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E
DEI MONASTERI
Ricette golose tra sacro e profano
Il monastero di Santa Maria Maddalena
Serra De Conti
RINGRAZIAMENTI
Un ringraziamento sincero e sentito va alla comunit di suore clarisse che oggi abitano il
Monastero.. E grazie a loro che si lavorato vivendo una speciale esperienza di vita
ed insieme a loro si portato avanti il progetto di ricostruzione di una storia centenaria;
senza timori si ricostruita una quotidianit a volte difficile e complessa, fatta anche di
piccoli gesti, di cui il museo e questa pubblicazione sono testimonianza.
La suora clessidra, logo del museo, opera dellartista Ezio Bartocci, il simbolo di
quel tempo sospeso che tempo dello spirito francescano, motore e forza della
comunit, dallinizio della sua storia sino ad oggi.
Gli autori ringraziano gli archivi fotografici che hanno fornito i materiali:
Serra de Conti Biblioteca comunale
Serra De Conti Giuseppe Chiucchi
Reggio Emilia Giulia Lavecchia
INTRODUZIONE
Il nostro viaggio goloso incomincia qui a Serra de Conti in provincia di Ancona,
qualcuno sussurra che lo chiamino anche il paese delle monache. E un piccolo centro
che conserva ancora in parte mura e porte medioevali, la chiesa gotica di San Michele
risalente al 1200 e la chiesa barocca della Maddalena con annesso convento delle suore
francescane clarisse. Proprio qui accanto a questo convento, che ospita le monache,
stato aperto il museo Le stanze del tempo sospeso, curato dalla storica dellarte Amelia
Mariotti. Il museo racconta la vita quotidiana delle suore che si sono succedute nei
quattrocento anni di vita del convento.
Un mondo intensamente spirituale che nel silenzio , nella preghiera, nel lavoro si lega
alle radici profonde della comunit cittadina. Un microcosmo femminile dove la gioia e
lamore di Dio si fa musica e canto e si esprime nelle paziente creazione di merletti a
tombolo, di cordoni, di statuette di cera di carattere sacro e nei fiori di seta come le
raffinate coroncine per le novizie, tutte arti in cui le clarisse di S. Maria Maddalena
eccellevano.
Il monastero di Serra de Conti ha tradizione colta ed aristocratica: nel seicento ospitava
le figlie delle pi ricche famiglie di Serra e dintorni che si monacavano, ma non erano
accolte solo ricche e colte fanciulle aristocratiche, una storia del convento e del paese
narra di suor Maria Giuseppina, detta la Moretta per il color ebano della pelle e per la
sua origine africana. Nata nel 1845-46 in un villaggio del Sudan, ancora bambina, fu
rapita da negrieri arabi e venduta come schiava. Don Niccol Olivieri, fondatore della
Pia Opera del Riscatto delle Fanciulle More, la salv e la condusse in Italia il 2 Aprile
del 1856.
Qui fu affidata alle amorose cure delle suore clarisse di Belvedere Ostrense.
Il 24 Settembre dello stesso anno ricevette i sacramenti dell'iniziazione cristiana e nel
Battesimo assunse il nome di Maria Giuseppina e il cognome Benvenuti della madrina.
La consacrazione battesimale determin la scelta della vita religiosa. Nel 1874 fece la
vestizione religiosa e nel 1876, con la Professione, si consacr al Signore nell'Ordine di
Santa Chiara. Nel 1864, in seguito alla soppressione del Monastero di Belvedere, si
trasfer con altre consorelle nel Monastero di Serra de' Conti. Qui divenne Vicaria,
Maestra delle novizie e poi Abbadessa. Suor Maria Giuseppina suonava lorgano come
un angelo e la gente del paese restava sotto le mura del torrione ad ascoltare la musica
che vibrava nellaria e penetrava nei cuori infondendo pace La sera del 24 aprile del
1926 lasci questa terra ma promise alle suore che avrebbe dato loro un segno non
appena fosse giunta in Paradiso.
Esalato da poco lultimo respiro la campana del convento inizi a suonare a lungo,
senza che nessuno ne tirasse la cordicella.
Si grid al miracolo e tutti ripetevano: "E' morta la Moretta, morta una santa!". Il 1
Ottobre 1988 il vescovo di Senigallia Odo Fusi Pecci, alla presenza dei Membri del
Tribunale Diocesano, ha presieduto la chiusura del Processo Informativo Diocesano sulla
fama di santit e sulle virt eroiche della Serva di Dio che stato trasmesso alla
Congregazione per le Cause dei Santi a Roma.
Il sostentamento delle suore era assicurato dalla dote delle suore pi ricche. Dai registri
tenuti dalla suora dispensiera apprendiamo che ricompensavano con dolcetti, pagnotte e
tagliolini, vino, e lardo gli aiuti che arrivavano dallesterno, secondo una serie di norme
codificate. Consuetudine di moltissimi monasteri italiani come risulta evidente anche
dal Libro di memorie" del monastero riminese di San Sebastiano del 1786-87.Carte di
menu nomi di piatti, dal "manzo alesso", al "presciutto" all'insalata, ai formaggi, ai vari
tipi di minestre., usanze, doni e rinfreschi come quello per la festa di San Sebastiano:
l'elenco delle persone a cui distribuire dolci, parte dalla sagrestana per arrivare,
I pasti sono generalmente frugali: consentita la carne solo per i malati e gli ospiti; il
pesce e probabilmente anche il formaggio sono riservati per le grandi occasioni.
Di solito si servono due "pietanze cotte": il primo quasi una specie di polenta a base di
orzo, il secondo a base di legumi. A queste possibile aggiungere un terzo piatto a base di
frutta o verdura fresca. Ad ogni monaco spetta giornalmente una quantit di pane pari a
350 grammi circa. Come si pu intuire si tratta di un cibo poco equilibrato, che ingrassa i
monaci e li espone ai commenti non sempre benevoli della gente del popolo.
Quando non c la cena, si prende una tisana calda a base di tiglio o di camomilla, per
facilitare il sonno della notte Questo momento si chiama collatio poich vengono lette le
Collationesdi Cassiano Successivamente pass a indicare il leggero pasto caldo che si
consuma dopo il digiuno notturno, la nostra attuale colazione.
Ancora una piccola curiosit ,qualcuno forse si ricorder quando da piccolo lasciava
qualcosa nel piatto qualcuno ripeteva finisci tutto, non
Lasciare la vergogna nel piatto..! Ebbene anche questo modo di dire ha la sua piccola
storiaAbbiamo visto come le regole siano alla base della vita di un monastero, una
comunit di individui che vive a stretto contatto esige regole per la pacifica convivenza,
una convivenza basata su di un rigido autocontrollo.
Puntualit a tavola, lavarsi le mani prima di sedersi a tavola, attendere in silenzio il cibo,
non osservare ci che mangiano gli altri, non reclamare se si sono dimenticati di servirti e
finire tutto il cibo nel piatto
e se il tuo vicino ha finito prima di te sii generoso e dai un po del tuo cibo.
A tale proposito vi un divertente aneddoto: un monaco vedeva dibattersi nel proprio
piatto un bel topolino (o due scarafaggi...). Cosa fare? Reclamare era proibito.1 Non
mangiare lo era ugualmente.
Ma era caritatevole e giusto intervenire in favore del confratello vicino. Il monaco,
dunque, con discrezione e spirito pio, rivolgendosi al servitore mormorava:
"Perch padre Anselmo non ha diritto, anche lui, a un topo o a due scarafaggi?".
Proibito dunque come cosa vergognosa lasciare avanzi nel piatto, un insulto alla povert..
ecco spiegato lorigine del modo di dire non lasciare la vergogna nel piatto! rivolto a
coloro che lasciano sempre un po di cibo cos per abitudine.
Lalimentazione cambiata molto durante i secoli da un ordine religioso allaltro, da una
regione allaltra, ma, nonostante le diversit, nei monasteri il cibo non mai abbondante e
frequenti sono i digiuni.
Tutto nel monastero deve richiamare al senso della vita; anche il modo stesso di preparare
la tavola varia secondo il ritmo dellanno liturgico come vedremo bene nei documenti del
monastero di Serra De Conti.
NOTE
Giovanni Cassiano, monaco scrittore, fondatore di monasteri di uomini e di donne, nelle sue Collationes
(Conferenze), dettando le regole della vita conventuale, ammoniva che bisognava "impedire che il cibo accenda in noi
il fuoco della concupiscenza carnale",
L'abbondanza di umori provocata dal troppo cibo ridesta negli uomini il piacere ed il compiacimento sensoriale verso i
quali si dirigono gli strali dei padri della Chiesa. Lussuria, avarizia, collera, accidia sono dirette conseguenze della
sovrabbondante alimentazione, perch fra "i vizi che fanno al genere umano la guerra pi spietata, il primo la
gastrimargia o golosit" afferma Giovanni Cassiano, nelle Collationes, testo di meditazione e spiritualit.
(MONTANARI M.: Alimentazione e cultura nel Medioevo. Laterza 1988,
10
corrispettivi ordini maschili. Le monache, pur vivendo in una situazione che sembra
escluderle dal mondo, sono impegnate nella preghiera e nei lavori femminili, e
nelleducazione dei giovani ,e in un certo qual modo diventano parte integrante
della vita civile non solo per il significato storico e culturale ma perch insieme
fanno e costituiscono la vicenda umana la vicenda umana e spirituale dei
cittadini
Non pare certamente una novit che le monache fossero rinomate ,oltre che per labilit
nei lavori femminili ,anche per la preparazioni di eccellenti dolci e cibi.
A tale proposito troviamo conferma nel libro Donne e Cibo, quando la Muzzarelli scrive
Pi in generale si pu dire che la provenienza di molte di loro da ambienti aristocratici
o quanto meno abbienti ha dettato i caratteri e segnato i confini della cultura e della
pratica alimentare Nel Settecento, come ci ricorda Gabriella Zarri, le moo. monache
della Misericordia di Reggio Emilia erano famose per le "galanterie di cannellata",
quelle della Torre di Forl per le "corone di colla di pesce" , mentre le sorelle del Corpus
Domini di Ravenna erano note per le confetture in forma di pigna. Costituisce un unicum
la specialit delle monache di Bobbio: "Non fan lavori singolari, ma in cuocer le lumache
non han pari"
Una suggestiva fonte che risale alla met del XVIII secolo testimonia proprio le specialit
culinarie di alcuni fra i ventotto monasteri femminili esistenti in quel tempo a Bologna
Delle monache del monastero di San Lorenzo si dice che di cotogne fan gelo delicato da
dame e cavaglieri assai stimato La confettura di cotogne era effettivamente una
specialit bolognese, come atte fine del Cinquecento un viaggiatore fiammingo: Andrea
Schott ": scrisse: Fanno una conserva di cotogne e di zucchero chiamata gelo, degna
d'esser posta alle tavole dei re. Le monache del monastero di Santa Cristina della
Fondazza facevano bi scotti con muschio e acqua di rose definiti gustosissimi, mentre Ie
benedettine del monastero dei Santissimi Gervasio e Protasio producevano un vin di
marene... per gl' amalati, qual vien gustato ancor dalli svogliati. Le amarene sciroppate
erano la specialit delle benedettine nere del monastero dei Santissimi Vitale e Agricola e
al preparato erano attribuite anche propriet medicinali Le domenicane del monastero di
Santa Maria Nuova confezionavano invece un dolce di marzapane che tagliato a fette
sottili poteva essere scambiato per mortadella. Caso di imitazione confondente non unico
giacch altre monache realizzavano in cera frutti bellissimi che parevano veri e
confezionavano in seta fiori molto simili a quelli naturali. Le domenicane del monastero
dei Santissimi Naborre e Felice preparavano un prelibato pan di Spagna conosciuto e
richiesto perfino in Lombardia, cos come erano ricercate anche fuori Bologna le torte
alla frutta delle domenicane del monastero di San Guglielmo. Le vallombrosane del
monastero di Santa Caterina fabbricavano _'zuccherini" colorati mentre le clarisse del
monastero dei Santissimi Bernardino e Marta sempre con lo zucchero preparavano
"mattonelle o tavolette" che calmavano la tosse1
11
IL MONASTERO
DI SANTA MARIA MADDALENA
12
LA STORIA
Lattuale complesso monastico di Santa Maria Maddalena nasce sui ruderi di un
antico monastero omonimo che agli inizi del Cinquecento era gi stato abbandonato
dalle religiose.
Restavano tuttavia i suoi averi, confluiti nella Curia di Senigallia, mentre una
cospicua eredit, leredit Piccini, era direttamente gestita dalla Fabbrica di San
Pietro.
Nella seconda met del Cinquecento una comunit di suore clarisse di Pesaro si fa
promotrice della riedificazione del complesso religioso insieme al comune di Serra
De Conti, dopo aver ottenuto linteressamento del Papa Gregorio XIII.
Questi, con Breve del 1574, sollecita la Curia di Senigallia affinch scorpori i
terreni del Monastero di Santa Maria Maddalena e dispone la restituzione del
considerevole lascito testamentario delleredit Piccini al Comune di Serra De
Conti, che utilizzer le risorse messe a disposizione per la riedificazione del
complesso monastico.
I lavori terminano nel 1586 e il monastero nuovamente abitato da giovani
claustrali istruite da tre suore fatte venire appositamente dal Monastero di clarisse
di Santa Lucia di Arcevia. Divenuto negli anni ricco e signorile, si contrappone al
monastero di San Carlo Borromeo, fondato nel corso del Seicento, anchesso situato
allinterno delle mura del paese ed oggi adibito ad uso privato.
Il Monastero di Santa Maria Maddalena si trova ad avere e controllare,
probabilmente sin dallinizio della sua rinascita, un ricco patrimonio immobiliare
esteso su un vasto territorio la cui gestione viene esercitata con laiuto di sindaci e
di agenti che curavano i rapporti con i fittavoli e i coloni. Con questi il Monastero
mantiene comunque contatti diretti testimoniati dai documenti darchivio che
riportano il frequente andare dei coloni alla casa monastica.
Grazie alle considerevoli doti delle novizie e dei lasciti delle famiglie nobili locali,
gi nella seconda met del Seicento inizia l ammodernamento del complesso e nel
1726 viene acquistato ed inglobato ladiacente Palazzo Palazzi (oggi sede
comunale).
Un grave colpo vieni inferto alla vita della comunit dalle soppressioni
napoleoniche, nel 1810, in seguito alle quali alcune suore si rifugiano nella nobile
casa degli Honorati e altre tornano in famiglia.
Nonostante le suppellettili e gli arredi vengano affittati a prestanomi, questo un
periodo di distruzione, vendita e alienazione di molti oggetti darte. Si salvano
soltanto i numerosi oggetti duso comune, che vengono lasciati nei loro luoghi
perch tenuti in scarsa considerazione.
Nel 1824 le suore rientrano in monastero ma per affrontare, di l a pochi decenni, un
ulteriore momento drammatico causato dalle nuove soppressioni degli ordini
religiosi stabilite nel 1861 in seguito allunificazione del regno dItalia. Perdono la
propriet ma restano nella loro abitazione che, seppure ridotta, ospita anche undici
clarisse provenienti dai soppressi monasteri di Belvedere Ostrense e di Ostra.
Nel 1910 le suore acquistano dal Comune la parte abitata da loro ma, ancora una
volta, un difficile momento le aspetta: allinizio della prima guerra mondiale il
vescovo di Senigallia ne stabilisce il trasferimento ad Arcevia
In quelloccasione tutto il paese insorge e c ancora memoria di una sassaiola
organizzata contro le carrozze che erano venute a prelevare le suore le quali, grazie
anche allintervento della gente, potranno restare nella loro casa, senza interruzioni
sino ad oggi.
13
Ristretto delle Regole e Costituzioni della Serafica Madre Santa Chiara, Senigallia, 1857. Come citato
nel frontespizio, questo Ristretto delle Regole ad uso personale di ogni singola suora che aveva fatto
la solenne professione nel Monastero di Santa Maria Maddalena di Serra De Conti. Riprone, senza
sostanziali differenze, testi pi antichi e nel caso specifico fu approvato dal Cardinale Domenico
Lucciardi, vescovo di Senigallia, sotto la cui giurisdizione ricade, ancora oggi, il Monastero di Santa Maria
Maddalena.
14
ASMM, Registro cartaceo, carte n.n.,s.d., busta 7 Ricettari. Tutte le notizie riportate in questo paragrafo
sono state tratte dal regolamento della dispensa contenuto nel registro cartaceo di cui sopra ,privo di
titoli ,date ed autori
15
2 Ristretto delle Regole e Costituzioni della Serafica Madre Santa Chiara, Senigallia, 1857. Tutte le notizie riportate
sono tratte dalla costituzione XVI, che si articola in 18 paragrafi e riguarda le Ufficiali del Monastero con i relativi
Uffici monastici. Nellultima costituzione viene specificato come linosservanza delle regole proposte non costituisce
peccato di sorte alcuna, purch non si trasgrediscano i quattro voti di Povert, Castit, Obbedienza e Clausura.
Possono, per, essere punite, secondo la maggiore o minore negligenzadalli Superiori e dalla madre Badessa
2
ASMM, Registro cartaceo, carte n.n.,s.d., busta 7 Ricettari
16
17
18
ASMM, Piano desecuione delle grosse riparazioni da eseguirsi nel Monastero di Santa Maria Maddalena in Serra
De Conti 1823, 9.11, 1823, fasc. 4.
19
IL CALENDARIO E LA CUCINA
20
Per i documenti darchivio, con relative segnature, si fa riferimento al seguente inventario: Monastero di
Santa Maria Maddalena di Serra de Conti. Inventario darchivio (1500 1988), a cura di V. ZEGA, <Le
Marche: Folklore Religiosit>, VI, 2003.
2
Archivio Santa Maria Maddalena (da ora ASMM), b. 7, Ricettario
21
22
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, pp. 59-60: Letimologia deriva dal fatto che
queste pizze fatte con farina e lievito crescevano (). La crescia si fa con la massa del pane () si
prepara il giorno della panificazione e si cuoce sulla bocca del forno per non bruciarla, ma quando non si
fa il pane la si prepara ugualmente ma si cuoce sul piano rovente dellarola ricoperta di brace oppure sul
testo (piastra di ferro) oppure sul panaro (di coccio). Si mangia al posto del pane o imbottita con le
erbe strascinate e con il formaggio fresco e la salata.
Sulle cresce si veda comunque nelle pagine seguenti la scheda di commento alla trascrizione della ricetta.
11
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
12
Interessante in proposito il documento del monastero benedettino di Santa Maria Maddalena di Urbania
riportato da P. DONADI (op. cit., p. 95): il pane era bruno, ed il bianco si usava in occasione di malattie, e
questo si comprava al suddetto spaccio.
13
La trascrizione di una ricetta di pane con il tritello dellentroterra marchigiano presente in Staffolo, le
antiche ricette, (a cura M.L. SOVERCHIA), Staffolo, 2000, p. 20. Con il tritello si facevano anche dolci,
come le pagnottine caratteristiche di Matelica (nel maceratese), con mandorle, zucchero, cannella,
buccia di limone, e la glassatura sopra di fiocca, chiara duovo montata ed inzuccherata. A Genga, con
tritello e granturco facevano dei dolcetti a forma di piccoli panetti, o maritozzi come di dice in zona
(Antologia della cucina popolare, Fabriano, 1993, p. 128)
14
Si veda la trascrizione della ricetta con relativo commento nelle pagine seguenti.
15
Come alla nota precedente, sia per le cresce al formaggio, che per buccellati e pannociati, vedi la
trascrizione della ricetta con relativo commento nelle pagine seguenti.
16
A. LATINI, Lo scalco alla moderna, Napoli, 1692, vol. I, p. 179.
17
S. PAPA (La cucina dei monasteri, Firenze, 1978, p. 128) cita il convento di Santa Caterina a
Ripatransone, dove si facevano dei celebri tagliolini, che, pare, una sola suora era in grado di tagliare cos
sottili.
18
O. ZANINI DE VITA (Atlante dei prodotti tipici . La Pasta, Roma, 2004, p. 444 ) racconta della processione dei carri
con i tagliolini preparati dai conventi romani per le puerpere illustri.
13
Biblioteca Nazionale di Macerata (da ora B.N.Mc), Manoscritti Buonaccorsi (da ora M.B), Ricettario, b.
4/27. Cfr. A. M. NAPOLIONI, La cucina dei signori: i manoscritti della Biblioteca Nazionale di
Macerata, in Le carte in tavola: manoscritti e libri di cucina nelle Marche, Macerata, 1996, pp. 27-59.
Sulla trascrizione, analisi e commento di questo ricettario manoscritto fu incentrata la testi di laurea di chi
scrive (T. LUCCHETTI, Cucina e banchetto nelle Marche Centrali del Seicento: analisi delle tradizioni
23
anche nella mensa delle clarisse di Serra de Conti spesso, tra i pasti raccomandati per
alcuni giorni si leggono pietanze di maccheroni ed appunto tagliolini 19. Nel monastero
infatti ancora conservato il caratteristico lapposito strumento con tante scanalature da
passare sulla sfoglia stesa per intagliare appunto le strisce dei sottili tagliolini; questo
utensile, di uso comune, rappresentato in una delle stampe che illustrano lideale
corredo di strumenti da cucina del ricettario terdo-cinquecentesco dello Scappi 20.
Generalmente la pasta si preparava semplicemente con acqua e farina, e solo nelle grandi
occasioni con la preziosa aggiunta di uova21. In determinate occasioni si usava preparare
anche formati ripieni come ravaioli con la ricotta22, e tortelli con erbe23, ma queste
specialit erano presentati come frittelle anzich come pasta bollita. Ma anche nel
cucinare la pasta vera e propria vi erano ricette particolari, da preparare per occasioni
speciali. Da sempre per le festivit notevoli era consuetudine solennizzare i maccheroni
condendoli abbondantemente di grasso (con pezzetti di carne, funghi, spezie,
formaggio) e poi celandoli preziosamente in un sontuoso scrigno di pasta frolla o sfoglia:
era la ricetta, diffusa in tutta Italia, del timballo o pasticcio, rinvenuto anche tra le carte
di cucina delle clarisse di Serra de Conti 24. Cera poi la tradizione particolare, tipica
delle Marche interne e dellUmbria25, di rendere memorabile e cerimoniale il consumo
della pasta asciutta condendola in una festosa versione con ricotta, miele, zucchero,
mandorle e pinoli: anche questa preparazione, caratteristica delle grandi vigilie, rientra
nel ricettario manoscritto del monastero di Santa Maria Maddalena26.
Oltre ai cereali (tra cui anche il farro, con cui le clarisse confezionavano torte
particolari27), vanno ricordati anche gli altri due prodotti vegetali che rappresentano per
molti aspetti il cardine della nostra cultura agro-alimentare, ossia loliva e lolio, e luva
ed il vino28, annualmente omaggiati dal rituale festoso della vendemmia. Esattamente
nella circostanza della raccolta delluva e dellinizio della vinificazione le clarisse
celebravano ritualmente questa cerimonia campestre impiegando il succo duva appena
spremuto, e preparando cos dei dolcetti con il mosto, mescolato anche con miele e
spezie, come appunto i mostaccioli29 od altri tipi di biscotti e pasticcini. I mostaccioli
culturali e fonti iconografiche, relatore prof.ssa B. FIORE, correlatori Prof.ssa C. CIERI VIA S. PROSPERI
VALENTI RODIN, Universit degli Studi di Viterbo, Facolt di Conservazione Beni Culturali, A. A. 199899). Numerosi riferimenti, passaggi e citazioni tratti da questo ricettario sono stati gi in parte pubblicati
dal medesimo autore: (T. LUCCHETTI, Larte conviviale nelle Marche centrali del Seicento: cultura e
societ nelle pratiche della cucina e del banchetto, <Le Marche. Folklore Religiosit>, V, 2002, pp. 93110; T. LUCCHETTI, Le arti dei decori e degli apparati effimeri nelle feste pubbliche e cerimonie conviviali
tra XV e XVI secolo (alcuni casi ed esempi tra Ancona e Macerata), <Atti e Memorie di Deputazione di
Storia Patria per le Marche>, 104, 2004).
19
Sul carattere storico dei maccheroni e dei tagliolini, anche nel contesto specifico marchigiano cfr.
Atlante delle paste italiane, a cura di O. ZANINI DE VITA, op. cit.)
20
B. SCAPPI, Opera, Venezia, 1570, tav. XIII: si tratta del Ferro da maccaroni. L. FIRPO (Gastronomia
del Rinascimento, Torino, 1972, p. 64) lo descrive appunto come una serie di rotelle affilate investite su
un bastone, da passare sul foglio di pasta a mo di rullo).
21
P. DONADI (op. cit., p. 98), riporta come nel monastero benedettino di Santa Maria Maddalena di
Urbania, i tagliolini tutti ova venivano preparati dalle monache quasi esclusivamente nel giorno di
Pasqua.
22
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
23
Vedi la trascrizione della ricetta con relativo commento nelle pagine seguenti.
24
Vedi la trascrizione della ricetta con relativo commento nelle pagine seguenti.
25
Cfr. Le opere e i santi: tradizione alimentare e festivit rituale in provincia di Terni, a cura di G.
BARONTI, Terni, s.d
26
Si veda la trascrizione della ricetta con relativo commento nelle pagine seguenti.
27
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
28
M. MONTANARI (op. cit, pp. 12-13) nota come questa triade agro-alimentare costituiva un punto di
forza per la cultura greca e romana, un simbolo della propria identit: lautore cita le parole di Anio, re
e sacerdote di Delo nelle Metamorfosi di Ovidio: Ogni cosa che le mie figlie toccavano si trasformava
in grano, o in vino puro, o in oliva.
29
Vedi la trascrizione della ricetta con relativo commento nelle pagine seguenti.
24
vengono appunto definite paste della vigilia, ed era un dolce rustico di origini
antichissime, confezionato originariamente appunto con del mosto cotto, per secoli il
principale edulcorante nella cucina contadina30: con i secoli anche nel confezionare i
mostaccioli allo sciropposo succo duva si spesso sostituito lo zucchero, come
testimoniano molti ricettari aristocratici dei secoli scorsi, ma la ricetta delle consorelle di
Serra prevedeva ancora il mosto cotto ed il miele, con laggiunta di noci e di spezie dolci
come cannella e chiodi di garofano.
Per quanto riguarda invece le olive le clarisse erano solite raccogliere la specie chiamata
di San Francesco, perch appunto si raccoglie ai primi di ottobre in prossimit della festa
del santo di Assisi: qualche settimana dopo le altre olive erano condotte al frantoio, ed
infatti tra i doni che si facevano a fine novembre era contemplato lolio 31; secondo
gerarchia quello di qualit migliore (specificato come buono) andava al padre
confessore e al sacrestano, mentre quello pi ordinario veniva portato ai fattori32.
LA PISTA DEL MAIALE: INSACCATI E PIETANZE
Da sempre nella cultura contadina (ma anche signorile dellaristocrazia fondiaria) la
macellazione del maiale ha unimportanza molto radicata, anche a causa del ruolo
significativo dei suini nelleconomia e nella cultura alimentare nel passato 33 (quando la
carne porcina insaccata e conservata costituiva la principale se non unica riserva carnea e
proteica per gran parte della popolazione34). La pista del maiale ha infatti sempre
assunto anche valenze rituali, trasformando questa sanguinaria pratica contadina in un
cerimoniale festoso, una di quelle episodiche e cruciali tappe annuali di abbondanza
spensierata e sfrenata festosit. Si cucinava molto nei giorni del sacrificio cruento delle
bestie, dando fondo a molte risorse della dispensa: i ricchi pasti serviti in quel periodo di
intenso (e truculento) lavoro celebravano il consumo rituale e festoso della carne
ottenuta di fresco, ma soprattutto sfamavano adeguatamente tutte le maestranze raccolte
durante le fasi di macellazione e lavorazione dei prodotti insaccati e dei salumi 35. Il
regolamento della dispensa delle clarisse di Serra de Conti prevede cos alcuni
suggerimenti per quando si ammazzano i maiali (dicembre gennaio, I e II
ammazzata36). Ci sono prescrizioni su cosa cuocere, e su cosa donare delle bestie
macellate ai vari lavoranti che prestavano questo servizio al monastero. Si provvedeva
innanzitutto a ricompensare con lospitalit i contadini che portavano i maiali, con una
pigna di cece e altri legumi cotti, minestra, pane e vino, ed ancora tagliolini con la
carne, ed infine specialit di pasticceria del convento. Andavano poi rifocillati i
lavoranti impegnati nella pista del maiale, e cos agli uomini che scarnificano, fattori,
acquarola, a quelli che insaccano le salsicce, vestono le lonze, fanno salami e ciauscoli
venivano offerti colazione, pranzo e cena, ed infine si regalavano loro gli ossi del
30
Sullimpiego della sapa come dolcificante principale nellantica cultura gastronomica contadina delle
Marche cfr. Antologia della cucina popolare, a cura della Comunit Montana Alta Valle dellEsino,
Fabriano, 1993.
31
Riguardo alla storia ed alla tradizione della produzione olearia nella provincia di Ancona cfr. R.
CECCARELLI, Olivicoltura e frantoi nella Marca di Ancona, Ancona, 2000 (Lolivo, al pari della vite, ha
trovato nelle nostre colline un habitat particolarmente felice.)
32
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
33
Riguardo alla storia ed alle tradizioni dellallevamento suino nelle Marche, ed in particolare nella
provincia di Ancona cfr. R. CECCARELLI, Come uno di casa: il suino nelle Marche, Ancona, 2003.
34
Sullallevamento del maiale e la produzione suina nel passato nella Provincia di Ancona cfr. R.
CECCARELLI, Come uno di casa: il suino nelle Marche, Ancona, 2003.
35
A. DE SIGNORIBUS, op. cit., p. 55: Luccisione sar una festa, come la spezzatura e salatura, dopo
la messa alla strina (al freddo) per qualche giorno. Del maiale nulla deve andare sprecato, incluso il
dangue, raccolto fino allultima goccia durante la sgozzatura.
36
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
25
37
Ibidem.
Cfr. L. PACIFICI, Il ciauscolo: un salume antico dal gusto moderno, Macerata, 2003
39
Si veda la trascrizione della ricetta con relativo commento nelle pagine seguenti.
40
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
41
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
42
ASMM, Registro cartaceo con ricette di cucina, b. 7 Ricettario, XIX secolo
43
Ibidem
44
Ibidem
45
Ibidem
46
Ibidem
47
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
38
26
CUCINA DI GRASSO
La carne di maiale non era per lunica ad essere consumata dalle clarisse. In ogni
periodo codificato liturgicamente come di grasso, quando ossia si era nel periodo delle
grandi festivit, venivano cucinati animali dallevamento di vario tipo. In molti dei
giorni e delle ricorrenze in cui era concesso mangiar carne si cuocevano infatti
gallinacci, capponi e pollame vario, e subito dopo questi pranzi festosi, per il pasto
immediatamente successivo si riciclavano accortamente gli avanzi della polpa migliore,
cucinando i guazzetto i colli e le frattaglie di questo pollame, confermando ancora il
carattere umilmente rurale della mensa delle clarisse e dei loro accorgimenti culinario
volti ad un rispettoso risparmio di ogni provvista commestibile 48. Si praticavano
naturalmente tutti i tipi di cottura, nei giorni di festa grande le carni servivano lessate,
arrostite e fritte; talvolta si legge il termine tegame, che identificava una pietanza
cucinata in umido, oltre naturalmente alla pentola, compresa nel ricco repertorio di
recipienti ceramici da fuoco del monastero, molti dei quali tuttora conservate nel Museo
delle Arti Monastiche. Tra le carni le clarisse consumavano anche la vaccina, e
naturalmente lagnello, che secondo tradizione era preparato a Pasqua, riciclando anche
la testa e le interiora per prepararci le frittate. Altro animale simbolo cristiano della
mansuetudine e della pace, e di conseguenza bestia sacrificale era il piccione, di cui ad
esempio si conserva nel ricettario lappunto manoscritto per cucinarlo in gratella 49.
Altre specialit di grasso riscontrato nel ricettario delle clarisse prevedevano di
preparare una farcia con carne tritata, prosciutto e formaggio per riempire alcune verdure
ed ortaggi: anche questo un sapiente accorgimento per rendere festose ed appetibili
provviste ordinarie ed assolutamente ricorrenti come i vegetali 50. Tra le succulenti
prelibatezze con i salumi ricorrono poi spesso, nelle liste di cibarie strutturate dal
regolamento di dispensa i crostini al prosciutto51, aromatizzati con la salvia ed anche
spolverati da una sottile spolverata di zucchero, secondo criteri di abbinamento tra dolce
e salato, retaggio caratteristico di quella cucina, dai sapori contrastanti se non stridenti,
propria dei secoli scorsi.
CUCINA DI MAGRO
Il calendario liturgico alternava pertanto periodi di serena spensieratezza, senza
limitazioni alimentari, ed altri invece di raccoglimento spirituale e meditazione, dove si
prescriveva se non il digiuno almeno lastinenza dal consumo di carne 52, cibo del piacere
assoluto, che da sempre contraddistingueva con il suo antichissimo valore sacrificale, la
mensa succulenta dei giorni canonici della festa. Il regime di magro imperava nei
giorni di vigilia, quasi a voler anche bilanciare leccesso spensierato dei pasti festivi, e
notoriamente durante la quaresima e lavvento. In questi giorni oltre alla consueta ed
immancabile verdura, il pesce era notoriamente la pietanza principale: a Serra de Conti,
come in tutte le localit interne, lontane dal mare e ad una certa altitudine, non era
certamente facile procurarsi pescagione guizzante, per cui si ricorreva al pesce essiccato
48
Ibidem.
Si veda la trascrizione della ricetta con relativo commento nelle pagine seguenti.
50
Come sopra.
51
Come sopra.
52
Cfr M. MONTANARI (op. cit., p. 99). Lorigine di questa disposizione ecclesiastica da ricercare in varie
motivazioni. Oltre allapproccio penitenziale di rinuncia al piacere (non solo alimentare ma anche
sessuale, in quanto secondo la dietetica antica un consumo abbondante di carne esaltava i sensi). Cera poi
il rifiuto della tradizione pagana che associava il consumo di carne ai sacrifici agli dei romani. Dalla
cultura precristiana venivano per accolte le antiche teorie filosofiche greche favorevoli ad un
vegetarianesimo pacifista.
49
27
e salato53, su tutti il baccal 54, di cui si leggono molte ricette negli appunti di cucina
manoscritti del monastero55. La prescrizione di magro era comunque sicuramente meno
severa nei secoli recenti rispetto agli albori della cristianit: una volta anche le uova ed i
latticini, in quanto frutti della carne, erano considerati di grasso, e pertanto banditi
dalle tavole nei giorni di astinenza, e sostituiti da alcuni surrogati, come ad esempio le
mandorle, la cui essenza oleosa era usata spesso in sostituzione di burro o addirittura
formaggio. Nel tempo appunto certi rigori vennero via via stemperandosi: ad esempio
nellarchivio del monastero di Serra de Conti, sono ad esempio conservati alcuni bandi
dove il vescovo concede per lavvento persino limpiego di lardo e strutto 56. Tuttavia sia
nella quaresima che nellavvento erano previsti giorni di digiuno, ossia al solo regime di
pane ed acqua57. Il periodo di magro prepasquale era tuttavia, per quanto rigenerante e
purificatorio particolarmente lungo: la tradizione popolare aveva codificato luso di
celebrare la mezza quaresima58: il raggiungimento e superamento della prima met di
questi quaranta giorni quaresimali era un po ovunque salutato con un certo generale e
timidamente spensierato sollievo, con pubblici rituali liberatori, celebrati anche
doverosamente elementari leccornie caratteristiche: rudimentali ma graditissimi dolcetti
si confezionavano un po ovunque per celebrare infatti questa ricorrenza. In particolare
la fantasia popolare si sbizzarriva a rendere particolari con fogge fantasiose e simboliche
questi umili biscotti e focacce, semplici come pasta di pane appena un po dolcificata, e
talvolta rese anche esteticamente pi curate, con sgargianti confettini multicolori, a
figurare quasi come delle memorie sopite dal lontano carnevale, richiamate a forza per
spezzare per un attimo il grigiore comandato della quaresima. Anche le suore del
monastero di Santa Maria Maddalena avevano evidentemente adottato e interiorizzato
questa usanza collettiva, e per questa circostanza il registro di dispensa raccomanda
infatti la preparazione di cialde nellapposita pigna. Del resto la preparazione di questi
dolci per periodi di astinenza citata anche nel ricettario marchigiano tardo settecentesco
Il cuoco maceratese di Antonio Nebbia, dove si legge la ricetta Composizione per
cialdoni di magro, preparati nei ferri pe cialdoni con mandorle, olio dolce, zucchero
e anisi se piacciono 59. Il carattere quaresimale delle cialde era del resto universalmente
presente in Europa, come attesta iconograficamente il dipinto di Bruegel Il Carnevale e
la Quaresima, dove una vecchia friggitrice di cialde raffigurata tra gli episodi
53
Cfr. M. KURLANSKY, Il merluzzo: storia del pesce che ha cambiato il mondo, Milano, 1999
F. BIRRI C. COCO, Nel segno del baccal, Venezia, 1997, pp. 34-35. Gli autori osservano appunto
come il termine stoccafisso sia stato menzionato per la prima volta in una cronaca di viaggio del
mercante veneziano Piero Querini; il nome deriva dallantico olandese stock (bastone) e visch (pesce),
ossia pesce seccato sui bastoni. Tra le varie complesse ipotesi formulate invece sulletimologia di
baccal, interessante la possibile derivazione dal latino ba(c)culus (bastone), che presenta cos una
possibile analogia con lorigine del termine di stoccafisso. Lo stretto legame tra i due termini pu
spiegare lo scambio dei nomi avvenuto nel nostro paese dove, in Veneto e nel Friuli-Venezia Giulia per
lappunto, lo stoccafisso viene chiamato baccal.
55
Si veda la trascrizione della ricetta con relativo commento nelle pagine seguenti.
56
ASMM, buste varie. Il pi antico documento a riguardo datato 28 ottobre 1710 (b. 4.17): Breve del
Sommo Pontefice Clemente Undecimo datato li 28 ottobre 1710 col quale si accorda alle Monache di
questo monastero di poter mangiare i latticini durante il tempo del Sagro Avvento.
57
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
58
C. LEONARDI (Il cibo nelle feste popolari dellAlta Valle del Metauro tra Ottocento e Novecento, in
Storia dellalimentazione marchigiana, op. cit., p. 56) riporta invece come dolce caratteristico della Mezza
Quaresima il maritozzo, fatto con pasta di pane con un po dolio, qualche acino duva e una
spennellata di chiara duovo zuccherata, che infatti si mette addosso alla Segalavecchia, il pupazzo
che rappresenta la quaresima e che viene montato in piazza, sbeffeggiato ed infine bruciato durante questa
ricorrenza popolare.
59
A. NEBBIA, Il cuoco maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, p. 237.
54
28
inquadrati simbolicamente nel regime di magro60. Del resto i ferri per cialde61
ricorrevano in tutti gli inventari degli utensili da cucina, ed infatti vengono illustrati
anche nelle immagini a stampa del ricettario dello Scappi 62. Le cialde avevano
naturalmente questo carattere quaresimale anche nel monastero di Serra de Conti, dal
momento che venivano preparate anche per il marted santo e per la vigilia di Pasqua,
assieme ad un altro ricorrente dolce di magro, le frittelle di mele. Questultima
preparazione figura come specialit di quadragesima fin dal manoscritto trecentesco
Libro per cuoco, ricettario di area veneta che illustra appunto come impastellare e
friggere spicchi o fettine di mela private del torsolo, per poi cospargerle ancora calde con
zucchero e spezie63. La versione quaresimale di queste frittelle nel monastero di Serra de
Conti appuntata stringatamente nel regolamento di dispensa: la pastella
semplicemente preparata nella solita pigna con acqua, farina e lievito, ed una volta
fritti i pezzetti di mela vengono dolcificati, alcuni con zucchero, altri con miele64.
LA PASTICCERIA
I dolci erano per generalmente, come tradizione, una preparazione di cucina
caratteristica delle grandi feste. I monasteri nel secolo guadagnarono la fama di raffinate
officine di pasticceria. Forse questa familiarit con le preparazioni dolci si andata
affinando nel tempo parallelamente allapprofondimento delle conoscenze di erboristeria
e spezieria: del resto anticamente lo zucchero rientrava esclusivamente tra le spezie
conosciute ed impiegate in farmacia ed ipotizzabile che in questo ambito
originariamente si siano sperimentate nuove confezioni dolci, per poi far derivare e
nascere autonomamente la pratica della pasticceria monastica, rinomata anche allesterno
delle mura conventuali65. Nei secoli le suore di alcuni ordini diventeranno sapienti e
celebrate maestre di questa arte squisita, con prestigiose commissioni di torte e
confezioni dolci per le mense nobiliari pi esclusive 66. In particolare francescani e
clarisse si distinguevano per dolci cerimoniali per le festivit sacre. Ed in effetti anche
nel monastero di Santa Maria Maddalena la cucina si attivava in occasione di particolari
ricorrenze annuali, per grandissime manovre collettive nel preparare tante specialit
dolci, che pi che arricchire le imbandigioni festive del refettorio venivano regalate alle
varie personalit con cui il monastero era in rapporto costante durante lanno. In
60
A. WIED, Bruegel: il Carnevale e la Quaresima, Milano, 1996, p. 5: Tema principale dellopera una
scena di torneo simile a quelli che effettivamente venivano disputati durante le rappresentazioni
carnevalesche, in cui le figure allegoriche del Carnevale (maschile) e della Quaresima (femminile) si
fronteggiano.
61
M. CARAFLI (Lalimentazione delle famiglie abbienti marchigiane negli anni Venti: larea misenometaurenze, in Storia dellalimentazione marchigiana, op. cit. , p. 76) cos descrive la preparazione di
questo dolce: Altra cosa buona erano infine le cialde, impasto liquido di latte, farina, uova, zucchero,
burro e qualche anice, che a una cucchiaiata per volta si metteva a cuocere tra le due valve piatte di un
apposito ferro quasi rovente, simile a una grossa tenaglia. Sulle due branche erano incisi disegni vari.
62
B. SCAPPI, op. cit., tav. XVI. L. FIRPO, op. cit. p. 65: Si vede poi la doppia pala zigrinata, fatta a
tenaglia, che si arroventa e serra a cuocere la pasta sottile per fare cialde.
63
L. FRATI, Libro di cucina del secolo XIV, Livorno, 1899 (rist. anast. Sala Bolognese, 1979), p. 15
64
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
65
P. DONADI (p. 46) inserisce appunto la pasticceria tra le virt donnesche di cui i monasteri femminili
erano luoghi di eccellenza, maestria e formazione: Altrettanto nota abilit monastica quella culinaria, in
particolar modo riguardante la preparazione di dolci e confetture o di ricette particolarissime come la
cottura delle lumache o la preparazione di infusi di erbe utili alle necessit pi diverse.
66
Ivi, p. 98. Cos lautrice riguardo al monastero do Santa Maria Maddalena di Casteldurante (Urbania):
Le paste restano in assoluto la specialit delle monache benedettine di Urbania: biscotti di diversi tipi, a
seconda delle occasioni tutti inzuccherati o di pan biscotto, meringati, di pan speziato, con le noci, le
mandorle, i mostaccioli e gli anicetti. Come possiamo leggere nelle memorie le paste che erano in uso
nel nostro monistero in questo secolo erano il pane mellato, la torta di noci, e miele, e la peverata, pasta
fatta di uso di torta col mosto cotto, miele, noci garofoli, e pepe
29
particolare durante la vigilia del Natale iniziava questo grande lavoro di pasticceria 67:
secondo tradizione i dolci e le torte natalizie tendevano ad impreziosire, nel cerimoniale
della mensa di questa festa, la sacralit quotidiana del pane68. Del resto si deve ricordare
che per tanto tempo, ed in culture diverse, Natale era in effetti chiamato il giorno del
pane, correlando cos simbolicamente la nascita di Ges con il dono divino del grano e
del suo prodotto derivato principale, emblema stesso del sostentamento universale,
codificato nelle pagine del Vangelo come veicolo di nutrimento al tempo stesso spirituale
e corporeo.69 Similmente la tradizione contadina aveva codificato i suoi dolci tipici per il
pranzo di Natale: le ricette pi umili non erano altro che elementari variazioni sul tema
dolce delle preparazioni ordinarie di impasti per pani e focacce comuni, appena
impreziositi da zucchero, frutta secca, eventualmente burro e distillati liquorosi. Il
modello di pasticceria natalizia confezionata dalle suore di Serra de Conti rappresenta
invece un repertorio di leccornie zuccherine pi raffinate, degne di unarte culinaria
sapiente, contiguo ai modelli gastronomici aristocratici, e non certo rustici e popolari70.
Le dolci paste allovo si accumulavano cos nelle teglie da forno e nelle tavole della
cucina in tutte le fantasiose e rinomate fogge e tipologie, dal Pan di Spagna ai savoiardi,
dalle rotole dallovo ai pinoli e alle mandorle, dai savoiardi ai biscottini di varie sorte,
a specialit come le galanterie o fraschette 71. Tra le specialit dolci caratteristiche
della pasticceria monastica per le feste natalizie e pasquali vanno sempre ricordate in
particolare certe torte in pasta di mandorle e frutta secca, modellate a forma di animali
simbolici, in particolare lagnello ed il serpente. Queste leccornie delle suore erano
appunto conosciute anche allesterno dei monasteri per i pochi privilegiati che avevano
lonore di riceverlo in dono. Talvolta erano per le stesse suore a ricevere invece delle
torte in omaggio, come ad esempio nel giorno di Santa Maria Maddalena titolare del
monastero, quando i contadini erano soliti portare alle clarisse anche il latte 72. Un
classico dolce fatto con il latte, portato secondo tradizione dai contadini ai padroni per
alcune ricorrenze annuali, era il lattarolo 73, di cui esistono diverse ricette appuntate tra le
carte di cucina del monastero74. Ma tra le preparazioni di pasticceria pi importanti da
confezionare con il latte cerano certamente le creme 75, servite in appositi piatti speciali
per occasioni particolari. la cucina si presta qui non pi per preparazioni culinarie della
mensa ordinaria, ma per sopraffine leccornie da preparare per le grandi feste ed i solenni
rituali conviviali interni al monastero.
67
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
Cfr. A. CATTABIANI, Lunario, Milano, p. 387. In molte altre regioni e citt dItalia ricorre il termine,
assolutamente perentorio e definitivo, di pane (cibo per antonomasia) nei dolci confezionati solo ed
esclusivamente per il Natale: dal pan pepato, che si riscontra a Ferrara, ad Arezzo, ed in Umbria, dov
fatto con noci e mandorle, uvetta, cioccolato e con laroma di noce moscata, fino al romano Pangiallo,
ricoperto da una pastella duova indorata al forno; il Pandolce di Genova confezionato con pinoli, uvetta
e cedro candito mentre il particolare Panvisco di Bari preparato con vincotto di fico, carruba, uva
moscata e linedito aroma della polvere di Cipro.
69
A. CATTABIANI (Calendario, Milano, 2001, p. 81) nota come anche Betlemme, luogo della nascita di
Ges, significhi casa del pane, anche perch quella citt, circondata da campi di frumento, era
virtualmente un granaio; ed anche in questo caso leredit pagana degli antichi romani si sovrappone
specularmente, dal momento che per la festa del Sole, archetipo del Natale Cristiano, si confezionavano le
frittelle rituali di farinata
70
Come si potr vedere nella parte con la trascrizione delle ricette originali da alcuni ricettari e trattati di
cucina aristocratici alcune delle note manoscritte sono state integralmente copiate.
71
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
72
Ibidem.
73
Cfr Per una storia dellalimentazione marchigiana, a cura di S. ANSELMI e R. PACI, <Proposte e
ricerche>, 11-12. 1983-84.
74
Si veda la trascrizione della ricetta con relativo commento nelle pagine seguenti.
75
Come sopra
68
30
FESTE E CONVIVIALIT
31
32
Antologia della cucina popolare, Fabriano, 1993, p. 44: Questa pietanza viene lasciata sulla tavola
apparecchiata, con pane e vino, in una stanza illuminata tutta la notte. Unantica tradizione vuole che in
questa notte ogni defunto ritorni a far visita alla sua casa e ai suoi familiari.
81
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
82
P. CAMPORESI (nota di p. 543 in P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di
P.CAMPORESI, Torino, 2001) riporta anche alcuni passaggi di Teofilo Folengo, sul consumo rituale della
fava per questa circostanza: Luso, ben noto al Folengo, di distribuire ai poveri minestre di fave in
novembre, il giorno dei morti, risale senza dubbio ai tempi delle superstizioni pagane, quando le fave
venivano adoperate nei riti propiziatori delle ombre dei trapassati. Era un uso che vigeva un po
dappertutto
83
Riguardo allusanza di mangiare per il due di novembre zuppe di fave con carne di maiale si veda anche
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, pp. 189.
84
In ARTUSI (op. cit., p. 543) sono chiamati Fave alla romana o dei morti. Si veda comunque nelle
pagine successive la scheda di accompagno alla trascrizione della ricetta.
85
A. CATTABIANI, Florario, Milano, 1996, p. 469: La fava era il nutrimento preferito dei morti, tant
vero che si usava gettare nelle tombe delle fave che, grazie alla loro componente sanguigna, davano loro
energia negli inferi. Si mangiavano nel silicernium, il pasto funebre raffigurato in molti mosaici
pavimentali, di cui abbiamo ancora uneco sbiadita nelluso di cibarsi in occasione della
Commemorazione dei Defunti di dolci a base di pasta di mandorle che vengono detti anche fave.
86
Un esempio in questo senso, incontrato da chi scrive, sono le note spese della famiglia Pianetti di Jesi.
87
P. DONADI (op. cit., p. 98) nota prescrizioni di ugual natura nei documenti darchivio del monastero
benedettino femminile di Santa Maria Maddalena di Urbania: Nella morte di qualche religiosa, alli
quattro fratelli della Morte di da otto pani e un bocale di vino; al becchino se li da quattro pani, e un mezzo
di vino e un formaggino.
33
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
Arnione sinonimo di rognone. Ad esempio lArtusi fin dalla prima edizione (1981) del suo ricettario
propone tre ricette a riguardo Arnioni saltati, Arnioni per colazione e Arnioni alla fiorentina (P.
ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di E. FACCIOLI, Torino, 2001, pp. 279 280).
90
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
91
A. CATTABIANI, Calendario, Milano, 1999, pp. 150-152, e Lunario, Milano, 2001, pp. 48-49. Tra le
possibili etimologie Carni vale!, in latino Addio alla carne, perch le riserve in dispensa di questo cibo
stavano finendo, od anche perch, appunto, iniziava la quaresima da questo consumo si sarebbe stati
lontani per parecchio tempo. Unaltra delle possibili etimologie potrebbe essere appunto Carni levamen,
ossia dare sollievo alla carne, nel senso di concedere un giusto circoscritto sfogo ai piaceri vitali pi
immediati di gola e corpo, alla sensualit degli appetiti fisici.
92
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
93
Cfr. C. BENPORAT, Storia della gastronomia italiana, Milano, 1991; O. REDON F. SABBAN S.
SERVENTI, A tavola nel Medioevo, Roma Bari, 1995, pp. 56-57
94
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
95
Ibidem
89
34
Ibidem
Ibidem
98
Si veda la trascrizione della ricetta da unaltra carta darchivio nelle pagine seguenti.
99
La ricetta delle spighette presente anche nel ricettario anonimo del 1891 Cuoco perfetto marchigiano
(ed Ancona, 1987)
100
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo. Del dolce a
forma di agnello si veda la ricetta, tratta da altre carte darchivio, trascritta nelle pagine seguenti.
101
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo.
102
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo.
103
G. GINOBILI, Tradizioni e costumanze popolari marchigiane, Macerata, 1942
97
35
lettere, poi metti lovo in acqua salsa per due giorni, alla fine levalo fuori, e lascia, che si
asciughi allombra et asciutto fallo cuocere in acqua, tanto che venga duro, e le lettere
saranno penetrate dentro del bianco dellovo, che si potranno leggere 104; lallume di
rocca, con cui si tracciavano le iscrizioni ed i disegni segreti (da scoprire giocosamente a
tavola man mano che si toglievano i gusci) era lallume di potassio, sostanza usata in
tintoria, per la conciatura delle pelli, e per la chiarificazione delle acque. Una volta
decorate con i vari trucchi, le uova venivano generalmente poi messe dentro panieri, e
portate ad essere benedette nella messa della mattina di Pasqua, per essere infine
mangiate nella colazione, altra usanza diffusa in tutta Italia. Lo spuntino mattutino
pasquale interrompe infatti gioiosamente il digiuno e lastinenza dalla carne, che non
durava solo dal Venerd di Passione, ma idealmente era iniziato con il Mercoled delle
Ceneri, ben quaranta giorni prima. Ma le uova, cibo appunto simbolico della pasqua,
ricorrevano anche nella preparazione delle frittate, preparate con le prime erbe
primaverili spuntate105 ed anche con le teste106 dellagnello macellato per loccasione. Ed
infatti nel pranzo di Pasqua delle clarisse si cucinavano lesso, minestra, coratella
dagnello fritta107, frittata con testa dagnello e uova sode108.
ESTETICA CONVIVIALE DI
PRESENTAZIONE DEI DOLCI
PASTICCERIA:
FORME,
DECORI
36
Questi mostaccioli, nota specialit delle clarisse, erano preparati per loccasione di una
ricorrenza importantissima per il monastero di Serra de Conti, la festa di Santa Maria
Maddalena al 22 di luglio. Come da consuetudine per le festivit pi solenni durante la
vigilia del 21, nonostante il caldo, il tavolo da cucina si animava ed il forno si accendeva
per lunghe e laboriose fatiche di pasticceria: oltre ai mostaccioli a stella si cuocevano il
buccellato, il pan di spagna, le cotolette dallovo, biscottini da zucchero 111. Con questi
dolci molto probabilmente le clarisse ricambiavano i regali ricevuti per loccasione dai
contadini, in particolare torte e come gi si visto latte fresco, Si legge infatti nel
regolamento di dispensa: si preparano ai coloni che portano le torte delle canestre con 4
biscotti grossi, due mane speziate, pagnottelle, merletti di Francia, fettucce a chi porta
anche il latte. A quelli di Serra si da da bere a quelli da fuori si da da bere e da
mangiare112.
Labilit di conferire a queste creazioni di pasticceria un aspetto particolare era
certamente supportata dalla presenza di molti stampi, come testimonia unapposita
vetrina nel Museo delle Arti Monastiche. Tra questi si vede il supporto il legno per
conferire alla pasta di mandorle laspetto curioso di altre qualit di frutta, come ad
esempio fichi e castagne modellati appunto nel marzapane come testimoniano anche
alcune apposite ricette della raccolta di appunti manoscritti di cucina delle clarisse113.
Altri accorgimenti estetici per presentare trionfalmente i dolci nelle grandi occasioni
riguardava la pasticceria fresca. Il vasto repertorio di ricette di crema, non solo
assecondava una appetibile variet di aromi e sapori (cioccolata, vaniglia, rosolio,
cannella, caff ecc.) ma consentiva anche di giocare su ingredienti che conferivano
sfumature e tonalit di colori differenti, in modo da potersi sbizzarrire con suggestivi
accostamenti cromatici in alcune determinate ricette; una particolare cura nello
strutturare scenograficamente uno di questi dolci si legge ad esempio nella ricetta della
zuppa inglese, dove si raccomanda di costruire la cupola dei savoiardi con particolare
senso della simmetria, per poi intarsiarla con i colori di liquori, creme e meringhe114.
RICEVIMENTI SPECIALI NEL MONASTERO CON APPOSITI SERVIZI
DOLCI DA CREDENZA
Nellantica terminologia delle pratiche e delle arti conviviali le portate si distinguevano
in servizi di cucina ed in servizi di credenza. I primi costituivano naturalmente i piatti
caldi, indispensabili nei pranzi e nelle cene, mentre generalmente i secondi costituivano
le pietanze fredde, pi sfiziose, che secondo consuetudine aprivano e chiudevano i pasti,
coincidendo con gli attuali antipasto e dessert115. Ed infatti spesso le portate di credenza
comprendevano dolci, o comunque cibi da gustare anche in piedi, con il termine odierno
ripieni) e cialdoni, il Garzoni scrive appunto oltre al pane questi artigiani producono le fugazze [focacce],
le pizzi, le torte, le ciambelle, le bracciatelle [piccole ciambelle] (o bianche, o zucherate o forti), i
biscotelli, i burlenghi [pasticcini carnevaleschi, da cui probabilmente i berlingozzi tipici anche del
pesarese], il biscotto, le nevole [probabilmente le meringhe], i storti, gli occhietti, la festa, le offelle [], i
sosamelli [probabilmente cosparsi di sesamo], i mostazzoli, le fogaccine, i ritortelli [dalla forma ritorta], i
cialdoni []. Sempre il Garzoni invece nel Discorso XCIII: De cuochi e altri ministri simili, come
scalchi, guatari, credenzieri, trincianti, canevari o bottiglieri, servitori da tavola, convitanti, et caetera (op.
cit., p. 1099) riporta unaltra serie di lavori di pasta, alcuni riconducili alla pasticceria: [] sfogliate di
pi sorti, [] tortelli, tortelletti, ritortelli, truffoli, ravioli senza spoglia [] casatelle, morselli, pasta
tedesca, stelle, stellette, offelle, fiadoni, fiadoncelli [dolci tipici del Trentino], rosoni, guanti [specie di
ravioli], torte [] pastelli, pastelletti, [] frittelle, fritteline, migliaccio, crostelli, crostate [].
111
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo.
112
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo.
113
Si veda la trascrizione della ricetta con relativo commento nelle pagine seguenti.
114
SI veda nelle pagine seguenti la trascrizione ed il commento della ricetta.
115
Cfr. C. BENPORAT, Storia della gastronomia italiana, Milano, 1991; O. REDON F. SABBAN S.
SERVENTI, A tavola nel Rinascimento, Roma Bari, 1996, pp. 56-57.
37
di buffet. Tra i titoli del ricettario manoscritto delle clarisse di Serra de Conti esiste
pertanto la dicitura dei servizi da credenza116, intendendo per questo alcune preparazioni,
ed in particolare appunto i dolci, da servire per alcuni piccoli ricevimenti, molto
frequenti nel monastero in prossimit delle visite di parenti o personalit illustri. Un
documento descrive ad esempio cosa fu apparecchiato per ricevere il vescovo di
Senigallia nel 1829 che giunse al monastero per lordinazione di alcune suore. La nota
spesa per il pranzo e per la cena riporta lacquisto di quattro paia e mezzo di capponi e
pollastri, la met circa di pollanche, e poi anche diverse libre di vitella, pesce,
parmigiano, erbaggi vari, burro, latte ed infine zucchero, per appunto piatti di
credenza117; poi per altri momenti della giornata caff, cioccolata, cannella, chiodi di
garofano, mandorle, uova e zucchero per confezionare i dolci; furono comprate anche
provviste a parte per regalo al E.mo vescovo, e gli furono cos donate dello zuccaro
in pane, omaggio cerimoniale ricorrente (anche nelle Marche) e del caff118 (in
proposito si notano ugualmente le spese per una pane di zucaro per donare alla maestra
in un documento sulle cibarie acquistare per la vestizione di una benedettina al
monastero di Santa Maria Maddalena di Casteldurante119).
Naturalmente il rinfresco che si approntava per la vestizione delle monache era uno dei
rituali conviviali per eccellenza del monastero. Un altro documento datato 1842 (ma
copia di uno precedente, per cui databile anche al Settecento) riporta le spese che
dovevano sostenere le giovani per il ricevimento successivo alla cerimonia della
vestizione120: questa carta oltre a riportare linventario del corredo necessario per le
nuove suore (differenziato gerarchicamente per coriste e converse) specifica quali
sono gli ingredienti che vanno comprati per confezionare i dolci per il ricevimento.
Questa la lista di Quanto occorre per fare le Paste nella Vestizione e Professione per li
bacili alli sopra notati (ossia lelenco dei vari recipienti di queste leccornie da donarsi ai
vari notabili): oltre a quattro qualit di zucchero diverse, vi sono le immancabili
mandorle (dolci ed amare), i pinoli, limoni, lamido, aromi come anici, chiodi di
garofano, cannella detta Regina, e soprattutto il caff e la cioccolata, che si
raccomanda buona121. La cioccolata ha una lunga tradizione nella cultura conviviale
monastica122, come si vedr in seguito: ricorre spesso in molte ricette delle clarisse di
Serra de Conti, e per quanto non figuri nessuna ricetta specifica per la preparazione
della bevanda, il ricco corredo di cioccolatiere e tazze specifiche, tuttora conservate nel
Museo delle Arti Monastiche, attesta un consumo frequente del tipico squaglio 123.
116
ASMM, b. 7, Ricettario, XIX secolo. Il primo sottofascicolo reca lintestazione Maniera per fare piatti
di credenza tanto di grasso come di magro.
117
ASMM, b. , Nota delle spese occorse in occasione della venuta dellE.mo Sig. Cardinal Vescovo di
Senigallia nel rivestire del Santo Abito le Religiose tutte di questo monastero, XIX secolo.
118
Ibidem. Su esempi di antichi doni cerimoniali in zucchero nel territorio anconetano cfr. T. LUCCHETTI,
Le arti dei decori e degli apparati effimeri nelle feste pubbliche e cerimonie conviviali tra XVI e XVII
secolo, <Atti e memore di Deputazione di Storia Patria delle Marche>, 104, 2004
119
P. DONADI, (op. cit., p. 74) riporta un documento relativo alle spese per il pasto celebrativo della
vestizione di una nobile presso il monastero delle benedettino di Casteldurante (Urbania).
120
Ibidem. oltre a tantissima carne (capponi, porchetta, vaccina, agnello) si comprarono specierie e
confettioni, mel appie da far torte.
121
ASMM, b. , Copia di nota delle Spese che occorrono per la Monacazione di una Religiosa Corista, e
Conversa in questo Monastero di Santa M. Maddalena, XIX secolo.
122
Sul carattere della cioccolata come cibo di magro cfr P. CAMPORESI, Il brodo indiano, 1990; HUETZ
DE LEMPS A., (Le bevande coloniali, the, caff, cioccolata, in Storia dellalimentazione, Roma Bari,
1997, p.. 492) fa risalire, secondo alcune tradizioni messicane, la nascita del prototipo di bevanda di
cioccolata zuccherata ad un gruppo di religiose insediate a Oaxaca.
123
Unantica ricetta di squaglio di cioccolata del vicino monastero di Jesi riportata da S. PAPA (La cucina
dei monasteri, Milano, 1982): Squaglio delle clarisse Santissima Annunziata: Per 25 persone litri 5 di
liquido: 2 e mezzo di latte e 2 e mezzo di acqua. Cacao once 6. Zucchero once 24 ossia libbre 2. Una o due
cartine di vaniglia. Fecola gr. 80. Ci sta bene anche il rum o rosolio.
38
Anche il caff, che a partire dal Settecento cominci ad avere notevole diffusione 124, era
consumato evidentemente dalle clarisse, anche perch un appunto manoscritto del
ricettario illustra appunto le migliori modalit di consumo del caff, descrivendone
anche propriet ed effetti, e raccomandando in chiusura di servirsi per infondere di un
vaso di porcellana, di majolica, o di argento125. Ma tra i dolci infusi che si servivano in
queste circostanze, oltre a cioccolata e caff non mancavano certamente liquori e
distillati alcolici126: nel museo si conservano ancora diverse bottigliette di maraschino
proveniente da Zara, citt che ha da sempre una lunghissima conclamata tradizione nella
produzione di questo profumato liquore alla ciliegia amara 127. Ma le clarisse di Serra de
Conti eccellevano loro stesse nella produzione di distillati dolci liquorosi, come ad
esempio il rosolio, nelle sue profumate varianti al cioccolato, al caff, alla cannella, alla
vaniglia, ai chiodi di garofano128. Anche questa un ennesima riprova di come la
secolare curiosit monacale, che fin da Medioevo carp lintuizione di ricavare dal vino
lo spirito, ossia la balsamica acqua della vita (in latino aqua vitae, da cui il termine
universale acquavite129), ha sempre saputo trasformarsi da dotta competenza,
esclusivamente scientifica, in crogiolo distillante raffinate squisitezze della convivialit.
124
Sullavvento del caff in Italia tramite Venezia, la diffusione di questa bevanda, la trattatistica, i
pregiudizi e le diffidenze del mondo cristiano in quanto questa consuetudine era propria dei turchi, fa
riferimento F.CARDINI (Per una storia a tavola, Firenze, 1994, pagg. 119-127).
125
ASMM, b. 7 Ricettario, XIX secolo, fascicolo 1.
126
P. DONADI (op. cit., p. 99) riguardo agli omaggi ed offerte di dolcida parte delle benedettine di Urbania,
riporta ugualmente che questi manicaretti potevano essere accompagnati da una boccia di vino da
quattro fogliette, da cioccolata, da caff e, raramente, da una bottiglia di rosolio.
127
Storia del maraschino, Padova, 1953, p. 11: E questo un prodotto tipico della Dalmazia, che ad esso
lega il suo nome nellEvo Moderno, come nellEvo Antico leg il suo nome allo zabajone e nellEvo
Moderno alla galantina. Fin dai tempi antichi si leggono nelle vecchie cronache menzioni di acqua di
rose o olio di rose, e, dagli inventari delle Case zaratine dei secoli XIV e XV, sembra che ogni
ragguardevole famiglia ne fosse fornita. (Questo opuscolo una strenna promozionale dellantica ditta
Luxardo).
128
ASMM, b. 7, Ricettario, XIX secolo. Il terzo sottofascicolo reca lintestazione Metodo per fare caff,
alchermes, rosoli e grate bevande.
129
A. CAPATTI M. MONTANARI, Storia della cucina italiana, Roma - Bari, 1999. Cfr. anche Liquori e
sciroppi fatti in casa: antiche ricette e segreti per preparare ratafi, elisir, rosoli, amari e vini
aromatizzati, Casale Monferrato, 2003.
39
RICETTARIO
40
" Precisiamo che tutte le ricette, un po' modernizzate, sono state tutte sperimentate e quindi di
volta in volta sono indicate con la necessaria precisione: l'elenco degli ingredienti (la maggior
parte dei quali reperibili nei supermercati o nei negozi di alimentari), le quantit pesate e
misurate, e i tempi di cottura.
In alcuni casi gli ingredienti e le loro dosi sono state rivalutate in considerazione del
cambiamento del gusto, cos come i tempi di cottura sono stati adattati alle nuove tecniche di
cucina."
41
Le ricette trascritte in questa parte, sono tutte tratte dalla busta numero 7
dellArchivio del monastero di Santa Maria Maddalena di Serra de Conti.
La busta cos strutturata. Vi sono due piccoli registri cartacei manoscritti
rilegati: il primo il regolamento di dispensa, di 23 carte, che contiene anche
degli stringatissimi appunti di cucina, oltre alle indicazioni sulla
somministrazione e limpiego del cibo conservato, e sui doni in alimenti da
elargire durante lanno, anche come compenso per prestazioni di lavoro svolte
allinterno del monastero. Il secondo registrino cartaceo, di 14 carte, contiene
invece solo ricette di cucina.
Vi sono anche molte carte sciolte, raccolte in un fascicolo denominato
Ricettario, contenente a sua volta sette sottofascicoli.
Il primo sottofascicolo si intitola Maniera per fare piatti di credenza tanto di
grasso come di magro.
Il secondo sottofascicolo si intitola Metodo per fare le paste dolci.
Il terzo sottofascicolo si intitola Metodo per fare caff, alchermes, rosoli e grate
bevande.
Il quarto sottofascicolo si intitola Metodo per fare salami di carne.
Dagli ultimi tre sottofascicoli che non contengono prescrizioni di cucina, non
stata tratta nessuna ricetta (quinto sottofascicolo: Metodi per fare le tinte di ogni
colore; sesto sottofascicolo: Metodo per fare il sapone; settimo sottofascicolo:
Metodo per fare linchiostro)130.
Tutte le ricette sono state datate al diciannovesimo secolo, ma vi sono alcune
carte che risalgono probabilmente alla fine del Settecento, ed alcune possono
invece collocarsi ai primi anni del Novecento.
130
Monastero di Santa Maria Maddalena di Serra de Conti. Inventario darchivio (1500 1988),
op. cit., pp. 40-41.
42
43
135
Ibidem.
44
Proviamo insieme
Panociati
Ingredienti per 10 porzioni
500 g di farina tipo 0
100 g di olio
50 g di lievito di birra
15 g di sale
5 g di pepe
200 g di noci a pezzetti
un uovo sbattuto per lucidare
Preparazione
Preparare con 50 g di farina, il lievito di birra un impasto e fatelo lievitare. Fare
la classica fontana con il rimanete della farina, versarci poi l'olio, latte, sale e
pepe, aggiungere il panetto di lievito preparato precedentemente. Impastare tutto
molto bene, la riuscita del pane dipende proprio dalla lavorazione della pasta
quindi unire le noci tritate grossolanamente.
Dividere limpasto in due pani, porli a lievitare sulla teglia unta per circa un'ora
coperti da un panno pulito Lucidarli con l'uovo sbattuto ed infornare a circa
200/220 gradi per circa 25/30 minuti.
Se volete potete gustarlo tiepido, vi consiglio di proporlo con formaggi
Segreti
Per lievitare bene e in fretta, si butta il panetto in una pentola di acqua a
circa 30/calda ma non troppo/ e quando viene a galla, in circa 5' minuti
poco pi, pronto .Potete anche farvi dare dal vostro fornaio pasta da pane
gi pronta e poi voi aggiungete gli ingredienti necessari.
Una versione pi ricca del panociato si ottiene aggiungendo uvetta cilena
appassita, scorzette di canditi, cannella e un mezzo bicchierino di rum o anice.
Dividete poi limpasto in piccoli pani, spennellateli con uovo sbattuto,
infornate a 180 C e fate cuocere per almeno 45 minuti, alzando il forno verso
fine cottura
Questi panini si possono gustare con zabaglione caldo o a colazione .
45
I buccellati
Per fare 30 Bucellati levitati ci vuole libre 28 di farina, mezza libbra di sale, 7
oncie danisi, e due fogliette dolio
Una breve notula nel regolamento di dispensa riporta questa piccola variante
della ricetta:
massa del pane, olio, anici, farina, lievito, sale e un tantino di vino
La denominazione indica delle ciambelle, dal latino buccellatum, da
buccella ossia boccone. In origine era un pane biscottato per i soldati, mentre
gi a partire dal Medioevo indicava un pane pi delicato, dal sapore dolce, che i
contadini offrivano ai padroni il giorno di Natale. Il nome originale sub poi le
inevitabili varianti legate ai contesti locali: a fine Cinquecento Scipione
Ammirato lo chiamava Puccellato, mentre nel Veneto tuttora conosciuto come
buzzol136.
Questa ricetta delle clarisse di Serra de Conti prescrive come confezionare una
focaccia di tipo salato resa peculiare dallaroma intenso dellanice. Tuttavia
anche in questo caso queste pagnotte sconfinavano spesso nella preparazione
dolce, con laggiunta di zucchero e miele. Ed in effetti tuttora tipica della valle
del Cesano una crescia con i semi di anici, arricchita nellimpasto anche con
strutto ed uovo. E questa progressiva trasformazione ha mantenuto le sue tracce,
dal momento che tuttora nelle Marche i buccellati aggiungono allolio, alla farina
ed agli anici della ricetta antica del monastero lo zucchero e la scorza grattugiata
dei limoni, oltre alle uova aggiunte successivamente nella produzione artigianale
recente. Pellegrino Artusi nel suo ricettario pubblicato in pi edizioni tra la fine
dellOttocento ed i primi del Novecento ne propone due versioni: la prima ricetta
delle Ciambelle ossia buccellati decisamente pi ricca, impastata con latte,
burro e lardo ed aromatizzata con gocce di Marsala e Rhum, mentre la seconda
variante, pi spartana ma impreziosita con buccia di limone, anici, e cedro
candito a pezzetti, si avvicina di pi agli appunti di questo antico quaderno di
cucina tuttora conservato nel monastero di Serra de Conti137.
136
46
Proviamo insieme
Bucellati
1 versione
Ingredienti per 4 persone
300 grammi di farina
grammi da sale fino
semi di anice
olio di oliva
Preparazione
Impastate il tutto aiutandovi con acqua fino ad ottenere un impasto morbido ma
sodo. Ricavatene delle piccole ciambelle che infornerete a 180gradi per 20
minuti
2 versione
Ingredienti per 4 persone
300 g di farina sgusciate
50 g di noci
30 g di pinoli
30 g di scorzetta di arancia candita
50 g di zucchero
3 chiodi di garofano
1 cucchiaio di vino Marsala
125 g di burro
200 g di uva passa 300 grammi di fichi secchi
100 g di uvetta sultanina
Preparazione
Mescolate in una zuppiera la farina, il burro, lo zucchero e il cucchiaio di
Marsala ed amalgamate tutto con le mani. Lasciate riposare limpasto per unora
circa e dopo stendete la pasta con il mattarello. Preparate nel frattempo il ripieno
fatto dai fichi secchi, luva passa, uva sultanina, mandorle, i pinoli, la scorzetta di
arancia, , i chiodi di garofano ed un pizzico di pepe. Triturate tutto finemente
mescolando con un p di zucchero. Avvolgete il ripieno nella pasta, dando forma
di ciambella su cui farete delle piccole incisioni. Spennellate con tuorlo duovo
ed infornate per venti minuti a 180 Quando si sar raffreddato, decorate con
zucchero a velo . Il risultato un dolce veramente sorprendente .
Segreti
Se non volete preparare le scorzette darancia vi consiglio di acquistarle gi
pronte nei supermercati
47
Piatti di pasta
Maccheroni con le noci
Per fare i Maccaroni con le Noci per 3 persone, P. Confessore, e Fattore, ci
vuole 8 libre di noci, 1 libra e mezzo di Zuccara, molliche, Olio, Sale a
giudizio.
Ricette di maccheroni con le noci sono presenti fin da ricettari rinascimentali.
Nelle Marche, nelle zone delle valli dellEsino, del Metauro e dellalto
Maceratese, si serviva appunto condito con miele nella versione dolce, per le
vigilie di importanti festivit, come ad esempio la ricorrenza dei Santi ed il
Natale. Oltre al miele, al noci ed al pangrattato nelle campagne si metteva anche
cannella e buccia grattugiata darancia, oltre eventualmente ad un bicchierino di
liquore dolce come rum o mistr138. Questa versione dolce presente come piatto
tradizionale delle vigilie di magro, anche qui in genere di Ognissanti e di
Natale, anche nella vicina Umbria, dove in alcune varianti si arricchiva anche di
cioccolato, alchermes e buccia di limone139, come appunto nella ricetta degli
Gnocchi della Vigilia di Natale delle clarisse di Montefalco, dove la pasta
compera di qualsivoglia qualit (fischioni, penne, zite) una volta cotta
condita con noci tritate, cioccolata gratugiata, pangrattato molto fine, cannella,
scorza di limone, un pochino di alchermes e zucchero a gusto140.
Tornando alla Marche ad Urbania, nel monastero benedettino femminile di Santa
Maria Maddalena si facevano i maccheroni colle noci o miele o pure colle
sardelle nellultima domenica dAvvento141.
Ed in effetti la tradizione popolare marchigiana ha anche codificato la versione
salata di questo piatto, aggiungendo alle noci ed al pangrattato spicchi daglio,
cipolle, pepe ed acciughe142, e talvolta a partire da tempi pi recenti anche pezzi
di pomodori.
138
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, pp. 128-129; Antologia della cucina
popolare, Fabriano, 1993, p. 43.
139
Cfr. Saltando sui fuochi volando sui fiori: feste e usanze tradizionali in provincia di Terni, a
cura di M. PETRONIO, Terni, 1997; Le opere e i santi: tradizione alimentare e festivit rituale in
provincia di Terni, a cura di G. BARONTI, Terni, s.d
140
S. PAPA (op. cit.., p. 71), riporta come le clarisse avevano ripreso la ricetta originale,
impiegando ossia lo stesso condimento anzich per la normale pasta, per una polenta di farina di
grano, poi stesa sul piano di marmo, ed una volta raffreddata tagliata a piccoli rombi.
141
P. DONADI (op. cit., p. 98).
142
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 129.
48
Proviamo insieme
Maccheroni con le noci
Ingredienti per 4 persone
farina gr 300
acqua quanto basta
noci sgusciate gr 300
zucchero gr 200
cannella in polvere molta
olio di oliva qb
sale
mollica di pane
Preparazione
Impastare la farina con l'acqua e lavorare la pasta finch non sia bella liscia,
stenderla pi fine che si pu e farla asciugare. Frantumare il pi possibile le noci,
unire lo zucchero, la cannella e se credete, un poco di olio, la mollica bagnata
nel latte e poi strizzata.
Tagliare la pasta come se fossero tagliatelle, lessarla in acqua salata, scolarla non
eccessivamente e condirla calda con l'impasto di noci preparato precedentemente
Era il piatto che rifiniva le due cene di magro pi ricche e importanti dell'anno: la
vigilia di tutti Santi e la vigilia di Natale.
Segreti
Non frantumare le noci nel mixer, piuttosto comperate una salsa di noci gi
pronta, ce ne sono delle ottime in commercio, aggiungete gli ingredienti della
ricetta. Se risultasse troppo denso aiutatevi con un poco dacqua della pasta di
cottura , aggiungete le tagliatelle e tiratele in padella.
49
Pasticci di maccheroni
Per fare i Pasticci di Maccaroni per 30 persone e P. Confessore, Fattore ed
altri soliti, ci vuole per la Massa Ova 70, una met con le chiare ed altra senza,
ogni ovo unoncia di strutto, e una di zuccaro, ci vuole un poco di limone
raspato. Per i Maccaroni poi ci vuole 18 Ova, e 4 dacqua acci vengano
teneri. Per condire i suddetti ci vuole 2 libbre e mezza di Zuccaro, unoncia
buona di canella, 2 libre di parmigiano; e i pezzetti di butiro, o vero pezzetti di
Formaggio Fresco.
Per fare i Pasticci di Maccaroni per 27 persone, P. Confessore, Fattore ed altri
soliti, ci vuole per la Massa Ova 90, trenta interi, ed il resto senza chiare, di
zuccaro un oncia per ovo, e cos lo strutto ed il limone raspato. Ci vuole 12 libre
di Maccaroni di Napoli, e per condirli ci vuole 2 libbre di Parmigiano, e 4 libre
fresco, unoncia e mezza di canella, 3 libre di Zuccaro; e i pezzetti di Maghetti.
Nel dialetto marchigiano i maghetti sono le rigaglie o ventrigli di pollo (durello,
budellini, bargigli, fegato, cuore, testa, collo, cresta, zampe), impiegati secondo
tradizione per preparare il rag.
Limpiego della dolce pasta frolla per linvolucro non deve affatto stupire: nei
secoli passati il gusto e la percezione dei sapori aveva un carattere diverso da
quello attuale: a poco pi di un secolo si riferisce la descrizione del sontuoso
timballo di maccheroni nel Gattopardo di Tommasi da Lampedusa. La pietanza
scelta dal principe di Salina per i suoi commensali, legatissime alle loro
tradizioni ed ostili alle mode francesi, fece cos il suo ingresso trionfale nel
salone imbandito di Donnafugata: Loro brunito dellinvolucro, la fragranza di
zucchero e cannella che ne emanava non erano che il preludio della sensazione di
delizia che si sprigionava dallinterno quando il coltello squarciava la crosta: ne
erompeva dapprima un vapore carico di aromi, si scorgevano poi i fegatini di
pollo, gli ovetti duri, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi impigliate
nella massa untuosa, caldissima dei maccheroncini corti cui lestratto di carne
conferiva un prezioso color camoscio. Gli stessi numerosi ingredienti, in una
versione davvero straripante sono proposti anche da Pellegrino Artusi per il suo
Pasticcio di Maccheroni nella Scienza in cucina e larte di mangiar bene143.
Per quanto potessero esistere anche versioni meno ricercate, come questa delle
clarisse di Serra de Conti, si trattava sempre di una ricetta elaboratamente
sontuosa, perfetta per le grandi occasioni, per le ricorrenze pi memorabili:
timballo di maccheroni rappresenta il concetto stesso dellartificiosa cucina delle
feste. Allorigine sta la struttura culinaria del pasticcio, al tempo stesso forma
immaginario dellimmaginario conviviale, archetipo medioevale e rinascimentale
del piacere conviviale. Nei banchetti pi prestigiosi dei secoli passati presentare
questi preziosi involucri di pasta, ripieni delle pi svariate golose leccornie,
rappresentava un intrattenimento ludico oltre che uno sfoggio di raffinata
gastronomia: si trattava infatti di scoprire, come con un gioco a sorpresa, quale
prelibatezza da mangiare si celasse sotto la crosta indorata che il trinciante
andava ad incidere. Linvolucro di sfoglia poteva racchiudere pertanto anche i
maccheroni, o altro formato di pasta. Gi nel trattato cinquecentesco dello Scappi
si legge una ricetta della torta di maccheroni, codificata poi nel tempo nel
termine timballo.
Riguardo ai riferimenti nellantica letteratura gastronomica marchigiana nel
ricettario del Nebbia, si legge di un Timpalle di maccheroni, ben diverso da
143
50
questo delle suore di Serra de Conti, perch rivestito non con una crosta di pasta
sfoglia o frolla, ma rivestito con fette di lardo ed una farza con zinna di vitella,
poca carne magra pistata fina, e pane mollo spremuto bene e formaggio
parmigiano, uovi, speziarie e sale144.
Invece ne Il cuoco perfetto marchigiano, ricettario anonimo del 1891, la
copertura preparata rivestendo con pasta frolla il fondo duna casseruola, o
quello duna stampa, (mentre i maccheroni vengono conditi con salsa
danimelle, uova, parmigiano, burro e cannella 145. Questo manualetto si legge
anche come dare a questa preparazione lassetto di un pasticcio. Il procedimento
ricorsa la preparazione di uno strudel: stendendo in una lastra di ferro una
sfoglia di pastafrolla dello spessore di uno scudo, vi si versano sopra i
maccheroni conditi, e poi si coprono con la stessa pasta, e si formano, con la
medesima, foglie od altri scherzi che si accomodano nella parte superiore del
pasticcio; si infornava poi con sparsi al di sopra alcuni tuorli duova dibattuti,
ed infine imbiondito dalla cottura si serviva caldo spolverato di zucchero.
Una ricetta di pasticcio di maccheroni simile a quella delle clarisse di Serra de
Conti si riscontra tra gli appunti di cucina delle loro consorelle di Pollenza: le
clarisse del monastero di San Giuseppe nel 1899 ne prepararono una versione un
po pi ricca per il Municipio del piccolo centro maceratese, condendo la pasta,
oltre che con i maghetti, anche con della carne magra, e con formaggio
grattugiato assortito, sia nostrale che parmigiano 146. Ugualmente simile alla
ricetta delle clarisse unaltra ricetta conventuale marchigiana: sempre nel
maceratese, a Monte San Giusto, le benedettine del Monastero di Maria
Santissima Assunta in Cielo, preparavano un Timballo bianco di maccheroni,
con una copertura di pasta frolla, e la pasta condita di besciamella con animelle
di vitello, interiora di pollo, parmigiano e tuorli duova147.
144
A. NEBBIA, Il Cuoco Maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, pp. 89-87.
Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 54.
146
S. PAPA nel suo testo (op. cit.., p. 25) racconta la raccomandazione di una vecchia clarissa
che al di l della grata tiene compagnia allospite, di aggiornare la ricetta alleggerendola al
gusto della gente doggi.
147
Ivi, p. 153. La ricetta risulta mandata al monastero dalla devotissima Teresa Bacchiese con
una lettera del 14 aprile 1911 indirizzata alla Reverenda Madre Gertrude.
145
51
Proviamo insieme
Il pasticcio di maccheroni
All'inizio del '600 i conventi sono tanti e le suore inventano il pasticcio di
maccheroni, che ha le fattezze e le dimensioni di un cappello da prete e che
probabilmente il pi tipico ed originale piatto ferrarese. Dolce e salato, gustoso e
sostanzioso, richiede una preparazione molto impegnativa. L'involucro di pasta
frolla contiene il pasticcio di maccheroncini i cui ingredienti possono essere , a
vostro piacimento, funghi, tartufi, rag di vitello, pollo, manzo, rigaglia di pollo,
burro, poco aglio, latte, vino bianco, un goccio di marsala, cipolla, sedano e
besciamella. Indorata la cupola con rosso duovo sbattuto, viene infornato.
Versione1
Ingredienti per 6 persone
Per la pasta frolla
450 g di farina
180/200 g di burro
100 g di zucchero
4 tuorli d'uovo
un cucchiaino raso di scorza di limone grattugiata
una presa di sale
Per il sugo
150 g di polpa di vitello tritata
150 g di polpa di manzo tritata
150 g di petto di pollo tritato
150 g di rigaglie di pollo
mezzo bicchiere di vino bianco secco
alcuni cucchiai di marsala
50 grammi di burro
poco olio di oliva
sedano
cipolla
carota tritati
sale.
Per la besciamella
mezzo litro di latte
2 cucchiai di farina
una noce di burro
noce moscata
sale
52
Per il ripieno
25 grammi di funghi secchi,
50 grammi di parmigiano grattugiato
250 grammi di maccheroncini rigati
tartufo.
Preparazione
Preparare la pasta lavorando velocemente gli ingredienti e lasciarla riposare in
luogo fresco. Far rosolare intanto le verdure tritate con le carni separatamente, in
burro ed olio, salare e sfumare col vino ed il marsala. Lessare i funghi,
precedentemente ammollati, in poca acqua salata e una noce di burro poi scolarli
e tritarne alcuni con un coltello Preparare poi la besciamella, insaporendola a
fine cottura,. con la noce moscata grattugiata. Lessare i maccheroncini al dente,
scolarli e condirli con la besciamella tiepida, i funghi, il rag ottenuto unendo
tutte le carni, il parmigiano grattugiato e lamelle di tartufo, mescolando con
estrema delicatezza.
Stendere la pasta frolla e disporne un disco sulla teglia imburrato; adagiarvi il
ripieno formando la caratteristica calotta, ricoprire con un altro disco di pasta,
chiudere i bordi e decorarli, premendo leggermente con una forchetta. Pennellare
la superficie con rosso d'uovo sbattuto. Infornare a 200 gradi il tempo che la
pasta diventi dorata, 30 minuti circa.
Versione 2
Per la pasta
Kg 1 di farina
30 uova
200g di strutto
100g di zucchero
1 limone grattugiato
Preparazione
Impastate tutti gli ingredienti per fare la pasta, le uova met le userete intere e
met solo i tuorli. Lasciatela riposare coperta.
Per il pasticcio
1kg maccheroni di Napoli
600 g di parmigiano grattugiato
5 g di cannella
50 g di zucchero
rag di maghetti
100g di burro
besciamella
53
Rag di maghetti
1 gambo di sedano
1 carota piccola
1 cipolla piccola
700 g di magoncini di pollo
olio burro
sale
alloro
chiodi di garofano
sugo di pomodoro
Preparazione
Rosolare la cipolla, il sedano e la carota, tritati, in olio e burro, aggiungete i
maghetti, un cucchiaio di pomodoro, un poco di sale ,una foglia di alloro 2
chiodi di garofano. Coprite con acqua e fate cuocere lentamente fino a che il
sugo si sia ristretto. Tritate grossolanamente i magoncini.
Lessare i maccheroncini al dente, scolarli e condirli con la besciamella tiepida
il rag di maghetti, formaggio, zucchero, cannella e infine fiocchetti di burro e
mescolare delicatamente.
Stendere la pasta preparata precedentemente e disporne un disco sulla teglia
imburrato; adagiarvi il ripieno formando la caratteristica calotta, ricoprire con un
altro disco di pasta, chiudere i bordi , premendo leggermente con una forchetta.
Pennellare la superficie con rosso d'uovo sbattuto. Infornare a 200gradi il tempo
che la pasta diventi dorata,30 minuti circa.
54
PRIVIAMO INSIEME
Tortelli derbetta fritti
Preparazione
Lessate le bietole, senza costole in un dito dacqua, con un pizzico di sale
grosso, mettete il coperchio alla pentola. Quando sono cotte. scolatele e
strizzatele per bene.
Prendete le noci ,i pinoli, le scorzette di arancia, il miele, la cannella, chiodi di
garofano, e un pizzico di pepe .Pestate il tutto con un coltello.
Preparate una sfoglia con le uova e 4 gusci dacqua. Preparate dei dischetti che
riempirete con limpasto e chiuderete con un altro dischetto di pasta. Pressate
bene con le dita affinch si sigilli bene. Friggete in abbondante olio. Bagnateli
con Rosolio, spolverate con zucchero a velo e cannella in polvere.
55
Per fare i Tortelli, ci vuole 27 ricotte, una grazia di garofali pesti, un pochetto
derba oesta, e questa ha di essere maggiorana e spinaci, per ogliare le ricotte,
ci vuole 12 Ova. Per la Massa, poi ci vuole altri Ova, e in ogni Ovo, due Ova
dacqua (anche qua non si parla di farina). Nelle Ricotte poi ci vuole un tantino
di formaggio, vecchio gra
Il contrasto di dolce e salato si trova ancora nella ricetta dei crescioni
dellArtusi, per i quali nel 1891 lautore scrive: Perch si chiamino crescioni e
non tortelli di spinaci vattela pesca 148. In questa preparazione infatti le erbe
spremute bene e messe in umido con un soffritto di olio, aglio, prezzemolo, sale
e pepe, e poi si aggraziano con un po di sapa e con uva secca, a cui siano stati
levati gli acini. In mancanza della sapa e delluva secca si supplisce con lo
zucchero e luva passolina149.
148
56
Ricette di grasso
Modo di fare una Farza di Carne
per empire lInsalata Merolla, Rape, Cipolle e Cavoli, e Zucchette
Si prenda due libre di Carne Magra cotta in umido e si triti con il cortello, e
poi si bagni due molliconi di pane, e si metta a bollire nel brodo della sud.a
carne unite ancora due Ovi, fatto tutto questo poi si ponga tutto nel Mortale di
pietra, e il tutto si pesti e ci si aggiunga un poco di formaggio grattato, e a altri
due ovi crudi, ed un poco di cannella, e quando sar tutto pesto a perfezione si
potr empire le sud.e cose e poi si porr a bollire con il sud.o brodo a fuoco
lento, e prima di mandarla in tavola, si sbatter due ovi con un poco di agro di
limone, fatto tutto questo si mander in tavola.
Il Cuoco perfetto marchigiano(1891) propone ugualmente una ricetta per un
Composto di carne per la riempitura. In questa variante lanonimo compilatore
propone di amalgamare del magro di vitella in umido con prosciutto tritato,
parmigiano, pangrattao, cannella, brodo e tuorli duovo: Tale composto si
mescola bene, e serve per la riempitura degli ortaggi150.
150
57
Piccione in cratella
Prendete un piccione grosso, ma giovine, dividetelo in due parti per la
lunghezza e stiacciatele bene con le mani. Poi mettetele a soffriggere nellolio
per 4 o 5 minuti, tanto per assodarne la carne. Conditelo cos caldo con sale e
pepe e poi condizionatelo in questa maniera: Disfate al fuoco, senza farlo
bollire, 40 grammi di burro, frullate un uovo e mescolate luno e laltro insieme.
Intingete bene il piccione in questo miscuglio e dopo qualche tempo involtatelo
tutto nel pangrattato. Cuocetelo in gratella a lento fuoco e servitelo con una
salsa o con un contorno.
Questa ricetta, a parte la storpiatura nel titolo di gratella in cratella, la
trascrizione letterale del testo dellomonima ricetta presente nel ricettario di
Pellegrino Artusi La scienza in cucina e larte di mangiar bene, pubblicato in
prima edizione nel 1891151. Ci consente di datare la ricetta sicuramente dopo
quellanno, e comunque tra lOttocento ed il Novecento.
Le clarisse nel ricopiare la ricetta hanno trascurato la breve introduzione
dellautore originario:
La carne di piccione per la quantit grande di fibrina e di albumina che contiene
molto nutriente ed prescritta alle persone deboli per malattia o per qualunque
altra cagione. Il vecchio Nicomaco nella Clizia del Machiavelli, per trovarsi abile
a una giostra amorosa, proponevasi di mangiare uno pippione grosso. Nella
commedia di Machiavelli, il settantenne Nicomaco nella sua cena prima del
piccione decide di consumare una insalata di cipolle cotte, dipoi una mistura di
fave e spezierie () perch sono calde e ventose, farebbero fare vela a una
caracca genovese.152
Il piccione era molto allevato nelle case coloniche marchigiane: fin dal
Medioevo attestata nelle campagne marchigiane la frequente presenza della
torre colombaia, e per il loro continuo svolazzare nei tetti i maceratesi lo
chiamavano infatti pistacoppu. Ed in effetti nella cucina rustica di queste terre
il piccioncino di un mese o due di vita, ancora da nido, rappresentava, un po
come lagnello (altro animale giovane tradizionalmente sacrificale per le mense
festive) la carne contadina per eccellenza, gustosa e saporita nonostante il suo
sapore marcato. La cultura popolare delle campagne riservava una certa
importanza al piccione: alla carne di questo animale, fin dal racconto biblico
emblema universale di mitezza e concordia, si riconoscevano particolari
propriet dietetiche e terapeutiche, ad esempio si dava da sorbire brodo di
piccione alle partorienti per lenire le sofferenze delle doglie 153. La tradizione
gastronomica contadina preparava generalmente il piccione ripieno: questa
preparazione con il suo schietto carattere di cucina festiva di succulenti
abbondanze stivava lanimaletto da cuocere in padella, allo spiedo o al forno, con
farciture assolutamente ghiotte di specialit suine, prosciutto, salsicce, pancetta,
ma anche carne di manzo da legare alle rigaglie dellanimale con uova, pane
secco, formaggio ed i soliti aromi schietti di aglio, salvia, prezzemolo ingentiliti
anche talvolta da pepe e noce moscata; dalla vocazione pi spartana e plebea, ma
ugualmente appetitosa, la ricetta del piccione ripieno di castagne, una specialit
di SantAngelo in Vado, nellentroterra pesarese. Ugualmente tradizionali la
cottura in salm, con pomodoro, aglio, salvia e vino bianco, ed in umido con il
151
58
59
N. MAZZARA MORRESI, La cucina marchigiana tra storia e folklore, Ancona, 1978, p. 185.
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 78.
60
61
Ricette di magro
Pietanze di baccal
Baccal arrosto in umido
Si prender il baccal ben spremutosi metter in una teglia, sotto le branci di
alloro, sopra a questo si metter un tantino daglio ben tritato fino, un poco di
pane grattato con un poco di Rosmarino tagliato fino, oppure un poco di fiore di
finocchio con una piccola cosa di Zuccaro pepe sale e ci si metter un poco
dolio finch si possa cuocere e niente altro, ci si metter il fuoco sopra e sotto.
Proviamo insieme
Baccal arrosto in umido
Ingredienti per 4 persone
2 kg di baccal
6 patate di media grandezza
olio di oliva
8 foglie alloro fresco
pepe
sale
4 spicchi di aglio
prezzemolo
zucchero
pane grattato
finocchietto selvatico
Preparazione
Prendete il baccal salato, dopo averlo lasciato in ammollo in acqua per una
notte, ascuigatelo bene e tagliatelo a pezzi grandi. Pelate le patate e tagliatele a
rondelle ponetele in una teglia da forno oliata, salatele e pepatele, mettete
foglioline di alloro sparse e adagiate sopra i pezzi di baccal pelato e deliscato.
Aggiungiamo aglio tritato fine, un poco di rosmarino pane grattato e finocchietto
selvatico, poco zucchero, pepe e infine una spolverata di pane grattato e un filo
dolio di oliva.
Mettete il tutto in forno caldo e fate cuocere a 180 gradi per 40 minuti quasi al
termine dorerate con una grigliatura veloce.
Segreti
Potete comperare il baccal salato al supermercato confezionato in buste di
diverso peso secondo le vostre esigenze. Anche il finocchietto selvatico lo
troverete nei supermercati.
Prima di mettere il sale nella preparazione sentite se il baccal risultasse ancora
salato,se cos fosse vi consiglio di non aggiungere sale nelle patate.
62
161
A. NEBBIA, Il Cuoco Maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, pp. 208-214
Ivi, pp. 207-208.
163
M. BULDORINI, Le ricette di Ermete, Macerata, 1985
162
63
Proviamo insieme
Preparazione
Togliere pelle e lische al baccal ben ammollato. Tagliarlo a pezzi piuttosto
grossi e soffriggerlo ben infarinato in una teglia a bordi alti, sistemando i pezzi
molto vicini uno allaltro in modo che non rimangano dei vuoti. Aggiungere
alloro, tritate i pinoli, aggiungete uva passa, cioccolato amaro grattugiato, una
scorzetta di limone, sale e pepe. Ricoprire il tutto con brodo bollente e far
cuocere lentamente per almeno 3 ore coprendo la pentola col coperchio. Non
solo dovete mescolare perch il baccal non si attacchi ma anche scuotere il
recipiente. Al termine, cospargere la pietanza di pangrattato e infornarla per il
tempo necessario ad ottenere una leggera crosticina dorata .Si dovr infornare a
200 gradi per 15/20 minuti
Segreti
Vi consiglio di servire il baccal con una polenta molto morbida.
Per facilitare la preparazione della polenta potete comperare quella precotta che
troverete facilmente nei supermercati. Sar pronta in 20 minuti.
64
Polpette di baccal
(Fascicolo 1, c. 17)
Il Baccal bagnato che sia gli si levano le spine, e la pelle. Quindi si pesta nel
mortale; Ci fatto si condisce con pepe, sale, uva secca, pane grattato, e un
poco di farina. Si avverte che delle molliche di Pane debbano essere bagnate nel
brodo dello stesso Baccal, e questo brodo di cava dalle spine e dalla pelle
stessa, che di sopra abbiam detto metersi da parte.
Con il sud. Brodo simpasta di tutto, e cio fatto le polpette vanno involtate nelle
molliche di pane e poi si frigono. Fritte che sieno, si mettono in umido, sempre
con il sopra accennato brodo.
Per dargli di colore come se fossero di Carne, vi si pone la conserva di pomi
doro, ed in mancanza di detta conserva si pu anche servire delle ammandole
abbrustolite e per giorni di latticini si potr fare la sbrodettatura di ovi come se
fosse di carne.
Polpette di Baccal
Si prende del baccal ben mollo, si pesta nel mortaro ben fino vi si metter un
poco di amandole con piccola cosa di farina e un tantino di passarina pepe
cannella poi si metter a cuocere dopo si faranno le polpette si bagnaranno
nellacqua si infarinaranno, e si frigeranno, dopo fritte si metteranno a cuocere
con un poco dacqua, olio, e con due o tre cipolle sane.
Con dettagli e sfumature di gusto retr, ma comunque pi riconducibili a gusti
contemporanei sono invece le due ricette delle polpette di baccal, presenti in
due carte distinte del ricettario (la prima, pi estesa integrata nel testo di una
lettera indirizzata alla badessa. La seconda ricetta sembra una rielaborazione di
cucina del testo originale con qualche integrazione o aggiunta sperimentata
direttamente in cucina). Questo tipo di preparazione comunque molto simile,
nelle fasi e nella composizione, alla ricetta del Baccal fritto presente nel
Cuoco perfetto marchigiano del 1891, dove il baccal sbollentato e privato
delle spine si mette in un mortaio insieme ad unoncia di zibibbo, unoncia di
pignoli, la scorza grattugiata di un limone e di un arancio, poche erbette trite,
odore di cannella, e sale164. Comunque sempre in quello stesso 1891 Pellegrino
Artusi nel suo testo propone la simile ricetta del Baccal dolce-forte (dolce
forte o agro - dolce se cos vi piace chiamarlo), ossia in salsa preparata con
aceto forte zucchero a sufficienza, pinoli e uva passolina in proporzione165).
Nella tradizione dellAlta Valle dellEsino rimasta la preparazione del Baccal
in umido con il dolce sottofondo antico di una manciata duvetta, pezzi di
scorza darancia, e ben quattro cucchiaini di miele166. Questi ingredienti dolci
sono in qualche modo stati mutuati anche da alcune preparazioni tipiche della
cucina tradizionale contadina, impiegando la sapa al posto del miele ma
mantenendo ugualmente un carattere di sopravvivenza di cucina arcaica167.
164
65
Tornando alle ricette delle clarisse molto divertente lartificio mimetico delle
suore per far sembrare queste polpette di carne tingendole con conserva di
pomodoro. Linganno accomodante per gli occhi, ma non certo per il palato, di
fare sembrare pietanze di stretto magro come succulente prelibatezze carnee
di grasso non conosce tempo: un ricettario seicentesco maceratese di una
famiglia aristocratica suggerisce come tingere i salumi di magro con essenza di
cocciniglia di modo che allo sguardo facessero lo stesso effetto delle omologhe e
molto appetite preparazioni insaccate con la carne suina168.
168
66
Proviamo insieme
Polpette di baccal
Ingredienti: per 4 persone
1/2 kg baccal
2 cucchiai di pan grattato
200 gr mollica di pane
4 uova
prezzemolo
pepe
sale
pinoli
uva Passa
Preparazione
Mettere in una terrina il baccal lessato e spinato e aggiungere la mollica di pane
precedentemente ammorbidita in acqua. Aggiungere il prezzemolo, il sale, i
pinoli, l'uva passa, il pan grattato e 3 uova intere. Dopo aver amalgamato il tutto,
fare delle polpettine di forma ovale e, prima di friggerle in olio, passarle
nell'uovo battuto. Terminare la cottura delle polpette in una salsetta
precedentemente preparata.
67
Bomba di Magro
Volendo fare una bomba di magro di erbe o siano spinaci o bietole, o sellari, o
finocchi, o ancora caoli bianchi si devono prima lessare, e dopo cotte si
metteranno nellacqua fresca, e poi ben tagliate fine vi si metteranno le
amandole bianche ben peste con un poco di miele o Zuccaro per indolcire
sciolto nellacqua e questa potr regolarsi secondo la quantit cio per un
buccale di acqua ci vuole una libra di miele, o Zuccaro, o la composizione di
qualunque di queste cose si metter al fuoco sopra e sotto, e per dargli lodore
vi si potr mettere limone grattato, o cannella, o amandole amare.
Gniocchi di Magro
Volendo fare un piatto di Gniocchi di magro si prender una libra di amandole
capate ben peste, si scioglier nellacqua, e con il latte di queste si former la
pasta mettendovi per ogni buccale di acqua mezza libra di Amido, e mezza libra
di Zuccaro, e per lodore vi si metter un pochetto di amandole amare. Dopoi si
far cuocere a fuoco lento, e di quando in quando si metter un poco di latte di
amandole, e dopo cotta di porter sopra una tavola bagnata prima con lacqua.
Per condirli poi si prender mollica di pane passata per setaccio, Zuccaro, e
Cannella.
Vonendoli fare di grasso vi si aggiunta alla pasta tre o quattro chiare dova ben
sbattute, e mentre si cuoce vi si pone di quando in quando dellacqua, si
condiscono con formaggio, Zuccaro, Cannella, Butiro e si mettono a cuocere al
fornello di Campagna.
68
169
69
174
N. MAZZARA MORRESI, La cucina marchigiana tra storia e folklore, Ancona, 1978, pp. 89 90.
175
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 164.
70
Salse ed intingoli
Salsa
Si prende Amandole brustolite, e ben piste, sugo di limone, un poco di canella,
garofoli, e Zuccaro, il tutto scioglierai e bollirai come una Crema = Serve per il
pesce.
Questa ricetta ha una connotazione arcaicizzante, da cucina preilluminista ancora
infervorata delle sfumature di contrasto tra sapori dolci e speziati: ed in effetti
leco diretta verso il ricettario tardo-settecentesco del Nebbia, dove presente
una Salsa di amandorle dolci, dove ugualmente i frutti secchi pestati sono
legati ed aromatizzati con limone, zucchero e spezieria dolce176.
Procedendo verso la fine dellOttocento troviamo ancora il perpetuarsi di questa
preparazione nella Salsa alla Dama del ricettario locale Il Cuoco Perfetto
Marchigiano, dove le mandorle vengono pestate con corteccia di limone
immatura, ad unaltra di cedro candida ben tritate ed alla midolla di pane
inzuppato nellaceto, poi condite con zucchero e cannella177.
Altra salsa
Si prende Erbette che pistarai bene, dopo ci porrai un poco di aceto tornando a
pistare, e dopo pisto lo passerai, dopo passato ci porrai un poco di fiore di
Zuccaro, facendo cos bollire, e che venghi lenta pi della Crema.
Questa ricetta pu in parte ricordare la Salsa XII di Antonio Nebbia, dove le
erbette (menta in particolare) con laggiunta di aglio andavano pestate bene, e
poi amalgamate con una mollica di pane bagnata e strizzata in aceto 178. In questa
preparazione de Il Cuoco Maceratese vi ricorrono in effetti i contrasti
agrodolci ancora sei-settecenteschi dellaceto e dello zucchero, anche se lautore
raccomanda: Questa salsa non deve essere n troppo densa, n troppo liquida, e
n troppo piccante, n troppo dolce; questa salsa serve per i frutti, per gli allessi,
e per gli arrosti179.
Ne Il Cuoco Perfetto Marchigiano, una Salsa derbette contempla di mettere
lerba prescelta in una casseruola ugualmente con aceto e zucchero, e con anche
odore di limone. Se troppo lenta si consiglia di mescolarvi la grattatura duna
crosta di pane180.
Altra
Si prende Zuchette di Cappari, meloncini e melangola che siano state sotto
laceto, il tutto pistarai, e dopo porrai a bollire con Zuccaro, sapore di limone,
ed un poco di aceto.
Questa ricetta pu essere assimilata alla Salsa di capperi de Il Cuoco Perfetto
Marchigiano, dove i capperi rinvenuti nellaceto si mettono poi al fuoco, e
vengono quindi aromatizzati con zucchero, cannella, e odore di limone, ed una
volta cotta la salsa vi si aggiunge un po di crosta di pane grattugiata 181. Sempre
nel 1891 lArtusi propone una simile Salsa di capperi e acciughe, con capperi
176
71
Verdure ed Ortaggi
182
72
189
73
Proviamo insieme
Sedani alla parmigiana
Ingredienti
3 sedani interi bianchi
farina
burro
parmigiano reggiano
2 mestolini di brodo
sale
Preparazione
Pulite il sedano e prendete i cambi, tagliateli in modo da ottenere delle lunghezze
di 10 centimetri circa e lessateli in acqua salata e scolateli al dente. Infarinateli e
friggeteli nel burro. Poneteli in una teglia e conditeli con il parmigiano qualche
fiocco di burro , 2 mestolini di brodo. Metteteli nel forno a 200 gradi per 15
minuti. Serviteli caldi.
74
191
192
75
PROVIAMO INSIEME
Modo di fare un bodino di fagioletti
Per fare la besciamella
Ingredienti per 4 persone
50 grammi di burro
50 grammi di farina
500 ml di latte
q.b. di sale
cannella
In un tegame, far tostare la farina nel burro quindi aggiungere il latte
precedentemente scaldato, il sale, e un pizzico di cannella. Coprire con un
coperchio durante la cottura e saltuariamente girare controllando che non si
attacchi al fondo e non faccia grumi. Se dovesse raggrumarsi, ponetela nel mixer
e ritorner cremosa. Aggiungete un uovo sbattuto.Potete anche acquistare la
besciamella gi pronta nei supermercati.
Bodino di fagiolini
Ingredienti
500 g di fagiolini teneri
burro
pane grattugiato
parmigiano reggiano
Preparazione
Lessare in acqua salata i fagiolini e dopo averli scolati saltateli il padella con una
noce di burro e una manciata di formaggio parmigiano reggiano.
Unite la besciamella e versateli in una teglia da forno imburrata e spolverata di
pane grattugiato.
Passare in forno a 200 gradi per 30 minuti . Quando avr formato una crosticina
dorata, toglietela dal forno e servite.
Segreti
Questo procedimento si pu utilizzare con diverse verdure come i cavoli,
spinaci, catalogna, finocchi.
76
Bomba di patate
(Fascicolo carta 51)
Patate di giusta grossezza 10, torli dovo dieci, scorza di limone, e Rum a
piacere, zucchero a discrezione, le patate si devono passare per setaccio, e unito
il tutto si manipola per unora, poi si prende una cazzarola che la roba possa
arrivare a mezza, la detta cazzaruola si unge, e si sfiora con il pane grattato, si
pone a fuoco gagliardo, e quando il vaso sar riempito si leva dal trepiede e si
mette il foco a torno, e quando sar ritornata al posto di prima gi cotta.
Quando si porta in tavola vi si pone sopra il rosso dovo sbattuto bene con
zuccaro e rosolio.
Dopo il suo arrivo dallAmerica il percorso della patata sulle tavole europee sar
lungo e laborioso. La diffidenza iniziale era dovuta al timore che certe sostanze
tossiche riscontrate nelle foglie si trasmettessero anche al tubero 193. I viaggiatori
che si erano avventurati nel nuovo continente riscontravano come gli indigeni ne
facessero consumo, ma allassaggio trovavano una vaga somiglianza con il
marzapane e con le castagne inzuccherate, dichiarando di preferire gli
originali194. I compilatori di trattati di botanica e agronomia la ignorano, tranne
Castor Durante che si limita a raffigurare senza commento alcuno una pianta di
batatas. Per quanto riguarda larte della cucina, nel Seicento ne parla solo il
ricettario di Antonio Frugoli, il quale avendo lavorato a lungo in Spagna (dove le
patate erano pi familiari) fa riferimento alla loro cottura ed impiego, e consiglia
di cuocerle sotto la brace per servirle poi con zucchero e vino bianco, oppure di
prepararle sciroppate, o di aggiungerle a una crostata con conserva di pera 195. Se
la patata nel Seicento un particolare lusso esotico riservato alla cucina alta,
nel secolo successivo diverr componente frequente delle mense basse, grazie
anche ad alcuni trattati di agronomia che ne esalteranno le enormi potenzialit
nutritive, in particolare lopera di Giovanni Battista Occhiolini (Memorie sopra
il meraviglioso frutto americano chiamato volgarmente patata ossia pomo di terra
con la descrizionedel modo di ridurlo a farina ed a pane, Roma, stamperia di
S.Michele per il Giunchi, 1784).
Leco seicentesco della patata, in qualit di ingrediente per pietanze dolci, torna
nei primi ricettari marchigiani che hanno trattato questo tubero. Infatti molte
ricette di dolci alle patate, simili a questo delle clarisse di Serra de Conti, sono
presenti nel Cuoco perfetto marchigiano, dove vi sono ben quattro
preparazioni dal titolo Bodino di patate. Le prime tre ricordano molto questa
pietanza del monastero di Santa Maria Maddalena: le patate, lessate e passate al
setaccio, vengono legate con tuorli duovo, dolcificate con zucchero, ed
aromatizzate con buccia di limone, cannella, rosolio e rhum 196. La variante pi
ricercata aggiunge alla miscela di patate molte mandorle dolci e qualcuna amara
(sei in tutto pestate con lo zucchero), canditi e uva passa a piacere; preparato
questo impasto la sera vi si incorporano la mattina dopo gli albumi messi da
parte montati a fiocca, ed il tutto si versa a cuocere con fuoco sotto e sopra
193
C. BENPORAT (Storia della gastronomia italiana, Milano, 1990, pp. 169-170) cita lesperienza
narrata dal Benzoni nella sua Historia del mondo Nuovo, stampato a Venezia nel 1565.
194
M. SENTIERI (La trasformazione dei modelli alimentari, in M. SENTIERI- G. N. ZAZZU , I semi
dellEldorado: lalimentazione in Europa dopo la scoperta dellAmerica, Bari, 1992, pp.189118) riferisce della scoperta e dellatteggiamento dei colonizzatori verso questo tubero e sul
primo arrivo e diffusione nel continente europeo in Spagna.
195
A. FRUGOLI, Pratica e scalcheria, Roma, 1631
196
Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, pp. 62-63.
77
197
Ivi, p.114.
78
198
79
Le cresce
201
GALINA, Annotazioni, in B. PISANELLI, Trattato della natura de cibi et del bere, pp. 458-459..
P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,
2001, p. 371.
203
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, pp. 189 -190.
202
80
Crescie
PROVIAMO INSIEME
Ingredienti
SEGRETI
Se volete potete farvi dare la pasta del pane dal vostro fornaio o potete tranquillamente comperare
confezioni di pasta sfoglia fresca nei supermercati. Lesito finale delizioso
Crescia sfogliata
81
PREPARAZIONE
Fare un impasto morbido con uovo, acqua, olio e la farina necessaria.
Farlo riposare 2 ore in un sacchetto di plastica. Tirare, su un telo, in
una sfoglia sottilissima la pasta. Mescolare zucchero, uvetta e semi di
anice e distribuire sulla sfoglia. Spruzzare con un po' di olio e
arrotolare aiutandosi con il telo. Sistemare in una teglia unta, ungere
anche la superficie e cuocere in forno gi caldo a 200 per 20 minuti
circa.
82
Per fare la Crescia delle Panettiere ci vuole Farina lib. 12, Formaggio lib 4 e
mezza, e se ne grattano lib. 2, pepe 3 prese, mezza foglietta dolio, sale oncie 5,
ova 20, questa quantit basta per 20 persone, Padre confessore, e Fattore
Il termine crescia tipicamente umbro-marchigiano. Letimo sembra derivare
dal fatto che in forno si alzassero e crescessero. Ed in effetti anche in tipicit di
altre regioni ricorre la radice legata al verbo crescere nel senso di levitare ed
aumentare di volume. LArtusi riporta la ricetta del Crescente bolognese, che
ha questo nome perch durante la frittura si gonfia e si alza aumentando di
volume, grazie anche allazione del lievito. Lautore sottolinea: I Bolognesi per
renderla pi tenera e digeribile, nellintridere la farina collacqua diaccia e il sale,
aggiungono un poco di lardo. Pare che la stiacciata gonfi meglio se la gettate in
padella collunto a bollore, fuori del fuoco204.
La crescia marchigiana invece una focaccia larga e schiacciata da cuocere al
forno, ed in effetti si preparava con la stessa pasta del pane, quando si facevano
le pagnotte per ununica infornata che generalmente durava una settimana. Si
faceva con farina di grano o di granturco, ed anche con entrambe mischiate tra
loro; si poteva anche cuocere sul piano del focolare riscaldato, protetta da un
coperchio con brace sopra205. Questa specie di pizza tonda, presentava qua e l
sulla sua superficie tante piccole infossature create pigiando la pasta cruda con le
dita; veniva lucidata con gocce dolio e condita a piacimento con sale, cipolla e
rosmarino, e da tempi pi recenti anche con pomodoro fresco destate 206. Una
volta cotta si poteva farcire con verdure cotte (strascinate in padella) e con
formaggio fresco. Durante la macellazione del maiale era quasi un obbligo
cerimoniale preparare la tradizionale crescia coi grascelli, di cui si trova
appunto la ricetta anche tra questi appunti manoscritti delle clarisse di Serra de
Conti: i grascelli (chiamati altrove siccioli, sfriculi, grascei, scriciuli, ciccioli, o
ciculi207) erano i residui della fusione dello strutto. Una delle cresce pi
particolari e caratteristiche durante lanno era per quella con il formaggio che
era tradizione preparare per Pasqua, e che infatti figura tra le ricette delle clarisse
di Santa Maria Maddalena.
In un altro monastero marchigiano, quello si San Giuseppe a Pollenza
(Macerata), le clarisse erano solite iniziare a preparare le cresce pasquali al
formaggio alla mattina del Venerd Santo, per poi far riposare la pasta al caldo di
notte, per poi infornare i tagami la mattina successiva dopo le Lodi208.
Conosciuta in tutta la regione con numerose varianti locali, anche nelle
denominazioni (Crescia de cascio, Pizza con il formaggio) era preparata con
formaggio fresco e secco (generalmente ricotta e pecorino), ed era consuetudine
mangiarla con uova sode, frittata e salumi nella tradizionale colazione della
mattina di Pasqua, o della gita o scampagnata di Pasquetta. Talvolta per dargli
una pi intensa e vivida colorazione dorata vi si aggiungeva una bustina di
zafferano, espediente che si riscontra anche nelle ricette appuntate dalle suore di
Serra de Conti.
Unimportante testimonianza scritta ufficiale e locale della crescia vera e propria
il testo anonimo Il cuoco perfetto marchigiano (pubblicato ugualmente nel
1891), che illustra appunto la ricetta di Crescia di formaggio, raccomandando
di mescolare il lievito con la farina alla mattina, e poi dimpastarvi alla sera le
uova, il formaggio e pepe dolce e forte, per poi far cuocere il tutto alla mattina
204
83
209
210
84
Le Cresciole
Per fare le cresciole per lultimo giorno di Carnevale, ova 16 e 9 ova di acqua,
zucchero oncie 10
Per fare 27 cresciole, ci vuole tre fogliette di vino dolce, mezza foglietta dolio,
una libra di zuccaro, e la massa sia duretta (anche qui farina, credo proprio,
sottintesa)
Quando si preparava il pane, e di conseguenza anche le crescie, che erano
confezionate con il medesimo impasto di base, molto erano gli intagli di massa
avanzati, pezzi scartati nel modellare in forme regolare le focacce o le pagnotte,
o anche semplici residui rinvenuti qua e l nella spianatora. La saggia
economia contadina, ritualmente consapevole dellimportanza anche simbolica
del pane e dei suoi derivati, come sostentamenti corporeo ma anche nutrimento
corporale, non poteva neanche lontanamente concepire di non utilizzare,
scartando o addirittura gettando via questi residui anche infinitesimali di
Massa da far lievitare. E cos con questi rimasugli di pasta di pane e cresce si
facevano felici i bambini e non solo loro: queste pezzole di impasto si
gettavano nellolio bollente e si friggevano; potevano poi essere cosparse di sale
ed erbe aromatiche, o anche di zucchero, piccola e appetita leccornia degli
avanzi211. In questa saggia preparazione di unaccorta cucina delleconomia si
vede come ancora una volta la mensa dei monasteri attingesse a modello la parca
ed umile sapienza del mangiare tipica dei contadini e dei semplici.
Con lo stesso nome di cresciole in alcune zone vicine, come Arcevia e
Sassoferrato, tuttora si fanno delle frittelle con lo stesso impasto delle castagnole,
usando un piattino da frutta per intagliarle con il coltello in forma circolare212.
211
212
85
Proviamo insieme
Crescia di Pentecoste
INGREDIENTI
820 g di farina bianca
200 g di olio d'oliva
200 g di parmigiano grattugiato
90 g di lievito di birra
50 g di pecorino grattugiato
6 uova
sale
pepe nero in grani
burro
farina per lo stampo
Preparazione
In una ciottolina, con g 20 di lievito, g 50 di farina e g 100 di acqua tiepida,
preparare una pastella e lasciare lievitare per 30 minuti coperto da un tovagliolo.
Montare a neve gli albumi con la frusta rotonda, poi unire i tuorli e, sempre
lavorando, aggiungere l'olio, il pecorino, il parmigiano, il pastello lievitato, sale e
una generosa macinata di pepe (a questo punto il composto diventer cos liquido
che l'aver montato inizialmente gli albumi, potrebbe sembrare un'operazione
superflua; invece necessaria per dare una maggior morbidezza all'impasto
finale).
Sostituire la frusta rotonda con quella a gancio e, sempre lavorando, aggiungere g 400 di farina,
g 70 di lievito sbriciolato e, poco per volta, la farina rimasta(g 400), proseguendo la lavorazione
86
87
213
N. MAZZARA MORRESI, La cucina marchigiana tra storia e folklore, Ancona, 1978, p. 379
Antologia della cucina popolare, Fabriano, 1993, p. 137.
215
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 199.
214
88
Proviamo insieme
Salame di fichi
Ingredienti
1 o 2 kg di fichi settembrini bianchi e rossi
1/2 litro di mosto di vino
qualche pinolo pulito o mandorle spellate o noci
anisetta o mistr
zucchero a piacere
qualche seme di anice
foglie di fico grandi intere
Preparazione
I fichi raccolti in settembre vanno seccati esponendoli su di un graticcio di
giorno e ritirandoli la notte ma devono rimanere semi- morbidi.
Al tempo della vendemmia raccogliete il mosto e filtratelo Sbollentate le foglie
di fico per qualche secondo, poi adagiatele sul tagliere con le nervature verso
l'alto Con un coltello affilato parallelo al tagliere togliete le nervature piu'
evidenti ad ogni singola foglia..
Poi prendete la polpa dei fichi che avrete tagliato grossolanamente in modo da
simulare la grana della carne macinata di un salame paesano, aggiungete le
mandorle o le noci o i pinoli, insaporitela con il mosto cotto per 10/15 minuti, un
po' di zucchero a piacere, qualche seme di anice ed un po' di anisetta.
Impastate bene con le mani e preparate un letto con le foglie di fico
sovrapponendole in parte.
Adagiatevi la polpa ed arrotolate le foglie legando l'involto a mo' di lonzino o
salame, legatelo con un filo di lana
Fatelo stagionare appeso come un normale salume. questo tipo di lavorazione
garantisce la conservazione del lonzino per diversi mesi senza aggiunta di
conservanti. Si spiega quindi cos l'importanza che ha avuto in passato questo
alimento per le popolazioni contadine marchigiane che lo potevano consumare
durante tutto l'inverno.
Si serve a fette togliendo la pellicina (foglie) come un salame qualsiasi e lo si
propone come dessert, ma le sue caratteristiche si esprimono al meglio
servendolo tagliato a fettine accompagnandolo con formaggi stagionati o con
ricotta vaccina ed in abbinamento ad un buon vino passito.
Segreti
Vi consiglio di confezionarlo in una forma cilindrica lunga quindici centimetri,
con un diametro di circa cinque e dal peso approssimativo di trecento grammi
89
Visciolata
Per fare la Vigiolata ci vuole in 14 libbre di Visgiole, 2 fogliette di vino, dopo
bollito un poco si taglia losso, poi si ritorna a fare bollire di nuovo,
mescolandoci i libbra di zuccaro, e ne si toglie dal fuoco se non quando ben
asciutta.
Preparazioni con le visciole sono caratteristiche delle Marche. Innanzitutto
tradizionale di questa regione un vino aromatizzato con questa qualit di ciliegie
asprigne; la preparazione di questa bevanda, chiamata anche visner o
cerasuolo216 documentata anche nel ricettario manoscritto del Seicento di una
famiglia nobile maceratese, assieme alle istruzioni per la relativa acquetta di
visciola, liquore preparato riciclando i frutti filtrati dallinfusione in vino). A
fine Settecento il Nebbia suggeriva come preparare crostini di visciole 217, di cui
rimane traccia nellabitudine contadina di servire la composta di questi frutti su
fette di pane o di ciambellone dolce. In un ricettario manoscritto ottocentesco,
appartenuto alla famiglia Albini di Saludecio, nel pesarese a confine con la
Romagna, si legge la ricetta della Crostata di visciole, dove i frutti cotti nel
vino con zucchero, cannella e chiodi di garofano vengono alternati a tre sfoglie
di pasta sovrapposte218. Nel ricettario anonimo di fine Ottocento, Il cuoco
perfetto marchigiano, si legge la ricetta della Marena, dove le visciole son
bollite in acqua con buccia di limone e cannella, e poi si cuoce il succo della gran
parte di esse con lo zucchero, per poi versarlo con scorzette di limone nei vasi
con i frutti lasciati integri219. Anche Artusi nello stesso anno propone la ricetta
della Marena nel capitolo degli Siroppi, con le seguenti raccomandazioni per
una buona conservazione: Quando levate la marena dal fuoco, versatela in vaso
di terra e imbottigliatela diaccia. Tappate le bottiglie con sughero senza catrame e
conservatele in cantina dove tanto la marena che i siroppi si manterranno
inalterati anche per qualche anno220. Ancora nel Cuoco Perfetto Marchigiano
la Conserva di visciole prevedeva invece pi semplicemente di cuocere la
frutta in zucchero fino alla giusta cottura per poi invasare il composto ristretto
ottenuto221. Ma in questo manualetto di cucina e pasticceria esiste anche la ricetta
intitolata propriamente Visciolata, e qui la frutta viene ugualmente cotta, come
sempre depicciolata e denocciolata, ma in vino e con corteccia di limone e
cannella, per poi essere infine inzuccherata adeguatamente222; a quel punto la
ricetta assomiglia ai crostini gi citati del Nebbia, e questa visciolata viene
versata su fette di pane abbrustolite e bagnate con rosolio e rhum, per poi portare
il tutto a raffreddare in grotta, per essere infine servito cosparso di cannella.
216
90
Proviamo insieme
Per fare la Vigiolata
Questa la ricetta di una marmellata di amarene, io per vorrei proporvi una ricetta
molto particolare che una Zuppa di amarene
Ingredienti
1 kg amarene snocciolate
6 bicchieri vino rosso ( 750 g)
250 g zucchero
cannella q.b.
chiodi di garofano q.b.
scorza di limone q.b.
n. 20 fettine di pane
Preparazione
Sono conosciute versioni di questa zuppa che risalgono al XVI secolo: secondo
l'uso del tempo, le fette di pane erano precedentemente fritte nel burro. Un'altra
variante consisteva nel riempire con il liquido e la frutta una "cassetta" di pane
Toglire il picciolo alle amarene e snocciolarle. Portare ad ebollizione il vino in
un recipiente di coccio Unire lo zucchero, la cannella, i chiodi di garofano e la
scorza di limone Continuare a bollire fino ad evaporare la met del volume
Versare le amarene e lasciare sobbollire un attimo Dopo aver separato gli aromi,
travasare in una zuppiera sul cui fondo sono disposte le fettine di pane e servire.
Potete usare anche un pane rotondo, tagliarlo a met e svuotarlo dalla mollica e
riempirlo della zuppa di amarene ,passarlo poi in forno a 180 gradi per 10
minuti.
Curiosit
Dette anche visciole o marasche (a seconda delle sottospecie di derivazione),
sono i frutti del Prunus Cerasus (parente stretto del Prunus Avium che fornisce le
ciliegie dolci). Sono un frutto antichissimo, probabilmente originario
dell'Estremo Oriente ma gi acclimatato nelle nostre zone nel periodo neolitico,
come testimoniano i ritrovamenti di suoi noccioli in insediamenti palafitticoli dei
laghi svizzeri. La coltivazione delle ciliegie e delle amarene fu poi diffusa in
tutto il Nord dell'Europa dai coloni romani. Rispetto alle visciole e alle
marasche, che hanno un colore rosso scuro, l'amarena caratterizzata da una
tonalit pi pallida e da un sapore fortemente acido ed amarognolo. Coltivata
largamente in altre parti della penisola, in Lombardia l'amarena presente come
albero mantenuto presso le case di campagna per un consumo individuale e
per decorazione. Ricche in acido citrico e in vitamina A, le amarene vengono
utilizzate principalmente per conserve sotto alcol o per farne acquaviti, liquori e
sciroppi.
91
223
La citazione della ricetta dell Orengat dal manoscritto Menagier di Paris tratta da O.
REDON F. SABBAN S. SERVENTI, A tavola nel Medioevo, Roma Bari, 1995, p. 284.
224
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 323.
225
S. PAPA (op. cit.., p. 34)
92
226
O. REDON F. SABBAN S. SERVENTI, A tavola nel Medioevo, Roma Bari, 1995, p. 280 281.
227
P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,
2001, p. 547.
228
S. PAPA (op. cit.., pp. 33-34)
93
Proviamo insieme
Cottognate o Persicate
Versione 1
Ingredienti
mele cotogne (da 1 a 3 kg)
zucchero
limoni
stampi decorati in terracotta (o alluminio)
foglie di alloro, secche
Preparazione
Le mele cotogne vanno lavate e pelate; la scorza va messa da parte, in una
pentola, insieme ai torsoli rimasti dopo che tutta la polpa sar stata tagliata
Scorze e torsoli coperte a filo con acqua, van fatte cuocere per 45 minuti a fuoco
lento
La polpa, alla quale sar stato aggiunto un limone tagliato a pezzi per ogni kg di
peso, deve cuocere per 20 minuti, in abbondante acqua, fin quando sar facile
attraversarla con uno stecco.
Ora, tolto il limone (non si butta: piuttosto va aggiunto a quanto bolle nellaltra
pentola), occorre schiacciare la polpa con una forchetta e passarla in setaccio a
maglia fitta, e pesarla: aggiungere zucchero per 9/10 e quanto si sar riuscito a
ricavare dallaltra cottura ( cio il succo e quella minima quantit di polpa che si
potr ottenere schiacciando leggermente tutto in un colino a maglia fitta). Ben
mescolata e posta sul fuoco, va cotta per 12 minuti dal bollore
E questa la cotognata. Mescolare in continuazione mentre sul fuoco, altrimenti
sattacca alla pentola e brucia!
Bagnare gli stampini con succo di limone e versarvi la cotognata calda; battere
sul tavolo per assestarla e poi asciugarla al sole per 2 giorni.
La si pu sformare subito; ma necessario lasciarla ancora al sole fin quando si
sar completamente asciugata. Naturalmente potete asciugarla in forno a 30
gradi, controllatela spesso per accertarvi che si asciughi senza seccarsi.
Una scatola di latta, foglie di alloro, nessuna umidit, la conserveranno
per molto tempo e se arriva a Natale la potrete regalare agli amici!
94
Vi propongo una ricetta molto semplice che per esalta al massimo la soavit
zuccherina della pera cotogna.
Ingredienti
200 g di zucchero di canna
8 piccole pere cotogne
4 stecche di vaniglia
burro qb
Preparazione
Occorre una vaniglia molto profumata come quella del Madagascar(la troverete
nei negozi di spezie)
Scaldate il forno a 160 gradi, lavate le pere cotogne ed asciugatele, togliete il
picciolo e detorsatele lasciando il frutto intero e senza bucare il fondo. Versate su
ogni pera lo zucchero e un fiocco di burro; infilate mezza stecca di vaniglia in
ogni apertura. Versate un dito dacqua sul fondo di una teglia a bordi alti, ponete
le cotogne, aggiungete 4 fiocchetti di burro e 2 cucchiai di zucchero. Lasciate
cuocere per unora. Servite cade e se volete accompagnatele con gelato alla
crema.
95
96
97
Dolci fritti
Per fare i Castanioli
Per fare i Castanioli per 31 persone, e P. Confessore, e Fattore, ci vuole 36
Ova, mezza libra di Zuccaro, mezza foglietta dolio, e spirito di vino
Le castagnole sono dolce tradizionale del Carnevale. La pi antica traccia di
queste semplici frittelle nella letteratura gastronomica marchigiana si trova ne Il
cuoco perfetto marchigiano, dove il titolo di una ricetta recita Fritto detto
castagnole229.
La tradizione contadina ha elaborato la ricetta canonica con il profumo di Mistr
(liquore allanice), e la buccia di limone. A Matelica caratteristico condirli con
un miele mescolato ad alchermes, e profumato con scorza di limone, anzich
spolverarli di zucchero230.
229
230
98
Proviamo insieme
Castanioli
Ingredienti
500 grammi di farina
4 uova
4 cucchiai zucchero
4 cucchiai di olio
100 grammi di latte
mezzo bicchierino di mistr
un pizzico di vaniglia
la grattatura di un limone
una bustina di lievito
Preparazione
In una ciotola o zuppiera versare la farina, le uova e lo zucchero e cominciare a
battere con una forchetta ,aggiungere in successione 4 cucchiai di olio , 100
grammi di latte, mezzo bicchierino di mistr, un pizzico di vaniglia e la
grattatura di un limone quindi, alla fine, una bustina di lievito. Deve risultare un
impasto morbido
Mettere in parte uguale olio buono e strutto... la vecchia tradizione per lo
strutto.. ma si pu anche friggere in solo olio di semi ;quando ben caldo
mettere con un cucchiaino da the le palline che si vanno a formare, staccandole
con un dito dal cucchiaino si fanno scivolare lentamente nella padella, girarle
con una forchetta quando sono ben gonfi e dorati da una parte .A cottura ultimata
si scolano con una schiumarola e li adagio su carta assorbente, spolverizzateli di
zucchero semolato .
99
Grostoli da Vigilia
(fascicolo 1, carta 5)
Piglisi unoncia di lievito e libbra una di farina, impastisi con latte di pignoli
fatto con un poco di vino bianco, et acqua rosa, acqua commune tepida, sale,
zuccaro, e oglio, e per dargli il colore un poco di zaffarano; e fatta sar la pasta
non troppo soda, facciasi sfoglio sottile e dopo se ne potr fare Gruppi, Treccie,
ed altri lavori doppiandola prima che si faccia il grostolo, e friggasi nelloglio,
poi vi si metta sopra il zuccaro o miele.
Detta Pasta si pu fare ancora senza latte, ma solo con il vino, Oglio, Zuccaro, e
sale.
Pasta liquida per Frittelle ed Altri lavori
(fascicolo 1, carta 5 v.)
Piglisi fior di farina, e pongasi in un vaso di terra invetrato, o di rame stagnato;
impastisi con acqua, vino bianco, oglio freddo, e sale, e tingasi di zaffarano, e
sbattasi assai con il cocchiaro di legno, di modo che venga come una colla
liquida: e di essa posta se ne pu fare frittelle con diverse foglie derbe, mele
fettate, et aggiungendo luva passera ammollata in vino caldo, ed un poco di
lievito, e Zuccaro.
A fine Settecento Antonio Nebbia ne Il cuoco maceratese suggerisce di
preparare Frittelle di pere, mele, persici e di ognaltro frutto di simil qualit
aggiungendo alla pastella (colletta) un pizzico danisi 231. Invece a fine
Ottocento ne Il Cuoco Perfetto Marchigiano riportata una ricetta di Fritto di
mele, dove i frutti, sbucciati e privati del torsolo, e quindi affettati in tanti anelli
dello spessore di uno scudo, vengono prima cotti brevemente nel vino, con
corteccia di limone, cannella, zuccaro e lodore del rosolio; dopodich scolati e
raffreddati, vengono impanati e fritti, per poi venir serviti caldi cosparsi di
zucchero232.
Sempre nel 1891 Pellegrino Artusi propone naturalmente la sua versione del
Fritto di mele, e inconsapevolmente riprende uno spunto dal Nebbia: Quando
siete per friggerle e se non vi dispiace lodor degli anaci, che qui sta bene,
mettetene un pizzico233.
Frittelle di Riso
(fascicolo 1, carta 5 v.)
Piglisi una libbra di riso ben netto, e lavato pongasi al fuoco con tantacqua
fresca, che stia coperta; e quando avr sorbita lacqua, abbiasi latte duna
libbra damandole e mezza libra di Zuccaro, e pongasi dentro la met,
aggiungendoli il pesto a poco a poco fino a tanto, che sar ben cotto, quale poi
si stender sopra una tavoletta, e si lascier asciugare da se; piglisi poi, e si
faccino ballotte di grossezza duna mezza palla, e sinvolghino nella soprad.a
Pasta liquida; e si friggeranno in Oglio. In altro modo: asciutto, che sar il riso,
pestisi nel Mortajo, aggiungendo la mollica dun pane, imbevuta nel brodo ov
231
100
234
101
Fritto
(fascicolo 1, carta 8)
Per circa 10 persone. Si prendono l. 3 Ammandorle dolci, si toglie la pellicola e
si pestano fine assai ed anche passate al Setaccio, indi vi si unisce Olio, Vino,
Acqua parti eguali di tutto e simpasta con farina ed un cucchiaio di Zuccaro,
facendo la sfoglia un pu grossa; poi si taglia o a quadrelli ovvero tondi a
piacere, ed infine si friggono con Strutto, o Olio e dopo si inzuccarano di sura
edi sutta (sic).
Altro fritto
(fascicolo 1, carta 8 v.)
Si fa una Sfoglia a guisa di quella de Tagliolini impastandola con farina e Ovi,
poi si taglia questa sfoglia come parimenti i tagliolini ma finissimi come fili si
seta poi si prepara nella Padella Strutto (o olio) e si prendono questi tagliolini
come tanti fiocchetti e cos si gettano nella Padella a friggere, ma n. prenda
colore giacch dopo fritti hanno da restar bianchissimi indi si cavano e si
inzuccarano, aggiungendovi la cannella, ancora.
Mign
(fascicolo 1, carta 2)
Si prende un buon pugno di farina, si impasta come lostie e ben impastata, si
mette friggere con un poco di strutto, ma prima si strugge lo strutto.
Fritta che sia si cava e si mette in un piatto cupo si aggiunge un ovo e si sbatte
tutto insieme che si riduca una pulenta e anche pi stretta. Se non basta un ovo
ce se ne aggiunge qualchun altro unitamente ad un pu di Zuccaro a giudizio
eppoi si rimette a friggere facendone tanti pezzetti.
E la dizione marchigiana di bign, a sua volta italianizzazione del francese
beignet.
Nella letteratura gastronomica marchigiana la prima attestazione scritta di questo
fritto spetta al Nebbia, che propone la ricetta delle frittelle di pasta a Mign: il
cuoco maceratese prescrive di cuocere su una cazzaruola la prima pastella
con brodo o latte e quattro once di buon butiro e poco sale, e poi
aggiungendo la farina, mescolando con cura e diligentemente il tutto facendo
attenzione che non si attacchi al fondo237. Una volta cotto questo amalgama vi
si doveva aggiungere molte pi uova rispetto alla ricetta delle clarisse (lautore
arrivava a ben dodici tuorli complessivi). Il tutto andava poi intagliato con il
rampino duna cucchiara bucata, o un ferro fatto a posta, e poi veniva fritto a
fuoco lento perch questa pasta deve alzare assai, e trovandosi con fuoco
impetuoso si farebbe rossa e non alzarebbe; una volta cotte dal color oro
chiaro andavano infine servite calde, ugualmente spolverizzate di zucchero238.
Pressoch identico il procedimento di preparazione della Pasta Mign,
contemplato nel Cuoco perfetto marchigiano, dove la mistura messa a bollire
per aromatizzata con una corteccia di limone ed alcune stecchette di
cannella239; dalla ricetta di base si passa poi in un altro capitolo ad un analogo
Fritto di pasta Mign, dove si suggerisce di usare una siringa per ricavare dei
237
102
pezzetti di pasta lunghi mezzo dito, da friggere poi e servire ugualmente caldi
con spolverata finale di zucchero240. Il medesimo anonimo ricettario del 1891
presenta poi la ricetta dei Fonghetti di pasta Mign, dove le pallottole di pasta
cotte al forno si farciscono poi come gli odierni bign, di crema dura, di
mandorle abbrustolite e peste condite con zuccaro, cannella, limone e rosolio, di
una buona mostarda, od anche di una conserva di visciole 241. Leonardo Bruni
riporta anche una ricetta fabrianese da lui raccolta (anteriore alla seconda guerra
mondiale) dove i mign anche in questo caso cotti al forno, andavano riempiti
di crema e oltre che spolverati di zucchero anche spruzzati di alchermes242.
240
Ivi, p. 27
Ivi, p. 76
242
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 317.
241
103
243
104
Il primo pontefice ad avere notizia del cioccolato, in merito ad informazioni descrittive sul
nuovo continente americano fu Clemente VII. (K. KHODOROWSKY H. ROBERT, Piccola
enciclopedia del cioccolato, Milano, 2001, pp. 42-43). Il primo a pronunciarsi in suo favore, sui
requisiti di bevanda che non interrompe il digiuno, fu Pio V (uno dei papi pi ascetici della storia
e probabilmente il meno propenso ai piaceri della mensa a discapito della dedica intestatoria nel
trattato dello Scappi).
245
La citazione del botanico Girolamo Benzoni, primo italiano ad assaggiarlo nel suo viaggio in
America tra il 1541-1555 (da SCHIAFFINO M., Il tormento e lestasi, in Cioccolato: il cibo degli
dei, Milano, 1996, p.8. Sulle varie impressioni e descrizioni dei viaggiatori nelle Americhe cfr.
LABANNE P., Lavventura del cacao, in Cioccolato: il cibo degli dei, op. cit., pp. 70-72
246
F. BRAUDEL (La civilt materiale, economia e capitalismo. Le strutture del quotidiano, Torino,
1979, pp. 222-223) ritiene che il vero introduttore della cioccolata in Francia fu il cardinale
Richelieu, che secondo i cronisti, ne faceva un grande uso perch sperava, proprio su
suggerimento di alcune religiose spagnole venute in Francia, che gli curasse la milza.
105
247
106
Proviamo insieme
Pastine lunghe per cioccolata
Ingredienti:
10 tourli douvo
4 chiare (albumi)
400 g di zucchero
50 g di semi di anice
farina qb
Preparazione
Versare in una terrina i rossi (10) e le 4 chiare, montarle con una frusta, volendo si
pu usare una frusta elettrica) aggiungere lo zucchero e montarle di nuovo fino ad
ottenere una base cremosa :A questo punto aggiungere i semi di anice e la farina
00 quanto basta ad avere un impasto consistente ma molto morbido.
Vi consiglio di aggiungere la farina lentamente continuando a mescolare limpasto
con un cucchiaio di legno.
Si preparano due teglie da forno imburrate e leggermente infarinate e si fanno due
strisce di pasta per teglia, devono rimanere consistenti, poi si mettono in forno per
15 minuti a 200 gradi
Tolte dal forno, ancora calde, con molta attenzione si tagliano delle strisciette di
circa 3 centimetri di larghezza .
Si rimettono in forno a 180 gradi per 10 minuti in una teglia pulita non imburrata
n infarinata Controllare che prendano un bel colore dorato. Questi biscotti sono
deliziosi serviti con una cioccolata calda
107
Crostini
Si prende Ammandorle dolci si abbrustoliscono come il caff osservandoci se
sono arrivate che siano color cannella entro lAmmandorla cio spezzandole.
Fatto quello si pestano unitamente al zuccaro, e ci si unisce una grazia di Spirito
di vino. Pestate che siano si abbrustolisce dei crostini di Pane eppoi si sopra la
pasta di dette Ammandorle e si pone in Tavola.
Anche lanonimo Cuoco perfetto marchigiano del 1891 propone una ricetta
estremamente stringata per dei Crostini di cioccolata. Eccone la trascrizione
completa: Sciolta la cioccolata, vi si mescola il rosolio con poco rhum e odore
di limone, e si versa sui crostini abbrustoliti 250. Nello stesso testo presente
ugualmente una ricetta di Crostini di mandorle, che nellimpiego di mandorle
abbrustolite e pestate condite con zucchero, cannella e rosolio (con la variante
aggiuntiva dellodore di limone), ricorda molto la preparazione delle clarisse251.
INSERIRE FOTO MANOSCRITTO
Zuccarini a modo di ciambelle
(Fascicolo 2)
Pigliasi Zuccaro fino fatto in polvere, et abbiansi chiare dova fresche, battute;
mettansi in un catinello, e pongasi in esse chiare tanto zucchero, che venghi
pasta soda, e dessa pasta se ne faranno ciambelle. Se q.sti si pongono in una
tortiera, o testo a cuocere, che sia asperso di farina, o unto con cera bianca;
facciansi cuocere con poco fuoco, et alquanto pi di sopra. Vogliono poca
cuocitura, perch si gonfiano, e rimangono leggiere. Con esso si pu mettere un
poco dacqua rosa, o muschio a beneplacito.
250
251
108
Proviamo insieme
Zuccarini a modo di ciambelle
Ingredienti
200 g di zucchero
200 g di mandorle pelate
2
albumi
Preparazione
Mettere nel mixer lo zucchero e le mandorle e frullarle fino ad ottenere come una
farina, Versare in una terrina e aggiungere gli albumi montati a neve soda.
Mescolare dolcemente dal basso allalto fino a rendere il tutto un impasto
omogeneo. Preparare una placca da forno, ricoprirla con carta forno. Formate
con le mani delle palline grosse come una noce e adagiatele nella teglia ben
distanziate tra loro .Infornate a 200 gradi per 15 minuti .Prima di staccarle dalla
carta lasciatele raffredddare.
Segreti
Per una maggior consistenza e una pi facile riuscita aggiungete allimpasto,
prima degli albumi, un pugno di pane grattato e setacciato. Procedete poi come
da ricetta.
109
Mostaccioli
Per fare Mustaccioli, e Fraschettine, si prende una libra due oncie di fiore di
farina, una libra di Zuccaro, una ottava di canella, e una di garofalo.
Per fare il pieno in sette libre di miele ci si mette tre boccali di sapa, mezza
oncia di Garofali, un oncia di pepe, la ranciata fatta con una sessantina di
scorze che pi di mezza Catina quando cotta.
La massa per le ciambelle del pieno ci si mette un boccale di vino e una foglietta
e mezza dolio.
Non stupisce affatto la presenza della ricetta dei mostaccioli in un convento di
clarisse. Esiste infatti una piccola poetica tradizione su questo dolce dorigine
povera e rurale. Tra le molte leggende fiorite attorno a San Francesco, si narra
che sul letto di morte il santo avesse chiesto di mangiare i mostaccioli 252. Questo
dolce nel Duecento, quando lo zucchero era ancora raro costoso ingrediente di
farmacia, si confezionava ancora secondo lunga tradizione contadina con il
mosto o con il vin cotto, con laggiunta eventuale di miele e frutta secca. Questa
era in effetti la ricetta che sorella Jacopa preparava al poverello di Assisi, e che
ancora si perpetua intatta in alcuni monasteri253.
Di mustia o mustacea, biscotti preparati con il mosto, si legge gi negli antichi
trattati latini di agronomia e nel De re coquinaria di Apicio, ricettario di epoca
romana imperiale. Si trattava di focacce dolci preparate in genere per le nozze,
aggiungendo alla farina ed al mosto anche del condimento grasso o del cacio, e
gli aromi dellanice o delle foglie di alloro.
Questi dolcetti dorigine antichissima vennero poi codificati nei secoli dalla
pasticceria medioevale, nobilitando liniziale matrice rurale in versioni pi
elaborate di pasticceria con laggiunta nel composto anche di miele e canditi. A
partire dal Rinascimento poi i pi celebri ricettari e trattati di gastronomia
aggiornavano la ricetta impreziosendola con la pi varia gamma di spezie ed
aromi, e soprattutto sostituendo come ingrediente dolcificante lo zucchero al
mosto, rimasto solo nella sopravvissuta denominazione originaria.
Nella pi recente tradizione contadina marchigiana si tendeva ugualmente a
dolcificare la pasta base del pane con mosto e zucchero assieme, aromatizzando
con anici, ed incorporando olio doliva (mezzo litro per due litri di mosto ed 800
grammi di zucchero) e farina quanta ne prende254.
252
Cfr. M. RINALDI M. VICINI, A tavola con i santi: storia, ricette, curiosit, Milano, 1995, p.
74.
253
S. PAPA (op. cit. p. 23) riporta la ricetta dei mostaccioli raccolta nel monastero delle clarisse di
Atri (Teramo), preparata secondo la preparazione originaria.
254
Antologia della cucina popolare, Fabriano, 1993, p. 38.
110
Proviamo Insieme
Mustaccioli
Ingredienti
2,2 kg di farina
2 kg di zucchero
1 litro di vino rosso
50 g di chiodi di garofano in polvere
30 g di cannella in polvere
60 scorzette di arancio(500 g di canditi)
500 g di sapa (sugo duva)
Preparazione
I Mustaccioli sono dei dolci che hanno una forma romboidale, un colore
violetto pallido, un sapore di vino e di spezie
Per preparare i Mustaccioli sono necessari 2,2 kg di farina., 2 kg di zucchero, 1
litro di vino rosso, 50 g di chiodi di garofano in polvere
e 30 g di cannella in polvere. Si lavora la farina lo zucchero e le spezie con 374
cl di vino; a met impasto, si aggiunge, gradatamente, il vino rimasto fino ad
ottenere un impasto molto consistente e liscio. Si tira la pasta fino ad ottenere
una sfoglia di circa 1 cm di spessore Si versa sulla sfoglia il ripieno di miele,
sapa, chiodi di garofano e una sessantina di scorzette di arancio o canditi misti.
Si arrotola limpasto e si tagliano dei piccoli rombi, si mettono su teglie e si
inforna a 175 gradi per circa 20 minuti. I Mustaccioli si conservano in luogo
asciutto e si consumano entro 2 mesi.
Segreti
Vi consiglio di acquistare la sapa o mosto cotto gi confezionato. Le troverete in
qualsiasi supermercato.
111
112
257
258
113
Proviamo insieme
Birbanti
Ingredienti:
400 g di farina
200 g di zucchero
100 g mandorle o pinoli
30 g mandorle amare
3 chiare d'uovo
1 pizzico di cannella in polvere
1 scorzetta di limone o di arancia non trattata (solo la parte arancione)
grattugiata
alcune ostie
Preparazione
Pestate le mandorle nel mortaio oppure pestatele con il coltello in modo
grossolano Lavorate assieme farina, zucchero, cannella e scorza d'arancia e le
mandorle Montate a neve gli albumi e incorporateli delicatamente al
composto Disponete delle ostie (si acquistano in farmacia) su una placca da
forno, ponete su ognuna di esse una cucchiaiata del composto . Potete anche
porre il composto direttamente sulla carta-forno, se non riuscite a reperire le
ostie.
Infornate a 180 gradi. Fate cuocere i birbanti fino a quando non saranno ben
dorati
Segreti
Questi birbanti risulteranno migliori se prima avrete tostate le mandorle in forno.
Per non smontare le chiare mescolate sempre dallalto al basso sempre nello
stesso senso. Se non reperite le ostie potete mettere limpasto direttamente sulla
placca da forno , in questo caso aggiungete un po di farina nellimpasto per
ottenere una preparazione pi soda.
Formate dei bastoncini di cm 5 di lunghezza, disponeteli in una teglia da forno e
bagnateli leggermente ( acqua )con un pennellino, spolverizzate con zucchero e
infornate
114
115
si percuoteva nel tempo stesso un vaso di rame per cacciar via dalle case le
ombre degli antenati, i Lemuri e gli Dei dellinferno260.
Riguardo ancora alle ricette marchigiane curiosa ed originale la ricetta della
Fava dei morti in un ricettario manoscritto di casa Feligiotti, famiglia borghese
di Urbania: vi si legge il suggerimento, una volta preparata la pasta con le
mandorle pestate, di formarvi acini di fava, facendovi locchio con
cioccolata261. La tradizione contadina, che aggiungeva allimpasto di mandorle
un bicchierino di rum, per dare ai morselletti di pasta di mandorle la forma di
fava si limitava ad appiattirli con la lama di un coltello262.
260
116
Proviamo insieme
Fava dolce
Ingredienti
200 mandorle dolci
100 g farina
250 g zucchero
due cucchiai di cannella in polvere
limone grattugiato
2 chiare duovo
Preparazione
Per preparare le fave tritare finissime le mandorle precedentemente sbucciate,
aggiungere tutti gli altri ingredienti amalgamandoli bene. Prendere un pezzetto di
pasta, farne una pallina e schiacciarla con le dita a guisa di grossa fava. Disporre
tutti i dolcetti sulla placca del forno ben imburrata ed infarinata, ben distanziati
luno dallaltro. Cuocere a calore moderato per 20 minuti.
117
Per fare le Castagne, con le Amandole. Per una libra di Ammandole, che siano
pelate, e pestate ben fine, ci vuole 8 oncie di Zuccaro, e poi torna a mettere nel
mortale acci si unisca bene col Zuccaro, dopo questa Pasta si unisce con un
tantino di Farina e Cannella, poi si pone nella Teglia con la farina acci non si
attacchi. E si mette al Forno, che non sia tanto gagliardo, e si fa cuocere a poco
a poco.
Per tre oncie di Ammandole ci vuole due oncie di Zuccaro, e in ogni libra ci
vuole un ottava di Cannella.
Stando a questa ricetta, si legge come oltre alle fave, con la preziosa e malleabile
pasta di mandorle, si plasmassero anche dei pasticcini con la forma delle
castagne.
Lassociazione non affatto casuale: le castagne sono un frutto caratteristico del
periodo della commemorazione del defunti. Come le fave sono un vegetale
ugualmente povero, ma anche ugualmente prezioso per la dietetica e leconomia
alimentare contadina di una volta. Il loro carattere stagionale era perfetto per la
ricorrenza del due di novembre, e pertanto si caratterizzano come un cibo tipico
per questa festivit. Nellalto Maceratese ad esempio sono tradizionali le
castagne dei Morti, dove i frutti vengono arrostiti o bolliti, poi sbucciati e
cosparsi con zucchero e liquore (grappa, rum, o mistr), infine fiammeggiati e
serviti caldi263.
263
118
Bocca di dama
Per fare la bocca dAdama per 25 persone, P. Confessore, e altri soliti ci vuole
9 libre e 5 oncie di Amnadole, Ova 150, e ogni libra un limone raspato, 60
chiare per i Biscottini, e 10 ova interi q libra di Zuccaro, e mezza foglietta
dolio.
Unaltra ricetta a riguardo prescrive:
Per fare una Bocca dAdama di una libra ci vuole una libra damandole, e una
di Zuccaro, 4 Ova sani, e 10 rossi, 4 oncie di Farina, e Limone raspato.
Questi appunti delle clarisse del monastero di Santa Maria Maddalena si limitano
a indicare le dosi degli ingredienti, dando evidentemente per scontata la
preparazione. Innanzitutto si pu notare la curiosa deformazione del nome, dal
lezioso Bocca di dama al pi austero ed al contempo ingenuo Bocca
dAdama. Questa denominazione, con il suo carattere vezzoso che allude alla
golosit della pietanza, risale gi al ricettario cinquecentesco di Bartolomeo
Scappi, dove presente una ricetta intitolata Pizza da bocca di dama. Nel
tempo questo nome entrato nei termini della pasticceria, indicando dei
biscottini dolci. Stando alle fonti marchigiane ne Il cuoco perfetto marchigiano
del 1891 vi presente una ricetta con mandorle, limone e cannella,
presumibilmente simile alla preparazione delle suore di Serra de Conti, ed
unaltra variante di Bocca di dama formata con albumi, confezionata senza i
tuorli, e poi ornata con glassa bianca e scura di cioccolata 264. Ed una ricetta di
Bocca di dama nera in effetti caratteristica di un altro monastero di Clarisse,
ad Atri, dove si aggiunge allimpasto di mandorle, uova, farina, e zucchero,
anche 200 grammi di cioccolata grattugiata265.
Pellegrino Artusi, propone ugualmente due versioni della Bocca di dama,
molto simili tra di loro, dove suggerisce come unico aroma la buccia di limone,
esattamente come nella ricetta del manoscritto di Serra de Conti: il gourmand
romagnolo ma toscano dadozione suggerisce di impiegare sempre la farina (io
la credo necessaria per darle pi consistenza), e d alla ricetta il carattere di una
torta, anzich di pasticcini266.
264
119
Proviamo insieme
Bocca dAdama
Ingredienti:
250 gr di zucchero
180 gr di farina
50 gr di mandorle dolci e amare sbucciate e sfilettate
6 uova
Scorza di limone grattugiata
Preparazione
Dopo averle liberate dall'eventuale pellicina (se per farlo le avete tuffate in acqua
bollente, asciugatele bene), pestate con cura le mandorle insieme con un
cucchiaio di zucchero, poi unitele alla farina. In una terrina lavorate a lungo il
resto dello zucchero con i 6 tuorli e la buccia grattugiata del limone in modo che
si sciolga bene, unite poi la farina con le mandorle e continuate a lavorare
l'impasto con energia per circa 20-30 minuti. Montate a neve molto soda gli
albumi e poi, poco alla volta, uniteli all'impasto, mescolando con delicatezza dal
basso verso l'alto in modo da non smontare il composto, poi versate l'impasto su
di un tagliere e formate delle palline grosse come una noce .Posatele in una
teglia ricoperta con carta forno e cuocete per 25 minuti a 200gradi
Segreti
Se desiderate fare qualcosa di speciale potete svuotare queste palline con molta
delicatezza ,riempitele di crema pasticcera e crema al cioccolato alternandole.
Unite le due met , preparate in una tazza capiente 2/3 di alkermes e1/3 di
sassolino, inzuppatele per bene e adagiatele su di una carta assorbente.
Passatele nello zucchero e servite con zucchero a velo.
120
Sfogliatelle
Per fare le Sfogliatelle per 30 persone e P. Confessore, e altri Soliti, ci vuole
per la Massa 6 fogliette di vino, 3 fogliette dolio, due libre e mezza di zuccaro.
Per il pieno ci vuole quattro libre di Zuccaro 1 oncia buona di canella 4 libre di
Ammandole, i frutti di mele rose.
Per una foglietta delle dette Sfogliatelle ci vuole per la massa una foglietta di
vino, mezza foglietta dolio, e cinque oncie di Zuccaro. Per il pieno ci vuole
ottoncie di Zuccaro, unottava buona di canella, e otto oncie di ammandole.
Allinizio di agosto andava celebrata unaltra ricorrenza legata alla vita
conventuale; il sette era infatti lanniversario della vita comune e si preparavano
sfogliatelle, questa la ricetta illustrata nel regolamento di dispensa:
farina, strutto, uova intere e tuorli, miele; si formano delle pagnottelle e si
pongono sopra tre sfoglie untandole e inzuccherandole poi si tagliano come i
tagliolini si spianano e dentro ci si mette la ricotta267.
Una delle pi antiche ricette delle sfogliatelle risale al ricettario di Giovanni Del
Turco, musicista alla corte dei Medici nella Firenze tre Cinquecento e Seicento,
nonch raffinato gastronomo ed esperto di pasticceria. Le sue Sfogliatelle
bonissime andavano modellate in forma di un tortello e gli si fa un concavo nel
mezzo dove si mette per ripieno () mandorle peste, pinochi interi et uve
passere e zuchero eu un ovo268, ed erano preparate con le sfoglie unte di grasso
ripiegate su stesse secondo la tecnica che nei secoli avrebbero poi codificato i
pasticceri napoletani269.
La ricetta delle clarisse di Serra de Conti si avvicina nella struttura alle
sfogliatelle seicentesche del Del Turco: la sfoglia anche impastata e profumata
con il vino, nel ripieno vi sono ugualmente le mandorle con le mele al posto
delluvetta.
267
121
Proviamo insieme
Sfogliatelle
Ingredienti
1 confezione di pasta sfoglia gi pronta
200 g di mandorle
latte qb
rosso d'uovo battuto con zucchero di canna e poco latte,
4 mele renette
1 arancia
zucchero di canna
1 pizzico di cannella
Preparazione
Tagliate la sfoglia a rettangoli o quadrati, spennellateli col rosso d'uovo battuto e
poste in una teglia leggermente imburrata, cuocetele al forno.
Pelate le mele e cuocetele a pezzettini con pochissima acqua, zucchero di canna,
succo filtrato d'arancia e la scorza grattata e il pizzico di cannella.
A secco frullate le mandorle poi aggiungete il latte un poco alla volta fino ad
ottenere una crema liscia ed omogenea. Fate frullare tutto per un po' di tempo.
Quando tutto pronto, nel piatto di portata disponete un pezzo di sfoglia, poi le
mele, un altro quadrato di sfoglia e la crema di mandorle.
Potete guarnire, al momento di servire, con un velo di cacao o piccoli frutti.
Segreti
Al posto della crema di mandorle potete mettere una crema pasticcera o la crema
alla Mosaica.
122
A. NEBBIA, Il Cuoco Maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, pp. 155-157
123
271
Ibidem
C. BENPORAT, Storia della gastronomia italiana, Milano, p. 276: Il cuoco maceratese di
Antonio Nebbia, edito nel 1779, merita unattenzione particolare poich rappresenta il punto di
incontro e di congiunzione tra la vecchia cucina italiana della prima met del secolo condizionata
dai trattati francesi e le nuove aspirazioni italiane tendenti ad una autonomia libera da
condizionamenti stranieri alla ricerca di una pi marcata caratterizzazione nazionale.
272
124
Proviamo insieme
Crema alla Mosaica
Ingredienti
500 g di latte
50 g di maizena
200 g di zucchero
50g di canditi
30 g di mandorle
30 g di pinoli
Preparazione per 4 persone
Preparate la crema come siete soliti fare: bollite il latte, a parte sbattete le uova
con lo zucchero, versatevi il latte caldo e la maizena. Mettete sul fuoco e fate
cuocere un paio di minuti mescolando di continuo con un cucchiaio di legno. Nel
frattempo avete posto in forno le mandorle in una teglia e i pinoli in unaltra a
200gradifino a che avranno preso un bel color bruno. Tritatale insieme con i
canditi e unitele delicatamente alla crema.
Con questo composto potete farcire dei canellini, oppure una base di pasta frolla
tirata sottile e cotta precedentemente.
125
Crema monda
Colla fogliata 1, torli di ova cinque sar battuti, rosolio un quarto di fogliata,
zucchero a discrezione, si prende sei ottave di colla di Pesce e si scioglie con un
poco di acqua bollente, poi unite tutto insieme si mescola un poco, e si passa in
una cazzaruola a foco lento, e quando ponendovi un dito appena si potr
sopportare il calore si versa in uno stampo facendola passare per setaccio, si
avverte che lo stampo si deve ungere con olio buono, e si deve fare il giorno
prima affinch sia ben fredda quando si cava, se non vi fosse alcuno stampo
direi che si potesse cavare in principio in qualche piatto cupo, e lasciarla
freddare.
Si tratta di un budino con latte ed uova, aromatizzato con rosolio, da versare e
poi sformare in uno stampo. La consistenza resa pi soda dallaggiunta
provvidenziale di colla di pesce in fogli.
Un altro budino di latte simile, caratteristico della tradizione marchigiana 273, il
tremarello, che ricorda un po il lattarolo, altra leccornia dolce di questa regione
(si veda pi avanti).
Il nome sicuramente dato dal suo aspetto tremolante, malfermo sia che lo si
sformi sia che lo si servi nello stampo, dovuto certamente in questo caso
allassenza della colla di pesce, non presente nelle versioni tradizionali della
ricetta. Questo dolce presente nelle carte manoscritte di cucina delle clarisse
della Santissima Annunziata di Jesi, dove era preparata con un bicchiere di latte
scarso ed un cucchiaio di zucchero per ogni uovo, con laggiunta di buccia di
limone e rum a piacere274.
273
L. BRUNI, op. cit., p. 339: Dolce conventuale della zona di Jesi, della fine del 1800, veniva
preparato per ogni occasione di festa, ma il pi delle volte per il matrimonio della figlia del
contadina che aveva rapporti con il convento.
274
S. PAPA (op. cit.., p. 143)
126
O. REDON F. SABBAN S. SERVENTI, A tavola nel Medioevo, Roma Bari, 1995, p. 253 257.
276
P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,
2001, p. 604.
277
Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 112.
278
A. NEBBIA, Il Cuoco Maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, p. 161.
127
poi passati in una pastella (preparata con acqua, farina, un pizzico di sale, olio e
vino) e poi fritta279.
279
128
Proviamo insieme
Biacomangiare
Ingredienti per 6 persone
1 l di latte
300 gr. di zucchero
scorza di limone
120 gr. di amido
6 stampini o tazzine
Preparazione
In una casseruola col manico, sciogliete l'amido con poco latte freddo;
aggiungete lo zucchero, poi, sempre mescolando, a poco per volta, il resto del
latte
e,
infine,
due
fettine
di
buccia
di
limone.
Mettete la casseruola su fuoco moderato e, rigirando, fate cuocere il
biancomangiare come se faceste una crema. Quando sar addensato, toglietelo
dal fuoco e continuate a rigirare per quattro o cinque minuti. Versatelo quindi
negli stampini bagnati o anche nelle tazzine da t, e quando sar intiepidito,
mettete gli stampini in frigorifero per almeno un paio d'ore. Al momento di
servirle, capovolgete le formette di bianco mangiare su di un piatto e togliete gli
stampini.
129
Zuppa inglese
Per fare una Zuppa Inglese per 23 persone, ci vuole un boccale di latte, e 40
savogliardi, 2 fogliette di Rosolio di Cedro, e mezza foglietta di Rume, nel caso
poi si volesse fare due tondini di crema, allora si unisce un'altra foglietta di
latte
Zuppa Inglese
(Fascicolo I, carta 4)
Per risparmiare il Rosolio si grazia lo spirito di vino con zuccaro e acqua a
guisa di un Rosolio, poi si pone il Rum in quella dose che piace al gusto.
Si fanno dei Savojardi tante fettine tagliandole a lungo a guisa di Crostini indi si
bagnano con d.o spirito gi preparato, e inzuppati che siano si accomoda con un
poco Semetria nel Tondo facendo che abbia il colmo nel mezzo e gradatamente
vada ad abbassarsi, e di quelli Savojardi ve ne vogliono per circa sette persone
almeno una ventina.
Adattati che siano vi si getta sopra la Crema, indi si sbatte due chiare o tre
dOvo, ponendosi una grazia di zuccaro, e parimenti si pone sopra alla Crema e
Savojardi, e poi tal quale si mette in un tagliero col fuoco solamente sopra al
coperchio, e vi si fa stare finch quelle chiare dOvo si abbia preso un leggiero
color di Ovo, ed fatta.
E un dolce di signori, loro una volta mangiavano secondo le mode straniere, in
genere francese, si vede che per il dolce han voluto mangiare inglese. Cos
disse una vecchia cuoca, a Leonardo Bruni, autore di un recente testo sulla
cucina tradizionale marchigiana280.
In realt esiste una curiosa attestazione storica per lorigine di questo dolce e del
suo nome: durante gli anni turbolenti della rivoluzione napoletana, Ferdinando II
soggiornava a Palermo. In occasione delle visite improvvise di Lady Hamilton,
spesso accompagnata dal suo amante lammiraglio Nelson, il sovrano
commission al cuoco di corte di preparare un dolce. La soluzione di ripiego
dellultimora, di servire piatti di pan di Spagna, bagnato con il tipico e
profumato Marsala, e cosparso con ricchi strati di crema dolce, fu molto
apprezzata dai presenti, e questa leccornia fu battezzata con un nome a ricordo
della nazionalit dellillustre ospite.
Vincenzo Agnoletti, nel Manuale del cuoco e del pasticciere di raffinato gusto
moderno di (stampato a Pesaro nel 1834) illustra la Zuppa Inglese come
simile ad un altro dolce, il Marangone alla mantuana, dove i biscotti di
Monache, o delle fette di pane abbruscato, ovvero del pan di Spagna, vanno
inzuppati con rum, o rosolio o altro vino forestiere, e poi sopra andava versata
marenga cruda, o al forno, o crema o ancora candito duova o marmellata, ed
infine si guarnisce con confetture, spume, brillanti ecc..
La zuppa inglese era una preparazione di pasticceria raffinata, dolce borghese ed
aristocratico, quindi connotabile socialmente come alto, imitato per anche dal
basso nella cucina dei giorni di festa e non a caso presente nei pranzi di nozze
contadine. Era una preparazione spesso presente nei quaderni di cucina
manoscritti delle famiglie agiate: ad esempio nella ricetta tardo-ottocentesca
della famiglia Feligiotti di Urbania i savoiardi vengono ugualmente bagnati con
rosolio e rhum come in questo appunto manoscritto di cucina delle clarisse di
Serra de Conti. Gli stessi liquori sono adoperati anche nella versione presente ne
280
130
281
131
Torte dolci
Torta di frutti
(Ricetta sette-ottocentesca)
Siroppate i frutti cio mele, persiche etc. che tutti lanno siroppate in questa
maniera: pulite bene le vostre frutta dalla scorza, dalli suoi granelli con le sue
cassette, metteteli in una cazzarola con vino, zuccaro, acqua secondo la quantit
di essi frutti; ci vuole un terzo di vino, e due di acqua, e un terzo di zucchero;
fateli cuocere al fornello in una cazzarola, e fateli asciuttare che non ci sia pi
brodo, e state attenti che non si attacchino al fondo della cazzarola; fateli
raffreddare in un piatto di terra, dopo tritatevi due oncie di candito, e raspatura
di limone; maneggiatela bene, mettetela nella pasta, e mandatela al forno.
Questa ricetta manoscritta presente nel quaderno di cucina del monastero di
Serra de Conti la trascrizione integra letterale della omonima Torta di frutti
presente nel decimo capitolo del ricettario di Antonio Nebbia Il cuoco
maceratese (la prima nel 1779 stampata a Bassano del Grappa, lultima a
Macerata nel 1786284).
284
132
Proviamo insieme
Torta di frutti
Ingredienti
4 mele
4 pere
4 pesche
1 grappolo duva
vino
60g di canditi
1 limone
Preparazione
Sciroppate la frutta di stagione, quella che desiderate, in questo modo: dopo aver
pelato e pulito la frutta pesatela, in base al peso mettete 1/3
di vino e 2/3 di acqua e 1/3 di zucchero. Versate il tutto in un tegame fate cuocere
piano fino ad ottenere un composto denso e asciutto. . Mescolate di continuo
perch il tutto non si attacchi al fondo. Togliete la frutta dal tegame e fatela
raffreddare in un piatto. Tritate i canditi e grattugiate un limone . Preparate una
pasta frolla tirata sottile e foderate una tortiera , dentro ci verserete gli ingredienti
preparati. Cuocete in forno a 200 gradi per20 minuti.
133
Pasta frolla
Prendete una libbra di farina, metteteci quattroncie di strutto buono oppur
butiro, un pizzico di sale, quattroncie e mezza di zuccaro, acqua un guscio
duovo, e un quarto di bicchiere di vino bianco; impastate bene ogni cosa; e ne
farete di questa pasta pasticci, pasticcetti e pastarelle; non la maneggiate tanto e
specialmente nellestate perch soggietta ad abbruciarsi e cascare a pezzi,
onde nellestate invece di metterci il vino vi metterete mezzo bicchiere dacqua
fresca.
Anche questa ricetta - base per la confezione della pasta frolla una trascrizione
fedele della medesima prescrizione contenuta nel ricettario del Nebbia, anche se
non si pu dire che ci sia stata una copiatura integrale 286: infatti la suora che ha
ripreso il testo dal manuale del cuoco maceratese ha tralasciato un passaggio
allinizio, ritenuto evidentemente pleonastico: infatti dopo aver specificato la
quantit di farina nel mezzo, si raccomandava: mettetela sopra la spianatora,
fategli in bugo in mezzo287. Questunico suggerimento mancante rispetto al
modello originario era evidentemente troppo scontato per la perizia ed esperienza
nellarte pasticciera delle clarisse di Serra de Conti.
285
O. REDON F. SABBAN S. SERVENTI, A tavola nel Medioevo, Roma Bari, 1995, p. 280 281.
286
A. NEBBIA, Il Cuoco Maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, p. 84
287
Ibidem.
134
Pasta frolla
(Ricetta sette-ottocentesca)
Ogni due libbre di Fiore di Farina, una libbra di Zuccaro, e una di strutto, un
ovo, e mezzo bicchiere di vino buono, e raspatura di Portogallo, o limone.
Pasta frolla con le amandole
Ammandole dolci, ammandole amare, farina, strutto, zuccaro, ovi, chiara e
rosso. Si pestano le ammandole e poi si impasta.
Il Nebbia nel suo Cuoco Maceratese illustra la ricetta della Pasta di
amandorle nel capitolo ottavo dedicato alle paste frolle. Gli ingredienti sono gli
stessi di questa stringatissima ricetta di pasticceria delle clarisse di Serra de
Conti, raccomandando di usare gli albumi per stemperare e legare meglio le
mandorle mentre le si trita; al posto dello strutto si prescrive limpiego del burro.
Lautore afferma che questa pasta pu servire per pasticci, barchiglie, ed altre
che sogliono cuocersi al fornello, spolverizzate con zuccaro.288
Per fare la pasta Matata
(Fascicolo 1, c. 13)
Si prende una libbra di amandole peste e dieci oncie di zucaro e sin pasta (sic)
con chiara dovo (sic) ben Matata e sinforma (sic) papardelle nella teglia in
farinata.
Per fare la pasta di Marzapane
(Fascicolo 1, c. 13)
Si prende una libbra di amandole. Pesta fina e quattroncie di zucaro e sin pasta
(sic) con aqua (sic) e dopo si lavora.
Nota per fare il fichi
(Fascicolo 1, c. 13)
Si prende una libbra di amandole ben pesta, e si unisce una libbra di zucaro
rosso e sinpasta con aqua, e poi si fa la foglia con ovi e zuccaro e si forma
il fi
Per fare il Pesce col pieno di ammandole.
Per la massa ci vuole 100 ova, e si deve levare 30 chiare, Zuccaro per la detta
massa libre 5 e 8 libre di Strutto, 2 Cedri e 2 Limoni. Per il pieno
Ammandole libre 5 e 5 di biscottini, con oncia buona di canella, e le 50
chiare non basta per scioglie(re) il detto pieno, e ci vuole libre 5 di Zuccaro.
Questa quantit pasta per 28 persone, e ci viene anche 12 Pasticcetti per il
Sig. Pievano, 10 per il P. Confessore, 10 per il Sig. Rettore, e 6 per il
Fattore. Il detto pesce si spezza con le Forbici.
Lagnello delle Monache
288
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Per fare lAgnello delle Monache ci vuole otto pagnotte, una foglia dolio, due
libre di zuccaro bianco, e se rosso una libra e mezza 5 pugni danici, due
ottave di canella, e due di garofali.
Per fare un Agnello per il Padre Confessore ci vuole una libra e 5 once di Farina,
1 libra di Ammandole, 1 di Zuccaro, e Aromiti. Per composta di detto Agnello ci
vuole le Chiare, e per chiarificare ci vuole una chiara e mezza.
136
Proviamo insieme
Agnello delle monache
PREPARAZIONE
La pasta di mandorle rappresenta senz'altro il dolce tipico del Natale e della
Pasqua, naturalmente la vedono protagonista con il "pesce" natalizio e "l'agnello"
pasquale. Perch si realizzino questi due capolavori, necessario utilizzare le
"forme" in gesso e solo in gesso.
Poi si unisca la grande maestria di certi artigiani che riescono a preparare della
frutta di pasta di mandorle.
Per preparare il Pesce o l'Agnello si adagi un foglio di pellicola trasparente per
alimenti all'interno dello stampo, (in commercio troverete stampi da forno in
tutte le forme e dimensioni che desiderate)si pressi sopra la pasta di mandorle, al
centro di essa si metta la farcia composta di marmellata di pere( o cotognata,
scaglie di cioccolato fondente, biscotti savoiardi o pezzi di torta savoiarda,
zucchero a velo, cannella in polvere, liquore) Poi si copre con altro impasto di
pasta di mandorle, si comprime anch'esso con le dita, si metta un altro foglio di
pellicola trasparente e si adagi la parte superiore dello stampo.
Il dolce non va cotto in forno.
Se desiderate cuocerlo al forno al posto della pellicola trasparente usate cartaforno, riempite col composto ,come da ricetta precedente, ricoprite con pasta di
mandorle, spolverate con granella di zucchero e cuocete a 180 gradi per 45
minuti. Quando si sar raffreddato togliete il dolce dallo stampo, levate la carta
forno e ponetelo su di un piatto da dolci.
Pasta di mandorle
Ingredienti: Per 4 persone
800 gr di zucchero semolato
3 bicchieri di acqua
800 gr di farina di mandorle
100 gr di farina di maiorca
1/2 bustina di vaniglia
Preparazione:
Sciogliete a fuoco molto basso lo zucchero con i tre bicchieri di acqua. Attendete
che cominci a filare: ve ne accorgerete quando qualche goccia di zucchero
sciolto, fatta scolare da un mestolo di legno, si allungher a filo. Quindi togliete
il tegame dal fuoco. Aggiungete la farina di mandorle, la farina di maiorca, la
vaniglia e mescolate fino a quando la pasta si staccher tutta insieme dal tegame.
Versate l'impasto su un tavolo di marmo bagnato. Appena si sar raffreddato,
lavoratelo a lungo con le mani. Quando sar compatto e liscio, sistematelo negli
stampi dalla forma voluta. Decorate infine, a vostro piacimento. Dunque siete
pronti per langello delle monache o il pesce
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Serpente
(Fascicolo 1, c. 13)
Parte 1 di zuccaro passato da setaccio, di qualit bianca da caff, parte 1 di
amandorle dolci e cannella. Amandorle amare circa un oncia per libra
dAmmandorle. Si cuociono le Ammandorle e nel toglier dopo la corteccia si
procuri che siano asciutte e tenendole niente nellAcqua. Si spettano che siano
ridotte ben fine mettendovi nel mortaio un tantino di zuccaro acci che vi entri
lolio. Poi in una catina ben asciutta vi si pongono Chiare dOvo e si sbattono o
frullano per una mezzora dopo si aggiunge tutto il Zuccaro e similmente si
sbatte insieme per altra circa mezzora, si aggiunge la cannella sbattendola
parimenti un altro quarto dora, finalmente si mettono le Ammandorle
procurando di ben unirle insieme. Fatto tutto questo preparato il testo con olio e
farina si stende la Massa procurando dimitare la figura del serpe facendole la
lingua fuori, una corona in testa, la collana e cos accomodata si manda al
forno che deve essere alla sfornatura, che sia per ben caldo. Poi le si da il
chiarifico come piacere.
Fin dai tempi pi antichi alla pasticceria si aggiunge una precisa e consapevole
sapienza estetica. I dolci sono cibo voluttuario, preparato in occasioni di festa e
pertanto assumono spesso una valenza rituale, da connotarsi anche in un
cerimoniale di ostentazione, di queste leccornie offerte per celebrare un evento,
un personaggio, unentit divina o spirituale che spesso si vuole ingraziare.
I dolci presentano spesso anche una certa cura nellessere presentati, con
unattenzione ad effetti ornamentali gradevoli, ottenuti con decori di colori
sorprendenti e sgargianti e forme particolari, che spesso alludono al carattere
stesso della preparazione zuccherina ed alla festa che si va cos celebrando. Nella
pasticceria convivono cos spesso larte culinaria e larte plastica, la sapienza
gastronomica e la maestria nel modellare la pasta edulcorata in forme e
sembianze particolari. La cucina delle feste religiose, sempre contrassegnata da
una tipica pietanza dolce, si arricchisce cos di torte o pasticcini che al loro stesso
apparire ricordano gli emblemi spirituali ed i simboli salvifici da celebrare di
volta in volta. Molti sono quindi i dolci in pasta di mandorle che, grazie alla
docile plasmabilit del marzapane, assumono le parvenze di immagini
universalmente conosciute dellimmaginario cristiano e della sua millenaria
iconografia.
La forma ad agnello, animale conosciuto a tutti come simbolo assoluto di Cristo,
ricorreva in una torta di mandorle preparata per Natale e per Pasqua, specialit in
cui era celebre nelle Marche il monastero delle clarisse di Filottrano (Ancona)289.
Uguale rimando a Cristo aveva la forma di pesce, animale che fin dalla pi antica
Cristianit rimandava nel sostantivo in lingua greca allacronimo di Ges Cristo
Salvatore Figlio di Dio. In alcune zone dItalia dolci a forma di pesci si
regalano ai bambini in occasione di SantAndrea, apostolo il cui attributo
iconografico erano appunto i pesci, in memoria del suo mestiere di pescatore.
Pi oscura la simbologia del dolce a forma di serpente, ricorrente nei monasteri
umbri oltre che marchigiani, generalmente preparato per Natale. Oltre un
allusione al male del Peccato Originale sconfitto con la nascita del Salvatore, pu
anche avere un lontano riferimento alle figurazioni araldiche, come ricorda in
questa ricetta di Serra de Conti la sembianza, disegnata nella pasta di mandorle,
della corona in testa e della collana portate dallanimale. Va poi ricordato che
289
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290
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Proviamo Insieme
SERPENTE
Ingredienti
250 g mandorle sgusciate
250 g zucchero,
5 albumi
2 tuorli duovo,
essenza di limone,
vaniglia
cannella.
Preparazione
Si scottano le mandorle in acqua bollente e si pelano, potete usare anche quelle
gi pelate.
Tostarle in forno fino a doratura e schiacciarle nel mortaio o macinarle. Si
aggiungono tutti gli altri ingredienti lavorando il composto fino a completa
amalgama. Infarinare una teglia e ricoprire il fondo con le ostie sistemate a
semicerchio sul quale adagiare la pasta di mandorle. Si cuoce in forno a
temperatura moderata .Quando cotto si toglie dal forno e si ricopre con la
glassa ed eventuali confetti colorati, o altre decorazioni che daranno al dolce le
sembianze di un serpente.
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Crostata
Per fare la crostata di mele per 24 persone, e Padre Confessore ci vuole,
Mele libre 15, Vino Fogliette 2, Acqua fogliette 2, Zucchero Lib 1 oncie 9
Esiste anche la variante di questa ricetta:
Per fare una Crostata, nella teglia del Fattore, ci vuole per la Massa mezza
foglietta di vino, e una quarta di olio. Per il pieno oncie 4 ammandole, e Zuccaro,
limone raspato ho vero (sic) canella.
Il ricettario tardo-cinquecentesco di Bartolomeo Scappi contiene anche un
repertorio iconografico di molte raffigurazioni a stampa con lideale corredo
degli utensili e degli strumenti da lavoro di una cucina ideale: tra tutte le
stoviglie ed i recipienti da fuoco illustrati si vede una teglia con dentro
raffigurata una torta, con la classica copertura di griglia di pasta, caratteristica
delle crostate. Questa preparazione di pasticceria ha un origine medioevale.
Olindo Guerrini, studioso che tra Ottocento e Novecento si spesso dedicato alla
riscoperta filologica di antichi documenti e testi sulla cucina, ascrive la crostata
al repertorio dei piatti di reimpiego degli avanzi: Da noi in Romagna questa
torta di marmellate, frutta avanzate di cui si utilizza la polpa ecc. le chiamiamo
crostate. Hanno un fondo non molto rilevato e grosso e sono coperte non da un
disco , ma da un graticolato di pasta che sindora colluovo291
Pellegrino Artusi nel riportare la ricetta delle Crostate raccomanda: Alla pasta
frolla che deve servire a questuso sar bene dare un qualche odore come quello
si scorza di limone o dacqua di fior darancio292; poi si sofferma sulla stessa
canonica decorazione a losanghe, e suggerisce di usare per intagliare le strisce da
incrociare il matterello rigato, lo stesso che si impiegava per ricavare tagliolini
e maccheroni, raccomandato fin dallo Scappi, e presente anche nellantico
corredo di cucina delle clarisse.
Stringata e poco significativa la ricetta della Crostata presente invece ne Il
Cuoco Perfetto Marchigiano, dove lanonimo compilatore non si sofferma su
aspetti decorativi, se non nel raccomandare la spolverata finale di zucchero293.
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Lattarolo
Per fare un lattarolo ci vogliono ovi quattro, zucchero cucchiaii quattro,
grattatura limone, due bicchieri di latte, un bicchierino di rum.
Spiegazione
Anzi tutto si sbattono bene le uova insieme col zucchero e poi si aggiunge il
latte, limone e rum e preparata la teglia unta si mette a cuocere.
In unaltra carta del ricettario si legge invece questa versione differente:
Per fare il lattarolo per 31 persone, Padre Confessore, e Fattore, ci vuole 84
Ova, 4 libre di Zuccaro 5 boccali di Latte e una grazia di Vino
Si tratta di un classico dolce contadino: durante la tarda primavera, quando le
greggi avevano gi iniziato a pascolare le nuove erbe stagionali appena
germogliate, il nuovo latte munto prima di diventare formaggio veniva
ritualmente offerto ai proprietari terrieri. Secondo rituali i coloni erano soliti
portare questo dolce di latte in dono ai padroni, in occasioni delle festivit
religiose di maggio, lAscensione, la Pentecoste, o il Corpus Domini, ma anche
in occasione delle feste di nozze294.
Il Lattarolo, chiamato anche Latteruolo (ma anche lattaciulo o lattacilu,
come nella zona di Sarnano, dove si prepara per Natale o San Biagio), ha origini
antichissime.
La versione originaria prevedeva che lo stampo, dove si metteva a cuocere il latte
cotto con uova, zucchero ed aromi, fosse anche rivestito di una sfoglia di
semplice pasta senza uova, con solo farina ed acqua (chiamata nelle Marche
centrali pasta matta). Questa preparazione si riscontra anche nei ricettari
medioevali, con il nome di Diriola, o in quello cinquecentesco del Messisbugo
(Libro novo, 1549), dove si illustra la ricetta della Torta di Cavvi di latte. Ma
nell Opera dello Scappi (1570) che si legge il carattere popolare di questa
preparazione: Per fare torta di latte con diverse composizioni, la quale dal vulgo
dimandata coppi romagnoli. Pi tardi nel Seicento anche Vincenzo Tanara, nel
suo trattato di agronomia ed economia domestica, parler di questo dolce come
caratteristico dei contadini marchigiani. Ed anche tra le fonti documentarie
marchigiane si riscontra la presenza di questo dolce di latte. Nel ricettario
manoscritto di una famiglia nobile maceratese nel tardo Seicento si legge di una
Torta di latte come quella che fanno i contadini, che chiamano lattaccioli, fatta
con latte, uova, canditi, burro295. Tra Settecento ed Ottocento si ritrova ancora il
lattarolo, tra i dolci natalizi confezionati dai contadini dellalto pesarese,
stando alla relazione Costumanze generali de contadini del circondario di
Urbania e delle cure rurali e suburbane.
Il carattere di dono mezzadrile di questo dolce infatti attestato nella vicina
Romagna persino da Pellegrino Artusi, che nel suo testo presenta il Latteruolo,
come molto delicato, che in qualche luogo di Romagna, e forse anche altrove in
294
295
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Italia, i contadini portano in regalo al padrone per la festa del Corpus Domini296.
Nello stesso anno di pubblicazione dellopera di Artusi, il 1891, nel ricettario
anonimo Il cuoco perfetto marchigiano si legge del Lattarolo a bagno maria,
con identico procedimento allattuale e comune crme caramel. Infatti il
composto di latte con uova sbattute e zucchero ed il consueto profumo di limone,
andava versato in una casseruola dove prima veniva messo a colorire un poco di
zuccaro () avvertendo che resti tutta ben spalmata anche allinterno con detto
zuccaro297. Durante lOttocento il lattarolo ricorreva come dolce delle feste
nellAlta Valle del Metauro, stando alla relazione Costumanze generali de
contadini del circondario di Urbania e delle cure rurali e suburbane 298. E infine
ancora dopo, negli anni 20 del Novecento, si incontra il lattarolo come
obbligo al locatore per la Pasqua, o anche appunto per la festivit del Corpus
Domini in un contratto mezzadrile a Cagli: si trattava in parole odierne di una
specie di latte brul o crme caramelle299, e veniva elegantemente portato sopra
uno strato di foglie dalloro, espediente ornamentale per i piatti da portata che
spesso si ritrova nelle imbandigioni eleganti delle mense nobiliari300.
296
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Proviamo Insieme
Lattarolo
Versione 1
Ingredienti
1 lt. di latte
100 g. di zucchero al velo
6 uova
1 limone grattugiato
1 spruzzo di alchermes (liquore rosso per dolci)
Preparazione
Fai bollire il latte con lo zucchero e la scorza di limone grattugiata. Lascia
raffreddare quindi unisci le uova e forma un impasto liquido. Versa qualche
goccio di alchermes (rom o sassolino, il nostro ricettario aggiunge anche
semplicemente vino, consiglio un vino da dessert) e mescola delicatamente.
Versa il tutto in uno stampo inumidito (oppure in tanti stampini piccoli), quindi
mettilo a cuocere a bagnomaria (dentro uno stampo pi largo contenente acqua)
in forno tiepido a 50 gradi, coperto per circa un'ora. Quando sar cotto e
raffreddato, capovolgilo e servilo.
Versione 2
Portare a bollore un litro di latte intero, mescolandovi il pangrattato(50 gr), lo
zucchero, profumate con succo di limone. Ungere una teglia con lo strutto,
versarvi il composto e mettere in forno caldo a 180 gradi per circa 20 minuti. Il
latteruolo sar pronto quando si sar rassodato e dorato. Servirlo tiepido, tagliato
a fette.
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SPUMETTE
Ricetta ancora in uso nel monastero
145
Adele Mariotti
IL MUSEO
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UN MUSEO NARRANTE
Ti diamo il benvenuto, ospite. Eri trepidamente atteso; sei turista o pellegrino?
Ateo o credente? A chi importa saperlo, per noi non fa alcuna differenza
Con queste parole il visitatore accolto nel Museo delle Arti Monastiche di Serra
De Conti per assistere e partecipare ad una pice teatrale che lo aiuter a entrare
nella storia e nelle storie del Monastero di Santa Maria Maddalena.
Per far comprendere una realt tanto complessa, quale pu essere la vita in una
clausura monasatica di Clarisse francescane, si voluto offrire al visitatore una
chiave emotiva di lettura, si cercato di farlo entrare nel monastero, nella sua
storia contrasseganta da intensi rapporti con il paese e con il territorio
circostante, e nelle sue giornate, chiuse in precise tabelle orarie; si cercato di
aiutarlo a comprendere il ruolo e limportanza degli oggetti nella vita di una
comunit monastica di clausura e si fatto ci portando il teatro in museo.
Il personale del Museo suggerisce al visitatore luso di un wolkman digitale
attraverso il quale voci di attrici lo coinvolgono nella rappresentazione di una
pice teatrale. La stessa si sviluppa in nove stazioni e con lausilio di alcuni
oggetti autentici da toccare (una cassa dotale, una tagliaostie, una
cioccolatiera) vengono riproposti i luoghi e i lavori propri del monastero.
Il racconto si snoda dal 1594 sino ai nostri giorni secondo un percorso ciclico che
ripropone: il ciclo della giornata claustrale, il ciclo stagionale dellanno, il ciclo
della vita umana, cos come dichiarano le attrici al visitatore le nostre voci ti
condurranno attraverso i secoli, gli anni, le stagioni, i giorni, le ore del
monastero.
La storia inizia in una fredda giornata del dicembre 1594, davanti alla grata, alle
sei del mattino, insieme ad una giovanissima novizia e si conclude nel dicembre
del 1945, alle otto di sera, assistendo unanziana suora morente, mentre alla grata
bussa la giovane Angela Teresa che, divenuta poi Madre badessa, perseguir, con
tenacia e convinzione, il progetto del museo.
Le attrici allinizio del percorso teatrale dichiarano esplicitamente la loro
presenza e il loro ruolo: Siamo voci di attrici in prestito alle monache, loro
non possono essere qui, vivono oltre il muro, quello che si trova difronte
allentrata del museo, chiuse fuori dal mondo da pi di quattrocento anni, per
loro il tempo sospeso ed esortano il visitatore ad immedesimarsi nei
protagonisti della pice (cappellano, agrimensore e persino cappone): tu
unico spettatore sarai onnipresente, uomo, animale, vegetale o materia inerte, ti
troverai sempre nella posizione migliore per ascoltare o per vedere, vivrai nel
nostro monastero e alla fine lo invitano a visitare le stanze del museo.
In questo loro dichiararsi attori, i teatranti hanno rinunciato ai pi comodi
artifici della finzione e si sono esposti, come si fa in un museo, ponendo le loro
voci e i suoni dellemozionante colonna sonora, catturati nel monasatero, sullo
stesso piano degli oggetti in vetrina.
Il particolare e suggestivo allestimento del percorso teatrale in nove stazioni e il
testo della pice sono i mezzi con cui si affrontata la sfida di conciliare due
condizioni apparentemente inconciliabili: quella del Visitatore che vede,
esamina, a volte persino tocca gli oggetti reali ed autentici esposti in museo, con
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Dolores Boretti
I monasteri
Sacro Eremo di Camaldoli
Camaldoli (AR) 0575/555021
Circondato da una foresta, abitato dai benedettini camaldolesi, ospita chi interessato a
ricerche spirituali sui punti d'incontro tra religione cristiana, induismo e buddismo.
www.camaldoli.com
Abbazia di S.Michele
Ambrogio di Torino 011/939130
Si erge in un luogo inaccessibile, dall'anno mille tappa di pellegrini, dieci camere per i
ritiri rispettando le regole dei padri rosminiani. Spesso ospita concerti di musica classica.
Abbazia di Montecassino
Cassino (FR) 0776/26529
I monaci benedettini organizzano corsi di organo e di canto gregoriano.
www.officine.it/montecassino/
Abbazia di Casamari
Veroli (FR) 0775/332371
I monaci cistercensi hanno un laboratorio per il cioccolato e una famosa distilleria.
Monastero di Santa Croce di Fonte Avellana
Fonte Avellana (PS)
Settimane di studio biblico, canto gregoriano. Ricco calendario di ospiti.
Email monastero@fonteavellana.it
Monastero Mater Ecclesiae
Isola di S. Giulio (NO) 0322/90324
Si arriva solo in barca da queste monache benedettine che ricamano e lavorano la terra.
Piccola foresteria. Luogo davvero incantevole.
Monastero di S. Francesco
Stroncone (TR) 0744/60111
I frati ospitano volentieri gruppi in pellegrinaggio-trekking da Assisi verso Greccio e la
Valle Reatina
Abbazia di S. Martino delle Scale
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BIBLIOGRAFIA
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nella
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dellultimo
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DOCUMENTI DARCHIVIO
ASMM, Registro cartaceo, carte n.n.,s.d., busta 7 Ricettari.
ASMM, Piano desecuzione delle grosse riparazioni da eseguirsi nel Monastero
di Santa Maria Maddalena in Serra De Conti 1823, 9.11, 1823, fasc. 4.
ASMM, Facolt accordate alle Monache di questo Monastero di
poter usare dei cibi di grasso, durante il tempo del prossimo Sagro
Avvento, 11.29, 1828, fasc. 12.
ASMM, Spese per la venuta del Vescovo di Senigallia nel rivestire
del Santo Abito le Religiose del monastero, 12.13, 1829, fasc. 13.
ASMM, Normali di spese occorrenti per la Monacazione duna
religiosa corista, e conversa di questo monastero,, 20.35, 1842, fasc.
35.
bibliografia
Ristretto delle Regole e Costituzioni della Serafica Madre Santa Chiara,
Senigallia, 1857.
161
GLOSSARIO
Acqua rosa: acqua di rose (chiamata anche acqua rosata), distillato oleoso con
petali di rosa
Amandole (o amandorle): mandorle
Anisi (o anaci): anici
Armario: armadio del pane, madia
Arnioni: rognoni
Asciuttare: asciugare
Astrutto: asciugare
Bignoli: pinoli (vedi anche pignoli)
Branci, (o ole, -oline): rametti o mazzetti di foglioline di piante aromatiche
Buccale: boccale, oltre che recipiente anche antica unit di misura per liquidi, di
circa un litro
Butiro: burro
Caoli: cavoli
Caldaretto ; vezzeggiativo o diminutivo di caldaro, pentola capace di rame per
bollire
Capeccio: o capecchio, filo grezzo di canapa
Diaccia: ghiaccia, di acqua molto fredda, gelata
Cazarola: casseruola, pentola pi fonda del tegame, con manico lungo
Cenigia: cenere
Chiarifico: glassatura
Chicchera: tazza da cioccolata
Cialdone: anticamente cialda avvolta a forma di cartoccio
Colletta: salsa tipi besciamella
Coratella: polmone, o pi genericamente frattaglie
Cratella: graticola
Crescia: Sorta di focaccia, o torta rustica tipica delle Marche e dellUmbria
Farza: ripieno, farcitura
Fiocca: albume sbattuto a neve (a fiocca)
Fior di farina: la farina di qualit migliore, pi fine, setacciata al meglio dalla
crusca
Fior di finocchio: semi di finocchio, molto aromatici
Fiore di zuccaro: lo zucchero di qualit migliore, in alcuni ricettari antichi detto
anche fioretto
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