indeterminato. Sicuro solo che non immaginabile alcun vero cambiamento delle attuali
forme politiche senza una mutazione, altrettanto profonda, delle nostre categorie
interpretative.

Le persone e le cose

Capitolo primo
Persone
1. Possesso.
Da tempo immemorabile la nostra civilt
si basa sulla divisione pi netta fra persone e
cose. Le persone sono definite soprattutto
dal fatto di non essere cose e le cose dal fatto
di non essere persone. Tra le due pare non
esserci nulla, n il suono delle parole n il tumulto dei corpi. Il mondo stesso sembra niente altro che la faglia naturale attraverso la
quale le persone acquisiscono, o perdono, le
cose. Il diritto romano con le Istituzioni di
Gaio pone la tripartizione fra azioni, persone e cose a fondamento di tutto lordinamento giuridico (Inst., I, 8). vero che
questo testo lontano dal rappresentare lintera concezione giuridica romana, ma la sua

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influenza in tutta la modernit stata decisiva. Poche altre formulazioni hanno esercitato cos a lungo un simile effetto. Tutta
lesperienza umana tagliata da una linea
che non prevede altre possibilit. Ogni entit
di cui il diritto si occupa, se non unazione,
o una persona o una cosa, secondo una distinzione semplice e chiara cosa la nonpersona e persona la non-cosa.
Tra esse passa una relazione di dominio
strumentale. Nel senso che il ruolo delle cose
quello di servire, o comunque di appartenere, alle persone. Come cosa ci che
appartiene a una persona, cos gode dello
statuto di persona colui che possiede delle
cose, che pu esercitare una padronanza su
di esse. Certo, vi sono cose che non possibile dominare e che anzi in qualche modo
ci dominano, perch pi potenti di noi, come
le forze della natura laltezza delle
montagne, le onde del mare, il tremito della
terra. Ma in generale le cose sono

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considerate taciti schiavi al servizio delle


persone. Esse stanno letteralmente al posto
dei servi. Se ogni strumento sostiene
Aristotele, citando un celebre verso
dellIliade (XVIII, 376) riuscisse a
compiere la sua funzione o dietro un
comando o prevedendolo in anticipo [] i
capi artigiani non avrebbero davvero bisogno
di subordinati, n i padroni di schiavi (Pol.,
I, 4, 1253b-1254a). Le cose ci sono necessarie. Senza di esse le persone resterebbero
prive di tutto ci che serve alla vita. E, in ultima analisi, della vita stessa. Perci quelle
che si possiedono sono definite beni, il cui
insieme costituisce ci che, con un rimando
al
pater,
ancora
oggi
chiamiamo
patrimonio. Ci sarebbe da riflettere sul
fatto che lidea di bene coincida con quella
di cosa posseduta bene non una qualche
entit positiva, o anche un modo di essere,
ma ci che si possiede 2. una testimonianza
della
prevalenza
assoluta
dellavere

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sullessere che caratterizza da tempo la nostra cultura cosa non innanzitutto ci che
essa , quanto ci che qualcuno ha. Un possesso su cui nessun altro pu avanzare
pretese. Le cose, pur essendo state date
alluomo in comune, finiscono sempre nella
disponibilit di un proprietario che pu
disporne, usarle e anche distruggerle a suo
piacimento. Esse sono nelle mani di chi le
possiede.
Questultima espressione va intesa nel suo
senso pi letterale. La mano che afferra e
trattiene uno dei tratti costitutivi della
specie umana. Molti animali osserva
Canetti afferrano con la bocca armata di
denti, anzich con gli artigli o con le zampe.
Per gli uomini la mano che non lascia la
presa un vero e proprio simbolo di
potere 3. Quando si parla della nostra mano
come dellorgano che umanizza il mondo
creando artefatti o suggellando promesse, si
tende a trascurare un atto assai pi antico,

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che quello della nuda appropriazione. La


cosa innanzitutto di chi la prende. Essere
a portata di mano significa, prima che usabile con facilit, stare in pugno di chi la possiede. Per rivendicare lappartenenza controversa di una cosa, del resto, nel Foro romano
i contendenti ponevano materialmente una
mano su di essa davanti al magistrato. Conserere manum, incrociare le mani sulla cosa
contesa, atto strettamente congiunto a
quello della presa materiale su di essa 4. Per
completare il rituale di appartenenza, colui
che si pretendeva proprietario la toccava con
la festuca, pronunciando la formula solenne:
Dico che questa cosa mia secondo il diritto quiritario. Lelemento di propriet
prevaleva perfino sullidentit della cosa. Ci
che la qualificava essenzialmente non era il
suo contenuto, quanto il suo essere di qualcuno e di nessun altro in una forma non
contestabile.

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Tale pratica giudiziaria rinviava a un


rituale ancora pi antico, in voga nel Lazio
primitivo, associato alla dichiarazione di
guerra. Livio racconta che essa era preceduta
da una richiesta di restituzione delle cose detenute in modo illegittimo dallaltro popolo.
Res repetere, richiedere le cose, era lultimo
avvertimento prima di andare a prenderle
con la forza. Se esse non erano consegnate,
dopo linvocazione agli di, arrivava la dichiarazione di guerra (1, 32, 5-14). La guerra
stessa era, in definitiva, fatta sempre per le
cose per difendere le proprie o acquisire
con la violenza quelle altrui. A lungo ogni
altra pi paziente forma di accrescimento
viene rifiutata e disprezzata. Si costituisce
una sorta di religione statale della guerra:
suo scopo laccrescimento pi rapido possibile 5. Per millenni il suo movente principale stato il saccheggio. Perci nessun
comandante di vecchio stampo avrebbe
osato vietarlo ai propri uomini. La cattura

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delle cose, del bottino accumulato, a terra, ai


piedi del vincitore, ha segnato per un tempo
indefinito i rapporti di forza tra gli uomini.
La stessa terra la prima cosa di cui lesercito invasore simpossessa calpestandola,
conquistandola, confinandola. La vittoria
militare arride a chi riesce, alla fine, ad appropriarsi di un dato territorio, su cui piantare una bandiera diversa da quella che un
tempo vi sventolava. Da quel momento tutte
le cose incluse in esso sono preda del nuovo
padrone.
Il rapporto fra guerra e propriet precede
di molto quello definito giuridicamente.
Anche, e soprattutto, nella patria del diritto,
perch a Roma la guerra fu per secoli il solo
mezzo di acquisire qualcosa alla portata di
gente senza altre risorse. Essa era il modo
pi tipico di acquistare propriet, al punto
che per lungo tempo la pirateria stata considerata pi onorevole del commercio. Nella
sua genesi, la propriet rimanda sempre a

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una prima appropriazione. Essa, nella sua


forma primordiale, non si trasmette n si
eredita si prende. Non per caso il diritto
arcaico pone sullo sfondo la figura del passaggio di propriet e anche quello che assumer il nome di diritto di successione. La
propriet non ha nulla dietro di s, se non
latto che la rende tale 6. Nella Roma pi antica non esisteva un delitto di rapina anche
le prime donne romane erano state oggetto
di un mitico ratto ai danni dei popoli confinanti. Affermando che i Romani credevano
essenzialmente proprie le cose che sottraevano ai nemici (4, 16), Gaio vuol dire che, relativamente alla loro acquisizione, diritto e
violenza non sono separati da un limite insuperabile. Il possibile collegamento etimologico tra praedium e praeda sottintende il fatto
che il fondo territoriale legato alla praedatio. Non per caso gli atti pubblici che
avevano rapporto con la vendita e lacquisto
erano contrassegnati da una lancia confitta

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nel terreno, a rappresentare la profondit del


diritto acquisito. Rispetto alla sua punta
aguzza, il legno arrotondato del bastone non
era che un simbolo indebolito. Perch qualcosa divenisse propria in modo inequivocabile, doveva essere stata strappata alla
natura o ad altri uomini. Proprio, in senso
stretto, ci che si prende con la mano,
manu captum, secondo il solenne istituto del
mancipium. Certo, esiste il trasferimento di
propriet regolato giuridicamente. Ma la
prima propriet nasce sempre dalloccupazione di uno spazio vuoto o dallimpossessamento di un oggetto senza padrone. Ci
che non ancora caduto nelle mani di nessuno a disposizione di chiunque se ne appropri. Il primo proprietario coincide col
primo occupante, cos come un animale
selvaggio appartiene a colui che per primo lo
ha avvistato. Rispetto a questo atto iniziale il
ius non ha che un ruolo successivo di garanzia. Esso protegge il possessore da chi lo

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minacci o ne contesti il titolo, rovesciando su


di questi lonere della prova 7.
Il diritto romano nella sua essenza patrimonialistico. In tal senso ha ragione Jhering
quando afferma che alla sua base vi la nuda
relazione economica 8. Lo stesso organismo
statale, nella misura in cui si pu adoperare
questo termine a Roma, pensato sempre a
partire dal diritto privato. perci che
manca una vera teoria della sovranit. Cos
come manca una concezione soggettiva del
diritto a rendere qualcuno padrone di un
bene, non il titolo giuridico, ma la sua propriet effettiva. La vindicatio in rem, cio la
rivendicazione della cosa, consisteva nel dire
res mea est, non ius mihi est, a riprova
del fatto che quello tra possessore e cosa
posseduta un rapporto assoluto, che non
passa per altri soggetti. Bench esistano varie specie di possesso per acquisto, eredit,
donazione il suo archetipo resta la cattura
di una res nullius, di una cosa di nessuno. In

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questo caso colui che la reclama pro suo non


invoca nessun altro rapporto giuridico, ma
solo la padronanza della cosa stessa. come
se una parte della natura si fosse offerta
spontaneamente alla sua presa, cadendogli
letteralmente nelle mani. Ci che non era di
nessuno ora suo. Egli lo riceve, lo prende,
ne gode. Ogni altra appropriazione si
riferisce, come prototipo originario, alla
prima presa che rende pensabile tutte quelle
che la seguono. Essa il nucleo irriducibile
contenuto in ogni riduzione giuridica.
2. La grande divisione.
Le cose conquistate si sottomettono a colui
che le ha fatte proprie. Ma ci che in questo
modo si gioca non solo il rapporto fra
uomini e cose, ma anche quello tra gli
uomini il loro rango, il loro stato, il loro
potere. il possesso delle cose, o la loro perdita, a segnare, dopo una guerra, il vero

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discrimine fra vincitori e vinti. Ma anche, in


tempo di pace, il rapporto di forza che passa
tra le diverse persone, il loro differente grado
di personalit. Ben diversa, a Roma ma
oggi non poi cambiato troppo la condizione di coloro che possiedono un patrimonium, come i patres, rispetto a quelli che ne
sono privi. Possedere un patrimonio vuol
dire non solo avere le cose compresa quella
cosa astratta, destinata ad acquisire tutte le
altre, che la moneta ma anche esercitare
un dominio su coloro che ne hanno di meno,
o non ne hanno affatto, e perci sono
costretti a mettersi nelle mani dei
proprietari.
In tal modo alla padronanza sulle cose si
associa la disponibilit sulle persone. Gi qui
quella che vuole essere una opposizione
costitutiva si manifesta piuttosto come una
implicazione reciproca. E anzi come il dispositivo attraverso il quale persone e cose si
incastrano in una sorta di chiasma che

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proietta sulle une il profilo delle altre. Non


solo nel senso che il possesso, o meno, delle
cose a definire la relazione tra le persone. Ma
anche in quello che alcune persone sono
ridotte allo stato di cose pur restando
formalmente persone. Come afferma Gaio
della summa divisio, le persone a Roma si
dividono in liberi e schiavi, i quali hanno cos
un doppio statuto di persona, cui appartengono sul piano astratto delle denominazioni, e di cosa, cui sono in realt assimilati. Questa collocazione anfibia non riguarda
solo i servi situati tra le res corporales e
considerati strumenti vocali, cose dotate di
voce ma anche altre categorie, come mogli,
figli, debitori insolventi, sempre in bilico tra
il regime della persona e quello della cosa.
Nessuna di tali figure aveva una reale forma
di autonomia, era giuridicamente indipendente, sui iuris 9. Ma essere alieni iuris,
non appartenenti a se stessi, come tutti coloro che non erano patres, significava essere

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in una dimensione assai prossima a quella


della cosa.
paradossale che un ordine giuridico
fondato sullopposizione frontale tra persone
e cose producesse un continuo slittamento
dalle une alle altre, schiacciando alcuni esseri umani nellorizzonte degli oggetti inanimati. Naturalmente la reificazione del servus non esclusiva di Roma, se gi per Aristotele anche lo schiavo un oggetto di propriet animato e ogni servitore come uno
strumento che ha precedenza sugli altri strumenti (Pol., I, 4, 1253b). Ma questo transito
continuo fra persone e cose non solo una
procedura funzionale, ma la base stessa del
diritto romano. Se si analizzano i rituali di
riduzione in schiavit, o quelli di cessione di
un figlio da parte del padre a un altro padrepadrone, si riconosce in tutta la sua efficacia
performativa questo dispositivo combinato
di personalizzazione e depersonalizzazione.
Come per una sorta di inversione

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proporzionale, alla personalizzazione degli


uni corrisponde immancabilmente la depersonalizzazione di altri, sottomessi ai primi.
Quanti pi esseri umani ciascuno riesce a
immettere sul piano inclinato della cosa,
tanto pi solidamente acquisisce il titolo di
persona. Si prenda il caso del dominio pieno
e incontrollato esercitato dal creditore sul
debitore insolvente, ridotto in suo possesso
da vivo e da morto, al punto che anche il suo
cadavere poteva essere negato ai parenti e
lasciato insepolto. La somma dovuta era in
questo modo sostituita dal corpo del debitore, che diveniva perci oggetto di qualsiasi
ingiuria o violenza da parte del creditore.
Mai come in quel caso il rapporto interpersonale si tramutava in quello fra chi potenziava la propria persona e chi precipitava
nellinferno della cosa. Come osserva in proposito Nietzsche, il sentimento dellobbligazione personale ha avuto la propria
origine nel pi antico e originario rapporto

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tra persone che ci sia, nel rapporto tra compratore e venditore, tra creditore e debitore:
qui per la prima volta si pose persona di
fronte a persona, qui, per la prima volta, si
misur persona con persona 10.
La sostituzione del debito inevaso col
corpo del debitore lascia intravedere un aspetto finora coperto dalla relazione a due tra
persone e cose. Ad articolarle tra loro
proprio lelemento che sembra escluso
dallorizzonte del diritto, cio il corpo. il
suo uso e abuso a determinare, attraverso la
personalizzazione degli uni, la reificazione di
altri. Come si esprime Simone Weil in una
delle pi appuntite critiche della nozione di
persona, a Roma la propriet era definita
dal diritto di usare e di abusare. E in effetti la
maggior parte di quelle cose di cui il proprietario aveva il diritto di usare e di abusare
erano esseri umani 11. Sul piano normativo
il corpo vivente non godeva di nessuno statuto giuridico proprio, essendo assimilato in

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linea di principio alla persona che lo incarnava. Esso non poteva essere oggetto di
negozio o di sfruttamento nemmeno da
parte della persona che lo abitava, visto che,
secondo Ulpiano (9, 2, 13), dominus membrorum suorum nemo videtur, nessuno
padrone delle proprie membra. In realt, in
contrasto con tale condizione giuridicamente
protetta, il corpo svolge un ruolo di primo piano nella definizione delle relazioni sociali
romane. macchina di lavoro, strumento di
godimento, oggetto di dominio. Misura il
potere esercitato dagli uni nei confronti degli
altri. il bersaglio mobile su cui si accumula
il piacere e si scarica la violenza, spesso in
maniera congiunta e direttamente proporzionale. Tuttaltro che coincidente con la
persona, come vogliono i codici, esso
spesso il canale di transito da questa alla
cosa. Lapparente ineluttabilit di tale slittamento dalluna allaltra, precisamente nel
sistema giuridico che ne aveva teorizzato

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lassoluta diversit, lascia senza fiato: a


Roma nessuno resta tutta la vita, dalla nascita alla morte, persona tutti transitano, almeno per un certo periodo, per una condizione non lontana da quella della cosa
posseduta.
Del resto tale scarto parte integrante
della categoria di persona fin dalla sua remota genesi. noto che letimologia greca
del termine rimanda alla maschera teatrale,
poggiata sul volto dellattore, ma proprio
perci mai coincidente con esso. Lo stesso
personaggio sempre diverso dallattore che
di volta in volta lo interpreta. come se il diritto riproducesse questo elemento di duplicit, di doppiezza, allinterno delluomo. Persona non luomo in quanto tale, ma soltanto il suo status giuridico, che varia in base
ai rapporti di forza con gli altri uomini non
a caso i romani, alludendo al proprio ruolo,
usavano la locuzione personam habere. Persona non si , ma si ha, come una facolt che,

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proprio perci, si pu anche perdere. Ecco


perch, diversamente da quanto comunemente si suppone, il paradigma di persona
produce non ununione ma una separazione.
Esso separa non solo gli uni dagli altri,
secondo determinati ruoli sociali, ma anche
il singolo individuo dalla propria entit biologica. Egli, essendo altro dalla maschera che
indossa, sempre esposto a una possibile depersonalizzazione, definita capitis diminutio,
che pu arrivare fino alla completa perdita di
identit personale. Si potrebbe dire che la
categoria di persona ci che rende una
parte del genere umano, ma anche di ogni
uomo, soggetta allaltra.
A riprova della lunghissima durata di
questo dispositivo romano 12, si consideri
che perfino il personalismo novecentesco,
mosso dallobiettivo di rifondare i diritti
umani, ne riproduce il nocciolo paradigmatico vale a dire la separazione funzionale
del
soggetto
dalla
propria

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dimensione corporea. Come ha sostenuto il


filosofo personalista Maritain, persona un
tutto signore di se stesso aggiungendo
che, per essere tale, persona a tutti gli effetti,
esso deve avere il pieno dominio della propria parte animale. Luomo persona se, e
solamente se, padrone assoluto dellanimale che lo abita 13. Naturalmente non tutti
hanno la stessa attitudine alla propria deanimalizzazione. Dalla sua maggiore o minore
intensit deriva il grado di umanit riconosciuto a ciascuno. E dunque anche la differenza di principio tra chi pu essere definito
persona e chi non lo pu. Tra chi persona
comunque e chi lo solo a certe condizioni.
In questo modo la scissione interna al singolo uomo si riproduce in quella del genere
umano nel suo complesso. Lintera civilt giuridica fondata sul ius romano ne porta dentro unimpronta ben visibile. Come si desume dal celebre trattato di Joseph Pothier
Des personnes et des choses, ancora nel XVIII

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secolo gli esseri umani sono separati in ceti


non troppo diversi dalle categorie romane,
secondo la gradazione che va dallo schiavo al
nobile 14. A lungo quelle differenze giuridiche sono state intese come vere e proprie
soglie antropologiche, indicative di un diverso grado di umanit. Basti pensare al
fatto che listituto della schiavit, che oggi ci
pare affondare nelle tenebre di un remoto
passato, stato abolito soltanto da meno di
due secoli. Per riprodursi, come ben sappiamo, in altre forme, tuttora diffuse, di
schiavit di fatto. Il concetto di persona, che
in linea di principio dovrebbe comportare
luniversalizzazione di diritti inalienabili,
stato a lungo adoperato per escludere alcune
tipologie umane dai benefici accordati ad
altre. Per farne delle persone-cose da usare e
distruggere. Lunica differenza che passa tra
la schiavit romana, da un certo momento in
poi moderata da istituti protettivi, e quella
attuale sta nellefferatezza di questa. Tra uno

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schiavo frustato a morte nelle province


dellimpero, nellAlabama del XIX secolo o
alle coste di Lampedusa, levento pi raccapricciante resta di gran lunga lultimo.
3. Due in uno.
Si detto che il corpo, proprio perch
privo di un peculiare stato giuridico,
costituisce il tramite di passaggio dalla persona alla cosa. Non essendo investito in
quanto tale dal diritto, esso oscilla tra le due
dimensioni, consentendo la traduzione
delluna nellaltra. Ci vale per il genere
umano nel suo complesso, tagliato da soglie
antropologiche di separazione ed esclusione.
Ma anche per il singolo individuo, diviso in
due zone di differente valore, luna di natura
razionale o spirituale e laltra corporea. Tale
esito leffetto performativo del dispositivo
della persona. Ne abbiamo riconosciuto una
prima matrice nel diritto romano. Laltra fa

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capo al dogma cristiano dellIncarnazione di


Cristo. A prima vista labisso culturale che le
separa pu fare apparire improprio ogni accostamento. Ma se si distoglie lo sguardo
dagli scenari storici di primo piano, per
rivolgerlo ai paradigmi che li sottendono,
sintravedono delle omologie sorprendenti.
Proprio in merito alla categoria di persona, i
punti di accostamento sono evidenti. Come
si siano incrociate le sue due concezioni
quella giuridico-romana e quella teologicocristiana questione complessa sulla quale
la letteratura non sempre concorde. Se alcuni interpreti rilevano linfluenza della
prima sulla seconda, altri rovesciano il rapporto. La questione, allinterno della concezione cristiana, resa ancora pi intricata
dallintreccio che, nel termine persona, si
determina fra la dottrina della Trinit e
quella dellIncarnazione. Gi in Tertulliano,
il primo a tentare una sistemazione organica
della nozione, resta unevidente discrepanza:

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se nella Trinit la categoria di persona si


moltiplica per tre, nellIncarnazione di Cristo
si divide in due.
Detto questo, e senza addentrarci nelle
complesse dispute patristiche, tra sfera giuridica e sfera teologica resta una simmetria di
fondo. Per entrambe al centro del dispositivo
vi non soltanto la necessit di articolare fra
loro unit e divisione, ma la subordinazione
conseguente di una parte della vita umana
nei confronti dellaltra. In questo senso ho
potuto sostenere che diritto romano e teologia cristiana costituiscono i due assi portanti
di una macchina teologico-politica destinata
a segnare per almeno due millenni la concezione occidentale del potere 15. Lasciando
sullo sfondo questa questione, resta la centralit che in essa gioca il concetto di persona
come operatore di uno sdoppiamento dellorganismo vivente. Se nel diritto romano la
scissione investe lintero genere umano, separandolo in zone di differente rango, nella

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teologia cristiana taglia, differenziandola,


lidentit del singolo individuo. Vero che,
diversamente da quanto accade a Roma, per
il cristianesimo ogni uomo in linea di principio persona, a immagine e somiglianza del
suo creatore. Ma tale appunto perch diviso in due nature, luna spirituale e laltra
corporea, questultima sottomessa alla
prima. In tal modo si passa da una divisione
funzionale tra uomo e persona, come quella
giuridica romana, a una divisione di carattere ontologico, allinterno del composto
uomo-persona, tra le due sostanze che lo
formano.
Tale bipolarit asimmetrica, tra due ambiti
forniti di differente valore, riconoscibile,
con differenti accenti, in tutti gli autori cristiani. cos in Agostino, che subordina
nettamente la dimensione carnale a quella
incorporea. Bench necessario allesistenza
delluomo, tuttavia il corpo ne costituisce la
parte inferiore e degradata. Al punto che

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lesigenza di sopperire ai suoi bisogni pu


ben essere definita una malattia (Trin.,
XI, 1, 1). Pur se nel corso della sua opera i
toni di Agostino non restano gli stessi, la supremazia dellanima sul corpo non viene mai
messa in discussione. Essa trova la sua
radice nella differenza insuperabile che, gi
nella persona di Cristo, subordina lelemento
umano a quello divino. Secondo un tratto
tipico del dispositivo teologico-politico, si
tratta anche in questo caso di uninclusione
escludente non lontana, nei suoi effetti, da
quella giuridica. Ancora qui la persona il
costrutto attraverso il quale due realt di diversa natura si integrano in una forma che
subordina luna alla prevalenza dellaltra.
Agostino non esita a fissare una sorta di analogia formale tra luso che Dio fa delluomo
nella persona di Cristo e quello che,
nelluomo, lanima fa del corpo (Ep., 137).
Nonostante differenze anche sensibili, si
tratta di un primato dellanima sul corpo

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mai posto in dubbio da nessuno dei classici


cristiani. Perfino per Tommaso, che pure
tende a temperare il dualismo agostiniano
con il ricorso a categorie aristoteliche, la persona resta lambito entro il quale la ragione
esercita il pieno dominio dei propri atti
(ST., I, q. 29, a.1). Quello che in Agostino
solo un uso, qui assume il carattere di un
pieno dominio. Lintero lessico dei Padri si
costituisce in una configurazione binaria che
trova unit solo nella sottomissione della
parte inferiore. Le due citt di Agostino ne
costituiscono larchetipo teologico-politico
da cui tutti gli altri modelli in qualche modo
derivano. Esse mettono in scena, su un piano
cosmico-storico, lo stesso conflitto che, in
ogni persona, oppone le finalit dellanima a
quelle del corpo. Soltanto quando avremo
vinto la battaglia contro il nostro stesso
corpo, la citt di Dio prevarr su quella
delluomo. Lintera storia interpretata da
Agostino come lo scontro senza tregua fra i

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due elementi, umano e divino, corporeo e


spirituale, che costituiscono, nel loro dissidio, lunit ancipite della persona. Fin
quando la guerra non sar finita, fin quando
le potenze del bene non avranno soggiogato
quelle del male, lo scontro rester aperto e
lUno rimarr ostaggio del Due.
Due sono anche i corpi del re che nel
grande affresco di Ernst Kantorowicz sulla
teologia politica medievale compongono la
persona regale 16. Alla sua base vi lanalogia
che lega lorganismo umano alla doppia
natura di Cristo, trasferita sul piano eccezionale della sovranit. Come la persona di
Cristo ha due sostanze, una mortale e laltra
eterna, anche il re unisce, in ununica persona, due corpi il primo transeunte e il
secondo immortale, trasmissibile senza
soluzione di continuit dinastica ai propri
successori. La semantica del corpo, caratteristica dellInghilterra elisabettiana, rispetto a
quella della persona, pi tipica del

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continente, non segna una differenza rilevante rispetto al funzionamento del dispositivo. Allo stesso modo in cui la persona, sia
giuridica che teologica, ingloba al suo interno una parte inferiore, cos il corpo politico
del re incorpora quello umano, conservando
la propria incommensurabile alterit. Anche
in questo caso, come nella persona, la
relazione tra le due componenti ha il carattere di ununione disgiuntiva. Esse, congiunte nellunit della corona, divergono al
momento della morte, quando uno dei due
corpi viene meno ed sostituito da un altro,
diverso dal primo. Ma, come appunto anima
e corpo allinterno di ogni uomo, essi possono collidere anche in vita, quando il re
venga meno ai suoi doveri e si faccia trascinare dai propri istinti. Allora un corpo pu essere contrapposto allaltro non solo da
parte del sovrano, ma anche delle forze che
gli si oppongano. Kantorowicz ricorda che,
durante la rivoluzione, il Parlamento chiam

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a raccolta il popolo inglese in nome del corpo


politico del re Carlo I contro il suo corpo naturale, poi decapitato senza danni per il
primo.
Ci che la letteratura elisabettiana
presenta nella forma di una macchina
metafisica destinata a perpetuarsi nel tempo
pu anche esplodere nella tragedia dellassoluta separazione. Il Riccardo II di
Shakespeare 17 ne costituisce lo scenario pi
vivido. Nella sua rappresentazione quello che
uno sdoppiamento funzionale si sgrana in
una molteplicit indomabile. Il processo di
decadenza dalla regalit divina al Nome
della regalit; e dal nome alla nuda miseria
delluomo 18 scandito da una serie di disintegrazioni successive. Dalla triplice figura
del Re, del Matto e del Dio si passa a una fase
in cui il corpo umano inizia a prevalere su
quello politico al punto che la stessa regalit viene a significare morte, nientaltro che
morte 19. come se, nella sua trasposizione

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tragica, la scissione della persona regale prevalesse tanto sullunit da disperderne anche
il ricordo. Essa ormai attraversa, spaccandoli, sia il corpo naturale che quello politico
del re, con un effetto di contaminazione reciproca. Allorch il re si accorge di identificarsi non con Cristo, ma col suo traditore, la
misura colma. Un corpo ha tradito laltro,
Riccardo ha tradito Riccardo. Il volto disfatto
del re che gli appare allo specchio lemblema di un fallimento irrimediabile. Nella
finzione scenica il dispositivo della persona
va in mille pezzi insieme allo specchio che lo
riflette. I due corpi del re, definitivamente divisi, giacciono, luno accanto allaltro, nella
polvere con i simboli della regalit spezzati.
Al re non resta che prenderne atto: Con il
mio stesso potere la mia maest hanno colpito, | Nel nome del Re, hanno tolto la
corona. | Cos la polvere distrugge il
diamante 20.

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4. Uso e abuso.
Se nella concezione cristiana il dispositivo
della persona divide lessere vivente fra carne
e spirito, nella filosofia moderna esso penetra nella stessa coscienza individuale. A essere in gioco non pi la relazione con una
sfera trascendente, ma quella del soggetto
con se stesso con la parte di s che rischia
di sfuggire al suo controllo o addirittura di
essere dimenticata. per scongiurare tale
possibilit che il Saggio sullintelletto umano
di Locke collega lidentit personale al funzionamento della memoria. Essa la capacit, da parte dellio, di autoidentificarsi, assumendo la responsabilit dei propri atti. Da
qui il rilievo attribuito al nome proprio come
ci che aggrega, lungo uno stesso filo, i singoli momenti di cui fatta una vita. Chi pu
garantire che il vecchio di oggi sia il giovane
di un tempo o che lattuale folle sia lo stesso
che una volta era sano? Locke pone tali
domande su un terreno prettamente

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filosofico. Ma esse conservano pi di un rapporto sia con il versante teologico che con
quello giuridico della nozione di persona.
Quanto al primo, non senza significato che,
anche in rapporto al dibattito religioso del
tempo, egli si riferisca ai misteri della Resurrezione, in particolare alla possibilit che
lanima si ritrovi, dopo la morte, in un corpo
differente da quello che aveva prima. Il problema delle personalit multiple due persone incarnate in uno stesso corpo o due
corpi rappresentati dalla stessa persona
era comunemente sollevato nelle discussioni
teologiche sulla metempsicosi e la trasmigrazione delle anime.
Limplicazione della teoria lockeana con il
diritto ancora pi forte, anche se posta in
forma diversa che nel ius romano. Rispetto a
questo viene meno il rapporto biunivoco che
lega, pur nello scarto, la maschera giuridica
al volto delluomo su cui posta. Gi la trattatistica tardomedievale aveva elaborato la

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nozione di una persona ficta o repraesentata, riferendola a unentit non necessariamente umana. Locke scioglie ogni
residuo nesso con il corpo vivente, legando la
persona al principio di attribuzione: perch
ci si possa definire persona, bisogna poter
provare, a s e agli altri, di essere lautore
delle proprie azioni e dei propri pensieri.
Rispetto a tale esigenza, non pi in gioco n
il rapporto con un determinato corpo, n
quello con lanima. Ci che conta potere
rispondere degli atti che si sono commessi,
assumendosene piena responsabilit. Da
questo lato la persona si avvia ad assumere il
significato moderno che siamo abituati a
conferirle quello di un individuo consapevole delle conseguenze dei propri gesti.
Tuttavia tale passaggio, lungi dalleliminare lo sdoppiamento, finisce per intensificarlo. Perch il soggetto possa formulare un
giudizio su se stesso, deve sapersi separare
da s, assumendo la doppia parte

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dellimputato e del giudice. La categoria di


attribuzione (to attribute) , infatti, connessa con quella di imputazione (to impute) entrambe possibili traduzioni del
verbo greco kategorein. Anzi ci che qualifica nel suo senso pi proprio lidea lockeana
di persona appunto la capacit giuridica, da
parte di un tribunale o anche di se stesso, di
imputare a qualcuno le azioni da lui
commesse. Non per caso il filosofo definisce
quello di persona un termine forense [a
forensic term], che attribuisce le azioni e i
loro meriti 21. Essa ci che, rendendo possibile il giudizio, consente leventuale
condanna. In tal modo Locke articola, allinterno del soggetto, una scissione corrispondente a quella che nel diritto romano separava
luomo dal suo ruolo e nella dottrina cristiana lanima dal corpo. Riconoscergli il titolo
di agente morale, significa renderlo contemporaneamente soggetto di legge e oggetto
di giudizio a un tempo giustificabile e

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giustiziabile. Cosicch il paradigma filosofico


di persona, orientato a ricostituire lidentit
individuale minacciata dalla dispersione,
diviene il luogo di una divisione ancora pi
marcata tra due piani della coscienza destinati a non poter mai del tutto coincidere.
Kant fa un ulteriore passo in questa
direzione, fissando in termini metafisici ci
che Locke distingueva in senso funzionale.
Egli non solo scinde il soggetto umano in due
entit differenti, sottoponendo luna al giudizio dellaltra, ma stabilisce tra di esse una
diversit di essenza. Se nella Metafisica dei
costumi le situa entrambe nel regime della
persona, altrove specifica di non riferirsi a
una doppia personalit, perch solo lio, lio
penso e intuisco la persona, mentre lio
delloggetto, che intuito da me, , come altri oggetti fuori di me, la cosa [Sache] 22.
come se la persona espellesse fuori di s una
sua parte, assimilandola a una semplice cosa
su cui deve riguadagnare padronanza. In

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questa maniera si ristabilisce quel meccanismo che abbiamo rinvenuto, sia pure in altri
termini, nella forma giuridica romana. Da un
lato persona la categoria che li comprende
entrambi, dallaltro il criterio in base al quale
uno dei due poli subordina laltro facendone
unentit assimilabile alla cosa. Per usare i
termini di Kant, mentre lhomo noumenon
a tutti gli effetti persona, quello phaenomenon lo solamente quando ubbidisce al
primo. Personalit la capacit del soggetto
di sottomettere a se stesso una sua parte divergente e insieme la disponibilit di
questultima a rientrare nel possesso della
prima.
Colpisce, nellautore che porta il pensiero
moderno al suo culmine critico, la riproposizione di un lessico giuridico di chiara impronta romanistica. vero che Kant riserva
la qualifica di persona solo alluomo libero,
sciogliendo la contraddizione della summa
divisio personarum. Ma poi riproduce, nei

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confronti degli individui subordinati, un rapporto di oggettivazione non molto diverso da


quello istituito nel ius. Con in pi unoscillazione che addirittura accentua lelemento di indistinzione fra persona e cosa. Il
margine che le separa quello, assai problematico, che distingue la padronanza dalla
propriet: Un uomo pu ben essere
padrone di se stesso (sui iuris), ma non proprietario di se stesso (sui dominus) 23. Ci
che distingue le due condizioni il confine
che separa luso, consentito, dallabuso, illecito. Dei corpi di cui si padroni, ma non
proprietari, si pu fare uso, ma non abuso.
Bisognerebbe interrogarsi sul ruolo decisivo
che la categoria di uso ha avuto nella configurazione del lessico politico occidentale.
Dove passi il suo confine dallabuso difficile
indicare, rispetto alla nettezza della opposizione romana tra persona e res. Che infatti
Kant sfuma attraverso una categoria giuridica collocata precisamente nel loro punto

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di convergenza. Si tratta del diritto personale reale. Se diritto reale quello relativo alle cose e diritto personale quello relativo alle persone, diritto personale reale consiste nel possedere un oggetto esterno come
una cosa e nellusarne come una persona 24.
Torna a riprodursi, nellautore meno
sospettabile di atteggiamento acritico, lo
scivolamento della persona verso la cosa.
Anche in questo caso il canale di transito tra
esse il corpo della persona assoggettata e
cos tradotta nella dimensione della res
posseduta. Ci vale non solo per i lavoratori
al servizio del padrone, ma, proprio come nel
diritto romano, anche per la moglie
anchessa appropriabile dal marito nel corpo
come oggetto di uso attraverso il possesso
dei suoi organi sessuali. Kant riconosce lincoerenza
di
tale
attribuzione
con
luguaglianza da lui stesso proclamata per
tutte le persone libere. Ma la risolve, anzich

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eliminandola, estendendo il diritto di reificazione anche allaltro coniuge. Cos


mentre una delle due persone acquistata
dallaltra, proprio come una cosa, questa alla
sua volta acquisti reciprocamente laltra; cos
essa ritrova di nuovo se stessa, e ristabilisce
la sua personalit 25. Conformemente al
dispositivo che orienta lintero discorso, insomma, la personalit misurata dalla capacit reciproca di usare laltro come cosa. Piuttosto che il suo puro opposto, la cosa appare qui come loperatore interno alla categoria di persona ci che, soltanto essendo
posseduta e consumata, rende questa veramente tale come soggetto di questo possesso.
esattamente quanto Hegel rimprovera a
Kant nei Lineamenti di filosofia del diritto,
cogliendone la subalternit allimpostazione
giuridica romana. Nonostante lispirazione
illuministica dei suoi scritti, Kant finisce per
confermare la distinzione tra persone sui
iuris e persone alieni iuris, poste nella

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disponibilit delle prime. a ci che si


rivolge la critica di Hegel. Mentre Kant non
pensa la persona in termini universali, ogni
uomo va considerato persona indipendentemente dal suo status. Da qui la riserva di Hegel rispetto al paradigma di persona da lui
assunto allinterno dellorizzonte giuridico,
ma rifiutato in quello, pi ampio, della societ civile. Tuttavia, pur prendendone esplicite distanze, anche Hegel resta largamente
influenzato dal diritto romano. Quando
sostiene che le persone si rapportano fra loro
solo come proprietari 26, lascia intendere
che se la qualifica di persona a rendere
luomo capace di possedere la cosa, solo la
propriet di questa a renderlo persona.
Certo, per Hegel il diritto privato non che
un modo parziale e inadeguato di vivere i
rapporti umani, se paragonato alle sfere superiori della societ e dello Stato. In esso
linteresse particolare, anzich integrarsi,
tende a contrapporsi a quello generale. Egli

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spinge tanto a fondo la propria critica da affermare che designare un individuo come
persona espressione di disprezzo 27. Ci
non toglie che a fondamento di qualsiasi tipo
di propriet Hegel ponga la capacit di
possedersi della persona. Lautoappropriazione lunico possesso talmente perfetto da diventare modello di ogni altra propriet. Ma che altro significa possedere integralmente la propria persona, se non considerarla come una cosa disponibile al
proprio volere? Ancora una volta si riproduce il meccanismo che pone le cose nella
disponibilit delle persone e le persone nel
regime delle cose.
5. Non-persone.
Il riferimento allautoappropriazione della
persona immette il discorso in unorbita a
noi pi vicina, che rimanda al dibattito sulla
bioetica, nella sua doppia declinazione,

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cattolica e liberale. Si gi detto come il filosofo cattolico Jacques Maritain vedesse nella
persona unentit definita dalla padronanza
sulla propria natura animale. Tale caratterizzazione rimanda da un lato alla prospettiva
cristiana e dallaltro, attraverso la mediazione tomista, alla definizione aristotelica
delluomo come animale razionale. Ma
una volta assunta tale formula che articola
allinterno del genere umano animalit e
razionalit le strade aperte restano due,
percorse di fatto dai fronti che si erano scontrati nellultimo conflitto mondiale: o si schiaccia la dimensione della ragione su quella,
meramente biologica, del corpo, come ha
fatto il nazismo; oppure si consegna la parte
animale al dominio di quella razionale, come
vuole il personalismo. Diversamente dal
nazismo che, cancellando il profilo della persona, affida la propriet del corpo allo Stato,
il personalismo liberale la assegna allindividuo che lo abita. Tale differenza di

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attribuzione, tuttaltro che trascurabile, non


toglie, per, che per entrambi il corpo rientri
allambito della cosa appropriata. Da questo
punto di vista perfino la bioetica cattolica,
consegnando il destino del corpo delluomo
al suo creatore, resta impigliata in una concezione non diversa, sul piano logico, dalle
altre due.
Se della prospettiva cattolica abbiamo
riconosciuto le radici nella teologia politica
dei Padri, quella liberale, oggi dominante,
rimanda a una tradizione aperta da Locke e
proseguita da Mill. vero che gi Cartesio
dichiarava di credere che quel corpo, che
per un certo particolare diritto chiamavo
mio, [gli] appartenesse pi propriamente e
pi strettamente di qualsiasi altro 28. Ma
ci che per lui ancora rimandava alla sfera
dellessere, in Locke si sposta in quella
dellavere: bench la terra e tutte le creature
inferiori siano comuni a tutti gli uomini,
ciascuno ha tuttavia la propriet della sua

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29

persona . Aggiungendo che su se stesso,


sul proprio corpo e sulla propria mente, lindividuo sovrano 30, Mill non fa che
portare tale logica alle ultime conseguenze.
Sovrapponendo la categoria di propriet a
quella di sovranit, egli fa del corpo la cosa
della propria persona. Per esser colto in tutta
la sua portata, quanto Kant scrive sul diritto
personale reale va ricondotto a questa linea
di ragionamento. Stretto fra persona e cosa,
il corpo destinato a scivolare dallambito
della prima a quello della seconda. Una volta
imboccata questa direzione, si portati a
percorrerla fino in fondo, come fa Bertrand
Lemennicier allorch scrive: ciascuno
proprietario di se stesso []. Il corpo umano
un oggetto come un altro il cui proprietario
perfettamente identificato 31.
Ma lelemento forse pi sconcertante, nella
concezione neoliberale, una ripresa esplicita di categorie giuridiche romane che va
molto al di l anche delluso, assai pi

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sorvegliato, che ne faceva Kant. Se questi


presupponeva comunque un principio di
universalizzazione volto a estendere la categoria di persona a ogni uomo, autorevoli esponenti della bioetica liberale, quali Hugo
Engelhardt e Peter Singer, non esitano a
spezzare tale rapporto: non soltanto non
ogni persona un essere umano, ma non
ogni essere umano persona. Se tutti appartengono alla specie dellhomo sapiens, solo
alcuni, e per un tempo limitato, entrano nel
recinto esclusivo della persona: Le persone
in senso stretto, afferma Engelhardt,
vengono in essere solo qualche tempo
probabilmente qualche anno dopo la nascita e probabilmente cessano di esistere
qualche tempo prima della morte dellorganismo 32. Come nel ius personarum, il
genere umano suddiviso da soglie di personalit che includono in maniera piena solo
gli adulti in buona salute, dotati di coscienza
e dunque capaci di autodeterminazione. Al di

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l di questa frontiera, resa mobile dal passaggio di et e dallo stato di salute, si apre la
lista delle persone in potenza, come gli infanti, delle semipersone, come gli anziani dipendenti, delle non-persone, come i malati
in stato terminale e delle antipersone, come i
folli. Egli ribadisce:
Il problema che
non

tutti

gli

esseri

umani sono persone.


Per lo meno, non sono
persone

nel

senso

stretto di agenti morali.


Gli infanti non sono
persone. Gli individui
in stato di senilit avanzata e i ritardati mentali
molto gravi non sono
persone in questa accezione

importantis-

sima e centrale 33.

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Da qui alla tesi della padronanza sulle


non-ancora, o non-pi, persone da parte
delle vere persone il passaggio consequenziale. Non potendosi sostenere, e non
avendo neanche piena coscienza del proprio
stato, le prime hanno bisogno che qualcuno
decida per loro non soltanto circa le condizioni della loro sussistenza, ma anche sulla
opportunit di tenerle in vita o di spingerle
verso la morte. Si fa gi cos per i feti. Cosa
impedisce di applicare lo stesso trattamento
ai figli nati difettosi? si domanda Singer.
Se ritorniamo allorigine della nostra civilt,
egli argomenta, notiamo che lappartenenza
alla specie non costituiva di per s garanzia
di sopravvivenza. Tra i Greci e i Romani, per
esempio i neonati non avevano un diritto
alla vita automatico: quelli malaticci o deformi venivano uccisi esponendoli alle intemperie 34. Da parte sua Engelhardt,
citando Gaio, si richiama direttamente al
mancipium esercitato dai patres sui figli,

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non diversamente dal diritto di preda che


pone un animale catturato nelle mani del
cacciatore:
i figli, finch non si
emancipano, non lasciano la famiglia e non
si mantengono da soli,
restano nelle mani dei
loro genitori e sono
quindi in parte di loro
propriet (o, per ricordare

lantico

cos-

tume romano, restano


in manu o nella potestas dei genitori) 35.

In pi, rispetto alla logica romana, valgono


adesso considerazioni di ordine economico,
che impongono di ridurre il numero delle
vite umane improduttive, in base al principio
di proporzionalit fra costi e benefici imposto dal modello utilitarista. Secondo

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questo il bene, come il dolore, si calcola non


sui singoli individui, ma rispetto allintera
collettivit. Che ha tutto da guadagnare se,
rinunciando a qualche vita che non merita
di essere vissuta 36, si pu migliorare quella
delle altre persone. vero che esiste un vincolo morale anche verso gli appartenenti alla
specie dellhomo sapiens. Ma solo se sono in
grado di temere la morte e dunque spaventati dallidea che li si possa eliminare. Ci non
vale per coloro non ancora, o non pi, capaci
di farlo. Certo, bisogna evitare che lessere
umano soppresso soffra o che la sua sofferenza sia superiore al beneficio sociale prodotto dalla sua morte. Ma non pi di quanto
si fa con gli animali capaci di prestazioni superiori a quelle di esseri umani sottosviluppati o irreversibilmente avariati: Il fatto che
un essere sia o non sia un membro della nostra specie argomenta Singer non , in s,
pi rilevante per limmoralit dellucciderlo

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di quanto lo sia lappartenenza, per esempio,


alla nostra razza 37.
Che la difesa degli animali non umani sia
non solo legittima, ma anche opportuna,
scontato. Ma in questo caso essa costituisce
il versante affermativo di una depersonalizzazione inaudita nella filosofia moderna.
Singer nega, a ragione, ogni possibile contiguit con lideologia nazista, con largomento
che il personalismo utilitarista ha di mira
una societ pi giusta. Ma dimentica il fatto
che nessun regime ha proclamato di agire in
nome dellingiustizia, salvo identificarla con
gli interessi biologici di un segmento di
umanit. Come si diceva, ci che, nonostante
le palesi differenze, lega concezioni tanto diverse in un nesso inquietante quella sovrapposizione tra animale e uomo implicita
nella definizione di animal rationale. Se la
sola ragione a distinguere luomo dalla propria parte animale, questa pu indifferentemente essere elevata alla superiorit della

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persona o ridotta alla inferiorit della cosa.


Ci che in ogni caso manca il riferimento a
un corpo vivente non coincidente n con
luna n con laltra perch dotato di una peculiare consistenza ontologica.

Capitolo secondo
Cose
1. Il niente della cosa.
La relazione tra la filosofia e la cosa
sempre stata problematica. Non solo nel
senso che la cosa, nella sua concretezza singolare, si sottrae al logos filosofico, ma anche
in quello, meno ovvio, che la filosofia tende
ad annientarla. La questione posta in tutta
la sua radicalit da Heidegger nella conferenza del 1950 dedicata appunto a La cosa.
Alla domanda che cos una cosa? 1, egli
comincia a rispondere in negativo, escludendo che essa possa coincidere con un
oggetto rappresentato o prodotto. La cosa in
quanto tale risulta irraggiungibile dal punto
di vista della sua oggettivazione. appunto
contro questa difficolt che battono tutti i

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tentativi filosofici di pensare la cosa, a


partire da Platone e Aristotele. Per non parlare del linguaggio scientifico, che, secondo il
filosofo, ne avrebbe determinato una deformazione ancora pi vistosa. Tentando di
oggettivare la cosa, esso la distruggerebbe
prima ancora di averla accostata. A questo
punto, conclude Heidegger, la cosa in
quanto cosa rimane interdetta, nulla, e in tal
senso annientata 2.
Allorigine di tale deriva, parallela alla depersonalizzazione della persona, vi un
mutamento semantico che investe, depotenziandolo, il termine latino res. Esso, accostabile al verbo greco eiro che significa parlare di qualcosa, trattare di una certa questione , indica ci che riguarda gli uomini,
un caso, o una causa, che li concerne. Da qui
litaliano cosa e il francese chose. Ma
anche, in un senso affine, il lemma altotedesco Ding, o thing, che allude a una riunione per discutere di un tema controverso,

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lassemblea in cui si giudica di qualcosa. Gi


in questo elemento giuridico che caratterizza
tutti i nomi della cosa da res, a Sache, a
Ding appare implicito il suo esito nichilistico, legato al divenire ben pi che allessere.
La cosa, in quanto fatto o farsi, sempre
presa nel processo che ne decide il destino
in unassemblea giudicante. Ma anche tale
significato, per cos dire sociale, a un certo
punto si affievolisce fino a perdersi a favore
di un altro, pi neutro, che rimanda allente
prodotto o rappresentato. Il termine-concetto di ens, diffuso nel Medioevo, affonda le
sue radici nella metafisica greca, anchessa
incapace di trattare la cosa senza svuotarla.
Da allora quella che chiamiamo ontologia
intreccia una relazione profonda col nichilismo, nella misura in cui la semantica
dellente risulta inestricabilmente connessa
con quella del ni-ente. Cos, non appena
riportata allente, la cosa viene investita dalla
forza di negazione che questo trasporta.

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Come mai? Perch la cosa, tradotta nel linguaggio dellente, finisce nellimbuto del niente? Da questa domanda prende le mosse
Platone. Se nella Repubblica egli si riferisce a
una cosa della quale non si pu con certezza
pensare che sia o non sia, n che sia
ambedue le cose, n che sia nessuna delle
due (479c), nel Sofista arriva a una conclusione ancora pi inquietante. Non solo impossibile negare che il niente sia, come cercava di fare Parmenide, ma bisogna convenire che lente a sua volta scavato dal niente. Come sostiene il personaggio dello
Straniero, il non-ente ci si manifestato
come un determinato genere che tra gli altri, disseminato in tutti gli enti []; evidente che il non-ente partecipa dellente
(260b-d). Dire ci che una qualunque cosa
sia nella sua individualit, qui e ora, implica
sottintendere tutto quello che essa non la
sua differenza da ogni altra. Gi cos, nellaffermare il questo qui nella sua unicit, il

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negativo penetra nel positivo e lo abita come


il suo presupposto ineliminabile.
Senza spingerci troppo addentro in questioni di filologia platonica, si pu affermare
che tale esito nichilistico consegua proprio
dal tentativo di salvare le cose agganciandole
a una sfera trascendente, vale a dire alla loro
essenza ideale 3. Cos la cosa viene, per cos
dire, separata da se stessa e divaricata in due
livelli, luno esterno e sovrastante laltro. Ma,
in tal modo, la sua affermazione sul piano essenziale finisce per comportarne la negazione su quello reale. Non potendo mai del
tutto colmare la distanza dalla propria essenza, la singola cosa risulta sempre insufficiente e percorsa dal non essere. Fin
dallinizio essa appare in difetto rispetto a ci
da cui pure trae significato. Fondata in
unidea situata in alto, ma incapace di adeguarsi a essa, resta abbandonata alla propria insufficienza. tale scarto da se stessa,
implicito nel processo di entificazione, a

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esporre la cosa allurto dissolvente del niente. Intendendo la cosa come ente, il logos
finisce per negarla.
Anche Aristotele, che pure cerca di superare il dualismo platonico fra la cosa e la sua
idea, resta coinvolto nello stesso dispositivo
di separazione e nullificazione. Partito dal
convincimento che impossibile che la
stessa cosa, ad un tempo, appartenga e non
appartenga a una medesima cosa, secondo lo
stesso rispetto (Met., IV, 3, 1005b), egli finisce per arrivare proprio a questa conclusione. Volendo ricomporre la frattura aperta
da Platone, immette leidos allinterno della
cosa, facendone il suo sostegno. In tal modo
il fondamento non posto pi in alto, nel
cielo delle idee, ma al di sotto della cosa
stessa. Esso il suo sostrato (hypokeimenon)
ci che resta stabile in ogni mutazione. Ma
cos la scissione, ricomposta nei confronti
dellesterno, penetra nella cosa stessa, divisa
tra una sostanza sottostante che non muta e

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la forma che di volta in volta essa assume:


Sicch conclude Aristotele nel libro I
della Fisica chiaro da quanto si detto
che ogni cosa che viene ad essere sempre
un composto: da un lato c quella certa cosa
che viene ad essere, dallaltro ci che viene
ad essere questa certa cosa (Phys., 190b).
Tendendo sempre ad attualizzarsi, insomma,
la cosa insieme uguale e diversa da quella
che diviene. vero che, rispetto a Platone, lo
scarto non oltrepassa i confini della cosa. Ma
proprio per questo, perch interno a essa, la
taglia ancora pi profondamente. Tuttaltro
che ununit compatta, la cosa diviene una
sorta di composto in cui ci che sottostante
non pu mai coincidere del tutto con quello
che emerge in superficie. La forma resta separata dalla materia, come la causa
dalleffetto. Divisa tra il suo sotto e il suo
sopra, ancora una volta la cosa minaccia di
sfaldarsi.

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La maniera per superare questa contraddizione quella di legare la cosa a un principio che presieda al suo movimento. quanto
Aristotele definisce motore immobile,
secolarizzando la figura del Demiurgo platonico. Ma tale svolta, allinterno della
metafisica greca, non fa che rendere ancora
pi palese leteronomia della cosa. Nel momento in cui la si fa dipendere da una causa
esterna che la pone in essere, la cosa gi
pensata come difettiva e manchevole. Si
tratta di un salto di paradigma che va anche
al di l del suo, pur rilevante, significato teologico, per investire il regime medesimo
della cosa. Pi che un dato, questa diviene il
prodotto di un artefice, prima divino e poi
umano, dal quale dipende la sua stessa
realizzazione. In questo modo tutte le cose
finiscono per precipitare nella dimensione
produttiva della techne. Anzich emerse
dallapertura della physis, secondo la concezione premetafisica, appaiono il risultato

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di una creazione in assenza della quale non


esisterebbero. Senza poterci fermare sul
ruolo decisivo giocato dalla dottrina cristiana
in questo salto di paradigma, chiaro lulteriore scivolamento dellente verso il niente
che esso comporta. Quando Tommaso affermer che comparate a Dio le cose sono
nulla 4, il nodo fra ontologia e nichilismo risulter definitivamente stretto.
Il processo di dissolvimento della cosa, intrinseco al suo trattamento metafisico, appare ormai inevitabile. La sua trasposizione
in ente anticipa quella costituzione in oggetto che Heidegger pone al centro del saggio sullEpoca dellimmagine del mondo. Se
nel Medioevo la cosa intesa come ens
creatum, frutto dellazione creatrice di Dio,
successivamente viene interpretata come ci
che rappresentata o prodotta dalluomo.
Ma entrare nel dispositivo della rappresentazione o della produzione significa, per
la cosa, trasformata in oggetto, dipendere dal

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soggetto cos da perdere ogni autonomia.


Con Descartes tale passaggio appare gi
compiuto: Lente nel suo insieme perci
visto in modo tale che diviene ente soltanto
in quanto posto dalluomo che rappresenta
e produce 5. Non bisogna perdere di vista il
nesso che unifica, articolandoli, soggettivismo e oggettivismo: senza soggetto rappresentante non si d cosa rappresentata e
viceversa. Torna a stringersi quel nodo che la
separazione tra persone e cose vorrebbe
tagliare: esse si fronteggiano in un rapporto
di reciproca fungibilit: come, per essere
soggetto, luomo moderno deve rendere loggetto dipendente dalla propria produzione,
cos loggetto non pu esistere fuori dalla potenza ideativa del soggetto. La separazione
kantiana, allinterno della cosa, tra fenomeno
e noumeno, tra la cosa come ci appare e la
cosa in s, porta questo sdoppiamento al
suo esito estremo. Mai come in questo caso
torna a balenare limplicazione tra

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separazione della persona e dissoluzione


della cosa. Ognuna pu essere divisa dallaltra solo a partire da ci che la separa da se
stessa, rovesciandola nel proprio contrario.
Cos, se la persona sempre esposta a diventare cosa, la cosa resta sempre soggetta al
dominio della persona.
2. Res.
Se la filosofia tende, nei suoi costrutti concettuali, ad annientare la cosa, leffetto dissolutivo del diritto non da meno. Una lunga
tradizione interpretativa ci ha abituati a contrapporre elaborazione filosofica greca ed esperienza giuridica romana secondo il discrimine astratto/concreto. Allastrazione di
un universo fatto di idee, tipico della
metafisica greca, si opporrebbe la concretezza dei rapporti reali istituiti dal diritto
romano. In realt la relazione fra i due
mondi assai pi complessa. Ferma

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restando lirriducibilit paradigmatica del ius


romano al logos greco rimane tra essi pi
di una corrispondenza. Anche il diritto produce una sua metafisica, certo diversa, ma
non irrelativa a quella greca. vero che, a
differenza di questa, esso si riferisce sempre
a rapporti concreti di appartenenza,
transazione, contratto che coinvolgono la
relazione tra persone e cose. Ma in una
forma che, portandoli su un piano generale,
li rende astratti. come se, per operare sui
singoli casi, il diritto dovesse ricondurli a un
universo di essenze ideali che vivono di una
vita propria. In tale maniera i fatti, cui
comunque il diritto si rivolge, non vengono
guardati come tali, ma attraverso un filtro
trascendentale che li svuota del loro contenuto concreto, proiettandoli in una sorta di
universo parallelo. Per intervenire, ad esempio, su un caso di acquisto o di vendita, la giurisprudenza costruisce il modello astratto
della compravendita da cui desume le norme

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per regolarlo. Cos essa, proprio come la


metafisica da cui pretende distaccarsi, agisce
sulla vita separandola da se stessa e sdoppiandola in due piani sovrapposti e solo successivamente ricomposti. Ci produce un
doppio effetto di svuotamento e di
idealizzazione. Da un lato rapporti, persone,
cose vengono privati di ogni specificit e
ricondotti a formule generali; dallaltro strutture logiche e schemi ideali acquistano uno
statuto ontologico di tipo fantasmatico, ma
produttivo di potenti effetti reali.
Per penetrare luniverso giuridico fondato
a Roma, e di l diffuso in tutto lOccidente,
non bisogna lasciarsi sfuggire questa singolare connessione di realismo e metafisica,
di concretezza e astrazione 6. Se ne sono visti
gli effetti escludenti nella relazione tra le persone. Qualcosa di analogo accade rispetto
alle cose. Lo stesso dispositivo giuridico che
determina una reificazione delle prime, produce una smaterializzazione delle seconde.

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Come le persone sono divise al proprio interno dalla linea che le oppone alle cose, cos
queste tendono a perdere la loro consistenza,
situandosi in una dimensione formalizzata
che le priva di sostanza. Nel diritto romano il
termine res non designa le cose del mondo,
anche se resta in contatto con quelle. Esso
caratterizzato da uno statuto doppio che
trascorre da un significato intensamente materiale a uno puramente formale. Da un lato
res la cosa nella sua realt obiettiva, in
quanto tale nettamente differente dalla persona che ne fa uso. Dallaltro essa rimanda al
processo astratto che le assegna rilievo giuridico. ci che ci si contende giuridicamente
e la medesima contesa cosa e causa a un
tempo.
Se si perde di vista tale connotato, che fa
della cosa oggetto di procedura e procedura
essa stessa, non si accede alluniverso concettuale romano. Per identificarne il carattere
peculiare
bisogna
evitare
di

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sovrapporlo alla metafisica greca come anche


alla prospettiva moderna cogliendo tuttavia le connessioni che lo legano a entrambe. Res, nel senso romano dellespressione, ha ben poco a che vedere con un elemento della natura, ma anche con un artefatto umano. Non n ci che da sempre
precede luomo n lobiectum posto di fronte
al soggetto quello che la lingua tedesca traduce con Gegenstand. Come si visto, nel
senso processuale di una messa in causa,
essa semmai accostabile al greco pragma
inteso come laffare, la questione, di cui si
tratta. Pi che un dato, la cosa un fatto che
ci riguarda da vicino, che ci mette continuamente in causa. Ad esempio res publica
ci di cui ci si occupa dal punto di vista
dellinteresse collettivo, come res communis
quella che, non appartenendo a nessuno, di
tutti.
Quando si afferma che quello romano un
diritto eminentemente oggettivo, per

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differenziarlo dal moderno, invece soggettivo, non bisogna conferire al termine un significato sostanziale. vero che in esso a
dominare non sono le persone, ma le cose il
cui possesso conferisce personalit. In
questo senso le cose servono a fissare i rapporti fra le persone, suddividendole in diverse categorie, dai patres ai servi. Proprio
per questo, tuttavia perch servono a fissare i rapporti fra le persone, suddividendole
in differenti ruoli , in senso giuridico le cose
mantengono uno statuto funzionale che al
contempo le svuota di contenuto. Ci non
vuol dire che la res non si riferisca a una realt esterna al mondo della natura o ai prodotti delluomo. Anzi, in un orizzonte non
teoretico ma operativo come quello del diritto, ci accade regolarmente. La res romana non pura rappresentazione mentale,
un costrutto logico senza riscontri nella vita
reale. Essa occupa uno spazio e ha una
durata. Ma ci non le fornisce una valenza

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materiale. Della cosa, ci che interessa al diritto non la sostanza, ma la trama formale
in cui inserita e che contribuisce a creare.
In tal senso, nonostante la classica distinzione tra res corporales, che possono essere
toccate, e res incorporales, che non lo possono, le cose di cui si occupa il diritto appartengono tutte a questa seconda categoria.
proprio esso, occupandosene, a renderle tali.
Anche quelle che hanno un corpo, nel momento in cui entrano nella sfera del ius, si
separano virtualmente da esso. come se, in
questo universo spettrale che arriva a
spingere alcune persone nellorizzonte della
cosa, le cose fossero dissolte nella loro concretezza materiale ed esposte alla prova del
nulla.
Tale esito attiene al carattere autoreferenziale con cui il diritto si origina secondo una
modalit astratta destinata a comunicarsi
allordine giuridico moderno. Da questo
punto di vista si potrebbe dire che esso, forse

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pi della metafisica greca, costituisca il modello epistemico su cui si forgiato lintero


sapere occidentale. Ma anche in un altro
senso, ancora pi intenso, il negativo
avvolge, caratterizzandola, la dimensione
della res giuridica. Conosciamo il carattere
rigorosamente patrimonialistico del diritto
romano. Esso riguarda le cose prima delle
persone e le persone sempre in rapporto alle
cose. Ci che definisce le cose la loro appartenenza a uno, o a pi, proprietari. Anche
quando non sono di nessuno, esse sono
sempre in linea di principio appropriabili,
non sfuggono al regime, almeno potenziale,
dellappropriabilit. E tuttavia il diritto romano non parte mai da questo, da un registro positivo, ma sempre dal suo rovescio negativo 7. Cio dalle cose non disponibili al possesso. La loro differenza da quelle che lo
sono fondativa dellintero diritto, al punto
di inaugurare la catena delle disgiunzioni
nelle Istituzioni di Gaio. Le cose si dividono

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inizialmente tra quelle che sono e quelle che


non sono in nostro patrimonio. Ma, anzich
dalle prime, il discorso giuridico procede
dalle seconde. Le cose appropriabili non
sono definite di per s, ma come contrario di
quelle che, a vario titolo, non lo sono. Molto
raramente, nelle fonti, si parla delle res in
patrimonio o in commercio se non come
negativo di quelle inalienabili, perch religiose o pubbliche. Lintero diritto privato, a
Roma tanto predominante da assorbire quasi
interamente ogni altra dimensione giuridica,
presuppone, insomma, una negativit che lo
pone in essere. un altro tratto parallelo,
anche se asimmetrico, sia con la tradizione
metafisica aperta da Platone sia con la concezione cristiana. Lente attraversato dal
niente perch in ultima analisi ne deriva
commisto fin dallorigine col nulla da cui
creato.
Anche lordine giuridico mantiene un fondamento negativo: ci che lecito quello

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che non vietato, cos come, a Roma, sono


libere le persone che non sono schiave. Il
liber caratterizzato dal fatto di non essere
servus. Anzi la condizione di cui pi si parla
nel diritto romano proprio la schiavit, vale
a dire quella di coloro che non hanno prerogative giuridiche. Per spiegare cosa voglia dire
sui iuris si chiarisce cosa significhi alieni iuris, ricavando per contrasto da questo il significato del primo termine. Ci vale anche, e a
maggior ragione, per la cosa. Con una procedura logica che, evitando la modalit affermativa, raddoppia la negazione, res mancipi sono quelle che non sono nec mancipi.
Linclusione di qualcosa nel campo del ius
che a Roma comprende in ultima istanza
tutte le cose nasce sempre da
unesclusione. Non che a essere escluso
ci che non incluso, ma incluso ci che non
escluso. Se ci si bada, tutte le distinzioni
che, a partire dalla summa divisio, gemmano
le une dalle altre in una catena ininterrotta

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di alternative, si conformano a tale registro


negativo. Ogni categoria non mai definita
per se stessa, ma attraverso ci che ne diverge. Come le cose appropriabili sono le
altre dalle inappropriabili, le res humani
iuris sono quelle non divini iuris. A loro
volta, nellambito del diritto umano, le cose
private sono quelle non pubbliche. E, anche
tra le cose pubbliche, appartengono allorganismo politico quelle non di tutti, definite
invece communes. Ma essere di tutti ulteriore e ultima divergenza non equivale a essere nullius, di nessuno, perch mentre le
prime restano in ogni caso inappropriabili, le
seconde, al momento inappropriate, sono
appropriabili da chi per primo se ne impadronisca. In tal modo da ci che escluso
si genera lincluso e dal negativo il positivo.
3. Le parole e le cose.

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Prima ancora del ius romano e del logos


greco, a negare le cose, nel loro contenuto
vivente, gi lesperienza del linguaggio. Ci
contrasta con lidea diffusa che esso ne
costituisca il semplice veicolo di espressione.
Che esista una corrispondenza naturale, o
anche artificiale, tra le parole e le cose le
parole come la forma verbale delle cose, le
cose come il contenuto delle parole. Certo,
come racconta il Genesi, quando il linguaggio fu dato da Dio agli uomini, costituiva il
segno stesso delle cose, rassomigliava a esse
cos da manifestarle nella maniera pi
trasparente. Il senso, allora, pareva scaturire
dalle cose come una sorgente dalla roccia o la
luce dal sole. Poi, con il crollo della torre di
Babele, tale corrispondenza si ruppe. Mentre
le lingue si moltiplicavano, si apriva un varco
sempre pi largo tra ciascuna di esse e le
cose. Se nel XV secolo il linguaggio sembra
ancora parte del mondo, gi alla fine
dellUmanesimo
si
ritira
da
esso,

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chiudendosi nello spazio astratto dei segni


rappresentativi. Lantico nodo tra parole e
cose sciolto. Come le cose vedono cancellarsi il nome inscritto sulla loro pelle, cos le
parole smarriscono ogni accesso diretto alla
vita delle cose. Non solo il linguaggio non
pi in grado di rivelare lenigma nascosto in
esse, ma tende a renderlo sempre pi indecifrabile. Lesperienza allucinata di Don
Chisciotte segna, nellautunno del Rinascimento, la fine dellanalogia tra lessere e i
suoi segni: La scrittura e le cose non si
somigliano. Tra esse, Don Chisciotte vaga
allavventura 8. Ormai le parole, lontane
dalle cose, si rifugiano nelle pieghe dei libri o
si affastellano al fondo del delirio. Non essendo pi uno stampo del mondo, il linguaggio pu al massimo tentare di tradurre quello
che non riesce naturalmente a esprimere.
Gi per Cartesio la verit non pi posta nel
nesso tra parole e cose, ma nella percezione
evidente di una coscienza presente a se

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stessa. Nulla pu pi garantire che tra significante e significato si dia una qualche corrispondenza. Nel nuovo regime di senso il
profilo della differenza subentra al volto
della somiglianza sfigurandolo. Perch possa
darsi rappresentazione, occorre una distanza
tra segno e significato. Per affermare la cosa,
il linguaggio deve staccarsi da essa e isolarsi
nel proprio universo autoreferenziale.
Ma se cos, ogni affermazione finisce per
avere una portata negativa. La lingua pu affermare la cosa solo negandone la presenza
viva. Quello che per Foucault laprirsi di
una fenditura pu ben essere inteso come
una vera opera di negazione. Pi che
allavvento di una nuova episteme, essa
riconducibile alla struttura delloperazione
linguistica. Nominare le cose, da parte del
linguaggio, non soltanto un atto neutrale,
ma ha il carattere di unintromissione violenta. Quasi che, per far proprie le cose,
ormai separate da essa, la lingua debba

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proiettare al loro interno la scissione che


porta originariamente dentro. Del resto, che
il linguaggio sia caratterizzato in modo essenziale dalla negazione un dato di fatto
non sempre rilevato dai filosofi, ma ben
presente ai linguisti. Per Saussure la lingua
si alimenta solo di opposizioni, di un insieme
di valori perfettamente negativi 9. Essa si
distingue dai codici comunicativi di tipo prelinguistico, orientati naturalmente al consenso, per la sua facolt di negare ci che
rappresenta. Luso del non, come stato
osservato 10, la pi rilevante prerogativa
del discorso umano. Ma, a guardar bene, la
negativit del linguaggio, oltre che latto del
rappresentare, investe anche la realt di ci
che rappresenta. A essere negato, nella procedura linguistica, non solo un dato modo
di essere della cosa, ma, in un certo senso, la
sua stessa esistenza. Per nominarla, la lingua
deve trasporla in una dimensione diversa da
quella reale. Non avendo alcuna relazione

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costitutiva con le cose che designano, insomma, le parole sottraggono loro la realt
che pure intendono esprimere. Solo smarrendo la propria esistenza concreta, gli esseri
sono linguisticamente rappresentabili. Nel
momento stesso in cui viene nominata, la
cosa perde il suo contenuto, trasferendosi
nello spazio senza spessore del segno. In tal
modo il suo possesso, da parte del linguaggio, coincide con il suo annientamento.
Questo dispositivo nichilistico al centro
della filosofia di Hegel. Se nelle prime pagine
della Logica egli porta a consapevolezza il
rapporto fra ente e niente gi intravisto nel
Sofista di Platone, nella Fenomenologia lo
aveva ricondotto al potere dissolvente del
linguaggio. La singola cosa questo pezzo di
carta, questa scatola di latta, questo tizzone
ardente inattingibile da una lingua destinata a esprimersi secondo concetti universali. Egli scrive:

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Nel reale tentativo di


pronunziare

la

cosa

essa si disintegrerebbe;
coloro

che

ne

iniz-

iassero una descrizione,


non la potrebbero condurre a termine, ma
dovrebbero lasciarla ad
altri i quali poi, alla loro
volta, finirebbero col
confessare di discorrere
di una cosa che non
11.

Nel momento in cui il linguaggio tenta di


cogliere il questo vale a dire la cosa nella
sua concretezza singolare lo nega trasferendolo sul piano astratto delle categorie. Ci
accade perch, per afferrare concettualmente
qualcosa, bisogna riconoscere il negativo che
dialetticamente la costituisce. La lingua pu
esprimere ci che solo presupponendo la
sua negazione. La nominazione delle cose,

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nel momento in cui le annette alla classe che


le comprende, cancella il loro essere empirico, riducendole a una serie infinita. Per
rappresentarle nella loro essenza, le
sopprime nella loro esistenza. La parola, insomma, ci restituisce lessere, ma separato
dalla sua singolarit e ridotto ad astrazione.
Questa potenza negativa del linguaggio
non , come per Foucault, il frutto di una
frattura a un certo punto sopraggiunta
nellordine del discorso, ma un dato originario risalente alla sua genesi: Il primo atto
mediante il quale Adamo ha costituito la sua
signoria sugli animali che egli diede loro un
nome, vale a dire li annient in quanto esistenti 12. Commentando questo celebre passo
di Hegel, Maurice Blanchot arriva ad affermare che la lingua, come prefazione a ogni
parola, esige unimmensa ecatombe, un diluvio preventivo che immerge in un vasto
mare ogni creazione 13. Dopo che gli uomini
hanno annientato, semplicemente parlando,

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tutti gli esseri, Dio ha dovuto ricrearli a


partire dal nulla in cui sono scivolati. In
questo modo ai singoli esseri fissati nella
loro esistenza concreta subentrato un essere fatto di niente. Certo, il linguaggio non
uccide materialmente nessuno. Ma quando si
dice questo gatto o questa donna, essi
vengono sottratti alla loro presenza immediata e consegnati allassenza. Blanchot ne desume che il linguaggio istituisce una
relazione tra le cose e la morte, cosicch
pi esatto dire, quando io parlo, che la
morte che parla in me 14. Il destino delle
cose torna, da questo lato, ad avvicinarsi a
quello delle persone. Per quanto divise da un
limite infrangibile, e anzi proprio per questo,
come se la potenza del nulla si comunicasse
dalle une alle altre. La morte che il linguaggio conferisce alle cose rimbalza su di esse,
ritornando sui soggetti che ne fanno uso. Il
potere di parlare si lega a un vuoto di
sostanza che si comunica dalle parole a chi le

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pronuncia, trascinandolo nello stesso vortice: Quando parlo conclude Blanchot


nego lesistenza di ci che dico, nego anche
lesistenza di chi parla 15.
Lunico tipo di linguaggio che salva le
cose quello letterario. E ci non perch le
conservi nel loro essere, ma perch d per
scontato che, assegnando loro il senso, le distrugge. Lideale della letteratura, come ricorda ancora Blanchot, non dire nulla. O
dire il nulla, sapendo che la parola scritta deve il suo senso a ci che non esiste. A meno
di non intendere le stesse parole i luoghi in
cui esse si depositano, un foglio di carta, una
scheggia di roccia, la corteccia di un albero
come cose, le uniche che restano in vita. Se il
linguaggio comune lascia le cose separate
dalle parole, quello della letteratura fa delle
parole nuove cose, che vivono proprio del niente immesso in esse. La letteratura assume
le cose nella loro genesi e nel loro destino ultimo. Non cerca di sottrarle, invano, al nulla.

105/237

Le accompagna nella loro deriva. Essa da


un lato questa estrema forza di distruzione
la pi violenta devastazione del carattere
naturale delle cose. Dallaltro la forma di suprema attenzione a ci che resta di esse, alla
cenere che il fuoco lascia dietro di s. La
letteratura
non al di l del
mondo, ma non pi il
mondo: la presenza
delle cose prima che il
mondo sia, il persistere
di esse dopo che il
mondo scomparso,
lostinazione di ci che
sussiste quando tutto si
cancella e lo stordimento

che

quando
nulla

16

non
.

appare
c

106/237

4. Il valore delle cose.


Nel mondo moderno le cose sono annichilite dal loro stesso valore. Tale formulazione pu sorprendere solo se attribuiamo al termine valore un significato
etico che la secolarizzazione ha svuotato di
senso, traducendolo in una dimensione eminentemente economica. Quanto una cosa
valga fissato da parametri oggettivi che
poco hanno a che vedere con la sua qualit
intrinseca. Questo generale processo di valorizzazione, che investe lintera societ moderna, ricostruito da Marx in tutti i passaggi.
Le merci, cui le cose sono per lo pi ridotte,
hanno un valore duso che attiene al modo in
cui sono adoperate, e un valore di scambio,
definito invece dal tempo necessario a
produrle. Questo secondo tipo di valore,
riconducibile a ununica misura, consente di
scambiare le merci nel mercato. Le cose, che
riferite al loro valore duso mantengono la
loro qualit peculiare, ricondotte al valore di

107/237

scambio la perdono, risultando equivalenti.


Gi in questo senso il valore delle cose, anzich potenziarne il significato, le appiattisce
in una serie indifferenziata. Ma Marx mette
in luce un ulteriore, e ancora pi intenso, effetto di derealizzazione. Come scrive in un
celebre passo sul feticismo delle merci, un
tavolo, che usato in quanto tale resta loggetto di legno che tutti conosciamo, appena
messo sul mercato si trasforma in una cosa
sensibilmente sovrasensibile. Non solo sta
coi piedi per terra, ma, di fronte a tutte le
altre merci, si mette a testa in gi 17. A
produrre questo fenomeno di capovolgimento, che ha i tratti di un vero e proprio incantesimo, appunto quel valore di scambio
che fa di ogni prodotto del lavoro una sorta
di geroglifico sociale. Ci che gli uomini
percepiscono come qualit naturali delle
cose sono in realt i rapporti sociali in esse
rappresi: Quel che qui assume per gli
uomini la forma fantasmagorica di un

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rapporto fra cose soltanto il rapporto sociale determinato fra gli uomini stessi 18.
Torna, in questa interpretazione classica, il
nesso chiasmatico fra persone e cose da cui
siamo partiti. La loro divisione si rivela non
soltanto una forma dimplicazione, ma un
vero scambio metafisico che traduce le une
nelle altre. Quelle che appaiono cose non
sono che lesito rovesciato di relazioni tra
persone. Il denaro, divenuto capitale, ne
costituisce espressione eminente puro
valore di scambio, esso viene considerato
come la cosa pi preziosa da possedere. Ma a
questo primo sortilegio, che attribuisce alle
cose lautonomia di figure dotate di vita propria, se ne aggiunge un altro, inverso e complementare, che rende le persone cose. Sono
note, e commentate da unampia letteratura,
le analisi marxiane della reificazione. Nel
mercato capitalistico una intera classe di
uomini diviene essa stessa un prodotto liberamente acquistabile e scambiabile sul

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mercato. Come ogni altra merce, anche la


forza lavoro ha un valore di scambio, proporzionale al tempo necessario alla sua
produzione. Questultima esercita un dominio pieno su coloro che credono di disporne.
Trasformando le cose in merci, insomma, gli
uomini trasformano se stessi in cose. Ci
vale in primo luogo per coloro che sono incatenati al meccanismo di produzione come
schiavi moderni. Ma, in generale, per tutti.
Anche il capitalista asservito al dispositivo
della valorizzazione secondo una modalit
che si autoalimenta. Egli impegnato a valorizzare il valore nello stesso modo in cui riproduce la produzione. Sono i due lati di un
meccanismo che, mentre personifica le cose,
cosifica le persone in una misura sconosciuta
alle societ precedenti. Se in queste i rapporti sociali fra le persone nei loro lavori appaiono in ogni modo come loro rapporti personali, e non sono travestiti da rapporti sociali fra le cose 19, nel regime capitalistico

110/237

avviene il contrario. Come gli operai sono


schiavit personificata 20, cos i capitalisti
diventano capitale personificato, personificazioni del capitale e del lavoro salariato 21.
Questo processo, colto da Marx in chiave
di critica delleconomia politica, si presta
naturalmente ad altre interpretazioni. Negli
anni Venti del secolo scorso, mentre Lukcs
ne sottolinea la dimensione reificante, Benjamin, in una prospettiva pi mossa, ne
riconosce la potenza di trasformazione di antichi assetti. Che lalienazione investa la
natura della cosa, oltre che il lavoro necessario a produrla, un presupposto da dimostrare. Ponendo il bene delle cose oltre
esse stesse, cio separandone natura e
valore, Marx manifesta una lontana ascendenza platonica. Da qui anche la concezione
patologica del feticismo, poi altrimenti ripresa da Freud. Proprio a essa sembra contrapporsi Benjamin nel suo saggio sullOpera

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darte nellepoca della sua riproducibilit


tecnica. Contro la tendenza antitecnologica
che permea lintera cultura del tempo, egli
individua nellillimitata ripetibilit dellopera
qualcosa che trasforma in profondit la percezione estetica. La distruzione dellaura
libera loggetto dalla guaina romantica che
lavvolge, prolungandone infinitamente la
vita. Ci che riproducibile senza limiti , in
linea di principio, eterno. Ma si tratta di un
processo intrinsecamente contraddittorio,
visto che il prolungamento nel tempo
pagato con un decremento di spessore ontologico. Quasi che la cosa, proiettandosi nel
futuro, perda il radicamento nel passato e,
con esso, la capacit di testimoniare il
presente:
Lautenticit di una
cosa la quintessenza
di tutto ci che, fin
dallorigine di essa, pu
venir tramandato, dalla

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sua durata materiale


alla sua virt di testimonianza storica. Poich

questultima

fondata

sulla

prima,

nella riproduzione, in
cui la prima sottratta
alluomo, vacilla anche
la seconda, la virt di
testimonianza
cosa

22

della

Si pu dire che entrambi gli aspetti intravisti da Benjamin abbiano trovato riscontro
nel mondo contemporaneo. Da un lato, come
sottolineato dagli antropologi dellarte, gli
oggetti artistici sperimentano una soggettivit che li assimila, pi che a semplici cose, a
degli enti personali dotati di capacit di
azione propria 23. In questo senso gi Gnther Anders poteva parlare di una psicologia
delle cose 24. Anche la tecnica, in una forma

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non diversa dallarte, pu conferire agli oggetti, soprattutto elettronici o telematici, una
sorta di vita di relazione. A differenza che
nellopera darte, tuttavia, questa pare
scaturire dal loro meccanismo interno, in
forma indipendente da chi lha attivato.
proprio questa autonomia, che sembra conferire alle cose il profilo delle persone, a
produrre un effetto di depersonalizzazione in
coloro che, non essendone pi soggetti, ne
divengono oggetti passivi. In questo senso
Simone Weil pu scrivere che poich il pensiero collettivo non pu esistere come pensiero, esso passa nelle cose (segni, macchine) Ne consegue questo paradosso: la
cosa pensa, e luomo ridotto allo stato di
cosa 25.
laltra prospettiva da cui possibile
guardare al problema. Come in uno specchio
rovesciato, il processo di personalizzazione
delle cose appare adesso lesito di una cosificazione delle persone. Allorigine di questa

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linea interpretativa, non necessariamente


opposta alla prima, vi Heidegger. In una
conferenza pronunciata insieme a quella
sulla Cosa, egli esordisce col dire che, per
quanto possano starci a cuore i suoi frammenti perduti, ogni cosa acquista i tratti
dellequivalente. Rispetto alla trasformazione
moderna della cosa in oggetto, si tratta di un
ulteriore passaggio, che fa delloggetto una
semplice risorsa [Bestand]. Con essa viene
meno anche ci che dellente rimaneva
presente. La risorsa posta non in s, ma in
vista del suo impiego. Cos il carbone che
serve ad alimentare una centrale elettrica
non una cosa allo stesso modo della brocca
sul tavolo. Mentre questa non produce nulla
di diverso dalla sua semplice presenza, il carbone posto in essere per generare calore.
Anche qui, come in Marx, produzione e valorizzazione convergono nello stesso effetto di
derealizzazione della cosa. Con la differenza
che tale esito, piuttosto che alla sete di

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guadagno, messo da Heidegger in relazione


con la tendenza a disporre di tutto ci che
disponibile il significato, anche letterale,
del termine dispositivo. Ci che disponibile sempre anche ricambiabile con qualcosa di equivalente e perci, in ultima analisi, superfluo. Diversamente da Benjamin,
insomma, Heidegger vede nella riproducibilit della cosa non la sua possibile estensione,
ma la potenziale liquidazione a favore di
unaltra in tutto equivalente. Nellimpianto
[Ge-stell] luna cosa pone laltra: luna
spinge fuori laltra 26.
Ogni pezzo in cui la cosa si frantuma , in
tal senso, di ricambio, rimpiazzabile con
un altro uguale. Ci significa che, quanto pi
riprodotta, tanto meno la cosa esiste come
tale se non, appunto, come cosa a perdere, materiale di scarto. Ma Heidegger aggiunge unulteriore considerazione che riguarda ancora una volta il nesso antinomico
tra cosa e persona. Il destino delluna si

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rifrange su quello dellaltra. La subordinazione della cosa al ciclo riproduttivo non


diversa, in essenza, da quella delluomo
stesso che, ritenendo di governarlo, ne governato. Anchegli, a suo modo, un pezzo di
riserva, sempre rimpiazzabile con un altro.
Certo, egli appartiene allimpianto in modo
diverso dalla macchina, ma resta comunque
preso nei suoi ingranaggi, sia che abbia contribuito a costruirla, sia che ne faccia semplicemente uso. Anche quando le lontano,
come accade al guardaboschi che percorre il
medesimo sentiero battuto dai suoi avi:
anchegli, lo sappia o meno, risucchiato
nello stesso meccanismo in cui finiscono le
riserve di cellulosa per la carta dei giornali e
delle riviste. O come accade a chi, ascoltando
la radio, gira il suo interruttore, segregato
in quanto pezzo di quella risorsa in cui egli
rimane ingabbiato anche quando continua a
ritenere che latto di accendere e spegnere
lapparecchio sia completamente affidato alla

117/237

27

sua libert . Proprio quando immagina di


aver acquisito il pieno dominio sulla cosa,
ridotta a pezzo infinitamente riproducibile e
rimpiazzabile, la persona cade, senza accorgersene, nella sua medesima condizione.
5. Das Ding.
Pu apparire paradossale affermare che la
cosa sia minacciata da un eccesso di realt.
Da pi parti viene detto che, dopo la sbornia
irrealistica della stagione postmoderna, il
pendolo del pensiero si vada spostando verso
un nuovo realismo 28. Sia pure con diversa
intenzione, gi Alain Badiou aveva sostenuto
che il secolo trascorso stato caratterizzato
dalla passione per il reale 29. A lungo inguainata in una rete simbolica, ci che oggi
viene allo scoperto la cosa stessa nella sua
assoluta nudit. Ma qual leffetto del nostro
incontro con essa? Cosa ci dice una cosa

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denudata, priva di risonanze simboliche,


aderente a se stessa fino allorlo?
Intanto opportuno domandarsi se, e in
quale misura, questa richiesta impellente di
realt contrasti con il precedente nichilismo.
Per Baudrillard, ad esempio, liperrealismo
contemporaneo costituisce il prolungamento
e insieme il controeffetto di uno stesso processo di derealizzazione. Alla sua origine vi
il trasferimento, cui gi si fatto cenno, della
cosa dallo stadio naturale del valore duso a
quello, mercantile, del valore di scambio. Ma
a questa prima mutazione, gi analizzata
nelle sue conseguenze reificanti da Marx, ne
segue una seconda, ancora pi drastica, che
risucchia la cosa nelluniverso fantasmatico
del simulacro 30. Con essa scompare ogni
rimando a un referente oggettivo. Una volta
conseguita lequivalenza universale, i segni si
scambiano tra loro senza pi riferirsi a nulla
daltro. Essi non hanno pi lesigenza di significare qualcosa. Venuta meno la finalit

119/237

delle azioni, gli opposti finiscono per sovrapporsi. La dialettica marxiana tra valore duso
e valore di scambio, come quella tra forze
produttive e rapporti di produzione, viene
neutralizzata in unindifferenza generale.
Perfino il denaro, fino a un certo momento
ancora vincolato al tallone aureo, entra
nellambito della pura speculazione finanziaria. Esso non rinvia ad altro che alla propria
circolazione illimitata. come se ogni cosa si
raddoppiasse in una copia talmente identica
alloriginale da fare tuttuno con esso. Nella
serie infinita in cui si moltiplicano, gli oggetti
diventano luno simulacro dellaltro e, perci,
anche di se stesso.
Tuttavia il raddoppiamento della cosa nel
suo simulacro mostra un carattere di per s
ambivalente. insieme indice di intensificazione e di svuotamento. Svuotata di efficacia simbolica, essa si ripiega su se stessa,
duplicandosi. Se il realismo si riferisce
ancora a un referente oggettivo, mentre il

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surrealismo sottopone il reale alla prova


dellimmaginario, liperrealismo cancella
anche questultima distinzione, facendo
delluno espressione dellaltro. Lesito che ne
consegue una sorta di allucinazione che
rende ogni cosa copia della propria copia.
Reale, in questo caso, ci di cui si d perfetta riproduzione. la realt passata al
vaglio della realt, privata di ogni riflesso,
chiusa in se stessa: Le cose scrive
Baudrillard continuano a funzionare
mentre lidea che le accompagnava da
tempo scomparsa. Continuano a funzionare
in unindifferenza totale nei confronti del
loro contenuto 31. C qualcosa, in questa
desimbolizzazione delle cose, che corrisponde, dallaltra parte dello specchio, al
destino reificante delle persone. Separate da
queste, esse si sdoppiano anche in se stesse:
Ogni cosa che perde la propria idea come
luomo che perde la propria ombra essa cade in un delirio in cui si perde 32. lesito di

121/237

una saturazione negativa. Una estenuazione


per eccesso. In una sorta di escrescenza infinita, in cui gesti ed eventi si accumulano
senza motivo, le cose vengono annientate
dalla loro stessa proliferazione.
Nella realt integrale, che coincide in tutto
con quella virtuale, verit e apparenza si sovrappongono in una perfetta coincidenza.
Schiacciate sul loro contenuto manifesto,
prive di ogni rimando ad altro, le cose si
rincorrono su una superficie senza spessore:
Una volta aggirata
ogni trascendenza, le
cose

sono

soltanto

quelle che sono e, cos


come sono, non si sopportano. Hanno perduto ogni illusione e
sono divenute immediatamente e totalmente
reali, senzombra, senza
commento 33.

122/237

Raggiunta la sua massa critica, la realt


rischia di autodistruggersi. Da questo punto
di vista si pu ben dire che sia proprio leccesso di reale, la sua intensificazione iperreale, a sottrarre il mondo al principio di realt. come se, nel vuoto di senso, ogni
metafora si realizzasse, perdendosi in quanto
tale. Ci che resta, nella allucinante coincidenza di significante e significato, una realt
muta, sottratta alla comunicazione, serrata
nei propri confini.
quanto Lacan definisce la Cosa das
Ding, differenziandolo da die Sache. Se entrambi i termini rimandano a un ambito giuridico, alla prassi giudiziaria o al dibattimento che la introduce, differiscono profondamente nel loro significato. Mentre die
Sache il prodotto dellazione umana,
sempre dicibile, riconducibile a una causa,
cui resta essenzialmente legata, das Ding si
situa altrove 34. Lacan insiste a pi riprese
sulla sua assoluta eterogeneit. Introdotto da

123/237

Freud soprattutto nel saggio sulla negazione,


das Ding rimanda a unalterit irriducibile:
C dellaltro in das Ding 35. come se
Lacan esitasse a parlarne, situandolo in una
zona cui la parola non ha accesso: In das
Ding sta il vero segreto 36. Con ci egli non
intende dire che esso sia irraggiungibile per
la sua lontananza. Al contrario ci che ci
pi prossimo meglio, che sta dentro di noi,
che ci abita. Ma come qualcosa di assolutamente estraneo. In esso si sovrappongono
prossimit e distanza, identit e scissione,
intimit ed estraneit. Dove al concetto di
estraneo va associato quello di ostile
come ci che ci minaccia dallinterno. Pur essendo pienamente interno al soggetto, das
Ding il suo assoluto Altro.
Se Freud lo pone al di l del principio del
piacere laddove la forza vitale sintreccia
con la pulsione di morte , Lacan lo inscrive
nella sfera del godimento, diversa e opposta
a quella del desiderio: giacch il desiderio

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viene dallAltro, e il godimento dal lato


della Cosa 37. un altro modo, assai pi inquietante, di guardare alla passione del reale
che assilla il secolo. Da questo lato la Cosa ci
appare in tutta la sua minacciosa presenza.
Rotto il diaframma che la rende inattingibile
al desiderio, limperativo del godimento ci
avvicina al cuore della Cosa, al suo nucleo incandescente. Allora essa, non pi coperta
dalle barriere protettive che ci riparano dai
suoi raggi brucianti, ci appare in una vicinanza nauseante e violenta. Allorch si squarcia il velo che la copre cio la rete simbolica che aggrega lesperienza umana nella
connessione dei rapporti sociali il Reale si
mostra nel suo aspetto terrificante. Esso
quanto resta della realt, una volta privata
del suo supporto fantasmatico. Quando ci
accade, la Cosa non pi barrata come
nellinfinito rimando del desiderio ma
direttamente presente. Questa desublimazione delloggetto provoca un collasso dello

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spazio simbolico a favore di un rapporto immediato con lAltro. Tentando, invano, di impadronirci della Cosa, ne veniamo catturati
in una forma che insieme ci terrorizza e ci
disgusta 38.
iek richiama la scena conclusiva del film
Matrix, in cui il protagonista, rientrato nello
scenario devastato dalla guerra planetaria,
accolto dal capo della resistenza Morpheus
con un ironico benvenuto nel deserto del
reale 39. Spogliato del suo significato ulteriore, schiacciato sulla propria immanenza, il
reale ci mostra il suo volto mortifero. Esso
sta sempre un passo oltre quanto siamo in
grado di sopportare come accade per il
film, insostenibile, di Pasolini Sal. Tra ci
che solo reale vale a dire socialmente mediato e il Reale, inteso nel suo aspetto eccessivo, passa la stessa distanza che separa
un semplice tatuaggio dalle ferite che si
autoinfliggono i cutters. O anche i cosiddetti
snuff pornografici in cui gli attori vengono

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sottoposti a tortura reale dai normali film


erotici. In questa ulteriorit c insieme un
compimento e uninversione di senso.
Quando la realt si fa integrale, raddoppiandosi nelliperrealt, lascia intravedere una
faccia virtuale, altamente spettacolare.
Lesplosione delle Torri Gemelle, spesso
interpretata come il ritorno del reale in un
mondo di illusioni, porta dentro, indissociabilmente intrecciati, questi due aspetti.
Essa, nella sua violenza inaudita, precisamente il Reale spinto al di l di se stesso.
Replicata infinite volte sui teleschermi,
quella scena pu apparire, allo stesso tempo,
come ci che ci immette nel deserto del
reale e come un prodotto della televisione
lultimo, e pi impressionante, film di Hollywood. Allinizio del nuovo secolo la reversibilit piena: come la tendenza postmoderna
si rovescia, a un certo punto, in un nuovo
realismo, cos questo attinge nuovi effetti
speciali. Nel momento in cui il virtuale

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sirrigidisce nel reale, il reale sembra divenire esso stesso virtuale. Non per nulla c
chi ha visto nellattentato alle Due Torri un
culmine dellarte contemporanea. Un evento
spettacolare che sorpassa insieme realt e
apparenza nella loro indiscernibile indistinzione. Probabilmente la nostra incapacit
di sostenere lincontro diretto con la Cosa a
tramutarla in incubo una miscela orribile
di sogno e realt. Ci che si definisce ritorno
del reale nasconde, al suo interno, questo
vortice annientante. La cosa ci viene sottratta dallo stesso movimento che ce
lapprossima.

Capitolo terzo
Corpi
1. Lo statuto del corpo.
Pu apparire singolare che il corpo umano
sia stato a lungo escluso dallorizzonte del diritto. Da sempre conteso fra poteri diversi
lo Stato, la Chiesa, lindividuo che ne rivendicano la propriet, esso non ha mai goduto
di una adeguata definizione giuridica. Inserito, allalba della modernit, nella Magna
Cartha attraverso la formula dellhabeas corpus, il corpo scompare dalle codificazioni
civili europee, costruite intorno alla trama
astratta di soggetti disincarnati. Evocato solo
relativamente ai momenti estremi della nascita e della morte, esso, considerato un dato
naturale, non sembrato richiedere una specifica attenzione giuridica. Tale esclusione,

129/237

del resto, il portato inevitabile della grande


divisione che organizza il nostro modo di
pensare. Non rientrando compiutamente n
nella categoria di persona n in quella di
cosa, il corpo delluomo stato cancellato
come oggetto di diritto e lasciato oscillare fra
luna e laltra. In verit, fino a qualche decennio fa, la tendenza prevalente, in linea con la
tradizione romanistica, stata quella di assimilarlo alla persona. In base alla formulazione secondo la quale il corpo di un
uomo libero non pu mai diventare oggetto
di stima economica, si sempre evitato laccostamento alla cosa. Cos, non esistendo
stazioni intermedie fra cosa e persona, non
rimasto che situarlo nellorbita di questultima. Pur con tutte le contraddizioni rilevate,
Kant a tirare la conclusione pi netta:
luomo

non

pu

disporre di se stesso,
poich non una cosa:
egli non una propriet

130/237

di se stesso, poich ci
sarebbe

contraddit-

torio. Nella misura, infatti, in cui una persona, egli un soggetto,


cui pu spettare la propriet di altre cose 1.

A tale tesi si rif larticolo 1128 del Code


civil, che esclude il corpo dalle cose in commercio, come anche quello della Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea (3.2),
che vieta di fare del corpo umano e delle
sue parti in quanto tali una fonte di lucro 2.
Ma contraddittoriamente tali divieti,
proprio dichiarando il corpo persona, hanno
leffetto non voluto di ricondurlo allo statuto
della res, sia pure extra commercium. Sostenere, infatti, che qualcosa non sia oggetto
di mercato, non equivale a escluderla
dallambito delle cose. Una difficolt ancora
maggiore si delinea quando si consideri il

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corpo umano non in astratto, ma situato nel


tempo e nello spazio. Quanto al primo,
opinione comune che la morte faccia entrare il corpo nella categoria delle cose 3. A
tale proposito Pierre Legendre ricorda il caso
di san Spiridione, vescovo di Cipro nel IV
secolo, il cui cadavere mummificato fu
portato a Corf da una famiglia cipriota in
fuga dai Turchi, come parte del suo patrimonio privato fino a divenire dote per le figlie.
Simile ambivalenza si ripropone anche in ordine a ci che il corpo umano prima della
nascita, allorch ancora un embrione. Da
quando, e fino a quando, esso pu essere
considerato persona, anzich cosa? Il
trafugamento di cadavere, oppure di embrioni, va considerato alla stregua di un rapimento come se si trattasse di una persona o
di un furto come fosse una cosa?
Linterrogativo si pone in maniera ancora
pi irresolubile allorch il corpo considerato, anzich nel suo insieme, nelle singole

132/237

parti nei suoi prodotti o nei suoi organi


separati 4. In generale una parte del corpo,
una volta staccata da esso, trattata come
cosa. Tuttavia tale opzione non priva di
controindicazioni, almeno per quanto riguarda determinati organi. Se la questione
non si pone per denti, unghie, capelli, una
volta estratti o tagliati, perch facilmente
riconducibili allo stato di res nullius, pi
complesso, per il suo rilievo simbolico, il
caso del sangue. Bench considerato irriducibile alla cosa, esso non di rado commercializzato in vista di trasfusioni. Ma unindecisione giuridica ancora pi marcata si
verificata nel caso giudiziario della cistifellea
estratta a un malato e usata, per le sue propriet terapeutiche, per la preparazione di un
farmaco. A chi essa apparteneva alluomo,
allospedale o alla ditta farmaceutica? In un
caso come questo la mancata attribuzione di
una parte del corpo al regime della cosa finisce per impedirne una stabile definizione

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giuridica. Ritenere, daltra parte, che un organo corporeo staccato dal corpo, o anche il
corpo intero dopo la morte, cambi natura,
passando dallorizzonte della persona a
quello della cosa, rimane poco convincente.
Se un corpo, o una sua parte, mai stato persona, continuer a esserlo in ogni condizione; se, invece, a un certo momento diventato cosa, vuol dire che lo era fin dallinizio 5.
Da qualsiasi parte si consideri la questione, non si esce da una serie di antinomie
che sembrano minarne qualsiasi risoluzione.
Che il corpo possa essere ridotto a cosa
contrario alla nostra sensibilit. Ma che sia
sempre equivalente alla persona contrasta
con la logica. Lirresolubilit del problema
nasce evidentemente da un lessico giuridico,
ancora fondato sullantica divisione tra persone e cose, che non regge pi di fronte alle
straordinarie trasformazioni in atto. Il corpo
umano, nella sua sporgenza rispetto a

134/237

entrambe le categorie, testimonia della loro


inadeguatezza concettuale. Non solo esso
non classificabile n come persona n come
cosa, ma, nelle domande sempre nuove che
pone al diritto, ne richiede una urgente riformulazione. In realt nel corso degli ultimi
decenni la giurisprudenza si andata progressivamente aprendo a quella vita che
aveva lasciato a lungo fuori dai propri confini. Gi alla met del secolo scorso, ad esempio, la normativa che regolava la trasfusione
del sangue immetteva il bios nello spazio
formalizzato del diritto in riferimento a un
elemento che non risultava ascrivibile n alla
dimensione della persona n a quella della
cosa. Successivamente la legge sul prelievo di
organi per trapianto da cadaveri di uomini
che non avessero dichiarato da vivi una
volont contraria rompeva il rapporto esclusivo tra corpo e singolo individuo, facendo di
esso una sorta di bene collettivo. La proposta, adottata nel 1998 dallAssemblea

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Generale delle Nazioni Unite, di qualificare il


genoma umano patrimonio comune
dellumanit portava tale processo ancora
pi avanti. Ma il passaggio decisivo sarebbe
venuto con lo sviluppo impetuoso delle biotecnologie. La pratica sempre pi diffusa
del trapianto rendeva improponibile anche
lidentificazione tra corpo e persona. Senza
trascurare le derive commerciali dello scambio di organi, la logica complessiva che si
messa in moto va nel senso di una circolazione sociale del corpo fuori dal mercato
delle cose, ma anche oltre i confini della persona 6.
Non bisogna interpretare tale mutazione
come revoca di quella che da pi parti proclamata sacralit della vita ma come un
suo trasferimento dallambito del proprio a
quello del comune dovuto alla mutazione di
entrambi i termini dellespressione. Che il
concetto di vita abbia subto una radicale
ridefinizione dopo la scoperta del genoma

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fin troppo ovvio. Ma un simile mutamento


investe anche quello di sacralit. Proprio il
diritto romano, del resto, connetteva le res
sacrae alle res communes. Esse, pur nel loro
diverso statuto, condividevano la condizione
di cose extra patrimonium ed extra commercium. In Gaio alla prima distinzione tra
cose che sono in nostro patrimonio e cose
che non lo sono, succede quella tra res
divini iuris e res humani iuris, suddivise a
loro volta in publicae e privatae. Secondo
una tipica procedura del diritto romano, ogni
categoria si sdoppia in ulteriori ramificazioni. Cos le res publicae non coincidono
con le res communes. Mentre questultime,
quali laria o lacqua, non appartengono a
nessuno, le prime, come teatri o mercati,
sono una compropriet dei cittadini. A loro
volta le res divini iuris si dividono in sacrae,
consacrate al culto, religiosae, comprendenti
i sepolcri, le salme o le ceneri, e sanctae,
come le mura e le porte della citt. Tuttavia,

137/237

nonostante la loro differenza, tutte le cose divine condividono con quelle pubbliche la caratteristica di non essere appropriabili da
parte di privati. Al punto che in et repubblicana, ma anche in quella imperiale, cose
sacre e cose pubbliche si situano in unorbita
giuridicamente omogenea e sono sottoposte
al medesimo regime amministrativo, fiscale
e penale, nel senso che sono protette dalle
stesse interdizioni. E ci non perch quello
che era pubblico venisse considerato sacro,
ma perch il sacro, non potendo essere
privato, era percepito come pubblico.
Qualcosa del genere pu esser detto per il
corpo umano, in un certo senso assimilabile
proprio alla dimensione delle res sacrae 7.
Non coincidente con la maschera della persona, ma irriducibile anche allappropriabilit della cosa, esso riportabile a quel genere
terzo costituito dalla res sacra. Non appartenente allo Stato n alla Chiesa, ma
neanche, esclusivamente, alla persona che lo

138/237

abita, il corpo deve la propria intangibilit al


fatto di essere eminentemente comune. Non
soltanto nel senso, ovvio, che tutti hanno un
corpo. Ma anche in quello, pi intenso, che
ogni corpo umano patrimonio dellumanit
nel suo complesso. Esso non , certo, cosa da
sfruttare o consumare, ma neanche, propriamente, persona giuridica. Come ebbe a
scrivere Simone Weil nel saggio gi citato, a
essere sacro, nel corpo umano, non il suo
nucleo personale, ma, al contrario, quello
impersonale: ci che sacro, ben lungi
dallessere la persona, ci che, in un essere
umano, impersonale 8. Contro ogni apologia della persona, che proprio in quegli anni
toccava il suo culmine, la Weil rivendica,
nelluomo, ci che sta al di l, ma anche al di
qua, di essa. Che ella si riferisca appunto al
corpo, assunto nella sua assoluta inviolabilit, lo aveva chiarito appena prima con un
esempio di bruciante evidenza:

139/237

Ecco

un

passante

per la strada che ha


delle

lunghe

braccia,

degli occhi celesti, una


mente dove si agitano
pensieri che ignoro ma
che forse sono mediocri
[].

Se

umana

la
in

persona
lui

cor-

rispondesse a quanto
per me sacro, potrei
facilmente cavargli gli
occhi. Una volta cieco,
sar
umana

una

persona

esattamente

come lo era prima. Non


avr assolutamente colpito in lui la persona
umana. Avr distrutto
soltanto i suoi occhi 9.

2. Potenza del corpo.

140/237

Se il diritto tende a cancellare il corpo, la


filosofia lo include nel proprio orizzonte
ma nella forma della sua subordinazione.
Senza ripetere il gesto escludente della
metafisica platonica, ma senza neanche lasciarselo del tutto alle spalle, il pensiero moderno situa il corpo nel registro delloggetto.
Esso ci che il soggetto riconosce, allinterno di se stesso, diverso da s. Per poterne
trattare, egli deve separarsene e tenerlo a
distanza. In questo senso la posizione di
Cartesio appare esemplare. Vero che la sua
intera filosofia pu essere considerata come
una riflessione sul corpo. Ma sempre da un
punto di vista a esso esterno e anzi definito
precisamente da tale esteriorit. vero che
parlare di dualismo rischia di riprodurre
uno stereotipo interpretativo. Tuttavia, pur
senza mai perdere di vista la relazione tra
mente e corpo, la prevalenza della separazione sullunit resta indubitabile. Come
egli spiega in uno dei pi celebri passi del

141/237

Discorso sul metodo, questo io, ovvero lanima per la quale io sono quel che sono, interamente distinta dal corpo, ed anzi pi
facile a conoscere di esso, ed anche se questo
non esistesse affatto essa non cesserebbe di
essere tutto ci che 10. Che lipotesi
dellinesistenza del corpo sia qui data per assurda non attenua la relazione negativa che
essa istituisce fra le due sostanze. La res cogitans si rapporta alla res extensa nel modo
di una insuperabile divisione. Non soltanto
la mente non coincide con il corpo, ma, per
riconoscersi nel proprio principio essenziale,
deve autonomizzarsi da esso. Nel momento
decisivo in cui il sapere sinterroga sulla propria legittimit, lintera esistenza sembra
contrarsi nella puntualit di una coscienza
incorporea. La matematica ne costituisce
lespressione privilegiata, perch mai come
in essa le cose si disincarnano in un profilo
ideale che ne assottiglia la realt fino a vanificarla. Il sapere matematico, vera scienza

142/237

dellanima, attesta lassoluta preminenza


della ragione sul corpo: mentre questo
sempre divisibile e particolare, quella indivisibile e universale. Se il corpo una macchina, la ragione il punto di comando che,
dallesterno, ne controlla il funzionamento.
Uninfinita differenza di rango passa tra le
due sostanze di cui fatto luomo.
Ma questo paradigma, largamente maggioritario nella riflessione moderna, non
lunico a caratterizzarla. A esso se ne affianca, e giustappone, un altro, meno continuo
e compatto, riconoscibile proprio dal rovesciamento dei rapporti di forza tra mente e
corpo 11. Alla sua origine vi il pensiero di
Spinoza. Il passaggio che egli compie dalla
duplice sostanza cartesiana ai due modi di
ununica sostanza, estesa e pensante, apre
una strada inedita. Non solo per lui non
neanche concepibile una mente priva di
corpo, ma il corpo costituisce loggetto esclusivo della mente: loggetto della nostra

143/237

Mente il Corpo esistente e niente altro 12.


Quel sapere che per Cartesio reso possibile
dalla separazione della mente dal corpo adesso condizionato alla unit indissolubile con
esso. Luno causa dellespansione, o della
contrazione, dellaltra. Si direbbe, anzi, che
tra i due sia proprio langolo di visuale del
corpo a rifrangersi produttivamente sul funzionamento della mente: Infatti pi il
Corpo adatto a essere affetto in molti modi,
e a modificare in molti modi i corpi esterni,
tanto pi la Mente adatta a pensare 13.
Alla prospettiva cartesiana di un corpo chiuso allintelligenza del mondo, subentra la
convinzione che solo attraverso di esso la
mente pu conoscere adeguatamente le cose.
La corporeit, per Spinoza, origine di conoscenza, tramite di esperienza, occasione di
sorpresa. Egli prosegue:
In effetti, che cosa
propriamente possa il

144/237

Corpo,

nessuno

lha

ancora determinato []
e questo dimostra a sufficienza che lo stesso
Corpo, in base alle sole
leggi della sua natura,
pu molte cose di cui la
stessa Mente si meraviglia 14.

Piuttosto che semplice meccanismo, come


ritengono Cartesio e Hobbes, esso un tessuto di nessi simbolici allinterno dei quali
soltanto la realt assume consistenza. Il
corpo ci mette in grado di cogliere le cose
non
isolatamente,
ma
nellinsieme
complesso da cui ricevono significato. Soggetto e oggetto di pensiero, rigidamente separati da Cartesio, sincastrano in un
medesimo blocco di senso costituito precisamente dalla loro connessione. Come non esistono cose fuori della coscienza che le comprende, cos non esistono coscienze

145/237

precedenti il rapporto costitutivo con il


mondo. Allorigine, come alla fine del processo, non c lilluminazione di un soggetto
conoscente, ma la potenza infinita della vita.
Non a caso Spinoza decostruisce in radice
il dispositivo escludente della persona. Ci
vale sia per la sostanza divina, coincidente
con lordine impersonale del reale, sia per
quella umana, sottratta allo sdoppiamento
del soggetto cartesiano e ricostituita nella
sua pienezza ontologica. Contro la solitudine
di un cogito concentrato intorno al proprio
principio interiore, il sapere del corpo si
rivela strumento di connessione, tramite di
socievolezza, potenza aggregante: il corpo
umano, per conservarsi, ha bisogno di moltissimi altri corpi 15. Laffermazione, di carattere ontologico, ha unevidente risonanza
politica. Gli uomini prosperano solo se uniscono i loro corpi in un organismo collettivo
cui si pu dare il nome di moltitudine. Qui
davvero il pensiero moderno sembra

146/237

spaccarsi in due direzioni divergenti. Se per


Hobbes la conservazione degli uomini,
rispetto al rischio di morte violenta che li insidia, assicurata dalla loro separazione, per
Spinoza, al contrario, condizionata alla capacit di intessere relazioni:
Alluomo, quindi, niente

pi

utile

delluomo; gli uomini,


cio, non possono desiderare per la conservazione del proprio essere niente di pi eccellente se non che tutti
concordino in tutto, in
modo che le Menti e i
Corpi

formino

quasi

una sola Mente e un


solo Corpo 16.

Sembra quasi di sentire, allaltro polo del


quadrante filosofico della modernit, le

147/237

parole di Giambattista Vico anchesse


rivolte alla connessione profonda tra ragione
e corpo 17. Mai come nella sua Scienza,
allorigine del mondo non vi lassolutezza
del soggetto, ma la commistione dei corpi.
dalla loro pressione che origina la storia, con
tutto ci che essa implica sul piano del
sapere e del potere. Di quellinizio in cui le
menti degli uomini erano tutte immerse ne
sensi, tutte rintuzzate dalle passioni, tutte
seppellite ne corpi 18 nulla definitivamente perduto, come dimostra il fatto che
molti nomi di cose inanimate derivano appunto da organi corporei. Anche da un punto
di vista linguistico le cose nascono dai corpi.
Non possibile sottovalutare leffetto di
rottura di queste pagine nei confronti del
pensiero moderno. Al loro centro vi il
mutamento di ruolo che investe il corpo. A
modificarsi non solo il suo peso nei confronti della coscienza, ma il punto prospettico da cui tale rapporto guardato.

148/237

Allocchio della mente subentra, o si affianca,


quello del corpo. Da quando ebbe inizio la
contemplazione del cielo fatta con gli occhi
del corpo 19, narra Vico, questo rimasto al
centro della storia umana. E ci anche
quando essa sembrata prendere la strada
opposta di una progressiva astrazione. Certo,
a questultima gli uomini devono il transito
dalla stagione primitiva alla civilt dispiegata. Ma anche le crisi in cui periodicamente
precipitano, rischiando di smarrire le conquiste fino allora conseguite. Il motivo di tale
arretramento risiede in unalterazione
dellequilibrio che regge il rapporto fra
comune e proprio a favore di questultimo. Ma rimanda anche alla rottura del
nesso, stabilito fin dallorigine della storia,
fra ragione e corpo. Il prevalere della ragione
sul corpo parallelo a quello del proprio sul
comune, del privato sul pubblico, dellutile
individuale sullinteresse collettivo. Ci accade quando la spinta allimmunit ha la

149/237

meglio sulla passione della comunit. Per


proteggersi, gli uomini comprimono la potenza del corpo entro apparati di controllo
che li vincolano agli ordini di volta in volta
statuiti. Ma, cos facendo, finiscono per allentare il contatto con le fonti stesse della
vita. Lunica maniera per ritrovarle consiste
nel riaprire gli orizzonti della mente alla vitalit del corpo.
Al compimento di questo percorso vi il
pensiero di Nietzsche. La sua decostruzione
radicale delle categorie moderne coincide
con un pensiero del corpo anche nel senso
soggettivo del genitivo: il corpo pensa perch
esso stesso animato destinato a inaugurare un nuovo linguaggio. Alla domanda se la
filosofia non sia stata altro che un ininterrotto fraintendimento del corpo 20,
Zarathustra risponde che vi pi ragione
nel tuo corpo che nella tua migliore sapienza 21. Contro coloro che definisce i dispregiatori del corpo, egli rilegge lintera

150/237

storia dellEuropa attraverso il filo conduttore del corpo 22. Ci riguarda innanzitutto
il piano del sapere, volto a controllare, disciplinandoli, gli istinti corporei. Ma anche
quello del potere, sempre pi inscritto in dinamiche biopolitiche. Quando osserva che
la grande politica afferma la fisiologia
sopra tutti gli altri problemi 23, Nietzsche si
riferisce alla centralit assoluta assunta dal
corpo degli individui e delle popolazioni in
un mondo non pi interpretabile attraverso
le categorie moderne dello Stato sovrano e
dei diritti individuali. Non c politica che dei
corpi, sui corpi, nei corpi non in opposizione allo spirito, ma in un intreccio che lo
integra nel bios come integrale forma di vita.
La formula, fin troppo nota, della volont
di potenza non si riferisce solo al carattere
vitale della politica, ma anche a quello,
politico, della vita. Il corpo il terreno in cui
le forze degli uomini si scontrano in una lotta
senza tregua, la cui posta la definizione

151/237

stessa di ci che siamo. Ma anche di ci che


possiamo diventare. Tutto quellinsieme di
protocolli, decisivi quanto delicati, che assumer il nome di antropogenetica ha una
esplicita radice nel pensiero di Nietzsche.
Quando egli si chiede perch non dobbiamo
realizzare nelluomo ci che i Cinesi riescono
a fare con lalbero sicch esso da una parte
produce rose, dallaltra pere 24, il rischio
contenuto in queste espressioni non va sottovalutato. Ma neanche la novit che esse segnano rispetto a una tradizione umanistica
ormai esausta. Se ancora a met Novecento
Heidegger potr sostenere che luomo pi
vicino a Dio che allanimale dal momento
che solo egli formatore di mondo, di
fronte allanimale povero di mondo e alla
pietra senza mondo 25 Nietzsche, anticipato da Darwin, ricollega la storia umana
alla sfera della natura. Nellessere umano
proprio la dotazione innata ad aprire una
gamma di possibili variazioni, a loro volta

152/237

destinate a riflettersi retroattivamente sul


suo corredo genetico. Luomo lanimale
programmato a mutare di continuo la propria programmazione. Da questo punto di
vista la tecnica non necessariamente contrapposta alla natura, anzi, per quanto riguarda la nostra specie, scaturisce proprio da
essa. tecnico ogni movimento del nostro
corpo e ogni suono della nostra voce. Come
stato osservato 26, la natura umana manifesta una tecnicit originaria che siamo non
solo liberi di assumere, ma chiamati a
sviluppare.
3. Esistere il corpo.
Il motivo per il quale il corpo eccede la
grande divisione tra cose e persone sta nel
fatto che non ascrivibile n alle une n alle
altre. Come scrive Merleau-Ponty, il termine esistere ha due significati, e due soltanto: si esiste come cosa o si esiste come

153/237

coscienza. Per contro, lesperienza del corpo


proprio ci rivela un modo di esistenza ambiguo 27. La sua rilevanza filosofica sta appunto nella capacit di forzare lordine binario della tradizione cartesiana, attraverso il
riferimento a unentit non riducibile alle
categorie di soggetto e di oggetto. Che,
bench regolarmente oggettivato da un atteggiamento di tipo scientista, il corpo
sporga dalla dimensione delloggetto, affermato dallintera riflessione fenomenologica.
Se per Husserl il mio corpo lunico a non
esser mero corpo fisico [Krper], ma proprio
corpo vivente [Leib] 28, per Sartre il suo significato spesso oscurato dal fatto che si
pone in primo luogo il corpo come una certa
cosa [] 29, mentre per Marcel evidente
che il mio corpo sono, in tal senso, io stesso:
perch non me ne posso distinguere che a
condizione di convertirlo in oggetto 30.
Certo, posso considerare i miei occhi, o le
mie mani, un frammento di materia,

154/237

includendoli cos nello spazio degli oggetti


esterni, ma qualcosa sfugge e si ribella a tale
tentativo. Fra i due piani passa una differenza incancellabile: mentre loggetto scompare dal mio campo visivo appena rivolgo il
mio sguardo altrove, non posso smettere di
percepire il mio corpo. Esso l, non di
fronte a me, ma con me, stretto alla mia coscienza in un nodo insolubile. Io non ho, ma
sono, il mio corpo. Bisognerebbe, annota
Sartre, rendendo transitivo il verbo, dire io
esisto il mio corpo: questa la sua prima dimensione dessere 31. In gioco una diversa
posizione nello spazio. Piuttosto che collocato in esso come gli altri oggetti, il corpo
lorizzonte percettivo in cui quelli si situano.
Se delloggetto esterno posso di volta in volta
scegliere langolo di visuale da cui osservarlo,
non cos per il mio corpo. Non posso
vedere tutte le sue parti, se non allo specchio,
n girargli intorno. Per poterlo fare, dovrei
uscire da me stesso attraverso un secondo

155/237

corpo, indipendente dal primo, che si misuri


con esso dal di fuori. Ma in tal modo sarei altro da quello che sono. Qualsiasi sforzo faccia per afferrarlo dallesterno, il mio corpo
mi riafferra ancora prima perch la sua esistenza la condizione preliminare di ogni
mio gesto. Per quanto cerchi di dimenticarlo,
esso permane l dove era. anzi la permanenza assoluta che serve da sfondo alla permanenza relativa degli oggetti suscettibili di
eclissi 32.
Ci non vuol dire solo che il corpo vivente
non appartiene alluniverso materiale degli
oggetti, ma anche che la condizione trascendentale della loro esistenza. Se facessi del
mio punto di vista una prospettiva fra le
altre, lintero mondo che mi circonda si offuscherebbe di colpo. Noi percepiamo loggetto soltanto perch situato in fondo alle
nostre dita o ai nostri sguardi 33 toccato,
sentito, sollecitato dai terminali del nostro
corpo: Lo sguardo avvolge, palpa, sposa le

156/237

cose visibili [] cosicch non si pu dire se


lo sguardo o sono le cose a comandare 34. Il
corpo ci che fa delloggetto una cosa. Per
potere esser tale, cosa tra le cose, loggetto
deve manifestarsi agli organi sensoriali come
qualcosa di presente. Ma anche scomparire
nel momento in cui mi distolgo da esso, escludendolo dal mio campo visivo. Che si
tratti di una cosa reale, e non di un oggetto
immaginato, attestato dal fatto che potrebbe anche non esserci. In questo modo va
interpretata la proposizione di MerleauPonty secondo cui il mio corpo non mai
un oggetto [] proprio perch ci grazie a
cui vi sono degli oggetti 35. Lesistenza degli
oggetti garantita dalla resistenza del mio
corpo nei loro confronti e viceversa. La coscienza, da questo punto di vista, la tensione
verso le cose mediante il corpo, come il corpo
ci che collega le cose alla coscienza. Le
due prospettive vanno sovrapposte in un
unico blocco di senso. Muovere il nostro

157/237

corpo significa tendere verso le cose. Ma


questo possibile solo se il corpo non una
di esse. Che luomo sia cosa unaffermazione accettabile solo se ci si riferisce a
qualcosa presupposta allesistenza di ogni altra. Come afferma Helmuth Plessner, luomo
esperisce se stesso come cosa e come interno di una cosa, che tuttavia si distingue assolutamente da tutte le altre cose perch egli
quella cosa 36.
Ci che lega uomo e cosa dunque il
corpo. Fuori dalla connessione che esso assicura, i due elementi sono destinati a separarsi in un modo che necessariamente subordina luno allaltro. Solo dal punto di vista
del corpo, essi ritrovano il vincolo originario
che la grande divisione ha interrotto: il
corpo ci unisce direttamente alle cose in
virt della sua propria ontogenesi, dal momento che le cose non sono altro che il prolungamento del mio corpo e il mio corpo il
prolungamento del mondo 37. Non si tratta

158/237

di un mero accostamento, ma di una reale


compenetrazione. Soltanto il corpo in
grado di riempire lo iato che due millenni di
diritto, teologia e filosofia hanno scavato fra
cose e persone, ponendo le une nella disponibilit delle altre.
In realt non si pu dire che la fenomenologia colga a pieno il significato di questa
contaminazione tra corpo e cosa. E ci perch il linguaggio di Husserl resta, nonostante
le sue proiezioni verso lalterit, nellorizzonte semantico della persona. Quello cui egli
si riferisce rimane, alla fine, il corpo
proprio, connotato in senso prevalentemente spirituale. Sempre a esso si riferisce
lesperienza della percezione, in una forma
che Merleau-Ponty sviluppa e perfeziona,
senza per mai del tutto superare. Le mani
che si toccano reciprocamente, o sfiorano le
cose, restano quelle di un soggetto che pu
avvertire laltro essere solo grazie alla propria esperienza interiore. Per quanto

159/237

compresa e assimilata, la cosa rimane oggetto di chi si rapporta a essa sempre a


partire da s. Solo dove la tradizione
fenomenologica decostruita e rovesciata
nella sua esteriorit pi radicale, corpo e
cosa possono tornare a incrociarsi, e reciprocamente penetrarsi, in unattitudine diversa. Ci accade quando il corpo smarrisce
lassoluta propriet di se stesso nella modalit della protesi tecnica. Solo allora un frammento di corpo altrui, o una cosa non corporea, fa del corpo umano lo spazio non pienamente appropriabile, perch ulteriore, o
precedente, alla dicotomia fra soggetto e oggetto, interno ed esterno, pensiero e corpo
vivente. Nel racconto filosofico del proprio
trapianto di cuore, Jean-Luc Nancy si
esprime con queste parole:
Il

mio

ventava

cuore
il

dimio

straniero: giustamente
straniero

perch

si

160/237

trovava dentro di me.


Lestraneit

infatti

doveva venire dallesterno solo perch era


sorta

prima

dallinterno. [] Lintrusione di un corpo estraneo

al

pensiero.

Questo vuoto rester


per me come il pensiero
stesso

contempor-

aneamente come il suo


contrario 38.

lo stesso autore che punta, attraverso le


peripezie del corpo, al cuore delle cose 39.
unespressione, questa, che tutti noi
usiamo spesso, nel significato di stabilire un
confronto senza filtri devianti con la realt di
una situazione. Ma che dovremmo provare a
declinare anche nel suo senso pi letterale.
Come gli esseri viventi, le cose hanno un

161/237

cuore. Sepolto nella loro fissit. O nel loro


movimento muto. Un cuore, come si dice, di
pietra. Ma di una pietra che non ricorda il
freddo della morte. Una pietra viva e pulsante, in cui si concentra unesperienza antica, o anche contemporanea, ancora palpabile, visibile, riconoscibile. Fino a che, almeno, quella cosa resta tale appunto quella
e non altra. Checch se ne voglia dire, ci
non pi possibile quando le cose entrano
nel circuito della produzione seriale, nella
quale smarriscono la loro potenza simbolica
rispetto a quella ancora rappresa nei
manufatti.
Ma ci vale fin quando restano numeri di
uno stock, allineate senza volto allinterno di
un magazzino. Appena entrano nelle nostre
case, ritrovando un rapporto col nostro
corpo, le cose ritornano a essere particolari,
come se acquistassero ciascuna un nome
proprio, secondo la paradossale idea di
Locke poi ripresa da Borges 40. Da quel

162/237

momento cominciamo a sentirci legati a esse


da un vincolo che va ben al di l del loro
prezzo di mercato. Quelle cose portano impresse le impronte delle nostre mani, i segni
dei nostri sguardi, il profilo della nostra esperienza 41. Se sono le cose che ci fanno intelligenti 42, in esse si stratificano significati
irriducibili al piano cognitivo. il nodo simbolico in cui la loro vita sintreccia con la
nostra. Come sono i corpi a conferire vita alle
cose, cos esse modellano quelli. Ha scritto
una volta Pasolini che leducazione data ad
un ragazzo dagli oggetti, dalle cose, dalla realt fisica [] rende quel ragazzo corporeamente quello che e quello che sar per
tutta la vita. A essere educata la sua carne
come forma dello spirito 43.
A questo colloquio segreto tra noi e le cose,
al modo con cui esse penetrano nella nostra
vita, spesso trasformandola, si riferiva anche
Wittgenstein quando, nelle Ricerche filosofiche, affermava che la sedia pensa tra s

163/237

44

e s . Dire che una cosa pensa, secondo


quellassonanza tra Ding e Denken gi rilevata da Hegel, non significa farne un idolo, un
oggetto di feticismo. Piuttosto che noi
pensiamo anche attraverso di essa; che le
cose, come sosteneva Bergson, sono il luogo
da cui nascono le nostre percezioni 45. Le
cose incidono su di noi almeno quanto noi
incidiamo su esse. Come le cose non possono
vivere senza di noi, noi non possiamo vivere
senza di loro. Certo, si pu sostenere che
nessuna civilt, quanto la nostra, distrugga
tanto facilmente le cose. Che spesso ci sembrano superate, o deperite, prima ancora di
essere usate. Non per nulla, dopo aver cercato a lungo di costruire cose indistruttibili,
oggi cerchiamo quelle naturalmente deperibili, come accade per la plastica.
Ma ci sono cose che resistono a tale forza
dissolutiva. Cose che rimangono preziose
per alcuni un gioiello, per altri un abito, per
altri ancora un libro. O qualcosa di ancora

164/237

pi minuto e apparentemente insignificante,


come uno spago, un pezzo di stoffa o un
ritaglio di carta ricondotte, lungo un filo
che va da Rilke a Benjamin, al centro della
nostra esistenza onirica e reale. Pessoa, nel
Libro dellinquietudine, confessa il suo
amore per le cose minime, senza importanza,
che sanno di irrealt 46. Ma che lasciano affiorare il mistero dellesistenza. Nessuno pi
di Eugenio Montale ha colto questo nesso tra
vita delluomo e vita delle cose quando,
rivolto a Dora Markus, ha scritto:
Non so come stremata
tu resisti
in questo lago
dindifferenza ch il
tuo cuore; forse
ti salva un amuleto che
tu tieni
vicino alla matita delle
labbra,

165/237

al piumino, alla lima:


un topo bianco
davorio; e cos esisti! 47.

4. Lanima delle cose.


Secondo una tesi diffusa, a comunit caratterizzate soprattutto dal rapporto fra gli
uomini, sarebbero subentrati sistemi sociali
di tipo individualistico, orientati invece alla
relazione tra uomini e cose. Ci vero solo se
si riduce il ruolo delle cose a quello, mercantile, di oggetti di scambio contrapposti alle
persone che ne fanno uso. appunto quanto
osserva Marcel Mauss:
Noi viviamo in societ

che

distinguono

nettamente [] i diritti
reali dai diritti personali, le persone dalle

166/237

cose.

Questa

arazione

sepfonda-

mentale:

essa

costituisce la condizione stessa di una parte


del nostro sistema di
propriet,

di

ali-

enazione e di scambio 48.

Tuttaltro che originario, insomma, tale


dispositivo binario si sovrappone, cancellandole, ad altre forme di relazione, come
quelle del dono o del potlac, in cui si fondono persone e cose 49. Protratte a lungo in
area indiana e germanica, se ne trovano
tracce perfino nel diritto romano arcaico, in
particolare nella pratica del nexum vale a
dire di quellistituto, cui si gi fatto riferimento, che poneva il corpo dei debitori insolventi nella piena disponibilit dei creditori. La res allora, piuttosto che oggetto

167/237

passivo di transazione, anche dopo essere


passata di mano, restava legata al primo proprietario da un vincolo che obbligava il
nuovo possessore fin quando non fosse liberato dallesecuzione del contratto. Prima che
ci non fosse avvenuto, egli rimaneva reus,
ovvero secondo lantico genitivo in os di
res letteralmente posseduto dalla
cosa 50. Appena acquisitala, il ricevente si
riconosceva nella disponibilit del donatore
fino al pagamento, impegnando come garanzia il proprio corpo. Contravvenendo alla logica della grande divisione, insomma, la dinamica dello scambio donativo ruotava intorno al principio della personalit della
cosa.
Allorch i romani iniziarono a distinguere
fra actiones in rem e actiones in personam,
separando persone e cose, leconomia del
dono ha continuato a praticarsi in ambiti
culturali rimasti estranei alla pratica mercantile. Ad assimilarli una concezione che

168/237

attribuisce unanima alle cose donate,


ricevute e restituite. Tuttaltro che separate
dalla sfera delle persone, esse ne appaiono
parte integrante, al punto da agire potentemente su di loro: le cose possiedono virt
speciali e fanno parte delle persone
umane 51. Esse entrano in un rapporto, al
contempo protettivo e rischioso, con gli
uomini che le scambiano, arrivando a segnarne il destino. Nelle culture brahmaniche,
addirittura, la cosa parla in prima persona
dammi, chiede al donatore, ricevimi, intima
al donatario, e poi restituiscimi, se vuoi
vivere ancora. Il luogo dove si esercita il
potere della cosa, e prima ancora la sua
metamorfosi in persona, il corpo degli individui e delle comunit, di cui essa diviene
una componente interna.
A tal proposito Mauss richiama lo hau,
vale a dire lo spirito delle cose (taonga)
donate presso i Maori, in un rito che ha
destato la curiosit degli interpreti: Voi me

169/237

ne date uno, io lo do a una terza persona;


questultima me ne d un altro perch
spinta a fare ci dallo hau del mio regalo; ed
io sono obbligato a darvi questo oggetto, perch necessario che vi renda ci che in realt
il prodotto dello hau del vostro taonga 52.
A colpire, in questa pratica rituale, la sua
struttura triadica 53. Anzich restituire semplicemente la cosa avuta, il donatario la gira
a un terzo, che gliene rende in cambio unaltra, a sua volta destinata al primo donatore.
Perch mai questo passaggio ulteriore, che
complica il rapporto diretto fra dare e avere?
Il motivo che, per evitare lequivalenza assoluta delleconomia di mercato, necessario
produrre un leggero scarto differenziale tra
ci che si dato e ci che si riceve. Soltanto
in questo modo si rispetta la singolarit della
cosa, la sua specifica carica simbolica,
evitando di generalizzarla nella logica mercantile. Non solo, ma si crea una relazione
sociale che va al di l del rapporto a due a

170/237

favore di un cerchio pi ampio che coinvolge


lintera comunit. il principio che ha
presieduto
alla
circolazione,
insieme
volontaria e obbligatoria, delle ricchezze, dei
tributi e dei doni, in una larga parte del
mondo per un tempo incredibilmente lungo.
Al suo centro vi il rifiuto della dicotomia
binaria tra persone e cose:
si

tratta,

in

fondo,

proprio di mescolanze.
Le anime si confondono
con le cose; le cose si
confondono

con

le

anime.

vite

si

Le

mescolano tra loro ed


ecco come le persone e
le

cose,

confuse

in-

sieme, escono ciascuna


dalla propria sfera e si
confondono 54.

171/237

A consentire, e provocare, questa mistione


lambivalenza del corpo. Esso loperatore
muto del passaggio da un codice allaltro attraverso la catena dei simboli che la sua
stessa presenza produce 55. Ci che il corpo
impedisce che questi si separino dalle cose,
bloccando la circolazione sociale in un ordine gerarchico di tipo trascendente, in cui,
al dominio assoluto delle persone sulle cose,
faccia riscontro quello di alcune persone su
altre, esse stesse ridotte a cose. singolare
che tale prospettiva, presente in maniera irriflessa nelle societ arcaiche, torni nel dibattito contemporaneo allorch la logica bivalente della modernit pare aprirsi ad altri
paradigmi che gi la fecondavano dallinterno, ma che ora si liberano ai suoi margini esterni. Si tratta di quella relazione sagittale fra
origine e compimento, o fra arcaico e attuale,
ben presente a Nietzsche e Benjamin, che
spinge lo sguardo dello storico, e tanto pi

172/237

del filosofo, oltre le soglie di discontinuit


pi evidenti.
Al suo centro vi lodierno impatto della
tecnica su cose che non sono pi solo oggetti
e di soggetti sempre meno confinabili nel
dispositivo della persona. Di oggetti tecnici, come terreno di mediazione tra uomo e
natura, parlava gi agli inizi degli anni Cinquanta Gilbert Simondon 56. Essi portano
impressi al proprio interno i segni dellintelligenza necessaria a risolvere i problemi che
di volta in volta gli uomini si sono visti crescere intorno. Tuttaltro che semplici utensili,
subordinati allo scopo immediato del lavoro
manuale, contengono dentro di s una
quantit di informazione che li rende pregni
di operativit sociale. Non diversamente
dallo hau di Mauss, lobjet tecnique di Simondon ha una componente soggettiva che,
anzich asservirci al proprio potere magico,
potenzia la nostra capacit creativa. Soltanto
un malinteso antropocentrismo ci impedisce

173/237

di cogliere e utilizzare quanto noi stessi abbiamo elaborato e raccolto in una forma, insieme oggettiva e soggettiva, che continua a
vivere dentro la cosa quanto dentro di noi.
Questa consapevolezza non ha nulla a che
vedere con una sorta di antiumanesimo di
maniera, generalmente basato sullignoranza
del significato dirompente della grande tradizione umanistica italiana. Lidea che luomo
non abbia nessuna essenza precostituita, se
non quella che egli stesso si fabbrica, modificando di continuo la propria natura, al
centro della celebre orazione de hominis dignitate di Pico della Mirandola.
Naturalmente il ponte mobile che ci collega agli oggetti tecnici il nostro stesso
corpo. Non solo la mente, da cui essi traggono le loro caratteristiche funzionali e simboliche, ma anche i segni corporei che sono
depositati in essi nellatto della loro invenzione. Il passaggio di mano in mano, da
parte di chi li ha adoperati, crea un flusso

174/237

continuo che va al di l del singolo individuo


per coinvolgere quella dimensione transindividuale alla quale Simondon ha dedicato
la propria opera maggiore 57. Ricevere un oggetto tecnico da chi lo ha inventato e usato
vuol dire ricostruire una catena sociale non
lontana da quella che gli antropologi hanno
creduto di rintracciare nei riti donativi dei
popoli senza storia. Non sfugga il risvolto
metapolitico che lautore sembra ricavare da
tale caratterizzazione delloggetto tecnico.
Soltanto quando questo si sar emancipato
dalla sua riduzione servile a semplice strumento nelle mani delluomo, verr meno
anche il dominio di coloro che padroneggiano la tecnica su quelli che si limitano a
subirla:
Non verso la macchina che luomo, per
una riserva umanistica,
deve rivoltarsi. Egli

175/237

asservito alla macchina


solo quando questa, a
sua volta, asservita
alla

comunit

Lumanesimo

[].
tradiz-

ionale rimasto astratto allorch definiva


il potere di auto-determinarsi solo da parte
dei cittadini e non invece degli schiavi 58.

A una analoga conclusione pervenuto, a


qualche decennio di distanza, Bruno Latour,
quando, per superare la grande divisione
moderna fra natura e societ, ipotizza addirittura un parlamento delle cose 59. Vero
che per lui gi la modernit, pur teoricamente negandoli, ha fatto ampio uso di
ibridi, situati nel punto di incrocio tra
quasi-soggetti e quasi-oggetti. Ma quella
che, nellepoca moderna, era solo una faglia,

176/237

costituita lungo il filo del corpo, diventa, al


suo crepuscolo, un vero e proprio crepaccio.
A determinarsi una sorta di benefico controeffetto, originato per contrasto dallossessione bipolare: quanto pi le persone si separano dalle cose, tanto pi queste assumono,
nel tempo, caratteristiche umane. La linea
divisoria che a lungo ha contrapposto oggetti
scientifici e soggetti politici ormai infranta
da fenomeni costituiti a met fra natura e
storia, scienza e politica, persone e cose:
Lumano, ormai lo comprendiamo, non si
pu cogliere e salvare senza restituirgli
quellaltra met di s, la parte delle cose 60.
Non solo loggetto commisto di elementi
umani, solidificati e resi fungibili per altri
uomini, ma questi ultimi risultano, a loro
volta, attraversati da informazioni, codici,
flussi che nascono dalluso ininterrotto di oggetti tecnici. N le caratteristiche psicologiche n quelle fisiologiche degli uomini
sono indipendenti, sul piano percettivo e

177/237

cognitivo, dalla loro manipolazione delle


cose, al punto che li si potuti definire artefatti dei loro artefatti 61.
Ma chi pi di altri ha raccontato questo incontro, arcaico e postmoderno, di persone
non pi tali con cose non pi tali Peter Sloterdijk. A partire dai lavori di Gotthard Gnther su una nuova ontologia sociale 62, egli
ha elaborato una sorta di antropotecnica sul
margine di reciproca connivenza tra uomini
e cose. Senza rompere con il paradigma
heideggeriano, ma riconducendolo, per cos
dire, dallessere agli enti, egli contrappone ai
rischi dellallotecnica una omeotecnica
portatrice di inedite risorse. La differenza tra
le due sta nel fatto che mentre la prima
volta a un dominio assoluto sulla natura, la
seconda ne imita le procedure creative. Al
suo centro vi , ancora una volta, il superamento della grande divisione tra persone e
cose in una logica di nuova alleanza. Macchine intelligenti, opere darte, computer e

178/237

ogni altro tipo di artefatti ci immettono in


una dimensione che taglia trasversalmente la
loro scissione presupposta:
Rispetto agli artifici
di questo tipo la partizione concettuale fondamentale

(usata

nelle

culture pi evolute) tra


anima e cosa, spirito e
materia, soggetto e oggetto, libert e meccanicismo, girer necessariamente a vuoto 63.

Per un tempo incalcolabile, e non ancora


concluso, abbiamo attribuito alle persone la
stessa sovrabbondante qualit che abbiamo
sottratto alle cose. ora di riequilibrare i
rapporti. Ma, prima ancora, di sfondare la
barriera che ha diviso il mondo tra specie
contrapposte. Senza negare il carattere inquietante del rivolgimento in atto

179/237

soprattutto quando la tecnica penetra nel


nostro organismo corporeo, modificandone
assetti millenari , resta tutto il rilievo della
svolta. Forse per la prima volta, dalla scomparsa delle societ arcaiche, le cose tornano a
interpellarci in modo diretto. un intero regime di senso che vacilla, ruotando intorno
al proprio asse e ricollocandosi diversamente: Dopo labolizione della schiavit
nel XIX secolo conclude Sloterdijk , si delinea per il prossimo XXI o per il XXII secolo,
unampia dissoluzione dei resti signorili 64.
Attraverso quali conflitti e con quali esiti?
In domande come queste parla la convinzione che il pensiero moderno non sar capace di nessuna etica fino a quando non
chiarir la sua logica e la sua ontologia 65.
5. Corpi politici.
Diversamente dal diritto e dalla filosofia,
la politica ha sempre mantenuto un rapporto

180/237

intrinseco con il corpo. Quella del corpo


politico, del resto, una delle figure pi
risalenti della nostra tradizione. Se nelle sue
prime occorrenze essa rinvenibile gi nel
pensiero greco, nel basso Medioevo che assume un rilievo specifico. Lordine statale
paragonato a un corpo vivente insieme organico e differenziato in funzioni reciprocamente coordinate. Ovviamente il rapporto
fra le varie membra, rappresentative dei diversi ceti, muta secondo le intenzioni di chi
adopera la metafora. Che lorgano centrale
da cui dipende il funzionamento di tutti gli
altri sia la testa, lanima o il cuore non ininfluente sul suo significato dinsieme. Se, ad
esempio, nel Policraticus di Giovanni di
Salisbury legemonia della testa trova una
sorta di bilanciamento nellinterrelazione
delle altre parti, nel Leviatano di Hobbes il
ferreo comando dellanima sul resto del
corpo traduce il passaggio a una concezione
assolutistica centrata sul dominio del

181/237

sovrano. Rousseau, invece, sostenendo che


noi tutti in corpo riceviamo ciascun membro come parte indivisibile del tutto 66, conferisce alla metafora un esito ugualitario,
portato a compimento da Sieys attraverso
lidentificazione del corpo della nazione
francese con il terzo stato.
Quello che pi colpisce, in questa variet
di declinazioni, larticolazione binaria che
in ciascuna di esse si stabilisce tra lelemento
personale del comando sovrano e la struttura, impersonale, della fisiologia corporea.
Ci spiega perch a un certo momento, a
partire da Hobbes, la semantica della macchina possa sovrapporsi a quella del corpo
senza stravolgere il significato della metafora. Tuttavia ci non cancella uno scarto
residuo fra le due polarit. A riprova del
quale, il termine corpo pu riferirsi allinsieme dellorganismo e alla parte sottostante
la testa. Gi sappiamo che questa duplicit
nasce dal dogma della doppia natura di

182/237

Cristo. Come lintero corpo della cristianit


non coincide del tutto con quello, a sua volta
sdoppiato, di Cristo, cos il corpo politico
non mai interamente sovrapponibile a
quello del sovrano. Anche dove si suppone la
piena integrazione tra i due, la sfasatura non
scompare mai completamente. Tale binariet
riconoscibile, allinterno delle democrazie
rappresentative, nella dissimmetria, mai del
tutto colmata, fra sovranit e rappresentanza. La stessa nozione di popolo
porta al proprio interno due significati diversi e potenzialmente configgenti. Essa indica
al contempo la totalit della cittadinanza e la
sua parte meno abbiente il popolo-nazione
e il popolo-plebe. Come non di rado accade
nel lessico teologico-politico che ancora parliamo, lo stesso concetto comprende dentro
di s anche la parte che per altri versi esclude. Lintera dinamica politica occidentale
pu essere interpretata come la tensione
ininterrotta fra queste due polarit come il

183/237

tentativo di unificare il corpo politico, o il


popolo, da un lato escludendo la sua parte
bassa e dallaltro eliminando la soglia differenziale che la divide da quella alta.
Nel transito che a un certo punto si determina dal regime sovrano a quello biopolitico, questa antinomia tende a farsi ancora
pi marcata. In esso come se ci che stata
una metafora quella appunto del corpo
politico si realizzasse, assumendo essa
stessa corpo. Esattamente in tali termini si
esprime colui che per primo ha analizzato
questa svolta: il corpo sociale scrive infatti Foucault cessa di essere una semplice
metafora giuridico-politica (come quella che
si trova nel Leviatano), per diventare una realt biologica 67. Certo, il bios ha costituito
da sempre oggetto di interesse e di intervento politico. Ma quello che fino a un certo
momento era filtrato da una serie di mediazioni comincia a diventare un rapporto
diretto. Da allora la vita umana, da cornice

184/237

dellagire politico, ne diviene il centro si fa


affare di governo, cos come la politica diventa governo della vita. Il rilievo crescente
della medicina sociale, direttamente rivolta
al corpo della popolazione, restituisce il
senso di questo passaggio. Cos, a proposito
del sistema sanitario prussiano, Foucault
pu affermare che non era il corpo dei lavoratori a interessare questa amministrazione pubblica della salute, ma il corpo
degli individui stessi che, con la loro riunione, costituiscono lo Stato 68. Ci conduce a un duplice processo incrociato in base
al quale, mentre la medicina si politicizza, la
politica si modella sul sapere medico. Si
tratta di una svolta decisiva sul piano del
potere, ma che ha effetti rilevanti anche su
quello del sapere. Quando il corpo vivente
degli individui e delle popolazioni ne diviene
oggetto privilegiato, la pratica politica
comincia a sfuggire alle categorie giuridiche
antiche e moderne. Se i meccanismi di

185/237

potere si occupano della vita degli uomini,


degli uomini come corpi viventi, la vita,
molto pi del diritto, che diventata la posta
in gioco delle lotte politiche 69.
Ci non vuol dire, tuttavia, che nel regime
biopolitico lo scarto che taglia i concetti
politici moderni venga meno. Si pu anzi
dire che esso si accentui. Allorch il corpo
diviene, piuttosto che il significante metaforico dellordine politico, il suo stesso contenuto, la frattura che nel regime sovrano lo
separava dalla testa penetra al suo interno.
Lesclusione che cos si determina, oltre che i
diritti, pu riguardare la sua stessa sopravvivenza biologica, come accaduto a pi riprese nel corso del XX secolo. In particolare
nel nazismo la cura medica della vita si
trasformata in una sorta di chirurgia mortifera rivolta a salvare il corpo politico mediante lasportazione della sua parte ritenuta
infetta. Ma se la biopolitica sempre a rischio di rovesciarsi in una forma di

186/237

tanatopolitica, non significa che coincida necessariamente con essa. A una politica sulla
vita reagisce sempre una politica della vita. Il
corpo umano al centro di questo contrasto.
Se esso oggetto di controllo e di sfruttamento, anche soggetto di rivolta, dal momento che ogni potere produce resistenza:
Contro questo potere ancora nuovo nel XIX
secolo, le forze che resistono si sono appoggiate proprio su quello chesso investe cio
sulla vita e sulluomo in quanto essere
vivente, cosicch la vita come oggetto
politico stata in un certo qual modo presa
alla lettera e capovolta contro il sistema che
cominciava a controllarla 70. Se il corpo ha
sempre costituito il terreno di transito dalla
persona alla cosa, anche il punto di contrasto che si oppone a esso. Non nel senso di
un ritorno dalla cosa alla persona, ma di un
rifiuto dellordine dicotomico che da sempre
organizza la relazione tra di esse.

187/237

Nel regime biopolitico contemporaneo il


meccanismo che unifica la vita attraverso la
sua frattura interna sembra essersi inceppato. come se i due corpi del re si fossero divaricati in una forma non pi ricomponibile
e giacessero, inconciliati, luno di fronte
allaltro, proprio come accadeva al Riccardo
II di Shakespeare. A sfaldarsi quellintegrazione tra potere personale e funzionamento impersonale che per quattro secoli ha
prodotto lo Stato moderno. In tale modello
testa e corpo, sovrano e popolo, carisma e ufficio si sono a lungo fusi in ununit
istituzionale di cui i partiti politici sono stati
nel nostro secolo gli ingranaggi fondamentali. Oggi questo grande modello di disciplinamento andato letteralmente in pezzi.
Sotto la duplice pressione della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica, sia nei
partiti che nel governo delle nostre democrazie, la persona del leader va assumendo un
rilievo sempre pi autonomo dallapparato

188/237

71

istituzionale dal quale dipende . Ma questa


emancipazione del leader, o del premier, dal
corpo politico avviene a vantaggio del suo
corpo fisico, ormai al centro della scena in
tutte le sue pi intime pieghe. in esso, nel
suo volto, nei suoi gesti e nelle sue parole,
che il potere riconosce se stesso senza pi
mediazioni. Quali siano gli effetti di questo
passaggio biopolitico, la cui genesi va ravvisata negli anni Trenta del secolo scorso e il
cui sviluppo connota la societ dello
spettacolo, difficile dire. Sicuramente esso
insieme causa ed effetto di un ritiro della
politica come partecipazione attiva dalla cosa
pubblica e di una sindrome populista che
non risparmia nessuna forza politica. Del
resto, nella inarrestabile spettacolarizzazione
della politica, la stessa dimensione pubblica
tende a confondersi con quella privata al
punto che difficile distinguerla da essa.
Ci che forse pi interessa la dinamica
che si determina allaltro polo del quadrante

189/237

sociale in quella parte del corpo politico


sottostante la testa e ormai indipendente da
essa. Se, nella testa, corpo e persona del
leader coincidono senza pi scarti, nella sua
parte sottostante il corpo assume una
valenza intensamente impersonale. Esso
costituito dai corpi viventi di coloro che non
si sentono pi rappresentati dalle istituzioni,
sfuggendo a ogni categoria interpretativa.
Qualsiasi sia la forma della democrazia che ci
aspetta, ben difficile che essa possa essere
tutta contenuta negli attuali canali di rappresentanza. Qualcosa, del corpo politico,
resta fuori dai suoi confini. Quando ingenti
masse si accalcano nelle piazze di mezzo
mondo, come oggi sta accadendo, viene allo
scoperto qualcosa che precede anche le loro
rivendicazioni. Prima ancora di essere pronunciate, le loro parole sono incarnate in
corpi che si muovono allunisono, con il
medesimo ritmo, in ununica onda emotiva.
Per quanto possa funzionare come luogo di

190/237

mobilitazione, senza corpi viventi saldati


dalla stessa energia, neanche la rete pu essere il nuovo soggetto della politica a venire.
Fin da quando fu formulato, nellevento
costituente della prima democrazia moderna, lenunciato noi il popolo aveva un
carattere performativo produceva leffetto
di creare quanto dichiarava. Da allora ogni
atto linguistico che voglia incidere sulla
scena politica richiede una bocca e una gola,
il respiro di corpi abbastanza vicini da sentire ci che laltro dice e da vedere ci che
tutti vedono. Hannah Arendt riteneva che,
perch possa darsi politica, occorra uno
spazio pubblico. Ma mancava di aggiungere
che quello spazio deve essere riempito da
corpi viventi uniti dalle stesse proteste o
dalle stesse rivendicazioni 72. Ancora sprovvisti di forme organizzative adeguate, corpi di
donne e di uomini premono ai bordi dei nostri sistemi politici, chiedendo di trasformarli
in una forma irriducibile alle dicotomie che

191/237

hanno a lungo prodotto lordine politico


moderno. Quale sia lesito di queste dinamiche resta ancora incerto. Ma quello che
colpisce la novit radicale che comunque
esse immettono nella nostra storia. Esterno
tanto alla semantica della persona quanto a
quella della cosa, il corpo vivente di moltitudini sempre pi vaste chiede alla politica,
al diritto e alla filosofia un rinnovamento
radicale dei loro lessici. Se essi sapranno
rispondere a tale domanda, o si chiuderanno
in difesa di se stessi, prima di implodere
definitivamente, lo vedremo nel corso dei
prossimi anni.

J. L. Borges, Le cose, in Id., Elogio dellombra, Einaudi,


Torino 1971, p. 47 (ed. or. Las cosas, in Elogio de la sombra, in Id., Obras Completas, Emec, Buenos Aires
1969).

Si veda, con un accento diverso, anche E. Coccia, Il bene


nelle cose, il Mulino, Bologna 2014, nonch M. Douglas e
B. Isherwood, Il mondo delle cose, il Mulino, Bologna
1984 (ed. or. The World of Goods, Basic Books, New
York 1979).

E. Canetti, Massa e potere, Bompiani, Milano 1981, p.


245 (ed. or. Masse und Macht, Claassen, Hamburg
1960).

In generale sulla res nel diritto romano, cfr. M. Bretone,


I fondamenti del diritto romano. Le cose e la natura,
Laterza, Roma-Bari 2001, in particolare pp. 46 sgg.

5
6

E. Canetti, Massa e potere cit., p. 170.


Cfr. Y. Thomas, Les Oprations du droit, a cura di M.-A.
Hermitte e P. Napoli, Gallimard, Paris 2011, pp. 27 sgg.

Cfr. Ph. Simonnot, Les personnes et les choses, Les Belles


Lettres, Paris 2004, pp. 129 sgg.

193/237

R. von Jhering, Geist des rmischen Rechts: auf den verschiedenen Stufen seiner Entwicklung (1852-65), Scientia Verlag, Aalen 1993.

Sulla categoria di persona a Roma, si vedano adesso


Homo,

caput,

persona.

La

costruzione

giuridica

dellidentit nellesperienza giuridica romana, a cura di


A. Corbino, M. Humbert e G. Negri, Iuss Press, Pavia
2010; E. Stolfi, Il diritto, la genealogia, la storia. Itinerari, il Mulino, Bologna 2010, pp. 139 sgg.
10

F. Nietzsche, La genealogia della morale. Uno scritto

polemico, a cura di P. A. Rovatti, Einaudi, Torino 2012,


p. 65 (ed. or. Zur Genealogie der Moral. Eine Streitschrift, Naumann, Leipzig 1887).
11

S. Weil, La persona e il sacro, in Oltre la politica. Antologia del pensiero impolitico, a cura di R. Esposito,
Bruno Mondadori, Milano 1996, p. 76 (ed. or. La personne et le sacr, in Ead., crits de Londres et dernires
lettres, Gallimard, Paris 1957).

12

Cfr. R. Esposito, Terza persona. Politica della vita e


filosofia dellimpersonale, Einaudi, Torino 2007.

194/237

13

J. Maritain, I diritti delluomo e la legge naturale, Vita e


pensiero, Milano 1991, pp. 60, 52 (ed. or. Les droits de
lhomme et la loi naturelle, d. de la Maison franaise,
New York 1942).

14

R. J. Pothier, Trait des personnes et des choses, in

uvres de R. J. Pothier, 10 voll., Cosse, Paris 1845-48.


15

Cfr. R. Esposito, Due. La macchina della teologia politica e il posto del pensiero, Einaudi, Torino 2013.

16

E. Kantorowicz, I due corpi del re. Lidea di regalit

nella teologia politica medievale, Einaudi, Torino 1989


(ed. or. The Kings two Bodies. A Study in Mediaeval
Political Theology, Princeton University Press, Princeton
1957).
17

W. Shakespeare, Riccardo II, Einaudi, Torino 1990 (ed.


or. Richard II, in Works of Shakespeare, Cambridge
University Press, Cambridge 1939, III, 2).

18
19
20

Cfr. E. Kantorowicz, I due corpi del re cit., p. 25.


Ibid., p. 27.
Ibid., p. 20.

195/237

21

J. Locke, Saggio sullintelletto umano, Utet, Torino


1971, p. 407 (ed. or. An Essay concerning Human
Understanding, Clarendon Press, Oxford 1975).

22

I. Kant, Sul tema del Concorso bandito dalla Reale Ac-

cademia delle Scienze di Berlino, in Id., I progressi della


metafisica, Bibliopolis, Napoli 1977, p. 77 (ed. or. ber
die von der Knigl. Akademie der Wissenschaften Zu
Berlin Fr das Jahr 1791 Ausgesetzte Preisfrage [1791],
in Id., Werkausgabe, Suhrkamp, Frankfurt am Main
1977).
23

Id., Fondazione della metafisica dei costumi, in Id.,

Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, Utet,


Torino 1965, p. 452 (ed. or. Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, in Kants Gesammelte Schriften, 23
voll., IV).
24
25
26

Ibid., p. 458.
Ibid., p. 460.
G. W. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza,

Roma-Bari 1965, p. 49 (ed. or. Grundlinien der Philosophie des Rechts, Meiner, Hamburg 1955).

196/237

27

Id., Fenomenologia dello spirito, a cura di G. Cantillo,

Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2008, t. II, p. 39


(ed. or. Phnomenologie des Geistes, in Id., Gesammelte
Werke, 22 voll., Meiner, Hamburg 1968 sgg., IX).
28

R. Descartes, Meditazioni metafisiche sulla filosofia

prima, in Id., Opere filosofiche, Utet, Torino 1969, p.


246 (ed. or. Mditations mtaphysiques, in uvres de
Descartes, 12 voll., Cerf, Paris 1897-1913, VII).
29

J. Locke, Trattato sul governo, Editori Riuniti, Roma

1992, p. 23 (ed. or. Two Treatises of Government, Cambridge University Press, Cambridge 1970).
30

J. S. Mill, Sulla libert, Bompiani, Milano 2000, p. 55

(ed. or. On Liberty, in The Collected Works of John Stuart Mill, University of Toronto Press - Routledge and
Kegan Paul, Toronto-London 1963-91).
31

B. Lemennicier, Le corps humain: proprit de ltat ou


proprit de soi?, in Droits, n. 13 (1991), p. 118.

32

H. T. Engelhardt, Manuale di bioetica, il Saggiatore,

Milano 1991, p. 233 (ed. or. The Foundations of Bioethics, Oxford University Press, New York 1986).
33

Ibid., p. 232.

197/237

34

P. Singer, Scritti su una vita etica, Net, Milano 2004,

pp. 149-50 (ed. or. Writings of an Ethical Life, Ecco


Press, New York 2000).
35
36
37

H. T. Engelhardt, Manuale di bioetica cit., p. 152.


P. Singer, Scritti su una vita etica cit., p. 222.
Ibid., p. 176.

M. Heidegger, La cosa, in Id., Conferenze di Brema e


Friburgo, Adelphi, Milano 2002, p. 21 (ed. or. Das Ding
[1950], in Bremer und Freiburger Vortrge, Klostermann, Frankfurt am Main 1994).

2
3

Ibid., p. 26.
Su questo, e in genere sul rapporto fra ontologia e nichilismo, si veda lacuto saggio di N. Russo, La cosa e lente.
Verso lipotesi ontologica, Cronopio, Napoli 2012.

Tommaso dAquino, Sulla verit, a cura di F. Fiorentino,


Bompiani, Milano 2005, p. 206. Cfr. N. Russo, La cosa e
lente cit., pp. 149 sgg.

M. Heidegger, Lepoca dellimmagine del mondo, in Id.,


Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze 1968, p. 88

198/237

(ed. or. Die Zeit des Weltbildes [1938], in Id., Holzwege,


Klostermann, Frankfurt am Main 1950).
6

Per il rapporto fra diritto romano e metafisica greca, e in


genere per questa caratterizzazione del diritto romano, si
veda il fondamentale libro di A. Schiavone, Ius. Linvenzione del diritto in Occidente, Einaudi, Torino 2005; ma
anche, in una diversa chiave, L. de Sutter, Deleuze e la
pratica del diritto, Ombre corte, Verona 2011, pp. 88-89
(ed. or. Deleuze. La pratique du droit, Michalon, Paris
2009).

Cfr. Y. Thomas, La valeur des choses. Le droit romain


hors de la religion, in Annales. Histoire. Sciences sociales, LVII (2002), n. 6, pp. 1431-62.

M. Foucault, Le parole e le cose, Rizzoli, Milano 1998, p.


63 (ed. or. Les mots et les choses, Gallimard, Paris 1966).

F. de Saussure, crits de linguistique gnrale, Gallimard, Paris 2002, p. 71 (ed. it. Scritti inediti di linguistica generale, a cura di T. De Mauro, Laterza, Roma-Bari
2005).

10

Come, a ragione, sostiene P. Virno, Saggio sulla neg-

azione.

Per

unantropologia

linguistica,

Bollati

199/237

Boringhieri, Torino 2013. Si veda anche M. Don, Sulla


negazione, Bompiani, Milano 2004.
11

G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito cit., vol. I,


p. 91.

12

Id., Filosofia dello spirito jenese, a cura di G. Cantillo,


Laterza, Roma-Bari 1984, p. 25; trad. lievemente modificata (ed. or. Jenenser Realphilosophie I, Die Vorlesungen von 1803-1804, in Id., Gesammelte Werke, vol. VI,
Meiner, Hamburg 2001, pp. 211-12).

13

M. Blanchot, La follia del giorno. La letteratura e il diritto alla morte, supplemento di In forma di parole, V,
Elitropia, Reggio Emilia 1982, p. 93 (ed. or. La littrature et le droit la mort, in Id., La part du feu, Gallimard, Paris 1949).

14
15

Ibid., pp. 94-95.

16
17

Ibid., p. 94.

Ibid., p. 100.
K. Marx, Il capitale. Critica delleconomia politica, Ed-

itori Riuniti, Roma 1964, p. 103 (ed. or. Das Kapital.


Kritik der politischen konomie, vol. I [1865], Meissner,
Hamburg 1894).

200/237

18
19
20
21

Ibid., p. 104.
Ibid., p. 109.
Ibid., p. 648.
Ibid., vol. III, p. 998.

22

W. Benjamin, Lopera darte nellepoca della sua ripro-

ducibilit tecnica, Einaudi, Torino 1991, p. 23 (ed. or.


Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1955).
23

Cfr. A. Gell, Art and Agency. An Anthropological The-

ory, Clarendon Press, Oxford 1998.


24

Si veda in merito G. Anders, Luomo antiquato, Bollati

Boringhieri, Torino 1992, pp. 50 sgg. (ed. or. Die


Antiquiertheit des Menschen, 2 voll., Beck, Mnchen
1980, II). Si noti che il padre (W. Stern) aveva scritto un
volume in tre tomi dal titolo Person und Sache (Barth,
Leipzig 1906-24). Su tutto ci si veda A. Borsari (a cura
di), Lesperienza delle cose, Marietti, Genova 1992, p. 8.
25

S. Weil, Quaderni, Adelphi, Milano 1982, vol. I, p. 139

(ed. or. Cahiers. I, Plon, Paris 1970).

201/237

26

M. Heidegger, Limpianto, in Id., Conferenze di Brema

e Friburgo cit., p. 55 (ed. or. Das Ge-stell, in Bremer


und Freiburger Vortrge cit.).
27
28

Ibid., pp. 61-62.


Si vedano, con prospettive divergenti, M. Ferraris,

Manifesto del nuovo realismo, Laterza, Roma-Bari 2012,


e G. Vattimo, Della realt, Garzanti, Milano 2012. Si
veda anche L. Taddio, Verso un nuovo realismo,
Jouvence, Milano 2013.
29

A. Badiou, Il secolo, Feltrinelli, Milano 2006 (ed. or. Le

Sicle, ditions du Seuil, Paris 2005).


30

Cfr. M. Perniola, La societ dei simulacri, Cappelli, Bo-

logna 1980.
31

J. Baudrillard, La trasparenza del male, SugarCo, Milano 1991, p. 12 (ed. or. La transparence du mal, Galile,
Paris 1990). Di Baudrillard si veda, ancor prima, Il sistema degli oggetti, Bompiani, Milano 1972 (ed. or. Le
systme des objets, Gallimard, Paris 1968).

32

J. Baudrillard, La trasparenza del male cit., p. 13.

202/237

33

Id., Il patto di lucidit o lintelligenza del male, R. Cor-

tina, Milano 2006, p. 20 (ed. or. Le pacte de lucidit ou


lintelligence du mal, Galile, Paris 2004).
34

J. Lacan, Il seminario. Libro VII. Letica della psicoan-

alisi, 1959-1960, Einaudi, Torino 1994, p. 56 (ed. or. Le


sminaire. Livre VII. Lthique de la psychanalyse
(1959-1960), ditions du Seuil, Paris 1986).
35
36
37

Ibid.
Ibid., p. 64.
Id., Scritti, Einaudi, Torino 1974, t. II, p. 857 (ed. or.

crits, ditions du Seuil, Paris 1966).


38

Cfr. M. Recalcati, Sullodio, Bruno Mondadori, Milano

2004, pp. 3-51, e, pi in generale, la sua densa monografia su Lacan, Jacques Lacan. Desiderio, godimento,
soggettivazione, vol. I, R. Cortina, Milano 2012. Sulla
differenza tra la realt e il Reale, si veda, sempre di Recalcati, Il sonno della realt e il trauma del reale, in M.
De Caro e M. Ferraris (a cura di), Bentornata realt,
Einaudi, Torino 2012, pp. 191-206.

203/237

39

Cfr. S. iek, Benvenuti nel deserto del reale, Meltemi,

Roma 2002 (ed. or. Welcome to the Desert of the Real,


London - New York 2002).

I. Kant, Lezioni di etica, Laterza, Roma-Bari 1984, p. 189


(ed. or. Eine Vorlesung ber Ethik, Pan Verlag Rolf
Heise, Berlin 1924).

Cfr. S. Rodot, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Feltrinelli, Milano 2006, pp. 73 sgg.

P. Legendre, Linestimable objet de la transmission, Fayard, Paris 1985, p. 28.

Si veda, sulla questione, J.-P. Baud, Il caso della mano


rubata. Una storia giuridica del corpo, Giuffr, Milano
2003 (ed. or. Laffaire de la main vole. Une histoire
juridique du corps, ditions du Seuil, Paris 1993).

Unutile ridefinizione della questione in G. Cricenti, I diritti sul corpo, Jovene, Napoli 2008.

Cfr. C. Crignon - De Oliveira e M. Gaille-Nikodimov,


qui appartient le corps humain, Les Belles Lettres, Paris
2008, pp. 99 sgg.

204/237

Sul tema del sacro in rapporto al diritto romano, cfr. L.


Garofalo, Biopolitica e diritto romano, Jovene, Napoli
2009; Id. (a cura di), Sacert e repressione criminale in
Roma arcaica, Jovene, Napoli 2013.

8
9

S. Weil, La persona e il sacro cit., p. 68.


Ibid., p. 65.

10

R. Descartes, Discorso sul metodo, in Id., Opere filo-

sofiche cit., p. 155 (ed. or. Discours de la mthode, in


uvres de Descartes cit., vol. VI).
11

Per una genealogia filosofica del corpo cfr. U.


Galimberti, Il corpo, Feltrinelli, Milano 1983; M. Marzano, La filosofia del corpo, Il melangolo, Genova 2010
(ed. or. Philosophie du corps, Presses Universitaires de
France, Paris 2007).

12

B. Spinoza, Etica, in Id., Etica e Trattato teologicopolitico, Utet, Torino 1972, p. 142 (ed. or. Ethica ordine
geometrico demonstrata, in Spinoza Opera, Winters,
Heidelberg 1923-26, vol. II).

13
14
15

Ibid., p. 338.
Ibid., p. 192.
Ibid., p. 300.

205/237

16
17

Ibid., p. 282.
Sul rapporto, attraverso la semantica del corpo, tra

Spinoza e Vico, cfr. B. de Giovanni, Corpo e ragione


in Spinoza e Vico, in B. de Giovanni, R. Esposito e G.
Zarone, Divenire della ragione moderna. Cartesio,
Spinoza, Vico, Liguori, Napoli 1981, pp. 94-165.
18

G. B. Vico, La Scienza Nuova del 1744, in Id., La

Scienza Nuova. Le tre edizioni del 1725, 1730 e 1744, a


cura di M. Sanna e V. Vitiello, introduzione di V. Vitiello,
Bompiani, Milano 2012, p. 919.
19
20

Ibid., p. 925.
F. Nietzsche, La gaia scienza, in Id., Opere, Adelphi,

Milano 1965, vol. V/2, pp. 15-16 (ed. or. Die frhliche
Wissenschaft, 1882).
21

Id., Cos parl Zarathustra, ibid., vol. V/1, p. 35 (ed. or.


Also sprach Zarathustra, 1883-85).

22

Id., Frammenti postumi, 1884-85, ibid., vol. VII/3, p.

242.
23

Id., Frammenti postumi, 1888-89, ibid., vol. VIII/3, p.

408.
24

Id., Frammenti postumi, 1881-82, ibid., p. 432.

206/237

25

M. Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica.

Mondo, finitezza, solitudine, a cura di A. Fabris, Il


melangolo, Genova 1992 (ed. or. Die Grundbegriffe der
Metaphysik. Welt, Endlichkeit-Einsamkeit, in Gesamtausgabe, voll. XXIX-XXX, Klostermann, Frankfurt
am Main 1983).
26

Si veda in particolare B. Stiegler, La technique et le

temps, 3 voll., Galile, Paris 1994; ma anche R. Esposito,


Politica e natura umana, in Id., Termini della politica.
Comunit, immunit, biopolitica, Mimesis, Milano
2008, pp. 159-70.
27

M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, il

Saggiatore, Milano 1980, p. 270 (ed. or. Phnomnologie


de la perception, Gallimard, Paris 1961).
28

E. Husserl, Meditazioni cartesiane, Bompiani, Milano

1960, p. 107 (ed. or. Cartesianische Meditationen und


Pariser Vortrge, Nijhoff, Den Haag 1950).
29

J.-P. Sartre, Lessere e il nulla, il Saggiatore, Milano

1997, p. 351 (ed. or. Ltre et le nant, Gallimard, Paris


1943).
30

G. Marcel, tre et avoir, Aubier, Paris 1935, p. 14.

207/237

31

J.-P. Sartre, Lessere e il nulla cit., p. 402.

32

M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione

cit., p. 143.
33
34

Ibid., p. 141.
Id., Il visibile e linvisibile, Bompiani, Milano 1993, p.

158 (ed. or. Le visible et linvisible, Gallimard, Paris


1964).
35
36

Ibid., p. 143.
H. Plessner, Il riso e il pianto. Una ricerca sui limiti del

comportamento umano, Bompiani, Milano 2000, p. 246


(ed. or. Lachen und Weinen. Eine Untersuchung der
Grenzen menschlichen Verbaltens [1941], in Id., Gesammelte Schriften, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1980-85,
vol. VII).
37

M. Merleau-Ponty, Il visibile e linvisibile cit., pp. 152,

266.
38

J.-L. Nancy, Lintruso, Cronopio, Napoli 2000, p. 16

(ed. or. Lintrus, Galile, Paris 2000).


39

Id., Il cuore delle cose, in Id., Un pensiero finito, Mar-

cos y Marcos, Milano 1992, pp. 125-58 (ed. or. Le cur


des choses, in Id., Une pense finie, Galile, Paris 1990).

208/237

40

Cfr. J. L. Borges, Finzioni, Einaudi, Torino 1985, pp.

713 sgg. (ed. or. Ficciones [1935-44], in Id., Obras Completas cit.). Per Locke si veda An Essay Concerning Human Understanding cit., pp. 409-19.
41

Sul carattere personale delle cose, si vedano soprat-

tutto R. Bodei, La vita delle cose, Laterza, Roma-Bari


2009; Id., Oggetti e cose, Consorzio Festivalfilosofia,
Modena 2013; ma anche A. Appadurai (a cura di), The
Social Life of Things, Cambridge University Press, Cambridge 1986; B. Brown (a cura di), Things, The
University of Chicago Press, Chicago 2004; F. Rigotti, Il
pensiero delle cose, Apogeo, Milano 2007; D. Miller,
Cose che parlano di noi, il Mulino, Bologna 2014 (ed. or.
The Comfort of Things, Polity Press, Cambridge 2008);
G. Starace, Gli oggetti e la vita, Donzelli, Roma 2013.
42

D. A. Norman, Le cose che ci fanno intelligenti, Fel-

trinelli, Milano 1995 (ed. or. Things that Make us Smart,


Basic Books, New York 1993).
43

P. P. Pasolini, Lettere luterane (1976), Garzanti, Milano

2009, p. 48.

209/237

44

L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino

1967, p. 150 (ed. or. Philosophische Untersuchungen


[1953], Suhrkamp, Frankfurt am Main 2010).
45

Sul carattere impersonale della percezione in Bergson,

si veda soprattutto E. Lisciani Petrini, Fuori della persona. Limpersonale in Merleau-Ponty, Bergson e
Deleuze, in Filosofia politica, n. 3 (2007), pp.
393-409; pi in generale, sul ruolo del corpo nella filosofia novecentesca, Ead., Risonanze. Ascolto, corpo,
mondo, Mimesis, Milano 2007.
46

F. Pessoa, Libro dellinquietudine, Einaudi, Torino 2012

(ed. or. Livro de Desassossego, tica, Lisboa 1982).


47

E. Montale, Dora Markus, in Id., Le occasioni (1939),

Einaudi, Torino 1996, pp. 58-59.


48

M. Mauss, Saggio sul dono. Forma e motivo dello

scambio nelle societ arcaiche, in Id., Teoria generale


della magia e altri saggi, Einaudi, Torino 1965, p. 240
(ed. or. Essai sur le don. Forme et raison de lchange
dans les socits archaques [1923], in Id., Sociologie et
anthropologie, Presses Universitaires de France, Paris
1950).

210/237

49
50
51

Ibid.
Ibid., p. 247.
Ibid., p. 255.

52
53

Ibid., p. 170.
La questione esaminata criticamente da M. Sahlins,

Leconomia dellet della pietra, Bompiani, Milano 1980,


pp. 155-88 (ed. or. Stone Age Economics, Routledge,
London 1972).
54
55

M. Mauss, Saggio sul dono cit., p. 184.


Su questa dinamica cfr. J. Gil, Corpo, in Enciclope-

dia, Einaudi, Torino 1978, vol. III, pp. 1096-161.


56

G. Simondon, Du mode dexistence des objets tech-

niques (1958), Aubier, Paris 1989, su cui si veda adesso


F. Minazzi, Salire sulle proprie spalle? Simondon e la
trasduttivit dellordine del reale, in aut aut, n. 361
(2014), pp. 110-29.
57

G. Simondon, Lindividuazione psichica e collettiva, a

cura di P. Virno, DeriveApprodi, Roma 2001 (ed. or.


Lindividuation psychique et collective la lumire des
notions de Forme, Potentiel et Mtastabilit, Aubier,
Paris 1989).

211/237

58
59

Id., Du mode cit., pp. 128-29.


B. Latour, Non siamo mai stati moderni, prefazione di

G. Giorello, Eluthera, Milano 2009, pp. 186 sgg. (ed. or.


Nous navons jamais t modernes, La dcouverte, Paris
1991).
60

Ibid., p. 179. Si veda in merito G. Leghissa, Ospiti di un

mondo di cose. Per un rapporto postumano con la materialit, in aut aut, n. 361 (2014), pp. 10-33.
61

J. Kingdon, Self-Made Man and His Undoing, Simon &

Schuster, London 1993, p. 3.


62

Cfr. G. Gnther, Beitrge zur Grundlegung einer oper-

ationsfhigen Dialektik, 2 voll., Meiner, Hamburg 1979.


63

P. Sloterdijk, Non siamo ancora stati salvati. Saggi

dopo Heidegger, Bompiani, Milano 2004, p. 170 (ed. or.


Nicht gerettet. Versuche nach Heidegger, Suhrkamp,
Frankfurt am Main 2001). Su Sloterdijk, e pi in generale sul rapporto fra tecnica e vita, cfr. T. Campbell, Improper Life. Technology and Biopolitics from Heidegger
to Agamben, University of Minnesota Press, Minneapolis
2013; nonch A. Lucci, Unacrobatica del pensiero. La

212/237

filosofia dellesercizio di Peter Sloterdijk, Aracne, Roma


2014, pp. 87 sgg.
64

P. Sloterdijk, Non siamo ancora stati salvati cit., p.

182.
65
66

Ibid., p. 184.
J.-J. Rousseau, Del contratto sociale, in Id., Opere,

Sansoni, Firenze 1972, p. 285 (ed. or. Le contrat social,


in Id., uvres Compltes, Gallimard, Paris 1959-69, vol.
III).
67

M. Foucault, Levoluzione della nozione di individuo

pericoloso nella psichiatria legale del XIX secolo, in


Archivio Foucault, 3. 1978-1985, Feltrinelli, Milano
1998, p. 49 (ed. or. About the Concept of the Dangerous
Individual in 19 th Century Legal Psychiatry, in
Journal of Law and Psychiatry, I [1978], n. 1).
68

Id., La nascita della medicina sociale, in Archivio Fou-

cault, 2. 1971-1977, Feltrinelli, Milano 1997, p. 227 (ed.


or. El nacimiento de la medicina social, in Revista
centroamericana de Ciencias de la Salud, III [1977], n.
6).

213/237

69

Id., La volont di sapere, Feltrinelli, Milano 1978, pp.

80, 128 (ed. or. La volont de savoir, Gallimard, Paris


1976).
70
71

Ibid., p. 128.
Questo passaggio di paradigma analizzato con efficacia

da M. Calise, Il partito personale. I due corpi del leader,


Laterza, Roma-Bari 2010, pp. 109 sgg.
72

Cfr. J. Butler, Noi, il popolo. Riflessioni sulla libert

di riunione, in Che cos un popolo?, DeriveApprodi,


Roma 2014, pp. 43-62 (ed. or. Nous, le peuple. Rflexions sur la libert de runion, in Quest-ce quun
peuple?, La Fabrique, Paris 2013).

Il libro
Fin

dalle

origini,

la

nostra
civilt si
basata

su

una distinzione netta


e

inequi-

vocabile tra
persone

cose,
fondata sul
dominio
strumentale
delle prime
sulle
seconde.
Questa

215/237

opposizione

di

principio
nasce con il
diritto

ro-

mano

percorre
per

intero

la modernit, fino ad
approdare
allattualit
del mercato
globale,
producendo
contraddizioni

cres-

centi.
Sebbene la
distinzione
continui ad

216/237

apparirci
chiara e necessaria,
nella prassi
giuridica,
economica
e

tecnica

assistiamo
continuamente a un
ribaltamento

di

fronte:

al-

cune

cat-

egorie

di

persone
vengono
assimilate
alle

cose,

mentre alcuni tipi di


cose

217/237

acquistano
un

profilo

personale.
Per risolvere questa
antinomia,
Roberto
Esposito
con il consueto rigore
argomentativo ci
propone
una

via

duscita,
grazie a un
nuovo
punto

di

vista
costituito
dal

corpo.

N persona

218/237

n cosa, il
corpo
umano diventa lelemento dirimente

nel

ripensamento
dei concetti
e dei valori
che

gov-

ernano

il

nostro
lessico filosofico, giuridico
politico.

Lautore
Roberto
Esposito
insegna
Filosofia
teoretica
presso

la

Scuola Normale

Su-

periore. Per
Einaudi ha
curato

la

raccolta di
saggi di Leo
Strauss

Gerusalemme

ed

Atene
(1998) e
ha

scritto

220/237

Communitas.
Origine

destino
della
comunit
(1998

2006), Immunitas.
Protezione
e negazione
della

vita

(2002),
Bios.

Bi-

opolitica e
filosofia
(2004),
Terza persona. Politica

della

vita e filosofia

221/237

dellimpersonale
(2007),
Pensiero
vivente.
Origine

attualit
della

filo-

sofia italiana (2010)


e Due. La
macchina
della teologia politica
e il posto
del

pen-

siero
(2013),
tutti
tradotti
diverse
lingue.

in

Dello stesso autore

Communitas
Immunitas

Bos

Terza persona
Pensiero vivente

Due

224/237

225/237

226/237

227/237

228/237

229/237

230/237

231/237

232/237

233/237

234/237

Indice

Le persone e le cose
Introduzione
Le persone e le cose
I. Persone

1. Possesso

1. Il niente della cosa

1. Lo statuto del corpo

2. La grande divisione
3. Due in uno
4. Uso e abuso
5. Non-persone

II. Cose
2. Res
3. Le parole e le cose
4. Il valore delle cose
5. Das Ding

III. Corpi
2. Potenza del corpo

236/237

3. Esistere il corpo
4. Lanima delle cose
5. Corpi politici

Il libro
Lautore
Dello stesso autore
Copyright

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