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LA CUCINA DEI CONVENTI

E
DEI MONASTERI
Ricette golose tra sacro e profano
Il monastero di Santa Maria Maddalena
Serra De Conti

A cura di Dolores Boretti

RINGRAZIAMENTI
Un ringraziamento sincero e sentito va alla comunit di suore clarisse che oggi abitano il
Monastero.. E grazie a loro che si lavorato vivendo una speciale esperienza di vita
ed insieme a loro si portato avanti il progetto di ricostruzione di una storia centenaria;
senza timori si ricostruita una quotidianit a volte difficile e complessa, fatta anche di
piccoli gesti, di cui il museo e questa pubblicazione sono testimonianza.
La suora clessidra, logo del museo, opera dellartista Ezio Bartocci, il simbolo di
quel tempo sospeso che tempo dello spirito francescano, motore e forza della
comunit, dallinizio della sua storia sino ad oggi.

Amelia Mariotti Puerini

Gli autori ringraziano gli archivi fotografici che hanno fornito i materiali:
Serra de Conti Biblioteca comunale
Serra De Conti Giuseppe Chiucchi
Reggio Emilia Giulia Lavecchia

INTRODUZIONE
Il nostro viaggio goloso incomincia qui a Serra de Conti in provincia di Ancona,
qualcuno sussurra che lo chiamino anche il paese delle monache. E un piccolo centro
che conserva ancora in parte mura e porte medioevali, la chiesa gotica di San Michele
risalente al 1200 e la chiesa barocca della Maddalena con annesso convento delle suore
francescane clarisse. Proprio qui accanto a questo convento, che ospita le monache,
stato aperto il museo Le stanze del tempo sospeso, curato dalla storica dellarte Amelia
Mariotti. Il museo racconta la vita quotidiana delle suore che si sono succedute nei
quattrocento anni di vita del convento.
Un mondo intensamente spirituale che nel silenzio , nella preghiera, nel lavoro si lega
alle radici profonde della comunit cittadina. Un microcosmo femminile dove la gioia e
lamore di Dio si fa musica e canto e si esprime nelle paziente creazione di merletti a
tombolo, di cordoni, di statuette di cera di carattere sacro e nei fiori di seta come le
raffinate coroncine per le novizie, tutte arti in cui le clarisse di S. Maria Maddalena
eccellevano.
Il monastero di Serra de Conti ha tradizione colta ed aristocratica: nel seicento ospitava
le figlie delle pi ricche famiglie di Serra e dintorni che si monacavano, ma non erano
accolte solo ricche e colte fanciulle aristocratiche, una storia del convento e del paese
narra di suor Maria Giuseppina, detta la Moretta per il color ebano della pelle e per la
sua origine africana. Nata nel 1845-46 in un villaggio del Sudan, ancora bambina, fu
rapita da negrieri arabi e venduta come schiava. Don Niccol Olivieri, fondatore della
Pia Opera del Riscatto delle Fanciulle More, la salv e la condusse in Italia il 2 Aprile
del 1856.
Qui fu affidata alle amorose cure delle suore clarisse di Belvedere Ostrense.
Il 24 Settembre dello stesso anno ricevette i sacramenti dell'iniziazione cristiana e nel
Battesimo assunse il nome di Maria Giuseppina e il cognome Benvenuti della madrina.
La consacrazione battesimale determin la scelta della vita religiosa. Nel 1874 fece la
vestizione religiosa e nel 1876, con la Professione, si consacr al Signore nell'Ordine di
Santa Chiara. Nel 1864, in seguito alla soppressione del Monastero di Belvedere, si
trasfer con altre consorelle nel Monastero di Serra de' Conti. Qui divenne Vicaria,
Maestra delle novizie e poi Abbadessa. Suor Maria Giuseppina suonava lorgano come
un angelo e la gente del paese restava sotto le mura del torrione ad ascoltare la musica
che vibrava nellaria e penetrava nei cuori infondendo pace La sera del 24 aprile del
1926 lasci questa terra ma promise alle suore che avrebbe dato loro un segno non
appena fosse giunta in Paradiso.
Esalato da poco lultimo respiro la campana del convento inizi a suonare a lungo,
senza che nessuno ne tirasse la cordicella.
Si grid al miracolo e tutti ripetevano: "E' morta la Moretta, morta una santa!". Il 1
Ottobre 1988 il vescovo di Senigallia Odo Fusi Pecci, alla presenza dei Membri del
Tribunale Diocesano, ha presieduto la chiusura del Processo Informativo Diocesano sulla
fama di santit e sulle virt eroiche della Serva di Dio che stato trasmesso alla
Congregazione per le Cause dei Santi a Roma.
Il sostentamento delle suore era assicurato dalla dote delle suore pi ricche. Dai registri
tenuti dalla suora dispensiera apprendiamo che ricompensavano con dolcetti, pagnotte e
tagliolini, vino, e lardo gli aiuti che arrivavano dallesterno, secondo una serie di norme
codificate. Consuetudine di moltissimi monasteri italiani come risulta evidente anche
dal Libro di memorie" del monastero riminese di San Sebastiano del 1786-87.Carte di
menu nomi di piatti, dal "manzo alesso", al "presciutto" all'insalata, ai formaggi, ai vari
tipi di minestre., usanze, doni e rinfreschi come quello per la festa di San Sebastiano:
l'elenco delle persone a cui distribuire dolci, parte dalla sagrestana per arrivare,

attraverso le madri abbadessa, fattora e vicaria, al vescovo ("tre bacili"), ai padri


confessori, ai medici, al caffettiere, alla "famiglia di Monsignore" e "alli musici".
Infine carte manoscritte degli elenchi dei lavoranti attestano i relativi compensi. Ad
esempio, si legge che "quando la sagrestanina da' il telaranio nella chiesa si da' all'uomo
che polisse la chiesa mezza tiera di pane tagliato" (mezzo chilogrammo). Per le visite dei
superiori, si dispensano fiori finti, come pure per l'elezione della nuova abbadessa e per
la visita del nuovo vescovo. Nel gennaio del '97, si decide di "abolire affatto li dolci" e di
"formare nuovi fornelli per maggior risparmio della comunit".
Scoprire fra le carte dellarchivio di Serra de Conti, amorosamente custodito, lettere,
atti, e quelle ricette che vi presentiamo in questo piccolo volume, e portarle alla luce,
significa penetrare in un mondo sconosciuto fatto di regole, di gioie, sofferenze..ma
senza dubbio di grande amore per la vita nella sua quotidianit.
Gli anziani del paese ricordano con commozione, quando bambini, mangiavano i
dolcetti preparati dalle monache e per lepifania: le uova al tegamino fatte di marzapane.
La prima parte del toponimo ha il significato di altura o monte con aspetto dentellato
(serra=sega). Compare fin dal 1299 come apud Serram Comitis cio la serra del Conte
(dal latino comes, cometis=conte),non sappiamo di quale nobile si tratti.

IL CIBO LA TAVOLA I MONASTERI

Sono i cinque sensi che danno all'uomo la sua completezza


Cosi scriveva Hildegard superiora delle suore benedettine di clausura nel 1165. Non solo
badessa ma autrice di opere teologiche e scritti di medicina naturale, descrive le
propriet curative degli alimenti :ricette adatti ai malati e ai sani Opera di straordinaria
bellezza e documento puntuale sulle consuetudini culinarie dei conventi medioevali.
Cos io credo si possa affermare che l'arte culinaria e leducazione alla tavola abbiano
avuto origine tra le mura dei monasteri e delle abbazie medioevali. Allinterno di queste
mura impenetrabili monache e monaci furono forse gli unici ad occuparsi del senso e
dello scopo dei cibi, svolgendo doppia funzione di ospedale e di ricovero
Poveri, malati, principi in viaggio, laici ed ecclesiastici, commercianti e pellegrini
bussavano spesso alle porte dei monasteri in cerca di ospitalit ed aiuto. Le loro dispense
erano ricolme dei prodotti che giungevano sia dalle loro grandi propriet terriere sia dalle
decime che dai tributi del contado. Una economia, dunque, di sussistenza, infatti
consumavano il vino delle loro vigne, le carni dei loro coloni, i cereali dai loro campi. E
facile intuire come nellimmaginario collettivo il monastero fosse luogo di ricchezza di
cibi e i monaci di conseguenza dei buongustai e dei ghiottoni.
Come vedremo nel corso del nostro discorso le cose non stavano proprio cos!
Ma, entriamo allinterno del monastero e scopriamo da chi erano ricoperti i vari ruoli.
Dalla nobilt provenivano abati e badesse, mentre la cura dei campi, delle cantine e delle
stalle era affidata ai fraticelli e ai semplici laici.
Quei monaci e quelle monache che sapevano rielaborare le indicazioni dietetiche
rintracciate nei vecchi manoscritti, si dedicavano alla cucina: nacquero cos i primi
appunti e le prime raccolte di ricette.
I monasteri, per far fronte al loro impegno spirituale e di assistenza medica,
svilupparono quasi in modo naturale, una sorta di cucina salutare Le conoscenze degli
effetti salutari delle erbe, entrarono pian piano nella cucina quotidiana, le pietanze per lo
pi insipide, dopo tali mescolanze, acquistarono in sapore e fu proprio questo effetto che
diede linizio all'arte culinaria.
Un mondo lontano quello monastico, chiuso nel silenzio di alte mura, scandito da ritmi
religiosi, sospeso in un tempo tra preghiera e lavoro,
eppure un lungo filo sottile ci unisce se pensiamo che alcuni elementi di vita quotidiana,
provengono direttamente da quel mondo che ha avuto un ruolo fondamentale nella
elaborazione della nostra civilt
Quante volte ci siamo sentiti dire nella nostra infanzia: non sta bene bere con la bocca
pienapulisciti la bocca prima di bere. Norme elementari di educazione che
derivano dai primi tempi del monachesimo, cosi come letimologia di alcune parole
come pietanza che deriva dal latino pietas per indicare un supplemento di cibo che la
piet dei fedeli offriva ai religiosi.
La pietanza infatti veniva servita per due in unico piatto e il bere in un solo bicchiere,
ecco dunque che i monaci non dovevano bere a bocca piena per non lasciare tracce di
cibo nel bicchiere, e dovevano pulirsi la bocca prima di bere. Ma con che cosa? Con la
salvietta da tavola, tovagliolo, e non con la manica dellabito, come spesso accadeva!
I Codici Consuetudinari monastici dei primi monasteri sono pieni di consigli sul modo di
comportarsi a tavola e di mangiare honeste et religiose, dettami a cui si ispirata la
societ civile nei secoli fino ad oggi.
Ancora oggi i nomi dei pasti come ad esempio colazione trovano la loro origine in
quei luoghi dello spirito che sono i monasteri .

I pasti sono generalmente frugali: consentita la carne solo per i malati e gli ospiti; il
pesce e probabilmente anche il formaggio sono riservati per le grandi occasioni.
Di solito si servono due "pietanze cotte": il primo quasi una specie di polenta a base di
orzo, il secondo a base di legumi. A queste possibile aggiungere un terzo piatto a base di
frutta o verdura fresca. Ad ogni monaco spetta giornalmente una quantit di pane pari a
350 grammi circa. Come si pu intuire si tratta di un cibo poco equilibrato, che ingrassa i
monaci e li espone ai commenti non sempre benevoli della gente del popolo.
Quando non c la cena, si prende una tisana calda a base di tiglio o di camomilla, per
facilitare il sonno della notte Questo momento si chiama collatio poich vengono lette le
Collationesdi Cassiano Successivamente pass a indicare il leggero pasto caldo che si
consuma dopo il digiuno notturno, la nostra attuale colazione.
Ancora una piccola curiosit ,qualcuno forse si ricorder quando da piccolo lasciava
qualcosa nel piatto qualcuno ripeteva finisci tutto, non
Lasciare la vergogna nel piatto..! Ebbene anche questo modo di dire ha la sua piccola
storiaAbbiamo visto come le regole siano alla base della vita di un monastero, una
comunit di individui che vive a stretto contatto esige regole per la pacifica convivenza,
una convivenza basata su di un rigido autocontrollo.
Puntualit a tavola, lavarsi le mani prima di sedersi a tavola, attendere in silenzio il cibo,
non osservare ci che mangiano gli altri, non reclamare se si sono dimenticati di servirti e
finire tutto il cibo nel piatto
e se il tuo vicino ha finito prima di te sii generoso e dai un po del tuo cibo.
A tale proposito vi un divertente aneddoto: un monaco vedeva dibattersi nel proprio
piatto un bel topolino (o due scarafaggi...). Cosa fare? Reclamare era proibito.1 Non
mangiare lo era ugualmente.
Ma era caritatevole e giusto intervenire in favore del confratello vicino. Il monaco,
dunque, con discrezione e spirito pio, rivolgendosi al servitore mormorava:
"Perch padre Anselmo non ha diritto, anche lui, a un topo o a due scarafaggi?".
Proibito dunque come cosa vergognosa lasciare avanzi nel piatto, un insulto alla povert..
ecco spiegato lorigine del modo di dire non lasciare la vergogna nel piatto! rivolto a
coloro che lasciano sempre un po di cibo cos per abitudine.
Lalimentazione cambiata molto durante i secoli da un ordine religioso allaltro, da una
regione allaltra, ma, nonostante le diversit, nei monasteri il cibo non mai abbondante e
frequenti sono i digiuni.
Tutto nel monastero deve richiamare al senso della vita; anche il modo stesso di preparare
la tavola varia secondo il ritmo dellanno liturgico come vedremo bene nei documenti del
monastero di Serra De Conti.
NOTE
Giovanni Cassiano, monaco scrittore, fondatore di monasteri di uomini e di donne, nelle sue Collationes
(Conferenze), dettando le regole della vita conventuale, ammoniva che bisognava "impedire che il cibo accenda in noi
il fuoco della concupiscenza carnale",
L'abbondanza di umori provocata dal troppo cibo ridesta negli uomini il piacere ed il compiacimento sensoriale verso i
quali si dirigono gli strali dei padri della Chiesa. Lussuria, avarizia, collera, accidia sono dirette conseguenze della
sovrabbondante alimentazione, perch fra "i vizi che fanno al genere umano la guerra pi spietata, il primo la
gastrimargia o golosit" afferma Giovanni Cassiano, nelle Collationes, testo di meditazione e spiritualit.
(MONTANARI M.: Alimentazione e cultura nel Medioevo. Laterza 1988,

GLI ORDINI FEMMINILI

Quando parliamo di monachesimo non si deve dimenticare che, sebbene con


una storia diversa, vi sono ordini femminili.
Il monachesimo femminile rappresenta un fenomeno assai diffuso anche se poco
conosciuto. Gi prima di San Benedetto si hanno testimonianze di comunit
femminili alle quali a differenza del monachesimo maschile manca inizialmente,
lesperienza eremitica, poich la solitudine considerata pericolosa per le donne.
Considerata fragile e bisognosa di protezione, la donna arriva al monastero
direttamente dalla famiglia, passando dalla potest del padre a quella di Dio.
Gi alla fine del IV secolo alcune donne dellaristocrazia romana si riuniscono
intorno a San Girolamo seguono i suoi consigli e conducono una vita di preghiera,
ma non vivono insieme.
Dal racconto della vita di San Benedetto sappiamo, invece, che la sorella Scolastica
vive vicini a Cassino con un gruppo di sorelle. La prima testimonianza del
monachesimo femminile si attesta intorno al VII secolo ad opera dei Longobardi.
Essi ,infatti, nonostante la distruzione di alcuni edifici religiosi, ritengono utile
consolidare la religione cattolica e rientra nei loro piani anche la fondazioni di
monasteri femminili nei quali entrano numerose donne appartenenti alla nobilt
longobarda ,non di rado ricoprono poi ruoli importanti. Le comunit monastiche
femminili seguono la regola si san Benedetto, anche se per loro sono previsti
obblighi meno gravi rispetto alle regole dei monasteri maschili.
I nuovi ordini religiosi che si vengono a creare nei secoli XI- XII hanno anche
dunque rami femminili: questo mostra la volont delle donne di aderire ai nuovi
ideali monastici e ci fa capire che ora i monasteri non sono pi lespressione del
potere di un sovrano che vuole riunire le donne non sposate della propria famiglia,
ma raccolgono anche unautentica vocazione religiosa.
Accanto alla regola benedettina i nuovi ordini prevedono delle costituzioni nuove
che sono diverse per monaci e monache.
Mentre gli uomini possono scegliere tra le diverse forme di vita monastica, le donne
devono rimanere rinchiuse dietro le grate della clausura. Anche in questo ruolo di
azione non diretta emergono in questo periodo figure femminili di grande rilievo
come ad esempio Idelgarda di Bigen, che proprio nella clausura esprimono lamore
di Dio attraverso la preghiera e lo studio.
Alla fine del XII secolo il primo ordine fondato da una donna quello delle Clarisse,
che ha origine dalladesione di S.Chiara al movimento di S.Francesco. Chiara,
affascinata dallesperienza di S Francesco, lascia la casa paterna e viene accolta dal
santo, che le taglia i capelli, la riveste di un saio di tela ruvida e la conduce in un
monastero benedettino, ma chiara presto abbandona il monastero e si ritira con
alcune compagne nella chiesa di S: Damiano, vivendo la povert evangelica secondo
la Formula Vitae scritta per lei da S.Francesco. Nasce cos lordine delle Clarisse,
come le nostre monache del monastero di S.Maddelena di Serra De Conti La
decadenza della vita monastica che investe la societ del basso medioevo raggiunge
anche le comunit femminili, ma dopo il concilio di Trento (1545 1563) si ha una
rinascita dei monasteri femminili: un nuovo impulso e vigore dato dalle istituzione
di scuole femminile, i n cui vengono formatele giovani in vista della loro futura vita
in famiglia.
Le soppressioni dellepoca napoleonica dell800 provocano una nuova ondata di
chiusura dei monasteri femminili. Nel nostro secolo non sono molti i monasteri
femminili ma la loro vitalit testimonia limportanza della presenza femminile
allinterno dellesperienza monastica, indipendentemente dal tempo e dallo spazio.
Ancora oggi gli ordini femminili sono caratterizzati dalla stretta osservanza della
clausura e seguono con qualche adattamento le regole scritte dai fondatori dei

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corrispettivi ordini maschili. Le monache, pur vivendo in una situazione che sembra
escluderle dal mondo, sono impegnate nella preghiera e nei lavori femminili, e
nelleducazione dei giovani ,e in un certo qual modo diventano parte integrante
della vita civile non solo per il significato storico e culturale ma perch insieme
fanno e costituiscono la vicenda umana la vicenda umana e spirituale dei
cittadini
Non pare certamente una novit che le monache fossero rinomate ,oltre che per labilit
nei lavori femminili ,anche per la preparazioni di eccellenti dolci e cibi.
A tale proposito troviamo conferma nel libro Donne e Cibo, quando la Muzzarelli scrive
Pi in generale si pu dire che la provenienza di molte di loro da ambienti aristocratici
o quanto meno abbienti ha dettato i caratteri e segnato i confini della cultura e della
pratica alimentare Nel Settecento, come ci ricorda Gabriella Zarri, le moo. monache
della Misericordia di Reggio Emilia erano famose per le "galanterie di cannellata",
quelle della Torre di Forl per le "corone di colla di pesce" , mentre le sorelle del Corpus
Domini di Ravenna erano note per le confetture in forma di pigna. Costituisce un unicum
la specialit delle monache di Bobbio: "Non fan lavori singolari, ma in cuocer le lumache
non han pari"
Una suggestiva fonte che risale alla met del XVIII secolo testimonia proprio le specialit
culinarie di alcuni fra i ventotto monasteri femminili esistenti in quel tempo a Bologna
Delle monache del monastero di San Lorenzo si dice che di cotogne fan gelo delicato da
dame e cavaglieri assai stimato La confettura di cotogne era effettivamente una
specialit bolognese, come atte fine del Cinquecento un viaggiatore fiammingo: Andrea
Schott ": scrisse: Fanno una conserva di cotogne e di zucchero chiamata gelo, degna
d'esser posta alle tavole dei re. Le monache del monastero di Santa Cristina della
Fondazza facevano bi scotti con muschio e acqua di rose definiti gustosissimi, mentre Ie
benedettine del monastero dei Santissimi Gervasio e Protasio producevano un vin di
marene... per gl' amalati, qual vien gustato ancor dalli svogliati. Le amarene sciroppate
erano la specialit delle benedettine nere del monastero dei Santissimi Vitale e Agricola e
al preparato erano attribuite anche propriet medicinali Le domenicane del monastero di
Santa Maria Nuova confezionavano invece un dolce di marzapane che tagliato a fette
sottili poteva essere scambiato per mortadella. Caso di imitazione confondente non unico
giacch altre monache realizzavano in cera frutti bellissimi che parevano veri e
confezionavano in seta fiori molto simili a quelli naturali. Le domenicane del monastero
dei Santissimi Naborre e Felice preparavano un prelibato pan di Spagna conosciuto e
richiesto perfino in Lombardia, cos come erano ricercate anche fuori Bologna le torte
alla frutta delle domenicane del monastero di San Guglielmo. Le vallombrosane del
monastero di Santa Caterina fabbricavano _'zuccherini" colorati mentre le clarisse del
monastero dei Santissimi Bernardino e Marta sempre con lo zucchero preparavano
"mattonelle o tavolette" che calmavano la tosse1

MUZZARELLI, TAROZZI, Donne e Cibo, Bruno Mondadori 2003 p 446-47

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IL MONASTERO
DI SANTA MARIA MADDALENA

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LA STORIA
Lattuale complesso monastico di Santa Maria Maddalena nasce sui ruderi di un
antico monastero omonimo che agli inizi del Cinquecento era gi stato abbandonato
dalle religiose.
Restavano tuttavia i suoi averi, confluiti nella Curia di Senigallia, mentre una
cospicua eredit, leredit Piccini, era direttamente gestita dalla Fabbrica di San
Pietro.
Nella seconda met del Cinquecento una comunit di suore clarisse di Pesaro si fa
promotrice della riedificazione del complesso religioso insieme al comune di Serra
De Conti, dopo aver ottenuto linteressamento del Papa Gregorio XIII.
Questi, con Breve del 1574, sollecita la Curia di Senigallia affinch scorpori i
terreni del Monastero di Santa Maria Maddalena e dispone la restituzione del
considerevole lascito testamentario delleredit Piccini al Comune di Serra De
Conti, che utilizzer le risorse messe a disposizione per la riedificazione del
complesso monastico.
I lavori terminano nel 1586 e il monastero nuovamente abitato da giovani
claustrali istruite da tre suore fatte venire appositamente dal Monastero di clarisse
di Santa Lucia di Arcevia. Divenuto negli anni ricco e signorile, si contrappone al
monastero di San Carlo Borromeo, fondato nel corso del Seicento, anchesso situato
allinterno delle mura del paese ed oggi adibito ad uso privato.
Il Monastero di Santa Maria Maddalena si trova ad avere e controllare,
probabilmente sin dallinizio della sua rinascita, un ricco patrimonio immobiliare
esteso su un vasto territorio la cui gestione viene esercitata con laiuto di sindaci e
di agenti che curavano i rapporti con i fittavoli e i coloni. Con questi il Monastero
mantiene comunque contatti diretti testimoniati dai documenti darchivio che
riportano il frequente andare dei coloni alla casa monastica.
Grazie alle considerevoli doti delle novizie e dei lasciti delle famiglie nobili locali,
gi nella seconda met del Seicento inizia l ammodernamento del complesso e nel
1726 viene acquistato ed inglobato ladiacente Palazzo Palazzi (oggi sede
comunale).
Un grave colpo vieni inferto alla vita della comunit dalle soppressioni
napoleoniche, nel 1810, in seguito alle quali alcune suore si rifugiano nella nobile
casa degli Honorati e altre tornano in famiglia.
Nonostante le suppellettili e gli arredi vengano affittati a prestanomi, questo un
periodo di distruzione, vendita e alienazione di molti oggetti darte. Si salvano
soltanto i numerosi oggetti duso comune, che vengono lasciati nei loro luoghi
perch tenuti in scarsa considerazione.
Nel 1824 le suore rientrano in monastero ma per affrontare, di l a pochi decenni, un
ulteriore momento drammatico causato dalle nuove soppressioni degli ordini
religiosi stabilite nel 1861 in seguito allunificazione del regno dItalia. Perdono la
propriet ma restano nella loro abitazione che, seppure ridotta, ospita anche undici
clarisse provenienti dai soppressi monasteri di Belvedere Ostrense e di Ostra.
Nel 1910 le suore acquistano dal Comune la parte abitata da loro ma, ancora una
volta, un difficile momento le aspetta: allinizio della prima guerra mondiale il
vescovo di Senigallia ne stabilisce il trasferimento ad Arcevia
In quelloccasione tutto il paese insorge e c ancora memoria di una sassaiola
organizzata contro le carrozze che erano venute a prelevare le suore le quali, grazie
anche allintervento della gente, potranno restare nella loro casa, senza interruzioni
sino ad oggi.

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La Comunit di Serra De Conti ha voluto il suo monastero perch lha fatto


costruire e lha aiutato e difeso nei momenti di maggiore difficolt: in questo
legame, antico e forte, ha la sua ragione dessere lattuale museo.

FATICA E CULTURA IN CUCINA


La visione pittoresca di paffute suore che, ritiratesi in monastero, trascorrono
amenamente il loro tempo fra i fornelli della cucina a preparar marmellate di fichi fra
un canto e unorazione, contrasta con limmagine che con forza emerge dalla lettura dei
documenti e delle carte darchivio.
Spazzati via pregiudizi e stereotipi risaltano figure di donne colte che conoscono il latino
e litaliano, che sanno scrivere, dettare regole e organizzare con logica e rigore il pi
complesso degli Offici monastici: lOfficio della dispensa.
Accanto a loro altre donne, alle quali viene richiesta robustezza di corpo per sopportare
le fatiche del monastero,1passano il loro tempo in cucina per spazzare, sparecchiare,
pulire le tavole, capare gli erbaggi e preparare pasti per le decine di consorelle della
loro comunit, per i numerosi pellegrini che bussano giornalmente alle porte e ai quali
non si nega mai un piatto caldo, ma soprattutto confezionano pasti per pagare tutto quel
personale che effettua prestazioni ordinarie e straordinarie per il monastero, siano essi
laici o religiosi.
Sono donne che dedicano la loro vita a Dio, protette dalle mura della clausura; giovani
aristocratiche che forse riescono ad esprimere, meglio che nella propria famiglia, le loro
qualit; sono povere contadine scampate allinsicurezza sociale e alla povert totale.
Lo studio dei documenti darchivio apre quindi un singolare panorama sul lavoro
monastico ed in particolare sullattivit culinaria, specifico sapere femminile che
simpone nella vita quotidiana tra la preghiera e i lavori dellorto, tra il ricamo e la
tessitura, tra il far statuette di cartapesta e cera e il confezionare rami e corone di fiori di
seta.
Al pari del lavoriero comune, dove le suore si applicano alle pi raffiante arti
femminili, la cucina un luogo percorso da un forte spirito di comunit e nella struttura
architettonica del complesso monastico costituisce, insieme al refettorio e alla chiesa, un
elemento portante intorno al quale si sviluppano tutti gli altri spazi del monastero di
Santa Maria Maddalena.
La cucina anche luogo di incontro con lesterno, in cucina arrivano i coloni per
quando vengono i maiali, gli uomini che scarnificano, quelli che insaccano le
salsicce, vestono le lonze, quelli che come il Sabbatino di Morbidello o il Bestiolo di
Moncarotto portano le torte e il latte e vengono ricompensati con canestre di biscotti,
pagnottelle e fettucce.
In cucina si conserva lelenco dei creditori di paste ed allora abbiamo il padre
confessore e i sagrestani, impegnati giornalmente con la messa nella chiesa del
1

Ristretto delle Regole e Costituzioni della Serafica Madre Santa Chiara, Senigallia, 1857. Come citato
nel frontespizio, questo Ristretto delle Regole ad uso personale di ogni singola suora che aveva fatto
la solenne professione nel Monastero di Santa Maria Maddalena di Serra De Conti. Riprone, senza
sostanziali differenze, testi pi antichi e nel caso specifico fu approvato dal Cardinale Domenico
Lucciardi, vescovo di Senigallia, sotto la cui giurisdizione ricade, ancora oggi, il Monastero di Santa Maria
Maddalena.

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monastero, i professori, chiamati ad insegnare alle giovani delleducandato, il fattore e la


fattora, che curano gli interessi agrari del monastero, il falegname e il fabbro,
lacquarola e il postiglione che porta la posta e trasporta gli acquisti fatti alla fiera di
Senigallia, chi nella straordinaria occasione della morte, guarda le suore defunte, mura
la sepoltura, la beccamorta 2La cucina quindi un luogo di grande intelligenza e fatica,
che necessit per la sua complessit di unorganizzazione rigorosa.

OFFIZIO DELLA DISPENSA


Le regole della clausura portano le suore ad assicurarsi lautonomia necessaria alla
gestione di tutte le attivit che ruotano intorno allalimentazione.
Le materie prime provengono dai numerosi e ricchi possedimenti del Monastero e sono
consegnati, nei tempi stabiliti, dai coloni.
Sono le suore che provvedono poi a produrre il vino, a lavorare le carni per conservarle,
a fare il pane, la pasta, le conserve e a preparare tutto il cibo che arriva in tavola.
Lattivit affidata a diversi Uffici monastici coordinati dallUfficio della Dispensa.
Questultimo esige, fino a tutto lOttocento, unorganizzazione complessa, articolata con
responsabilit suddivise fra le suore Coriste (donne colte che conoscono il latino e
litaliano) e le suore Converse (donne destinate ai lavori manuali) coordinate dalla
Dispensiera, che ha in consegna tutte le cose commestibili, carne , formaggio, sale,
frutti , et altro, ed sua cura somministrare a tempo tutte le cose necessarie alle
cuciniere e deve dispensare in tempo della mensa alle suore la porzione de cibi e
vivande nel modo che verr ordinato dalla Superiora.
Deve coordinare le suore addette alla mensa come quelle destinate alla cucina che sono
cos individuate:
Refettoriere che apparecchieranno la mensa del refettorio mattino e sera e nellinverno
accenderanno i lumi opportunamente. metteranno il vino e lacqua nei vasi sopra la
tavola. Terminata la mensa riporranno il vino e il pane leveranno le tovaglie ed anche
ogni altra cosa
Cuciniere che suoneranno mattina e sera i soliti segni del pranzo e della cena
porteranno i tondi con le vivande sopra le tavole cucineranno le vivande, tireranno
lacqua, scoperanno e faranno tuttaltro appartenente alla cucina , caperanno gli erbaggi
legumi et altro che occorre. Terminata la mensa laveranno i piatti e riporranno al suo
luogo.
Panettiere che distribuiranno mattina e sera il pane alla mensa e quella finita
raccoglieranno gli avanzi

ASMM, Registro cartaceo, carte n.n.,s.d., busta 7 Ricettari. Tutte le notizie riportate in questo paragrafo
sono state tratte dal regolamento della dispensa contenuto nel registro cartaceo di cui sopra ,privo di
titoli ,date ed autori

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Setaccine, panettiere e aiutanti a fare il pane, alle quali si consegner la farina e


dovranno fare il pane1.
Al fine di garantire il funzionamento della struttura e perch possa essere mantenuto un
livello decoroso sia nella manutenzione che nellallestimento dei cibi, diviene necessario
dotarsi di un regolamento che fissi i piatti da preparare secondo i tempi del calendario
liturgico e definisca il che cosa e il quanto debba essere preparato per lesterno e quali
siano le persone che vanno non solo ringraziate, ma pagate in cambio di favori e di
prestazioni .
Al proposito una ignota mano ha redatto e scritto con grafia semplice ed elegante un
Regolamento della dispensa, databile tra la fine del secolo XVIII e linizio del XIX , che
ricostrusce le attivit svolte, ed introduce, con un lessico familiare a volte quasi
confidenziale, elementi della quotidianit monastica, come quando invita ad usare i
taglieri di Suor Rosalba Honorata, la taglieretta di Suor Maria Egiziaca che sta nella
dispensa o ricorda che le forme delle paste dette a stella o altre consimili stanno
nella credenza ai piedi della scala della cantina ancora oggi , a distanza di secoli,
conservate nello stesso luogo, seppure non pi in uso2

2 Ristretto delle Regole e Costituzioni della Serafica Madre Santa Chiara, Senigallia, 1857. Tutte le notizie riportate
sono tratte dalla costituzione XVI, che si articola in 18 paragrafi e riguarda le Ufficiali del Monastero con i relativi
Uffici monastici. Nellultima costituzione viene specificato come linosservanza delle regole proposte non costituisce
peccato di sorte alcuna, purch non si trasgrediscano i quattro voti di Povert, Castit, Obbedienza e Clausura.
Possono, per, essere punite, secondo la maggiore o minore negligenzadalli Superiori e dalla madre Badessa
2
ASMM, Registro cartaceo, carte n.n.,s.d., busta 7 Ricettari

16

RESISTENTI NEL TEMPO


Il tempo e le vicende storiche non sono passati senza danni attraverso le stanze del
monastero.
Alcuni oggetti sono stati distrutti, altri venduti in momenti di ristrettezze economiche,
ma gli oggetti di uso comune, fra cui quelli della cucina, sono rimasti accantonati e
dimenticati anche quando il monastero adibito ad altre funzioni o resta chiuso.
Quando le suore, allinizio del Novecento, tornano ad abitarlo, respingono la richiesta
pressante del mercato antiquario e conservano tutto con grande consapevolezza storica,
difendendo il proprio futuro.
Le informazioni sulla vita quotidiana sono affidate, oltre che agli oggetti rimasti, alle
carte darchivio: ricettari, giornale delle uscite con note degli acquisti, regolamento per
la cucina, carte sparse e inventari.
Questi ultimi si riferiscono ai luoghi di conservazione degli oggetti cos che abbiamo
linventario della Dispensa, del magazzeno, della panetteria; altri sotto il titolodi
Ramaria in cucina suddividono gli oggetti per tipologia con particolare attenzione al
pentolame in rame, sicuramente tenuto in maggior considerazione delle classiche
stoviglie in coccio, spesso riunite sotto il titolo generico di cocciami vari.
Ricco e analitico lelenco del materiale da fuoco: catene, capofochi, graticole,
treppiedi spiedi piccoli e grandi con rota, sempre citato il Birarrosto, complessa
macchina rimasta ad arredare lattuale camino della cucina del monastero; completano
gli inventari un considerevole numero di cassoncini con chiave, cassettine con o senza
coperchio a testimonianza del largo uso che le suore ne facevano in ogni attivit.
Gli oggetti rimasti e gli acquisti documentati nei libri contabili testimoniano, dalla
seconda met del Seicento sino al 1850 c., un notevole consumo di materiali dalle
diverse tipologie e provenienze.
E possibile che le suore portassero, o facessero venire, gli oggetti dai loro luoghi
dorigine, ma gli acquisti pi importanti, per qualit e quantit, e quelli economicamente
pi impegnativi, avvenivano annualmente, alla fine di luglio, in occasione della fiera
franca di Senigallia.
Cos per le ceramiche di produzione marchigiana, umbra ed abruzzese, mentre sono
andati perduti i vetri e i cristalli da tavola di cui restano solo testimonianze archivistiche
Un curioso inventario ottocentesco ci ricorda poi luso di stoviglie diverse per le diverse
occasioni; nel caso di ospiti illustri le suore disponevano di oggeti particolarmente
raffinati: ad uso de forestieri: cabar con zuccariera e sei chucchiaini dargento,
chiccare da caff di maiolica con suoi piattini, chiccare da cioccolata con suoi piattini,
posate dargento, saliere di maiolica, ampolle di maiolica per oglio e aceto

17

LE PASTE DELLE SUORE , OGGI, COME IERI


Oggi, come ieri le forme delle paste dette a stella o altre consimili sono state trovate
nella credenza ai piedi della scala della cantina cos come indicava il regolamento
manoscritto della cucina conservato in archivio, dove vengono riportati i vari tipi di
paste confezionate dalle suore.
In quellarmadio a muro, citato anche come la credenza delle pastine, secondo una
tradizione rispettata per secoli, venivano conservati gli strumenti necessari alla
preparazione dei dolci: rotelle pinzette, mortai,e soprattutto stampi
Si tratta di formelle di legno sulle quali sono intagliate forme diverse: animali, elementi
vegetali, lettere, disegni geometrici, stemmi. Alcune sono molto antiche, risalgono al
secolo XVII e testimoniano la diffusa cultura della lavorazione del legno che
contraddistingue queste zone nel corso del seicento. .
Le suore li hanno usati fino alla seconda met del secolo XIX dismettendone alcuni e
acquistandone di nuovi e mentre semplice capire lutilizzo di quelli pi recenti, che
presentano intagliata una sola forma, difficile comprendere luso di quelli pi antichi
intagliati in ogni parte con disegni diversi.
Le suore che vivono oggi in monastero ci hanno raccontato, fedeli alla consuetudine
monastica di tramandare oralmente le ricette, il modo di fare spumette e croccanti,
indicandoci gli strumenti usati sino allinizio del Novecento.
I croccanti avevano la forma di vasi di fiori e frutta e la loro composizione era affidata
alla straordinaria manualit delle suore cuciniere, le spumettevengono ancora oggi
offerte agli ospiti.
Particolare dedizione era posta nella preparazione dei biscotti che misurati in bacili,
venivano offerti in cambio di lavori effettuati da personale esterno al monastero.
Nella loro preparazione, come in quella delle creme e rosoli, vengono ampiamente
adoperate le spezie.
Alla voce droghe, spezie, sale ed altro dei giornali di uscita del Monastero sin dalla
fine del XVII secolo sono annotati gli acquisti per : Cannella fina, zaffarano, zaffarano
di levante, pepe forte, che si affiancano allo zuccaro raffinato, fioretto, rosso e
mascarato, al miele, uva passarina, noci, pignoli, amandole, limoni e melaranci.
Questi erano gli ingredienti necessari per la preparazione di
pan di spagna
savoiardi menate
rotole dallamandole
rotole dallovo menate
rotole de pignoli
biscottini bianchi
mostaccioli negri
mostaccioli dal pieno
biscottini dal zuccaro
biscotti con le chiare dovo

biscotti grossi dallovo


galanterie
fraschette
mane speziate
cialde
pignoccate
zuccarini
buccellati
pasticcetti
pasta damandole1

Lelenco delle paste tratto dal gi citato regolamento della Dispensa

18

LE STANZE DELLA CUCINA


Alla complessit dellorganizzazione e delle attivit da svolgere in cucina corrisponde la
necessit di spazi adeguati che, fino al Settecento erano cos organizzati:
Al primo piano dellattuale Monastero erano poste:
la grande stanza della cucina con piccolo sciacquarolo, con volticella e brocchetta a
stagno, bancone per li fornellicon stufette e rispettive volticelle, grande cappa del
camino
La stanza degli sciacquaroli con bancone per brocchecon due volticelle e al sopra
mattonato rotato
La stanza del frullone ( grande macina per grano) voltato a botte con camino
La stanza della panetteria
Il grande salone del refettorio
Al secondo piano figurava la stanza del torchio delle pastee la stanza detta
dispensa, mentre nel chiostro era posto un grande forno dal corpo sferico e il
torrione superiore serviva per le salate del maiale
Nellorto era ubicata la neviera, mentre nei sotterranei erano poste la cantina e il
magazzino dellolio; le grotte poi, che sottostanno a tutto il complesso monastico, erano
il luogo ideale per riporre cibi da conservare.
E stato possibile ricostruire lassetto degli spazi destinati alla cucina, grazie ad una
relazione tecnica, che presenta, accanto allelenco dei lavori da eseguire, la situazione
delle strutture da consolidare. Fu redatta nel 1823 da Francesco Maggioli, fratello della
Madre Badessa, Anna Redenta Maggioli, in occasione della ristrutturazione ottocentesca
del Monastero.
Infatti, dopo la soppressione napoleonica del 1810, le suore dismisero labito religioso e
furono costrette ad abbandonare il Monastero, che fu trasformato in fabbrica di liquori e
abitazioni private.
Nel 1824 ne venne decretato il ripristino, ma gi la madre Badessa aveva affidato al
fratello il progetto per la ristrutturazione dellimmobile ed i lavori furono eseguiti tra il
1825 e il 18261

ASMM, Piano desecuione delle grosse riparazioni da eseguirsi nel Monastero di Santa Maria Maddalena in Serra
De Conti 1823, 9.11, 1823, fasc. 4.

19

IL CALENDARIO E LA CUCINA

20

UNA MENSA TRA MODELLI ARISTOCRATICI E CONTADINI


La lettura degli antichi documenti di dispensa e cucina del monastero di Santa Maria
Maddalena lascia emergere il quadro di una mensa agiata ma anche rurale, con echi di
secoli indefiniti, sospesi nel tempo, esattamente come le stanze nel nome di questo
museo, dove si racconta la quotidianit passata (ma per certi versi ancora
percettibilmente presente) della comunit di clarisse di Serra de Conti. Le antiche
consuetidini registrate in queste carte sette-ottocentesche 1, sullorganizzazione delle
provviste e sulla preparazione dei pasti di questo monastero, rivelano infatti certi
caratteri inconfondibili di sobria agiatezza, per secoli costanti tratti distintivi dello stile
di vita sobriamente benestante dellaristocrazia fondiaria marchigiana. Questa nobilt
terriera anche nellabbondanza della tavola tendeva comunque a seguire in grandissima
parte il ritmo della natura e dal calendario stagionale dei campi e delle pratiche agrarie:
la cadenza dei raccolti faceva cos privilegiare laccorta saggezza di un impiego
ottimizzato delle risorse alimentari e delle provviste via via immagazzinate. In questa
razionale economia dei prodotti coltivati sta la chiave di lettura dellantica
amministrazione della cucina nel monastero di Serra de Conti: cos leffettiva
abbondanza di cibo, propria di un modello alimentare da ricchi e benestanti di
campagna, si coniugavano con aspetti e stratagemmi di parca saggezza e semplicit
contadina. I pasti del refettorio riecheggiavano cos sia labbondanza abituale della
mensa delle famiglie aristocratiche locali (da cui molte suore provenivano), sia lumilt
di un desco frugale contadino, apparecchiato con loculata misura e sapienza nel
cucinare le risorse giuste al momento opportuno, con malizie sopraffine per abbracciare
gusto e risparmio. Lo spirito di umilt francescana delle clarisse, trovava cos una sua
armonia: si osservava cos la giusta misura tra il necessario ristoro (indispensabile per
lavorare e compiere la propria missione) e la sobriet nel rispetto della sacralit degli
alimenti e dei loro tempi. Le regole della mensa tendevano ad equilibrare e rispettare sia
i momenti di astinenza e riflessiva purificazione (i periodi di magro), sia le occasioni
di doverosa celebrazione di ringraziamento (la cucina di grasso delle feste).
Scorrendo le norme per la dispensa e le ricette di cucina di questo monastero 2 si avverte
comunque lo spirito di una dieta calibrata tra rinunce ed eccessi, con una costante
oculatezza nel gestire al meglio le provviste, e con un senso di profondo rispetto per il
cibo, come dono ricevuto e quindi da ridare a sua volta. In queste carte si leggono
appunto vecchie saggezze contadine nei tanti stratagemmi per riciclare tutto il
commestibile e per cucinare gli avanzi infinitesimali, e si trovano le tante
raccomandazioni per preparare pietanze e confezionare leccornie da regalare allesterno
del monastero. Era pertanto la natura con il periodico succedersi dei raccolti e delle
produzioni alimentari, assieme alle tappe del calendario liturgico con feste e prescrizioni
religiose, a condizionare spesso tempi e ritmi della dispensa e della cucina, con le
consuetudini ricorrenti nellimbandire le tavole del refettorio e nel confezionare dolci e
specialit da offrire in dono ai devoti interlocutori del monastero.

Per i documenti darchivio, con relative segnature, si fa riferimento al seguente inventario: Monastero di
Santa Maria Maddalena di Serra de Conti. Inventario darchivio (1500 1988), a cura di V. ZEGA, <Le
Marche: Folklore Religiosit>, VI, 2003.
2
Archivio Santa Maria Maddalena (da ora ASMM), b. 7, Ricettario

21

IL RACCOLTO DEL GRANO E LA SCARTOCCIATURA: PANE, FOCACCE E


PASTA
I momenti annuali del ciclo agrario dedicati ai raccolti e ad altre forme di
approvvigionamento alimentare erano pertanto nevralgici nellorganizzazione della
mensa delle clarisse di Serra de Conti. In unepoca di economia strettamente rurale la
gestione interna del monastero poggiava quasi esclusivamente sugli introiti del frutto dei
campi e della loro lavorazione, secondo il consolidato modello dellaristocrazia fondiaria
marchigiana. La dispensa del monastero si arricchiva di provviste durante i momenti
canonici annuali delle grandi opere, ma al tempo stesso si registravano alcune uscite
sensibili, a causa dei pasti offerti ai braccianti ed agli altri artigiani che venivano di volta
in volta coinvolti in queste pratiche stagionali3.
Tra i momenti canonici legati al ciclo dei campi, e quindi alla dispensa del raccolto, da
sempre la mietitura e trebbiatura, come anche la scartocciatura o spannocchiatura del
granturco4, hanno avuto unimportanza di rilievo, sancita da pranzi abbondanti, che
anche in questo caso servivano certamente a rifocillare i braccianti 5, ma anche a
ritualizzare questo momento non solo nevralgico nelleconomia agreste, ma anche a suo
modo solenne e fondante nella percezione sacra del quotidiano presso la nostra cultura:
infatti superfluo notare come il pane sia al tempo stesso simbolo (anche proverbiale 6) di
tutto il sostentamento alimentare7, ma anche emblema di un sostentamento spirituale, che
la liturgia cristiana ha ritualizzato nel sacramento eucaristico8.
Il pane era naturalmente uno dei prodotti principali che uscivano dal forno interno al
monastero, oppure nelle teglie portate a cuocere dalla fornara esterna: le pagnotte delle
clarisse rappresentavano naturalmente anche il fulcro della loro vocazione assistenziale,
ed infatti figuravano spesso nella carit generale9. Comera tradizione nel mondo
contadino le suore quando preparavano la gran massa per il pane per la periodica
3

A. DE SIGNORIBUS (Aspetti dellalimentazione picena tra 800 e 900, in Storia dellalimentazione


marchigiana, a cura di S. ANSELMI e R. DAVICO, <Proposte e Ricerche>, 11-12, 1983-84, p. 52) riguardo
ai pasti offerti durante i grandi lavori scrive: Era questo uno dei casi nei quali la solidariet sostituiva il
pagamento, non un servizio a rendere, ma un servizio da rendere.
4
Un proverbio legato a questo periodo recita: San Lorenzo [10 di agosto] se sbrancia l granturche e se
mitte le noci tra i diente. (Antologia della cucina popolare, Fabriano, 1993, p. 130)
5
Cfr. sui pasti e le merende tradizionali durante le grandi opere di mietitura cfr. C. PIGORINI BERI, La
mietitura nellAppennino Marchigiano, <Nuova Antologia>, 15/ 3/ 1880, p. 351; Il Verdicchio: un vino,
una tradizione, un territorio, a cura di M. L. SOVERCHIA, Staffolo, 2002, p. 23. I pasti della mietitura si
differenziavano anche secondo criteri gerarchici: pi sontuoso per i padroni ed invece pi umili per i
braccianti (Antologia della cucina popolare, Fabriano, 1993, pp. 111-112)
6
G. GINOBILI, Il pane nel sentimento popolare marchigiano, Macerata, 1942: Il rispetto, la venerazione
che i nostri padri avevano per il pane era indefinibile. Essi lo ritenevano gran dono di Dio, lo chiamavano
la sua grazia, la sua provvidenza (). Nessuno si permetteva scientemente di smollicare o dissipare per
giuoco un pezzo di pane; se per caso nel mentre si mangiava, cadeva a terra veniva raccattato, baciato e, se
era il caso veniva mangiato o diversamente riposto in qualche punto ove facilmente potesse esser visto e
mangiato da animali; in campagna lo si smollicava per le galline o per gli uccelletti. Altrettanto avveniva
se si trovava un tozzo di pane a terra. Cfr. anche G. FERRETTI, Il mangiar saggio: un viaggio attraverso
lItalia dei detti, dei proverbi e della vecchia saggezza popolare, Repubblica di San Marino, 1997).
7
G. REBORA, La civilt della forchetta. Storie di cibi e di cucina, Roma Bari, 1998, p. 6: Il pane,
comunque era lalimento pi diffuso ed era anche il simbolo dellalimento. In citt era indispensabile
distribuirlo in forme standard cui corrispondeva un prezzo fissato dallAnnona, o dalle apposite
magistrature.
8
M. MONTANARI (La fame e labbondanza, Roma - Bari, 1997, p. 24): Nato e cresciuto in un ambito di
civilt prettamente mediterraneo, il cristianesimo non aveva tardato ad assumere come simboli alimentari e
come strumenti del suo culto proprio i prodotti che di quella civilt costituivano la base materiale e
ideologica: appunto il pane e il vino, assunti, dopo non poche n brevi controversie, al ruolo di alimenti
sacri per eccellenza, immagine e strumento del miracolo eucaristico.
9
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo

22

infornata modellavano limpasto anche in altre specialit, come ad esempio focacce,


chiamate anche cresce10 nella tradizione umbro-marchigiana. La confezione pi
semplice di queste pizze prevedeva le varianti bianca e nigra11. Come anche per il
pane, dove la qualit bianca era sempre considerata cibo per signori (o da riservare ai
malati12), la pizza confezionata con fior di farina ben stacciata (e quindi dallimpasto pi
chiaro), risultava naturalmente pi elaborata, raffinata e quindi pregiata di quella nigra
preparata con crusca e tritello 13. Quando si facevano queste cresce con alcuni avanzi
ed intagli di scarto della pasta si friggevano le piccole cresciolette 14, intinte nelluovo
ed inzuccherate. Queste focacce avevano poi naturalmente le loro varianti pi elaborate
ed appetitose, da destinare alle grandi occasioni, come ad esempio le cresce al
formaggio caratteristiche del periodo pasquale, o anche i buccellati confezionati con
massa del pane, olio, anici, farina, lievito, sale e un tantino di vino, o i pan nociati,
farina, noci, uva secca, pepe ed olio15.
Tra le altre preparazioni con la farina va naturalmente ricordata la pasta: le suore del
resto erano secondo tradizione secolare eccellenti pastaie, ed erano spesso celebri ed
apprezzatissime fabbricante di certi formati, come documenta ad esempio il Latini, che
raccomanda appunto nel suo ricettario e trattato di gastronomia i tagliolini di
monache16. Questo formato di pasta lunga, tagliata del virtuosismo sopraffino delle
suore in dimensioni cos sottili da somigliare a capelli o fili di seta 17, erano una
manifattura molto apprezzata, offerta come dono cerimoniale di gran pregio alle famiglia
aristocratiche (in alcuni casi ambito dono per nozze o per nascite da parte dei monasteri,
omaggio rituale celebrato ed ostentato trionfalmente 18). Anche molti monasteri
marchigiani eccellevano in questa squisita arte della pasta, anche se un certo
compiacimento aristocratico induceva a farsi arrivare queste specialit da monasteri
ancor pi lontani: si registra ad esempio tra le carte di cucina di una famiglia nobile
maceratese il consumo di tagliolini di monache, bonissimi a Bologna 13. Ed in effetti
10

L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, pp. 59-60: Letimologia deriva dal fatto che
queste pizze fatte con farina e lievito crescevano (). La crescia si fa con la massa del pane () si
prepara il giorno della panificazione e si cuoce sulla bocca del forno per non bruciarla, ma quando non si
fa il pane la si prepara ugualmente ma si cuoce sul piano rovente dellarola ricoperta di brace oppure sul
testo (piastra di ferro) oppure sul panaro (di coccio). Si mangia al posto del pane o imbottita con le
erbe strascinate e con il formaggio fresco e la salata.
Sulle cresce si veda comunque nelle pagine seguenti la scheda di commento alla trascrizione della ricetta.
11
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
12
Interessante in proposito il documento del monastero benedettino di Santa Maria Maddalena di Urbania
riportato da P. DONADI (op. cit., p. 95): il pane era bruno, ed il bianco si usava in occasione di malattie, e
questo si comprava al suddetto spaccio.
13
La trascrizione di una ricetta di pane con il tritello dellentroterra marchigiano presente in Staffolo, le
antiche ricette, (a cura M.L. SOVERCHIA), Staffolo, 2000, p. 20. Con il tritello si facevano anche dolci,
come le pagnottine caratteristiche di Matelica (nel maceratese), con mandorle, zucchero, cannella,
buccia di limone, e la glassatura sopra di fiocca, chiara duovo montata ed inzuccherata. A Genga, con
tritello e granturco facevano dei dolcetti a forma di piccoli panetti, o maritozzi come di dice in zona
(Antologia della cucina popolare, Fabriano, 1993, p. 128)
14
Si veda la trascrizione della ricetta con relativo commento nelle pagine seguenti.
15
Come alla nota precedente, sia per le cresce al formaggio, che per buccellati e pannociati, vedi la
trascrizione della ricetta con relativo commento nelle pagine seguenti.
16
A. LATINI, Lo scalco alla moderna, Napoli, 1692, vol. I, p. 179.
17
S. PAPA (La cucina dei monasteri, Firenze, 1978, p. 128) cita il convento di Santa Caterina a
Ripatransone, dove si facevano dei celebri tagliolini, che, pare, una sola suora era in grado di tagliare cos
sottili.
18

O. ZANINI DE VITA (Atlante dei prodotti tipici . La Pasta, Roma, 2004, p. 444 ) racconta della processione dei carri
con i tagliolini preparati dai conventi romani per le puerpere illustri.
13

Biblioteca Nazionale di Macerata (da ora B.N.Mc), Manoscritti Buonaccorsi (da ora M.B), Ricettario, b.
4/27. Cfr. A. M. NAPOLIONI, La cucina dei signori: i manoscritti della Biblioteca Nazionale di
Macerata, in Le carte in tavola: manoscritti e libri di cucina nelle Marche, Macerata, 1996, pp. 27-59.
Sulla trascrizione, analisi e commento di questo ricettario manoscritto fu incentrata la testi di laurea di chi
scrive (T. LUCCHETTI, Cucina e banchetto nelle Marche Centrali del Seicento: analisi delle tradizioni

23

anche nella mensa delle clarisse di Serra de Conti spesso, tra i pasti raccomandati per
alcuni giorni si leggono pietanze di maccheroni ed appunto tagliolini 19. Nel monastero
infatti ancora conservato il caratteristico lapposito strumento con tante scanalature da
passare sulla sfoglia stesa per intagliare appunto le strisce dei sottili tagliolini; questo
utensile, di uso comune, rappresentato in una delle stampe che illustrano lideale
corredo di strumenti da cucina del ricettario terdo-cinquecentesco dello Scappi 20.
Generalmente la pasta si preparava semplicemente con acqua e farina, e solo nelle grandi
occasioni con la preziosa aggiunta di uova21. In determinate occasioni si usava preparare
anche formati ripieni come ravaioli con la ricotta22, e tortelli con erbe23, ma queste
specialit erano presentati come frittelle anzich come pasta bollita. Ma anche nel
cucinare la pasta vera e propria vi erano ricette particolari, da preparare per occasioni
speciali. Da sempre per le festivit notevoli era consuetudine solennizzare i maccheroni
condendoli abbondantemente di grasso (con pezzetti di carne, funghi, spezie,
formaggio) e poi celandoli preziosamente in un sontuoso scrigno di pasta frolla o sfoglia:
era la ricetta, diffusa in tutta Italia, del timballo o pasticcio, rinvenuto anche tra le carte
di cucina delle clarisse di Serra de Conti 24. Cera poi la tradizione particolare, tipica
delle Marche interne e dellUmbria25, di rendere memorabile e cerimoniale il consumo
della pasta asciutta condendola in una festosa versione con ricotta, miele, zucchero,
mandorle e pinoli: anche questa preparazione, caratteristica delle grandi vigilie, rientra
nel ricettario manoscritto del monastero di Santa Maria Maddalena26.
Oltre ai cereali (tra cui anche il farro, con cui le clarisse confezionavano torte
particolari27), vanno ricordati anche gli altri due prodotti vegetali che rappresentano per
molti aspetti il cardine della nostra cultura agro-alimentare, ossia loliva e lolio, e luva
ed il vino28, annualmente omaggiati dal rituale festoso della vendemmia. Esattamente
nella circostanza della raccolta delluva e dellinizio della vinificazione le clarisse
celebravano ritualmente questa cerimonia campestre impiegando il succo duva appena
spremuto, e preparando cos dei dolcetti con il mosto, mescolato anche con miele e
spezie, come appunto i mostaccioli29 od altri tipi di biscotti e pasticcini. I mostaccioli
culturali e fonti iconografiche, relatore prof.ssa B. FIORE, correlatori Prof.ssa C. CIERI VIA S. PROSPERI
VALENTI RODIN, Universit degli Studi di Viterbo, Facolt di Conservazione Beni Culturali, A. A. 199899). Numerosi riferimenti, passaggi e citazioni tratti da questo ricettario sono stati gi in parte pubblicati
dal medesimo autore: (T. LUCCHETTI, Larte conviviale nelle Marche centrali del Seicento: cultura e
societ nelle pratiche della cucina e del banchetto, <Le Marche. Folklore Religiosit>, V, 2002, pp. 93110; T. LUCCHETTI, Le arti dei decori e degli apparati effimeri nelle feste pubbliche e cerimonie conviviali
tra XV e XVI secolo (alcuni casi ed esempi tra Ancona e Macerata), <Atti e Memorie di Deputazione di
Storia Patria per le Marche>, 104, 2004).
19
Sul carattere storico dei maccheroni e dei tagliolini, anche nel contesto specifico marchigiano cfr.
Atlante delle paste italiane, a cura di O. ZANINI DE VITA, op. cit.)
20
B. SCAPPI, Opera, Venezia, 1570, tav. XIII: si tratta del Ferro da maccaroni. L. FIRPO (Gastronomia
del Rinascimento, Torino, 1972, p. 64) lo descrive appunto come una serie di rotelle affilate investite su
un bastone, da passare sul foglio di pasta a mo di rullo).
21
P. DONADI (op. cit., p. 98), riporta come nel monastero benedettino di Santa Maria Maddalena di
Urbania, i tagliolini tutti ova venivano preparati dalle monache quasi esclusivamente nel giorno di
Pasqua.
22
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
23
Vedi la trascrizione della ricetta con relativo commento nelle pagine seguenti.
24
Vedi la trascrizione della ricetta con relativo commento nelle pagine seguenti.
25
Cfr. Le opere e i santi: tradizione alimentare e festivit rituale in provincia di Terni, a cura di G.
BARONTI, Terni, s.d
26
Si veda la trascrizione della ricetta con relativo commento nelle pagine seguenti.
27
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
28
M. MONTANARI (op. cit, pp. 12-13) nota come questa triade agro-alimentare costituiva un punto di
forza per la cultura greca e romana, un simbolo della propria identit: lautore cita le parole di Anio, re
e sacerdote di Delo nelle Metamorfosi di Ovidio: Ogni cosa che le mie figlie toccavano si trasformava
in grano, o in vino puro, o in oliva.
29
Vedi la trascrizione della ricetta con relativo commento nelle pagine seguenti.

24

vengono appunto definite paste della vigilia, ed era un dolce rustico di origini
antichissime, confezionato originariamente appunto con del mosto cotto, per secoli il
principale edulcorante nella cucina contadina30: con i secoli anche nel confezionare i
mostaccioli allo sciropposo succo duva si spesso sostituito lo zucchero, come
testimoniano molti ricettari aristocratici dei secoli scorsi, ma la ricetta delle consorelle di
Serra prevedeva ancora il mosto cotto ed il miele, con laggiunta di noci e di spezie dolci
come cannella e chiodi di garofano.
Per quanto riguarda invece le olive le clarisse erano solite raccogliere la specie chiamata
di San Francesco, perch appunto si raccoglie ai primi di ottobre in prossimit della festa
del santo di Assisi: qualche settimana dopo le altre olive erano condotte al frantoio, ed
infatti tra i doni che si facevano a fine novembre era contemplato lolio 31; secondo
gerarchia quello di qualit migliore (specificato come buono) andava al padre
confessore e al sacrestano, mentre quello pi ordinario veniva portato ai fattori32.
LA PISTA DEL MAIALE: INSACCATI E PIETANZE
Da sempre nella cultura contadina (ma anche signorile dellaristocrazia fondiaria) la
macellazione del maiale ha unimportanza molto radicata, anche a causa del ruolo
significativo dei suini nelleconomia e nella cultura alimentare nel passato 33 (quando la
carne porcina insaccata e conservata costituiva la principale se non unica riserva carnea e
proteica per gran parte della popolazione34). La pista del maiale ha infatti sempre
assunto anche valenze rituali, trasformando questa sanguinaria pratica contadina in un
cerimoniale festoso, una di quelle episodiche e cruciali tappe annuali di abbondanza
spensierata e sfrenata festosit. Si cucinava molto nei giorni del sacrificio cruento delle
bestie, dando fondo a molte risorse della dispensa: i ricchi pasti serviti in quel periodo di
intenso (e truculento) lavoro celebravano il consumo rituale e festoso della carne
ottenuta di fresco, ma soprattutto sfamavano adeguatamente tutte le maestranze raccolte
durante le fasi di macellazione e lavorazione dei prodotti insaccati e dei salumi 35. Il
regolamento della dispensa delle clarisse di Serra de Conti prevede cos alcuni
suggerimenti per quando si ammazzano i maiali (dicembre gennaio, I e II
ammazzata36). Ci sono prescrizioni su cosa cuocere, e su cosa donare delle bestie
macellate ai vari lavoranti che prestavano questo servizio al monastero. Si provvedeva
innanzitutto a ricompensare con lospitalit i contadini che portavano i maiali, con una
pigna di cece e altri legumi cotti, minestra, pane e vino, ed ancora tagliolini con la
carne, ed infine specialit di pasticceria del convento. Andavano poi rifocillati i
lavoranti impegnati nella pista del maiale, e cos agli uomini che scarnificano, fattori,
acquarola, a quelli che insaccano le salsicce, vestono le lonze, fanno salami e ciauscoli
venivano offerti colazione, pranzo e cena, ed infine si regalavano loro gli ossi del
30

Sullimpiego della sapa come dolcificante principale nellantica cultura gastronomica contadina delle
Marche cfr. Antologia della cucina popolare, a cura della Comunit Montana Alta Valle dellEsino,
Fabriano, 1993.
31
Riguardo alla storia ed alla tradizione della produzione olearia nella provincia di Ancona cfr. R.
CECCARELLI, Olivicoltura e frantoi nella Marca di Ancona, Ancona, 2000 (Lolivo, al pari della vite, ha
trovato nelle nostre colline un habitat particolarmente felice.)
32
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
33
Riguardo alla storia ed alle tradizioni dellallevamento suino nelle Marche, ed in particolare nella
provincia di Ancona cfr. R. CECCARELLI, Come uno di casa: il suino nelle Marche, Ancona, 2003.
34
Sullallevamento del maiale e la produzione suina nel passato nella Provincia di Ancona cfr. R.
CECCARELLI, Come uno di casa: il suino nelle Marche, Ancona, 2003.
35
A. DE SIGNORIBUS, op. cit., p. 55: Luccisione sar una festa, come la spezzatura e salatura, dopo
la messa alla strina (al freddo) per qualche giorno. Del maiale nulla deve andare sprecato, incluso il
dangue, raccolto fino allultima goccia durante la sgozzatura.
36
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo

25

muso37. Il ciauscolo un insaccato caratteristico delle Marche, che deriva probabilmente


la sua etimologia dal latino cibisculum (ovvero piccolo cibo); un salame dalla polpa
macinata pi volte, con quindi una consistenza tenera e particolarmente pastosa,
addirittura spalmabile38. Man mano che si procedeva nella pista del maiale parte dei
tagli di carne e dei prodotti suini ottenuti venivano donati ai vari notabili e personaggi di
spicco legati al convento, secondo il consueto codice di rispetto della gerarchia di
merito: le cresce con i grasselli 39 (focacce preparate con pezzettini di scarto residuali
nella preparazione dello strutto) venivano portate a sindaci, professori, sagrestano,
fornara e fattori; a questi ultimi toccava anche un quantitativo indefinito di strutto,
mentre al Padre confessore si donavano delle salsicce 40. In quei giorni certamente
frenetici per il convento si cucinava parte della carne suina fresca ottenuta: il dispensario
registra naturalmente la confezione del migliaccio, preparato con il sangue raccolto
appena si sgozzavano le bestie, e poi ancora lesso, polpette fritte, ma anche una
significativa cucina degli scarti, come il pan unto che raccoglieva tutto il grasso
avanzato, fino alle varie preparazioni con tutte le frattaglie, dal guazzetto alla coratella
fritta ed al fegato arrosto, alle lingue in insalata ed alle coste (anche regalate crude ai
fattori)41. Il ricettario del monastero registra quanto a lungo ogni taglio o residuo della
bestia debba essere conservato sotto sale: gli ossami otto giorni, le panzette, golette e
orecchie dodici, i lardi grossi venti ed i pi piccoli diciotto; si annotano naturalmente
anche i tempi di salatura per i vari insaccati (per i presciutti quaranta giorni, le spalle
trenta, ed infine i Capocolli e Lonze ci deve stare dieci, o dodici giorni secondo che sar
asciutti)42. Nelle carte di cucina vi sono poi le istruzioni per preparazioni tradizionali
con la carne di maiale, anche insaccate, in cui evidentemente le stesso consorelle si
cimentavano per alcune circostanze dellanno e soprattutto anche nel periodo consueto
della pista del maiale: per fare le salsicce annotato che per ogni trenta libre di carne ci
voleva due oncie di pepe forte, e tre oncie di sale per ogni dieci libre 43. Per i capocolli
scritto che ogni dieci libre di carne ci vogliono sei oncie di sale, e poi di pepe che sia
ben coperti, tanto i capocolli, che le lonze deve (sic) stare una diecina di giorni sotto il
sale. Per le lonze poi ogni 10 libre di carne cinque oncie di sale, e di pepe ben coperto 44.
Non mancava anche la ricetta Per fare i salami: In ogni libra di carne magra un oncia
di ginepro, e in ogni 20 libre di carne 8 once di sale, pepe pesto un oncia in ogni libbra di
grasso ci si mette un oncia di sale 45. Ed infine le note Per fare li cottechini: in ogni
dieci libre quattro oncie di sale con unoncia di pepe, quattro ottave di cannella e due
noci moscate, di cottica se ne mette il terzo46. Non mancano neanche le ricette per le
salsicce di fegato caratteristiche di queste parti. Riguardo invece al migliaccio si
leggono, in una nota del regolamento di dispensa gli ingredienti di preparazione: talvolta
confezionato come un salume (si pu anche insaccare nei budelli), era preparato
mescolando al sangue di maiale uova, formaggio, pane grattugiato, pannella tritata,
panzetta, collarino e cipolletta, e di condire il tutto, secondo la solennit rituale del
dolce, anche con miele, cannella e garofani47

37

Ibidem.
Cfr. L. PACIFICI, Il ciauscolo: un salume antico dal gusto moderno, Macerata, 2003
39
Si veda la trascrizione della ricetta con relativo commento nelle pagine seguenti.
40
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
41
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
42
ASMM, Registro cartaceo con ricette di cucina, b. 7 Ricettario, XIX secolo
43
Ibidem
44
Ibidem
45
Ibidem
46
Ibidem
47
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
38

26

CUCINA DI GRASSO
La carne di maiale non era per lunica ad essere consumata dalle clarisse. In ogni
periodo codificato liturgicamente come di grasso, quando ossia si era nel periodo delle
grandi festivit, venivano cucinati animali dallevamento di vario tipo. In molti dei
giorni e delle ricorrenze in cui era concesso mangiar carne si cuocevano infatti
gallinacci, capponi e pollame vario, e subito dopo questi pranzi festosi, per il pasto
immediatamente successivo si riciclavano accortamente gli avanzi della polpa migliore,
cucinando i guazzetto i colli e le frattaglie di questo pollame, confermando ancora il
carattere umilmente rurale della mensa delle clarisse e dei loro accorgimenti culinario
volti ad un rispettoso risparmio di ogni provvista commestibile 48. Si praticavano
naturalmente tutti i tipi di cottura, nei giorni di festa grande le carni servivano lessate,
arrostite e fritte; talvolta si legge il termine tegame, che identificava una pietanza
cucinata in umido, oltre naturalmente alla pentola, compresa nel ricco repertorio di
recipienti ceramici da fuoco del monastero, molti dei quali tuttora conservate nel Museo
delle Arti Monastiche. Tra le carni le clarisse consumavano anche la vaccina, e
naturalmente lagnello, che secondo tradizione era preparato a Pasqua, riciclando anche
la testa e le interiora per prepararci le frittate. Altro animale simbolo cristiano della
mansuetudine e della pace, e di conseguenza bestia sacrificale era il piccione, di cui ad
esempio si conserva nel ricettario lappunto manoscritto per cucinarlo in gratella 49.
Altre specialit di grasso riscontrato nel ricettario delle clarisse prevedevano di
preparare una farcia con carne tritata, prosciutto e formaggio per riempire alcune verdure
ed ortaggi: anche questo un sapiente accorgimento per rendere festose ed appetibili
provviste ordinarie ed assolutamente ricorrenti come i vegetali 50. Tra le succulenti
prelibatezze con i salumi ricorrono poi spesso, nelle liste di cibarie strutturate dal
regolamento di dispensa i crostini al prosciutto51, aromatizzati con la salvia ed anche
spolverati da una sottile spolverata di zucchero, secondo criteri di abbinamento tra dolce
e salato, retaggio caratteristico di quella cucina, dai sapori contrastanti se non stridenti,
propria dei secoli scorsi.
CUCINA DI MAGRO
Il calendario liturgico alternava pertanto periodi di serena spensieratezza, senza
limitazioni alimentari, ed altri invece di raccoglimento spirituale e meditazione, dove si
prescriveva se non il digiuno almeno lastinenza dal consumo di carne 52, cibo del piacere
assoluto, che da sempre contraddistingueva con il suo antichissimo valore sacrificale, la
mensa succulenta dei giorni canonici della festa. Il regime di magro imperava nei
giorni di vigilia, quasi a voler anche bilanciare leccesso spensierato dei pasti festivi, e
notoriamente durante la quaresima e lavvento. In questi giorni oltre alla consueta ed
immancabile verdura, il pesce era notoriamente la pietanza principale: a Serra de Conti,
come in tutte le localit interne, lontane dal mare e ad una certa altitudine, non era
certamente facile procurarsi pescagione guizzante, per cui si ricorreva al pesce essiccato
48

Ibidem.
Si veda la trascrizione della ricetta con relativo commento nelle pagine seguenti.
50
Come sopra.
51
Come sopra.
52
Cfr M. MONTANARI (op. cit., p. 99). Lorigine di questa disposizione ecclesiastica da ricercare in varie
motivazioni. Oltre allapproccio penitenziale di rinuncia al piacere (non solo alimentare ma anche
sessuale, in quanto secondo la dietetica antica un consumo abbondante di carne esaltava i sensi). Cera poi
il rifiuto della tradizione pagana che associava il consumo di carne ai sacrifici agli dei romani. Dalla
cultura precristiana venivano per accolte le antiche teorie filosofiche greche favorevoli ad un
vegetarianesimo pacifista.
49

27

e salato53, su tutti il baccal 54, di cui si leggono molte ricette negli appunti di cucina
manoscritti del monastero55. La prescrizione di magro era comunque sicuramente meno
severa nei secoli recenti rispetto agli albori della cristianit: una volta anche le uova ed i
latticini, in quanto frutti della carne, erano considerati di grasso, e pertanto banditi
dalle tavole nei giorni di astinenza, e sostituiti da alcuni surrogati, come ad esempio le
mandorle, la cui essenza oleosa era usata spesso in sostituzione di burro o addirittura
formaggio. Nel tempo appunto certi rigori vennero via via stemperandosi: ad esempio
nellarchivio del monastero di Serra de Conti, sono ad esempio conservati alcuni bandi
dove il vescovo concede per lavvento persino limpiego di lardo e strutto 56. Tuttavia sia
nella quaresima che nellavvento erano previsti giorni di digiuno, ossia al solo regime di
pane ed acqua57. Il periodo di magro prepasquale era tuttavia, per quanto rigenerante e
purificatorio particolarmente lungo: la tradizione popolare aveva codificato luso di
celebrare la mezza quaresima58: il raggiungimento e superamento della prima met di
questi quaranta giorni quaresimali era un po ovunque salutato con un certo generale e
timidamente spensierato sollievo, con pubblici rituali liberatori, celebrati anche
doverosamente elementari leccornie caratteristiche: rudimentali ma graditissimi dolcetti
si confezionavano un po ovunque per celebrare infatti questa ricorrenza. In particolare
la fantasia popolare si sbizzarriva a rendere particolari con fogge fantasiose e simboliche
questi umili biscotti e focacce, semplici come pasta di pane appena un po dolcificata, e
talvolta rese anche esteticamente pi curate, con sgargianti confettini multicolori, a
figurare quasi come delle memorie sopite dal lontano carnevale, richiamate a forza per
spezzare per un attimo il grigiore comandato della quaresima. Anche le suore del
monastero di Santa Maria Maddalena avevano evidentemente adottato e interiorizzato
questa usanza collettiva, e per questa circostanza il registro di dispensa raccomanda
infatti la preparazione di cialde nellapposita pigna. Del resto la preparazione di questi
dolci per periodi di astinenza citata anche nel ricettario marchigiano tardo settecentesco
Il cuoco maceratese di Antonio Nebbia, dove si legge la ricetta Composizione per
cialdoni di magro, preparati nei ferri pe cialdoni con mandorle, olio dolce, zucchero
e anisi se piacciono 59. Il carattere quaresimale delle cialde era del resto universalmente
presente in Europa, come attesta iconograficamente il dipinto di Bruegel Il Carnevale e
la Quaresima, dove una vecchia friggitrice di cialde raffigurata tra gli episodi

53

Cfr. M. KURLANSKY, Il merluzzo: storia del pesce che ha cambiato il mondo, Milano, 1999
F. BIRRI C. COCO, Nel segno del baccal, Venezia, 1997, pp. 34-35. Gli autori osservano appunto
come il termine stoccafisso sia stato menzionato per la prima volta in una cronaca di viaggio del
mercante veneziano Piero Querini; il nome deriva dallantico olandese stock (bastone) e visch (pesce),
ossia pesce seccato sui bastoni. Tra le varie complesse ipotesi formulate invece sulletimologia di
baccal, interessante la possibile derivazione dal latino ba(c)culus (bastone), che presenta cos una
possibile analogia con lorigine del termine di stoccafisso. Lo stretto legame tra i due termini pu
spiegare lo scambio dei nomi avvenuto nel nostro paese dove, in Veneto e nel Friuli-Venezia Giulia per
lappunto, lo stoccafisso viene chiamato baccal.
55
Si veda la trascrizione della ricetta con relativo commento nelle pagine seguenti.
56
ASMM, buste varie. Il pi antico documento a riguardo datato 28 ottobre 1710 (b. 4.17): Breve del
Sommo Pontefice Clemente Undecimo datato li 28 ottobre 1710 col quale si accorda alle Monache di
questo monastero di poter mangiare i latticini durante il tempo del Sagro Avvento.
57
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
58
C. LEONARDI (Il cibo nelle feste popolari dellAlta Valle del Metauro tra Ottocento e Novecento, in
Storia dellalimentazione marchigiana, op. cit., p. 56) riporta invece come dolce caratteristico della Mezza
Quaresima il maritozzo, fatto con pasta di pane con un po dolio, qualche acino duva e una
spennellata di chiara duovo zuccherata, che infatti si mette addosso alla Segalavecchia, il pupazzo
che rappresenta la quaresima e che viene montato in piazza, sbeffeggiato ed infine bruciato durante questa
ricorrenza popolare.
59
A. NEBBIA, Il cuoco maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, p. 237.
54

28

inquadrati simbolicamente nel regime di magro60. Del resto i ferri per cialde61
ricorrevano in tutti gli inventari degli utensili da cucina, ed infatti vengono illustrati
anche nelle immagini a stampa del ricettario dello Scappi 62. Le cialde avevano
naturalmente questo carattere quaresimale anche nel monastero di Serra de Conti, dal
momento che venivano preparate anche per il marted santo e per la vigilia di Pasqua,
assieme ad un altro ricorrente dolce di magro, le frittelle di mele. Questultima
preparazione figura come specialit di quadragesima fin dal manoscritto trecentesco
Libro per cuoco, ricettario di area veneta che illustra appunto come impastellare e
friggere spicchi o fettine di mela private del torsolo, per poi cospargerle ancora calde con
zucchero e spezie63. La versione quaresimale di queste frittelle nel monastero di Serra de
Conti appuntata stringatamente nel regolamento di dispensa: la pastella
semplicemente preparata nella solita pigna con acqua, farina e lievito, ed una volta
fritti i pezzetti di mela vengono dolcificati, alcuni con zucchero, altri con miele64.
LA PASTICCERIA
I dolci erano per generalmente, come tradizione, una preparazione di cucina
caratteristica delle grandi feste. I monasteri nel secolo guadagnarono la fama di raffinate
officine di pasticceria. Forse questa familiarit con le preparazioni dolci si andata
affinando nel tempo parallelamente allapprofondimento delle conoscenze di erboristeria
e spezieria: del resto anticamente lo zucchero rientrava esclusivamente tra le spezie
conosciute ed impiegate in farmacia ed ipotizzabile che in questo ambito
originariamente si siano sperimentate nuove confezioni dolci, per poi far derivare e
nascere autonomamente la pratica della pasticceria monastica, rinomata anche allesterno
delle mura conventuali65. Nei secoli le suore di alcuni ordini diventeranno sapienti e
celebrate maestre di questa arte squisita, con prestigiose commissioni di torte e
confezioni dolci per le mense nobiliari pi esclusive 66. In particolare francescani e
clarisse si distinguevano per dolci cerimoniali per le festivit sacre. Ed in effetti anche
nel monastero di Santa Maria Maddalena la cucina si attivava in occasione di particolari
ricorrenze annuali, per grandissime manovre collettive nel preparare tante specialit
dolci, che pi che arricchire le imbandigioni festive del refettorio venivano regalate alle
varie personalit con cui il monastero era in rapporto costante durante lanno. In
60

A. WIED, Bruegel: il Carnevale e la Quaresima, Milano, 1996, p. 5: Tema principale dellopera una
scena di torneo simile a quelli che effettivamente venivano disputati durante le rappresentazioni
carnevalesche, in cui le figure allegoriche del Carnevale (maschile) e della Quaresima (femminile) si
fronteggiano.
61
M. CARAFLI (Lalimentazione delle famiglie abbienti marchigiane negli anni Venti: larea misenometaurenze, in Storia dellalimentazione marchigiana, op. cit. , p. 76) cos descrive la preparazione di
questo dolce: Altra cosa buona erano infine le cialde, impasto liquido di latte, farina, uova, zucchero,
burro e qualche anice, che a una cucchiaiata per volta si metteva a cuocere tra le due valve piatte di un
apposito ferro quasi rovente, simile a una grossa tenaglia. Sulle due branche erano incisi disegni vari.
62
B. SCAPPI, op. cit., tav. XVI. L. FIRPO, op. cit. p. 65: Si vede poi la doppia pala zigrinata, fatta a
tenaglia, che si arroventa e serra a cuocere la pasta sottile per fare cialde.
63
L. FRATI, Libro di cucina del secolo XIV, Livorno, 1899 (rist. anast. Sala Bolognese, 1979), p. 15
64
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
65
P. DONADI (p. 46) inserisce appunto la pasticceria tra le virt donnesche di cui i monasteri femminili
erano luoghi di eccellenza, maestria e formazione: Altrettanto nota abilit monastica quella culinaria, in
particolar modo riguardante la preparazione di dolci e confetture o di ricette particolarissime come la
cottura delle lumache o la preparazione di infusi di erbe utili alle necessit pi diverse.
66
Ivi, p. 98. Cos lautrice riguardo al monastero do Santa Maria Maddalena di Casteldurante (Urbania):
Le paste restano in assoluto la specialit delle monache benedettine di Urbania: biscotti di diversi tipi, a
seconda delle occasioni tutti inzuccherati o di pan biscotto, meringati, di pan speziato, con le noci, le
mandorle, i mostaccioli e gli anicetti. Come possiamo leggere nelle memorie le paste che erano in uso
nel nostro monistero in questo secolo erano il pane mellato, la torta di noci, e miele, e la peverata, pasta
fatta di uso di torta col mosto cotto, miele, noci garofoli, e pepe

29

particolare durante la vigilia del Natale iniziava questo grande lavoro di pasticceria 67:
secondo tradizione i dolci e le torte natalizie tendevano ad impreziosire, nel cerimoniale
della mensa di questa festa, la sacralit quotidiana del pane68. Del resto si deve ricordare
che per tanto tempo, ed in culture diverse, Natale era in effetti chiamato il giorno del
pane, correlando cos simbolicamente la nascita di Ges con il dono divino del grano e
del suo prodotto derivato principale, emblema stesso del sostentamento universale,
codificato nelle pagine del Vangelo come veicolo di nutrimento al tempo stesso spirituale
e corporeo.69 Similmente la tradizione contadina aveva codificato i suoi dolci tipici per il
pranzo di Natale: le ricette pi umili non erano altro che elementari variazioni sul tema
dolce delle preparazioni ordinarie di impasti per pani e focacce comuni, appena
impreziositi da zucchero, frutta secca, eventualmente burro e distillati liquorosi. Il
modello di pasticceria natalizia confezionata dalle suore di Serra de Conti rappresenta
invece un repertorio di leccornie zuccherine pi raffinate, degne di unarte culinaria
sapiente, contiguo ai modelli gastronomici aristocratici, e non certo rustici e popolari70.
Le dolci paste allovo si accumulavano cos nelle teglie da forno e nelle tavole della
cucina in tutte le fantasiose e rinomate fogge e tipologie, dal Pan di Spagna ai savoiardi,
dalle rotole dallovo ai pinoli e alle mandorle, dai savoiardi ai biscottini di varie sorte,
a specialit come le galanterie o fraschette 71. Tra le specialit dolci caratteristiche
della pasticceria monastica per le feste natalizie e pasquali vanno sempre ricordate in
particolare certe torte in pasta di mandorle e frutta secca, modellate a forma di animali
simbolici, in particolare lagnello ed il serpente. Queste leccornie delle suore erano
appunto conosciute anche allesterno dei monasteri per i pochi privilegiati che avevano
lonore di riceverlo in dono. Talvolta erano per le stesse suore a ricevere invece delle
torte in omaggio, come ad esempio nel giorno di Santa Maria Maddalena titolare del
monastero, quando i contadini erano soliti portare alle clarisse anche il latte 72. Un
classico dolce fatto con il latte, portato secondo tradizione dai contadini ai padroni per
alcune ricorrenze annuali, era il lattarolo 73, di cui esistono diverse ricette appuntate tra le
carte di cucina del monastero74. Ma tra le preparazioni di pasticceria pi importanti da
confezionare con il latte cerano certamente le creme 75, servite in appositi piatti speciali
per occasioni particolari. la cucina si presta qui non pi per preparazioni culinarie della
mensa ordinaria, ma per sopraffine leccornie da preparare per le grandi feste ed i solenni
rituali conviviali interni al monastero.

67

ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
Cfr. A. CATTABIANI, Lunario, Milano, p. 387. In molte altre regioni e citt dItalia ricorre il termine,
assolutamente perentorio e definitivo, di pane (cibo per antonomasia) nei dolci confezionati solo ed
esclusivamente per il Natale: dal pan pepato, che si riscontra a Ferrara, ad Arezzo, ed in Umbria, dov
fatto con noci e mandorle, uvetta, cioccolato e con laroma di noce moscata, fino al romano Pangiallo,
ricoperto da una pastella duova indorata al forno; il Pandolce di Genova confezionato con pinoli, uvetta
e cedro candito mentre il particolare Panvisco di Bari preparato con vincotto di fico, carruba, uva
moscata e linedito aroma della polvere di Cipro.
69
A. CATTABIANI (Calendario, Milano, 2001, p. 81) nota come anche Betlemme, luogo della nascita di
Ges, significhi casa del pane, anche perch quella citt, circondata da campi di frumento, era
virtualmente un granaio; ed anche in questo caso leredit pagana degli antichi romani si sovrappone
specularmente, dal momento che per la festa del Sole, archetipo del Natale Cristiano, si confezionavano le
frittelle rituali di farinata
70
Come si potr vedere nella parte con la trascrizione delle ricette originali da alcuni ricettari e trattati di
cucina aristocratici alcune delle note manoscritte sono state integralmente copiate.
71
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
72
Ibidem.
73
Cfr Per una storia dellalimentazione marchigiana, a cura di S. ANSELMI e R. PACI, <Proposte e
ricerche>, 11-12. 1983-84.
74
Si veda la trascrizione della ricetta con relativo commento nelle pagine seguenti.
75
Come sopra
68

30

FESTE E CONVIVIALIT

31

UN SERENO ED ARMONIOSO SPIRITO DI COMMENSALIT


Loriginaria versione della Regola di Santa Chiara non contiene molte informazioni sulla
scansione e lorganizzazione dei servizi interni del monastero legati alla preparazione dei
pasti ed al loro servizio nel refettorio. Lo spirito per che emerge con nitidezza quel
senso di fratellanza e solidariet tra le consorelle che gi fu un tratto distintivo
inconfondibile del francescanesimo fin dalla sua nascita76. Le clarisse condividono fino
in fondo i compiti della gestione delle provviste, della preparazione dei pasti in cucina, e
dellapparecchiare le tavole in refettorio, seguendo le disposizioni sulla misura del
mangiare, e tra di loro si alternano nel ricoprire tutti gli offici che nel mansionario
illustrano appunto tutti i servizi legati alle pratiche alimentari 77. Anche da questo si
radica quello spirito di solidariet fraterna che si rispecchia fortemente nei rituali
quotidiani della commensalit: ci si aiuta nel mangiare, nutrendo con cibi particolari e
rigeneranti le consorelle anziane o ammalate. Alla luce del dono del cibo, dellassistenza
e solidariet reciproca, nasce il carattere di una convivialit assoluta, ripartita in momenti
precisi, sia di gioia che di riflessione, punteggiata da determinate regole di cui tutte le
consorelle si assumono la responsabilit decisionale, ciascuna per un determinato
periodo a rotazione. Il regolamento di dispensa prevedeva non a caso che al momento
del cambio di turno nel ricoprire lincarico di dispensiera, si facesse una piccola festa. E
cos la suora che lasciava il compito ad unaltra consorella celebrava questo rituale di
avvicendamento, facendo preparare della pasta frolla da donare, e impartendo
disposizioni perch venisse imbandita una ricreazione con salsicce, cotolette, ed alla
sera si festeggiasse con maccaroni e frittate tutto condito con zuccaro e cannella 78. Si
gi osservato del resto questo carattere speciale e simbolico del dolce nel cerimoniale
della festa, ed anche come le clarisse eccellessero nellarte della pasticceria, secondo una
cultura antichissima della tradizione monastica, che cos faceva scrivere gi nel
dodicesimo secolo alla badessa Santa Ildegarda: Lanima si rallegra per un opera buona
e allo stesso modo il corpo gode di un buon dolce.79
LA PRESENZA SIMBOLICA DI DETERMINATI CIBI IN FESTE E
RICORRENZE
Una condivisione serena ed armoniosa del cibo, con momenti misurati ed alternati di
riflessiva continenza come anche di gioiosa abbondanza, rientrava pertanto nella
quotidianit del monastero, e codificava pertanto rituali, tempi e modi di una convivialit
legata alla vita delle clarisse, celebrandone feste e raccoglimenti, nuovi ingressi e
dipartite nella comunit, concessioni di grasso e regimi di magro.
Dalle carte darchivio, di cucina e dispensa ma non solo, emerge infatti una scansione
progressiva e ciclica della cucina delle feste liturgiche e delle altre ricorrenze stagionali.
Vi viene cos anche narrato linsieme dei piccoli rituali conviviali della vita interna al
monastero, dai grandi lavori annuali alle tappe cerimoniali della vita delle consorelle,
onorate con spirito festoso, ed in altre circostanze naturalmente pi morigeratamente
seriose (quando non luttuose). In alcune occasioni si legge anche il carattere simbolico
della presenza di determinati cibi nella mensa, che raccontano cos storie ed immagini
emblematiche di lontane tradizioni, riflesse anche in una specie di linguaggio cifrato
degli alimenti e del loro impiego. Un esempio a riguardo pu essere rappresentato dal
76

Cfr. Regole monastiche femminili, a cura di L. CREMASCHI, Torino, 2003


Regola di Santa Chiara
78
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
79
E. LANDIS, Hildegard von Bingen: Ricette per il Corpo e per lAnima, Milano, 2000, p. 47. Sempre su
Santa Ildegarda cfr. ILDEGARDA DI BINGEN , Il libro delle opere divine, a cura di e M. PEREIRA, Milano,
2003
77

32

pasto preparato per una ricorrenza dellanno liturgico inesorabilmente plumbea e


cimiteriale, ma ugualmente dominata dalle sue regole sulla mensa: per il due di
novembre, festivit dei morti, il regolamento di dispensa suggeriva alle suore di far
cucinare un piatto caratteristico delle mense contadine per questa giornata 80, la fava con
le cotichelle fresche81 che andavano comprate (mancava infatti ancora un mese
allappuntamento canonico con la macellazione dei maiali posseduti dal monastero, e
pertanto la carne porcina disponibile in dispensa era solo insaccata e stagionata). Anche
il regime alimentare delle suore di Serra de Conti contemplava pertanto per la tavola di
questa giornata questo legume, da sempre tradizionalmente legato alla commemorazione
dei defunti82: oltre a cucinarle appunto in una zuppa di grasso, impreziosita da tagli di
carne suina83, le clarisse praticavano la tradizione, tuttora viva un po ovunque, di
confezionare per questa ricorrenza dei dolcetti in pasta di mandorle chiamati Fave dei
morti84. Questi pasticcini ricorrono appunto con questo nome nelle tipicit del due di
novembre in molte zone dItalia, e mantengono nel nome la memoria di questi legumi
presenti nei culti funebri gi in epoca antica e nella cultura della civilt greco-romana 85.
In relazione alla data della commemorazione dei defunti possono essere annotate anche
le regole di dispensa e della convivialit legate anche ai momenti luttuosi del monastero,
quando si spegnevano le vite delle religiose appartenenti questa comunit. In genere
frequente trovare negli archivi di famiglie nobili carte di spesa relative allospitalit
dovuta a parenti venuti da lontano a rendere omaggio ai defunti ed a prendere parte al
cordoglio familiare. In genere questi fogli annotano anche cosa stato offerto per
rifocillare questi ospiti86, ed allo stesso modo anche il regolamento di dispensa del
monastero di Serra de Conti contempla alcune prescrizioni per gestire gli aspetti pi
pratici di questi eventi dolorosi. Per quando moiono le monache sono previsti
trattamenti specifici per tutte le persone coinvolte in questi momenti 87. Ad esempio ai 9
coloni delle esequie si danno da mangiare tagliolini e pagnotta bianca e sei pagnotte
bianche da portare a casa, alla fornara e a chi dispensa le candelette si offrono un
piatto cupo e mezzo reale di tagliolini, due pagnotte di pane bianco e una vasetta di
vino; a chi viene alla camera ardente per guardare la defunta si pagano le spese e due
pagnotte di pane bianco ogni volta che si mangia, ed infine alla beccamorta si
garantiva una piatella di tagliolini, due pagnotte bianche, una vasetta di vino, due
80

Antologia della cucina popolare, Fabriano, 1993, p. 44: Questa pietanza viene lasciata sulla tavola
apparecchiata, con pane e vino, in una stanza illuminata tutta la notte. Unantica tradizione vuole che in
questa notte ogni defunto ritorni a far visita alla sua casa e ai suoi familiari.
81
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
82
P. CAMPORESI (nota di p. 543 in P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di
P.CAMPORESI, Torino, 2001) riporta anche alcuni passaggi di Teofilo Folengo, sul consumo rituale della
fava per questa circostanza: Luso, ben noto al Folengo, di distribuire ai poveri minestre di fave in
novembre, il giorno dei morti, risale senza dubbio ai tempi delle superstizioni pagane, quando le fave
venivano adoperate nei riti propiziatori delle ombre dei trapassati. Era un uso che vigeva un po
dappertutto
83
Riguardo allusanza di mangiare per il due di novembre zuppe di fave con carne di maiale si veda anche
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, pp. 189.
84
In ARTUSI (op. cit., p. 543) sono chiamati Fave alla romana o dei morti. Si veda comunque nelle
pagine successive la scheda di accompagno alla trascrizione della ricetta.
85
A. CATTABIANI, Florario, Milano, 1996, p. 469: La fava era il nutrimento preferito dei morti, tant
vero che si usava gettare nelle tombe delle fave che, grazie alla loro componente sanguigna, davano loro
energia negli inferi. Si mangiavano nel silicernium, il pasto funebre raffigurato in molti mosaici
pavimentali, di cui abbiamo ancora uneco sbiadita nelluso di cibarsi in occasione della
Commemorazione dei Defunti di dolci a base di pasta di mandorle che vengono detti anche fave.
86
Un esempio in questo senso, incontrato da chi scrive, sono le note spese della famiglia Pianetti di Jesi.
87
P. DONADI (op. cit., p. 98) nota prescrizioni di ugual natura nei documenti darchivio del monastero
benedettino femminile di Santa Maria Maddalena di Urbania: Nella morte di qualche religiosa, alli
quattro fratelli della Morte di da otto pani e un bocale di vino; al becchino se li da quattro pani, e un mezzo
di vino e un formaggino.

33

scodelle di fave ed un pezzo di lardo, mentre a chi mura la sepoltura si regalavano


due pagnotte bianche ed una vasetta di vino88.
Un altro cibo fortemente connotato simbolicamente anche naturalmente la carne, come
si gi avuto modo di dire. Da sempre il calendario della mensa parallelo a quello
liturgico suddivideva lanno in termini di presenza ed assenza di questo alimento
sacrificale. Nelle grandi feste cristiane la mensa era perci contraddistinta da grandi
pietanze di carne, con abbondanza di assortimento sia nelle qualit sia nei modi di
preparazione. Un esempio significativo a riguardo sempre la tavola imbandita per la
ricorrenza del Natale, che secondo un saggio rituale millenario era doveroso consacrare
con una solenne fine del periodo di magro preparatorio dellavvento. Tra le carte delle
clarisse, oltre a leggere ad esempio la ricetta per il ripieno dei cappelletti (classica pasta
farcita del pranzo natalizio marchigiano) si ritrova nel regolamento di dispensa la lista
per il pranzo del 25 di dicembre. Dopo la minestra venivano serviti bolliti, arrosti,
guazzetti ma anche specialit caratteristiche come il migliaccio, le polpette, le frattaglie
fritte come arnioni89, coratella, cervello90.
Ma dovendo individuare un momento veramente canonico, sancito liturgicamente, per
un consumo lauto (in certi contesti davvero tracimante di carne), la scelta cade
inesorabilmente sul carnevale.
Gi nel nome91 si legge il carattere di liceit del grasso per questo periodo spensierato
ed eccessivo dellanno, che nel popolo assumeva la connotazione di una vera
gozzoviglia comandata per esorcizzare i rigori alimentari obbligatori del lungo magro
quaresimale. Nel monastero di Santa Maria Maddalena si rispettava ugualmente questa
consuetudine, con saggi accorgimenti per temperare gli eccessi: ad esempio il Gioved
Grasso si cucinavano per pranzo minestra, lesso ed arrosto di agnello o pollo, mentre
provvidenzialmente la mensa del refettorio risultava pi parca per la cena, con minestra
ed insalata92. Lapice si raggiungeva naturalmente al Marted Grasso, ultimo giorno del
carnevale: si cucinava per i fattori un legittimo trionfo di carne, per celebrare
degnamente la fine della concessione carnascialesca. Dopo la minestra dapertura si
serviva un trittico di servizi di secondi piatti che ricordava la teoria di succulente
pietanze carnee preparate con differenti tecniche di cottura, secondo la prassi consueta
fin dai conviti medioevali93: il pasto carnevalesco per eccellenza del monastero di Serra
de Conti partiva cos dal lesso di castrato, giungeva poi allentrata centrale dellarrosto di
pollo, per concludersi poi con il fritto di agnello 94. Anche in questa giornata,
prudentemente pi parca e vegetale era la cena (quasi a far aleggiare lincombente clima
del magro quaresimale), dove dopo i maccheroni si consumavano con insalata frittate,
oppure uova95. Ma riguardo alle uova, terminato il carnevale, e raggiunta anche la fine
della conseguente quaresima, troviamo una simbologia per precisa che le riguarda,
durante lattesa della domenica annuale contrassegnata dalla festivit pasquale.
88

ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
Arnione sinonimo di rognone. Ad esempio lArtusi fin dalla prima edizione (1981) del suo ricettario
propone tre ricette a riguardo Arnioni saltati, Arnioni per colazione e Arnioni alla fiorentina (P.
ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di E. FACCIOLI, Torino, 2001, pp. 279 280).
90
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
91
A. CATTABIANI, Calendario, Milano, 1999, pp. 150-152, e Lunario, Milano, 2001, pp. 48-49. Tra le
possibili etimologie Carni vale!, in latino Addio alla carne, perch le riserve in dispensa di questo cibo
stavano finendo, od anche perch, appunto, iniziava la quaresima da questo consumo si sarebbe stati
lontani per parecchio tempo. Unaltra delle possibili etimologie potrebbe essere appunto Carni levamen,
ossia dare sollievo alla carne, nel senso di concedere un giusto circoscritto sfogo ai piaceri vitali pi
immediati di gola e corpo, alla sensualit degli appetiti fisici.
92
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
93
Cfr. C. BENPORAT, Storia della gastronomia italiana, Milano, 1991; O. REDON F. SABBAN S.
SERVENTI, A tavola nel Medioevo, Roma Bari, 1995, pp. 56-57
94
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo
95
Ibidem
89

34

LE UOVA DECORATE: UN RITUALE CONVIVIALE DELLA VIGILIA E


DELLA MATTINA DI PASQUA
I preparativi pasquali iniziavano in parte gi con il Sabato delle Palme: ad alcuni
eminenti amici del monastero, come il Padre Confessore si portava una leccornia ancora
quaresimale gi incontrata: un piatto e mezzo reale di frittelle con borragine o
meli96. Stando alla classificazione tipologica dei piatti, secondo i criteri gerarchici
propri dell ancient rgime, il piatto reale era un coperto individuale delle dimensioni
massime, appunto degno di re, secondo per valore solo a quelli ben pi rari, sontuosi ed
enormi, giustamente chiamati Imperiali. Questa capace stoviglia ricorre anche come
unit di misura per il dono al fattore durante il raccolto del grano, quando come dono
simbolicamente celebrativo si portava un piatto cupo e mezzo reale di tagliolini (come
s gi visto apprezzata manifattura monastica) due pagnotte, pane e vasetta di vino97.
Il Mercoled Santo si preparavano le classiche focacce marchigiane ricorrenti a Pasqua,
secondo una tradizione arrivata fino ad oggi: le cresce preparate a met della settimana
santa dalle clarisse di Serra de Conti erano dolci ed arricchite con mandorle 98, in attesa
di fabbricare anche le altre tipiche al formaggio gi incontrare in precedenza. Molte altre
erano per le specialit di pasticceria confezionate il Mercoled Santo nel monastero di
Santa Maria Maddalena: oltre alle cialde ed alle spighette99, si preparava l Agnelletto
buono100, un dolce a forma di agnello preparato secondo la carta di dispensa con aromi,
pepe, olio, zucchero, mandorle, farina e lievito, ed anche i cappi, probabilmente delle
frittelle di cordoncini di pasta annodata (preparati con farina, vino e zafferano e si
danno a piacimento con zucchero e miele 101). Unaltra nota per la vigilia rivela poi una
tradizione secolare legata alla festivit pasquale: si legge infatti come si intostano le
uova per pingerle, bollendole cio con erbe e sostanze vegetali coloranti, per poi
portarle cos ornate alla benedizione mattutina pasquale 102. Le uova sode hanno unantica
tradizione nei rituali pasquali. Luovo in effetti magnifico simbolo di nascita e ciclicit,
di risveglio alla vita, sintesi perfetta dello spirito della Pasqua come avvento di una
nuova vita, e della celebrazione della Resurrezione di Cristo. Il dono delle uova in questa
domenica molto speciale ha pertanto radici perse nel tempo. Nella tradizione contadina
italiana si osservava luso di preparare le uova il gran giorno, impreziosendole dallestro
di rudimentali decorazioni fatte in casa: venivano colorate, bollendole in lacqua con
linfusione di sostanze tintorie naturali, come fiori, erbe, bacche, ortaggi, e di ornarle
infine con nastri ed altri orpelli. Un espediente adottato era quello di rivestire i gusci con
strati di cipolla, mettendo per dentro questi involucri alcuni fiorellini e foglioline, in
modo che queste sagome restassero impresse nelleffetto finale di tintura103. Molto
curioso e geniale un espediente ornamentale per le uova sode pasquale adottato dalle
clarisse di Serra de Conti: tra gli appunti manoscritti di cucina si leggono infatti in un
foglio le istruzioni Per scrivere una lettera dentro un ovo, che non si potr leggere se
non si leva la scorza. Questa la trascrizione della ricetta: Piglia un Ovo, poi
distempra alume di rocco con un poco daceto; scriverai con questo liquore sopra la
crosta dellovo qllo che ti piace, e fallo stare al sole gagliardo, che si seccaranno le
96

Ibidem
Ibidem
98
Si veda la trascrizione della ricetta da unaltra carta darchivio nelle pagine seguenti.
99
La ricetta delle spighette presente anche nel ricettario anonimo del 1891 Cuoco perfetto marchigiano
(ed Ancona, 1987)
100
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo. Del dolce a
forma di agnello si veda la ricetta, tratta da altre carte darchivio, trascritta nelle pagine seguenti.
101
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo.
102
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo.
103
G. GINOBILI, Tradizioni e costumanze popolari marchigiane, Macerata, 1942
97

35

lettere, poi metti lovo in acqua salsa per due giorni, alla fine levalo fuori, e lascia, che si
asciughi allombra et asciutto fallo cuocere in acqua, tanto che venga duro, e le lettere
saranno penetrate dentro del bianco dellovo, che si potranno leggere 104; lallume di
rocca, con cui si tracciavano le iscrizioni ed i disegni segreti (da scoprire giocosamente a
tavola man mano che si toglievano i gusci) era lallume di potassio, sostanza usata in
tintoria, per la conciatura delle pelli, e per la chiarificazione delle acque. Una volta
decorate con i vari trucchi, le uova venivano generalmente poi messe dentro panieri, e
portate ad essere benedette nella messa della mattina di Pasqua, per essere infine
mangiate nella colazione, altra usanza diffusa in tutta Italia. Lo spuntino mattutino
pasquale interrompe infatti gioiosamente il digiuno e lastinenza dalla carne, che non
durava solo dal Venerd di Passione, ma idealmente era iniziato con il Mercoled delle
Ceneri, ben quaranta giorni prima. Ma le uova, cibo appunto simbolico della pasqua,
ricorrevano anche nella preparazione delle frittate, preparate con le prime erbe
primaverili spuntate105 ed anche con le teste106 dellagnello macellato per loccasione. Ed
infatti nel pranzo di Pasqua delle clarisse si cucinavano lesso, minestra, coratella
dagnello fritta107, frittata con testa dagnello e uova sode108.
ESTETICA CONVIVIALE DI
PRESENTAZIONE DEI DOLCI

PASTICCERIA:

FORME,

DECORI

Lavvicinarsi della Pasqua, e come si gi visto in precedenza del Natale, comportava


anche per le clarisse il grande lavoro nel confezionare grandi quantitativi di torte,
biscotti, pasticcini ed altre leccornie dolci da regalare alle personalit, eminenti e non,
amiche e solidali con il monastero109. Spesso questi dolci avevano un carattere
cerimoniale e simbolico non solo negli ingredienti di composizione, che spesso
celebravano la stagionalit dei prodotti, ma anche come gi si visto alle forme che si
davano a queste raffinate creazioni di pasticceria, che diventavano con minuziosi
accorgimenti estetici anche piccoli garbati esempi di arte applicata. Si sono gi
incontrate le torte pasquali o natalizie modellate nelle sembianze di agnello o serpente,
animali che fin dai bestiari medioevali rivestono molteplici significati e rimandi
allegorici. Altra foggia particolare hanno i mostaccioli fatti a forma di stella, altra
sembianza che spesso ricorreva nei repertori ornamentali dei prodotti dolciari,
inventariata fin dal tardo Cinquecento anche da Tommaso Garzoni nel capitolo dedicato
ai fornai, ciambellai ed offelieri (pasticceri) nella sua opera La Piazza Universale,
vera enciclopedia descrittiva di tutte le arti e professioni dellultimo Rinascimento 110.
104

ASMM, b. 7 Ricettario, XIX secolo, Fascicolo 1


Antologia della cucina popolare, Fabriano, 1993, p. 98: particolarmente ricorrente e caratteristica nella
tradizione marchigiana era la frittata con la menduccia, dove assieme appunto alla menta di metteva
anche aglio, prezzemolo, qualche foglie di erba della Madonna, due rametti di menta romana,
parmigiano e pancetta.
106
Ivi, p. 99: nella tradizione contadina le testarelle dagnello si facevano arrosto con maggiorana,
salvia, rosmarino, aglio, sale, pepe e lardo.
107
Ivi, p. 98: sempre secondo la tradizione popolare delle campagne del fabrianese e dellentroterra
anconetano in genere, la coratella si friggeva in una padella di ferro, con olio, rosmarino, cipolla, sale e
pepe, ed una spruzzata conclusiva di succo di limone.
108
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo.
109
P. DONADI, La Regola e lo spirito: Arte, cultura, quotidianit nei monasteri femminili, Milano, 2003, p.
99: Di fatto questi biscotti hanno sempre avuto, ed hanno tuttoggi, la funzione di un legame affettivo e
in qualche modo civico con il mondo esterno: erano inviati a Monsignor Vescovo (il gabar grande), al
Vicario (quel pi piccolo), al Padre Confessore, al Sindaco, al Capellano, al Padre Predicatore, ma anche
per regala alli operaie queste [paste] si fanno a giudizio, pi piccole o pi grandi e devono essere o
undici o dodici [a confezione].
110
T. GARZONI, La Piazza Universale, Torino, 1995, vol II, p. 1354. Nel Discorso CXXXIII: De fornari,
o panatieri, e confertinari e zambellari e offellari e cialdonari, nellassimilare appunto larte dei panettieri
a quella dei fabbricanti di prodotti dolci come confertini (confetture di mele), ciambelle, offelle (pasticcini
105

36

Questi mostaccioli, nota specialit delle clarisse, erano preparati per loccasione di una
ricorrenza importantissima per il monastero di Serra de Conti, la festa di Santa Maria
Maddalena al 22 di luglio. Come da consuetudine per le festivit pi solenni durante la
vigilia del 21, nonostante il caldo, il tavolo da cucina si animava ed il forno si accendeva
per lunghe e laboriose fatiche di pasticceria: oltre ai mostaccioli a stella si cuocevano il
buccellato, il pan di spagna, le cotolette dallovo, biscottini da zucchero 111. Con questi
dolci molto probabilmente le clarisse ricambiavano i regali ricevuti per loccasione dai
contadini, in particolare torte e come gi si visto latte fresco, Si legge infatti nel
regolamento di dispensa: si preparano ai coloni che portano le torte delle canestre con 4
biscotti grossi, due mane speziate, pagnottelle, merletti di Francia, fettucce a chi porta
anche il latte. A quelli di Serra si da da bere a quelli da fuori si da da bere e da
mangiare112.
Labilit di conferire a queste creazioni di pasticceria un aspetto particolare era
certamente supportata dalla presenza di molti stampi, come testimonia unapposita
vetrina nel Museo delle Arti Monastiche. Tra questi si vede il supporto il legno per
conferire alla pasta di mandorle laspetto curioso di altre qualit di frutta, come ad
esempio fichi e castagne modellati appunto nel marzapane come testimoniano anche
alcune apposite ricette della raccolta di appunti manoscritti di cucina delle clarisse113.
Altri accorgimenti estetici per presentare trionfalmente i dolci nelle grandi occasioni
riguardava la pasticceria fresca. Il vasto repertorio di ricette di crema, non solo
assecondava una appetibile variet di aromi e sapori (cioccolata, vaniglia, rosolio,
cannella, caff ecc.) ma consentiva anche di giocare su ingredienti che conferivano
sfumature e tonalit di colori differenti, in modo da potersi sbizzarrire con suggestivi
accostamenti cromatici in alcune determinate ricette; una particolare cura nello
strutturare scenograficamente uno di questi dolci si legge ad esempio nella ricetta della
zuppa inglese, dove si raccomanda di costruire la cupola dei savoiardi con particolare
senso della simmetria, per poi intarsiarla con i colori di liquori, creme e meringhe114.
RICEVIMENTI SPECIALI NEL MONASTERO CON APPOSITI SERVIZI
DOLCI DA CREDENZA
Nellantica terminologia delle pratiche e delle arti conviviali le portate si distinguevano
in servizi di cucina ed in servizi di credenza. I primi costituivano naturalmente i piatti
caldi, indispensabili nei pranzi e nelle cene, mentre generalmente i secondi costituivano
le pietanze fredde, pi sfiziose, che secondo consuetudine aprivano e chiudevano i pasti,
coincidendo con gli attuali antipasto e dessert115. Ed infatti spesso le portate di credenza
comprendevano dolci, o comunque cibi da gustare anche in piedi, con il termine odierno
ripieni) e cialdoni, il Garzoni scrive appunto oltre al pane questi artigiani producono le fugazze [focacce],
le pizzi, le torte, le ciambelle, le bracciatelle [piccole ciambelle] (o bianche, o zucherate o forti), i
biscotelli, i burlenghi [pasticcini carnevaleschi, da cui probabilmente i berlingozzi tipici anche del
pesarese], il biscotto, le nevole [probabilmente le meringhe], i storti, gli occhietti, la festa, le offelle [], i
sosamelli [probabilmente cosparsi di sesamo], i mostazzoli, le fogaccine, i ritortelli [dalla forma ritorta], i
cialdoni []. Sempre il Garzoni invece nel Discorso XCIII: De cuochi e altri ministri simili, come
scalchi, guatari, credenzieri, trincianti, canevari o bottiglieri, servitori da tavola, convitanti, et caetera (op.
cit., p. 1099) riporta unaltra serie di lavori di pasta, alcuni riconducili alla pasticceria: [] sfogliate di
pi sorti, [] tortelli, tortelletti, ritortelli, truffoli, ravioli senza spoglia [] casatelle, morselli, pasta
tedesca, stelle, stellette, offelle, fiadoni, fiadoncelli [dolci tipici del Trentino], rosoni, guanti [specie di
ravioli], torte [] pastelli, pastelletti, [] frittelle, fritteline, migliaccio, crostelli, crostate [].
111
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo.
112
ASMM, Registro cartaceo con regolamento della dispensa, b. 7 Ricettario, XIX secolo.
113
Si veda la trascrizione della ricetta con relativo commento nelle pagine seguenti.
114
SI veda nelle pagine seguenti la trascrizione ed il commento della ricetta.
115
Cfr. C. BENPORAT, Storia della gastronomia italiana, Milano, 1991; O. REDON F. SABBAN S.
SERVENTI, A tavola nel Rinascimento, Roma Bari, 1996, pp. 56-57.

37

di buffet. Tra i titoli del ricettario manoscritto delle clarisse di Serra de Conti esiste
pertanto la dicitura dei servizi da credenza116, intendendo per questo alcune preparazioni,
ed in particolare appunto i dolci, da servire per alcuni piccoli ricevimenti, molto
frequenti nel monastero in prossimit delle visite di parenti o personalit illustri. Un
documento descrive ad esempio cosa fu apparecchiato per ricevere il vescovo di
Senigallia nel 1829 che giunse al monastero per lordinazione di alcune suore. La nota
spesa per il pranzo e per la cena riporta lacquisto di quattro paia e mezzo di capponi e
pollastri, la met circa di pollanche, e poi anche diverse libre di vitella, pesce,
parmigiano, erbaggi vari, burro, latte ed infine zucchero, per appunto piatti di
credenza117; poi per altri momenti della giornata caff, cioccolata, cannella, chiodi di
garofano, mandorle, uova e zucchero per confezionare i dolci; furono comprate anche
provviste a parte per regalo al E.mo vescovo, e gli furono cos donate dello zuccaro
in pane, omaggio cerimoniale ricorrente (anche nelle Marche) e del caff118 (in
proposito si notano ugualmente le spese per una pane di zucaro per donare alla maestra
in un documento sulle cibarie acquistare per la vestizione di una benedettina al
monastero di Santa Maria Maddalena di Casteldurante119).
Naturalmente il rinfresco che si approntava per la vestizione delle monache era uno dei
rituali conviviali per eccellenza del monastero. Un altro documento datato 1842 (ma
copia di uno precedente, per cui databile anche al Settecento) riporta le spese che
dovevano sostenere le giovani per il ricevimento successivo alla cerimonia della
vestizione120: questa carta oltre a riportare linventario del corredo necessario per le
nuove suore (differenziato gerarchicamente per coriste e converse) specifica quali
sono gli ingredienti che vanno comprati per confezionare i dolci per il ricevimento.
Questa la lista di Quanto occorre per fare le Paste nella Vestizione e Professione per li
bacili alli sopra notati (ossia lelenco dei vari recipienti di queste leccornie da donarsi ai
vari notabili): oltre a quattro qualit di zucchero diverse, vi sono le immancabili
mandorle (dolci ed amare), i pinoli, limoni, lamido, aromi come anici, chiodi di
garofano, cannella detta Regina, e soprattutto il caff e la cioccolata, che si
raccomanda buona121. La cioccolata ha una lunga tradizione nella cultura conviviale
monastica122, come si vedr in seguito: ricorre spesso in molte ricette delle clarisse di
Serra de Conti, e per quanto non figuri nessuna ricetta specifica per la preparazione
della bevanda, il ricco corredo di cioccolatiere e tazze specifiche, tuttora conservate nel
Museo delle Arti Monastiche, attesta un consumo frequente del tipico squaglio 123.
116

ASMM, b. 7, Ricettario, XIX secolo. Il primo sottofascicolo reca lintestazione Maniera per fare piatti
di credenza tanto di grasso come di magro.
117
ASMM, b. , Nota delle spese occorse in occasione della venuta dellE.mo Sig. Cardinal Vescovo di
Senigallia nel rivestire del Santo Abito le Religiose tutte di questo monastero, XIX secolo.
118
Ibidem. Su esempi di antichi doni cerimoniali in zucchero nel territorio anconetano cfr. T. LUCCHETTI,
Le arti dei decori e degli apparati effimeri nelle feste pubbliche e cerimonie conviviali tra XVI e XVII
secolo, <Atti e memore di Deputazione di Storia Patria delle Marche>, 104, 2004
119
P. DONADI, (op. cit., p. 74) riporta un documento relativo alle spese per il pasto celebrativo della
vestizione di una nobile presso il monastero delle benedettino di Casteldurante (Urbania).
120
Ibidem. oltre a tantissima carne (capponi, porchetta, vaccina, agnello) si comprarono specierie e
confettioni, mel appie da far torte.
121
ASMM, b. , Copia di nota delle Spese che occorrono per la Monacazione di una Religiosa Corista, e
Conversa in questo Monastero di Santa M. Maddalena, XIX secolo.
122
Sul carattere della cioccolata come cibo di magro cfr P. CAMPORESI, Il brodo indiano, 1990; HUETZ
DE LEMPS A., (Le bevande coloniali, the, caff, cioccolata, in Storia dellalimentazione, Roma Bari,
1997, p.. 492) fa risalire, secondo alcune tradizioni messicane, la nascita del prototipo di bevanda di
cioccolata zuccherata ad un gruppo di religiose insediate a Oaxaca.
123
Unantica ricetta di squaglio di cioccolata del vicino monastero di Jesi riportata da S. PAPA (La cucina
dei monasteri, Milano, 1982): Squaglio delle clarisse Santissima Annunziata: Per 25 persone litri 5 di
liquido: 2 e mezzo di latte e 2 e mezzo di acqua. Cacao once 6. Zucchero once 24 ossia libbre 2. Una o due
cartine di vaniglia. Fecola gr. 80. Ci sta bene anche il rum o rosolio.

38

Anche il caff, che a partire dal Settecento cominci ad avere notevole diffusione 124, era
consumato evidentemente dalle clarisse, anche perch un appunto manoscritto del
ricettario illustra appunto le migliori modalit di consumo del caff, descrivendone
anche propriet ed effetti, e raccomandando in chiusura di servirsi per infondere di un
vaso di porcellana, di majolica, o di argento125. Ma tra i dolci infusi che si servivano in
queste circostanze, oltre a cioccolata e caff non mancavano certamente liquori e
distillati alcolici126: nel museo si conservano ancora diverse bottigliette di maraschino
proveniente da Zara, citt che ha da sempre una lunghissima conclamata tradizione nella
produzione di questo profumato liquore alla ciliegia amara 127. Ma le clarisse di Serra de
Conti eccellevano loro stesse nella produzione di distillati dolci liquorosi, come ad
esempio il rosolio, nelle sue profumate varianti al cioccolato, al caff, alla cannella, alla
vaniglia, ai chiodi di garofano128. Anche questa un ennesima riprova di come la
secolare curiosit monacale, che fin da Medioevo carp lintuizione di ricavare dal vino
lo spirito, ossia la balsamica acqua della vita (in latino aqua vitae, da cui il termine
universale acquavite129), ha sempre saputo trasformarsi da dotta competenza,
esclusivamente scientifica, in crogiolo distillante raffinate squisitezze della convivialit.

124

Sullavvento del caff in Italia tramite Venezia, la diffusione di questa bevanda, la trattatistica, i
pregiudizi e le diffidenze del mondo cristiano in quanto questa consuetudine era propria dei turchi, fa
riferimento F.CARDINI (Per una storia a tavola, Firenze, 1994, pagg. 119-127).
125
ASMM, b. 7 Ricettario, XIX secolo, fascicolo 1.
126
P. DONADI (op. cit., p. 99) riguardo agli omaggi ed offerte di dolcida parte delle benedettine di Urbania,
riporta ugualmente che questi manicaretti potevano essere accompagnati da una boccia di vino da
quattro fogliette, da cioccolata, da caff e, raramente, da una bottiglia di rosolio.
127
Storia del maraschino, Padova, 1953, p. 11: E questo un prodotto tipico della Dalmazia, che ad esso
lega il suo nome nellEvo Moderno, come nellEvo Antico leg il suo nome allo zabajone e nellEvo
Moderno alla galantina. Fin dai tempi antichi si leggono nelle vecchie cronache menzioni di acqua di
rose o olio di rose, e, dagli inventari delle Case zaratine dei secoli XIV e XV, sembra che ogni
ragguardevole famiglia ne fosse fornita. (Questo opuscolo una strenna promozionale dellantica ditta
Luxardo).
128
ASMM, b. 7, Ricettario, XIX secolo. Il terzo sottofascicolo reca lintestazione Metodo per fare caff,
alchermes, rosoli e grate bevande.
129
A. CAPATTI M. MONTANARI, Storia della cucina italiana, Roma - Bari, 1999. Cfr. anche Liquori e
sciroppi fatti in casa: antiche ricette e segreti per preparare ratafi, elisir, rosoli, amari e vini
aromatizzati, Casale Monferrato, 2003.

39

RICETTARIO

40

" Precisiamo che tutte le ricette, un po' modernizzate, sono state tutte sperimentate e quindi di
volta in volta sono indicate con la necessaria precisione: l'elenco degli ingredienti (la maggior
parte dei quali reperibili nei supermercati o nei negozi di alimentari), le quantit pesate e
misurate, e i tempi di cottura.
In alcuni casi gli ingredienti e le loro dosi sono state rivalutate in considerazione del
cambiamento del gusto, cos come i tempi di cottura sono stati adattati alle nuove tecniche di
cucina."

41

Le ricette trascritte in questa parte, sono tutte tratte dalla busta numero 7
dellArchivio del monastero di Santa Maria Maddalena di Serra de Conti.
La busta cos strutturata. Vi sono due piccoli registri cartacei manoscritti
rilegati: il primo il regolamento di dispensa, di 23 carte, che contiene anche
degli stringatissimi appunti di cucina, oltre alle indicazioni sulla
somministrazione e limpiego del cibo conservato, e sui doni in alimenti da
elargire durante lanno, anche come compenso per prestazioni di lavoro svolte
allinterno del monastero. Il secondo registrino cartaceo, di 14 carte, contiene
invece solo ricette di cucina.
Vi sono anche molte carte sciolte, raccolte in un fascicolo denominato
Ricettario, contenente a sua volta sette sottofascicoli.
Il primo sottofascicolo si intitola Maniera per fare piatti di credenza tanto di
grasso come di magro.
Il secondo sottofascicolo si intitola Metodo per fare le paste dolci.
Il terzo sottofascicolo si intitola Metodo per fare caff, alchermes, rosoli e grate
bevande.
Il quarto sottofascicolo si intitola Metodo per fare salami di carne.
Dagli ultimi tre sottofascicoli che non contengono prescrizioni di cucina, non
stata tratta nessuna ricetta (quinto sottofascicolo: Metodi per fare le tinte di ogni
colore; sesto sottofascicolo: Metodo per fare il sapone; settimo sottofascicolo:
Metodo per fare linchiostro)130.
Tutte le ricette sono state datate al diciannovesimo secolo, ma vi sono alcune
carte che risalgono probabilmente alla fine del Settecento, ed alcune possono
invece collocarsi ai primi anni del Novecento.

130

Monastero di Santa Maria Maddalena di Serra de Conti. Inventario darchivio (1500 1988),
op. cit., pp. 40-41.

42

Tipi particolari di pane


Panociati
Per fare i Panociati per ventiquattro Persone, il P. Confessore, e Fattore, ci
vuole la Farina, libre 17, una foglietta dolio, sale oncie tre, unoncia di pepe,
Noci cinque libre.
Una breve notula nel regolamento di dispensa riporta questa piccola variante
della ricetta:
farina, noci, uva secca, pepe ed olio.
Le noci hanno sempre avuto grande importanza nella cultura monastica: la
raccolta di questi frutti da parte di fra Galdino nei Promessi Sposi conferma
limportanza di questo frutto nella dietetica, riconosciuto fin dallantichit dagli
scrittori classici (Plinio lo definiva ghianda di Giove), e poi confermato nei
secoli successivi dalla tradizione medioevale.
Uno dei pi antichi ricettari in lingua italiana, il manoscritto Libro per cuoco
redatto nel Trecento ad opera di un anonimo compilatore di area veneziana,
presenta la preparazione di un Pane de noxe maraviglioso e bone, impastato
con noci ed erbe tritate nel mortaio, ed insaporito anche con zucchero e spezie
dolci e forti, e poi modellato come una focaccia sottile, per la precisione una
fugaza, termine tuttora ricorrente nelle tradizione gastronomica veneta131.
Il panociato viene spesso definito un dolce- non dolce: una delle classiche
varianti sul tema universale e quotidiano del pane, una declinazione del cibo pi
ordinario con aggiunte preziose per circostanze particolari da ricordare e
festeggiare. Era una specialit che nella Marca centrale ed interna, dal fabrianese
allarea di Macerata (come anche in molte zone dellUmbria 132) era confezionata
generalmente per la ricorrenza dei morti, mentre nel pesarese era preparato per
Natale133. Nella tradizione contadina dellAlta Valle dellEsino alla massa del
pane si aggiungeva oltre alle noci una pari quantit di miele, aromi di cannella,
buccia di limone, ed un bicchierino di rum o mistr134.
La massa del pane cos impreziosita da un ingrediente desueto, che sottolinea
inequivocabilmente il carattere estemporaneo delleccezionalit. In questo caso
sono le noci a rendere speciali le pagnotte rivestite a festa, come in questa
versione austera del panociato presente appunto nel ricettario del monastero di
Serra de Conti. A mano a mano per a questo primo ingrediente caratterizzante
si sono aggiunte altre golosit a rendere questa specialit ancora pi
festosamente appetibile: innanzitutto si dolcificava la pasta con zucchero o
miele, connotandola ancor pi come leccornia di pasticceria con laggiunta anche
di uvetta passita; inevitabilmente si tendeva anche a rendere grasso e succulento
limpasto con dello strutto, e pi delicato ed omogeneo con laggiunta di latte. La
fantasia poi poteva sbizzarrirsi negli aromi, da distillati liquorosi come il rum e le
specialit allanice (il mistr), la scorza di limone e la cannella. Una versione
ben pi ricca e maceratese aggiornata degli anni 50 del secolo scorso prevede
linserimento di un campionario completo di ingredienti della pasticceria
131

L. FRATI, Libro per cuoco, p. 49


Cfr. Saltando sui fuochi volando sui fiori: feste e usanze tradizionali in provincia di Terni, a
cura di M. PETRONIO, Terni, 1997; Le opere e i santi: tradizione alimentare e festivit rituale in
provincia di Terni, a cura di G. BARONTI, Terni, s.d
133
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 329.
134
Antologia della cucina popolare, Fabriano, 1993, p. 45: riguardo alla possibile aggiunta anche
di cacao gli autori sostengano che sia una mania recente.
132

43

moderna, dalla cioccolata grattugiata, al caff, allalchermes ed al rosolio,


sostituendo poi il burro allo strutto ed aggiungendo uova allimpasto base.
Ma il carattere basilare appunto di dolce non dolce ha creato delle varianti sul
tipo di una focaccia salata, come nella versione fanese che aggiunge al carattere
originario di pane con le noci la presenza di olio e formaggio pecorino tagliato a
dadini. La versione tradizionale di Camerino vira di nuovo al dolce questultimo
modulo di pasta di pane salata e pepata con noci e pecorino, aggiungendovi
mosto cotto e fichi secchi spezzettati135.

135

Ibidem.

44

Proviamo insieme
Panociati
Ingredienti per 10 porzioni
500 g di farina tipo 0
100 g di olio
50 g di lievito di birra
15 g di sale
5 g di pepe
200 g di noci a pezzetti
un uovo sbattuto per lucidare
Preparazione
Preparare con 50 g di farina, il lievito di birra un impasto e fatelo lievitare. Fare
la classica fontana con il rimanete della farina, versarci poi l'olio, latte, sale e
pepe, aggiungere il panetto di lievito preparato precedentemente. Impastare tutto
molto bene, la riuscita del pane dipende proprio dalla lavorazione della pasta
quindi unire le noci tritate grossolanamente.
Dividere limpasto in due pani, porli a lievitare sulla teglia unta per circa un'ora
coperti da un panno pulito Lucidarli con l'uovo sbattuto ed infornare a circa
200/220 gradi per circa 25/30 minuti.
Se volete potete gustarlo tiepido, vi consiglio di proporlo con formaggi
Segreti
Per lievitare bene e in fretta, si butta il panetto in una pentola di acqua a
circa 30/calda ma non troppo/ e quando viene a galla, in circa 5' minuti
poco pi, pronto .Potete anche farvi dare dal vostro fornaio pasta da pane
gi pronta e poi voi aggiungete gli ingredienti necessari.
Una versione pi ricca del panociato si ottiene aggiungendo uvetta cilena
appassita, scorzette di canditi, cannella e un mezzo bicchierino di rum o anice.
Dividete poi limpasto in piccoli pani, spennellateli con uovo sbattuto,
infornate a 180 C e fate cuocere per almeno 45 minuti, alzando il forno verso
fine cottura
Questi panini si possono gustare con zabaglione caldo o a colazione .

45

I buccellati
Per fare 30 Bucellati levitati ci vuole libre 28 di farina, mezza libbra di sale, 7
oncie danisi, e due fogliette dolio
Una breve notula nel regolamento di dispensa riporta questa piccola variante
della ricetta:
massa del pane, olio, anici, farina, lievito, sale e un tantino di vino
La denominazione indica delle ciambelle, dal latino buccellatum, da
buccella ossia boccone. In origine era un pane biscottato per i soldati, mentre
gi a partire dal Medioevo indicava un pane pi delicato, dal sapore dolce, che i
contadini offrivano ai padroni il giorno di Natale. Il nome originale sub poi le
inevitabili varianti legate ai contesti locali: a fine Cinquecento Scipione
Ammirato lo chiamava Puccellato, mentre nel Veneto tuttora conosciuto come
buzzol136.
Questa ricetta delle clarisse di Serra de Conti prescrive come confezionare una
focaccia di tipo salato resa peculiare dallaroma intenso dellanice. Tuttavia
anche in questo caso queste pagnotte sconfinavano spesso nella preparazione
dolce, con laggiunta di zucchero e miele. Ed in effetti tuttora tipica della valle
del Cesano una crescia con i semi di anici, arricchita nellimpasto anche con
strutto ed uovo. E questa progressiva trasformazione ha mantenuto le sue tracce,
dal momento che tuttora nelle Marche i buccellati aggiungono allolio, alla farina
ed agli anici della ricetta antica del monastero lo zucchero e la scorza grattugiata
dei limoni, oltre alle uova aggiunte successivamente nella produzione artigianale
recente. Pellegrino Artusi nel suo ricettario pubblicato in pi edizioni tra la fine
dellOttocento ed i primi del Novecento ne propone due versioni: la prima ricetta
delle Ciambelle ossia buccellati decisamente pi ricca, impastata con latte,
burro e lardo ed aromatizzata con gocce di Marsala e Rhum, mentre la seconda
variante, pi spartana ma impreziosita con buccia di limone, anici, e cedro
candito a pezzetti, si avvicina di pi agli appunti di questo antico quaderno di
cucina tuttora conservato nel monastero di Serra de Conti137.

136

P. CAMPORESI, Nota di p. 524, in P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a


cura di P. CAMPORESI, Torino, 2001
137
P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,
2001, pp. 524-527.

46

Proviamo insieme
Bucellati
1 versione
Ingredienti per 4 persone
300 grammi di farina
grammi da sale fino
semi di anice
olio di oliva
Preparazione
Impastate il tutto aiutandovi con acqua fino ad ottenere un impasto morbido ma
sodo. Ricavatene delle piccole ciambelle che infornerete a 180gradi per 20
minuti
2 versione
Ingredienti per 4 persone
300 g di farina sgusciate
50 g di noci
30 g di pinoli
30 g di scorzetta di arancia candita
50 g di zucchero
3 chiodi di garofano
1 cucchiaio di vino Marsala
125 g di burro
200 g di uva passa 300 grammi di fichi secchi
100 g di uvetta sultanina
Preparazione
Mescolate in una zuppiera la farina, il burro, lo zucchero e il cucchiaio di
Marsala ed amalgamate tutto con le mani. Lasciate riposare limpasto per unora
circa e dopo stendete la pasta con il mattarello. Preparate nel frattempo il ripieno
fatto dai fichi secchi, luva passa, uva sultanina, mandorle, i pinoli, la scorzetta di
arancia, , i chiodi di garofano ed un pizzico di pepe. Triturate tutto finemente
mescolando con un p di zucchero. Avvolgete il ripieno nella pasta, dando forma
di ciambella su cui farete delle piccole incisioni. Spennellate con tuorlo duovo
ed infornate per venti minuti a 180 Quando si sar raffreddato, decorate con
zucchero a velo . Il risultato un dolce veramente sorprendente .
Segreti
Se non volete preparare le scorzette darancia vi consiglio di acquistarle gi
pronte nei supermercati

47

Piatti di pasta
Maccheroni con le noci
Per fare i Maccaroni con le Noci per 3 persone, P. Confessore, e Fattore, ci
vuole 8 libre di noci, 1 libra e mezzo di Zuccara, molliche, Olio, Sale a
giudizio.
Ricette di maccheroni con le noci sono presenti fin da ricettari rinascimentali.
Nelle Marche, nelle zone delle valli dellEsino, del Metauro e dellalto
Maceratese, si serviva appunto condito con miele nella versione dolce, per le
vigilie di importanti festivit, come ad esempio la ricorrenza dei Santi ed il
Natale. Oltre al miele, al noci ed al pangrattato nelle campagne si metteva anche
cannella e buccia grattugiata darancia, oltre eventualmente ad un bicchierino di
liquore dolce come rum o mistr138. Questa versione dolce presente come piatto
tradizionale delle vigilie di magro, anche qui in genere di Ognissanti e di
Natale, anche nella vicina Umbria, dove in alcune varianti si arricchiva anche di
cioccolato, alchermes e buccia di limone139, come appunto nella ricetta degli
Gnocchi della Vigilia di Natale delle clarisse di Montefalco, dove la pasta
compera di qualsivoglia qualit (fischioni, penne, zite) una volta cotta
condita con noci tritate, cioccolata gratugiata, pangrattato molto fine, cannella,
scorza di limone, un pochino di alchermes e zucchero a gusto140.
Tornando alla Marche ad Urbania, nel monastero benedettino femminile di Santa
Maria Maddalena si facevano i maccheroni colle noci o miele o pure colle
sardelle nellultima domenica dAvvento141.
Ed in effetti la tradizione popolare marchigiana ha anche codificato la versione
salata di questo piatto, aggiungendo alle noci ed al pangrattato spicchi daglio,
cipolle, pepe ed acciughe142, e talvolta a partire da tempi pi recenti anche pezzi
di pomodori.

138

L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, pp. 128-129; Antologia della cucina
popolare, Fabriano, 1993, p. 43.
139
Cfr. Saltando sui fuochi volando sui fiori: feste e usanze tradizionali in provincia di Terni, a
cura di M. PETRONIO, Terni, 1997; Le opere e i santi: tradizione alimentare e festivit rituale in
provincia di Terni, a cura di G. BARONTI, Terni, s.d
140
S. PAPA (op. cit.., p. 71), riporta come le clarisse avevano ripreso la ricetta originale,
impiegando ossia lo stesso condimento anzich per la normale pasta, per una polenta di farina di
grano, poi stesa sul piano di marmo, ed una volta raffreddata tagliata a piccoli rombi.
141
P. DONADI (op. cit., p. 98).
142
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 129.

48

Proviamo insieme
Maccheroni con le noci
Ingredienti per 4 persone
farina gr 300
acqua quanto basta
noci sgusciate gr 300
zucchero gr 200
cannella in polvere molta
olio di oliva qb
sale
mollica di pane
Preparazione
Impastare la farina con l'acqua e lavorare la pasta finch non sia bella liscia,
stenderla pi fine che si pu e farla asciugare. Frantumare il pi possibile le noci,
unire lo zucchero, la cannella e se credete, un poco di olio, la mollica bagnata
nel latte e poi strizzata.
Tagliare la pasta come se fossero tagliatelle, lessarla in acqua salata, scolarla non
eccessivamente e condirla calda con l'impasto di noci preparato precedentemente
Era il piatto che rifiniva le due cene di magro pi ricche e importanti dell'anno: la
vigilia di tutti Santi e la vigilia di Natale.
Segreti
Non frantumare le noci nel mixer, piuttosto comperate una salsa di noci gi
pronta, ce ne sono delle ottime in commercio, aggiungete gli ingredienti della
ricetta. Se risultasse troppo denso aiutatevi con un poco dacqua della pasta di
cottura , aggiungete le tagliatelle e tiratele in padella.

49

Pasticci di maccheroni
Per fare i Pasticci di Maccaroni per 30 persone e P. Confessore, Fattore ed
altri soliti, ci vuole per la Massa Ova 70, una met con le chiare ed altra senza,
ogni ovo unoncia di strutto, e una di zuccaro, ci vuole un poco di limone
raspato. Per i Maccaroni poi ci vuole 18 Ova, e 4 dacqua acci vengano
teneri. Per condire i suddetti ci vuole 2 libbre e mezza di Zuccaro, unoncia
buona di canella, 2 libre di parmigiano; e i pezzetti di butiro, o vero pezzetti di
Formaggio Fresco.
Per fare i Pasticci di Maccaroni per 27 persone, P. Confessore, Fattore ed altri
soliti, ci vuole per la Massa Ova 90, trenta interi, ed il resto senza chiare, di
zuccaro un oncia per ovo, e cos lo strutto ed il limone raspato. Ci vuole 12 libre
di Maccaroni di Napoli, e per condirli ci vuole 2 libbre di Parmigiano, e 4 libre
fresco, unoncia e mezza di canella, 3 libre di Zuccaro; e i pezzetti di Maghetti.
Nel dialetto marchigiano i maghetti sono le rigaglie o ventrigli di pollo (durello,
budellini, bargigli, fegato, cuore, testa, collo, cresta, zampe), impiegati secondo
tradizione per preparare il rag.
Limpiego della dolce pasta frolla per linvolucro non deve affatto stupire: nei
secoli passati il gusto e la percezione dei sapori aveva un carattere diverso da
quello attuale: a poco pi di un secolo si riferisce la descrizione del sontuoso
timballo di maccheroni nel Gattopardo di Tommasi da Lampedusa. La pietanza
scelta dal principe di Salina per i suoi commensali, legatissime alle loro
tradizioni ed ostili alle mode francesi, fece cos il suo ingresso trionfale nel
salone imbandito di Donnafugata: Loro brunito dellinvolucro, la fragranza di
zucchero e cannella che ne emanava non erano che il preludio della sensazione di
delizia che si sprigionava dallinterno quando il coltello squarciava la crosta: ne
erompeva dapprima un vapore carico di aromi, si scorgevano poi i fegatini di
pollo, gli ovetti duri, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi impigliate
nella massa untuosa, caldissima dei maccheroncini corti cui lestratto di carne
conferiva un prezioso color camoscio. Gli stessi numerosi ingredienti, in una
versione davvero straripante sono proposti anche da Pellegrino Artusi per il suo
Pasticcio di Maccheroni nella Scienza in cucina e larte di mangiar bene143.
Per quanto potessero esistere anche versioni meno ricercate, come questa delle
clarisse di Serra de Conti, si trattava sempre di una ricetta elaboratamente
sontuosa, perfetta per le grandi occasioni, per le ricorrenze pi memorabili:
timballo di maccheroni rappresenta il concetto stesso dellartificiosa cucina delle
feste. Allorigine sta la struttura culinaria del pasticcio, al tempo stesso forma
immaginario dellimmaginario conviviale, archetipo medioevale e rinascimentale
del piacere conviviale. Nei banchetti pi prestigiosi dei secoli passati presentare
questi preziosi involucri di pasta, ripieni delle pi svariate golose leccornie,
rappresentava un intrattenimento ludico oltre che uno sfoggio di raffinata
gastronomia: si trattava infatti di scoprire, come con un gioco a sorpresa, quale
prelibatezza da mangiare si celasse sotto la crosta indorata che il trinciante
andava ad incidere. Linvolucro di sfoglia poteva racchiudere pertanto anche i
maccheroni, o altro formato di pasta. Gi nel trattato cinquecentesco dello Scappi
si legge una ricetta della torta di maccheroni, codificata poi nel tempo nel
termine timballo.
Riguardo ai riferimenti nellantica letteratura gastronomica marchigiana nel
ricettario del Nebbia, si legge di un Timpalle di maccheroni, ben diverso da
143

P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,


2001, p. 321.

50

questo delle suore di Serra de Conti, perch rivestito non con una crosta di pasta
sfoglia o frolla, ma rivestito con fette di lardo ed una farza con zinna di vitella,
poca carne magra pistata fina, e pane mollo spremuto bene e formaggio
parmigiano, uovi, speziarie e sale144.
Invece ne Il cuoco perfetto marchigiano, ricettario anonimo del 1891, la
copertura preparata rivestendo con pasta frolla il fondo duna casseruola, o
quello duna stampa, (mentre i maccheroni vengono conditi con salsa
danimelle, uova, parmigiano, burro e cannella 145. Questo manualetto si legge
anche come dare a questa preparazione lassetto di un pasticcio. Il procedimento
ricorsa la preparazione di uno strudel: stendendo in una lastra di ferro una
sfoglia di pastafrolla dello spessore di uno scudo, vi si versano sopra i
maccheroni conditi, e poi si coprono con la stessa pasta, e si formano, con la
medesima, foglie od altri scherzi che si accomodano nella parte superiore del
pasticcio; si infornava poi con sparsi al di sopra alcuni tuorli duova dibattuti,
ed infine imbiondito dalla cottura si serviva caldo spolverato di zucchero.
Una ricetta di pasticcio di maccheroni simile a quella delle clarisse di Serra de
Conti si riscontra tra gli appunti di cucina delle loro consorelle di Pollenza: le
clarisse del monastero di San Giuseppe nel 1899 ne prepararono una versione un
po pi ricca per il Municipio del piccolo centro maceratese, condendo la pasta,
oltre che con i maghetti, anche con della carne magra, e con formaggio
grattugiato assortito, sia nostrale che parmigiano 146. Ugualmente simile alla
ricetta delle clarisse unaltra ricetta conventuale marchigiana: sempre nel
maceratese, a Monte San Giusto, le benedettine del Monastero di Maria
Santissima Assunta in Cielo, preparavano un Timballo bianco di maccheroni,
con una copertura di pasta frolla, e la pasta condita di besciamella con animelle
di vitello, interiora di pollo, parmigiano e tuorli duova147.

144

A. NEBBIA, Il Cuoco Maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, pp. 89-87.
Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 54.
146
S. PAPA nel suo testo (op. cit.., p. 25) racconta la raccomandazione di una vecchia clarissa
che al di l della grata tiene compagnia allospite, di aggiornare la ricetta alleggerendola al
gusto della gente doggi.
147
Ivi, p. 153. La ricetta risulta mandata al monastero dalla devotissima Teresa Bacchiese con
una lettera del 14 aprile 1911 indirizzata alla Reverenda Madre Gertrude.
145

51

Proviamo insieme
Il pasticcio di maccheroni
All'inizio del '600 i conventi sono tanti e le suore inventano il pasticcio di
maccheroni, che ha le fattezze e le dimensioni di un cappello da prete e che
probabilmente il pi tipico ed originale piatto ferrarese. Dolce e salato, gustoso e
sostanzioso, richiede una preparazione molto impegnativa. L'involucro di pasta
frolla contiene il pasticcio di maccheroncini i cui ingredienti possono essere , a
vostro piacimento, funghi, tartufi, rag di vitello, pollo, manzo, rigaglia di pollo,
burro, poco aglio, latte, vino bianco, un goccio di marsala, cipolla, sedano e
besciamella. Indorata la cupola con rosso duovo sbattuto, viene infornato.
Versione1
Ingredienti per 6 persone
Per la pasta frolla
450 g di farina
180/200 g di burro
100 g di zucchero
4 tuorli d'uovo
un cucchiaino raso di scorza di limone grattugiata
una presa di sale
Per il sugo
150 g di polpa di vitello tritata
150 g di polpa di manzo tritata
150 g di petto di pollo tritato
150 g di rigaglie di pollo
mezzo bicchiere di vino bianco secco
alcuni cucchiai di marsala
50 grammi di burro
poco olio di oliva
sedano
cipolla
carota tritati
sale.
Per la besciamella
mezzo litro di latte
2 cucchiai di farina
una noce di burro
noce moscata
sale

52

Per il ripieno
25 grammi di funghi secchi,
50 grammi di parmigiano grattugiato
250 grammi di maccheroncini rigati
tartufo.
Preparazione
Preparare la pasta lavorando velocemente gli ingredienti e lasciarla riposare in
luogo fresco. Far rosolare intanto le verdure tritate con le carni separatamente, in
burro ed olio, salare e sfumare col vino ed il marsala. Lessare i funghi,
precedentemente ammollati, in poca acqua salata e una noce di burro poi scolarli
e tritarne alcuni con un coltello Preparare poi la besciamella, insaporendola a
fine cottura,. con la noce moscata grattugiata. Lessare i maccheroncini al dente,
scolarli e condirli con la besciamella tiepida, i funghi, il rag ottenuto unendo
tutte le carni, il parmigiano grattugiato e lamelle di tartufo, mescolando con
estrema delicatezza.
Stendere la pasta frolla e disporne un disco sulla teglia imburrato; adagiarvi il
ripieno formando la caratteristica calotta, ricoprire con un altro disco di pasta,
chiudere i bordi e decorarli, premendo leggermente con una forchetta. Pennellare
la superficie con rosso d'uovo sbattuto. Infornare a 200 gradi il tempo che la
pasta diventi dorata, 30 minuti circa.
Versione 2
Per la pasta
Kg 1 di farina
30 uova
200g di strutto
100g di zucchero
1 limone grattugiato
Preparazione
Impastate tutti gli ingredienti per fare la pasta, le uova met le userete intere e
met solo i tuorli. Lasciatela riposare coperta.
Per il pasticcio
1kg maccheroni di Napoli
600 g di parmigiano grattugiato
5 g di cannella
50 g di zucchero
rag di maghetti
100g di burro
besciamella

53

Rag di maghetti
1 gambo di sedano
1 carota piccola
1 cipolla piccola
700 g di magoncini di pollo
olio burro
sale
alloro
chiodi di garofano
sugo di pomodoro
Preparazione
Rosolare la cipolla, il sedano e la carota, tritati, in olio e burro, aggiungete i
maghetti, un cucchiaio di pomodoro, un poco di sale ,una foglia di alloro 2
chiodi di garofano. Coprite con acqua e fate cuocere lentamente fino a che il
sugo si sia ristretto. Tritate grossolanamente i magoncini.
Lessare i maccheroncini al dente, scolarli e condirli con la besciamella tiepida
il rag di maghetti, formaggio, zucchero, cannella e infine fiocchetti di burro e
mescolare delicatamente.
Stendere la pasta preparata precedentemente e disporne un disco sulla teglia
imburrato; adagiarvi il ripieno formando la caratteristica calotta, ricoprire con un
altro disco di pasta, chiudere i bordi , premendo leggermente con una forchetta.
Pennellare la superficie con rosso d'uovo sbattuto. Infornare a 200gradi il tempo
che la pasta diventi dorata,30 minuti circa.

54

Per fare tortelletti dherbe di vigilia


Si prende bietole senza costa si cociano allesso poi si battono ben bene, poi vi
si mette noce pista, un poco di miele, aranciata, pignioli, un tantino di pepe, di
cannella, e garofoli, e un tantino di sale, il tutto si pesta insieme; si fa la pasta
intrisa con acqua, poi si fa la foglia fina, poi si tagliano pezzi tondi, cui si mette
dentro la composizione, poi si chiude, e si friggono nellolio, ma che galegino.
Doppo cotti si mette a bolire un po di acqua rosa col zucaro, e poi si bagnano
con la medema acqua, () e vanno fioriti di sopra con zuccaro e cannella

PRIVIAMO INSIEME
Tortelli derbetta fritti

Ingredienti per4 persone


1Kg di farina
10 uova
4kg di bietole
200 g di noci sgusciate
3 cucchiai di miele di acacia
20 scorzette di arancia
pepe
3 choidi di garofano
1 presa di sale
cannella

Preparazione
Lessate le bietole, senza costole in un dito dacqua, con un pizzico di sale
grosso, mettete il coperchio alla pentola. Quando sono cotte. scolatele e
strizzatele per bene.
Prendete le noci ,i pinoli, le scorzette di arancia, il miele, la cannella, chiodi di
garofano, e un pizzico di pepe .Pestate il tutto con un coltello.
Preparate una sfoglia con le uova e 4 gusci dacqua. Preparate dei dischetti che
riempirete con limpasto e chiuderete con un altro dischetto di pasta. Pressate
bene con le dita affinch si sigilli bene. Friggete in abbondante olio. Bagnateli
con Rosolio, spolverate con zucchero a velo e cannella in polvere.

55

Per fare i Tortelli, ci vuole 27 ricotte, una grazia di garofali pesti, un pochetto
derba oesta, e questa ha di essere maggiorana e spinaci, per ogliare le ricotte,
ci vuole 12 Ova. Per la Massa, poi ci vuole altri Ova, e in ogni Ovo, due Ova
dacqua (anche qua non si parla di farina). Nelle Ricotte poi ci vuole un tantino
di formaggio, vecchio gra
Il contrasto di dolce e salato si trova ancora nella ricetta dei crescioni
dellArtusi, per i quali nel 1891 lautore scrive: Perch si chiamino crescioni e
non tortelli di spinaci vattela pesca 148. In questa preparazione infatti le erbe
spremute bene e messe in umido con un soffritto di olio, aglio, prezzemolo, sale
e pepe, e poi si aggraziano con un po di sapa e con uva secca, a cui siano stati
levati gli acini. In mancanza della sapa e delluva secca si supplisce con lo
zucchero e luva passolina149.

148

P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,


2001, p. 203.
149
Ibidem.

56

Ricette di grasso
Modo di fare una Farza di Carne
per empire lInsalata Merolla, Rape, Cipolle e Cavoli, e Zucchette
Si prenda due libre di Carne Magra cotta in umido e si triti con il cortello, e
poi si bagni due molliconi di pane, e si metta a bollire nel brodo della sud.a
carne unite ancora due Ovi, fatto tutto questo poi si ponga tutto nel Mortale di
pietra, e il tutto si pesti e ci si aggiunga un poco di formaggio grattato, e a altri
due ovi crudi, ed un poco di cannella, e quando sar tutto pesto a perfezione si
potr empire le sud.e cose e poi si porr a bollire con il sud.o brodo a fuoco
lento, e prima di mandarla in tavola, si sbatter due ovi con un poco di agro di
limone, fatto tutto questo si mander in tavola.
Il Cuoco perfetto marchigiano(1891) propone ugualmente una ricetta per un
Composto di carne per la riempitura. In questa variante lanonimo compilatore
propone di amalgamare del magro di vitella in umido con prosciutto tritato,
parmigiano, pangrattao, cannella, brodo e tuorli duovo: Tale composto si
mescola bene, e serve per la riempitura degli ortaggi150.

150

Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 54.

57

Piccione in cratella
Prendete un piccione grosso, ma giovine, dividetelo in due parti per la
lunghezza e stiacciatele bene con le mani. Poi mettetele a soffriggere nellolio
per 4 o 5 minuti, tanto per assodarne la carne. Conditelo cos caldo con sale e
pepe e poi condizionatelo in questa maniera: Disfate al fuoco, senza farlo
bollire, 40 grammi di burro, frullate un uovo e mescolate luno e laltro insieme.
Intingete bene il piccione in questo miscuglio e dopo qualche tempo involtatelo
tutto nel pangrattato. Cuocetelo in gratella a lento fuoco e servitelo con una
salsa o con un contorno.
Questa ricetta, a parte la storpiatura nel titolo di gratella in cratella, la
trascrizione letterale del testo dellomonima ricetta presente nel ricettario di
Pellegrino Artusi La scienza in cucina e larte di mangiar bene, pubblicato in
prima edizione nel 1891151. Ci consente di datare la ricetta sicuramente dopo
quellanno, e comunque tra lOttocento ed il Novecento.
Le clarisse nel ricopiare la ricetta hanno trascurato la breve introduzione
dellautore originario:
La carne di piccione per la quantit grande di fibrina e di albumina che contiene
molto nutriente ed prescritta alle persone deboli per malattia o per qualunque
altra cagione. Il vecchio Nicomaco nella Clizia del Machiavelli, per trovarsi abile
a una giostra amorosa, proponevasi di mangiare uno pippione grosso. Nella
commedia di Machiavelli, il settantenne Nicomaco nella sua cena prima del
piccione decide di consumare una insalata di cipolle cotte, dipoi una mistura di
fave e spezierie () perch sono calde e ventose, farebbero fare vela a una
caracca genovese.152
Il piccione era molto allevato nelle case coloniche marchigiane: fin dal
Medioevo attestata nelle campagne marchigiane la frequente presenza della
torre colombaia, e per il loro continuo svolazzare nei tetti i maceratesi lo
chiamavano infatti pistacoppu. Ed in effetti nella cucina rustica di queste terre
il piccioncino di un mese o due di vita, ancora da nido, rappresentava, un po
come lagnello (altro animale giovane tradizionalmente sacrificale per le mense
festive) la carne contadina per eccellenza, gustosa e saporita nonostante il suo
sapore marcato. La cultura popolare delle campagne riservava una certa
importanza al piccione: alla carne di questo animale, fin dal racconto biblico
emblema universale di mitezza e concordia, si riconoscevano particolari
propriet dietetiche e terapeutiche, ad esempio si dava da sorbire brodo di
piccione alle partorienti per lenire le sofferenze delle doglie 153. La tradizione
gastronomica contadina preparava generalmente il piccione ripieno: questa
preparazione con il suo schietto carattere di cucina festiva di succulenti
abbondanze stivava lanimaletto da cuocere in padella, allo spiedo o al forno, con
farciture assolutamente ghiotte di specialit suine, prosciutto, salsicce, pancetta,
ma anche carne di manzo da legare alle rigaglie dellanimale con uova, pane
secco, formaggio ed i soliti aromi schietti di aglio, salvia, prezzemolo ingentiliti
anche talvolta da pepe e noce moscata; dalla vocazione pi spartana e plebea, ma
ugualmente appetitosa, la ricetta del piccione ripieno di castagne, una specialit
di SantAngelo in Vado, nellentroterra pesarese. Ugualmente tradizionali la
cottura in salm, con pomodoro, aglio, salvia e vino bianco, ed in umido con il

151

P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,


2001, p. 477.
152
Ivi, pp. 477-8
153
N. MAZZARA MORRESI, La cucina marchigiana tra storia e folklore, Ancona, 1978, p. 153.

58

battuto di lardo, sedano, carote, cipolla trafitta da chiodi di garofano, pomodori e


vino bianco154.
Pieno per i cappelletti
Petto di cappone un poco di maiale o di vitella si fanno pezzi e poi si pongono
a rosolare col burro fino ad una buona mezza cottura indi si taglia fine fine e
poi vi si mette formaggio, cannella, , () si fa una specie di impasto con un ovo
o due in maniera che venga una pasta giusta. Per la pasta un uovo per persona
e piuttosto morbida.
Tradizionale pietanza contadina delle grandi feste, i cappelletti avevano in effetti
nella cucina marchigiana una farcia particolarmente sontuosa, assolutamente di
grasso, che assemblava qualit di carni diverse. Era usanza alla vigilia di Natale
nelle famiglie contadine lavorare tutto alla grande impresa di preparare la farcia
tritando assieme una grande quantit di magro di maiale, con la medesima
quantit a met di petto di vitella, ed altrettanto di petto di tacchino o di cappone,
con laggiunta talvolta di pezzetti di midolli o cervelli bovini o suini. Talvolta il
ripieno ottenuto laboriosamente era tenuto a riposare la notte, e poi la mattina
dopo tutti erano nuovamente impegnati nellintagliare la sfoglia preparata e nel
piegare tutti quanti i cappelletti nella tradizionale forma appunto di copricapo, o
come dice qualcuno di elmo medioevale; a Matelica si usavano invece degli
stampi di legno, con i quali si poteva ricavare dai trenta ai cinquanta cappelletti
per volta155. E facile immaginare ugualmente la stessa festosit nelle vigilie
lungo i secoli anche allinterno del monastero, con la comunit di suore tutte
intente in questa preparazione tradizionale. Ed in effetti la ricetta manoscritta
delle clarisse rivela una paternit marchigiana in questo ripieno caratteristico di
vero e proprio grasso, con i vari tipi di carne.
Invece la ricetta, presente ne Il cuoco perfetto marchigiano, della Minestra
detta di Cappelletti: lanonimo autore suggerisce per il ripieno 3 once di
midolla che si pesta e si fa cuocere al fuoco in una casseruola da aggiungere ad
un petto intero di cappone lessato od arrostito156, da amalgamare con tre tuorli
duovo, un poco di parmigiano, cannella e noce moscata. Questo ricettario
stampato nel 1891 con una vocazione dichiaratamente marchigiana non riporta
per loriginario tratto marcatamente locale di questa pasta ripiena: infatti la
ricetta si somiglia troppo con i Cappelletti alluso di Romagna proposti da
Artusi in quello stesso 1891, e fatti solo con mezzo petto di cappone, ugualmente
rosolato nel burro, e poi tritato con sale e pepe ed amalgamato con ricotta o altro
formaggio fresco, parmigiano grattugiato, uova, noce moscata, altre spezie e
scorza di limone a chi piace157. Invece gi in un antica ricetta del 1640
rinvenuta da Nicola Mazzara Morresi si nota questo carattere di abbondanza di
carne, in un ripieno dove si mescolavano carne di maiale e cappone legandole
con formaggio e uova, con il solito inconfondibile aroma di noce moscata e
buccia di limone158.
154

L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 213


Antologia della cucina popolare, Fabriano, 1993, p. 59: Su dei cilindri incavati a forma di
cappello da prete, fissati su una tavoletta di legno, si faceva aderire la prima sfoglia dove si
metteva il ripieno. Chiuso questo con una seconda sfoglia sovrapposta, si passava sopra con
lapposito matterello. Su ogni cilindro, si formava il cappelletto, per estrarre il quale si
rovesciava lo stampo.
156
Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di P. CAMPORESI, Ancona, 1982, p. 16.
157
P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,
2001, p. 44.
158
N. MAZZARA MORRESI, La cucina marchigiana tra storia e folklore, Ancona, 1978, p. 41.
155

59

Condimento per la salsiccia


La carne per la salciccia deve essere pestata assai bene, talch la carne resti
finissima. Per ogni dieci libre di carne ben pestata, sale once tre, e pepe oncia
una, pestato luno e laltro finissimo.
Per le salciccie di fegato mista con altra carne, cio fegato ed un poco di carne
di majale unita insieme dopo la pesta, sale, e pepe per ogni dieci libre come
sopra. Pi un odore di aglio pesto; portogallo ossia scorza triturata a pezzetti a
discrezione. Pi pignoli a discrezione.
Per i Sanguinacci come alla salciccia di fegato in quanto al condimento, pepe, e
sale a discrezione.
La tradizione contadina marchigiana ha da sempre privilegiato le preparazioni
insaccate con la carne di maiale, arrivando ad eccellere come tutte le culture
rurali regionali dItalia, nella produzione di alcune specifiche tipicit di salumi.
Tra tutti questi preparati con la carne suina le salsicce, confezionate
tradizionalmente a ghirlanda (qualcuno dice a rosario), hanno sempre
rappresentato nellimmaginario popolare uno dei tanti emblemi della grassa e
festosa abbondanza, la provvista ideale per le sporadiche cuccagne. Ricorrevano
pertanto nei tradizionali della Pasquella,
rituale popolare della vigilia
dellEpifania, quando gruppi di uomini giravano per le case chiedendo cantando
unofferta di cibo, per raccogliere cos un quantitativo di provviste adeguato per
preparare una grande cena collettiva. Le salsicce ricorrevano spesso sia nei doni
generalmente accordati a questi buffi questuanti canterini e musicanti, sia nelle
stesse parole dei canti eseguiti per loccasione: ad esempio in una Pasquella di
Recanati si implorava: Se ce date du sarciccette / non cemporta s piccolette
/ basta che rimpa la padella / lanno novo e la Pasquella159.
Le salsicce si confezionano con carne magra e grassa di maiale, si aromatizzano
con sale, pepe ed altri aromi, e possono essere consumate fresche, o anche messe
a stagionare. La salsiccia di fegato (chiamata Strozzafegato nel Pesarese,
Mezzofegato nel Fabrianese) si prepara impiegando anche milza e polmoni,
oltre al solito misto di magro e grasso, e viene arricchita di sapori con un ampio
repertorio di aromi, come finocchio selvatico, anice, aglio, scorza di limone; una
volta si usavano anche mosto cotto, uva passa, mandorle tritate, o anche ad
esempio pinoli, come appunto in questa ricetta delle clarisse di Serra de Conti.
Particolare la salsiccia Matta di Senigallia, cos chiamata perch preparata in
maggioranza con carne bovina, l80 % circa con il restante 20% di magro e
grasso di maiale160.

Modo di fare un fritto nero


159
160

N. MAZZARA MORRESI, La cucina marchigiana tra storia e folklore, Ancona, 1978, p. 185.
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 78.

60

(Fascicolo 2, carta 44)


Si prende la coratella di bestia qualunque vi si riduce in fine fette e si condisce
con sale piccola quantit di pepe e olio, si infarina e si frigge

61

Ricette di magro
Pietanze di baccal
Baccal arrosto in umido
Si prender il baccal ben spremutosi metter in una teglia, sotto le branci di
alloro, sopra a questo si metter un tantino daglio ben tritato fino, un poco di
pane grattato con un poco di Rosmarino tagliato fino, oppure un poco di fiore di
finocchio con una piccola cosa di Zuccaro pepe sale e ci si metter un poco
dolio finch si possa cuocere e niente altro, ci si metter il fuoco sopra e sotto.
Proviamo insieme
Baccal arrosto in umido
Ingredienti per 4 persone
2 kg di baccal
6 patate di media grandezza
olio di oliva
8 foglie alloro fresco
pepe
sale
4 spicchi di aglio
prezzemolo
zucchero
pane grattato
finocchietto selvatico
Preparazione
Prendete il baccal salato, dopo averlo lasciato in ammollo in acqua per una
notte, ascuigatelo bene e tagliatelo a pezzi grandi. Pelate le patate e tagliatele a
rondelle ponetele in una teglia da forno oliata, salatele e pepatele, mettete
foglioline di alloro sparse e adagiate sopra i pezzi di baccal pelato e deliscato.
Aggiungiamo aglio tritato fine, un poco di rosmarino pane grattato e finocchietto
selvatico, poco zucchero, pepe e infine una spolverata di pane grattato e un filo
dolio di oliva.
Mettete il tutto in forno caldo e fate cuocere a 180 gradi per 40 minuti quasi al
termine dorerate con una grigliatura veloce.
Segreti
Potete comperare il baccal salato al supermercato confezionato in buste di
diverso peso secondo le vostre esigenze. Anche il finocchietto selvatico lo
troverete nei supermercati.
Prima di mettere il sale nella preparazione sentite se il baccal risultasse ancora
salato,se cos fosse vi consiglio di non aggiungere sale nelle patate.

62

Baccal in diverse maniere


Si dovr cuocere bene alesso il Bacal di poi si far una copertura con
amandole dolci bianche, ed un odore della mare con un poco di Zuccaro, e
Cannella ed un poco di Cannella ed alquanto pane grattato passato per
setaccio. Questa composizione si metter a fuoco, e si far bollire per una
mezzora, di poi si metter sopra il baccal.
Volendolo fare di diverse sorte, dopo ben lessato il baccal si prender un poco
di mustacciolo ben pesto passato per setaccio ed un poco di cioccolata ed un
poco di amandole abbrustolite ben peste, si metter al fuoco meschiandolo quasi
per un quarto dora, e si metter sopra il baccal.
Il baccal come pesce conservato (classico salume di magro), e quindi molto
economico ed alla portata di molti figurava spesso nelle preparazioni di cucina,
specialmente nei periodi quaresimali o generalmente di vigilia o di astinenza. La
tradizione delle ricette con il baccal, che parte gi dal Rinascimento, pertanto
ben presente anche nei ricettari marchigiani. Il Nebbia propone ben 25 ricette: da
preparazioni ricercate per pranzi di rappresentanza (preparato in pasticcio o con
un turbante di riso) allessenziale cottura arrosto, con soluzioni anche semplici
ma ugualmente appetitose e particolare, in accompagnamento con molte salse (di
alici e capperi, di noce, doliva, di lattuga, di acetosa) 161. Prima di proporre tutte
queste soluzioni culinarie il Nebbia dedica un paragrafo introduttivo a come
dissalarlo: Siccome fra tutti li salumi il baccal pi dogni altro pu servire per
moltissimi piatti, per prima di ogni altro vi do la maniera di dissalarlo. Prendete
dunque il baccal, battetelo, ma fate che nel batterlo, n si scagli, n si spezzi, ed
allorch lo avete a tagliare, lavatelo prima in acqua tiepida, ponetelo in infusione
in acqua fresca; fatecelo stare, se di estate per due giorni, mutandogli lacqua
quattro volte il giorno; se dinverno fatecelo stare tre giorni, mutandogli
lacqua mattina e sera162. E molto probabile che questo procedimento era
diligentemente seguito da tutti, anche dalle clarisse di Serra de Conti, che per
nelle loro ricette rivelano invece una certa originalit e fantasia negli spunti: se
ad esempio anche il Nebbia usa lalloro per la ricetta del Piatto di baccal alla
marinara, le suore del monastero di Santa Maria Maddalena adoperano
ugualmente un letto di foglie di lauro per il loro Baccal arrosto in umido ma
variano sul tema cospargendovi sopra un trito di agli, pangrattato, sale,
rosmarino e semi di finocchio, e con la spolverata arcaicizzante di contrasti di
sale, zucchero e pepe. Ugualmente tipiche di un ancient rgime culinario proprio
dei ricettari sei-settecentesco (e lontanissimo dalle percezioni gastronomiche
odierne) sono le preparazioni del Baccal in diverse maniere, dove le clarisse
suggeriscono di impiegare il pesce essiccato e conservato sotto sale
ingentilendolo con in contrasto baroccheggiante delle dolcezze di mandorle,
zucchero, cannella mostaccioli sbriciolati e persino cioccolata grattata. Riguardo
invece allimpiego di erbe, pi proprio della cultura culinaria contadina e
popolare, da ricordare la ricetta tradizionale maceratese del Vaccal con i
tredici odori tritati assieme (sedano, carota, cipolla, aglio, basilico, salvia,
finocchio selvatico, maggiorana, rosmarino, origano, timo, sale e pepe163).

161

A. NEBBIA, Il Cuoco Maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, pp. 208-214
Ivi, pp. 207-208.
163
M. BULDORINI, Le ricette di Ermete, Macerata, 1985
162

63

Proviamo insieme

Baccal in diverse maniere

INGREDIENTI PER 4 PERSONE


2
Kg di baccal salato
1
foglia di alloro
50 g di pinolii
50 g di uva passa
1
g di cioccolato a maro
1
scorza di limone
lt di brodo
pane grattato

Preparazione
Togliere pelle e lische al baccal ben ammollato. Tagliarlo a pezzi piuttosto
grossi e soffriggerlo ben infarinato in una teglia a bordi alti, sistemando i pezzi
molto vicini uno allaltro in modo che non rimangano dei vuoti. Aggiungere
alloro, tritate i pinoli, aggiungete uva passa, cioccolato amaro grattugiato, una
scorzetta di limone, sale e pepe. Ricoprire il tutto con brodo bollente e far
cuocere lentamente per almeno 3 ore coprendo la pentola col coperchio. Non
solo dovete mescolare perch il baccal non si attacchi ma anche scuotere il
recipiente. Al termine, cospargere la pietanza di pangrattato e infornarla per il
tempo necessario ad ottenere una leggera crosticina dorata .Si dovr infornare a
200 gradi per 15/20 minuti
Segreti
Vi consiglio di servire il baccal con una polenta molto morbida.
Per facilitare la preparazione della polenta potete comperare quella precotta che
troverete facilmente nei supermercati. Sar pronta in 20 minuti.

64

Polpette di baccal
(Fascicolo 1, c. 17)
Il Baccal bagnato che sia gli si levano le spine, e la pelle. Quindi si pesta nel
mortale; Ci fatto si condisce con pepe, sale, uva secca, pane grattato, e un
poco di farina. Si avverte che delle molliche di Pane debbano essere bagnate nel
brodo dello stesso Baccal, e questo brodo di cava dalle spine e dalla pelle
stessa, che di sopra abbiam detto metersi da parte.
Con il sud. Brodo simpasta di tutto, e cio fatto le polpette vanno involtate nelle
molliche di pane e poi si frigono. Fritte che sieno, si mettono in umido, sempre
con il sopra accennato brodo.
Per dargli di colore come se fossero di Carne, vi si pone la conserva di pomi
doro, ed in mancanza di detta conserva si pu anche servire delle ammandole
abbrustolite e per giorni di latticini si potr fare la sbrodettatura di ovi come se
fosse di carne.

Polpette di Baccal
Si prende del baccal ben mollo, si pesta nel mortaro ben fino vi si metter un
poco di amandole con piccola cosa di farina e un tantino di passarina pepe
cannella poi si metter a cuocere dopo si faranno le polpette si bagnaranno
nellacqua si infarinaranno, e si frigeranno, dopo fritte si metteranno a cuocere
con un poco dacqua, olio, e con due o tre cipolle sane.
Con dettagli e sfumature di gusto retr, ma comunque pi riconducibili a gusti
contemporanei sono invece le due ricette delle polpette di baccal, presenti in
due carte distinte del ricettario (la prima, pi estesa integrata nel testo di una
lettera indirizzata alla badessa. La seconda ricetta sembra una rielaborazione di
cucina del testo originale con qualche integrazione o aggiunta sperimentata
direttamente in cucina). Questo tipo di preparazione comunque molto simile,
nelle fasi e nella composizione, alla ricetta del Baccal fritto presente nel
Cuoco perfetto marchigiano del 1891, dove il baccal sbollentato e privato
delle spine si mette in un mortaio insieme ad unoncia di zibibbo, unoncia di
pignoli, la scorza grattugiata di un limone e di un arancio, poche erbette trite,
odore di cannella, e sale164. Comunque sempre in quello stesso 1891 Pellegrino
Artusi nel suo testo propone la simile ricetta del Baccal dolce-forte (dolce
forte o agro - dolce se cos vi piace chiamarlo), ossia in salsa preparata con
aceto forte zucchero a sufficienza, pinoli e uva passolina in proporzione165).
Nella tradizione dellAlta Valle dellEsino rimasta la preparazione del Baccal
in umido con il dolce sottofondo antico di una manciata duvetta, pezzi di
scorza darancia, e ben quattro cucchiaini di miele166. Questi ingredienti dolci
sono in qualche modo stati mutuati anche da alcune preparazioni tipiche della
cucina tradizionale contadina, impiegando la sapa al posto del miele ma
mantenendo ugualmente un carattere di sopravvivenza di cucina arcaica167.
164

Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 86.


P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,
2001, p. 442.
166
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 278.
167
Antologia della cucina popolare, Fabriano, 1993, p. 59: Questi ultimi tre ingredienti [uvetta,
arancio e sapa] non a tutti piacciono. Forse luso dellagrodolce, un tempo in auge nella cucina
dei signori, non entrato nelle ricette popolari.
165

65

Tornando alle ricette delle clarisse molto divertente lartificio mimetico delle
suore per far sembrare queste polpette di carne tingendole con conserva di
pomodoro. Linganno accomodante per gli occhi, ma non certo per il palato, di
fare sembrare pietanze di stretto magro come succulente prelibatezze carnee
di grasso non conosce tempo: un ricettario seicentesco maceratese di una
famiglia aristocratica suggerisce come tingere i salumi di magro con essenza di
cocciniglia di modo che allo sguardo facessero lo stesso effetto delle omologhe e
molto appetite preparazioni insaccate con la carne suina168.

168

Biblioteca Nazionale di Macerata ( dora in poi = B. N. Mc.),

66

Proviamo insieme
Polpette di baccal
Ingredienti: per 4 persone
1/2 kg baccal
2 cucchiai di pan grattato
200 gr mollica di pane
4 uova
prezzemolo
pepe
sale
pinoli
uva Passa
Preparazione
Mettere in una terrina il baccal lessato e spinato e aggiungere la mollica di pane
precedentemente ammorbidita in acqua. Aggiungere il prezzemolo, il sale, i
pinoli, l'uva passa, il pan grattato e 3 uova intere. Dopo aver amalgamato il tutto,
fare delle polpettine di forma ovale e, prima di friggerle in olio, passarle
nell'uovo battuto. Terminare la cottura delle polpette in una salsetta
precedentemente preparata.

67

Bomba di Magro
Volendo fare una bomba di magro di erbe o siano spinaci o bietole, o sellari, o
finocchi, o ancora caoli bianchi si devono prima lessare, e dopo cotte si
metteranno nellacqua fresca, e poi ben tagliate fine vi si metteranno le
amandole bianche ben peste con un poco di miele o Zuccaro per indolcire
sciolto nellacqua e questa potr regolarsi secondo la quantit cio per un
buccale di acqua ci vuole una libra di miele, o Zuccaro, o la composizione di
qualunque di queste cose si metter al fuoco sopra e sotto, e per dargli lodore
vi si potr mettere limone grattato, o cannella, o amandole amare.
Gniocchi di Magro
Volendo fare un piatto di Gniocchi di magro si prender una libra di amandole
capate ben peste, si scioglier nellacqua, e con il latte di queste si former la
pasta mettendovi per ogni buccale di acqua mezza libra di Amido, e mezza libra
di Zuccaro, e per lodore vi si metter un pochetto di amandole amare. Dopoi si
far cuocere a fuoco lento, e di quando in quando si metter un poco di latte di
amandole, e dopo cotta di porter sopra una tavola bagnata prima con lacqua.
Per condirli poi si prender mollica di pane passata per setaccio, Zuccaro, e
Cannella.
Vonendoli fare di grasso vi si aggiunta alla pasta tre o quattro chiare dova ben
sbattute, e mentre si cuoce vi si pone di quando in quando dellacqua, si
condiscono con formaggio, Zuccaro, Cannella, Butiro e si mettono a cuocere al
fornello di Campagna.

68

Nota per gli gnocchi bianchi


(fascicolo 1, carta 12)
Una foglietta di latte
Una oncia e mezza di fiore di farina ben fino
Tre oncie e mezza di zuccaro bianco
Tre chiare dovo bene sbattute
Si cuoce come la crema. Si vuota in una tavoletta onta con olio buono, e qundo
fredda si taglia a pezzetti, e si mette in un piatto, e si condisce ogni solaro con
amandole abbrustolite e peste, zuccaro, e cannella, e cos si pone in tavola.
Queste due ricette di gnocchi dolci, con le mandorle e con abbondanti manciate
di zucchero e cannella hanno un carattere decisamente antico. Sempre in ambito
monastico marchigiano possono vagamente ricordare due ricette delle
benedettine del monastero di Santa Maria delle Rose a SantAngelo in Pontano
(Macerata): per i Bastoncini di latte si prepara una sfoglia con latte, farina,
zucchero, burro, limone, vaniglia ed ammoniaca, e poi si tagliano questi
bastoncini lunghi e larghi come volete, e se li volete pi belli prima di metterli
al forno con la punta delle forchetta raspateli un pochino169. Invece nella
preparazione del Fritto di latte, si prepara lo stesso una crema con latte,
albumi, zucchero, e buccia di limone, e poi fredda si taglia ugualmente a pezzetti
(a mostaccioli) e poi intinti nel tuorlo, ed impanati, si friggono e si servono
cosparsi di zucchero170. Questa preparazione si codifica nella tradizione popolare
marchigiana con il nome di Gnocchi di latte (diventati nel tempo lequivalente
della crema fritta) che rappresentavano un dolce di rapida esecuzione per i
compleanni dei bambini, o per visite inattese e pranzi importanti dellultima
ora171.
Riguardo invece ai ricettari regionali a stampa, ne Il Cuoco Perfetto
Marchigiano simile la ricetta degli Gnocchi di latte: si prepara una crema
con latte, zucchero, amido anzich farina, tuorli anzich albumi sbattuti, ed
aroma di cannella; freddata la crema cotta su di un piatto si taglia ugualmente a
pezzi (a piccoli mustaccioli) e poi si condiscono lo stesso a strati con zucchero
e cannella, sostituendo per le mandorle con burro e parmigiano, disponendoli a
guisa di piramide e poi passati al forno172. Sempre nel 1891 anche lArtusi
propone la ricetta degli Gnocchi di latte tra i dolci: gli ingredienti sono gli
stessi, proponendo laroma vaniglia al posto della cannella, si raccomanda di
tagliarlo a mandorle (anzich a mustaccioli) e si raccomanda ugualmente di
disporli con simmetria su di un vassoio di rame o di porcellana che regga il
fuoco, intramezzandoli con pezzetti di burro173).

169

S. PAPA (op. cit.., p. 106)


Ivi, p. 99.
171
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 310.
172
Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 116.
173
P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,
2001, p. 620.
170

69

Per fare ovi in Trippe


(Fascicolo, carta 15)
Si fanno fritate quanto bisogna con dentro farina e latte poi tagliata a pezzi si
passa in cazzarola con butiro o latte si fa fare bolire tutto insieme infine con
farina e canella e quanda sar hora di mangiare si sbatono ovi e formaggio e si
mangiano calde.
Le uova in trippa sono una ricetta tradizionale del maceratese (ovi in
drippa): consiste in preparare delle semplici frittate da tagliare a striscette
lunghe circa una decina di centimetri e spesse 1 cm; questi finti pezzetti di trippa
ottenuti andavano poi rimesse al fuoco e ritoccate cos con altri ingredienti e
sapori. La versione presente nel ricettario di Serra de Conti costituisce una
versione dei primi dellOttocento con reminiscenze tardo settecentesche: senza
ad esempio il pomodoro, che solo tra Ottocento e Novecento diventer una
presenza abituale nelle cucine di campagna, e con il solito condimento di
formaggio e cannella dagli echi lontani di secoli ancora da ancient rgime
culinario.
Nicla Mazzara Morresi nella sua raccolta di ricette tradizionali riport questa
variante in uso allinizio del secolo, non cos lontana dalla ricetta delle clarisse.
Una volta cotte le frittatine e tagliate a strisce, si preparava a parte un
condimento facendo soffriggere in una pentola di coccio un battuto di lardo,
cipolla tritata, maggiorana, e successivamente mezzo bicchiere di vino. In una
teglia si ripetevano poi strati di queste trippe di uova bagnate con questo
intingolo e cosparse di pecorino e parmigiano grattugiati , mischiati assieme;
coperto il recipiente si metteva a fuoco lento per circa 15 minuti174.
Probabilmente pi recente la ricetta riportata da Leonardo Bruni: una volta
preparate le frittatine tagliate a striscette, in un tegame largo e basso di cuocere le
si faceva cuocere con cipolla e maggiorana, e in tempi pi recenti anche della
conserva di pomodoro disciolta in acqua calda; al momento di servire si
cospargeva con del parmigiano grattugiato175.

174

N. MAZZARA MORRESI, La cucina marchigiana tra storia e folklore, Ancona, 1978, pp. 89 90.
175
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 164.

70

Salse ed intingoli
Salsa
Si prende Amandole brustolite, e ben piste, sugo di limone, un poco di canella,
garofoli, e Zuccaro, il tutto scioglierai e bollirai come una Crema = Serve per il
pesce.
Questa ricetta ha una connotazione arcaicizzante, da cucina preilluminista ancora
infervorata delle sfumature di contrasto tra sapori dolci e speziati: ed in effetti
leco diretta verso il ricettario tardo-settecentesco del Nebbia, dove presente
una Salsa di amandorle dolci, dove ugualmente i frutti secchi pestati sono
legati ed aromatizzati con limone, zucchero e spezieria dolce176.
Procedendo verso la fine dellOttocento troviamo ancora il perpetuarsi di questa
preparazione nella Salsa alla Dama del ricettario locale Il Cuoco Perfetto
Marchigiano, dove le mandorle vengono pestate con corteccia di limone
immatura, ad unaltra di cedro candida ben tritate ed alla midolla di pane
inzuppato nellaceto, poi condite con zucchero e cannella177.
Altra salsa
Si prende Erbette che pistarai bene, dopo ci porrai un poco di aceto tornando a
pistare, e dopo pisto lo passerai, dopo passato ci porrai un poco di fiore di
Zuccaro, facendo cos bollire, e che venghi lenta pi della Crema.
Questa ricetta pu in parte ricordare la Salsa XII di Antonio Nebbia, dove le
erbette (menta in particolare) con laggiunta di aglio andavano pestate bene, e
poi amalgamate con una mollica di pane bagnata e strizzata in aceto 178. In questa
preparazione de Il Cuoco Maceratese vi ricorrono in effetti i contrasti
agrodolci ancora sei-settecenteschi dellaceto e dello zucchero, anche se lautore
raccomanda: Questa salsa non deve essere n troppo densa, n troppo liquida, e
n troppo piccante, n troppo dolce; questa salsa serve per i frutti, per gli allessi,
e per gli arrosti179.
Ne Il Cuoco Perfetto Marchigiano, una Salsa derbette contempla di mettere
lerba prescelta in una casseruola ugualmente con aceto e zucchero, e con anche
odore di limone. Se troppo lenta si consiglia di mescolarvi la grattatura duna
crosta di pane180.
Altra
Si prende Zuchette di Cappari, meloncini e melangola che siano state sotto
laceto, il tutto pistarai, e dopo porrai a bollire con Zuccaro, sapore di limone,
ed un poco di aceto.
Questa ricetta pu essere assimilata alla Salsa di capperi de Il Cuoco Perfetto
Marchigiano, dove i capperi rinvenuti nellaceto si mettono poi al fuoco, e
vengono quindi aromatizzati con zucchero, cannella, e odore di limone, ed una
volta cotta la salsa vi si aggiunge un po di crosta di pane grattugiata 181. Sempre
nel 1891 lArtusi propone una simile Salsa di capperi e acciughe, con capperi
176

A. NEBBIA, Il Cuoco Maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, p. 134


Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 40.
178
A. NEBBIA, Il Cuoco Maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, p. 34,
179
Ibidem.
180
Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 38.
181
Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 37.
177

71

ugualmente tenuti in aceti, ma senza nessuna ulteriore sfumatura dolce, ma anzi


con il correttivo sapido deciso dellaggiunta di unacciuga182.
Altra ricetta di salsa
Modo per fare una salsa piccante si prende le sardelle, si pulisce dalla sua
scaglia e spina, poi si trita con erbette ed aglio quando sar sofritta il tutto con
olio si metter un poco di pepe, e quando sar il soffritto vi si metter un pizzico
di farina e poi si aggiunger dal aceto tanto quanto sar necessario per poterla
adoprare sopra il pesce, sopra il lesso, e sopra la lingua di bue.
Questa salsa delle clarisse di Serra de Conti molto simile alla ricetta tardo settecentesca della Salsa di alici o sardelle del Nebbia 183 (dove gli ingredienti
ricorrono tutti, si specifica solo di usare maggiorana e basilico tra le erbette), e ha
poi una sua derivazione alla fine dellOttocento nella Salsa di sardelle semplici
de Il Cuoco Perfetto Marchigiano, dove le sardelle pulite vengono soffritte con
erbette ed aglio con olio buono, ed una volta tolta dal fuoco anzich aceto vi si
aggiunge succo di limone184. In questo ricettario anonimo del 1891 laceto
figura per in unaltra Salsa di Sardelle, ricetta che contempla anche limpiego
di capperi e di tuorli duovo al momento di servire 185. Nel medesimo anno Artusi
nella prima edizione del suo ricettario propone due ricette di Salsa piccante 186,
la prima con prezzemolo, capperi, acciughe, aceto, olio e pepe non differisce
molro di questultimo intingolo presente nel ricettario delle clarisse di Serra de
Conti.
Per fare i crostini di prosciutto, ovvero a modo di salsa
(Fascicolo 3, carta 50 - 51)
Si fa tutti pezzettini di Prosciutto magro, si mette a cuocere con un poco di
astrutto, e brancioline di salvia, quando cotto vi si pone anche zucchero, e
cannella, e quando diventa un unguentino si pu adoperare per il lesso.
Labbinamento del prosciutto con la salvia era gradito anche ad Antonio Nebbia,
che lo propone appunto nella sua ricetta dei Crostini di presciutto descritta ne
Il Cuoco Maceratese, ugualmente corretto, come nella salsa delle clarisse, in
una sfumatura dolce con limpiego dello zucchero (ed anche corretto in agro con
laggiunta di un poco di aceto187)
Del tutto simile, pi di un secolo dopo, la ricetta dei Crostini di prosciutto ne
Il Cuoco Perfetto Marchigiano: si raccomanda ugualmente di far soffriggere i
dadi piccolissimi di prosciutto con salvia, ed anche grattatura di limone e odore
di cannella: il tutto andava poi ugualmente corretto con aceto, e con identica
virata verso il dolce: infatti oltre ad aggiungervi zucchero e cannella, come nella
ricetta delle clarisse, lanonimo compilatore aggiunge che piacendo, vi si
possono mettere ancora un poco di pignoli e uva passa188.

Verdure ed Ortaggi
182

P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,


2001, p. 151
183
A. NEBBIA, Il Cuoco Maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, p. 138.
184
Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 41.
185
Ivi, p. 38.
186
P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,
2001, p. 155.
187
A. NEBBIA, Il Cuoco Maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, p. 90
188
Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 23.

72

Modo di fare la parmeggiana con erbe


(Fascicolo carta 44)
Si mette nella cazarole un noce di Butiro si mette poca farina e si fa cuocere, e
poi si aggiunge poco brodo in umido, e si mette un poco di parmeggiano al
doppio della farina.
Si possono adoprare Carcioffi, finocchi dolci e broccoli
Sedani alla Parmigiana
(Fascicolo carta 51)
Si prende il sellaro di mezzo terreno si fa i pezzi lunghi si lessa, poi si infarina,
e si indora, e si frigge, poi si mette in una cazzaruola, e si condisce con il
Formaggio Parmigiano, Butiro, o brodo di umido buono, poi si mette in fuoco
sotto, e sopra finch prende un poco di colore.
Questa preparazione culinaria delle clarisse ricorda in certi passaggi il testo della
Parmigiana comune de Il Cuoco Perfetto Marchigiano, dove alcune erbe,
appunto sedani, gobbi, finocchi e carciofi, vengono posti in un piatto e conditi
ugualmente con parmigiano, cannella, butirro e sugo dumido, per poi coprirlo
con balsamella (o se questa non piace pu adoperarsi in sua vece per coprire
la parmigiana, il sugo dumido soltanto), ed infine cuocerlo in forno. LArtusi,
sempre nel 1891, dopo aver raccomandato le modalit di consumo del sedano
(preferite quello di costola piena e servitevi solo delle costole bianche e del
gambo, che sono le parti pi tenere) suggerisce ugualmente di soffriggerli nel
burro e condirli con parmigiano, burro e besciamella189.
Nelle Marche sono tradizionali due tipi di sedano, uno pi piccolo e verdognolo
impiegato per la sua intensit aromatica come condimento, uno grande, bianco e
polposo, adatto per essere cucinato come pietanza. Di questa seconda variet
erano celebri quelli di Cingoli (ed i cingolani avevano infatti il soprannome di
Magnasellari)190.

189

P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,


2001, p. 371.
190
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 186.

73

Proviamo insieme
Sedani alla parmigiana
Ingredienti
3 sedani interi bianchi
farina
burro
parmigiano reggiano
2 mestolini di brodo
sale
Preparazione
Pulite il sedano e prendete i cambi, tagliateli in modo da ottenere delle lunghezze
di 10 centimetri circa e lessateli in acqua salata e scolateli al dente. Infarinateli e
friggeteli nel burro. Poneteli in una teglia e conditeli con il parmigiano qualche
fiocco di burro , 2 mestolini di brodo. Metteteli nel forno a 200 gradi per 15
minuti. Serviteli caldi.

74

Modo di fare un bodino di fagioletti


Si prende i fagioletti fini et teneri si fanno cocere bene allesso poi si passa in
cazzarola con butiro sicorpola con farina e canella e con latte e un poco di
pane grattato tutto unito insieme poi si sbatte ovi e tutto assieme. Se piaccie
dolce si mette zuccaro. Dopo di ci si prepara per cuocerla ma che sia unta con
butiro poi impanata bene per farla staccare dopo cotta, poi metterla al foco
sotto e sopra e va mangiata calda.
Questa ricetta delle clarisse ricorda molto il Bodino di fagioletti freschi delle
benedettine del monastero di Santa Maria delle Rose di SantAngelo in Pontano
(Macerata): sebbene il testo delle clarisse sia pi coinciso, la preparazione delle
benedettine quasi identica, in pi gli ortaggi sono anche insaporiti con sugo di
umido di vitello191.
A sua volta questa prescrizione culinaria monastica ha somiglianze anche con
due ricette di Antonio Nebbia, i Fagioletti alla parmegiana al brul, ed i
Fagioletti allo stesso modo, dove il Cuoco Maceratese propone ugualmente
di lessare i baccelli, passarli con burro, farina e sugo (anzich latte), e poi
indorarli con uova e pangrattato per poi cuocerli in una teglia con fuoco sotto e
sopra192, e servirli caldi.

191
192

S. PAPA, op. cit., p. 101.


A. NEBBIA, Il Cuoco Maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, p. 68.

75

PROVIAMO INSIEME
Modo di fare un bodino di fagioletti
Per fare la besciamella
Ingredienti per 4 persone
50 grammi di burro
50 grammi di farina
500 ml di latte
q.b. di sale
cannella
In un tegame, far tostare la farina nel burro quindi aggiungere il latte
precedentemente scaldato, il sale, e un pizzico di cannella. Coprire con un
coperchio durante la cottura e saltuariamente girare controllando che non si
attacchi al fondo e non faccia grumi. Se dovesse raggrumarsi, ponetela nel mixer
e ritorner cremosa. Aggiungete un uovo sbattuto.Potete anche acquistare la
besciamella gi pronta nei supermercati.
Bodino di fagiolini
Ingredienti
500 g di fagiolini teneri
burro
pane grattugiato
parmigiano reggiano
Preparazione
Lessare in acqua salata i fagiolini e dopo averli scolati saltateli il padella con una
noce di burro e una manciata di formaggio parmigiano reggiano.
Unite la besciamella e versateli in una teglia da forno imburrata e spolverata di
pane grattugiato.
Passare in forno a 200 gradi per 30 minuti . Quando avr formato una crosticina
dorata, toglietela dal forno e servite.
Segreti
Questo procedimento si pu utilizzare con diverse verdure come i cavoli,
spinaci, catalogna, finocchi.

76

Bomba di patate
(Fascicolo carta 51)
Patate di giusta grossezza 10, torli dovo dieci, scorza di limone, e Rum a
piacere, zucchero a discrezione, le patate si devono passare per setaccio, e unito
il tutto si manipola per unora, poi si prende una cazzarola che la roba possa
arrivare a mezza, la detta cazzaruola si unge, e si sfiora con il pane grattato, si
pone a fuoco gagliardo, e quando il vaso sar riempito si leva dal trepiede e si
mette il foco a torno, e quando sar ritornata al posto di prima gi cotta.
Quando si porta in tavola vi si pone sopra il rosso dovo sbattuto bene con
zuccaro e rosolio.
Dopo il suo arrivo dallAmerica il percorso della patata sulle tavole europee sar
lungo e laborioso. La diffidenza iniziale era dovuta al timore che certe sostanze
tossiche riscontrate nelle foglie si trasmettessero anche al tubero 193. I viaggiatori
che si erano avventurati nel nuovo continente riscontravano come gli indigeni ne
facessero consumo, ma allassaggio trovavano una vaga somiglianza con il
marzapane e con le castagne inzuccherate, dichiarando di preferire gli
originali194. I compilatori di trattati di botanica e agronomia la ignorano, tranne
Castor Durante che si limita a raffigurare senza commento alcuno una pianta di
batatas. Per quanto riguarda larte della cucina, nel Seicento ne parla solo il
ricettario di Antonio Frugoli, il quale avendo lavorato a lungo in Spagna (dove le
patate erano pi familiari) fa riferimento alla loro cottura ed impiego, e consiglia
di cuocerle sotto la brace per servirle poi con zucchero e vino bianco, oppure di
prepararle sciroppate, o di aggiungerle a una crostata con conserva di pera 195. Se
la patata nel Seicento un particolare lusso esotico riservato alla cucina alta,
nel secolo successivo diverr componente frequente delle mense basse, grazie
anche ad alcuni trattati di agronomia che ne esalteranno le enormi potenzialit
nutritive, in particolare lopera di Giovanni Battista Occhiolini (Memorie sopra
il meraviglioso frutto americano chiamato volgarmente patata ossia pomo di terra
con la descrizionedel modo di ridurlo a farina ed a pane, Roma, stamperia di
S.Michele per il Giunchi, 1784).
Leco seicentesco della patata, in qualit di ingrediente per pietanze dolci, torna
nei primi ricettari marchigiani che hanno trattato questo tubero. Infatti molte
ricette di dolci alle patate, simili a questo delle clarisse di Serra de Conti, sono
presenti nel Cuoco perfetto marchigiano, dove vi sono ben quattro
preparazioni dal titolo Bodino di patate. Le prime tre ricordano molto questa
pietanza del monastero di Santa Maria Maddalena: le patate, lessate e passate al
setaccio, vengono legate con tuorli duovo, dolcificate con zucchero, ed
aromatizzate con buccia di limone, cannella, rosolio e rhum 196. La variante pi
ricercata aggiunge alla miscela di patate molte mandorle dolci e qualcuna amara
(sei in tutto pestate con lo zucchero), canditi e uva passa a piacere; preparato
questo impasto la sera vi si incorporano la mattina dopo gli albumi messi da
parte montati a fiocca, ed il tutto si versa a cuocere con fuoco sotto e sopra
193

C. BENPORAT (Storia della gastronomia italiana, Milano, 1990, pp. 169-170) cita lesperienza
narrata dal Benzoni nella sua Historia del mondo Nuovo, stampato a Venezia nel 1565.
194
M. SENTIERI (La trasformazione dei modelli alimentari, in M. SENTIERI- G. N. ZAZZU , I semi
dellEldorado: lalimentazione in Europa dopo la scoperta dellAmerica, Bari, 1992, pp.189118) riferisce della scoperta e dellatteggiamento dei colonizzatori verso questo tubero e sul
primo arrivo e diffusione nel continente europeo in Spagna.
195
A. FRUGOLI, Pratica e scalcheria, Roma, 1631
196
Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, pp. 62-63.

77

ugualmente in uno stampo imburrato e cosparso di pangrattato; una volta


terminata la cottura il tocco conclusivo ben pi complesso della glassa di tuorli,
zucchero e rosolio delle clarisse: vi si versa infatti sopra uno zabaione alla
cioccolata, disciolto in vino di Malaga o Cipro197.

197

Ivi, p.114.

78

Fritti diversi di Magro


(Fascicolo carta 49)
Si prende un poco di farina con una piccola cosa di anisi pesti con un poco di
pepe e sale poi si scioglier con vino, ed un poco di olio finch la pasta venga
tenera, e con questa pasta si potranno frigere sellari, broccoli, finocchi ben
prolessati, come le borragini, ma quali per devono essere semplici ad una
prolassare, cos ancora le mele tagliate a fette, levandogli le midolla in mezzo,
come pure il rosmarino.
Questa soluzione di frittura delle clarisse di Serra de Conti ricorda moltissimo la
pastella per i fritti de Il Cuoco Perfetto Marchigiano. Ecco la trascrizione
integrale di questa brevissima ricetta del ricettario anonimo del 1891: Questa
pastella si ottiene mescolando farina, olio, anici, vino, sale in giusta quantit ed
acqua198. In questo testo vi sono appunto suggerite con questa pastella anche le
fritture di borragine e mele. La frittura delle foglie tenere di boragine
raccomandata anche un secolo prima ne Il Cuoco Maceratese di Antonio
Nebbia199.
Nel ricettario anonimo Il Cuoco delle Marche, pubblicato sempre a Loreto 30
anni prima, nella ricetta del Fritto di gobbi, cardi, carciofi ecc. si legge come le
verdure bollite andavano prima insaporite in casseruola con burro, aromi, sale,
brodo, agro di limone e rosso duovo sbattuto, prima poi di essere impanate e
fritte200.
Tornando al 1891, lArtusi propone la ricetta di una Pastella per le fritture, per
molti fritti e specialmente per quelli di frutta ed erbaggi, da preparare con un
tuorlo, un etto di farina, una cucchiaiata di olio ed una di acquavite, sale quanto
occorre, acqua diaccia, quanto basta, e da far poi riposare qualche ora prima
incorporarvi un albume monto, e poi finalmente poterla adoperare.

198

Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 80.


A. NEBBIA, Il Cuoco Maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, p. 161.
200
Il cuoco delle Marche, in Le Marche a tavola: la tradizione gastronomica regionale, a cura di
R. NOVELLI, Ancona, 1987, p. 98.
199

79

Modo di fare loliva di San Francesco


Per maturarne libre dieci
Primo. Libre 15 di cenere bene setacciata, ed una libra e mezza di Calce viva. Il
tutto si pone in acqua, e si lascia bollire entro un caldaretto per un quarto dora
abbondante
Secondo. Il tutto si lascia freddar bene. Quindi lOliva si mette dentro un vaso, e
sopra vi si getta lacqua forte unitamente alla cenere bene disciolta, acciocch
ponesi tutta quanta lOliva, procurando ancora, che sopra questo vaso vi sia
stoppa, o capeccio, affine di essere obbligata di stare sotto la cenere, mettendovi
sopra la stoppa, o capeccio, qualche sasso, se anche questo bisogna, cos deve
stare trentore.
Terzo. Per conoscere se loliva arrivata a maturazione, dopo le 30 ore
sopraddette, si prendono pochi acini, si lavano ben bene, e si assaggiano. Se
ancora hanno il sapore di Olio, si lascia stare sotto la cenere per altre 10 ore, e
se non sanno di Olio, allora si purghi bene dalla cenere, e si mette nellacqua
fresca per otto, o dieci, avvertendo bene di cambiargli lacqua due, o tre volte al
giorno.
Quarto. Per condire poi lOliva maturata si prende poche rame di finocchio
selvatico, si taglia a pezzetti, si pone a bollire con acqua e sale per tre o quattro
minuti, e quando tutto bene raffreddato vi si condisce lOliva
(Olive verdi)
Per fare lOliva verde, ci voglian tante libre di Oliva, e tante di cenere, se non
ci entrato lolio, nel caso ci fosse entrato 15 libre di pi di cenere ci vuole, e la
detta cenere a (sic) da bollire un Miserere, e non pi, e dopo si fa freddare
bene, e si copre quella vana sopra la detta oliva, e ci si fa stare fino che non si
spolpa dosso, e ci si mette mattina e sera lacqua chiara e si continua a far
questo fino a tanto che non si fa dolce, e dopo si mette entro un panno acci si
asciutti, e poi ci si mette lacqua salata, che vuole ogni trenta libre dolive 3
libbre di sale.
Luso di impiegare la cenere per preparare le olive in salamoia molto antico, ne
parla infatti il medico seicentesco Galina nelle sue aggiunte al trattato di
Baldassar Pisanelli Trattato della natura de cibi et del bere, che raccomanda di
usare dodici libre di cenere di quercia ben crivellata, ben stemperata in acqua
insieme a sei libbre di calcina viva201. Questa pratica, poi riproposta dal 1891 da
Artusi nella Scienza in cucina e larte di mangiar bene 202 era attestata in
Romagna, ed infatti alcune tracce sono ravvisabile nella zona delle Marche al
confine settentrionale. Nel pesarese si usa il ranno, cenere bianca setacciata e
poi messa nellacqua bollente, per tenervi le olive per tre giorni finch il nocciolo
si stacca dalla polpa, e si pu a quel punto procedere con la conserva in
salamoia203.

Le cresce
201

GALINA, Annotazioni, in B. PISANELLI, Trattato della natura de cibi et del bere, pp. 458-459..
P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,
2001, p. 371.
203
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, pp. 189 -190.
202

80

Nota per Fare la Crescia di Pasqua


(Fascicolo 1, c. 16)
Per ogni pagniotta di pane impastata col solo levito, vi vanno dieci ova quattro
oncie di formaggio vecchio grattato, ed una ricotta sbattendo tutto, e Pasta, Ovi,
Formaggio, ricotta, e vi si mette amcora un poco di Olio Dolce, un pizico di
Garofoli pesti, in un catino per unora continua si mescola, perch sia bene
incorporata poi si unge la cazzarola, o sia Teglia, con butirro, overo ostrutto
gelato, mettendovi dentro la detta pasta empiendo per met la sud. Cazzarola o
Teglia, si mette nella Stufa facendo il tutto la sera per la Mattina, che verr ben
levitata, si manda al forno la sopraddetta crescia guarnita con 1 fetta di
Formaggio fresco, e se si vole mettere dentro pezzetti di detto Formaggio si metti
pure avertendo il Fornaro, che la cavi dalla Teglia per asciugarla e prendere
colore, volendola fare pi grande.
Si aumenta con la stessa Regola la dose.

Crescie
PROVIAMO INSIEME
Ingredienti

1 kg pasta del pane


olio d'oliva
cipolla
rosmarino
sale
Preparazione
Con la pasta del pane preparare una crescia rotonda,(o tante piccole) l'orlo spezzettato da
pizzichi regolari e con fossette sulla superficie. Condire con olio, sale, cipolla, rosmarino.
A piacimento pomodoro fresco, ciccioli e strutto.

SEGRETI
Se volete potete farvi dare la pasta del pane dal vostro fornaio o potete tranquillamente comperare
confezioni di pasta sfoglia fresca nei supermercati. Lesito finale delizioso

Crescia sfogliata
81

Ingredienti per 4 persone


farina bianca
200 g di zucchero
1 uovo
6 cucchiai d'acqua tiepida poco salata
4 cucchiai di olio di semi
50 g di semi di anice
200 di uvetta

PREPARAZIONE
Fare un impasto morbido con uovo, acqua, olio e la farina necessaria.
Farlo riposare 2 ore in un sacchetto di plastica. Tirare, su un telo, in
una sfoglia sottilissima la pasta. Mescolare zucchero, uvetta e semi di
anice e distribuire sulla sfoglia. Spruzzare con un po' di olio e
arrotolare aiutandosi con il telo. Sistemare in una teglia unta, ungere
anche la superficie e cuocere in forno gi caldo a 200 per 20 minuti
circa.

Per fare la Cresce con il Zaffarano


per tre Cresce, e una per il Padre Confessore, ci vuole farina 16 libre, un mezzo
di latte, Ova 40, tre oncie di sale, pepe unoncia e mezza grossa, tre libbre di
formaggio secco e otto fresco, compreso con gli occhi, due fogliette dolio, e
mezzo paolo di Zafferano buono, e questa dose basta per 24 Persone, e il P.
Confessore.
Crescia dei contadini
Formaggio secco, e si gratta tutto 2 libbre, fresco 2 libbre, Farina libbre 17,
Sale oncie 5, Ova 10, Pepe oncie 1 e mezza
Per fare la crescia con i grascelli
Per fare la crescia con i grascelli per 19 e il fattore sagrestano, ed il Padre
Luigi
Farina lib. 18, grascelli libbre 8, sale cinque oncie e mezza scarse, pepe mezza
oncia scarsa, le abbiamo messe nelle teglie della crescia di Pasqua ()

Per fare la Crescia delle Panettiere

82

Per fare la Crescia delle Panettiere ci vuole Farina lib. 12, Formaggio lib 4 e
mezza, e se ne grattano lib. 2, pepe 3 prese, mezza foglietta dolio, sale oncie 5,
ova 20, questa quantit basta per 20 persone, Padre confessore, e Fattore
Il termine crescia tipicamente umbro-marchigiano. Letimo sembra derivare
dal fatto che in forno si alzassero e crescessero. Ed in effetti anche in tipicit di
altre regioni ricorre la radice legata al verbo crescere nel senso di levitare ed
aumentare di volume. LArtusi riporta la ricetta del Crescente bolognese, che
ha questo nome perch durante la frittura si gonfia e si alza aumentando di
volume, grazie anche allazione del lievito. Lautore sottolinea: I Bolognesi per
renderla pi tenera e digeribile, nellintridere la farina collacqua diaccia e il sale,
aggiungono un poco di lardo. Pare che la stiacciata gonfi meglio se la gettate in
padella collunto a bollore, fuori del fuoco204.
La crescia marchigiana invece una focaccia larga e schiacciata da cuocere al
forno, ed in effetti si preparava con la stessa pasta del pane, quando si facevano
le pagnotte per ununica infornata che generalmente durava una settimana. Si
faceva con farina di grano o di granturco, ed anche con entrambe mischiate tra
loro; si poteva anche cuocere sul piano del focolare riscaldato, protetta da un
coperchio con brace sopra205. Questa specie di pizza tonda, presentava qua e l
sulla sua superficie tante piccole infossature create pigiando la pasta cruda con le
dita; veniva lucidata con gocce dolio e condita a piacimento con sale, cipolla e
rosmarino, e da tempi pi recenti anche con pomodoro fresco destate 206. Una
volta cotta si poteva farcire con verdure cotte (strascinate in padella) e con
formaggio fresco. Durante la macellazione del maiale era quasi un obbligo
cerimoniale preparare la tradizionale crescia coi grascelli, di cui si trova
appunto la ricetta anche tra questi appunti manoscritti delle clarisse di Serra de
Conti: i grascelli (chiamati altrove siccioli, sfriculi, grascei, scriciuli, ciccioli, o
ciculi207) erano i residui della fusione dello strutto. Una delle cresce pi
particolari e caratteristiche durante lanno era per quella con il formaggio che
era tradizione preparare per Pasqua, e che infatti figura tra le ricette delle clarisse
di Santa Maria Maddalena.
In un altro monastero marchigiano, quello si San Giuseppe a Pollenza
(Macerata), le clarisse erano solite iniziare a preparare le cresce pasquali al
formaggio alla mattina del Venerd Santo, per poi far riposare la pasta al caldo di
notte, per poi infornare i tagami la mattina successiva dopo le Lodi208.
Conosciuta in tutta la regione con numerose varianti locali, anche nelle
denominazioni (Crescia de cascio, Pizza con il formaggio) era preparata con
formaggio fresco e secco (generalmente ricotta e pecorino), ed era consuetudine
mangiarla con uova sode, frittata e salumi nella tradizionale colazione della
mattina di Pasqua, o della gita o scampagnata di Pasquetta. Talvolta per dargli
una pi intensa e vivida colorazione dorata vi si aggiungeva una bustina di
zafferano, espediente che si riscontra anche nelle ricette appuntate dalle suore di
Serra de Conti.
Unimportante testimonianza scritta ufficiale e locale della crescia vera e propria
il testo anonimo Il cuoco perfetto marchigiano (pubblicato ugualmente nel
1891), che illustra appunto la ricetta di Crescia di formaggio, raccomandando
di mescolare il lievito con la farina alla mattina, e poi dimpastarvi alla sera le
uova, il formaggio e pepe dolce e forte, per poi far cuocere il tutto alla mattina
204

P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,


2001, p. 201.
205
Antologia della cucina popolare, Fabriano, 1993, p.6.
206
N. MAZZARA MORRESI, La cucina marchigiana tra storia e folklore, Ancona, 1978, p. 102.
207
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 60
208
S. PAPA (op. cit.., p. 33)

83

dopo, secondo quel rituale scaramantico, e simbolicamente allusivo, di una


laboriosa levitazione, meditata e raccolta attraverso ore e addirittura giorni 209.
Nel medesimo ricettario anonimo del 1891 sono presenti anche le ricette di una
Crescia dolce, con zucchero e cannella, e di una Crescia di mandorle, dove
a due libbre di pasta di pane si uniscono, tra gli altri ingredienti, zucchero,
odore di limone e di cannella, un bicchierino di rhum e poche mandorle
abbrustolite e peste.210

209
210

Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 72.


Ivi, p. 74

84

Le Cresciole
Per fare le cresciole per lultimo giorno di Carnevale, ova 16 e 9 ova di acqua,
zucchero oncie 10
Per fare 27 cresciole, ci vuole tre fogliette di vino dolce, mezza foglietta dolio,
una libra di zuccaro, e la massa sia duretta (anche qui farina, credo proprio,
sottintesa)
Quando si preparava il pane, e di conseguenza anche le crescie, che erano
confezionate con il medesimo impasto di base, molto erano gli intagli di massa
avanzati, pezzi scartati nel modellare in forme regolare le focacce o le pagnotte,
o anche semplici residui rinvenuti qua e l nella spianatora. La saggia
economia contadina, ritualmente consapevole dellimportanza anche simbolica
del pane e dei suoi derivati, come sostentamenti corporeo ma anche nutrimento
corporale, non poteva neanche lontanamente concepire di non utilizzare,
scartando o addirittura gettando via questi residui anche infinitesimali di
Massa da far lievitare. E cos con questi rimasugli di pasta di pane e cresce si
facevano felici i bambini e non solo loro: queste pezzole di impasto si
gettavano nellolio bollente e si friggevano; potevano poi essere cosparse di sale
ed erbe aromatiche, o anche di zucchero, piccola e appetita leccornia degli
avanzi211. In questa saggia preparazione di unaccorta cucina delleconomia si
vede come ancora una volta la mensa dei monasteri attingesse a modello la parca
ed umile sapienza del mangiare tipica dei contadini e dei semplici.
Con lo stesso nome di cresciole in alcune zone vicine, come Arcevia e
Sassoferrato, tuttora si fanno delle frittelle con lo stesso impasto delle castagnole,
usando un piattino da frutta per intagliarle con il coltello in forma circolare212.

211
212

L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 144.


Antologia della cucina popolare, Fabriano, 1993, p. 82.

85

Proviamo insieme
Crescia di Pentecoste

INGREDIENTI
820 g di farina bianca
200 g di olio d'oliva
200 g di parmigiano grattugiato
90 g di lievito di birra
50 g di pecorino grattugiato
6 uova
sale
pepe nero in grani
burro
farina per lo stampo

Preparazione
In una ciottolina, con g 20 di lievito, g 50 di farina e g 100 di acqua tiepida,
preparare una pastella e lasciare lievitare per 30 minuti coperto da un tovagliolo.
Montare a neve gli albumi con la frusta rotonda, poi unire i tuorli e, sempre
lavorando, aggiungere l'olio, il pecorino, il parmigiano, il pastello lievitato, sale e
una generosa macinata di pepe (a questo punto il composto diventer cos liquido
che l'aver montato inizialmente gli albumi, potrebbe sembrare un'operazione
superflua; invece necessaria per dare una maggior morbidezza all'impasto
finale).
Sostituire la frusta rotonda con quella a gancio e, sempre lavorando, aggiungere g 400 di farina,
g 70 di lievito sbriciolato e, poco per volta, la farina rimasta(g 400), proseguendo la lavorazione

finch la pasta risulter morbida, omogenea, molto elastica e sulla


superficie compariranno delle bollicine d'aria.
Imburrare e infarinare abbondantemente uno stampo a chiusura mobile di cm 32
di diametro e
trasferitevi la pasta che non dovr riempirlo per pi di due terzi.
Tenere in luogo tiepido, coperto da un tovagliolo, finch la pasta lievitando colmer lo stampo;
allora passare nel forno gi a 180 per un'ora e 30' circa, coprendo la crescia a met cottura con
un foglio di alluminio, per evitare che diventi troppo scura in superficie. Prima di sfornare,
provare la cottura con uno stecchino che, infilzato nella parte pi alta della focaccia, dovr uscire
perfettamente asciutto. La crescia si gusta tiepida o fredda, tagliata a fette, con salame a grana
grossa

86

87

Specialit di frutta e conserve


Salumi di Fichi
Per fare libre 50 di salumi di Fichi ci vuole libre tre e mezza di Zuccaro, una
foglietta di Spirito, poi ci si mette lanisi, ovvero il limone raspato, e due libbre
di Ammandole
Nel testo della ricetta non indicato lingrediente principale, il fico, molto
probabilmente dandolo per scontato (o forse probabilmente si intendeva anche 50
come le libbre della frutta di partenza).
I salametti o lonzini di fico sono un prodotto caratteristico di alcune zone
dellinterno del maceratese e dellanconetano. Anche Giacomo Leopardi li
apprezzava, ed infatti in una lettera del febbraio 1826 ringrazia il padre per
averglieli inviati in dono a Bologna, dove furono molto apprezzati dagli amici
del poeta213. La forma degli insaccati, foggia archetipica gi di per se appetitosa
nella nellimmaginario contadino popolare sempre ossessionato dallincubo della
fame, ispira qui un finto salume confezionato anzich con la carne suina salata
con la polpa dei fichi addolcita e speziata. Rispetto alla ricetta del monastero in
genere si aggiunge anche sapa o mosto cotto, noci oltre alle mandorle, ed il
liquore mistr anzich i semplici anici214; lamalgama ottenuto viene appunto
modellato nella forma di finti insaccati, e poi viene avvolto in foglie di fico. Una
leggenda maceratese racconta dellantichissima esistenza di un albero di fico
enorme che fungeva da passaggio tra Dio e gli uomini; volle tento di raggiungere
Dio portandogli in dono un salame, ma cadde rovinosamente dai rami pi alti:
non solo non si fece male, ma si trov miracolosamente tra le mani un salame
nuovo, fatto con i frutti del fico anzich con le carne di maiale215.
Nella tradizione contadina le fettine di questi salumetti di fichi si regalavano ai
bambini per la befana.

213

N. MAZZARA MORRESI, La cucina marchigiana tra storia e folklore, Ancona, 1978, p. 379
Antologia della cucina popolare, Fabriano, 1993, p. 137.
215
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 199.
214

88

Proviamo insieme

Salame di fichi
Ingredienti
1 o 2 kg di fichi settembrini bianchi e rossi
1/2 litro di mosto di vino
qualche pinolo pulito o mandorle spellate o noci
anisetta o mistr
zucchero a piacere
qualche seme di anice
foglie di fico grandi intere
Preparazione
I fichi raccolti in settembre vanno seccati esponendoli su di un graticcio di
giorno e ritirandoli la notte ma devono rimanere semi- morbidi.
Al tempo della vendemmia raccogliete il mosto e filtratelo Sbollentate le foglie
di fico per qualche secondo, poi adagiatele sul tagliere con le nervature verso
l'alto Con un coltello affilato parallelo al tagliere togliete le nervature piu'
evidenti ad ogni singola foglia..
Poi prendete la polpa dei fichi che avrete tagliato grossolanamente in modo da
simulare la grana della carne macinata di un salame paesano, aggiungete le
mandorle o le noci o i pinoli, insaporitela con il mosto cotto per 10/15 minuti, un
po' di zucchero a piacere, qualche seme di anice ed un po' di anisetta.
Impastate bene con le mani e preparate un letto con le foglie di fico
sovrapponendole in parte.
Adagiatevi la polpa ed arrotolate le foglie legando l'involto a mo' di lonzino o
salame, legatelo con un filo di lana
Fatelo stagionare appeso come un normale salume. questo tipo di lavorazione
garantisce la conservazione del lonzino per diversi mesi senza aggiunta di
conservanti. Si spiega quindi cos l'importanza che ha avuto in passato questo
alimento per le popolazioni contadine marchigiane che lo potevano consumare
durante tutto l'inverno.
Si serve a fette togliendo la pellicina (foglie) come un salame qualsiasi e lo si
propone come dessert, ma le sue caratteristiche si esprimono al meglio
servendolo tagliato a fettine accompagnandolo con formaggi stagionati o con
ricotta vaccina ed in abbinamento ad un buon vino passito.
Segreti
Vi consiglio di confezionarlo in una forma cilindrica lunga quindici centimetri,
con un diametro di circa cinque e dal peso approssimativo di trecento grammi

89

Visciolata
Per fare la Vigiolata ci vuole in 14 libbre di Visgiole, 2 fogliette di vino, dopo
bollito un poco si taglia losso, poi si ritorna a fare bollire di nuovo,
mescolandoci i libbra di zuccaro, e ne si toglie dal fuoco se non quando ben
asciutta.
Preparazioni con le visciole sono caratteristiche delle Marche. Innanzitutto
tradizionale di questa regione un vino aromatizzato con questa qualit di ciliegie
asprigne; la preparazione di questa bevanda, chiamata anche visner o
cerasuolo216 documentata anche nel ricettario manoscritto del Seicento di una
famiglia nobile maceratese, assieme alle istruzioni per la relativa acquetta di
visciola, liquore preparato riciclando i frutti filtrati dallinfusione in vino). A
fine Settecento il Nebbia suggeriva come preparare crostini di visciole 217, di cui
rimane traccia nellabitudine contadina di servire la composta di questi frutti su
fette di pane o di ciambellone dolce. In un ricettario manoscritto ottocentesco,
appartenuto alla famiglia Albini di Saludecio, nel pesarese a confine con la
Romagna, si legge la ricetta della Crostata di visciole, dove i frutti cotti nel
vino con zucchero, cannella e chiodi di garofano vengono alternati a tre sfoglie
di pasta sovrapposte218. Nel ricettario anonimo di fine Ottocento, Il cuoco
perfetto marchigiano, si legge la ricetta della Marena, dove le visciole son
bollite in acqua con buccia di limone e cannella, e poi si cuoce il succo della gran
parte di esse con lo zucchero, per poi versarlo con scorzette di limone nei vasi
con i frutti lasciati integri219. Anche Artusi nello stesso anno propone la ricetta
della Marena nel capitolo degli Siroppi, con le seguenti raccomandazioni per
una buona conservazione: Quando levate la marena dal fuoco, versatela in vaso
di terra e imbottigliatela diaccia. Tappate le bottiglie con sughero senza catrame e
conservatele in cantina dove tanto la marena che i siroppi si manterranno
inalterati anche per qualche anno220. Ancora nel Cuoco Perfetto Marchigiano
la Conserva di visciole prevedeva invece pi semplicemente di cuocere la
frutta in zucchero fino alla giusta cottura per poi invasare il composto ristretto
ottenuto221. Ma in questo manualetto di cucina e pasticceria esiste anche la ricetta
intitolata propriamente Visciolata, e qui la frutta viene ugualmente cotta, come
sempre depicciolata e denocciolata, ma in vino e con corteccia di limone e
cannella, per poi essere infine inzuccherata adeguatamente222; a quel punto la
ricetta assomiglia ai crostini gi citati del Nebbia, e questa visciolata viene
versata su fette di pane abbrustolite e bagnate con rosolio e rhum, per poi portare
il tutto a raffreddare in grotta, per essere infine servito cosparso di cannella.

216

L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 95.


A. NEBBIA, Il Cuoco Maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, p. 69.
218
Il codice di cucina, a cura di L. BARTOLOTTI, Rimini, 1993, p. 47.
219
Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 87.
220
P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,
2001, pp. 642-643.
221
Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 87.
222
Ivi, p. 83.
217

90

Proviamo insieme
Per fare la Vigiolata
Questa la ricetta di una marmellata di amarene, io per vorrei proporvi una ricetta
molto particolare che una Zuppa di amarene
Ingredienti
1 kg amarene snocciolate
6 bicchieri vino rosso ( 750 g)
250 g zucchero
cannella q.b.
chiodi di garofano q.b.
scorza di limone q.b.
n. 20 fettine di pane
Preparazione
Sono conosciute versioni di questa zuppa che risalgono al XVI secolo: secondo
l'uso del tempo, le fette di pane erano precedentemente fritte nel burro. Un'altra
variante consisteva nel riempire con il liquido e la frutta una "cassetta" di pane
Toglire il picciolo alle amarene e snocciolarle. Portare ad ebollizione il vino in
un recipiente di coccio Unire lo zucchero, la cannella, i chiodi di garofano e la
scorza di limone Continuare a bollire fino ad evaporare la met del volume
Versare le amarene e lasciare sobbollire un attimo Dopo aver separato gli aromi,
travasare in una zuppiera sul cui fondo sono disposte le fettine di pane e servire.
Potete usare anche un pane rotondo, tagliarlo a met e svuotarlo dalla mollica e
riempirlo della zuppa di amarene ,passarlo poi in forno a 180 gradi per 10
minuti.
Curiosit
Dette anche visciole o marasche (a seconda delle sottospecie di derivazione),
sono i frutti del Prunus Cerasus (parente stretto del Prunus Avium che fornisce le
ciliegie dolci). Sono un frutto antichissimo, probabilmente originario
dell'Estremo Oriente ma gi acclimatato nelle nostre zone nel periodo neolitico,
come testimoniano i ritrovamenti di suoi noccioli in insediamenti palafitticoli dei
laghi svizzeri. La coltivazione delle ciliegie e delle amarene fu poi diffusa in
tutto il Nord dell'Europa dai coloni romani. Rispetto alle visciole e alle
marasche, che hanno un colore rosso scuro, l'amarena caratterizzata da una
tonalit pi pallida e da un sapore fortemente acido ed amarognolo. Coltivata
largamente in altre parti della penisola, in Lombardia l'amarena presente come
albero mantenuto presso le case di campagna per un consumo individuale e
per decorazione. Ricche in acido citrico e in vitamina A, le amarene vengono
utilizzate principalmente per conserve sotto alcol o per farne acquaviti, liquori e
sciroppi.

91

Maniera di candire le scorze di Limone, o arancio


(Fascicolo I, carta 14)
Prima si puliscono dentro ben bene le sud.tte scorze, levandone tutte le
midolla, poi si fanno stare per otto giorni almeno in infusione nellacqua
corrente, o pure in mancanza di acqua cor.e nellacqua ferma, che per bisogna
mutare ogni giorno; indi si fanno bollire in una caldaia dacqua con un poco di
sale per unora in circa, dopo si pongono a scolare , e si asciuttano ben bene
con panno lino, e quindi vi mettono di nuovo a bollire in una cazzajuola, o
Pignatta con tanta quantit di miele, che le cuopre tutte, con lavvertenza per,
che subito alzato il primo bollore si debbano levare dal fuoco: poi si tengono per
otto giorni sempre in caldo con cenigia sotto nellistessa pignatta ben coperta,
maneggiandole, e rivoltandole spesso con cucchiaja lunga di legno, e debbono
poi tenersi conservate nella pignatta medesima nellistesso miele, il quale poi
non pi buono per adoperarsi.
Avvertasi, che le scorze di Cedro, o di Limone, o di arancio di Portogallo si
devono tenere nellacqua fresca meno di quelle di arancio forte.
Queste leccornie dolci che hanno unantichissima origine nella sapiente
pasticceria araba, e successivamente una connotazione originaria di squisitezze
esclusive dei ceti aristocratici e borghesi nel Medioevo europeo: ad esempio dal
Trecento si conservato un ricettario manoscritto francese, il Menagier de
Paris, dove presente tra le altre la ricetta delle Orengat, scorzette darancia
candite nel miele223. Queste specialit di confetteria hanno incontrato nei secoli
unelaborata tradizione di raffinato perfezionamento nei laboratori di spezieria
delle abbazie e dei monasteri, spesso inarrivabili officine del gusto. Leonardo
Bruni ha rinvenuto una ricetta conventuale benedettina di Cingoli della fine
dellOttocento, dove preliminarmente le scorze di arance, di portogalli, di
meloni dopo essere state mondate si fanno seccare al sole. Dopo le ripetute
bolliture, analoghe anche nella ricetta delle clarisse di Serra de Conti, queste
scorze si fanno bollire nel vino cotto, e poi ricuocere nella sapa (mosto cotto
concentrato), aromatizzandole a piacere con la cannella224. Identica ricetta si
riscontrava presso le clarisse del monastero di San Giuseppe di Pollenza 225.
Questa preparazione in realt contigua ad unusanza anche contadina, di
riciclare saggiamente anche alcuni residui di cibo, come appunto bucce e scorze
di frutta, che vengono cos dolcificati e conservati. Con lo stesso procedimento si
realizzava unaltra confettura tipica, le pacche o pacucce, dove ugualmente
fette o spicchi di mele o di cotogne venivano essiccate al sole, asciugate al forno
e poi cotte con vino bianco, sapa e cannella: si mangiavano appena pronte oppure
si conservavano ben sigillate in vasi di coccio.

223

La citazione della ricetta dell Orengat dal manoscritto Menagier di Paris tratta da O.
REDON F. SABBAN S. SERVENTI, A tavola nel Medioevo, Roma Bari, 1995, p. 284.
224
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 323.
225
S. PAPA (op. cit.., p. 34)

92

Nota per fare le Cottognate o Persicate


Si lessano le cottogne e persiche, poi si passano nel settaccio poi si raccoglie
quella pasta che sorte dal settaccio, si pesa ed ogni due libre di cottogne o
persiche si rimette una libra e mezza di zuccaro.
Si avverte che il zuccaro sia pesto fino fino.
Poi si prende una teglia di rame e di coccio si fa asciuttare la pasta con un poco
di cenere calda, e poi vi si mette il zuccaro fino e con un cochiajo si muove
finsopra (?) da una parte come si fa la Crema, po si minestra sopra una tavola e
poi si taglia con quel disegno la volle oppure si fa con un stampo.
Dopo tagliati li pezzi si fanno asciuttare al sole.
Gi la mitologia favorevole alla mela cotogna: krisomelon (mela dorata) la
chiamavano gli antichi greci, che la identificavano con i celebri e preziosissimi
pomi doro tenuti a guardia da un drago nel giardino delle Esperidi, prima che
Ercole in una delle sue dodici fatiche riuscisse a razziarli.
Di questo frutto Columella conosceva lenorme potere dolcificante, ed infatti
suggeriva di mettere una mela cotogna per ingentilire mosto o conserve di frutta
troppo aspre. Nel tempo la confettura di cotogne divenne una preparazione molto
apprezzata, quasi un emblema di tutte le pi raffinate e dolci conserve di frutta
che venivano che venivano confezionate dagli speziali in segrete ed elaborate
ricette. Queste dolci preparazioni con la mela cotogna figurano anche nei pi
antichi ricettari in lingua italiana del Trecento 226. La composta ottenuta cuocendo
le cotogne con zucchero o miele ed altri aromi o spezie veniva poi spesso messa
distesa su di un piano e messa ad essiccare: si tagliavano cos a listarelle o a
forma di losanghe tanti riquadri di questa cotognata che erano sia serviti freschi
appena pronti (spesso imbanditi su di un letto di foglie di alloro), si anche
inscatolati e poi venduti; le qualit pi pregiate erano anche smerciate lontano,
imbarcate verso diverse rotte via mare. Nelle Marche nel Seicento era
particolarmente rinomata la cotognata confezionata ad Ascoli. In periodi pi
recenti Pellegrino Artusi nel 1891 riporta nel suo ricettario una preparazione di
Cotognata da preparare con Zucchero bianco fine, in percentuale di due chili
per tre chili di mele cotogne227.
Unaltra confettura particolarmente pregiata era preparata con le pesche,
chiamate originariamente dai latini mala persica per la loro presunta
provenienza dallOriente e dalla Persia. Capitava spesso pertanto che i termini
cotognata e persicata, andavano a confondersi ed a coincidere, indicando lo
stesso tipo di preparazione, a prescindere dalla frutta effettivamente impiegata.
Questa preparazione originariamente di spezieria, ha avuto la sua diffusione nei
monasteri, da sempre e notoriamente raffinati laboratori officinali. Questa
preparazione delle clarisse di Serra de Conti, ricorre anche tra le ricette delle
loro consorelle dello stesso ordine di Pollenza228.

226

O. REDON F. SABBAN S. SERVENTI, A tavola nel Medioevo, Roma Bari, 1995, p. 280 281.
227
P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,
2001, p. 547.
228
S. PAPA (op. cit.., pp. 33-34)

93

Proviamo insieme
Cottognate o Persicate
Versione 1
Ingredienti
mele cotogne (da 1 a 3 kg)
zucchero
limoni
stampi decorati in terracotta (o alluminio)
foglie di alloro, secche
Preparazione
Le mele cotogne vanno lavate e pelate; la scorza va messa da parte, in una
pentola, insieme ai torsoli rimasti dopo che tutta la polpa sar stata tagliata
Scorze e torsoli coperte a filo con acqua, van fatte cuocere per 45 minuti a fuoco
lento
La polpa, alla quale sar stato aggiunto un limone tagliato a pezzi per ogni kg di
peso, deve cuocere per 20 minuti, in abbondante acqua, fin quando sar facile
attraversarla con uno stecco.
Ora, tolto il limone (non si butta: piuttosto va aggiunto a quanto bolle nellaltra
pentola), occorre schiacciare la polpa con una forchetta e passarla in setaccio a
maglia fitta, e pesarla: aggiungere zucchero per 9/10 e quanto si sar riuscito a
ricavare dallaltra cottura ( cio il succo e quella minima quantit di polpa che si
potr ottenere schiacciando leggermente tutto in un colino a maglia fitta). Ben
mescolata e posta sul fuoco, va cotta per 12 minuti dal bollore
E questa la cotognata. Mescolare in continuazione mentre sul fuoco, altrimenti
sattacca alla pentola e brucia!
Bagnare gli stampini con succo di limone e versarvi la cotognata calda; battere
sul tavolo per assestarla e poi asciugarla al sole per 2 giorni.
La si pu sformare subito; ma necessario lasciarla ancora al sole fin quando si
sar completamente asciugata. Naturalmente potete asciugarla in forno a 30
gradi, controllatela spesso per accertarvi che si asciughi senza seccarsi.
Una scatola di latta, foglie di alloro, nessuna umidit, la conserveranno
per molto tempo e se arriva a Natale la potrete regalare agli amici!

94

Pera cotogna alla vaniglia

Vi propongo una ricetta molto semplice che per esalta al massimo la soavit
zuccherina della pera cotogna.

Ingredienti
200 g di zucchero di canna
8 piccole pere cotogne
4 stecche di vaniglia
burro qb
Preparazione
Occorre una vaniglia molto profumata come quella del Madagascar(la troverete
nei negozi di spezie)
Scaldate il forno a 160 gradi, lavate le pere cotogne ed asciugatele, togliete il
picciolo e detorsatele lasciando il frutto intero e senza bucare il fondo. Versate su
ogni pera lo zucchero e un fiocco di burro; infilate mezza stecca di vaniglia in
ogni apertura. Versate un dito dacqua sul fondo di una teglia a bordi alti, ponete
le cotogne, aggiungete 4 fiocchetti di burro e 2 cucchiai di zucchero. Lasciate
cuocere per unora. Servite cade e se volete accompagnatele con gelato alla
crema.

95

Fegato di vitello alle pere cotogne


Se volete preparare un piatto molto particolare vi propongo questa ricetta

Ingredienti per 4 persone


600 g di fegato di vitella o vitello
4 pere o mele cotogne
200g di scalogno
70 g di zucchero
aceto balsamico di Reggio Emilia
essenza di senape (in farmacia)
burro e sale
Preparazione
Preparate 2 fettine di fegato di vitello a testa, pelate lo scalogno.
Sciogliere 2 cucchiai di burro con 30 g di zucchero, unite lo scalogno tagliato in
4 parti e cuocete a fiamma bassissima col coperchio per 15 minuti .Controllate
che il tutto abbia fatto una specie di sughetto, togliete il coperchio e versate 4
cucchiai di aceto balsamico e fate restringere il tutto.
A parte pelate le cotogne e affettatele a spicchi, nel frattempo sciogliete altri 2
cucchiai di burro con lo zucchero rimasto e fatelo brunire. Unite le cotogne e
cuocete per 10 minuti ,se serve aggiungete un po dacqua. Una volta cotte
versatele in una ciottola e mettete 3-4 gocce di essenza di senape, mescolate e
coprite.
Prendete una padella antiaderente, fate sciogliere due cucchiai di burro e cuocete
le fettine di fegato circa 2 minuti per parte.
Preparate il piatto in questo modo: mettete il composto con lo scalogno, ponete le
due fettine di fegato di lato, e dallaltro le cotogne.
Curiosit
Quando diciamo cotogne intendiamo mele o pere? Ebbene pur essendo diverse
nellaspetto, la sostanza non cambia, sempre cotogna: la buccia di entrambe
di color giallo, quasi portasse una tunica di narciso.un vestito di lanuggine
cinerina svolazzante sullaureo corpo Cos scriveva in una poesia andalusa un
anonimo del X secolo sulla cotogna.

96

Piatto di Mele siroppate


Si prendano le mele, e si mondano, e di ciascuna se ne fanno quattro pezzi, di
poi si fanno bollire nel mosto cotto, o vino buono, e quando sono ben cotte, si
accomodano nel piatto. Queste poi devono essere ricoperte di crema, quale si
pu fare di diversi colori e odori. Se si vuol fare bianca si prende un poco
damido, amandole dolci, quali si devono passare per setaccio, Zuccaro, e un
tantino di amandole amare che servono per dargli lodore, dipoi si mette al
fuoco, facendola bollire e meschiandola, e quando sar piuttosto densa si mette
sopra il piatto accomodato. Se si vuol fare rossa vi si metter un poco di
Cannella ed un tantino di Garofoli. Per la verde si prenderanno delle erbette, o
ancora a suo tempo un poco di foglie di Persico e queste serviranno per diverso
sapore. Per la negra si prenderanno delle amandole abbrustolite ben peste, con
un poco di cioccolata, e secondo la quantit della robba, che vuol fare, ci
metter ancora un limone grattato, che servir per dargli diverso odore. Per la
gialla, si far con il sud.o modo mettendoci il Zaffarano.

97

Dolci fritti
Per fare i Castanioli
Per fare i Castanioli per 31 persone, e P. Confessore, e Fattore, ci vuole 36
Ova, mezza libra di Zuccaro, mezza foglietta dolio, e spirito di vino
Le castagnole sono dolce tradizionale del Carnevale. La pi antica traccia di
queste semplici frittelle nella letteratura gastronomica marchigiana si trova ne Il
cuoco perfetto marchigiano, dove il titolo di una ricetta recita Fritto detto
castagnole229.
La tradizione contadina ha elaborato la ricetta canonica con il profumo di Mistr
(liquore allanice), e la buccia di limone. A Matelica caratteristico condirli con
un miele mescolato ad alchermes, e profumato con scorza di limone, anzich
spolverarli di zucchero230.

229
230

Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 33.


Antologia della cucina popolare, Fabriano, 1993, p. 82.

98

Proviamo insieme
Castanioli
Ingredienti
500 grammi di farina
4 uova
4 cucchiai zucchero
4 cucchiai di olio
100 grammi di latte
mezzo bicchierino di mistr
un pizzico di vaniglia
la grattatura di un limone
una bustina di lievito
Preparazione
In una ciotola o zuppiera versare la farina, le uova e lo zucchero e cominciare a
battere con una forchetta ,aggiungere in successione 4 cucchiai di olio , 100
grammi di latte, mezzo bicchierino di mistr, un pizzico di vaniglia e la
grattatura di un limone quindi, alla fine, una bustina di lievito. Deve risultare un
impasto morbido
Mettere in parte uguale olio buono e strutto... la vecchia tradizione per lo
strutto.. ma si pu anche friggere in solo olio di semi ;quando ben caldo
mettere con un cucchiaino da the le palline che si vanno a formare, staccandole
con un dito dal cucchiaino si fanno scivolare lentamente nella padella, girarle
con una forchetta quando sono ben gonfi e dorati da una parte .A cottura ultimata
si scolano con una schiumarola e li adagio su carta assorbente, spolverizzateli di
zucchero semolato .

99

Grostoli da Vigilia
(fascicolo 1, carta 5)
Piglisi unoncia di lievito e libbra una di farina, impastisi con latte di pignoli
fatto con un poco di vino bianco, et acqua rosa, acqua commune tepida, sale,
zuccaro, e oglio, e per dargli il colore un poco di zaffarano; e fatta sar la pasta
non troppo soda, facciasi sfoglio sottile e dopo se ne potr fare Gruppi, Treccie,
ed altri lavori doppiandola prima che si faccia il grostolo, e friggasi nelloglio,
poi vi si metta sopra il zuccaro o miele.
Detta Pasta si pu fare ancora senza latte, ma solo con il vino, Oglio, Zuccaro, e
sale.
Pasta liquida per Frittelle ed Altri lavori
(fascicolo 1, carta 5 v.)
Piglisi fior di farina, e pongasi in un vaso di terra invetrato, o di rame stagnato;
impastisi con acqua, vino bianco, oglio freddo, e sale, e tingasi di zaffarano, e
sbattasi assai con il cocchiaro di legno, di modo che venga come una colla
liquida: e di essa posta se ne pu fare frittelle con diverse foglie derbe, mele
fettate, et aggiungendo luva passera ammollata in vino caldo, ed un poco di
lievito, e Zuccaro.
A fine Settecento Antonio Nebbia ne Il cuoco maceratese suggerisce di
preparare Frittelle di pere, mele, persici e di ognaltro frutto di simil qualit
aggiungendo alla pastella (colletta) un pizzico danisi 231. Invece a fine
Ottocento ne Il Cuoco Perfetto Marchigiano riportata una ricetta di Fritto di
mele, dove i frutti, sbucciati e privati del torsolo, e quindi affettati in tanti anelli
dello spessore di uno scudo, vengono prima cotti brevemente nel vino, con
corteccia di limone, cannella, zuccaro e lodore del rosolio; dopodich scolati e
raffreddati, vengono impanati e fritti, per poi venir serviti caldi cosparsi di
zucchero232.
Sempre nel 1891 Pellegrino Artusi propone naturalmente la sua versione del
Fritto di mele, e inconsapevolmente riprende uno spunto dal Nebbia: Quando
siete per friggerle e se non vi dispiace lodor degli anaci, che qui sta bene,
mettetene un pizzico233.
Frittelle di Riso
(fascicolo 1, carta 5 v.)
Piglisi una libbra di riso ben netto, e lavato pongasi al fuoco con tantacqua
fresca, che stia coperta; e quando avr sorbita lacqua, abbiasi latte duna
libbra damandole e mezza libra di Zuccaro, e pongasi dentro la met,
aggiungendoli il pesto a poco a poco fino a tanto, che sar ben cotto, quale poi
si stender sopra una tavoletta, e si lascier asciugare da se; piglisi poi, e si
faccino ballotte di grossezza duna mezza palla, e sinvolghino nella soprad.a
Pasta liquida; e si friggeranno in Oglio. In altro modo: asciutto, che sar il riso,
pestisi nel Mortajo, aggiungendo la mollica dun pane, imbevuta nel brodo ov
231

A. NEBBIA, Il Cuoco Maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, p. 161.


Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 31.
233
P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,
2001, p. 180.
232

100

cotto il riso, facciansi poi ballotte, e sinvolgano in fiore di farina, friggendole in


Oglio.
Nella ricetta delle Frittelle di riso di Antonio Nebbia esistono forti somiglianze
con questo appunto di cucina delle suore di Serra de Conti: ne Il cuoco
maceratese infatti il riso viene ugualmente cotto aggiungendovi delle
amandorle dolci, ma scompare lo zucchero, quasi in una ricerca di modernit
dei sapori, mentre suggestioni dolci vengono affidate alla cannella e raspatura di
limone234.
Ne Il Cuoco Perfetto Marchigiano esistono due ricette di Fritto di Riso: la
prima illustra di preparare delle crocchette ricavate da un sontuosissimo risotto
preparato con rigaglie di pollo, funghi, prosciutto, cipolle, prezzemolo e
pomodoro; la seconda invece un Fritto di riso dolce in parte riconducibile a
questa ricette delle clarisse di Serra de Conti: lanonimo compilatore del 1891
non adopera le mandorle, ma cuoce il riso nel latte vero e proprio, ugualmente
con zucchero e con laggiunta anche di cannella; anzich con la mollica di pane
qui il risotto raffreddato legato con tuorli duova, dopodich, aromatizzato con
limone, modellato in tanti bastoncini da impanare (anzich infarinane) e
friggere, per poi servirli caldi cosparsi di zucchero.
In quel medesimo 1891, ma in un ricettario di vocazione nazionale (ma molto
condizionato da influenze tosco-romagnole), LArtusi propone ugualmente due
ricette di Fritto di riso, ma invece entrambe con un carattere dolce. Il riso viene
cotto nel latte, ed appena dolcificato con una o due cucchiaini di zucchero,
aromatizzato con buccia di limone ed una cucchiaiata di rhum, legato con un po
di farina e uova; a quel punto si possono rendere le frittelle ancor pi golose con
laggiunta di uva sultanina e pinoli tritati (come nella prima variante) oppure
considerare il composto pronto, e quindi modellare i pezzetti e friggerli, per poi
servirli caldi cosparsi di zucchero235.
La tradizione contadina aggiunge allimpasto di riso dolce, cotto nel latte, anche
linconfondibile aroma di alcune cucchiaiate di mistr236.

234

A. NEBBIA, Il Cuoco Maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, p. 161


P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,
2001, p. 180.
236
Antologia della cucina popolare, Fabriano, 1993, p. 95.
235

101

Fritto
(fascicolo 1, carta 8)
Per circa 10 persone. Si prendono l. 3 Ammandorle dolci, si toglie la pellicola e
si pestano fine assai ed anche passate al Setaccio, indi vi si unisce Olio, Vino,
Acqua parti eguali di tutto e simpasta con farina ed un cucchiaio di Zuccaro,
facendo la sfoglia un pu grossa; poi si taglia o a quadrelli ovvero tondi a
piacere, ed infine si friggono con Strutto, o Olio e dopo si inzuccarano di sura
edi sutta (sic).
Altro fritto
(fascicolo 1, carta 8 v.)
Si fa una Sfoglia a guisa di quella de Tagliolini impastandola con farina e Ovi,
poi si taglia questa sfoglia come parimenti i tagliolini ma finissimi come fili si
seta poi si prepara nella Padella Strutto (o olio) e si prendono questi tagliolini
come tanti fiocchetti e cos si gettano nella Padella a friggere, ma n. prenda
colore giacch dopo fritti hanno da restar bianchissimi indi si cavano e si
inzuccarano, aggiungendovi la cannella, ancora.
Mign
(fascicolo 1, carta 2)
Si prende un buon pugno di farina, si impasta come lostie e ben impastata, si
mette friggere con un poco di strutto, ma prima si strugge lo strutto.
Fritta che sia si cava e si mette in un piatto cupo si aggiunge un ovo e si sbatte
tutto insieme che si riduca una pulenta e anche pi stretta. Se non basta un ovo
ce se ne aggiunge qualchun altro unitamente ad un pu di Zuccaro a giudizio
eppoi si rimette a friggere facendone tanti pezzetti.
E la dizione marchigiana di bign, a sua volta italianizzazione del francese
beignet.
Nella letteratura gastronomica marchigiana la prima attestazione scritta di questo
fritto spetta al Nebbia, che propone la ricetta delle frittelle di pasta a Mign: il
cuoco maceratese prescrive di cuocere su una cazzaruola la prima pastella
con brodo o latte e quattro once di buon butiro e poco sale, e poi
aggiungendo la farina, mescolando con cura e diligentemente il tutto facendo
attenzione che non si attacchi al fondo237. Una volta cotto questo amalgama vi
si doveva aggiungere molte pi uova rispetto alla ricetta delle clarisse (lautore
arrivava a ben dodici tuorli complessivi). Il tutto andava poi intagliato con il
rampino duna cucchiara bucata, o un ferro fatto a posta, e poi veniva fritto a
fuoco lento perch questa pasta deve alzare assai, e trovandosi con fuoco
impetuoso si farebbe rossa e non alzarebbe; una volta cotte dal color oro
chiaro andavano infine servite calde, ugualmente spolverizzate di zucchero238.
Pressoch identico il procedimento di preparazione della Pasta Mign,
contemplato nel Cuoco perfetto marchigiano, dove la mistura messa a bollire
per aromatizzata con una corteccia di limone ed alcune stecchette di
cannella239; dalla ricetta di base si passa poi in un altro capitolo ad un analogo
Fritto di pasta Mign, dove si suggerisce di usare una siringa per ricavare dei
237

A. NEBBIA, Il Cuoco Maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, p. 26.


Ibidem.
239
Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 71
238

102

pezzetti di pasta lunghi mezzo dito, da friggere poi e servire ugualmente caldi
con spolverata finale di zucchero240. Il medesimo anonimo ricettario del 1891
presenta poi la ricetta dei Fonghetti di pasta Mign, dove le pallottole di pasta
cotte al forno si farciscono poi come gli odierni bign, di crema dura, di
mandorle abbrustolite e peste condite con zuccaro, cannella, limone e rosolio, di
una buona mostarda, od anche di una conserva di visciole 241. Leonardo Bruni
riporta anche una ricetta fabrianese da lui raccolta (anteriore alla seconda guerra
mondiale) dove i mign anche in questo caso cotti al forno, andavano riempiti
di crema e oltre che spolverati di zucchero anche spruzzati di alchermes242.

240

Ivi, p. 27
Ivi, p. 76
242
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 317.
241

103

Biscotti e piccola pasticceria secca


Per fare i Majorchini
Per fare i Majorchini per una dose ci vuole Ova 24 ed una libra di Zuccaro, ci
vuole una libra e tre oncie di lievito. Si sta in un cattino e si rinfresca tr volte, e
poi si raffina con un poco di ovi sbattuti fino a che sia bene raffinato, e poi
questo lievito si butta in un cattino enorme assieme con il restante degli ovi e poi
si mette la farina si impasta come fosse ciambelle, ma non sia la pasta dura,
piuttosto morbida, bisogna questa pasta smenarla da tre quarti, e se si
attaccasse nella tavola, si prende un tantino dolio, quando fina si mette entro
il cattino con un poco dolio e si ripone questa pasta, e si cuopre con panni
grossi, e si fa una stufa e si scalda larmario e si fa passare tutta la notte fino a
che sia ben levitata, e quando sono ben levitati si torna a meneggiare la
medesima pasta, e si fanno dei pezzi quanto la grossezza dun lasagnotto, e la
lunghezza quanto dui palmi, e questi poi si rimettono in stufa, che si devono
lievitare, quando sono ben levitati si mettono al forno.
Lorigine del nome deriva molto probabilmente dalla pregiata farina di Majorca,
sicuramente impiegata per la confezione di questi importanti pasticcini secchi.
Nella medesima zona di Serra de Conti, Barbara, ed Ostra e tutto lentroterra
senigalliese la tradizione ha perpetuato la memoria di un dolce dal nome simile,
che si chiama invece marocchino, e che ha in pi ha tra gli ingredienti le
mandorle sbucciate e tostate. Ad Ostra Vetere si chiamano invece ancora
Majorchini. Era un dolce che si faceva per alcune ricorrenze familiare come
battesimi, cresime, comunioni, da mangiare inzuppandolo nel vinsanto o nel
cioccolato243.

243

L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 305.

104

Pastine lunghe per cioccolata


Si pongono in catino di terra vernigiato rossi dova dieci, e chiare quattro, si
sbattono un quarto dora, poi si mette zuccaro bianco ben pesto libra una, e cos
si battono per altra mezzora, poi vi si mettono oncie quattro danaci, e farina a
giudizio.
Si preparano due teglie con farina stacciata e ben coperta, poi si minestrano a
dovizia, due strigie per teglia, e devono restar consistenti, poi si mettono in
forno;
Colorite un poco che siano, si cavano con diligenza e si tagliano a strigiette, poi
in teglia pulita e senza farina si rimettono in forno, ad abbrustolirsi per altro
poco ma con discrezione di colore, come si usa co savojardi.
Nei Promessi Sposi quando la sfortunata Gertrude accetta di entrare
definitivamente in convento si fa portare una chicchera di cioccolata. Dietro a
questa tristissima vicenda di una vocazione sforzata si cela comunque lessenza
del dolce infuso di cacao come specialit familiare alla cultura gastronomica dei
monasteri, e ricorrente in ambito ecclesiastico 244. La lunga storia della cioccolata
come golosissimo nettare zuccherino sembra nascere infatti propriamente ad
opera delle suore. Sembra infatti che la preparazione di questa leccornia dolce,
fin da subito molto appetita, sia nata allinterno di un monastero, secondo
tradizione sapiente e saggia officina del gusto: in un convento di Oaxaca, nel
Messico, si inizi nel Cinquecento a mescolare zucchero allinfuso di cacao,
cambiando cos radicalmente la preparazione convenzionale degli indigeni
amerindi, che erano invece soliti sorbire questa bevanda amara con la piccante
aggiunta di peperoncino245. La maestria conventuale nellarte di preparare la
cioccolata confermata nei secoli. Sembra che il cardinal Richelieu fu iniziato al
consumo della dolce bevanda calda da un gruppo di religiose spagnole 246, mentre
circa due secoli dopo Anthelme Brillat-Savarin, che nella sua Fisiologia del
gusto (1826) magnifica la segreta ricetta per linfuso di pasta di cacao,
rivelatagli da Madame dArestel, superiora del convento della Visitazione di
Belley; questi i suggerimenti in proposito della reverenda madre riportati dal
celebre gastronomo francese: Quando vorrete prendere della buona cioccolata,
fatela fare dal giorno prima in una caffettiera di porcellana e lasciatela star l. Il
riposo della notte la concentra e le conferisce un che di vellutato che la fa
migliore. Il buon Dio non pu offendersi di questa raffinatezza, perch Egli
stesso tutto perfezione247.
244

Il primo pontefice ad avere notizia del cioccolato, in merito ad informazioni descrittive sul
nuovo continente americano fu Clemente VII. (K. KHODOROWSKY H. ROBERT, Piccola
enciclopedia del cioccolato, Milano, 2001, pp. 42-43). Il primo a pronunciarsi in suo favore, sui
requisiti di bevanda che non interrompe il digiuno, fu Pio V (uno dei papi pi ascetici della storia
e probabilmente il meno propenso ai piaceri della mensa a discapito della dedica intestatoria nel
trattato dello Scappi).
245
La citazione del botanico Girolamo Benzoni, primo italiano ad assaggiarlo nel suo viaggio in
America tra il 1541-1555 (da SCHIAFFINO M., Il tormento e lestasi, in Cioccolato: il cibo degli
dei, Milano, 1996, p.8. Sulle varie impressioni e descrizioni dei viaggiatori nelle Americhe cfr.
LABANNE P., Lavventura del cacao, in Cioccolato: il cibo degli dei, op. cit., pp. 70-72
246
F. BRAUDEL (La civilt materiale, economia e capitalismo. Le strutture del quotidiano, Torino,
1979, pp. 222-223) ritiene che il vero introduttore della cioccolata in Francia fu il cardinale
Richelieu, che secondo i cronisti, ne faceva un grande uso perch sperava, proprio su
suggerimento di alcune religiose spagnole venute in Francia, che gli curasse la milza.

105

La fortuna della cioccolata in ambito monastico fu facilitata anche dal suo


carattere di bevanda molto sostanziosa ed energetica, perfetta per il periodo
quaresimale perch, come sostenevano molti trattati religiosi cinqueseicenteschi, pur nutrendo in modo ottimale era comunque liquida, e pertanto
non interrompeva le giornate di digiuno248. Ad esempio un documento
ottocentesco del monastero femminile benedettino di Santa Maria Maddalena di
Urbania (Pesaro) riporta come la cioccolata venisse servita durante la settimana
santa, al padre Confessore ed al cappellano nel Gioved Santo, ed allo sorelle che
intonavano i canti di passione durante il Venerd Santo249.
Si codific fin da subito la consuetudine di servire assieme alla cioccolata altre
leccornie dolci, che potevano accompagnare linfuso zuccherino e magari essere
inzuppati nelle chicchere fumanti di questa bruna bevanda. I dipinti ci raccontano
spesso di questa modalit conviviale, e stando alliconografia tra le tipologie di
biscotti o pasticcini da intingere troviamo le ciambellette, come ad esempio nel
quadro di Pietro Longhi La cioccolata del mattino, o anche appunto delle
strisce di pasta frolla, come in alcune nature morte, riconducibili appunto a
queste Pastine lunghe per cioccolata delle suore di Serra de Conti.

247

A. BRILLAT SAVARIN, Fisiologia del gusto o meditazioni di gastronomia trascendente,


Milano, 1985, p. 126.
248
A proposito del dibattito sulla qualit di cibo di magro della cioccolata P. CAMPORESI (Il
brodo indiano, 1990, pp. 111-112) osserva: Linfatuazione collettiva per il cioccolatte, di cui i
gesuiti erano stati araldi, cantori, pionieri e importatori, parve solo sfiorare gli altri ambienti
cattolici e gli altri ordini religiosi. I domenicani, tradizionali rivali della Compagnia di Ges, e
molti altri ordini presero posizione contro () Il padre Giuseppe Girolamo Semenzi, chierico
regolare comasco, professore di teologia allUniversit di Pavia, qualche anno prima che il padre
Strozzi simmergesse nei pi minuti segreti della tecnologia della cioccolata, aveva assaggiato
con sospetto il brodo indico mettendo in guardia contro i pericoli celati in quella insidiosa
bevanda che aveva potere di riscaldare in eccesso il sangue. Lautore riporta anche come i
gesuiti avessero una loro ricetta per la cioccolata, bevanda ideale ogni qualvolta che voglia
prendersi.
249
La trascrizione delle usanze del monastero ad opera di Donna Paola Lombardelli riportata da
P. DONADI (op. cit., p. 98)

106

Proviamo insieme
Pastine lunghe per cioccolata
Ingredienti:
10 tourli douvo
4 chiare (albumi)
400 g di zucchero
50 g di semi di anice
farina qb
Preparazione
Versare in una terrina i rossi (10) e le 4 chiare, montarle con una frusta, volendo si
pu usare una frusta elettrica) aggiungere lo zucchero e montarle di nuovo fino ad
ottenere una base cremosa :A questo punto aggiungere i semi di anice e la farina
00 quanto basta ad avere un impasto consistente ma molto morbido.
Vi consiglio di aggiungere la farina lentamente continuando a mescolare limpasto
con un cucchiaio di legno.
Si preparano due teglie da forno imburrate e leggermente infarinate e si fanno due
strisce di pasta per teglia, devono rimanere consistenti, poi si mettono in forno per
15 minuti a 200 gradi
Tolte dal forno, ancora calde, con molta attenzione si tagliano delle strisciette di
circa 3 centimetri di larghezza .
Si rimettono in forno a 180 gradi per 10 minuti in una teglia pulita non imburrata
n infarinata Controllare che prendano un bel colore dorato. Questi biscotti sono
deliziosi serviti con una cioccolata calda

107

Crostini di Magri di diverse qualit


Si prende il pane vi si fanno dei quadretti, si sbruzzano con aceto, e poi
infarinati di friggono con olio facendoli diventare rossi. Si prende un poco di
Rosolio con un poco di amandole negre ben peste con una piccola quantit di
sugo di limone, oppure grattatura di limone, ed un tantino di cioccolata, e
meschiate bene queste cose si stendono sopra i crostini.
Volendosi fare di altra sorte si prender un poco di amandole bianche con un
pochetto di quelle amare e del pane grattato passato per setaccio e questa
composizione si metter sopra i crostini.

Crostini
Si prende Ammandorle dolci si abbrustoliscono come il caff osservandoci se
sono arrivate che siano color cannella entro lAmmandorla cio spezzandole.
Fatto quello si pestano unitamente al zuccaro, e ci si unisce una grazia di Spirito
di vino. Pestate che siano si abbrustolisce dei crostini di Pane eppoi si sopra la
pasta di dette Ammandorle e si pone in Tavola.
Anche lanonimo Cuoco perfetto marchigiano del 1891 propone una ricetta
estremamente stringata per dei Crostini di cioccolata. Eccone la trascrizione
completa: Sciolta la cioccolata, vi si mescola il rosolio con poco rhum e odore
di limone, e si versa sui crostini abbrustoliti 250. Nello stesso testo presente
ugualmente una ricetta di Crostini di mandorle, che nellimpiego di mandorle
abbrustolite e pestate condite con zucchero, cannella e rosolio (con la variante
aggiuntiva dellodore di limone), ricorda molto la preparazione delle clarisse251.
INSERIRE FOTO MANOSCRITTO
Zuccarini a modo di ciambelle
(Fascicolo 2)
Pigliasi Zuccaro fino fatto in polvere, et abbiansi chiare dova fresche, battute;
mettansi in un catinello, e pongasi in esse chiare tanto zucchero, che venghi
pasta soda, e dessa pasta se ne faranno ciambelle. Se q.sti si pongono in una
tortiera, o testo a cuocere, che sia asperso di farina, o unto con cera bianca;
facciansi cuocere con poco fuoco, et alquanto pi di sopra. Vogliono poca
cuocitura, perch si gonfiano, e rimangono leggiere. Con esso si pu mettere un
poco dacqua rosa, o muschio a beneplacito.

250
251

Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p.119


Ivi, p. 80.

108

Proviamo insieme
Zuccarini a modo di ciambelle
Ingredienti
200 g di zucchero
200 g di mandorle pelate
2
albumi
Preparazione
Mettere nel mixer lo zucchero e le mandorle e frullarle fino ad ottenere come una
farina, Versare in una terrina e aggiungere gli albumi montati a neve soda.
Mescolare dolcemente dal basso allalto fino a rendere il tutto un impasto
omogeneo. Preparare una placca da forno, ricoprirla con carta forno. Formate
con le mani delle palline grosse come una noce e adagiatele nella teglia ben
distanziate tra loro .Infornate a 200 gradi per 15 minuti .Prima di staccarle dalla
carta lasciatele raffredddare.
Segreti
Per una maggior consistenza e una pi facile riuscita aggiungete allimpasto,
prima degli albumi, un pugno di pane grattato e setacciato. Procedete poi come
da ricetta.

109

Mostaccioli
Per fare Mustaccioli, e Fraschettine, si prende una libra due oncie di fiore di
farina, una libra di Zuccaro, una ottava di canella, e una di garofalo.
Per fare il pieno in sette libre di miele ci si mette tre boccali di sapa, mezza
oncia di Garofali, un oncia di pepe, la ranciata fatta con una sessantina di
scorze che pi di mezza Catina quando cotta.
La massa per le ciambelle del pieno ci si mette un boccale di vino e una foglietta
e mezza dolio.
Non stupisce affatto la presenza della ricetta dei mostaccioli in un convento di
clarisse. Esiste infatti una piccola poetica tradizione su questo dolce dorigine
povera e rurale. Tra le molte leggende fiorite attorno a San Francesco, si narra
che sul letto di morte il santo avesse chiesto di mangiare i mostaccioli 252. Questo
dolce nel Duecento, quando lo zucchero era ancora raro costoso ingrediente di
farmacia, si confezionava ancora secondo lunga tradizione contadina con il
mosto o con il vin cotto, con laggiunta eventuale di miele e frutta secca. Questa
era in effetti la ricetta che sorella Jacopa preparava al poverello di Assisi, e che
ancora si perpetua intatta in alcuni monasteri253.
Di mustia o mustacea, biscotti preparati con il mosto, si legge gi negli antichi
trattati latini di agronomia e nel De re coquinaria di Apicio, ricettario di epoca
romana imperiale. Si trattava di focacce dolci preparate in genere per le nozze,
aggiungendo alla farina ed al mosto anche del condimento grasso o del cacio, e
gli aromi dellanice o delle foglie di alloro.
Questi dolcetti dorigine antichissima vennero poi codificati nei secoli dalla
pasticceria medioevale, nobilitando liniziale matrice rurale in versioni pi
elaborate di pasticceria con laggiunta nel composto anche di miele e canditi. A
partire dal Rinascimento poi i pi celebri ricettari e trattati di gastronomia
aggiornavano la ricetta impreziosendola con la pi varia gamma di spezie ed
aromi, e soprattutto sostituendo come ingrediente dolcificante lo zucchero al
mosto, rimasto solo nella sopravvissuta denominazione originaria.
Nella pi recente tradizione contadina marchigiana si tendeva ugualmente a
dolcificare la pasta base del pane con mosto e zucchero assieme, aromatizzando
con anici, ed incorporando olio doliva (mezzo litro per due litri di mosto ed 800
grammi di zucchero) e farina quanta ne prende254.

252

Cfr. M. RINALDI M. VICINI, A tavola con i santi: storia, ricette, curiosit, Milano, 1995, p.
74.
253
S. PAPA (op. cit. p. 23) riporta la ricetta dei mostaccioli raccolta nel monastero delle clarisse di
Atri (Teramo), preparata secondo la preparazione originaria.
254
Antologia della cucina popolare, Fabriano, 1993, p. 38.

110

Proviamo Insieme
Mustaccioli
Ingredienti
2,2 kg di farina
2 kg di zucchero
1 litro di vino rosso
50 g di chiodi di garofano in polvere
30 g di cannella in polvere
60 scorzette di arancio(500 g di canditi)
500 g di sapa (sugo duva)
Preparazione
I Mustaccioli sono dei dolci che hanno una forma romboidale, un colore
violetto pallido, un sapore di vino e di spezie
Per preparare i Mustaccioli sono necessari 2,2 kg di farina., 2 kg di zucchero, 1
litro di vino rosso, 50 g di chiodi di garofano in polvere
e 30 g di cannella in polvere. Si lavora la farina lo zucchero e le spezie con 374
cl di vino; a met impasto, si aggiunge, gradatamente, il vino rimasto fino ad
ottenere un impasto molto consistente e liscio. Si tira la pasta fino ad ottenere
una sfoglia di circa 1 cm di spessore Si versa sulla sfoglia il ripieno di miele,
sapa, chiodi di garofano e una sessantina di scorzette di arancio o canditi misti.
Si arrotola limpasto e si tagliano dei piccoli rombi, si mettono su teglie e si
inforna a 175 gradi per circa 20 minuti. I Mustaccioli si conservano in luogo
asciutto e si consumano entro 2 mesi.
Segreti
Vi consiglio di acquistare la sapa o mosto cotto gi confezionato. Le troverete in
qualsiasi supermercato.

111

Sfrangiate e biscotti di vino


Per fare le Sfrangiate, in una libra di Zuccaro ci va una foglietta e mezzo
dolio buono, e tre fogliette di vino.
Per fare i Biscotti ci vuole una libra e mezza di Zuccaro, 5 pugni dAnisi, una
Foglietta dolio, un boccale di Vino
Nota per fare le fettine di Vigilia.
Per buccale di mosto = una foglietta di olio = una libbra di Zuccaro = Aranci
a piacimento
Si unisce tutto in una pentola, e si fa stare in infusione, la mattina poi si unisce
alla farina, vi si pone il lievito la sera ad uso del Pane, e questo deve essere
messo con il mosto cotto dopo schiumato, e caldo sufficientemente questo per
non compreso nel sud.o buccale: la farina a discrezione. La pasta va molto
bene sbattuta e lievitata; e poi dopo lievitata si rimena di nuovo, si forma i
modelletti lunghi si fa di nuovo lievitare e poi si manda al forno, gli si fa dare
mezza cottura, e poi si fettano, e si rimettono al forno a biscottare. Gli anaci
stanno bene, oncie 3.
Ecco altri due specialit secche dolci che tuttora trovano posto nella cucina
tradizionale marchigiana, come delle altre regioni del Centro Italia. Tra queste ad
esempio le ciambelle o i biscotti al vino che raccolgono nella loro composizione
i due prodotti principali del ciclo autunnale della terra, il mosto e lolio, che
spesso nelle ricette contadine era impiegato come ingrediente grasso al posto del
pi pregiato strutto, o del rarissimo burro. Se si aggiunge a questi due
componenti il terzo ingrediente indispensabile per limpasto, la farina, in questo
genere di amalgama viene idealmente evocata la triade virtuosa di cereali, uva ed
oliva, emblema millenario del sapere agro-alimentare per le prime civilt
storiche del Mediterraneo, soprattutto per i nostri avi greci, etruschi e romani.
Del resto la cucina contadina impiegava come edulcorante molto pi facilmente
miele e mosto, rispetto allo zucchero, per tanto tempo rarissimo e costoso, e che
comunque anche dopo lavvento dellestrazione industriale dalla barbabietola (a
partire dallOttocento), non fu mai prodotto di autoconsumo per le popolazioni
rurali. Cos per tanto tempo nelle campagne per preparare i dolci si usava pi
comunemente la sapa (sciroppo ottenuto con mosto bollito), che lArtusi ricorda
sempre gradita ai bambini, che nellinverno, con essa e colla neve di fresco
caduta, possono improvvisar dei sorbetti255. Spesso nei dolci contadini
marchigiani si impiegava la pi grossolana farina gialla di granturco, come ad
esempio nella turcata, torta della vendemmia del fabrianese (fatta con frutta
secca stagionale) che nel nome stesso allude al cereale pi plebeo. Una volta
mescolati gli ingredienti nelle terrine di coccio o sulla spianatoia, si aggiungeva
infine il tocco finale distintivo di questi dolci, linconfondibile aroma dei semi
danice: limpasto era cos pronto per modellare le ciambelle di mosto, nella
forma caratteristica ad anello, presente in molti altri dolci della tradizione
contadina, come ad esempio la roccia tipica dei vecchi festeggiamenti
nuziali256.
255

P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,


2001, p. 645.
256
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 325.

112

Nota per fare le pastine dette Birbanti


Per una libra di zuccaro piuttosto bianco vi vogliono oncie 7 di ammandole
dolci, e circa due once di quelle amare. Della farina ve ne vogliono once 24. (In
mancanza delle ammandole dolci si pu sostituire li bignoli).
Dopo so pone un po di scorza di limone o arancia grattato, ed una grazia di
cannella. Le ammandole siano piste poco poco.
Indi si impastano piuttosto duri e poi si lavorano in quella figura che ognuno
vuole. Quando si mandano al forno prima si bagnano con una penna collacqua
eppoi li si d il zuccaro come ai savojardi.
Per conoscere quando sono cotte, perch vogliono la cottura delle spume, basta
che siano nelle punte dure, perch le ammandole tendono sempre al morbido
quando sono calde.
Per farle col miele in vece del zuccaro, in una libra di farina vi vogliono circa
oncie 24 di miele, tuttaltro per regolarsi come sopra.
I Birbanti sono dei dolcetti di mandorle che tuttora si preparano nella vicina
Umbria. Guglielma Corsi, nel suo Un secolo di cucina umbra, pubblicato pi
di trentanni fa, tra le ricette antiche, riporta un saggio di un autentico ricettario
di un secolo fa, non ulteriormente definito; tra queste antiche ricette c appunto
la preparazione di questi Birbanti, dalla procedura pressoch identica
allappunto di cucina delle clarisse di Serra de Conti. In questa variante umbra
alle mandorle potevano anche sostituirsi i pignoli, ed il carattere ugualmente
monastico di questa ricetta probabilmente sottolineato dal passaggio finale del
testo con un particolare significativo: il composto viene tagliato in tanti piccoli
pezzi, ogni pezzo deve essere arrotolato, posto sopra le ostie e cotto in forno
lievemente caldo. Tornando invece alle Marche, si trova traccia di questi
biscotti in un altro ricettario manoscritto di clarisse, appartenente al monastero di
Santa Chiara di Montegiorgio (Ascoli Piceno): il procedimento lo stesso, si
impasta il tutto con il vino bianco, ed una volta stesa la sfoglia dello spessore di
due centimetri si ritagliano i biscotti in rettangoli lunghi 10 e larghi 4
centimetri257.
Nel ricettario anonimo Il cuoco perfetto marchigiano, pubblicato per la prima
volta a Loreto nel 1891, c la ricetta dei Birbi di mandorle, biscotti che anche
nel nome ricordano ugualmente questa preparazione di pasticceria delle clarisse
di Serra de Conti. Gli ingredienti sono gli stessi (si prende una libbra e mezzo
di farina, una di zuccaro, sei once di mandorle abbrustolite e peste, due once di
cannella); lunica differenza la mancanza dellaroma delle bucce grattugiate di
limone ed arancia, mentre invece in questo testo a stampa si suggerisce di
impastare con il vino. Per il resto il testo della ricetta manoscritta del monastero
quasi testualmente simile, fase per fase, a quella presente in questo manuale di
cucina tardo - ottocentesco (stampato nello stesso anno della prima edizione del
testo di Artusi): in modo da formare una pasta dura come quella del pane, si
d a questa la forma che pi piace e mandasi al forno con zuccaro sopra.258

257
258

S. PAPA (op. cit.., p. 168)


Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 72.

113

Proviamo insieme
Birbanti
Ingredienti:
400 g di farina
200 g di zucchero
100 g mandorle o pinoli
30 g mandorle amare
3 chiare d'uovo
1 pizzico di cannella in polvere
1 scorzetta di limone o di arancia non trattata (solo la parte arancione)
grattugiata
alcune ostie
Preparazione
Pestate le mandorle nel mortaio oppure pestatele con il coltello in modo
grossolano Lavorate assieme farina, zucchero, cannella e scorza d'arancia e le
mandorle Montate a neve gli albumi e incorporateli delicatamente al
composto Disponete delle ostie (si acquistano in farmacia) su una placca da
forno, ponete su ognuna di esse una cucchiaiata del composto . Potete anche
porre il composto direttamente sulla carta-forno, se non riuscite a reperire le
ostie.
Infornate a 180 gradi. Fate cuocere i birbanti fino a quando non saranno ben
dorati
Segreti
Questi birbanti risulteranno migliori se prima avrete tostate le mandorle in forno.
Per non smontare le chiare mescolate sempre dallalto al basso sempre nello
stesso senso. Se non reperite le ostie potete mettere limpasto direttamente sulla
placca da forno , in questo caso aggiungete un po di farina nellimpasto per
ottenere una preparazione pi soda.
Formate dei bastoncini di cm 5 di lunghezza, disponeteli in una teglia da forno e
bagnateli leggermente ( acqua )con un pennellino, spolverizzate con zucchero e
infornate

114

Fava dolce o dei morti


Per fare la Fava dolce, in una libra di amandole ci vuole 8 oncie di Zuccaro, e
mezza ottava scarsa di cannella, o vero il limone raspato. Le amandole non
siano pestate tante fine, si pu cuocere con i savogliardi, e si mette a piedi del
forno.
Questo dolce, a tuttoggi generalmente conosciuto come fave dei morti,
tradizionalmente preparato, un po in tutta Italia, in occasione appunto della
commemorazione dei defunti del 2 di novembre.
Gi nei pi antichi culti cristiani si hanno riscontri di celebrazioni in memoria dei
defunti, officiate adottando e mutuando le prassi cerimoniali proprie dei rituali
funebri pagani: si ornavano cos le tombe di viole e corone di fiori, e si
versavano offerte votive in cibo, farina di farro con sale, pane inzuppato nel vino
o addirittura latte e miele. Non stupisce pertanto che nella celebrazione di questa
ricorrenza sia sopravvissuto nei secoli luso di confezionare dei dolcetti rituali
specifici, che talvolta recano nel loro stesso nome una memoria anche macabra
della loro essenza cerimoniale: ossi (o ossa) dei morti si chiamano tuttora nel
Veneto dei dolcetti al forno preparati con farina e frutta secca, che nella forma
evocano pi o meno realisticamente la lugubre metonimia di riferimento. La
stessa denominazione si ritrova in Sicilia dove sono confezionati invece in pasta
di mandorle.
Ma esiste appunto anche unaltra forma archetipica che ricorre nei dolcetti
modellati per loccasione del due di novembre: talvolta infatti questi pasticcini
hanno la forma ed il nome di un legume caratteristico di antichi culti funebri. Per
greci, romani ed etruschi infatti le fave costituivano un cibo funebre rituale,
purificatorio per i vivi ed i morti, che si poi perpetuato nei secoli nelle mense
contadine per la festivit cristiana in onore dei defunti. Per questa ricorrenza si
mangiavano pertanto le fave, cucinate talvolta in una minestra arricchita con un
allusivo, oltre che sapido, osso di maiale. Al consumo di questi legumi veri e
propri si arriv nel tempo ad affiancare dei dolcetti fatti a forma appunto di fave.
La stessa denominazione di Fava dolce, qui presente nel ricettario di Serra de
Conti, si riscontra ne Il cuoco perfetto marchigiano del 1891, dove per
lanonimo compilatore, oltre suggerire dosi differenti, prescrive di aromatizzare
con quale chiodo di garofano pestato, anzich con la buccia di limone; infine cos
illustra come dare ai pasticcini la forma dei legumi: ottenuta una pasta leggiera,
si forma la fava premendo col pollice in una parte dei pezzetti fatti con la
medesima e calcando dallaltra con un coltello 259. Nello stesso anno Pellegrino
Artusi cos introduce ben tre ricette diverse delle Fave alla romana o dei morti:
Queste pastine sogliono farsi per la commemorazione dei morti e tengono luogo
della fava baggiana, ossia dellorto, che si usa in questa occasione cotta
nellacqua collosso di prosciutto. Tale usanza deve avere la sua radice
nellAntichit pi remota poich la fava si offeriva alle Parche, a Plutone e a
Proserpina ed era celebre per le cerimonie superstiziose nelle quali si usava ()
Le fave, e soprattutto quelle nere, erano considerate come una funebre offerta,
poich credevasi che in esse si rinchiudessero le anime dei morti, e che fossero
somiglianti alle porte dellinferno. Nelle feste Lemurali si sputavano fave nere e
259

Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 76.

115

si percuoteva nel tempo stesso un vaso di rame per cacciar via dalle case le
ombre degli antenati, i Lemuri e gli Dei dellinferno260.
Riguardo ancora alle ricette marchigiane curiosa ed originale la ricetta della
Fava dei morti in un ricettario manoscritto di casa Feligiotti, famiglia borghese
di Urbania: vi si legge il suggerimento, una volta preparata la pasta con le
mandorle pestate, di formarvi acini di fava, facendovi locchio con
cioccolata261. La tradizione contadina, che aggiungeva allimpasto di mandorle
un bicchierino di rum, per dare ai morselletti di pasta di mandorle la forma di
fava si limitava ad appiattirli con la lama di un coltello262.

260

P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,


2001, p. 543.
261
C. LEONARDI, La cucina borghese del montefeltro nel XIX secolo: Il ricettario della famiglia
Feligiotti di Urbania, in Le Marche a tavola: la tradizione gastronomica regionale, a cura di R.
NOVELLI, Ancona, 1987, pp. 156-157.
262
Antologia della cucina popolare, Fabriano, 1993, p. 44.

116

Proviamo insieme
Fava dolce
Ingredienti
200 mandorle dolci
100 g farina
250 g zucchero
due cucchiai di cannella in polvere
limone grattugiato
2 chiare duovo
Preparazione
Per preparare le fave tritare finissime le mandorle precedentemente sbucciate,
aggiungere tutti gli altri ingredienti amalgamandoli bene. Prendere un pezzetto di
pasta, farne una pallina e schiacciarla con le dita a guisa di grossa fava. Disporre
tutti i dolcetti sulla placca del forno ben imburrata ed infarinata, ben distanziati
luno dallaltro. Cuocere a calore moderato per 20 minuti.

117

Per fare le Castagne, con le Amandole. Per una libra di Ammandole, che siano
pelate, e pestate ben fine, ci vuole 8 oncie di Zuccaro, e poi torna a mettere nel
mortale acci si unisca bene col Zuccaro, dopo questa Pasta si unisce con un
tantino di Farina e Cannella, poi si pone nella Teglia con la farina acci non si
attacchi. E si mette al Forno, che non sia tanto gagliardo, e si fa cuocere a poco
a poco.
Per tre oncie di Ammandole ci vuole due oncie di Zuccaro, e in ogni libra ci
vuole un ottava di Cannella.
Stando a questa ricetta, si legge come oltre alle fave, con la preziosa e malleabile
pasta di mandorle, si plasmassero anche dei pasticcini con la forma delle
castagne.
Lassociazione non affatto casuale: le castagne sono un frutto caratteristico del
periodo della commemorazione del defunti. Come le fave sono un vegetale
ugualmente povero, ma anche ugualmente prezioso per la dietetica e leconomia
alimentare contadina di una volta. Il loro carattere stagionale era perfetto per la
ricorrenza del due di novembre, e pertanto si caratterizzano come un cibo tipico
per questa festivit. Nellalto Maceratese ad esempio sono tradizionali le
castagne dei Morti, dove i frutti vengono arrostiti o bolliti, poi sbucciati e
cosparsi con zucchero e liquore (grappa, rum, o mistr), infine fiammeggiati e
serviti caldi263.

263

L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 198 e p. 328.

118

Bocca di dama
Per fare la bocca dAdama per 25 persone, P. Confessore, e altri soliti ci vuole
9 libre e 5 oncie di Amnadole, Ova 150, e ogni libra un limone raspato, 60
chiare per i Biscottini, e 10 ova interi q libra di Zuccaro, e mezza foglietta
dolio.
Unaltra ricetta a riguardo prescrive:
Per fare una Bocca dAdama di una libra ci vuole una libra damandole, e una
di Zuccaro, 4 Ova sani, e 10 rossi, 4 oncie di Farina, e Limone raspato.
Questi appunti delle clarisse del monastero di Santa Maria Maddalena si limitano
a indicare le dosi degli ingredienti, dando evidentemente per scontata la
preparazione. Innanzitutto si pu notare la curiosa deformazione del nome, dal
lezioso Bocca di dama al pi austero ed al contempo ingenuo Bocca
dAdama. Questa denominazione, con il suo carattere vezzoso che allude alla
golosit della pietanza, risale gi al ricettario cinquecentesco di Bartolomeo
Scappi, dove presente una ricetta intitolata Pizza da bocca di dama. Nel
tempo questo nome entrato nei termini della pasticceria, indicando dei
biscottini dolci. Stando alle fonti marchigiane ne Il cuoco perfetto marchigiano
del 1891 vi presente una ricetta con mandorle, limone e cannella,
presumibilmente simile alla preparazione delle suore di Serra de Conti, ed
unaltra variante di Bocca di dama formata con albumi, confezionata senza i
tuorli, e poi ornata con glassa bianca e scura di cioccolata 264. Ed una ricetta di
Bocca di dama nera in effetti caratteristica di un altro monastero di Clarisse,
ad Atri, dove si aggiunge allimpasto di mandorle, uova, farina, e zucchero,
anche 200 grammi di cioccolata grattugiata265.
Pellegrino Artusi, propone ugualmente due versioni della Bocca di dama,
molto simili tra di loro, dove suggerisce come unico aroma la buccia di limone,
esattamente come nella ricetta del manoscritto di Serra de Conti: il gourmand
romagnolo ma toscano dadozione suggerisce di impiegare sempre la farina (io
la credo necessaria per darle pi consistenza), e d alla ricetta il carattere di una
torta, anzich di pasticcini266.

264

Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 111.


S. PAPA (op. cit.., p. 25)
266
P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,
2001, pp. 504 - 505.
265

119

Proviamo insieme
Bocca dAdama
Ingredienti:
250 gr di zucchero
180 gr di farina
50 gr di mandorle dolci e amare sbucciate e sfilettate
6 uova
Scorza di limone grattugiata
Preparazione
Dopo averle liberate dall'eventuale pellicina (se per farlo le avete tuffate in acqua
bollente, asciugatele bene), pestate con cura le mandorle insieme con un
cucchiaio di zucchero, poi unitele alla farina. In una terrina lavorate a lungo il
resto dello zucchero con i 6 tuorli e la buccia grattugiata del limone in modo che
si sciolga bene, unite poi la farina con le mandorle e continuate a lavorare
l'impasto con energia per circa 20-30 minuti. Montate a neve molto soda gli
albumi e poi, poco alla volta, uniteli all'impasto, mescolando con delicatezza dal
basso verso l'alto in modo da non smontare il composto, poi versate l'impasto su
di un tagliere e formate delle palline grosse come una noce .Posatele in una
teglia ricoperta con carta forno e cuocete per 25 minuti a 200gradi
Segreti
Se desiderate fare qualcosa di speciale potete svuotare queste palline con molta
delicatezza ,riempitele di crema pasticcera e crema al cioccolato alternandole.
Unite le due met , preparate in una tazza capiente 2/3 di alkermes e1/3 di
sassolino, inzuppatele per bene e adagiatele su di una carta assorbente.
Passatele nello zucchero e servite con zucchero a velo.

120

Sfogliatelle
Per fare le Sfogliatelle per 30 persone e P. Confessore, e altri Soliti, ci vuole
per la Massa 6 fogliette di vino, 3 fogliette dolio, due libre e mezza di zuccaro.
Per il pieno ci vuole quattro libre di Zuccaro 1 oncia buona di canella 4 libre di
Ammandole, i frutti di mele rose.
Per una foglietta delle dette Sfogliatelle ci vuole per la massa una foglietta di
vino, mezza foglietta dolio, e cinque oncie di Zuccaro. Per il pieno ci vuole
ottoncie di Zuccaro, unottava buona di canella, e otto oncie di ammandole.
Allinizio di agosto andava celebrata unaltra ricorrenza legata alla vita
conventuale; il sette era infatti lanniversario della vita comune e si preparavano
sfogliatelle, questa la ricetta illustrata nel regolamento di dispensa:
farina, strutto, uova intere e tuorli, miele; si formano delle pagnottelle e si
pongono sopra tre sfoglie untandole e inzuccherandole poi si tagliano come i
tagliolini si spianano e dentro ci si mette la ricotta267.
Una delle pi antiche ricette delle sfogliatelle risale al ricettario di Giovanni Del
Turco, musicista alla corte dei Medici nella Firenze tre Cinquecento e Seicento,
nonch raffinato gastronomo ed esperto di pasticceria. Le sue Sfogliatelle
bonissime andavano modellate in forma di un tortello e gli si fa un concavo nel
mezzo dove si mette per ripieno () mandorle peste, pinochi interi et uve
passere e zuchero eu un ovo268, ed erano preparate con le sfoglie unte di grasso
ripiegate su stesse secondo la tecnica che nei secoli avrebbero poi codificato i
pasticceri napoletani269.
La ricetta delle clarisse di Serra de Conti si avvicina nella struttura alle
sfogliatelle seicentesche del Del Turco: la sfoglia anche impastata e profumata
con il vino, nel ripieno vi sono ugualmente le mandorle con le mele al posto
delluvetta.

267

ASMM, Regolamento di dispensa, XIX secolo


G. DEL TURCO, Epulario e segreti vari. Trattati di cucina toscana nella Firenze Seicentesca
(1602-1623), a cura di A. EVANGELISTA, Bologna, 1992.
269
F. SABBAN S. SERVENTI, A tavola nel Rinascimento, Roma Bari, 1995, p. 196 - 197.
268

121

Proviamo insieme
Sfogliatelle
Ingredienti
1 confezione di pasta sfoglia gi pronta
200 g di mandorle
latte qb
rosso d'uovo battuto con zucchero di canna e poco latte,
4 mele renette
1 arancia
zucchero di canna
1 pizzico di cannella
Preparazione
Tagliate la sfoglia a rettangoli o quadrati, spennellateli col rosso d'uovo battuto e
poste in una teglia leggermente imburrata, cuocetele al forno.
Pelate le mele e cuocetele a pezzettini con pochissima acqua, zucchero di canna,
succo filtrato d'arancia e la scorza grattata e il pizzico di cannella.
A secco frullate le mandorle poi aggiungete il latte un poco alla volta fino ad
ottenere una crema liscia ed omogenea. Fate frullare tutto per un po' di tempo.
Quando tutto pronto, nel piatto di portata disponete un pezzo di sfoglia, poi le
mele, un altro quadrato di sfoglia e la crema di mandorle.
Potete guarnire, al momento di servire, con un velo di cacao o piccoli frutti.
Segreti
Al posto della crema di mandorle potete mettere una crema pasticcera o la crema
alla Mosaica.

122

Creme ed altri dolci al cucchiaio


Crema di limone
Prendete sette rossi dOvo, tre oncie di Zuccaro, due oncie damido, e limone
raspato, si mette il tutto in una cazzarola, si sbatte la detta composizione, e
quando bene sbattuta si scioglie con una foglietta di latte, si mischia pian
piano fino che sia ben unita, e poi si pone al fornello con fuoco non tanto
gagliardo, se mescola sempre fin tanto che non sia ben fitta, e poi si minestra.
Crema di cioccolata
Si prende Ova, Zuccaro, ed Ammido come sopra, si d una chiccara di
Cioccolata di due oncie, si pone la detta cioccolata nella foglietta, si termina ed
empire con il latte e si fa in tutto come laltra
Crema di Portogallo
Si fa il tutto come quella di limone, solo che invece del limone di raspa il
Portogallo
Crema di Rosolio
Si fa come laltra, solo che quando per stringersi vi si pone un bicchierino di
rosolio di quellodore che pi piace.
Crema di Amandole amare
Si toglie la corteccia a 5 o 8 amandole amare, si pesta e poi si passa per lo
staccino, si pone nella composizione dellOva, Si maneggia bene perch si
scioglia, e poi si pone al Fuoco come le altre.
Crema alla Tedesca
Si prende amandole dolci abrostolite, e poi si trita con savogliardi e candoto,
Si prende mezzo bicchiere di Vino di Cipro. Si pone nella Foglietta e si termina
ad empire con il latte, si pone il tutto nella Cazzarola, ove sono le ova, e si
unisce bene, e si fa in tutto come laltra
Crema alla Mosaica
Si prende 2 oncie di candito, mezzoncia di Amandole, e mezza oncia di
pignoli, si brustolisce lune e gli altri, e si trita con il Candito, e si pone nella
composizione con laltre creme
Le consorelle illustrano le ricette per le creme dolci da pasticceria partendo dalla
ricetta-madre della crema al limone, per arrivare poi alle variazioni modulari alla
cioccolata, allarancia ed al rosolio. E la stessa impostazione adottata dal Nebbia
nel suo Cuoco Maceratese, ed in effetti anche questa volta le clarisse di Serra
de Conti hanno trascritto, anche se non proprio alla lettera alcune preparazioni
da questo testo, sintetizzandone il testo originale nel caso della crema al limone,
ricopiando invece pi o meno testualmente nel caso delle altre ricette (lunica
variazione di rilievo la costante sostituzione della farina proposta dal Nebbia 270
dallamido, evidentemente pi familiare nella cucina del monastero). Le religiose
avevano pertanto adottato un repertorio di quattro creme per la loro arte
270

A. NEBBIA, Il Cuoco Maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, pp. 155-157

123

pasticcera, snobbandone evidentemente altre dal trattato del Nebbia, come ad


esempio quelle di anici, pistacchi, caff, cannella, mandorle amare 271. Le creme
sono un classico della gastronomia francese settecentesca, ed il manuale di
cucina del Nebbia propone appunto una rielaborazione del modello culinario
transalpino, adattandone in parte i caratteri ai tratti peculiari della gastronomia
locale marchigiana272.

271

Ibidem
C. BENPORAT, Storia della gastronomia italiana, Milano, p. 276: Il cuoco maceratese di
Antonio Nebbia, edito nel 1779, merita unattenzione particolare poich rappresenta il punto di
incontro e di congiunzione tra la vecchia cucina italiana della prima met del secolo condizionata
dai trattati francesi e le nuove aspirazioni italiane tendenti ad una autonomia libera da
condizionamenti stranieri alla ricerca di una pi marcata caratterizzazione nazionale.
272

124

Proviamo insieme
Crema alla Mosaica
Ingredienti
500 g di latte
50 g di maizena
200 g di zucchero
50g di canditi
30 g di mandorle
30 g di pinoli
Preparazione per 4 persone
Preparate la crema come siete soliti fare: bollite il latte, a parte sbattete le uova
con lo zucchero, versatevi il latte caldo e la maizena. Mettete sul fuoco e fate
cuocere un paio di minuti mescolando di continuo con un cucchiaio di legno. Nel
frattempo avete posto in forno le mandorle in una teglia e i pinoli in unaltra a
200gradifino a che avranno preso un bel color bruno. Tritatale insieme con i
canditi e unitele delicatamente alla crema.
Con questo composto potete farcire dei canellini, oppure una base di pasta frolla
tirata sottile e cotta precedentemente.

125

Crema monda
Colla fogliata 1, torli di ova cinque sar battuti, rosolio un quarto di fogliata,
zucchero a discrezione, si prende sei ottave di colla di Pesce e si scioglie con un
poco di acqua bollente, poi unite tutto insieme si mescola un poco, e si passa in
una cazzaruola a foco lento, e quando ponendovi un dito appena si potr
sopportare il calore si versa in uno stampo facendola passare per setaccio, si
avverte che lo stampo si deve ungere con olio buono, e si deve fare il giorno
prima affinch sia ben fredda quando si cava, se non vi fosse alcuno stampo
direi che si potesse cavare in principio in qualche piatto cupo, e lasciarla
freddare.
Si tratta di un budino con latte ed uova, aromatizzato con rosolio, da versare e
poi sformare in uno stampo. La consistenza resa pi soda dallaggiunta
provvidenziale di colla di pesce in fogli.
Un altro budino di latte simile, caratteristico della tradizione marchigiana 273, il
tremarello, che ricorda un po il lattarolo, altra leccornia dolce di questa regione
(si veda pi avanti).
Il nome sicuramente dato dal suo aspetto tremolante, malfermo sia che lo si
sformi sia che lo si servi nello stampo, dovuto certamente in questo caso
allassenza della colla di pesce, non presente nelle versioni tradizionali della
ricetta. Questo dolce presente nelle carte manoscritte di cucina delle clarisse
della Santissima Annunziata di Jesi, dove era preparata con un bicchiere di latte
scarso ed un cucchiaio di zucchero per ogni uovo, con laggiunta di buccia di
limone e rum a piacere274.

273

L. BRUNI, op. cit., p. 339: Dolce conventuale della zona di Jesi, della fine del 1800, veniva
preparato per ogni occasione di festa, ma il pi delle volte per il matrimonio della figlia del
contadina che aveva rapporti con il convento.
274
S. PAPA (op. cit.., p. 143)

126

Modo di fare il Bianco mangiare


Si prende un oncia di Colla di pesce e si fa sciogliere in una foglietta e mezza di
latte, si fa sciogliere e si getta nella stamigna.
Il biancomangiare ha una lunga storia come preparazione che inizia gi nel
lontano Medioevo. Questa pietanza di origine araba fu in effetti gi presente, con
il nome di bramangiare, nel convito del 1077 imbandito da Matilde di Canossa
per il pontefice e per limperatore: originariamente si trattava di un piatto
ristorativo, considerato ossia terapeutico, perch preparato con tutti ingredienti
bianchi considerati assolutamente nutrienti e rigeneranti dalla dietetica antica,
ossia riso, latte, mandorle, zucchero che, con accostamento assolutamente
normale per i parametri di gusto dellepoca, venivano mescolati alla carne chiara
del cappone nei giorni di grasso o alla polpa bianca del luccio nei periodi di
magro275.
Con il tempo la presenza di carne e pesce venuta meno ed questo piatto
diventato un dolce cremoso, assimilabile sempre pi ad un budino. LArtusi
propone una ricetta dolce, ma con il carattere ancora arcaizzante della presenza
di mandorle dolci (con tre in tutto amare su 150 grammi) nella stessa quantit
dello zucchero e dellaroma di acqua di fior darancio. Lautore sembra
prediligere limpiego della panna rispetto al fior di latte276.
Nello stesso anno il Bianco mangiare de Il cuoco Perfetto Marchigiano,
preparato mettendo a cuocere come in una crema 3 once damido, 5 di zuccaro,
un litro di latte, una corteccia di limone ed alcune stecchette di cannella, per poi
versare il tutto in una stampa bagnata con acqua, ed alfine sformarlo in un
piatto circondandolo con foglie di limone277.
Sempre nellarea marchigiana un secolo prima il Nebbia, nel suo Cuoco
Maceratese propone una ricetta per confezionare Frittelle di bianco mangiare:
la preparazione di base andava fatta con la solita foglietta di latte dove veniva
stemperato amido e zucchero in pari quantit, del candido tritato, scorza di
limone ed anche una presa di sale; una volta cotta la crema si stendeva a
raffreddare e poi la si tagliava a quadrelli e li si friggeva, dopo averli passarti in
una pastella colletta, fatta con sale, un cucchiaio dolio, uno di vino, e si
presume farina quanto bastasse perch non fosse n tanto densa n tanto
liquida278.
Sempre nel maceratese unanaloga ricetta di Fritto di bianco mangiare
riscontrata di nuovo in ambito monastico: tra le pietanze tradizionali delle
benedettine di SantAngelo in Pontano risultano infatti queste frittelle, che hanno
come base una crema di biancomangiare arricchita di canditi e buccia di limone,
raffreddata in un piatto, ritagliata a mostaccioli; i quadrelli cos ottenuti vanno
275

O. REDON F. SABBAN S. SERVENTI, A tavola nel Medioevo, Roma Bari, 1995, p. 253 257.
276
P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,
2001, p. 604.
277
Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 112.
278
A. NEBBIA, Il Cuoco Maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, p. 161.

127

poi passati in una pastella (preparata con acqua, farina, un pizzico di sale, olio e
vino) e poi fritta279.

279

S. PAPA, op. cit., p. 99.

128

Proviamo insieme
Biacomangiare
Ingredienti per 6 persone
1 l di latte
300 gr. di zucchero
scorza di limone
120 gr. di amido
6 stampini o tazzine
Preparazione
In una casseruola col manico, sciogliete l'amido con poco latte freddo;
aggiungete lo zucchero, poi, sempre mescolando, a poco per volta, il resto del
latte
e,
infine,
due
fettine
di
buccia
di
limone.
Mettete la casseruola su fuoco moderato e, rigirando, fate cuocere il
biancomangiare come se faceste una crema. Quando sar addensato, toglietelo
dal fuoco e continuate a rigirare per quattro o cinque minuti. Versatelo quindi
negli stampini bagnati o anche nelle tazzine da t, e quando sar intiepidito,
mettete gli stampini in frigorifero per almeno un paio d'ore. Al momento di
servirle, capovolgete le formette di bianco mangiare su di un piatto e togliete gli
stampini.

129

Zuppa inglese
Per fare una Zuppa Inglese per 23 persone, ci vuole un boccale di latte, e 40
savogliardi, 2 fogliette di Rosolio di Cedro, e mezza foglietta di Rume, nel caso
poi si volesse fare due tondini di crema, allora si unisce un'altra foglietta di
latte
Zuppa Inglese
(Fascicolo I, carta 4)
Per risparmiare il Rosolio si grazia lo spirito di vino con zuccaro e acqua a
guisa di un Rosolio, poi si pone il Rum in quella dose che piace al gusto.
Si fanno dei Savojardi tante fettine tagliandole a lungo a guisa di Crostini indi si
bagnano con d.o spirito gi preparato, e inzuppati che siano si accomoda con un
poco Semetria nel Tondo facendo che abbia il colmo nel mezzo e gradatamente
vada ad abbassarsi, e di quelli Savojardi ve ne vogliono per circa sette persone
almeno una ventina.
Adattati che siano vi si getta sopra la Crema, indi si sbatte due chiare o tre
dOvo, ponendosi una grazia di zuccaro, e parimenti si pone sopra alla Crema e
Savojardi, e poi tal quale si mette in un tagliero col fuoco solamente sopra al
coperchio, e vi si fa stare finch quelle chiare dOvo si abbia preso un leggiero
color di Ovo, ed fatta.
E un dolce di signori, loro una volta mangiavano secondo le mode straniere, in
genere francese, si vede che per il dolce han voluto mangiare inglese. Cos
disse una vecchia cuoca, a Leonardo Bruni, autore di un recente testo sulla
cucina tradizionale marchigiana280.
In realt esiste una curiosa attestazione storica per lorigine di questo dolce e del
suo nome: durante gli anni turbolenti della rivoluzione napoletana, Ferdinando II
soggiornava a Palermo. In occasione delle visite improvvise di Lady Hamilton,
spesso accompagnata dal suo amante lammiraglio Nelson, il sovrano
commission al cuoco di corte di preparare un dolce. La soluzione di ripiego
dellultimora, di servire piatti di pan di Spagna, bagnato con il tipico e
profumato Marsala, e cosparso con ricchi strati di crema dolce, fu molto
apprezzata dai presenti, e questa leccornia fu battezzata con un nome a ricordo
della nazionalit dellillustre ospite.
Vincenzo Agnoletti, nel Manuale del cuoco e del pasticciere di raffinato gusto
moderno di (stampato a Pesaro nel 1834) illustra la Zuppa Inglese come
simile ad un altro dolce, il Marangone alla mantuana, dove i biscotti di
Monache, o delle fette di pane abbruscato, ovvero del pan di Spagna, vanno
inzuppati con rum, o rosolio o altro vino forestiere, e poi sopra andava versata
marenga cruda, o al forno, o crema o ancora candito duova o marmellata, ed
infine si guarnisce con confetture, spume, brillanti ecc..
La zuppa inglese era una preparazione di pasticceria raffinata, dolce borghese ed
aristocratico, quindi connotabile socialmente come alto, imitato per anche dal
basso nella cucina dei giorni di festa e non a caso presente nei pranzi di nozze
contadine. Era una preparazione spesso presente nei quaderni di cucina
manoscritti delle famiglie agiate: ad esempio nella ricetta tardo-ottocentesca
della famiglia Feligiotti di Urbania i savoiardi vengono ugualmente bagnati con
rosolio e rhum come in questo appunto manoscritto di cucina delle clarisse di
Serra de Conti. Gli stessi liquori sono adoperati anche nella versione presente ne
280

L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 340.

130

Il cuoco perfetto marchigiano, che termina una raccomandando il tocco


ornamentale conclusivo: Prima di mandare in tavola il piatto, contornasi di
confettini colorati e si forma superiormente qualche scherzo 281. Lanonimo
compilatore di questo manuale di cucina e pasticceria suggerisce per di usare il
pan di Spagna tagliato a dadini, anzich i biscotti savoiardi 282. In quello stesso
anno, 1891, Pellegrino Artusi propone la sua ricetta nella Scienza in cucina e
larte di mangiar bene: la sua prima Zuppa inglese, bollata come dolce per
me alquanto stucchevole, preparata con la base di savoiardi e pan di
Spagna, intinti anche qui in rhum o rosolio (ma anche alchermes), e con una
crema diversa, preparata a freddo con burro, zucchero a velo e tuorli duova
sode. Nelle edizioni successive il gourmand tosco-romagnolo suggerisce come
fondo i savoiardi, bagnati nel rosolio (stavolta corretto oltre che con il rhum con
il cognac), e cosparsi stavolta della pi convenzionale crema pasticcera, oltre
che ad uno strato aggiuntivo di una buona conserva di frutta, come sarebbe di
albicocche, di pesche od anche di cotogne283.
La variante qui proposta dalle clarisse di Serra de Conti, con lo i savoiardi
disposti a cupola e lo strato di meringa sopra ha particolare affinit con la
tradizione romana della zuppa inglese.

281

Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 111.


Ibidem
283
P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,
2001, p. 599.
282

131

Torte dolci
Torta di frutti
(Ricetta sette-ottocentesca)
Siroppate i frutti cio mele, persiche etc. che tutti lanno siroppate in questa
maniera: pulite bene le vostre frutta dalla scorza, dalli suoi granelli con le sue
cassette, metteteli in una cazzarola con vino, zuccaro, acqua secondo la quantit
di essi frutti; ci vuole un terzo di vino, e due di acqua, e un terzo di zucchero;
fateli cuocere al fornello in una cazzarola, e fateli asciuttare che non ci sia pi
brodo, e state attenti che non si attacchino al fondo della cazzarola; fateli
raffreddare in un piatto di terra, dopo tritatevi due oncie di candito, e raspatura
di limone; maneggiatela bene, mettetela nella pasta, e mandatela al forno.
Questa ricetta manoscritta presente nel quaderno di cucina del monastero di
Serra de Conti la trascrizione integra letterale della omonima Torta di frutti
presente nel decimo capitolo del ricettario di Antonio Nebbia Il cuoco
maceratese (la prima nel 1779 stampata a Bassano del Grappa, lultima a
Macerata nel 1786284).

284

A. NEBBIA, Il Cuoco Maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, p. 81.

132

Proviamo insieme
Torta di frutti
Ingredienti
4 mele
4 pere
4 pesche
1 grappolo duva
vino
60g di canditi
1 limone
Preparazione
Sciroppate la frutta di stagione, quella che desiderate, in questo modo: dopo aver
pelato e pulito la frutta pesatela, in base al peso mettete 1/3
di vino e 2/3 di acqua e 1/3 di zucchero. Versate il tutto in un tegame fate cuocere
piano fino ad ottenere un composto denso e asciutto. . Mescolate di continuo
perch il tutto non si attacchi al fondo. Togliete la frutta dal tegame e fatela
raffreddare in un piatto. Tritate i canditi e grattugiate un limone . Preparate una
pasta frolla tirata sottile e foderate una tortiera , dentro ci verserete gli ingredienti
preparati. Cuocete in forno a 200 gradi per20 minuti.

133

Ricetta per fare Torta bianca


(fascicolo 1, carta 10)
Latte buccali tre
Chiare dUova n. 60
Amandole dolci libre tre
Zuccaro bianco libre quattro
Cannella detta scelta unoncia di buon peso, che sia ben pesta, e passata per
settaccino conforme si fa per le Favette
Limoni n. 4
Ricette dal nome di Torta bianca hanno una lunga storia nei trattati di cucina
dei secoli scorsi: infatti in s antichissima lidea e limmagine di una leccornia
di pasticceria immediatamente associata nel suo aspetto e nella sua essenza al
colore bianco, di notevole impatto estetico e veicolato ad unimmagine
immacolata, evocativa di purezza ed ascetismo. La prima presenza di una Torta
Bianca risale al ricettario quattrocentesco di Maestro Martino da Como, cuoco
del patriarca di Aquileia ed autore del Libro de arte coquinaria285.
Rispetto a questa preparazione del quindicesimo secolo, la Torta Bianca delle
clarisse non impiega un ingrediente candido fondamentale nelloriginale di
Maestro Martino, il formaggio fresco, sostituendolo per con le bianche
mandorle (presenza del resto classica della gastronomia medioevale), oltre alla
massiccia presenza di latte e zucchero ed albumi.

Pasta frolla
Prendete una libbra di farina, metteteci quattroncie di strutto buono oppur
butiro, un pizzico di sale, quattroncie e mezza di zuccaro, acqua un guscio
duovo, e un quarto di bicchiere di vino bianco; impastate bene ogni cosa; e ne
farete di questa pasta pasticci, pasticcetti e pastarelle; non la maneggiate tanto e
specialmente nellestate perch soggietta ad abbruciarsi e cascare a pezzi,
onde nellestate invece di metterci il vino vi metterete mezzo bicchiere dacqua
fresca.
Anche questa ricetta - base per la confezione della pasta frolla una trascrizione
fedele della medesima prescrizione contenuta nel ricettario del Nebbia, anche se
non si pu dire che ci sia stata una copiatura integrale 286: infatti la suora che ha
ripreso il testo dal manuale del cuoco maceratese ha tralasciato un passaggio
allinizio, ritenuto evidentemente pleonastico: infatti dopo aver specificato la
quantit di farina nel mezzo, si raccomandava: mettetela sopra la spianatora,
fategli in bugo in mezzo287. Questunico suggerimento mancante rispetto al
modello originario era evidentemente troppo scontato per la perizia ed esperienza
nellarte pasticciera delle clarisse di Serra de Conti.

285

O. REDON F. SABBAN S. SERVENTI, A tavola nel Medioevo, Roma Bari, 1995, p. 280 281.
286
A. NEBBIA, Il Cuoco Maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, p. 84
287
Ibidem.

134

Pasta frolla
(Ricetta sette-ottocentesca)
Ogni due libbre di Fiore di Farina, una libbra di Zuccaro, e una di strutto, un
ovo, e mezzo bicchiere di vino buono, e raspatura di Portogallo, o limone.
Pasta frolla con le amandole
Ammandole dolci, ammandole amare, farina, strutto, zuccaro, ovi, chiara e
rosso. Si pestano le ammandole e poi si impasta.
Il Nebbia nel suo Cuoco Maceratese illustra la ricetta della Pasta di
amandorle nel capitolo ottavo dedicato alle paste frolle. Gli ingredienti sono gli
stessi di questa stringatissima ricetta di pasticceria delle clarisse di Serra de
Conti, raccomandando di usare gli albumi per stemperare e legare meglio le
mandorle mentre le si trita; al posto dello strutto si prescrive limpiego del burro.
Lautore afferma che questa pasta pu servire per pasticci, barchiglie, ed altre
che sogliono cuocersi al fornello, spolverizzate con zuccaro.288
Per fare la pasta Matata
(Fascicolo 1, c. 13)
Si prende una libbra di amandole peste e dieci oncie di zucaro e sin pasta (sic)
con chiara dovo (sic) ben Matata e sinforma (sic) papardelle nella teglia in
farinata.
Per fare la pasta di Marzapane
(Fascicolo 1, c. 13)
Si prende una libbra di amandole. Pesta fina e quattroncie di zucaro e sin pasta
(sic) con aqua (sic) e dopo si lavora.
Nota per fare il fichi
(Fascicolo 1, c. 13)
Si prende una libbra di amandole ben pesta, e si unisce una libbra di zucaro
rosso e sinpasta con aqua, e poi si fa la foglia con ovi e zuccaro e si forma
il fi
Per fare il Pesce col pieno di ammandole.
Per la massa ci vuole 100 ova, e si deve levare 30 chiare, Zuccaro per la detta
massa libre 5 e 8 libre di Strutto, 2 Cedri e 2 Limoni. Per il pieno
Ammandole libre 5 e 5 di biscottini, con oncia buona di canella, e le 50
chiare non basta per scioglie(re) il detto pieno, e ci vuole libre 5 di Zuccaro.
Questa quantit pasta per 28 persone, e ci viene anche 12 Pasticcetti per il
Sig. Pievano, 10 per il P. Confessore, 10 per il Sig. Rettore, e 6 per il
Fattore. Il detto pesce si spezza con le Forbici.
Lagnello delle Monache

288

A. NEBBIA, Il Cuoco Maceratese, a cura di E. HERMAS ERCOLI, Macerata, 2004, p. 169.

135

Per fare lAgnello delle Monache ci vuole otto pagnotte, una foglia dolio, due
libre di zuccaro bianco, e se rosso una libra e mezza 5 pugni danici, due
ottave di canella, e due di garofali.
Per fare un Agnello per il Padre Confessore ci vuole una libra e 5 once di Farina,
1 libra di Ammandole, 1 di Zuccaro, e Aromiti. Per composta di detto Agnello ci
vuole le Chiare, e per chiarificare ci vuole una chiara e mezza.

136

Proviamo insieme
Agnello delle monache
PREPARAZIONE
La pasta di mandorle rappresenta senz'altro il dolce tipico del Natale e della
Pasqua, naturalmente la vedono protagonista con il "pesce" natalizio e "l'agnello"
pasquale. Perch si realizzino questi due capolavori, necessario utilizzare le
"forme" in gesso e solo in gesso.
Poi si unisca la grande maestria di certi artigiani che riescono a preparare della
frutta di pasta di mandorle.
Per preparare il Pesce o l'Agnello si adagi un foglio di pellicola trasparente per
alimenti all'interno dello stampo, (in commercio troverete stampi da forno in
tutte le forme e dimensioni che desiderate)si pressi sopra la pasta di mandorle, al
centro di essa si metta la farcia composta di marmellata di pere( o cotognata,
scaglie di cioccolato fondente, biscotti savoiardi o pezzi di torta savoiarda,
zucchero a velo, cannella in polvere, liquore) Poi si copre con altro impasto di
pasta di mandorle, si comprime anch'esso con le dita, si metta un altro foglio di
pellicola trasparente e si adagi la parte superiore dello stampo.
Il dolce non va cotto in forno.
Se desiderate cuocerlo al forno al posto della pellicola trasparente usate cartaforno, riempite col composto ,come da ricetta precedente, ricoprite con pasta di
mandorle, spolverate con granella di zucchero e cuocete a 180 gradi per 45
minuti. Quando si sar raffreddato togliete il dolce dallo stampo, levate la carta
forno e ponetelo su di un piatto da dolci.
Pasta di mandorle
Ingredienti: Per 4 persone
800 gr di zucchero semolato
3 bicchieri di acqua
800 gr di farina di mandorle
100 gr di farina di maiorca
1/2 bustina di vaniglia
Preparazione:
Sciogliete a fuoco molto basso lo zucchero con i tre bicchieri di acqua. Attendete
che cominci a filare: ve ne accorgerete quando qualche goccia di zucchero
sciolto, fatta scolare da un mestolo di legno, si allungher a filo. Quindi togliete
il tegame dal fuoco. Aggiungete la farina di mandorle, la farina di maiorca, la
vaniglia e mescolate fino a quando la pasta si staccher tutta insieme dal tegame.
Versate l'impasto su un tavolo di marmo bagnato. Appena si sar raffreddato,
lavoratelo a lungo con le mani. Quando sar compatto e liscio, sistematelo negli
stampi dalla forma voluta. Decorate infine, a vostro piacimento. Dunque siete
pronti per langello delle monache o il pesce

137

Serpente
(Fascicolo 1, c. 13)
Parte 1 di zuccaro passato da setaccio, di qualit bianca da caff, parte 1 di
amandorle dolci e cannella. Amandorle amare circa un oncia per libra
dAmmandorle. Si cuociono le Ammandorle e nel toglier dopo la corteccia si
procuri che siano asciutte e tenendole niente nellAcqua. Si spettano che siano
ridotte ben fine mettendovi nel mortaio un tantino di zuccaro acci che vi entri
lolio. Poi in una catina ben asciutta vi si pongono Chiare dOvo e si sbattono o
frullano per una mezzora dopo si aggiunge tutto il Zuccaro e similmente si
sbatte insieme per altra circa mezzora, si aggiunge la cannella sbattendola
parimenti un altro quarto dora, finalmente si mettono le Ammandorle
procurando di ben unirle insieme. Fatto tutto questo preparato il testo con olio e
farina si stende la Massa procurando dimitare la figura del serpe facendole la
lingua fuori, una corona in testa, la collana e cos accomodata si manda al
forno che deve essere alla sfornatura, che sia per ben caldo. Poi le si da il
chiarifico come piacere.
Fin dai tempi pi antichi alla pasticceria si aggiunge una precisa e consapevole
sapienza estetica. I dolci sono cibo voluttuario, preparato in occasioni di festa e
pertanto assumono spesso una valenza rituale, da connotarsi anche in un
cerimoniale di ostentazione, di queste leccornie offerte per celebrare un evento,
un personaggio, unentit divina o spirituale che spesso si vuole ingraziare.
I dolci presentano spesso anche una certa cura nellessere presentati, con
unattenzione ad effetti ornamentali gradevoli, ottenuti con decori di colori
sorprendenti e sgargianti e forme particolari, che spesso alludono al carattere
stesso della preparazione zuccherina ed alla festa che si va cos celebrando. Nella
pasticceria convivono cos spesso larte culinaria e larte plastica, la sapienza
gastronomica e la maestria nel modellare la pasta edulcorata in forme e
sembianze particolari. La cucina delle feste religiose, sempre contrassegnata da
una tipica pietanza dolce, si arricchisce cos di torte o pasticcini che al loro stesso
apparire ricordano gli emblemi spirituali ed i simboli salvifici da celebrare di
volta in volta. Molti sono quindi i dolci in pasta di mandorle che, grazie alla
docile plasmabilit del marzapane, assumono le parvenze di immagini
universalmente conosciute dellimmaginario cristiano e della sua millenaria
iconografia.
La forma ad agnello, animale conosciuto a tutti come simbolo assoluto di Cristo,
ricorreva in una torta di mandorle preparata per Natale e per Pasqua, specialit in
cui era celebre nelle Marche il monastero delle clarisse di Filottrano (Ancona)289.
Uguale rimando a Cristo aveva la forma di pesce, animale che fin dalla pi antica
Cristianit rimandava nel sostantivo in lingua greca allacronimo di Ges Cristo
Salvatore Figlio di Dio. In alcune zone dItalia dolci a forma di pesci si
regalano ai bambini in occasione di SantAndrea, apostolo il cui attributo
iconografico erano appunto i pesci, in memoria del suo mestiere di pescatore.
Pi oscura la simbologia del dolce a forma di serpente, ricorrente nei monasteri
umbri oltre che marchigiani, generalmente preparato per Natale. Oltre un
allusione al male del Peccato Originale sconfitto con la nascita del Salvatore, pu
anche avere un lontano riferimento alle figurazioni araldiche, come ricorda in
questa ricetta di Serra de Conti la sembianza, disegnata nella pasta di mandorle,
della corona in testa e della collana portate dallanimale. Va poi ricordato che
289

L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, p. 335.

138

questo rettile, fulcro di ogni male nellimmaginario cristiano, potrebbe anche


avere una qualche valenza positiva. Basta ricordare lepisodio di Mos, a cui Dio
fece costruire un serpente di bronzo dal potere curativo.
Nelle Marche la ricetta della Serpe di Natale si ritrova anche tra le carte di
cucina delle clarisse di Montegiorgio (Ascoli Piceno), dove risulta a sua volta
appresa da unaltro monastero, come attesta una lettera, datata 10 dicembre 1951,
inviata della badessa delle clarisse di Falerone. In questa missiva la religiosa
trascrive appunto la nota del Serpe dolce che facciamo noi: alla pasta di
mandorle e zucchero, aromatizzata con limone e cannella, si d appunto la forma
di una serpente, spennellando poi il corpo di scuro con della cioccolata sciolta, e
la testa di chiaro con una glassa di zucchero ed albume, mettendo poi due
confetti rossi al posto degli occhi290.

290

S. PAPA (op. cit.., pp. 170-171)

139

Proviamo Insieme
SERPENTE
Ingredienti
250 g mandorle sgusciate
250 g zucchero,
5 albumi
2 tuorli duovo,
essenza di limone,
vaniglia
cannella.
Preparazione
Si scottano le mandorle in acqua bollente e si pelano, potete usare anche quelle
gi pelate.
Tostarle in forno fino a doratura e schiacciarle nel mortaio o macinarle. Si
aggiungono tutti gli altri ingredienti lavorando il composto fino a completa
amalgama. Infarinare una teglia e ricoprire il fondo con le ostie sistemate a
semicerchio sul quale adagiare la pasta di mandorle. Si cuoce in forno a
temperatura moderata .Quando cotto si toglie dal forno e si ricopre con la
glassa ed eventuali confetti colorati, o altre decorazioni che daranno al dolce le
sembianze di un serpente.

140

Crostata
Per fare la crostata di mele per 24 persone, e Padre Confessore ci vuole,
Mele libre 15, Vino Fogliette 2, Acqua fogliette 2, Zucchero Lib 1 oncie 9
Esiste anche la variante di questa ricetta:
Per fare una Crostata, nella teglia del Fattore, ci vuole per la Massa mezza
foglietta di vino, e una quarta di olio. Per il pieno oncie 4 ammandole, e Zuccaro,
limone raspato ho vero (sic) canella.
Il ricettario tardo-cinquecentesco di Bartolomeo Scappi contiene anche un
repertorio iconografico di molte raffigurazioni a stampa con lideale corredo
degli utensili e degli strumenti da lavoro di una cucina ideale: tra tutte le
stoviglie ed i recipienti da fuoco illustrati si vede una teglia con dentro
raffigurata una torta, con la classica copertura di griglia di pasta, caratteristica
delle crostate. Questa preparazione di pasticceria ha un origine medioevale.
Olindo Guerrini, studioso che tra Ottocento e Novecento si spesso dedicato alla
riscoperta filologica di antichi documenti e testi sulla cucina, ascrive la crostata
al repertorio dei piatti di reimpiego degli avanzi: Da noi in Romagna questa
torta di marmellate, frutta avanzate di cui si utilizza la polpa ecc. le chiamiamo
crostate. Hanno un fondo non molto rilevato e grosso e sono coperte non da un
disco , ma da un graticolato di pasta che sindora colluovo291
Pellegrino Artusi nel riportare la ricetta delle Crostate raccomanda: Alla pasta
frolla che deve servire a questuso sar bene dare un qualche odore come quello
si scorza di limone o dacqua di fior darancio292; poi si sofferma sulla stessa
canonica decorazione a losanghe, e suggerisce di usare per intagliare le strisce da
incrociare il matterello rigato, lo stesso che si impiegava per ricavare tagliolini
e maccheroni, raccomandato fin dallo Scappi, e presente anche nellantico
corredo di cucina delle clarisse.
Stringata e poco significativa la ricetta della Crostata presente invece ne Il
Cuoco Perfetto Marchigiano, dove lanonimo compilatore non si sofferma su
aspetti decorativi, se non nel raccomandare la spolverata finale di zucchero293.

291

O. GUERRINI, Larte di utilizzare gli avanzi, p. 323.


P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,
2001, p. 535.
293
Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 112.
292

141

Lattarolo
Per fare un lattarolo ci vogliono ovi quattro, zucchero cucchiaii quattro,
grattatura limone, due bicchieri di latte, un bicchierino di rum.
Spiegazione
Anzi tutto si sbattono bene le uova insieme col zucchero e poi si aggiunge il
latte, limone e rum e preparata la teglia unta si mette a cuocere.
In unaltra carta del ricettario si legge invece questa versione differente:
Per fare il lattarolo per 31 persone, Padre Confessore, e Fattore, ci vuole 84
Ova, 4 libre di Zuccaro 5 boccali di Latte e una grazia di Vino
Si tratta di un classico dolce contadino: durante la tarda primavera, quando le
greggi avevano gi iniziato a pascolare le nuove erbe stagionali appena
germogliate, il nuovo latte munto prima di diventare formaggio veniva
ritualmente offerto ai proprietari terrieri. Secondo rituali i coloni erano soliti
portare questo dolce di latte in dono ai padroni, in occasioni delle festivit
religiose di maggio, lAscensione, la Pentecoste, o il Corpus Domini, ma anche
in occasione delle feste di nozze294.
Il Lattarolo, chiamato anche Latteruolo (ma anche lattaciulo o lattacilu,
come nella zona di Sarnano, dove si prepara per Natale o San Biagio), ha origini
antichissime.
La versione originaria prevedeva che lo stampo, dove si metteva a cuocere il latte
cotto con uova, zucchero ed aromi, fosse anche rivestito di una sfoglia di
semplice pasta senza uova, con solo farina ed acqua (chiamata nelle Marche
centrali pasta matta). Questa preparazione si riscontra anche nei ricettari
medioevali, con il nome di Diriola, o in quello cinquecentesco del Messisbugo
(Libro novo, 1549), dove si illustra la ricetta della Torta di Cavvi di latte. Ma
nell Opera dello Scappi (1570) che si legge il carattere popolare di questa
preparazione: Per fare torta di latte con diverse composizioni, la quale dal vulgo
dimandata coppi romagnoli. Pi tardi nel Seicento anche Vincenzo Tanara, nel
suo trattato di agronomia ed economia domestica, parler di questo dolce come
caratteristico dei contadini marchigiani. Ed anche tra le fonti documentarie
marchigiane si riscontra la presenza di questo dolce di latte. Nel ricettario
manoscritto di una famiglia nobile maceratese nel tardo Seicento si legge di una
Torta di latte come quella che fanno i contadini, che chiamano lattaccioli, fatta
con latte, uova, canditi, burro295. Tra Settecento ed Ottocento si ritrova ancora il
lattarolo, tra i dolci natalizi confezionati dai contadini dellalto pesarese,
stando alla relazione Costumanze generali de contadini del circondario di
Urbania e delle cure rurali e suburbane.
Il carattere di dono mezzadrile di questo dolce infatti attestato nella vicina
Romagna persino da Pellegrino Artusi, che nel suo testo presenta il Latteruolo,
come molto delicato, che in qualche luogo di Romagna, e forse anche altrove in
294

Antologia della cucina popolare, Fabriano, 1993, pp. 138-139.

295

Si tratta dellarchivio della famiglia Buonaccorsi, conservato alla Biblioteca Nazionale di


Macerata. Su questo ricettario manoscritto cfr. NAPOLIONI, A. M., La cucina dei signori: i
manoscritti della Biblioteca Nazionale di Macerata, in Le carte in tavola: manoscritti e libri di
cucina nelle Marche, Macerata, 1996, pp. 27-59; Sulla presenza del lattarolo in questo ricettario
seicentesco, e sul carattere di questo dolce come pietanza di scambio tra alto e basso si
rimanda ad un imminente contributo di chi scrive (T. LUCCHETTI., Cibo ricco nella festa
popolare, e piatti bassi per mense alte:scambi di modelli alimentari tra opposte classi
sociali nelle Marche, in fonti letterarie e documenti tra Seicento ed inizio Novecento, <Le
Marche. Folklore Religiosit>, VII, 2002).

142

Italia, i contadini portano in regalo al padrone per la festa del Corpus Domini296.
Nello stesso anno di pubblicazione dellopera di Artusi, il 1891, nel ricettario
anonimo Il cuoco perfetto marchigiano si legge del Lattarolo a bagno maria,
con identico procedimento allattuale e comune crme caramel. Infatti il
composto di latte con uova sbattute e zucchero ed il consueto profumo di limone,
andava versato in una casseruola dove prima veniva messo a colorire un poco di
zuccaro () avvertendo che resti tutta ben spalmata anche allinterno con detto
zuccaro297. Durante lOttocento il lattarolo ricorreva come dolce delle feste
nellAlta Valle del Metauro, stando alla relazione Costumanze generali de
contadini del circondario di Urbania e delle cure rurali e suburbane 298. E infine
ancora dopo, negli anni 20 del Novecento, si incontra il lattarolo come
obbligo al locatore per la Pasqua, o anche appunto per la festivit del Corpus
Domini in un contratto mezzadrile a Cagli: si trattava in parole odierne di una
specie di latte brul o crme caramelle299, e veniva elegantemente portato sopra
uno strato di foglie dalloro, espediente ornamentale per i piatti da portata che
spesso si ritrova nelle imbandigioni eleganti delle mense nobiliari300.

296

P. ARTUSI, La scienza in cucina e larte di mangiar bene, a cura di P. CAMPORESI, Torino,


2001, pp. 616 - 617.
297
Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona, 1982, p. 113.
298
C. LEONARDI, Il cibo nelle feste popolari dellAlta Valle del Metauro tra Ottocento e
Novecento, in Storia dellalimentazione marchigiana, op. cit., pp. 57-65.
299
M. CARAFLI, Lalimentazione delle famiglie abbienti marchigiane negli anni 20: larea
miseno-metaurense, in Storia dellalimentazione marchigiana, a cura di S. ANSELMI e R.
DAVICO, <Proposte e Ricerche>, 11-12, 1983-84, p. 73.
300
L. BRUNI, Ricette raccontate: Marche, Rimini, 1999, pp. 337-338.

143

Proviamo Insieme
Lattarolo
Versione 1
Ingredienti
1 lt. di latte
100 g. di zucchero al velo
6 uova
1 limone grattugiato
1 spruzzo di alchermes (liquore rosso per dolci)
Preparazione
Fai bollire il latte con lo zucchero e la scorza di limone grattugiata. Lascia
raffreddare quindi unisci le uova e forma un impasto liquido. Versa qualche
goccio di alchermes (rom o sassolino, il nostro ricettario aggiunge anche
semplicemente vino, consiglio un vino da dessert) e mescola delicatamente.
Versa il tutto in uno stampo inumidito (oppure in tanti stampini piccoli), quindi
mettilo a cuocere a bagnomaria (dentro uno stampo pi largo contenente acqua)
in forno tiepido a 50 gradi, coperto per circa un'ora. Quando sar cotto e
raffreddato, capovolgilo e servilo.
Versione 2
Portare a bollore un litro di latte intero, mescolandovi il pangrattato(50 gr), lo
zucchero, profumate con succo di limone. Ungere una teglia con lo strutto,
versarvi il composto e mettere in forno caldo a 180 gradi per circa 20 minuti. Il
latteruolo sar pronto quando si sar rassodato e dorato. Servirlo tiepido, tagliato
a fette.

144

SPUMETTE
Ricetta ancora in uso nel monastero

145

Adele Mariotti

IL MUSEO

146

UN MUSEO NARRANTE
Ti diamo il benvenuto, ospite. Eri trepidamente atteso; sei turista o pellegrino?
Ateo o credente? A chi importa saperlo, per noi non fa alcuna differenza
Con queste parole il visitatore accolto nel Museo delle Arti Monastiche di Serra
De Conti per assistere e partecipare ad una pice teatrale che lo aiuter a entrare
nella storia e nelle storie del Monastero di Santa Maria Maddalena.
Per far comprendere una realt tanto complessa, quale pu essere la vita in una
clausura monasatica di Clarisse francescane, si voluto offrire al visitatore una
chiave emotiva di lettura, si cercato di farlo entrare nel monastero, nella sua
storia contrasseganta da intensi rapporti con il paese e con il territorio
circostante, e nelle sue giornate, chiuse in precise tabelle orarie; si cercato di
aiutarlo a comprendere il ruolo e limportanza degli oggetti nella vita di una
comunit monastica di clausura e si fatto ci portando il teatro in museo.
Il personale del Museo suggerisce al visitatore luso di un wolkman digitale
attraverso il quale voci di attrici lo coinvolgono nella rappresentazione di una
pice teatrale. La stessa si sviluppa in nove stazioni e con lausilio di alcuni
oggetti autentici da toccare (una cassa dotale, una tagliaostie, una
cioccolatiera) vengono riproposti i luoghi e i lavori propri del monastero.
Il racconto si snoda dal 1594 sino ai nostri giorni secondo un percorso ciclico che
ripropone: il ciclo della giornata claustrale, il ciclo stagionale dellanno, il ciclo
della vita umana, cos come dichiarano le attrici al visitatore le nostre voci ti
condurranno attraverso i secoli, gli anni, le stagioni, i giorni, le ore del
monastero.
La storia inizia in una fredda giornata del dicembre 1594, davanti alla grata, alle
sei del mattino, insieme ad una giovanissima novizia e si conclude nel dicembre
del 1945, alle otto di sera, assistendo unanziana suora morente, mentre alla grata
bussa la giovane Angela Teresa che, divenuta poi Madre badessa, perseguir, con
tenacia e convinzione, il progetto del museo.
Le attrici allinizio del percorso teatrale dichiarano esplicitamente la loro
presenza e il loro ruolo: Siamo voci di attrici in prestito alle monache, loro
non possono essere qui, vivono oltre il muro, quello che si trova difronte
allentrata del museo, chiuse fuori dal mondo da pi di quattrocento anni, per
loro il tempo sospeso ed esortano il visitatore ad immedesimarsi nei
protagonisti della pice (cappellano, agrimensore e persino cappone): tu
unico spettatore sarai onnipresente, uomo, animale, vegetale o materia inerte, ti
troverai sempre nella posizione migliore per ascoltare o per vedere, vivrai nel
nostro monastero e alla fine lo invitano a visitare le stanze del museo.
In questo loro dichiararsi attori, i teatranti hanno rinunciato ai pi comodi
artifici della finzione e si sono esposti, come si fa in un museo, ponendo le loro
voci e i suoni dellemozionante colonna sonora, catturati nel monasatero, sullo
stesso piano degli oggetti in vetrina.
Il particolare e suggestivo allestimento del percorso teatrale in nove stazioni e il
testo della pice sono i mezzi con cui si affrontata la sfida di conciliare due
condizioni apparentemente inconciliabili: quella del Visitatore che vede,
esamina, a volte persino tocca gli oggetti reali ed autentici esposti in museo, con

147

quella dello Spettatore che guarda o ascolta una rappresentazione, una


costruzione mentale concepita da un autore immaginifico.
Gli oggetti che si vedono e si toccano sono veri e raccontano la vita del
Monastero, perch qualcuno, gli autori dei testi teatrali e gli attori, li hanno resi
parte di un organismo, hanno ridato loro la vita.
Daltra parte il testo proposto non di pura fantasia , ma nasce da una lunga e
complessa ricerca negli archivi del monastero per cui le date, i nomi, gli
avvenimenti citati sono tutti rigorosamente documentati e appartengono alla
storia vera della Comunit monastica di Santa Maria Maddalena in Serra De
Conti.
Ed proprio dalle carte darchivio che si scoperto con sorpresa che il teatro
faceva e fa parte della cultura e della vita monastica. Le suore di Serra De Conti
avevano utilizzato le potenzialit didattiche del teatro nel percorso educativo
delle giovani a loro affidate nelleducandato e ne avevano apprezzato, e ne
apprezzano tuttoggi, le sue potenzialit espressive mettendo, loro stesse,
direttamente in scena, testi sia sacri che profani, alcuni trascritti con mano
paziente, altri da loro direttamente ideati.
Lultima rappresentazione teatrale avvenuta nel chiostro del monastero,
allombra di un fico secolare, nellagosto del 2004 per un pubblico di giovani e
per la gente del paese.
Pertanto il teatro, oltre ad essere stato scelto come mezzo di comunicazione
museale, esso stesso oggetto in mostra in quanto costituisce la proiezione in
museo di unattivit artistica delle suore, pari alle altre: ricamo, tessitura
ceroplastica, cucina
La ricchezza e la particolarit di questo museo proprio nella sua capacit di
raccontarci non un mondo malinconicamente perduto, ma di presentarci un
tempo sospeso fra un passato a volte difficile e un presente claustrale vivace ed
attivo che attinge alle sue radici per ritrovarvi conferme e vitalit e nella
possibilit offerta al Visitatore di divenire anche Spettatore per crearsi la propria
rappresentazione , la pi completa e personale possibile della vita di clausura nel
Monastero di Santa Maria Maddalena.

148

Museo delle Arti monstiche


Le Stanze del Tempo Sospeso
Museo delle Arti monstiche
Progetto scientifico e cura del museo: Amelia Mariotti Puerini
Testi: Amelia Mariotti Puerini
Traduzioni: Allegra Giorgolo
Interventi teatrali, musicali e video: Paolo Pagliani, Silvio Panini, Tiziano
Popoli, Sergio Smerieri
Progetto museografico e di comunicazione visiva: Luca Schiavoni
Realizzazione
Strutture espositive: Goppion, laboratorio museotecnico
Illuminazione: effetto luce
Strumentazioni multimediali: Videoworks
Gestione: Sistema Museale della Provincia di Ancona
Aperto il sabato ore 15,00 19,00 e la domenica ore 10,30 12,30 / 15 19
Si accettano prenotazioni per gli altri giorni
Prenotazioni e informazioni tel. 0731/871711
Come arrivarci:
stazione ferroviarie prossime a Serra de Conti: Senigallia e Jesi
uscite autostrada: A14 Senigallia- strada arceviese per km.25
A 14 Ancona nord superstrada direzione Roma - uscita Castelbellino- strada dei
castelli per Serra De Conti, km.10

149

Dolores Boretti

ITINERARI DELLANIMA E..DEL PIACERE


Luoghi dello spirito : cultura e golosit

I monasteri
Sacro Eremo di Camaldoli
Camaldoli (AR) 0575/555021
Circondato da una foresta, abitato dai benedettini camaldolesi, ospita chi interessato a
ricerche spirituali sui punti d'incontro tra religione cristiana, induismo e buddismo.
www.camaldoli.com

Abbazia di Monte Oliveto


Chiusure (SI) 0577/ 7070170
Famoso per il chiostro e la biblioteca, per il restauro di libri antichi e la distilleria di
liquori. Chiedendo si pu alloggiare nelle celle interne.
www.ftbcc.it/monteoliveto/

Abbazia di S.Michele
Ambrogio di Torino 011/939130
Si erge in un luogo inaccessibile, dall'anno mille tappa di pellegrini, dieci camere per i
ritiri rispettando le regole dei padri rosminiani. Spesso ospita concerti di musica classica.
Abbazia di Montecassino
Cassino (FR) 0776/26529
I monaci benedettini organizzano corsi di organo e di canto gregoriano.
www.officine.it/montecassino/

Abbazia di Casamari
Veroli (FR) 0775/332371
I monaci cistercensi hanno un laboratorio per il cioccolato e una famosa distilleria.
Monastero di Santa Croce di Fonte Avellana
Fonte Avellana (PS)
Settimane di studio biblico, canto gregoriano. Ricco calendario di ospiti.
Email monastero@fonteavellana.it
Monastero Mater Ecclesiae
Isola di S. Giulio (NO) 0322/90324
Si arriva solo in barca da queste monache benedettine che ricamano e lavorano la terra.
Piccola foresteria. Luogo davvero incantevole.
Monastero di S. Francesco
Stroncone (TR) 0744/60111
I frati ospitano volentieri gruppi in pellegrinaggio-trekking da Assisi verso Greccio e la
Valle Reatina
Abbazia di S. Martino delle Scale

150

San Martino delle Scale (PA) 091 418104


Punto di riferimento per i pellegrini. Gli uomini soggiornano in clausura e per le donne vi
una piccola foresteria.
Monastero delle trappiste di Vitorchiano
Vitorchiano (VT) 0761/370017
La coltivazione della vigna e dell'orto e frutteti sono le attivit da condividere con le
monache di clausura produttrici di famose marmellate.
www.vitorchiano.org

Convento di San Francesco


Cetona (SI) 0578/238261
La realizzazione di questo luogo esclusivo fra i boschi dell'antica Tuscia risale al 1212,
voluta dallo stesso san Francesco. Attualmente foresteria con 5 camere da letto
matrimoniali (lire 380.000 a notte) e 2 suite (lire 500.000 a notte).
Caratteristico il ristorante con 35 coperti, un pasto costa circa 160.000 lire escluse le
bevande.
Email frateria@ftbbc.it

151

152

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ASMM, Piano desecuzione delle grosse riparazioni da eseguirsi nel Monastero
di Santa Maria Maddalena in Serra De Conti 1823, 9.11, 1823, fasc. 4.
ASMM, Facolt accordate alle Monache di questo Monastero di

poter usare dei cibi di grasso, durante il tempo del prossimo Sagro
Avvento, 11.29, 1828, fasc. 12.
ASMM, Spese per la venuta del Vescovo di Senigallia nel rivestire
del Santo Abito le Religiose del monastero, 12.13, 1829, fasc. 13.
ASMM, Normali di spese occorrenti per la Monacazione duna
religiosa corista, e conversa di questo monastero,, 20.35, 1842, fasc.
35.

bibliografia
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Senigallia, 1857.

161

GLOSSARIO
Acqua rosa: acqua di rose (chiamata anche acqua rosata), distillato oleoso con
petali di rosa
Amandole (o amandorle): mandorle
Anisi (o anaci): anici
Armario: armadio del pane, madia
Arnioni: rognoni
Asciuttare: asciugare
Astrutto: asciugare
Bignoli: pinoli (vedi anche pignoli)
Branci, (o ole, -oline): rametti o mazzetti di foglioline di piante aromatiche
Buccale: boccale, oltre che recipiente anche antica unit di misura per liquidi, di
circa un litro
Butiro: burro
Caoli: cavoli
Caldaretto ; vezzeggiativo o diminutivo di caldaro, pentola capace di rame per
bollire
Capeccio: o capecchio, filo grezzo di canapa
Diaccia: ghiaccia, di acqua molto fredda, gelata
Cazarola: casseruola, pentola pi fonda del tegame, con manico lungo
Cenigia: cenere
Chiarifico: glassatura
Chicchera: tazza da cioccolata
Cialdone: anticamente cialda avvolta a forma di cartoccio
Colletta: salsa tipi besciamella
Coratella: polmone, o pi genericamente frattaglie
Cratella: graticola
Crescia: Sorta di focaccia, o torta rustica tipica delle Marche e dellUmbria
Farza: ripieno, farcitura
Fiocca: albume sbattuto a neve (a fiocca)
Fior di farina: la farina di qualit migliore, pi fine, setacciata al meglio dalla
crusca
Fior di finocchio: semi di finocchio, molto aromatici
Fiore di zuccaro: lo zucchero di qualit migliore, in alcuni ricettari antichi detto
anche fioretto

162

Fiorire, -ito: cospargere (o cosparso) di zucchero


Foglietta: unit di misura per liquidi, corrispondente a circa mezzo litro
Fornello di campagna: forno portatile, di ferro o di latta, con coperchio
Fraschettina: dolce o biscotto
Gagliardo: robusto, detto di fuoco vivace
Galanterie: anticamente indicava cose graziose cibi squisiti, e quindi pasticcini
pregiati
Garofali, garofani: chiodi di garofano
Grascelli: residui solidi dello scioglimento del lardo per ottenere lo strutto
Grazia: unit di dose, una grazia sta per un pizzico
Hora: ora, nelle ricette pi antica
Invetriata: trattamento della ceramica con una sottile ingabbiatura di vetro
Involgere-involtare: rivoltare, ripassare in una sostanza granulosa
Latte di amandole: liquido filtrato con cura, ottenuto da mandorle tritate con
acqua
Latte di amandole: liquido filtrato con cura, ottenuto da pinoli tritati con acqua
Libra: unit di misura di peso equivalente circa 350 grammi
Maccaroni: maccheroni
Maghetti: ventrigli di pollo

Massa: impasto di base, generalmente del pane


Melangoli: variet di arancia amara
Meloncini: piccoli meloni
Meneggiare: spesso sta per impastare
Menestrare: versare, detto di pietanza o impasto fluido o cremoso
Merolla: qualit di insalata; spesso sta anche per midollo, o mollica (di pane)
Midolla: pu anche intendere il torsolo di mela
Miserere: in riferimento alla preghiera, ed al tempo per recitarla, indica un breve
periodo di cottura
Modelletti: piccole forme o pezzetti in cui si modella la pasta per biscotti
Mortale: mortaio
Muschio: chiamato anche musco, antica sostanza aromatica di origine animale
Mustaccioli: mostaccioli, dolcetti secchi fatti con mosto o miele
Nettare, netto: pulire, pulito.
Noce pista: noce moscata grattugiata
Ogliare: ungere, ingrassare, detto anche di un impasto (nel senso anche di
arricchire)

163

Oncia: unit di misura di peso equivalente circa 25-30 grammi


Ottava: unit di misura equivalente ad un ottavo di un oncia, ossia tra i tre e
quattro grammi.
Paolo: antica moneta, pu indicare il quantitativo corrispondente di un
ingrediente
Passarina: uva passa
Persiche: pesche
Pignatta: pentola di una certa capacit, e piuttosto profonda
Pignoli: pinoli (anche bignoli)
Portogallo: arancio
Prolessare: lessare; anticamente perlessare indicava una cottura in acqua non
portata a termine.
Ranciata: anticamente arancia candita
Raspare ato: grattare, -ato, detto in genere della buccia di agrumi
Rimenare: rimescolare, reimpastare
Sapa: mosto cotto a lungo, fino a raggiungere la consistenza del miele
Sbrodettare, -tura, -o: bagnare con un fondo o un umido, o anche uova, a cottura
ultimata
Sbruzzare: spruzzare
Sellari: sedani
Sfrangiate: dolci o pasticcini
Siroppare: sciroppare
Smenare: impastare o rimestare energicamente
Solaro: strato (detto in genere di timballi, budini, o dolci come la zuppa inglese)
Spirito: alcool ricavato per distillazione del vino
Staccino: piccolo setaccio, anche per filtrare liquidi
Stagnato: di recipiente o pentola, in genere di rame, rivestito con uno strato di
stagno
Stamigna: setaccio, o meglio filtro (anche tela fine), per liquidi o sostanze molto
fluide
Stella: dolce, che anticamente si ricava con siringhe dalla bocca a forma,
appunto, di stella
Strige (o strigette): strisce o striscette
Sura: sopra
Sutta: sotto

164

Tagliero: piatto o superficie in legno, o anche in metallo, quando deve andare al


forno o su fuoco
Testo a cuocere: teglia o tortiera generalmente in terracotta
Tondino: piccolo piatto, per frutta o dolci
Unguentino: salsa o intingolo
Vernigiato: verniciato, anche nel senso di invetriato per i recipienti da fuoco
Visgiola: visciola (ciliegia asprigna)
Zuccaro: zucchero, di tipo bianco (raffinato), o rosso (detto anticamente
rottame), grezzo
Zucchette: zucchine
Zucchette di cappari: bocciolo di cappero

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