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MARCELLO LOSTIA

LINEAMENTI
DI PSICOLOGIA
D ELL ' E T
EVOLUTIVA

O
S

EDIZIONI

F I R ENZE

INTRODUZIONE

La Psicologia dell'Et Evolutiva ha un m erito non p iccolo nel raggiungimento di quel progresso che fa della Psicologia una scienza indiscutibilmente autonoma. ben vero che i t r aguardi raggiunti rappresentano
vittorie ancora parziali e l i m itate e non consentono una completa saldatura fra tutte le proposizioni generali. Ma del resto il carattere della provvisoriet e della i p oteticit ci ch e v eramente distingue il p r o gresso
scienti6co.
Oggi la psicologia dell'et evolutiva non pi considerata u., ramo
della Psicologia, investigazione di tipo particolare su problemi particolari,
zona di ricerche specialistiche, ma piuttosto una tecnica o un metodo per
lo studio dei processi psicologici.
Lo studio dell'et evolutiva non rappresenta lo studio di un'et cons iderata qualitativamente e quantitativamente diversa dall'et adulta: l o
studio dei processi psicologici secondo una prospettiva evolutiva costituisce invece necessaria propedeutica allo studio e alla conoscenza dei processi psicologici adulti e persino involutivi.
Freud stato, se non il p r im o a d i chiarare, certo il pi a u torevole
scienziato a dimostrare che la spiegazione di molte problematiche affettive
dell'et adulta va r icercata nell'et infantile; e P i aget, forse il m aggiore
tra gli psicologi viventi, ha con la epistemologia genetica fondato le basi che
hanno permesso di far luce su meccanismi e processi dell'attivit psichica.
Anche in America e in Russia, ove maggiore attenzione stata posta

ai problemi dell'apprendimento, si oramai del parere che studiare l'apprendimento nell'et evolutiva costituisca il metodo pi corretto per l'approccio al problema stesso. I.a maggior parte delle ricerche e degli esperimenti su questo campo sono stati infatti condotti su giovani animali o
su bambini, Si potuto, ad esempio, stabilire che in uno scimpanz tenuto
al buio per tutto il p r imo anno di vit a v i ene a mancare lo sviluppo di talune cellule della retina, e le capacit visive dell'animale rimangono limitate
per il resto dei suoi anni: il che dimostra che il primo anno di vita , per
quanto riguarda la visione normale, un periodo critico.

Per altra via tanto Spitz che la Klein hanno dimostrato che il primo

anno di vita fondamentale per lo sviluppo della fiducia del bambino


negli altri e per una corretta strutturazione della sua personalit. La Klein
ha persino elaborato una teoria assai utile per la comprensione delle malattie mentali r i p ortandone la eziologia al r a pporto m adre-bambino nei
primi mesi di vita di quest'ultimo.
Dunque la psicologia dell'eta evolutiva non deve essere considerata
una specializzazione della psicologia, ma piuttosto un modo di studiare la
psicologia, una particolare prospettiva nella quale si preferisce collocarsi
per lo studio dei p rocessi psicologici.
F ino al X VI I s ecolo i f a nciulli v i vevano assieme agli adulti i n u n a
comunit di i n t eressi e d i a t t i v i t: f r a d i l o r o n o n v e nivano percepite
diversit qualitative. Sia nelle botteghe che nelle scuole i bambini, dai sei
anni in su, condividevano le sorti degli adulti, assistendo alle loro faccende
e partecipando alle stesse ansie e agli stessi problemi, n ot o che nella
Roma antica i f anciulli, dopo il c ompimento del settimo anno, venivano
dai padri condotti ai lavori dei campi e alle esercitazioni militari. Non diversa era la situazione a Sparta e a A t e ne. i n t eressante notare come
l'arte medievale abbia rappresentato i bambini come degli adulti immaturi,
piccoli nani graziosi in un mondo di cose troppo grandi. Nelle scuole del
Medioevo non esisteva una distinzione graduata per la istruzione, e bambini di sei anni convivevano con giovani di 18 e 20 anni, sia nei momenti
di studio che in quelli di riposo: essi mangiavano e dormivano nelle stesse
camerate. Nessuno pensava che i b a mbini f ossero innocenti e b i s ognosi di protezione, n che dovessero essere tenuti in qualche modo lontani dai problemi della sessualit.
Fu probabilmente il m o ralismo Riformistico e Controriformistico a
far nascere per la prima volta una simile preoccupazione. Il bambino cornincio allora ad apparire qualcosa di diverso.
Nel XVI I s ecolo l'opera di L o cke prima, e di R ousseau, successivamente, contribuirono a diffondere l'opinione che i b ambini f ossero realmente diversi dagli adulti e che in quanto tali dovessero ricevere un pariicolare trattamento ed una attenzione specifica. Sebbene in posizioni diametralmente opposte J. L ocke sosteneva la teoria della tabula rasa
e della necessit di una severa educazione del carattere, Rousseau era convinto invece ch bisognasse lasciare al fanciullo la massima libert di realizzare le proprie innate tendenze le considerazioni di q uesti due filosofi ebbero una notevole efficacia e contribuirono ad attirare l'attenzione
degli studiosi sul problema dell'infanzia. Da molte parti, direttamente o
indirettamente, si cerc di d i mostrare la f ondatezza dell'una o dell'altra
teoria, e, per quanto alla fine ci si dovette convincere che entrambi i fi lo-

sofi avevano avuto torto, cio servi se non altro ad accumulare una notevole
mole di materiale.
Fu infatti proprio alla fine del 1700 che ebbe inizio il periodo delle
biograPe infantili che si protrasse sino alla fine del secolo scorso. Il primo
ad affrontare il problema in questa maniera fu forse Giovanni Enrico Pes talozzi, nel 1774 con i l D i a ri o d i u n p a d r e , ben presto imitato da
Dieterich Tiedemann lBeobachtungen ueber die Entwicklung der Seelenfahigkeiten bei K i ndern, Al tenburg, Bonde, 1787), che traccio una serie
di osservazioni sullo sviluppo della sensazione, del movimento, del linguaggio etc. del bambino sino a due anni e mezzo. Ma fu la biografia di Charles
Darwin lA b i ographical sketck of an infant, Mind, 1877) a modificare decisamente la prospettiva nei confronti dei problemi dell'et infantile. Darwin poneva decisamente l'accento sull'aspetto evoluzionistico del rapporto
bambino-uomo.
Disgraziatamente tutte 'queste biografie infantili non venivano scritte
con intenti rigorosamente scientifici: i n r e alt esse servivano d'appoggio
a teorie le quali erano accettate prima d i e ssere provate. Conseguentemente le osservazioni tendevano a cogliere soltanto ci che, in qualche maniera, si accordava con la teoria scelta. Il metodo delle biografie, peraltro,
di per se stesso assai poco scientifico, soprattutto per le i m plicanze di
natura affettiva che esso comporta: infatti molto improbabile che un pad re o una madre possano essere veramente e totalmente imparziali e di sinteressati nell'osservare e nel riportare le prodezze dei propri rampolli,
o i ricordi della propria infanzia.
Una seconda tappa nello studio dei problemi di p sicologia infantile
fu segnata da un metodo nuovo introdotto attorno al 1890 dall'americano
Stanley Hall, della Clark University, considerato uno dei f ondatori della
psicologia in A m erica. Egli i n vestigava sui c o ntenuti della mente dei
bambini poich, come Darwin aveva insegnato, era convinto che la studio della evoluzione fosse fondamentale per la comprensione del problema
dell'uomo. Hall conduceva ricerche su ampi gruppi di soggetti con. una tecnica abbastanza raffinata, quella dei questionari , che consiste nel porre
una serie di d o mande tendenti ad o t t enere informazioni sul c omportamento, gli a t teggiamenti e gl i i n t eressi dei f anciulli e d egli adolescenti.
Poi comparava le risposte scritte dai ragazzi con quelle dei loro genitori.
Il metodo di H a ll , che permise di raccogliere una messe enorme di
indicazioni e di notizie sui fanciulli e sugli adolescenti, e che ebbe, specie
in America, una quantit incredibile di i m i t atori e d i c o n tinuatori, pu
s enza dubbio considerarsi u n p r o gresso nei c o nfronti d e i m e t odi p i
astratti, pi teorici e pi soggettivi dei filosofi e dei biografi dei secoli precedenti. Tuttavia, alla luce della metodologia pi avanzata, le tecniche di
Hall appaiono oggi grossolane e non immuni da critiche.

C APITOLO PRIM O

PROBLEMI DI METODO L O G IA
NELLO STUDIO DELL'ETA EVOLUTIVA

I. - LA RACCOLTA DEI DATI

Gli studi sistematici sui fanciulli hanno avuto inizio nel XX secolo.
I metodi scientifici della psicologia sono stati solo in parte mediati da altre scienze pi avanzate, quali la fisica e la matematica; pur accettando il
modello sperimentale delle altre scienze che gi lo u t i lizzavano, la psicologia ha dovuto ingegnarsi a costruire tutte quelle modifiche, sia tecniche
che propriamente metodologiche, che ne consentissero l'adattamento agli
scopi e agli oggetti suoi propri. E ci perch, nella realt, non esiste un
metodo sperimentale applicabile indifferentemente a qualunque tipo di
scienza: fisici e chimici conducono le loro ricerche in laboratori attrezzati
e secondo tecniche e metodiche che differiscono, si, da quelle degli archeologi, che lavorano all'aria aperta, ma anche da quelle degli astronomi, che
pure lavorano in attrezzati laboratori. Ciascun campo di ricerca ha necessit
di venir definito in t ermini d i specifiche tecniche, oltre che di contenuti,
anche se poi tutte le scienze si servono del metodo sperimentale. Tuttavia
solo in termini molto generali possibile affermare la esistenza di un metodo scientifico estensibile a tutte le scienze.
Le basi di questo metodo scientifico sono cosi riassumibili:
1. OssERvAzioNE - La osservazione dei fenomeni rappresenta il primo passo verso le costruzioni scientifiche; essa ha tuttavia il difetto di non
essere r i p e t i b i l e a v o lont dall'osservatore, il quale assume, nei confronti del fenomeno, il ruolo passivo dello spettatore. Le osservazioni poss ono per ripetersi per il r i petersi del fenomeno i n n a t u r a . p o s sibile allora g e n e r a l i z z a r l e e g i u ngere alla costruzione di prime
ipotesi elementari, le quali serviranno da guida nella preparazione di veri e
propri esperimenti.
2. EsPERIMENTAzIQNE.

- Sperimentare significa riprodurre un feno-

meno. osservato in natura, tenendo sotto controllo il m aggior numero di


variabili. Mentre l'osservatore rimane passivo, nei confronti del fenomeno,

14 lo sperimentatore ha un ruolo attivo: egli manipola gli ingredienti per ottenere la ripetizione del fenomeno.
a) Le variabili. Si c hiamano variabili tut te quelle condizioni che, in
un modo o n ell'altro, incidono, o possono incidere sul fenomeno provocandone una variazione. Tali sono, ad esempio, la temperatura, la illuminazione, la presenza di particolari sostanze, tutti elementi fondamentali,
specie negli esperimenti di f r sica e d i c h i mica, e che l o sperimentatore
deve ben conoscere e controllare. Un esperimento valido quando agendo,
a condizioni note, su una variabile, si produce un m utamento nel f e nomeno. In t a l caso la variabile sulla quale si agisce viene indicata come
v a r i a b i l e i n d i p e n d e n t e o variabile x, il m u tamento provocat o, come v a r i a b i l e d i p e n d e n t e o variabile y, e si presume
che questo dipenda (sia effetto o f u n zione) da quella. Correttamente si
dice che la variabile indipendente x agisce sulla variabile dipendente y, o
che tra le due variabili esiste una co r r e l a z i o n e . T a l e c o rrelazione
pu essere diretta o inversa, a seconda che le due variabili abbiano mutamenti nello stesso senso (per es. aumentino o d i minuiscano contemporaneamente) o nel sensc opposto (mentre la x aumenta, la y diminuisce o viceversa). In questo modo, per esempio, si potuto stabilire che, a condizioni note e ci o tenute costanti tutte le altre variabili s e a umenta
la pressione esterna (variabile x) i l v o l ume di u n gas (variabile y) diminuisce.
In psicologia si opera secondo questi principi, che vengono per adattati alle particolari situazioni. Cosi, ad es., essendosi potuto osservare che
la somministrazione di un certo farmaco (un preparato a base di fosforo e
di calcio) agiva in senso positivo sul r endimento scolastico di p readolescenti, stato legittimo avanzare l'ipotesi che il farmaco (variabile x) aves-

se una qualche relazione con il rendimento scolastico (variabile y).


b) La costituzione dei gruppi. Il c o ntrollo della ipotesi sopra annun-

ciata richiederebbe la disponibilit di due serie di dati: quelli sul rendimento normale di preadolescenti in assenza del farmaco, e quelli sul rendimento di preadolescenti cui il f a rmaco sia stato somministrato. Solo con-

frontando tra di loro queste serie di dati sarebbe possibile controllare la


validit della ipotesi.
R impossibile, sia per motivi di t empo, sia per motivi teorici, poter
disporre di tali dati traendoli dalla osservazione di tutti i f anciulli preado-

lescenti del mondo: per questo, in psicologia, si usa ricorrere al metodo


della costituzione dei gruppi i q u ali, o m o g e n e i tra l o ro, possano
considerarsi r a p p r e s e n t a t i v i del l ' i n t e ro m ondo.
Si dicono omogenei due gruppi d i s oggetti quando lo spostamento

15 di un soggetto da un gruppo all'altro, prima dell'inizio dell'esperimento,


non ne alteri la composizione. Ci possibile solo se tutte le variabili dei
soggetti dei due gruppi siano state controllate e confrontate. Nel caso che
stiamo esaminando, ad esempio, indispensabile accertarsi che le condizioni di partenza dei gruppi siano il pi p ossibile simili, che non v i s i ano,
cio, elementi che possano in qualunque modo produrre variazioni, in un
senso o nell'altro, solo in uno dei due gruppi. Questo rende necessario la
veri6ca di tutte le variabili, cosi da renderle note e da tenerle sotto controllo. Nel nostro caso sar necessario procedere alla rilevazione dei livelli
intellettuali, cosi da scartare gli ipodotati (e gli i p erdotati) in entrambi i
gruppi; bisogner vagliare la capacit di apprendimento e d i r e ndimento
scolastico di ciascun soggetto prima dell'esperimento.
A questo proposito sempre meglio affiancare alla valutazione
intuitiva dell'insegnante un qualche procedimento metrico che limiti
al massimo gli errori dovuti alle assunzioni affettive e pregiudiziali.
Esistono a questo scopo test di r e n dimento scolastico c he c onsentono la misurazione del rendimento in maniera totalmente oggettiva; essi consistono, in g enere, in b r evi p r oblemi-standardizzati la
cui correzione esclude l'intervento di q u alunque tipo d i v a lutazione
soggettiva da parte dell'insegnante. In I t alia sono a disposizione per
I e I I c i clo delle elementari i test di Cimino e i t est della AndreaniDentici ("), i quali consentono di esprimere numericamente la posizione
che ciascun alunno occupa nella graduatoria dei r e ndimenti d ella
propria classe.
Bisogner, inoltre, assicurarsi che i soggetti si trovino tutti sullo stesso
piano per quanto riguarda lo stato di salute; il controllo dell'et cronologica deve accompagnarsi ad un controllo sul livello di maturazione. Infine
bisogner controllare la provenienza sociale dei soggetti, la loro situazione
familiare e il ruolo occupato nella costellazione dei fratelli.
Queste sono l e g aranzie indispensabili che n e cessario prendere,
p rima di i n i ziare l' esperimento, per avere le maggiori possibilit di s i curezza circa il rapporto tra la variabile x e la variabile y, in altre parole
per poter, se non escludere, almeno limitare la incidenza di altri f a ttori,
diversi dal farmaco, sul risultato dell'esperimento. Quando queste condizioni siano rispettate si usa dire che i due gruppi sono omogenei.
La rappresentativit indica il r a pporto esistente tra i g r u ppi costituiti per l'esperimento e l'intero mondo cui si intende riferirli, In q u esta
s ede i gruppi dei soggetti vengono denominati p o polazione, e si u s a
dire che la popolazione rappresentativa dell'intero mondo quando essa
(") Edizioni O.S., Firenze.

ne rispetti una certa proporzione. Naturalmente la composizione della popolazione indicativa della sua rappresentativit: cosi, ad es., se si prendono due gruppi di 50 soggetti ciascuno, in due seconde elementari di una
scuola cittadina, la rapppresentativit sar di t u tt i gl i a l unni d i seconda
elementare di q uella, solo di q u ella, determinata scuola cittadina. Se il
numero di soggetti della popolazione aumenta e i gruppi vengono costituiti
da individui scelti a caso nelle seconde elementari di tutte le scuole di una
c itt, si p o tr sostenere che la popolazione rappresentativa di t u t t i i
bambini di seconda elementare di quella citt, che costituiscono quindi, in
questo caso, l'intero mondo, e cosi via. E' evidente che quanto pi ampio
e pi strutturato ( cio costituito da soggetti con n>aggior numero di v ariabili) il gruppo della popolazione, tanto maggiore la probabilit che
i risultati ottenuti con i soggetti scelti per l'esperimento si avvicinano ai
risultati che si sarebbero ottenuti operando con l'intero mondo.
Nell'esperimento che si qui preso in considerazione, l'intero mondo
costituito da tutti i. preadolescenti di pari condizione dei soggetti da noi
scelti per la costituzione dei gruppi.
In questa fase della preparazione della ricerca viene in aiuto la scienza
statistica la quale mette a disposizione diverse tecniche, sia per la costituzione dei gruppi dal punto di vista della rappresentativit (cio rapporto
popolazione intero mondo) sia dal punto di vista della omogeneit.
c) L'Esperimento. Quando i d ue gruppi sono pronti, e cio quando
si sicuri della reciproca confrontabilit, si d inizio all'esperimento vero
e proprio, somministrando ad uno dei due gruppi, cui viene dato il nome
di g r u p p o s p e r i m e n t a l e , i l f a r m aco previsto (variabile x) per
un numero n di settimane, o di giorni, secondo il piano in precedenza stabilito, e controllando sistematicamente il rendimento di ciascun soggetto.
Intanto si procede alla rilevazione sistematica del rendimento anche
c on i soggetti del secondo gruppo, che viene chiamato g r u p p o d i
c o n t r o I Io . i n t eso che le tecniche di apprendimento e di i nsegnamento debbano essere rigorosamente le stesse, ed anzi, a maggior garanz ia, sarebbe opportuno mischiare i soggetti dei due gruppi, in m odo d a
eliminare ogni possibile intervento di dinamiche di gruppo differenziali.
Naturalmente, se ci si l i m i tasse a somministrare il f a rmaco ai soggetti del solo gruppo sperimentale non sarebbe corretto far d erivare le
eventuali mutazioni della dipendente direttamente dal farmaco, poich in
realt i soggetti di questo gruppo, per il solo fatto di r icevere il farmaco,
avrebbero ottenuto una sorta di r i n f orzo motivazionale che potrebbe
agire come seconda variabile indipendente, non controllata. p e r tanto
indispensabile che anche i soggetti del gruppo d i c o ntrollo r icevano un
uguale rinforzo motivazionale: si potrebbe, ad esempio, ricorrere all'espe-

diente di dare a tu t ti i s o g getti dei d ue g ruppi u na i dentica pillola, ma


mentre la pillola somministrata ai soggetti del gruppo sperimentale realmente costituita dagli i n gredienti del f a r maco, quella somministrata ai
soggetti del gruppo di controllo potrebbe contenere soltanto acqua e colorante (placebo). Ad evitare ogni possibile intervento vanificante potrebbe farsi in modo che solamente lo sperimentatore sappia a quali soggetti
venga amministrato il farmaco e a quali il placebo.
Al termine dell'esperimento si possono applicare nuovamente i t est
di rendimento scolastico e controllare quale differenza v i s i a, e i n c h e
senso vada, nei risultati ottenuti dai soggetti dei due gruppi prima e dopo
l'esperimento. Non sufficiente riscontrare differenze, in pi o i n m e no,
nel rendimento scolastico dei due gruppi per stabilire. la relazione x (y):
necessario stabilire se queste differ nze abbiano o non abbiano significato
statistico, e cio controllare se le differenze siano da attribuire al caso (siano casuali) o se invece si possono considerare dipendenti . Anche per
queste operazioni bisogner rivolgersi alla tecntca statistica.
Senza entrare nei particolari di t al i t ecniche, che richiederebbe
la illustrazione del concetto d i
p r o b a b i l i t s t a t i s t i c a,
e per la quale si rimanda a pubblicazioni specializzate, si cercher di
chiarire qui brevemente il problema con il r!icorso ad un semplice esempio. Si tenga presente che il controllo delle ipotesi del tipo di quella di
cui ci stiamo occupando si effettua con il confronto delle m e d i e che
ciascun gruppo r i porta; nel n ostro caso si potrebbe dire che l'ipotesi viene confermata se le medie dei punteggi riportati dai soggetti
d ei due gruppi ai test di rendimento sono differenti tra loro, in m a n i e r a s i g n i f i c a t i v a,
il c h e n o n s i gnifica necessariamente
in maniera macroscopica.
Si pensi a tre classi scolastiche, costituita ciascuna di 10 alunni,
le quali in un a prova identica, poniamo di aritmetica, abbiano ottenuto come voto medio il p u nto 5 (il voto medio di classe si ottiene
sommando i voti singoli e di videndo il r i sultato per il n u mero degli
alunni, in q uesto caso 10) e ch e quindi, apparentemente, sembrino
aver conseguito lo stesso risultato. Se per ad un esame pi attento
si scoprisse che queste tre medie uguali sono in realt il r i sultato di
queste tre situazioni:
classe A =
5 soggetti con voto 2 = 10
5 soggetti con v ot o 8 = 4 0 = 5 0 : 10
classe B =
5 sog g e tti con v ot o 4 = 2 0
5 soggetti con voto 6 = 3 0 = 5 0 : 10 = 5
c lasse C = 1 0 s o ggetti con v ot o 5 =
50 : 10
evidentemente il rendimento delle classi non potrebbe pi considerarsi
uguale. La tecnica statistica serve soprattutto per controllare se le
m edie e le d i s t r i b u z i o n i d e i v a l ori nei gruppi siano o n o n
siano p r o b a b i 1 i s t i c a m e n t e simili.

+
+

18 d) L'espressione dei risziltati. Il l i n g uaggio e le misurazioni tecniche


debbono essere fatte con termini e simboli oggettivi, e cio tali da essere
perfettamente comprensibili per ogni altro ricercatore che si occupi dello
stesso problema. Il r i corso al linguaggio comune deve quindi venir l i mitato al massimo e sostituito con espressioni il pi possibile scevre da contenuti e da valori di carattere personale, soggettivo od emotivo. Ad esempio, la espressione Marco era eccitato, molto eccitato non avrebbe un
contenuto semantico scientificamente chiaro e r i s u lterebbe scarsamente
u tile al f ine d i u n c o n t rollo sperimentale. La affermazione M arco h a
gridato per.cinque minuti e h a mostrato di non controllare i m ovimenti
delle braccia e delle gambe per n t empo espressione gi pi accettabile, perch pi precisa e oggettiva.
per questo che il r i corso al simbolismo rappresenta molto spesso,
l addove possibile, un modo rigoroso e obiettivo di esporre i f a tti e l e
osservazioni, poich impedisce alle ambiguit del linguaggio comune di interferire e deformare il significato delle affermazioni.
I dati che si raccolgono con i procedimenti sperimentali non costituiscono che il pr imo passo verso la interpretazione dei fenomeni. Se la ri cerca scientifica si limitasse alla sola sperimentazione, essa sarebbe, probabilmente, sempre v e r a m a anche sempre c i e c a . I l c h e significa che
i dati che si ottengono sperimentalmente hanno bisogno di una interpretazione, la quale richiede capacit intuitiva e una buona dose di coraggio.
Ma prima di passare agli altri m o m e n t i del m e t odo scientifico,
sar utile soffermarsi sulle t e c n i c h e p a r t icolari di cu i l a p sicologia
dispone per la costruzione e la verifica dei propri esperimenti.
'

3. - L E T E C N I CHE.
Come stato detto, non esiste un meIodo sperimentale che possa essere applicato direttamente a qualunque scienza: una differenzazione in
termini di t ecniche, di m odi d i a p proccio e di c ontenuti sempre indispensabile, ed quanto distingue, metodologicamente, le diverse scienze.

J.E. Anderson in Les Mthodes en psychologie de l'enfant (192),


elenca quattro particolari tecniche di ricerca utilizzabili in p sicologia dell'et evolutiva:
a) OssERvAzIQNI.

Casuali, quelle fatte da chiunque abbia in progetto di raccogliere notizie anedottiche, o faccia relazioni su particolari avvenimenti riguardanti
fanciulli, o a nche adulti, cui abbia assistito. Tali osservazioni, anche se

19 esatte, non hanno molto valore scientifico e non consentono alcuna gene-

ralizzzione.
Sistematiche sono invece le osservazioni fatte con una tecnica particolare che richied la preventiva evidenziazione di un fatto, una vigile attenzione che consenta di rimarcare o contare le ripetizioni del fatto, e
la conseguente registrazione di tutte le altre reazioni concernenti il fatto.
Tali osservazioni possono essere quantificate e studiate statisticamente.
b) T EST E

M I S U RAZIONI.

Particolari tipi d i t est sono le cosi dette tecnichegro iettive che costituiscono, per la gran parte, una via di m ezzo tra le osservazioni sistematiche e le situazioni sperimentali in q u anto presentano situazioni particolari, precedentemente organizzate, che stimolano reazioni comportamentali le q u ali v a nno r egistrate e i n t erpretate dal r i cercatore. Queste
tecniche sono state costruite sulla ipotesi dei m e c c a n i s m i d i d i f e s a d el l ' i o
( te o r izzati in particolare dagli psicologi della corrente
psicoanalistica), i quali p orterebbero il soggetto a porre i n a tt o p r ocessi
psicologici tipici nel tentativo di liberarsi o di diminuire la pressione delle
preoccupazioni ansiose. Con il m ateriale delle tecniche proiettive, opportunamente standardizzato, lo studio dei meccanismi di difesa agevolato
e, per lo psicologo, diventa meno ardua la interpretazione dello s t i l e
d i v i t a d e i soggetti sottoposti a questi test.
Le tecniche proiettive utilizzano i materiali pi variati, come disegni,
bambole, marionette, fotografie, immagini ambigue, macchie semi-strutturate, ecc.; ma m a i
que s t o materiale scelto a caso,-la sua standardizzazione per l'uso richiede numerose ricerche, prove, controlli. Le tecniche
proiettive sono normalmente utilizzate nel corso di diagnosi psicologiche o
psichiatriche.
I test di l i v ello mentale, sono invece costituiti da p rove a difficolt
crescente e vengono utilizzati per l a r i l evazione dello sviluppo mentale.
Molto spesso conducono a stabilire il quoziente intellettuale ( Q.I.) con il
quale viene indicato numericamente il r apporto tr a l ' et mentale e l ' et

cronologica, Il problema dei test di livello cosi complesso e vasto da costituire un grosso capitolo della psicologia differenziale. Utilizzati di norma
nel corso delle diagnosi psicologiche, tali test sono utili nella costruzione
di situazioni sperimentali per le quali sia indispensabile tenere sotto controllo la variabile intelligenza.
I test di intelligenza e di personalit (tecniche proiettive, test e questionari) forniscono misurazioni i n d i r e t t e p e r ch vengono utilizzati
per risalire, da comportamenti osservabili, a processi e funzioni inosservabili, quali, appunto, la intelligenza o la tendenza intro-extraversa, ecc. Ad
esempio, ci si pu servire del linguaggio, che un comportamento osser-

20 vabile, per trarre conoscenze ipotetiche sulla intelligenza o sul controllo


della emotivit (processi inosservabili). Si sogliono denominare, invece,
d i r e t t e l e m i surazioni che colgono, senza intermediari, comportamenti
evidenti e macroscopici, quali il pianto, la respirazione, i movimenti posturali, i riflessi, la statura, ecc.
C) VALUTAZIONI.

Si utilizzano quando, per la mancanza di una unit di misura oggettiva, non sia possibile misurare direttamente n indirettamente complesse
forme di comportamento: esse differiscono dalle misurazioni quanto le impressioni qualitative dalle asserzioni quantitative. Tab sono spesso le valutazioni scolastiche le q uali non si r i f eriscano al semplice aspetto nozionistico ma a quella totalit comportamentale che si suole indicare con
il termine m aturit . L e v alutazioni di questo tipo possono essere numerose e rivolgersi a molteplici aspetti della vita di r elazione; la tecnica
delle valutazioni richiede, in ogni caso, l'accettazione di modelli standard
offerti da lla societ ai q uali p a ragonare singoli tra tti i s olati ( per e s., la
generosit) o manifestazioni molari (per es., l'adattamento al gruppo), e
quindi richiedono la costruzione di particolari scale di valore non metriche. La convenzionalit di tali scale facilmente provabile; si pensi ad es.,
al giudizio di m a turit in u n e same di stato, quale poteva essere l'esame
di abilitazione magistrale o di licenza liceale sino a qualche anno fa; esso
richiedeva, sia da parte dei commissari che da parte dei candidati, l'accett azione di un m odello standard comportamentale oggi ritenuto del t u t t o
inadeguato e non valido per la determinazione della maturit. Si potrebbe
anche dire che non essendo stata provata l'esistenza di una correlazione
positiva tra i l m o dello comportamentale standard tradizionale e la effettiva maturit dei candidati, questo sia risultato inutilizzabile. In ogni caso
le valutazioni non possono prescindere dai modelli standard; la scoperta
della convenzionalit pu tuttavia servire a rendere meno rigido il giudizio,
d) RAPPQRTI.

Si intendono sotto questo titolo:


le interviste, l ibere, e cio senza alcuna guida, dirette ad un a pproccio generico con l'intento precipuo di costruire una prima ipotesi o di
farsi una idea generale della situazione che si vuole esaminare;
semi-strutturate o semi-guidate, che si basano sia su alcune domande fisse, alle quali si richiedono risposte specifiche, sia su un rapporto libero
destinato ad ampliare l'orizzonte delle conoscenze;

21 strutturate o a schema fisso, costruite, cio, su uno schema che


comprende un numero fisso di domnde su argomenti che si precedentemente deciso di esplorare.
I tr e t i p i d i i n t e rviste l i b era, semi-strutturata e st rutturata possono anche costituire tr e m o menti successivi di u n ' u nica ricerca, la
quale pu condurre alla costruzione di questionari, e cio alla costruzione
di una serie di domande ben concatenate e strutturate in modo da affrontare tutti gli aspetti del problema che interessa. Vi sono due tipi di q u estionari:
quelli che concernono opinioni,
quelli che concernono fatti conosciuti.
La diffidenza verso i questionari dovuta in gran parte alla confusione tra materie di opinione e materie di fatti. La seriet e la precisione
d ei questionari dipendono dal modo in cui sono costruiti e dal modo i n
cui vengono applicati.
Gli in v e ntari s o no n o r malmente tenuti d i s tinti d a i q u e stionari i n
quanto hanno la p articolarit di m e t tere l ' individuo che r i sponde nelle
condizioni di doversi interrogare e di riflettere sulle proprie abitudini e sui
propri interessi.
G li inventari interrogano su questioni di f a tto e su questioni di at titudini sia direttamente per esempio chiedendo particolari notizie sullo stato di salute o sulle malattie sofferte nell'infanzia o sull'abitudine del
sonno si a i n d irettamente
p er es e m pio chiedendo se si p r eferisca
trascorrere una serata libera in certe occupazioni .invece che in altre e
possono avere intenti di diagnosi psico-patologiche o di ricerca di interessi
di attitudini o di a t teggiamenti.

4.

- LE TECNICHE IN RAPPORTO A LLA ET DEI SOGGETTI.

Accanto alla descrizione delle diverse tecniche si trova, nei manuali


di Psicologia dell'et evolutiva, la loro r i partizione d'uso in r apporto ai
livelli d'et. , i n f atti, abbastanza ovvio che non si p ossa far ricorso a
questionari o a i n t erviste con soggetti che non abbiano ancora raggiunto
un livello d i s colarizzazione o d i p a dronanza della lingua che consenta
loro di essere a proprio agio con tali strumenti.
Tuttavia spesso questa precisazione, di per s assai evidente, viene
scambiata per una pseudo-distinzione tra situazioni nelle quali le misurazioni dirette siano le uniche possibili e situazioni nelle quali siano invece
utilizzabili anche misurazioni indirette, sottintendendo con ci che la scelta
tra i due tipi di misurazione sia una questione di impossibilit tecnica oggettiva e non coinvolga invece pi sostanziali questioni di p r incipio.

22 Con i b e b, esperienze, misure dirette e osservazioni costituiscono la fonte principale dei dati. L e m i sure indirette sono poco
p raticate; a c ausa della mancanza di s t r u tturazione dei sistemi d i
risposta e a causa dell'assenza di linguaggio, numerose funzioni, comprese sensazioni e percezioni, sono difficili d a studiare.

1Anderson, 1952, pag. 611


L'autore ha ragione quando dice che il linguaggio facilita lo studio di
determinate funzioni perch offre un ulteriore elemento di osservazione e
di controllo, ma evidentemente cade in un equivoco quando ritenga che
senza linguaggio tali funzioni non siano studiabili, o lo siano malamente e
che, per conseguenza, in assenza di linguaggio le uniche misurazioni sicure
siano quelle dirette. E l ' e quivoco rivela un'antica forma d i p r egiudizio
psicologico secondo il quale la conferma verbale da parte del soggetto costituisce l'unico vero controllo alle ipotesi dello sperimentatore. L'affermazione sarebbe ancora accettabile se essa significasse che allo stato attuale la
scienza psicologica non sempre in grado di sfruttare il metodo indiretto,
specie in assenza di linguaggio. Altrimenti bisognerebbe arrivare alla conclusione che una simile affermazione non tenga conto che in psicologia le
u n i c h e m i s u r e p o s s i b i l i s o n o sempr e q u e l l e i n d i r e t t e, e ci perch anche quando si raccolgono dati in maniera diretta la
loro utilizzazione psicologica sempre indiretta. Il che del resto di tutte
le scienze fisiche e naturali. Si pensi all'uso dei manometri e dei termometri
in fisica e chimica: le misure che questi strumenti offrono sono sempre in
fuiizione di altro, e cio servono per ricavare altre informazioni (il punto di
fusione o il pericolo di esplosione) dato che a nulla servirebbe controllare il
grado termico di un corpo se ci non potesse indirettamente informare su
qualche altro processo non direttamente osservabile, Anche il pediatra si
serve di misure dirette in maniera indiretta, come quando ricorre al termometro, o, ad esempio, quando attraverso la estensione semilaterale nel riflesso di Moro pu diagnosticare la esistenza di una lesione articolare.
In psicologia non stato solo Spitz a dimostrare la possibilit di utilizzare un'osservazione diretta, come la comparsa del sorriso in un bambin o di tr e mesi, per l a r i l evazione, in vi a i n diretta di u n a l tr o f a t to : l a
e sistenza di un a pi o m e n o adeguata relazione madre-bambino. Ci
stato possibile dal momento in cui si fatto ricorso al completamento tra
metodo comportamentale e metodo inferenziale,
Risulta quindi evidente che la distinzione delle tecniche di ricerca in
rapporto all'et ha la sua ragion d'essere non nella presunta possibilit o
impossibilit di misurazioni dirette o indirette ma nella esistenza di ostacoli
che impediscono l'utilizzazione di talune metodiche. cosi possibile indicare in due grandi avvenimenti le due linee che consentono la ripartizione
delle tecniche psicologiche in tre periodi,

I due avvenimenti sono: la nascita e la scolarizzazione {con il conseguente acquisto di una strumentazione culturale che, come si vedr, permette l'uso di t ecniche particolari ). I t r e p eriodi che i d u e avvenimenti
delineano sono:
a) i1 periodo prenatale

NASCITA
b) il p eriodo prescolare

SCUOLA
c) il p eriodo scolare e l'adolescenza.
a) Le ricerche nel periodo prenatale.
Sembra evidente che per tutto i l p e riodo prenatale non siano possibili ricerche sperimentali, dirette o i ndirette, su feti umani. Le conoscenze del periodo prenatale derivano in massima parte dalla psicologia comparata e si affidano a tecniche di laboratorio su feti animali. Le esperienze
s u feti umani sono infatti assai limitate od occasionali per ovvi m o t i vi .
Non certo possibile, infatti, provocare malattie o causare traumi (variabili indipendenti) su d onne gravide al solo scopo di s tudiare il c omportamento del f eto o l e c o nseguenze sul futuro bambino (v ariahili d ip endenti). per possibile osservare clinicamente il comportamento del feto
in donne gi affette da talune malattie o fare osservazioni su parti prematuri e su aborti, inoltre possibile ricostruire il rapporto tra malattia materna (o trauma) e comportamento del bambino quando si sia i n c ondizione di condurre anamnesi accurate.
Tuttavia la irnpossibilit di misurazioni e sperimentazioni su feti umani
non deriva, come stato detto, da una presunta difftcolt per le misurazioni indirette ( o f a cilit per l e m i surazioni dirette), ma d a i m p erativi
di carattere morale; di fatto niente impedirebbe di creare situazioni sperimentali stimolanti poich le tecniche in possesso della psicologia possono
benissimo essere trasportate dal mondo animale a quello umano: il t acito
impedimento morale e l ' espresso divieto giuridico lo i m pediscono.
b) Le ricerche nel periodo prescolare. Gli studi su neonati e bambini
della prima infanzia sono agevolati dal f a tto che f acile trovare questi
bambini negli asili n id o o n e i g i ardini d ' i nfanzia in n u mero sufftciente
per le ricerche. La loro disponibilit temporale e la disponibilit dei dirigenti degli asili specie nei paesi anglosassoni e in Francia assai sensibili
ai problemi della indagine psicologica hanno reso possibile la raccolta di
numerosissimi dati, molti dei quali attendono ancora una sistemazione ipotetica. Le tecniche pi p r ogredite, come quelle di G esell i n U . S .A., di

Spitz a New York o d i P i aget a Ginevra, si valgono di registrazioni cinematogra6che e incisioni su nastro anche 24 ore su 24, o ricorrono alla elaborazione di ingegnose tecniche sperimentali, adatte alla comprensione dei
bambini di quelle et.
tuttavia doveroso fare due osservazioni. In q uesto tipo di r i cerca
si fa talvolta poco ricorso alla campionatura dei soggetti ed al metodo del
gruppo di controllo e si h a i nvece la tendenza ad assumere un qualsiasi
gruppo di bambini, a volte anche esiguo, come direttamente rappresentativo dell'intero mondo. In secondo luogo accade che quadri di riferimento
di fanciulli pi a dulti v engano utilizzati per l a i n t erpretazione dei comportamenti di b ambini molto p iccoli, e persino di neonati, andando con
ci contro alp r i n c i p i o d i p a r s i m o n i a , i n t r odotto da Ch. L. Morgan per la psicologia comparata ma estensibile alla psicologia evolutiva e
genetica, secondo il quale pi corretto interpretare i comportamenti dei
livelli superiori con riferimento ai livelli inferiori piuttosto che il contrario,
e ci anche per non dare per provato ci che ancora da provare.
In questa fase si fa spesso ricorso alla costruzione di ingegnose situaz ioni ambientali, quali camere dotate di p a r ticolari materiali, ove si l asciano i soggetti agire liberamente, studiandone e registrandone i comportamenti. Cominciano anche a poter essere utilizzate alcune tecniche proiettive, quali il C . A .T., le f avole della Duss, il test del V i l laggio della Arthus, o la raccolta dei disegni spontanei.
c) Le ricerche nel periodo scolare e della adolescenza. Con i fanciulli
scolarizzati i t est carta-matita sono normalmente utilizzati in sostituzione
delle situazioni ambientali stimolanti utilizzate nei periodi precedenti.
Nella adolescenza di prammatica l'uso dei questionari, delle interviste,
delle batterie di t est. L 'uso di si mili s t rumenti, standardizzati e validati
dalla esperienza, agevola di molto il controllo delle variabili e consente un
notevole risparmio di tempo. E ci assai importante, principalmente perch il t empo a d i sposizione per l e osservazioni libere diminuisce, come
diminuisce la possibilit di studiare il comportamento spontaneo. Infatti,
se la collaborazione con questi soggetti , d i n o r ma, maggiore, se essi

appaiono pi stabili, pi tranquilli, pi facilmente motivabili dei bambini


piccoli, sono anche assai pi c o n s a p e v o l i e c o n t r o l l a t i . E
ci aumenta in loro la tendenza a mascherarsi , ad apparire diversi da
quello che sono, e persino ad ingannare inconsciamente se stessi. Esistono,
a questo scopo, speciali test a c hiave che consentono di cogliere, con
un buon margine di approssimazione, le risposte truccate, infedeli o non
attendibili. Lewin e i s uo i collaboratori hanno mostrato la possibilit di
costruire situazioni sociali sperimentali di notevole interesse che consentono lo studio degli atteggiamenti e delle dinamiche personali. Moreno ha
indicato la strada e fornito gli strumenti per le misurazioni sociometriche,

25 le quali consentono di misurare e valutare la posizione di un fanciullo in un


gruppo, il r u olo che vi r i copre, il g r adimento che riceve dal gruppo, la
s ua capacit di espansione sia sociale che emotiva, le i nterrelazioni e l a
struttura del gruppo, ecc.

5.

- IL

I vIETODO CLINICO DI J. PIAGET

J. Piaget ha lungamente utilizzato un metodo particolare, da lui chiamato c l i n i c o , che c o n siste nel porre ai f anciulli domande che non
esulino dal loro stesso mondo e nel registrare i t entativi che essi fanno
per rispondere risolvendo problemi ai quali ancora non avevano pensato.
Una delle pi gravi difficolt nello studio dei bambini, osserva Piaget,
consiste nel distinguere quel che dicono o fanno per gioco da ci in cui credono, l'osservazione pura impotente a distinguere la credenza dalla fabulazione. E d'altra parte il metodo sperimentale puro rischia di irrigidire
il rapporto, con le sue esigenze di controlli e di standardizzazione.

Ma il clinico pu: 1) parlare con il malato seguendolo anche


nelle risposte, cosi da non p erdere nessuna idea delirante; 2) c ondurlo dolcemente verso le zone critiche (la sua nascita, razza, fortuna, titoli militari, politici, talento, vita mistica etc. ) senza sapere dove
affiorer l'idea delirante, ma m antenendo costantemente la conversazione su un terreno fecondo. L'esame clinico partecipa cosi all'esperimento, nel senso che il c l i nico si p one problemi, formula ipotesi,
varia le condizioni, e infine controlla ogni i potesi in b ase alle reazioni provocate dalla conversazione. Ma l'esame clinico partecipa anc he all'osservazione diretta, nel senso che i l b u o n c l i nico, pur d i rigendo, si lascia dirigere, e tien conto di t u tt o i l c o ntesto mentale,
invece di cader vit tima di e r r or i sistematici come spesso accade
allo sperimentatore puro.
Poich il m e todo clinico ha reso grandi servizi i n u n a z ona
in cui altrimenti tutto sarebbe disordine e confusione, lo studio della
psicologia infantile farebbe molto male a privarsene. Non esiste, infatti, a pr io ri, un a r agione per non i n terrogare i f a nciulli s ui p u n ti
dove l'osservazione pura lascia incompiuta Ia ricerca. Tutto ci che
si detto sulla mitomania e sulla suggestionabilit del fanciullo, nonch sugli errori che esse implicano, non pu impedire allo psicologo
di interrogare il f anciullo, salvo appunto a definire esattamente, attraverso l'esame clinico, quanta parte delle risposte ottenute dipenda
dalla suggestione o dalla fabulazione.

(J. Piaget, 1970, pag. 10)


Naturalmente porre ai bambini domande che possono far nascere prob lemi ai quali essi ancora non hanno pensato, pu giocare un ruolo i n ducente e quindi alterante.

Piaget elenca cinque tipi di r eazioni osservabili all'esame clinico, ma


afBda all'abilit dell'osservatore e alla sua pratica del mondo infantile la
capacit di discriminarle e di i n terpretarle.
Questo metodo ut i lizzato da Piaget sin dal 1 923 ed t r amite il
metodo clinico che egli h a p o tuto r accogliere quella grande quantit di
notizie sulle quali costruire le teorie oggi universalmente accettate. Tuttavia il metodo clinico non stato, e non tuttora, esente da critiche, e fra
l e altre particolarmente insistente quella di costringere il fanciullo a di re
ci che lo sperimentatore desidera, per quel particolare meccanismo di adattamento che spinge il f anciullo a tentare di indovinare la risposta che ci
si attende da lui. Piaget ha sempre ribattuto che il suo m etodo non altera la situazione reale nella quale il bimbo vive, ma tende invece a coglierne gli aspetti strutturanti.

6.

- IL METQDo TRAsvER sALE E IL M E T oD Q LQNGITUDINALE

Tutte queste tecniche possono essere utilizzate sia t r a s v e r s a lmen t e si a l o n g i i t u d i n a l m e n t e . P e r I n etodo longitudinale s'intende la utilizzazione di determinate tecniche (non importa quali, pu trattarsi anche di semplici osservazioni sistematiche) lungo un arco di t empo
di alcuni anni su un o stesso gruppo di soggetti. Cosr ad esempio se si
vuole studiare lo sviluppo del grafismo a partire dalla seconda infanzia, si
s ceglie un gruppo di b ambini e se ne osservano i disegni dall'et di t r e
anni all'et, poniamo, di dieci o di dodici anni. I d isegni cosi raccolti vengono quindi confrontati, esaminati, analizzati sino a trarre conclusioni che
soddisfano.
Tuttavia tale metodo pu spesso risultare di difiIcile utilizzazione, sia
perch si protrae nel tempo quando invece necessario arrivare subito a
dei risultati, sia perch nell'arco di 10 o sette anni o quanti ne siano previsti, il g r uppo pu assottigliarsi, i soggetti disperdersi, mutare sede etc.
Pu pertanto essere pi comodo ricorrere al metodo trasversale: con questo metodo lo studio della evoluzione del graftsmo dai tre ai dodici anni
lo si fa costituendo non pi un gruppo da seguire per nove anni, ma nove

gruppi, ognuno per ogni anno d'et, da seguire, poniamo, per un anno,
Cosi, ad esempio, si avr un gruppo di 30 bambini con et che va da tre anni a tre anni e 11 mesi, un secondo gruppo di bambini con et da quattro
anni a quattro anni e 11 mesi, un terzo con et da cinque anni a cinque
e 11 mesi, e cosi via. Poich ciascun gruppo statc costituito per campionatura, e cio in modo da poterlo considerare rappresentativo dell'intero
mondo dei bambini di quella et, i risultati che si otterranno non avranno
un valore molto differente da quelli che si sarebbero avuti con il m etodo
longitudinale. Inoltre si saranno eliminati molti degli inconvenienti derivanti dal lungo tempo di osservazione.

27 Un nuovo metodo, longitudinale a corto tempo lanche detto longitudinale accelerato) stato proposto da Bell nel 1 9 53 : e sso combina i
vantaggi del metodo longitudinale con quelli del metodo trasversale, Poniamo si debba studiare un qualche comportamento per un periodo di et
dal quinto al nono anno: u t i lizzando il m etodo longitudinale occorrerebbero sei anni. Il metodo suggerito da Bell consiste nel costituire due grupp i di soggetti, uno che viene seguito e valutato ogni anno, a 5, a 6 e a 7
anni, e l'altro, a 7, a 8 e a 9 anni. I n q uesto modo il tempo della ricerca
si riduce a tre anni. Il f a tto che i due gruppi vengano esaminati entrambi
una volta alla stessa et l7 anni nel nostro caso) consente la saldatura tra

i due gruppi.

II. - LA COSTRUZIONE DELLE TEORIE

La moderna metodologia psicologica ha consentito di raccogliere una


enorme quantit di dati e di notizie sulla et evolutiva: conseguentemente
disponibile oggi una i ncredibilmente alta mole d i d at i r i guardanti gli
aspetti fisici, fisiologici, neurologici, intellettuali, emotivi, sociali, etc. dalla
nascita sino alla maturit. In m odo particolare la prima e l a seconda infanzia, perch di pi facile accesso, sono state studiate, registrate, osservate
e si pu dire che quasi nulla pi si possa scoprire di ci che accade nei
primi anni d i v i t a . Sfortunatamente tutti q uesti dati, che descrivono in
maniera esauriente i comportamenti pi v ari che appaiono durante l'et
evolutiva, si limitano, appunto, a descrivere senza spiegare.
ben possibile predire il successo o l'insuccesso scolare di un soggetto
poich provato che vi una correlazione diretta tra livello di intelligenza
e successo negli s tudi; s t ato p ossibile t r ovare correlazioni statisticamente inoppugnabili tra certi comportamenti (per esempio delinquenziali)
e cure materne o assenza di esse; molto stato detto, scritto e p r ovato
sull'influenza dell'ambiente nel comportamento infantile e adulto.
Tuttavia le osservazioni, le descrizioni, le correlazioni statistiche, le
quantificazioni, le analisi fattoriali, che sono momenti necessari della ricerca
scientifica, purtroppo, di per s stesse, non spiegano niente. Non sufficiente conoscere la correlazione tra intelligenza e successo scolastico per
affermare di aver capito il problema: in realt se l'applicazione di certe tecniche per la rilevazione del Q.I. del soggetto che va male a scuola e per
l'eventuale accertamento del basso livello intellettuale di questo rappresenta un passo avanti verso il possesso di una metodica pi raffinata di quella
che l'insegnante ha a disposizione per verificare la sua ipotesi o il suo sospetto di scarsa intelligenza nei confronti di quell'alunno che tardo nell'imparare, essa per non serve a spiegare che cosa realmente avviene o non

30 avviene nei processi mentali di quel soggetto, e che cosa gli impedisce un
apprendimento normale del francese o della matematica.
Possiamo abbondantemente provare, prevedere persino, quale sar il
comportamento sociale di un fanciullo o di un bambino il cui rapporto affettivo con la madre sia inadeguato: nella maggior parte dei casi le nostre
previsioni, disgraziatamente, saranno avvalorate dai fatti . M a q u esto non
spiega affatto perch la deprivazione affettiva porti quel ragazzo a quel certo comportamento. Noi possiamo dire che quel ragazzo cosi per colpa
del padre o della madre, o perch cresciuto in orfanotrofio, e possiamo
citare statistiche, dati e correlazioni che dimostrano come nell'x% d i c asi
simili a q uesto si ar riva a s i tuazioni comportamentali dello stesso tipo,
ma rimaniamo sempre nel campo delle constatazioni, sia pure precise e
documentate.
T utto ci indubbiamente molto importante, specie dal punto di v i sta pratico: queste conoscenze si sono dimostrate di una enorme utilit sia
nel campo pedagogico che in quello sociale. Tuttavia non possiamo onestamente dire che con ci noi abbiamo veramente spiegato le ragioni di t a li
fenomeni.
Ed per q uesto che la p sicologia dell'et evolutiva, assai ricca in
informazioni ed in dati, in realt ancora relativamente sprovvista di vere
spiegazioni.
Il progresso nella psicologia dell'et evolutiva del resto intimamente
legato al progresso nelle altre branche della psicologia. Ci che realmente
tuttora in parte carente la costruzione di teorie ipotetico-deduttive che
consentano la spiegazione del maggior numero possibile di f enomeni.
1. - L A S P I E GAZIONE SCIENTIFI CA
Spiegare un fenomeno non significa trovare soltanto empiricamente un
legame causale tra il fatto A e i l f a tt o B : l a scoperta di un tale rapporto
non d una spiegazione del fatto B, semplicemente ne descrive il meccanismo. Una spiegazione tale scienti ficamente se, costruita in maniera ipotetica (inferenziaie), pu dedursi matematicamente da un m odello probabilistico, ed in questo senso che operano la concettualizzazione e la costruzione matematica.
I metodi scientifici assolvono interamente i loro compiti quando:
a) stabiliscono delle leggi, e cio le descrivono;
b) sono in grado di dedurle matematicamente, e cio le spiegano.
Le leggi si stabiliscono e si descrivono generalizzando esperimenti od
osservazioni. Le generalizzazioni empiriche descrivono la regolarit che
possibile osservare in natura. La legge di Boyle sui gas A temperatura costante una data quantit di gas occupa un volume inversamente propor-

31 z ionale alla pressione che su di esso viene esercitata (PV =


k ) ( 1 659)
un bell'esempio di generalizzazione empirica che descrive relazioni permanenti tra eventi osservabili. Le leggi di M endel sulla meccanica genica
(che avremo modo di studiare pi avanti) sono altro esempio di generalizzazione empirica, cosi come lo sono le leggi di Ebbinghaus sulla memoria etc.
Le generalizzazioni empiriche costituiscono il p r im o p asso verso la
scienza: esse consentono di rispondere alla domanda come e che cosa. Tuttavia non permettono di rispondere alla domanda perch. Spiegare scientificamente i f e n omeni significa invece rispondere proprio a ll a d omanda
perch questi avvengono?.
Boyle, Mendel, Ebbinghaus, conoscevano bene i fenomeni che studiavano, ma non sapevano perch accadessero.
Una semplice descrizione una conoscenza incompleta: necessario
spiegare costruendo ipotesi per inferenza. La generalizzazione empirica concerne solamente i fatti osservabili,' ma la scienza deve sapere andare oltre
i dati osservabili, sviluppare inferenze circa gli inosservabili, scoprire connessioni e relazioni. Tali inferenze, tali i p o t e s i p e r mettono di mettere in r apporto eventi presenti con eventi passati e f u t u ri . Sar tramite
la concettualizzazione di risultati empirici che diverr possibile la costruzione di modelli probabilistici, e quindi, da questi, la deduzione logico-matematica, o spiegazione dei fenomeni.
Si consideri il procedimento seguito da Pavlov per la costruzione della
sua t e o r i a dei riflessi condizionanti:
1) il cane ha una reazione salivare quando suona la campana, dopo
che il suono della campana e l'odore della carne hanno coinciso per un
dato tempo;
2) tutti i cani hanno reazioni salivari in condizioni simili;
3) i cani hanno reazioni salivari al suono della campana per un
processo di associazione tra carne e campana;
4) i c ani h a nno r eazioni salivari a l s u ono d ella c ampana ogni
volta che stata provocata una riduzione.
La prima proposizione la descrizione di un singolo caso; la seconda
proposizione una generalizzazione empirica: entrambe possono venir controllate empiricamente o sperimentalmente, La terza e la quarta proposizione non sono delle conclusioni empiriche, ma delle i p o t e s i c ostruite
inferenzialmente, e cio dei modelli probabilistici dai quali possibile dedurre logicamente la prima e la seconda proposizione. Sul nesso intrinseco
tra le quattro proposizioni e sulla loro non contraddizione si basa la teoria
pavloviana dei riflessi condizionati.
La distinzione fondamentale tra le proposizioni 1 e 2, che conducono
alla formulazione della Legge, e le proposizioni 3 e 4 , ch e f o rniscono i

32 modelli interpretativi, che le prime si riferiscono sempre a fatti osservabili, le seconde a fatti inosservabili.
Le affermazioni sugli osservabili e le generalizzazioni empiriche sono
sempre vere o false e possono venir convalidate attraverso il controllo della
osservazione e della sperimentazione. Le costruzioni teoriche non sono mai
n vere n false, ma utili o i n u t i li . Una teoria utile quando conduce a
scoprire nuovi fatti, spiega e predice nuovi fatti pi che ogni altra teoria
precedente, In questo senso la teoria galileiana dell'eliocentrismo era migliore di quella geocentrica, perch permetteva la spiegazione di un m agg ior numero di f e nomeni. Entrambe appaiono oggi superate e non p i
utili, e in questo senso, ma solo in questo senso, entrambe false.
La psicologia, e la psicologia dell'et evolutiva, hanno oggi a disposizione un gran numero di dati, molte controllabili generalizzazioni empiriche, o leggi, create sui fatti con tecniche raffinate e correttissime, ma assai
poche teorie che consentano vere e proprie spiegazioni. Da questo punto
di vista l'attuale situazione della psicologia comparabile alla situazione
delle scienze fisiche nel XVI I secolo: gli scienziati di quell'epoca conoscevano le combinazioni chimiche che producevano sostanze le quali differivano tra loro per le componenti di colore, di peso, di tessitura e di odore,
ma non sapevano spiegare come ci avvenisse, la teoria delle valenze e dei
rapporti interatomici di f orze non essendo ancora sufficientemente sviluppata. Analogamente in p sicologia dell'et evolutiva oggi a gran copia di
notizie e di i n f o rmazioni non corrisponde un uguale sviluppo di t e orie
che le spieghino.
2. - LE TEORIE
Per quanto non esistano teorie che spieghino in m aniera sufficiente
tutti i f e nomeni, e cio non esistano teorie generali onnicomprensive di
ogni tipo di f enomeno psicologico che si presenti durante l'et evolutiva,
esistono alcune teorie parziali, limitate ad alcuni campi o settori di r i cerche, le quali assolvono, tuttora con sufficiente utilit, i l l o r o c o mpito.
Queste teorie sono fertili per le ricerche che provocano e per i tentativi di
allargamento delle stesse al maggior numero possibile di al tr i f e nomeni,
passati o futuri.
Le teorie di maggior utilizzazione nella interpretazione dei fenomeni
psicologici evolutivi sono:
a) La teoria psicoanalitica, che ha avuto inizio con l'opera monumentale di Freud e che si occupata soprattutto dello sviluppo della personalit e, pi specificatamente, di problemi emozionali e di neurosi. I concetti
e le ipotesi della psicoanalisi sono derivati, in larga misura, da esperienze
cliniche con adulti. L'attivit terapeutica degli psicoanalisti si spesso ur-

tata con tremendi c o m p l e s s i e g r o v i gli creatisi durante l'infanzia


dei loro pazienti e che hanno condizionato il successivo sviluppo della personalit. Investigando presso i genitori dei pazienti gli psicoanalisti hanno
finito per costruire alcune ipotesi di fondo circa gli effetti delle esperienze
infantili nello sviluppo della personalit.
La teoria freudiana fa appunto derivare la costruzione della personalit dalla interazione fra tre strutture, l'Id, l'Ego e il Super-Ego, rappres entanti, rispettivamente, il principio degli impulsi e degli istinti, il p r i ncipio della realt e il p r i ncipio del condizionamento socio-culturale..
In Psicologia dell'Et Evolutiva particolare attenzione ha ricevuto per
esempio il concetto di Super-Ego.
Il lungo periodo dell'infanzia durante il q uale il c rescente essere umano vive in dipendenza dei suoi genitori, si lascia dietro, quasi
un precipitato, la formazione nell'io di un particolare agente nel quale
si prolunga l'influenza dei genitori. Esso riceve il n o m e d i s u perego. Da subito i l s uper-ego si differenzia dall'ego o v i s i o p p one e
costituisce un terzo potere di cui l ' ego dovr tener conto.
L'azione dell'ego come dovrebbe essere se riesce a soddisfare
simultaneamente le domande dell'id, del super-ego e della realt
cio se abile nel conciliare le loro domandi l ' una con l'altra.
L'influenza dei genitori, i n b r eve, include nelle sue operazioni
non solamente la personalit degli attuali genitori, m a anche dalla
famiglia, con e attraverso le tradizioni nazionali e razziali, come anche le richieste dello immediato ~i l ieu sociale che rappresentano. In
o gni modo i l s u per-ego nel corso dello sviluppo dell'individuo, r i ceve contributi dai pi recenti successori e sostituti dei genitori, quali
i maestri o i m o d elli i deali ammirati nella vita pubblica.
Vorrei osservare che, fra t u tte l e l or o f o ndamentali differenze,
l'id e il super-ego hanno una cosa in comune: entrambi rappresenta-

no l'influenza del passato l'id l'influenza dell'eredit, il super-ego


l'influenza, essenzialmente, di ci che viene assunto dalla gente che
lo circonda mentre l'ego principalmente determinato dalle proprie individuali esperienze, e cio dai contemporanei ed accidentali
avvenimenti .

(S. Freud, 1964 a, vol. 23, pp. 146-147)


Per quanto un vero accordo tra psicologia del profondo e psicologia
non si sia avuto se non da una trentina d'anni, le t eorie psicoanalitiche
hanno contribuito notevolmente al progresso della psicologia infantile.
b) Le teorie dell'apprendimento, o teorie del comportamento appreso
hanno avuto una enorme influenza nella comprensione dei fenomeni psicologici infar tili: il c omportamento che maggiormente conduce a caratterizzare un uomo come essere razionale o come un membro di un a parti-

34 colare nazione o di una classe sociale appreso piuttosto che innato, cosi

scrivono Dollard e Miller.


U na definizione di apprendimento pu essere quella che danno Hil gard e Bower:
L'apprendimento il processo con cui si origina o si modifica
un'attivit reagendo ad u n a , situazione incontrata,
ammesso che le
caratteristiche del cambiamento della attivit non possono essere spiegate sulla base di tendenze a rispondere innate, di maturazione o di
stati temporanei dell'organismo (ad es.: f a t ica, droghe,
etc.).

(Hilgard e Bower, 1970, pag. 66)


Per quanto insoddisfacente e piena di t ermim v aghi, questa defiinizione permette a bbastanza bene l a d i stinzione t r a comportamento
appreso e comportamento iiivato, non t r ascurando neppure di m ettere sull'avviso nei confronti di quelle modificazioni comportamentali temporanee
che non possono considerarsi n apprese n innate.
tuttavia inesatto parlare di t eoria dell'apprendimento sic et s im pliciter quando si dovrebbe parlare di te orie dell'apprendimento in r e lazione alle differenti correnti psicologiche, poich ben diverse sono le costruzioni teoriche di Hebb e di Thorndike sull'apprendimento, come anche
differiscono tra loro e con le altre quelle della Gestaltpsychologie e di Pavlov. Persino entro i confini del Behaviorismo la teoria di Watson e Thorn-

dike si distanziano da quelle di Tolman, o di Hull o di Skinner.


Una teoria particolare quella detta T eoria dell'apprendimento sociale (Social-Learning Theory) che ha trovato i m aggiori contributi nei
lavori che Bandura e Walters hanno prodotto negli anni sessanta. Si tratta
di un t entativo, ancora imperfetto, di t r asferire alcuni principi f reudiani
nei termini della teoria Stimolo-Risposta (S-R). In questi termini, ad esemp io, vengono interpretati problemi l egati alla d ipendenza infantile e a l
rapporto dipendenza-ansiet.
La combinazione tra u n a m pio sistema di a b itudini e l a s i multanea esistenza dell'ansia nel m edesimo comportamento appare
in diverse occasioni nella teoria dell'apprendimento sociale, Qualcuno suppone che l'effetto sia accresciuto dalla spinta come pure dalla
comparsa di modelli comportamentali in f orma mutata. La dipendenza vista come la base di t u tt a l a i n i ziale socializzazione, del graduale addomesticamento della aggressivit in una f orma socialmente
accettabile, della comparsa di diversi modelli comportamentali adulti
rinforzati t r amite l a p a ura e l a p u n izione, e della comparsa della
identificazione e della coscienza.

(L. A. Baldwin, 1968, pag. 473)

L'apprendimento rappresenta veramente uno dei campi classici della


psicologia: tuttavia impossibile ignorare il ruolo critico che spetta all'apprendimento nello sviluppo dei primi anni di v it a sia per quanto riguarda
l'acquisizione di abitudini comportamentali sia per quanto riguarda la relazione tra lo stato di abbandono (o deprivazione affettiva) e il comportamento perturbato che non pu che considerarsi appreso.
Tutto ci n o n s i gnifica che l e t e orie d ell' apprendimento possano
spiegare tutto nella psicologia dell'et evolutiva e nemmeno tutto il c omportamento appreso: scoperte dovute a recenti ricerche soprattutto sul
comportamento imitativo, sullo sviluppo del linguaggio e sui processi del
pensiero e del r agionamento
sfidano qualunque comprensione-spiegazione nei termini di t eorie dell'apprendimento. Ma in complesso una gran
parte dei comportamenti evolutivi possono benissimo venir spiegati secondo i principi delle teorie dell'apprendimento.
c) La teoria cognitiua dovuta alle eleganti e stimolanti ricerche di
un originale scienziato svizzero, Jean Piaget, cke ha dedicato tutta la sua
vita allo studio dei problemi riguardanti lo sviluppo e l a s t rutturazione
mentale secondo una prospettiva genetica. Nelia teoria di P i aget l'attiva
partecipazione del bambino al suo ambiene e la sua innata tendenza all'adattamento sono ritenute fondamentali sia per lo sviluppo corretto del
pensiero sia per l a c orretta strutturazione della persona. Sono le stesse
risorse del fanciullo che, generando meccanismi particolari, determinano
il comportamento adattivo.
i n t e r mini d i e q uilibrio, quindi, che cercheremo di descrivere l'evoluzione del bambino e d e ll'adolescente. Da questo punto
di vista lo sviluppo mentale una costruzione continua, paragonabile a quella di u n v a sto edificio che ad ogni aggiunta divenga pi
solido, o p i u t tosto alla messa a punto d i u n d e l icato meccanismo,
le cui fasi graduali di m o ntaggio portino ad una elasticit e m obilit degli elementi tanto maggiore, quanto pi stabile divenga il loro
equilibrio. A questo punto dobbiamo per introdurre una importante
distinzione fra due aspetti complementari di q uesto processo di costituzione dell'equilibrio: opportuno scindere.sin dall'inizio le strutture variabili, che definiscono le f o rme o s t ati successivi dell'equilibrio, ed un certo funzionamento costante, che permette il passaggio
da uno stato qualsiasi al livello successivo. Le strutture variabili saranno dunque le f o rme di o r ganizzazione dell'attivit mentale, considerata nel suo duplice aspetto motorio e i n t ellettuale da un l a t o,
e affettivo dall'altro, e nelle sue dimensioni individuale e sociale (int erindividuale). Per maggior chiarezza distingueremo sei stadi o p e riodi di sviluppo che indicano la apparizione di queste strutture costruite in successione. Prima di esaminare in modo particolareggiato
lo sviluppo, occorre precisare la forma generale dei bisogni e degli

36 interessi comuni a t u t t e l e e t. Possiamo dire, a questo proposito,


che ogni bisogno tende 1) a incorporare le cose e le persone all'attivit propria del soggetto, quindi ad as similare il m o n do e sterno
alle strutture gi costruite, e 2) a riadattare queste in funzione delle
trasformazioni subite, q u indi a d ae comodarle agli oggetti e sterni.
Cosh, assimilando gli o ggetti, l ' azione ed i l p e nsiero sono costretti
ad aggiustarsi ad essi, cio a ridimensionarsi in seguito ad ogni variazione esterna. Possiamo chiamare adattamento l'equilibrio di a ssimilazione ed accomodamento: questa l a f o rm a generale dell'equilibrio psichico; l o s v i l uppo m entale consisterebbe quindi n ella sua
progressiva organizzazione, in un adattamento sempre pi preciso alla realt.

(J. Piaget, 1967, pp. 12-16)


d) La teoria psico-dinamica di K. Le ioin. I m o l teplici tentativi di costruire una teoria psicologica non causale, che avevano trovato, ad esempio,
in Mc Dougall e i n T o l m an, v alidi a ntesignani, a ndarono a b uon fi n e
quando le suggestioni del comportamentismo finalistico si fusero con il fenomenologismo gestaltico. Ci avvenne tra il 1935 e i l 1 940 ad opera di
Kurt Lewin, un ebreo tedesco rifugiatosi negli Stati Uniti e gi appartenente alla Scuola Gestaltica di Berlino. Lewin seppe accogliere e fondere
non solo le esigenze della pi avanzata psicologia sociale, ma anche le impostazioni dinamiche della psicologia del profondo, senza rinunciare alla
strutturazione gestaltica dell'intero discorso.
Egli ha saputo elaborare una geniale teoria, ben articolata, che permette la interpretazione di un gran numero di f enomeni e l a t r aduzione
dei problemi e delle situazioni in termini matematici. La psicologia topologica, come egli chiam ad un certo punto la sua teoria, infatti una applicazione di quella particolare interpretazione dello spazio fisico, che
appunto la topologia, allo spazio psicologico entro il quale l'individuo vive.
Per capire e predire il c omportamento psicologico (B), bisogna determinare per ciascun campo di eventi psicologici (azioni, emozioni, espressioni etc.) l'intera situazione presente e cio la struttura
attuale e lo stato della persona (P) e l'ambiente psicologico (E). B =

f (PE).
Ogni fatto che esiste psicologicamente deve avere una posizione
in questo campo e solamente i fatti che hanno tale posizione hanno
e ffetti dinamici (sono causa di eventi). L ' ambiente viene, in t u t t e
le sue propriet (direzioni, di stanza etc.) definito no n f i sicamente
ma psicologicamente e cio in accordo con la sua quasi-fisica, quasisociale e quasi-mentale struttura.
R possibile rappresentare la struttura dinamica della persona e
dell'ambiente per m ezzo d i c o ncetti m atematici. L a c o ordinazione

37 tra la rappresentazione matematica e il suo significato psicodinamico


sar stretta e senza eccezioni.

(Murchison C. A., 1967)


La teoria di Lewin, che egli non volle mai fosse chiamata lewiniana
per timore che questo potesse irrigidirla e r i durne la f ertilit, ebbe una
schiera di entusiastici seguaci i quali la utilizzarono variamente mostrandone
le diverse implicanze che ne derivano sia in campo sociale che in campo
pedagogico.
Ciascuna di queste quattro teorie d i cu i i n q u esta sede non si
voluto ricordare che il nome o ffr e principi utili per l a spiegazione di
taluni aspetti della vita nell'et evolutiva. Tuttavia n singolarmente, n
insieme coprono l'intero panorama dei problemi che la psicologia dell'et
evolutiva deve affrontare. Talvolta, infine, l a u nificazione delle diverse
teorie sembra impossibile e contradditoria. Da questo punto di vista, dunque, la psicologia dell'et evolutiva molto immatura.

3,

- RECENTI D I R E ZIONI D I

R I C E RCA.

Durante gli ul timi 2 5 anni gli p sicologi dell'et evolutiva sono stati
quasi costantemente occupati in ricerche riguardanti il pensiero, il ragionamento, la creativit mentale ecc. Ci che distingue queste ricerche dalle precedenti che l'oggetto fondamentale si spostato dai contenuti ai meccanismi e ai processi. Oggi non sembra pi tanto importante conoscere ci che
un bambino di una certa et sa o non sa (come riteneva Stanley Hall), ma
come sa quel che sa, in alter parole quali sono i meccanismi e i processi che
determinano l'acquisizione delle cognizioni e l a costruzione infantile dei
concetti circa il mondo, La nuova prospettiva di studio non ha potuto non
tener conto di alcune fondamentali variabili riguardanti la influenza della
classe sociale, della posizione ordinale nella costellazione familiare, e dei
rapporti genitori-fanciullo, anche per l o s v iluppo della personalit e del
comportamento.
Un particolare impulso hanno ricevuto negli ultimissimi anni le ricerche sullo sviluppo cognitivo da una causa apparentemente del tutto estranea alla psicologia. Nel 1957 la Russia otteneva, con lo Sputnik, il p r i mo
satellite con un uomo a bordo, un enorme successo. Nel mondo occidentale e specialmente in America, le ripercussioni furono enormi tanto che
l'opinione pubblica mise sotto processo non soltanto la tecnologia e il suo
stato di sviluppo, ma anche le teorie psicologiche sui problemi cognitivi.
E' possibile, veniva chiesto da pi p a r ti , che una corretta o n o n a d eguata conoscenza dello sviluppo dei processi cognitivi debba mettersi alla
base, anche, del ritardo nello sviluppo tecnologico? E' probabile che i me-

todi di studio delle nostre scuole e delle nostre universit non siano pi
adeguati alle reali possibilit della mente umana, specialmente nel periodo
deI suo sviluppo, e che da t u tto questo derivi i l n o stro scacco nei confront1 della Russia?
In breve, sia il p ubblico che i g overnanti cominciarono ad agitarsi,
a porre quesiti e a proporre programmi per lo studio delle conoscenze psicologiche in et evolutiva, e per la migliore realizzazione delle intelligenze,
anche con la eliminazione degli ostacoli che la deprivazione affettiva o sociale pu talvolta porre al reale e totale sviluppo di elementi potenziali.
Il risultato fu l'incentivo per una ripresa e un incremento delle ricerche riguardanti lo sviluppo della percezione, dell'apprendimento, del pensiero, del linguaggio, della formazione dei concetti, delle tecniche per la
soluzione dei problemi ecc. Inoltre furono sollecitate ricerche sugli effetti
delle deprivazioni sullo sviluppo dell'affettivit e d e lla conoscenza. Paragonati ai precedenti 20 anni, gli ul t imi dieci o dodici hanno consentito
un enorme passo avanti specie nel campo della teoria cognitiva. Ma anche
le ricerche sulla precoce costituzione di tratti temperamentali, sulla influen-

za dell'ambiente nello sviluppo delle capacit di equilibrio emotivo, sul


modo in cui possibile suscitare precocemente interessi e quindi attivit
di pensiero nei bambini molto piccoli hanno subito una notevole spinta
in avanti.
Tutto questo si traduceva, in pratica, sia in un incentivo dei programmi IAR D ( I n d i viduazione e assistenza ragazzi dotati) nato nel 1 961 ad
opera dei Rotary Clubs, sia in una serie di progetti e decreti tendenti ad
un migliore e pi r azionale sfruttamento, utilizzazione e coltivazione dei
cervelli sin dalla pi t enera et.
La rivalutazione della scuola materna, non pi vista come luogo d'asilo, ma come propedeutica della scuola primaria nell'intento di creare una
pi elevata base di partenza di quest'ultima, pu ancora farsi rientrare
nella stessa prospettiva, che in fondo quella di un pi r apido progresso
sociale ottenuto attraverso la precoce socializzazione.

CAPITOLO SECONDO

IL RAPPORTO TRA L'EREDIT E L'AMBIENTE

Anche il pi elementare comportamento sempre la risultante della


influenza di un numero incredibilmente grande di fattori, Per quanto semplice possa sembrare la reazione di un i ndividuo, essa sempre la conseguenza di una serie di avvenimenti che, interagendo fra loro nelle maniere
pi complesse, la hanno preceduta. Le variabili coinvolte in simili processi
di transazione sono state da Mussen cosi sommariamente classificate:
Fondamentalmente si possono classificare in cinque maggiori
c ategorie: 1 . v a riabili b i ologiche determinate geneticamente; 2. v ariabili biologiche non genetiche (per es. insufFicienza di ossigeno durante il processo della nascita; malfunzionamento della ghiandola pituitaria); 3. i l p assato apprendimento del bambino; 4. i l su o i m mediato ambiente socio-psicologico (per es.: i g enitori, i f r atelli, i c oetanei, i m aestri); e 5 . i l m i l i eu s ocio-culturale nel quale si sviluppa.
(Mussen, Conger e K agan, 1969, pag. 33)
I primi due fattori vengono normalmente indicati come le forze della
vatura (nature), gli altri t r e come forze dell'ambiente ( nurture). Il c o m portamento dei bambini, come di tutti gl i i n d ividui, e la loro personalit
sono, in ogni momento, un prodotto della continua transazione tra le forze della natura e le forze dell'ambiente. i d i f f icile stabilirequanto spetti
alle prime e quanto alle seconde nella determinazione del comportamento
e per quanto storicamente questo problema sia stato affrontato proprio in
prospettiva dicotomica e si siano avuti teorici innatisti e teorici ambientalisti irriducibilmente accaniti nella difesa delle proprie posizioni, oggi si
preferisce abbandonare simili p rospettive e considerarle, piuttosto, l'inevitabile scotto che la scienza ha dovuto pagare per sollevarsi dalla ignoranza.
La prospettiva attuale preferisce partire dal p resupposto unitario e
transazionale, dalla ipotesi, cio, che qualunque discorso che voglia parlare
delle forze naturali senza tener conto di quelle ambientali non pu che essere astratto e irreale, la realt essendo invece offerta dalla continua tran-

42 sazione tra ambiente e natura. Ci ormai ampiamente dimostrato da numerosi esperimenti, alcuni dei quali c ruciali , come ad esempio quelli
condotti su specie di pesci quali i le m ini e i pa sserini: mu t ando il g rado
di temperatura dell'acqua entro la quale siano immerse uova di lemini si
pu produrre un tipo di lemino mostruoso con un occhio solo (ciclope)
invece che con due occhi, come hanno tutti gli altri pesciolini della stessa
specie. evidente, in questo caso, corne persino un t r atto cosi caratteristico e certamente genetico, come la posizione degli occhi, possa non presentarsi se l'ambiente non favorevole,
I passerini normalmente sviluppano entrambi gli o cchi sulla stessa
parte della testa, invece che simmetricamente nelle due parti come tutti
gli altri pesci: mutando il grado di salinit dell'acqua entro la quale sono
immerse le uova di passerini, i nuovi nati vengono alla vita con gli occhi
disposti come nella maggior parte degli altri pesci, e cio lateralmente e
simmetricamente. Ma, e ci molto i nteressante, i passerini nati da questi ir regolari , se riportati i n a m b ientazione naturale quando ancora
sono allo stato di uova, si ripresentano con la localizzazione oculare pro-

pria della loro specie.


La scienza contemporanea si va sempre pi convincendo della necessit di c onsiderare in c oncreto i l r a p porto t r ansazionale tra l ' elemento
ereditario i geni e l ' apporto ambientale e solo per facilitarne lo studio si parla ancora, in astratto, di geni e cromosomi come di fattori analizzabili separatamente dall'ambiente nel quale si sviluppano.

1. GENI E CROMOSOMI.
La vita di ciascun individuo ha inizio quando uno spermatozoo paterno viene a contatto con un ovulo materno e lo feconda: la fertilizzazion e dell'ovulo da parte dello spermatozoo d inizio ad un i n t r icato e i n tenso processo di moltiplicazione cellulare chiamato mi t s i . G r a d a tamente, mentre questo processo continua, le singole cellule cominciano ad
assumere ciascuna la propria speciale funzione come parte del sistema nervoso, dello scheletro, dei muscoli e del sistema circolatorio. Sono necessari circa nove mesi perch tutto questo processo evolutivo possa considerarsi giunto al punto di concedere all'individuo una vita autonoma fuori
dell'utero materno.
La vita, dunque, ha inizio con i l c o ncepimento. Ma che cosa realmente ha inizio? Che cosa esiste in quel momento, e come possibile che
da quel qualcosa abbia inizio una nuova vita?
Nel momento in cui l o s p ermatozoo penetra nella cavit femminile
per incontrarsi con l ' ovulo p orta con s 2 3 m i n ute p articelle chiamate
c r o m o s o m i ; nello stesso momento la cellula uovo porta in s altret-

43 tante particelle o cromosomi. dunque in questi due gruppi di 23 cromosomi ciascuno che comincia la vita, nel loro incontro e nella costituzione
di una nuova cellula di 46 cromosomi.
Il senso comune, e pe r l u ngo t empo anche la scienza, ritenevano
possibile la trasmissione ereditaria di abitudini acquisite dai genitori nel
corso della loro vita. Questo era, comprensibilmente, causa di un numero
notevole di pregiudizi. Fu solamente nel 1889, con il l avoro di A . W e i sman che si cominci a capire come le ingiurie del tempo possano scavare
e modificare il corpo (cellule somatiche) ma non i l seme (cellule germinali) e che soltanto queste danno origine ad una nuova vita. La t e o r i a
de11a l i n e a g e r m i n a l e di W e i s man sostiene infatti che la linea
cellulare che conduce dall'uovo fecondato ai gameti dell'individuo si rende
precocemente autonoma dalle linee cellulari che danno luogo al soma. Il
che significa che il seme e il g ene hanno origine entrambi dal gene, ma
questo ha origine solo dal gene e non dal soma.
Generazioni
Secona

Prima
Sornn
Genn

Terza

Soma

Somn

Ge rme

Germe

Fig. IL 1. Cellule del soma e cellule del germe. Le cellule del germe, mentre danno
origine al soma e al germe della generazione successiva, sono indipendenti dalle cellule

del soma. E' nel germe, non nel soma, l'origine della generazione successiva. (Da G.
Murphy, Sommario di Psicologia, Boringhieri, Torino, 1957, pag. 151.

In altre parole, dunque, tutto ci che dall'uomo acquisito durante


l'esistenza, tutte le sue abitudini, le sue manie, i suoi difetti, persino le
malattie, non vengono trasmesse ai figli, a meno che non intacchino il patrimonio genetico o siano gi presenti nel gene, e cio siano a loro volta
ereditate. Ma, tranne per particolari avvenimenti come, ad esempio, la radiazione diretta di raggi X e l'esposizione ad influenze atomiche, non pare
che i geni siano soggetti alle disfatte e cadute che colpiscono il corpo. Cosi
possibile dire che il p atrimonio genico di un u omo di 5 0 a nni, e cio
di un uomo che ormai al termine del suo ciclo riproduttivo, di norma
esattamente lo stesso e nelle stesse condizioni di quello che egli aveva all'et di 17 anni, quando iniziava il ciclo.
Per comprendere a pieno i l d i scorso che la scienza contemporanea
costruisce a proposito del r apporto tr a l ' eredit e l ' ambiente t u t tavia
necessario conoscere le prospettive dalle quali i l p r o blema della eredit

44 viene affrontato. Le prospettive pi importanti oggi sono sostanzialmente


due: quella biochimica e quella statistica.
La prospettiva biochimica studia il modo in cui ci che trasmesso
p uo essere trasmesso, ad essa appartiene la biologia molecolare; la pr o
spettiva statistica studia che cosa viene trasmeso e con quali probabilit,
ad essa appartiene la genetica classica.

2. LA PROSPETTIVA BIOCHIMICA.
La biologia molecolare una direzione di ricerca la cui storia, nella
sua formulazione pi utile, non ha pi di t r ent'anni di v i ta. Essa, si pu
dire, parte dal presupposto che ci che viene trasmesso non sia direttamente un t r atto o u n a c aratteristica fenomenica, fisica o comportamentale, come ad esempio il colore degli occhi o dei capelli, la linea del mento, il t ipo o i l l i v ello di i n telligenza o il modo di camminare, ma piuttosto le condizioni che rendono possibile la comparsa di tali caratteristiche,
condizioni che potrebbero esprimersi in una certa l i n e a m e t a b oli c a . C o n i l t e rmine me t ab ol i s m o s i s ogliono indicare le reazioni
chimiche che hanno luogo nell'organismo e che sono indispensabili alla
sua crescita e aisuoi processi di adattamento.
Il metabolismo d luogo a due tipi di reazioni chimiche:
a n a b o 1 i c h e, e c i o t r asformazioni chimiche necessarie alla
formazione di molecole pi complesse, e che sono indispensabili, soprattutto, nei periodi di crescita;
c a t a b o l i c h e, e cio trasformazioni necessarie alla dissociazione delle molecole complesse in molecole semplici, indispensabili ogni
volta che l'organismo deve affrontare una fatica o uno sforzo.
Qualsiasi errore metabolico si t r aduce immediatamente in f o rme di
disadattamento (ad es., ritardi o d a n t icipi nella crescita, difficolt nella
produzione delle difese naturali, ecc.): ci tuttavia non esclude una legge
pi generale che aKda proprio agli errori le p o ssibilit di s opravvivenza
delle speci.
Le reazioni anaboliche e cataboliche sono diversissime e numerosissime, e si susseguono con un ri tmo assai rapido. In l i nea molto generica
s i pu d ir e ch e ciascuna di q u este trasformazioni ha b i sogno del s u o
e nz i m a .
Il codice genetico ereditario praticamente costituito da un determinato tipo di sequenza metabolica, ed questa sequenza che garantisce:
a) la Pssit della specie: i t o p i n o n p o ssono procreare che topi;
i cani metteranno al mondo sempre e soltanto cani; i fi gl i d egli uomini
saranno sempre umani;

45 b) la eredit delle razze: ciascuna razza caratterizzata da tratti


fisiognomici particolari; come i c uccioli d i s etter avranno il p elo l u ngo,
cosi gli europei umani avranno la loro caratteristica pigmentazione;
c) la eredit indioiduale: che si p u c hiamare la linea germinale
familiare e che assicura la somiglianza fra i v ari m embri della stessa fa
miglia.
Come stato detto, tu ttavia, non i m possibile che nelle sequenze
metaboliche si insinui talvolta qualche errore: gli e r r ori c ostituiscono la
fonte delle malattie ereditarie e no, ma anche delle m u t a z i o n i i n f r aspecifiche. Poich se vero che un errore, o l a mancanza di un enzima,
pu condurre ad una sintesi proteica abnorme, o alla carenza di sintesi
proteica, e questo pu essere causa di u n ' i mpossibilit d i a d attamento
dell'individuo all'ambiente (ad esempio la sostituzione di un solo aminoacido nella costruzione della molecola di emoglobina che composta da
oltre 300 aminoacidi
pu pr o d u rre una emoglobinopatia, quale l'anemia), anche vero che l'adattamento progressivo delle razze e delle speci alle diverse condizioni ambientali p r oprio dovuto alla possibilit di
interrompere o mutare una sequenza metabolica. Come scrive Th, Friedmann:
Dobbiamo inoltre ricordare che alcuni geni possono conferire
un vantaggio selettivo ai p o r t atori e t erozigoti. Gl i e t erozigoti p er
l'anemia falciforme sono meno suscettibili a i n f ezioni malariche.
probabile che altri geni che sono dannosi in certe condizioni siano
di aiuto per la specie.

(1972, pag. 71)


La sequenza metabolica costituisce il codice genetico che viene trasmesso da ogni cellula madre alle cellule figlie e dai genitori ai figli per
mezzo delle cellule sessuali. La biologia molecolare nell'ultimo quarto di
secolo riuscita a stabilire che il codice, il c o d o n , c o stituito da lunghe catene di aminoacidi che consentono la formazione di proteine e assicurano la sintesi necessaria al buon funzionamento delle cellule,
stato accertato che il c o d o n i s c r i tto, sotto forma di messaggio, nelle molecole di acido desossiribonucleico (DNA ) che costituiscono
l a gran parte della sostanza nei cromosomi, i quali, come noto, si t r ovano nel nucleo. Gi prima della fine del XIX secolo era stata riconosciuta
a l nucleo la caratteristica di portatore dell'eredit cellulare
t eo r i a
d e1 n u c l e o ma soltanto assai di recente stato appurato che il
DN A
h a tut t e l e q u alit per t r asmettere un messaggio genetico. Nel
1953 Watson e Crick scoprirono la struttura della molecola di DNA e nel
1960 Monod, Lwoff e Jacob hanno messo a punto la t eo r i a g e n et ic a m o l e c o l a r e .

46 Il DN A u n p o l imero gigantesco la cui molecola costituita da cat ene di migliaia o mi lioni d i


n u c l e o t i d i , in una caratteristica distribuzione spaziale. Ogni nucleotide costituito da una molecola di zucchero, da un gruppo fosforico e da una base azotata. La sua struttura risulta quindi la seguente:

acido
fosforico

base
azotata

d csoss>nbos i o

Fig, II. 2. - (Da G. Sermonti, Genetica Generale, Ed. B oringhieri, Torino, 1971,
pag. 25!,

Esistono quattro tipi fondamentali di basi azotate: due pirimidiniche,


l a t i m i n a e l a c i t o s i n a , e due puriniche, l' ad e n i n a
e la
g u a n i n a . O g n i n u cleotide legato, tramite il desossiribosio (DR =
zucchero) al fosfato (P) del nucleotide successivo, cosi da consentire la formazione di una catena di nucleotidi. Poich la timina si lega sempre e solo
con l'adenina e la citosina con la guanina, la struttura del DNA r i sulta essere quella di una doppia catena di nucleotidi legati dalle basi e con i fosfati
alle estremit libere.
In realt la scala si avvolge su se stessa in una spirale assumendo la
caratteristica forma di una doppia elica. Le dimensioni delle molecole cli
DNA sono ovviamente microscopiche:
La molecola di DN A ch e costituisce il patrimonio genetico di
un fago (virus)... finemente raggomitolata in una testolina di 0,08
m icron di d i ametro, e c io i n u n d i a metro che p oco pi d i u n
m illesimo della sua lunghezza totale (un filo di u n m e tro i n u n g o -

mitolo di un millimetro!) Questo dato d un'idea del grado di impacchettamento che il DNA pu raggiungere nelle particelle viventi .
(G. Sermonti, cit., pag. 30)
I nucleotidi, associati in gruppi di tr e ( t r i p l e t ) c o stituiscono le
unit del messaggio genetico; si potrebbe perci dire che i nucleotidi sono
i segni con i quali si formano le parole che servono per costruire le proposizioni e i di s corsi del linguaggio generico. Per quanto apparentemente

p
DR

BA

BA

DR

p
DR

BA

BA

DR

p
DR

BA

BA

DR

p
DR

BA

BA

DR

Fig. Il.3. Rappresentazione schematica di una moecola di DNA: P = r a d icale fo.


sforico; DR = desossiribosio (zucchero); BA = b asi puriniche (quadrati) e pirimidiniche (rettangoli); T = t i m ina; C = c i tosina; A = a d enina; G = g uanina. (Da G.
Sermonti, cit., pag. 28).

limitato nelle sue possibilit di costruzione, il messaggio genetico risulta


assai ricco ed assicura il funzionamento delle sintesi chimiche.
La trasmissione ereditaria cosi affidata alla trasmissione del codon
contenuto nei cromosomi delle cellule genetiche. Oggi infatti si sempre
piu convinti che il gene, la cui esistenza era prima soltanto ipotizzata, corrisponda ad una sequenza del codon, e cio a una frase del messaggio genetico. Tuttavia pare certo che il DN A no n superi mai la barriera del nucleo, mentre la sintesi proteica avviene, esclusivamente o quasi, nel citoplasma, al di l, quindi, di questa barriera. La difficolt che questo problema presentava stata superata quando si scoperta la struttura e le
funzioni di un altro acido nucleico, l'acido ribonucleico (RNA) la cui funzione pare sia proprio quella di assicurare la trasmissione del messaggio

48 -

x
3.4 A

1 0 A~

Fig. Il. 4. - Rappresentazione schematica di una molecola di DNA. (Da G. Sermonti


cit., pag. 30).

dal nucleo al citoplasma. La molecola di RNA, che, accanto alle proteine e


al DNA, presente in tutte le cellule pare si assuma il compito di tradurre le sequenze dei nucleotidi nelle corrispettive sequenze di aminoacidi.

Sono noti tre tipi di RNA, RNA ribosomico (RNAr), RNA messaggero
(RNAml e RN A d i t r a sferimento (RNAt) : i n u n c erto senso alla cooperazione di queste tre frazioni di RN A s i affida il complesso meccanismo
delle sintesi chimiche. L'RNA, sintetizzato da un enzima, detto RNA poli-

merasi, copia per una sola delle due parti della scala del DNA: esso risulta
infatti costituito da un solo filamento.
Semplificando molto, il meccanismo sarebbe quindi cosi riassumibile:

il codice genetico impresso nel DNA copiato dal RNAm e portato fuori
dal nucleo nei r i b o so m i (s t r utture cellulari identificabili in labora-

49 tori per l a c ostruzione delle proteine), che, leggendo le i struzioni, fabbricano le proteine per le quali l ' R NA t a ggiunge sistematicamente l'aminoacido conveniente.
Il ribosoma si presenta, quindi, come una testina magnetica che decodifica il messaggio del RNA m sul quale si ingrana l'RNAt : evidente come il pi piccolo errore di lettura o di t rasmissione possa produrre conseguenze patologiche o mutazioni.

m
Cl

RNAm

RIBO

SOM7t

direzione def ribosoma

Fig. 11.5. Schema teorico della sintesi proteica. Liberamente adattato da GratiotAphandery e Zazzo, Tratt de prychologie de l'enfant, Presse Universitaire de France-

Paris, 1970.

3. LA MECCANICA GENICA.
Come stato detto, il D N A c o stituisce parte dei cromosomi, ed in
questo senso si pu dire che i c r omosorni sono portatori dei. geni. Se i
nuovi nati ricevessero dai propri genitori sempre gli stessi geni non vi sarebbe possibilit di differenze e tutti i f r a telli si somiglierebbero tra loro
essendo contemporaneamente la copia dei genitori. Ma in p r atica l'individuo riceve solamente la met dei geni da ciascun genitore e quello che egli
sar dipender dalla combinazione dei geni materni con i geni paterni: ci
c he regola la formazione delle strutture e l o sviluppo dell'individuo l a
m ecc a n i c a g e n i c a .
La mitsi, che come abbiamo detto la rapida moltiplicazione delle
cellule di u n o r ganismo, avviene per di visione verticale dei cromosomi.
Ogni cellula costituitta da 23 paia di cromosomi, cio da 46 cromosomi:

50 lo sdoppiamento di questi in c r o m a t i d i e l a l oro riunione successiva


attorno a corpuscoli detti c e n t r o m e r i , consente la divisione della
cellula in altre due perfettamente identiche tra loro e con l a cellula madre, tutte con 46 cromosomi e tutte con lo stesso patrimonio genico. Immediatamente dopo la mitsi ricomincia. Le cellule, mano a mano che si
costituiscono, assumono differenti e speciali funzioni a t t uando il messaggio del DNA e d i v e ntano tessuto adiposo, tessuto muscolare, sangue, ecc. ciascuna rimanendo una copia esatta della cellula di 4 6 cromosomi costituita dall'incontro tra lo spermatozoo e l'ovulo.
L'organismo adulto produce, oltre alle cellule somatiche, le cellule
germinali il cu i c omportamento diverso da quello delle cellule somati.
che: mentre in queste nelle fasi di riproduzione i cromosomi prima si dividono in cromatidi e poi si separano, dando cosi luogo alla moltiplicazione dei cromosomi, nelle cellule germinali i cromosomi prima si uniscono
e si scambiano frazioni di sostanza cromosomica ( c r o s s i n g - o v e r )
quindi si separano in due gruppi di 23 cromosomi ciascuno.
Il crossing-over il fenomeno di ricombinazione e di incrocio tra frazioni genetiche materne e paterne e assicura una base scientifica alla teoria
della ereditariet, studiata statisticamente sin dal 1800.
La cellula germinale paterna si unisce quindi all'ovulo materno ricostituendo cosi il patrimonio di 46 cromosomi, La meccanica genica, e cio
le combinazioni possibili tr a i d i v ersi geni contenuti i n c iascuno dei 46
cromosomi, rappresenta tuttavia una sfida a qualsiasi predizione: i l c alcolo probabilistica cosi complesso e la eventualit di avere due individui
identici pressoch inesistente. Ci evidente se si pensa che le possibili
combinazioni genetiche sono valutate con il numero 64 seguito da 12 zeri.
Tuttavia una eccezione costituita da due individui che nascano dalla fecondazione dello stesso ovulo da parte dello stesso spermatozoo, e
cio nel caso dei gemelli monozigoti: i n q uesto caso i due individui posseggono lo stesso, identico, patrimonio genico. Ci per non vuol dire che
i due individui siano perfettamente identici, come forse piacerebbe ai sostenitori della teoria innatistica.
L e incredibili p ossibilit offerte dalla meccanica genetica fanno ri flettere sulle difficolt che ne derivano per lo studio della psicologia e della biologia: se infatti i l c h i mico pu partire dall'assunto che ogni molecola, poniamo di ossigeno, perfettamente identica ad ogni altra molecola
di ossigeno; e il fisico pu ritenere che tutti gli elettroni sono identici tra
loro, lo psicologo e il biologo devono invece partire dall'assunto contrario,
e cio dall'affermazione che ogni individuo non pu che essere diverso da
ogni altro.
Delle 23 paia di cromosomi un paio sono denominati cromosomi sessuali o g o n o s o m i , ed questo paio responsabile del sesso del futuro i~dividuo. Nelle donne i cromosomi sessuali sono piuttosto grandi e

51 -

A-O
c-
j -; ,

RICOMISINANTI

NON RICOMSINANTI

Fig. II.6. - Schema di crossing-over. (Da V. A . M cKnsick, 1971, pag. 80, da Le


Scienze, Milano).
vengono indicati come cromosomi X; nell'uomo uno dei cromosomi della
coppia un cromosoma X, l'altro pi p iccolo ed i n dicato come cromosama Y. Cosl ciascuna cellula dell'individuo maschio contiene un cromosoma X ed un cromosoma Y, e il suo c a r i o t i p o s ar XY; quando
la cellula germinale si forma i due cromosomi si separano e vanno a costituire il patrimonio genetico di due diverse cellule germinali. Se un ovulo, che conterr sempre cromosoma X, sar fecondato dalla cellula ma-

schile che porta il cromosoma Y, l'individuo che nascer sar maschio. Se


avr invece incontrato lo spermatozoo con i l c r omosoma X, l ' i ndividuo
sar di sesso femminile. Cosi le possibilit teoriche che il nuovo nato sia

maschio o femmina dovrebbero essere del 50 e 50. Ma molti errori sono


possibili.
Come conseguenza di un e r rore di d i stribuzione al momento
della formazione dei gameti, pu succedere che l'uovo fecondato riceva un gonosoma in pi o , a l c o n t rario, u n g o nosoma in m e no.
Possono quindi veri6carsi quattro eventualit, risultanti da un'assenza di separazione. I n q u este condizioni certi g ameti r i cevono due
cromosomi X invece di uno solo, mentre altri gameti non ne ricevono

52 affatto. A seconda che l'uno o l ' altro di q uesti gameti venga fecondato da un agente X o Y , s i a r r iv a ad un a d elle seguenti quattro
c ombinazioni: O Y , O X , X X Y , X X X .
OY

A b b i amo ragioni molto v alide che ci i n ducono a pensare che


l 'assenza del cromosoma X incompatibile con la vita. I n t e r mini specialistici si dice che questa situazione esercita un effetto letale.

OX I

b a m b ini che possiedono il cariotipo OX, cio quelli che hanno


un solo cromosoma X, sono colpiti d a u n i n sieme di m alformazioni che hanno il nome di s i n d r o m e d i T u r n e r .
Questi soggetti presentano forme femminili ma restano di statura assai piccola, sono colpiti da malformazioni cutanee, muscolari e talvolta viscerali di v aria natura, ma, soprattutto, restano sterili i n q u anto i n essi le ovaie non si sviluppano.

XXY I

s oggetti che hanno ricevuto due cromosomi X ed u n c r omosoma Y sono colpiti dalla s i n d r o m e d i K l i n e f e l t e r .
E ssi hanno l'apparenza di u n soggetto di sesso maschile, la
loro statura abitualmente elevata, ma in essi i seni si sviluppano in modo anormale: gli specialisti parlano in questo caso
di ginecomastia. Quel che p i i m p ortante che i n q u esti
soggetti le ghiandole sessuali maschili hanno uno sviluppo insufficiente, per cui restano sterili.

XXX Dobbiamo inftne esaminare la quarta combinazione, quella che


c omporta la p r esenza di t r e c r omosomi XXX i n vece di d u e .
Questi soggetti, c h i amati t a lvolta su perfemmine, h anno u n
a spetto femminile, m a s ono generalmente sterili e vengono
colpiti da debolezza mentale.
XYY Sono stati scoperti anche dei supermaschi. Una aberrazione li
ha fatti eredi non d i u n s olo cromosoma Y, ma d i d ue. Essi
hanno ricevuto una X d i o r i gine materna e due Y d i o r i g ine
paterna. Possedendo quindi quarantasette cromosomi invece di
quarantasei, la loro formula XY Y e pe r q uesto vengono talvolta chiamati supermaschi .

(M. Lamy, 1969, pag. 21-22)


Questi fenomeni di t r isomia sessuale hanno suscitato molto interesse
in questi ultimi anni per la correlazione tra il cariotipo XYY, l a aggressivit e la debolezza mentale: da ricerche fatte parrebb t che i sogetti supermaschi siano degli asociali e dediti ad attivit delittuose. La correlazione,
peraltro, non ,stata sempre perfettamente riscontrata. La occorrenza della
trisomia XYY p are sia di u n i n d i viduo ogni t recento maschi (T . F r ied-

mann).

Altre malformazioni sono oggi sicuramente riconducibili ad a l t erazioni sia nel momento della meiosi (formazione delle cellule sessuali) sia
nel momento delle p r ime m i tsi ( p r ime d i visioni d ell'uovo f econdato).
C osi, ad esempio, il mongolismo ( s i n d r o mie d i D o w n ) , c h e s i
manifesta come un insieme di malformazioni caratterizzate da una statura
ridotta, un particolare aspetto del viso e degli occhi, una mollezza speciale
dei muscoli, una modificazione delle linee della mano e d a u n n o tevole

X,X
MANCA
I L CROMOSO M A
2I

EI B RIONE

TRISOMICO 2I

(SINDROME Dl DOWN)

MONOSOMICO 21

TRISOMICO 2)

MONOSOMICO 2I

(NON VITALE)

(SINDROME DI DOWN)

(NON VITALE)

Fig. Il. 7. La sindrome di Down si ha quando i cromosomi non si separano (nondisgiunzione durante la meiosi) dando luogo a uova con 2 cromosomi n. 21. Quando
l'uovo con il cromosoma in pi fecondato, l'embrione si sviluppa in modo anormale.
(Da Th. Friedmann, 1972, p. 67, da Le Scienze, Milano).

ritardo psichico, in stretta relazione con la tr isomia 21 e cio con una


costituzione di 47 cromosomi, invece di 46, per 1 2aggiunta di un cromosoma supplementare nel gruppo denominato 21.
Una recente ricerca (Stevenson, Mason and FAwards, 1970) condotta
a Oxford su 1052 bambini, nati da madri le quali durante la gravidanza
erano state esposte ad accertamenti tramite raggi X, non sembra confermare la ipotesi sinora sostenuta della esistenza di una sicura relazione tra

casi di mongolismo ed esposizione delle madri a lievi dosi di raggi X. In


realt i casi di mongolismo verificatisi tra i soggetti esaminati non hanno
superato, in maniera significativa, le aspettative probabilistiche che si han-

54 -

Xf
;t )

k k

44

i) 7

t8

~~a
2O

Fig. IL8. - L'analisi dei cromosomi delle cellule ottenuta mediante amniocentesi pu
determinare se l'embrione affetto da sindrome di Down. Questo cariotipo preparato
da O. W. Jones presenta un cromosoma n. 21 in pi caratteristico del mongolismo.
lDa Th. Friedmann, 1972, pp. 66-67, da Le Scienze, Milano).

no per i s oggetti normali (ExpETAnox) l e q uali aspettative sono invece


correlate con l'et delle madri.
Penrose e Smith, danno le seguenti incidenze di mongolismo in rap-

porto alla et delle madri:


Etd Afaterna

Numero di mongoloidi

sino a 25 anni

1 caso ogni 1600 nati

attorno a 30 anni

1 caso ogni 88 0 nati

a ttorno ai 3 5 a n ni
oltre i 40 anni

1 caso ogni 290 nati


1 caso ogni 9 5 n a ti

Sono note anche altre alterazioni, quali la t r i s omia 13 e l a t r i s o mia 18, caratterizzate da malformazioni di v ario t i po, sia 6siche che psichiche. Inoltre si potuto stabilire che negli aborti spontanei pi del 60%
dei feti sono trisomici o monosomici (Edwards e Fowler, 1971).

55 L'importante, tuttavia, per ten r sempre presente che, a quanto


dato sapere oggi, si tratta di i n c i d e n t i ch e i n t ervengono nelle fasi
della divisione cellulare e che, contrariamente a quanto avviene nelle malattie veramente ereditarie, eccezionale che lo stesso incidente si verifichi
una seconda volta nella stessa generazione.

4. LA PROSPETTIVA STATISTICA.
Il problema della trasmissione dei caratteri ereditari, che ha costituito
un tema affascinante sin dall'antichit se ne trova un accenno, in senso
selettivo, nella Repubblica di Platone f u a ff rontato, nel secolo scorso,
secondo una prospettiva statistica che tendeva a stabilire la ricorrenza probabilistica dei caratteri nelle diverse generazioni. Questo tipo di studio
legato al nome di u n m o naco austriaco, Gregor Mendel (1822-1884), il
quale, nella quiete del suo orticello, sperimentava su diverse piante erbac ee le sue teorie sulla t rasmissione dei caratteri ereditari. Gl i s t ud i d i
Mendel, oggi notissimi, ma un tempi negletti, cominciarono con l'incrocio
di due razze di piselli altamente selezionate: incrociando tra loro i p i selli
delle due razze, Mendel pot constatare che la generazione di ibridi che ne
risultava manifestava uno solo dei caratteri dei due tipi d i p i selli, l'altro
essendo apparentemente scomparso. Tuttavia alla generazione successiva
quei caratteri, che parevano scomparsi, riapparivano in alcuni individui.
Da questa osservazione Mendel trasse l'ipotesi che nella trasmissione
dei caratteri alcuni potessero avere funzione d om i n a n t e, altri funzione r e c e s s i v a e che nel f e n o t i p o , e c i o , secondo il linguaggio mendeliano, nell'individuo, solo il carattere dominante appaia mentre
il carattere recessivo rimanga latente nel g e n o t i p o (la specie) per riapparire successivamente quando si formeranno le circostanze favorevoli.
Mendel, dopo aver generalizzato le sue ipotesi, le espresse sotto la
forma di tr e leggi:

1. - Gli ibridi derivati dall'incrocio di due razze differenti per una


coppia di allelomorfi (individui con caratteri antagonisti), presentano fenotipicamente uno solo dei due caratteri, che dominante, mentre l'altro
recessivo ( l e g g e d e l l a d o m i n a n z a ) .
2. - La riproduzione degli eterozigoti (individui con caratteri antagonisti) d origine a tre categorie di figli, e cio a 1 /4 di omozigoti si-

mili ad uno dei due,progenitori, 1 /4 di omozigoti simili all'altro progenitore e 2 /4 di eterozigoti ( l e g ge d e l l a s e g r e g a z i o n e ).


3. - Incrociando individui che differiscono per pi coppie di allelomorfii, ciascuna di queste si comporta nell'eredit in modo completamente

i ndipendente dall'altra ( l e g g e

d el l a i n d i p e n d e n z a ) .

O O O O

O O O

Fig. lI. 9. Schema teorico della l egge di

s egregazione.

Ad esempio: l ' albinismo si manifesta per carenza di pigmentazione


pilifera e della pelle; i caratteri dell'albinismo sono recessivi nei confronti
dei caratteri della pigmentazione normale. Un i n dividuo albino omozigote in q u anto, perch l'albinismo si m anifesti, devono essere presenti
entrambi i geni della pigmentazione albina (cc). L'incrocio di q uesto individuo con una persona normale (CC) d vita ad un individuo non albin o, ma eterozigote, in quanto questi eredita da uno dei suoi genitori i l

carattere normale (C) e dall'altro il carattere albino (c): il suo cariotipo


sar quindi (Cc) e poich il carattere albino recessivo non si manifester
fenotipicamente pr r e stando genotipicamente latente. M a b a ster che
questo individuo (o uno dei suoi eredi che sia portatore del gene recessivo) si accoppi con un altro individuo anche apparentemente normale, ma
anch'egli eterozigote per questo particolare carattere, perch si ri presentino le condizioni per la nascita di un erede albino. Infatti se nella distribuzione dei geni e nella divisione dei cromosomi si incontreranno lo spermatozoo e l ' ovulo p ortanti entrambi i l g ene per l ' albinismo l'individuo
che nascer sar albino e omozigote.
Nonostante oramai nessuno metta pi in discussione, nelle loro linee
fondamentali, le leggi di Mendel, ancora non si potuto stabilire con certezza che cosa sia ereditario e che cosa non lo sia. v ero che fenomeni
come il colore degli occhi, la calvizie, alcune forme di diabete, certe manifestazioni di nictalopia (letteralmente vedere di notte, in realt indebolimento della vista), la emofilia, i l d a l tonismo, ecc. paiono sicurarnente
ereditari, eppur t u ttavia anche in questi casi la complessit della meccanica genica soprattutto in relazione agli imprevedibili interventi dovuti

57 alle condizioni ambientali in cui gl i


assai difficile la predizione.

i n d ividui si sviluppano n e r ende

La ereditariet evidente anche in certi tipi d i deficienza mentale la


quale, talvolta, pu dipendere da un deficitario controllo enzimatico. Per
esempio, una parte dei cibi che noi mangiamo contiene un elemento chiamato fenilalanina. La m a ggior parte degli u omini p o ssiede, nel proprio
corredo metabolico, un enzima che converte la fenilalanina in un prodotto
innocuo. Ma un piccolo gruppo di bambini viene sistematicamente al mondo con un difetto la cui origine certamente ereditaria: essi mancano dell'enzima che converte la f i nilalanina, come conseguenza di una sequenza
metabolica carente in qualche tripleta che rende impossibile una determinata sintesi proteica. Come risultato, l'accumulo di f enilalanina comincia
ben presto a produrre acido fenilpiruvico che danneggia le cellule del sis tema nervoso e fa conseguire un r i t ardo mentale. Tale malattia n ot a
agli specialisti come fenilchetonuria o, pi b r e vemente, PKU. Il r i m e dio
che)a scienza pu proporre quello di una dieta rigorosa che permetta di
mantenere la fenilalanina entro tassi tollerabili.
In sostanza possibile dire che la u t i l it delle leggi di M e ndel sia
si, nel loro valor prognostico e nell'aiuto che offrono per la identificazione
della ereditariet dei caratteri, ma anche indispensabile rendersi conto
che le prognosi che esse consentono, tramite le applicazioni statistiche che
ne sono conseguite in oltre un secolo di studi, sono valide solo nei confronti di ampi gruppi di soggetti e non nei confronti di un singolo individuo per il quale, con questa tecnica, nulla possibile prevedere.

5. L'APPORTO DELL'AMBIENTE.
Le leggi della meccanica genica, conosciute in teoria, sono alterate nella
realt dalle condizioni ambientali degli scambi genetici e d e ll a m a t urazione degli effetti. La pi piccola alterazione ambientale pu avere delle
conseguenze tanto pi i m prevedibili in q u anto ben poche sono le attuali
possibilit di controllo scientifico. Gli esperimentti fatti sui passerini e sui
lemini, riportati sopra, non sono che un esempio sperimentale di laboratorio, ma dimostrano chiaramente l'entit delle alterazioni genetiche imputabili al mutamento delle condizioni ambientali.
Per quanto il complesso meccanismo del rapporto tra ambiente e patrimonio genico sia ancor oggi tutt'altro che chiarito, sembra evidente che
le stimolazioni ambientali influiscano profondamente sullo sviluppo dell'individuo e sullo sviluppo della specie. Se, come pare sempre pi probabile,
le possibilit di adattamento cognitivo sono in parte, grande o piccola, dipendenti dal funzionamento di uno o pi enzimi, pensabile che una de-

58 t erminata stimolazione culturale, agendo sotto f o rma di i m p ulsi sul S i stema Reticolare At t ivante (RAS) e costituendo una sorta di f e ed-back
tra Sistema Nervoso Auntonomo, ghiandole a secrezione endocrina e corteccia cerebrale, possa favorire o inibire la formazione di tali enzimi. Come si vedr pi avanti, tali ipotesi sono suffragate dai risultati degli studi
degli ultimi d ecenni che mostrano una stretta correlazione tra distribuzione dei mass-media nella popolazione e aumento del livello intellettuale
e, persino, aumento della statura media interpretabile, quest'ultima, come
aumento di stimolazioni sensoriali e psichiche agenti sul sistema diencefaloipofisi con, per esempio, conseguente aumento di ormoni della crescita (somatotropina).
Il problema del rapporto eredit-ambiente ha dato luogo nel passato
a numerose polemiche che hanno visto contropposti fautori d elle teorie
innatistiche e fautori delle teorie ambientalistiche. Oggi tali polemiche si
possono considerare superate e le p rospettive di r i cerca, abbandonate le
radicalizzazioni, cercano ipotesi e teorie che rendano conto della complessa
quantit di elementi in gioco.
Una progressiva chiarificazione del concetto stesso di ambiente ha
consentito di sgombrare il campo da numerosi equivoci. I l t e r mine ambiente ha i n r e alt una u t i lizzazione multiforme: i p r i n cipali significati
che si soliti attribuirgli si possono cosi riassumere:
ambiente jisico: le cose che ci circondano fisicamente e che valutiamo
secondo le coordinate spazio-temporali o secondo riferimenti topologici (dentro-fuori) o r e l azioni convenzionali (alto-basso, destra-sinistra,
ecc.) ;
arnbiente geograPco: con specifico riferimento alle coordinate naturali
di campagna, citt, bosco, montagna, ecc.;
ambiente sociale: nella sua accezione economica (ambiente povero,
ricco, elevato, medio, ecc.) o c u l t urale (scuola, universit, ambiente
intellettuale, sottoculturale, ecc.) o p r o fessionale (ambiente operaio,

professionistico, impiegatizio, ecc.) ;


ambiente biologico: un contesto che costituisce il terreno organico nel
quale cresce la nostra vita individuale e che forma la nostra condizione
fisico-sanitaria, fisiologica o patologica;
ambiente psicologico: costituito dal modo in cui t u t ti g li a m b ienti
sopra elencati vengono percepiti e entrano a far parte di una esperienza dinamica.
Ba quest'ultimo punto di vista si pu ben dire che la persona funzione dell'ambiente; e in questa definizione non vi dubbio che anche il
patrimonio genico e l a meccanica genica possano costituire ambiente

59 nel senso che entrano nella dinamica relazionale di un a si tuazione globale con una propria vettorialit.
Una concezione del genere svuota l a c ontroversia tradizionale che
c ontrapponeva l'ereditariet all'ambiente in un a r i gida dicotomia di f a t tori contrastanti; la visione unitaria che scaturisce dall'accettazione di una
pi vasta interpretazione del c o n t e s t o a m b i e n t a l e con s ente
di giungere ad una soluzione, sia pure provvisoria e di compromesso, che
deriva in buona parte dalla interpretazione transazionale.
Numerose sono state, sino ad oggi, le ricerche condotte nell'intento
di derimere la controversia sulla maggiore influenza dell'ambiente o della
eredit in rapporto a determinati tratti e fenomeni. Esse partivano dal presupposto che, dati due gruppi di soggetti {gruppo sperimentale e gruppo
di controllo) nei quali fosse possibile tener sotto controllo una delle due
variabili {redit-ambiente), ogni modificazione ottenibile con l a m anipolazione della variabile indipendente potesse venir considerata funzione di
questa. Il discorso teorico era impiantato in questi termini: 1 . d ate ident iche le condizioni ambientali e d i verse le condizioni ereditarie, tutte l e
differenze fra i due gruppi sono da imputare al patrimonio genico; 2. dato
identico il p atrimonio genico e diverse le condizioni ambientali, tutte le
differenze fra i due gruppi sono da imputare alle influenze ambientali.
Ovviamente la prova teorica assoluta sarebbe o quella di poter mettere due individui diversi contemporaneamente nella stessa condizione ambientale o quella di mettere uno stesso individuo contemporaneamente in
due diverse condizioni ambientali: i n e n t r ambi i c asi si r aggiungerebbe
l'optimum. Poich questi esperimenti sono assurdi e irrealizzabili, la prova
cruciale, la pi v i c ina all'optimum, consiste nello studio dei gemelli monozigoti: co n q uesti soggetti p ossibile tener sottocontrollo l a c omponente genetica e far a gire, come variabile indipendente, la componente
ambientale. Sono detti gemelli identici o omozigoti o monocoriali i gemelli
nati dalla fecondazione di un solo ovulo da parte dello stesso spermatozoo;
sono detti invece gemelli fraternali o eterozigoti i gemelli nati dalla fecondazione di d u e o v u li . e v i d ente che, per i p r i m i , d at a l a i d enticit
del loro p a trimonio genico, qualunque differenza comportamentale non
potrebbe imputarsi che alla azione dell'ambiente.
I risultati finora ottenuti sono, tuttavia, in un certo senso deludenti
in quanto non c onsentono di d e rimere drasticamente la controversia a
favore della eredit o dell'ambiente: essi hanno in realt mostrato che la
realizzazione di d eterminati effetti l egati al p a trimonio genico sempre
dipendente dalle condizioni ambientali.
Sono stati condotti s tudi c oncernenti t r atti a n atomici o m a l f ormazioni anatomiche ritenute ereditarie p e r e s . p i ede equino o p a l atoschisi ch e sono naturalmente apparse pi f requenti tr a gemelli identici che tra gli altri membri della famiglia {Carter, 1964).

60 I tratti fisiologici sono anch'essi apparsi correlati in maniera pi positiva tra gemelli identici: ad es., l'et della prima mestruazione varia di
2,8 mesi per le gemelle identiche, di 12 mesi per le gemelle non identiche, di 12,9 mesi per l e sorelle non gemelle, di 1 8,4 mesi tr a madri e
figlie e di 18,6 mesi tra donne senza rapporti di parentela (Petri, 1934).
Persino la morte, o meglio la longevit, ha dei rapporti con il p atrimonio genico, come l'opinione comune aveva gi colto: uno studio di
Kalmann (1948) fatto sul tempo di v it a di gemelli che avevano superato
i sessant'anni ha mostrato che la differenza ( data della morte) tra i g e melli identici era di 36,9 mesi, mentre nei gemelli non identici era di 78,3
mesi. Per quanto il numero dei soggetti fosse assai piccolo, i dati ritrovati
non sono privi di una certa suggestivit.
Anche la schizofrenia sembra porsi, in qualche maniera, in relazione
ad elementi ereditari. L e d i ff icolt diagnostiche della schizofrenia sono
certamente alla base delle incertezze che tuttora sussistono quando si tratti
di stabilire la relazione tra questa malattia mentale, l'eredit e l'ambiente:
si spiega cosi come alcuni autori attribuiscano tale malattia esclusivamente
ad elementi ereditari, altri esclusivamente a difettose od inadeguate relazioni intrafamiliari. Uno studio di Kalmann (1953) oramai considerato classico ha cercato di mettere in l uce questo intricato problema esaminando
ben 1382 gemelli, 2741 f r atelli, 134 f r atellastri, 74 f r atelli d i a dozione.
In ciascun caso un individuo (detto caso indice) era stato ospitalizzato per
schizofrenia. Se la schizofrenia psicosi ereditaria, si sarebbe dovuto trovare una maggiore correlazione tra i gemelli identici che tra i n o n i d entici, e maggiore tra questi che 'tra fratellastri, esprimentesi con una maggiore frequenza di ricovero nei gemelli identici dei casi indice che in tutti
gli altri. I r i sultati ottenuti sono qui espressi in cifre percentuali:
Gemelli identici
Gemelli non i d entici
Fratelli

85,8
14,7
14,3

Fr at e l l astri
Frate l l i a dottivi
Pop ol a z ione gener.

7,8
1,8
0,9

Il che significa che quando un gemello identico si ammala di schizofrenia, l'altro gemello ha 85,8 probabilit su 100 di soffrire la stessa malattia, mentre se la coppia costituita da gemelli non i dentici tale pro.
babilit si abbassa sino al 14,7, situazione che pressoch uguale a quella
dei fratelli. Assai interessante poi notare che la percentuale di probabi-

lit dei fratelli adottivi molto pi vicina a quella della popolazione generale
che a quella dei f r atelli e dei f r atelllastri. I l c h e d ovrebbe interpretarsi
come un chiaro sintomo della ereditariet della schizofrenia.

61 Tuttavia in una successiva ricerca si pot constatare che gemelli identici, per i quali era stata trovata una percentuale del 91 per cento di comportamenti schizofrenici se cresciuti nello stesso ambiente del caso indice, qualora fossero cresciuti in ambiente differente mostravano una percentuale d'occorrenza schizofrenica del 78 per cento. Le conclusioni pi caute inducono a
dire che attualmente non si sa con certezza quali forme di schizofrenia siano
veramente ereditarie e quali invece dovute ad errate relazioni ambientali.
Del resto lo stesso impianto delle ricerche andrebbe rivisto alla luce delle
recenti interpretazioni sulle manifestazioni schizofreniche, l'igiene mentale
familiare e la teoria del capro espiatorio (Ackerman, 1968).
Altro campo di studi per la determinazione della incidenza ereditaria
stato quello dell'intelligenza. In una ricerca condotta da Newman, Freeman e Holzinger (1937) su 50 paia di gemelli monozigoti e 50 paia di gemelli eterozigoti, il l i vello intellettuale, misurato con la Scala Binet-Simon
ed espresso in termini di Q .I . (Quoziente Intellettuale) ha messo in luce le
seguenti diflerenze fra le medie:
Monozigoti

Eterozigoti

5,9

9,9

Binet Q.L

Tuttavia la differenza in 19 coppie di gemelli identici educati separatamente raggiungeva, mediamente, 8,2 punti ir. Q.I.
anche da riportare il caso, sempre citato da Newman, Freeman e
Holzinger, di due gemelle identiche, Mary e M abel, separate all'et di 5
mesi e andate a vivere la prima presso una famiglia benestante di una piccola citt, la seconda in una fattoria di campagna, A 29 anni il l i v ello intellettuale delle due sorelle, misurato con la scala Stanford-Binet, apparve

per Mary di 106 punti, per Mabel, donna di campagna, di 89 punti Q.I,
In questo caso le
sentire.

i n fluenze ambientali si e r ano f a tte i n discutibilmente

Nella prova contraria in cui, t enendo identica, fin che possibile, la


variabile ambientale, si componevano i gruppi con variabile genetica diff erente, Burks e L e ahy studiando l a r elazione esistente tr a i Q.I. dei
figli naturali co n i Q . I . d e i p r o pr i g enitori, e i Q . I . d e i f i gl i a d o t tivi con i Q . I . d e i g enitori adottandi,.hanno riscontrato una correlazione
pi alta tra i Q . I . dei fi gli naturali e dei genitori che tra i Q . I . dei figli
adottivi e dei loro genitori.

Padre
Madre

Figli naturali

Figli adottivi

.45

.51

.07

.15

.46

.51

.19

B urks

Leh a y

.20
Lehay

Burks

62 In questo caso era la v ariabile genetica ad apparire maggiormente


implicata nella determinazione dello sviluppo intellettuale.
In sostanza si pu dire che tutti gli studi fatti concordano su un punto e cio che la componente genetica, anche quando risulti evidentemente
implicata nella determinazione di u n f e n omeno, sempre controllata e
condizionata da elementi ambientali che si c ombinano con i l c o mplesso
di tutti gl i al tri f attori. E ci i nvita a ricondurre il discorso al punto da
cui si partiti , , e cio alla prospettiva unitaria che rifiuta la dicotomizza-

zione del problema e obbliga a considerare sempre in concreto l'individuo


nella sua complessa dinamica relazionale.

I PERIODI DELL'ET EVOLUTIVA


L'et evolutiva comprende il tempo della vita dell'individuo dal concepimento al termine della giovinezza. Tuttavia, poich i ritmi di sviluppo
sono diversi da i n dividuo a i n d i viduo, condizionati da f a ttori c l imatici,
ambientali, razziali, funzionali, ecc., assai problematico riesce stabilire dei
tempi precisi applicabili indipendentemente da altri i n dici di r i f erimento.
La suddivisione dell'et evolutiva in periodi secondo criteri cronologici risulta sempre assai arbitraria e imprecisa: la maturazione e lo sviluppo dell'individuo sono infatti cosi soggetti a ritmi di accelerazione, stasi e
persino regressi strettamente legati a condizioni che non possono prescindere dalla realt individuale, che non mai possibile, se non con astrazioni
p robabilistiche, racchiudere i f e nomeni correlativi entro quadri d ' et i n
anni.
Ad esempio, un f attore di d i fferenziazione nei tempi di sviluppo ,
come noto, il sesso e a questo proposito il r i f erimento alla latitudine e
alle influenze climatiche d'obbligo: per quanto riguarda la maturazione

puberale risaputa la precocit dei soggetti delle latitudini pi meridionali; eppure anche con questi accorgimenti il
sulta assai spesso grossolano e assai aleatorio.

r i f erimento cronologico ri-

Tuttavia, pur tenendo conto di t u tte queste limitazioni, alcuni indici

di riferimento sono applicabili, in generale, per la popolazione centro-europea, ricavati da numerose osservazioni e classificazioni statistiche. Come
si vedr pi avanti, alcune di queste classificazioni appariranno inesatte e
inutilizzabili: c i ononostante, con ampia possibilit di m o difiche, la di visione dell'et evolutiva i n p e riodi, con r i f erimenti cronologici approssimativi, potrebbe essere la seguente:

63 MASCHI
Periodo Prenatale
Periodo Perinatale
Periodo Infantile propriamente

dal concepiment al t e r mine della f ase f etale


dalla nascita al t ermine della prima settimana

detto

Prima Infanzia
Seconda Infanzia
Fanciullezza
Periodo Prepuberale
Periodo della Crisi Puberale
Adolescenza
Giovinezza

FEMMINE

da 3a
da 7a
da 12 a
da 15 a
da 16 a
da 18 a

fino a 18 mesi
da 18 m esi a 3 a n ni
7 anni
da 3
12 anni
da 6
15 anni
da 10
16 anni
da 14
18 anni
da 15
21 anni
da 18

a 6 anni
a 10 anni

a 14 anni
a 15 anni

a 18 anni
a 20 anni

;:";Ij'g
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CAPITOLO TERZO

IL PERIODO PRENATALE

Le convenzioni e le leggi hanno fissato l'inizio della vita al momento


della nascita, ma evidentemente la vita comincia prima.
Il vero inizio, lo zero matematico del ciclo vitale umano alla
concezione, nel momento in cui il gamete A ed il gamete B diventano
u n semplice zigote AB .

(Gesell1
Numerosi studi e osservazioni hanno consentito la costruzione di crit eri di r i l evazione matematica per la determinazione dell'et reale di u n
individuo, dato che l'evento della nascita varia nei confronti del t empo
di maturit biologica. La nascita di un individuo v i t a l e p u a vvenire
t ra la 26' e l a 4 6 ' s e ttimana dal concepimento: questa zona di 5 m e si
l unari permette evidentemente una grande possibilit di v a riazioni e d i
differenze.
Il pi piccolo neonato vitale, secondo le tavole di crescenza fetale di
Scammon, viene alla luce alla fine della 26' settimana, invece che alla 40',
come la norma: si pu dire che questo individuo sar sempre pi giovane di 14 settimane, in rapporto all'et cronoligica. Al contrario il neonato pi grande viene alla luce alla fine della 44 s e ttimana, e sar pi vecchio della sua et cronologica di quattro settimane. Per questo motivo talvolta si impone una correzione dell'et reale, che tenga conto sia dell'et
cronologica che dell'et del concepimento, questa ricavata con un ulteriore
calcolc.
Riportiamo da Gesell alcune definizioni che chiariscono la situazione
ed il rapporto tra il neonato, l'infante ed il f eto-infante.
Un f e t o u n i n d ividuo (prima della nascita) che si sviluppa nell'utero.
La n a s c i t a
l'utero.

si pr o d uce quando il f et o espulso o estratto dal-

Il p e r

di

i od o

g e s t az i o n e

di u n f e t o c o mincia al conce-

pimento e t ermina alla nascita; i l


l'utero.

t e mp o d i s oggiorno nel-

p e r i o d o f e t a 1 e d i u n i n d i viduo comincia al concepimento


e termina approssimativamente quaranta settimane dopo l ' ult ima mestruazione materna, sia che l'individuo sia nato o n o
p rima di q u esta data. I l p e r iodo f etale coincide cosi con l a
durata normale della gsavidanza.
i n f a n z i a p r o p r iamente detta comincia alla 6ne del p eriodo
f etale. Il s u o t e r mine varia a seconda delle definizioni: p u

essere alla 6ne del primo anno o del secondo o all'acquisizione


d ella deambulazione. Legalmente l'infanzia il p eriodo di m i n orit al di s otto d i 2 1 a n ni .
Un f et o- i n f a n t e
u n i nd i v i duo n ato e i n v i t a d u r ante i l
periodo fetale. (I l s u o p eso alla nascita i n f eriore a 2.500
gr. o i l s u o p e riodo d i g estazione inferiore a 3 4 s ettimane).
Approssimativamente 40 settimane dopo l'ultima mestruazione
materna egli cessa di essere un feto-infante per diventare un
fanciullo nato prima del t ermine.
f anciullo nato p r i m a del te r m in e ( p r e t e r m - i n f a n t )
un antico feto-infante che ha superato il periodo fetale; resta
un fanciullo nato p r ima del t e rmine t u tta l ' i nfanzia.
Un fanciullo n a t o a t e r m i n e ( f u l l -term) un fanciullo il cui
periodo di gestazione approssimativamente di 4 0 s ettimane
(da 37 a 42, o il cui peso alla nascita superiore a 2.500 gr.).
Un f e t o o l t r e t e r m i n e u n f e t o r i masto nell'utero pi di
42 settimane. Alla nascita il feto oltre termine chiamato fanciullo nato o l tre i l t e r m ine e ci pe r t u t t a l ' i nfanzia.
Un n e o n a t o (salvo indicazioni contrarie) un f anciullo nato
a termine, sino a quattro settimane.

L' e t c r o n o l o g i c a

( E . C . ) c o nteggiata a cominciare dalla nascita e i n dica la d u rata della vita f u ori d ell'utero senza
occuparsi della durata della gestazione.

L' e t c r

o n o l o g i c a c o r r e t t a ,' E . C . C . ) l ' et calcolata


sulla fine del periodo fetale senza occuparsi del momento della nascita. l'et reale, corretta dalla deviazione biologica della data della nascita. Nessuna correzione necessaria se la
durata della gestazione di 4 0 settimane.

L' et

d e l p e s o a l l a n a s c i t a l et d e l f e t o i n fante calcolata secondo la legge di crescenza fetale. Coincide grossolanamente con la d urata della gestazione, la coincidenza dipendendo dalla precisione della data di m e struazione.
L' e t f e t a l e esprime l'et del feto non nato e del feto-infante;
in quest'ultimo caso l'et calcolata aggiungendo l'et cronologica all'et del peso di n ascita. Un'et cronologica corretta

69 s ostituisce l'et fetale quando i l


ciullo nato prima del t ermine.

f e t o-infante diventa un f a n-

(A. Gesell, 1953, pp. 17-18)


1. PRINCIPALI DI REZIONI DELLO SVILUPPO.
Nel momento in cui il nucleo dello spermatozoo si incontra e si fonde
con il nucleo dell'ovulo si ricompone il patrimonio cromosomico della cellula e ha inizio il ci clo vitale. I l t e mpo che intercorre tra l ' i ntroduzione
dello spermatozoo e la prima divisione della cellula in altre due si calcola
aggirarsi tra le 24 e le 36 ore.

Fig. III, 1. - Principali direzioni dello sviluppo. (Da E . B . H u rlock, Child D et'elopment, 1972, p. 2 1. U s ed w i th p e rmission of IVlcGraw Hi ll B o ok C ompany,
New York).

Lo sviluppo nel periodo prenatale e nel periodo natale avviene seguendo alcune direzioni principali, riconducibili ad a l trettante leggi:
l a l e g g e c e f al o - c au d a l e : i n a ccordo con questa legge
lo sviluppo ha inizio dalla testa e segue la direzione discendente verso la
coda e le gambe. Le prime a formarsi e a maturare sono le strutture fisiche, fisiologiche e neurologiche della testa, seguono quelle del corpo e per
ultime maturano quelle delle gambe e dei piedi. La d i rezione cefalo-caudale risalta anche nella maturazione delle funzioni motorie: un bimbo po-

sto in posizione prona riesce dapprima a muovere e sollevare il capo, quindi il t r onco e solo tardi giunge ad utilizzare le gambe come sostegno per
alzarsi. A 20 settimane un bambino ha il c ontrollo dei muscoli degli oc-

Fig. III . 2. Illustr azione della legge prossimo distale:


M ani e piedi a 6 , 7 e 8 settimane (ingranditi 10 volte)
a, b: 6 settimane (lunghezza 12 mm); la m ano a p i l a rga del p i ede b
c, d: 7 settimane (lunghezza 19 mm.), aspetto dorsale
e, f: 8 settimane (lunghezza 23 mm.), aspetto plantare

(da A. Gesell, L'embryoiogie du comportement, P.U.F., Paris, 1953, pag. 31).

71 -

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Fig. III. 3. - Periodo P renatale: l e d i m ensioni del c o rpo crescono seguendo le


principali direzioni dello sviluppo. fDa E. B. H u rlock, Child Development, 1972,
pag. 56. Used with permission of McGraw IIill Book Company, New York).

72 chi, della testa e delle spalle, ma il suo tronco ancora flaccido e non gli
permette di mantenere la posizione seduta.
l a l e g g e p r o s s i m o - d i s t a l e : in accordo con questa
legge lo sviluppo procede dalle zone pi vicine alle zone pi lontane dall'asse centrale. N el p r i mo p e riodo prenataIe, per esempio, la t e sta e i l
tronco sono gi sufficientemente sviluppati quando le braccia e le gambe
sono ancora appena abbozzate. Lentamente le braccia si sviluppano, e alle estremit di queste si formano prima le mani, poi. le dita e infine le unghie. Egualmente avviene per la gamba ed il piede.
Dal punto d i v i sta f unzionale tutto ci r i chiede un l ento graduale
p assaggio dalle a t t i v i t m a s s i v e a l l e a t t i v i t s p e c i f i ch e : i l b i m b o u t i lizzer prima le braccia e poi le mani in u n m o vimento impreciso e massivo, e prima le mani e poi le d ita in una coordinazione progressiva sempre pi specifica.

2. LE FASI DEL PERIODO PRENATALE.


Il periodo prenatale usualmente distinto in

t r e f asi:

l a f a s e g e r m i n al e , che va dalla fecondazione sino al


momento in cui lo zigote fermamente impiantato nella parete dell'utero
Questo processo si compie in un t empo di 1 0-14 giorni;
1 a f a s e e m b r i o n a l e, caratterizzata dalla formazione e
differenziazione dei principali tessuti e dei primi organi e richiede un periodo che va dalla seconda all'ottava settimana;
l a f a s e f e t a l e , caratterizzata dall'ulteriore sviluppo dell'organismo; la fase fetale va dalla fine dell'ottava settimana alla fine della
40' settimana.
a. La Fase Germinale.
Dopo la fecondazione lo zigote raggiunge l'utero e vi si impianta. Le
sue dimensioni sono appena quelle di una capocchia di spillo. I n tanto la
testa e la coda dello spermatozoo si sono separate e mentre la coda stata
e sclusa, la testa, ingrandendosi sino a diventare un p r o n u c l e o , si
diretta verso il p r o nucleo dell'uovo. Comincia quindi l a m o l t iplicazione
d elle cellule (mitsi): si hanno prima 2 cellule, poi 4, quindi 8 e 1 6 . A
questo punto i c o n torni d elle cellule cominciano a confondersi ed esse
non sono ben distinguibili. La m o ru l a or a m a i c ostituita d a 3 2

cellule non pi distinguibili.


La fase successiva di 64 cellule prende il nome di b l a s t o c i s t i :
in essa compare una cavit, il b l a s t o c e l e, che separa il b o t t o n e

73 -

DELLO
S PERMATOZO O

ZlG O T E

OTTO CLLULE

OUATTRO CELLULE

PRIMA SEGMENTAZIONE

MORULA

SEDICI CELLULE

l p r imi . tai e m brionali, . urrc sivi a tt a f e r on larionc d i u n


di b la s t ocisti.
novo umano, . n > c hem a t i z zati f i n o alla fa n
l )upo la fecomlazion l a t e t a e l a roda dello .permatozoo si
separano; i a te ~ ta .i ingrandisre in un p r o nurleo e si m u o ve
ver o il pronucleo dell'uovo. !.a prima segmentazione d luogo
a 2 rellule, la seronda a 4, l a t e rza a 8 , l a q n a r ta a 16. A
partire da questo taio i rontorni delle rellule cominciano a
diventare poco distinti. La mornla ha piu o meno 32 rel!Ble,
ma i loro confini sono ancora pifii imlistinti, tanto rhe lc cellule
~embrano fondersi. Pietfa ! i l astori ti p r e c o re, rhe ha a p p r ossi.
matiiamente 64 c eiiule, r ompa e u n a r a . I t: , i l bi t oc e l e , lie

BOTTONE EMBRIONALE~ ~

BLASTOCISTI
PLASTCCELE

circondata, a un p o lo. ila n g r uppo di c ellule detto bottone


emhrionale c da no st r ato unicellulare, il t r o f oblasto. !iucces.

sivamente il bottone emlirionale si dilferenzia formando vari tes.


suti .pecializzati. Lc dimensioni complessivc dell"uovo cambia.
no poco fin quando non si raggiunge lo s tadio di b l a s tocisti.

TROPOBLASTO

Fig. III.4, - (Da R. C. Edwards e R. E. Fowler, Embrioni umani in laboratorio, Le


Scienze, n. 31, marzo 1971, p. 251,

e mb r i o n a l e da u n o s t r ato unicellulare, il t r o f o b l a s t o . Q ue sto comincer piano piano ad avvolgere il bottone embrionale in modo da
proteggerlo.
Dal trofoblasto cominciano quindi a formarsi dei piccoli legamenti a
forma di v i t icci che ncorano fortemente il germe alla parete dell'utero.
Contemporaneamente anche l'utero subisce delle trasformazioni per acco-

gliere il g e rme. I p r o l u ngamenti fi l i f ormi d e l t r o f oblasto si insinuano


negli spazi della membrana dell'utero e a t t raverso gli spazi del sangue
materno.

Ovary,
>s ~Ovum

l'

J~f

t ~

al l o p ian Tube
Sper m

Uterus

~C

erv i x
Vagina

Fig, II I .5. - Diagramma schematico indicante il cammino dell'ovulo e dello sper-

matozoo verso l'utero. (Da Mussen, Conger e Kagan, Child Deoelopment and Perso-

naliti, Ha rper tlc Row Pu. Inc., New Work, 1969, pag. 65).

ecfacferma

Iahcca neurrrfe
ll
fslacca cutanea

lt

t
ertdocferrna

tr

trresocrerma

c(ontn neurafe

ltt8o neurnle

Fig. II I . 6. - Fase E m brionale: f ormazione del t u b o neurale, (Da R , N encini,


Introduzione alla psicofisiologia, O,S., Firenze 1965 pag. 19).

75 A questo punto, circa verso il 1 0 -14' giorno dalla fecondazione, la


fase germinale pu considerarsi conchiusa e ha inizio la fase embrionale.
Il nuovo individuo non ha pi una vita autonoma, ma ha istituito un rapporto di dipendenza con la madre che sar interrotto solo dalla nascita.
b. La Fase Embrionale.
Lo sviluppo dell'embrione, una volta stabilitosi nell'utero materno,
assai rapido. La parte cellulare interna, dalla quale si origina l'embrione,
si differenzia in tre distinti tegumenti o laminelle:
1. l' ec t o d er m a ( l a p a rte pi esterna) dal quale si sviluppano
l'epidermide, la pelle, i capelli, le unghie, parte dei denti, le cellule sensitive e il sistema nervoso.

2. il

meso derm a

( l a p arte mediana) da cui si sviluppano i

muscoli, lo scheletro, il sistema circolatorio e gli o rgani escretori.


3. l' e n d o d e r m a ( l a p a r t e pi i n t erna) che da origine al si
stema gastrointestinale, alla trachea, ai bronchi, al fegato, al pancreas, alle
g hiandole salivari, alla tiroide e al t i m o .
Mentre la parte pi interna della massa cellulare si differenzia dando
origine all'embrione, la p arte pi e sterna (il t r o f oblasto) ha circondato
l'embrione con delle membrane, il c o r i o e l' a m n i o . L e due membrane, assieme ad una terza (la decidua capsularis) originata dall'utero materno, formano un sacco intorno all'embrione e questo sacco si riempie
di un liquido (il l i quido amniotico) che ha il compito di p r oteggere l'embrione dai contraccolpi delle scosse materne e contemporaneamente ne impedisce l'adesione alla membrana amniotica. Intanto si sviluppa il cordone
ombilicale e l'area della placenta.
Tutte queste membrane tengono separato l'embrione dalla madre, in
modo che lo scambio non avvenga mai direttamente. I due sistemi, quello
materno e quello del bambino, sono distinti dalla placenta. La parete cellulare della placenta consiste in una membrana semipermeabile che permette il passaggio dei gas, dei sali e di altre sostanze molecolari molto piccole, ma non di quelle grandi, come, ad esempio, il sangue. Ci permette
il passaggio dei prodotti del metabolismo infantile, come il gas carbonio,
al sistema materno e il ricambio della ossigenazione, ma consente anche la
trasmissione delle vitamine, delle droghe, incluse la nicotina e l ' alcool,
dei vaccini e di alcuni germi patogeni, quali quelli della difterite, del tifo,
della influenza, della sifilide.
Per quanto non vi siano connessioni neurali tra madre e figlio, possibile che gli stati emozionali materni vengano ugualmente trasmessi, ci
perch quando la madre in stato di v ivace emotivit avviene una speci-

76 -

Uterine Blood Vessel

M I

I BI
Space

d
Eetai Villi

Umbilical
Vesicle

Allantois
Zl II
1

Amnion
d,

E mb1yo

Chorion
Lirirlol A n sll u

Decidua Capsularis
Deciriua Vera

Fig. III . 7. - Fase embrionale: diagramma rappresentante ie

relazioni tr a l ' u t ero,


L . C a r michael,Afrtnuei de Ps yehoiogie
de l'enfant, P,U,F., Paris, 1952, pag. 102l.

le diverse membrene e l'embrione. (Da

f ica reazione fisiologica e u n o specifico ormone secerne adrenalina che


viene messa in circolo e passa dal sistema sanguigno materno a quello del

bambino.
Durante il p eriodo embrionale lo sviluppo e Ia differenziazione dell'embrione sono molto rapidi: i l c u ore si forma assai presto e comincia a
battere alla fine della terza settimana. Alla fine del p r im o m ese lunare
l4 settimane) l'embrione misura circa 2,5 mm.: h a un a f o rma cilindrica
e cominciano a f ormarsi dei f ilamenti che corrisponderanno al t ubo gastrointestinale e al canale cerebrospinale.
Alla 6ne del secondo mese lunare l'embrione ingrandito dieci volte
e raggiunge i 25 m m . ; i l s u o aspetto 6sico diventa decisamente umano.

Si evidenziano la faccia, la bocca, gli occhi: la coda, preminente nel per iodo precedente, oramai ridotta ad un p i ccolo tubercolo. Alla fine d i
questo periodo l'embrione pu essere chiamato f e t o . N o n s embra che
durante tutto il p eriodo embrionale vi sia stata attivit neuromotrice ben
de6nita, I n q u esto periodo sembra che i l b a m bino sia particolarmente
vulnerabile specie per le affezioni interessanti il sistema nervoso, almeno
pi di quanto lo sar nelle ultime 8 settimane: per esempio se la madre
contraesse il morbillo in questo periodo ci sarebbero maggiori probabilit

77 per il figlio di d iventare deficiente mentale, di quante ce ne sarebbero se


la malattia della madre sopravvenisse durante le ultime otto settimane.
c. La Fase Fetale.
Il terzo periodo dello sviluppo prenatale si estende dalla fine del secondo mese alla nascita (se avviene entro l a 40 ' s ettimana). In q u esto
tempo diversi sistemi del corpo, appena abbozzati nello stadio precedente,
a rrivano a maturazione permettendo, alla fine, all'individuo una vita i n dipendente. Verso la met dell'ottava settimana il f eto fluttua tranquillamente immerso nel l i quido amniotico; comincia a r ispondere a stimolazioni tattili; i l t r onco flette e la testa si estende. Da questo punto di vista
molte funzioni motorie si fanno differenziate e complesse.
Alla fine del t erzo mese il f eto l u ngo circ; 7 6 m m . e p esa circa
110 gr. Il sesso chiaramente distinguibile. Anche sc il f eto capace di
alcuni movimenti spontanei riguardanti le b r accia, il s i stema nervoso
ancora molto incompleto.
C irca alla 24 ' s e t timana gli o c chi s ono completamente formati e
sulla lingua si nota una certa sensibilit al gustc'. Il feto capace di ispirazioni ed espirazioni e in f eti n ati prematuri stata osservata una certa
capacit di gridare. I m ovimenti ritmici del torace del feto percepibili att raverso il corpo materno, rappresentano un fenomeno assai noto con i l
nome di
m o v i m e n t i r e s p i r a t o r i d ' A h l f e l d . Poich in
questi movimenti respiratori non p ossibile chc entri aria nei p olmoni
del feto, immerso com' nel liquido, per lungo tempo gli antichi pensarono che questi respirasse dell'acqua, Oramai definitivamente appurato
che gli scambi gassosi nei mammiferi si producono solo nella placenta tra
le correnti sanguigne della madre e del feto.
Dal punto di vista teleologico stato suggerito che questi movimenti potevano essere considerati come la preparazione degli atti
respiratori che si p r oducono alla nascita. Nel f eto si considera che
tali movimenti provocano solamente un flusso e reflusso di l i q uido
a mniotico nella trachea ma, in quanto movimenti, esercitano e f o r tificano il meccanismo neuromuscolare della respirazione. possibile
che questo comportamento sia legato alla messa in f u nzione della
attivit r i t mica dei centri r espiratori del s i stema nervoso centrale.
In conseguenza stata proposta una t eoria secondo la q u ale non
b isogna considerare la nascita come il m o mento in cu i h a i n i zio l a
respirazione ritmica. conducendo questa idea pi l ontano, si suggerito che questi movimenti prenatali del petto sono scatenati, come
i rnovimenti r espiratori d ell'adulto, dal c ambiamento della concentrazione dei metaboliti nel sangue che agirebbe sui centri respiratori
del sistema nervoso centrale.

78 C ombinando le i dee relative ai m o vimenti respiratori del f e t o


e alla loro causa, stato suggerito che i movimenti generali del corpo,
attivi e p a ssivi, possono a ll'occasione impedire l a circolazione nel
cordone ombelicale. Questa ostruzione meccanica del cordone ombelicale porta come conseguenza un aumento della tensione del gas
carbonico nel sangue. Questa, dal canto suo, pu provocare una facilitazione dell'attivit o d e l l 'attivazione dei centri a p propriati d el
cervello e cosi scatenare i movimenti grazie ai quali le relaziom meccaniche del feto e del cordone sono modificate in modo tale che la
circolazione placentaria r i s tabilita. Se consequenzialmente queste
ipotesi sono esatte, quella che viene chiamata la prima respirazione
del fanciullo pu essere considerata come solamente una modificazione del modo i n cu i l o s t esso meccanismo neuromuscolare determina la ossigenazione del sangue.

(L. Carmichael, 1952, I, pag. 168-169l


L'et fetale di 28 settimane (eccezionalmente di 26 ) rappresenta un
traguardo importante: segna la zona tra la vitalit e la non vitalit. A questa et il sistema nervoso, il sistema circolatorio e altri sistemi del corpo
umano sono pressoch completi e in condizione di assicurare una vita extrauterina indipendente. Studi sperimentali dimostrano che feti-infanti a questa et hanno alcuni sistemi sensitivi sufficientemente sviluppati che consentono, ad esempio, reazione al dolce, al salato, all'acido e all'ai nao, come anche agli odori fondamentali. Invece le reazioni visive e uditive sono ancora
molto grossolane. Sembra inoltre che la sensibiht a] dolore sia relativamente assente.
Il periodo tra la 28' settimana e la nascita segna un rapido evolversi
e maturare di tutti i s i stemi e delle strutture comportamentali di base.

3. LE INFLUENZE AMBIENTALI.
Durante tutto i l p e riodo prenatale l'individuo esposto a influenze
ambientali esterne le quali, nonostante l'isolamento amniotico e la protezione placentare, riescono a raggiungerlo. In alcuni casi tali influenze possono
provocare modiftcazioni organiche e funzionali anche di notevole gravit.
Ricordando che la parete placentare, isolando il feto, contemporaneamente consente lo scambio delle sostanze gassose e di quelle altre sostanze
che riescono a filtrare attraverso gli spazi intercellulari, sar bene indicare
alcune situazioni ambientali che possono produrre condizionamenti e mo.
dificazioni tra i pi gravi:
l a d i e t a mat e r n a
n e l periodo della gestazione. Studi condotti soprattutto nell'Universit di Toronto hanno dimostrato la esistenza

79 di una relazione diretta tra dieta materna e numerosi fenomeni sia legati
al parto, come l'aborto, la prematurit, la nascita di i ndividui morti, sia
legati a disturbi quali l ' anemia, le bronchiti, l'asma che si verificano nei
neonati. stato accertato che la carenza di proteine nella dieta materna
pu avere come conseguenza tanto la prematurit quanto la formazione di
difetti neurologici dell'infante. Inoltre, poich la mielinizzazione delle fibre
nervose nel feto umano avviene normalmente verso il settimo mese della
gravidanza, possibile che, se il feto non riceve sufficiente nutrizione in
quel periodo, perch ad esempio la madre male nutrita, la mielinizzazione venga ostacolata. Questo difetto si r i fl ette sul f u nzionamento del
cervello e potrebbe costituire per il neonato causa di ritardo mentale.
le
d r o g h e . A lcu n i e l ementi chimici che compongono certe
droghe possono filtrare attraverso la placenta e passare dal sistema sang uigno materno al sistema sanguigno del feto. Clamoroso alcuni anni f a
stato il caso del t a l i d o m i d e i n r e lazione alle molformazioni strutturali di cui fu r i tenuto responsabile. stato anche provato che le droghe
somministrate per alleviare alle madri l'ansia e il d olore durante il parto
influiscono sui neonati nei quali si manifesta una forte depressione dell'attivit corticale. Pare, tuttavia, che tale influenza negativa scompaia verso il
terzo giorno senza lasciare tracce apprezzabili. possibile che la nicotina
produca una reazione chimica filtrabile attraverso la placenta ( stata per
esempio accertata una accelerazione del battito cardiaco fetale nei momenti
in cui l a m adre fuma), tuttavia ci non sembra che porti m o dificazioni
durevoli nel sistema circolatorio infantile, non almeno quando il t asso di
nicotina ispirato dalla madre rimane relativamente basso.
m a la t t i e
m a t e r n e dur a nt e la gravidanza. stato accertato che il v aiolo, i l m o r billo, l a v aricella, gli orecchioni contratti dalla
madre durante la gravidanza possono essere trasmessi direttamente ai feti.
Il diabete, specie se in fase acuta durante la gravidanza, pu produrre nel
feto anormalit di t i p o c i rcolatorio o r espiratorio. Toxemie o emorragie
materne producono nel feto disfunzioni interessanti l'apparato circolatorio.
L'esperienza, infine, dimostra che la gran parte dei ritardati mentali
ha avuto la madre con disturbi fisiologici durante la gestazione.
s t a ti
e m o t i v i del l a m a dre. Emozioni come rabbia, paura,
ansia mettono in azione il sistema nervoso autonomo della madre con la
conseguente liberazione di s ostanze chimiche lacetilcolina e e pinefrinai
che vengono immesse in circolo. Inoltre in queste condizioni le ghiandole
endocrine, specialmente le surrenali, secernono diversi ormoni che ancora
si riversano in circolo; il m etabolismo cellulare viene cosi modificato e le
sostanze chimiche trasmesse, attraverso la placenta, al sistema sanguigno
d el feto. Come conseguenza si potuto notare, nei feti, uno stato di i r r i tazione con conseguente accelerazione di m o vimenti corporei. Spesso lo

5p '

gi ~g-~ -.''.;,="' .: ',,','""'- t '":--"

Fig. III. 8. - Caratteristici effetti d ella talidomide. (Da E.B, Hurlock, Child Development, 1972, .pag. 61, Used with permission af MacGraw Hill Book Company,
New York).

stato ansioso materno ha come correlazione, nei neonati, episodi di coliche refrattarie a qualunque trattamento medico. La forte ansiet mal predispone la madre al p arto e q u esto stato di t ensione pu aumentare il
travaglio e quindi l a sofferenza infantile. In b r eve, l'ansiet, l'irritabilit
e la instabilit emotiva materna durante la gravidanza agiscono negativamente sul feto e costituiscono un handicap per l'adattamento ambientale
del neonato. difiEcile valutare la durata delle conseguenze di tali disturbi
anche perch assai problematico distinguere, ad un certo punto, tra con-

dizioni prenatali e condizioni postnatali nelle reazioni infantili.

81 4. LA VITA PSICHICA NEL PERIODO PRENATALE.


Ci si chiede se l'individuo, durante il p eriodo prenatale, nella condizione intrauterina, possieda una p r opria v i t a p sichica: l e r i s poste a
questo interrogativo sono state diverse, a seconda del punto di v i sta dal
quale ci si collocati.
nota, ad esempio, la soluzione religiosa di questo problema, in armonia con la dottrina del peccato originale che richiede la presenza di una
coscienza gi formata alla nascita e quindi preesistente ad essa.
Dal punto di v i sta psicologico le risposte possono essere diverse a
seconda del significato che si vuol dare alla espressione vita psichica.
Se con essa si intende volontariet ed intenzionalit di risposte a stimolazione coscientemente apprese la r i sposta non potr che essere negativa
in tutti i sensi; infatti evidente che una simile organizzazione della vita
psichica richieda un pi m aturo sviluppo delle vie nervose e dei centri
corticali. Sappiamo con certezza che la mielinizzazione delle vie nervose
ha inizio verso il settimo mese di gravidanza, e ci non significa soltanto
che prima di quel periodo non vi pu essere corretta conduzione nervosa,
ma anche che questa non si completa in 60 giorni.
logico pensare, quindi, che una vita psichica intensa non esista e
non possa esistere per il f e to. T u ttavia una concezione cosi esclusivistica
di ci che vita psichica sarebbe troppo restrittiva e non solo vieterebbe
di parlare di una psicologia animale riferita alle specie inferiori, ma anche
finirebbe per escludere dalla ricerca psicologica tutto ci che non f osse
nella coscienza o in p otenza o i n a t to . I l c h e era poi i l m o d o i n t rospezionistico di i ntendere la psicologia.
Se, al contrario, per vita psichica intendiamo ogni tipo di c o mportamento, sia esso volontario o sia riflesso, allora evidentemente anche il
feto avr la sua vita psichica. Non vi dubbio, infatti, che nella vita intrauterina il f eto sia provvisto di u n sistema motore funzionante, capace
di risposte a determinate stimolazioni, specialmente tattili, gustative e olfattive, e abbia alcuni modelli strutturali di comportamento la cui traccia
rimane e riemerge in alcune circostanze dello vita postnatale. Tale , ad
esempio, la p o s i z i o n e f e t a l e ,
mod e ll o comportamentale intrauterino che costituisce una struttura la quale, per l ' appunto, pu r iemergere in determinate situazioni d'ansia come meccanismo di difesa interpretabile, ad esempio dalla corrente psicoanalitica, in termini di regressiove.
La scuola psicoanalitica ha basato molte interpretazioni di comportamenti anormali o p a ra-normali proprio sul r i f erimento a s i tuazioni prenatali e perinatali che in q u alche modo lascerebbero delle tracce nel sistema nervoso dell'individuo.

CAPITOLO QUARTO

IL PERIODO PERINATALE

Si gi visto quanto sia errato considerare 'la nascita come il punto


zero della vita di un i n dividuo: egli di n orma ha cominciato a vivere 40
settimane prima. Quando viene alla luce si porta dietro un n otevole bagaglio di esperienze: talvolta sar persino possibile dire che tutta la sua
vita futura s t ata segnata, condizionata, da t alune esperienze negative
subite nel periodo intrauterino.
Per quanto problematica sia la interpretazione del valore psicologico
di queste esperienze, non vi dubbio che l'individuo umano nasce con un
organismo sufficientemente sviluppato e i n g r ado d i a f f rontare reattivamente le prove alle quali verr sottoposto. Egli h a u n s i stema nervoso
attivo e un numero di cellule corticali pari a quelle dell'adulto: esse non
aumenteranno pi, anche se aumenter, per lo sviluppo dendritico e degli
assoni, il v o lume complessivo del cervello. Tuttavia, poich la caratteristica del neurone quella di non riprodursi, qualunque distruzione di corpi cellulari del sistema nervoso sar insostituibile.
Il presente capitolo intende indicare brevemente quali siano .i rischi
strutturali che l'individuo deve correre per venire alla luce, e quali conseguenze psicologiche siano apparse correlate ai principali incidenti organici; delineer, inoltre, i l i miti del bagaglio di esperienze e di connessioni
neuronali che il neonato possiede per far fronte alle nuove situazioni.
Per quanto l'aBermazione non manchi di s uscitare qualche perplessit, qualcuno propenso a credere che durante il periodo passato in con.dizioni intrauterine il f eto abbia avuto modo d i a p p r e n d e r e q u a lcosa lad esempio, $a suzione del dito parrebbe pi un apprendimento che
un vero riflesso); altri, con maggiore cautela, si l i m itano ad elencare il
corredo comportamentale del n eonato e a d i n t e rpretare le r i s poste alle
nuove stimolazioni ambientali come r i f l e s s e , e c i o come reazioni
guidate da connessioni nervose preformate e indipendenti da qualsiasi apprendimento. Lo scarso sviluppo della corteccia cerebrale, la insufficiente
ossigenazione di essa, la mancanza di gran parte delle connessioni neurali
corticali, il li mitato processo di mielinizzazione delle vie nervose cio che
questi ultimi i n v ocano a sostegno della propria i nterpretazione che, in
termini pi comuni e meno esatti potrebbe tradursi col dire che alla.na.scita ir o m portamenti del.neonato sono involontari.

a appren d
ere, e comincia
R comunque certo che il neonato pronto ad
subito ad apprendere.
Il presente capitolo non intende affrontare la polemica sulla esistenza
o meno i a p p rendimenti prenatali: si l i m ita soltanto ad indicare, in una
sintetica rassegna, i risultati delle osservazioni fatte sui neonati.
Per quanto riguarda la situazione senso-motori' a, i'1m et o do 'i stu 'io
la
non potendo essere che quello 'c o m p o r t a m e n t a l e
'
t
l erlo l n t e r p r e t at lv o u t l l z delle inter pr etazioni tr atte sar relativa al cC
r i teri

B
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podaliea (B) a l m omento
Fig. 1V. 1. - Presentazione normale (A) e p resentazione

ar o.

u r l o ck,Child D e velopment 1 972 a .

mission of ivfcGraw Hi 'l l Book C.omp any, New York).

87 zato; cosi, ad es., dire, come si far, che la durata ottimale di una stimolazione uditiva di circa 5-15 secondi potr essere una buona conclusione
se il criterio interpretativo i n q uesto caso legato all'aumento del ritmo
respiratorio del neonato, ad alcune sue reazioni pupillari, ecc. sar un
buon criterio. Niente tuttavia vieta di ipotizzare che il neonato continui a
prestare attenzione allo stimolo uditivo anche quando queste risposte siano
diminuite o scomparse.
Per quanto riguarda, invece, le emozioni presenti alla nascita, sar
bene tener presente che il termine e m o z i o n e qui ut ilizzato nel suo
significato comportamentalistico: viene cio chiamata emozione una risposta comportamentale organizzata che comprenda tutta u na s erie di r e a zioni in qualche modo collegate tra loro. Ci, senza affermarlo esplicitamente, non esclude la possibilit di i p o tizzare concomitanti psicologiche
di tipo percettivo o, per u ti l izzare ancora un vocabolo del linguaggio comune, interiore.

1. ASPETTI MECCANICI E CHIMICI DELLA NASCITA.


Si chiama periodo perinatale il tempo che intercorre tra l'inizio delle
doglie e il primo ambientamento del neonato, che avviene nei primi tre o
quattro giorni d alla nascita.
NA s c I T A i l t e r m ine che si adopera per indicare il p assaggio
di, un individuo dallo stato intrauterina a quello extrauterino. Si compie
quando le contrazioni dell'utero rompono le membrane fetali ed espellono
l'individuo attraverso le vi e genitali. Questo avvenimento, rompendo il
rapporto parassita del bambino con la madre, richiede la capacit del neonato di v i v ere una v it a autonoma. Talvolta gli effetti d ella nascita sul
neonato sono trascurabili, talvolta invece provocano delle conseguenze di
natura e di entit differenti, anche gravissime.
L'esperienza della nascita l egata, in p r im o l u ogo, alla meccanica
stessa del parto ed in rapporto alle modalit con le quali questo avviene.
Una anamnesi accurata di q u alsiasi soggetto che manifesti disturbi d el
comportamento non pu t r ascurare i p a r ticolari r i guardanti l ' esperienza
della nascita.
Si chiama p a r t o n o r m a l e o spontaneo il parto che avviene
quando la posizione del corpo del nascituro in rapporto alla posizione degli organi genitali materni permette la presentazione del capo del bambino,
quindi delle spalle e di seguito delle restanti parti del corpo. Si parla in
questo caso di parto e u t o c i c o .
Ma il nascituro pu, alle volte, essere troppo largo in confronto agli
o rgani materni e ci pu provocarer sia la presentazione cosi detta p o d a l i c a o posteriore (nella quale appaiono per prime le parti posteriori),

sia la presentazione detta t r a s v e r s a , po s i zione questa che pu e


deve essere mutata prima del parto, anche con l'aiuto di particolari strumenti. Tutte le volte che il parto si presenta con difFicolt e richiede l'uso
di strumenti, si parla di parto d i s t o c i c o .
Con l'aiuto dei raggi X possibile, alcune settimane prima del parto,
conoscere la posizione assunta dal nascituro e intervenire eventualmente per
correggerla. A v o lte i nfatti pu. capitare che il f eto sia posto trasversalmente e abbia iniziato un processo di insinuazione in una fenditura della
parete addominale materna. questo il caso della s e z i o n e c e s a r e a
che richiede un particolare intervento chirurgico per la estrazione del nascituro, intervento noto come taglio cesareo.
Queste diverse modalit di presentazione possono rendere il parto assai travagliato e pi lungo del normale: non bisogna dimenticare che per
tutto il periodo del parto l'individuo si trova in uno stato di transizione e
deve quindi sopportare degli sforzi e d elle enormi f atiche per sopravvivere. Nell'ambiente fetale, infatti, il b ambino dipende dall'organismo materno per la respirazione, per la digestione del nutrimento e l a p r eparazione delle sostanze nutritive, per l e f u n zioni escretorie, per l a r egolazione termica etc. Durante la nascita le relazioni circolatorie con l'organismo materno (tramite il cordone ombilicale e la placenta) sono dapprima
turbate, poi interrotte. necessario, quindi, che a poco a poco la vita vegetativa autonoma si sostituisca a quella parassita e che la prima ossigenazione indipendente si produca entro un t ermine ragionevole e sopportabile, pena l'asfissia. Fino al momento in cui si manifesta il grido della
nascita i p o l m oni no n sono stati mai gonfiati e no n h anno esercitato
la loro funzione.
Su questo ;grido della nascita sono state avanzate diverse teorie,
a cominciare da quella suggestiva ma poco scientifica del g r ido di p r o testa, sino a quelle pi accettabili che ne danno interpretazioni meccan iche. Pi convincente la teoria che, rifacendosi al fenomeno dei m o vimenti ispiratori d'Ahlfeld, r i t iene l'inizio della respirazione polmonare
legato alla concentrazione nel sangue di CO' che, superando il tasso critico,
agisce direttamente sui centri nervosi preposti ai movimenti respiratori,
Nello stesso momento in cui comincia la respirazione, le valvole del
c uore entrano in azione per consentire l a p i ccola circolazione: d ' ora i n
avanti, invece di passare per la placenta, il sangue del neonato coler direttamente verso i polmoni e ne verr da questi ossigenato.
Le pressioni alle quali i l n ascituro sottoposto durante il t r avaglio
della nascita danno luogo, talvolta, alla frattura di ossa nel momento in
cui avviene l'attraversamento delle vie genitali. Ma le conseguenze pi comuni sono le emorragie traumatiche e l ' anoxia. Si t r atta nella maggior
parte dei casi, di emorragie di trascurabile entit che vengono riassorbite
rapidamente; a volte per le emorragie sono pi gravi e colpiscono centri

89 nervosi vitali, causando la morte, oppure la distruzione permanente di una


funzione. Le emorragie si sono dimostrate altamente correlate con la debolezza mentale. Talvolta la loro conseguenza si fa notare nell'imperfetto
funzionamento degli organi della vi sta e d ell'udito o , a d dirittura, nella
perdita di tali funzioni.
L'altro grave pericolo che incombe nei travagli lunghi la a n o x i a
e cio la insufficiente ossigenazione. I neuroni del sistema nervoso centrale
hanno bisogno di ossigeno per vivere; se l 'ossigeno viene a mancare le
cellule muoiono Se la morte interviene per un gran numero di neuroni il
bambino pu soffrire di danni al cervello e persino morire. La anoxia ha
diverse conseguenze nell'adulto e nel bambino, Dal punto di v i sta generale il cervello costituito di due parti: l a c orteccia cerebrale, responsabile delle funzioni superiori come la percezione e il p ensiero, e la base,
responsabile delle coordinazioni motorie. L'anoxia nei neonati colpisce preferenzialmente la base del cervello, negli adulti colpisce la corteccia. Quando sono colpite le cellule della base cervicale si manifestano soprattutto
difetti d i t i p o m o t orio, quali l e p aralisi delle braccia e delle gambe, il
tremore della faccia o delle dita o l ' i nabilit nell'uso dei muscoli vocali.
In alcuni casi vi pu essere difficolt nell'imparare a parlare. Il t e r mine
generale di paralisi cerebrale perinatale descrive una serie di deficienze motorie associate a danni delle cellule del cervello ed molto spesso legato
a deficienza o mancanza di ossigeno durante il processo della nascita.
Le conseguenze di una lunga assenza di ossigenazione durante il parto
sono ben conosciute. Meno certi s i n e ll a d eterminazione delle conseguenze di una lieve mancanza di ossigeno durante il parto. Sono stati condotti degli studi per determinare il rapporto tra la anoxia lieve e i disturbi
del comportamento: due gruppi di bambini, il p r imo di n ati con il p arto
normale, il secondo di nati con parto che aveva causato una lieve anoxia,
s ono stati studiati parallelamente per 5 o 1 0 a n n i : si potuto stabilire
che le differenze di comportamento, abbastanza evidenti nei primi due o
tre anni, scompaiono successivamente, cosi che a 7 o 8 a nni r i usciva difficile distinguere i fanciulli del p r imo e del secondo gruppo. In generale
si pu dire che, sulla base di test psico-motori, possibile riscontrare un
certo ritardo nei bambini anossici durante il p r imo anno, ma gi nel secondo questo ritardo quasi scompare, I b a mbini anossici mostrano una
maggiore lentezza di riflessi ed una maggior difBcolt nella coordinazione
dei movimenti, specialmente oculari. I fanciulli anossici tuttavia rimangono
sempre pi facilmente distraribili degli altri e mostrano, ancora a sette anni,
difficolt in compiti di v ario genere, quale, ad esempio, quello di copiare
un disegno posto davanti a loro.
Il p r e m a t u r o , det t o nel linguaggio di Gesell feto-infante, un
bambino nato pr ima della 37 ' s ettimana dalla ultima mestruazione materna, o il cui peso alla nascita sia inferiore a 2.500 grammi.

90 -

Il 7,6% dei nati negli ospedali degli U.S.A. sono considerati prematuri. I l p r e m aturo appare grinzoso, c on la p elle t r asparente, con l a
testa sproporzionatamente larga, con povert di t ono muscolare, con occhi prominenti e l argamente spaziati. Gl i s t udi l o ngitudinali sui p r ematuri mettono in evidenza che questi rimangano normalmente al di s o tto
della media in peso ed altezza fino a 5 o 6 anni e ottengono punteggi pi
b assi della norma nei tests cognitivi e di sviluppo motorio per tutti i p r i mi 5 anni di vit a.
Uno studio condotto per 5 anni da D r i l lien e El lis (1964) su 1000
bambini scozzesi, una parte dei quali nati prematuri, ha mostrato che fino
ai 4 anni i prematuri di tutte le classi sociali avevano un quoziente di sviluppo pi basso dei bambini nati a termine ma i prematuri appartenenti
alle classi sociali pi basse avevano i punteggi pi bassi di tutti. A l tr i studi sui prematuri dimostrano che questi bambini sono, pi dei bambini normali, soggetti a fenomeni di anoxia, a perdita di p eso, a i nfezioni postnatali.
I n sostanza il prematuro differisce assai dal normale per i p r i m i 5
anni della sua vita, in proporzione al suo grado di prematurit: esso appare pi distraibile lpi labile attentivamente) e in r i tardo nello sviluppo
motorio e cognitivo. I bambini al gradino pi basso della prematurit vanno spesso incontro a danni del cervello e a serie deficienze psicologiche.
Vi e t u ttavia da osservare che il m i nor grado di sviluppo cognitivo
e motorio, la minor autonomia e la maggior cagionevolezza e fragilit nervosa dei prematuri nei primi 5 anni di v i ta, sono spesso da imputarsi anche all'eccesso di cure materne, alla situazione di bambini ipetprotetti che
essi assumono in seno alla famiglia e che pu impedire un normale contatto con l a r ealt e q u indi u n n o r male sviluppo delle funzioni f ondamentali.

2. IL TRAUMA DELLA NASCITA.


La scuola psicoanalitica interpreta la nascita come un trauma psichico
risultante dalla rottura della relazione fetale con la madre, Adler ad esempio sosteneva che il g r ido della nascita fosse un segnale dell'improvviso
e opprimente senso di inferiorit che coglie il neonato al momento in cui
viene posto in un a n u ova e c omple.sa situazione. Questo ha suggerito
la costruzione di una teoria che fa dipendere il futuro sviluppo della personalit dagli effetti della nascita. Cosi Otto Rank ha sviluppato una teoria secondo la quale lo shock della nascita causa di un'ansia primaria
od originaria (Urangst) fondamento di t u tt a l ' ansiet della vita. Secondo
Rank la nascita interromperebbe lo stato comodo e piacevole della vita
intrauterina. A s eguito dell'ansiet conseguente alla nascita, il b ambino

91 manterrebbe per tutta la vita un i nconscio ardente desiderio di r i t ornare


alla piacevole sicurezza della vita nel grembo materno. In q u esto modo
la scuola psicoanalitica giustifica comportamenti particolari, quali appunto
quelli descritti a proposito della struttura comportamentale fetale che riemerge in particolari stati d'ansia; cosi il b i sogno di n o n v edere e non
sentire e d i c o prirsi la testa nei momenti di p ericolo s' fatto rientrare nello stesso tipo di interpretazione.
E d'altra parte, l'ansia della nascita, con la sua relazione in specie ai
fenomeni di a n ossia, potrebbe giustificare t utta quella serie d i f o b i e
particolari che si esplicitano con la repulsione a stare in l uoghi chiusi e
angusti, ad attraversare gallerie e stanze buie, evidentemente tutti simboli
del passaggio attraverso le vie genitali materne durante il t r avaglio della
nascita.
Queste interpretazioni psicoanalitiche sono tuttavia messe in dubbio
da altri psicologi i quali ritengono impossibile, per ragioni di natura fisiologica, l'esistenza di un qualunque tipo di m emoria psicologica degli av.
venimenti della nascita e, peggio, del benessere prenatale. R noto, infatti,
che il cervello del bambino al momento della nascita non ancora totalmente sviluppato e soprattutto che l'ossigenazione placentare non sufficiente per attivare totalmente i centri n ervosi del cervello. B s oltanto
con la respirazione polrnonare, e cio d opo i l f a t i dico grido della nascita che la ossigenazione diventa sufficiente per la completa irrorazione di
tutto il cervello. Ci porta alcuni a sostenere che non si pu logicamente
sostenere che esista memoria dei fatti p recedenti alla nascita e della nascita stessa.
Ciononostante non si pu negare che la nascita costituisca un vero e
proprio trauma, nel senso fisico e nel senso fisiologico, e che questo trauma non lasci delle tracce nel sistema nervoso e nelle strutture anatomiche
e funzionali dell'individuo, le quali t r acce finiscono sempre per tradursi
in modelli comportamentali particolari di ciascuna esperienza. Con il t ermine trauma della nascita si pu quindi intendere tutta quella serie di
effetti meccanici e chimici che non possono non condizionare il successivo
sviluppo e il successivo comportamento dell'individuo.

Cosi, ad esempio, evidente che la epilessia sar pi frequente in


individui nati in posizione podale che in quelli nati spontaneamente o con
taglio cesareo, in q uanto t ali d i sordini derivano da danni sofferti d alle
cellule cerebrali per mancanza di ossigeno. Le posizioni trasverse dei nascituri, richiedendo l'intervento di s t r umenti chirurgici, possono indirettamente essere all'origine di ingiurie al cervello. In genere gli effetti della
nascita sono in r apporto alla durata e alle difficolt del parto. Tu ttavia
non bisogna dimenticare che anche un parto t r oppo rapido (precipitato)
pu essere causa di anormale sviluppo intellettuale, e ci perch nel parto
precipitato pu avvenire una troppo rapida e massiva immissione di ossi-

92 geno, con conseguenze analoghe alla anossia (Yacorzynski e Tucket, 1960).


In genere le conseguenze del trauma della nascita scompaiono nel
giro di alcuni giorni, ma, nei casi pi gravi, possono perdurare anche alcuni anni.
Studi effettuati da Pratt (1952) hanno messo in risalto alcune correlazioni fra fattori differenziali e conseguenze del parto. Cosi, ad esempio, si n o t ato una maggior percentuale di d anni cerebrali nei maschi
che nelle femmine: l a i n t erpretazione che stata data di q u esto fenomeno b asata sull'osservazione che il cranio dei m aschi ha i n g enere
maggior larghezza media di quello delle femmine, e che, quindi, al m o mento del passaggio nel canale della nascita, il cranio dei maschi soggetto a maggiori pressioni.
Benda (1954) e G r enhill ( 1 957) hanno invece trovato una correlazione positiva tra malformazione e danni cerebrali perinatali e razze non
bianche, in particolare negre. L'interpretazione di questo fenomeno si richiama alla minore assistenza medica che le madri negre, come gruppo,
ricevono nei confronti delle madri bianche al momento del parto. La conferma venuta da un controllo effettuato nelle classi pi povere dei bianchi ove l ' incidenza delle malformazioni e de i d anni cerebrali a pparsa
paragonabile a quella riscontrata tra i n egri.

3, L'ADATTAMENTO PRIMARIO ALL'AMBIENTE.


Il neonato che lascia il suo ambiente prenatale al quale si era adattato, deve al pi presto possibile riadattarsi al nuovo ambiente nel quale
viene a trovarsi, pena la morte: ma questo nuovo ambiente pieno di stimolazioni di ogni genere che sono causa di gravi disturbi e d i d i f iicolt.
Dalla rapidit e capacit di accomodarsi al nuovo ambiente dipende la normalit o anormalit funzionale e psicologica del neonato, e persino la sua
stessa vita. un p rocesso urgente che richiede impegno e fatica e che ha
come conseguenza pi immediatamente evidente una perdita di p eso, il
cosi detto calo fisiologico della prima settimana.
I principali e pi i mportanti tipi d i

a dattamento sono:

A d a t t a m e n t o a i c a m b i a m e n ti del l a t e m p e r a t u r a . N e ll a vita intrauterina il f eto viveva in un ambiente a temperatura costante di c i rca 3 7,5"; d opo l a n ascita l a t e mperatura ambiente
oscilla in continuazione.

A d a t t a m e n t o alla r e s p i r a z i o n e . Ne l l a v i t a i n t rauterina il f e t o r i ceveva l'ossigeno necessario al suo sangue attraverso il


cordone ombilicale; immediatamente dopo l a n ascita deve cominciare a

93 respirare ed imparare a respi.rare, il che provoca dolori muscolari, senso


di soffocamento, rantoli, sbadigli, starnuti, tosse, ecc. fino al momento in
cui non si t r o v ato e stabilito i l r i t m o d i r e spiro adatto alla p ropria
esigenza di ossigeno.
A d a t t a m e n t o a p r e n d e r e il n u t r i m e n t o . B e n ch il riflesso di suzione sia generalmente presente alla nascita, il neonato
incapace di accettare immediatamente il n u t rimento per una vi a t anto
diversa da quella cui era stato abituato. Egli deve inoltre abituarsi al ritmo
del nutrimento regolato dall'esterno e non in base a quelli che erano, nella
vita intrauterina, i suoi i mmediati bisogni. Ci spesso la causa princi-

pale della perdita di peso.


A d a t t a m e n t o all e f u n z i o n i e s c r e t o r i e . A v o l t e
appena dopo pochi minuti, altre dopo ore dalla nascita, gli organi escretori
cominciano ad eliminarre tutti quei prodotti che fino a quel momento venivano eliminati attraverso il cordone ombilicale e la placenta. Ci causa
di irritazione, contrazioni, dolori, ma anche di improvvise sensazioni di benessere.

4. I COMPORTAMENTI PRESENTI ALLA NASCITA.


Dotato di un sistema motorio ben sviluppato il neonato capace di
comportamenti reattivi in rapporto al diverso stato della sensibilit. Da un
punto di vista evolutivo, infatti, possibile dire che le strutture psico-motorie si sviluppano prima di q u elle sensorie, il ch e costituisce un altro
esempio di tipo di d i fesa ontogenetico.
al L e

r eazi o n i

se n so r i e .

Reazioni visive. Il n e o nato reagisce alla luce, ma non s icuro che


possa reagire in maniera differenziata alle differenti stimolazioni delle lunghezze d'onda o a ll a complessit caratteristica dello s timolo visivo. L a
difficolt incontrata dipende in p arte dalla ancora assente coordinazione
dei muscoli oculari, che impedisce la messa a fuoco dell'oggetto, e in parte
dalla estrema faticabilit e labilit attentiva del neonato. R cosi possibile
c he per alcuni istanti un n eonato segua con lo sguardo un p u nto l u m inoso che si muova lentamente entro il suo arco visivo e che a questa stimolazione si accompagnino altre risposte riflesse di t i p o r espiratorio o
circolatorio: ma ben presto l'attivit si esaurisce.
Reazioni uditive. Il neonato non affatto sordo, ma sembra poco probabsle che sappia discriminare l'altezza degli stimoli uditivi. A parte quelle
che possono essere le discussioni teoriche in proposito ed i v ari t entativi
di trovare delle spiegazioni ai diversi fenomeni reattivi che si verificano,

94 sembra certo che le reazioni del neonato si modifichino in r apporto alla


intensit e durata degli stimoli ud itivi. Se i s u oni sono di c o rta durata
non provocano nessuna reazione. La durata ottimale sembra invece essere
attorno ai 5 -15 secondi: s e d i t a l e d u rata e sufficientemente intensi, i
suoni producono reazioni p u pillari, respiratorie, circolatorie, di t r asalimento. Con il perdurare delle stimolazioni, le reazioni muscolari diminuiscono lasciando sussistere solamente quelle pupillari. Se gli stimoli sono
di lunga durata, si avr come risultato l a d i m inuzione dell'attivit che
normalmente si verifica in assenza di stimoli (Pratt, 1952).
Reazioni olfattive. La sensibilit olfattiva appare bene sviluppata alla
nascita. Gli s tudiosi paiono tutti concordi nello stabilire che il n e onato
reagisca vigorosamente a stimoli come l'ammoniaca o l'acido acetico, anche se non sono invece concordi nell'interpretare il significato di t ali reazioni e nello stabilire se esse siano riportabili a v era sensibilit olfattiva
o piuttosto a sensibilit dolorifica. Secondo altri, alcune sostanze che sono
solamente odorose per gli adulti p r ovocano nei neonati reazioni mimiche
che rivelano la esistenza di esperienze piacevoli e s p i acevoli . A l cuni stimoli provocano movimenti di evitamento, altri sono seguiti da movimenti di suzione o di leccamento (Pratt, 1952).
Reazioni gustative. Non certo se i neonati siano in grado di distinguere le quattro qualit gustative (dolce, amaro, acido, salato); sembra
per che le soluzioni salate tendano ad abolire il ri flesso di suzione, mentre le soluzioni dolci lo provochino e lo mantengano. Soluzioni acide producono lievi reazioni di suzione, mentre soluzioni di chinino le producono
assai di rado. Si constata, con queste ultime, delle mimiche facciali traducenti sensazioni spiacevoli. Respirazione e circolazione sono le meno
influenzate dalle soluzioni dolci, leggermente dalle salate e considerabilmente dalle acide e dalle amare. Sembra che le reazioni di suzione e le
risposte mimiche facciali aumentino in r apporto all'et.
Il neonato, inoltre, sembra sensibile alle temperature che superino o
siano al di sotto di certe soglie: in q uesti casi si possono notare reazioni
motorie e un aumento di riflesso di suzione.

Ugualmente il neonato pare sensibile agli stimoli di pressione e a


quelli dolorifici, prodotti ad esempio con punture di spillo; ma per questi ultimi si osserva sia una diversa distribuzione della sensibilit nelle diverse parti del corpo, sia una soglia relativamente alta ed i nversamente
proporzionale all'et.

b) I r i f l e s s i.
Rigesso di orientamento della testa e della bocca: se viene toccata
leggermente una guancia al neonato, si genera un movimento della testa
verso.la parte toccata e un analogo movimento della bocca che si apre.
il r i f l e s s o di r i c e r c a d es c r i tto da Kussmaul e Preyer.

95 Il riPesso di suzione, che compare immediatamente dopo il r i f l esso


di ricerca e in concomitanza con esso, ha zone di stimolazioni ad intensit
crescente nell'ordine: guance, zona sotto le labbra, zona sopra le labbra,
labbra. Il movimento della testa in alto, in basso, ai lati, fatto con la bocca
spalancata, i nterpretabile in m a niera analoga ai m ovimenti d i r i c erca
assai pi maturi e completi di t aluni animali. Al m o vimento si accompagna una intensa attivit labiale. Secondo Halverson (19381, la spiegazione
di questi movimenti va cercata nel fatto che alla nascita la bocca superiore alle mani per quel che concerne l'attivit diretta e la determinazione della funzione e p e r tanto i l n e onato adopera preferibilmente la
bocca quando si tratti di cercare qualcosa, dato che ne coordina meglio i
movimenti
Si poiuto notare che quando un neonato succhia sono necessarie
stimolazioni elettriche tre v olte superiori alla norma per f arlo piangere.
Qualunque altra stimolazione provoca un aumento del riflesso di suzione.
La suzione delle dita ri flesso normale che compare subito dopo la nascita, ma la cui presenza stata osservata anche in situazioni intrauterine.
Grasping si chiama in l i n g ua anglo-sassone il ri f lesso di p r e nsione
che si ot tiene stimolando il p a lmo d ella mano del n eonato, per esempio, con un dito: l a risposta quella di una chiusura della mano sul dito.
Buchman ha mostrato la natura scimmiesca del riflesso che avviene senza
opposizione del pollice: ci ha idotto altri (Robinson e Mumford) ad interpretare tale movimento come un residuo atavico dell'originario destino
arboreo degli antenati umanidi. Halverson ha distinto due organizzazioni
del riflesso di prensione: 1. chiusura del palmo in risposta ad una leggera
pressione; 2. stretta e trazione delle dita come per appropriarsi di qualcosa. Tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere questo un riflesso involontario comandato dalla base del cervello e non dalla corteccia. La semplice chiusura dovrebbe scomparire verso la 16" settimana, la stretta verso
la 24' settimana (in genere tra il 4" e i l 6 ' m e se); la permanenza del riflesso oltre tale et viene normalmente interpretata come indice di lesione
neurologica. Il riflesso di prensione viene sostituito dalla prensione volontaria quando i centri corticali interessati giungono a maturazione.
Ripesso di marcia. Peiper ha scoperto che quando un neonato posto in posizione verticale con le piante dei piedi poggiate su un piano rigido, una tavola ad esempio, le gambe si estendono e fanno un movimento
alternativo di marcia. Il m ovimento di marcia differisce dalla vera marcia
perch limitato alle sole estremit inferiori. Esso compare subito dopo
la nascita, si fa pi attivo tra il 9 e i l 1 4 g i o rno e scompare poco dopo.
In seguito il bambino, posto nella stessa posizione, ritrarr le gambe.
Il ri flesso di m a rcia s t ato p aragonato al ripesso di r i Z Zamento
osservato da Bauer e che si ottiene mettendo a contatto delle piante dei
piedi di u n n e onato coricato sul ventre, una tavola liscia: l a r i sposta

96 quella di un a spinta del piede seguita da un m o vimento alternato delle


braccia, quasi nel tentativo di r i zzarsi. Questo movimento stato osservato anche in un soggetto anancefalico, il che ha permesso di stabilire che
si tratta di un r i flesso sotto corticale. Per analogia si considera sottocorticale anche il riflesso di marcia.
Il rigesso plantare. Babinski alla fine del secolo scorso trov che una
leggera stimolazione fatta sulla pianta del piede di u n n eonato provoca
la estensione dell'alluce e delle altre dita a ventaglio e cio all'indietro.
Egli aveva trovato lo stesso tipo di r isposta in adulti con turbe delle vie
piramidali. Il ri flesso di Babinski, come viene normalmente chiamato questo particolare tipo di risposta, norma1mente accompagnato da un movimento normale di flessione delle dita del piede quando la stimolazione si
prolunga o quando essa troppo intensa. Anche in questo caso possibile interpretare la presenza del riflesso di Babinski oltre il 4 "-6' mese di
vita come un segno di turbe del sistema nervoso.
Il riflesso di Mo r o. In r i s posta ad una scossa il neonato presenta il
pattern della estensione: le braccia sono distese ad angolo retto, le mani
sono contratte, la schiena eretta, la testa tirata indietro, le gambe tese.
Poi segue la flessione e il r i t o rno alla posizione normale. La reazione
simmetrica .Il modo migliore per ottenere questo tipo di r isposta collocare il neonato sulla schiena nel suo l ettino e q u indi b a ttere un colpo
forte sul guanciale, vicino alla testa. Secondo alcuni lo stesso riflesso si
presenta anche in risposta a rumori molto forti o dando un piccolo colpo
sull'addome del neonato, quando in p osizione di r i poso. Anche questa
risposta scompare tra il 4 ' e i l 6 ' m e se di v i ta : i n e urologi considerano
segno certo di lesione al sistema nervoso la presenza del riflesso di Moro
ancora al 10' mese. Se la risposta non simmetrica possibile diagnosticare la presenza di fratture o di lesioni particolari.
Si discute se il rif lesso di trasalimento debba considerarsi un ritorno
alla posizione normale dopo la risposta in estensione o una risposta originaria di tipo diverso. Il t r asalimento consiste soprattutto in una risposta
d i flessione e viene interpretata in termini di p aura .
cl L e

em ozi on i

La tendenza ad interpretare le risposte del neonato in termini emozion ali uno dei motivi r icorrenti della psicologia di tutti i t e m p i : ad essa
non si sottratto neanche Watson il quale sin dal 1919 elabor la teoria

delle emozioni primarie, presenti alla nascita, dalle quali deriverebbe ogni
altra emozione. Secondo Watson il neonato, sin dai primi giorni, dimostrerebbe un comportamento speciflco interpretabile ir termini di e mozioni,
cosi da autorizzare l'ipotesi della presenza di tr e e mozioni originarie e
connaturate:

La paura: il suo patern comportamentale sarebbc in gran parte quello


del riflesso di Moro e del riflesso di trasalimento: un brusco arresto della
respirazione, una stretta a caso delle mani, la i mp! ovvisa chiusura delle
palpebre, il piegamento delle labbra e infine ii pianto. Questo quadro comportamentale si presenterebbe, ad esempio, sostenendo il neonato e quindi
abbassando rapidamente le braccia in modo da provocare una sensazione
di caduta o di mancanza di appoggio.
La rabbia sarebbe l'altra emozione presente alla nascita: c omporta
pianto, grida, irrigidimento del corpo, movimenti disordinati delle braccia che battono da tutte le parti e un trattenere il respiro tanto che il viso
diventa tutto rosso. Queste reazioni si produrrebbero quando il bambino
venga tenuto fermo o c ostretto con l e m ani per u n p e riodo sufficientemente lungo: andrebbero interpretate come risposta ad una sensazione di
c ompressione della propria energia e del proprio sviluppo e quindi di u n
arresto della propria direzione di m arcia. T u ttavia altri, ripetendo l'esperimento, non hanno riscontrato quel t ipo d i c oniportamento e taluno
(Pratt, Nelson e Sunl hanno addirittura trovato che trattenere il bambino
in quel modo serve molto spesso a calmarlo e a fargli smettere il pianto.
L'amore sarebbe la terza emozione primaria e si manifesterebbe con
la cessazione del pianto, il sorriso, il t entativo di emettere vocalismi che
si ottengono carezzando le zone erogene del neonato, cullandolo, ninnandolo e tenendolo coricato sul ventre.
La teoria di W a t son, per l a sua estrema seniplicit, ebbe un certo
successo: da queste emozioni primarie si vollero far derivare tutte le altre emozioni, le cui complessit e modificazioni si vollero vedere in rapporto alla socializzazione e al condizionamento ambientale.
Tuttavia l'atteggiamento pi cauto consiglia di non parlare di reazioni
emotive differenziate ne] neonato, ma piuttosto di uno stato di agitazione generale dal quale, in rapporto alla maturazione e all'esperienza, si sviluppano
le emozioni diverse. Oggi infatti si i n clini a pensare, e su questo concordano la maggior parte delle osservazioni degli studiosi, che il comportamento emozionale si manifesti con delle reazioni generali piuttosto che
con comportamenti specifici e che l'acquisizione di questi ultimi d ipenda
dall'adattamento all'ambiente e dall'educazione.
Quanto descritto sopra costituisce, all'incirca, tutto l'equipaggiamento
comportamentale del neonato, tutto ci che egli sa fare nei primi giorni
di vita, ci con cui deve aflrontare il p r imo ambientamento. Tutto, oltre
naturalmente i l s onno che ne costituisce 1. principale difesa; l'ottanta per cento della sua giornata egli la passa dormendo.

CAPITOLO QUINTO

LA PRIMA INFANZIA
I Primi D i ciotto Mesi Di V i t a

I primi diciotto mesi dopo la nascita costituiscono il periodo infantile


propriamente detto. Durante questo tempo il bambino passa da una situazione di totale inermit nei confronti dell'ambiente e di completa dipendenza nei confronti della madre ad un progressivo adattamento e ad una
relativa autonomia: questa prima fase di maturazione e di p r imo adattamento all'ambiente si pu c onsiderare raggiunta con l a c onquista della
deambulazione e della loquela, Entrambi questi t ip i d i f e n omeni ottengono una maturazione relativa appunto verso il 18 m e se.
Mussen, Conger e Kagan hanno suggerito di d i v idere il p eriodo infantile propriamente detto in stadi:
PR I M

S T A D I O : I' A S E

N E ON A T A L E

ch e cop r i r e bb e i

primi 5 o 7 giorni dopo la nascita. Come stato gi detto, in questi primi


giorni il neonato totalmente occupato a superare gli effetti pi immediati
del trauma della nascita. I bambini nati da madri che hanno partorito sotto
l'effetto di d roghe sono pi lenti nel raggiungere il primo adattamento e
appaiono come storditi .
S E c o N D o s T A D I o : c h e a n drebbe dalla prima alla ottava
settimana. Il r aggiungimento di questo secondo stadio sarebbe caratterizzato da una pi marcata attenzione visiva al mondo che circonda il bambino, da un aumento delle vocalizzazioni e dalla dirninuzione del tempo
occupato in grida e pianti.
T E R z o s T A D I0 : dal l a 8 ' a l l a 1 2 ' s e t timana compare un
nuovo set comportamentale; il b ambino comincia a percepire le distanze,
gli oggetti i n t r e d i mensioni lo i n t eressanoparticolarmente; egli s orride
con maggior piacere alle forme tridimensionali, e in modo particolare alle
facce umane. Inoltre verso il t erzo mese il bambino comincia a perdere
interesse alla ripetizione degli stessi stimoli. Questo fenomeno detto di
abitudine e si m anifesta con una diminuzione del sorriso, della fissazione e della reattivit autonoma. I nfine, come s t ato d etto, v erso il
terzo mese scompare il riflesso di Moro.
Q U A R T o s T A D I o : caratterizzato dall'crganizzarsi del sorriso
nei confronti dei volti u mani, fenomeno questo che raggiunge l'apice tra
il terzo e il q u i nto mese. L'interpretazione psicoanalitica di questo feno-

meno verr discussa altrove. Altra importante conquista di questo stadio


la coordinazione motoria occhio-mano, conquista che avviene verso la
met del 3 m ese.
Q U l N T o s T A D I o : d a l 7 " a l 1 2 ' m ese, caratterizzato dalla
comparsa di ansiet in risposta a sorprese ed a stinsoli inattesi, come anche di fronte a persone sconosciute.
SE s To s T A D I o : d a l 1 2 m e se al 18' mese, e comprende l'inizio del linguaggio organizzato e la conquista della deambulazione. Al termine
di questo stadio il b ambino pu capire la gran parte delle cose che gli
v engono dette e raggiungere i suoi obiettivi direttamente, sia con il m o vimento sia chiedendo ed utilizzando nomi che ha imparato essere il corrispettivo di cose ed azioni.
Cercheremo di parlare di q uesti periodi seguendo alcune linee evo-

lutive: cominceremo con l'esporre i problemi dello sviluppo fisico, quindi


quelli dello sviluppo psico-motorio, faremo poi seguire l'esposizione dello
sviluppo del linguaggio e dedicheremo la ultima parte ai problemi dello
sviluppo affettivo. Non sar sempre possibile mantenere i confini che ci
siamo imposti, sia per quanto attiene al tempo evolutivo prescelto, sia per
quanto si riferisce ai singoli tipi d i p r oblemi enucleati: molto spesso dovremo oltrepassare i termini propostici o passare da un tipo di p r oblema
ad un altro.

1. LO SVILUPPO FISICO.
Il bambino, alla nascita, pesa circa 3.200 gr. e misura circa 50 cm.:
il suo ri tmo d i accrescimento staturale e ponderale nella prima infanzia

I
f

Feto

2 mesi

F eto

N eo n at o 2 a n n i 6 an n i

12 a n n i 15 anni

5 mesi

Fig. V.1. - Mutamenti di forme e di proporzioni del corpo u mano. (Da C. M .


Jackson, Some aspects of form and growth, i n W. J. R obbins, S. Brody, A. F .
Hogan, C. M. Jackson, C. W. Green (Eds.), Growth, New Haven, Yale Univ,
Press, 1929).

deriva da molteplici fattori, come il sesso, la razza, la latitudine, l'alimentazione, l'ereditariet familiare ecc. Non p ossibile stabilire degli indici
rigidi n per il p eso n per la statura.
a) La statura.
Per quanto riguarda la statura essa va misurata non tanto nel suo insieme quanto nei diversi segmenti che costituiscono il corpo del bambino.
I tre segmenti partecipi della statura totale, e cio la testa, il t r onco, le
gambe, crescono in misura assai diversa fra loro e la rispettiva partecipazione percentuale varia con il p r ocedere dell'et.
La tabella che segue mostra le variazioni percentuali dei vari segmenti
in rapporto alle diverse fasi dell'et evolutiva:
I
Testa

'. Colonna vertebrale


p Arti i nferiori

II
Fanciull.

Adol .

Nascita

Infanzia

Infanzia

25%

20%
44%
36%

15%

10%

8%

43%
42%

43%
47%

42%
50%

45%
30%

(Tabella curata da Amaldi e r iprodotta da S. Levi: I pr o blemidello sviluppo, Firenze, 1966, pag. 38. I r i levamenti si riferiscono al termine dei rispettivi periodi).)

La statura, a parte l'eventuale intervento di processi.morbosi, non subisce mai momenti di regresso e attraversa periodi di d i fferente ritmo di
a ccelerazione e di r allentamento: i n g enerale si pu d ire che i d u e m omenti di maggior accelerazione staturale si incontrano durante il secondo
anno di vita e nel periodo prepuberale. In media la statura della nascita
pu considerarsi raddoppiata verso i 5 anni e triplicata verso i 15 anni.
La statura, come il peso, alla nascita sono parsi correlati con alcuni
fattori, cosi ad esempio stato osservato che i neonati delle classi meno

agiate sono pi piccoli e meno pesanti dei neonati delle classi pi agiate.
Le bambine sono meno pesanti e meno lunghe dei maschi.
Il problema della misura, nella prima i nfanzia; l egato allo s trumento che viene utilizzato: nella impossibilit di utilizzare strumenti ver-

ticali, per la incapacit del neonato di stare in piedi, si fa ricorso a strumenti di mi surazione orizzontale. In questo caso si deve per tener presente che la colonna vertebrale si trova in tutta la sua estensione in quanto
non soggetta alle sollecitazioni del peso del corpo. Gli spazi fr a l e v ertebre, infatti, sono particolarmente elastici e subiscono la pressione del
peso del corpo in modo tale da far variare la statum di u n i n dividuo anche di diversi mm., il che appunto evidenziabile misurando un soggetto
prima verticalmente e quindi orizzontalmente.

104 Le misurazioni staturali dei neonati non possono che essere orizzontali, e p e rtanto i n q u alche maniera un p o co aumentate dalla completa
estensione della colonna vertebrale.
L 'accrescimento staturale, durante i l p r i m o anno, procede secondo
una progressione aritmetica, la cui ragione viene gradualmente scemando:
infatti l'aumento medio normale dei primi due mes.' di 3 cm . al mese,
per i successivi otto mesi di 2 cm . al mese, e per gli ul t imi due mesi di
1 cm. al mese.
La statura media del bambino all'et di 18 mesi , naturalmente, correlat ll'mbiente e dipendente da numerosi fattori: in I t alia di 76 cm.,
ma esistono notevoli differenze tra nord e sud della penisola.
Howard M eredith ( 1 9 70) h a p u b blicato i r i s u ltati d i m i s urazioni
condotte, tra il 1 944 e i l 1 9 66, di d i versi autori sulla statura e peso di
bambini al t ermine del primo anno d'et nelle diverse parti del mondo.
La Figura V.2. riporta le medie staturali dei soli bambini europei di u n
anno d'et: da essa risulta che, mentre i bambini olandesi occupano il primo posto (sono mediamente i pi alti), gli italiani sono al quattordicesimo
e i sardi addirittura al penultimo, seguiti soltanto dagli spagnoli,

GRUPPO

LUOGO

Spagnoli
Sardi
Tartari
Francesi
Italiani
Inglesi

Malaga

Austriaci

Vienna

Russi
Svedesi
Cechi
Ungheresi
Belgi
Svizzeri
Norvegesi
Finlandesi
Polacchi
Tedeschi
Olandesi

U.R.S.S

Sardegna
Tatarstan

Parigi
Italia (penisola)
Leeds, Londra e
Edimburgo

Stoccolma
Cecoslo'acchia
Kormend
Saint-Gilles
Svizzera
Bergen

Finlandia
Varsavia

Est-Ovest Germania

Olanda

A NNI
di rilev.

NUM E RO SS.

MEDI A
(cm.)

1944-48
1 949-65
1959-60
1954-60
1 950-64

300
1.2 9 0
144
347
6.1 1 0

71,0
72,1
721
73,7
73,8

1950-55
1959
1 954-62
1950-52
1954-59
1958
1955-58
1 948-60
1952-56
1955-60
1960-61
1 947-59
1952-66

870
250
2.7 0 0
120
360
12
197
1.0 7 0
239
192
350
1.2 4 5
351

73,9
74,5
74,6
74,7
74,8
74,8
75,0
75,1
75,2

75,2
755
75,7
76,1

Fig. V.2. - Medie staturali di bambini europei di entrambi i sessi ad un anno di et


(da LL V. Meredith, Child Developtnent, 1970, pag, 570, Society for Research in
Child Development Inc., Chicago).

105 b) Il peso.
La misurazione del peso corporeo del neonato avviene mediante l'uso
di bilance a piatto; i n dispensabile tener conto della incidenza alterante
che possono avere la quantit del cibo ingurgitato, il p eso dell'intestino
e della vescica se pieni. A t ale proposito norma di p rudenza effettuare
le pesate a digiuno e dopo l'evacuazione del retto e della vescica, Il peso
molto pi s oggetto della statura alle variazioni dovute alla alimentazione e ai processi morbosi occasionali: pertanto esso appare legato alla
regolarit della nutrizione e manifesta fenomeni di regressione.
Dopo la nascita e dopo il c a l o f i s i o l o g i c o dei p r imi giorni,
in genere dell'ordine di 2 00-300 grammi, l'aumento ponderale segue un
ritmo diseguali con fasi di r allentamento e fsi di accelerazione. Alla nascita il peso medio dei maschi corrisponde a Kg. 3.250, quello dlle femmine a Kg. 3.110: durante il p r imo anno di v it a si avr un aumento di
25-30 grammi giornalieri per il p r imo t r i mestre; di 20-25 grammi giornalieri per il secondo trimestre; di 15-20 grammi giornalieri per il t erzo trimestre e di 10-15 grammi giornalieri per il q u arto tr imestre. Con questo
ritmo il peso dell nascita raddoppia verso la fine del quinto mese e triplica alla fine del primo anno di vi ta. Dopo il p r i mo anno il r i t mo di a crescimento ponderale rallenta fino a tu tta la seconda infanzia.
GRUPPO

LOCALITA'

Tartari

Tatarstan

Spagnoli
Sardi

Malaga

crancesi
Austriaci

Parigi
Vienna
Kormend
Svizzera
Stoccolma
Finlandia
Italia penisola

Ungheresi
Svizzeri
Svedesi
Finlandesi
Italiani
Russi
Inglesi
Tedeschi
Cechi
Belgi
Olandesi
Polacchi
Norvegesi

Sardegna

U.R.S.S.
Gran Bretagna
Germania Est-Ovest
Cecoslo acchia

Saint-Gilles
Olanda
Varsavia

Bergen

ANNI
NUM E RO SS.
della rilev.

MEDIA
(Kg.i

144

8.93

1948-60

300
1.290
975
250
12
1.080

9,08
9,11
9,47
9,60
9,66
9,70

1950-52
1955-60
1949-64
1953-62
1954-56
1947-59
1954-59
1955-58
1952-66
1960-61
1952-56

120
192
11.400
2.700
13.600
1.380
360
195
351
350
239

9,84
9,85
9,97
10,05
10,08
10,11
10,15
10,16
10,20
10,21
10,23

1959-60
1944-48
1949-65
1952-60
1959
1958

I'ig. V.3. - Medie ponderali di bambini europei di ambo i sessi ad un anno d'et.
(Da H. V . M eredith, Child D eveloptnent, 1970, pag. 553, Society for Research in
Child Development Inc., Chicago).

106 A diciotto mesi il peso medio del bambino italiano di Kg. 10,300:
naturalmente anche le medie ponderali sono influenzate da numerosi condizioni ambientali. Riportiamo dal citato lavoro di M eredith (1970) la ta-

belIa delle medie ponderali dei bambini europei di un anno d'et (Fig. V.3.).
Come si vede i bambini norvegesi sono al primo posto (gli olandesi
al terzo), gli italiani al nono e i sardi al terz'ultimo, seguiti dagli spagnoli
e dai bambini tartari che risultano gli ultimi nella scala ponderale.
La flgura V.4 mostra la relazione tra media ponderale e media staturale in gruppi di bambini di t u tte le parti del mondo, ricavate dalle misurazioni degli autori citati da Meredith:

!0.4
NORWEGIAN

IO.O

BRITISH USWHITE.

'

US.NrGRO

S. AFRICAN WHITE
SWEDISH oFINNISII
URUGUAYAIIe

ESKIMO

9,6

AUSTRIAN

SWISS

FRENCH
'RUSSIAN

(A-U

SARDINIAN
CHINESE

TATAR.

8.8

CAKAR NEGRO
ZUELAN

84

MLAY CHINESE

MELANESIAN
LEBANESE

BDLIVIAN
MALAY

8.0

'JMAICAN NEGRO
MB<ICAN
IA

NIGE RIAN
NEW IRELAND

COLOMBN
TIMOR ISLAND
NEYrBRITAIN
THAI

7.6

GAYANESEe MANDINKA

ETHIOPIAN

PAKISTANI

64

VlETNAMESE

62

64

66

68

70

72

74

76

Media statura in cm.

Fig. V.4. - Relazione tra medei ponderali e medie staturali in g ruppi di bambini
di un anno tratti dalla popolazione mondiale. (Da H .V. Meredith, op. cie, 1970,

pag. 577).

107 c) L'indice cefalico.


Altro elemento di misura del regolare sviluppo fisico la valutazione
dell'aumento della circonferenza cranica. Alla nascita il cranio ha una circ onferenza media di 340 mm . e una capacit calcolabile in 900 cc. A u n
anno la circonferenz di 450 mm., tre anni di 480 mm . e l a capacit
di 1200 cc. Alla fine dell'adolescenza il cranio raggiunger una circonferenza di 540 mm. e una capacit di1500-1600 cc.
Diverse malformazioni craniche sono correlate con deficienze di vario
tipo interessanti s iia il carattere che l'intelligenza. E' questo il l u ogo p er
notare che i punti d i c o nnessione cartilaginea delle diverse ossa craniche
mostrano delle isole, a volte particolarmente ampie, dette f o n t a n e l l e
cr an i c h e . L a p r o g ressiva ossificazione dei margini ossei correlativa
al procedere dell'et, ma pu talvolta venir ra'lentata da fenomeni morbosi.
La fontanella posteriore o lambdoidea, interposta fra le due ossa parietali e l 'osso occipitale, normalmente gi chiusa alla nascita e comunque si chiude nella prirna settimana di vita; le fontanelle laterali o mastoidee, tra le ossa parietale, temporale e occipitale, gi di solito chiuse alla
nascita, scompaiono anch'esse nei primi giorni. L a f o ntanella anteriore o
bregmatica, interposta tra l'osso frontale e le due ossa parietali, la sola
che in condizioni normali persiste a lungo dopo la nascita e si chiude completamente solo entro i l 1 8 ' m e se. H a un a f o rma a l osanga, elastica,
compressibile e pulsante in r apporto all'afflusso del sangue nella massa
encefalica. La chiusura precoce, cio entro i primi mesi di vita, esprime un

grave difetto di sviluppo encefalico, la m i c r o c e f a l i a ; la chiusura


tardiv invece legata o a processi patologici che ostacolano la normle
ossificazione, come rachitismo, tubercolosi, lue, ecc., oppure a eccesso cronico di tensione endocranica per aumento patologico del liquido cefalo-rac hidiano e d luogo ad una sindrome encefalica detta i d r o c e f a l i a .
La microcefalia l' i ndice di un d i f e tto pr i m itivo della morfogenesi
cerebral, ossia di un arresto dello sviluppo cerebrale intervenuto in f ase
precoce di vita intrauterina dipendente sia da fattori genetici, sia da fattori
tossici o infettivi (alcoolismo, lue). Il v o lume cerebrale del microcefalo
di gran lunga inferiore a quello dei riormali, inoltre il m antello cerebrale
presenta una solcatura pi elementare e d i t i p o s cimmiesco. Le conse-

guenze a livello psicologico della microcefalia pura sono in relazione all'entit del difetto, e comunque sono sempre legate ad una condizione neuro-psichica compromessa.
La idrocefalia invece legata ad alterazioni dei normali meccanismi
di secrezione, di riassorbimento, di circolazione del liquido cefalo-rachidiano al quale spettano funzioni protettive, sia di tipo meccanico che di tipo
nutritivo e antinfettivo, dei tessuti nervosi. La idrocefalia provoca un au-

mento della pressione del liquido cefalo-rachi3iano entro l scatola cranica

con effetti di r i d uzione della sostanza nervosa degli emisferi cerebrali ad


un velo sottile.
d) Le leggi deli'accrescimento corporeo.
Le leggi dell'accrescimento corporeo, enunciate da G odin, sono in
genere molto utili per l a comprensione dei fenomeni legati allo sviluppo
fisico nell'et evolutiva. Esse sono cosi enunciabili:
LEGGE DELL ALTERNANzA : flon esiste un parallelismo nello
sviluppo
ponderale staturale, ma piuttosto una alternanza di periodi, cosicch ad un
periodo di accrescimento ponderale segue normalmente un periodo di accrescimento staturale etc. L'alternanza si veriffca anche in altri f enomeni:
ad esempio l'allungamento osseo si alterna semestralmente con l'ingrossamento: l'allungamento di un segmento osseo per esempio l'avambraccio si alterna semestralmente con l'ingrossamento del segmento corre
lativo per esempio il braccio.
L'accrescimento staturale prevalente nei due semestri che precedono la pubert, l'accrescimento ponderale prevalente nei due semestri che
seguono la pubert.
L'accrescimento osseo prevale su quello muscolare prima della pubert, l'accrescimento muscolare prevale su quello osseo dopo la pubert.
L'accrescimento della statura avviene particolarmente a carico degli
arti inferiori prima della pubert, particolarmente a carico del tronco dopo

la pubert.
e) La prima dentizione.
T ra il sesto e l'ottavo mese, di norma, compaiono i primi incisivi m ediani inferiori; tr a il nono e il decimo mese compaiono i due incisivi mediani superiori. La dentizione segue normalmente il r i tm o dello sviluppo
dell'individuo ed legata al suo stato di maturazione generale. Non sono
rari casi di individui nati con uno o pi denti, n casi di individui la cui
prima dentizione ha avuto inizio verso la fine del l ' a n no.
Sempre tenendo conto delle li mitazioni che t ali p i anificazioni comportano, il ritmo medio della prima dentizione dovrebbe essere il seguente.
Incisivi mediani i n feriori
Incisivi mediani superiori
Incisivi l aterali superiori
Incisivi laterali i n f eriori
Primi molari
Canini
Secondi molari

n.
n.
n.

2
2
2

n.

n.
n.
n,

4
4
4

n. 20

(Da S. Levi, 1966, pag. 57).

6-8 mesi
9-10
11-12
13-14
14-20
18-24
24-28

109 A ll'et di du e anni e m ezzo la p r ima dentizione, di 2 0 d e nti, pu


dirsi completata. Moltissimi fattori, tuttavia, possono intervenire a mutare
i tempi della eruzione e i l t i p o m o r f ologico dei denti. L a c o mparsa di
denti soprannumerari i m piantati nel p a lato, ad e s., s p esso segno di
stigmata degenerativa; la mancanza di denti u t il i con conseguenti larghi
spazi interdentari (diastema) anch'essa segno di anomalia embrionaria.
La micro-odontia, con denti piccoli, seghettati o erosi, viene normalmente interpretata come derivante da malattie ereditarie quali la sifilide,
o il rachitismo. I d enti d i H u t chinson (con una caratteristica incisura semilunare al margine) sono interpretati come tipici dei casi di e r edo-lue.
La deficienza mentale molto spesso correlata con anomalie dentarie di
vario tipo, sia di impianto che di forma e di numero.

2. LO SVILUPPO PSICO-MO1ORIO.
L'attivit motoria considerata nel suo completo significato di attivit
psichica che si m anifesta in u na e secuzione motoria, si definisce con il
termine di p s i c o m o t r i ci t...
Per quanto sia nell'uso comune utilizzare indifferentemente il termine
motricit o i l t e r m ine psicomotricit, sarebbe pi esatto indicare con il
primo l'aspetto Puramente fenomenologico del movimento e con il secondo il pi complesso processo in cui l'aspetto psichico e quello fisico siano
tra loro coordinati (Levi).
La psicomotricit infantile per la gran parte frutto di m aturazione,
soprattutto per quanto ri~uarda la psicomotricit dei Primi mesi o d ella
infanzia propriamente detta. No n s embra, i nfatti, ch e a q u esto l i yello
d'et, l'apprendimento, i n teso come rapporto SR , e c i o come associaz ione tra stimolo e risposta, possa far variare di molto i l
parsa di determinati comportamenti.

r itmo di com

Il t e r mine m a t u r a z i o n e h a c e r t a mentea cquistato i n


psicologia un significato molto preiso, riferendosi ai m u tamenti di
comportamento risultati es senzialmente dallo s viluppo f is iologico e
anatomico del sistema nervoso, in contrasto ai m utamenti che comporta l'esercizio o l'uso di una funzione, Sembra infatti evidente che
certi cambiamenti strutturali s i p r o ducano prima della apparizione
della funzione manifesta. E sembra d'altra parte altrettanto manifesto che l'arresto dello sviluppo neuro-strutturale non coincida con
l'apparizione della funzione. Vi per ragione di credere che quando
le condizioni siano f avorevoli l a f u n zione c ontribuisca ad u n p i
ampio progresso de/lo sviluppo strutturale del sistema nervoso.

(M, B. McGraw, 1952, pag, 576)

110 Queste parole riassumono lucidamente il o r osso problema del r apporto tra m aturazione e apprendimento, e cio tr a l ' apporto dei f a ttori

endogeni e l'inflenza dlla stimolzione ambientle, nello sviluppo dell inivido, prbtt ema che stat attrontato nei modi pi diversi e che lascia tuttora molte perplessit.<Si potrebbe, ad esempio, citare l'abitudine
degli indiani Hopi, popolazione prevalentemente nomade, di mantenere i
bambini in posizione di assoluta immobilit, sia legandoli sulle spalle delle
madri, sia, nei momenti d i sosta, tenendoli legati su specie di primitive
culle, per sostenere la p r evalente importanza della maturazione sull'apprendimento: i nfatti i b a mbini H o pi, nonostante la assoluta mancanza di
stimolazioni a camminare, finiscono per iniziare a camminare pi o meno
alla stessa et di t u tt i gl i a l tr i b ambini del m ondo. A l c o n trario Gesell
a Yale ha dimostrato, utilizzando una coppia di gemelle monozigote, come
sia possibile ottenere l'acquisizione di un'abilit di movimento assai complicata, come quella di salire uno scivolo, in una et molto precoce stimolando una sola delle due gemelle. E' pur vero che quando giunse il momento in cui l ' altra gemella, lasciata senza stimolazioni, pot salire sullo scivolo, in brevissimo tempo il divario, la distanza cli abilit che la divideva
dalla sorella, fu superata, cosicch dopo un paio di giorni ad un osservatore estraneo non sarebbe stato possibile dire quale delle due avesse avuto
la precoce stimolazione ambientale nella conquista di quel tipo di comportamento. Il che, in sostanza, potrebbe anche significare che inutile sti~
mlare i b ambini perch ayprendano determinati comyortawenti pr i ma d el
tempo normale dato che, anche se in alcuni casi ci pu essere possibile,
lo a scapito di n o tevole dispendio di energie e con r i sultatt che, alla
fine, non diGeriscono da quelli che si s arebbero ottenuti l asciando allo
sviluppo seguire il suo normale ritmo.
al Lo sviluppo del Sistema Nervoso Centrale.
Gli studi sul sistema nervoso e sui cotii~ortamenti rifiessi presente
nei periodi prenatale e neonatale sembrano tutti concordare nel r i tenere
che qusti tipi di c omportamento siano quasi sicuramente guidati da formazioni interneurali i n l a rga misura dipendenti dai centri i n f racorticali.
De Crinis (19321 sapendo che la maturazione post-natale del cervello non
poteva essere imputata alla semplice proliferazione delle cellule corticali
o alla loro suddivisione, utilizz la tecnica di Golgi in un a serie di studi
che cosi vengono riassunti:

Egli fece la descrizione e l'analisi di 68 cervelli umani, di


e t variante dai 5 g i o rni a i 1 3 a n ni . I l c e r vello del b ambino di 5
giorni non r i vela ancora alcun prolungamento dentritico m a q u ello
del bambino di 1 0 s e ttimane mostra degli abbozzi dendritici netti .
I tagli nella regione motrice di u n cervello di 1 1 m esi lasciano ve-

1 11
dere uno s v iluppo avanzato. L e c e llule p i r amidali sono d i ventate
tipicamente lunghe, i pr olungamenti sono in piena maturit e i d endriti sono manifestamente impregnati. I l p e r iodo d i r a pida maturazione nell'aria di Broca si produce molto pi tardi. Quest'aria dunque in ritardo in rapporto all'aria motrice, e questo ritardo continua
per un certo t empo, manifestandosi man mano che la crescita continua. A 14 mesi la maturazione cellulare dell'aria di Broca raggiunge lo stadio al quale era arrivata la regione motrice tre mesi prima.
Lo sviluppo di q u este due aree non c omparabile che verso i 1 7
mesi. Gli al tr i l ob i f r o ntali sono ancora pi i n r i t ardo nel l oro sviluppo. Bench si abbiano delle prove che una certa maturazione si
p roduce nella regione fr ontale verso l ' 11' m ese, non c h e al 4'
anno che i p r o cessi acquistano uno sviluppo comparabile a q u ello
raggiunto dalla regione motrice a 11 mesi. De Crinis sottolinea d'altra parte che l e a ree controllanti l e sensazioni dei m uscoli (sensoriali) sono le p r ime a maturare. Egli dichiara che i centrt che sono
i primi a m a t urare sono l e p i etre angolari dello sviluppo i n te11ettuale.

(M. B. McGraw, 1952, pp. 562-563l


In questa descrizione, che si riferisce ad un f ondamentale studio di
De Crinis, sono indicate le diverse aree di maturazione della corteccia cerebrale nei diversi tempi. Se ne ricavano indicazioni preziose le quali mostrano che lo stato di sviluppo delle aree corticali al momento della nascita
differisce da quello degli individui di altre et non solo in peso e volume,
ma soprattutto, il che pare significativo, per la immaturit, nelle cellule del
tessuto corticale neonatale, dei particolari prolungamenti il c u i c o mpito
speciftco proprio quello della trasmissione della energia nervosa e della
connessione intemeutaie appunto i d endtiti, i~ uali cominciano ad appa-

jyi

Fig. V.5. - Schema mostrante l ' ordine d i m a t u r azione d e ll e d i v erse a te e d e l l a


corteccia umana; l e

z one pi s c ure sono quelle d i

p i an t i c a m a t urazione. (D a

McGraw, in Carmichael, P.U.F.-Paris, 1952, I, p, 562).'

112 r ire sotto f o rma d i a b bozzo solamente verso la 1 0 " settimana. Ci d ovrebbe fornire una suKciente spiegazione neurologica della mancanza di
movirnenti zolonsari nei p rimi t e mpi d o po la n ascita.
La descrizione di D e C r i nis sottolinea, inoltre, che mentre le zone
motorie corticali attingono una maturazione in un periodo abbastanza breve (secondo questo autore esse sono gi molto avanti all'11' mese di vita),
le zone della loquela {aria di Broca) e quelle delle associazioni e dei ptocessi superiori (le circonvoluzioni frontali) non r aggiungono lo stesso livello di maturazione delle aree motorie che verso il 4" anno di et.
Dello stesso parere sono secondo McGraw ( 1952)
anc h e a l t r i
ricercatori quali il T i l nev (1937) e i l C onel (1939) i q u ali r i tengono che
le cellule pi evolute ali'epoca della nascita siano quelle delle circonvoluzioni antero-centrali, specialmente nella parte che controlla i movimenti
del collo e delle spalle. La regione meno evoluta localizzata nella met
inferiore di ciascuna delle tre circonvoluzioni frontali. Conel, confrontando
il cervello di un neonato e quello di un bambino di un mese, nota che l'unica
differenza evidente si situa nella parte destra dell'aria motrice della circonvoluzione centrale, dunque ancora in un a zona motrice, che appunto
quella che si sviluppa pi rapidamente. Dal punto di vista funzionale, dunque, lo sviluppo della corteccia durante il primo mese appena evidente
ed lecito ritenere che la maggior parte dei neuroni della corteccia, a questo
stadio, non siano ancora in grado di espletare tutte le complesse funzioni
legate alla trasmissione dell'impulso nervoso.
Conseguentemente a questi studi sullo sviluppo del sistema nervoso
molte tecniche psicologiche sono state adattate alle nuove conoscenze e
negli ultimi 30-40 anni una gran messe di osservazioni stata raccolta:
queste osservazioni si r i feriscono al correlato comportamentale delle scoperte che via via si sono fatte in campo neurologico. Le tecniche di ossetvazione psicologica permettono la costruzione di tests e di situazioni particolari entro cui osservare il comportamento dei bambini e le loro reazioni
di adattamento, sempre in rapporto all'et e al grado di maturazione corticale. Si potuto cosi stabilire, in linea generale, che a mano a mano che le
aree corticali giungono a m aturazione compaiono determinati comportamenti e ne scompaiono altri di tipo riflesso, cosicch il ruolo della corteccia
appare duplice: da un lato stimola e controlla il con.portamento neuromotore, dall'altro inibisce i comportamenti di t ip o ri flesso. Il che comprova
l'esistenza di due centri d i c o ntrollo del comportamento: i c e n tri c orticali e i centri subcorticali o nucleari.
L'interpretazione delle osservazioni fatte sui comportamenti ha portato alla costruzione di una ipotesi che permette di 'determinare: l ' q u and o una attivit s o tto l ' influenza delle zone infracorticali; 2 " i n q u a l e

113 momento la influenza inibitrice della corteccia appare; 3" i n q u ale momento la partecipazione corticale ai movimenti muscolari scatenata; 4' in
quale stadio l'attivit raggiunge un relativo grado di maturit in rapporto
al funzionamento corticale.
b) I.a scomparsa dei riflessi primari e il p r i m o c omportamento appreso.
I

r i m i att e r n sono dunque sotto l ' i nfluenza delle zone inftacorti-

cali. L'evoluzione dello sviluppo sembra indicare che il periodo di massima attivit dei

m o v imenti c o n trollati d a lle z onesottocorticali si s i t u a

Fig. V.6. - Le tre f asi n ello svilupop del comportamento natatorio del b ambino:
A) movimenti natatori r i flessi; B ) comportamento d i sorganizzato; C) m o v imenti
volontari. (Da M. B. McGraw, in Carmichael, P.U.F.-Paris, 1952, I, pag. 571).

verso ia fine dei primo mese. Tta ia fine de~l' eddt d;,umzmrjma nyadznz
ii tLr~oessjzoo...dzcjtzto,dej,moyimenti suhcorticali. L ' t nizio ,detl'infiuenza
inibitrice della corteccia si osserva nei muscoli della parte superiore del
corp piuttosto che in q uelli del bacino e delle gambe: l o svi~lu po
del
"eeaw'I
controllo corticale sull'attivit ne uromuscolare eyolye essenzialmente secondo una direzione cefalo-caudale.
Una gran parte dei pattern riflessi sembra avere un signicato filogenetico. Nello studio del comportamento acquatico di u n n eonato stato
dimostrato che quando neonati di 11 gi orni sono immersi nell'acqua, essi
mostrano un comportamento natatorio ri t m ico che ricorda quello degli
altri vertebrati.l Secondo McGraw ed altri l a p resenza di questo particolare pattern natatorio nei neonati sarebbe una formidabile prova funzionale dell'origine filogenetica dell'uomo: i l c o mportamento natatorio rappresenta una delle pi antiche attivit filogenetiche, ed esiste ancora allo
stadio residuo nel neonato. I mo v i menti natatori dei n eonati sono sotto
l 'influenza di st rutturazioni psicomotorie di t i p o r i flesso, vale a d ir e d i
rapporti i n terneuronici preformati e n o n a p presi. L ' i nizio dell'influenza
corticale si traduce in una disorganizzazioiic dei movimenti natatori riflessi

114 sostituiti da moyimenti di disordinata reazione. Solo in seguito compaiono


movimenti natatori nuovamente organizzati e funzionali.
L'evoluzione dei p attern n atatori, studiati i n m o d o p a r ticolare da
McGraw, costituisce un modello che si ripete negli altri t i pici cornportam enti della prima i nfanzia: quello d i
d r i z z a m e n t o e q u e l l od i
d e amb u l a z i o n e . Al l 'i n i z io in u na cLualunqueattivit i m o y imenti
sono abitualmente iiregolari e p oco coordinati: l o sv i l uppo u l t eriore si
manifesta pi con una crescente integrazione dei movimenti che con qualche vera modificazione nel pattern motorio.
in com o r tamento del t u t t o p a r ticolare sembra essere quello del
U~
mettersi a sedere, in q u anto non m e tte i n a zione nessun movimento ri.flesso. Secondo McGraw cio sarebbe dovuto al f atto che tale comportamento avrebbe una recente origine filogenetica e pertanto non esisterebbe,
per questo movimento, un pattern riflesso controllato dai centri sottocorticali. Nella norma un bambino capace di stare seduto per un m i nuto
circa con supporto all'incirca all'et di 3-4 mesi, mentre a 7-8 mesi egli
pu farlo senza supporto. L'acquisizione di questa abilit assai rapida,
cosi che la maggior parte dei bambini r i esce a stare seduta senza supporto per circa 10 minuti gi a nove mesi.
Il comportamento c a r p o n i sta t o d e scritto da A mes che ha
utilizzato la tecnica delle registrazioni cinematografiche con 20 bambini:
questo autore conclude che esistono 14 stadi nello sviluppo di questo com-

portamento, anche se le differ~ze individuali possono influire diversa


mente nei tempi di apparizione di questi stadi e persino nelle forme.

I~lr i m o st adio g i n occhio in avanti che poggia per terra c ompare circa verso la 28 n settimana. L'et mediana,dello. strisciamento, {movimento strisciante con addome a contatto con il piano di appoggio) compare verso la 34' settimana. A questo stadio i muscoli delle gambe e del
tronco non sono ancora capaci di reggere il peso del corpo, Il c omportamento carponi, con appoggio delle mani e delle ginocchia, compare normalmente verso la 40' settimana e richiede la ricerca di un nuovo punto
di equilibrio. Il pa t t e rn completo del co mportamento carponi, appoggio
sulle mani e sui piedi e movimenti alternati, conquistato circa verso la
49 a settimana.
La d e a m b u l a z i o n e a n c h'essa legata al ritmo di m aturazione e di sviluppo generale dell'individuo, ma studi longitudinali su gruppi
di bambini di differenti classi sociali seguiti per cinque anni, hanno consentito di costruire dei tempi medi, entro i quali determinate abilit sono
di norma conquistate. In linea di massima possibile dire che a 42 settimane il bambino cammina se sostenuto, a 45 settimane si tiene ritto se
appoggiato ad un supporto (tavolino o sedia), a 47 settimane sta in piedi
solo, e tra la 62 n e la 64' settimana cammina da solo,

115 -

pj~g'

Fig. V,7. - Fasi evolutive del comportamento eretto. (Da Hurlock, 1969, pag. 173.
che lo riprende, con permesso, da M. B. Mc Graw, Grouth: a study of Johuny aud
Jimmy, A p p leton-Centu~ Crofts 1 9 3 5. U c t l w i t h pe r m i ssion c f M cGr a w H i li

Book Company, New York,l.

116 1 mo.

Fetal
Posture

Chest Up

Chin Up

Reach and Miss

6 mo.

Smo

7 rno

Sit With
Support
Sit on Lap
Grasp Object

Sit Alone

Sit on High Chair


Grasp Dangling Object
9 mo.

'11 mo.
10 mo.

Stand
with Help

Creep
Stand Holding
Furniture

Walk when Led


14 mo.

15 mo.

13 mo.

Pull to Stand
by Furniture

Climb
Stairs Steps

Stand Alone

Walk Alone

Fig. V.g. - SviIuppo del comportamento postnatale e d i l o comozione nel bambino.


(Da Mussen,Conger e Kagan, 1969, pag. 175, che lo riprendono da Shirly Mary,
The Firrt tuo Yearr: A Sr udy of T wentyFive Babies,Univ. of Minnesota Press,
Copyright 1933, renewed 1961 by the University of M i nnesota).

117 Differenze sensibili nei ritmi di maturazione e di acquisizione di queste abilit sono state riscontrate in bambini di p o polazioni ancora primitive, come quelle dell'Uganda, i c u i b a m bini g i ungono alla deambulazione autonoma gi durante il primo anno. Uno studio comparato su 1000
e uropei delle citt di B r u xelles, Londra, Parigi, Stoccolma e Zu rigo h a
mostrato che i bambini di Stoccolma e di B r uxelles camminano circa un
mese prima degli altri e inoltre che questi bambini sono, in generale, pi
alti e hanno un grado di sviluppo motorio maggiore degli altri gi ad un
anno lHindley, Filliozat e C., 1966). Il che, tuttavia, non significa che abbiano una i n t e l l i g e n z a pi sviluppata degli altri, poich non pare
che esista una troppo stretta relazione tra lo sviluppo motorio e fisico nei
primi due anni e l ' i n t elligenza nella et scolare. I n o gn i m od o ancora
non si g i unti a d u n a i n terpretazione soddisfacente di questa divetsit
nei ritmi d i s v i l uppo, da alcuni essendo state avanzate spiegazioni che
mettono in gioco elementi genetici, da altri essendo state interpretate in
termini di apprendimento e di stimolazioni.
Nello sviluppo m o t orio assume grande importanza un p a r ticolare
comportamento umano, quello della
m a n i p o l a z i o n e: a n c h ' esso
pare si sviluppi secondo determinati stadi, come stato visto per la deambulazione. Studi fatti da H alverson (1931, 1936) sullo sviluppo della manipolazione in bambini nella prima infanzia con la tecnica delle registrazioni cinematografiche, hanno mostrato che, in generale, prima della 20'
settimana il b ambino non solo non ra ggiunge, ma non g r e nde neanche

24
20

28

20

16

1
I

28

52
32

36

Fig. V.9. - Sviluppo della prensione. I n u meri i ndicano le settimane. (Da H. M.


Halverson, 1931).

118 -

Alcuni bambini d i 2 0 s e ttimane allungano la mano verso l'oggetto


con un movimento lento e goffo che coinvolge movimenti primari di spalle
e di braccia (attfvit massive). Con il p assare dei mesi il com~ortamento
maenr~ @~
~ neta se~mre pi sicuro e attinge la sua completezza verso la 60 settimana.
Secondo Halverson gli stadi dello manipolazione sarebbero 10, inj r
ziando ~g a 1 6 ' settimana, periodo in ncuigo ayrei2be~conpariree,jl ,grasping o r i flesso di prensione. Alla 20' settimana la sparizione del gras-

rrm
1

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Fig. V.10. - Sviluppo della abilit manuale: dalle attivit m assive alle attivit

specifiche. fDa Hurlock, Ch ild D eaefopme


ttr, 1972, pag. 174. Used wi rh permission

of MacGraw Hill Company, New York).

ping evidente nella esitazione e incertezza con cui il bambino si avvicina e tocca l'oggetto. Alla,,28 settimana 1,'oggetto nuoeyamente prego
saldam~tein.tnano, con chiusura della palma, ma senza utilizzazione delle dita, L'uso di ~ueste e delle falangi compare invece yerso la 36' settimana; alfa 60' settimana ii comportamento,m sanipoiatotio del ,boambina,,,m
sipile a quello dell'adulto, almeno nelle sue linee strutturali essenziali.
Un altro i n t eressante pattern comportamentale legato alla maturazione quello che viene detto psr e n s i o n e, c o o r d i n a t a c o n
1 a v i s i o n e . S e s i m ette un oggetto attraente nel campo visivo di
un ba~bino di 1 mese egli lo ,guarda, ma non tenta .di r prenderlo. A du e
mesi e mez~o~ m i n cer a dare colpi all'aria senza riuscire ad acchi~apare

l o~etto. A quattro mesi alzer la mano in yicinanza dell'oqgetto e guardanclo alternativamente ora questo ora quello, t enter gradatamente di
diminuire la distanza tra i due sino a giungere a toccare l'oggetto. A cin-

119 que mesi, o cinque mesi e mezzo, la coordinazione oscchiocmmo sar~erfettamente a svvenuta.
McGraw ha pensato di poter ordinare in 4 t appe o stadi fondamentali i d i v ersi momenti dello syiluppo psicomotorio:
Il primo periodo corrisyonde approssimativamente ai quattro
primi mest etr " c ontrassegnato da una din:inuziorie di'riilesst tao nd p vici e dei movimenti r i t mici
a r a rteristi i T i n e onato. Ii
m
riodo si situa tra il q u ar to e l'ottavo mese ed caratterizzato 2aaIo
svilt!ppo dei m ovimenti v olontari e d e liberati nella regione. spinale
suprtore e cla una attiyit rlativamente ridotr..iilla.s,igione della
cintura pelvic e delle estremit inferiori. I l t e rzo ~eriodo caratterizzato da un cresciuto
o spinaa r controllo
e
a della
r attivit della regione
l e inferiore, e rmappres nt l'iriter vallo comspres tr a l ' o t t avo, , i1
i dieci mesi
quattorclicesimo mese. I l q u a rt oru p e r iodo
c comprendes,
i'sidui ed craiterizzato da rio sviippo rapido nei processi di asscizfone semplice o d i r etti, coridizionali s i mbhci, compres ii
linguaggio.
'

(M. B. McGraw, 19391


Lo sviluppo motorio progredisce, in genere, secondo sequenze ben
precise anche se, in taluni soggetti, possono verificarsi inversioni o salti di
fase: alcun= volte, ad esempio, possibile la ricornparsa di risposte immature dopo c'ie una fase pi avanzata era stata raggiunta. Se i~ne nerale
possibile dirt. cbe durante i~r i m i me si di vita ii t u o io deii'apprendimento
e della stimoi.tzione ambientale adtpaiono, se non r ggiungon livelli d i
chiara evidenza patologica, trascurabili e che i di v e rsi yattern siano raggiunti essenzialmente secondo ritmi di m a t u razione di t i po ge netico, sui
quli la d i versit di s t imolzione ambientale gioca un r u olo secondario d
mano a mano che il bambino cresce e passa a periodi evolutivi di pi alto
livello, l'azione della esperienza si dimostra sempre yi i m portante e insostituibile.
Questa relativa indiyendenza della l inea genetica psicomotoria che
c onduce all'acquisizione di d e terminate abilit comportamentali, che si
possono chiamare primarie, probabilmente resa possibile dalla esistenza
di una alta soglia di sensibilit generale nel neonato e nel b ambino di
pochi mesi. Ci, tuttavia, non solo non deve essere interpretato come una
assoluta indipendenza della maturazione dalle s i tuazioni ambientali, e
non deve neanche trarre nell'inganno di r i tenere che quel che non agisce
nella direzione attesa non agisca in alcuna altra direzione e sia per questo
trascurabile. -Esperienze fatte, specialmente in orfanotrofi, hanno mostrato
ad esempio, che circondare un bambino sin dai primi mesi di vita, di mobili e pareti dipinti a colori vivaci non serve a fargli apprendere la discriminazione dei colori prima che la maturazione psicologica lo renda pos-

120sibile; ma queste stimolazioni sono per servite a rendere il bambino irrequieto e irritabile.
Bisogna quindi usare molta attenziosie.,nel considerare inutile l'agporto di u n a s t imolazione p rima della comparsa della struttura che n e
r~enda ossitsile l utilizzzione: . un'aitta struttura, gia presente o in f o r mazione, potrebbe riceyerne condizionamenti,negativi.
c) Il b is ogno k s o n no.
Non sembra esista ancora una esatta comprensione della funzione assolta dal sonno nella economia della giornata individuale. Pare tuttavia
che il sonno,sia uno dei mezzi che il corpo utilizza per la autoregolazione,
per il mantenimento dell'equilibrio chimico e fisiologico dell'organismo e
per una sorta di r i f ornimento di energie.
Il neonato dorme circa 16-17 ore al gi o rno, cio circa l'80Fo della
sua giornata. Ma gi dopo i p r im j 1 5 g i orni questo tempo si ri duce e a
un anno il bambino passa molto pi t empo sveglio che dormendo.
Vi sono molte differenze individuali nel r i t mo, nel bisogno e nella
qualit del sonno, a tutte le et. Nei primi mesi il sonno spesso agitato,
talvolta interrotto, da sensazioni somestetiche provenienti dal corpo stesso
del bambino (sensazioni intestinali, motorie, etc.),
Esistono due t~ii di sonno: quello accompagnato da rapidi movimenti
dei globi oculari e quello in cu i q uesti movimenti non esistono. Gli an-

glo-sassoni chiamano il primo REM sleep, il secondo no-REM sleep. N~


e li
adulti il sognare legato al sonno REM; n ~on ar e i nvece che durante i
primi mesi di v i t a i l m o v i mento oculare yossa indurre nei bambini dei
sogni. Cio probabilment in relazione alle loro ridottissime capacit rappresentative. Il sonno REM m o lto f requente durante i primi 5 m esi di
vita (circa il 40% ) ma poi diminuisce; tra i 19 e i 3 0 anni il sonno REM

non occupa pi che una o due delle otto-nove ore che l'individuo passa
dormendo.

b. LO SVILUPPO DELLA PERCEZIONE.


Lo studio dei processi percettivi durante la prima i nfanzia richiede
una scelta propedeutica non soltanto metodologica ma di principio: rimandando ad altro capitolo un discorso sufficientemente approfondito sul problema dei metodi e delle tecniche nello studio della percezione, ci sembra
urgente chiarire sin da questo momento la prospettiva che la psicologia
oggi assume nei confronti dei processi percettivi.
I l punto di v i sta della psicologia classica era chiaro e semplice: l a
percezione un processo di tipo cognitivo consistente nella organizzazione

121 significativa dei dati sensoriali forniti d alla sensazione. Quest'ultima rappresentava il m omento del co ntatto tr a l o s t i m olo e l ' o r gano di s enso.
Tale concezione rispecchiava l'atmosfera positivistica e non poteva che essere empiristica.
T uttavia gi dal secolo scorso non mancarono motivi di dissenso e di g i>p)(tc p,'~
perplessit, incentrati soprattutto sulla osservazione che la strutturazione
percettiva della realt conteneva qualcosa (qualit di f o r ma, valore deln-,-,
l 'insieme non ricavabile dalla semplice somma degli elementi, ecc.) di ori- , <
v+'t t
)
ginario non riconducibile agli elementi forniti dalle sensazioni. Questi movimenti d i r e azione all'atomismo psicologico della corrente t radizionale
condussero, com' noto, alla f o r mulazione dei p r i ncipi d ella P sicologia
della Forma (Gestaltpsychologie) ad opera di un gruppo di studiosi di nazionalit tedesca (Wertheimer, K oRka, K o hler). Secondo questi autori
la struttura percettiva sarebbe del tutto indipendente e autonoma nei confronti degli elementi sensoriali, e consisterebbe in un processo ceiitrale originale e preformato. Come disse Kohler molti anni dopo (1966) i g estaltisti furono portati a supporre che:
I fenomeni ignoti, r esponsabili di t a li c u r iose interazioni nei
campi percettivi, avessero luogo nelle parti c orrispondenti del c ervello umano, principalmente nella materia grigia, nella corteccia cerebrale.
(W. Kohler, 1971, pag. 80)
La sensazione non ebbe riconosciuto alcun diritto di v it a nel mondo

della ricerca psicologica che si indirizz, invece, verso l'analisi strutturale


dei processi percettivi. L ' ipotesi gestaltista che considerava la percezione
un processo centrale (cio non dipendnte dagli organi di senso, che stan-

no alla periferia) originale, nel senso di non dipendente da un rapporto


rigido con lo stimolo (negazione del principio di costanza) ebbc molte occasioni di c o nferma sperimentale. La d i pendenza del fet)omeno psicolo-

gico percezione da una struttura neuronale preformata (innata) a livello


corticale lasciava invece parecchie perplessit.
a r i r o o sto l ' t i l t " a Recentemente la corrente, neo-behavioristica h~
zione del concetto di sensazione per indicare quei processi psicofssioiogici
c he sottostanno a risposte comportamentali costanti e i m m odi6cabili d i
fronte allo stesso stimolo e che, in u n a l tr o senso, possono considerarsi

non apprese, lasciando al termine percezione il signiftcaio di a p p r e ndi m e n t o


c o g n i t i v o cu i c o r r i sponderebbe, come avevano ipotizzato i gestaltisti, una struttura neuronale a livello corticale tuttavla non
innata ma costruita tramite processi di apprendimento.

Se si accoglie la proposta neo-behavioristica di considerare leyercezioni alla s t regua di ap p r endimenti c ognitivi, il pr o g r amma di s t u d i o
dello sviluppo percettivo, e cio un piano di r icerche genetiche sulla per.-

122 cezione, consister nel determinare, con le tecniche pi appropriate: 1. se


esistono percezioni (e cio apprendimenti cognitivi ) alla nascita; 2. eventualmente a quale livello d'et si stabiliscono le strutture percettive;
3, se le strutture percettive siano considerabili sostitutive dei rapporti di
sensazione presenti alla nascita.
Una ricerca impiantata in questi termini deve far proprio un principio
metodologico generale: qualunque moslificazione... comportameritale che
compaia dj fropte a stimolazione e che non possa essere dimostrata ri flessa,
deve considerarsi appresa, il che, tradotto nel linguaggio che qui ci i n t e ressa, significa che qualunqte rrtodi6cazione comportamentale che nop. possa interpretarsi come risposta ad una sensazione,.dovr interpretarsi come
risposta ad una percezione.
L'equipaggiamento sensoriale del n eonato corrisponde al grado di
maturazione delle zone corticali centro-posteriori: esse hanno uno sviluppo relativamente avanzato e consentono un rapido adattamento all'ambiente. Tuttavia la vista e l'udito, in particolare, sembrano ayer bisogno di un
pi o meno lungo periodo di m aturazione e apprendimento per raggiungere quella abilit funzionale indispensabile alla completa autonomia del
comportamento.
a) Le basi neurofisiologiche della percezione visiva.
stato dimostrato che il neonato ha percezione di luce, di.buio e di
colori gi alla nascita e dimostra una considerevole acuit visiva. Ma per
quanto il meccanismo neuronale fondamentale abbia fatto la sua comparsa
gi durante la terza settimana del periodo prenatale, l'apparato neuromuscolare coinvolto nella percezione visiva non ancora completamente perfezionato alla nascita.
In linea generale i m o v i m e n t i o c u 1 a r i ch e consentono una
corretta percezione visiva dell'ambiente possono essere cosi desctitti:
1, R i f l e s s o p u p i l l a r e , i l mo v i m ento i n volontario e
inconscio del restringimento (misi) e allargamento (midriasi) dell'iride in
rappor to all'intensit della luce ;
2. C o n v e r g e n z a del c r i s t a l l i n o , i l mov i m ento di
accomodazione del cristallino per far si che il raggio luminoso proveniente
dallo stimolo cada esattamente nella macula lutea e cio nel focus retinico;
3. C o o r d i n a m e n t o b i n o c u 1 a r e, il movimento sincronico di entrambi gli o cchi che consente la perfetta messa a fuoco delle
immagini e l a p r oiezione delle stimolazioni nelle simmetriche aree corticali della visione: elimina i fenomeni di sdoppiamento e coopera alla percezione della distanza e della profondit.

123Tutti questi movimenti sono comandati dalla zona motoria corticale


che, come sappiamo, sufficientemente sviluppata al momento della nascita. D'altra parte l'area corticale della proiezione yisiva situata nella zona occipitale ha, anch'essa, un tempo di m a t urazione relativamente precoce e appare alla nascita sufficientemente sviluppata. Ci spiega la relativa acuit visiva del neonato. Tuttavia un processo di integrazione e di
maturazione sia motoria che proiettiva ~are ancora possibile e indispensabile, probabilmente anche in d i pegdenza della funzione e della esperienza.
Il grado di maturazione delle diverse parti del completo meccanismo
neuromuscolare della visione stato stabilito tramite l'osservazione delle
risposte dei bambini ai diversi stimoli durante il loro primo anno di vita.
1. Il r i flesso pupillare, che stato osservato anche in neonati prematuri, rivela che il n eonato sensibile alle diverse intensit degli stimoli
visivi. Sebbene questo tipo d i r i sposta sia dunque presente alla nascita,
e ssa lo solo per s t imoli m o lt o f o r ti ; m a s i p e r feziona sin dai p r i m i
giorni di v i t a.
2. I m u scoli ciliari del neonato non sembrano sufficientemente maturi da consentire il p e rfetto accomodamento del cristallino per st imoli
oltre una certa portata. Ci significa che il neonato non capace per i primi mesi di vit a d i m e t tere esattamente a fuoco ci che fuori della sua
usuale portata che si stima sia,'di circa 25 cm.<Ma gi a due mesi~uesta
~ca acit molto sviluppata e a 4 m e si il s u6 a ccomodamento oculare
paragonabile a quello dell'adulto.

3. Sin dai primi giorni il neonato capace di seguire uno stimolo luminoso che si m uove lentamente davanti ai suoi occhi, i l ch e d i mostra
che i nervi o culari sono sufficientemente coordinati. Tuttavia questa capacit deve richiedere uno sforzo notevole: i l n eonato infatti non r iesce
a seguire lo stimolo per un tempo superiore a 15-20 secondi.
b) Genesi della percezione visiva.
Dal punto di vi sta che abbiamo assunto possibile dire, per quanto
riguarda la percezione visiva, che la maturazione delle zone corticali presiedenti alla v i sione sembra poter consentire l'apprendimento di a l cuni
processi percettivi sin dai primi giorni dopo la nascita; tuttavia le percezioni del neonato dovrebbero risultare grossolane e soggette a gravi limitazioni sia a causa della non completa funzionalit dell'apparato neuromuscolare, sia a causa della relativa impossibilit di i n t egrazioni a l i v ello
associativo.
Studi fatti da ~L'
(1942) hanno mostrato che la coordinazione e la
convergenza indispensabili per la messa a fuoco degli stimoli e per la per-

124 cezione della profondit, pur assenti alla.nascita, compaiono in forma rudimentale poche ore dopo. All'inizio esse avvengono con una serie di movimenti bruschi, a stratti, che sono via via eliminati e sostituiti da movimenti piani e c ontinui. L a comyleta e r egolare,convergenza binoculare,
tuttavia, non sar raggiunta prima di sette-otto settimane.
Una domanda che spesso stata rivolta ai ricercatori specializzati
se esistano fattori capaci di indurre preferenze nell'attenzione e nella fissazione di oggetti visivi i n b ambini durante i p r im i m esi di v i t a . Studi
tuttora i n c o rso hanno consentito d i e v i denziare a lcune d e t e r m i n a n t i d e ll a percezione infantile durante la primissima infanzia: queste
determinanti sarebbero il contrasto, il movimento e la discrepanza ottimale.
Il c o n t r a s t o . U n a t t r i buto assai importante della stimolazione
visiva pare essere il contrasto bianco-nero (per es., strisce bianche su sfondo nero): il b ambino nei primi mesi di v ita fissa yi a lungo e con maggior attenzione le zone ove il contrasto pi evidente (ad es., i vertici di
un triangolo bianco su sfondo nero) che le zone ove il colore omogeneo.
Le ricerche di R. Fantz (1961-1965) hanno mostrato la presenza di questa
capacit discriminativa in bambini di due settimane che mostravano di preferire, e cio di fissare pi a lungo, un quadrato composto di striscie nere
e bianche distanziate reciprocamente di 1 /8 di pollice (circa 4 mm.) collocate a 28 cm. dal loro viso, piuttosto che un quadrato tutto grigio, della
stessa dimensione e posto alla stessa distanza. A tre mesi i bambini fissarono pi a lungo (e quindi mostrarono di preferire) un quadrato costituito
d a striscie bianche e nere separate da un i n t ervallo di 1/64 di pollice

(circa mezzo millimetro).


Questa aumentata acuit visiva, che consente una pi fine discriminazione, stata dimostrata essere in correlazione alla progressiva maturazione della corteccia cerebrale e pare si manifesti con una decisa preferenza
per le zone di contrasto, in ispecie bianco-nero, e quindi per i l c ontorno
delle figure piuttosto che per l'omogeneit e il centro delle immagini; non
mancato chi ha creduto di poter porre in relazione questa preferenza per
il bianco-nero con la visione gratificante dell'occhio materno, il cui punto
di fissazione si colloca nella zona di contrasto tra la cornea e la pupilla.
Il m o v i m e n t o i l s econdo attributo della stimolazione capace
d i indurre una preferenza nella fissazione dei bambini: essi, infatti m o strano di essere maggiormente attratti dagli oggetti che si muovono, men-

tre rimangono indifferenti di fronte a oggetti stazionari.


Altro elemento che sembra in qualche modo influire sui tempi di fi ssazione la complessit e v ariet dello stimolo: sembra infatti che nei
primi mesi l ' attenzione si v o lga favorevolmente ad og getti c omplessi e
yari piuttosto che ad oggetti relativamente omogenei e usuali.
Tuttavia non t u tt i i r i c ercatori concordano sul r u olo d a a t t ribuire

125alla complessit e variet, perch una interpretazione preferenziale nei conf ronti di q uesti due elementi sembra non accordarsi con il r u olo di p r eferenza riservato invece dai bambini agli stimoli familiari o d i s i gnificato
familiare. E questo il caso della f a c c i a u m a n a , st i m olo preferito dai
bambini specie in et di due mesi, due mesi e mezzo in s.
lfna ricerca di Haaf e Bell ( 1967) ha messo in evidenza questa preferenza per le gestaTt-fcciali che avessero il maggior numero di elementi
corretti propri del vis umano. Sono stati presentati a bambini di 4 m esi
quattro stimoli: t u tti avevano il contorno ovoidale tipico del volto umano,
ma mentre il pr i mo aveva gli elementi corretti (occhi, naso, bocca, orecchie), gli altri o m a ncavano di elementi (solo il n aso) o avevano alcuni
elementi mescolati ad altri che aumentavano la complessit dello stimolo

Stimulus

Degree of
Faceness

Amount of
Detail

Percent
Fixation
Time

.33

.28

.19

Lf

+g

.20

Fig. V.11. - Differenti tempi d i fi s sazione per quattro diversi stimoli facciali,
(Da Haaf and Bell, Child Devefopment, 1967. Society for Research in Child Development Inc., Chicago).

126 ma non la 3omiglianza con il volto umano. I t e mpi di f issazione ottenuti


furono:
Stimolo l

Volto umano

Stimolo 2

V olto mancante d i u n o c c hi o m a c o n
altri e l ementi c h e n e a c c rescevano la
complessit
secondi 28

Stimolo 3

Volto con i l

Stimolo 4

S olo ovale ma ricco di segni non cortetti

secondi 33

s olo naso

secondi 19
s e condi 2 0

Questa esperienza stata interpretata nel senso che il sipnificato dello


stimolo sia pi attraente della complessit.
L'ipotesi che sostiene questo genere di esperimenii quella che parla
della progressiva costruzione di schemi mnemonici, in rapporto all'et. Lo
schema, come ben si sa, non deve necessariamente essere un'immagine,
m pu anche essere un'idea. Nei bambini molto piccoli, tuttavia, essa
"e-'nn fotografica, ma piuttosto caricapi probabilmente un'immagine,
turale: sembra infatti che l o s chema della gestalt-facciale acquisito dai
bambini nei primi mesi sia costituito dal contorno ovale del volto e d ai
due occhi.
Esiste un limite di d i s c r e p a n z a o t t i m a l e t ra l o s chema e
lo stimolo che sembra eccitaremaggiormente l'interesse e attrarre l'attenzione dei bambini, tuttavia oltre questo limite la possibilit di riconoscere
lo schema sembra diminuire rapidamente.
cosi possibile dire che il contorrto (o contrasto), il movimento e la
discrepanza ottimale da u no s chema stabilito r a ppresentino le c aratteris ticKe determinanti dello stimolo visivo per i b a mbini d urante il p r i m o
anno.
Una ricerca interessante quella condotta su un gruppo di bambini
da 4 mesi a 2 anni (Mussen, 1969). Ad essi sono state presentate 4 facce
tridimensionali nelle quali le caratteristiche facciali andavano via via scomparendo: cosi mentre il p r im o stimolo era quello normale di una faccia
con tutte le sue caratteristiche, la seconda aveva le caratteristiche disposte
in maniera inesatta, la terza mancava degli occhi e la quarta mancava de-

gli occhi, della bocca e del naso. Come era da aspettarsi le facce suscitarono interesse nei bambini proporzionalmente alla loro vicinanza allo schema facciale gi costruito. Ma ci solo per i bambini da 4 a 1 3 mesi. Nei
b ambini di 2 a n n i i l f e n omeno si i nverti e i l m a ggior gradimento e l a
maggior attenzione la r i cevettero l e u l t im e du e f acce. Fortunatamente,
sapendo i bimbi gi parlare, fu possibile registrare le loro reazioni verbali
che risultarono illuminanti. Essi dicevano Chi gli h a t i r ato una torta in

127 -

Fig. V.12. - Maschere di creta mostrate a bambini in eta da 4 a 2 7 m e si. (Da


Mussen, Conger e Kagan, Child Development and Personality, 1969, pag. 165, Harper
8 z Row Pu. I n c., New Y o r k ).

128 faccia?. Il s uo naso stato rotto, mamma? o, semplicemente:


Che
cosa successo? Che hanno fatto? Dove il suo naso?.
Molto evidentemente in questa fase l'associazione delle idee comincia
ad avere un ruolo determinante, alla pari, e f orse anche in sostituzione,
delle determinanti risultate valide nel periodo precedente,
e pertanto il
processo di apprendimento percettivo ne risulta grandemente facilitato.

c) La percezione della distanza, della profondit e d e lla p ermanenza,


Un altro p r oblema quello della percezione della distanza e della
profondit. Ci si spesso chiesti se questo tipo di percezione sia possibile
sin dalla nascita o non p i u t tosto dipenda da un t i p o d i a p prendimento
legato in gran parte ad esperienze motorie. Secondo alcune scuole (la cui
origine filosofico-empiristica innegabile), infatti, l a p ercezione della distanza e della profondit non p o teva avvenire se non d o po
esperienze
di movimento ed er a, soprattutto, vista dipendere dalla capacit esplorativa dell'ambiente, legata alla' deambulazione.
Studi recenti hanno dimostrato che se la percezione.della4stanza e
della profondit dipende dalla esperienza e dell' apprendimento, bisogna
dire che essa venga raggiunta assai presto. Infatti, mentre un bambino di
10 settimane mostra di gradire indifferentemente sia una faccia tridimensionale, sia la f o t ografia di un a f accia (e cio uno
stimolo bidimensionale), gi a tr e mesi la preferenza per lo stimolo tridimensionale appare
in maniera inequivocabile sotto forma di un m aggior numero di sorrisi e

di vocalizzi.
Una significativa esperienza in questo senso quella fatta da Gibson
e Walk (1960-1966) i qu ali hanno costruito un apparato speciale per lo

studio della percezione della profondit in bambini di sei mesi (oisual


cliff). I l b a m b ino v eniva collocato su un p i a no r i a lzato coperto da u n
drappo a scacchi bianchi e neri; i l p i ano veniva prolungato con un vetro
trasparente, suKcientemente solido da sopportare il peso del bambino.
Sotto il v etro, in t erra, a una distanza di circa un metro, perpendicolarmente, veniva collocato un drappo del t u tt o i d entico a quello che ricopriva il piano rialzato, cosi da poter essere interpretato come una prosecuzione di quello allo stesso livello
( Se la madre del bambino si poneva
al di l del vetro e chiamava a s il bambino, questi, camminando carponi
sul piano rialzato, giungeva sino al punto in cui cominciava il vetro e qui
si fermava manifestando timore e perplessit. In genere il b ambino non
oltrepassava quel punto sino a q uando non sentiva salda la mano della
mamma che lo sosteneva.

Si pu concludere che l~ae r cezione della profondit non n ecessariamente legata alla esplorazione motoria visto che essa compare in ma-

niera inequivocabile qi a sei mesi, quando ie esperienze deambulatorie dei


bambino sono ancora assai limitate.
Singolari ricerche condotte da Bower ( 1 972) sulla pexcezonie della

.s.ft

r . .i,.

plessit che suscitano, sembrano portate nuovi contributi alla i nterpretazione genetica della percezione. Nell'insieme i xisultati ottenuti da Bower
fanno pensare che nella seconda settimana di vita un bambino si aspetti
c he un oggetto percepito visivamente abbia anche conseguenze tattili e
i per u n a t e ndenza a u n i6caxe l e d i v erse impressioni provenienti
dai sensi diversi insita nella struttura del sistema nervoso umano.
Le ricerche condotte, sempre da Bowex., sullc possibilit che hanno
soggetti molto piccoli di percepire un oggetto in movimento e di seguirne
la traiettoria, se talvolta appaiono contraddittorie e p roblematiche, sono
nell'insieme assai suggestive. Bower avrebbe, ad esempio, trovato che la
tendenza a non arrestare un movimento del capo una volta iniziato deve
essere posta alla base della difficolt che hanno i b ambini di no n ancora
sedici settimane a fermare lo sguardo su e con un oggetto che, prima in
movimento, si arresti improvvisamente: i n q u este condizioni lo sguardo
del bambino, dopo un attimo di indecisione, continua e completa la traiettoria iniziata. Le interessanti conclusioni cui Bower ritiene di poter giungere sono queste:
Secondo queste ricerche sembra che i bambini.di. tueuo u di. 16
settimane vivano in un m o n do a rticolato in t e r m ini di s o l idi s jstemati stabilmente nlTo spazio a seconda della l or o c ollocazione, e
che continuano ad siistere anc he qu~ndo si nascondono l'un l ' altro.
T uttavia si t r atta di u n m o ndo enormemente superpopolato, in c u i
u n oggetto diviene un a l tr o o ggetto appena si sposta in u n a l t r o
luogo. I n q u esto mondo ogni oggetto u n i cc, e i l b a m bino deve
a8xontare un gran numero di oggetti, ixientr< iii r ealt ce n' soltant o uno .
(Bowex, 1972, pagg. 57-58)
In altre parole, secondo Bower, il b aiubinu<> di tre mesi viyrebbe in
un mondo in cui gli oggetti avrebbero parecchie identit o forse ne avxebbero una sola in relazione al luogo che occupano e lo spostare uii oggtto

da un luogo ad un altro creerebbe nel bambino la illusione della esistenza


di due oggetti, uno scomparso (che pu per riconiparixe se lo si r i pone
al posto di o r i gine) e l ' altro nuovo, che corrispond. allo stesso oggetto
visto in altro luogo. Queste conclusioni concordano, del resto, con quanto
si sapeva sulla incapacit dei bambini molto piccoli a r iconoscere gli oggetti anche usuali quando gli vengano piesentati capovolti: ad es., un bambino di sei settimane accompagna con sorrisi e vocalizzi la presentazione
del biberon, ma queste reazioni comportamentali xon si manifestano qua-

130 -

O OO O

as

Fig. V.13. - (Da Bower, Le Scienze,Milano, 1971). Il treno che scompare conferma l'ipotesi che i bambini di 12 settimane non hanno l'impressione di guardare un unico oggetto
quando questo dapprima fermo, poi si muove e poi si ferma di nuovo. Essi non seguono l'oggetto in movimento da un luogo all'altro ma piuttosto applicano una regola cognitiva che si pu cosl formulare: L'oggetto scompare in A ; l ' o ggetto riappare
in B. Nella prova sperimentale il bambino guardava un trenino con luci intermittenti fermo nel mezzo del binario, (a). Dopo dieci secondi il t r eno
spostava a
sinistra e poi si fermava (b), rimanendo li per dieci secondi prima di si
tornare nuovamente in centro, Il ciclo fu ripetuto 10 volte. Nel ciclo successivo (c, d) il t reno
si spostava lentamente a destra, poi si fermava. Se il bambino avesse
seguito
l'oggetto in movimento, av~ebbe guardato a destra, mentre se avesse seguito
la nostra
ipotesi, avrebbe guardato a sinistra nel luogo in cui il t reno si era fermato prima.
Ogni bambino di 12 settimane esaminato fece l'errore da noi previsto.

131lora il biberon gli venga presentato rovesciato. Si tr:itta ovviamente di fe-

nomeni riguardanti il pi complesso problema della percezione e costruzione dello spazio, di cui dovremo occuparci pi avanti.
La ricerca di Bower diventa ardita quando, con esperienze fatte su
bambini d.' meno,di ,2 0 settimane seduti di f r o n te a t r e s pecchi che riflettono tre immagini di una stessa persona, giunge a delle conclusioni che,
a nostro' avviso, smbrano avvaloraie la teoria psicoanalitica di M . K l e in
(vedi oltre). Nella prova preliminare le tr e i m magini corrisyondevano a
tre persone diverse sedute nella stessa posizione e di cui una sola era la
madre: i l b a m bino d i 2 0 s e t t imane rispondeva con sorrisi, balbettii e
gesti della mano e del b r accio alla sola immagine della madre, mentre
normalmente ignorava le immagini delle altre donne (cfr. per questo punto
le ricerche di R . Spitz riportate pi avanti). Di f r o n te alle tre i m magini
della madre il bambino invece si comportava come se rispondesse, con i
suoi vocalizzi, a tre madri, e cio, dice Bower, mostrando di non tdentiftcare le molteplici immgini della madre come immagini appartenenti a
unlunica persone.

lj

In conclusione si pu d ir e che i p r o cessi visivi del ba mbino sono


molto sviluppati sin dalla primissima infanzia; egli ha una eccellente acuit, percepisce distanza e profondit assai presto e apprende lo schema
Chlla faccia umana gi alla 12' settimana. Ad un anno la sua percezione
visiva in tutto simile a quella dell'aduho f atta eccezione per quel che
c o n cerne i l r u ol o i n f erenziale dell'apprendimento e d elle associazioni il
cui inizio, come si v i sto, pu collocarsi attorno al compimento del secondo anno (Mussen).

d) La percezione uditiva.
L 'orecchio on o rqano m e c c a n i c o che r i c e ve dall'esterno lo
stimolo sotto forma di onda sonora; la pressione dell'onda, la sna freqoenza, la sua al tezza agiscono meccanicamente sul ti mpano e s u gl i o s sicini
dell'orecchio medio e vengono trasmesse all'orecchio interno. L'eccitazione
delle terminazioni nervose preposte alla sensibilit uditiva avviene dunque
in maniera meccanica.
L'area di proiezione corticale della percezione uditiva si trova situata
nella zona parietale, ed appare, alla nascita, ben syiluppata. La r elativa
zona motoria,nell'area antero-centrale, poco estesa data la quasi assenza
di movimenti possibili a questo organo.

Sappiamo che fin dalla nascita il bambino possiede una percezione


uditiva che gli consente la discriminazione di suoni di d i v ersa intensit;
t ale capacit discriminativ per piuttosto grossolana. Leventhal e L i p sitt (1964) hanno approfondito questo punto e trovato che la capacit discriminatoria in genere non scende sotto gli 800 cicli per secondo (cps).

132 Nelle loro ricerche sottoponevano i neonati a stimolazioni di suoni di 200


c ps e ricercavano poi la soglia differenziale, utilizzando come punto di r i ferimento i mutamenti del ritmo cardiaco e respiratorio o la comparsa di
risposte motorie. Essi hanno trovato che suonj di 2 0 0 cps veniyano discriminati da suoni di 1000 cps, come a dire che il suono di un clarinetto
veniva discriminato da quello di una sirena da nebbia.
Suoni oltre i 4 000 cps provocavano uno stato di all'erta come se il
bambino si dicesse che cosa succede?.
Il suono ritmico sembra attirare l'attenzione pi del suono isolato,
quello profondo pi di quello metallico; in un'altra ricerca citata da Muss en (1969l i l s u ono del r i tm o cardiaco stato paragonato al suono ri t mico di un m etallo: s tato trovato che il s uono del rit mo cardiaco calmava~il i a nt o e l 'agitazione del neonato. Ci stato interpretato con riferimento alla e sperienza intrauterina, durante la q u a le il b a m bino h a
costantemente percepito il r i t m o de l c uore materno associandolo quindi
a sensazioni piacevili e calmanti. La ricomparsa di questo ritmo, dopo la
nascita, rievocherebbe quella situazione.
Questa ipotesi stata controllata su pulcini, (Grier, Counter, Shearer,
1967l. Un g r uppo d i u o v a d i c o vata stato esposto per u n c e rto p eriodo di t e mpo p r im a d ella a pertura ad u n r i t m o s onoro d i 2 0 0 c p s ;
un altro gruppo di u ov a s t ato i nvece lasciato senza stimolazioni. Pi
tardi, una volta nati, i p u lcini dei due gruppi sono stati collocati su una
tavola a un lato della quale uno dei ricercatori, con un apparecchio sonoro, mandava stimolazioni di 200 cps; poco dopo un altro ricercatore, dal
lato diametralmente opposto della t avola, cominci a m andare
stimolazioni sonore di 2000 cps. Si vide che i p u lcini che erano stati stimolati
prima della nascita si muovevano in un cerchio attorno alla fonte dei suoni
di 200 cps; gl i a l tr i a v evano un c omportamento indifferenziato.
Secondo questi autori meccanismi di questo genere sarebbero alla base del fenomeno cui fanno istintivamente ricorso le madri e le balie quando i b a mbini p i angono o sono irrequieti:
esse emettono ri tmicamente
suoni del tipo o h ! o h ! ch e hanno, come noto, l'effetto di calmarli.
Gi una settimana dopo l a n ascita la p ercezione uditiva pare
svilupparsi i n r e l azione all'apprendimento
e alla stimolazione ambientale.
Ci provato dal fatto che voci e suoni familiari ricevono risposte motorie e v ocalizzi i n m i sura maggiore dei suoni e d e ll e v o ci. sconosciute.
Ben presto la percezione uditiva mostrer il suo diretto rapporto con lo
sviluppo e la comprensione del linguaggio.

Anche la percezione termica e quella doloriftca, non molto sviluppate


alla nascita, appaiono ben presto correlate alla esperienza e alla situazione
ambientale che ne condizionano sia l a soglia assoluta che quella differenziale.

1334. LA NASCITA DEL LINGUAGGIO.


Lo sviluppo del linguaggio rappresenta l'aspetto forse pi macroscopico della socializzazione del bambino. Dal grido al balbettio, alla prima
parola, alla prima breve frase il bambino passa attraverso una prima elementare strutturazione della sua personalit, un l ento separarsi e distinguersi dall'ambiente e dagli altri esseri umano che lo circondano. Questo
tipod i ~
p or t o a s solutamente umano.5avorisce l'inserimento e l a c omprensione degli scambi e, quindi, ,la socializzazione.
~ urante tutto ii p r im o anuo..ii.balbettio costituisce tt,asi i'unica ris~osta yerbale che il bambino pu dare, e una delle principali risposte che
ti i d i r j s poste. veregli d alle stimolazioni ambientali. Ma esistono due ~
.bali anche a livello di b albettio: i l p r im o i nclude o~ni tipo d i suono legato al grido gi presente alla. nascita;. il secondo include quei suoni che
in gualche modo.sono legati ad un significato. Secondo Lenneberg (1967)
il secondo tipo di risposta non compare prima della sesta-ottava settimana
di vita e pu essere descritto come una specie di v e rso del piccione
(cooing sound). Questo suono correlativo alla diminuzione delle grida,
all'aumento della percezione visiva e uditiva e alla percezione della profondit. Il c ooing sound differisce dal grido poich in quello la lingua
assume una posizione che consente la modulazione del suono.
Il grido una risposta innata e rimane relativamente immutata durante i primi 2 m esi. L'ambiente pare modificare il tipo di r i sposta a cominciare dalla ottava settimana. Studi condotti in diverse parti del mondo
concordano sull'importanza degli scambi verbali tra madre e figlio in questo particolare periodo della vita come elemento che determina la comparsa, la ricchezza e i tipi di suoni modulati che i bambini sono capaci di
emettere durante la prima met del loro primo anno. I bambini allevati in
orfanotrofio appaiono fortemente indietro sia per i t i p i , sia per quantit
di suoni modulati, sia per quanto riguarda la data di comparsa di questi
suoni, nei confronti dei bambini che vivono in famiglia. Tuttavia gli studi
concordano anche sul ruolo della classe sociale di appartenenza, la quale
agisce significativamente anche a questo livello: nelle classi lavoratrici le

modulazioni appaiono pi tardi e i bambini sembrano avere una minore


ricchezza di tipi d i suoni e una minore quantit se confrontati con bambini di classi abbienti o di medio livello.

Gli studiosi sono concordi nell'attribuire alla voce del bambino il


ruolo di stimolante e nello spiegare i vocalizzi dei primi mesi come una
sorta di riflesso circolare nel quale gli stessi vocalizzi emessi dal bambino
funzionano da stimolanti e d a eccitanti. L a i n terpretazione psicoanalitica
parla di r i compensa secondaria con valore di sostituzione affettiva.
Tuttavia sembra accertato che i p r imi suoni, quelli del pr imo e del
secondo mese, siano indipendenti da ogni stimolazione ambientale e pos-

134 sano interpretarsi come semplici emissioni correlative a stati generali dell'organismo, come confermato dal fatto che anche i bambini sordi, che
i n seguito t r overanno enorme difficolt a p a rlare, durante i p r i m i d u e
mesi di vita vocalizzano allo stesso modo di quelli sani.
a) Processi e strutture.
Una classificazione elementare dei fenomeni che intervengono nella
funzione del linguaggio pu essere quella offerta dal Levi (1966, p. 147):
a) Fenomeni nervosi elementari di senso e di m oto, rappresentati
i primi dalle sensazioni uditive, visive e tattili, i secondi dalle esecuzioni
motorie di atti mimici, fonetici e grafici;
b) Fenomeni neuropsichicii di s e nso
e di m o to, r appresentati i
primi dai processi di apprendimento dei segni e dei simboli, i secondi dalla
realizzazione motoria dei simboli acquisiti;
c) Fenomeni psichici r appresentati dalla elaborazione
associativa
sempre pi complessa del patrimonio mnemonico progressivamente raccolto, che conduce anzitutto alla completa esecuzione verbale, e si completa successivamente con il r aggiungimento del l inguaggio astratto.
La classificazione dei fenomeni legati al linguaggio fatta da Levi mett e chiaramente in evidenza una distinzione assai importante; quella t r a
fenomeni i cui processi possono essere pi o meno localizzati entro determinate zone o aree del sistema nervoso, e fenomeni che invece si sottraggono ad una localizzazione e interessano l'intero sistema nervoso coinvolgendo tutta la complessit dell'aspetto psichico dell'individuo.
Infatti i f e nomeni nervosi di senso e di moto hanno la loro localizzazione in centri sottocorticali e corticali determinati, e i f enomeni neuropsichici hanno la loro localizzazione entro aree abbastanza delimitate della
corteccia cerebrale. A questo proposito, secondo recenti acquisizioni della
neurochirurgia, esisterebbero nella estensione della corteccia cerebrale alcune aree la cui f u nzione strettamente legata alla organizzazione della
loquela. Queste zone sarebbero:
I l c e ntro di W e r nicke, o centro verbo-acustico, localizzato nella
parte posteriore della prima e della seconda circonvoluzione temporale e
zone vicine non esattamente delimitate;
il centro di B roca, o centro verbo motorio, nel piede della terza
circonvoluzione frontale e zone vicine;
il c entro verbo ottico, nella zona occipitale superiore;
il c e ntro verbo grafico nella zona temporale.

135 Se questa localizzazione esprime u n s i gnificato fi logenetico conseguente a sempre pi specifiche organizzazioni verbali, essa non va tu ttavia interpretata in m a niera rigidamente meccanica, come veniva invece
fatto dai frenologi dell'ottocento e dai neurochirurghi sino alla prima met del 900. Bisogna infatti tener presente alcuni principi:
in primo luogo il principio della organizzazione funzionale di tutta
l'area corticale la quale sempre implicata nella sua interezza nei processi psichici superiori;
in secondo luogo l a l egge dell'asimmetrismo funzionale, secondo
la quale:
Gli a t t i m o t or i v o l o ntaii p i c o m pless:, e pi d i ff erenziati
preposti ad un preciso finalismo di risultato nel tempo e nello spazio,
e cio gli a tt i t i p i camente umani, richiedono un coordinamento ed
una selezione costruttiva che non possono prover:ire da aree motorie
simmetriche, ma abbisognano di una direzione unica per le due met
del corpo, capace di differenziare elettivamente gli i m pulsi esecutivi
alle zone motorie di destra e di sinistra; questa capacit di direzione
che si prepara mediante una concentrazione prevalente sensoriale e
peicettiv , e c h e si estrinseca con una prevalente attivit motoria e
con una esclusiva attivit di l i n guaggio, si r ende appunto possibile
con il d o minio f unzionale degli emisferi cerebrali .

(Levi, 148-149)
Il che significa che se possibile indicare, seguendo gli studi della
a natomia e della fisiologia del cervello, precise zone funzionali del l i n guaggio, anche necessario aggiungere che il c omplesso fenomeno della
loquela non si esaurisce entro i confini di quelle zone, come del resto avviene per ogni tipo di comportamento complesso e volontario, ma implica

una totale partecipazione delle componenti psichiche personali. Accanto


alla componente fonatoria, che rappresenta l'aspetto esteriore del linguaggio, esiste una componente psichica che costituisce l'aspetto interiore
del linguaggio, e cio l'aspetto della coordinazione e della partecipazione
volontaria.
Quanto sinora detto d un'idea soltanto approssimata della complessit del f enomeno del l i n guaggio, ma p ermette l a i d entificazione delle
strutture anatomo-funzionali la cu i i n t egrit c ondizione indispensabile
al corretto sviluppo della loquela. Riprendendo dal L ev i l a d escrizione
d elle strutture indispensabili alla corretta e completa comparsa del l i nguaggio, possiamo indicarle nella integrit:
dell'apparato uditivo;
dell'apparato f onetico l f a ringe, l aringe, palato, l i n gua, l abbra,
guance, naso);

delle vie nervose periferiche sensitive e motrici;


delle zone corticali del linguaggio di senso e di moto e loro maturazione funzionale asimmetrica, correlativa
alla prevalenza funzionale
di uno dei due emisferi cerebrali;
delle zone corticali psicoassociative elaborative e delle corrispon.
denti vie di associazione.
Naturalmente tutto ci non costituisce che l'aspetto oggettivo-strutturale del problema dello sviluppo del linguaggio, il quale maggiormente
complicato dalla partecipazione dei dinamismi intellettivi e dei dinamismi
affettivi e da l l or o r eciproco reagire. Il ch e significa che anche qualora
l'aspetto morfologico-funzionale delle strutture coinvolte nei processi del
linguaggio fosse nella pi perfetta normalit, ci non basterebbe a gaxantire il corretto sviluppo del linguaggio e il p u ntuale presentarsi dei fenomeni della loquela nei tempi e nelle fasi stabilite: numerose altre complicanze di natura intellettiva e di n atura emotiva o, il che la norma nei
casi di irregolare sviluppo del l inguaggio, di natura psico-nevrotica, possono intervenire a r i t ardare, rendere irregolare, introdurre deformazioni
durante tutto l'arco evolutivo, e soprattutto nei primi anni.
b) I p e riodi e le fasi dello sviluppo de.' linguaggio.
l3urante tutta l a p r ima met del p r imo anno l e m anifestazioni del
linguaggio includono un gran numero di f onemi e la presentazione di alcuni importanti m orfemi. I l f o n ema l ' elemento fondamentale di o gni
lingua e include le vocali e le consonanti fondamentali. I suoni p e b sono
esempi di f o nemi. U n g ran n umero di f o nemi si p r esentano spontaneamente nei pr imi b a lbettii del b ambino, ma i n s eguito l ' azione dell'ambiente concorre alla costituzione di un patrimonio fonemico elettivo e pi
ristretto. Alla nascita, infatti, t u tti i b a m bini hanno le stesse possibilit
fonemiche: i b a mbini i nglesi pronunciano la erre francese e quelli fr ancesi emettono fonemi gutturali tipici della lingua tedesca. L'apprendimento conseguente concentra le capacit di ciascun individuo sui fonemi caratteristici della lingua parlata dai suoi genitori, o c omunque tipico dei

suoni verbali uditi nel proprio ambiente.


Il morfema la pi piccola unit significativa di una lingua. Ma e no
sono due morfemi significativamente distinti.
G li studi pi i mportanti sullo sviluppo del linguaggio durante i pr i mi mesi sono stati condotti nella Universit dello Iowa, attorno agli anni
1942-43. Secondo questi studi i b ambini al di sotto dei due mesi disporrebbero di 7 f onemi, a 6 mesi di 12 f onemi, e a un anno di 1 8 f o nemi.
Il numero di fonemi di cui dispone un americano adulto di 35.

137 Durante i p r im i du e mesi il b ambino vocalizza emettendo circa 63


suoni diversi, a sei mesi vocalizza con 74 suoni e a un anno con 90 suoni.
A questo aumento nel numero e nella variet dei suoni corrisponde tuttavia la progressiva eliminazione dei suoni che l 'ambiente non r i nforza.
All'inizio la vocalizzazione avviene con una larga predominanza delle vocali sulle consonanti (cinque a uno), ma gi dopo i primi mesi il rapporto
comincia a cambiare. L'adulto ha un rapporto medio vocale-consonante pa-

ri a 1,4 su 1 (Carroll, 1964).


La regolarit della produzione dei suoni durante le diverse fasi dell'infanzia propriamente detta dipende molto dalla maturazione e dai cambiamenti nelle strutture anatomiche e neuromuscolari. Per esempio, il conseguimento della posizione seduta ha i nfluenza nella forma della cavit
orale, specialmente nella parte del p alato molle che ha certamente una
grande importanza nel controllo e nella formazione dei movimenti f onatori indispensabili alla f o rmazione di t a lune consonanti.
Nei primi 18 mesi di v it a l o sviluppo del linguaggio avviene con il
r ispetto di determinati tempi di m aturazione corrispondenti a f a s i o
s tad i
ci a s cuno contrassegnato dalla comparsa di p articolari st ruttvre
che consentono appropriati comportamenti verbali. Secondo una distinz ione, che pare abbastanza utile, si pu o p arlare di t r e p eriodi d i visi i n
diversi stadi:

I - PERIQDQ PRELocUTQRIo. Dalla nascita al 7"-8' mese: il periodo in cui il bambino utilizza e affina il proprio patrimonio fonemico, senza per la intenzione n la consapevolezza di parlare. Se talvolta, specie
verso il 5'-6' mese egli indirizza le proprie emissioni di voce ad una persona con la quale ha instaurato buone relazioni affettive, il suo una specie di giuoco; egli non ha ancora scoperto il c ontenuto e la f u nzione semantica dei suoni che emette. Durante questo periodo possibile distinguere alcuni particolari comportamenti verbali corrispondenti ad a l trettante fasi:
gli st r i l l i: d a p principio compaiono come semplice riflesso, d!rettamente dipendenti dal grido della nascita, che ne costituirebbe la strut-

tura pi antica; in seguito cominciano ad assumere il valore di segnali di


diversi bisogni primari e in particolare.dei bisogni di nutrizione, di calore
e di scarico della tensione. Verso il secondo mese dagli strilli si distinguono chiaramente le emissioni modulate (cooing sound), pi ricche qualitativamente e quantitativamente, specie quando il rapporto madre-bambino
adeguato. Per quanto considerabili fenomeni di r elazione questi particolari tipi d i e m issioni modulate non possono considerarsi vero e p r oprio

linguaggio.

138 le lallazioni: sono dette in francese quelle emissioni di suoni poco


articolate che compaiono verso il 3 ' m ese e che non costituendo ancora
veri morfemi, sono semplici iterazioni di uno stesso suono. Dapprima emessi in particolari condizioni di eccitazione motoria, diventano piano piano
un gioco divertente. In questo caso il bambino ascolta la propria voce cosi
come guarda la propria mano: la fase della selezione fonemica,
i b albettamenti intenziovali: compaiono verso il sesto mese e sono, in u n c erto senso, diretti alle persone che giocano con lui. Essi segnano la fine del periodo prelocutorio e annunciano imminente il periodo
locutorio e cio il m omento in cui i l b a mbino comincer a parlare utilizzando suoni e combinazioni di suoni per significare cose e persone.
Il - P ERIQDo LocUTDRIo. Ha inizio quando il bambino scopre la
esistenza di un legame tra suono e cosa e intenzionalmente si sforza di trovare questi legami o, pi semplicemente, di po rre arbitrariamente dei legami tra suoni da lui inventati e cose e persone.
Questo periodo esordisce
con il mor fema intenzionale. Verso l'ottavo-decimo mese i bambini hanno
realizzato, nella maggior parte dei casi, dei veri legami associativi tra suoni
e oggetti od azioni, essi cio sono arrivati a capire che alcune emissioni
di voci sono utilizzabili per ottenere qualcosa o per indicare qualcos'altro.
Compaiono quindi i primi veri morfemi (anche semplicemente da - pa - ba
- mm - ma) che si differenziano dai balbettamenti precedenti proprio perch significativi, anche se uno stesso morfema comincer con l'avere diverse
utilizzazioni.
L a i r vitazione dei suoni. Tutti gli autori concordano sul ruolo socializzante della imitazione ben nota la importanza che teorie personalistiche attribuiscono alla imitazione affettiva nella costruzione del senso di
sicurezza durante l'infanzia m a mentre la maggior parte ritiene che il
comportamento imitativo compaia verso il nono mese (Mac Carthy, Gesell,
Cattell, ecc.) altri non escludono manifestazioni di f orme fonetiche imitative pi rudimentali in et precedente.
La classificazione fatta da Decroly, nella quale vengono distinte quattro forme di imitazione:
imitazione con e senza intenzione di i m i tare che qualche volta
indicata come imitazione spontanea o volontaria,
imitazione con o senza comprensione,
imitazione immediata o differita,
imitazione esatta o inesatta,
ha dato luogo a molte discussioni soprattutto per quanto riguarda il riferimento cronologico, Il L ewis (1936) ad es. ritiene che una forma rudimen-

139tale di i m i tazione non i ntenzionale e spontanea esista gi a t r e-quattro


mesi e che in seguito scompaia per ricomparire attorno al nono mese. Assai discussa la questione se il bambino sia capace di ripetere, e quindi
di imitare, suoni che non abbia gi spontaneamente e casualmente emessi
in precedenza. Secondo alcuni la funzione della stimolazione ambientale sarebbe essenzialmente quella di un r i n f o r z o s u comportamenti verbali
che si presentano spontaneamente.
Gi Taine scriveva, nel 1876:
L'esempio e l ' educazione avrebbero solamente l'eBetto di a t tirare la sua attenzione sui suoni che ella (parla della figlial aveva
gi trovato in se stessa, ma l'iniziativa le appartiene interamente.
E Curti, nel 1938:
Ripetendo al fanciullo suoni diversi da quelli che egli ha gi
praticati, l'adulto pu ogni volta richiamare questi suoni e cosi condurre ad una pi grande facilit nel loro uso. Tuttavia nessun suono
sar ripetuto se il b ambino non lo h a gi adoperato.

(pag. 261l
Cosi un particolare morfema emesso dal bambino in una data situazione verrebbe ripetuto dalla mamma che accompagnerebbe il suono con
un'azione gratificante (pu trattarsi di un sorriso, il cui v alore di segnale
ben noto al bambino, o anche di quella particolare inflessione di voce
che la mamma usa nei momenti di tenerezza), e questa agirebbe da ri>zforzo spingendo il bambino a r i petere il m o rfema per ottenere la gratifica-

zione. In questo modo ben presto il bambino acquisirebbe un legame significativo tra quel morfema e quella gratificazione.
Mentre taluni sostengon che la tendenza alla imitazione una conseguenza naturale della maturazione, altri la ri tengono legata alle condizioni
ambientali. Mowrer, ad es., ha avanzato l'ipotesi che i comportamenti imitativi del bambino, specie se prodotti i n assenza della madre, abbiano il
valore di r i c o m p e n s a s e c o n d a r i a , i nte n dendo con ci che il
bambino con la ripetizione dei suoni che ha imparato evochi le stimolazioni gradevoli che ad esso sono state associate.

Za ecolalia fenomeno tipico della prima infanzia, ha inizio con


l a ripetizione dei primi morfemi e si p r otrae spesso a lungo sino a tu t t a
la seconda infanzia. La interpretazione della ecolalia si richiama a processi
circolari tipo feed-back nei quali il s u ono stesso, una volta emesso, funzionerebbe da stimolo spingendo alla ripetizione. Talvolta di una tale struttura circolare possono restare tracce anche jn et adulta. Alla ecolalia viene
normalmente assegnato il ruolo di esercizio preparatorio, intendendo con
ci che il bambino, tramite la ripetizione dei suoni e la prod ~z'o =; =-".

140 stessi suoni in diverse tonalit e sfumature, si impadronisce sia strutturalmente che espressivamente degli elementi del linguaggio.
La Parola-Frase. Segna l'inizio di una nuova fase immediatamente
conseguente all'ecolalia e al morfema intenzionale: secondo alcuni autori la
parola-frase appartiene gi al periodo delocutorio in q uanto contiene, in
nuce, la espressione verbale completa. In realt il m omento della parolafrase, la cui durata normalmente di pochi mesi, potrebbe raffigurarsi come
uno stadio transitorio nella utilizzazione di due strutture lessicali diverse,
la prima ancora legata al morfema intenzionale, di cui quindi si potrebbe
considerare una estensione, la seconda gi preludente la f rase contratta.
Tuttavia la mancanza di qualsiasi elemento grammaticale e sintattico, anche
rudimentale, ci spinge a considerare la parola-frase come meglio inserita nel
periodo locutorio, la cui caratteristica strutturale la assolutizzazione della
espressione verbale, piuttosto che nel periodo delocutorio il cui elemento
differenziante sta nella lenta e progressiva conquista delle relazioni grammaticali e sintattiche.
Ad un dato momento (circa un anno d'et) il bambino non solo si
appropriato di una o due parole ma ne afferra il v alore semantico e comincia ad utilizzarle per indicare azioni. In questo stadio la parola mamma pu voler dire v oglio la mamma m amma vieni m a mma ho
fame, ecc., o la parola pappa pu voler dire
voglio l a p appa,
non voglio la pappa, la pappa cattiva ecc. Il fatto che il bambino
usi una sola parola non signi6ca che egli economizzi e contragga, ma semplicemente che il suo vocabolario e la sua sintassi non gli consentono una
maggiore precisione. D'altra parte i l f a tt o che egli i n sista nel chiamare
nonno t u tti gl i uomini adulti non autorizza a concludere che egli confonda il nonno con gli altri uomini.
Le ragioni per cui il bambino non solo ha un repertorio molto
l imitato di r i sposte, ma queste sono costituite da un a
sola parola,
sono da ricercare nel carattere globale della percezione e della
strutt urazione motoria, particolarmente quella rappresentativa (ad es. i l
disegno) del bambino, per cui egli coglie solo qualit d'insieme degli
oggetti o f acendo perdere la loro individualit agli elementi costitutivi o accentuando un aspetto a detrimento degli altri o accentuando
una parte come luogo in cui si f ocalizzano le propriet dell'oggetto.
Questo ultimo processo si realizzerebbe proprio nel caso delle locuzioni monoverbali ol ofrastiche: l e l o cuzioni adulte
sono
percepite
come unit inarticolate e la loro carica semantica totale
focalizzata
in un segmento di gr ande rilievo percettivo (per essere all'inizio o
alla fine de lla l o cuzione, per
essere prosodicamente rilevato,
etc. )
su cui si concentrano i tentativi di r i produzione.

141 Il passaggio a locuzioni di due o pi parole testimonia uno sviluppo verbale percettivo e motorio verso forme articolate e il r i l ievo
delle qualit parziali .

(in J. B. Carroll, 1964, pag. 71, nota)


Piaget ha illustrato il procedimento caratteristico della utilizzazione di
una sola parola per indicare pi oggetti, facendo riferimento alle osservazioni registrate sulla propria figlia.
A circa 1,1(20) (un anno, un mese e venti giorni) essa chiama
i cani vua; a 1,1(29) mostra dal balcone il cane del padrone, in giardino, e dice ancora vua. Nello stesso giorno qualche ora dopo chiama cosi anche i disegni geometrici di un tappeto, indicandoli col dito
( una linea orizzontale sbarrata da tre linee verticali). A 1,2(1) vede
dal balcone un cavallo, lo guarda attentamente e finalmente dice vua;
dopo un'ora reagisce allo stesso modo davanti a due cavalli. A 1,2(3)
una carrozzina scoperta con dentro ben visibile il b ambino, spinta
da una signora che le fa esclamare vua (tutta la scena vista dal balcone). A 1,2(4) l a v o lta di galline; a 1,2(8) dice vua a cani, cavalli, carrozzine o ciclisti e sembra riservare cc, cc (suono dolce) alle
auto e ai treni. A 1,2(12) dice vua per tutto quello che vede dal balcone: animali, auto, anche il p r oprietario del cane (visto in p r i nci-

pio) e la gente in generale. A 1,2(15) il suono medesimo si applica


a carrelli t i r ati d a d ipendenti della stazione ferroviaria; a 1 , 3 (7) di
nuovo sono chiamati cosi. i disegni del tappeto e, finalmente, dopo 1,4
vua sembra riservato definitivamente ai cani .

(J. Piaget, 1945, pagg. 230-231)


I n questa sequenza riportata d a P i aget appare evidente i l r u o l o
dell'apprendimento e del t r a n s f e r t e c i o, della capacit di trasferire
ad altro uno stesso simbolo o, per di rla in l i n guaggio piagetiano, la utilizzazione di medesime strutture verbali per la significazione di diverse situazioni (meccanismo di assimilazione). Ma anche evidente il ruolo progressivo della maturazione e dell'apprendimento assieme che conducono a
successive generalizzazioni (suono di vua usato per tutto ci che si muove) le quali consentono gradatamente discriminazioni pi precise (suono di
vua riservato ai soli cani). La bambina di Piaget ha impiegato, in questo
processo, circa un mese e mezzo.

III - P c RIono DELocUTQRIO. A seguito del transfert, della genera-

lizzazione e della progressiva discriminazione inizia un lento processo di


strutturazione sintattica del linguaggio di comunicazione, Come si vedr
pi avanti, l'elemento strutturale compare si contemporaneamente a quello
grammaticale ma ha su q uesto una certa prevalenza. il b a mbino dovr

142 prima conquistare una struttura sintattica per la propria frase e solo questa
struttura consentir l'arricchimento grammaticale, che differenziante. In
sostanza, secondo le ultime posizioni della genetica linguistica, sarebbe la
struttura sintattica della frase a fornire le condizioni per un arricchimento
del vocabolario, non solo dal punto di v i sta quantitativo (pi parole) ma
dal punto di vista qualitativo (rapporto tra le parti del discorso

).

I l periodo delocutorio si estende sino a tutto i l q u i nto anno in u n a


progressiva conquista strutturante del linguaggio correlata alla normalit
dello sviluppo mentale.
Si considerano due fasi o stadi:
La frase contratta, lo stadio che si prolunga verso il terzo anno
c aratterizzato dalla costruzione di semplici frasi elementari di du e o t r e
parole, secondo una progressione sintattica e di arricchimento lessicale nota
come l e g g e d i S t e r n : secondo questa legge l'espressione verbale
si arricchirebbe delle parti del discorso secondo un ordine cronologico che
vedrebbe prima la comparsa dei sostantivi (oggetti e persone), poi dei verbi (azione), quindi degli avverbi (relazione) e in6ne degli aggettivi (qualit). Soltanto tardi comparirebbero i pronomi personali e possessivi come
correlativi di una maggiore maturazione della propria coscienza. Gli studi
psicoanalitici hanno fornito suggestive interpretazioni della comparsa del
pronome io in r e lazione alla negazione no. P er t utti q uesti aspetti
rimandiamo ad altri capitoli.
La frase grammaticale, stadio che verrebbe raggiunto verso il quinto anno e costituirebbe l'ultimo stadio della evoluzione lessicale: a questo
punto il b ambino possiede una struttura lessicale quasi completa che gli
consente di esprimere il proprio pensiero con una adeguata scelta di vocaboli inseriti in una corretta espressione sintattica e grammaticale.
Tuttavia d a t ener sempre presente che quanto ffn q u i r i p o rtato
rappresenta soltanto l'aspetto statistico di uno sviluppo oggettivo strettamente lessicale che nella realt non va mai disinserito dal pi complesso
contesto psicologcio. Rimandando la descrizione dello sviluppo lessicale oltre il 18 ' m ese e delle implicanze affettive e di socializzazione che comporta ai capitoli che verranno, ci limitiamo, a conclusione di questo paragrafo, a riportare la tabella di accrescimento di vocabolario nelle diverse et.

143 -

iN. SOGGEI'I I
anni

iX, PAROLF

mesi

10

17

52
19

19

14

22

118

25

272

14
20
1.122

1.540

32

1.870

20

2.072

27

2.289
2.562

(Tavola di L. E .

Smith, 1926, tratta da D. M c Carthy, 1952, pag. 805).

5. LO SVILUPPO DELLA AFFETTIVIT


U no dei concetti di pi difficile utilizzazione quello di a f f e t t i v i t , s i a per il disaccordo tuttora esistente quando si tratti di darne una
precisa definizione, sia per l a di fficolt di d i stinguerlo correttamente da
c oncetti quali e m o tivit o s e n t imento . L ' affettivit d efinita da
Lalande l'insieme dei fenomeni affettivi . Questi si configurano come
stati e tendenze della personalit generalmente contrpposti agli atteggiamenti cognitivi (intellettivi, percettivi, rappresentativi); in questa dicotomia si perpetua quello che K . L e w i n a v eva chiamato ragionamento
aristotelico, e che voleva giustamente venisse superato dal ragionamento
gaiileiano e cio dalla tendenza ad operare aggruppamenti mediante l'impiego di concetti seriali che rendono possibili variazioni non discontinue,

(K. LEwrN, 1965, pag. 30).


Dal punto di vita ontogenetico il problema della affettivit pone l'interrogativo sull'essere l'affettivit una forza innata, una e energia fon-

damentale od un a acquisizione dovuta all'ambiente, naturale e sociale,


e inoltre quali rapporti essa intrattenga con la m o t i v a z i o n e,
specie con quella primaria.
Dal punto di vista 61ogenetico ci si deve chiedere se l'affettivit, qualunque cosa essa sia, vada soggetta a mutazioni da sviluppo lungo la scala
gerarchica degli esseri viventi o se rappresenti un patrimonio comune, in
qualche modo dominato, trattenuto o modulato, dallo sviluppo della intelligenza e, nel caso, se sia corretto parlare di affettivit con riferimento al
mondo animale.
Dal punto di v i sta di un a sistematica generale bisognerebbe distinguere tra emozioni e sentimenti, tr a affettivit ed emotivit, tra bisogni
e tendenze, o valori, interessi, motivazioni ecc. Ma mancando.una prospettiva teorica unitaria, tutte queste distinzioni, il cui valore accademico pu
anche essere riconosciuto, contribuiscono al generale disorientamento e alla
proliferazione di ipotesi provvisorie talvolta contraddittorie, talvolta complementari.
Georges Amado (19691 elenca nove differenti concezioni dell'affettivit: la concezione behavioristica, quella della psicologia sperimentale, la
p osizione di Gesell, la Gestalttheorie, la concezione psicodinamica di K .
Lewin, quella di H . W a l l on, i l p r o blema degli stadi secondo Piaget, la
prospettiva caratterologica (suddivisa in un numero piuttosto vasto di prospettive particolari) e la concezione psicoanalitica. Noi non p otremo certamente tener dietro a tutti questi differenti modi di affrontare o considerare il problema dell'affettivit. Ci l i m iteremo, pertanto, a considerare le
prospettive che, a nostro avviso, sembrano di maggiore utilit per la comprensione della complessa dinamica affettiva.
La neuropsicologia contemporanea ha indubbiamente addotto notevoli
prove sulla localizzazione infracorticale dei centri e delle zone delle motivazioni e della emotivit. Scrive in proposito G. Benedetti:
Che l e r egioni allocorticali siano legate a comportamenti affettivi assai pi intimamente che non le regioni isocorticali sembrano
dimostrarlo diverse prove stringenti: cosi il f a tt o che pazienti con
atrofie prevalentemente isocorticali e a l l ocorteccia intatta mostrano
gravi disturbi i ntellettuali con un m i gliore comportamento affettivo;
cosi le esperienze di Pribram sulle scimmie, dimostranti gravi disordini delle reazioni emotive condizionate dopo lesioni fr ontobasali e
lesioni del corpo di Ammone; in questi animali l'apprendimento emotivo rimaneva viceversa intatto, anche dopo estese lesioni isocorticali
parietali temporali ed occipitali .

(G. Benedetti, 1969, pagg. 306-3071


Ma, lungi dal voler ridurre la affettivit al comportamento diencefalico
ipotesi questa che sarebbe del tutto insufficiente alla comprensione di

comportamenti in cui l a affettivit assurge a livelli di a lta socializzazione


e che, riducendo la psicologia a neuro6siologia, non spiegherebbe i processi
psicologici s i amo della opinione che la socializzazione della emotivit
non consista semplicemente nella azione inibitrice o direzionale dei centri
telencefalici su quelli diencefalici, e quindi dei comportamenti da questi
ultimi diretti, m a r i chieda la costituzione di complessi circuiti nei q uali
vengano coinvolti processi cerebrali, a diversi livelli, reazioni del simpatico e parasimpatico, secrezioni ghiandolari autostimolantisi, e che la esistenza di questi complessi circuiti debba essere in qualche modo legata
condizionata dalle differenti situazioni ambientali : conseguentemente
l'affettivit di ciascuno risulta qualcosa di personalissimo e di i r r ipetibile
poich in larghissima misura dipende dalla storia individuale.
Le direzioni di r icerca che sono risultate le pi ut ili per la i nterpretazione della affettivit, e d i q u ella infantile in p a rticolare, consentendo
la costruzione di ipotesi assai vaste e la conseguente loro estensione al numero pi grande dei fenomeni, sono state quelle della psicoanalisi. Non
bisogna per dimenticare, da un lato l 'insostituibile apporto delle ipotesi
piagetiane e dall'altro il continuo e paziente lavoro degli sperimentalisti che
non si stancano di raccogliere dati, di controllare ipotesi, di trovare connessioni da offrire alla interpretazione dei teorici.
a. Laipotesi base.
Oggi la maggior parte degli psicologi d'accordo nel ritenere che il
bambino venga al mondo senza alcuna innata tendenza ad amare od odiare, ad avere paura o a cercare il prossimo: tutto il suo bagaglio di emotivit sembra ridursi alle tensioni interiori scaturenti dai suoi impulsi e dai
suoi bisogni. Ma da questa radice emergeranno lentamente le strutture della affettivit che, come naturale, si modelleranno sotto l'influenza delle
forze endogene del soggetto (temperamento) e delle forze esogene, poich
sar necessario apprendere ad amare e ad odiare, apprendere a temere il
prossimo, a tollerarlo e a cercarlo.
Nelle pagine che precedono abbiamo esposto nella loro genesi e nelle
loro strutture un buon numero di dati che riguardano la vita del bambino
nei suoi primi diciotto mesi: da un punto di v i sta fenomenologico sia~o
ora in grado di descrivere molti comportamenti infantili. Sappiamo che il
bambino ha un patrimonio di risposte abbastanza vario: egli guarda, ftssa

{in ispecie il contrasto bianco-nero dell'occhio materno), vocalizza, sorride,


grida, succhia, ecc. Ma da t u tt e queste risposte, dai comportamenti che
possiamo descrivere, non sarebbe possibile arguire e a rgomentare sullo
sviluppo futuro della personalit dell'individuo, se non avessimo a disposizione alcune ipotesi che ce ne consentono l'interpretazione,

146 L a prima di queste ipotesi che l ' a d a t t a m e n t o d e l b a m b in o a l l ' am b i e n t e p as s a


a tt r a v e r s o l a m ad r e . La
madre rappresenta per il bambino l'unico mo~do e l'intero 1nondo,
essa cos tituisce quindi l'elemento di mediazione con la realt: il m odo in cui i l
bambino sar accolto e l relazioni che riuscir ad instaurare con questo
mondo materno costituiscono le strutture fondamentali di ogni fu t ura capacit di adattamento.
Per comprendere la portata di questa ipotesi tenteremo di r enderci
conto di quale debba essere la situazione psichica globale di un bambino
alla sua nascita. per questo necessario partire da quel presupposto che
alcuni hanno indicato come
s en s o d e l c o n t i n u u m , vale a dire
come una condizione di indistinzione spazio-temporale entro la quale
il bambino debba trovarsi. Naturalmente, tutto quanto ipotizziamo sul senso del
continuum malamente descrivibile proprio perch trattasi di esperienza
che precede la comprensione della parola e l a p ossibilit della sua artic olazione. D'altra parte questa particolarissima condizione, che noi t u t t i
dovremmo aver attraversato, appartiene ad un periodo tanto remoto della
nostra vita da renderne praticamente impossibile la rievocazione. Pertanto
quando parliamo del senso del continuum non ad una comprensione emotiva della espressione che facciamo appello, ma ad una decodificazione less icale di essa, la quale non pu darci che una pallidissima idea di ci i n
cui essa consiste. N d'altra parte siamo in grado di fornire delle dimostrazioni effettivamente probanti di questo senso del continuum nel quale ammettiamo che il neonato debba trovarsi:
esso pertanto una ipotesi, che
ha molte probabilit di essere vera.
Da questa situazione di i n differenziato spazio-temporale il b ambino
lentamente emerge attraverso la esplorazione e la incorporazione del mondo che lo circonda: egli infatti prima di conquistare la distinzione dl s
dal mondo esterno deve passare attraverso la incorporazione psichica del
suo mondo ambiente. noto che l'organo pi sviluppato, e che il neonato
utilizza sin dai primi giorni per una esplorazione di ci con cui viene a
contatto, la bocca: questo organo provoca le prime sensazioni e le prime
soddisfazioni. con la bocca che il bambino riceve il cibo, con la bocca
che grida e d sfogo alle sue tensioni. Ma anche con la bocca che esplora il suo mondo, la madre, il seno materno. dunque in questo rapporto
primario che deve collocarsi la prima formazione di una struttura affettivocognitiva.
Ma la madre non soltanto
ci c h e d i l c i bo : l a m a dre un
elemento di un rapporto che viene indicato come d i a d e,
m ente, costituisce l'indispensabile realizzatore di un a f o l l o,
a pi feliced u e .
Le esperienze condotte da Harry H arlow all'Universit delloaWisconsin (1959-66l ci sembrano molto eloquenti su questo punto. Harlow ha uti-

147 lizzato nei suoi esperimenti delle scimmie giovanissime le quali avevano a
l'interno della gabbia una costruzione in filo di f e rro a f o rma vagamente
scimmiesca (in realt si trattava di una specie di grosso tubo verticale poggiante su un piedistallo) dalla quale, tramite una bottiglia appesa circa all'altezza di un ipotetico seno, bevevano il latte. Vi era, nella stessa gabbia,
un'altra costruzione simile, ma ricoperta di tessuto di spugna e sovramontata da qualcosa che aveva le caratteristiche di una gestalt-facciale (occhinaso-bocca). Le piccole scimmie succhiavano il latte dal castelletto di fi l o
di ferro, ma immediatamente appena finito, si r i f ugiavano in b raccio
alla m a m m a d i s p ugna.
Se all'interno della gabbia veniva i n trodotto u n a n imale d i l e gno
semovente, pi o meno somigliante ad un grosso ragno o si producevano
suoni e rumori i m provvisi, le piccole scimmie immediatamente si arrampicavano in b raccio alla mamma di spugna, Di fronte a qualsiasi situazione od oggetto capace di suscitare paura, ansia o curiosit, le piccole
scimmie si comportavano in modo diverso se all'interno della gabbia c'era
la mamma di spugna o l a m a mma di fi l o d i f e r ro : n e l p r i m o c aso si
avvicinavano timidamente ad osservare l'oggetto nuovo, nel secondo si
rincantucciavano in un angolo della gabbia.
Q uesta esperienza sembra dunque confermare che la madre non
soltanto colei che dona il cibo, ma l'elemento mediatore con la realt:
l a madre offre, contemporaneamente al latte, sensazioni gradevoli di t i p o
olfattivo, termico, uditivo. L a m adre ha u n o d ore, calda, parla, culla
il suo bambino che succhia e guarda l'occhio della madre. La madre in
una parola ci che soddisfa i b i sogni e calma le tensioni: c i che d
sicurezza.
La necessit della presenza di un a m adre s t ata dimostrata anche
da un'altra serie di interessanti esperienze condotte su pulcini e paperotti
(Bateson, 1966). Paperotti appena nati venivano messi nelle condizioni di
vedere solamente un oggetto semovente (talvolta a forma di anatra, talvolta no): i p i ccoli imparavano a seguire questo oggetto come se fosse la
loro madre e non l o abbandonavano pi. q u esto i l f e nomeno che gli
anglosassoni chiamano i m p r i t i n g e che dimostra ancora laestrema
necessit della presenza rassicurante della madre per u n a d eguato rapporto con la realt.
Naturalmente non i n dispensabile che la madre sia sempre quella
naturale, n che il l a tte sia sempre offerto tramite il seno. Anche bambini allevati da balie asciutte, con il b iberon, possono sviluppare un normale contatto affettivo con la realt se assieme al cibo essi introiettano
tutte quelle stimolazioni gradevoli e rassicuranti che p r ovengono dalla
m adr e .
Se la madre assente parzialmente o t o t almente compaiono fenomeni di angoscia o di depressione.

148 T uttavia, anche nello sviluppo normale e nel r apporto corretto t r a


madre e figlio inevitabile il manifestarsi di particolari stati d'ansia non
nevrotica. Gli americam hanno riscontrato due particolari t ip i d i a n goscia durante i primi 18 mesi:
l'angoscia degli 8 mesi, legata alla scoperta dello schema (gestaltfacciale) materno come qualcosa di distinguibile da tutti gl i a l tr i schemi,
come uno schema emergente dalla indifferenziazione del resto del mondo
in maniera privilegiata e la cui scomparsa (Iegata alla comparsa di volti
di persone sconosciute ) provoca stati d'ansia;
l'ansia dei 10 mesi o ansia di
s e p a r a z i o n e, l e g ata all'allargamento dello spazio vitale del b ambino
n el quale vengono per l a
prima volta inclusi oggetti percettivamente non presenti.
Questo tipo di
a nsia sarebbe vissuta dal bambino quando qualcosa si inframette tra lu i
e Ia madre (per esempio una porta chiusa) impedendo la percezione o il
richiamo della madre che pur non p resente fenomenicamente presente
ormai psicologicamente.
caratteristico, e i n p a rt e conferma quanto detto,
che i bambini
istituzionalizzati non attraversino di n o rma queste due forme d i a n sia.
Per essi, infatti, la madre non si costituisce come oggetto privilegiato durante i primi mesi e la gestalt-facciale della madre non viene conseguentemente identificata in anticipo su l e a l tre, n tanto meno pu verificarsi
l'ansia di separazione. Nei bambini istituzionalizzati il f enomeno pi comune invece quello della depressione, come correlato di un insufficiente
rappor to affettivo.
Tutti questi studi, che pure costituiscono una notevole mole di dati
e di f atti, non consentono ancora una corretta interpretazione dei fenomeni di cui abbiamo parlato (ansia, depressione, angoscia ecc.). . merito
della psicoanalisi l'aver fornito delle teorie interpretative dalle quali ded urre la spiegazione dei fenomeni. Come o v vi o l a b o nt o m en o d i
queste teorie non pu essere provata direttamente, secondo i metodi della
sperimentazione tradizionale, ma pu ottenere conferma o smentita dalla
correttezza o scorrettezza delle previsioni i n
relazione alle realizzazioni
future.
b. I presupposi~ della Psicoanalisi
Riassumiamo brevemente i principi e gli elementi teorici della psicoanalisi che possibile utilizzare per la i n terpretazione dei fenomeni descritti. Ci r i f eriamo all'elenco datone da R. Spitz
e che ci pare particolarmente eloquente:

149 1. I

d u e p r i ncipi f o ndamentali stabiliti d a F r eud per l e f u n zioni

psichiche: a) il principio del piacere; b) il principio della realt.


2. L a suddivisione in senso descrittivo dello psichismo in conscio e
inconscio.
3. I l p u nt o di v i sta topico, vale a dire la divisione dello psichismo
in sistemi: I n conscio, Preconscio, Conscio.
4. I l p u nt o di v i sta delle istanze o concetto strutturale, vale a dire
la divisione dello psichismo in Es, Io, Super-Io. Ripetiamo che il
concetto di Super-Io non applicabile alla prima infanzia.
5. I l p u n t o d i v i st a metapsicologico, distinto i n t o p ico, dinamico
ed economico.
6. I l p u n t o d i v i st a dinamico comprende la divisione dell'energia
psichica in libido ed aggressione. Comprende inoltre il concetto
di investimento di e nergia psichica {cathexis).
7. I l c o ncetto d i s t adi l i b i dici.
8. Il concetto dizone erogene.
9. L ' i p otesi di Freud sul ruolo delle serie complementari nella etiologia delle neurosi. Credo che questo concetto si possa apphcare
non solo alle neurosi, ma a tutti i f e nomeni psichici umani.
Ogni fenonemo psicologico b asato sull'interazione reciproca
di fattori congeniti e f attori ambientali.
10. I l p u nto di vista genetico, il quale stabilisce che tutti i f enomeni
psichici sono soggetti alle leggi della causalit e che l a s ccessione delle cause deve essere seguita fin da11'origine.

{R, Spitz, 1962, pag. 7)


Crediamo che tutti questi principi siano a perfetta conoscenza della
maggior parte dei lettori. Un b reve cenno, tutt'al pi, merita il concetto
d i cathexis, cio di i n v estimento libidico. Con q uesto concetto gli p s i c oanalisti i ntendono u n m e ccanismo psichico attraverso il q u a l e viene
proiettata su un og getto esterno la carica interna di t e nsione libidica in
modo che quell'oggetto venga percepito e v issuto come buono e g ratijicante, se la carica investita p i acevole, come cattivo e p u n it ivo, s e l a
carica investita sgradevole. Questo meccanismo p arte f o ndamentale
della dinamica della personalit e costituisce uno dei principali mezzi di

difesa dell'io.
Gli psicoanalisti partono dal presupposto che al momento della nascita il b a m bino v i v a u n a e sperienza di i n differenziazione psichica in
quanto non ancora arrivato alla realizzazione di ci che essi chiamano
relazione oggettuale.
Per relazione oggettuale si intende quel processo dinamico che
permette al neonato di passare dalla iniziale condizione di indifferenziazione psichica in cui no n esistono per lu i r a pporti oggettuali n='

oggetti, allo stato della definitiva stabilizzazione dell'oggetto libidicn.


L'oggetto libidico q uella entit che, mutando nello spazio e
nel tempo, sar di volta in volta investita dagli istinti sessuali .

(A. Ossicini, 1967, pag. 12l


Su questi concetti di ca t hexis e di re l azione oggettuatesono state
costruite teorie psicoanalitiche oggi r i tenute le pi v a l ide per l a i n t erpretazione del comportamento infantile e per la prima strutturazione della personalit.
c.La interpretazione jreudiana
La psicoanalisi freudiana interpreta la p r ima f ase della et evolutiva secondo uno schema di sviluppo libidinale che si incentra in
tadi
i quali prendono il nome da particolari zone erogene del corpo. Glis stadi
psicoanalitici sono caratterizzati ciascuno da u n l i v e llo d i m a t urazione
pulsionale e da un t ip o d i r e lazione oggettuale, che si formano secondo
meccanismi specifici.
La posizione freudiana ortodossa comprende cinque stadi denominati:
s tadio orale, che si estende per tutto il I " a n no
stadio anale, che va da 1 a 3 anni
stadio fallico, dai 3 ai 6 anni
stadio di latenza, dai 7 anni all'inizio della pubert
stadio genitale, dopo la pubert.

Lo s T ADIo QRALE

(dalla nascita ad un anno)

Comprende due fasi, una primitiva


ed una t a rdiva,
si estendono rispettivamente durante il pr imo e durante il Recondo che
semestre
del
primo anno e sono caratterizzate dalIa successione di due tipiche attivit
libidinali: l a suzione e il m o rdere. Durante questo stadio la zona labioboccale la regione pi sviluppata nella quale si fissa di preferenza la soddisfazione libidica, e prende per questo il n ome di zona erogena.
Durante la prima fase il bambino associa ben presto alla funzione alimentare della suzione quella propriamente libidica,
cosi che possibile
a Freud dire che nella suzione si compie un atto sessuale.
lit infantile ha la caratteristica di essere autoerotica, vale Questa
a dire sessuache il
bambino trova la soddisfazione sessuale in s stesso.
Nel secondo semestre, con la comparsa dei dentini, l a s u zione si
trasforma in m o rsicatura nella quale fa l a c o mparsa,
c ombinata
con l a
libido, la pulsione distruttiva e aggressiva che d alla ricerca
di soddisfa-

151zione libidinale del bambino un carattere sadico. questa la prima manifestazione dell'ambivalenza.
Durante il p r imo anno di v it a i l b ambino realizza una serie di rapp orti con la madre che lentamente conducono, attraverso il conflitto t r a
il principio del piacere (presenza della madre) e principio della realt (assenza della madre) alla strutturazione dell'Io. L e p ulsioni sadiche che si
manifestano attraverso il mordere del bambino sono correlative al conflitto
tra il desiderio libidinale di unione con la madre e la separazione che di
fatto viene oramai riconosciuta. Freud vede in t u tto questo l'origine dell'atteggiamento ambivalente del bambino, fatto dalla mescolanza di amore
e di aggressivit, di comunione e d i d i s truzione. Sembra quindi che l a

comparsa dell'Io possa collocarsi nella fase tardiva dello stadio orale.
Freud attribuisce una importanza notevole al corretto stabilirsi delle
relazioni libidinali tra madre = bambino nello stadio orale.
L'atto del succhiare il seno materno diventa il p u nto d i p a rtenza di tutta la vita sessuale, l'ideale mai raggiunto di t u tte le sodd isfazioni sessuali ulteriori... cosi che il seno materno forma il primo oggetto dell'istinto sessuale; e non saprei darvi un'idea abbastanza esatta dell'importanza di questo primo oggetto per t u tt e l e successive ricerche di oggetti sessuali, dell'influenza profonda che eserc ita in t u tte l e sue trasformazioni e sostituzione fino ai domini p i
lontani della nostra vita psichica. M a se l a sensibilit erogena labio-boccale persiste il f a nciullo sar pi t a rdi un a matore di b aci,
ricercher i baci perversi, e diventato uomo, sar predisposto a diventare bevitore e fumatore. Ma se vi r i f i uto, egli prover disgusto dei cibi e sar oggetto a vomiti isterici .

(Freud, 1969)
d. Gli st udi di R e n Spitz
Ren Spitz, dell'Universit di N e w Y o r k , h a e l aborato una t eoria
interpretativa del rapporto oggettuale collocandosi in una posizione rigorosamente freudiana. Tanto Freud che Spitz, infatti, partono dal presupposto che l'I o sia struttura non presente alla nascita, ma che emerga in
c onseguenza del processo relazionale madre-bambino durante i p r i m i 1 8
mesi di vi t a.
Diversamente da Freud, Spitz tuttavia non ha potuto far r i corso al
metodo clinico della introspezione psicoanalitica, neanche in quella partic olare accezione retrospettiva che ha permesso a taluni ricercatori di f a r
riemergere alla coscienza sensazioni e f r antumi d i u n a esperienza molto
precoce. Spitz ha preferito ricorrere al metodo sperimentale, costruendo
per i suoi soggetti, bambini nel primo anno di v i ta, situazioni stimolanti
ed osservando e registrando le reazioni comportamentali. Tali reazioni sono state tuttavia interpretate secondo precisi principi psicoanalistici.

S econdo Spitz durante i p r im i t r e m esi di v i t a i l b a mbino vive i n


u na situazione di i n differenziazione totale, dalla quale emerge nel m o mento in cui r i esce ad associare uno speciale segnale, in questo caso la
gestalt-facciale con le sue caratteristiche fondamentali (occhi, naso, fronte), alla soddisfazione dei bisogni primari ( alimentazione, calore etc.) o
alla attenuazione e scomparsa di tensioni interne. Il b ambino percepisce,
naturalmente, i suoi bisogni e le sue tensioni, e non l'elemento esterno che
li calma, ed associa la gestalt-facciale a queste sue percezioni interiori.
Pertanto non si puo dire che la faccia sia segnale di qualcosa di esterno che sta per giungere, ma, con riferimento sempre alle proprie percezioni, segnale di u n m u t amento interno. D 'altra parte, nella indistinzione in cui i l b a m bino v ive manca la possibilit di f ar e r i f erimenti a
due direzioni quali sono quelle di i n t e r n o ed e s t e r n o .
Spitz chiama i p r im i t r e m esi lo s t a d i o p r e o g g e t t u a l e ,
che termina nel momento in cui il b ambino realizza una prima organizzazione strutturale cognitivo-aBettiva.
Questo concetto di
o r g a n i z z at o r e c h e Spitz utilizza per indicare la particolare fase di strutturazione
d ella personalit costruito u t i lizzando un analogb concetto della Em briologia.
Infatti in E m b r i ologia si chiamano organizzatori quelle strutture che si sviluppano ad un certo punto in cui convergono diverse

linee di sviluppo.
(R. Spitz, 1962, pag. 36)
Il correlato comportamentale-fenomenico che garantirebbe la comparsa di questo primo organizzatore sarebbe il so rriso, c on cui i l b a m bino accoglie la presentazione della gestalt-facciale. Che il b ambino non
abbia ancora realizzato la identificazione della faccia con la presenza materna dimostrato, nelle ricerche di Spitz, dal sorriso con cui sono accolte
tutte le f acce, di q u alsiasi colore, purch provviste delle caratteristiche
essenziali (al limite provoca il sorriso anche un pupazzo realizzato con una
s copa, una calza dipinta ed un cappello) e purch in m o vimento e n o n

di profilo.
Dal terzo all'ottavo mese si svilupperebbe il secondo stadio, detto
da Spitz dell' o gg e t t o
p r e c u r s o r e culminante nel secondo organizzatore il cui correlato comportamentale-fenomenico sarebbe appunto
l' a n g o s c i a d e g l i o t to m e s i , p ar t i c olare stato di d i sagio
e di ansiet con cui il b ambino accoglie, a quella et, i
v o l t i s conosciuti. Questa sarebbe la prova di u n a maggiore organizzazione della personalit nel senso della discriminazione diacritica: in q uesto stadio, infatti,
i l bambino ha realizzato l'associazione tra un p articolare volto e l a p r e-

senza di una particolare persona, la madre, da cui d ipende interamente.


I l volto della madre acquista cosi il valore di o ggetto privilegiato e l a
sua assenza percettiva {realizzantesi solo in quanto avviene la percezione
di qualcosa che pur assomigliando al volto conosciuto non quello donatore di sicurezza e di cibo) provoca disagio, ansia e insicurezza.
Da quel momento in poi si svilupperebbe lo stadio o gg e t t u a l e
culminante con la i n t roiezione della figura materna, oramai percepita in
maniera diacritica, e con la emergenza di una coscienza di s come di qualcosa di perfettamente distinguibile dall'altro. I l c o r r elato comportamentale-fenomenico di questo terzo organizzatore sarebbe l'uso del morfema
no u t i l izzato in m aniera significante ed in u n i one alla comparsa del
pronome io. L a relazione oggettuale si stabilizzerebbe, quindi, in concomitanza al processo di opposizione legato all'emergenza dell'Io.
e. La teoria di AIeiania Klein
M. Klein si d iscosta in parte da Spitz (e da Freud) per l a convinzione di una possibile attivit psichica nel bambino sin daHa nascita. Pur
vivendo i n u n a s i t uazione di i n d i fferenziazione spazio-temporale, dalla
quale emerge al m omento della costituzione della relazione oggettuale,
secondo la Klein il b ambino ugualmente capace di una particolare attivit psichica che viene indicata come a ttivit f a n ta s m a t ic a e
che consisterebbe in una particolare produzione eidetica sulla quale vengono investite le tensioni interne.
Che lo psicotico attui c ontinuamente una produzione fantasmatica,
i nvestendo oggetti esterni, talvolta allucinanti, di t e nsioni che sono i n vece interne a se stesso era noto da tempo agli psichiatri. La paranoia nella
sua particolare forma di d elirio di p ersecuzione ha come connotazione
proprio una attivit fantasmatica alienante da s una produzione che non
si vuole o non si pu riconoscere come propria.
Che l'adulto normale possa, in p articolari. situazioni, dedicarsi, sia
pure senza volont, ad at tivit f antasmatiche era anche accettato dalla
psicoanalisi fficiale. Ma che un n eonato, nonostante la sua rudimentale
evoluzione neurologica, potesse avere una produzione fantasmatica stato
per la p r ima v o lta affermato dalla K l ein, sulla base di alcune osservazioni sulla m odalit della suzione indicate dalla M i d dlemore. N aturalmente la produzione fantasmatica del neonato adeguata alle sue possibilit di cathexis ed legata alla maniera in cui il m ondo percepito
e vissuto dal bambino stesso. Ora, durante i p ri m i m e si, i l m o n d o
del bambino sono le sue stesse percezioni interne, e cio le sue pulsioni,
i suoi bisogni, la sua libido, e la sua aggressivit. Queste percezioni sono
dunque ci che viene fantasmatizzato e nella maniera in cui pu essere
fantasmatizzato da un neonato.

154Nei primi mesi di vita la percezione dominante quella delle proprie


tensioni e dei propri bisogni e dei correlativi appagamenti, il che induce
il neonato a fantasmatizzare queste esperienze secondo due direzioni che
sono quelle della gratificazione e della frustrazione-tensione. Queste due
esperienze (buono-cattivo) vengono dai bambini fantasmatizzate come appartenenti agli oggetti con cui entra in r apporto. Poich i fantasmi generati dalle esperienze di p i acere coincidono
con di
la dispiacere
p r esenza gratificante
della madre e i f a ntasmi generati dall'esperienza
coincidono
con l'assenza della madre,
e poich questa assenza non pu essere dal
bambino percepita se non come presenza cattiva, ecco che, nella terminol ogia kleineniana, si formano i fantasmi del s e n o b u o n o
e del s e n o c a t t i v o.
Il primo caso genera i f antasmi del d i vorare il seno
buono, il secondo dell'essere divorato dal seno cattivo.
questa quella che M. Klein ha chiamato p o s i z i o n e
s ac hrealt
i z op a r a n o i d e a p o i ch l'esperienza del bambino quella di un
dicotomica contrapposta, buona-cattiva, in c o r rispondenza delle proprie
percezioni piacevoli e di f r u strazione. I m eccanismi di d i fesa sono quelli
di divorare il seno buono, e cio di incorporarlo per tenerlo con s, e di
espellere il seno cattivo attraverso la violenta scarica delle feci (tentativo
di controllo onnipotente delle ansie persecutorie
Ma ci porter
adcatun
circolo chiuso: la voracit-fame far ricomparire il).fantasma
del seno
tivo come un fantasma che rode dal di dentro e che deve essere placato attraverso la incorporazione del seno buono e la espulsione del seno
cattivo.
La via che rimane al bambino, a questo punto, quella di alienare
da s il seno cattivo, relegandolo in una zona fuori della coscienza (nell'inconscio). Questo secondo meccanismo consente una relativa tranquillit, e il r aggiungimento di un n u ovo stadio, lo stadio dell'
etto
t o t a l e.
Il secondo semestre del pr imo anno d alla K l eino g
i ngdicato

come quello della p o s i z i o n e d e p r e s s i v a . L a p ercezione della


madre come totalit impedisce la messa in moto d i q uei m eccanismi di
difesa che ancora valevano nei confronti della situazione di splitting della
realt vissuta durante la posizione schizoparanoidea.
La difesa del proprio i o no n p u i n q u esto stadio attuarsi se non
con una netta distinzione e separazione del s dall'oggetto buono (e non
dell'oggetto buono dall'oggetto cattivo, come nella posizione schizoparanoidea) e nella soppressione del proprio mondo soggettivo a vantaggio del
mondo oggettivo dell'oggetto totale (cio della madre) dal quale dipende
la propria esistenza.
in questa separazione del s dall'altro che pu porsi l'inizio della
relazione oggettuale.
Il raggiungirnento di questa nuova fase , naturalmente, subordinato
alla correttezza nella diade, e cio agli scambi affettivi avvenuti. durante

155i periodi precedenti tra madre e bambino. La teoria della Klein sulla eziologia della schizofrenia colloca l'origine della m alattia mentale i n u n a
e rrata relazione con la madre durante i p r im i d i ciotto mesi di v i t a . L e
fantasie schizoparanoidee non superate spingeranno lentamente alla alienazione dalla realt e alla preponderanza del mondo interiore su quello
esteriore sino alle m anifestazioni deliranti de i p a ranoici. I m e ccanismi
della posizione depressiva potrebbero invece stare alla base della costituzione di aggrovigliati complessi di colpa che richiedono espiazioni continue e financo definitive.
f. Patologia della relazione madre-bambino
N el citato l avoro d i S p i t z l a corretta relazione madre-bambino
v ista su un a l i nea d i r e ciproca soddisfazione. In u n a m aniera che h a
dell'organico e del poetico assieme, i due personaggi di questa relazione
godono del reciproco contatto e si nutrono reciprocamente.
difficile, se non impossibile, trovare una formula che esprima la marea multiforme e i n v isbiile, i fl u ssi e i r i fl u ssi silenziosi,
potenti e allo stesso tempo sottili, che si attuano in queste relazioni.
Ma non si i nsister mai abbastanza sul fatto che le r elazioni oggettuali si realizzano per una interazione costante fra due partner assai
diversi fra l o ro, l a m adre e i l b a mbino: ciascuno dei due p r ovoca
la reazione dell'altro, e q u esta relazione interpersonale consiste in
un campo di f o rze i n c o n tinuo m utamento, che agiscono costantemente le une sulle altre. Forse parlando di r elazioni oggettuali che
soddisfano sia la madre che il b ambino, possiamo dire che si t r atta
di forze o di r elazioni che si completano fra loro in m odo t ale che,
n on solo offrono soddisfazione ad uno dei du e p artner, ma che l a
soddisfazione di uno di e ssi rappresenta contemporaneamente la sod-

disfazione dell'altro.
(R. Spitz, 1962, pag. 90)
Parlando degli influssi nocivi conseguenti alle errate relazioni madre-bambino, Spitz presenta una classificazione dei fenomeni pi f requenti e delle loro cause, ponendosi, come egli avverte, nella posizione della
madre, e cio considerando causa della relazione non corretta solamente
la madre.
Egli distingue le:
r e 1 a z i o n i i n a d e g u a t e dalle r e 1 a z i o n i i n s u f f i c i e n t i .
Relazioni inadeguate sono quelle nelle quali la presenza della madre
turbata da fattori di v a ria natura che interferiscono nello stabilimento
di una reciproca soddisfazione affettiva tra i du e partner della diade. Le
turbe in questi casi prendono il nome di turbe psicotossiche.

156Si avrebbero i seguenti casi:


Atti tudi ne materna

1. Rifiuto primario passivo


2. Rifiuto primario attivo
3. Preoccupazione primaria ansiosamente esagerata

4. Ostilit sctto forma di preoccupazione ansicca

5. Oscillazioni rapide tra tenerezza


ed ostilit
aggressiva
6. Sbalzi di umori ciclici
7. Ostilit coscientemente compensata

Malattie del bambino


Coma del neonato
Vomito del neonato
Coiiche del I

t r i mestre

Eczema infantile
Ipermobilit

Coprofagia
Ipertimia aggressiva di Bolwby

Relazioni insugicienti sono i n vece quelle che solitamente


si hanno
in assenza totale o parziale della madre, per abbandono o per i stituzion alizzazione precoce. Le turbe in questo caso prendono il nome di c a r enz e af f e t t i v e .
Attitudine

materna

1. Privazioni affettive parziali


2. Privazioni affettive totali

Malattie del

b ambi no

Bepressione anaciitica

Marasma

lper un approfondimento di questo punto si rimanda al citato lavoro di R. Spitz).

CAPITOLO SESTO

LA PRIMA INFANZIA
Dai D i ciotto Mesi A T r e A n n i -

Durante i s u ccessivi 18 m esi l ' i n dividuo umano passa dallo stato


di i n f a n t e a qu e l l o d i b a m b i n o . Se p e r i l p e r iodo precedente,
in accordo con tutta la l etteratura sull'argomento, possibile dire che il
ruolo della maturazione sia stato preponderante nei confronti dell'apprendimento, d'ora in avanti l a s t imolazione ambientale e quindi l ' apprendimento, acquisteranno una sempre maggiore importanza, sia per q uanto
concerne lo sviluppo psico-motorio, sia per quanto concerne lo sviluppo
verbale, cognitivo, affettivo e l a socializzazione.
Durante la P r im a I n f anzia il r u ol o d ella madre r imane preponderante soprattutto per quanto riguarda il processo di socializzazione e l'ac
quisizione delle prime abilit. Soltanto verso il termine di questo periodo,
e cio verso i 3 a n ni, l a figura paterna acquister una importanza particolare configurandosi in un proprio ruolo ben definito.
Il processo di socializzazione sino ai tre anni sembra pertanto legato
agli sforzi combinati del padre e della madre per assegnare al bambino un
ruolo ben definito nella societ, e cio nella famiglia. L'adattamento e il
disadattamento sociali in q u esta fase della vita possono venire considerati in r apporto alla maggiore o minore accettazione da parte del bambino del ruolo che gli viene imposto.

1. LO SVILUPPO FISICO E LO SVILUPPO PSICO-MOTORIO


In questa seconda fase il bambino sembra crescere con un ritmo pi
lento di quello dei primi mesi. Cosx, mentre nel primo periodo passato
da una lunghezza di circa 50 cm. ad una lunghezza di circa 76 cm. e da
un peso di circa 3.200 gr. ad uno di circa 10.300 gr. con un incremento
pari al 52/ o per la statura e addirittura al 221 /o per il peso, nel periodo
dai 18 ai 36 mesi la crescita aumenta secondo gli indici qui i n dicati:
Et in mesi

cm.

18

76
81
86
89

24
30
36

kg.
6,7
4,9

3,4

10.300
11.000
12.100
13.200

6,7
10,0
9,9

L'incremento complessivo quindi, per quanto riguarda l'altezza, pari


a circa il 17,1% e pe r q uanto riguarda il peso pari a circa il 2 7 ,8% .
Le proporzioni del corpo sono tuttora anarmoniche: la testa ancora
troppo grossa e il cranio sproporzionato nei confronti del viso; le braccia sono troppo lunghe e le gambe e i p i edi t r oppo corti. I.a conquista
della proporzionalita regolare continua, ma ancora molto lenta:
mine della prima infanzia il rapporto fra i tre elem~nti della statura (testa,
al tercorpo, estremit inferiori) sar 20 - 4 4 - 3 6 . B o vr essere, al termine dell'adolescenza, pari a 8 - 4 2 - 3 0 . I a t e sta quindi ancora l'elemento dominante e nella deambulazione dei primi anni sar questo elemento a creare
gravi problemi di equilibrio. Se il bambino perde questo equilibrio e cade
sar quasi inevitabile che batta Ia testa per terra.
Ci nonostante lo sviluppo neuromuscolaie appare piuttosto avanzato. Il cervello raggiunge, durante il secondo anno, il peso di 1000 gr.
(circa 3/ 4 d e l p eso del cervello
adulto); i l p r o cesso di m i elinizzazione
delle vie nervose pu considerarsi completato a 3 amai.
Tutto ci c onsente un pi r a pido sviluppo della psicomotricit e
dell'autonomia. A due anni il bambino ha coliquistato una discreta abilit
deambulatoria, trotterella pi che correie, cammina a zig zag, ma non sa
ancora infilare le curve con molta precisione. Si alza da terra ancora in
posizione ventrale, ma se deve raccogliere qualcosa non si accoccola pi
n si lascia andare pesantemente di se dere vi c ino all'oggetto:
fatti gi chinarsi, sia pure con gravi pericoli per l'equilibrio.
sa inQuesta maggiore autonomia psicomotoria si r i f lette nella decisione
che pone in tutti i s uoi gesti:
accompagna le azioni {per esempio trascin are la sua sediolina vicino alla madre) con espressioni come E cco!
oppure O h ! , c h e sottolineano la soddisfazione per l'azione compiuta
a buon termine, ma anche la necessit di partecipare questa soddisfazione
e di riceverne lodi, e cio l'inizio della socializzazione.
Riportiamo alcuni item della Scala di Sviluppo di,rBayley che si riferiscono alle abilit psicomotorie del bambino durante il secondo anno:
Item

Et in mesi

Cammina da solo
Tira una palla

Cammina di sghembo (di f ianco

Cammina all'indietro
Sale le scale con aiuto
Scende le scale con aiuto
Tenta di stare in equilibrio su un asse
Cammina su un piede in equilibrio
Sale le scale da solo; segna il passo
(Mussen, Conger e Kagan, 1969, pag. 246)

11,7
133
14,1

14,6
16,1

16,4
17,8

20,6
2$,1

161a) La deambulazione
Levi cosi riassume le tre principali fasi della deambulazione dai 18
mesi a tre anni:
Verso i 18 me si: de ambulazione abbastanza sicura, caratterizzata
peraltro da proiezione del'tronco in avanti e da gambe'allargate,
per facilitare l'equilibrio; p ossibile l'inversione della marcia e
la marcia all'indietro;.
a 2 anni: deambulazione stabilizzata e ottenuta con migliore coordinamento delle due fasi del passo che tendono a divenire uguali
(oscillazioni e appoggio), con diminuzione dei movimenti associati
del corpo, con minore impiego di energia muscolare, capacit di
correre, saltare, scendere le scale e tentativi d i s alire sulla seggiola;
a 3 anni: de ambulazione e coisa deffnitivamente acquistate, con
persistenza dei movimenti associati delle braccia, solo in q u anto
utili a garantire il b i l anciamento del corpo.

(S. Levi, 1966, pag. 182)


Il traguardo dei tre anni assai importante per quanto riguarda lo
sviluppo psicomotorio e i n p a r ticolare le conquiste della deambulazione.
A questa et il bambino ha realizzato una serie complessa di coordinazioni
muscolari che gli consentono una notevole autonomia. Il r i t ardo nel conseguimento di questo traguardo e cio il r i tardo nello sviluppo funzionale
del sistema neuro-motorio appare, dopo i tr e anni, con una serie di comportamenti p articolari i l c u i p a t t ern v i ene d enominato s i n d r o m e
motrice
i n f a n t i l e e d c o s t ituito d a v ari si ntomi neurologici
cosi riassumibili: esagerazione dei riflessi tendinei, disequilibrio del t o no
muscolare, conservazione di atteggiamenti, sincinesie bilaterali, ecc.
Questa sindrome ha una evoluzione assai nota e d efinita: essa insorge in un periodo che va dalla nascita ai 7 mesi, ha un periodo di stasi
che arriva sino a 2 a nni e d u n p e riodo di d i ssoluzione che si completa
entro il t erzo anno. Tutta la sua evoluzione si richiama ad un p r incipio
d i correlazione psicomotorio-affettivo-cognitivo, che ri c eve i l n o m e d i
le g g e
d e l l ' a s s o c i a z i o n e p s i c o m o t r i c e e ch e p u cosi
venire enunciata:
Un bambino che dopo i 3 a n n i p r esenta persistenza totale o
parziale dei segni della sindrome motrice infantile, candidato non
soltanto alla debilit motrice, ma anche a difetti i n tellettivi e caratteriologici, mentre un bambino che a tre anni dimostra la scomparsa
di tutti questi segni, lascia presumere un normale sviluppo ulteriore
psicomotorio e mentaie.

(S. Levi, 1966, pag. 183)

T utti gl i a u t ori sono concordi nel f issare tra i 2 3 e i 2 5 m e s i l a


conquista dell'abilit di salire e scendere le scale da solo.
Questa
conquista appare subito molto importante al bambino il q u ale trover
assai
eccitante continuare l'esercizio anche a rischio di qualche caduta. in questo necessaria una particolare attenzione da parte dei genitori perche le
cadute dalle scale in questo periodo possono avere conseguenze assai gravi,
in ispecie se avvengono all'indietro, e non solo d i c arattere 6sico (fratture od emorragie). infatti provato che talvolta una caduta all'indietro
in questo periodo, con percussione del capo, pu p r ovocare un arresto
nello sviluppo generale.
Si discute tuttora sull'incidenza dell'apprendimento nella conquista di
questa abilit e sulla dipendenza di questa da una legge di m aturazione
dei centri nervosi. La discussione per questo particolare aspetto dello sviluppo psicomotorio non che un aspettc della pi vasta discussione che
coinvolge tutto lo sviluppo dell'individuo, e le risposte per questo particolare problema sono, in realt, molto simili a quelle che possibile dare
al problema in generale.
Ci sembra utile riportare, a questo punto, le conclusioni gi accennate
a proposito del noto esperimento effettuato da Gesell e Thompson con le
gemelle monocoriali addestrate, in periodi di et differenti, a salire uno
scivolo. Il risultato di questo esperimento infatti in perfetta linea con gli
altri ottenuti in esperimenti analoghi: si possibile, entro un certo limite,
fare acquisire precocemente talune abilit sottoponendo i soggetti ad apprendimento intenso, ma tale apprendimento non pare possa intendersi nel
senso di una superiorit assoluta, poich soggetti non addestrati raggiungono lo stesso livello di abilit non appena la maturazione naturale dei
centri preposti a quegli esercizi lo consentono. Inoltre pare che lo spreco
di energie e di forza cui costretto il soggetto per acquisire precocemente
quella tale abilit non sia ricompensato dal conseguimento di risultati eccezionali.
bi Il c Vavcinismo
Osservando i bambini che scendono le scale possibile scoprire quale
parte del corpo abbia funzionalmente la preponderanza o, come si dice,
quale lateralit sia dominante. Bambini che scendono le scale avanzando
per primo il p i ede sinistro dimostrano una lateralit mancina che investe
non soltanto il camminare ma tutte le manifestazioni del comportamento.
Il fenomeno del mancinismo stato spesso considerato una anomalia
e nei tempi antichi un segno della divinit. I n r e alt i m ancini sono
a n o m al i n e i c o nfronti dei destrorsi per il solo motivo che questi ultimi sono pi numerosi. assai difficile stabilire quanti mancini vi siano
e quale sia la proporzione di questi con la popolazione
n o r m al e , L a

163difficolt pare legata alla incertezza nella determinazione del mancinismo:


molto spesso infatti vengono considerati mancini solamente gli i ndividui
che adoperano di preferenza o esclusivamente la mano o i l b r accio sinistro per scrivere, mangiare o l anciare oggetti. I n r e alt questo aspetto
esteriore del mancinismo non che una delle componenti del quadro del
mancino; esistono altri e p i c o mplessi comportamenti mancini, i q u al i
sono di pi difficile rilevazione.
Gli autori che hanno fatto ricerche sulla incidenza del mancinismo si
trovano, per questi motivi, in grave disaccordo: la letteratura offre indicazioni che vanno da 2,8 mancini per cento normali, a 25 mancini per cento
normali. Ricerche su bambini italiani condotte da Camusso sembrano indicare una incidenza di mancini del 14,8%, m a t ale incidenza sale addirittura al 50 % i n c aso di deboli mentali, epilettici, nevrotici e psicotici.
Questo ultimo dato non va ovviamente interpretato nel senso causale, e
cio come derivazione della anormalit psichica dal mancinismo, ma nel
senso che consente di sottolineare quale importanza abbia una corretta
e libera lateralizzazione nello sviluppo normale dell'individuo.
Comunque pare, secondo gli studi condotti da Rudinesco e Jean Thiss,
che gli individui normali con prevalenza laterale destra spontanea e comp leta siano circa il 75 % .
Le osservazioni condotte su animali non pare possano essere di molto
aiuto data la inesistenza di conoscenze sicure. Alves Garcia, ad esempio,
r itiene d i p o t e t c o n siderare ~manifestazione di d e strismo ne i c avalli i l
loro iniziare il galoppo sul l ato destro, ma soggiunge subito che questo
pu anche dipendere dal fatto che gli animali vengono di preferenza stimolati proprio su quel lato. I n r ealt non pare esistano animali mancini.
Il mancinismo fa la sua comparsa verso il 9 ' m ese, dopo un p r i mo
periodo di ambidestrismo ffsiologico. La sua spiegazione va ricercata nella
d ominanza funzionale di u n e m isfero cerebrale sull'altro. n ot o che l a
regione motoria di un emisfero controlla i movimenti della opposta parte
del corpo e ci perch la maggior parte dei neuroni che discendono dalla
cor teccia motoria d i c i ascun emisfero at traversa il m i d o ll o s p inale e
r aggiunge la parte opposta del c orpo. L a d o m inanza degli emisferi ( e
cio il maggiore sviluppo funzionale di un emisfero) corrisponde ad una
importante legge della economia funzionale: quella della concentrazione
dell'attivit nervosa, indispensabile per l ' altissima perfezione del m o v imento umano, in uno solo dei due emisferi. Nei normali la dominanza
dell'emisfero sinistro, nei mancini dell'emisfero destro.
La dominanza di u n e misfero cerebrale sull'altro, e q u indi l a m aggior perfezione dei movimenti compiuti con l a p a rte controlaterale del
corpo, si sviluppa naturalmente e non pare che la dominanza dell'emisfero
destro debba in s s t essa contenere alcuna anormalit neurologica. La

164 anormalit, caso mai, di natura socio-ambientale, proprio per la maggior


quantit di d estrorsi che esistono nel mondo. Gl i i n d i vidui n o r mali
costruiscono le leggi e le direzioni preferenziali, sia spaziali che temporali,
in corrispondenza della propria lateralit, il che pu costituire motivo di
difficolt di adattamento per un mancino che ha le direzioni spazio-temporali costruite inversamente. In questo senso, e solo in questo, il mancinismo da considerarsi anormale: e sso indubbiamente costituisce motivo di maggiore difficolt d'adattamento all'ambiente.
La eziologia del mancinismo non ancora ben nota e normalmente
viene messa in r apporto con f enomeni embriogenetici. Gl i s t udi h anno
sinora dimostrato una r elazione statistica ereditaria, con pr eferenza soprattutto del sesso maschile.
Come si detto la determinazione del mancinismo non facile e non
puo, in ogni caso, limitarsi al solo accertamento dell'uso preferenziale della mano destra o si nistra. I n f atti, i n i s pecie dopo l ' et scolare, molteplici condizionamenti ambientali possono essere intervenuti a m o dificare
la spontanea tendenza ad utilizzare una mano invece dell'altra.
Un elenco sufficientemente completo di p rove per la determinazione
della lateralit dominante si tr ova nel citato lavoro di L e vi, come risultato di u n a u t i l izzazione di p r ove i n dicate da Jean Thiss, Roudinesco,
Camusso, Piaget e Zazzo.
Prove della mano
Monomanuali:
prendi questo blocco di carta,
staccane un foglio,
prendi la matita,

fai un disegno sul foglio,


prendi le forbici,
taglia il foglio in due,
mostra con il d it o l e figure che via via ti n o mino (serie di 6
figure illustrate)
batti qualche colpo con questo martello,
metti le palline ad una ad una nel bicchiere (usando un cuc-

chiaio od una pinza)


Bimanuali:

arrotola camminando il filo sul rocchetto (filo di 2 m. e rocc hetto di 2 cm . 8

infila le perline,
distribuisci in quattro gruppi un mazzo di carte (36).

165Prove del piede


salta a piede zoppo,
dai un calcio alla palla,
infila i pantaloni (controllare il primo piede introdotto)
scendi le scale (al buio: controllare quale piede cerca il primo

gradino)
Prove dell'occhio
guarda attraverso il foro (di un cartone appositamente forato)
prendi la mira (con una pistola giocattolo)
guarda col cannocchiale (o nel microscopio)
Prove di orientazione spaziale (di J. Piaget)
riconoscimento dei lati destro e sinistro su s stesso,
riconoscimento dei lati destro e sinistro su altri faccia a faccia,
riconoscimento della posizione destra e sinistra su tre oggetti
Prove mano-occhio-orecchio (reattivo di H e ad-Zazzo)
imitazione faccia a f accia dei m ovimenti dell'esaminatore.
imitazione dei movimenti tratti d a figura schematica,
esecuzione di movimenti su ordini v erbali.
c) Il m a ncinismo contrariato.
oramai entrato nel patrimomo delle conoscenze di t u tt i gl i i n segnanti e dei genitori che se il problema del mancinismo non costituisce di
per s fenomeno di anormalit, pu invece diventare causa concorrente di
disadattamento e di t urbe comportamentali il contrariarlo. Con il t ermine
mancinismo contrariato si suole infatti i n dicare una sindrome particolare
che scaturisce dalla violenza imposta ad u n m ancino perch utilizzi gli
strumenti della societ con la parte destra del corpo. Non bisogna infatti dimenticare che la laterizzazione si realizza naturalmente e non sotto la stimolazione ambientale. Pertanto costringere un m ancino ad operare con
le parti del corpo contrarie alla sua natura i mpedirgli di u sufruire di

tutta la propria energia e delle proprie capacit di precisione.


Il mancino si trova gi in condizione di svantaggio nei confronti del
normale perch deve affrontare un mondo costruito da destrorsi ed adattare a queste regole le proprie disposizioni sinistrorse. Ma se a queste dif-

ficolt si aggiunge anche l'obbligo di non utilizzare la parte del corpo che
gli pi congeniale e, quindi, di incanalare le proprie energie in direzioni
diverse da quelle naturali, saranno inevitabili quelle turbe comportamentali che costituiscono, appunto, la sindrome del mancinismo contrariato.
La patologia del mancinismo contrario assai nota nella letteratura;
essa comprende: difetti del l i nguaggio (il pi spesso balbuzie e blesit),
tics, strabismo, errori di l e t tura (in genere salto della sillaba centrale) e

166 della scrittura, inettitudine manuale. Inoltre il bambino mancino, costretto


ad utilizzare il l ato destro del corpo, potr soffrire dei propri i nevitabili
insuccessi come di una menomazione e di una inferiorit funzionale, e ci
potr essere causa di: ti midezza, insicurezza, iperemotivit, enuresi, onicofagia, aggressivit e persino veri e propri stati ansiosi.

2. IL LINGUAGGIO
Secondo statistiche americane, il bambino a 15 mesi possiede in media 19 parole; a 18 mesi ne possiede circa 22. A tre anni il bambino possiede mediamente 1122 parole, articolate in frasi dalla struttura grammaticale elementare, ma corretta. Questo rapido arricchimento del vocabolario del bambino ha fatto sorgere due ordini di problemi:
1) Che cosa determina il r apido arricchimento del vocabolario?
2) Tale arricchimento avviene per associazione, e quindi per giustapposizione di parole e suoni, oppure sostenuto da una struttura ben
i Jentiffcabile?
a) L'avricchimento del oocabolavio
Per quanto riguarda il primo problema la psicologia classica assegna
alla stimolazione ambientale ed alla imitazione un ruolo fondamentale. Alcune recenti ricerche confermano tali posizioni. Ad esempio, in un l avoro
russo (Mallitskaya, 1960) stata mostrata l'importanza della stimolazione
iterativa: in questo lavoro bambini di 18 messi afferravano e si impadronivano facilmente di nuovi nomi semplicemente se si orientavano verso di
loro oggetti, nominandoli e u sandoli contemporaneamente e facendo ci
parecchie volte (cosi, ad esempio, con una palla che veniva prima fatta rimbalzare per terra mentre se ne pronunciava il nome, poi tirata da un lato,
quindi diretta al b ambino, sempre accompagnando le azioni con espress ioni quali E cco l a palla! Questa la palla Ancora la palla! >>,

ecc.).
La importanza della stimolazione ambientale dimostrata anche da
studi americani condotti s u g r uppi d i m a dr i e b a m bini appartenenti a
classi sociali umili. E r ano stati costituiti du e gruppi: n e l p r im o g ruppo
le madri si e r ano i mpegnate a dedicare quotidianamente 10/15 minuti

alle stimolazioni verbali dei propri figli. Le madri del secondo gruppo
furorno invece invitate a c omportarsi come erano solite. Gi all'eta di
20 mesi i d u e g r uppi d i b a m bini di fferivano significativamente sia per
ricchezza di fonemi sia per comprensione di parole.
In questa stessa direzione si innesta un secondo problema, quello del

rapporto tra vocabolario d'uso e vocabolario di comprensione. Sembra in-

167 fatti che i bambini capiscano un numero maggiore di parole di quelle che
usano e che pronunciano. In u n o r i ginale lavoro Ruth W ei r ( 1 9 62) applic a bambini di du e anni e mezzo un rnicrofono, tenendolo in azione
24 ore su 24, cosi da registrare in ogni momento della giornata tutte le
emissioni, i v o calizzi, i t e n t ativi d i p r o nuncia, le a utocorrezioni ecc. I
risultati assai sorprendenti sotto v ar i a spetti, hanno tr a l ' a l t ro confermata l'ipotesi di una maggiore capacit di comprensione nei confronti della
capacit di espressione. I nteressante notare a questo punto che tu tti g l i
s tudi statistici e i q uadri di ar ricchimento per et sono stati fatti sul v o cabolario d'uso e non su quello di comprensione.
In conclusione non pare ci p o ssano essere dubbi sulla i mportanza
della stimolazione e dell'apprendimento nel processo di arricchimento verbale: l'indice di arricchimento infatti proporzionale alla classe sociale di
appartenenza, o meglio alla quantit di s t imolazione culturale e affettiva
che l'individuo riceve nel proprio ambiente. Abbiamo avuto gi occasione
di notare come bambini precocemente istituzionalizzati abbiano una estrema povert fonetica e di vocabolario. Tuttavia questo non pare possa autorizzare una soluzione esclusivamente ambientalistica per quanto riguarda
lo sviluppo della loquela: secondo alcuni essa dipendente in m aniera
primaria dalla necessit tipicamente umana dell'acquisizione dei simboli,
come correlato della maturazione dei corrispettivi centri corticali. La mi gliore situazione ambientale non farebbe quindi, in questa primissima fase
dello sviluppo del li nguaggio, che agevolare la maturazione di strutture,
o di te ndenze, gi esistenti.
b) La struttura del linguaggio
Il secondo problema, quello dell'accrescimento casuale o dell'accrescimento strutturale del linguaggio, stato recentemente affrontato dagli
psicolinguisti. Gli studi di psicolinguistica partono da una distinzione fondamentale, quella tra s i g n i f i c a t o e s t r u t t u r a , i l p r i m o d erivato dall'apprendimento e dalla convenzionalit sociale, la seconda invece
dovuta alla maturazione.

Secondo Braine (1963) ad esempio, gi nel periodo delocutorio il linguaggio del bambino si presenta con una struttura caratteristica che non
affatto casuale e che si r i t r ova in t u t t i i b a m bini d i q u alunque nazionalit. Tale struttura grammaticale si incentra su due elementi: i l p e r no

(P) e la variabile (X). Gli studi di Braine su bambini dai 19 ai 23 mesi


dimostrano una straordinaria ricchezza di combinazioni del perno con molteplici variabili (da 14 a 31). La struttura, in questa fase, sarebbe quindi
la seguente:

168-

Q"-5truttura

Q"-'

Esempio

Verso i 25-26 mesi il p e r no c omincia a muoversi dalla sua posizione privilegiata verso l a seconda posizione diventando cosi elemento
di passaggio da una struttura a due termini ad una struttura a tre termini.

Fsemsio :

Il

X,

Xg

III

IV

Xq

questo il periodo in cui i l b a mbino ama esprimersi con sentenze.


difficile stabilire se le sentenze, nella loro struttura, siano apprese per
imitazione o siano costruite in m aniera spontanea. Secondo alcuni psicol inguisti non p are che i t e n tativi m essi i n p r a tica dai genitori per f a r
variare la struttura sentenziale del bambino si da adeguarla a quel la convenzionale (Non si d ice cosi, si dice... ), sortiscano un qualche effetto
apprezzabile, non almeno fino a quando non sia arrivata a maturazione una
nuova struttura. Al pi s i pu d ir e che la e s p a n s i o n e l i n g u i s t i c a degli adulti (e cio il tentativo e l'abitudine degli adulti di espandere un concetto con frasi formalmente costruite e dotate di tutti gli eleInenti grammaticali di contro alla preferenza infantile ad esprimersi in maniera contratta con eliminazione di aggettivi, pronomi e preposizioni) pu

169 giocare un ruolo di incitamento, ma non pu costituirsi entro un normale


circuito di apprendimento per associazione. Ci ha portato taluni a parlare
di innatismo strutturale del linguaggio umano.
In questa posizione strutturalistica si collocano gli studi che si vanno
facendo da una decina d'anni e che si discostano da quelli precedenti per
l'importanza e il ruolo che assegnano alle t e o r i e . G l i s t u d i t r adizionali sulla psicologia del linguaggio erano incentrati su metodologie e finalit quantitative e statistiche e permettevano di giungere, nei casi pi foi'tunati (come per l a l egge di Stern sull'arricchimento del vocabolario) a
r aggruppamenti di osservazioni in generalizzazioni e leggi, e cio in f o r mulazioni che descrivono senza nulla spiegare.
Negli ultimi t empi questo atteggiamento e questa impostazione sono
stati via vi a abbandonati nella convinzione che il r elativamente alto numero di conoscenze raggiunte avesse urgentemente bisogno di una teoria
che ne consentisse la organizzazione sistematica e la spiegazione deduttiva.
Le principali teorie oggi u t i lizzate per l a spiegazione dei fenomeni
psicolinguistici sono:
L A TEoRrw oEr.r.'Avt'RENmMEm'o. Secondo questa teoria, che si ri f
ai principi dell'apprendimento enunciati specialmente dai behavioristi, sia
n ella forma S-R che nella forma R-S, e che assegna al r i n f o r z o un
ruolo fondamentale, l'acquisizione del linguaggio, sia nella sua forma strutturale che nel suo aspetto contenutistico, dipende dall'apprendimento, dalle facilitazioni sinaptiche e dalle associazioni che una stimolazione continua costituisce. Questa teoria sostiene la formazione di circuiti neuronali
(processi di mediazione) come conseguenza di un c o rretto r apporto S-R
debitamente rinforzato.
Ma i m o delli i n t erpretativi p r oposti dai t e orici d ell'apprendimento
sia nella skinneriana formula ortodossa, sia nelle pi ra8inate formulazioni r elazionali di Osgood e Mowrer, sia in altre forme si m u o vono sempre secondo prospettive che rimangono legate a probabilit di
tipo statistico. In realt le spiegazioni che si rifanno a modelli behavioristici, non possono non:
Sostituire al c oncetto di si g nificato il c o n cetto di re f e renza (ad
es., il bambino che ottiene una serie di ri nforzi ogni qualvolta pronuncia
la parola pappa nella situazione X, apprende che pappa si riferisce a Xl;
Raggiungere le pr oprie conclusioni ut i lizzando modelli d i s t atistica probabilistica (ad es., quando la parola X segue la parola Y, i l soggetto ha davanti a s n scelte di parole: la probabilit che la parola Z segua la parola Y d e terminata matematicamente poich la scelta vieppi condizionata dal numero e dal t ip o d i p arola d a lla calena di p arole che precedono l'ultima.

170Entrambe le p r oposizioni mal s i a d attano alla soluzione di a l cune


difficolt: i l c oncetto di re ferenza,basato su una interpretazione passiva
d el soggetto, non spiega la ricchezza, la plasticit e la i nventiva del l i nguaggio umano; la derivazione da modelli statistici assurti a rango di teoria urta contro la f o r midabile obiezione, sottolineata dallo stesso Miller
(1960) secondo cui al b ambino occorrerebbero pi d i 1 0 0 a n ni, passati
ininterrottamente, senza dormire, n mangiare, in condizioni di p e rfetta
ritenzione, per imparare tutte le associazioni tra parola e parola necessarie a costruire un sottoinsieme delle frasi della lingua che conosciamo
(F. Antinucci, 1971, pag. 168).
in realt assai arduo, con teorie behavioristiche, giustificare la straordinaria inventiva verbale dei bambini e l e l o r o o r i ginalissime costruzioni linguistiche che no n a ppartengono a nessuna lingua ufficialmente
codificata; n sarebbe inoltre possibile spiegare altri d ati c o n t r ollati
e ammessi anche dai behavioristi q u ali q uello secondo cui i b a mbini
molto piccoli non sono capaci di r i petere un suono se prima loro stessi
non lo hanno casualmente pronunciato, o l'altro che indica, specie pet le
prime fasi del periodo delocutorio, l'esistenza di una struttura sintattica
del tutto indipendente dall'ambiente e dalla lingua nazionale, e uguale per
tutti i bambini del mondo.
LA TEQRIA TRAsFQR M A z IQNALE. Le difficolt che sorgono quando si
voglia affrontare il problema delle acquisizioni del linguaggio con modelli
behavioristici e teorie dell'apprendimento, sembrano non presentarsi quando lo studio del linguaggio venga affrontato con una diverso prospettiva,
quale quella proposta, negli ul timi d i eci anni, da N oam Chomsky. Egli
ha iniziato con la distinzione di due concetti, quello di c o m p e t e n z a
e quello di e s e c u z i o n e : i comportamenti linguistici concreti (esecuzione) presuppongono una capacit linguistica (competenza) che li rende

possibili. Il problema che si pone , quindi, duplice:


Come pu l a co m petenza trasformare in esecuzioiIe quello che
uno ha in animo di dire?
C om e pu la competenza derivare dalla esecuzione se ne la
condizione?
Le teorie behavioristiche, e in genere tutti i m o delli costruiti in m aniera sequenziale (per sequenze che si aggiungono), che accettano come
principio supremo che ogni a p prendimento si costituisce in u n a s erie
di associazioni e che ogni c o m portamento d e f i nt o d a i c o m portamenti precedenti, affrontando l o s t u di o d e l l i n guaggio partendo dalla
esecuzione; ma lo studio del linguaggio lo s tudio della competenza lin-

171guistica e non degli usi di questa competenza. Chomsky dimostra la insufficienza di tutte le strutture costruite in maniera sequenziale (a posteriori)
per la risoluzione di molteplici problemi, quali, ad esempio, quello di cogliere il reale significato profondo fra espressioni lessicalmente, grammaticalmente e sintatticamente identiche.
Antinucci (1971) propone la seguente frase:
Il perdono di G i o vanni meravigli i p r e senti
facilmente formalizzabile secondo una struttura sintagmatica che tuttavia
non riuscirebbe mai a cogliere il signif rcato profondo che solo consente
la interpretazione della espressione perdono d i G i o v anni (G i o vanni
perdonato o Gi ovanni che perdona?).

Frase

SN
SN

SP

I
il

per d o no

di

meravigli

Gi o v a nni

I
presenti

La teoria chomskiana si rif a i m postazioni innatiste di t i p o b i ologico che spiegherebbero quella particolare capacit della mente umana,

che il linguaggio, in analogia ad altre spiegazioni, con riferimento alla


esistenza di strutture di origine genetica e attivabili solo in r apporto alla
maturazione. Egli presuppone che la costruzione del linguaggio si basi su
una struttura pro fonda e su una struttura superficiale, costituente la prima
il significato, la s econda l'aspetto grammaticale di un r a p porto l essicale.
Tra le due strutture esisterebbe un meccanismo capace di tr a sformare i
dati della prima in d ati d ella seconda, e viceversa: tale meccanismo dovrebbe essere innato e di o r i gine genetica. La forma che il m odello tr asformazionale assume cosl rappresentata:

Struttura Profonda

itiECCANISIIIO TRASFORitlAZIONAt.E
o L.A.D.
iLearning Acquistt ton Devrcel

Struttura Superfrcrale

o grammaticale

172 Questa forma potrebbe agevolmente rendere ragione dei t empi d ell'acq uisizione e delle sue modalit poich la su a utilizzazione pensabile
anche in s e nso i n v erso :
D ati d i

L . A .D . ~

Str u t t u r a d i L

e giustificare la formazione delle grammatiche personali.


Questo modello interpretativo.sembra pi utile degli altri perch pi
ampio e perch consente di dar ragione di molti fenomeni linguistici altrimenti inspiegabili, quali la l i nearit delle fasi di sviluppo del linguaggio
i ndiperidentemente dalle lingue nazionali, la correlazione di t ali f asi p i
che con l'et cronologica con le fasi della maturazione del bambino 1Lenneberg 1967), la relativa stabilit delle strutture del linguaggio indipendentemente dall'ambiente, dalle stimolazioni verbali ricevute, dalla povert delle strutture grammaticali e sintattiche di tali stimolazioni, dalla carenza o assenza di rin forzo durante le fasi dell'acquisizione.
E del resto tale impostazione genetico-innatista del problema del linguaggio, come si diceva, non che una conseguenza delle recenti interpretazioni teoriche le quali, sulla spinta dell'etologia, tendono a dare sempre
pi importanza alla esistenza di meccanismi preformati, di o r i gine genetica, ai quali spetterebbe il ruolo di selettori e decodificatori delle stimolazioni ambientali. Il r i f erimento all'imprinting degli anatroccoli, pi volte sottolineato 1Parisi, 1968, An tinucci, 1971), non che uno di q uesti
casi nei quali un m eccanismo di r elazione con l'arnbiente appare strettamente legato alla maturazione lsi manifesta solo entro un b reve lasso di
tempo) e quindi di t ipo genetico.
c) II M u t ismo
In questa fase dai 18 ai 36 mesi i bambini imparano rapidamente a
parlare e la loro personalit si va via via sempre pi manifestando attraverso il l i nguaggio. Pu talvolta capitare che, dopo aver pronunciato in
et regolare la p r ima parola, qualche bambino non i n izi u n l i n guaggio
regolare e che questo ritardo si prolunghi oltre il t erzo anno.
Quando si parla d i m u t i s m o c i s i r i f e risce, normalmente, alla
assenza totale di ogni comportamento verbale, senza alcuna specificazione
sulle cause di tale assenza. Diversi sono stati i t e ntativi di classificazione
dei mutismi; i n generale per si pu d ire che assai arduo si presenta il
compito di r a ggruppare in c ategorie le d i verse forme d i m u t i smo dato
che nella realt essi non si presentano mai nella forma pura, pi spesso
si trovano forme riconducibili alla influenza concnn;itante di diverse cause
e dalle quali quasi mai assente la componente psicologica.
Tenendo conto di

t u t t e queste limitazioni, una classificazione abba-

173stanza funzionale che si r if alla t r ipartizione di strutture e p r ocessi di


cui si parlato nel capitolo precedente, la seguente:
I

- M U TI S M I RI C O N DUCI B IL I A L E SI O N I O T U R B E D E I P R O CES SI D E L L A
AUDIZIONE.

a) Sordomutismo. Come s t a to p i v o l t e s ottolineato la c o rretta


padronanza verbale richiede una perfetta funzionalit delle vie acustiche,
pertanto lesioni bilaterali a carico dell'orecchio o delle vie nervose acustiche sono spesso all'origine del mutismo da sordit. Tali lesioni possono
essere:
di tipo eredo-familiare,
congenite, e cio lesioni avvenute nel periodo prenatale,
acquisite, cio avvenute nel p e riodo postnatale ma p r im a d ella
comparsa del linguaggio.
Il sordomuto viene talvolta scambiato per deficientc mentale, ma un attento esame mette in risalto una maggiore vivacit eci una pi ricca espressivit mimica.
b) Afutismo o togeno. S i s uole d istinguere il s o r domuto d al m u t o
otogeno, quest'ultimo derivando la su a anomalia non d a s ordit t otale
ma da ipoacusia precoce. Il m ut o o t ogeno, non udendo bene o u dendo
poco, sin dall'inizio mostra scarso interesse per il linguaggio e non realizza quindi le associazioni indispensabili per l o s v iluppo della loquela. Il
metodo per la differenziazione tra sordomutismo e mutismo otogeno, oltre
che a criteri anamnestici e otoiatrici, si aRida alla osservazione della event uale esistenza di fonmi o d i semplici parole deformate, poich il mu to
otogeno non mai c ompletamente muto.
c) Sordomutismo di ritorno, il mutismo che sopraggiunge come conseguenza di sordit sopravvenuta prima del compimento del sesto-settimo
anno. Classificato normalmente come >Mutismo per regressione, porta alla
perdita della esperienza verbale precedente. Se la sordit sopraggiunta
p arziale, il patrimonio verbale gi acquisito potr conservai.si, ma il l i n guaggio rimarr povero e imperfetto.
d) Audiomutismo. Il t e rmine audiomutismo (o audimutismo) identifica una condizione, abbastanza rara, di assenza del linguaggio in fanciulli di
sei anni, senza grave deficit intellettivo n evidente carenza dell'audizione.
L'audiomutismo sempre correlato ad inadeguata e difficoltosa comprensione verbale, ma non sempre a lesioni o t u rbe auditive. Si usa pertanto
distinguere:
un adiomutismo senza turbe della percezione uditiva, caratterizzato
da una prevalenza di fenomeni affettivi e motivazionali ostacolanti il corr etto sviluppo del l i n guaggio; pu m anifestarsi nei casi pi g r avi c o n

174 espressioni verbali limitate ad alcuni fonmi, la cui articolazione spesso


assai imprecisa; nei casi di m edia gravit con deficiente raggruppamento
di fonmi e f ormulazione non corretta delle parole; nei casi leggeri con
turbe che riguardano la o rganizzazione grammaticale e I a r i cchezza del
vocabolario.
Audiomutismo con turbe della percezione auditiva in cui la espressione verbale si limita ad u n gergo indifferenziato, accompagnato da mimica espressiva, da cui e mergono d i t a nt o i n t a n t o p a role
riconoscibili.
vagamente
La eziologia dell'audiomutismo t u t t'altro che chiara; in g enere si
usa far riferimento ad alcuni fattori concorrenti, fra i q uali:
difetto di a t tenzione acustica
difetto di m emoria verbo-uditiva
difetto di i n t eresse pei i l l i n guaggio parlato.
Si tratta, come evidente, di referenze empiriche e non teorizzabili.
La prognosi normalmente favorevole, se la diagnosi precoce.
II -

M UTI S M I P E R L E S I ONI N E UROLOGICHE

Afasia. Si t ratta della incapacit di realizzare simboli verbali del


linguaggio dovuta ad alterazioni organiche delle zone corticali del linguaggio (infiammazioni, tr auma,
malformazioni, intossicazioni, tumori,
Talora congenita, ed in tal caso bilaterale, coincide di regola con situazioni
ecc.),
a natomo-patologiche diffuse. Si d i s tinguono principalmente due t i p i d i
afasia:
afasia sensoriale (o sordit verbale) che la incapacit di comprend ere il l i n guaggio altrui pe r l e sioni dei c entri v erbo-uditivi ( centro d i
Wernicke) ;
afasia motoria, che l a i n capacit di r e alizzazione motoria del
linguaggio dovuta a lesione dei centri verbo-motori (centro di Broca).
La afasia che sopraggiunge durante l'infanzia normalmente transitoria e recuperabile grazie alla grande plasticit mentale e alle f unzioni
complementari delle zone emisferiche.
AnarIria. p r o babilmente la forma pi g rave di m u t ismo e d ipende dalla incapacit di articolare le parole in r elazione a lesioni corticali di zone motorie che comandano i movimenti dei muscoli orofaringolaringei. Gli sforzi che gli anatrici fanno per parlare conducono alla emissione di suoni afoni e i n articolati. La p r ognosi r elativa alla gravit e
alla bilateralit (o no) delle lesioni.
A l tr e f orme di m u tismi per lesioni neurologiche sono la paralisi
pseudobulbare congenita, l'emiplegia, ecc. per le quali f o rme si r i manda
ai lavori specialistici.

175 II I

- M UT I S M I D I O R I GINE PSICHICA

M u tismo da ri t ardo semplice del linguaggio. I s o ggetti che soffrono di questo particolare tipo di m u tismo appaiono, per tutto i l r e sto,
n ormali. H anno pronunciato la p r im a p arola (mamma o p appa) i n e t
r egolare, mentre l a p r i m a f r ase non c o mpare prima de i t r e a n n i ( i n
genere tra i tr e e i c i nque anni). I l l i n guaggio di questi soggetti rimarr
sempre difettoso e li porter talvolta ad esprimersi in maniera incomprensibile, I l q u a dro n o rmalmente si a ccompagna con al tr e m anifestazioni
quali l'anoressia, l'apatia, l'enuresi protratta, la instabilit, spesso associate a ritardi nella psicomotricit. Le concause di questo ritardo sono indicate in:
ambiente sfavorevole (carenze affettive, relazioni affettive i nadeguate, ospitalizzazione prolungata, ecc.),
predisposizione costituzionale eredo-familiare, spesso mancinismo.
La prognosi di questi casi nella maggior parte favolevole.
Mutismi per d epcit i n t ellettizo, Ta le f o r ma s e mpre correlata
con un deficit cognitivo e d ipende dalla incapacit di attingere i d i versi
livelli di g eneralizzazione e astrazione indispensabili sia per i l r aggiungimento di p r ocessi mentali di t i p o o peratoro sia per l a f o rmazione della
loquela correttamente strutturata. La sua gravit r elativa al grado di
deficit intellettivo.
M u tismo psicogeno. Ta lvolta c lassificato come M u t ismo da r e gressione il mutismo psicogeno forma, totale o parziale, che interviene
per cause di n atura psichica, prevalentemente emozionale, legato quasi
sempre a temperamenti isterici. L a sua insorgenza pu essere brusca, e
allora facilmente diagnosticabile (mutismo da bomba in seguito ad avvenimento traumatico quali i b o mbardamenti durante le guerre) o l e nta e
insidiosa (mutismo da c onvinzione) e allora d i p i d i f fi c ile i dentificazione. Secondo alcuni avrebbe alle spalle un complesso di castrazione non
risolto.
Tramer indica una forma particolare di mutismo psicogeno, indicato
come mutismo elettivo, che si manifesta solo in p r esenza di talune persone o in t aluni ambienti. In genere il m u tismo elettivo accompagnato
da un quadro di a t t i s i ntomatici (suzione del pollice, onicofagia, pavor
nocturnus, enuresi ) che ne denunciano la chiara eziologia psicogena, e si
incentra in individui timidi ed ansiosi,
M u tismo demenziale. Trattasi dell'impoverimento del l i n guaggio
in dipendenza di una progressiva e profonda degradazione o disintegrazione della personalit (paralisi progressiva infantile, schizofrenia infantile,
ecc.).

176 QUADRO RIASSUNTIVO DEI FENOMENI, DELLE STRUTTURE


E DELLA PATOLOGIA DEL LINGUAGGIO
Fenomt ni

Fenomeni nervosi
elementari di
e di m oto

s enso

Fenomeni neuropsichici
di senso e di m o to

Strutture

Patologia

Apparato uditivo
Apparato fonetico
Vie nervose periferiche

Sordomutismo

sensitive e

Audiomutismo

m o t r i ci

Zone corticali del


linguaggio

Mutismo O t ogeno

Sordomutismo di r i t orno

Afasia
Anartria

Paralisi pseudo-bulbare cong.


Emiplegia, ecc.
Fenomeni psichici
superiori

Zone corticali
associative

Mutismo per r i t ardo

s em-

plice
Mutismo per deficienza psichica
Mutismo elettivo
Mutismo psi< ogeno
Mutismo demenziale

3. LA NASCITA DELLA I N TELLIGENZA


Parlare della intelligenza del bambino durante la prima infanzia presuppone una scelta fra i v ar i m odelli i n terpretativi che le diverse teorie
offrono: i n fatti evidente che il discorso sulla intelligenza, sulla sua valutazione, sui tempi della sua comparsa non potr farsi che in riferimento
ad alcuni concetti base dai quali si dovr partire. Sono ben note le diRicolt che si incontrano quando si voglia definire direttamente la i n telligenza, tanto che, normalmente, si preferisce ricorrere a definizioni indirette o con r i f erimento alla misurazione di comportamenti standard (Et
Mentale, Q. I.) o con riferimento ad un generale (o generico) adattamento
all'ambiente dal quale si risale ad una presunta capacit di adattamento che
viene poi identificata con la intelligertza.
La concezione della intelligenza, tuttavia, ha subito una certa evoluzione durante questo secolo, tanto che, semplificando al massimo, possibile indicare tre diverse concezioni le quali, bench si susseguano cronologicamente, non possono per considerarsi il s uperamento l'una dell'altra. Infatti, bench, a nostro avviso, la terza concezione offra un modello pi ampio, e quindi pi u t i le, delle altre, la seconda concezione ,
in pratica la pi diffusa, e non sono del tutto scomparsi gli assertori della
prima concezione.

177 a) La concezione tradizionale della intelligenza.


L e concezioni tradizionali della intelligenza si pongono in un a p r ospettiva che stata chiamata di filiazione delle strutture, per la convinzione che esse hanno in una sorte di derivazione evolutivo-cronologico delle strutture della intelligenza da quelle della percezione. Secondo queste
concezioni la intelligenza non sarebbe presente alla nascita ma si svilupperebbe lentamente sul tronco delle percezioni, le quali, quindi, costituerebbero un gradino piu basso nel processo cognitivo. Sembra perfino superfluo indicare la derivazione filosofica di queste posizioni (problema gnoseologico).
Nelle concezioni di questo genere diventa consequenziale, coerente e
indispensabile assegnare alla intelligenza formale e a stratta il r a n g o
pi alto in una scala di valori i ntellettivi e i l p o sto pi tardo nell'ordine cronologico di comparizione delle diverse manifestazioni intelligenti
nella successione evolutiva. Il che sembrerebbe giusto; tuttavia l'equivoco
si annida nella implicita impostazione quantitativa che tutto ci comporta e che finisce per ricondurre la differenza tra il bambino e l'adulto ad
una questione di numero di esperienze (Piaget, 1969 a). Inoltre il comportamento verbale viene ad assumere il r uolo pi i m portante per la determ inazione della comparsa della intelligenza o del r aggiungimento di u n
determinato livello i ntellettivo.
Nelle concezioni classiche della intelligenza la verbalizzazione appare
quindi come il c orrelato pi evidente e pi eflicace del grado di i n t elligenza raggiunta, da un individuo. Al limite alcuni hanno trovato giustificato
escludere la presenza di intelligenza quando vi sia assenza di comportamento verbale o, almeno, prima della comparsa dei concetti, essendo la
capacit costruttiva concettuale la pr ova pi e v idente della esistenza di
quella intelligenza astratta e formale che viene ritenuta la oera intelligenza.
Per questi motivi l e v a l utazioni della i n telligenza che partono da
questi presupposti fanno cosi spesso ricorso a tecniche che esaminano cap acit cognitive basandosi soprattutto su p r ove percettive, prove di m emoria, prove di ragionamento, ecc. Tutte queste prove richiedono il comp ortamento verbale che diventa, quindi, l ' elemento fondamentale per l a
determinazione del Q .I . L a m aggior parte delle scale di i ntelligenza non
possono inoltre rinunciare ad una prova di vocabolario e, a conti fatti,
d iventa assai chiaro perch le p r ove di v ocabolario sono fr a t u tte l e
p rove quelle che hanno la pi alta correlazione con i Q . I .
b) La concezione della intelligenza concreta.
Altre i nterpretazioni fanno r i corso a m o delli ne i q u ali, accanto a
questo aspetto puramente formale e v e rbale della intelligenza trova

178 posto un aspetto pi c o ncreto, costituito da t u tt e l e abilit pratiche


(performancel che, a cominciare dalla presenza di certi m o v imenti , si
esplicano nella loro organizzazione, precisione, rapidit nel tempo e dislocamento nello spazio. In questo aspetto della intelligenza il comportamento
verbale pu anche essere assente e trascurato.
A questi due aspetti, quello formale-verbale e quello pratico, viene ad
aggiungersi un terzo aspetto che pu chiamarsi della intelligenza socializzata e che consiste nella capacit di ut ilizzare gli strumenti della socializzazione in modo corretto e di saper risolvere problemi propriamente
sociali, nel presupposto che una corretta socializzazione, facilitando il buon
adattamento all'ambiente, abbia una influenza positiva nell'equilibrato sviluppo della personalit e costituisca un aspetto, e non il meno importante,
del comportamento intelligente.
Se il modello teorico della intelligenza di un i n dividuo fondato
su queste tre ipotesi, alle quali si f a nno corrispondere tre f a t t o r i ,
quello verbale-formale, quello pratico-concreto, e quello della socializzazione, evidente che fino a quando non compaiano comportamenti che consentano la inferenza di tutti e t re, non sar possibile la rilevazione di un
attendibile livello intellettuale e quindi non sar neanche legittimo costruire Q.I, Secondo queste concezioni la intelligenza probabilmente presente
alla nascita (o comunque fa l a su a comparsa molto presto) , ma non
misurabile sino a quando i tre fattori non siano sufficientemente sviluppati.
P er il periodo da noi qui esaminato, e cio per i bambini sino a tr e
anni, , in questo senso, problematico parlare di intelligenza. Per questo periodo si preferisce parlare di s v i l u p p o in s e n so pi generale,
ed in questo senso sono state costruite diverse s c a l e d i s v i l u p p o
che ne consentono l'apprezzamento. Tali sono la Scala Mentale California
p er l'et prescolare, la Scala di sviluppo infantile di Bayle, il T est di i n telligenza per bambini e ranciulli di Cattell, le Schede di sviluppo di Gesell, ecc,
Non sono state trovate correlazioni significative tra i quozienti di sviluppo e i Q . I . m i surati i n et scolare: normalmente quindi non p o ssibile ricavare indicazioni precise sulla futura intelligenza di u n b a mbino che, poniamo, ad un anno e mezzo ottenga un buon Q.S. Tuttavia
le scale di sviluppo consentono l'apprezzamento di eventuali anomalie di
carattere neurologico le quali, secondo quanto ammesso dalla legge della
associazione psicomotoria, possono consentire previsioni sul normale o anormale sviluppo psichico futuro.
La tabella che segue mostra l e c o rrelazioni ottenute misurando il
Q.S. con la Scala California per lo sviluppo mentale in et prescolare, e
rimisurando il Q .I . d egli stessi soggetti una prima volta a 1 0 anni, con
la scala di Binet-Simon e una seconda volta a 18 anni con la scala Wechsler.

179 -

Anni

Correlazioni con Q.I,


a 10 anni (Biner-Simon)

Correlazione con Q.I,


a 18 anni (scala Wechsler)

.37

.66

.42

.76

.61

.78

.71

88

.70

.90

.76

10
12

.70
.87

.76

(Da P. H. Mussen, 1963, pag. 62).

Come pu vedersi dalla tabella, una correlazione abbastanza buona


non ha inizio prima dei quattro anni (e soltanto con le misurazioni effettuate a 10 anni ); dai sei anni in s che si pu parlare di correlazioni
significative, Bisogna tuttavia non dimenticare che circa il 60'jj dei bamb ini ottengono punteggi che differiscono anche di 20 p u nti nei Q .I . r n i surati tra i sei e gli otto anni.
c) Scala di sviluppo psicomoiorio della prima in fanzia, di Brunet e Lzine.
Una scala di sviluppo costruita su i p r i ncipi sopra esposti e che ottiene in I t alia un certo successo quella presentata da Odette Brunet e
Irene Lzine nel 1951, sulla falsa riga delle Schede di Sviluppo di Gesell.
L a scala di Brunet-Lzine viene utilizzata con bambini sino a 30 mesi: i n
realt essa non d risultati accettabili se non tra cinque mesi e 24 mesi.
Consta di 160 items che comprendono sia prove vere e proprie da effettuare con il soggetto, sia domande da rivolgere ai genitori del bambino o
alle educatrici ed assistenti. Il t est r ipartito in q uattro campi e prende
in considerazione quattro fattori: s v iluppo motorio e p osturale (P), sviluppo verbale (L), sviluppo nell'adattamento e manipolazione degli oggetti
(di coordinazione C) e sviluppo nei contatti sociali (S).

Ecco un esempio della scheda di notazione:


Items per bambini di 1 mese:
N

I tem s

P 1

Sedut o s o l leva la testa saltuariamente

P 2

I n posi z ione prona solleva ogni tanto la testa vacillante

P 3

I n posi z ione prona arti inferiori in fl essione e movimenti di reptazione

C 4

Reagi sce a l r u more de l campanello

C 5

Segue m o mentaneamente l'anello che si sposta da una posizione laterale alla posizione mediana dell'esaminatore

S 6

Fi ssa l o s g uardosul volto dell'esaminatore

DOMANDE
7

P 7

Stri n g e f o r temente un dito i n trodottogli nella mano (grasping)

L 8

Emett e p i ccoli suoni gutturali

S 9

Cess a di vagire quando ci si avvicina o quando gli si parla

10

S10

M ani f esta una reazione di suzione anticipata al momento dell'allattamento.

La correzione avviene con la at tribuzione di u n p u n teggio secondo


quanto indicato nella apposita tabella. Essa consente la costruzione dei
quozienti di sviluppo parziali (quoziente P, quoziente C, quoziente L ecc.)
e del quoziente di sviluppo generale, i quali si ottengono con la formula:
Et di sviluppo
Et cronologica

Q.S

La tabella che segue riproduce la sintesi di una scheda:


Data di nascita: 18-3-1865
Soggetto: S. C.
Settori

Punti

Sesso: M
Et: mesi 18, giorni 8
Et di sviluppo

Q.S.

L
C

6
35
21
30

12,4
10,2
11,2
13,2

1,03
0,85
0,93
1,10

Totale

122

12,6

1,00

181 -

Nonostante il lieve ritardo nel quoziente di sviluppo di coordinazione, il bambino appare globalmente nella norma.
(Mauuale della Scala di Sviluppo Psicomotorio della Prima Infanzia di O. B r n net
e L Lzine, a cura di E . Ponzo, Ed. O.S., Firenze, 1958).

d) La teoria cognitiva di Piaget.


La terza concezione quella proposta da Piaget e da noi gi. ricordata nel primo capitolo. Questo psicologo oggi giustamente considerato il
massimo esponente e il pi geniale studioso dei problemi della intelligevza,
ma, dicendo questo, non bisogna dimenticare che per Piaget:
...l'intelligenza stessa non consiste in una catcgoria isolata e discontinua di processi conoscitivi n pu essere propriamente considerata
come una strutturazione tra le altre, ma l a f o rma di equilibrio a
cui tendono tutte le strutture che derivano la propria formazione dalla percezione, l'abitudine ed i m e ccanismi sensorio-motori .

(J. Piaget, 1964, pag. 15)


E cio, dice Piaget, non bisogna mai dimenticare che l'intelligenza
non un processo isolato, n isolabile, a s stante, distinto dagli altri processi della vita mentale quali l'affettivit, n tanto meno un atto d i vinatorio, ma che essa:
costituisce lo stato di equilibrio verso cui tendono tutte l e f o r me
di successivo adattamento d'ordine sensorio-motorio e c o noscitivo,
cosi come tutti gl i s cambi assimilatori e d i a d attamento fra l ' organismo e l ' ambiente.

(J. Piaget, 1964, pag. 20)


singolare che Piaget sia giunto alla formulazione della sua ipotesi
base sulla intelligenza studiando il comportamento di alcuni vermi abitanti
sulle rive del lago di N euchatel. La concezione della intelligenza fornita
da Piaget cosi ampia da poter essere utilizzata per spiegare sia i processi
di adattamento degli anellidi sia i geniali processi che condussero Einstein
alle sue scoperte. In questo senso la teoria di Piag t migliore delle altre.
Si gi detto, nel capitolo primo, quali siano i concetti fondamentali
di questa teoria: la assimilazione e l'accomodamento sono i m e ccanismi
invarianti che conducono al progressivo equilibrio dell'individuo con il suo
ambiente e alla costruzione di q u elle strutture mentali che consentono
l'adattamento. L'intelligenza infatti definita da Piaget come un processo
adatti vo.

182 Per quanto riguarda l i periodo della prima infanzia, Piaget scrive:
Il periodo che va dalla nascita alla acquisizione del linguaggio
contraddistinto da uno sviluppo mentale straordinario. Non se ne
sospetta a pieno l'importanza, in quanto non accompagnato da parole che permettano di seguire passo passo i progressi della intelligenza e dei sentimenti, come avverr invece pi tardi. Tuttavia un
periodo decisivo per tutta la successiva evoluzione psichica: consiste
infatti nientedimeno che nella conquista di t u tt o l ' u niverso pratico
che circonda il bambino, per mezzo della percezione e del movimento.
Questa assimilazione sensomotoria del mondo esterno immediato,
realizza in effetti, nello spazio di diciotto mesi o due anni, una rivoluzione copernicana in m i n iatura: mentre al p u nt o d i p a r tenza di
questo sviluppo il neonato riferisce ogni cosa a s, n meglio al pr oprio corpo, al punto di arrivo, cio, quando hanno inizio il p ensiero
e il l i n guaggio, si colloca praticamente come elemento o corpo t r a
gli altri, in un u n iverso che ha costruito a poco a poco, e che sente
o rmai come esterno a s .

(J, Piaget, 1967, pagg. 16-17)


Questa fase di primo fondamentale adattamento si realizza attraverso
tre stadi che cosi brevemente Piaget tratteggia:
1. Lo stadio dei rifiessi o meccanismi ereditari, delle prime tendenze
istintive lalimentari) e delle prime emozioni.
2. L o s t adio delle prime abitudini motorie e delle prime percezioni
organizzate, cosi come dei p r im i s entimenti di fferenziati.
3. L o s t adio della intelligenza sensomotoria o p r atica (anteriore al
linguaggio); delle organizzazioni affettive elementari e d elle prime fissazioni esterne della affettivit.

(J. Piaget, 1964, pag. 13)


Questi tre stadi costituirebbero il p eriodo della primissima infanzia
o della infanzia propriamente detta. Il periodo da noi esaminato in questo
capitolo sarebbe, secondo Piaget, caratterizzato da fasi che apparterrebbero
pi allo stadio successivo che a quello della primissima infanzia. Per questo motivo riteniamo pi opportuno parlarne nel prossimo capitolo.

4. L'INIZIO DELLA SOCIALIZZAZIONE


Le prime basi della personalit e dell'adattamento all'ambiente sono
fortemente dipendenti dal processo di socializzazione primario. Abbiamo
gi detto come i bambini, dopo il p r imo anno, siano sottoposti, ad opera
della madre e del padre, ad una intensa azione socializzante che si esplica

183non solo nella offerta da parte di questi, e nella accettazione da parte del
bambino, di un preciso ruolo nell'ambito della famiglia, ma anche in una
s erie di precetti, norme e d i vieti t endenti a p o r tare il b ambino ad u n a
sempre pi corretta utilizzazione dei mezzi e delle tecniche proprie dell'ambiente. per questo che nell'opera di socializzazione non sono solamente il padre e la madre ad agire sul bambino, ma l'ambiente inteso nel
suo complesso.
La socializzazione pu quindi venire definita come il pr o cesso attraverso il quale un individuo spinto ad accettare le norme proprie dell'ambientein cui vive, ad impadronirsi delle tecniche e dei mezzi che l'ambiente
gli ogre per un progressivo inserimento e adattamento.
Inteso in questo modo i l p r ocesso di socializzazione, esso non pu
non essere direttamente condizionato dalla c u l t u r a de l p r e ciso ambiente ove avviene. n oto, ad esempio, che le ragazze giapponesi sono
incitate, e finiscono per essere ed apparire riservate e modeste, mentre i
g iovanetti americani sono spinti alla esube>anza e alla sbruffoneria. I r a gazzi Maya assai presto van dietro al padre e lo aiutano nel lavoro, ma
saranno abituati a non uscire dall'ambito della propria famiglia; i r agazzi
o ccidentali invece sono tenuti dal proprio padre lontani dal lavoro il p i
a lungo possibile ma sollecitati ad i n t recciare relazioni sociali con compagni, anche fuori dalla propria cerchia familiare.
Anche nell'ambito di una stessa cultura il processo di socializzazione
pu avvenire in m odi d i v ersi poich diverse possono essere le cose e i
modelli che vengono offerti ai b ambini. E n o n soltanto in r elazione alle
diverse classi sociali, nelle quali, ad esempio, diversa la importanza che
viene data alla capacit di controllo delle proprie emozioni, ma anche in
conseguenza del sesso: le bambine sono indirizzate verso un tipo di socializzazione, normalmente diversa da quella verso la quale sono indirizzati i
maschietti.
Se la socializzazione in generale fatta di incoraggiamenti e di i n ibizioni, si pu ben dire che fino a tr e anni essa costituita soprattutto di
divieti. Importanza fondamentale assume, come vedremo, il divieto di sporcarsi. a q uesto punto che la madre cambia il p r oprio r uolo e d a p ermissiva quale era stata per tutto i l p r i m o anno di v i ta, diventa esigente
e punitiva, Il b ambino fatica assai ad accettare il nuovo rapporto instaurato dalla madre. La situazione inoltre complicata dalle molte richieste
che la madre avanza contemporaneamente.
La socializzazione, nel senso della accettazione di n u ovi c omportamenti, quali quelli richiesti dalla madre-nuova, deve tener conto della necessit che questi nuovi comportamenti siano inseriti in un pa t tern completo entro il q u ale gli aspetti psico-motori e fisici (il comportamento in
senso osservabile) siano equilibrati ed associati alle componenti cognitive

ed affettive. Sar ovviamente assai difficile per un b ambino accettare il


solo aspetto comportamentale-fenomenico senza che questo sia accompagnato da una adeguata comprensione e da un rapporto affettivo positivo
con la nuova situazione. Ad esempio il no n sporcarsi addosso sar fonte
di notevole lotta per un bambino per il q u ale l'atto della defecazione ha
acquistato il valore di una manifestazione oppositiva della propria personalit; l'ottenimento di un comportamento socializzato in questo caso non
potr prescindere dalla componente affettiva e dalla risoluzione del significato emotivo che il bambino pone nel suo atto.
I due strumenti solitamente utilizzati nel processc di socializzazione
primario sono: l a p u n i z i o n e e la i d e n t i f i c a z i o n e .
Il ricorso alla prima fa parte della socializzazione cosciente; la seconda avviene in maniera spesso inconscia e si instaura come comportamento
superegoico. A questo proposito bene distinguere la i m i t a z i o n e della i d e n t i f i c a z i o n e , l a p r ima essendo un processo cosciente messo in atto dal bambino volontariamente, la seconda costituendo invece un
meccanismo di difesa che si instaura quasi sempre secondo modalit inconscie e collaboranti all'ottenimento della sicurizzazione e alla risoluzione dell'ansia.
Pare che il p r ocesso della socializzazione nella prima infanzia passi
attraverso l'educazione igienica e che abbia con questa strette connessioni
di natura profonda. Sears, Maccobi e Levin (1957i si sono particolarmente
interessati di questo aspetto della socializzazione: secondo le loro ricerche
i l controllo delle funzioni escretorie ha solitamente inizio tra il 9' e i l 1 4 '
mese e si completa ad un anno e mezzo. Una ricerca intraculturale condotta nel 1965 in diversi paesi europei ha scoperto che il processo di soc ializzazione ha mediamente inizio a L o ndra a mesi 4,6, a Parigi a m esi 7,8 e a S t occolma a mesi 12,4. Solamente a L o ndra stata trovata
una differenza sensibile nella data di inizio in r apporto alla classe sociale
di appartenenza. Il p r o blema del controllo della escrezione e della sua
data di inizio sembra legato alla formazione di personalit emotivamente
pi contenute.
Inevitabile, comunque, pare sia ad un certo momento, uno stato di
frizione fra genitori e fl g li , dal q u ale deriva quella che gli p sicoanalisti
hanno chiamato a n s i e t a n a l e ,
c ome risultante del conflitto t r a
il d a r e e i l t r a t t e n e r e p r o p ri o della funzione escretoria. A questo tipo di ansiet gli psicoanalisti fanno risalite alcune turbe comportamentali e di disadattamento, quali la insicurezza e la ansia delle scelte.
indispensabile ricordare che solamente se si costituisce un pattern
completo (psico-motorio, cognitivo e affettivo ) la ansiet non si associa allo
stimolo intestinale.

185 a. La interpretazione pricoanalitica


Secondo la t eoria f r eudiana l'et da 1 a 3 a n n i c o m pletamente
dominata dallo stadio anale.
Lo stadio anale comporta, come lo stadio orale, due fasi; una primitiva durante la quale dominano le tendenze della distruzione e dell'annientamento, ed una tardiva durante la quale emergono e dominano tendenze di attaccamento e di possesso.
La zona erogena dominante costituita dagli organi di evacuazione
fecale e orinaria, e dalle natiche. Le eccitazioni risultano dagli sforzi per la
espulsione o per la ritenzione.
Nello stadio anale lo sviluppo libidinale prosegue portando il b ambino ad una condizione di v it a conflittuale; il m o ndo esterno gli appare
c ome un ostacolo difficile da superare e costituito prevalentemente di di vieti; gli si i m pedisce di sbarazzarsi dei suoi escrementi come e quando
vuole e lo si forza ad accogliere norme e imposizioni dall'esterno. In questa situazione conflittuale il cornportamento del bambino caratterizzato
dalla bisessualit e dalla ambivalenza. La bisessualit dipende dalla non
ancora raggiunta maturit sessuale e dalla soddisfazione libidinale posta
nella defecazione e nella urinazione: secondo Freud esiste una affinit tra
l'attivit sessuale infantile e la perversione sessuale. La vita sessuale infantile si esercita con una serie di attivit parziali e con l'utilizzazione, come
oggetto di soddisfazione, sia del corpo stesso del bambino, sia di oggetti
estranei.
L'ambivalenza del comportamento infantile si m a nifesta con
la mescolanza o alternanza dell'amore e d ell'aggressivit, del sadismo e del masochismo. L'ambivalenza d'amore e d ! a ggressivit risulta dalla doppia natura delle materie fecali come oggetti da r i gettare o da conservare, ma che appartengono al bambino. Cosi nelle
relazioni con l'ambiente, a proposito dell'educaz.'one igienica, il bambino le considera come 'un regalo' che gli serve a provare, se le d,
la sua obbedienza, e se le rifiuta, la sua testardaggine.
Amore e aggressivit si accompagnano spesso con sentimenti di
contentezza o di colpevolezza. Il sadismo che ha debuttato nella fase
tardiva dello stadio orale, oramai associato all'analit.

(Tran-Thong, 1967, pag. 112-113l


L'associazione del sadismo con l ' analit deriva, secondo alcuni
d al senso di d i struzione che acquista l'evacuazione delle feci e d a l
fatto che il c o ntrollo degli sfinteri d iventa uno strumento di o p posizione agli adulti.

(Lagachel

186 Uno dei pi e videnti segni premonitori di eccentricit o nervosismo in et pi matura che un l attante si ri6uti ostinatamente
di vuotare l'intestino quando messo sul vaso, dunque quando lo
vuole la persona che ne h a c ura, e r i servi perci al su o capriccio
q uesta funzione. Naturalmente ci che gl i i m p orta non d i s p o r care il letto; si preoccupa soltanto di non lasciarsi sfuggire il piacere
che accompagna la defecazione. Gli educatori, dunque, hanno a..cora
una volta un a g i usta i n tuizione quando chiamano cattivi qu e i
bambini che si r i servano queste funzioni.
Il contenuto intestinale, che fungendo da massa stimolante su
una superficie mucosa sessualmente sensibile si comporta come il predecessore di un altro organo che entrer in azione solo dopo la fase
dell'infanzia, ha d'altro canto per i l l a t t ante altri i m portanti signi6cati, Evidentemente t r a ttato come una parte del p r oprio corpo,
rappresenta il p r i m o r e galo , con la cu i a l i enazione pu essere
espressa la docilit, con il cui r i 6uto pu essere espressa la sfida del
piccolo essere verso il suo ambiente...
La ritenzione, inizialmente volontaria, delle masse fecali da parte del bambino, allo scopo di u t i lizzarle per lo stimolo, diremo cosi
masturbatorio, della zona anale, o di adoperarle in relazione alle persone che si prendono cura di lui, del resto una delle radici dell'occlusione cosi frequente nei nevropatici. Tutta l'importanza della zona
anale si riflette poi nel f atto che sono assai pochi i nevrotici i q uali
non abbiano le l oro p articolari usanze e cerimonie scatologiche, da
essi avvolte nel massimo segreto.
In bambini di un a certa et non affatto rara la stimolazione
propriamente masturbatoria della zona a nale con l ' aiuto de l d i t o ,
provocata da prurito determinato centralmente o al imentato perifericamente.

(S. Freud, 1970, pp. 496-497l


D a tutti q u esti comportamenti p ossibile vedere come l'I o s i s i a
definitivamente formato e commci a affermarsi. Di fronte all'ambiente che
appare cosi ostile, il principio del piacere si scontra con il pr incipio della
realt, e l'Io i mpara a difendersi evitando gli scontri frontali, trattenendo
certe pulsioni, scartandone altre e apprendendo a r i t ardare la soddisfazione di talune. In sostanza l'Io i mpara l'arte del compromesso, evitando
le punizioni dell'educazione e, quindi, accettando in maniera cosciente l'oper a di socializzazione. Intanto per, con l a p aura delle punizioni, per i l
bambino ha inizio il p rocesso di interiorizzazione delle norme offerte dall'ambiente, in ispecie di quelle di interdizione. questa, secondo Freud, la
genesi del Super-Io, che si svilupper propriamente durante la fase fallica,
ma le cui radici, tuttavia, sono riconoscibili al termine dello stadio anale.

187 b. La socializzazione e la cultura


L'interpretazione psicoanalitica freudiana e la importanza che questa
d alle pratiche igieniche e d i c o n trollo degli sfinteri p ossono spiegare
non solo le difficolt che talvolta si incontrano nell'abituare i bambini a
queste pratiche, ma anche nel far perdere a taluni bambini certi vizi o
cattive abitudini che si prolungano in et relativamente avanzata. L'enuresi notturna, ad esempio, abbastanza frequente sino al quinto anno e
pu talvolta persistere, sotto forma saltuaria, sino alla pubert.
Il controllo del proprio prodotto fecale da considerarsi, alla luce
di quanto sostenuto dagli psicoanalisti, un m omento assai delicato dello
sviluppo infantile. Una eccessiva severit da parte dei genitori puo accentuare l'opposizione aggressiva del bambino e renderlo ribelle e intrattabile,
ma pu anche condurre a stati di insicurezza e di vera e propria ansia.
Gli psicoanalisti collegano a questa fase e al suo corretto sviluppo
tutta una complessa caratterologia, la cui utilit non qui il caso di verificare. Tuttavia sembra accertata una forte correlazione positiva tra l'analit (problematiche di sviluppo legate alla fase anale) e taluni t r atti c aratteriali (quali, ad esempio, l a eccessiva scrupolosit, la p i gnoleria) e,
al limite, taluni tratti nevrotici (ansiet anale).
Durante tutto questo periodo la presenza della madre ancora molto
importante. L'assenza materna pu assai spesso dar luogo a difFicolt di
accettazione ambientale e di adattamento. In questo senso possono interpretarsi i risultati di un lavoro di Arsenian (1943) condotto su due gruppi
di bambini (da 11 a 3 0 m esi), uno accompagnato dalla propria madre e
uno senza. La ricerca consisteva nell'introdurre i bambini in u n ambiente
per loro sconosciuto, ma ricco di giocattoli attraenti. L'esperimento si svolgeva in due tempi: i n u n p r imo tempo i bambini del primo gruppo venivano introdotti in compagnia della madre e quelli del secondo gruppo da
soli, nel secondo tempo della ricerca le madri dei bambini del primo gruppo uscivano dalla stanza lasciando soli i figli, mentre le madri dei bambini
del secondo gruppo entravano e si accostavano ai figli. I l c o mportamento
dei bambini, in q uesta esperienza, stato assai significativo: d urante la
prima parte dell'esperienza, mentre i bambini del primo gruppo si lanciavano immediatamente sui giocattoli, senza apparentemente preoccuparsi della madre, e manifestavano la propria tranquillit spostandosi da un gi ocattolo all'altro (magari partecipando la propria gioia o interesse con grida
e interrogativi cui non occorrevano risposte), i bambini del secondo gruppo
mostravano imbarazzo, non osavano avvicinarsi ai giocattoli, rimanevano
appoggiati al muro o a ll o stipite della porta, piangevano, chiamavano la
madre. Durante il secondo tempo della ricerca i bambini del secondo gruppo riprendevano sicurezza e si avvicinavano ai giocattoli, preferendo per
tenere la mano della propria madre o stare attaccati alle loro gonne, mentre

188 i bambini del p r imo gruppo manifestavano un senso di disagio e turbamento. Ciononostante i b ambini del secondo gruppo non raggiungevano
mai lo stato di spigliatezza dei bambini del primo gruppo.
Evidentemente la presenza della madre ancora fondamentale per
un buon adattamento. Nella fase precedente si parlato dell'ansia di sep arazione, caratteristica dei bambini americani verso i 1 0/ 12 mesi. I n
questa fase si p o tr p arlare ancora di a n sia infantile legata all'assenza
materna. Il processo di identificazione parentale , a questa fase, iniziato:
esso si sviluppa avendo preferibilmente come modello la madre (in seguito sar il padre ad offrire il m odello comportamentale). Non la sola presenza della madre quindi fondamentale, ma la sua stabilit, il suo equilibrio temperamentale e comportamentale: saranno queste le strutture che
il bambino incorporer e che andranno a costituire le prime basi del futu~o
carattere. Le situazioni instabili, come la incertezza sulla presenza-assenza
materna o sulla sua reattivit, non potranno che incidere negativamente,
portando alla introiezione di strutture ansiogene.
Durante il primo anno l'aggressivit dovr annoverarsi tra le reazioni
normali: essa si m anifesta con f o rt i s cariche pulsionali e co n v i o lente
espulsioni fecali. A cominciare dalla fine del primo anno la rabbia e l'aggressivit sono sottoposte al processo di socializzazione. Ci le porter a
manifestarsi secondo i modelli offerti dalla cultura. n o to, ad esempio,
che l'aggressivit in culture molto evolute tende ad esprimersi preferenzialmente in maniera verbale, piuttosto che fisica; e che la stessa aggressivit verbale sensibile alI'influenza dei modelli comportamentali offerti
dai differenti livelli di coltura: la espressione violenta, volgare e immediata
normalmente sostituita, nei livelli pi alti, dalla sottigliezza della ironia
intellettuale,
Il bambino assorbir dal proprio ambiente i diversi modelli di socializzazione e, lentamente, imparer ad utilizzarli nel progressivo adattamento ambientale. Questo processo richieder diversi anni di l e nta sedimentazione e di incorporazioni di figure educative.

CAPITOLO SETTIMO

LA SECONDA INFANZIA
Dai Tre Ai Sei Anni -

Il periodo della vita che inizia a tre anni e si conclude al compimento


del sesto viene convenzionalmente indicato come S econda I n fanzia
o anche Prescolare lde L'ecole des touts petits, in Francia, o del Kindergarden, in G ermania ). In I t a lia si comincia da qualche anno a fare uso
della espressione et della scuola materna co n e v idente riferimento
alla legge che istituisce la obbligatoriet della frequenza alle scuole materne per t u tt i i b a m bini che abbiano compiuto i t r e a n ni. T ale obbligatoriet, ancora piuttosto una conquista costituzionale che una realt,
ma questo non impedisce di apprezzarne l'alto valore sociale.
La seconda infanzia viene classicamente considerata come un periodo
ben delineato, che si differenzia dalla prima e dalla terza infanzia lla fanciullezza) per alcune caratteristiche precise. Ci v ero quando si consideri questo periodo fondamentalmente diverso sempre e solo nella unitariet dello sviluppo entro le cui linee generali, solamente consentito parlare di periodi ben delineati.
Le linee di demarcazione della seconda infanzia sono assieme fisiche,
neurologiche e psicologiche, per quanto la introduzione della obbligatoriet
della scuola materna, probabilmente, costringer ad una revisione di quelle
che venivano considerate componenti peculiari della formazione psicologica prescolare. i nfatti evidente che in un a societ tradizionale, quale
poteva essere quella occidentale, ed italiana in particolare sino a dieci anni
fa, la formazione affettivo-cognitiva e l a strutturazione personalistica del
bambino erano condizionate dall'appartenenza di questi per intero alla famiglia e, conseguentemente, dalla lenta conquista di un ruolo ben definito
in rapporto ai propri genitori, fratelli, sorelle ed altri eventuali conviventi.
Ed con riferimento a questa particolare situazione dinamica che Freud
ha elaborato alcune sue teorie, com q u ella utilissima della fase edipica e
della conseguente strutturazione superegoica. Oggi, tuttavia, l'appartenenza del bambino sin dall'et di tre anni, a due comunit ben differenziate,
le famiglia e la scuola matetna, e il suo inserimento in una dinamica sociale assai pi ricca e complessa di quella unicamente familiare, se da un
lato pu, accrescendo le occasioni frustranti o q uelle agonistiche, modificare gli atteggiamenti e i l c omportamento, d'altro lato, non pu non i n terferire nella f o rmazione delle strutture personalistiche e specialmente

192 nell'assunzione-accettazione di quelle inibizioni tipicamente socio-libidiche


alle quali Freud aveva dato il nome di Super-Ego.
Affronteremo le principali tematiche evolutive della seconda infanzia
secondo lo schema oramai consueto: dapprima parleremo dello sviluppo
Fisico e delle sue problematiche, quindi dello sviluppo psico-motorio per
passare poi alle problematiche conoscitive ed infine a quelle affettive.
tuttavia evidente che per la stretta connessione esistente tra tu tti q uesti
aspetti della personalit infantile, essi non potranno venir trattati separatamente se non con accorgimento artificiale, e ci risulter del resto ben
e vidente dalla stessa impossibilit di m a ntenere sempre ben distinte l e
linee da noi stessi tracciate.

1. LO SVILUPPO FISICO
Il bambino a tre anni pesa, di norma, circa 13 Kg. e misura 89 cm.
in altezza: dovr raggiungere, a sei anni 18,800 Kg. e 109 cm. Complessivamente si veriFicher un incremento, al compimento del sesto anno, del
30% circa per quanto riguarda ilpeso e del 18,34% per quanto riguarda
la statura.
L a tabella seguente, elaborata da quelle del De T oni, mostra gli incrementi semestrali sia assoluti che percentuali, distintamente per sesso:

MASCHI
Statura

Peso

cm.

Kg.

89,0

13,200

93,0

4,5
4 )3

13,900

100,0
103,0

3,0

15,700

3,0

16,600

106,0

2,5

17,700

109,0

2,8

18,800

97,0

14,800

FEMMINE
Et
anni

Statura

Peso

mesi

cm.

Kg.

88,0

12,800

9 2,0 4 , 54

1 3,700 7 , 0

96,0

4,54

99,0

3,12

14,600 6,5
1 5,600 7 , 2

103,0

4,04

16,800 7,6

106,0

2,9

1 7,700 5 , 3

109,0

2,8

1 8,600

5,0
6,4
6,0
5,7

6,6
6,2

3
4
4
5

5,0

Per quanto riguarda il r i t m o d i a c crescimento della statura risulta


evidente 1anche in raffronto al periodo di et studiato precedentemente)
una diminuzione progressiva in rapporto inverso all'et. Quanto al peso,
pur notandosi in confronto con il periodo precedente, una diminuzione nel

193 ritmo di accrescimento, non pare si possano fare osservazioni simili per i
tre anni ora in esame.
Ci si chiesti se il sesso avesse una importanza particolare nella determinazione dei ritmi d i a ccrescimento durante la seconda infanzia, ma
nessuna risposta sicura stata finora possibile. Si invece osservato (Garn,
1958) che mentre nelle bambine lo sviluppo principalmente a carico del
tessuto adiposo, nei maschi esso avviene prevalentemente a f avore del
tessuto muscolare.
Meredith (1963) ha indagato sulla predicibilit della situazione fisica
adulta sulla base dello sviluppo fisico in et prescolare e ha trovato una
correlazione di .70 tr a l e du e condizioni, il ch e significa che esiste normalmente'una buona predicibilit e che sin dall'et prescolare possibile
intuire lo sviluppo fisico che sar raggiunto in et adulta. Ci naturalmente se si esclude l'intervento di f attori estrinseci, infettivi imprevedibili e,
comunque, sempre con un n o tevole margine di e r rore.
Durante questo periodo le cartilagini si rafforzano e si t r asformano
in ossa le quali piano piano si induriscono. La respirazione si fa pi profonda e pi l e nta, i l b a t t ito cardiaco pi r egolare, mentre la p r essione
sanguigna aumenta costantemente.
Il sistema nervoso si sviluppa rapidamente: il cervello del bambino
che a due anni rappresentava il 75 % d e l v o lume di quello adulto, a sei
anni ha gi raggiunto il 90 ' Fo. La m i e linizzazione delle fibre n ervose si
completa in questo stesso periodo, consentendo una sempre maggiore concentrazione e selettivit della energia nervosa.
Studiando lo sviluppo e l'accrescimento delle tre sezioni della statura,
Thompson (1952) trova che la testa sviluppa poco, le gambe e le braccia
rapidamente e il tronco mediamente, il che significa che in questo periodo
la crescita in altezza soprattutto dovuta al rapido allungarsi degli arti.

Le linee di sviluppo generali qui esposte hanno, naturalmente, dei


margini di oscillazione, nel senso della antecipazione o del ritardo, in r agione di molteplici fattori sia endogeni che esogeni che possono creare notevoli difficolt di interpretazione quando si tratti di giudicare su casi singoli, Si deve al De Toni la ideazione di un criterio di identificazione delle
anomalie di crescita, il cui m erito principale quello di essere chiaro e
utilizzabile anche da persone non strettamente specializzate. questo il
m e t o d o a u x o l o g i c o ch e si basa sul principio della corrispondenza, nella normalit, tra et cronologica, da un lato, ed et staturale-pon-

derale dall'altro. Il De Toni ha costruito una tabella a u x o m e t r i c a


di cui noi abbiamo riportato una parte, e consiglia di considerare normali

(tipauxia) quei soggetti i cui indici auxometrici corrispondono, in relazione


all'et, a quelli indicati dalla tabella. Tuttavia poich ci nella pratica pu
non avvenire, egli ha indicato per la tipauxia un indice di tolleranza di non
oltre un anno di scarto, sia in pi che in meno. In altre parole secondo il

194 -

De Toni l a t i p auxia, cio la n ormalit, compresa, per l ' et presa in


considerazione, entro il margine di un anno di divario.
Pertanto, partendo da q uesto presupposto, il c r i t erio
auxometrico
considera tre distinte categorie di rapporti:
1. - Ti p a u x i a : il divario tra et cronologica ed et strutturale-ponderale non supera, in pi o i n m e no, l'anno di e t; r appresenta la
norma.
2. - Di s a u x i a : il divario tra et cronologica ed et staturale-ponderale supera, in pi o in meno, l'anno ma rimane inferiore ai tre anni.
Si pu, in questo caso, individuare un ritardo nella crescita, ma non
tale da dover essere immediatamente dichiarato patologico, ritardo
che ammette il superamento, o anche la stabilizzazione in rapporto a
determinate componenti individuali e familiari.

3. - A u x o p a t i a : di v a ri o tr a et cronologica ed et staturale-ponderale superiore (in pi o i n m eno) ai tr e anni. I l c aso va immediatamente con6gurato come patologico.
Sia le disauxie che le auxopatie possono riguardare solamente il peso
o solamente la statura, oppure entrambi gli indici. Il D e T oni ha proposto
una particolare nomenclatura delle situazioni auxopatologiche che, per le
dixausie la seguente:
1 ) i p e r s o m i a : acceleramento moderato della
statura e del
peso;
2 ) i p o s o m i a : ritardo moderato della statura e del peso;
3) m a c r o s o m i a :
acceleramento moderato della statura;
4 ) mi c r o s o m i a :

ritardo moderato della statura;

5) pac h i s o m i a :

acceleramento moderato del peso;

6) l e p t o s o m i a :

ritardo moderato del peso;


7) m a c r o - l e p t o s o m i a : acceleramento moderato della statura e ritardo moderato del peso;

8) m i c r o - p a c h i s o m i a :

acceleramento moderato del peso


e ritardo moderato della statura.

Le auxopatie corrispondono ai seguenti gruppi:


1) g i g a n t i s m o :
2) n a n i s m o :

acceleramento eccessivo della statura,


ritardo eccessivo della statura;

3) a d i p o s i t :

acceleramento eccessivo del peso;

4) c a ch e s si a :

ritardo eccessivo del peso.

Il limite principale del metodo auxologico quello di non poter venir applicato prima dei 3 anni e d opo i 1 8 a n ni. T entativi di e stendere
ulteriormente le possibilit del metodo e dei criteri sono risultati artificiosi
e di scarsa utilit.

2. LA MATURAZIONE DELLA ATTIVITTA' BIOELETTRICA CEREBRALE


Gi alla fine del XIX secolo era nota la esistenza di variazioni nel potenziale elettrico cerebrale, ma fu soltanto nel 1924 che Hans Berger invent un metodo che permetteva la registrazione di tale potenziale e delle
sue variazioni, senza che vi f osse bisogno che si aprisse la calotta cereb rale. Questo metodo, noto come m e t o d o
di r e g i s t r a z i o n e
e n c e f a l o g r a f i c a o se m p l icemente, E l e t r o e n c e f a l o g r a m m a ( E E G i f u d a pprima accolto con molto scetticismo, fino a quando,
nel 1934, Adrian e Matthews non ne confermarono la validit e la utilit.
Da allora l'EEG entrato a far parte degli esami di routine, complementari all'esame clinico, nella pratica psichiatrica. La sua innocuit, e la
sua utilit nelle diagnosi delle lesioni cerebrali ne hanno agevolato la diffusione, tanto che a breve distanza di tempo una notevole letteratura sull'argomento si accumulata, consentendo di giungere alla formulazione di
un tracciato elettroencefalografico dell'adulto n ormale.
I potenziali bioelettrici vengono registrati mediante elettrodi messi a
contatto della cute in opportune zone del cranio. Ciascun elettrodo capta
i l potenziale bioelettrico della zona sottostante della corteccia e l o t r a smette ad un chimografo che, ampliandolo, lo registra sotto forma di tracciato su un apposito tamburo o su una speciale carta impressionabile. Pertanto, poich a ciascuna penna scrivente corrisponde un elettrodo, ciascun
tracciato che cosi risulta corrisponde al potenziale bioelettrico di q u ella
particolare zona della corteccia.
La figura VII.1 mostra la localizzazione degli elettrodi sullo scalpo: su
ogni emisfero cerebrale e simmetricamente da un emisfero all'altro, gli elettrodi sono posti secondo una linea para-mediana nelle zone frontale, rolandica e parietale, secondo una linea temporale, con tre elettrodi, temporale
anteriore, mediano e posteriore. Infine tre elettrodi sono collocati medianamente: uno frontale, uno al vertice e uno nella zona occipitale.
I tracciati grafici corrispondenti alle registrazioni delle o nde cerebrali si distinguono per due parametri fondamentali: l' a m p i e z z a e
la f r e q u e n z a .
L'ampiezza indica negli appositi fogli per l a r egistrazione la altezza
del tracciato nei confronti di un punto centrale medio.

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16

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Fig. VII. 1. Numero e posizione degli elettrodi sul cranio. (Da Netchine, P,U,F,,
Paris, 1969).

La frequenza indica la r apidit nella successione delle o nde, e s i


esprime in numeri di cicli per secondo (c /s).
In generale si pu dire che l'ampiezza e la frequenzaz sono proporzionali allo stato di r i lassamento dell'individuo: quanto pi un i n dividuo
rilassato tanto pi r egolari sono l e o nde. Durante il s onno pr ofondo
l'ampiezza delle onde massima e la frequenza minima.
Tenendo presenti questi due parametri, p ossibile distinguere, sos tanzialmente, quattro t ip i d i t r a cciati o r i t m i :
1) frequenza da 0,5 a 3,5 c/ s =

r i t m o d elta;

2) frequenza da 4 a 7 c /s = r i tm o t heta;
3) frequenza da 8 a 12 c/s = r i tmo alpha;
4 ) frequenza superiore a 13 c / s

ritmo beta.

Sono inoltre noti alcuni fenomeni, quale la r e a z i o n e di a r r e s to


c h e s o pravviene quando, durante la registrazione, qualche avvenimento intervenga a turbare lo stato di r i l assamento del soggetto, tu~bamento che si manifesta con un arresto del tracciato e una scompaginazione
della sua struttura; si conoscono anche altre modificazioni legate a mutam enti dello stato fisiologio (mestruazione, sonno, ecc.) o a stati d i v i g i lanza del soggetto.

Di fronte a questi dati, che sono oramai numerosi, si porigono interrogativi circa la loro interpretazione teorica. Sostanzialmente gli interrogativi sono i seguenti:

1. - Quale valore ha i l

t r a cciato elettroencefalografico considerato no r-

male?
2. - possibile trovare delle correlazioni significative tra ritmi e processi
o strutture psicologiche?
3. - Quale lo sviluppo genetico del tracciato?

197 -

1. - Per quanto riguarda la prima domanda, non sono in pochi (Netchine, 1969) a sostenere:
a) che la esistenza di un tracciato normale non testimonia la normalit f u nzionale del cervello, poich in p r im o l u ogo l a e sistenza di
disorganizzazioni strutturali del tracciato molto spesso segno della capacit reattiva del soggetto e q u i ndi d ella sua plasticit nell'adattamento
ambientale, e in secondo luogo poich la assenza di disorganizzazione pu
indicare un adattamento passivo del soggetto ad una situazione patologica.
b) La n o rmalit'del t r a cciato i n f iciata da una t ale quantit di
eccezioni da rendere, nella pratica, quasi nulla la sua utilizzazione;
c) poich la gran parte delle ricerche stata condotta su soggetti
malati , che si r i v olgevano allo psichiatra o al n eurologo per t r ovare
rimedio ai propri disturbi, la n ormalit del tracciato va intesa nel senso di esclusione in un soggetto malato (o anormale) di anormalit nella registrazione dei ritmi di alcune zone cerebrali, il che, tuttavia, non dovrebbe escludere l'ipotesi che l'anormalit, sia a l i vello d i r e gistrazione bioelettrica, sia a livello puramente clinico, influisca e condizioni tuiti i r i t m i
cerebrali.

2. - Per quanto riguarda il secondo problema possibile trovare


c orrelazioni significative tra r i tmi cerebrali e processi psicologici? b i sogna dire che a tutt'oggi la situazione non ancora ben chiara. Accanto
a d alcuni ricercatori, come Grey W alter, H u t t on, Golle, ecc., i quali r i tengono che, sia pure con molte cautele, correlazioni esistano tra:
reazione d'arresto e tipi d i i m magini
r i tmo alpha e intelligenza,
r i tmo d elta e t h eta e d i sorganizzazione o i m maturit emotiva, altri
(Netchine, ecc.) mettono in dubbio la signiflcativit di t ali correlazioni e
sostengono questo dubbio con nurnerose prove in cu i l e c o rrelazione o
mancano o sono inverse.
A questo proposito, anzi, Netchine sostiene la inadeguatezza del metodo delle correlazioni lineari per lo studio elettro-psicologico, e propone
il ricorso a metodi diversi, di t i po , ad esempio, pi g l obale e m eno
temporalizzati (cfr. capitolo ottavo),

3, - Il t erzo problema esiste una sviluppo genetico dei ritmi cerebrali? c h e ci i n teressa direttamente in questa sede poich parte dallo studio evolutivo dell'organismo umano, stato affrontato da d i versi
autori, i q u ali sono concordi nell'elencare alcuni fenomeni generali. Essi
sono:
alla nascita il r i tmo dominante il r i t m o delta (0,5-3,5 c/s); esso si
attenua verso i tr e anni e scompare durante la fanciullezza;

198 attorno ai due anni compare il ri tmo theta (4-7 c /s), che diventa dominante tra i 5 e i 6 a n ni, poi si fa intermittente e scarsissimo;
verso i tre, quattro anni fa la sua comparsa il ritmo alpha (8-12 c /s),
che eguaglia il ri tmo theta attorno ai nove anni e si stabilizza attorno
ai 12-14 anni.
C. Dreyfus-Brisac e C. B lanc (1956) hanno mostrato che tre mesi
dopo la nascita si installa, in corrispondenza alla comparsa della coordinazione occhio-mano, una differenziazione tra i r i tm i d ella regione occipitoparietale e le regioni anteriori. Tale differenzazione aumenta progressivamente con l'et.
La presenza del ritmo delta, nei bambini in et superiore ai quattro,
cinque anni, e, a maggior ragione, negli adulti, sembra sia legata a casi
di sofferenza cerebrale come tumori, ascessi, trauma cranici, epilessia, ecc.
Secondo Grey Walter, quando presente l'attivit delta nessun lavoro pu
essere compiuto dai neuroni interessati, poich le onde delta hanno la funzione di paralizzare la corteccia, cosi come il dolore immobilizza la parte
lesa. Tali onde appaiono correlate con tratti di i m maturit psicologica.
Per quanto riguarda gli anni che a noi interessano in questa parte del
lavoro, essi appaiono dominati dal r i t m o t h eta mentre il r i t m o a l pha,
gi comparso da qualche tempo, si va organizzando lentamente, e si prepara
ad assumere il ruolo dominante che avr nell'adulto.
Scrive a questo proposito G. W alter (1957):
L'attivit theta i n r a pporto con i l p i acere e i l d o l ore; per
es., facilmente evocata in u n b a mbino piccolo dalla f rustrazione,
facendo scomparire un dolce che gli era stato offerto.
Gi nei primi g i orni d i v i t a e d u rante tutta l ' i nfanzia le differenze individuali sono b ene evidenti. I n a l c uni b a mbini l ' a t tivit
theta c h i aramente associata con v ariazioni affettive d i q u alsiasi
t ipo; i n a l tr i e ssa legata soltanto a sensazioni gradevoli; i n altri
ancora solo a sensazioni spiacevoli. r i sultato che i n u n b a mbino
di dieci anni circa la manifestazione dei sentimenti pi esuberante e
meno intellettuale che negli individui di m aggiore et. certamente
possibile che questa caratteristica sia associata col tardivo sviluppo di
certe connessioni cortico-talamiche e colla conseguente relativa predominanza della attivit t alamica (cui sono i n direttamente associati i
r itmi theta durante i pr imi anni di v i t a ) .
E Netchine soggiunge:
Alle p a r ticolarit d ell' organizzazione spaziale si a ggiungono
quelle dell'organizzazione temporale: la vigilanza, nel bambino molto
g iovane, manca di s t abilit. A v v iene l o stesso per l a su a a t t i vit
elettrica cerebrale, che passa per una successione di fasi ravvicinate

199di rallentamento e di accelerazione. Persino durante lo stato di v i gilanza il tracciato pu modificarsi facilmente sotto l'effetto di d iverse
incitazioni: un a stimolazione inopinata o densa di t onalit affettiva,
una breve iperpnea sono sufficienti a disorganizzare l'attivit di base,
che sostituita in maniera transitoria o anche prolungata con potenziali lenti e d i a l t o v o l taggio.
Questi reperti e q u este nozioni elettroencefalografiche testimoniano
sulla relativa immaturit emotiva e sulla instabilit psichica generale dei
bambini durante la seconda infanzia. Come si vedr pi avanti tutti questi dati trovano conferma e riscontro nelle conoscenze dei processi propriamente psicologici, sia percettivi, sia intellettivi, sia emotivi che sono state
raccolte negli ultimi anni di r i cerca.

3. LO SVILUPPO PSICO-MOTORIO
Tre anni sono una sorta di m aturit . Cosi si esprimono Gesell
e Ilg riferendosi alla autonomia e alle abilit psico-motorie che i bambini
d i questa et dimostrano nei confronti anche soltanto di q u elli che n e
hanno due e mezzo :
I l miglior controllo di s al q uale il b ambino di 3 a n ni a rrivato ha una base motrice. pi sicuro di s e pi agile sui suoi
piedi; cammina dritto e pu p r endete le curve senza passare attraverso le manovre complicate dei mesi precedenti. Il suo sistema motore pi equilibrato, pi fl ui do. Non cammina pi con l e b r accia
staccate dal corpo, ma l e b i l ancia come un adulto. Gl i p i ace salire
e scendere rapidarnente le scale ma si diverte anche con passatempi
sedentari che richiedono una coordinazione motrice pi fi ne.
significativo che sappia delimitare e orientare i suoi t r atti d i
matita, sufficientemente per i m itare i l d i segno di un a croce. Percepisce le forme; i l ch e suggerisce che i piccoli muscoIi che muovono
i suoi occhi hanno pi f acilit di p r i ma.
Ha anche acquisito un considerevole corrtrollo inibitore dei suoi
sfinteri, e pu quasi andare da solo al gabinetto durante la ginrnata.

(A. Gesell, F. L. Ilg, 1961, pag. 204i


Il controllo dei pr opri m ovimenti l o s pinge ad i m itare sempre pi
ci che vede fare agli adulti: non bisogna tuttavia dimenticare che le sue
possibilit di cooperazione sono ancora assai limitate. Ben presto ritorner
ai suoi preferiti giochi solitari con le piccole auto cui dar suoni onomatopeici con la sua voce.
Il bambino a tre anni ama ripetere le cose e le azioni: egli, a differenza dell'adulto, ha t anto t empo a d i sposizione e cosi poche responsa-

200 bilit da potersi permettere la ripetizione dei movimenti sino alla perfetta
padronanza di essi, il che gli consente una lunga pratica. Per imparare bene
ha bisogno, come scrive Hurlock, naturalmente di molta pratica, ma anche di una guida e di mo tivazione: ma di ci parleremo pi avanti.
I ntanto egli impara a costruire una torre di 9 o 1 0 c u bi, contro l a
torre di 6 o 7 d i c u i er a capace a 2 anni e mezzo. Nel dipingere il suo
tocco si fa pi definito, pi preciso e meno diffuso: i m argini delle figure
cominciano ad essere rispettati. Pu p iegare un f oglio d i c a rta verticalmente od orizzontalmente, ma non ancora diagonalmente, neanche davanti
ad un modello.
A quattro anni gira armoniosamente e salta con abilit e r i t mo. Se
a tre anni sapeva solo saltare ciondolando su e gi, a quattro salta e corre
mantenendo una posizione eretta. Sa disegnare delle parallele, copiare un
quadrato o un cerchio, ma non una losanga.
A tre anni va al gabinetto una o due volte al giorno, magari saltando
un giorno. Molti v anno da soli. T u tt i sono i n g r ado di p r eavvertire. I l
controllo della vescica quasi totalmente conquistato. Di solito, andando
a letto alle otto, hanno bisogno di essere svegliati alle undici. N ormalmente si svegliano all'asciutto, ma alcuni possono alternare giorni asciutti
a giorni bagnati ancora per settimane di fila. I n q uesta fase la conquista
definitiva pu essere un problema che richiede molte sconfitte.
A quattro anni vanno regolarmente da soli al gabinetto, alcuni anche senza preavvertire, limitandosi ad annunciare d'aver finito perch ancora non sanno pulirsi da soli. Per alcuni l'evacuazione un'operazione
naturale e pu avvenire, nel vasetto, dovunque, altri i n vece cominciano
a considerarla un affare privato e richiedono che la porta del bagno resti
chiusa. Per quanto riguarda la funzione della vescica a quattro anni sono
oramai perfettamente autonomi e se qualche incidente capita, solitamente
alla fine mattinata o nel tardo pomeriggio, perch sono stati troppo occupati per provvedervi. Caratteristica di questa et che chiedano d'andare al gabinetto non appena entrano in una casa che non conoscono: ci
pare sia dovuto parte alla curiosit legata al gabinetto di t o i l etta altrui
(ma gli altri come fanno?) e parte al bisogno di cercare una via d'uscita,
uno scarico ad una situazione di tensione sociale che li tiene in ansia.
A sei anni questi problemi non esistono pi: a sei anni l'autonomia
e la sicurezza sono oramai una realt.
Si pu, in sostanza dire che il periodo dai tre ai sei anni sia dedicato
a llo sviluppo delle abilit psico-motorie e funzionali secondarie: dopo l a
prima maturazione, raggiunta a tr e anni, lo sviluppo e l a conquista dell'autonomia psico-motoria e funzionale e delle abilit derivanti dalla socializzazione e dalla cultura occupano per intero il p eriodo della seconda
infanzia,

201 -

4. LO SVILUPPO DELLA PERCEZIONE


L a sufficiente padronanza del linguaggio permette al bambino di t r e
anni di esprimersi in modo pressoch corretto e di dare esaurienti risposte
alle domande che gli vengono poste; egli anche in grado di capire ci
che gli vi ene chiesto anche se il su o m o d o d i c a pire no n a n cora
quello dell'adulto. Come vedremo pi avanti la mentalit del bambino
diversa strutturalmente, e ci causa di non i n frequenti qui-pro-quo
nei rapporti con l'adulto.
Comunque da questa et diventa possibile utilizzare tecniche pi raffinate per lo studio della percezione; in realt, essendo la percezione processo eminentemente fenomenale, non sempre molto facile distinguere il
livello psicologico (percezione) da quello fisiologico (sensazione) del processo quando non si abbia la possibilit di un riscontro verbale. Dopo i tre
anni tale apporto comincia ad esistere ed a consentire l preparazione di
situazioni sperimentali che diano la possibilit del doppio riscontro, quello comportamentale e quello verbale (comportamento verbale). Tali situazioni si basano, nella loro sostanza, sulla presentazione di determinati stimoli e sulla interrogazione libera del soggetto il quale deve rispondere a
domande quali: c h e cosa percepisci?, oppure c ome percepisci?, o
anche percepisci questo o quello o p i q uesto o pi quello, ecc.
a. Difficolt metodologiche nello studio d ella percezione infantile.
Uno sperimentatore accorto cercher di n o n c adere nelle t r appole
costituite da tutta la serie di errori metrologici o metodologici (stimuluserror, e x perience-error ecc.) la cui conoscenza deve far parte della
sua preparazione.
T uttavia con i b a mbini s empre possibile scontrarsi con errori e
con deformazioni che funzionano come assunzioni inconscie sia da parte dello sperimentatore che da parte del bambino,
A s su n z i o n i
i n c o n s c i e , nel linguaggio psicologico, sono

tutte quelle interpretazioni che appaiono come le pi probabili tra le tante


possibili e che vengono assunte per una specie di abitudine, senza vera
consapevolezza. Tali scelte derivano dalla esperienza e dal fatto che, in condizioni simili, noi siamo abituati a vedere e percepire determinati signifi-

cati, il che ci spinge a percepire ed assumere gli stessi significati anche di


fronte a stimoli di per s indecifrabili o addirittura con significato differente.
L'egocentrismo del bambino, specie dai 3 ai 4 anni, cosi rigido che
n on gli p e rmette u n a t t eggiamentto critico-distintivo nei c o nfronti d el
mondo; egli non pu rendersi conto che la sua realt psicologica e mentale possa anche essere diversa da quella degli altri, e pertanto assume inconsciamente il suo modo di p ercepire e quel che percepisce come iden-

202 tici a quelli degli altri e a lla realt fisica stessa, anche quando potrebbe
rendersi conto che non affatto cosi, e persino quando se ne rende conto.
Petter 11961) ha dato alcune dimostrazioni assai'chiare di queste possibih difficolt che i ricercatori incontrano con i bambini e che spesso celano non solo una diversit di comprensione semantica, ma anche di processualit percettiva. Secondo Petter molto spesso nell'intento di f a cilitare la comprensione delle consegne al bambino (non sempre, o v vio,
gli si pu chiedere che cosa percepisci?) si f a r i corso ad espressioni
del parlar comune, le quali si portano dietro connotazioni particolari che
le rendono invece pi ambigue. Cosi nel caso della espressione Dimmi tutto quello che vedi qui .
La situazione sperimentale consisteva nella presentazione di un cassetto da tavolo, molto largo e molto lungo, ma poco profondo, disposto
v erticalmente, in m o d o che l'interno f osse ben v i sibile ai b a mbini. A
mezza altezza, entro il cassetto, era disposto un sostegno orizzontale, sul
quale erano collocate delle sagome di cartone illuminate da una lampadina
posta di lato, in modo che le ombre degli oggetti risultassero chiaramente
visibili. Nessun soggetto, richiesto di d escrivere quello che vedeva con
l'espressione citata, ha menzionato le ombre:
solo quando lo sperimentatore muoveva la lampada, facendo di conseguenza muovere le ombre, alcuni hanno fatto r i f erimento a queste. Molti d i e ssi, inoltre, hanno trascurato di descrivere il s upporto sul q uale erano appoggiate le
sagome.
Petter ritiene di p oter concludere che la espressione usata, e che per lo
sperimentatore significava elenca tutti gli oggetti percepiti , per i b a mbini potesse significare elenca tutti gl i o ggetti corporei .
Variando Ia situazione sperimentale, Petter ha potuto constatare che
la stessa espressione assumeva, inoltre, di volta in v olta, valori semantici
diversi, Egli ha ipotizzato che accanto ai due atteggiamenti che un adulto
pu comunemente assumere di fronte ad una situazione sperimentale percettiva, quella fisicogeometrica (descrizione analitica degli oggetti) e quella fenomenologia (descrizione percettiva), possa esistere, nei bambini, un
terzo atteggiamento quello per cui il v edere in situazioni di questo tipo
inteso soprattutto come interpretare, come un cercare di dare un signiPcato empirico ai diversi elementi della situazione, vivendoli come veri e
propri oggetti .

Analogamente Mosconi (1965) indagando sulla discriminazione percettiva in r elazione alle espressioni uguaglianza-di
fferenza-somiglianza ha
trovato che falsa la illusione di una identit di comprensione e di attegg iamento tra bambino e adulto d i f r o nt e a t ali s i tuazioni. Egli h a p r o posto a un gruppo di bambini dai quattro ai sei anni, di i n dicare fra sei
figure, cinque raffiguranti animali e l ' u l tima una nave, quella pi diversa
da una settima figura raffigurante una pecora e utilizzata come figura standard. Mosconi ha ripetuto diverse volte l'esperimento mutando!1 numero

203 e il contenuto delle figure; infine ha presentato due cerchi di di fferente


grandezza e un quadrato da confrontare con un cerchio (figura standard)
del tutto identico ad uno dei due precedenti. In t u tt i q uesti esperimenti
i bambini hanno indicato come p i d i v erse fi gure simili a ll a fi gura
standard, giustificando la non indicazione di quella che per l'adulto era la
pi diversa (per es. la nave nel primo esperimento e il q uadrato nell'ultimo) col dire che era un'altra cosa, e cio che non permetteva alcun confronto con la figura standard. Mosconi crede di p otersi spiegare
questo apparentemente assurdo comportamento con il fatto che i bambini
a bbiano bisogno di un a b ase comune percettiva per f are confronti: i n
mancanza di questo ogni confronto reso impossibile. Secondo Mosconi
per i bambini il t ermine somiglianza ha lo stesso significato di u guaglianza, mentre il t e r mine d i fferenza o d i v erso h a i l s i gnificato
che per l'adulto ha il t e rmine simile o s o migliante.
Che le diversit di espressione verbale non abbiano solamente un
valore semantico ma che possano riferirsi a meccanismi e processi percettivi differenti sembra suggerito da una esperienza condotta da A l beroni

FIG 1

FIC 2

Fig. VII. 2. - Situazioni di colleganza (e) e non colleganza percettiva, (Alberoni,


Rivista di Psicologia, 1959).

(1959) su soggetti in et adulta. Egli presentava alcune serie di stimoli


costituiti da coppie di fi gure geometriche (triangoli, quadrati, cerchi), alcune volte delle stesse dimensioni, altre di dimensione diversa (ad es. un
cerchio piccolo e un quadrato grande, o viceversa, ecc.) e altre ancora in
cui una delle due figure era inclusa nell'altra (un quadrato dentro un cerchio, ecc.). Le r i sposte che otteneva: due t r iangoli , u n t r i a ngolo
grande e uno piccolo, un triangolo e un cerchio, <c un triangolo con un
cerchio gl i p a rvero correlassero con le p articolari configurazione degli

stimoli. Analizzando quindi il valore dell'uso di e e di coii, arrivato al-

204 -

FI6. z3

FI6. 24

Fig. VII. 3. - Situazioni di dominanza e inclusione percettiva lconi. (Alberoni, Rivista


di Psicologia, 1959l.

la convinzione che in tali casi l'assunzione inconsapevole o la cecit autoindotta da parte dello sperimentatore, che tra la espressione un cerchio e
un triangolo e la espressione un cerchio con un triangolo vi sia una differenza puramente formale e non anche una differenza nella dinamica percettiva dello stimolo, sia totalmente infondata e causa di notevoli errori.
Egli giunge alla seguente conclusione:
L'e viene usato quando il soggetto percepisce due o pi figure,
diverse fra loro, nel corso di un u nico atto esplorante. Per avere l'e
nella descrizione necessario'perci che nel campo percettivo si strutturino almeno due forme; invece perch il soggetto descriva una situazione percettiva (stimolo l impiegando il c o n ,
egli deve cogliere
percettivamente una unit figurale che si scompone in una forma dominante, che viene descritta per p r im a e i n u n r e siduo che viene
connesso, nella descrizione, alla figura precedente
mediante il c o n .
L'e si ha quando il soggetto percepisce due figure diverse che vengono unificate, il con quando il s oggetto percepisce una figura unica
che viene scomposta.

(Alberoni F., 1959, pag. 135l


b. Percezione globale o percezione analitica?
Queste osservazioni di Alberoni si richiamano ad un problema fondamentale nello studio della percezione: quello dello sviluppo dei processi
percettivi. noto che la psicologia classica e quella gestaltica, distinguendo i p r ocessi percettivi i n a t t i v it p r imarie e secondarie {la percezione
globale di u n i n sieme, colto con u n s ol o sguardo, sarebbe primaria,
l'esplorazione analitica dei particolari che costituiscono l'insieme sarebbe

209 secondaria), considerano le primarie tali anche nel senso genetico, e cio
le ritengo ontogeneticamente prime a comparire nello sviluppo dei pr ocessi percettivi. D i d i v ersa opinione Piaget che considera le pr imarie
(i meccanismi di centrazione relativa) come una sorta di p r ecipitato,

di processo di fissazione di attivit esplorative e di trasporto che hanno


dato luogo ad una struttura di tipo meccanico.
D al punto di v i sto f enomenologico la domanda che ne deriva ; i
b ambini percepiscono preferenzialmente la parte o i l t u t t o ? .
R noto come una certa corrente usi distinguere tre gradi o momenti
o livelli dei processi percettivi: per di rla con Claparde la percezione nei
bambini sarebbe originariamente s i n c r e t i c a ( globale indifferenziata),
si farebbe poi a n a l i t i c a , p e r d i ventare infine s i n t e t i c a ( g l obale-differenziata).
Tale assunto, del resto utilizzato con esito anche favorevole nella didattica, non ha finora tr ovato la sua riprova sperimentale, anche se dal
1911 ad oggi numerose ricerche siano state condotte: le r i sultanze tuttavia appaiono assai contradditorie.
Per semplicit ci l i m i teremo a ci tate due delle pi significative ri-

cerche.
G. Dworetzki (1939), riprendendo una affermazione di Meili, secondo la quale mentre l'adulto percepisce il tutto strutturato (cio cont emporaneamente sia il tutto che le parti) il bambino vede o il tutto i n
modo confuso (sincietico) o i s i ngoli dettagli, distinti gli un i d agli altri ,
senza trovarne l'integrazione, cerc una conferma sperimentale, presentando a 210 soggetti di ambo i s essi dai 2 anni e 4 m esi all'et adulta

(costituenti gruppi di 20 soggetti per ogni livello d'et studiato), sei figure
ambigue costituite da frutta, fiori, oggetti o b ambini, che per integrandosi acquistavano la struttura di oggetti significanti, La Dw oretzki voleva
vedere se, in r a pporto al l'et, esisteva una significativa preferenza alla

percezione dei singoli oggetti (frutta, fiori, ecc.) o a quella degli insiemi
strutturati.

I risultati, riportati nella tabella che segue, sembrano accordarsi con


l'ipotesi di M eili e q u indi, implicitamente sostenere la prospettiva globalistica di C l aparde. In e ffetti i b a m bini p i p i ccoli n ella r icerca della
Dworetzki mostrarono una preferenza per la percezione globale, mentre
negli adulti tale tipo di percezione ridottissima. In compenso compaiono

processi di integrazione globale-dettaglio e dettag!io-globale i quali hanno


consentito una interpretazione in termini di
e l'altro.

c o n taminazione tra l ' uno

D. Elkind ( 1 964) r i prendendo l'ipotesi Meili-Dworetzki e s o ttopon endola ad ulteriore controllo ha o ttenuto dei r i sultati opposti. Egli h a
utilizzato un adattamento del test della Dworetzki, il P i cture Integration

206 -

g)

Fig. VII. 4. - Le sei 6gure ambigue della Dworetzkh (Ba Chiari, Bolh Psicologia
Applicata, 19711.

207 PERCENTUALI DELLE RISPOSTE AL TEST BELLA BWORETZKI


Soggetti n. 135

Glob.

Dett.

3- 5

80,0

10,5

6,3

32

5- 6

66,6

16,6

14,4

3,5

6- 7

47,4

21,0

15,8

15,8

36,7

24,1

19,3

19,3

8- 9

30,6

28,0

23,1

21,3

9-10

15,7

29,4

16,6

32,3

10-15

10,3

32,0

12,8

44,8

Adulti

21

14,6

31

80 )0

Et

B ett. Glob
Glob. Dett.

G l o b+Dett.
.

(La Tabella ripresa dal lavoro di S. Chiari, 1971. Nella prima colonna, dopo le
et, sono riportate le percentuali delle risposte in cui l a percezione avvenuta globalmente; nella seconda colonna le risposte percettive di dettaglio; nella terza le risposte in cui il dettaglio deriva da una interpretazione globale della figura, o viceversa
risposte di co nta~inazione ; nell'ultima colonna sono le percentuali delle risposte percettive in cui stato fatto cenno sia al globale che ai dettagli).

Test (P.I.T.) che costituito da 7 figure di oggetti e animali a loro volta


costituite da pi piccoli oggetti e animali, L e figure furono presentate a

soggetti dai 4 ai 9 anni: i bambini pi piccoli (4-5 anni) indicarono ed


enumerarono solo le parti; q uelli d i 6 - 7 anni enumerarono gli insiemi e
trascurarono le parti; i p i g r andi ( 8-9 anni) i n dicarono sia gli i n siemi
che le parti.
I risultati smentivano quindi, almeno in p arte, quelli delle ricerche
precedenti. Elkind aveva inserito questa ricerca in un pi v asto piano di

indagini che gli ha consentito l'analisi dei fondamentali processi percettivi


della ri organizzazione percettiva, della schematizzazione percettiva
e della esplorazione percettiva ( una i nteressante esposizione delle ri-

cerche di Elkind trovasi in S. Chiari, 1971)..


Probabilmente a causa delle difftcolt metodologiche e delle differenze
gestaltiche del materiale utilizzato nelle diverse ricerche, non pare possibile arrivare ad una soluzione unitaria del problema, tanto che non
mancato chi (W i nnefeld) ha pensato di poter avanzare l'ipotesi della esistenza, all'origine dei d iversi meccanismi, di d i v ersit individuali presumibilmente di natura temperamentale.

208 -

Qp

Fig. VII. 5. - Le 6gure ambigue dei Picture Integration Test utilizzate da Elkind
e coliaboratori. iDa Chiari, Bollettino di Psicologia Applicata, 1971).

Tampieri ( 1969) partendo dalla convinzione che la possibilit di


vedere le 'parti' dipende tanto dalle propriet delle 'parti' stesse, quanto
da quelle del 'tutto' che esse compongono, ha ideato una tecnica, da lui
detta di smistamento che pare ovviare ad alcune difficolt metodologiche. Egli, ritenendo che una buona parte della discordanza dei risultati sia
da imputare alla diversit e imperfezione delle tecniche utilizzate, nell'intento di fornire una tecnica omogenea, ha costruito delle situazioni in cui
gli elementi o parti erano costituiti da piccole stelle a 5 p u nte o da p iccoli quadratini neri, e gli insiemi o tu oo erano delle configurazioni (triangoli equilateri, forme circolari o l i nee spezzate a scala) i cui p unti erano
costituiti dagli elementi, I s oggetti, bambini da 3 a 6 a n ni, venivano in-

O
5

Fig. UII. 6. - I l t e s t d e ll o s m istamento utilizzato da G . T a m p ieri.(Rivista di


Psicologia, 1969, Il).

vitati ad infilare i cartoncini con le conFtgurazioni in apposite caselle contrassegnate dagli stessi disegni. L a p r ova cruciale consisteva nel d over
decidere dove mettere, ad es., un t r iangolo costituito da stelline mentre
le caselle (sempre in n u mero d i d u e ) avevano come contrassegno l'una
u n t r i angolo f o rmato d a q u a dratini, l ' altr a u n a scala f o r m ata d a
stelline. I bambini, nel corso del gioco di smistamento, si trovavano quattro volte davanti a queste difFicili scelte: ovviamente Tampieri si proponeva di osservare se, e in quali circostanze, gli insiemi prevalevano sulle
parti o viceversa.
Lavorando su 144 bambini e 144 bambine Tampieri ha ottenuto dei
risultati, che pur i n teressanti, egli stesso consiglia di considerare provvi-

sori; pare comunque che:


nel caso della contrapposizione tra la disposizione delle 'parti'
in un'area circolare e la disposizione lungo i l ati d i u n t r i angolo sono risultate evidenziate le ' p arti' ; n e l c aso invece della contrapposizione tra la disposizione delle 'parti' l ungo i l at i d i u n t r i angolo e

la disposizione lungo una linea spezzata della forma di una scala, le

210 'parti' sono state evidenziate molto di m eno, ed hanno avuto molto
p i peso i t u t t o .
Le conclusioni di
egli sostiene che:

T a mpieri m i p ar e si p o ssano, oggi, condividere;

l 'esistenza della duplice possibilit, anche per i b a m b ini p i p i c coli, di notare vuoi le strutture d'insieme, vuoi gli elementi componenti pone ancora una volta in crisi ogni interpretazione di tale fenomeno in termini di una specifica dimensione 'parti-tutto' del processo
percettivo; e fa pensare che il fenomeno stesso debba piuttosto esser
considerato come effetto secondario d i c a r atteristiche generali del
medesimo processo percettivo: p i p r ecisamente delle modalit secondo cui si compie l'organizzazione figurale.
c. Percezione, apprendimento e li n guaggio
L'invito di T ampieri ad un riesame delle leggi generali della strutturazione percettiva secondo una direzione assai vicina a quella della buona
forma gestaltica non pu no n f a r r i v alutare l ' i m p ortanza dei processi
evolutivi nelle modalit percettive. E ci probabilmente per una progressiva maturazione dei sottostanti processi neurofisiologici da un lato e per
l'effetto combinato tra apprendimento e ambiente dall'altro.
Ci dimostrato da due belle ricerche di E. G i bson (1955, 1963) :
nella prima, utilizzando dei g h i rigori i q u a li d if ferivano per n umero
di spirali, grado di compressione degli stessi e orientamento, i soggetti venivano invitati a paragonare ad un modello standard una serie di ghirigori
presentati in cartoncini che venivano fatti passare come un mazzo di carte.
I bambini pi giovani fecero un maggior numero di errori considerando
identici al modello un maggior numero di ghirigori di quanto invece non
seppero fare i pi g r andicelli. M a f acendo passare le carte pi v o lte, il
n umero degli errori d i minuiva, sino a scomparire del t u t to. I l c h e m o strava chiaramente il r u ol o d ell'apprendimento nella percezione. Gibson
r itenne ci conforme a natura, poich anche nella natura i b ambini p i
maturi sono quelli che hanno pi esperienza nel percepire il mondo circostante e quindi commettono meno errori percettivi.
Per spiegare questo fenomeno Gibson ha proposto una teoria delle
c a r a t t e ri s t i c h e d i s t i n t i v e : La crescente differenziazione

del mondo dei bambini oggetti, rumori, figure , almeno in parte,


un risultato dell'apprendimento a rispondere alle caratteristiche distintive
d egli oggetti, dei fenomeni, e cosl vi a .
La seconda ricerca (per una pi approfondita conoscenza della tecnica, in parte complessa, rimandiamo al lavoro originale) in cui utilizzava
lettere dell'alfabeto e figure irrergolari e v ariamente orientate nello spa-

211zio, ha messo in mostra una netta correlazione ira errori di rlconosclmento


delle figure e padronanza o confusione delle lettere dell'alfabeto (per es.
i bambini che confondevano la d con la b, o la U c on la V, si t r o vavano
in difficolt anche con le figure irregolari).
Questi risultati incoraggiano a pensare che gli stimoli si avvantaggiano di una migliore lettura percettiva quando possibile applicare loro
una etichetta linguistica. Per esempio, i bambini che conoscono e usano i t ermini r osso e ro sa fanno minori c onfusioni di f r o n te a m a teriali
colorati i n r o sso o i n r o sa, d i q u elli ch e no n u t i l izzano ancora quelle
etichette.
Ci consente di dire che la differenziazione progressiva degli stimoli

(apprendimento) e la capacit di dar loro etichette verbali sono principi


che accompagnano lo sviluppo percettivo nel periodo prescolare e dei primi anni di scuola (Mussen).
Ma lo sviluppo percettivo cosi strettamente legato, ne i n p arte
funzione, al processo della conoscenza e alla strutturazione verbale di questo che non p ossibile considerarlo totalmente distinto dai p rocessi intellettivi, con i q u ali spesso inferisce per un a r ricchimento vicendevole.
Lo stesso Piaget, che pure ha tentato una analisi degli elementi costitutivi
differenzianti i due tipi di p r ocessi (percettivo e intellettivo) ha sentito il
dovere di avvertire che tale distinzione non mai cosk netta, se non per
quei fenomeni che stanno agli estremi delle due processualit. Pare comunque accertata la correlazione tra sviluppo del linguaggio e facilitazione
percettiva.

5. LO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO


Il patrimonio verbale del bambino di t r e a nni si c ompone, mediamente, di 896 parole: a sei anni queste sono diventate 2.560.
Nonostante le critiche che vengono rivolte alle ricerche sullo sviluppo del linguaggio condotte secondo schemi statistici, critiche da noi riportate, non si pu disconoscere l'utilit che queste possono rivestire se interpretate in maniera corretta.

Ad esempio, una ricerca quantitativa sullo sviluppo del linguaggio,


condotta in U.S.A. nel 1957, ha messo in evidenza un netto aumento del
patrimonio verbale nei bambini che avevano 3-5 anni paragonati a soggetti che avevano la stessa et 25 anni prima. I b ambini del 1957 sono
apparsi, complessivamente, pi r i cchi e p i l a rghi ne lle loro sentenze: mentre i treenni del 1930 usavano costruire le proprie sentenze in

media con 3,4 parole, i treenni del 1957 le formavano con 4 parole. I

212 bambini che avevano 4 anni nel 1930 formavano le proprie sentenze con
una media di 4,3 parole, quelli del 1957 utilizzavano 5,7 parole.
Per quanto di6cile sia la interpretazione di questo fenomeno di crescita verbale avvenuta in u n q u arto d i secolo,
alcuni hanno suggerito
che esso possa spiegarsi con la diffusione della radio e della televisione,
con le mutate, e i n g enerale, migliorate condizioni economiche generali,
che consentono ai genitori d i soddisfare maggiormente le richieste culturali dei p ro pri f i g li, e c on l a ' aumentata frequenza dei bambini a lle
scuole materne che offrono indubbiamente numerose occasioni di incontri
e di stimolazioni di vario genere (Mc Carthy, 1959).
Precedentemente abbiamo accennato al parlar per sentenze del bambino di due anni: esso utilizza quasi solamente i nomi. q uesto il primo
stadio nella evoluzione delle sentenze, le quali si sviluppano gradatamente,
articolandosi secondo strutture grammaticali e sintattiche sempre pi complesse.
a. Linguaggio e comportamento
In altra parte di questo lavoro sono state esposte alcune delle teorie
fornite dalla psicolinguistica per la i n terpretazione dello sviluppo sintattico e grammaticale del linguaggio. Abbiamo per anche pi volte sottolineato come, a mano a mano che il bambino cresce e passa dalla prima
alla seconda.e alla terza infanzia, l'incidenza dell'ambiente e dell'apprendimento sulle strutture sembra farsi pi evidente. Senza voler riaprire la
discussione sul diverso ruolo che l'ambiente e il patrimonio genetico possono avere nello sviluppo del linguaggio, sembra interessante sottolineare
quanto scrive uno psicologo sovietico, Luria (1957), a proposito della funzione organizzatrice del linguaggio:
nel primo stadio dello sviluppo infantile, il l i nguaggio solamente
un mezzo di comunicazione con gli adulti e con gl i a l tr i b ambini...
Successivamente diventa un mezzo tramite il quale organizzare le proprie esperienze e regolare le proprie azioni. Cosi l'attivit del bambino mediata attraverso le parole,

(A. R. Luria, 1957)


L'affermazione di Luria diventa ancor pi interessante se paragonata

alla tesi che B. Whorf ha ricavato dallo studio delle lingue degli indiani
in America. Questo ultimo autore ritiene che la percezione del mondo sia,
si, direttamente collegata con la struttura del linguaggio, ma non perch
sia l'ambiente a condizionare il linguaggio. Sostanzialmente egli dice.
1, II mondo concepito in modo molto diverso da coloro che si
servono di l i n guaggi dalla struttura completamente dissimile.

213 2. L a s t ruttura del linguaggio la causa di queste diverse concezioni del mondo.

(E. R. Hilgard, 1971, pag. 403)


Naturalmente la tesi della dipendenza della Weltanschaung dalla struttura del linguaggio pu esser anche capovolta, sia perch non ci sono in
realt finora dimostrazioni convincenti che le lingue condizionano le ideologie, sia perch le somiglianze fra le l i n gue appaiono soverchiare le
differenze (Carroll, 1964). Tuttavia pare assodato che il l i nguaggio non
sia soltanto un mezzo di comunicazione, ma anche di comprensione, di regolamentto e di controllo del comportamento,
Luria ha potuto dimostrare lo stretto rapporto che esiste tra linguaggio e controllo del comportamento con un esperimento condotto su bambini da 2 anni a 5 anni d'et. Questi venivano collocati davanti ad un dispositivo da cui potevano venir stimolati o con una luce rossa o con una
luce verde, eavevano a portata di mano una peretta di gomma che si poteva premere. La consegna che ricevevano era; Se vedi la luce rossa, premi. Se vedi la luce verde, non premere. Ovviamente la peretta di gomma
era collegata con un apparecchio che registrava ogni piccola pressione.
Il comportamento dei b ambini r i sult d i verso i n r a pporto al l'et.
M entre la consegna parve non avere nessun effetto sui bambini d i d u e
anni, i quali premevano la peretta indipendentemente dal colore della lu-

ce, i bambini di due anni e mezzo e quelli di tre che parevano capire perfettamente le istruzioni dello sperimentatore e persino ripeterle, non accordavano il comportamento con le parole, e ci perch, secondo Luria,
essi non sono ancora in grado di i n ibire i p r opri m ovimenti, specie una
volta che questi abbiano avuto inizio.
Per quanto altre r icerche non p aiano confermare completamente i

dati di Luria (Bem, 1967), il concetto rimane ugualmente importante:


sembra infatti corrispondere al vero che lo sviluppo del linguaggio faciliti
i progressi dell'apprendimento, della formazione concettuale, del pensiero, del ragionamento, in una parola, della soluzione dei problemi. Il b arn-

bino, ad es., arricchisce il proprio vocabolario non solo aggiungendo nuove


parole, ma estendendo il significato di una parola da una classe di oggetti
ad un'altra. Cosi scrive Hurlock, dapprincipio il bambino sa che la parola
orange (arancio, nella lingua anglosassone indica sia il f r u tto che l'albero) si riferisce ad un tipo di frutta, pi tardi scopre che la stessa parola
si riferisce anche ad un colore e pi tardi ancora, ad un colore complesso

formato dalla combinazione fra rosso e giallo. Questa acquisizione non ha


solamente una portata nozionistica: essa si estende sino al campo dell'azione e del controllo dell'azione.
L'opinione di molti psicologi in proposito che il linguaggio fornisca
un m ediatore verbale efficiente per l a a u t ocomprensione-spiegazione

214 dei problemi della realt; la generalizzazione consentita da questo mediatore sarebbe funzione dello sviluppo del p ensiero. Un c erto numero di
ricerche sono state dedicate alla esplorazione della ipotesi che le risposte
verbali producano degli stimoli che vanno ad aggiungersi agli stimoli fisici,
agevolando cosi le risposte non verbali e il l oro apprendimento (Norcross,
Kendler, Shepard, Weir e Stevenson, Spiker, Gerjuoy in Research Rea-

dings in Child Psychology, New York, 1963).


Secondo Kendler il m ediatore-verbale pu venir definito come una
risposta, o una serie di risposte che intercedono tra lo stimolo esterno e
la risposta appropriata fornendo stimolazioni che influenzano l'eventuale
corso del comportamento. Queste risposte possono anche essere manifeste,
ma normalmente si presume siano non manifeste (Kendler, 1963).
La funzione del m ediatore-verbale sarebbe, dunque, quella di f acilitare il passaggio da una classe di oggetti ad un'altra, e, contemporaneamente, di agevolare l'apprendimento e il c ontrollo d i d e t erminati comportamenti. I n u n a d elle molte r icerche Kendler ha dimost~ato che abituando bambini di 4 a n n i a v e rbalizzare i p r ocedimenti i n u n s emplice
problema di valutazione di grandezza, si ottengono risultati sorprendenti
quando agli stessi bambini vengano presentati problemi la cui soluzione
richieda un rovesciamento di forme. Ci invece non si ottiene con i bamb ini (gruppo di controllo) i q u ali abbiano semplicemente risolto il p r i m o
problema senza verbalizzarne i risultati e i t e ntativi.
.

Un'altra ricerca (Spiker, Gerjouy e Shepard, 1963) ha mostrato che i


bambini i quali possiedono la etichetta verbale della g randezza intermedia apprendono pi facilmente un problema di discriminazione, nel quale
si tratti di v alutare uno stimolo di grandezza intermedia fra altri due, di
quanto non sappiano fare i b ambini i q u ali non n e possiedano, verbalizzato, il concetto.
In sostanza tutti questi studi portano alla conclusione non solo che il
possesso di e t i chette verbali , e c i o di u n l i n g uaggio ricco, agevoli
l'apprendimento delle risposte non verbali, ma anche che la r icchezza e
l'abitudine alla verbalizzazione favorisce la plasticit del pensiero, essendone una funzione. Da ci due interrogativi:
Esiste un r apporto tr a p l asticit di p ensiero-ricchezza verbale e
ambiente sociale?
I s o rdomuti, i q u ali hanno povert verbale, hanno, conseguentemente, una maggiore rigidit di pensiero?
b. Pensiero, linguaggio e ambiente sociale

Che l'ambiente sociale abbia una diretta influenza sulla ricchezza del
vocabolario stato pi volte dimostrato (vedi anche i capitoli precedenti),
Sembra tuttavia che le differenze sociali non agiscano solamente sull'aspetto quantitativo del linguaggio, ma soprattutto incidano sull'aspetto formale

215della struttura sintattico-grammaticale. Bernstein (1960) sostiene che la diversa facilit verbale negli individui appartenenti a classi sociali diverse, risulta interamente dipendente dalla importanza che ciascuna classe attribuisce al linguaggio, importanza a sua volta determinata dalla organizzazione
della classe stessa. In altre parole, secondo Bernstein, esisterebbe una relazione diretta tra organizzazione sociale-struttura del linguaggio-facilit verbale, e che la importanza che per ciascuna classe assumono azioni, oggetti e
rapporti si rifletta sulla enfasi verbale e quindi sul tipo di struttura. In generale le classi inferiori, bianche o negre, non danno molta importanza al linguaggio come potenziale di sviluppo, poich non pensano che possa costituire una tecnica accrescitiva o facilitativa della maturazione intellettiva e
della personalit.
La struttura del l i nguaggio infantile appare, notoriamente, correlata
con le stimolazioni affettive e cognitive. I n u n l a v oro d i M . M o n t anini
Manfredi ( 1965), questo aspetto appare assai evidente. I l n u m ero d ei
soggetti esaminati i n q u esto lavoro non c onsente una sicura estensione
dei risultati, t u t t avia q uesti appaiono i n l i n ea c o n q u a nto f i n ora
stato raccolto. La Montanini Manfredi ha paragonato due gruppi di bam-

bini, il primo (gruppo sperimentale) di minori illegittimi ospiti di un istituto per l ' i nfanzia, il secondo (gruppo di controllo), di m i n ori l egittimi
viventi in f a miglia e frequentanti una scuola materna. A questi barnbini
venivano presentati un test di v ocabolario, uno di p r oduzione linguistica
ed una serie di domande di conoscenze. I risultati pi interessanti si sono
avuti al test di produzione linguistica: i bambini dovevano descrivere due
serie di vignette, la prima costituita di flgure singole in azioni singole (es.
una donna che lava), la seconda, pi complessa, di pi figure e pi azioni.
Di fronte alla prima serie il comportamento dei bambini apparso assai
poco differenziato (nessuno differenza stata statisticamente signiflcativa),
mentre assai diverso apparso il comportamento di f r o nte alla seconda
serie ove i bambini del gruppo sperimentale utilizzarono un maggior numero di espressioni incomplete, incornprensibili o scorrette di quelli d el
gruppo di controllo.
Ovviamente un problema del genere non pu essere interpretato asetticamente in maniera statistica: esso implica complesse problematiche funzionali, affettive, di labilit attentiva, ecc. Tuttavia innegabile vi appare la
correlazione tra stimolazione ambientale e struttura del l i nguaggio,
Se, dunque, dimostrabile una stretta correlazione tra struttura del
linguaggio e ambiente sociale da una parte e tr a apprendimento e struttura del linguaggio dall'altra ("), fino a che punto legittimo giungere alla
(") Queste constatazioni pongono in difficolt le teorie innatistiche (cfr. cap. VI1
le quali paiono perdere validit. E ci co stituisceun reinvito a non sottovalutare
mai le relazioni reciproche tra maturazione e apprendimento,

216 conclusione sillogistica del rapporto diretto tra ambiente sociale e apprendimentoP
Come si avuto modo di dire, non sempre ci che vero per la logica anche vero per la psicologia, e ci, nel caso specifico, perch, come
scrive la Massucco Costa.
il pensiero non coincide col l i nguaggio, ossia molto pi a mpio
del suo sistema di espressione'e comunicazione verbale, non soltanto
perch si serve anche di al tri m od i d i e spressione e comunicazione
intenzionali e reciproche, ma perch la sua attivit sorretta anche
da schemi sensorio-motori e da rappresentazioni mentali, da modalit
autistiche di svolgimento, da sequenze di compottamento significative, che ne manifestano la presenza a diversi livelli d i p r oduzione e
di azione.
(A. Massucco Costa, 1968, pag. 15)
Se non legittimo ridurre il pensiero a linguaggio, possibile ridurre
l 'intelligenza a linguaggio> Ricerche condotte, a diversi livelli d ' et, tr a
livello di v erbalizzazione e livello i ntellettuale tramite l'utilizzazione dei
normali test hanno dimostrato che i l p o ssesso di u n a l t o Q . I . v e rbale
correla con l ' appartenenza alla classe sociale media ed g a ranzia per
il possesso di un alto Q .I . d i p e rformance, mentre il reciproco non sempre accade nei soggetti c on alta performance e appartenenza a classe
sociale inferiore. Cosi in una ricerca di Bernstein su adolescenti, un risultato del genere stato interpretato nel senso che mentre le operazioni richieste dai test non verbali erano facilmente accessibili anche ai ragazzi
d el ceto inferiore, i p r incipi richiesti per la soluzione dei test verbali ri manevano inaccessibili o comunque presentavano per essi delle difficolt.
In un'altra ricerca (Brunet, 1956) su bambini nella prima i nfanzia
appartenenti a ceti diversi, emersa una netta superiorit dei bambini de-

gli ambienti intellettuali, i quali a 30 mesi si differenziavano dagli altri


soprattutto per la attitudine a strutturare le frasi. Il che pu essere interpretato come una pi vivace presenza di abitudine a strutturare le proprie
esperienze.
Niente legittima, tuttavia, allo stato attuale degli studi, una identificazione tra pensiero e linguaggio n tra livello intellettuale e livello verbale: ma, concordando con Vigotsky sulla esistenza di una fase prelinguistica nello sviluppo del pensiero e di una vasta area del pensiero che, anche in et adulta, non coincide con il l i nguaggio (pensiero per immagini,
per azioni, ecc.), e con Piaget sulla funzione che il linguaggio assolve nella
fissazione dei risultati dell'attivit intellettiva, i m possibile non r iconoscere la funzione di o r ientamento, di f acilitazione e di s i stemazione dei
processi mentali assolta dal linguaggio che, pertanto, favorisce la plasticit
del pensiero.
.I

217 c. Pensiero e linguaggio nei sordomuti.


Ci in parte comprovato da quanto si sa sul rapporto plasticit-rigidit mentale nei sordomuti. Da parecchi anni non si crede pi che l'attivit cognitiva del sordomuto non evolva oltre il semplice livello percettivo e che il s ordomuto sia condannato ad una sorta di f r enastenia. In
questo campo, abbandonato il concetto che la demutizzazione abbia essenzialmente valore di comunicazione sociale, stata accolta la prospettiva
pi moderna che fa del processo di demutizzazione un processo di strutturazione della realt e di autoregolamento comportamentale. Cio, tuttavia, non implica direttamente che l'assenza di linguaggio verbale comporti
la assenza di strutturazione della propria esperienza: la possibilit di supplire o addirittura sostituire i l l i n guaggio verbale con quello gestuale e
mimico, nelle quali operazioni il s ordomuto sembra raggiungere particolari abilit, dimostra che il s ordomuto raggiunge una propria strutturazione della esperienza e una autoregolazione del comportamento.

La psicologa francese M. Borelli (19511, utilizzando alcune tecniche


di Piaget, ha esaminato 91 sordomuti in et dai 5 agli 8 anni, comparandoli con un gruppo di bambini normali della stessa et, e ha creduto di
poter affermare che tra i d u e gruppi non c'erano differenza apprezzabili
sulle capacit logiche elementari. E che quindi le o perazioni , nel senso
piagetiano del termine, in questo stadio (operazioni concrete) fossero indipendenti dal linguaggio, il quale invece diventerebbe determinante nello

stadio della logica formale.


I numerosi esempi di sordomuti che, con particolari tecniche, superano il p r oprio i solamento e at tingono la v erbalizzazione sino ai l i v eHi
pi alti, e d'altro canto, la dolorosa osservazione quotidiana del sordomuto
incolto la cui sospettosit o testardaggine sono manifestazione di una ri gidit di s chemi operativi ch e i m pedisce discriminazioni e g eneralizzazioni, se non elementari, suggeriscono:
che il linguaggio non coincide con il pensiero, n con l'intelligenza,
ahrimenti si dovrebbe arrivare all'assurdo di non ammettere n pensiero
n intelligenza nel sordomuto;
che il linguaggio funzione del pensiero e della intelligenza e, contemporaneamente, vi inferisce.
d. Le anormalit del l in guaggio in e t p rescolare.
Le strette connessioni tra pensiero e linguaggio si rivelano nella evidente correlazione esistente tra anormalit del linguaggio e psico-patologia
generale. L'anormale psichico ptesenta sempre una qualche forma di anormalit del linguaggio, sia essa fonica, grammaticale, strutturale o l ogica.
noto che gli idioti con un Q ,I . i nferiore a 20 raramente riescono ad an-

dare, nell'apprendimento del linguaggio, al di l d i u n n u mero isolato di


parole o alla comprensione di semplici comandi. Gli studi sul rapporto tra
intelligenza e linguaggio nei deboli mentali hanno sempre trovato che le deffcienze verbali appaiono proporzionali alle delIcienze della intelligenza.
Persino la comparsa di fenomeni verbali correlativi alle tappe dello sviluppo del linguaggio appare in ritardo nei deboli mentali. Uno studio citato
da Carroll (1964) ha messo bene in luce questo tipo di correlazione in bambini con Q.L tr a 51 e 70:
deboli mentali
balbettio
uso delle parole
uso delle frasi

normali

20,8

4.

34,5

12.
20.

89,4

(il tempo espresso in mesi)

La patologia del linguaggio affronta una variet enorme di fenomeni:


la loro complessit tale che assai arduo diventa ogni tentativo di classificazione. Rifacendoci alla prospettiva assunta nel capitolo sul l inguaggio
nella prima infanzia, pu essere utile, anche se non del tutto esauriente,
fornire una distinzione che tenga soprattutto conto sia della a l tezza
della localizzazione sia della complessit del difetto. Cosi, come in quella
sede a proposito dei processi del linguaggio si parlato di fenomeni nervosi elementari, di f enomeni neuropsichici e di f e nomeni psichici, qui
possibile parlare di f enomeni psicopatologici in quanto:
D I s I . A I . I E : alterazioni dei suoni e d elle lettere che compongono la

parola; la loro origine pu ri siedere in un d i f etto delle vie o d elle


strutture nervose sensitive (es. sordomutismo o semimutismo, di cui
si parlato altrove ) oppure motorie (balbuzie, blesit, disartria).
D I s F A s IE :

alterazioni della p arola dovute a d i f e tto d ella


attivit
n europsichica di senso (sordit verbale, cecit verbale) o d i m o t o
{afasia motoria).

DIsLoGIE:

alterazioni del discorso dovute a difetti dei processi psichici superiori e r i guardanti sia Ia elaborazione associativa (povert
del discorso oppure logorrea) sia il contenuto o l a f o rma stessa del
discorso (idee ossessive, delirio, ecc.).

In questa parte dedicata alle anormalit del linguaggio durante la seconda infanzia, ci occuperemo di quelli che vengono normalmente indicati
come difetti di p r onuncia e che sono, in realt, dislalie motorie. Tale
tipo di difetto appare.spesso associato a disturbi del comportamento, so-

219 p rattutto come conseguenza di difficolt di adattamento alla realt e d i


sproporzionate reazioni alla frustrazione.
In un n ot o l avoro di B assi e Canella (1968l questa associazione
apparsa assai evidente: su 947 maschi e 427 femmine dai 2 a i 1 7 a n ni
esaminati dal Bassi per vari disturbi del comportamento, ben il 3 4 ,84%
dei maschi e il 2 7 , 16% d elle femmine presentavano, associati, anche disturbi del linguaggio. L'andamento dei disturbi, esaminati longitudinalmente, mostrava, senza distinzione di sesso, una progressione costante dai 2
ai 5 anni, una fortissima impennata a 6 anni, una stabilizzazione a livelli
piuttosto -levati sino a 8 anni e quindi una progressiva'diminuzione. Considerando la sola popolazione dei disturbati della loquela, in essa i maschi
rappresentavano il 65,88% e l e femmine il 34,12% .

Popolazione 1.374

MASCHI
disturbi del
ti;mportamento

947

disturbi
loquela
311 = 38, 84 /o

Maschi+Femmine

FEMMlNE
disturbi del
comportamento

disturbi
loquela

427

137 = 27,16%

Tot. =

448

%%u %%u

6 5 ,8 8

34, 1 2

(Tabella sul r apporto tra disturbi de l c o m portamento e disturbi del l inguaggio,


adattata secondo le cifre di A . B assil,

In questo quadro si immediatamente colpiti da un dato: la maggior


incidenza dei disturbi del linguaggio nei maschi. Queste osservazioni, del
resto concordano con quelle che si traggono dagli studi similari (Mac Parlane, Allen, Honzik, Mac Carthyl. La studiosa americana Mc Carthy suggerisce come spiegazione parziale del fenomeno della maggior presenza di difetti
di linguaggio nei maschi, la maggior difficolt che i maschi incontrano nel
processo di identificazione con il padre, sia per la minore presenza paterna
in casa, sia per i complessi di colpa che affliggono il bambino nel momento delicato del superamento della fase edipica. I maschi, inoltre, sono tradizionalmente trattati pi severamente e puniti con maggior rigore, tutte
cause, queste che concorrono a creare situazioni di insicurezza emotiva.
sul figlio maschio che di solito i g enitori puntano per soddisfare quei bisogni di ascensione sociale che in essi sono stati f rustrati ed in genere essi si rassegnano pi facilmente all'insuccesso o
al fallimento scolastico delle figlie che dei fi gli . I n q u esto quadro,

pressione pi forte significa per sbagli educativi pi gravi e pi numerosi, di conseguenza, disturbi del comportamento pi f r equenti e
fissati nel maschi che ncllc femminc,

(A. Bassi, 1968, pag. 31)

220 La esplosione dei disturbi del linguaggio che si verifica a 6 anni trova
invece spiegazione nella natura sociale del fenomeno stesso: 6 anni , per
legge, l'et in cui il b ambino fa il suo ingresso a scuola, ed chiaro che
i l bambino che lascia il suo ambiente familiare e viene introdotto in u n
ambiente cosi diverso e insicuro, come appare la scuola, viene anche
sottoposto ad un i n t enso bombardamento emotivo che pu essere causa
di ansia. Da ci la comparsa di disturbi del linguaggio come risposta nevrotica ad un difficile adattamento scolastico.
C i si sarebbe potuti aspettare questa esplosione all'et di 3 a nn i e
cio nel momento in cui il bambino entra nella scuola materna, ma, come
l o stesso Bassi fa osservare (il lavoro del 196gi solamente il 49 % d e i
bambini italiani frequentano la scuola materna e molto spesso questi istituti si r i velano, nella pratica, tutt'altro che adatti per una buona e precoce socializzazione. C' inoltre da aggiungere che non si h anno ancora
sufficienti dati sul comportamento del t reenne, il quale, al contrario del
bambino di 6 anni non avendo ancora completamente raggiunto la propria
s icurizzazione e il p r oprio ruolo i n f a miglia, venga introdotto in u n a m b iente nuovo e sollecitato ad adattarsi contemporaneamente a d ue
ambienti. da pensare che in questa situazione le dinamiche di adattamento
siano del tutto diverse.
La tabella che segue, tratta sempre dal lavoro del Bassi, mostra la
distribuzione dei tipi di d i sturbi del linguaggio nell'et evolutiva, nei due
sessi.

MASCHI
Tipo di d i sturbo
Balbuzie
Linguaggio impiantato in ritardo
Dislalie
Linguaggio ipoevolutivo
Tachilalia
Mutacismo
Linguaggio da beb
Forme miste

N.
96
52
42
18

4
13
9
85

FEMMINE
Po
17,77
21,48

29,09
15 75

12,72
5,45
1 21
3,93
2,72
25,7 5

17 )77

7,40
18

13,33
2,96

22

16>29

(A. Bassi, l968, pag. 43. Riteniamo che Bassi utilizzi il t ermine Dislalie per indicare quei fenomeni che noi, con il Levi, preferiamo indicare come Blesit).

Anche davanti a questa tavola evidente che le balbuzie rappresentano uno dei casi pi f r equenti di d i sturbi del l i nguaggio, e soprattutto
nei maschi.

221 BALBUZIE

Di norma il suo insorgere posto tra i 3 e i 7 a n ni, con una accentuazione nel pr imo periodo scolare e successiva diminuzione sino, assai
spesso, alla scomparsa in et matura. La sua incidenza nella popolazione
oscilla tra il 2 e i l 7 % , c o n maggiore frequenza nei maschi.
Si produce per movimenti convulsivi tonici ( f orma tetanica) o clonici (forma coreica) dei muscoli dell'apparato fonatorio; quando lo spasma
tonico viene ostacolato i l p a ssaggio al suono successivo (imputarsi),
quando clonico provoca la ripetizione del suono.
Per quanto non si escludano casi, tuttavia assai rari, di b albuzie di
origine infettiva (lesione dei nuclei nervosi motori conseguente ad encefalite), la quasi totalit di questo tipo d i d i sturbo pu f arsi risalire alla
concorrenza di un f a t tore neuropatico con un f a ttore emozionale. Ci
comprovato dal ben noto fenomeno dell'esacerbarsi del difetto i n c ondizioni di ansia o di estrema autoconsapevolezza. La conferma sperimentale
si ha con la t e c n i c a d i
a d o m b r a m e n t o ( Ch e r r y e Sayers,
1956) che consiste nel sollecitare il balbuziente a ripetere le parole di altri che, ad es., legga: il p aziente deve distrarre l'attenzione dalla propria
voce per concentrarla su quella di colui che legge; la diminuzione di autoconsapevolezza che ne deriva libera dall'ansia e riduce, o addirittura, fa,
momentaneamente, scomparire la balbuzie.
Freud interpretava la balbuzie come una caratteristica della regressione allo stadio orale e quindi come un chiaro sintomo nevrotico. La psicoanalisi post-freudiana ha continuato a sviluppare questo tema, sino a
dare, della balbuzie, una chiara interpretazione legata al meccanismo esibizione-castrazione, rivissuto a livello orale, Secondo Coriat (1943), che riteneva la balbuzie una persistenza, nella vita dell'adulto, dell'attivit infantile di allattamento, possibile riconoscere, nei meccanismi della balbuzie atti di a llattamento illusorio.
La balbuzie femminile viene interpretata sulla linea del complesso
di castrazione, ove la lingua diventa un fallo spostato. Da ci una situazione conflittuale che scaturisce dal desiderio di avere un f a llo, i n vidia
per chi l 'ha, desiderio di acquisirlo in m odo cannibalesco e conseguente
disgusto e colpa. La risultante sarebbe uno stato d'ansia che blocca i mu-

scoli della fonazione.


In sostanza, secondo la psicoanalisi, la b albuzie verrebbe scatenata
d a un conflitto tr a i l d esiderio di d i r e (esibizione, dominio, aggressivita),
il timore di parlare (castrazione) e il desidero di essere muto (complesso

di colpa). Ci spiegherebbe, ad es., l'accentuarsi del fenomeno in presenza


di persone percepite come autorit, proprio per l a r i nascita del conflitto
tra il desiderio di aggredire l'autorit, il t i m ore di f a rlo e i l b i sogno di

non farlo.

222La balbuzie ha una prognosi normalmente favorevole, soprattutto se


affrontata precocemente:
La prognosi della balbuzie con l'esclusione dei pochi casi da
lesioni anatomiche acquisite, pu r i tenersi nel complesso favorevole
quando tempestivamente affrontata con t r attamento psicoterapico e
funzionale; risultati r apidi e b r i l l anti s i a v r anno con l a c h i arificazione ed eliminazione della causa emotiva e conflittuale, ove questa
risulti essenziale; occorre per tutti gl i a l tri casi una rieducazione fonetica coadiuvata da rieducazione respiratoria, e da uri t r a t t amento
psicoterapico di sostegno, che miri a r afforzare il controllo emotivo
dei soggetti, infondendo loro serenit e sicurezza. Deve perci tenersi presente la possibilit di r i cadute.

(S. Levi, 1966, pag. 161)


Come avverte lo stesso Levi, bene, ad evitare errori prognostici, distinguere precocemente dalla vera balbuzie sia la b a l b u z i e
t r a n s it or i a d e i 3 - 4 a nni, che va i n terpretata come espressione di i m maturit evolutiva passeggera che genera difFicolt di coordinazione tra la vel ocit del pensiero e la sua realizzazione motoria, sia la l o cu t i o p r a e c e p s (linguaggio affrettato) che pu giungere sino alla incomprensibilit
e che , assai spesso, un postumo di encefalite.
BLESIT

la pronuncia difettosa di singoli suoni che altera la regolare meccanica fonatoria. Normalmente la blesit prende il nome dalla consonante che
risulta alterata; cosi si parla di l a m b d a c i s m o q u ando la elle viene
sostituita i n e r re; d i r o t a c i s m o i n p r e senza dierre
fraiicese; z e ta c i s m o p e r e sse dura; g a m m a c i s m o (g ) e c c.
Ancora non stata raggiunta una precisa eziologia della blesit; pu
agevolare la comprensione del fenomeno una distinzione proposta da Levi,
che qui riportiamo:
a) - Blesit fisiologica o di sviluppo. Rappresenta il parlare infantile
caratterizzato da povert di suoni consonantici e dalla sostituzione della erre
con la elle e pare possa dipendere sia da imperfezione della meccanica fonatoria sia da insufFicienza di immagini acustiche. da considerare perfettamente normale e la sua scomparsa prevista attorno al terzo anno. Tuttavia, essendo strettamente legata alla atmosfera familiare, talvolta pu protrarsi e giungere sino all'et scolare. Pu inoltre, ripresentarsi in bambini
i quali, pur avendo raggiunto una dizione corretta, subiscano frustrazioni
dell'affettivit (nascita di un fratellino, ecc.).
b) - Blesit periferica. La sua origine legata ad alterazioni organiche dell'apparato fonico, quale, ad es., paralisi periferica del nervo fac-

ciale, palatoschisi, labbro leporino, ecc.

223 c) - Blesit centrale, non dovuta a d i fetti periferici, bensl dipendente e legata ad un deficit dello sviulppo psichico generale. Le spiegazioni
che vengono date di questa forma di blesit in parte fanno appello alle discusse teorie sul rapporto tra pensiero e linguaggio, e in parte a deficit di
attenzione e di ritenzione acustica.
DISARTRIA

Caratteristica delle paralisi cerebrali infantili ha la sua spiegazione in


lesioni che abbiano interessato centri o vi e nervose. La sintomatologia
assai varia e pu presentarsi come semplice impaccio motorio nella loquela,
come salto di sillabe, per giungere sino, nella forma pi grave, alla impossibilit di articolazione, e cio alla a n a r t r i a , c u i s i f a tto cenno nel
capitolo sui mutismi.
Generalmente la disatria viene descritta sulla base dei fenomeni pi
evidenti: parola inceppata, parola scandita, parola strascicata, parola esplosiva, ecc. A questa descrizione corrisponde, neurofisiologicamente, sia una
diversa entit che una diversa localizzazione delle lesioni.

6. - LO SVILUPPO DELLA INTELLIGENZA


Una definizione della intelligenza assai rispondente alla opinione che
oggi molti se ne fanno potrebbe essere; la capacit di superare positivamente il maggior numero di test di livello.
Sarebbe questo un modo paradossale di chiudere il circolo che si
creato con la nascita dei test, ritorcendo su questi il vizio di origine. Cosi
da misuratori della intelligenza i test diverrebbero m i surati da lla
intelligenza: il che, in fondo, ci che d la loro vera garanzia.
La paradossale, ma non tanto, definizione ha l'intento di:
a) mettere in guardia sull'uso indiscriminato e la fi ducia assoluta
elargita ai test;
b) far rimarcare la impossibilit, allo stato attuale delle nostre cognizioni psicologiche, di dare della intelligenza una definizione che, non sia in

qualche modo parziale, insoddisfacente, viziata o tautologica.


Questo modo di presentare il problema permette di sottolineare i due
diversi procedimenti normalmente seguiti nella determinazione della intelligenza e del suo sviluppo.

Il primo procedimento, primo non in senso cronologico ma in quello


di una maggior diffusione, quello iniziato da A. B i net nel 1904 e che,
largamente utilizzato, ha condotto alla costruzione di test sempre pi pre-

cisi e raffinati. Questo procedimento risponde, se cos3 si pu dire, alla esi-

224 genza di ricercareci che i soggetti sanno o sanno fare ai diversi livelli
di et e si esplica nella costruzione di problemi di di6c olt crescente e proporzionale agli anni.
Il secondo procedimento, che ha i n W e r t heimer e, soprattutto, in
Piaget, i pi i l l ustri sostenitori, quello che intende rispondere alla domanda come si pensaP e s i propone di scoprire i meccanismi e i p r o cessi che sottostanno e condizionano quel comportamento intelligente
che viene misurato dai test.
abbastanza normale che tra i duq procedimenti non esistano nette
e profonde fratture e che non solo i p r ocedimenti dei misuratori dell'intelligenza siano preceduti, quasi sempre, da studi e considerazioni sui processi intellettivi, ma anche che le teorie e le ipotesi, come ad es. quelle di
Piaget, trovino nel campo applicativo la propria conferma sperimentale.
Noi cercheremo di utilizzare entrambe queste prospettive riprendendo
l'esposizione delle ipotesi di Piaget sul come i bambini pensino e successivamente illustrando una tecnica di: misurazione di ci che il bambino
sa fare .
a. La ipotesi di Piaget sulla intelligenza preoperatoria
Il bambino nel periodo tra i 3 e i 6 a n n i si t r overebbe, secondo le
ipotesi di Piaget, nello stadio che egli ha indicato come p r e o p e r a t ori o .
Tu t t a v ia, poich la sistemazione del pensiero di Piaget, che tuttora in corso, ha comprensibilmente portato il suo autore a ritocchi in ispecie per quanto riguarda la divisione in sottostadi e fasi, non molto agevole indicare in quali di q ueste fasi si trovi precisamente il bambino nei
diversi momenti della sua seconda infanzia. Ci per non impedisce di dire,
pi in generale, che il suo pensiero , per tutto quel periodo, dominato da
un tipo di processo che Piaget stesso ha chiamato i n t u i t i v o .
I due m o tivi conduttori , come giustamente li ha chiamati Petter,
che accompagnano lo sviluppo dei processi mentali nel periodo qui preso
in esame, sono:
a. - quello che Piaget ha i n dicato nella ipotesi dell'egocentrismo e d el
realismo infantile;
b. - quello che Piaget ha indicato nella ipotesi della contrapposizione tra
irreversibilit del pensiero intuitivo e r eversibilit del pensiero operatorio.
Rimane, naturalmente, quale invariante, il m o tivo del continuo rapporto tra assimilazione e accomodamento; questa ipotesi che costituisce,
come stato detto, l'ossatura di tutto il pensiero di Piaget.
L a ipotesi dell'egocentrismo, da P i aget analizzata in u n a s erie d i

opereche vanno da quelle del 1923 (Le language e la pense Aez l'enfant)

225 alla fondamentale Le reprsentatioii du monde chez l'enfant (1926), sino


al 1932 (Le jugement moral chez l'eefant), non interessa solamente i processi della intelligenza, ma anche quelli pi ampi della socializzazione. Di
questa ipotesi avremo modo di parlare pi ampiamente in un paragrafo succ essivo. Intanto possibile dire che dall'autismo dei primi t empi i n c u i ,
molto piccolo, non differenzia ancora la propria persona dalle persone che
lo circondano, il bambino passa gradatamente all'egocentrismo, in cui, pur
differenziando se stesso dagli altri, t ende ancora ad attribuire inconsciamente al pensiero altrui certe nozioni e certi modi di vedere e di percepire
che sono invece suoi propri.
Definire l'egocentrismo non facile. Per dirla con Petter:
Con il t ermine egocentris~o, P. intende indicare una tendenza,
che presente nel bambino in f o rm a molto accentuata, a non r endersi conto o , c omunque, a no n t e nere sufficientemente conto che
possono esistere punti di v i sta diversi dal proprio (punti di v i sta nel
senso ristretto della percezione o in quello pi l ato della conoscenza
e valutazione del reale). cio difficile per un bambino, immaginare
che per altre persone la realt possa apparire percettivamente molto
diversa da come si presenta a lui (si pensi, per es., ai rapporti prospettici ). E difFicile gli risulterebbe anche immaginare che negli altri
possano non essere affatto presenti le conoscenze, le convinzioni o,
in genere, le esperienze che sono presenti in lui, o possano esservene
invece altre molto diverse dalle sue.

(G. Petter, 1960, pag. 23),


abbastanza comprensibile che il pensiero egocentrico debba anche
essere relativamente rigido e che, per liberarsi da questa rigidit, il bambino debba passare attraverso una serie di conquiste mentali (non in senso
contenutistico) rappresentate, nella teoria di Piaget, da altrettante f a s i .
La liberazione dall'egocentrismo corrisponde alla conquista della r ev e r s i b i l i t d e l p ensiero. Nella ipotesi di Piaget il pensiero del bambino soprattutto dominato dalla propria esperienza e la impossibilit di
concepire esperienze diverse dalla sua o da quelle che sono attualmente e
percettivamente presenti, gli vieta di pensare ad accadimenti le cui modalit
siano diverse da quelle alle quali egli ha assistito.
Se ad un bambino di et inferiore ai 4 anni si mostrano tre palline
colorate, ad esempio, una rossa, una blu ed una verde, e sotto gli occhi
le si fanno entrare in un tubetto il cui diametro, di poco superiore a quello

delle palline, ne impedisce il mescolamento, e poi, rovesciando il tubo, gli


si chiede di prevedere in quale ordine esse usciranno, questi dir ancora
che uscir prima la rossa, poi la blu e infine la verde. Cio manterr intatto
nel suo pensiero l'ordine percettivo di cui ha f atto esperienza e non sar

226 capace di effettuare quel r ovesciamento mentale che gli consentirebbe


una predizione veritiera.
Se si mostrano ad un b ambino piccolo ad es. 20 palline rosse e 5
palline blu, tutte (le rosse e le blu) di legno, e gli si chiede di dire se vi sono pi palline rosse o pi palline di legno, il bambino risponder che vi
sono pi palline rosse, poich quello il dato percettivo di maggiore pregnanza e di immediata intuizione.
La caratteristica principale del pensiero intuitivo preoperatorio infatti quella di no n sapersi ancora liberare dalla pregna~za di c i c he
immediatamente presente o direttamente esperito, e di non sapersi rappresentare altre azioni al di fuori di quelle alle quali si assistito. Il pensiero
intuitivo non solo, in quanto egocentrico, rimane dominato dalla propri;.
esperienza, ma, in quanto rigido, non riesce a rappresentarsi a< pi di una
possibilit per volta. Ecco perch il bambino di 4 anni incapace di una
semplice operazione come questa:
A = B; B = C ; A = C
e deve ogni volta confrontare A con B e A con C per arrivare alla soluzione.
L'analisi di u n g ran numero di f a tti si d i mostrata decisiva:
fin verso.i sette anni il b ambino resta un essere prelogico, e supplisce alla logica attraverso il meccanismo di i n t uizione, semplice interiorizzazione delle percezioni e dei movimenti sotto forma di i m mag ini rappresentative e d i e sperienze mentah che prolungano in t a l
modo gli schemi sensomotori senza una coordinazione propriamente
razionale.

(J. Piaget, 1967, pag. 38)


Il pensiero preoperatorio dei primi anni o i m mediatamente calato
nell'azione (intelligenza senso-motoria) o giunge sino alla rappresentazione
di una azione (pensiero intuitivo ). Il superamento di questo stadio richiede,
nell'ipotesi di Piaget, il passaggio dalla fase della assimilazione egocentrica
ad una fase, meno soggettiva, di accomodamento con la realt e infine al
raggiungimento di un equilibrio pi stabile di quello raggiunto nello stadio
degli atti preverbali.
Queste due fasi sono cosi indicate da Piaget:
La prima di q ueste forme quella del pensiero mediante incorporazione o assimilazione pura, in cui quindi l'egocentrismo esclude ogni oggettivit. La seconda forma i nvece quella del pensiero
adeguato agli altri ed al reale, che prepara quindi il p ensiero logico,
Fra queste forme si t r ova la grande maggioranza degli atti del pensiero infantile, che oscilla fra queste direzioni contrarie.

(J. Piaget, 1967, pag. 30)

227 A questi due momenti, quello della assimilazione e quello dell'accomodamento, corrispondono, secondo Piaget, due forme di intuizione:
la intuizione primaria, che u no schema sensomotorio trasposto
in atto di pensiero, schema di cui eredita naturalmente i caratteri ;
la intuizione articolata, c he segue e supera la primaria nella d u plice direzione di un'antecipazione delle conseguenze di questa azione e di
una ricostituzione degli stati anteriori .
Caratteristica della intuizione primaria di essere rigida ed irreversibile. Anche l'intuizione articolata, pur rappresentando il momento dell'accomodamento, e quindi la via per il superamento dell'egocentrismo, resta
ancora irreversibile, come dimostrano le esperienze con le palline colorate;
pur tuttavia l'intuizione articolata suscettibile di raggiungere un livello

di equilibrio pi stabile e insieme pi mobile della sola azione sensomotoria. Recentemente Piaget ha preferito definire lo stadio della intuizione articolata come lo stadio, sempre preoperatorio, della semilogica, nel
s enso letterale di una logica a met. (Piaget, 1970bl .
b. Le Scale Binet per la misurazione della intelligenza
Quando Alfredo Binet, nel 1903, in collaborazione con Simon prepar
la prima scala per la misurazione della intelligenza, non poteva certo prevedere quale portata avrebbe avuto il suo tentativo. Come noto Binet
aveva creato questa scala per rispondere alle richieste del Ministero della
Pubblica Istruzione Francese che intendeva venissero studiati e valutati i
metodi per l'educazione dei bambini sub-normali delle scuole di Parigi.
Binet non arriv alla scala d i c o l po : essa fu p r eceduta da una
lunga serie di t entativi, fr a i q u ali no n m anc quello delle correlazioni
somato-psichiche, come, ad es,, tra indice cefalico e intelligenza.
La prima scala di Binet-Simon porta la data del 1905 e si componeva
di 30 problemi, in ordine crescente di difficolt, deterrninati empiricamente

su 30 bambini normali dai 3 agli 11 anni, e su un gruppo di bambini


ritardati mentali.
Una revisione, fatta nel 1908, permise di aumentare il n umero dei
r eattivi e d i r aggrupparli per l ivelli d i e t : n asceva il concetto di . e t
m e n t a l e, c o m e di quella et determinata dalla soluzione positiva del
numero di problemi che, precedentemente, era stato provato essere il numero che fanciulli n ormali di una data et solitamente sanno risolvere;
conseguentemente qualunque fanciullo non fosse in grado di risolvere quel
numero n di problemi si doveva ritenere di et mentale inferiore, indipendentemente dalla sua et cronologica.

228Nel 1911, anno in cui moriva Binet, fu fatta una revisione che com-

portava un miglior raggruppamento dei problemi.


Successivamente la Scala Binet-Simon subi una lunga serie di maneggiamenti e di adattamenti alle pi svariate esigenze: Goddard la adatt ai
deficienti mentali del New Jersey; Kyhlmann la ampli verso il basso fino
all'et di 2 anni.

Nel 1916 Lewis M. Terman, della Stanford University (California),


vi introdusse tali variazioni da t rasformarla in un a nuova scala. Furono
introdotti un n u mero considerevole di nuovi problemi, eliminati altri, e
redistribuiti i r i m anenti in r elazione ai diversi livelli di e t .
Ma la novit pi importante fu la utilizzazione, per la prima volta, del
concetto di
q u o z i e n t e i n t e l l e t t u a l e ( QI.) quale era stato
elaborato da Stern. Il Q . I . i l r apporto tra l'et mentale e l'et cronologica di un soggetto e si esprime con un quoziente ottenuto dividendo l'et
mentale, espressa in mesi, per l'et cronologica, pure espressa in mesi. Per
facilitarne la lettura si usa moltiplicare questo quoziente per cento, cosi
da operare con numeri interi.

ET MENTALE
X 10 0 =

Q .I .

ET CRONOLO G ICA
La seconda revisione Stanford, fatta nel 1937, consisteva di due scale
parallele o equivalenti, la scala L e la scala M, oltre che di un nuovo adattamento e di una nuova taratura. La introduzione delle due scale pa~allele
si era resa necessaria per ovviare agli inconvenienti che nascevano quando
si doveva riesaminare lo stesso soggetto a breve intervallo di t empo (retest ): in questi casi, infatti, il r i cordo della prima somministrazione non
del tutto scomparso, e ci pu falsare il rendimento alle prove.
Nel 1960 fu fatta una terza revisione Stanford, preceduta da 10 anni
di ricerche: questa revisione rinuncia alle due forme parallele (nel frattempo
erano stati creati numerosi altri t est e scale di i ntelligenza che potevano
essere usate in sostituzione l'una dell'altra) in favore di una maggiore severit e selettivit degli items.
Le continue revisioni cui la Scala Binet stata sottoposta nell'arco di
60 anni, si sono rese necessarie e opportune sia per allineare i reattivi ai

progressi nati dalla esperienza psicologica stessa, sia per rinnovare il contenuto in rapporto alle modificazioni del gusto e della moda (automobili,
vestiti, ecc.), dato che un contenuto antiquato pu modificare il grado di

difFicolt della prova.


Le scale Binet richiedono, in generale, la soluzione di problemi scelti
in modo da fare entrare in gioco funzioni quali

229 la precisione di o sservazione, il g i u d izio p ratico, la m emoria per


molte specie di materiale, l'abilit di eseguire le istruzioni ricevute,
la visualizzazione spaziale, il r a gionamento, il t r a t tamento dei concetti astratti; predominano chiaramente le abilit verbali, particolarmente in corrispondenza del"e et mentali ni elevate .~.

(A. Anastasi, 1967, pag. 241)


Uno dei principali meriti delle scale Stanford-Binet , come scrive la
Anastasi, quello di misurare sicuramente abilit che subiscono un incremento in relazione al progredire dell'et durante l'infanzia e l'adolescenza.
Naturalmente ci vero, soprattutto, per l'ambiente culturale in cui
le scale nascono o si r i maneggiano totalmente, e, in m odo particolare,
vero per gli U .S.A. Per l ' I t alia il d i scorso un poco diverso: mancano,
infatti, adattamenti veramente originali delle scale Binet e tutto quello che
si fa di ta rare le edizioni americane su popolazioni italiane (normalmente provinciali), apportando quelle modificazioni che sono veramente
indispensabili (ad es,, i pezzi di moneta, i francobolli, ecc,). Il che, per,
significa che una parte dei reattivi, in i specie quelli che presentano scene
di citt o di campagna, possono apparire estranei alla cultura dei soggetti
italiani e quindi rischiare di modificare il rapporto.
In It alia un certo successo ha avuto la Stanford-Binet 1916, in uso
ancora fino a non molto tempo fa. L'adattamento Terman-Merril (1937), curato dall'Istituto di Psicologia di Genova, non ha avuto lo stesso successo,
forse anche perch superato nel momento stesso in cui, da noi, entrava in
circolazione, dalla successiva revisione 1960, adattata ancora dell'Istituto
di Psicologia di Genova.

7. LO SVILUPPO DELLA AFFETTIVITA'


La affettivit nella seconda infanzia dominata da un motivo fondamentale: quello della scoperta degli a l t r i e d e ll a n ecessit di abituarsi
alla loro presenza. Gli a l tri pe rcepiti dapprincipio come un prolungamento di s stessi, si dimostrano sempre pi indipendenti, imprevedibili e
invadenti: i l b ambino di t r e anni sa della loro esistenza, ma li sopporta
malamente, non li capisce e probabilmente nov sa che necessario sforzarsi

di capirli.
Nell espressione generale gli altri , vanno compresi i genitori, in
quanto distinti tr a l oro e r appresentanti ciascuno un proprio ruolo affettivo; vanno compresi i bambini in quanto amici con cui giocare, rivali da
odiare e daaggredire, cose da abbracciare con tenerezza; i bambini di se- o
diverso, in quanto oggetto di c u riosit, di a t t razione e di i n dagine;

230
adulti in quanto esseri diversi, mal disposti o benigni, sempre onnipotenti,
ingombranti e un po' pericolosi.
I tre anni della seconda infanzia.saranno dedicati alla conquista di
questo mondo degli altri e al superamento di quella posizione esclusivistica
che Piaget ha chiamato e g o c e n t r i c a .
Ma la seconda infanzia anche dominata da un pi chiaro e preciso
interesse sessuale per i propri e gli altrui genitali. Le mamme sanno bene
che i loro bambini di t r e-cinque.anni indugiano volentieri in g iochi sessuali (Sears, Maccoby, Levin, 1957) e nella manipolazione dei genitali. Le
domande sui problemi del sesso, sulle differenze anatomiche tra maschi e
femmine e sui misteri della nascita fanno la loro comparsa ptoprio durante
la seconda infanzia, in corrispondenza di una aumentata tensione sessuale,
spesso legata a stati d'ansia. Affrontare questi problemi con atteggiamenti
di p erbenismo non serve a risolverli n tanto meno a placare l'ansia
che li accompagna.
Che queste curiosit sessuali, queste esigenze esibizionistiche o voyeristiche non siano da considerare aberranti, ma comportamenti corrispondenti a tensioni che non si possono sopprimere negandole, lo ha dimostrato
Malinowski con il suo lavoro sui bambini delle trib primitive che, come
e gli ha potuto osservare, fanno di q u esti giochi apertamente, e anzi l a
maggior parte dei giochi di questi bambini appaiono sessualmente orientati.
E pare che si debba a questa libert la diminuzione o, secondo la Mead,
la totale mancanza di stati d'ansia adolescenziale nei giovanetti di tali trib.
a. La ipotesi del complesso di Edipo,
La teoria f r eudiana offre ipotesi i nterpretative dei c o mportamenti
sessuali infantili che ancora oggi, nonostante siano trascorsi oltre 60 anni
appaiono assai convincenti. La ipotesi freudiana delle tre istanze psichiche,
Io, Ego, Super-Ego e dell'impulso libidico risultata enormemente fertile
per una interpretazione evolutiva della petsonalit. gi stato visto nei
capitoli precedenti come R. Spitz e M. Klein, in parte in accordo e in parte
in disaccordo con le idee di Freud, abbiano interpretato la nascita del rapporto oggettuale. Sia pure con differenze significative, entrambi questi autori ritengono che la costituzione del rapporto oggettuale, e quindi la costruzione di un Ego capace di collocarsi in posizione diacritica con la realt,
occupi, nelle sue fasi di emergenza e di consolidamento, all'incirca tutta la
prima infanzia. Gl i p s i coanalisti sono comunque
concordi nel r i t enere
l'Ego gi strutturato prima dei tre anni.

Secondo la teoria degli stadi di Freud, alla fase orale e a quella anale
seguirebbe la f a s e f al l i c a ; come le precedenti anche questa prende

i l nome dalla particolare zona erogena in cui si viene a fissare la libido: il


pene per il b ambino e i l c l i t oride per la bambina. Le tecniche di soddi-

231 sfazione erotica cui bambini e bambine fanno ricorso sono legate alle particolari conformazioni anatomiche dovute al sesso.
La scoperta del pene nel bambino causa di una immediata fierezza,
accentuata da un senso di superiorit quando scopre che la bambina ne
priva. Tuttavia ben presto egli comincia ad elaborare fantasmi sulla poss ibile perdita di questo organo e, per di rla con Freud, cade sotto il d o minio di quello che egli chiama c o m p l e s s o d i c a s t r a z i o n e .
Il ruolo che Freud assegna al complesso di castrazione assai importante, ma diverso nel maschietto e nella femminuccia: mentre la scoperta del complesso di castrazione mette in crisi la mascolinit del bambino,
promuove nella bambina la femminilit.
Il fatto importante di questa fase che la sessualit infantile da autoerotica diventa eteroerotica: la scoperta del partner di sesso opposto che
consente l'investimento libidico nel genitore di sesso opposto. Ed a questo
punto che il bambino e la bambina si trovano immersi in quella particolare situazione di ambivalenza affettivo-sessuale cui Freud ha dato il nome

di c o m p l

esso d i

E dipo.

Dopo un p r imo periodo in cu i e n trambi, il m aschio e l a f e mmina,


fanno oggetto del proprio investimento libidico la madre, la bambina comincia a spostare la propria cathexis libidica verso il p adre. Il b a mbino,
invece continua a concentrarla sulla madre, Questa intensa attivit libidica
continuamente accompagnata da una attivit di f a ntasmatizzazione che
colloca il genitore dello stesso sesso nel ruolo d i r i v ale, di n emico che
si vuole annientare e distruggere. Cosi per i l b a mbino i l p a dre diventa
l'avversario, la cui potenza si teme e si invidia: mentre la carica libidicoerotica viene diretta verso la m adre, l a carica distruttiva viene diretta
contro il padre. Il sentimento di ambivalenza che tuttavia sussiste nei con-

fronti del padre, odiato e invidiato ma anche, almeno a livello dell'Io,


amato e ammirato, provoca senso di colpa ed evoca i f antasmi del complesso di castrazione, della paura della perdita della propria forza come
giusta punizione. Ed a questo punto che il bambino pu essere turbato
(specie durante il sonno) da incubi persecutori sotto veste di lupi od orsi
che vogliono divorarlo o dilaniarlo, o di ladri e uomini cattivi che vogliono
ucciderlo con un coltello o con u n b astone. La i potetica interpretazione
freudiana consente la decifrazione di tali incubi tramite il ricorso al meccanismo di proiezione e alla simbolizzazione. I lupi, gli orsi, tutti gli animali
di grossa taglia e pelosi sarebbero il simbolo della forza paterna presentita
come minacciosa e rivale, cui la propria aggressivit proiettata attraverso
simbolizzazioni sessuali (coltello o bastone) danno forma di i n cubo.
E sarebbe questa autocritica, questa paura sessuale che arresta la mascolinit, come dice Freud, e fa nascere la coscienza del proprio limite e
l'accettazione della realt.

232 -

Nella bambina il complesso di Edipo lche Jung ha proposto di chiamare comp/esso di E l e ttra) non s olo h a i v e r t i ci d el t r i a ngolo lp adrefiglia-madre) rovesciati, ma trova nel complesso di castrazione una liberazione ed una scoperta della propria femminilit o, come dice la K l ein,
una riconferma della oscuramente prevertita vagina, I f a n tasmi persecutori e simbolici cui darebbe luogo questa scoperta avrebbero la forma
di antri, porte chiuse da aprire, fori da esp>orare, lunghe corse in corridoi
poco o nulla illuminati. I f a ntasmi.del complesso di castrazione femminile
sono in un certo senso liberatori anche se possono mantenere tutta la persecutoria aggressivit di quelli del bambino.
Secondo Freud accanto al complesso di E d ipo positivo esisterebbe
un complesso di Edipo n e g a t i v o o r o v e s c i a t o - . p~
Pu avvenire che il complesso di Edipo subisca una inversione;
che il p adre, i n s eguito ad una sorta di f e m minizzazione, divenga
l'oggetto da cui le tendenze sessuali attendono la loro soddisfazione:
in questo caso la identificazione con il p adre costituisce la fase preliminare della oggettivazione sessuale del padre.

(S. Freud, 1964 b, pag. 58)


Altrettanto pu avvenire alla bambina nei confronti della madre: taluni psicoanalisti hanno volute vedere nel complesso di Edipo rovesciato
la eziologia della omosessualit del futuro adolescente. In ogni caso questi
due rovesciamenti, sarebbero all'origine di molte difficolt di adattamento
sociale durante l'adolescenza e di molte problematiche matrimoniali in et
adulta.
La fine dello stadio fallico segnata dalla risoluzione e dalla liquidazione del complesso di Edipo che avviene sotto la spinta della paura della
castrazione: questa paura che porta il bambino a rinunciare alla madre
e ad.abbandonare l'atteggiamento ostile nei confronti del padre. La bambina poi rinuncerebbe al padre sotto la spinta della paura di perdere l'amore materno. Le du e r i nunce sarebbero l'effetto di u n m e ccanismo di
r e p r e s s i o n e che, mentre da un lato liquida il complesso di Edipo,
dall'altro d luogo ad una duplice identificazione: nel padre e nella madre.
Al termine dello stadio fallico le tre istanze della personalit, Id, Ego e
Super-Ego, appaiono costituite: d a l l o r o r e ciproco equilibrio dipender
l'equilibrio della persona, il suo stato di n o r m a 1 i t o d i a n o r m ali t ,
r e a l izzantesi nella minore o maggiore capacit di contatto con la
realt.
Mentre l'Id mantiene la sua funzione di sorgente delle pulsioni istintive libidinali, l'Ego, che ha avuto bisogno di sottrarre all'Id una porzione
di energia per formarsi, assume la funzione di r a p p o r t o
c o n 1a
re al t ;
il Su p e r-Ego, erede della moralit dei genitori, rappresenta

A. S., et 6 anni. Il d i segno di questo bambino illustra molto bene quello che gli
psicoanalisti chiamerebbero processo di identiPcaziorte nella iigura paterna.

233 sempre pi le esigenze morali, gli ideali, le aspirazioni sempre leggermente


inconsci o preconsci.
Il ruolo del Super-Ego nella formazione della personalit quindi
fondamentale: un Super-Ego debole non di nessuno aiuto all'Ego nella
lotta contro l'Id, i cui impulsi potrebbero pretendere la soddisfazione non
appena la situazione di realt lo consenta. La personalit debole per mancanza di energia superegoica si manifesta in una mancanza di motivazioni
durature, nella superficiale intensit degli i n tenti. U n S uper-Ego troppo
forte pu impedire la realizzazione di qualunque desiderio-impulso ed essere di intralcio all'Ego generando sentimenti di colpa. La personalit dominata da un Super-Ego rigido spesso incapace di realizzare la propria
aBettivit, incapace di contatto sociale e di adattamento alla realt.
I n una tale continua situazione di lotta l'Ego elabora i propri m e c canismi d i
d i f e s a c h e a l u ngo andare, finiranno per costituire
lo s t i l e d i v i t a d e l l a persona. Freud, a questo proposito, parla di'
t endenza elementare di d i fesa contro rappresentazioni atte a s uscitare
sensazioni spiacevoli t e ndenze paragonabili soltanto al riflesso di fuga
negli stimoli dolorosi u n o de i p i lastri principali del meccanismo portante dei sintomi isterici (S. Freud, 1971, pag. 182l.
In origine Freud pensava che la r i m o z i o n e f osse, se non l'unico,
il principale meccanismo di difesa dal quale tutti gli altri sarebbero originati. Sostanzialmente la r i mozione u n m e ccanismo mediante il q u ale
desideri minacciosi, ostili, inaccettabili e ansiogeni, e tutto i l b agaglio di
idee e sentimenti ad essi legati, vengono esclusi dalla coscienza, cosicch
si diventa inconsapevoli della loro esistenza.
Successivamente sia lo stesso Freud, sia, pi analiticamente, i p ostfreudiani (A. Freud, 1970) misero in luce la esistenza di una molteplicit
di meccanismi di difesa. Per quanto riguarda il bambino durante la situazione edipica, la quale suscita sentimenti di o stilit nei confronti di p ersone amate, con relativi stati conflittuali d'ansia e di colpa e con tensioni
istintive vissute come minacciose, egli metterebbe in azione principalmente
meccanismi di

p r o i e z i o n e, con la quale cercherebbe di scaricare sugli altri i pr opri desideri immorali e la propria aggressivit, percependo gli altri cocome essi immorali e aggressivi nei suoi confronti (i sogni di castrazione
ne sarebbero una conferma);
id e n t i f i c a z i o n e ,

con l a q u a l e cercherebbe di aumentare il

senso del proprio valore, e quindi di eliminare la insicurezza e l'ansia


che ne consegue, identificandosi nella persona che teme-ammira e della
quale vorrebbe occupare il posto;

234 i n t r o i e z i o n e, con la quale cercherebbe di incorporare nella propria struttura valori e norme morali esterne (non solo genitoriali) cosi
da non viverle pi come opprimenti ed estranee, per usci~e da una situazione in cui l' i m prevedibile pu rovinare addosso da un momento
all'altro.
proprio tramite l'introiezione che il bambino si avvicina al mondo
degli adulti e c o mpie un p r i m o . j m portante passo verso la accettazione
delle norme comunitarie. come se questo lo rendesse, in un certo senso,
partecipe del segreto che controlla le regole del gioco sociale, e quindi gli
fornisse la chiave per uscire dalla sua condizione di de bole e disarmato.
Come gi stato detto nel primo capitolo, il Super-Ego non si nutre solo
delle figure parentali: esso la risultante della introiezione delle norme e
c onsuetudini della societ e dell'epoca nella quale l'individuo vive e i n
quanto tale ne conserva tutti i l i m it i e l e convenzioni.
Tuttavia, come si vedr nel paragrafo successivo, pu talvolta avvenire che avvenimenti eccessivamente frustranti (l a f o rza di un a f r u strazione non c onsiste n ella forza dell' avvenimento i n se stesso, ma n el
modo in cui v i ene percepito, il ch e spiega come ci che suscita frustrazione in alcuni pu non lasciar traccia in altri) tolgano al bambino la energia necessaria a superaili in u n q u alche modo, sia assimilandoli sia rifiutandoli. Egli pu reagire semplicemente riparandosi in una situazione psicologica in cui t ali f r u strazioni non possono raggiungerlo. Spesso egli fa
ci riportando se stesso a condiziom precedenti che gli assicurino maggior
protezione. questa la
r e g r e s s i o n e, m e ccanismo di difesa conducente a livelli primitivi
di sviluppo che richiedono risposte meno mature e pi bassi livelli di
aspirazione.
K. Lewin definisce la regressione Un cambiamento dello spazio vitale, considerato come una totalit, nella direzione opposta a quella che caratterizza lo sviluppo. (K. Lewin, 1966, pag. 14). Esso pu consistere in
una de-differenziazione o disorganizzazione delle strutture che caratterizzano la coscienza e pu indurre il bambino ad agire secondo strutture dominanti in u n'epoca cronologicamente e talvolta psicologicamente, gi superata. In q u esto caso il b ambino potrebbe riprendere a sporcarsi, pur
avendo gi raggiunto il controllo degli sfinteri, il che indicherebbe una regressione allo stadio anale, o potrebbe non pi r i uscire a prender sonno
senza l'aiuto del succhiotto o pretendere di essere imboccato nel mangiare
pur avendo gi imparato a mangiare da solo.
I meccanismi di difesa durante l'infanzia conducono alla costituzione
di pattern comportamentali di natura affettiva, che sono normalmente tem-

235 poranei; in alcuni casi, tuttavia, essi possono diventare permanenti e costituire le basi del futuro stile di v ita dell'adulto.
Freud ha scritto:
Mi permetto di pensare che se la psicoanalisi non avesse al suo
attivo che la sola scoperta del complesso di Edipo, ci sarebbe sufficiente per farla collocare tra le preziose nuove acquisizioni del genere umane.

(S. Freud, 1955, pag.551


A parte la inesattezza di considerare il complesso di Edipo una s c op e r t a p i u t t osto che un a i n v e n z i o n e t r attandosi di i p otesi
esplicativa essa pi una invenzione che una scoperta non bisogna dimenticare l'origine di tale ipotesi; Freud vi giunto attraverso l'anamnesi
di persone con disturbi del comportamento che a lu i s i r i v olgevano per
essere guarite. Potrebbe quindi parere sensata la obiezione che spesso venne mossa a Freud: non potersi generalizzare ai n o r m a l i l e i p o t esi interpretative valide per gli a n o r m a l i .
Ora i nevrotici (gli anormali) sono tali i n q uanto in essi avviene la
esasperazione di d eterminati meccanismi: c hi ha p r atica anche solo d i
psicodiagnosi sa che spesso la identificazione della nevrosi questione di
grado comportamentale piuttosto che di tipo. Ci che un nevrotico spesso
fa o dice non diverso qualitativamente da quello che fanno o dicono i normali: nel nevrotico, per, tale manifestazione sempre pi accentuata, o
dominante, o persecutoria sino ai margini della ossessivit. Se questa prospettiva della g r a d u a l i t t r a normali e anormali valida, come oggi
si ritiene quasi universalmente, bisogner anche dire che il comportamento
dei bambini nevrotici si differenzia da quello dei normali solo per g r a d o
e no n
g i p e r t i p o . I l c h e s i gnifica che molto probabile che una
ipotesi valida per i n o r m ali p ossa risultare valida per gl i a n o rmali, e
viceversa.
E se i rapporti tr a genitori e fi gli n ella maggior parte dei casi possono interpretarsi anche senza far ricorso alla ipotesi del complesso di Edipo, con il semplice riferimento al c l i m a f a m i liare e sociale, tale riferimento diventa inadeguato alla spiegazione delle nevrosi le quali non possono prescindere dalla considerazione di concetti quali a pporto istintuale e c a thexis. q u esta maggior ampiezza della ipotesi edipica nei
confronti della ipotesi culturale che, al momento attuale, la fa preferire.
Tutt'al pi si potrebbe, come taluno sostiene, parlare di fase epidica per
le situazioni normali e di complesso edipico per quelle anormali.
b. Lo sviluppo affettivo secondo la teoria di Piaget.
La teoria di P i aget , com' noto, una t eoria cognitiva: essa non
comprendeva, in quanto t ale, ipotesi generali dalle quali f osse possibile

236 dedurre comportamenti affettivi. Costruita con il metodo clinico e secondo


una prospettiva dello sviluppo mentale essenzialmente intellettiva, le sue
ipotesi, che ne costituiscono i d i v ersi gradini epistemologici, rispondono
assai bene alla funzione per cui sono state costruite.
Dopo il 1 9 40 , t u t t avia, Piaget, in r i sposta alle obiezioni mossegli
dallo stesso Freud, e da altri psicoanalisti, ha cercato di utilizzare la sistematizzazione degli stadi i n t ellettivi pe r u n a c o ntemporanea
spiegazione
dei comportamenti affettivi. Egli ha fatto ci partendo dalla ipotesi che:
in ogni condotta (infatti) la motivazione e il d inamismo energetico
dipendono dall'affettivit, mentre l e t e cniche e l'adeguamento dei
mezzi impiegati costituiscono l'aspetto cognitivo ( sensomotorio o r a zionale).

(J. Piaget, 1967, pag. 41)


In realt Piaget non ha fatto che completare ciascuno stadio intellettivo aggiungendovi manifestazioni affettive appartenenti allo stesso periodo evolutivo, in q uesto modo trasformando la sua teoria degli stadi cognitivi in un a concezione degli stadi della personalit.
Volendo brevemente riassumere la teorie degli stadi dell'affettivit
data da Piaget, possibile dire che:
I) Nello stadio della attivit senso-motoria l'affettivit si manifesta
con le tendenze istintive elernentari, legate alla alimentazione, nonch
quella sorta di riflessi affettivi che sono le mozioni primarie. Successivamente, agli inizi della intelligenza senso-motoria corrisponde una serie di
sentimenti elementari o affetti percettivi legati alle modalit dell'attivit
del soggetto: il gradevole, lo sgradevole, il piacere ed il dolore, ecc., ed i
primi sentimenti di successo e di insussecco.
Tutte queste manifestazioni parrebbero giustificare nel bambino una
sorta di amore per se stesso: ma necessario tener ben presente che non
avendo il bambino ancora coscienza dei propri rapporti con le altre persone, e quindi, non avendo nessuna nozione di se stesso, non pu neanche avere amore per s. A questo stadio gli psicoanalisti hanno dato il nom e di n a r c i s i s m o , e Piaget soggiunge che la definizione accettabile a patto che si intenda un narcisismo senza Narciso, cio senza una
vera e propria coscienza personale.
Verso il compimento di questo primo stadio, quando gli o ggetti
cominciano a stagliarsi percettivamente sul quadro globale e i n diBerenziato delle azioni e cominciano ad apparire come indipendenti dall'io, i
sentimenti di gioia, di t ristezza, di successo e insuccesso ecc., saranno vissuti in f u nzione di questa oggettivazione delle cose e delle persone. Cominciano a questo punto i sentimenti interindividuali di simpatia e antipatia che si svilupperanno nei periodi successivi.

237 Il ) A l l o stadio del pensiero intuitivo corrisponde una serie di trasformazioni che vanno dallo sviluppo dei sentimenti interindividuali legati alla socializzazione dell'azione, alla apparizione dei sentimenti morali
intuitivi originati dai rapporti fra i bambini e gli adulti, sino alla organizzazione di interessi e valori legati a quella del pensiero intuitivo in generale. Il r e alismo intellettuale ha la sua complementare affettiva nel realismo morale che fa apparire le norme regolatrici della condotta morale
come esterne all'individuo ed esistenti per se stesse; le norme non sono
generalizzabili e r i m angono legate a situazioni concrete, quasi sostanzializzate nelle coniigurazioni. Il carattere realistico della morale corrisponde
infatti al carattere preoperatorio e irreversibile della intelligenza.
III ) Co n l ' apparire del pensiero operatorio, attorno ai 7- 8 anni,
si assiste alla comparsa e alla formazione di un sistema di conservazione
dei valori... a base di reciprocit e q uindi ad una progressiva classi6cazione di norme il che consente il r i t orno a valori precedenti, indispensabile per la comparazione delle situazioni. Nascono i sentimenti di g i ustizia e di uguaglianza, la obbedienza e la sottomissione cedono il posto allo
scambio e alla cooperazione fra uguali. L ' operazione volontaria, secondo
Piaget, la corrispondente affettiva della operazione intellettiva, perch
una regola delle regole.
IV) D u rante lo stadio della intelligenza formale la affettivit raggiunge la sua organizzazione in un sistema personale di valori che consente
l'inserimento nella societ. Tale i ntegrazione sociale non p o ssibile se
non con l'avvento del pensiero formale e del r agionamento ipotetico-deduttivo che consentono il superamento del reale e la costruzione del possibile (deontologico).
L a psicologia della affettivit d i P i aget r isente del m odo i n cu i
stata costruita e appare un po ' t r o ppo schematica. Alcuni p sicoanalisti
hanno infatti rimproverato a Piaget il carattere formale degli stadi e considerato la sua una concezione della affettivit priva di contenuti.
R. de Saussure confrontando la psicologia piagetiana con quella di
Freud, scriveva:
Ci che differenzia questi due ordini di r i cerche che Freud
ha in vista soprattutto i m e ccanismi del pensiero inconscio, mentre
Piaget mira a descrivere i meccanismi del pensiero che tende a prendere coscienza di se stesso. Freud studia prima di tutto le operazioni
mentali che tendono a preservare il pensiero dalla sua socializzazione,
Piaget al c ontrario cerca di s t abilire l e t a ppe della socializzazione
del pensiero. Freud insiste sul contenuto del pensiero affettivo o soggettivo del fanciullo, Piaget si interessa soprattutto ai contenuti oggettivi del pensiero.

(R. de Saussute, 1933, pag. 366)

238 Tran-Thong ha effettuato un confronto minuzioso tra la teoria degli


stadi di Freud e quella di Piaget. Riportando anche soltanto alcuni brani
di questo confronto possibile notiare come l'adattamento che Piaget ha
fatto della propria teoria cognitiva ad una psicologia dell'affettivit appaia
a Tran-Thong sostanzialmente formale e insufficiente:
...la concezione di Piaget pu difficilmente rendere conto della importanza delle relazioni umane che Freud ha messo in evidenza nello
sviluppo del f a nciullo l a cu i p e rsonalit m o dellata dall'ambiente
umano... La genesi e l a successione degli stadi sono progressive e
continue secondo Piaget mentre in F r eud esse presentano un carattere conflittuale. Il co nflitto il p u n to chiave della teoria freudiana.
Esso caratterizza non solamente lo sviluppo ma in egual maniera la
c ondotta e i l f u n zionamento dell'apparato psichico dell'adulto. O r a
ci completamente assente in Piaget e scompare totalmente nella
sua sintesi della intelligenza e dell'affettivit... .

(Tran-Thong, 1967, pp. 131-132)


Le insufficienze della spiegazione piagetiana della affettivit e il contrasto con le spiegazioni freudiane sono probabilmente una conseguenza
delle loro d i v erse epistemologie: m entre Freud giunge alla costruzione
ipotetica partendo da casi clinici, Piaget vi g i unge clinicamente ma stu-

diando bambini normali. Si direbbe che i bambini di Piaget, i piccoli ginevrini del secondo quarto del secolo XX, siano stati stranamente sereni,
guidati da una razionalit equilibratrice che tutto spiega, mentre i b am-

bini austriaci di Freud (nati probabilmente sul finire del XIX secolo) sembrano essere stati d r ammaticamente tormentati d a f o rze i r r azionali.
f orse per questo che la teoria piagetiana risulta inutile quando la si v o glia usare per spiegare fenomeni quali l ' ansia e l'angoscia: i b arnbini di
Piaget sembrano tutti ignorare che cosa sia la nevrosi.
Questa diversa prospettiva ci che rende assai ardua, nonostante
i tentativi non siano mancati, una sintesi tra le due teorie. Si prenda, :ad
esempio, la interpretazione che Piaget e Freud har.no dato di u n m edesimo fenomeno comportamentale quale quello della suzione nei primi mesi
di vita: Piaget vi ha visto il prototipo della condotta intellettuale, l'inizio
della attivit riproduttrice, generalizzatrice e ricognitiva della conoscenza
che annuncia il giudizio e le implicanze logiche; Freud vi ha visto il prototipo della condotta affettiva, l'inizio dell'investimento libidico, delle sue

flssazioni e della ricerca del piacere che annunciano le ricerche e le soddisfazioni sessuali.
E cosi, in generale, i rapporti tra soggetto e oggetto per Piaget sono
essenzialmente, a tutti gl i s t adi, rapporti d i c onoscenza cui la affettivit

soggiace, mentre per Freud sono rapporti di desiderio e di soddisfazione.


L'atteggiamento di Piaget rimanendo naturale, nel senso di conoscitivo-og-

239 gettivo, lascia poco spazio alla affettivit che invece dominante nell'atteggiamento freudiano sempre indirizzato al rapporto personale.
Se la teoria di Piaget non una teoria della personalit, e tanto meno una teoria della affettivit, tuttavia non vi alcun dubbio che in essa
siano contenute ipotesi la cui utilizzazione in campt affettivo risulta assai
fertile. Si pensi in primo luogo al concetto di egocentrismo, forse il concetto pi fertile per la interpretazione di numerosi cornportamenti che con
la affettivit debbono necessariamente fare i conti: ad esempio i comportamenti di possessivit, di ostinazione, di fabulazione, alcuni tipi di disubbidienze, ecc.
Scrive Piaget, riferendosi ad un bambino di pcchi anni:
Un d o lore al p i ede, per esempio, non a t t ir a subito l ' a ttenzione verso il piede. Il d o lore ondeggia senza localizzarsi, e si crede
che tutti l o s e ntano. Anche localizzato, dev'essere a lungo sentito
come comune a t u t ti : i p i c coli no n sanno spontaneamente d'essere
i soli a p r ovarlo. I n b r eve fra i l p r o prio corpo visto dall'esterno e
il proprio corpo sentito dall'interno non v', per la coscienza primitiva, la stessa relazione che per noi: ci che chiamiamo interno deve
a lungo essere considerato come comune a tutti, allo stesso modo di
ci che chiamiamo esterno. purtroppo impossibile controllare questa ipotesi con una analisi diretta. M a l ' estrapolazione dei risultati
ottenuti dai 4-5 agli 11-12 anni sembra dimostrare che la coscienza
dell'interiorit non risulta da una intuizione diretta, bensi da una costruzione intellettuale, possibile solo pei d i ssociazione dei contenuti
della coscienza primaria.

(J. Piaget, 1970 a, pag. 133)


Trattasi di un periodo che, a nostro avviso, mette bene in luce la genesi dell'atteggiamento egocentrico cosi comune nei fanciulli sino al t ermine della seconda infanzia. Ora non vi d u bbio che l'egocentrismo sia
un atteggiamento soprattutto conoscitivo: esso si puo definire come la impossibilit genetica di effettuare costantemente rapporti oggettivi d iacritici. Ma questa impossibilit, o questa difficolt, non pu non aver incidenza sulla affettivit e sul modo in cui sentimenii ed emozioni tendono
ad essere appagati. 13a ci, appunto, la possessivit, che pu essere interpretata come la difficolt ad accettare, sul piano dell'Io, i' desideri altrui
come equivalenti ai propri e conseguentemente come la difficolt di modulare o controllare la istintiva tendenza a trattenere; anche la ostinazione
pu considerarsi un comportamento emotivo derivato dalla diKcolt ad accettare il relativismo delle proprie tendenze impulsive. Persino alcuni tipi
di disubbidienza o di c attiveria i nfantile si lasciano ricondurre all'egocentrismo e al suo equivalente, la mancanza di generalizzazione e di transduzione mentale: cosi i l b a mbino, cui s t ata vietata una determinata

240 azione (ad es. uscire dal concello) pu metterne in opera una analoga perch non capace di t r asdurre il d i v i eto da una circostanza ad un'altra
( nell'esempio potrebbe ugualmente uscire, non dal c ancello, ma d a u n
buco nella siepe).
La fertilit di queste ipotesi sar ripresa in esame pi avanti quando
si analizzer il comportamento morale dei fanciulli.

8. IL PROCESSO DI SOCIALIZZAZIONE
Nei capitoli precedenti si parlato dello sviluppo della intelligenza e
dello sviluppo dell'affettivit, sempre cercando di non perdere di vista la
u nitariet del processo, e ci nell'intento di evitare la i l lusoriet di u n a
concezione dualistica della personalit che contrapponendo affettivit a intelligenza, come comportamenti indipendenti, potesse far pensare alla possibilit di un simile riscontro nella realt.
Nel presente capitolo parleremo di socializzazione e cio di comportamento che si adegua, o non si adegua, alla struttura di una determinata
societ e cultura. Utilizzando in questo quadro sia le ipotesi teoriche cui
si fatto cenno, sia i c o ntributi oggettivi che gli sperimentalisti continuano a raccogliere, cercheremo di mostrare come nella realt, in effetti,
tranne casi estremi, comportamento affettivo e c on;portamento intellettivo si fondano in quello che pu essere chiamato comportamento socializzato,
Si parla di
p r o c e s s o d i s o c i a l i z z a z i o n e intendendo
quel lento processo di inserimento di u n i n d ividuo entro le strutture di
una determinata, e storica, cultura, in modo che egli sappia utilizzarne i
mezzi, sfruttarne i servizi e contribuire alla modificazione degli uni e degli
a ltri secondo direttive che ne costituiscono i v a l o r i di ba s e .
In una definizione come questa compreso un i n t ero p r ogramma
psicologico. Dal punto di v i sta dal quale ci siarno posti, e in r apporto al
particolare periodo di et che stiamo analizzando in questo capitolo, analizzeremo il processo di socializzazione nella seconda infanzia limitatamente
a questi tre punti:
a) Dominio della aggressivit e
zione.

soglia di t o l l eranza alla frustra-

b) Motivazione individuale e motivazione socializzata.


c) Scuola Materna e socializzazione.
a. Dominio della aggressivit e s oglia di t o l l eranza alla frustrazione.
Quando le tendenze naturali al conseguimento dj un fine vengono in
qualche modo arrestate si suole parlare di f r u s t r. a z i o n e . Secondo

241Mussen, Conger e Kagan (1969, pag. 331) le fonti della frustrazione sarebbero: 1) le barriere esterne che impediscono e rimandano il conseguim ento di un t r aguardo importante, 2) la esistenza di conflitti i n terni t r a
risposte incompatibili tra loro, 3) i sentimenti di inadeguatezza e le ansie
che inibiscono o prevengono il perseguimento di traguardi importanti.
Il ruolo d ella f r ustrazione nella socializzazione f ondamentale: si
pu dire che dal momento in cui il b ambino entra in un ambiente sociale
{e cio dalla nascita) costretto a subire continue e sistematiche frustrazioni. Esse cominciano con la regolamentazione oraria dei pasti, che impongono al neonato di abituaxsi a saper rimandare ci che immediatamente voluto e che fino a quel momento era immediatamente soddisfatto,
e continuano attraverso la educazione igienica, quella formale, quella dei
sentimenti, ecc.
Imparare a rimandare ci che istintivamente vissuto come urgente
e immediato una delle esigenze principali della socializzazione: anche
la soglia di r ciproca tolleranza, pilastro di o gni u m ana convivenza, ha
la sua genesi nella soglia di tolleranza alla frustrazionc.
Per molto tempo si p ensato che la risposta immediata alle situazioni frustranti f osse il c omportamento di a ggressione contro l ' ostacolo
(Dollard). E in realt la aggressivit come risposta alla frustrazione uno
dei comportamenti pi n a turali, specie nei p r im i a nni d i v i t a . Y a rrow
(1948) ha lavorato con bambini in et prescolare, dividendoli in tre gruppi
omogenei e lasciandoli per prima cosa giocare tutti l iberamente con delle
bambole. I primi due gruppi costituivano i gruppi sperimentali, il terzo il
gruppo di controllo. Dopo la prima seduta con le bambole, i bambini del
primo gruppo venivano sollecitati ad assolvere un compito la cui i m possibile soluzione provocava sentimenti di i n successo e di f r u strazione. Il
secondo gruppo veniva invece sollecitato a giocare con bambole di legno;
il ohe provocava un sentimento di s aziet che venne, dall'autore, interpretato come frustrante. Il t erzo gruppo, il gruppo di controllo, venne
invece lasciato in riposo.
Successivamente tutti i bambini furono riportati a giocare con le bam-

bole: si verific in tutti un aumento del comportamento aggressivo (misurabile dal numero di d i scussioni che sorsero, dai rimproveri, minacce,
schiaffi, calci, colpi, ecc.) e ci probabilmente perch l'atmosfera della se-

conda seduta era pi permissiva e i bambini avevano oramai preso


confidenza; tuttavia i bambini dei due gruppi speriir.entali manifestarono
una aggressivit molto pi alta di quella dei bambini del gruppo di con-

trollo.
Mentre i r i sultati di q uesta e di al tre ricerche confermavano la esistenza di una stretta correlazione tra frustrazione e aggressivit, risultati
di altri studi mettevano piano piano in evidenza come la aggressivit non
sia l'unica risposta possibile in situazioni di f r u strazione.

242 -

Barker, Dembo e Lewin (1943) studiando le risposte alla frustrazion e in bambini di et prescolare hanno mostrato chiaramente che la r e g r e s s i o n e p u p r esentarsi con altrettanta frequenza della aggressivita. Intendesi c ome stato gi detto c o n i l t e r mine regressione
un meccanismo di difesa dell'Io che d luogo a risposte comportamentali
che mettono in essere pattern appartenenti ad ur.: livello di sviluppo gi
superato. Barker, Dembo e L e w in , u t i l izzando ur a i n gegnosa scala a 7
punti che misura la creativit, e cio le capacit costruttive e i nventive
che i bambini manifestano durante le attivit ludiche, hanno costruito un
esperimento in tr e tempi: d urante il p r imo tempo i bambini, condotti in
una sala giochi, venivano lasciati liberamente giocare con balocchi assai
attraenti; nel secondo tempo veniva interposta, tra i bambini e i b alocchi
pi interessanti, una barriera trasparente (solitamcnte una grata) cosi che
i bambini vedessero i giocattoli senza poterli toccare mentre avevano a disposizione soltanto balocchi pi usuali e meno interessanti; infine i b ambini venivano nuovamente lasciati liberi di giocare con i balocchi. Questa
terza fase non aveva un valore sperimentale ma se1viva soltanto ad evitare conseguenze troppo negative della situazione frustrante. Durante il
secondo tempo dell'esperimento i b ambini manifestarono chiaramente un
comportamento di regressione, sia rimanendo attaccati alla barriera o girandovi intorno frignando, sia non raggiungendo i livelli di creativit che
avevano invece raggiunto durante la prima seduta di gioco libero. Il punteggio della scala mostr molto chiaramente una correlazione negativa con
la frustrazione: i bambini che avevano dato segni di maggior frustrazione
erano quelli che diventavano incapaci di raggiungere i livelli di c reativit
attinti durante la pr ima fase dell'esperimento.
Questa ricerca mise anche in luce la esrstenza di differenti soglie di
tolleranza alla frustrazione e una differente capacit di controllo della regressione in rapporto alla altezza della soglia di t o l leranza. La diversit
di queste soglie fece nascere una questione che rimetteva in discussione
problemi di natura genetico-organica e di natura so<.io-ambientale in rapporto alla storia personale di ciascun bambino.
Un'altra ricerca (Wright, 1 9 40) mostr l a i n ffuenza della coesione
sociale e della presenza di amici sulla ;oglia di tolleranza alla frustrazione
e sul controllo delle risposte sia aggressive che regressive. I bambini che
subivano frustrazioni mentre lavoravano o gi ocavano con altri b ambini,
ammesso che la frustrazione colpisse anche gli altri e che l'atmosfera dell'ambiente ludico suscitasse sentimenti di s i curezza personale, reagivano
molto spesso con comportamenti socialmente desiderabili, come la richiesta di cooperazione.
La correlazione diretta tra frustrazione ed aggressivit e la interpretazione di q uesta correlazione in t e rmini d i n e sso causale nel senso di
x f u n zione d i y , f u u l t e r i ormente messa i n d u b bi o d a una seri<

243 di ricerche dalle quali apparve che i comportamer;ti aggressivi si manifestavano anche in assenza di frustrazione e come risposte a ricompense o
ad atmosfere di p e r m i s s i v i t .
Whiting e Child ( 1953) ad esempio, lavorando con coppie di bambini in et prescolare, li lasciavano liberi di giocare in una atmosfera permissiva alla p resenza di u n a d u lt o ch e t u t t avia non i n t erveniva mai
durante i litigi. Durante la seconda seduta a coppie, fatta per in assenza
dell'adulto, i bambini che erano stati aggressivi in presenza dell'adulto lo
erano maggiormente, quasi che il l or o comportan.erto precedente avesse
ottenuto una certa legittimit per il solo f atto che !'adulto vi avesse presenziato senza intervenire.
La aggressivit non appariva, quindi, pi cosi causalmente legata aJla
frustrazione come si era creduto i n p r i ncipio. Che i c o mportamenti aggressivi possano essere generati anche da situazioni non frustranti e da semplice recezione di modelli comportamentali adulti, apparso molto chiaro in una ricerca di Bandura e Huston (1961). Questi due autori, dopo
aver costituito due gruppi omogenei di b ambini i n e t p r escolare, avevano fatto assistere il gruppo sperimentale alla proiezione di u n f i l mino
nel quale si vedeva un adulto intento alla soluzione di un problema. Durante i tentativi d i s oluzione l'adulto si lasciava andare a manifestazioni
aggressive, sia verbali che gestuali, nei confronti di oggetti e pupazzi che
erano presenti sulla scena. Successivamente i bambini di entrambi i gruppi
furono invitati a risolvere un problema di tipo analogo a quello che risolv eva l'adulto nel film, i n u n a m biente ove eranc pupazzi e oggetti: r i sult assai chiaro che i bambini che avevano assistito alla proiezione del
61mino manifestavano un comportamento di aggressivit del tutto analogo
a quello dell'adulto.
Permissivit ed i m i tazione parvero dunque avere nei confronti d ei
comportamenti aggressivi un ruolo analogo a quello che si riteneva fosse
peculiare della frustrazione. E dati r accolti i n a l tre r icerche suggerivano
la esistenza di un rapporto funzionale anche tra pun zione e aggressivit.
Una ricerca di Sears e Whiting (1953) condotta sempre su bambini in et
prescolare aveva infatti tentato di determinare l'effetto delle punizioni par entali sul comportamento aggressivo dei bambini. Furono costituiti t r e
gruppi: i l p r i m o d i b ambini con madri non punitive, il secondo di bambini con madri mediamente punitive, il t e rzo di b ambini con madri se-

veramente punitive. I bambini con maggior numero di risposte aggressive


apparvero quelli del g r uppo con m adri m ediamente punitive. L a i n t erpretazione pi probabile fu che i bambini del pritno gruppo avevano poche risposte aggressive perch, essendo raramente puniti, accumulavano
poche tensioni aggressive, e che i bambini del terzo gruppo, quello delle
madri molto p unitive, essendo sempre severamer.te puniti, avevano imparato a inibire la propria aggressivit.

Altre due ipotesi furono cosi avanzate: l ) la eccessiva severit nelle


punizioni porta alla inibizione della risposta aggressiva, 2) la quale, tuttavia, pu manifestarsi altrimenLi con meccanismo detto di sp ostamento.
Lo S p o s t a m e n t o u n meccanismo di difesa che l'Io pone in opera
per scaricare sentimenti repressi, di solito ostili, su interessi meno pericolosi di q u elli che avevano suscitato inizialmer ite le emozioni (R. S.
Lazarus).
Sears, Maccoby e Levin ( 1957) intervistarnro 30 m adri d i b ambini
di un asilo e l e d i visero, a seconda dei loro attcgg',amenti nei confronti
dei propri Figli, in m adri f r u stranti, madri punit ! vc e m a dr i f r u s t ranti e
punitive. Per t u tt i i g r u ppi f u r ono costruite delle wiedie di f r u s trazione
e di punizione. Risult che i bambini che subivano frustrazioni superiori
alla media apparivano i pi aggressivi fuori di casa nel gioco delle bambole in atmosfera permissiva; ma anche quelli che avevano punizioni in
quantit superiore alla media erano i pi aggressivi nel gioco delle bambole. In quanto a quelli che erano sonra la media sia per frustrazioni che
per punizioni, essi erano di gran lunga i pi aggressivi di t u tt i nel gioco
delle bambole.
quindi evidente che l ' atteggiamento punitivo delle madri no n
di per s efficace a far raggiungere al bambino un b uon controllo della
propria aggressivit. Sembra invece provato che le madri le quali talvolta
consentono comportamenti aggressivi e t alaltra li p u niscono hanno maggiori probabilit di avere bambini fortemente aggiessivi. Se, inoltre, i genitori permettono occasionalmente la aggressivit, probabile che i f i gli
sviluppino stati di ansiet nei confronti delle proprie risposte, poich non
sanno mai con certezza come queste saranno accolte.
I dati sinora raccolti mostrano che i comportamenti aggressivi sono
inversamente proporzionali all'et per quanto riguarda la quantit, e sono
legati al sesso e alla cultura. La cultura pu canalizzare la aggressivit verso comportamenti considerati socialmente desiderabili: cosi in U . S.A.
socialmente gratiFicato il bambino che manifesta comportamenti aggressivi
quando si tratti di d i fendere qualcosa che vicne corsiderata un ideale,
mentre non lo una fanciulla.
Il r u olo d ella cultura sui c omporta!nenti aggressivi in r a pporto al
sesso stata messa in luce da una ricerca di Jersild e Markey (1935), i
quali hanno potuto constatare che sino a du e anni maschietti e f emminucce piangono e urlano pi o meno con uguale ftequenza, mentre gia
A anni i m aschi appaiono gridare e urlare pi tlelle bambine. Il che farebbe escludere la componente sessuale-organica nella determinazione dei
comportamenti aggressivi.
Kagan e Moss (1962) hanno potuto cor;durrc uno studio longitudinale su 35 maschi e 35 f emmine dalla nascita all'et adulta. Essi hanno
d iviso il t empo di osservazione in A p ertodi: d alla nascita a 3 anni; d a

2453 a 6; da 6 a 10; da 10 a 14 anni e hanno fatto studiare i comportamenti


aggressivi nei diversi periodi da psicologi diversi che ignoravano le conclusioni cui erano giunti i c o lleghi che avevano studiato il periodo precedente. E c i o v v i amente pe r e v i t are o gni p o ssibilit d i s u ggestione.
I comportamenti dei 4 periodi furono poi corielati tra loro e con i cornportamenti osservabili nell'et adulta.
I comportamenti aggressivi sono apparsi pi costanti e p i s t abili
nei ragazzi che nelle ragazze. La rabbia e l a cnllera in et prescolare
a pparsa predittiva di comportamenti aggressivi dell'et adulta per i m a schi, ma non per l e f emmine, nelle quali tali comportamenti apparivano
pi labili e pi spesso controllati. La i nterpretaziore che ne stata data
che la rabbia e la collera sembrano essere modelli culturali accettabili
per i maschi, ma non per le f emmine.
Tutte queste ricerche mentre mettono in luce, in generale, la importanza del controllo dei comportarnenti aggressivi pei una buona socializzazione, dimostrano contemporaneamente la complessit del problema della aggressivit. Come si visto i comportamenti aggressivi paiono in qualche modo correlati sia con la f rustrazione e la punizione, sia con la permissivit e la gratificazione; stato mostrato che la frustrazione non sempre produce risposte aggressive, ma talvolta pu clar luogo a comportamenti di regressione. stato anche mostrato il ru olo della cultura e, indirettamente, del sesso, sul controllo dei comportarnenti aggressivi e sulla
costituzione della soglia di t olleranza alla frustrazione.
Ma tutti questi dati difficilmente si lasciano iriterpretare in maniera
univoca e ci probabilmente perch ancora non esiste un modello teorico
generale capace di spiegare tutti i c o m portamenti aggressivi. allo stato
attuale degli studi sulla frustrazione e sulla aggressivit molti dati, molte
conoscenze oggettive, attendono di essere messi in ordine e gerarchizzati
in una costruzione teorica valida.
b. 34otivazione individuale e mottvazione sociale
Come qualcuno ha scritto la motivazione pu essere de6nita l'azione delle forze che determinano la condotta (Foulqui), o anche le pulsioni tendenziali verso l'oggetto ( Z azzo). Tali definizioni sono perfettamente comprensibili e u t il i q u ando le si applichi alla interpretazione del
comportamento animale: per esempio, perfettamente comprensibile che
la condotta di un t o polino affamato sia motivata, cio diretta, dalle pulsioni tendenziali i n q uesto caso il bisogno del cibo v erso l'oggetto,
e cio il cibo. Ed su questo modello che sono state costruite numerose
situazioni sperimentali, i n i s pecie riguardanti l e t c cniche dell'apprendimento.
Molto meno chiara l a d efinizione se applicata al comportamento

246 dell'uomo poich assai di f r equente questo non obbedisce alle pulsioni
tendenziali (per es. il bisogno di dormire o di m angiare) ma organizza la
sua condotta diversamente e perfino in opposizionc. ad esse.
Zazzo a questo proposito sostiene che il problema delle motivazioni:
non si distingue dal problema degli interessi che per una semplice
differenza di punti d i v i sta". ogni condotta motivata una condotta
animata e vivificata dalla presenza soggiacente di un i nteresse, e una
condotta che manca di motivazione non pu essere che una condotta
che non porta e non sostiene alcun interesse,>.

(Gratiot-Alphandery e Zazzo, 1970, vol. IV, pp. 193-194)


T uttavia questa semplificazione del problema u n p o ' eccessiva e
non serve a rendere conto delle diversit che distinguono la motivazione
di un bambino di pochi mesi da quella di un bambir io di 4-6 anni, ed entrambe da quella di un adulto. Sembra accettabile che la motivazione che
soggiace alla condotta del b ambino molto p i ccolo sia i n q u alche modo
comparabile alla motivazione che spinge il t o polino affamato ad apprendere il p ercorso di u n l a b i rinto. L ' aspetto mentale o i n t ellettuale della
personalit ha una rilevanza relativa nelle motivazione del bambino. Non
sembra che il bambino abbia desiderio di r isolvere compiti particolari:
i l suo comportamento si lascia pi facilmente interpretare nei termini vi talistici, e cio come azione obbligata da bisogni vitali che premono.
stato dimostrato (Katz e R vsz) che se ad un b ambino di d u e
a nni e mezzo viene dato il compito di t o gliere un oggetto si ed uno n o
da una serie di oggetti, egli difficilmente riuscir ad eseguire il compito,
a meno che non si t r a tt i d i p e zzi di c i occolato. F. Charlotte Buhler ha
potuto riscontrare che bambini da 3 a 5 a nni sapevano eseguire un compito che richiedeva la r i cerca di u n c a ndito nascosto, mentre fallivano
quando l'oggetto nascosto era una chiave.
Sembra quindi che nei p r im i anni d i v i t a l a m o t ivazione all'azione
risponda veramente a pulsioni vitali pr imarie e solo a queste, e che soltanto successivamente si sviluppi un. tipo di motivazione differente.
Scrive H. W e rner:
Lo sviluppo d i u n a m o t ivazione personale chiaramente rivelato nella genesi di un'azione che implica una scelta. Al l ivello primitivo, la scelta guidata dai valori-segnale della situazione concreta.
Questa una scelta concreta compiuta sulla base di b i sogni affettivi. La preferenza influenzata dalla valenza affettiva relativamente
p i alta di u n o g getto nei confronti d i q u ella degli altri. U n v e r o
atto di scelta appare molt pi tardi. Questo atto pi complesso non
ha un carattere interamente concreto; esso viene compiuto non nell'ambito di un campo visivo popolato di oggetti che hanno valori-se-

247
gnale diversi, ma nell'ambito della persona, Si tr atta d i u n a scelta
fra motivazioni, Nello sviluppo del carattere del bambino normale,
dai quattro ai sei anni una tappa fondamentale costituita dal fatto
che una scelta fra motivazioni si sostituisce a una scelta basata sulla
valenza degli elementi della situazione concreta.

(H. Werner, 1970, pp. 195-196)


forse questa la ipotesi che, allo stato attuale, consente le applicazioni e l e i n t erpretazioni pi f e rtili : fi n o a d u n c e rto m omento della
sua vita l'uomo spinto all'azione dagli impulsi v i tali, successivamente
e lentamente egli messo sempre pi davanti a situazioni conflittuali che
gli impongono una scelta. La sua azione non potr pi essere diretta dalla
valenza concreta di un oggetto, ma da valutazioni astratte, intellettuali,
che richiedono confronti, calcoli, proiezioni nel futuro. Ci probabilmente in relazione al progressivo maturare delle cellule corticali e all'entrata in
azione di circuiti cerebrali complessi. Gottschaldt ha mostrato che i bambini deboli mentali sono caratterizzati da motivazioni frammentarie e scar- r,'
samente sviluppate, e che in loro non si verifica quasi mai un conflitto fra
due motivazioni forti.
,~

forse per questo che, se da un lato possibile, come qualcuno ha


fatto (cfr. Gratiot-Alphandery, Zazzo, 1970, p. 189), tentare una classificazione in stadi evolutivi degli interessi dei primi anni, del periodo, cio, in
cui questi sono rispondenti a p recisi bisogni primari, dall'altro lato l ' i m presa diventa ardua e gratuita quando la si voglia protrarre oltre la prima
infanzia,
C osi, ad esempio, stato possibile dire che durante tutto i l p r i m o
anno le motivazioni (gli interessi nel linguaggio di Zazzo) sono soptattutto quelle della vita vegetativa e delle attivit sensomotorie, e, pi anas u cliticamente, stato possibile distinguere il p eriodo in stadio del
e
stadio
c h i a r e , st a d i o del g u a r d a r e , sta d i o del p r e n d e r e
d el g e t t a r e . A l t ermine del primo anno ha inizio lo stadio del t r o t -

ter e l l a r e

in c u i p r incipale motivazione ad agire il bisogno del

camminare; e, poco dopo, sopravviene lo stadio degli interessi g 1o s s i c i .


Ma a questo punto le cose si complicano: con la comparsa del linguaggio non sembra pi possibile delineare una evoluzione secondo stadi
generali: t u tt i i t e n t ativi f atti i n q u esto senso sono risultati incompleti,
insufficienti, gratuiti o poco chiari.
probabilmente l'intervento di due fattori combinati che rende ardua
ogni classificazione delle motivazioni, che non sia di t ip o differenziale, e
c io che non parta dalle differenze che distinguopo e separano gli i n dividui, piuttosto che dalle uguaglianze. Questi due fattori sono indubbiamente il linguaggio e la socializzazione.

248 Il linguaggio (senza voler qui r i aprire la spinosa questione dei rapporti tra pensiero e linguaggio) permette la manipolazione delle situazioni,
agevola la rappresentazione, favorisce l'attesa e il r i cordo e, tramite una
non ancor ben conosciuta serie di processi, consente quelle che K. Lewin
ha chiamato motivazioni indotte e q uasi bisogni e che si potrebbero
definire come motivazioni culturali (d i d i v erso livello culturale) che si
sostituiscono (transfert) alle m o t ivazioni vitalistiche, sempre che queste
non oltrepassino una determinata soglia di pulsione.
La socializzazione, infine, consente il superamento della motivazione
individualistica, soprattutto nella sua forma primaria di r i cerca della immediata soddisfazione vitalistica, e facilita l'accettazione di motivazioni nelle quali l ' a l t r o come persona, e non come oggetto, sempre maggiormente coinvolto.
Charlotte Bhler r i t i ene che lo s v i luppo d ella sociahzzazione del
fanciullo metta in r apporto due tendenze contrarie: una verso l'individuale, escludendo l'altrui, l'altra verso un contatto con gli altri .
Il problema del superamento dell'egocentrismo e della socializzazione del pensiero stato affrontato e risolto in maniera opposta da Piaget
e da Vygotskij. Entrambi hanno affrontato il p r oblema studiando il l i n guaggio infantile, ma mentre Piaget vede nell'egocentrismo un momento
destinato a cadere con l'affermarsi della socializzazione e mette in dubbio
la esistenza di una socializzazione che preceda l'egocentrismo, Vygotskij
vede gi nell'autistico un processo di socializzazione in quanto includente
un tipo di comunicazione che si indirizza all'altro per ottenere aiuto. Inoltre Vygotskij ritiene che il linguaggio egocentrico, che egli considera come
una tappa nel processo di socializzazione, non scompaia ma rimanga nella
persona come linguaggio interiore.
Ada Fonzi ha voluto controllare entrambe le ipotesi con una ricerca
condotta su 100 bambini, divisi in gruppi di v enti dai tr e ai sette anni,
in due situazioni antitetiche. In una prima seduta i bambini venivano lasciati esprimere liberamente (linguaggio spo~zraneo) in situazione ludica (in
genere si trattava di at tivit grafiche), nella seconda seduta venivano interrogati su quanto avevano fatto (linguaggio provocato), L'abbondante
materiale cosi raccolto stato analizzato con il preciso intento di separare
il linguaggio egocentrico da tutto quanto potesse essere interpretato come
linguaggio comunicativo. Furono quindi costruite due curve di f r equenza,
una per il l i n guaggio egocentrico e l'altra per i l l i n guaggio comunicativo
e si vide che se la pr ima coincideva con il li n g uaggio spo~tuneo,la seconda coincideva con il /inguaggio provocato. Inoltre il linguaggio egocentrico parve restringersi verso i 5 a n ni, ma l ' autrice della ricerca ha proposto di interpretare questo come fenomeno temperamentale piuttosto che
generale,

249 Cosi conclude la Fonzi:


Per altro verso l'analisi qualitativa ci ha portato ad avanzare
una ipotesi che coincide, si, con l a f e l ice intuizione del U ygotskij
sulla sopravvivenza dell'egocentrico, ma in termini che riflettono piuttosto l'interpretazione data dal Piaget del pensiero del bimbo, come
di pensiero che si articola in un a sfera di cultura magica. Solo che
per noi quella sfera, di cui l ' egocentrico sarebbe il l i nguaggio specifico, pi che appartenere esclusivamente al periodo dell'infanzia, si
proietta, come quel linguaggio, a seconda dei temperamenti pi o meno a questo portati, su tutta l ' ulteriore esistenza, anche se, l'infanzia
fl momento pi congeniale a manifestazioni del genere.
(A. Fonz<, 1967, pag. 43)
Questa ricerca mette bene in luce la doppia motivazione, quella egocentrica e quella socializzata, che sta alla base del comportamento, anche
verbale, e non soltanto infantile, se da accogliere la suggestiva ipotesi
della Fonzi di un prolungarsi del pensiero egocentrico nell'et adulta sotto
forma di linguaggio interiore.
Dal nostro punto d i v i sta ci sembra importante sottolineare che
proprio nella seconda infanzia, dai 3 a i 6 a n ni , che i l b a mbino sembra
elaborare motivazioni che non sono pi, o non pi solamente, vitalistiche
e sensomotorie. Per quanto il disaccordo tra gli autori non consenta ancora
un quadro preciso, sembrerebbe di poter dire che tra le motivazioni puramente vitalistiche e sensomotorie dei primi anni e la motivazione socializzata debba esistere una zona o uno stadio intermedio in cui l a m o t ivazione si culturalizza, e cio si adatta o si elabora in rapporto alla situazione
di cultura oggettiva, senza peraltro socializzarsi immediatamente, e cio
senza comprendere in essa l'altro come persona. E questa sarebbe la condizione della motivazione egocentrica.
In ogni caso appare evidente la i m portanza della seconda infanzia
come momento di elaborazione delle basi della motivazione socializzata:
conseguenza pratica immediata di q uesta ipotesi la f u nzione che assumono la Scuola Materna e i Giardini d'infanzia nella costruzione della personalit socializzata.
( c) Scuola 18aterna e socializzazione
L 'obbligo di i n v i are i b a m bini ch e abbiano compiuto tr e a nni d i
et alla Scuola Materna in It alia conquista assai recente e ancora in gran
parte teorica. E ci, come ben si sa, dovuto in m aniera rilevante alla
esistenza di un circolo chiuso di carenze che coinvolge penuria di l ocali,
arretratezza di metodo e disinteresse politico.

In altri paesi esso da tempo una consuetudine, ed per questo che


pressoch tutta la l etteratura psicologica sulle funzioni e gli effetti della
Scuola Materna ci proviene da quei paesi. Assai scarsi sono i contributi degli psicologi italiani in questo campo, e poich, come si vedr, la variabile
ambientale assai importante in questa delicata fase di prima socializzazione, non si sa quanto generalizzabili ai bambini italiani siano le ipotesi
e i risultati delle ricerche condotte in altri paesi.
I l bambino che a tr e anni entra nella Scuola Materna si t r ova i mmediatamente davanti ad un a realt diversa da quella cui era abituato:
mentre sente di aver perduto i l r u olo f amiliare, con quanto di aflettivo
e di sicurizzante esso comportava, si accorge di dover f r onteggiare una
massa urlante di rivali che gli contendono la nuova mamma. A q uesta
et i bambini non hanno ancora pressoch alcuna esperienza di coetanei;
essi sono abituati a fidarsi e a dipendere dall'adulto, ed a questa persona,
normalmente una figura femminile, che essi istintivamente si r i v olgono
anche nel nuovo ambiente. [Gli psicoanalisti hanno ben sottolineato questo
processo di fusione-sostituzione tra la maestra e la mamma e indicati i meccanismi che tale processo pu implicare ] . I b a m bini s i m u ovono tr a i
compagni con iv d ipendenza, ignorando quello che gli a lt ri f a nno e r i c onoscendone la presenza oggettiva ma non quella personale. Ogni collaborazione a 3-4 anni p r ecaria e fi t t izia: se si osservano due bambini di
questa et giocare assieme, ci si accorger che essi sono assieme solo spaz ialmente, ma ch e i n realt ciascuno gioca per conto proprio ( g iochi
paralleli). Ogni sforzo che la maestra far per sollecitare tra i due la reale
collaborazione destinato a far scoppiare una lite immediata. I b ambini
a questa et o si ignorano, e allora si tollerano, o si riconoscono, e allora
sono gelosi e bisticciano.
per questo che R. Nielsen ha detto che il T r o t z a l t e r
(et
di opposizione) degli psicoanalisti non s o ltanto una et d i o p posizione, ma invece lo stadio iniziale della socializzazione poich il segno
che il bambino non ignora pi il suo compagno, non lo considera pi solo
un oggetto, ma anche un rivale potenziale, e quindi una persona. La conquista della cooperazione passa per il conflitto.
Che i bambini durante la seconda infanzia passino da uno stadio di
reciproca indifferenza-tolleranza ad uno stadio di scontri vivaci e di antagonismo indirettamente confermato da un lavoro di Greenberg (1932) il
quale ha studiato l'incremento competitivo in rapporto all'et. Egli faceva
accomodare ad una tavola, ove era del materiale da costruzione, coppie di
bambini della stessa et, dai 2 ai 7 anni, e li i n vitava a costruire, in gara,
qualcosa di pi grazioso e di p i g r ande del compagno. I bambini
al di sotto dei 3 a nni i n i ziarono una serie di a t ti vit individuali che si

251concretizzavano in una serie di gesti non specifici, nella pi completa ignoranza della presenza del partner: nei l or o gesti non v i e r a alcuna competitivit. Fu con i b a mbini d i 3 - 4 anni che l a competitivit apparve e
r aggiunse il suo massimo apparentemente verso i 6 a n n i : essa si manifestava con la sottrazione di pezzi all'avversario, con il m i l lantare il pr oprio lavoro e con la pi assoluta trascuranza dei sentimenti dell'altro.
Mckee e Leader in un altrolavoro (1955) ritengono d'aver provato
che nella competitivit infantile giocano un ruolo assai importante tanto
il sesso (le bambine sarebbero meno competitive dei maschi) quanto il
ceto sociale (i b ambini del c eto i nferiore sarebbero pi competitivi d ei
bambini del ceto medio-superiore). Ma sembra evidente che questi risultati
debbano considerarsi dipendenti in buona parte dalle condizioni culturali
e politiche del paese ove sono stati trovati e dai modelli iv i accettati,
G. Amado (1969), ha osservato che nei giardini d' infanzia i b amb ini ch e r i m angono i solati s on o p o chi e i l l or o numero di minuisce
con l'et. Egli trova che a 5 anni ancora il 50 % dei bambini restano soli
o si uniscono in piccoli gruppi di due o tre, ma gi a 6 anni la partecipazione a gruppi numerosi pressoch totale. Pare certo che le prime amic izie siano contratte tra i 3 e i 5 a n n i e c he, normalmente, si tr atti d i
amicizie con bambini dello stesso sesso. Mussen, Kagan e Conger credono
tuttavia, contrariamente alla opinione espressa da Amado, che nei primi
tempi vi sia soprattutto una espansione nel numero delle amicizie, mentre
in seguito l'incremento avvenga sulla forza del legame che fa preferire un
bambino invece che un altro.
G . Amado dice ancora che il 50 % d e i b ambini dai 3 a i 7 a n n i s i
riuniscono attorno ad una attivit (per es. un gioco, tipo girotondo o altalena), il 37,5/ ~ attorno ad un oggetto o attorno a del materiale (per es.
plastilina o colori) e solamente il 1 2 / c i n r a gione dei legami personali.
In sostanza, tutte l e r i cerche concordano, sia pure con differenze
particolari, nel mostrare come la principale funzione della Scuola Materna
sia quella di abituare i bambini alla reciproca tolleranza e contribuire allo
sviluppo dei s~entimenti interpersonali di amicizia e cooperazione.
Che la Scttola Materna abbia una influenza sullo sviluppo della intelligenza invece questione controversa. Considerando questo sviluppo in
termini di Q.I., W ellman r i tien ie i progressi e i g u adagni in p u nt i c h e
possono attribuirsi alla azione della Scuola Materna sicuri e significativi; la
Goodenough, Jones e Jorgensen, Bird invece sostengono, dati alla mano,
che un tale aumento non vi sia.
Douglas e Ross (1964) hanno condotto una r icerca in ta l senso su
440 bambini entrati alla Nursery School (l'equivalente anglosassone della
nostra Scuola Materna) a 4 anni, u t i lizzando, come gruppo di controllo,
circa un migliaio di b ambini che non avevano frequentato tali scuole. I
bambini del gruppo sperimentale all'et di 8 anni avevano un vantaggio,

252 sulla media degli altri ragazzi, sia in test di intelligenza che nelle valutazioni
di performance educativa; tale vantaggio non era tuttavia statisticamente
s ignificativo. A 1 1 anni questo vantaggio era perduto e a 15 anni i p u n teggi dei soggetti del gruppo sperimentale apparivano leggermente al di
sotto di q u elli d ella media degli altri r agazzi, Anche in q u esto caso la
differenza non era significativa.
Qualunque cosa misurino i test.di i ntelligenza, questa ricerca sembra
suggerire una conclusione analoga a quella trovata da Gesell con le gemelle
addestrate a salire sullo scivolo: probabilmente la Scuola Materna accelera
la maturazione di quei p rocessi che consentono la soluzione degli items
p roposti, ma non n e aumenta la potenzialit, cosicch, quando i l m o mento, ciascuno riprende nella curva statistica il punto che gli compete.
Sembra invece che un effetto largamente positivo la f r equenza alla
Scuola Materna lo abbia sulla maturit, sul controllo emotivo e sullo sviluppo della personalit in generale.
W alsh (1931) paragonando il comportamento di 22 bambini di n u r sery school con quello di 21 bambini della stessa et, ma non frequentanti
tali scuole, ha trovato che i primi erano meno inibiti, pi spontanei e pi
socializzati e ch e m ostrano maggiore iniziativa, indipendenza, autoaffermazione, curiosit e i n t eresse per l'ambiente. Egli h a p ensato di p o t er
imputare tali differenze al fatto che i b ambini della nursery school subivano costantemente la pressione della forza sociale di un l argo gruppo di
bambini e che ci costringesse ciascuno ad accomodare ripetutamente se
stesso agli altri.
Pare quindi che l a p r i ncipale funzione della Scuola Materna debba
essere quella di obbligare i bambini a stare in contatto tra loro, a cominciare a considerarsi, imparare a tollerarsi e abituarsi alla cooperazione. Essi
trovano,. in questo ambiente, tutte le f acilitazioni per superare lo stadio
intermedio tra l'autismo e la socialit, quello stadio che abbiamo indicato
nel paragrafo precedente come lo stadio della culturalizzazione egocentrica.
Il problema tuttavia assai pi complesso di quello che possa sembrare. Per quanto una gran parte di studiosi siano del parare che l'azione
della scuola materna non possa che essere positiva, anche nel tempo, tanto
Brown e Hunt ( 1961) quanto Douglas e Ross (1964 ) sono arrivati a conclusioni che fanno nascere delle perplessit circa il positivo inserimento e
adattamento scolastico dei'bambini provenienti dalle nursery school. Brown
e Hunt hanno lavorato con 42 coppie di bambini costituite in modo che
uno solo, in ciascuna coppia, avesse frequentato la nursery school; dopo
aver assicurato la omogeneit in Q,I., stato sociale, sesso e posizione nella
costellazione familiare, hanno valutato i soggetti con una originale scaletta
che ne misurava la capacit di adattamento alla usuale routine della scuola,
l'adattamento ai compagni. le relazioni con il maestro e il personale profondo equilibrio. I l r i sultato stato che solamente nel rapporto con il

253
maestro i bambini provenienti dalle nursery school superavano gli altri che
invece apparivano con valutazioni superiori negli altri tr e f attori.
Douglas e Ross hanno constatato lo stesso fenomeno con uno studio
longitudinali su bambini inglesi: quelli che avevano frequentato la Scuola
Materna risultavano avere maggiori p r oblemi co n l a p r o p ri a f a miglia,
e, durante l ' adolescenza, apparivano sentimentalmente p i vu l n e rab ili . Per q u anto g l i a u t or i n o n r i t e ngano questi r i sultati t anto g r avi da poter inficiare l'opera della Scuola Materna, non vi dubbio che
essi mettono in guardia sulla delicatezza dell'opera che tali scuole possono
svolgere. Gli autori da noi citati ritengono che i risultati da loro ottenuti
vadano interpretati nel senso che la m aggior i n dipendenza, creativit e
libert della scuola materna crei i presupposti per una frustrazione quando
i ragazzi si trovino di f r o nte alla routine spersonalizzante e pi f o rmale
della scuola normale e che ci possa dar luogo a risposte di tipo regressivo.
La necessit di. strutturare l a s cuola m aterna con e strema cautela
risulta anche da altre ricerche. Si gi sottolineata la estrema plasticit
del bambino nella seconda infanzia e come questa plasticit possa facilmente indurlo alla accettazione dei modelli che l'ambiente gli fornisce.
Una riprova di ci l a o f frono due i n teressanti esperimenti condotti

il primo da Jack (1934) e il secondo da Chittenden (1942). Jack scelse,


in una nursery school, i 1 0 b ambini che apparivano pi s o ttomessi e
inibiti e ne sottopose 5 ad un t r a i n i n g t eso a rafforzare la personalit
ed aumentarne l'autofiducia. Il t r aining consisteva in una serie di sedute
nelle quali al soggetto venivano insegnate tutte le conoscenze e tutte le
abilit pe r r i solvere tre compiti d ifficilh I n s eguito a q u este sedute
ciascun bambino del gruppo sperimentale fu messo assieme ad un altro,
scelto tra i pi d o m inanti , e osservato in 4 situazioni durante le quali
venivano presentati problemi di difficolt analoga a quelle risolte nel training. Essi apparvero pi sicuri e pi dominanti dei loro partner. In capo
a 10 settimane i bambini sottoposti a training erano diventati sicuri e dominanti in tu tte le occasioni, mentre i 5 del gruppo di controllo non avevano fatto alcun progresso.
Chittenden fece l'esperimento inverso con bambini t r o ppo dominanti , e quindi portati alla prepotenza e alla scarsa socialit. In seguito
al trattamento (che consisteva in una serie di doppie sedute, nella prima
delle quali il b ambino veniva lasciato liberamente giocare con pupazzi e
nella successiva invitato a discutere le vie e i m ezzi per organizzare meglio il gioco) i bambini svilupparono un forte senso di cooperazione e ottime capacit di rapporti sociali.
Le due r i cerche mostrano quanto i b a m b ini s iano f acilmente plasmabili e come siano ricettivi nei confronti delle sollecitazioni ambientali.
L'influenza dell'ambiente sul comportamento infantile sottolineato anche
da una bella ricerca di H artup e Coates ( 1967) condotta su bambini d i

254 nursey school ai quali venivano fatti risolvere piccoli problemini le cui soluzioni esatte venivano remunerate con sei piccoli ciondoli. Sul tavolo dell'esperimento erano state messe due piccole scatole, una con il n ome del
s oggetto, l'altra con i l n o m e d i u n b a mbino assente. Durante la p r i m a
seduta un bambino, che fungeva da modello, dopo la premiazione, metteva 5 ciondoli nella scatola contrassegnata con il nome del bambino assente e un ciondolo nella scatola contrassegnata con il p r oprio nome. I l
bambino sottoposto ad esperimento assisteva a questa ripartizione e, giunto il suo turno, veniva invitato a ripartire, come voleva, i ciondoli nelle
due scatole, una delle quali, ora, portava il suo nome. La sua ripartizione
era influenzata dall'aver assistito alla ripartizione modello: tuttavia ci
avveniva soprattutto per i bambini che, bene inseriti nel gruppo della nursery, ne ricevevano rinforzi positivi. I b a mbini scarsamente inseriti subivano assai meno la influenza del modello.
La ricerca mette in l uce sia l'effetto de ll'aimosfera e le c ondizioni
alle quali questo effetto si verifica, sia il p otere di m odel/o che hanno i
coetanei reciprocamente. Questo potere era risultato assai evidente anche
in una ricerca condotta da Hicks (19651 il quale aveva fatto assistere un
g ruppo sperimentale di bambini di scuola materna alla proiezione di un
filmino nel quale si vedeva un bambino, della stessa et dei piccoli spettatori, comportarsi in maniera aggressiva con un pupazzo di plastica: lo malmenava, gli tirava contro palle di plastica, gli dava pugni sul naso. Dopo
il film, tutti i b ambini, anche quelli del gruppo di contiollo, furono sottoposti ad una esperienza frustrante e quindi i n trodotti i n un a stanza ove
c'era diverso materiale, in parte simile al materiale visto nel film. I b a mbini del gruppo sperimentale manifestarono un comportamento aggressivo
del tutto identico a quello del protagonista del film.
L a maggior parte degli studiosi del parere che il p o t ere d i f a r
da modello dei coetanei di gran lunga superiore al p otere che hanno
gli adulti.
Negli anni passati, e in I t alia ancora oggi, la maggior parte dei bambini che, a 6 anni, entravano a scuola si trovavano del tutto i mpreparati
a sopportare lo stress emotivo che la nuova situazione imponeva loro. Per
quanto ancora plastico il b ambino di 6 anni lo certamente meno del
bambino di 3 : e gli h a alle spalle un processo di socializzazione pi prolungato. E s e q u esto processo si s v olto q uasi esssenzialmente all'interno delle pareti domestiche, in una atmosfera nella quale la competitivit affettiva assai ridotta, quando non del tu tto assente, il bambino
di 6 anni pu trovarsi in seria difficolt e del tutto incapace ad affrontare
il clima conflittuale della scuola. Egli pu manifestare questa difficolt con
differenti comportamenti di risposta alla frustrazione, pu, al limite, regredire e finire per rassegnarsi ad un ruolo passivo o di u l t im o della clas-

255 se; in ogni caso il processo di adattamento gli richieder molta energia.
Energia che, specie nei primi mesi di scuola, egli costretto a sottrarre ai
processi di apprendimento cognitivo, con la conseguenza di dar l uogo a
percezioni negative o distorte della scuola.
per questo che spetta alla Scuola Materna il compito f ondamentale di aiutare i bambini ad adattarsi ai rapporti sociali in un p eriodo in
cui non solo ci f acile, ma in cui na turalmentevengono poste le basi
per un corretto processo di socializzazione.

C APITOLO O T T A V O

LA

FAN CI U LL EZ Z A

- Dai Sei Ai Dieci Anni -

Il periodo evolutivo tra i sei e i d i eci anni viene indicato con il nome di r wxcrvz,r.EzzA. La psicologia tradizionale ritiene l'et di sei anni
un traguardo importante nella vita dell'individuo: solitamente si indica
quella et come termine di completamento della infanzia. Quando nei
manuali di psicologia ci si l i m ita a contrapporre il f anciullo all'adulto,
alla descrizione del fanciullo di 6 anni cbe si fa implicitamente riferimento (in M . D ebesse, Psicologia dell'et evolutiva, Roma, 1948).
A sei anni, dunque, non si pi b a m b i n i ,

ci u l l i

s i diventati f a n -

. Q u esta demarcazione ha una ragion d'essere, al di fuori della

sua convenzionalit? Oggi si molto pi cauti nell'accettare simili demarc azioni cronologiche, le quali r i sultano essere, in buona parte, frutto d i
stereotipia. Come scrive Netchine:
L'et cronologica i n
effetti u n c a t t ivo c r i terio genetico,
p oich il r i t m o e v olutivo non i d entico per t u t t i i s o ggetti e u n
gruppo non selezionato di soggetti della stessa et reale costituito
da individui di l i v ello genetico ineguale.

(Netchine, 1969, pag. 107)


Inoltre, come dimostrano gli studi di E. Ponzo e collaboratori (19651967), esiste nell'adulto una t endenza all'errore sistematico che porta a
sopravalutare il bambino in et prescolare ed a sottovalutare il bambino in
et scolare.
La linea di demarcazione passante per i sei anni ha, tuttavia, trovato
p iena accettazione nella consuetudine e nella legislazione, cosl che in I t alia, come in molti altri paesi, quella linea stata assunta per dividere la

popolazione in obbligo scolastico da quella che tale obbligo non ha ancora.


Viene naturale chiedersi se l'assunzio.ne di un tale indice di riferimento abbia un r

e al e

r i s c ontro nella comparsa di processi e ritmi di m atura-

zione diversi da quelli del periodo precedente o se non sia, in larga o piccola parte,arbitraria.
Dedicheremo parte di questo capitolo al tentativo di chiarire questo
punto. Resta tuttavia certo che, per il s olo motivo che i b ambini d i sei
anni sono considerati d iversi da quelli di 5 anni e pe~ch ad essi, spe-

260cie con l'ingresso a scuola, si richiedono particolari impegni sociali, probabilmente essi diventano diversi.

1. - LO SVILUPPO FISICO
a. La stafura
I dati sull'aumento staturale indicano alcune variazioni in s enso assoluto:

tra i due e i cinque anni e dieci mesi i bambini crescono, mediamente,

di 26,50cm., le bambine di 28,50 cm.;


tr a i sei e nove anni e dieci mesi l'aumento medio di 20 cm. per i

maschi e di 19 cm. per le femmine.


Questa differenza in assoluto sembrerebbe quindi indicare una diminuzione nel ritmo di aumento staturale per il periodo da noi preso in esame: sostenibile che questa diminuzione nel ritmo abbia inizio attorno
ai sei anni e non piuttosto che essa segua una linea generale il cui i nizio
va spostato prima dei sei anni?
La tabella che segue, elaborata dai. dati del De Toni, indica le variazioni, in statura e peso, distintamente per maschi e femmine, dall'et di
due anni all'et di dieci. Sono riportate le differenze di aumento sia in assoluto che in percentuali. La t r aduzione graflca di questi dati, nel Quadro 1, mostra una stabilizzazione nel ri tmo d i i n cremento staturale che
c ade, per le femmine attorno ai 6 anni e 10 mesi e per i m aschi tra i 7
anni e 10 mesi. Tali differenze nel ritmo di i n cremento (1 cm. per anno
nel maschi, da 0,5 a 1,5 cm. per anno nelle femmine) non sono statisticamente signiflcative.
I dati riportati sopra sono in accordo con la maggior parte delle ricerche straniere, e con quelle comparative trasnazionali: sembra assodato
che, al rapido incremento della statura nei primi due anni di vita, succeda
una lenta e progressiva diminuzione del ritmo di aumento sino alla fase
puberale, in coincidenza della quale si assiste ad una ripresa.
Negli anni da noi esaminati in questo capitolo non sembra che abbia

incidenza notevole la differenziazione per sesso, mentre appare notevole


l a influenza dello stato sociale, non perch determini diversi ritmi d i a u mento, ma perch incide nell'aumento preso in assoluto. Zazzo, in un suo

grosso lavoro (Zazzo, 1969) esaminando 467 fanciulli d'ambo i sessi, in


et dai 6 ai 12 anni, ha trovato che i soggetti appartenenti alle classi socialmente considerate superiori, sono sistematicamente pi a lti d i q u e lli
appartenenti alle classi considerate inferiori. Egli ha trovato una differenza

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262 -

Fig. VIII.1. - Ritmo di i n cremento staturale dai 2 ai 1 0

a n ni .

m edia, fra le due classi considerate estreme, di cm, 1,8 a sei anni e d i
cm. 2,0 a 10 anni.
Conclusioni analoghe erano state tratte da una ricerca condotta, nel
1955, per conto del M i n i stero dell'Educazione Nazionale Francese (Aubence et Desable, 1957).
Z azzo cita ancora una ricerca trasnazionale condotta dal Centre I n -

ternational de l'Enfance (1955) su bambini in eta da 1 a 5 anni, in alcune


capitali europee (Bruxelles, Londra, Parigi, Stoccolma e Zurigo) dalla quale emersa, ugualmente, una differenza di statura in rapporto alla appartenenza dei soggetti a du e classi sociali considerate estreme. Tale differenza pareva aumentare progressivamente da 1 a 5 anni.
Ciononostante Zazzo del parere che tale differenza, almeno consi-

derando i suoi dati e quelli della ricerca del 1955, non indichino un mutamento nel r i tm o d ell'aumento staturale, perch, anzi:
In a ltri t e r m ini, p er q u e sto p eriodo di q u a t tro a nni ( 6 - 1 0)
l'aumento in altezza praticamente lo stesso nei tre ambienti: esattamente 19,9 cm. nell'ambiente 1 (i l p i b asso), 20,5 cm. nell'am-

biente 2 (intermedio) e 20,2 cm, nell'ambiente 3 (superiore).


(Zazzo, 1969, pag. 87)
Cosicch egli crede di poter concludere:
tra ragazzi appartenenti a due ambienti socio-culturali. contrastanti
(ambien'.e de! quadri e d elle pr ofessioni liberali da un a p arte, am-

263biente operaio dall'altra parte) e aventi in comune di vivere a Parigi


con tutto q u ello che ci pu c omportare di a b i tudini e d i c o n d izioni simili, le differenze di statura esistono molto presto, probabilmente sin dalla nascita, in tutti i c asi all'et di un anno; queste diff erenze si accentuano progressivamente sino all'et di 5 o 6 a n ni , e
restano in seguito press'a poco stazionarie almeno sino a 10 anni .

(Zazzo, cit., pag. 92)


Un dato soprendente quello del d calage staturale dovuto all'effetto deJa secolarizzazione, e cio del passar del tempo. Nel lavoro di
Zazzo sono riportate le stature medie dei bambini francesi del ceto operaio dal 1935 al 1965: dalla annessa Tabella 2 possibile ricavare come,
fermo restando lindice di incremento che rimane all'incirca identico, e
cio del valore di circa 20 cm. in quattro anni l a statura media passata da cm. 110,5 nel 1932 a cm. 114,8 nel 1965, per l'et di sei anni,
con un guadagno medio, quindi dicm. 4,3 in 30 anni, e da cm. 130,5 nel
1932 a cm. 134,7 (1965) perl'et di 10 anni, con un guadagno medio di
cm. 4,2. I l ch e conferma l'aumento di statura in assoluto e i l m a ntenimento del ritmo di aumento.
TABELLA 2
Dcalage secolare della statura (in cm.) dal 1935 al 1962 nei fanciulli da 6 a
10 anni in ambiente operaio
Data delle iechieste

Ft

9
8
7
6
10
11
12
Guadagno dovuto all'et
tra 6 e 12 anni

1932

1955

1962

110,5
115,5
120
125
130,5
135,5
140,5

114
118,7
124,3
128,8
134,4
138,9
143 5

114,8
120,7
125,9
129,9
134,7
139,8
144,9

30,0

29,5

30,1

I dati della inchiesta del 1962 sono stati raccolti in realt tra il 1962 e i l
(tratto da R . Z azzo, op. cit., 1969, pag. 101).

1 965

I motivi che Zazzo ritiene di p oter avanzare per la spiegazione di


tali fenomeni sono assai interessanti: egli ritiene di poter ricondurre il

fenomeno all'intervento di due variabili:

264 l'eterosis, e cio il


di due razze, e

m i g l ioramento biologico ottenuto d all'incrocio

il fenomeno di gruppo, e cio l'effetto delle sempre pi numerose stimolazioni sensoriali e p sichiche che l'individuo riceve dall'ambiente,
e che agendo sul diencefalo e sull'ipofisi agiscono, indirettamente, sull'aumento staturale.

I dati sull'aumento staturale in nostro possesso, piuttosto che indicare un mutamento di ri tmo coincidente con l'et cronologica di sei anni,
ci sembra possano condurre alla non esclusione di un tale mutamento, nel
senso della diminuzione, che farebbe la sua comparsa tra i 5 e i 7 anni,

b. Il peso
Il fanciullo tra i sei e i nove anni e dieci mesi aumenta mediamente di

circa 8 Kg. (maschi Kg. 8,800, femmine Kg. 8,000), passando da Kg. 18,800
a Kg. 27,600 (femmine da Kg. 18,600 a Kg, 26,600). Nel periodo da due
a cinque anni e dieci mesi era aumentato di Kg . 7 ,5 (maschi Kg. 7,400;

femmine Kg. 7,500).

Il ritmo di i n cremento ponderale non sembra quindi mutare nel periodo che a n o i i n t e ressa, confrontato con i l p e r i odo i m mediatamente
precedente.
Se, in un sistema di assi cartesiane, si dispongono, nelle coordinate
le misure staturali e ponderali (peso nelle ascisse e statura nelle ordinate)
dei soggetti in et evolutiva, si ottiene una curva gradatamente ascendente,
corrispondente ai ritmi medi di aumento. Se si iscrivono nel sistema anche
gli scarti quartilici dalla media, si pu ottenere un c an al e d i c r e s c e n z a, che consente di osservare il fenomeno dello sviluppo nella sua
normalit (vedi Fig. V I I I . 2 . ).
Qualora si volesse misurare lo sviluppo longitudinale di un soggetto,

utilizzando il canale di crescenza, sarebbe possibile calcolare la normalit


e i suoi scarti, in termini auxometrici.
c. La dentizione

I denti di primo impianto, completati verso il secondo anno di vita,


cominciano a cadere e a d essere sostituiti dalla dentizione permanente
attorno ai 6 anni. L'ordine di caduta e di comparsa dei nuovi denti ripete
normalmente l'ordine di comparsa della prima dentizione.
L a tabella seguente (ripresa da S. L evi, op . c i t., pag. 51) oRre i l
quadro generale della comparsa della dentizione permanente che, salvo

265 -

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Fig. VIII.2.- Norma d i c r escenza peso - statura dei r agazzi belgi (Bruxellesl del
L960, per classi di 6 mesi, e canale di crescenza contenente l'88'/o dei soggetti.
(Da Gratiot-Alphandry e Zazzo, op. cir., P, U.F., Paris, pag. 47, che riprende il
grafico da Defrise-Gussenhoven, 1967),

interventi particolari, si ritrova identico presso tutti i bambini del mondo.


Anche nella comparsa della seconda dentizione stata notata la influenza ambientale: essa pu manifestarsi sia come agente ritardante, sia
come agente antecipante. Ad esempio, parrebbe, da studi fatti i n G e rma-

266ORDINE E TEMPO DI COMPARIZIONE DELLA SECONDA DENTIZIONE


Primi molari
Iincisivi mediani
Incisivi mediani
Primi premolari
Canini
Secondi premolari
Secondi riolari
Terzi moiari (denti del giudizio)

6- 7
6- 9
8-10
10-11
10 12
11 -13
12 15

17-25
32

nia e Inghilterra, che i bambini di g enitori appartenenti a quadri socioprofessionali superiori abbiano, mediamente, una eruzione dentaria precoce. Studi f att i i n S l o vacchia mostrano come alla elevazione staturale
della popolazione, che i n c orso da qualche decennio, corrisponda una
s empre pi p r ecoce eruzione dei denti p ermanenti. I n s o stanza si pu
dire che esista una concordanza tra tutti gli studiosi della materia nel ritenere la elevazione del livello sociale determinante nella precocit eruttiva dei denti permanenti.
Meno certo , invece, l'intervento dei fattori genetici o razziali nella
determinazione dei tempi di e r uzione dentaria, e questo nonostante dati
raccolti da d i versi ricercatori concordino quasi sempre nell'indicare una

maggiore precocit eruttiva nelle razze negre dell'Africa.


G ratiot-Alphandry e Z azzo, mettendo a r affronto d ati r accolti d a
diversi ricercatori in d i verse zone del mondo, hanno compilato la tabella
che riportiamo.
ETA' MEDIA D I E R UZIONE DEI SECONDI MOLARI SUPERIORI
PERMANENTI IN ALCUNE POPOLAZIONI (SESSO MASCHILE)
Popoiaziane

Et (in anni)

Digo (Kenya)

11,3

Amerindiani Pima

11,4
11,7
11,9
12,1
12,0

Zulu (Africa del Sud)


Hutu (Rwanda)
Tutsi (Rwanda)
Inglesi

Ricerca

MacKay e Martin (1952)


Dahlberg e Menegaz-Bock (1958)
Dahlberg e Menegaz-Bock (1958)
Hiernause (1965)
Hiernause (1965)

Dahlberg e Menegaz-Bock (1958)


12,3

Americani Bianchi
Parigini

12,2

12,7
12,8
12,5

D a h lberg e Menegaz-Bock. (1958)


Au b e uque (1958)

267 Nonostante i d a t i s embrino confermare l' ipotesi di u n a p r ecocit


dentaria delle razze africane su quelle bianche, gli autori del t r attato ritengono che non si a p r udente giungere subito a c onclusioni genetiche.
Essi scrivono:
I tre q u a rti d e lla p opolazione rappresentata ha, si, u na e ruzione pi precoce di qualunque altra popolazione europea o bianca
a mericana, ma in nessun caso la differenza raggiunge l'anno con l a
serie inglese pi precoce. La media dei Tutsi i n termedia alle due
m edie inglesi e uguale a uno dei v alori americani. Questi dati n on
consentono di concludere con certezzaper una precocit genetica degli africani; la l or o i n t erpretazione richiede segnatamente una conoscenza pi approfondita dei fattori d'ambiente, esterni e boccali, che
influiscono sulla eruzione dei denti permanenti.

lH. Gratiot-Alphandry e R. Zazzo, 1970, pp, 21-23l


I dati finora riportati sembrano concordare su un punto: attorno ai
sei anni si verifica un fatto dentario nuovo, la seconda dentizione, che potrebbe considerarsi come la manifestazione di un diverso ritmo di maturazione. Tuttavia necessario fare osservare che la cadufa dei denti di latte
e la comparsa dei denti permanenti non debbono considerarsi avvenimenti
improvvisi, poich essi sono il r i sultato di u n l e nto processo di calcifica.
zione e di erosione, cui fa seguito la eruzione a livello del bordo alveo-

lare e infine la eruzione clinica a livello della gengiva. Questo porta a ridimensionare la i m p ortanza dentaria dell'et di 6 a n n i , c h e, anche da
questa prospettiva, andrebbe considerata non come una tappa, ma come
uno stadio nel processo evolutivo.

2. - LA MATURAZIONE

DELLA ATTIVIT BIOLETTRICA CEREBRALE


Alla domanda se sia possibile costruire tracciati elettroencefalografici
medi per fanciulli da 6 a 10 anni, tali che si differenzino in maniera sicura
dai modelli di tracciati di altre et, ha tentato di rispondere Serge Netchine
con uno studio particolareggiato.
Il punto di partenza di questo studio, o meglio, di questi studi, poich la pubblicazione cui si f a r i f erimento contiene una mole eccczionale
di dati raccolti pazientemente, pu essere riassunto in:
1. Poich il t r acciato encefalografiico dell'adulto c a ratterizzato
da una netta differenziazione postere-anteriore, che non caratterizza invece
il tracciato del bambino, possibile studiare la comparsa e la evoluzione
di tale differenziazione?

2682 . R possibile seguire e f ornire un t r acciato evolutivo m ed io


d i tutte le variabili bi olettriche misurabili con l ' E E G ?
La prospettiva generale quella di ricercare, ove possibile, correlazioni significative tra i t r acciati encefalografici e i p rocessi psicologici o, con
maggior ambizione, costruire le leggi della evoluzione bio-psicologica.
La ricerca ha utilizzato 16 variabili EEG su una popolazione di 500
soggetti in et dai 6 ai 10 anni (100 Ss per livello d'et). Per quanto int eressanti e suggestivi i r i sultati o t tenuti, esulano dal piano e dai l i m i ti
che la nostra sintesi si propone: ci limiteremo, pertanto, a riportare soltanto quei risultati che ci sono apparsi pi significativi in r e lazione alla
differenziazione da noi r i cercata, rinviando il l e t tore, per ulteriori i n formazioni, alla fonte. (S. Netchine, 1969).
In altra parte di q uesto lavoro abbiamo riassunto i p r i ncipi f ondamentali strutturanti il tracciato EEG; ci limitiamo pertanto ad aggiungere:
che il ri tmo alpha appare soprattutto nella regione occipitale;
che il ri tmo t h eta appare nella regione centrn-frontale;
che l'incremento nella differenziazione dei ritmi va dalla regione occipitale a quella frontale.
Si verifichino queste asserzioni nella tabella che segue:

COFRONTO DEI VALORI MEDI D I F M O , FMP, FMR


DAI 6 A I 1 0 A N NI

10

FMR

7,89

8,09

8,30

8,50

FMP

7,53

7,86

8,20

8,35

8,50

FMO

7,71

8,10

8,64

8,72

9,16

e nel grafico che la traduce.

8,72

269-

Fig. VIII. 3.
FMO = Frequenza media oocipitale. Relativamente trascurabile tra i sei e i s ette
anni, aumenta considerevolmente tra i sette e gli o tto anni, ridiventa trascurabile dagli otto ai nove anni per riprendere tra i n ove e i d i eci anni.
Un cambiamento essenziale nella accelerazione della frequenza sembra avv enire attorno agli o t t o a n n i .
F MP = Frequenza media parietale. L'aumento pi sensibile appare tra i sei e g l i
otto anni. Nell'insieme l'andamento della FMP appare pi regolare dell'andamento della FMO.
FMR = Frequenza media rolandica. Andamento regolare, senza mutamenti di entit
nel ritmo dell'aumento.

L'aumento della differenziazione delle frequenze medie nel senso postero-anteriore messo bene in luce dal confrontc; che si ottiene sottraen-

do le frequenze medie una dall'altra (e moltiplicando il risultato per centol e di videndo il r i sultato per l a p r ima f requenza: indici positivi i n dicano una differenza a favore della prima, indici negativi a favore della seconda. Si verifichi la affermazione della crescente differenziazione nel senso
postero-anteriore in rapporto all'et, con i d at i d ella seguente tabella.
Come ben messo in evidenza dai dati che la illustrano, la direzione
postero-anteriore dell'aumento del r i t m o b i o l ettrico c o nfermata. Entrambi gli i n dici, mentre paiono indiscutibilmente aumentare dai sei agli
o tto anni, sembrano subire un r a llentamento sensibile attorno ai n o v e

270CONFRONTO FRA LE DIFFERENZE DELLE FREQUENZE M E D IE


OCCIPITO-PARIETALI E P A RIETO-ROLANDICHE
10
O Px 100

+ 0,29

+ 2,05

+4,92

+3,96

+5,46

1,02

1,69

P Rx100
3,19

2,87

1,79

anni (compensato attorno ai 1 0 a nni per i l r i t m o O - Pl . L a e v oluzione,


nel senso atteso, quindi evidente.
La introduzione, suggerita da Netchine, di queste variabili di organizzazione interregionale, al posto dell'esame di un s ingolo tracciato regionale, appare assai preziosa per una pi acuta valutazione della maturit
biolettrica.
La tabella che segue riporta, per et, il numero di soggetti le cui registrazioni hanno seguito i pr incipi su esposti accanto al numero dei soggetti in cu i s ono apparse registrazioni strutturate in m aniera diRerente.
Poch i soggetti esaminati erano 100 per ogni livello d'et, il numero assoluto anche percentuale.
La lettura della tabella mostra come:
ORGANIZZAZIONE DELLE ' REQUENZE
(numero di

Et

F MP>FMO e FM R

10

so~~etti~

FM R) F M O e F M P

FMO>FMR e FMP

35
62
13

25

62

41

36

20

t r acciati pi r apidi su t e r ritori i n t ermedi (parietalil siano presenti


soprattutto nelle et pi basse e decrescano regolarmente sino a costituire, a dieci anni, una percentuale in6ma;

271i tracciati pi rapidi in avanti (rolandico) seguano una linea evolutiva


pi complessa :numerosi a 6 anni, decrescono sino a otto anni e aumentano, quindi, sino a dieci anni;
i tracciati pi r a pidi p o steriormente (occipitale) siano i s ol i a d a u mentare dai sei agli otto anni. Questo li distingue dai precedenti tipi
di tracciati secondo una prospettiva dicotomica: ol tr e gl i o t t o a n ni
la loro progressione pare fermarsi.
Le conclusioni cui l o

s t udio d i N e t chine conduce sono cosi riassu-

mibili;
a) il carattere evolutivo dell'attivit elettrica cerebrale (intendendo
per evoluzione genetica ogni cambiamento che si produce in un determinato senso, senza 'che i cambiamenti successivi riconducano allo stato iniziale) evidente in tutte le variabili studiate;
b) l'evoluzione dell'EEG, importante tra i s ei e i s e t te a nni, diventa massima tra i sette e gli otto anni, trascurabile tra i nove e i d i eci
anni, mentre appare una lieve ripresa attorno ai dieci anni.
Questi risultati concordano, nelle linee generali, con quelli o ttenuti
sin ora, mentre una certa discrepanza appare per quanto riguarda le correlazioni delle pun te con le et. A questo proposito Netchine scrive:
La curva maturativa dell'EEG rivestir dunque una forma ge-

nerale, segnata da una ripresa della evoluzione dopo un periodo di


ristagno relativo alla fine della prima infanzia, ma le d i fferenze tra
una popolazione e l'altra sono tali che difficile trarre, da queste con-

statazioni, conclusioni precise prima che lo studio comparativo di


queste popolazioni abbia potuto m ostrare diRerenze corrispondenti
in altri settori della sviluppo.
(S. Netchine, 1969, pag. 105)
c ) L'importanza del fenomeno evolutivo non i d entica in t u t t e
le variabili. Da un punto di v i sta pi generale Netchine sostiene che nessuna prognosi riguardante lo sviluppo psicologico o la situazione biologica
g enerale di un i n d i viduo p ossibile trarre dall'esame dei singoli r i t m i ,
considerati isolatamente. Egli ri tiene che l'attivit elettrica cerebrale costituisca ancora un dominio che obbedisce a leggi proprie non interamente

riducibili e assimilabili a quelle del dominio vicino (id., pag, 110).


La proposta che Netchine avanza che:
...lo studio del processo maturativo dell'EEG n on d eve limitarsi a
render conto della genesi della differenziazione interregionale, poich
non si tratta che di u n aspetto isolato di un a realt pi complessa.
Bisogna vedere l'EEG come un insieme di attivit insieme differenti

272e unificate, e sottoposte, intanto che insieme, a una evoluzione ontogenetica.

(id., pagg. 142-143)


Quindi non nello studio delle correlazioni tra ritmi isolati e processi
psicologici potr consistere l'utilizzazione pi proficua dell'EEG, e neanche nella ricerca di significati psicologici inferibili dai r i tm i o r ganizzativi
interregionali, se non per casi di evidente significato patologico. La speranza di Netchine quella di raggiungere risultati che consentano la emergcnza di strutture encefalografiche di maggiore complessit. Il che egli
ritiene di aver in parte raggiunto dividendo le 16 variabili studiate in due
gruppi, A e B , cosi da ottenere due tipi d i s t r utture con indici opposti;
il significato di queste diverse strutture a l i vello individuale va tuttavia
ricercato nella corrispondenza con la presenza o l'assenza di determinate
strutture p sicologiche, poich:
I

...a una morfologia EEG i dentica possono essere riferiti significati


opposti, quando essi coesistano con organizzazioni psicologiche contrarie.
Lo studio d i N e t chine, a p arte l ' i nteressante riferimento a q u esto
nuovo metodo, che egli chiama e l e t t r o c l i ni c o
o e l e t t r op s i c o l o g i c o, e s u ll a cui u t i l it ogni g iudizio ancora prematuro,
mette in luce interessanti fenomeni di maturit biolettrica cerebrale. Dal
nostro punto di vi sta la evidenziazione di questi fenomeni, in particolare
l'aumento nella frequenza dei ritmi tr a i sette e gli otto anni, oltre a indurci a considerazioni sulla estrema fluidit di t u tti i r i t m i , consiglia una
estrema cautela nell'affermare il p e riodo 6-10 anni, e cio la cosidetta
fanciullezza, caratterizzata per tutta la sua durata dagli stessi ritmi di m aturazione psico-biologica.

3. - LO SVILUPPO DELLA PERCEZIONE


a) La Tecnica grajica nello studio della percezione.
Se, come stato detto, dall'et di tre anni al metodo comportamen-

tistico nello studio della percezione pu essere affiancato il controllo verb ale, dall'et di sei anni p o ssibile una nuova tecnica di controllo: l a
rappresentazione grafica.
Il fanciullo in et scolare pu essere infatti invitato a rappresentare
graficamente quello che percepisce; tale tecnica stata u t i lizzata assai
spesso (Volkelt, 1929; Thurnwald; Werner, 1970 ecc.). Non bisogna tuttavia sottovalutare la possibilit di errori cui si va incontro e che sono in

273parte dipendenti dalla difficolt per i l r i c ercatore nella i nterpretazione


delle rappresentazioni grafiche (errori soggettivi) e in parte dovuti ai limiti
funzionali infantili nella estrinsecazione rappresentativa.
Per quanto riguarda il primo tipo di errore, il ricorso alla intervista,
.dopo il disegno, cosi da far spiegare dirrettamente al bambino il s ignificato della sua produzione grafica, pu, in in parte aiutarci.
Molto pi d ifficile l a eliminazione del secondo tipo di e r rori che
possono dipendere, oltre che dal l i v ello d i s v i luppo del soggetto, dalla
sua disposizione al disegno e da talune abitudini estrinsecative che bisognerebbe conoscere in precedenza, mme, ad esempio, la l ateralizzazione
dominante che potrebbe indurre una preferenza sia spaziale che del segno.
Riguardo questa categoria di errori, possibile parlare:
a) Come fa il Naville (1951) di un condizionamento del disegno da
parte del mezzo utilizzato per disegnare: ad es. evidente che il tr a t t o
di matita abbia, graficamente, una incisivit diversa della macchia fatta
con una spugna imbevuta di colore e della traccia lasciata da un pennello
( o pennarello). Si tratta pur sempre di s e g n i g r a f i c i , ma il loro
valore rappresentativo assai diverso. Secondo Naville, l'abitudine dei
bambini a t r acciare tratti dipende dalla loro consuetudine con le m atite
( comprensibile che genitori e i nsegnanti preferiscano ricorrere ad esse
piuttosto che a spugne imbevute di colore od a pennelli che creerebbero
problemi di pulizia), ma, e la tesi pare assai suggestiva, la abitudine a
tracciar tratti che, lentamente, condiziona il bambino a percepire gli oggetti secondo direzioni verticali, orizzontali e oblique nette ed a v eder
tratti in natura. E ci quando, come sostengono alcuni pittori, in natura
non esistono tratti, questi essendo frutto della astrazione e della tendenza
alla semplificazione propria degli uomini.
b) Pare inoltre accertato da una numerosa letteratura (Stern, 1907;

Bappert, 1923; Spielrein,' 1931; Wallon e Lurcat, 1959) che, nella rappresentazione grafica, specie dei bambini molto piccoli, maggior importanza abbiano le abitudini senso-motorie di quelle propriamente visive. Disse una
volta Kleineberg (1967) che il bambino comincia a far esperienze di rette e
spigoli tattilmente sin dalla culla, e che se il mondo non fosse cosi falegnamizzato (carpentered) probabilmente anche la nostra percezione sa-

rebbe diversa (e ci parrebbe provato dalla diversa organizzazione percettiva degli indigeni abitanti un mondo in cui prevale la struttura circolare ).
Secondo Colle (1967) queste esperienze senso-motorie continuerebbero a
modellare le esperienze visive attraverso una continua modulazione dei
corpi genicolati sulle aree specifiche della visione.
c) Il t erzo problema che si pone nei confronti dei disegni dei bambini pu essere cosi formulato: disegnano ci che vedovo o disegnano ci

274 che sanno? I l l o r o u n d i s egno su rappresentazione percettiva o u n


d isegno di m emoria ?
Poich la percezione la rappresentazione di qualcosa, disegnare ses ondo cio che s i v ed e i m plicherebbe la r a ppresentazione, o m eglio l a
rievocazione, di u n a r a ppresentazione (e i n q u esto caso si t r a t terebbe
d ella r a ppresentazione attuale d i u n a r a p presentazione passata) e
quindi la rappresentazione grafica di ci che stato percepito o rievocato
(in questo caso il processo implieherebbe una rappresentazione alla terza
potenza la rappresentazione grafica di una rappresentazione mnemonica
di una rappresentazione percettiva). probabile che i bambini molto piccoli non siano ancora in grado di effettuare processi cosi complessi come
quelli implicanti rappresentazioni alla ierza potenza, e siano percio portati
a sostituire alla prima rappresentazione una n o z i o n e .
Rouma (1912) ad esempio, sosteneva che la tendenza a disegnare ci
che sanno nei fanciulli si mescola piano piano alla tendenza a disegnare
ci che vedono, il che creerebbe una serie di strutture grafiche stereotipate che di volta in v o lta si rompono e si ricompongono.
La Partridge (1902), osservando che i bambini invitati a copiare persone messe di profilo le r i producevano di faccia, concludeva che neanche
la presenza di un modello riusciva a smuoverli dalla tendenza a disegnare
ci che sanno invece dici che vedono.
Helga Eng (1931) ha potuto osservare che, almeno sino ai sette anni,
il modello da copiare non modifica la tendenza del bambino a disegnare
di t esta. E .K . Buhler ( 1929) r i t iene che iL..disegno..da modello. un
disegno di memoria appena modificato, ove la vista.non. fa che stimolare
la memoria, il che non i mpedisce che taluni dettagli precisi possano essere ben osservati.
noto che FL G o odenough (1957) ha costruito i l

su o t est grafiico

per la misurazione dell'intelligenza proprio partendo dalla ipotesi della


tendenza nei bambini a disegnare quello che sanno (fase, ideografica) e dalla successiva ipotesi di. una correlazione positiva tra numero di elementi
del disegno e sviluppo intellettuale.
In una nostra ricerca (Lostia, 1967), a) abbiamo voluto controllare
se il bambino disegni ci che vede o ci che sa con una indagine trasversale condotta su 443 soggetti dai sei ai d i eci anni. I l n o stro l avoro ha
avuto inizio con la raccolta dei disegni dell'albeio, fatto rappresentare secondo la tecnica di Koch ( d isegna un albero, un bell'albero, ma non un
pino, n un abete, n un albero di N atale).

275POPOLAZIONE:
Gassi

M aschi

Femm i n e

Totali

Et

I
Il
III
IV
V

55
46
52
53
73

26
17
37
23
61

81

63
89
76
134

6,3
7,6
8,2
9,7
10,3

Totali

279

164

44.3

Un primo dato presentatosi alla nostra osesrvazione stato quello


dei numerosi 3enomeni di c h iusura, d a K o c h i n d icati come fusto
saldato, e identificabili nella abitudine dei bambini di d isegnare il tronco dell'albero saldato in alto o i n b asso o i n e n trambi i l a ti . L a t abella
che segue mostra come i .fenomeni di c h iusura. diminuiscano proporzionalmente con l'et.
FENOMENI DI CHIUSURA IN RAPPORTO ALL'ETA'
E AL L I V E LLO SCOLARE
Classi

II
III
IV
V

Maschi
n.

Femmine
n.

Totali
n.

28
25
33
25
24

18
12
20
5
12

46
37
53
30
36

61
55
65
47
33

75
80
54
22
20

Et

65
62
60
40
27

6,3
7,6
8,2
9 )7

10,3

Come ben evidenziato dal grafico, il fenomeno di chiusura scompare


rapidamente dopo gli o tt o anni, mentre pu ancora considerarsi normale

prima di quella et. La nostra interpretazione del fenomeno di chiusura,


alla luce della sua analisi longitudinale, stato che esso rappresenti una
traccia residua della tendenza a disegnare di t esta, traccia che andrebbe
s comparendo, unitamente alla tendenza, con l'et. Esaminando infatti i
disegni dei soggetti pi giovani era facile rendersi conto come l'albero venisse distinto in du e elementi fondamentali; i l t r o nco e l a chioma, ciascuno di per s compiuto e autosufficiente, e in questo modo rappresen-

276 -

-3P-

,n

J
I

L
Fig. VIII .4. - I l f e nomeno di c h i usuranel disegno dell'albero: 1: anni 6,11;
2 : anni 6,1; 3 : a nn i 6 ,2; 4 : anni 7,5; 5 a nni 7 ; 6 : anni 7,6; 7: anni 8,11;
8: anni 8; 9: anni 8,11; 10: anni 9,5; 11; anni 9; 12: anni 10,2. (Da Lostia, 1967).

277 -

$0

65
tO

n5
g0

$5$05530-

2.6
20

{s
I

II

II I

IV

I.ig. VIII.5. Diminuzione del fenomeno di chiusura in rapporto alle classi scolastiche.

tato, il che conferma che .trnnco. e.chioma non corrispondevano ad una


rappresentazione percettiva, che sarebbe dovuta essere unitaria, ma a due
rrozioni analiticamente distinte.
Il controllo statistico dei dati metteva in evidenza una significativit
assai alta che consentiva di dividere i soggetti in due gruppi: I , I I e I I I
classi, le cui distribuzioni confrontate tra loro non mostravano significativit statistica, IV e V c l assi, le cui distribuzioni non mostravano significatitiv statistica reciproca, ma che invece si distinguevano nettamente
(P. = ( ,0 0 1 e ) .O l l d a i d ati del primo gruppo.
T ale controllo statistico ci sembrato potesse voler dire che al d i
sotto degli otto anni disegnare l'albero con fenomeni di chiusura sia normale.
A tutt i i s o ggetti era stato chiesto di d i segnare un uomo, secondo
la tecnica della Goodenough; questo ha p ermesso un u h e r iore controllo.
Divisi i soggetti, di ciascuna classe, in due gruppi, il p r imo costituito da
quelli che avevano disegnato l'albero chiuso, il secondo da quelli che lo
avevano disegnato aperto, si p r o ceduto a v a lutare la e ventuale differ enza tra i d u e g r uppi d i c i ascuna classe prendendo come indice di r i ferimento le medie ottenute correggendo il disegno dell'uomo secondo le
indicazioni della Goodenough. Come evidenziato dal grafico, i soggetti
con fenomeni di chiusura si collocavano sistematicamente al di sotto della
m edia. Il c h e c onfermava l'ipotesi che indicava nel f enomeno di c h i usura, dopo gli o tt o anni, un r i t ardo nello sviluppo grafico.

278 -

52

50

w9
49g7

4.4
zi 3
I

II

IV

III

Fig. VIII.6. - I soggetti senza fenomeni di chiusura riportano sistematicamente, al


test della Goodenough, punteggi superiori alla media lM = 50i.

Dopo aver raccolto ed esaminati i disegni, si passati alla fase prop riamente sperimentale della ricerca articolata in due m omenti: 1 ) proiezione, per un tempo di 2' e 30 " d ella immagine di un albero e richiesta
di immediata rappresentazione grafica; 2) proiezione della stessa immagine dell'albero e i n vito a i s oggetti a c opiarla. I n q u esta seconda fase la
immagine restava ferma fino a quando tutti avvertivano d'aver terminato.
SOGGETTI CHE HANNO DISEGNATO L'ALBERO CON CHIUSURA
A LLA I, I I E I I I P R OV A l PERCENTUALIi SS = 3 3 2
Classi

I II
III
IV
U

I prova

II prova

59
57
64
48
41

62
52
62
42
26

III prova
59

45
48
34
15

La presentazione del modello e l ' i nvito a d i segnare o rievocando la


percezione, oppure copiando, modifica la rappresentazione grafica proporzio-

nalmente all'et. I bambini pi piccoli non paiono modificare affatto la loro

279 tenclenza a disegnare di testa: essi rimangono indifferenti allo stimolo


visivo e continuano a rappresentare quello che sanno. Usia modificazione
sensibile non appare prima degli otto anni e solamente in occasione della
seconda prova (copiare dal modello fermo). Nei soggetti oltre gli otto anni
la influenza del modello evidente soprattutto in q u elli i l cu i l i v ello di
s viluppo grafico era apparso, alla pr ima prova, in r i t ardo. Per i l r e s to
q uesti soggetti ottengono migliori risultati qualitativi nei t entativi di a v vicinarsi il pi possibile al modello.
A conclusione della nostra ricerca ci sembrato di poter dire che i
..bambini al di sotto degli otto anni uti lizzano, nella rappresentazione grafica, un meccanismo di r a p presentazione alla seconda potenza'. essi,
cio, disegnano una nozione e non una immagine precedentemente percepita (fase ideografica); solo dopo gli ott o anni cominciano lentamente ad
utilizzare il processo assai pi complesso della rappresentazione alla terza potenza (fase fisiografica).
La et di o t t o a nni appare quindi costituire un l i v ello m aturativo
di fondamentale importanza, almeno per quanto riguarda la percezione e
la rappresentazione grafica. E ci ci sembra confermato sia da quanto sosteneva Piron ( 1953), che occorressero otto anni perch l'essenziale
si crei nelle strutture percettive e l e v i e d i c o nnessiona tra le cellule
della corteccia cerebrale giungano ad una completa maturazione, sia da
quanto emerso dagli studi sulla maturazione del potenziale biolettrico cerebrale fatti da Netchine, e da noi sopra riportati.

' b. Percezione globale, sinestesia e percezionePsiognomica.


Nel capitolo precedente a proposito della percezione si fatto riferimento alle numerose ricerche con cui si tentato di verificaie l'assunto di
una percezione sincretica infantile nei confronti di una percezione sintetica
dei fanciulli pi grandi e degli adulti. stato mostrato come la proposizione
globalistica attribuita a Claparde e Decroly non abbia sempre una conferma sperimentale, non almeno nella maniera semplicistica nella quale pare
che la maggior parte degli educatori oggi la i ntendano. Questi sembrano
infatti pensare che sincretismo percettivo sia sinonimo di indistinzione
tra insieme e particolare, e su questa unilaterale interpretazione sono state
costruite tecniche didattiche particolari.
Tuttavia ricerche condotte da vari studiosi hanno dimostrato che un
tipo di o r g anizzazione percettiva sincretica poteva essere presente in
una percentuale di adulti, e non certo perch questi non fossero in grado
di distinguere percettivamente il tutto dalle sue parti. Le esperienze s i n es t e s i c h e sono una conferma di questa particolare modalit percettiva.

280 Werner cosi de6nisce la sinestesia:


In psicologia si usa solitamente il t e r mine s i nestesia per
indicare che uno stimolo particolare pu provocare non solo la sensazione speci6ca corrispondente, ma anche una seconda sensazione.

(H. Werner, 1970, pag. 90)


Egli, dopo aver fatto una rassegna degli studi sulla sinestesia sostiene
che alle origini (61ogeneticamente e ontogeneticamente) sia esistito un rapporto intersensoriale assai stretto e che la differenziazione tra i diversi sensi
nell'uomo debba considerarsi proporzionale sia allo sviluppo 61ogenetico della razza umana sia al processo di civilizzazione. Le popolazioni primitive tuttora utilizzano sistemi paralleli di suoni e di colori in modo da costituire tra
gli uni e gli altri varie possibilit di interscambio. Werner cita l'esempio degli indiani ZUNI , un a popolazione relativamente primitiva, i quali danno
un colore particolare alle direzioni spaziali; giallo al sud, rosso all'est, bianco al nord e nero all'ovest.
del resto nota la particolarit che hanno alcune persone di vedere
il colore dei suoni e dei t i m bri m u sicali, e come altri associno suoni a
lettere dell'alfabeto o a forme spaziali, Il poeta francese Rimbaud, ad esempio, cominciava cosi un suo celebra sonetto (Uoyelles):
A noir, E blanc, I r ougc, I.J vert, O bl eu
Zietz, (1931) studiando l'influenza del suono sui colori esposti per
1/100 di secondo, ha trovato che le variazioni in altezza di un suono (alto o basso) producevano mutazioni nella percezione delle gradualit del
colore.
INFLUENZE DEL SUONO SUL COLORE
con un tono basso

con un

Il rosso si muta in

rosso scuro, rosso bluastro

rosso giallastro, arancione

L'arancione si muta in

rosso, anche rosso bluastro

giallo

Il giallo si m uta in

to n o a l t o

marror.e, giallo rossastro, a


volte anche r o sso

b l u astro

giallo chiato

I l v erde si m ut a i n

verde bluastro, blu

verde chiaro, verde giallastro, giallo

I l bl u

viola, blu scuro

azzurro luminoso, chiaro,

si m uta in

azzurro v e rdastro

(Tratto da H .

W ernc, 1970, pag. 96).

281Sembra che il tono basso determini un incupimento della percezione


cromatica (verso il blu e il v i ola), mentre il tono alto determini una chiarificazione del colore (giallo, verde chiaro). probabile che fenomeni consimili si ottengano anche in relazione al tipo di strumento utilizzato; secondo alcuni i l s u ono dei v i o loncelli provocherebbe sensazioni tendenti
al porpora (viola e v i o loncello), il s u o no d egli o t t o ni s ensazioni giallorossastre.
inoltre fenomeno abbastanza diRuso la crcmoestesia dei ricordi di
infanzia: pare che t ali r i cordi p ossano riemergere rappresentativamente
associati a colori ed a tonalit.
B leuler e Lehman, Calkins, Argelander e altri ( t u tt i c i t ati d a W e r ner), a conclusione di ricerche sul cromatismo sensoriale, concordano nel
trovare che tale tipo di esperienza si trova nella proporzione di 30 bambini ogni cento, contro 14,2 adulti o gni cento. Tale t ipo d i p e rcezione
comincerebbe a declinare attorno agli 11. anni. Nella maggior parte degli
adulti essa solamente un ricordo della infanzia. Tuttavia il problema andrebbe analizzato secondo una prospettiva anche sociale, poich ev idente il ruolo che non puo non assumere, accanto all'elemento personalistico differenziale, il condizionamento culturale e l e abitudini percettive
legate all'ambiente.
W. Kohler, uno psicologo tedesco della scuola gestaltica, trov che
la maggior parte dei soggetti invitati ad associare parole senza senso (malumba e rakete) con forme grafiche, rispondevano senza esitazione legando
la parola malumba ad una figura curvilinea e la parola takete ad una fi.gura spigolosa.

Fig. VIII. 7. Malumha e takete. (Kiihler, Gestalr Psychologie, 1 967, Liveright pu.
Co., New York).

E continua con i l d i c h iararsi d'accordo con i l p o et a M o rgenstern


il quale sosteneva che tutti i g a b biani han l ' a ria di c hiamarsi Emma

(Khler, 1967, pag. 148).

282 Werner riporta una ricerca fatta da Krauss (1930) su un gruppo di


50 soggetti ai quali f u c hiesto di t r acciare de]le linee associandole a determinate cose e sentimenti. Al t ri 5 0 s o ggetti fu rono poi i n v i tati ad accoppiare le fi gure t r acciate dai soggetti del p r im o g r uppo con l e c o se
(oro, argento, ferro, ecc.) e con i s entimenti (malinconia, tristezza, rabbia, ecc.). La concordanza sugli accoppiamenti, che fu del 73,6 per cento,
meravigli e fu interpretata come una tendenza comune ad un tipo di percezione in cui atteggiamento affettivo e atteggiamento motorio concorrono
nell'organizzazione di un particolare processo che Werner ha suggerito di
chiamare f i s i o g n o m i c o .
La percezione fisiognomica fondamentalmente diversa dalla quotidiana percezione fisico-geometrica; la prima un t ipo di p ercezione organizzata in maniera sincretica, in cui c onfluiscono atteggiamenti, abitudini
motorie, tonalit affettive; la seconda richiede una rappresentazione realistica dei dati e una posizione chiaramente diacritica. Non affatto stabilito che nella percezione fiisiognomica sia il tu t to a p r e valere sulle parti,
poich la eventualit che sia un particolare a provocare la sincresia percettiva altrettanto frequente, specie nei bambini. La visione pars-pro-toto
, del resto, una modalit di integrazione percettiva assai nota specie agli
studiosi del Rorschach.
Per quanto la percezione fisiognomica, a differenza della cromoestesia, sia altrettanto frequente nei bambini che negli adulti, essa consider ata un f enomeno primario ( W e rner) nel senso di p r i m i ti vo d a to
che il cogliere la realt attraverso l'attivit affettiva e motoria appare,
in relazione alla percezione fisico-geometrica, come meno p r ogredita e
meno organizzata.
La figlia di Elsa Khler, Anna, di tre anni, meiitre era con la
mamma in una gioielleria, indic un curioso orologio che aveva due
pendoli diritti e disse: G u arda qui! Sta facendo. Prego. .. prego.
Quando il figlio di Stern, di 5 anni e mezzo, era intento a giocare
con i numeri, spesso sembrava che per lui essi diventassero vivi, indipendentemente dal fatto che fossero stampati o i n vece disegnati da
lui stesso. I l 5 s e mbra arrabbiato e i l 6 s t a p asseggiando lentamente... ,

(H. Werner, 1970, pag. 77)


Percepire fisiognomicamente, secondo Werner, non significa antropomorfizzare le figure: l a percezione fisiognomica precede, nel tempo, l'ant ropomorfismo infantile che potrebbe, tutt'al pi , conseguire come ulteriore elaborazione. Per i l l ustrare questa distinzione Werner disegna la
lettera

283-

Fig. VIII. 8

in modo che sembri chiamare qualcuno, e scrive


Ci non significa che la lettera diventata un braccio umano,
ma semplicemente che ha fatto propria la fisionomia di u n b r accio.
Diventerebbe un braccio, in senso veramente realistico, solo dopo una
trasformazione naturalistica niente affatto necessaria.
(H. Werner, Psicologia comparata dello sviluppo mentale, Editrice Universitaria, Firenze, 1970, pag, 77)
C hi scrive ha raccolto da una signora il seguente racconto: i s u o i
d ue bambini, un maschietto e una femminuccia rispettivamente di 1 0 e
7 anni, osservavano in silenzio il p aesaggio bagnato, oltre i v e t r i d e l l a
loro macchina in corsa. Era sera, i genitori sui sedili anteriori tacevano,
pioveva e i t e rgicristallo erano in azione. D'un t r atto la bambina, senza
alcuna preparazione dice: Quello fa un d isegno tondo e quello, svelto
svelto, lo cancella. I l f r a tello controbatte: N o , q u ello sta mangiando
e quello svelto gli porta via la roba da mangiare. I l r i f erimento al tergicristallo era ovvio, come anche evidente la percezione fisiognomica,
La percezione fisiognomica sembra diminuire verso i 1 0 anni, senza
mai scomparire del tu t to. Fssa appare correlata a disposizioni personalistiche affettive del t u tt o soggettive.
Sembra evidente che il problema della evoluzione percettiva nella et
i nfantile dovr essere riesaminato alla luce di t u tt i q uesti dati, fr utto d i
osservazioni non ancora sistematizzate ma difficilmente accordantesi con
la ipotesi semplicistica del globalismo percettivo infantile. Il p r i ncipale limite di questa ipotesi potrebbe essere, a nostro avviso, la considerazione
parcellare e segmentaria del processo percettivo, visto come un meccanismo di apprensione della realt asetticamente figurativo e completamente
avulso dalla r e a l t p s i c o l o g i c a st e s sa, che invece m o l a r e
e cio implicante la partecipazione massiva e transattiva dell'intera personalit, con quanto di strutturale e di funzionale essa comporta.
Il che del resto era quanto Decroly stesso probabilmente intendeva

dire e che molti hanno scordato a proposito della funzione di glob alizzazione che avrebbe, oltre a u n r i s volto p ercettivo, anche un r i svolto affettivo determinato e influenzato da tendenze personali del soggetto sia transitorie sia costanti. Ma a no i no n p are che tale concezione

284sia stata correttamente interpretata quando nella Premessa alla Riforma


dei programmi d'insegnamento per la scuola primaria del 1955 si legge:
Nella psicologia concreta del fanciullo l ' i ntuizione del tutto
a nteriore alla ricognizione analitica delle parti; cosl l a scuola ha i l
compito di agevolare questo processo naturale partendo dalle prime
i ntuizioni globali per snodarle via vi a n elle articolazioni di u n J i scorso riflesso.

p~ 4,

- LA INTELLIGENZA

Nel capitolo settimo, al m o mento di p a rlare della i ntelligenza nei


bambini dai tre ai sei anni, stata fatta una. digressione di carattere generale con l'intento di i l lustrare le due prospettive dalle quali possibile
s tudiare lo sv iluppo della i n telligenza: l a p r ospettiva quantitativa e l a
prospettiva qualitativa.
Con il termine di prospettitda quantitativa si inteso fare riferimento
agli studi cui l o s copo principale sia la misurazione della intelligenza e
che, conducendo alla costruzione di test e scale di livello, consentono di
conoscere q~anto e quello che i soggetti sanno ai diversi livelli d'et.
Con il termine prospettiva qualitativa si inteso accennare agli studi
cui scopo non sia tanto quello di m i s urare quanto quello di f o r n ire
ipotesi sui meccanismi e sui processi che consentono ai soggetti di arrivare
a sapere quello che sanno.
In altre parole, come stato detto, la prospettiva qualitativa cerca
di rispondere alla domanda come pensano, la prospettiva quantitativa
alla domanda che cosa sanno.
Il presente paragrafo adotter la medesima partizione: si parler prima degli studi e delle teorie qualitative e in seguito verranno presentati
metodi e problemi di misurazione.

I.

- LA PRO S PETTIVA QUALITATIVA

al Dalla intuizione alla operazione.


La prospettiva qualitativa , anche per il periodo da sei a dieci anni,
rappresentata principalmente dagli studi e dalle teorie di Piaget.
Secondo Piaget l'et da tr e a sei anni c aratterizzata dai pensiero
pre-operatorio di t i p o i n t u i t ivo. L a i n t u izione preopetatoria pu essere
definitacome una rappresentazione di una azione eoncreta,.ma, quanto pi
legata al dato percettivo, tanto pi r i gida, non trasponibile, p r imaria,
per dirla con Piaget; quanto pi libera dalla rigidit percettiva, capace di
espandersi nella duplice direzione della antecipazione delle conseguenze

285e della ricostruzione degli stati anteriori, tanto pi a r t icolata. Lo sviluyyo del pensiero procede, per equilibri successivi, verso la sempre maggiore liberazione dal d ato p ercettivo e v e rso processi operatori che, in
quanto tali, possano considerarsi rappresentazioni di azioni possibili.
Ma in che modo le intuizioni, legate al concreto dato immediato, si
trasformano in operazioni?
,Le. prime si t r a sformano nelle seconde, non appena costituis cono sistemi globali componibili e r eversibili ad u n t e mpo .

lJ. Piaget, 1967, pag. 57)


Scrive ancora Piaget:
J3ai 4 a 7-8 anni si stabilisce, in intima continuit con quello
precedente, ,il pensiero intuitivo che articolandosi progressivamente
arriva alle soglie dell'operazione.
Dai 7 a gl i 1 1 -12 anni s i o r ganizzano le op erazioni concrete
,cio gli aggruppamenti operatori del pensiero costruiti su oggetti manipolabili o suscettibili di essere intuiti.
,Dagli 11-12 anni e nel corso dell'adolescenza si elabora infine il
pensiero formale con gli aggruppamenti caratteristici dell'intelligenza
riflessiva e compiuta.

(J. Piaget, 1964, pag. 148)


Un esempio, pi volte citato da Piaget, illustra molto bene come dall'intuizione primaria si passi alla operazione, tramite la intuizione articolata e tutta una serie di assimilazioni ed accomodamenti successivi.
Anche un bambino molto piccolo sa distinguere due bastoncini, A e
B, in rapporto alla loro lunghezza: questa conoscenza frutto di u n r apporto percettivo o i n t uitivo. La r i gidit di questo processo per dimos trata quando, dopo avet mostrato i b a stoncini, A m i n ore di B , s i n a sconda A sotto la tavola e, mostrando due bastoncini B e C, in modo che
C sia maggiore di B, si chieda al bambino di dire se C sia minore o maggiore di A . I l b a m bino chiede di vedere assieme A e C , p erch non.sa
dedurre: i l su o p ensiero r i gido e l egato al d ato sensibile. Successivamente, avendo a d i sposizione molti b astoncini d i g r andezze diverse, il
bambino comincia con l'ordinarli a coppie, AB, CD, EF , ecc. senza coordinare le coppie tra loro; quindi passa a costruire piccoli gruppi e poi a
riunirli t u t t i assieme in un a u nica scala. Tuttavia la scala cosl cornposta
rimane ancora intuitiva, anche se articolata. Sar verso i 6-7 anni che
il bambino scoprir un m etodo operativo, che consiste nel cercare anzitutto l'elemento pi piccolo, e poi, ogni volta il pi piccolo di quelli che
restano, sino a costruire la serie totale, senza incertezze. in q uel m omento che egli scopre anche la r e v e r s i b i l i t d e l l e azioni e d ei

286rapporti, poich se A (
m ente C ) A .

B (

C ecc . , sar anche C ) . B)

A , e d i r e t ta-

questa conquista della reversibilit che conduce il pensiero dal livello pre-operatorio a quello delle operazioni concrete. Le scoperte operative non avvengono tutte d'un colpo: se le operazioni di seriazione con le
lunghezze sono scoperte verso i 6-7 anni, le operazioni i seriazione con
i pesi non lo saranno prima dei nove anni, e bisogner attendere gli 11-12
anni per raggiungere le seriazioni dei volumi.

I diversi livelli delle scoperte operative sono riscontrabili con degli


esperimenti sulla conservazione della sostanza, del peso e d e l v o l ume,
oramai classici. Si visto, nel capitolo precedente, che i bambini sotto i
seiwnni c]ikcilmente hanno la nozione della conservazione della sostanza:
di fronte ad una zolletta di zucchero che si scioglie, sotto i l oro occhi, in
u n bicchiere d'acqua, diranno che lo zucchero non esiste pi, che ne ri mane solo ilsapore, ma che tra breve anche quello evaporer. Dopo i
sette anni i b a mbini cominciano a rendersi conto che lo zucchero, riducendosi in tante bollicine sempre pi piccole, si mescolato all'acqua, e
quindi permane; tuttavia insisteranno nel dire che il p eso minore ora
che lo zucchera non si vede. Sar verso i nove anni che, rendendosi conto
c he le bollicine debbono aver u n p e so, sia pu r m i n i mo, l a s omma d i
questi pesi debba mantenere inalterato il p eso originario. Ma solo verso
gli 11-12 anni saranno capaci di e stendere lo stesso ragionamento alla
conservazione del volume.
La plasticit e reversibilit del pensiero sono proporzionali alle possibilit di operare correttamente con le seriazioni spaziali e temporali. Durante il periodo in cui i l p ensiero intuitivo, le nozioni spaziali e temporali permarranno rigide ed egocentriche: m ano a mano che il p ensiero passa dalla intuizione primaria alla i ntuizione articolata e al p e nsiero operatorio anche la costruzione spazio-temporale diventa pi flessibile e reversibile.
Utilizzando i m o delli s u e sposti sorretti d alla i p otesi del r apporto
reversibilit-irreversibilit del pensiero, Piaget ha condotto molte ricerche
sulla percezione della velocit, sulla durata, sulla costruzione dei rapporti
spaziali e delle nozioni temporali.
b. La c ostruzione dello spazio.
Utilizzando la tecnica delle rappresentazioni grafiche, Piaget ha studiato la evoluzione delle nozioni spaziali e gli stadi della costruzione dei
rapporti spaziali, Egli h a t r ovato che, superato lo stadio dello scarabocchio ( g riffonagel l o s v i luppo delle costruzioni spaziali attraversa tre
stadi:
1) Lo stadio topologicq, in cui gli unici rapporti rispettati nel disegno sono quelli di i n clusione-esclusione, vicinanza-lontananza. Nel dise-

287gno ~anca o~ni prospettiva e non sono rispettate le dimensioni degli.oggetti. In q uesto stadio come se il bambino disegnasse ogni oggetto da
solo, isolandolo dagli altri e concentrando tutta la sua attenzione sull'oggetto che sta disegnando in quel momento. Egli non p u, i n fatti, tener
presente pi di una idea per volta, n capace di mettere relazioni logiche
ri metriche tra idee e tr a oggetti. Piaget ha chiamato questo anche lo
stadio della geometria dell'oggetto.
2) j.o stadio proiettivo fa i l su o i ngresso non appena il bambino
c omincia a porsi i l p r o blema di r appresentare l'oggetto da un p u nto d i
vista. Egli, tuttavia, deve ancora fare i conti con il p r oprio egocentrismo
p ercettivo e, pertanto, non si r e nde conto di assumere, nei confronti d i
ciascun oggetto da disegnare, il p u nto d i v i sta p i f a vorevoie, senza
preoccuparsi della illogicit che questo continuo mutamento di prospettiva
provoca nella struttura del disegno. per questo che, dovendo disegnare
una strada contornata da alberi, rovescia gli alberi sul bordo della strada assumendo sempre la prospettiva frontale. Piaget ha chiamato questo lo
s tadio dei punti di v i st a .
3) Lo stadio euclideo fa la sua comparsa non appena l'egocentrismo consente al bambino di assumere, nei confronti del disegno, una unica
prospettiva che consente la conservazione dei rapporti metrici tra un o ggetto e un altro. questo lo stadio delle rappresentazioni operatorie che
richiedono la considerazione del disegno come di una t otalit reversibile
e mutabile solo se mutano, tutti n ello stesso senso, anche i rapporti i n terni, Piaget ha chiamato questo lo stadio della geometria degli oggetti .
c) La costruzione delle nozioni temporali,
La costruzione delle nozioni temporali r ichiede, secondo Piaget, la
presenza di processi operativi, e quindi la completa reversibilit del peris iero. Fino a quando il p ensiero permane entro i l i v elli i n t u itivi l a c o struzione del tempo, e cio la percezione e la stima delle durate e de ll'orizzonte temporale, non saranno corretti. E c i perch a livelli pre-operatori la pregnanza della configurazione spaziale, o dei r apporti spaziali,
impedisce l'astrazione e la re v e rsione in dispensabili per c o nsiderare la
serie temporale come a s, e cio indipendente dalle altre seriazioni.
L e ricerche esposte da Piaget nel suo ormai classico lavoro L e d eveloppement de la n otion de t emps chez l'enfant (1.927) mostrano assai bene come sino ad un certo livello di sviluppo i r apporti spaziali impediscano il corretto apprezzamento dei r apporti t e mporali. p o ssible,
in questa prospettiva, distinguere tre stadi:
a. - l'elemento spaziale pregnante e dominante sull'elemento temporale (stadio della intuizione primaria);

288b. - l'elemento spaziale e l'elemento temporale sono distinti, ma non ancora coordinati tra loro (stadio della intuizione articolata);
C.

l'elemento temporale percepito come una serie a s stante, reversibile e la coordinazione con la seriazione spaziale consente passaggi
dall'uno all'altro (stadio del pensiero operativo).
L'esempio chiarir i t r e stadj.

Due pupazzi di colore diverso erano collocati su una tavola e disposti in modo che, battendo sulla tavola, avanzassero a salti. Le cose erano
state combinate in modo che al primo colpo il I p u pazzo coprisse un trag itto maggiore di quello coperto dal II p u pazzo, al secondo colpo il I p u pazzo stesse fermo e il I I p u p azzo facesse un altro salto in avanti senza
tuttavia raggiungere il p u nto i n cu i i l I p u p azzo si era fermato.

gO

Fig, VIII. 9

A i b ambini ch e avevano assistito al l'esperimento veniva p osta l a


seguente domanda: Q u ale dei due pupazzi si fermato prima?, o, ad
evitare confusioni tr a i l s i gnificato temporale e i l s i gnificato spaziale di
prima : I l p r i m o si f ermato a mezzogiorno, all'ora di mangiare; il
secondo si fermato prima o dopo mezzogiorno?.
I bambini pi piccoli (et 4-5 anni) non diRerenziavano la durata
dallo spazio p ercorso e per l o ro , senza possibilit di d u bbio, si era
fermato prima il II p u p a zzo (intuizione primaria).

Ad un livello superiore (et 5-6 anni) i bambini distinguevano la durata e la successione dalla rappresentazione spaziale, ma non riuscivano a
farlo contemporaneamente: essi potevano sostenere che non si erano fermati nello stesso tempo (durata) perch il I I p u p azzo aveva camminato
pi a lungo, ma che il I I s i e r a f e rmato prima di m e zzogiorno (successione), oppure il v i ceversa (intuizione articolata). Solo verso i 7 - 8 anni
i fanciulli erano capaci di d edurre l a successione dalla durata e l a d u r ata dalla successione (pensiero operatorio) e dire che poich il I I a v e v a

289camminato pi a l u n go d oveva anche essersi fermato dopo rnezzogiorno.


Queste stesse difficolt nell'uso distinto e coordinato delle due serie,
spaziale e temporale, all'origine di numerose altre credenze e valutazioni non corrette dei bambini piccoli. n o to, ad esempio, che spesso
essi sono tratti in inganno dalle relazioni fisiche di a ltezza nella determinazione dei rapporti d'et. Sembra quasi che essi pensino che il tempo
passi fino a che si c resce, e poi non passi pi; ci l i c onduce a considerare come indifferenziato il t e m po d egli adulti e c r ea loro n o tevoli difficolt quando si tratti di valutare differenze di et tra i g r andi .
L'affermazione tanto comune nei b ambini m o lto p i ccoli Q u ando sar
grande sposer la mamma (o la nonna) t rae la sua convinzione proprio
dalla identificazione tra relazioni spaziali e relazioni temporali e dalla certezza che la u g uaglianza dei grandi nei c o nfronti d ei p i c c oli s i
estenda anche alle uguaglianze d'et.
Anche per questo problema le soluzioni che i b ambini propongono
differiscono a seconda dei loro l i velli d i s v iluppo mentale e, quindi, dei
processi di p ensiero ut i lizzati: a l l i v e llo d ella i n t uizione primaria sar
l'altezza (il rapporto spaziale) a dettar legge sull'apprezzamento della vecchiaia. Non so se sia pi vecchio il pap o il. nonno possono dire al-

cuni bambini che hanno il babbo e il nonno della stessa statura. Alla domanda Tua nonna pi vecchia di tua madre? possono rispondere di
no, e, se ancora interrogati, spiegare: Tu a nonna diventa ogni anno pi
vecchia? R e sta la stessa E t u a m a dre? c< Anche lei la stessa
E t u ? N o , i o d i v ento pi v ecchia,
Ad un livello successivo le et vengono dissociate dai valori spaziali
e messe in relazione all'ordine delle nascite, ma, o le differenze di et non
si conservano nella vita, oppure non si sanno mettere in r elazione con
l'ordine delle nascite (intuizione articolata ).
Monica (7,10) ha u n 'amica, Eliana: Q uanti anni h a ? Nove e mezzo
E tu ?
Sett e e m e zzo Chi pi vecchia>Eliana Di quanto? Due anni
nata prima o dopo di te? Prima Quanti anni prima? Quanto prima? Non lo so
possibile saperlo? N o D u e anni prima?
No, non due
anni Q u ando tu sarai donna, Eliana sar pi vecchia o pi g i ovane di te? P i v e cchia D i q u a n to? N o n l o s o
Du e
a nni come adesso? No , d i p i .
.

(J, Piaget, 1969, b, pagg. 207 et passim)


Sar solo verso gli 8- 9 anni che l e serie potranno essere correlate
tra loro e u t i lizzate reciprocamente (pensiero operatorio).
Per studiate la nozione di v elocit di crescita nei fanciulli Piaget
ha utilizzato una tecnica assai ingegnosa. Ai soggetti venivano presentati

290 11 cartoni, in sei dei quali erano disegnati dei meli e in cinque dei peri:
i disegni degli alberi erano stilizzati, cosicch i meli si distinguevano dai
peri solo perch tra i r ami dei pr imi erano disegnate mele, mentre tra i
rami dei secondi comparivano pere. Tutti gl i alberi mutavano di proporzioni e di p articolari, come se crescessero, da un disegno all'altro, ma il
rapporto di crescenza dei peri era superiore a quello dei meli, ed era simboleggiato anche dal numero dei f r u tt i t r a l e f r o nde, che rispettava lo
stesso rapporto. In altre parole, bench il pero, come si vedr, fosse piantato dopo il melo, cresceva pi in f r etta.
Ai bambini veniva detto che si era piantato un melo e lo si era fotografato ogni anno; al secondo anno si era piantato anche un pero, che
veniva anch'esso fotogtafato ogni anno. Le serie dei disegni erano quindi
disposte come segue:
P <<Mz, P z < M ) ,

P z

4, Pq> M > , P s > M ~

Le domande che venivano rivolte ai bambini erano 1) quale albero


fosse pi vecchio in un d ato anno e 2 ) di quanti anni. Le reazioni ottenute apparvero perfettamente concordanti con le teorie sinora esposte. Le risposte corrette, che richiedevano operazioni di coordinazione spazio-temporale (distinguere il t e mporale pi v ecchio, dallo spaziale pi grande)
erano date solo dal 50% dei soggetti tra i 6,6 e i 7 , 6 e da pi del 75 %
dei soggetti tra i 7,6 e i 9 a n ni. I l p r imo stadio era caratterizzato da una
totale indiHerenziazione tra altezza dell'albero e et, il s econdo stadio da
una differenziazione graduale dovuta alla intuizione articolata. Le risposte
corrette, ancora una volta corrispondevano ai livelli dei processi operatori.
Partendo dalla ipotesi di Piaget sulla costruzione delle nozioni temporali, abbiamo voluto controllare, con una tecnica particolare, se la pa-

dronanza delle relazioni seriali di spazio e di tempo correlasse con l'orizzonte temporale dei f anciulli secondo le

t a ppe sopra descritte ( L ostia,

1967, b).
Abbiamo, per l'occasione, costruito un dispositivo assai semplice costituito da un rettangolo di cartone di cm. 71 x 51 posto verticalmente su
un supporto di legno e inciso orizzontalmente da una finestra di cm. 53 x 4.
Mediante collage abbiamo disegnato, attorno alla fessura, una scuola, con
la porta e le finestre corrispondenti all'intaglio, orientate (ingresso) da sinistra a destra (porta d'uscita). Nel retro del rettangolo, in corrispondenza
della fessura, avevamo messo un indice graduato suddividendo lo spazio
in nove parti ( i n o v e mesi della scuola, da ottobre a g iugno), ciascuna
p arte ancora suddivisa in 3 0 p i ccole parti, corrispondenti ai g i orni d el
mese (non si t enuto conto delle differenze in pi o i n m eno per mesi
lunghi e brevi).

Fig. VIII . 10. - I l

d i spositivo per l o s t udio della costruzione deU.'orizzonte tem-

porale nei fanciulli.

Fig. VIII. 11. - Un

f anciullo colloca i c o n t rassegni sul s u pporto.

292 Dopo aver spiegato, in modo adeguato, ai soggetti che quel disegno
simboleggiava un intero anno scolastico, li invitavamo a collocare dei cont rassegni (un bambino che studia, un albero di N a t ale, un u ovo d i P a s qua, un bambino con un dono) in c orrispondenza del giorno in cui v e niva eseguita la prova, del Natale, della Pasqua e del proprio compleanno.
Sono stati in questo modo esaminati 148 soggetti, tutti maschi, suddivisi
in 5 classi scolastiche:
Classe

N. soggetti

Et media

52
25
24

6,3

I
II
III
IV
V

77
8,2
9,6
10,5

27

20

148

Ad evitare complicati calcoli algebrizzanti, si studiata una formula


che consentiva di t r asformare gli errori i n p u nt i ch e andavano, per cias cuna prova, da un m i nimo di 0 ( n essun errore) a un m assimo di 1 0 0 .
Nella tabella che segue e nell'istogramma che la i l l ustra sono riportate,
per ciascuna classe, le medie degli errori nelle singole prove.
MEDIE DI ERRORE
NELLE PROVE DI COLLOCAZIONE TEMPORALE
Prove

Classi
I
II
III
IV
V

73,38
40,08
44,75
35,78
25,50

98,87
68,24
40,96
39,97
22,90

A =

91,51
84,64
77,75
27,12
32,70

81,85
6 4,41

87, 48
73,2 7

6,3
7.7

61,19

62,56

8)2

29,68
41,65

31, 41
29, 0 0

9,6
10,5

i n i zio della prova; B = N a tale; C = P a squa; D = compleanno senza riferi-

mento alle prove precedenti; E =

c o m p l eanno rapportato alle collocaziani precedenti.

Come si vede la g a m m a d egli errori andava da 22,90 (V elementare, prova di Natale) a 98,87 (I e l ementare, prova di N atale).

293 Le prove sono avvenute tra il 14 novembre e il 1 7 dicembre, il che


p u avere agevolato i f a nciulli che eseguivano le prove nei periodi p i
vicini al Natale.
L'analisi dei risultati ha consentito di r adunare i dati, per significativit statistica, in due gruppi:
il p r imo gruppo formato dai dati dei soggetti appartenenti alla I e I I
classe. Fra questi dati non sono emerse differenze signiftcative al controllo statistico, anche se possibile che i b a mbini pi p i ccoli, pur
comprendendo perfettamente le c onsegne, effettuassero assai spesso
collocazioni a caso per mancanza di strumentazione culturale;
i l secondo gruppo costituito dai dati dei soggetti di I V e V e l e mentare, fra i quali non era emersa differenza statisticamente apprezzabile,
mentre tutti i d at i si di fferenziavano da quelli del primo gruppo con
P +- .03.

100

80
70

60
>t0

30

20
II"

I II "

I V"

V"

Fig. VIII. 12. - Media errori c o mmessi da soggetti d i s c uola pr imaria nelle prove d i
valutazione temporale. A =
d a t a del giorno della prova; B = - N atale; C
E = d a t a del compleanno, ranportato.

Pasqua;

294I dati dei soggetti della terza classe sono apparsi intermedi a quelli
d egli altri du e gruppi, senza significativit statistica n con i l p r im o n
con il secondo gruppo. Tuttavia, se si calcola la signi6cativit statistica in
maniera pi analitica, talvolta il tipo di errore commesso dai ragazzi della
terza elementare appare simile al tipo di errore commesso dai soggetti del
primo gruppo (co]locazione per Pasqua e per compleanno), talaltra invece
l'errore del tipo commesso dai soggetti del secondo gruppo (collocazione
di partenza e di N atale). Infatti i s oggetti della terza classe, possedendo
u na strumentazione culturale temporale sufBciente per o rientarsi su u n
n ormale calendario, c o m mettevano u n t i p o d i er r o r e q u a n t i t ati v o ,
semplicemente sbagliando gli accostamenti e l e d i s tanze approssimative

per la collocazione della data del giorno della prova e del Natale, errore
che, nella sua struttura era simile a quello che potevano commettere i ragazzi pi g r andicelli, anche se q uantitativamente inferiore. L e c o l locazioni della Pasqua e del comp]eanno richiedevano invece la capacit di
u tilizzare la serie spaziale distintamente da quella temporale ma in f u n zione di quella: i n f atti, mentre nei normali calendari la Pasqua si trova
prima del N atale, nel nostro test veniva dopo. I b a mbini della terza
classe commettevano l'errore di c o nfondere la serie spaziale con quella
temporale e di non r iuscire a fare una collocazione esatta per la Pasqua.
In altri t ermini, mentre per i l N a t ale era sufliciente spostare il contrassegno in avanti, pi o m eno v i cino alla data giusta, come con qualsiasi
calendario, per la Pasqua era necessario rappresentarsi la collocazione pasquale nel norrnale calendario, rapportare quello alla situazione sperimentale, quindi effettuare la collocazione utilizzando un processo mentale di
tipo operatorio. In questa situazione i ragazzi della terza classe si comportavano come quelli del primo gruppo, e cio o t entavano di collocate la
Pasqua prima del N a tale, oppure risolvevano l'imbarazzo facendo delle
collocazioni a caso. Analogo era il c omportamento per l a m aggior parte
delle collocazioni del compleanno.

In sostanza ci sembrato che la nostra ricerca, confermando i d ati


teorici di Piaget, abbia mostrato come al di sotto degli otto anni. l'orientamento spaziale sia ancora dominante nelle valutazioni temporali, le quali
appaiono pi di t i p o i n t u itivo (non mancano naturalmente gli esempi di
intuizione articolata) che di t i p o operatorio. , quindi, dopo gli o t t o
anni che la serie spaziale comincia ad essere distinta come un tutto dalla serie temporale.
Questa distinzione, tuttavia, non senza confusioni e tentennamenti: l ' abitudine percettiva a lasciarsi dominare dalla pregnanza
spaziale interferisce ancora, riportando molto spesso il bambino al
tipo di r a gionamento percettivo pr ecedente. La n on c o mpleta conquistata reversione del pensiero crea molte di6 colt quando il b am-

295 bino posto nella necessit di considerare possibilit diverse da quelle che ha oramai acquisite con la conoscenza del calendario.
(M. Lostia, 1967 b, pp. 246-247)
Il

- L A P R O SPETTIVAQUANTITATIVA

Si gi parlato abbondantemente delle Scale di intelligenza o di


livello, e della loro ut ilizzazione durante l'et prescolare. stato, infatti, precisato che i bambini, al di sotto dei sei anni, devono essere sempre esarninati individualmente, in p r i mo l u ogo perch essi sono difhcilmente motivabili alle prove e la loro relativa labilit attentiva richiede
l'adattamento dei te mpi d' esame al ritmo i n d ividuale di r esistenza, e, in
secondo luogo, perch la loro capacit di comprensione e di ritenzione delle consegne che l'esaminatore impartisce prima della esecuzione del test
richiede una maggiore flessibilit e plasticit da parte dello psicologo.
I fanciulli d i 7 - 8 a n ni, per q uanto ancora dotati d i u n a s t rumentazione primitiva per quel che riguarda la lettura e l a scrittura, sono abituati, dal ritmo scolastico, ad ascoltare le consegne ed a rispettarle, e hanno inoltre un m aggior livello di m a turazione che consente loro una pi
ampia stabilit attentiva nell'applicazione e una produttivit pi l i neare.
Sono queste condizioni che consentono il r i c orso ai t est collettivi.
Si chiamano test collettivi i r e attivi m entali la cui applicazione simultanea a diverse persone, che vi lavorano per singolatmente, consentita
dal numero esiguo delle i struzioni e d a lla u n iformit delle prestazioni.
Uno dei pr imi r eattivi d i q u esto tipo s t ato l ' A RMY ALPIIA, costruito
in U.S.A. durante la prima guerra mondiale con lo scopo di effettuare rapide selezioni tra il p ersonale militare in m odo da poter avviare ciascun
soldato verso la specializzazione pi adatta al suo livello e alle sue attit udini. I l s u ccessivo ARMY BETA fu u n a d attamento dell'ARMY ALI HA
per analfabeti e r eclute di o r i gine straniera, non i n g r ado d i i n t endere
correntemente la lingua inglese.
Da queste due forme, subito dopo la guerra, fu costruito il NATIQNAL
INTELLIGENGE TEsT

(1921) che pu considerarsi il padre dei reattivi col-

lettivi per l'et evolutiva. Questo reattivo oggi conserva soltanto un interesse storico: esso stato sostituito da numetosi altri, costruiti su ipotesi
via via pi adeguate alla soluzione del problema e conseguentemente pi
raffinati e pi aderenti alle misurazioni che si propongono.
a) Attendibilit e v alidit dei t est.
Il problema della misurazione della intelligenza in et scolare e degli
strumenti normalmente utilizzati si presta ad un discorso di carattere gen erale che investe i concetti di a t tendibilit e di v a lidit dei test, i n -

296 fatti ovvio che la costruzione di un test non possa, oramai, essere affrontata empiricamente con la semplice successione di domande e item a difficolt crescente, cosi come aveva potuto fare settanta anni or sono Binet.
Un test di m i surazione tanto pi u t il e quanto pi , dimostratamente,
a tte n d i b i l e e v al i d o ,
Anna Anastasi definisce la attendibilit di un test come la varianza
dovuta ad errore, con questo intendendo dire che la applicazione di un
test comporta inevitabilmente una quantit di e r r o re imputabile sia alla
incostanza stessa del fattore o della attitudine che si vuol misurare ( noto
come, specie in et evolutiva, i f attori, come la intelligenza, o pi esattamente, la resa imputabile all'intelligenza, non abbiano una p rogressione
sempre lineare e proporzionale e come siano invece soggetti a sbalzi improvvisi ed anche ad improvvise regressioni temporanee dovute probabilmente a ritmi differenziali di maturazione), sia alla incidenza, sul comportamento misurabile, di variabili oggettive (quali le condizioni ambientali,
la situazione termica, il rapporto di empatia con lo sperimentatore, ecc. )
e di variabili soggettive (quali la m otivazione del soggetto, le condizioni
di salute, lo stato dell'umore, ecc. ).
Esistono diversi criteri per l a v a l utazione della a ttendibilit di u n
test; sostanzialmente per essa si misura;
1) con la r i petizione dello stesso test allo stesso gruppo di soggetti, a distanza di tempo determinata, e la correlazione dei punteggi ottenuti nelle due somministrazioni;
2) con la somministrazione di due test paralleli, e cio misuranti
lo stesso tratto, e la correlazione dei risultati;
3) con la d i visione del test i n d u e m et e i l c o n fronto dei d ati
ottenuti dal soggetto in ciascuna delle due met.
Il controllo del test con una di q ueste tecniche consente di apprezzarne la fedelt ne l t e mpo, e c io l a s t abilit n e ll e misurazioni.
In parole pi semplici il discorso sulla attendibilit si riduce a controllare
se un test esprima sempre in punteggi identici situazioni identiche.
La validit di un test pu essere definita come la utilit e la precision e con le quali un dato tratto viene misurato. Vi sono diversi tipi di v a lidit di un t est, ma quella che pi colpisce per la sua immediata utilit
p ratica la v a l i d i t p r e d i t t i v a , e cio la capacit che ha quel
test di consentire pronostici sulla futura realizzazione di avvenimenti legati al tratto che viene misurato.
Il mezzo pi semplice per misurare la validit di un t est quello di
confrontarne i risultati con i risultati ottenuti tramite un altro test, la cui
validit sia gi stata ampiamente dimostrata. Per esempio, se si appena
c ostruito un n u ovo t est per l a m i surazione di u n f a t t ore, mettiamo ri -

297 guardante la at titudine al calcolo matematico, se ne pu controllare la


validit applicandolo ad u n g r u p po s ufficientemente rappresentativo di
soggetti la cui attitudine numerica sia stata precedentemente misurata con
un altro test a validit gi nota (il reattivo N d i T h u rstone, ad esempio)
e correlando, quindi, i d ati o t tenuti con i du e test.
Il fatto che oggi questo sia il mezzo pi comune per misurare la validit di un t est ne f a spesso dimenticare l'origine empirica. In al tre parole comincia a succedere in psicologia quello che da tempo accaduto per
altre scienze pi antiche e pi perfezionate: l'abitudine di r i ferire la precisione di uno strumento nei t ermini d i u n a l tr o s t rumento che lo controlla, o di t arare u n a pparecchio con un altro apparecchio, ha fatto
dimenticare l'origine empirica dei primi strumenti la cui validit non poteva essere controllata in maniera scientiffca poich mancavano, naturalmente, gli strumenti che dovevano controllarla. Oggi n a turale con-,
trollare la precisione di un orologio (validit predittiva) su un cronometro
di alta precisione, ma i primi orologi della storia (clessidre, meridiane) dovevano venir controllati con il r i f erimento ad eventi naturali quali l'alba,
il tramonto, il mezzogiorno, ecc.
In realt il criterio empirico per la valutazione di un qualsiasi strumento quello di osservare il grado di corrispondenza tra la misurazione
effettuata e il successivo avvenimento in natura, o tra la predizione che la
misurazione consente e la regolarit con l a quale tale predizione si realizza. Cosi, in psicologia, il criterio empirico per la valutazione di un test
quello di applicare un test a un gruppo di persone di cui si conosca in
precedenza la distribuzione del tratto che si intende misurare e studiarne
i risultati, o, meglio ancora, aspettare che gli av venimenti futuri smentiscano o confermino le predizioni che stato possibile fare sulla base dei
risultati di un test. Naturalmente, in entrambi i casi non sar il test a valutare il t r at to o l ' a t t i t udine, ma questi a validare il t est.
Probabilmente, il cr iterio pi comune utilizzato per la validazione dei reattivi di i n t elligenza un qualche indice del profitto scolastico. Per questo motivo, t ali r e attivi sono stati considerati, con
maggior precisione, come misure di a t t i tudine scolastica. Gii i n dici
specifici utilizzati come misure del criterio comprendono le votazioni
scolastiche, i punteggi in r eattivi d i efficienza, le votazioni riportate
agli esami ffnali, i p r emi speciali e l e menzioni, la valutazione degli
insegnanti o degli istruttori circa l'intelligenza.

(A. Anastasi, 1967, I, pag. 168)


Da queste premesse si comprenderanno le r iserve che gli p sicologi
avanzano nei confronti d i r accolte di d ati e d i m i s urazioni della intelligenza fatte da persone non sufficientemente al corrente di tutte le prob1em atiche che l'uso dei test implica; esistono accordi internazionali di t i p o

298 deontologico che vietano la diffusione e l'uso di test psicologici da parte


di persone non accreditate scientificamente. Questo, ovviamente, non impedisce il proliferare di abusivi che, anche in buona fede e in perfetta
ignoranza, ritengono del tutto fuor di luogo tali cautele e si cimentano con
volont buona e ingenua con test e misurazioni.
b) I r e a ttivi c ollettivi c omunemente.usati
I reattivi collettivi per f anciulli da 6 a 1 0 a nni d i p i c omune utilizzazione in I t a lia sono le M ATRIci PRQGREssIvE DI RAvEN, nelle due
forme 4 7 e 3 8 , i l M o s A Ico DI GI L LE, nelle due forme r i d o tt a
e completa e il TEsT DELL UQMQ della Goodenough. Naturalmente esistono molti altri r eattivi collettivi altrettanto validi: t u t t avia quelli indicati qui sopra sono tra quelli che riscuotono maggiori consensi.
Tanto le M atrici di R aven che il M o saico di G i ll e sono studiati in
due forme, l ' una o t tenuta dall'altra con u n p r o cedimento di r i d uzione
degli items, e coprono tutta l'area dai 6 ai 1 0 anni. I l t est di R aven richiede un minimo d i i s t ruzioni all'inizio, dopo di ch e i l f a nciullo viene
lasciato lavorare per un tempo stabilito in precedenza (normalmente da 20
minuti a mezz'ora); il t est m i s ura la I n t e lligenza Generale, detta
anche Fattore G d i Spearman, e cio le capacit astrattive, dalla analogia alla deduzione pluridimensionale, con un minimo di r i f erimento alla
strumentazione culturale.
Il M osaico di G i ll e appare pi complesso e richiede istruzioni verbali di maggiore durata che mutano quasi ad ogni item; esso misura diverse attitudini, da quelle spaziali alle temporali e a quelle numeriche, oltre ad una serie di conoscenze culturali, radunate sotto tre gruppi fondamentali: Conoscenze Elementari (C.E.), Ragionamento Logico (R.L.) e Os-

servazioni di Disegni (O.D.).


Naturalmente i dati hanno bisogno di tarature p eriodiche, e ci
per adattarli sia alle diverse popolazioni e alle diverse condizioni sociali,
sia ai cambiamenti nei livelli medi che, come stato detto, paiono avanzare di generazione in generazione.
A. M. M aderna e S. Valseschini (1967) hanno recentemente riproposto una taratura delle PM38 di Raven esaminando 290 soggetti al termine
d ella scuola elementare e rivedendo al termine della scuola media i 1 3 9
che avevano continuato gli studi sino al conseguimento del diploma. risultato che tutti i s o ggetti che avevano ottenuto i p u n teggi pi bassi al
Raven (I P entile) erano insufficienti scolastici, mentre tra i s oggetti del
IV e V P e n t il e ( B uono e O t t i mo ) solamente il 2 4 % e r an o scolasticamente insufficienti.
Questa ricerca, se da un lato conferma la validit predittiva del test,
dall'altro mette in guardia sul margine di errore possibile.

299Nella correlazione e utilizzazione dei dati forniti dai test indispensabile tener sempre sotto controllo l a v a riabile socio-culturale dell'ambiente di pr ovenienza del soggetto, poich, come costantemente dimostrato dalla letteratura, tutti q uesti reattivi si d i mostrano assai sensibili
nei confronti delle variabili ambientali.

A.M. Cormio Germano (1967), curando la riduzione del Mosaico di


Gille ha lavorato con soggetti di d i ff erente estrazione sociale (campione
superiore e campione inferiore) tu tt i d e llo stesso livello scolare e della
stessa et cronologica e ha t r ovato medie la cui di fferenza statistica era
sistematicamente significativa.

C ampione Superiore
M edia punteggio Gill e

C a m pione Inferiore P .

51,17

36,72

.01

Controlli condotti da chi scrive con il test della Goodenough nel corso di diverse ricerche hanno sistematicamente confermata la sensibilit di
tale test (e di test consimili ) alle variabili ambientali. La t abella che segue mostra le medie, in punteggio bruto, ottenute in tr e gruppi di b ambini dello stesso livello scolare, di et uguale (o quasi) in tre diversi ambienti culturali:

et media
Cagliari
Perdasdefogu

punteggio
medio

sigma

6,4

11,53

6,11

13,36

3,91
4,20

P.

N SS
81

56
.005

Escalaplano

6,11

10,75

2,69

57

I l gruppo di C agliari era costituito d a soggetti provenienti, per l a


maggior parte, dal ceto medio-impiegatizio cittadino. I g r u ppi d i P e rdasdefogu e di Escalaplano si sarebbero potuti considerare omogenei sino a
una quindicina di anni o r s ono: i d u e p aesi appartengono ad una zona
sottosviluppata del centro della Sardegna ove le attivit economiche prin-

cipali erano la pastorizia e l'agricoltura. Da qualche anno a questa parte a


Perdasdefogu stata impiantata una base missilistica sperimentale, il che
ha portato notevoli modificazioni nella struttura socio-economica e culturale del centro. Controllando le professioni dei padri dei soggetti dei due
gruppi, si appurato:

300 Perdasdefogu
Pastori e contadini

7,14

Escalaplano

Operai

46,42

31,58
50,88

Militari
Altri

30,35
16,09

17,54

100,00

100,00

La distribuzione delle professioni non ha bisogno di commenti: essa


spiega abbondantemente perch i bambini di Escalaplano, per la massima
parte figli di p astori e d i o p erai (82% l e q u i ndi appartenenti ancora ad
un'area di depressione socio-culturale, abbiano il rendimento pi basso al
test di livello. I b ambini di Cagliari, bench pi giovani, hanno un rendimento intermedio tra quello dei bambini di Escalaplano e quello dei bam-

bini di Perdasdefogu.

5. - LA VITA AFFETTIVA.
a. Il p eriodo di l a tenza.
Il periodo dai sei ai dieci anni rappresenta il momento in cui si pongono le basi delle pi i n tense relazioni sociali. I f a nciulli, a q uesta et,
si cercano, formano gruppi, bisticciano e si d e testano sempre appassionatamente e drammaticamente. La vita affettiva, in questa fase, ancora
per buona parte sotto il dominio della emotivit primaria, e la socializzazione ha ancora bisogno di tempo.
Dopo il superamento del complesso di Edipo, dice Freud, lo sviluppo sessuale subisce un arresto o una stasi e il f anciullo appare meno
a nsioso e m en o t o r m entato d a q u esti i m p ulsi. E d qu e s t a relativa
serenit che gli consente di affrontare e tollerare l'intenso processo di socializzazione e culturizzazione della scuola. Il .fanciullo, durante questo
s t a d i o d i l a t e n z a rimuove la maggior parte delle esperienze e dei
pensieri dei periodi precedenti, cosicch cadendo nell'oblio la nostra prima
infanzia di norma perduta. Severe censure e resistenze, d'ora innanzi, si
ergeranno tra la coscienza e tutto quanto stato fantasticato durante la
prima infanzia.
Del resto, collegare l'amnesia infantile a quella isterica pi
che una mera battuta di spirito. L'amnesia isterica, che serve alla r!mozione, si spiega soltanto con la circostanza che l'individuo possiede gi un patrimonio di t r acce mnestiche, le quali sono sottratte a

301una disponibilit cosciente e che ora attirano a s per collegamento


associativo il materiale su cui, dalla sfera cosciente, agiscono le forze
repulsive della rimozione. Senza amnesia infantile, si pu d i re, non
vi sarebbe amnesia isterica.

(S. Freud, 1970, IV, pag. 486)


L'Io e i l S u p er-Io sono d ivenuti sufficientemente forti e l a v orano
assieme a tener lontani i r i cordi delle pulsioni sessuali utilizzando i meccanismi di sublimazione e di formazione reattiva e canalizzando le energie
i stintive verso la cultura, le relazioni sociali e i r a pporti familiari. I l S u per-Io, per suo conto, erge la propria barriera sotto f orma di s enso di
disgusto, di vergogna, di gerarchie morali, guardiani di q uel che stato
rimosso.
Si pu osare una ipotesi anche sul meccanismo di t ale sublimazione. I m ot i sessuali di q uesti anni d ' i nfanzia sarebbero, da un
lato, inutilizzabili in q u anto le f unzioni procreative sono rimandate,
e questo il carattere principale del periodo di l atenza, d'altro laro
sarebbero in s perversi, cio deriverebbero da zone erogene e sarebbero sorretti da pulsioni che, vista la direzione dello sviluppo individuale, potrebbero soltanto provocare sensazioni di d i spiacere. Perci essi risvegliano forze psichiche contrarie (moti d i r eazion"), che
c ostruiscono per una attiva repressione di tale dispiacere i det i a r gini psichici: i l d i sgusto, il p u dore e l a m orale .

(S. Freud, 1970, IV, pag. 489)


In altre parole, secondo il pensiero di Freud, il p eriodo felice della
sessualit senza peccato, della r icerca della soddisfazione libidica senza
pena e senza colpa si collocherebbe nella prima infanzia e andrebbe irrimediabilmente perduto con la costituzione delle formazioni reattive e delle
censure superegoiche che caratterizzano il periodo di latenza.
La esistenza di un periodo di latenza libidica non impedisce che ogni
tanto irrompa una saltuaria manifestazione sessuale che si sottratta alla
sublimazione, oppure per tutto i l p eriodo di l atenza si conserva una attivit sessuale ffno all'irrompere intensificato della pulsione sessuale nella

pubert (ibidem).
Freud sembra pensare che questo periodo di r elativa calma libidica
agevoli i processi di integrazione sociale e quelli di esplorazione cognitiva.
E che il periodo della socializzazione primaria coincida con il p eriodo di
latenza non soltanto per fortune, ma anche per convenienza sociale.
b. Normalit e a n ormalit del p e riodo di l a t e nza.
Tuttavia questa opinione di F r eud sulla relativa calma sessuale che
interverrebbe tra i sei-sette e i nove-dieci anni sembra trovare una smentita in un t r i plice ordine di osservazioni;

3021. Gli studi di antropologia culturale hanno messo chiaramente in


evidenza il ruolo del condizionamento sociale sull interruzione di sessualit che avverrebbe tra i sette e i d ieci anni.

Bronislaw Malinowski (1927), ad esempio, che ha studiato il comport amento sessuale nelle tr ib p r i m i tive della M elanesia, dichiara di n o n
aver trovato traccia di fase di latenza nei fanciulli di queste isole. Egli
scrive:
Lo stadio che sto ora descrivendo in M elanesia che corrisponde al nostro periodo di l atenza
lo stadio dell'indipendenza
infantile, in cui i bambini = le bambine giocano insieme in una specie
di repubblica giovanile. Ora, uno dei maggiori interessi di ques i fan, ciulli consiste in passatempi sessuali. In un a prima et i f a nciulli si
iniziano alle pratiche sessuaIi reciprocamente, o talvolta per mezzo di
un compagno di poco pi grande. Naturalmente in questo stadio non
possono eseguire gli atti veri e propri, ma si contentano di ogni sorta
di giochi nei quali sono lasciati completamente liberi dagli anziani e
cosi possono soddisfare la loro curiosit e la l oro sessualit dircttamente e senza finzioni .

(B. Malinowski, 1969, pag. 96)


Lo sviluppo della sessualit non subisce, cio, interruzione nei fanciulli di queste isole e ci perch, secondo Malinowski, non esistono troppi tab riguardo al sesso, i cui giochi non sono considerati indecenti:
Un punto importantissimo di questa sessualit infantile l'atteggiamento delle generazioni pi a nziane verso di e ssa, Come ho
detto, i genitori non la considerano affatto reprensibile, in genere essi l'accettano cosi com'. Il pi che faranno sar di parlare scherzosamente fra loro delle tragedie e delle commcdie d'amore del mondo
fanciullesco. Mai si s ognerebbero di i n t erferire o di m anifestare Ia
loro disapprovazione, purch i f anciulli dimostrino la dovuta discrezione, cio non eseguano in casa i l or o g iochi amorosi, ma vadano

in qualche luogo appartato fra i cespugli .


(B. Malinowski, 1969, pag. 97)
Queste testimonianze avvalorano quanto p r ecedentemente descritto
e sostenuto da M . M ead i n o ccasione del suo classico studio sull'adolescenza a Samoa (1922) e ripetuti pi tardi quasi integralmente da Whiting
nel suo Becoming a Kwoma (1941).

2. Studi in prospettiva sociale hanno appurato tutta una gradualit di


sfumature sulla esistenza e durata della fase di latenza nei fanciulli di ambienti socio-culturali differenti. Cosi, se p ossibile riscontrare un comportamento corrispondente ad una latenza di cariche istintuali sessuali nei
fanciulli di 7-10 anni appartenenti alle classi sociali superiori e medio- su-

303periori, questo comportamento pare profondamente diverso nei fanciulli


della medesima et appartenenti all'ambiente contadino o agro-pastorale
in genere. Per questi bambini il concetto di d ecenza riferito ai bisogni
corporali, ad esempio, compare assai pi tardi che nei bambini delle classi
superiori, e non i n frequente trovare fanciulli delle campagne che si recano in gruppo a d espletare queste funzioni. Non i n f requente che
questo comportamento di gruppo comprenda anche un iituale magico.
I fanciulli che abitano in campagna, direttamente a contatto con l a
n atura, osservano quotidianamente gli accoppiamenti fra bestie e la l o r o
curiosit sessuale presto appagata. Essi sentono e vedono sin da bambini quel che succede nel letto dei genitori, nella loro stessa stanza (talvolta dormono nello stesso letto) e imparano a considerare tutto ci n ormale e non indecente n scandaloso. Il resto lo apprendono a tavola
o durante le feste, dai discorsi ora chiari ora i ronici ora offensivi che i
genitori si scambiano tra loro o con i vicini e gli amici.
Per questi fanciulli nessuna censura morale si forma troppo presto ad
inibire la sessualit ed a canalizzarla altrove. Essi continuano i l or o giochi sessuali ovunque sia possibile, nei pagliai o in aperta campagna, avendo cura, tuttavia, come i piccoli melanesiani, di sottrarsi agli sguardi degli
adulti.
I fanciulli del ceto operaio si differenziano dai figli dei contadini soprattutto in r elazione alle diversit occasionali tra citt e campagna. Essi
tuttavia sentono maggiormente la responsabilit proveniente dai tab ambientali, e se anche per questi bambini il letto dei genitori cessa ben presto
dall'avere la sola funzione di dormitorio, il maggior numero di divieti ne

accresce il fascino. E probabile che la schiettezza del linguaggio quale si


esplica soprattutto in occasione di raduni, anche politici e sindacali, entri
in conflitto con le regole verbali impartite a scuola, e che questo conduca
ad una situazione di equilibrio instabile tra impulsi della sessualit e repressione-sublimazione degli stessi, che continuamente si rompe.
3. Non poi da accogliere interamente l'affermazione di Freud sulla
assenza di sessualit durante la fanciullezza neanche per i f a nciulli delle
classi superiori e medio-superiori, e d'altra parte lo stesso Freud, come
stato riportato, ha molti tentennamenti e molte riserve in proposito. Gesell, ad esempio, riferendosi a questo aspetto del problema, osserva che
dopo i sei anni gli i n teressi sessuali non dimorano pi al semplice stadio
speculativo, ed frequente che i due sessi procedano a mutue investiga-

zioni che portano delle risposte precise ai problemi delle differenze sessuali . In q u esto stesso periodo compaiono giochi sessuali di t i po e sibizionistico, vagamente colorati da una copertura sociale (il g ioco del dottore un a ot tima occasione per esplorazioni sessuali) nei quali, nonostante Gratiot-Alphandery e Zazzo non si dichiarino d'accordo, la motiva-

304zione libidica ci sembra assai pi pressante della pi ampia, e certo non


assente, curiosit esplorativo-cognitiva.
In sostanza a noi pare di poter dire che l'ipotesi freudiana della esistenza di un p eriodo di l atenza durante la fanciullezza non abbia quella
fertilit e quella utilit che caratterizzano molte altre ipotesi del padre della psicoanalisi. Essa, a nostro avviso, copre e giustifica soltanto una piccola parte dei comportamenti evolutivi del periodo sette-dieci anni, e soltanto in relazione ad una particolare popolazione: quella medio-borghese
occidentale.
A nostro avvsio il comportamento di p r udenza verbo-sessuale che
proprio dei fanciulli del medio-ceto occidentale pu pi felicemente venir spiegato con altre ipotesi che non si r i f eriscano ai meccanismi della
rimozione e della formazione reattiva, Esso potrebbe semplicemente significare che i f anciulli hanno capito e accettano il p r incipio etico che censura le manifestazioni pubbliche, verbali e comportamentali, che abbiano
connotazione sessuale, e limitino tali manifestazioni a momenti p r ivati ,
quando sono fuori portata dagli indiscreti occhi adulti.
Si veda, ad esempio, quanto scrive Musatti (1949):
L'analisi condotta sui bambini porta a conclusioni affatto diverse, e dimostra che queste questioni, che genericamente possiamo
dire sessuali, stanno proprio al centro della curiosit infantile. I bambini avvertono si i n f o rma pi o m eno confusa che su tali cose gl.'
adulti non i n tendono rispondere, o r i spondono in f o rm a elusiva, e
t rasferiscono allora le l or o r i chieste su campi d iversi; m a ci n o n
perch quei problemi abbiano cessato di prenccuparli o perch siano
rimasti soddisfatti delle spiegazioni ottenute, ma perch hanno il senso che gli adulti nascondano loro qualcosa, cos! che non possibile
ottenere da essi ragguagli su questi argomenti. Si crea cio nei bambini l'impressione di una congiura del silevzio d egli adulti n ei l o r o
riguardi e rispetto a questi problemi, per cui essi proseguono per conto loro non senza un senso di rancore e di d!ffidenza la ricerca
di una risposta a quanto li i n t eressa.

(C. L. Musatti, 1970, pag. 127)


Perfettamente consapevole del pericolo di costringere il bambino in

una posizione di ipocrisia cognitiva o di fargli correre l'alea di improvvise scoperte traumatiche e choccanti, Musatti suggerisce una serie di opportuni consigli sulla educazione sessuale cognitiva, che si basano, sostan-

zialmente, sul principio di non dire al bambino mai pi di quello che


chiede, ma di dare queste spiegazioni nel modo pi chiaro, veritiero e, contemporaneamente, adeguato alla comprensione del bambino.

305 vero che Musatti, pi avanti, precisa:


Pi t ardi ne l sesto anno ed eventualmente dopo fino all'ottavo, si produce una stasi, un arresto, in queIIe varie manifestazioni:
l'attivit rivolta alle zone erogene si attenua; la curiosit del bambino per i p r oblemi sessuali si attutisce; e vien meno anche il carattere violento che avevano precedentemente i comportamenti affettivi
rivolti all'ambiente familiare.
questo il periodo che la psicoanalis! denomina periodo di l a tenza nello sviluppo dell'istinto sessuale; e il p e riodo di l a tenzache pu manifestarsi con caratteri diversi, cos> che in alcuni individui
tanto lieve da sembrare del tu tt o assente s i p r o t rae sino alla
pubert. Il p eriodo di l atenza spezza in due fasi nettamente distinte
il processo di sviluppo dell'istinto sessuale, e questo fatto caratteristico della vita umana, perch nulla d'. simile dato constatare nello
sviluppo sessuale degli animali .

(C. L. Musatti, 1970, pp. 155-156)


Ma proprio la precisione di M u satti, che il p e riodo di l a tenza non
sempre si manifesti con gli stessi caratteri, cosi da sembrare talvolta del
t utto assente, confermando i d u bbi espressi dallo stesso Freud, ci f a
pensare che la fanciullezza non sia normalmente contraddistinta da un pe-

riodo di latenza sessuale, ma che anche in quegli anni gli impulsi della
sessualit continuino ad essere attivi e p r essanti. Questo pu, probabilmente, non evitare l'opera di r i mozione e di sublimazione di parte degli
istinti, in parte dovuta alla conflittuaht che innegabilmente si costituisce
tra l'impulso sessuale e il d i vieto morale che, proprio in quegli anni, da
eteronomo si va facendo autonomo e interiorizzato.
probabile, invece, che una intensa opera di rimozione e di repressione degli impulsi libidici, quale Freud ha riscontrato nei soggetti da lui
analizzati, sia da considerare elemento di un a eziologia nevrotica, la cui
sindrome pu manifestarsi in et adulta. Se cosi fossero le cose, risulte-

rebbe pi utile e conforme ai dati sinora raccolti riservare la ipotesi del


periodo di l atenza ai soli casi in cui essa possa correlarsi con successive
sindromi nevrotiche e di cui p o trebbe, in qualche modo, considerarsi responsabile.

6. - LA COSTRUZIONE DEL SENSO MORALE


Il bambino al di sotto dei sei anni premorale come prelogico e
preoperatorio. Su questa constatazione non pare esistano oramai pi opinioni contrastanti. Ora, poich la morale consiste in un sistema di regole,
la moralit andr ricercata nel r i spetto che l ' i ndividuo avr dell'intero
sistema.

306Da ci consegue che non si potr parlare di moralit se non quando


l'individuo sar capace di formare un tale sistema e di utilizzarlo nel comportamento di relazione. Fintanto che l'individuo dimostrer di rispettare
una regola, una norma, senza coglierne il collegamento con l'intero sistema, non sar possibile parlare di m o r alit n d i c omportamento morale, ma solo di r i sposta condizionata o di comportamento conforme alle
regole.
Dal punto di vista della psicologia evolutiva la domanda sar: a quale
et o livello o stadio possibile cominciare a distinguere il comportamento morale dal comportamento conforme alla regola? e quindi; a ch e stadio far la sua comparsa la moralit?
Una analisi dello sviluppo del senso morale non pu non tener presenti
alcuni fondamentali concetti distintivi;
la m o r al e v e r b a l e , d e finibile come il pensiero legato all'azione
da mille rapporti, ma che se ne differenzia giusto quanto il pensare si
differenzia dall'agire; si manifesta in atti di giudizio, nel bambino quasi
sempre diretti ad azioni altrui o ad azioni proprie ma non vissute con
attualit. In questo pensiero, che non investe se non marginalmente la
sfera dell'io, il b a mbino si m u ove secondo linee normative ricevute
dall'adulto e completamente eteronome;
la m o r a 1 e d e 11 ' a z i o n e, c h e Piaget chiama attivit morale
effettiva, e che si manifesta nel comportamento di r elazione soprattutto come risultato di u n m assiccio intervento dell'io;
il p e n s i e r o m o r a l e t e o r e t i c o , q ua l e stato definito da
Piaget, e che consiste nella presa di coscienza della moralit come.di un
sistema di norme governate da principi logici di reciprocit e generalit. Tra il pensiero morale teoretico e la morale oerbale corre la stessa
differenza che separa la percezione di uno s pazio isolato dalla cognizione della spazialit come sistema componibile e reversibile.
Accanto a questi aspetti o componenti della moralit umana che, in
linguaggio psicoanalitico corrispenderebbe all'adattamento secondo i meccanismi dell'io, si potrebbe parlare di una morale pi profonda e pi personale, che altro non se non il ri flesso tra le tendenze istintive e il Super-Io... (Rambert, 19491 e cio di una morale del Super-Io.
Cosi impostato il problema, risulta evidente che il primo passo verso
la costruzione del senso morale il b ambino lo c ompir nel momento in
cui riuscir a scindere l'aspetto percettivo di una azione da quello intenzionale, e questo, com' noto, richieder una maturit di pensiero che abbia superato il l i v ello della intuizione primaria. Cosicch risulta esatta la
affermazione iniziale della premoralit del bambino di sei anni.

307La tesi di P i aget, che il p ensiero morale teoretico venga raggiunto


con ritardo nei confronti d ella attivit m orale pratica i n dubbiamente
conforme ai principi della sua teoria cognitiva. Piaget infatti sostiene che
il fanciullo solo in un secondo momento riesce a ricostruire la modalit e
gli schemi di azione che lo hanno portato in pratica alla soluzione di un
determinato problema 1anche etico), e diviene capace di definire un t ermine verbale solo dopo che per un certo tempo lo ha concretamente utilizzato con un significato che conforme a quello che pi tardi viene fissato
in forma esplicita nella definizione.
Abbiamo sovente osservato, nel dominio i n tellettuale, che iI
pensiero verbale del fanciullo consiste in una presa di coscienza progressiva degli schemi costruiti con l'azione. Tl pensiero verbale semplicemente in ritardo, in questi casi, sul pensiero concreto, poich si
tratta di r i costruire simbolicamente su un nuovo piano le operazioni
gi eseguite sul piano precedente. Quindi antiche difficolt, gi vinte
sul piano dell'azione, ricompaiono, o semplicemente durano sul piano verbale: vi d calage tra le fasi verbali e l e f asi concrete dello
stesso processo. possibile, dunque, che nel dominio morale vi sia
semplicemente dcalage tra il g i udizio di v alore teorico e le v alutazioni concrete del fanciullo, e che il p r imo consista in una presa di
coscienza adeguata e progressiva delle seconde. Vedremo, per esempio, fanciulli che, sul piano verbale, non tengono conto delle intenzioni per v alutare gli a tt i 1 responsabilit oggettiva). Ma q u ando si
domandano loro dei racconti personali, si vede che, in queste circostanze vissute, tengono perfettamentet conto delle intenzioni del gioco. possibile, in ta l caso, che il g !udizio morale teorico sia sem"
plicemente in r i t ardo sul g i udizio m orale pratico e r appresenti, in
maniera adeguata, uno stadio attualmente superato sul p i ano della
stessa azione.
(). Piaget, 1957, pag. 88)
Questa affermazione mettere in pratica una morale che ancora non
posseduta a livello verbale che ricalca la distinzione tra operazione
concreta e operazione formale, sembra trovare smentita da quanto dato
osservare empiricamente sul modo di comportarsi dei fanciulli e da quanto
affermato dagli studiosi dei rapporti tra pensiero e linguaggio secondo cui
il linguaggio s t r u ttura mediante che agisce sul comportamento nel
senso dell'autocontrollo.
,'La osservazione quotidiana ci 'mostra che i fanciulli sanno assai bene
quel che possono e quel che non possono fare, sanno, in generale, quel
che lecito e permesso e quel che vietato, ma a questa conoscenza
non corrisponde se non assai tardi u n c o mportamento adeguato.* nella
pratica essi si comportano come se ignorassero tutto quello che sanno. Que-

308 sto comportamento disgiuntivo viene spesso interpretato come la di mostrazione che i bambini raggiungono abbastanza presto la morale verbale
ma solo assai tardi sanno mettere in pratica quello che sanno verbalmente
ripetere.
R evidente la confusione tra ubbidienza e moralit e cio tra rispetto
di una norma conosciuta e possesso di un sistema di norme: ora la morale verbale proprio l a conoscenza di una norma che pu, entro certi
limiti, garantire la ubbidienza, ma che non rivela assolutamente nulla sul
possesso o mancanza di un sistema di norme, e cio di un pensiero morale
teoretico, unico garante della moralit.
Che la interpretazione del concetto di moralit di Piaget tenga conto
di queste distinzioni, e le superi nello studio della costruzione del senso
morale, risulter forse evidente da alcuni esempi tratti da L e j u gement
moral chez l'enfant .
a. Gli studi di P iaget
P iaget ha utilizzato come campo d'indagine il m odo i n cu i i b a m b ini di N e uchatel, i n S v izzera, si comportano nelle diverse fasi d i u n
gioco detto d el q u adrato, e che rappresenta una delle tante varianti
Zell'universale gioco delle biglie. I f a nciulli si r i u niscono attorno ad un
quadrato di terra ben battuta, ciascuno con le proprie biglie di terra cotta,

o di vetro, e si sfidano, secondo precise regole. Baster avvicinarsi e chiedere .di giocare, confessando per d'aver dimenticato come si gioca e mostrando di possedere le biglie, e si sar ammessi. Star poi all'osservatore
trarre, da questa esperienza e dai dialoghi che sapr imbastirci sopra, specie alla fine del gioco, tutti i d at i che possano servire a costruire ipotesi
o a confrontarne alcune che gi si avevano.
Piaget ha potuto stabilire i seguenti s t a d i n e l l a osservanza delle
regole, dopo aver esaminato bambini da 3 a 14 anni:
In una prima fase i bambini ignorano totalmente l'esistenza di regole;

per essi il problema di rispettare le regole neanche si pone, poich semplicemente essi le ignorano. Dapprincipio si limitano a manipolare le
biglie, poi le ti r ano s enza sistema, contro questa o quella biglia.
Essi non giocano neanche l'uno contro l'altro, ed perfettamente indifferente bocciare la propria o l'altrui biglia. Interrogati non sanno
con esattezza se hanno vinto, ma protendono a crederlo, visto che l'altro
lo ignora. A questa et insistono molto per essere ammessi al gioco, ma
il loro f o rt e egocentrismo impedisce ogni reale partecipazione (Fase
inferiore ai 6 anni).
In una seconda fase le regole sono apprese e considerate immutabili,
perch intrinseche al gioco: le regole stanno realmente dentro il gioco.

309 questa la fase che Piaget suggerisce di chiamare del r ealismo morale. Come egli stesso scrive:
Chiameremo dunque realismo morale la tendenza del fanciullo
a considerare i doveri e i valori che vi si rapportano come sussistenti
in s, indipendentemente dalla coscienza, c come imponentesi obbligatoriamente, quali che siano l e c i rcostanze nelle quali l ' i n dividuo
impegnato.

(J. Piaget, 1957, pp. 82-83).


I fanciulli, in q uesta fase, si indignano se qualcuno propone loro di
fare a meno di una certa regola una volta che l'abbiano appresa
(per esempio non rispettare la distanza nel tiro, o spostare la biglia, ecc.).
Se si chiede loro chi abbia inventato le regole del gioco si ottengono
risposte differenti, ma tu tte riconducibili al r ealismo morale o anche
indicative di s i tuazioni i ntermedie di p r o gressivo superamento dello
stadio (le regole non le h a i nventate nessuno l e r e gole sono nel

gioco le ha inventate il buon Bio o Guglielmo Tell o i primi


uomini o il nonno o il pap, ecc.).
Successivamente i fanciulli giungono a scoprire la convenzionalit delle
regole, ed allora essi sono portati a v a riarle, a renderle pi complicate, ad aggiungervi qualcosa di nuovo, anche per il gusto di rendere
il gioco pi difficile e pi competitivo.
Vi sarebbe cio, secondo Piaget, un passaggio dalla ano m i a (assenza di regole) alla e t e r o n o m i a (regole provenienti dall'esterno) e
da questa alla a u t o n o m i a , l a m o r alit coincidendo con la progressiva interiorizzazione e accettazione non di una regola e neanche di alcune
regole, ma di un sistema di regole, considerato come un tutto u nico, reversibile nella sua stessa rigidit convenzionale.
Per studiare la conquista della nozione di intenzionalit delle azioni, Piaget ha condotto attenti studi sulla costruzione della morale teoretica, soffermandosi in particolare sulla nozione di bugia. Egli ha trovato che:
in una prima fase la bugia si identifica con le parole sconvenienti e fuori luogo: essa genericamente una parola cattiva. Evidentemente ci
che colpisce il bambino in questa fase non la parola in se stessa, ma
la conseguenza che la bugia comporta: egli sa che sar punito o sgridato
sia che inventi sia che dica cose sconvenienti. In questa fase l'elemento
percettivo ancora pregnante e si impone su ogni possibile astrazione.
Questa fase di realismo primario porta il b ambino ad estendere l'animismo, e quindi la v olont, alle cose inanimate (si picchia lo spigolo
perch cattivo, h a fatto male) ed a n on b en d i s tinguere la r ealt
dalla fantasia (fabulazione, pensiero magico, realismo).
I n u n a seconda fase la bugia diventa qualcosa di non vero , e cio

310 di falso, ma ancora senza riguardo alla intenzionalit. La bugia


quindi qualcosa di errato : t r a bugia ed errore non vi ancora una
precisa distinzione, poich sempre il risultato che si impone. Il f anciullo, a questo punto, riterr meno sbagliato dire che 2 + 2 = 5
invece di 2 + 2 = 8, cosi come reputer pi cattivo il comportamento
del bambino che, per sbadataggine o anche incidentalmente, ha rotto 15
bicchieri, del comportamento del b ambino che i n tenzionalmente ne
rompe solo uno. Facendo un esperimento del genere, e cio presentando
coppie di storielle, nelle quali alla fortuicit dell'incidente corrispondeva
una conseguenza pi grande di quella che conseguiva alla volontariet dell'azione, e chiedendo ai fanciulli quale dei due ragazzi fosse da
ritenere pi colpevole, Piaget ha tr ovato che sotto i d i eci anni, con
punta massima attorno ai sette anni, prevalevano le risposte nelle quali

la colpevolezza veniva giudicata in relazione alla responsabilit oggettiva (gravit delle conseguenze), mentre sopra i d i eci anni pr evalevano i giudizi nei quali si dava maggior rilievo alla r e sponsabiht soggettiva.
Subito dopo questa fase il fanciullo scopre che la bugia aflermazione
diretta intenzionalmente ad ingannare.

Chiedendo ai bambini perch non si devono dire bugie, Piaget ha


ottenuto all'incirca i seguenti tipi d i r i sposta, riportabili r i spettivamente
ai tre stadi precedenti: 1 . p e r no n essere puniti (anomia); 2. p erch
male, perch Dio non vuole (eteronomia); 3. perch distrugge la fiducia
reciproca (autonomia).
In conclusione sembra possibile accettare la teoria di Piaget per quel
che riguarda il rapporto tra morale effettiva e pensiero morale teoretico,
sempre che ci si i n t enda sul significato di q u esta relazione. evidente
infatti che se si pretendesse, come da taluni stato proposto, di t r arre
indicazioni sulla morale e6ettiva con u n t est d i m o r ale verbale, ipotizzando una relazione positiva tra risposte buone al test verbale e comportamento buono n ella pratica, si andrebbe incontro a profonde de-

lusioni. Il discorso di Piaget, lungi dallo smentire che un ladro intelligente fornirebbe probabilmente prestazioni verbali migliori, in un test del
genere, di u n o n esto c o rto d i m e n t e , t ende a m ostrare che la v era
moralit non consiste nel possesso verbale della norma e neanche nel ris petto della semplice norma ma nella c omprensione d i q u esta in u n
sistema accettato perch se ne p ossiede la struttura. Ed o v vio che
una simile moralit non p otr essere raggiunta prima dello stadio delle
operazioni formali.
La teoria di P i aget sullo sviluppo del senso morale ha dato luogo,
anche in Italia, a ricerche condotte con il metodo clinico-sperimentale, che

311
hanno inteso controllarne la validit e, ove possibile, estenderla al maggior numero di f enomeni.
b. La ricerca di Canestrari (1955)
Rifacendosi ad una ricerca di Ugurel Semin (1952), nella quale veniva
indagato lo sviluppo del concetto di giustizia distributiva mettendo bambini nelle condizioni di d i videre con un compagno, e alla presenza dello
sperimentatore, una quantit dispari di noci, Canestrari pens di ripetere
l'esperimento, tenendo tuttavia presente la categoria di sociocentrismo
come distinta da quella di e gocentrismo. Per s o c i o c e n t r i s m o
egli intende la accettazione di una norma morale in quanto proveniente
dall'ambiente in cui s i v i v e e che si accetta, il che comporta la assenza
di scelte, anche teoriche, che non seguano le direttive etiche del gruppo cui
si appartiene. In questo caso la norma morale si identifica con l'ambiente
in modo tale che ne diviene quasi impossibile la contemplazione in astratto: questa sarebbe, come pare, la situazione del fanciullo in cui alla onniscenza dell'adulto si accompagni la vissuta assolutezza delle loro ingiunzioni . Canestrari compi la ricerca su 215 soggetti tra il sesto e il quattordicesimo anno di et; affinch il comportamento dei soggetti fosse libero da
eventuali suggestioni derivanti dalla presenza dell'aduho, il p o sto d ello
sperimentatore fu d i v o l t a i n v o l t a p reso da soggetti appartenenti allo
s tesso gruppo. La t ecnica utilizzata era la seguente: due soggetti (S' e
S") erano fatti accomodare ad un t avolo, di f r o nte allo sperimentatoreragazzo (S), ed uno dei due (S') veniva invitato a fare le parti di s e tte
noci che eraon sul tavolo. S" veniva invitato ad uscire e si chiedeva quindi
a S' come intendesse fare le parti. Si faceva poi rientrare S" e S' p r oced eva alla partizione delle noci, I n fine S' veniva interrogato sui m o t ivi
della partizione.
Canestrari pens di poter utilizzare tre etichette morali, il cui significato volle tuttavia tenere entro i limiti comportamentali, e chiam egoisti i s oggetti che tenevano per s il m aggior numero di n oci, egualitari i soggetti che dividevano esattamente a met le noci e g enerosi
quelli che ne davano la maggior parte. I r i sultati confermarono la linea di
sviluppo morale stabilita da Piaget, come si pu vedere dall'annesso specchietto:
FASE EGOISTICA (6-9 anni)

alta percentuale d i

s c elt e e g oistiche ed

assenza di scelte egualitarie

FASE SOCIOCENTRICA (9-12 anni )

al t a p ercentuale di scelte generose e prima comparsa di scelte egualitarie

FASF. DI EQUILIBRIO I N CI PIENTE


(12-14 anni)

d i m i nuzione dellescelte generose e progressivo aumento delle scelte egualitarie

312Il risultato pi i m p ortante di q u esta ricerca, oltre a n umerose osservazioni che c onsentono una considerazione a r ticolata d e ll a F ase
Egoistica, i cui m omenti, t u ttavia, non sono ben chiaramente individuabili come stadi potendo essere ricondotti ancora a motivazioni differenziali,
la messa in evidenza della categoria di sociocentrismo, secondo quanto
era stato ipotizzato:
...lo studio del comportamento morale, da questo punto di v i sta,
diventa la ricerca di stereotipi sociali, un t ema che, inevitabilmente,
riconosciuto sempre pi f ondamentale per la psicologia sociale. Si
viene cosi ad estendere, oltre che a v e rificare, lo s tesso studio di
Piaget, o meglio si concreta, si d veste alle leggi di s v i luppo che
Piaget ha descritto. Non ci i n t eressa sapere soltanto che il b ambino
passa da una fase egocentrica ad una sociocentrica, ma trovare cosi
deFinita normativamente la societ in cui i l b a mbino si i d entifica e
quali sono le n orme che egli assume e i l v a rio p eso di q u este nel
legare il bambino, e nel d eterminare le azioni a seconda delle altre
condizioni ambientali e di q u elle differenziali .
c. La ricerca di Battacchi (1959)
L a ricerca di C a nestrari f u estesa, con l a r n edesima tecnica, da
Battacchi a fanciulli, dai quattro ai quattordici anni, di tre ambienti socioeconomici differenti.
La estensione della ricerca ai tr e a mbienti p ermetteva il c o ntrollo
d ella influenza socio-economica sullo sviluppo del senso morale. In a l t r e
parole Battacchi, accettando i r i sultati della ricerca di Canestrari, intendeva controllare se fossero ancora utili estendendoli a differenti ambienti
sociali.
In complesso si pu dire che i risultati della ricerca di Battacchi abbiano confermato quanto indicato da Canestrari sulla evoluzione del senso morale in tre fasi principali: egocentrica, sociocentrica (eteronoma), autonoma. Tuttavia queste fasi appaiono come pi sottilmente costituite da
fasi interne e i n termedie, cosi che tu tto l ' i n tero schema andrebbe ricostruito come segue:
l. EGOCENTRISMO
(amoralit)

A) I n dividualistico ( f ruizione, possesso, nessuna


motivazione)
B) I n t erazionistico (parte d elle m otivazioni d i a micizia, utilitarismo)

2. SOCIOCENTRISMO
(eteronomi a)

A) Sanzione parentale o religiosa


B) Sanzione conformistica (gruppo dei pari parte
delle motivazioni di amicizia)

3. AUTONOMIA

A) Ludica (parte delle motivazioni di a micizia)


B,) Autonoma o Responsabile (adulta)

313Il periodo dell'Egocentrismo, che in sostanza il tempo della amoralit e della anomia, caratterizzato da un comportamento individualistico. Il b a m bino e g oista p erch le sue m otivazioni sono ancora
primarie, dettate da impulsi di fruizione e di possesso. Al di sotto dei
cinque anni il bambino non sente il bisogno di motivare le proprie scelte
(egoismo inconsapevole di Canestrari). Tuttavia cominciano talvolta a
comparire comportamenti che Battacchi ha indicati con il termine di interazionistici , nei quali le motivazioni di amicizia date alle proprie azioni celano relazioni utilitaristiche con i compagni.
Il periodo sociocentrico caratterizzato da comportamenti le cui motivazioni sono riportabili a paura delle sanzioni parentali o r eligiose, ma
anche a norme di a u torit sanzionate dalla c omunit o d a ll a g e nte. Poich i soggetti della ricerca vivevano in comunit stabili, Battacchi ritiene che questa forma di sanzione conformista derivi dalla stessa comunit infantile, e cio dal gruppo dei pari . Il p e riodo della Autonomia fa la sua comparsa attorno alla adolescenza con quella forma di
autonomia che Battacchi chiama ludica, intendendo con ci sottolineare la sua instabilit e la sua assunzione sotto forma di re sponsahilizzazion e solo nei m omenti i n c u i i f a n c iulli g i o cano alla autonomia. L a
autonomia responsabile non esisterebbe nel fanciullo o nell'adolescente, e
farebbe la sua comparsa nell'adulto, divenendo l'elemento che lo contraddistingue. Battacchi not che in tutti i tr e gruppi esaminati le motivazioni,
fino agli otto anni, erano state prevalentemente egocentriche e il comportamento prevalentemente egoistico. La corrispondenza egocentrismo-egoismo scompare dopo gli otto anni e viene sostituita da una diversa corrispondenza: egoismo-non autonomia. Chi autonomo non egoista e chi
egoista non autonomo.
d. Le r icerche dell'Istituto di P s icologia dell'Universit di C a gliari ( L o stia, 1971)
Le ricerche condotte d all'I stituto d i P s i cologia dell'Universit di
Cagliari, e coordinate da chi s crive, partivano da un a p r ospettiva piagetiana e facevano propri i r i s u ltati d elle r icerche di Canestrari e B attacchi. Le ricerche sono state condotte sostanzialmente in due direzioni:
1. - verso il basso, e cio con la estensione a bambini in et prescolare;
2. - verso differenti ambienti sociali.

La prima ricerca stata condotta su bambini di un Asilo Infantile e


di un G i ardino d' I nfanzia, in et media di q u attro anni e m ezzo, costituenti due gruppi di 30 soggetti ciascuno. La variabile considerata stata
la diversa provenienza sociale, il primo gruppo (Asilo) essendo costituito
d a bambini di f a miglie indigenti e numerose, il secondo (Giardino d'I n-

314 fanzia) essendo, invece costituito da bambini del ceto benestante e professionistico. Tutti i b a m bini sono stati preventivamente esaminati con un
test di l i v ello (Scala Terman) al fin e d i a ssicurare la omogeneit intellettiva infragtuppo e intergruppo. Accettando la partizione in fasi offerta
da Battacchi, sembrava ovvio che, data l 'et, la f ase da no i a nalizzata
fosse quella dell'Egocentrismo, nelle sue due manifestazioni in dioidualistica e interazionistica che parve pi e satto definire dell'egoismo
edonistico e dell'egoismo-utilitaristico, anche se, in questo modo, si correva il
rischio di introdurre termini pi moralistici che psicologici.
La prova cruciale consistita nel dare ad un bambino tre caramelle
e nell'invitarlo a spartirle con un compagno che veniva casualmente
fatto entrare nella camera ove si conduceva la ricerca. Le spartizioni furono catalogate in questo modo:
generose: due caramelledate al compagno
egoistico-relative: una caramella data al compagno
egoistico-assolute: nessuna caramella data al compagno.
Dopo la spartizione i bambini furono invitati a m o t ivare l e pr oprie scelte. Le risposte furono cosi classificate:
egoistico-edonistiche: motivazione di p ur a f r uizione di p ossesso
egoistico-utilitaristiche: motivazione di amicizia con relazione utilitaria
costrittive: cio patentali ed eteronomiche.
I risultati ottenuti sono riassumibili globalmente nei seguenti quadri:
SCELTE

Generose

Egoistico relat.

'/o

/O

Giardino
Asilo

MOVIVAZIONI

Egoist. util.

10

70

37
Egoist. edon.

%ou
20
57

Costritt.

%
ou
Giardino
Asilo

Egoistico ass.

Altre
/0

29
54

45
14

13
4

Ad un primo esame risulta evidente che le scelte sono in entrambi


i gruppi prevalentemente di tipo egoistico (Giardino: 9 0% , A silo: 9 3 % )
ma l'incidenza dell'ambiente messo in risalto dal tipo di egoismo di cias cun gruppo. L'egoismo assoluto rappresenta infatti nell'Asilo ben i l 5 7
per cento delle scelte.

315Le motivazioni chiariscono il significato della partizione: parso di


poter interpretare l'alta percentuale di c o strizioni parentali nel G i a rdino (in particolare riferite alle figure genitoriali) come il raggiungimento,
da parte dei soggetti che vi f anno riferimento, di uno stadio intermedio
tra quello puramente edonistico e quello della eteronomia (Piaget) ottenuto tramite l'opera di socializzazione familiare.
Nel secondo gruppo (Asilo), nel quale la socializzazione familiare
p ressoch inesistente o c o munque molto r i d otta, probabilmente i p r o cessi di imitazione (cosciente) e i m eccanismi di i dentificazione o avveng ono con ritardo o no n avvengono o avvengono in maniera distorta; l a
conseguenza potrebbe essere per soggetti di q u esta et e di q u esto ambiente una pi l u nga permanenza nello stadio dell'egocentrismo edoni-

stico (54%).
La seconda ricerca abbandona la tecnica delle ricerche precedenti, ed
estende l'analisi a soggetti di tre ambienti differenti, introducendo una nuova variabile, quello d ella educazione religiosa impartita i n u n a Scuola
Materna tenuta da suore, con una tecnica che mette in e v idenza essenzialmente la morale verbale. I l p r oposito di questa ricerca era di controllare la esistenza di et ichette morali co rrelative agli ambienti e a ssumibili a modelli etici comportamentali offerti dalle diverse societ. Naturalmente era ben chiara la impossibilit di i n ferire dalla conoscenza verbale di etichette morali la morale pratica effettiva dei soggetti. Tuttavia si
pensava potesse essere utile conoscere quali v a lori etici fo ssero ritenuti a livello verbale dai fanciulli di t r e d i fferenti comunit.
I soggetti esaminati sono stati 67 , i n e t m e dia d i a n n i 6 , 5 , cosi
suddtvtsi :
Popolazione

SS

Campione Superiore
Campione Inferiore
Campione Religioso

23
22
22

Et cronolcgica

6,5
6,5
6,5

Q.I.
94
98
99

A ciascun bambino venivano raccontate tre brevi storielle che contenevano infrazioni a norme etiche elementari (manchevolezze) e tre brevi
s torielle che raccontavano azioni meritevoli (lodevoli) secondo la m o rale comune.
Storie di M anchevolezze:
1. Un b a m bino ( un a b ambina) entra nella camera della mamma,
gioca con uno b o t tiglia di p r o f umo c he gli cade e v a i n m i l l e
pezzi. Che cosa far la mamma?

3162 . U n b a mbino ( o u n a b ambina) a scuola ruba la m erenda di u n


compagno. Il m aestro se ne accorge e l o d ice alla mamma del
bambino che ha rubato. Che cosa far la mamma?

3. Un bambino lo bambina) gioca con i compagni pi grandi di lui


che dicono brutte parole. Il bambino impara le brutte parole anche se la mamma gli ha spiegato che i bambini buoni non devono
parlare cosi. Un giorno il b ambino dice una parolaccia, Che cosa
far la mamma?
Storie Lodevoli:
1. Un b a mbino h a p r eso dieci nel d e ttato. T o rnato a casa tut t o
contenuto lo racconta alla mamma. Che cosa far la mamma?
2. L a m amma esce di casa e dice al bambino no n t occare i dolci
che sono sul t avolo . I l b a m bino no n t o cca i d o l ci. Che cosa
far la mamma?
3. U n b a m bino h a q u a ttro c aramelle; camminando per l a strada
vede un bambino povero e malvestito che chiede l'elemosina. Il
bambino gli d t r e caramelle. Che cosa far la mamma quando
lo sapr?
Dopo ogni gruppo di storielle al bambino veniva richiesta una graduatoria di m eri to e d i c o lpevolezza.
I risultati ottenuti sono espressi globalmente nei seguenti quadri:

MANCHEVOLEZZE Puniz. fisiche

Rimproveri

Castighi

Impunit
(/r

Ceto medio
Indigenti
Religioso

LODEVOLI

64
82
59
Ricomp.

14
4
27

Lodi

affettive

Ricomp.

17
11
ll
S e ntim.

Indif-

materiali disinteressati ferenza

Punizioni

/0

Ceto medio
Indigenti
Religioso

Il
12
l

41
16
47

32
18
12

6
28

13
24
Il

24

Da un primo rapido esame appare abbastanza chiara la incidenza della


variabile sociale: essa soprattutto evidente se si p aragona il c omportamento e la interpretazione che della norma morale danno i bambini del
ceto abbiente e i b ambini del ceto indigente. Questi ultimi i n t erp~etano
le manchevolezze come violazione di norme imposte dagli adulti (che sono

317per la maestra e la signorina!) cui consegue il castigo f isico. L'elemento


di differenziazione sociale evidente nel fatto che i bambini del ceto pi
i ndigente sono ancora quelli ch e r i cevono minor n u mero d i l o d i e d i
rimproveri, quelli le cui azioni sono circondate da maggiore indifferenza (Indiff.) da parte degli adulti, ma, soprattutto, gli unici che ricevono
castighi per azioni considerate normalmente generose (dare il cibo proprio

ad altro bambino!).
interessante anche notare che per questi bambini l ' ordine di gravit nelle manchevolezze apparso essere il seguente: 1. dire parolacce,
2. arrecare un danno materiale, 3. commettere un furto. I bambini del ceto
abbiente e dell'ambiente religioso pongono al primo posto, con pressoch
pari gravit, dire parolacce e commettere furti.

7. - LA FANCIULLEZZA E LA SCUOLA
La esposizione dei dati e d e lle i nterpretazioni che di essi vengono
proposte, sulla base di t eorie deduttive, fornisce gli elementi i n dispensabili per rispondere alla domanda cui il p r esente capitolo sulla Fanciullezza dedicato:
pu la Fanciullezza venir considerata, nel suo arco di 5 anni, una
et ben caratterizzata nei confronti delle altre et?
La domanda si scinde immediatamente in altre due.

1) corretto considerare il periodo dai sei ai dieci anni come


appartenente ad un medesimo stadio di sviluppo?
2) che cosa giustifica la scelta dei sei anni come et per l'ingresso
a scuola?
a. Fanciullezza e stadi di sziluppo
corretto considerare il periodo dai sei ai dieci anni come appartenente ad un medesimo stadio di sviluppo?
Porre la questione della determinazione della fanciullezza in questi
termini richiede una preventiva chiarificazione del concetto di s t adio di

sviluppo.
La psicologia genetica contemporanea utilizza assai spesso la classificazione in stadi o f asi o l i v elli, r i sultata assai pi u t il e e c o rretta di
quella in et cronologica o i n c l assi scolastiche. Tuttavia non pare che
ancora esista un accordo totale sul concetto di stadio e sulle sue limita-

zioni temporali: Osterrieth, ad esempio, analizzando ben 18 sistemi di


stadi elaborati da p sicologi europei e americani, arriva alla conclusione
di un totale disaccordo sui limiti e le definizioni di stadio.

318In generale, tuttavia, si pu dire che il termine stadio v iene utilizzato con il significato di l ivello qualitativo di m a turazione o di s viluppo. Si dice che un soggetto ha raggiunto un determinato stadio quando si
vuol indicare quali tipi d i s t r u tture e di meccanismi egli utilizza nel suo
processo di adattamento alla realt. Cosi, ad esempio, in linguaggio piagetiano, affermare che un soggetto trovasi nello stadio della intuizione primaria, significa ipotizzare che il suo processo cognitivo di adattamento
alla realt sia tuttora subordinato alla rigidit del presente immediato e
che il suo pensiero non sia ancora in grado di considerare possibilit diverse da quelle precedentemente realizzatesi. Dire, in linguaggio psicoanalitico, che un bambino trovasi in fase edipica, significa ipotizzare che
i dinamismi affettivi di adattamento alla realt per quel bambino sono interamente dominati da una conflittualit libidica nei confronti dei genitori.
Beninteso, gli stadi e l e f asi rappresentano sempre delle ipotesi che
vengono costruite sui dati raccolti e che, illuminando di significato questi,
consentono la comprensione, entro i l i m i t i d i u n a t e oria, del comportamento che si sta osservando. La consapevolezza di questo aspetto strumentale del concetto di stadio ha sollevato numerose perplessit tra gli p sicologi, i quali non hanno mancato di discuterne in un Simposio appositamente organizzato a Ginevra nel 1955. In t ale occasione c' stato chi ha
avanzato il dubbio che gli stadi nella realt non esistano, e che siano artifici della mente umana messi in opera per meglio dominare la materia
che si studia:
Bisogna ammettere, del r esto, come massima critica, che effettivamente la nostra credenza negli stadi pu dipendere unicamente dalle esigenze del nostro spirito, dai quadri del nostro linguaggio,
e anche dai nostri m odi d i i n v estigazione che operano e realizzano
astrazioni .
Cosi si esprimeva Zazzo, il q u ale pet conto proprio, t u ttavia, concludeva che ci nonostante gl i s t adi esistono. M a i l d i s corso non
c osi paradossale come pu sembrare, poich, al contrario e c i i n d i pendentemente dalla polemica tuttora esistente tra fautori degli stadi in
n ome della discontinuit specifica e i f a utori della mancanza di stadi i n
nome della continuit processuale {natura non facit saltus) nella evolu-

zione sia della specie sia degli individui ci che fa della psicologia
genetica una scienza sperimentale proprio la p r oblematicit e i l c arattere ipotetico delle sue teorizzazioni. Dovrebbe oramai essere evidente
come ogni discussione di v erit-falsit dei concetti psicologici (come di
o gni altro concetto scientifico di ogni altra scienza) abbia il valore di un
quiz metafisico improponibile per la limitazione di cui la sperimentazione
soffre. superfluo e ridondante discutere sulla realt degli stadi, poich

319ci che la ricerca scienti6ca offre soltanto la utilit di un c oncetto o di


una ipotesi e non la sua verit.
Diventa allora comprensibile la possibilit di dcalagefra stadi, nel
senso di normali processi di accelerazione, stasi e regressione nella utilizzazione di meccanismi e strutture che, teoricamente, apparterrebbero allo
stesso stadio e quindi, per l ' i nverso, la utilizzazione contemporanea, magari in processi diversi, di strutture appartenenti teoricamente a stadi differenti. Ci perch il concetto di stadio non affatto un concetto statico
ma dinamico. Il s uo contenuto non una qualit o una propriet 6ssa,
ma una qualit che si s v iluppa durante un c erto t empo, f ormando un
momento fra l'insieme dei momenti di u n d i venire ( T r an-Thong, 1967,
p ag. 383). Ed p e r q u esto motivo che i l c o ncetto di s t adio r i fiuta i l
rigido parallelismo con l'et cronologica e richiede con6ni ampi ed elasticit di a p p licazione. L ' et c r onologica, tranne
casi eccezionali, non
una ipotesi ma un d ato, gli stadi sono sempre ipotesi costruite sui dati
e pertanto hanno maggiore elasticit di questi.
dunque la Fanciullezza, tutta intera, incastonabile entro uno s tadio? Sono i comportamenti dei fanciulli dai sei ai dieci anni tutti sempre
interpretabili con le ipotesi deducibili da un u nico stadio?
I dati da noi riportati sono cosi riassumibili:
statura: i m u t amenti nel ritmo di aumento staturale sono sensibili tra
i cinque e i sette anni;
peso: il r i t mo di a umento, progressivamente in diminuzione, non mostra sbalzi significativi per i p eriodi interessati;
dentizione: l' i n izio della eruzione clinica della
seconda dentizione si
pone attorno ai sei anni (dato da interpretare con cautela);
rnaturazione biolettrica cereb~ale: un aumento sensibile nella frequenza dei ritmi e nella differenziazione antero-posteriole si verifica attorno ai sette-otto anni;
percezione: la m a ggior parte dei d a ti c oncorda nell'indicare l'et di
otto anni come un momento assai signi6cativo nella maturazione percettiva;

intelligenza: secondo Piaget lo stadio del p ensiero intuitivo i n i zierebbe attorno ai quattro anni per concludersi attorno ai sette-otto anni, lo stadio delle operazioni concrete avrebbe inizio attorno ai setteotto anni per concludersi attorno agli undici-dodici anni; d ati si mili
si ritrovano per la costruzione della spazialit e dell'orizzonte temporale, nei quali assai significativa appare l'et di otto anni;
agettivit : la teoria di Freud pone dopo i sette anni l'inizio della fase
di latenza;

320 senso morale: s ia g li s t u di d i P i a g et c he q u elli s uccessivi, da n o i

riportati, indicano una prima fase, della anomia, inferiore ai sei anni
ed una seconda fase, della eteronomia, dai sei-sette anni ai nove anni.
Nonostante la non perfetta concordanza di tutti i d ati i n n ostro possesso, sembrerebbe pi corretto considerare il p eriodo sei-sette anni come appartenente ad uno stadio strutturato in maniera pi vicina a quello
dei quattro-cinque anni che non a q u ello degli o t t o-dieci anni. Se questo vero, la Fanciullezza sembrerebbe dividersi in due stadi fondamentali, uno i n feriore e un o superiore, con l ' et di o t t o a nni c ome et di
passaggio, intermediaria fr a i d u e . I pr o c essi di a d attamento dei soggetti dello stadio inferiore (sei-sette anni) trovano comprensione e spiegazione se si ipotizza la esistenza di meccanismi e strutture simili a quelli
che consentono la interpretazione dei comportamenti dei soggetti di quattro-cinque anni. T ali i p o tesi non sono i nvece pi sufficienti quando si
tratti di i n t erpretare i comportamenti dei soggetti dello stadio superiore
(et otto-dieci anni) per i q u ali n ecessario ricorrere alla formulazione
ipotetica di meccanismi diversi e di s t r utture di maggiore complessit.
b. L'et di in g resso a scuola.
Che cosa giustifica la scelta dei sei anni come l'et per l ' ingresso a
scuola?
Come era previsto, la r i sposta a questa domanda consegue direttamente dalla risposta data alla domanda precedente. L'ipotesi di una Fanciullezza, come di una et dominata da identici, o anche simili, processi
di adattamento alla realt, implicanti l'utilizzazione di strutture e meccan ismi simili, appare decisamente superata e quindi non pi u t i le, ma l a
tentazione di ristrutturare il periodo dai sei ai dieci in una Prima Fanoiullezza (o stadio inferiore) e Seconda Fanciullezza (o stadio superiore) che probabilmente la considerazione che ha portato, con la Riforma del
1955, alla ristrutturazione della scuola elementare in due cicli, uno inferiore
e uno superiore deve essere vinta in nome di un discorso che ben lungi
dall'essere concluso, anche perch, almeno dai dati in n o stro possesso, la
Prima Fanciullezza tenderebbe a configurarsi piuttosto come una prosecuzione della Seconda Infanzia che come una vera e propria Fanciullezza.

Tuttavia questo modo di procedere fallace e pericoloso e veramente nasconde il d mone classificatorio cui accennava Zazzo a pr oposito degli stadi.
Per quanto riguarda la data d 'inizio dell'obbligo scolastico f orse
utile ricordare che per la prima volta, nella legislazione italiana, si parlato di un l i m ite iniziale con la legge Casati del 1859, in cu i si l eggeva

che l'obbligo comincia all'et di sei anni e dura sino ai nove o dieci anni.

321La legge indicava l'et di sei anni come termine massimo per l' i nizio dell'obbligo scolastico, intendendo che non si d o vesse tardare oltre
quella et.
Con il R .D . del 5 f ebbraio 1928 questo termine diventava minimo,
nel senso che veniva vietato l'ingresso, a scuola a bambini che non avessero compiuto i sei anni.
Nessuno pu essere iscritto alla prima classe elementare in
qualit di allievo regolare, se non ha raggiunto l'et di sei anni .

e si precisava, in seguito:
Per l'ammissione alla prima classe delle pubbliche scuole elementari il f anciullo deve aver compiuto i sei anni di et o compierli
entro il 3 1 d i cembre.
La stessa legge prevedeva che potessero venir accettati nella seconda elementare, previo esame di idoneit, alunni che avevano compiuto i
sei anni. Questa disposizione, e la dizione allievo regolare della legge
del '28, instauravano la prassi che permetteva all'alunno di et inferiore
a quella prescritta dalla legge, di frequentare la prima elementare in qualit di u d i t o r e , e successivamente di venire iscritto, come allievo regolare, alla seconda classe, previo esame di idoneit.
Tale prassi, evidentemente discriminatoria, suscit molte c r i t iche
tanto che, ad intervalli, essa fu severamente censurata e contenuta, senza
tuttavia che mai venisse un autentico provvedimento a v i etarla.
Oggi esiste un movimento, che stato tradotto anche in proposta di
legge, presentata nella quarta legislatura dall'on. P. Rossi, che tende ad
antecipare ai cinque anni l ' i nizio dell'obbligo scolastico. Tuttavia numerose difficolt di c a rattere strutturale ed economico si oppongono alla
approvazione di tale riforma.
In It alia frequentano la Scuola Elementare circa 5 milioni di alunni,
un milione per c l asse; anticipando l'et a c i n que anni entrerebbe nel
mondo della scuola un al tro m i l i one di scolari. Ogni scolaro costa allo
Stato all'incirca 130.000 lire annue: l a spesa ulteriore che lo Stato do
vrebbe sostenere, per un m i l ione di scolari in p i , sarebbe cosi di c i rca
1 30 miliardi d i l i r e . T al i p r evisioni sono ovviamente fatte i n maniera
assai approssimata e si riferiscono, in ogni caso, a dati del 1969.
Ma a q ueste difftcolt devono sommarsi tu tt e l e a l tr e l egate alla
mancanza di scuole, di aule, alla necessit dei turni, alla diversa prepa~azione psico-pedagogica che dovrebbero avere gli i nsegnanti, ecc.
La critica massima che si pu, tu ttavia fare alla proposta cosi formulata che no n servirebbe a n u ll a antecipare l'ingresso a scuola
se,
c ontemporaneamente, non s i p e nsasse ad una r i strutturazione dei p r o -

322 grammi, delle tecniche e degli i m pegni. L a l egge cost formulata ha, in
b uona sostanza, tutti i l i m i t i d i u n d i scorso formulato in t ermini d i e t
cronologica che prescinda dalle problematiche legate allo sviluppo mentale: imporre l'ingresso a scuola a cinque anni non , a conti fatti, .meno

arbitrario, dal punto di vista scientifico, dall'imporlo a sei anni.


c. Gli

effetti d e lla scolarizzazione precoce.

L 'Istituto di P sicologia dell'Universit di Cagliari ha t entato di a f frontare il p r oblema del precoce ingresso a scuola con una ricerca i cui
fini principali erano di:
appurare in q u ale percentuale gli u d i t ori en t rino, come a l l ievi
regolari nella seconda elementare;
ricercare quale posizione questi alunni occupino nelle curve di c lasse
sia per quanto riguarda il rendimento sia per la maturit sociale;

studiare la incidenza delle ripetenze, in rapporto alla media delle ripetenze fra gli

a l l ievi r egolari.

La indagine stata condotta, nell'anno 1969-70, in un a scuola elementare e in una scuola media cittadina, frequentate, per il 75% , da figli
di impiegati. La popolazione presa in esame era costituita, per ciascuna
classe di scolarit, da un gruppo di s colarizzati precoci e da un gruppo ldi controllo) di s c olarizzati normali .

POPOLAZIONE
Classi

scolarizzati precoci

Il elementare
III elementare
IV elementare
V elementare
I media

Il media
III m edia
T otali

scorali zzati normali

Totale

36
19
29
17
23
28
40

20
24
22

56
43
51

27
39
42

44
62
70

34

74

192

208

400

La distribuzione degli scolarizzati precoci nelle diverse classi di appartenenza stata la seguente;

323Classi

Il eiementare
III elementare
IV elementare
V elementare
I media
Il media
IIT media

Scolarizzati precoci
oro

13
8
13
9
7

13
20

Erd media

6,10
7,10
8,8
9,10
11,4

12,0
13,0

Globalmente la incidenza degli scolarizzati precoci stata del 1.2%.


La distribuzione per sesso, non apparsa significativa.
Un dato assai interessante apparso il rendimento ai test Ji l i v ello,
nei quali gl i s colarizzati precoci hanno ottenuto valutazioni sistematicamente superiori (con significativit statistica anche dello .003l a q u elle
ottenute dagli allievi normali, tranne per i soggetti della II I m e d ia, ove
i risultati possono considerarsi identici.
Il rilievo delle ripetenze ha mostrato che, mentre per le scuole elementari il f e nomeno delle ripetenze cosi raro da non assumere praticamente nessun rilievo, per la scuola media si sono avuti i seguenti dati:

Classi

allievi normali
oro

1 media
Il media
III m e dia

22
15
10

scolarizz. precoci

30

7
5

Nonostante i d at i a p paiono differenti, l a d i s tribuzione non ha si gnificativit statistica: le r i petenze appaiono equamente distribuite e ci
che le ha causate non sembra attribuibile alla precoce scolarizzazione dei
~ oggetti. La diminuzione delle ripetenze che si nota dalla 1 alla II I m e dia, bench di difficile interpretazione, puo in p a rte r i portarsi alla selezione che il n uovo tipo d i scuola e di t ecnica d'insegnamento opera nei
primi anni e che, in I I I , p u c onsiderarsi stabilizzata,
stato inoltre appurato che i l 6 6 % d e gl i scolarizzati precoci elementari e il 71 % d i q u elli medi, avevano frequentato la Scuola Materna.
Il controllo del rendimento scolastico, effettuato tramite l'esame dei
registri e de i v o ti , i n t egrati d a v alutazioni richieste agli i nsegnanti, ha
mostrato che, mentre nelle classi elementari gli scolarizzati precoci otten-

324 gono punteggi e v a l utazioni superiori a ll a m edia dei p r o pri c o mpagni


normali, questa diRerenza si attenua nelle classi medie, s ino a s comparire e, nella terza classe, rovesciarsi, sia pure lievemente. Le di8erenze,
sia iniziali che finali, non sono tuttavia significative.
La indagine ha anche messo in luce che l'appartenenza ad un determinato ceto sociale non influisce n sul r endimento n sulla scolarizzazione precoce: limitatamente al campione cittadino da noi p reso in esame, con tutte le uniformit che l'abitare nello stesso quartiere comporta,
possibile dire che il c eto sociale non influisce in maniera significativa
sulle valutazioni scolastiche e che gli scolarizzati precoci sono equamente
distribuiti i n t u t t e l e classi sociali, senza prevalenza numerica per alcun
ceto (il dato in tuitivamente di scarsa rilevanza mancando la rappresentanza dei ceti socialmente pi emarginati).
La indagine dell'Istituto di P sicologia ha mostrato, in sostanza, che
la incidenza degli uditori, diventati a l l ievi regolari , nella seconda classe, tutt'oggi assai alta (12% c i rca), e che questi soggetti sono normalmente primi della classe e mostrano ai test un rendimento che li coll oca, mediamente, al d i s o pr a d ella p ropria et cronologica. Infine h a
appurato che la ripetenza incide in egual modo sugli scolarizzati precoci
e sugli scolarizzati normali, almeno sino al l i v ello d ella I I I m e d i a.
Il d i scorso porta a ll a c onclusione che, alla l uce d elle r i cerche e
delle teorie psicologiche pi avanzate, il cr iterio dell'et cronologica andrebbe superato e sostituito da un pi elastico criterio di i ndagine e controllo dello sviluppo mentale e della maturit sociale, Tuttavia, considerata la attuale struttura scolastica e i metodi in essa vigenti per la determinazione dei r e quisiti i n d ispensabili per l ' i n gresso a scuola, un c o n trollo del genere sarebbe molto rischioso e potrebbe assumere una funz ione selettiva, con t u t t i i p a r t i colarismi e l e d i s criminazioni che t a l i
operazioni comportano. Pertanto, i n a t t esa di u n a l egislazione pi elastica e moderna, probabilmente il criterio dell'et cronologica rimane ancora realisticamente il m e n o p eggio .
Ci non impedisce, tuttavia, che la presa di coscienza del problema

debba spingere i pedagogisti a trovare una formula diapertura verso il


basso, in a ccordo con q uanto i d a t i d e l la r i c erca e d e lla t e orizzazione
psicologica stanno mostrando a p r oposito dei meccanismi e d elle strutt ure che paiono apparentare i b ambini d i s ei-sette anni pi a q u elli d i
quattro-cinque, che ai fanciulli d i o t t o-dieci anni.

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I NDI CE

Prefazione

p ag.

Introduzione .

5
7

Capitolo Primo

PROBLEMI DI METODOLO GIA NELLO STUDIO DELL'ETA' EVOLUTIVA


I - L a raccolta dei dati
Il - L a Costruzione delle Teorie

13
29

Capitolo Secondo

X IL RAPPORTO TRA L'EREDITA' E L'AMBIENTE

)>

1 - Geni e Cromosomi
2 - L a Prospettiva Biochimica
3 - L a M eccanica Genica
4 - L a P r o spettiva Statistica
5 - L ' A pporto dell'Ambiente

39

42

44
49

55
57

Capitolo Terzo

IL PERIODO PRENATALE

65

1 - Principali direzioni dello sviluppo


2 - L e f asi del p eriodo prenatale
3 - Le influenze ambientali
4 - L a v it a psichica nel periodo prenatale

69
72
78
81

Capitolo Quarto

IL PERIODO PERINATALE
12~3 ~, 4 -

Aspetti meccanici e chimici della nascita


I l T r a uma della nascita
L ' adattamento primario all'ambiente .
I comportamenti presenti alla nasicta

83
87
>)

90

92

93

Capitolo Quinto
LA PRIMA I N F A N Z I A - I

p r imi diciotto mesi di vita

1 - Lo sviluppo fisico
2 Lo sviluppo psico-motorio
3 - L o s v i luppo della percezione
4 - L a n ascita del l i nguaggio
5 - L o sviluppo della a8ettivit

p ag.

99
102
109
120
133

143

Capitolo Sesto
LA PRIM A I N F A N Z I A - D a i d iciotto mesi a tre anni
1 Lo sviluppo fisico e lo sviluppo psico-motorio
2 Il l i n guaggio
3 - La nascita della intelligenza
4 - L ' i nizio della socializzazione

157
159
166

176
182

Capitolo Settimo
LA SECONDA I N F A N Z I A

- D a i t r e ai sei anni

1 - Lo sviluppo fisico
2 La maturazione della ~ttivit bioelettrica cerebrale
3 - L o s v i luppo psico-motorio
4 - L o s v i luppo della percezione
5 - Lo sviluppo del linguaggio
6 - L o s v i l uppo della intelligenza
7 - L o sviluppo della affettivit
8 - I l p rocesso di socializzazione

189
192
195
199
201
211

223
229

240

Capitolo O t t avo
LA FANCI U L L E ZZ A - D a i sei ai dieci anni

257

1 - Lo s v i luppo fisico
2 - La maturazione della attivit bioelettrica cerebrale

260

3 - Lo sviluppo della percezione .

272
284

4 - La intelligenza
5 - La v ita affettiva
6 - La costruzione del senso morale
7 - L a f anciullezza e la scuola

267

300
305
317

Riferimenti Bibliografici

325

Bibliografia supplet tiva

334

Stampata nel mese di Giugno 1976

in Firenze .

pressola Litografia Rotogset

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