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Gli studi sul fenicio-punico in Sardegna:

prospettive di ricerca in linguistica storica


Valeria Argiolas
Obiettivo di questarticolo apportare un contributo allevoluzione della
ricerca in linguistica storica in relazione alla presenza fenicio-punica in
Sardegna attraverso gli studi linguistici e storiografici che hanno messo in
luce una duratura testimonianza di immigrazioni e movimenti di popoli.
1 Lingua e riflessione storica
Linteresse per la Sardegna nella storia degli studi fenici nasce nel 1646
quando Samuel Bochart, nella sua Geographia Sacra seu Phaleg et Canaan,
affronta, per la prima volta in modo razionale e sistematico, uno studio della
lingua e delle colonie, e dedica un intero capitolo della sua opera, il XXI, ai
Phoenices in Sardinia. I lavori di Bochart verranno integrati da FranzKarl Movers (professore di Esegesi Biblica alla Facolt di Teologia Cattolica
di Breslau): nel 1841, pubblica la prima parte di unimportante opera sui
Fenici riguardante levoluzione delle colonie, della religione e della storia
politica (Movers 1841-1850; Gras-Rouillard-Teixidor 1995).
Gli scritti dei feniciomani di tutta Europa prolifereranno in seguito
dellentusiasmo suscitato dalle pubblicazioni del Movers e alla riscoperta di
Bochart. La feniciomania prender laspetto di un vasto movimento
culturale e di idee e investir lEuropa del XIX secolo parallelamente
allistituirsi di una tradizione scientifica.
In Sardegna Max Leopold Wagner sentir lesigenza di rispondere alle
sollecitazioni che, sulla questione fenicia e la lingua sarda, gli provenivano
da ambienti colti e popolari, con una parola che potesse porsi nel definire
limiti e possibilit (Wagner 1950, 1955).
2 Lingua e Archeologia
Il fondatore dellarcheologia in Sardegna deve essere considerato il
canonico Giovanni Spano, fondatore della dialettologia sarda (Spano 1840,

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1851-1852), anche se precedentemente Alberto Lamarmora (1996) aveva


visitato i siti fenici.
Lo Spano diede nuovo impulso allo studio delle antichit isolane e
credette di sentirsi legittimato a spiegare gran parte del lessico e della
toponimia sarda come espressione di quella civilt fenicia e punica di cui
andava trovando la testimonianza (Spano 1872). Wagner, pur stimando il
dialettologo, consider i risultati delle sue analisi etimologiche come
feniciomania. Fra i tentativi etimologici dello Spano a mezzo di radici
semitiche, Wagner (1950) menziona quelle per accabbare, affacca, cama, chedda,
meda, perra per la loro evidente etimologia latina, ed altre come fulano,
assussna, cannacca come esempi di tradizione semitica (araba) mutuata
attraverso la tradizione romanza (castigliana).
3 La toponimia fenicio-punica nel Mediterraneo Occidentale
I feniciomani tentarono etimologie toponimiche sulla base suggestiva di
semplici assonanze, anche se larcheologia ha confermato quella presenza
fenicia generalizzata nel Mediterraneo segnalata dai loro scritti (Sznycer
1977: 165). Il Movers fu fra i primi ad intervenire sullespansione fenicia in
Occidente, ma la sua attenzione apporta un contributo fondamentale alla
toponomastica sarda.
Lillustre semitista tedesco (Movers 1841-1850) ha riconosciuto il da
Esichio attribuito ai nel significato di monte1 nei tanti toponimi in
gon/gonn presenti in Sardegna (cfr. Hubschmid 1960; Bertoldi 1950; Wagner
1950). Lobiezione del Terracini (1927) che si tratti di un termine libico
affiorante in punico introduce la questione degli imprestiti penetrati dal
Nord Africa per il tramite linguistico e culturale cartaginese. La questione si
rende palese nel caso della Sardegna punicizzata, in cui il quadro
complicato da un riconosciuto sostrato libico pre-punico (Wagner
1950; Hubschmid 1953).
Movers (1841-1850) autorizza la coincidenza semantica fra la parola
attribuita ai Fenici per monte sulla base del passo in punico del Poenulus
di Plauto (cfr. Sznycer 1967): gune bel balsamen in cui gune un
appellativo del dio Baal, normalmente reso con altezza nellinterpretazione
classica di Gesenius (1837). La coincidenza semantica analizzabile anche
nel composto tautologico del tipo Rusgonion, indicato dal Bertoldi nella
presenza dellelemento semitico rs (altura, apice, collina) accanto a gon
preromano.
La forma gon/gonn (cfr. Bertoldi 1950; Hubschmid 1963) presente nella
toponomastica sarda, iberica in basco e nordafricana. In Nord Africa si

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presenta con una particolare concentrazione sulla fascia costiera in cui la


presenza fenicio-punica attestata, oltre che dallarcheologia, dai nomi
composti del tipo Rusgonion (Bertoldi 1950: 18) gi in Tolomeo (IV, 5). Gras,
Rouillard e Teixidor (1995) hanno osservato che Strabone (Geografia, I.3.2)
individua un ruolo di collegamento marittimo per tappe negli
insediamenti della Libia, a met strada tra la Fenicia e lo Stretto di
Gibilterra.
In berbero cabilo (DRB: 819) presente agwni definito: plateau de
montagne; terrain plat, dgag, lev par rapport lenvironnement; stade;
in tashlhit e tamazight del Marocco centrale: plateau entour de collines,
ravin, val. La descrizione che Tucidide fa di un insediamento fenicio (Storie,
6.2.6) e sembra trovare non soltanto un riscontro archeologico puntuale
(Bartoloni 1990) ma anche una definizione cabila.
4 Linfluenza culturale cartaginese
La vicenda del pan-sardo tsinna (campidanese), alabardina, sparto,
presente secondo la distribuzione complementare del trattamento dialettale
/ts t / (Wagner 1984) nei dialetti centrali come inna, inna, in
logudorese tinna (DES II 1960: 546) pu essere ricondotta allambito
culturale del dominio cartaginese. V. Bertoldi (1950) e J. Hubschmid (1953)
avevano accostato le forme sarde al berbero Nefsi di Fassto tsennt, halfa,
qualit inferiore per corde, stuoie, etc Lygeum spartum, it. sparto
(Beguinot 1942) et varr.
La presenza della variante tsnni, tsnnia, nei soli dialetti rustici
campidanesi, si presta ad essere interpretata in considerazione di un
rafforzamento del nome libico dello sparto reintrodotto con la
colonizzazione punica (Paulis 1991). La variante tsnni, tsnnia direttamente
confrontabile con il berbero tsunnt, tsunt (cesto intrecciato di giunco) del
dialetto tashlhit dei Beni Snous, presente anche come asenna/ plur. isenna,
isennain (nasse dalfa, corbeille de roseau, longue et troite, sans anses
Destaing 1914) et varr.; cabilo tisni (te); tisnatin petit couffin en alpha;
tsanit; nel dialetto uargli: isni, isnan (ye) grand couffin en halfa (DKF 1982:
783).
La variante in virt della quale berb. tsunnt, tsunt: sard. camp. tsnni,
tsnnia non sembra attestata in punico. Le forme del berbero mettono in
evidenza per il sardo campidanese, meno conservativo dei dialetti centrali, la
possibilit della reintroduzione di una parlata libica (Paulis 1990, 1991)
portata da genti provenienti dal Nord Africa in epoca storica; ma lipotesi di
un sostrato linguistico nel punico parlato di Sardegna non si pu escludere.

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Lipotesi di un sostrato affiorante in punico applicabile anche agli


impresti senzur (~ sard. camp. sintsurru, sntsiri = correggiola) e cusmin (~
sard. centr. gspinu = nasturzio et varr.) recentemente proposti da Paulis
(1990, 1991): attestati in glosse normalmente riferite come puniche ma che
non trovano base comparativa etimologica nella produttivit morfo-lessicale
delle radici triconsonantiche semitiche conosciute (Vattioni 1978: 531-528;
DRS: 890).
5 I problemi del sostrato libico
Libia il nome greco dellAfrica ed Erodoto (IV, 155) fu il primo a
parlare di lingua libica, raccontando che la Pizia si rivolge a Batto:
; lesistenza di unonomastica libica in greco e di poche glosse ha
fatto s che leredit di matrice ellenistica portasse allinstaurarsi di una
tradizione negli studi. La linguistica storica romanza e gli specialisti di
punico hanno fatto spesso ricorso al termine libico nella necessit di dover
rendere conto di quello che appariva come non semitico in punico o in
semplice rapporto alla lingua berbera al fine di spiegare dei fatti di diacronia.
Johannes Hubschmid (1953) definisce il libico in Sardegna e identifica il
Nord Africa antico nel corrispondente strato meno antico del fondo della
toponomastica sarda pre-latina e pre-punica, precisando la difficolt di
discernerne un libico-punico. Gli studi dello Hubschmid (1953, 1960,
1963) sulla Sardegna sono quanto mai esemplificativi di un discorso sul
sostrato in cui sono stati ottenuti dei risultati in toponomastica in virt dei
criteri geolinguistici della distribuzione delle isoglosse. Il merito di J.
Hubschmid consiste anche nellaver sostenuto e fondato la complessit
stratigrafica del paleosardo, preservandosi dal miraggio di una protolingua.
Gli studiosi di berbero, secondo linsegnamento di Lionel Galand (1988),
si accordano, invece, nel chiamare libico la lingua di pi di mille iscrizioni
scoperte in tutta lAfrica del Nord, dalla Tunisia al Marocco (la datazione
delle iscrizioni parte dal II secolo a.C.). Il libico, cos individuato, una
lingua epigrafica solo parzialmente interpretata grazie alle iscrizioni orientali
di Douggha ed considerato, problematicamente, uno stato antico della
lingua berbera.
Il berbero non riconducibile ad alcun elemento allogeno in epoca
storica: prima dellarrivo dellarabo in Africa del Nord, nel secolo VII d.C.,
appare con un dominio dun solo tenore, dallAtlantico allEgitto (Galand
1988). Per questo motivo, gli studiosi di berbero, in generale, sono concordi
nel considerarlo lingua autoctona del Nord Africa. Poter parlare oggi di
libico-berbero significa dover mettere in rilievo i presupposti storici che ci

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fanno supporre lesistenza di una continuit linguistica con il Nord Africa


antico.
6 Ragioni per unindagine linguistica
La storiografia e larcheologia, avendo restituito testimonianze sicure di
una duratura presenza punica, rendono lindagine linguistica non solo
possibile ma necessaria. La lingua fenicio-punica assume una particolare
importanza storica se la consideriamo nella prospettiva in cui delle parlate
pre-latine in Sardegna lunica che ci sufficientemente nota (Wagner
1950: 150).
Lindagine sullinflusso fenicio-punico in sardo diventa uno strumento
indispensabile per comprendere quali possibilit di conoscenza pu avere
un libico-berbero in unepoca documentata.
In relazione alla politica agricola cartaginese in territorio sardo, deve
essere considerata lipotesi di unimmigrazione di genti dal Nord Africa,
impiegate per il lavoro nei campi. Le fonti storiografiche (Bond 1975: 4956) sono concordi nel sostenere che la madrepatria africana fece ricorso al
grano della Sardegna in almeno due occasioni durante le spedizioni militari
siciliane. La capillarit della presenza cartaginese diventa significativa
nellorientare lindagine linguistica in virt di quegli stessi indizi socio-storici
messi in evidenza dalla recente scoperta di borghi agricoli interni, nelle
pianure del Campidano, della Trexenta, del Sulcis e del Sinis (Madau 2000:
143-145).
Il contesto generale dei rapporti mediterranei di Cartagine dar un reale
significato storico alla conquista dellisola: non si tratta certamente di
accorrere in aiuto dei vecchi empori fenici minacciati dai greci o dagli
indigeni (Bernardini 1986: 99). I Sardi si rifugiarono nel centro
montagnoso allepoca della conquista cartaginese, e i Cartaginesi furono
costretti a far coltivare i campi di grano della pianura da schiavi importati
dalla Libia, secondo Diodoro (IV, 29-30; V, 15) e Pausania (X, 17-18).
Molti storici leggono il senso del passo di Cicerone Africa ipsa parens illa
Sardiniae, ovvero dai Punici mischiati agli Africani discendono i Sardi,
coloni non portati e stabiliti in Sardegna ma ivi cacciati ed espulsi (Pro
Scauro 45a) in un contesto di turbolenze sociali interne e movimenti
militari.
Forse non solo per ragioni strategiche, ma per sentita affinit fra le
popolazioni sarde e libiche, il trattato del 509 vieta la navigazione ad ovest
del canale di Sicilia, consente il libero commercio nella Sicilia cartaginese,
ma stabilisce per la Sardegna e la Libia che coloro che vengono a scopo di

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commercio non concludano alcun negozio se non dinanzi a un araldo o uno


scriba (Moscati 1986: 148). Il successivo trattato del 348 a.C. porta
allequiparazione giuridica della Sardegna alla Libia e viene sancita la norma
per cui in Sardegna e in Libia nessun romano far commercio n fonder
citt (Moscati 1986: 148).
Alcuni studiosi (Bond 1989: 165-174; Bartoloni 1981: 13-30) intendono
che il passaggio della Sardegna fenicia alla fase punica, nel VI secolo a.C.,
non sia spiegabile nei soli termini di un graduale (e naturale) sviluppo della
cultura fenicia verso esiti dipendenti in sempre maggior misura dalla
matrice nordafricana di Cartagine; al contrario questa sembra presentarsi
quale applicazione dura e traumatica di una realpolitik, di cui molti centri
fenici dellisola dovranno subire dolorose conseguenze2. Secondo Pausania
i Balari erano truppe mercenarie dei Cartaginesi, di stirpe libica o iberica
( ) e che abbandonarono la causa di Cartagine, stabilendosi
nelle montagne sarde. Secondo Solino (IV, 2) Norax venne in Sardegna
dalla Spagna, ma coniuncto populo utriusque sanguinis (id est Libycis et
Hiberis), a lui si attribuisce la fondazione della citt di Nora (cfr. Bond
1975: 23).
7 Difficolt di una comparazione
Possiamo definire la lingua sarda la lingua romanza che meglio di tutte
le altre ha conservato il suo carattere latino, non solo rispetto ai fattori
lessicali e fonetici, ma anche morfologici (Wagner 1950). La lingua semitica
dei Fenici e dei Punici rimane sostanzialmente una lingua epigrafica di cui si
ha una grammatica descrittiva.
La difficolt maggiore che oppone la comparazione relativa alla diversa
qualit delle attestazioni. Lepigrafia, per il carattere monotono e formulare
delle iscrizioni dedicatorie e funerarie, ci dice davvero poco sulleffettivo
contesto culturale, civile e morale in cui questa lingua ha avuto valore
veicolare.
Leffettivo valore fonetico del fenicio delle iscrizioni complicato da
una caratteristica intrinseca delle scritture semitiche storiche, che non
segnano le vocali e in cui il vocalismo determinante per identificarne la
morfologia (Cantineau 1960; M. Cohen 1955; D. Cohen 1972; Garbini e
Durand 1994).
Il fenicio-punico in resa fonetica testimoniato da un passo in punico
del Poenulus di Plauto e dalle poche glosse greche e latine; viene ritenuto un
riferimento fondamentale il ricorso alla comparazione con il dialetto pi
affine nellambito del semitico nord-occidentale: lebraico letterario.

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La vocalizzazione dellebraico biblico stata fissata in epoca medievale e


le problematiche esegetiche sono considerate in seno a questa tradizione
letteraria anche nella disquisizione pi propriamente linguistica.
Lebraico = sorgente significativo per la lingua sarda: Wagner
(1950, DES 1960: 120-121) aveva riconosciuto, nella voce campidanese
mttsa = sorgente, presente anche nella forma mnttsa, un imprestito punico
sulla base della comparazione con la forma ebraica , composto deverbale
da , uscire.
Il significato di sorgente, nei testi biblici, spesso reso dallespressione
mtts majim, uscita delle acque (Schwarzenbach 1954). Friedrich (1956)
obietter a Wagner che suona in ebraico mtts e non mittsa, e che,
secondo le corrispondenze fonetiche per cui ebraico = fenicio, avremo
dovuto avere una forma *mts(). Tuttavia afferma Friedrich (1956) la
glossa punica mysehi (la mia uscita) del Poenulus di Plauto, testimonierebbe a
favore di una pronuncia , cio molto vicina a [i].
Il vocabolo mtts, singolarmente considerato, presente in ebraico
biblico nellaccezione geo-storica di luogo di sosta (Schwarzenbach 1954)
ma il significato di Quellort, luogo da cui scaturisce qualche cosa, il luogo
del sorgere accreditato sin da Gesenius (Gesenius e Buhl 1915: 264).
Inoltre Z. Harris (1936) aveva isolato, dalla radice per il punico, il
significato del participio attivo maschile plurale = those who go
forward, attack.
Wagner aveva individuato letimologia della parola sarda dal confronto
con la forma ebraica, affermando che il vocabolo non si trova in nessun
testo punico o neopunico (Wagner 1950). Friedrich (1956) nella
considerazione che: [] alle semitischen Sprachen fr Quelle ein ganz
anderes Wort haben accetta letimologia proposta dal Wagner sulla base
delle suddette corrispondenze fonetiche e semantiche presupposta la
mancanza di unattestazione diretta.
Il vocabolo mtts, nellespressione mtts m, attestato per il fenicio-punico
nellaccezione specifica di sorgente del sole, oriente: in due iscrizioni
fenicie provenienti da Karatepe e da Masub e in uniscrizione punica da
Cartagine (KAI/I: p. 5, ins. # 26, riga AI, 21; KAI/I: p. 5 ins. # 26 righe
AI, 4-5; p. 4 ins. # 19, righe 1-2; p. 17 ins. # 78, righe 5-8 ) (KAI/I: p. 4 ins.
# 19, righe 1-2) (KAI/I: p. 17 ins. # 78, righe 5-8). Lo stesso mtts si
generalizzato in arabo, aramaico e sudarabico nel significato di sorgere
[deverbale, cio sorgente] del sole, oriente, senza che sia stato pi
necessario il termine della specificazione, m (Tompack 1999).

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8 Lingua sarda e cultura3 punica


Le istituzioni puniche4 sopravvivono ancora in et romana e trovano un
riscontro nella consuetudine linguistica di quella popolazione mista
(Wagner 1950) che espresse le iscrizioni neopuniche di Bithia e Pauli Gerrei.
Le lettere di Gregorio Magno (Pinna 1980: 64-77) riferiscono di concezioni
legate alla religiosit punica nelle pratiche magiche dei rustici della pianura.
La presenza cartaginese in Sardegna caratterizzata, per oltre tre secoli,
da modalit di colonizzazione paragonabili forse solo a quelle della
madrepatria africana, in cui il punico continuava ad essere parlato ancora nel
V secolo d.C. Agostino, vescovo di Ippona (Epistolae ad Romanos inchoata
expositio 35, 2096), riferisce la circostanza secondo la quale i contadini
africani chiamavano se stessi chanani, nome che, verosimilmente, i Fenici5
avevano portato con s dallOriente (Garbini e Durand 1994).
Un parallelo storico-linguistico con la madrepatria africana suggerito
per una riflessione, indirettamente dallo stesso Agostino, quando afferma
che, ai suoi tempi, andava perdendosi il valore fonematico della quantit
vocalica nel latino parlato dAfrica, ovvero che gli Africani non facevano pi
distinzione fra le vocali lunghe e le vocali brevi nel parlare latino:
testimonianza che sembra concorde con i risultati di alcuni studi
sullepigrafia latina in Nord Africa (Acquati 1975: 155-184).
Alcuni studiosi (Wagner 1951: 56) hanno accostato tipologicamente se
non storicamente levoluzione del sistema vocalico del latino parlato di
Sardegna, in cui la quantit vocalica appare come variante allofonica, alla
persistenza di abitudini articolatorie comuni. Il legame linguistico con il
Nord Africa si spezza nel momento in cui, con laffermarsi della parlata
romanza, la lingua sarda stabilisce una discontinuit (tipologica e genetica)
punico-latina, contrariamente a quanto avvenuto in Nord Africa.
Il toponimo documentato come Bitan (Paulis 1991: 631), e
corrispondente alla Bitia (B) di Tolomeo (III, 3: 3), nella pi tarda
iscrizione neo-punica rinvenuta in Sardegna, riconduce un fenomeno
relativo ad una delle pi importanti isoglosse del sardo nel mondo romanzo,
il trattamento delle labiovelari latine originarie, ad abitudini articolatorie
comuni anche allAfrica. Bitan trova un probabile riscontro nellalternanza
/B relativo al nome della citt della Mauretania in Tolomeo
(Paulis 1991: 631) e stabilisce una cronologia assoluta e una relativa per un
fenomeno altrimenti attribuibile al sardo medievale. Bitia afferma il Paulis
nella sua analisi continuato nel nome dellodierna Chia, attraverso una
fase Quiza documentata per il IV secolo. La testimonianza epigrafica della
forma Quizia rivela che gi nel IV secolo d.C. la labiovelare latina qu era
passata a b se la b di Bitia era stata considerata una forma popolare, volgare,

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grammaticalmente corrotta, esito di una qu originaria, e quindi a questa


ricondotta nella forma Quizia, in un atto di ipercorrettismo.
9 Il riflesso linguistico della presenza fenicio-punica in sardo
Il settore della morfosintassi rimane ancora largamente inesplorato anche
se G. Serra (1960), a proposito della struttura di nomi a schema ad armonia
vocalica del sardo fa riferimento al libico. Le possibilit dispiegatesi dalla
toponimia diacronica possono ancora riservare delle novit sul contributo
punico alla lingua sarda; ma lo stato degli studi, pur arricchito dalle recenti
acquisizioni, sembra risolvere lapporto della civilt che ha portato la
Sardegna a varcare la soglia della Storia a poche parole.
9.1
Gli imprestiti campidanesi rassicurano su certezze considerate una volta
per tutte acquisite e circoscrivono i limiti dellespansione territoriale
cartaginese in unarea dialettale. La diversa distribuzione toponomastica di
mttsa, sorgente, e tsppiri, rosmarino, (Paulis 1991) propone una
cronologia relativa in rapporto alla formazione dei dialetti6.
Larea di irradiazione culturale del commercio punico individuata da
tsikkira (Blau 1873) (un tipo di aneto), e da tsppiri (Bertoldi 1950; Paulis
1991) = rosmarino; la cerealicoltura cartaginese rappresentata dalle
isoglosse tserra e sntsiri (Paulis 1991, 1992), rispettivamente piumetta
embrionale del seme del grano che germoglia7 e correggiola (una malerba
assai tenace).
Il recente annovero di alcuni punicismi ai dialetti centrali della Barbagia e
delle Baronie (krma, ruta montana, gspinu, nasturzio) (Paulis 1990, 1991,
1992), in cui lipotesi di una presenza punica elude le modalit di una
colonizzazione, si impone inatteso. In Baronia la ruta khalepensis L., o ruta
montana individuata come fenicio-punica (Paulis 1990, 1992) e ci porta a
considerare quanto la scienza etimologica in Sardegna pu essere non solo
eloquente su molti aspetti della lingua sarda8, ma anche della misura stessa in
cui un lessico pu dirci qualche cosa su una civilt e i suoi popoli9.
9.2
I punicismi non ancora etimologizzati in semitico come sntsiri e gspinu
mettono in essere unantica questione allattualit degli studi anche in
linguistica sarda: la PUNICA LINGUA come indice culturale del testo
(Silvestri 1979: 71). Quanto ha affermato D. Silvestri: [per letimologo] i

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testi sono la lingua processuale, e funzionano come indici necessari del loro
contesto psicolinguistico di produzione pu applicarsi anche al concetto di
lingua punica, ricavabile dalle referenze classiche nei glossari dellAntichit.
La storia della lingua nella prospettiva della storia culturale
innanzitutto storia dei testi e dei loro contesti di produzione (Silvestri 1987)
non soltanto nellindagine prettamente linguistica ma anche nella riflessione
metalinguistica ricavabile dai testi in cui si fa riferimento alla lingua punica.
Conclusione
Secondo C. Courtois (1975: 89-90, 273-294) lingua punica se rfre
parfois au libyque in rapporto allAntichit (tarda) e allEt Media. In
unindicazione di Plauto, Abila significherebbe mons altus in fenicio
(Cataudella 1969: 145-149): J.M. Lassre e Y. Le Bohec (1961-1990: 67)
affermano il est possible quil y ait lorigine une forme libyque.
I testi latini e greci, sempre in causa nelle analisi etimologiche sul feniciopunico nella lingua sarda, dimostrano quanto la questione sia davvero
importante10.
Letnonimo amazi riconosciuto in testi greci e latini molto diversi fra
loro: da Erodoto (Maxyes) e fino a Corippo (550 d.C.) (Desanges 1962:
113). In quegli stessi autori non si lasciano intravedere indizi del fatto che
questo etnonimo sarebbe continuato in importanti aree della berberofonia
storica ad indicare (prevalentemente) la lingua berbera11 (Chaker 1996: 126).
Moscati (1986-2000), ha potuto affermare, che, sullo stato delle
conoscenze attuali e possibili riguardo la civilt fenicio-punica, la ricerca
scientifica, anche in questo caso, consente di rispondere procedendo solo
per esempi, ponendo in rilievo talune situazioni che le scoperte recenti
illuminano e che possono avere carattere indicativo di situazioni pi
generali. Diversi aspetti della presenza punica in Sardegna sono stati resi
dattualit dai nuovi ritrovamenti della linguistica sarda, e sono contributi
indispensabili per comprendere luniverso fenicio nel Mediterraneo
Occidentale.
La presente trattazione non si ritiene esaustiva per levolversi delle
ricerche sullinflusso fenicio-punico nella lingua sarda: nuovi risultati
potrebbero venire alla luce e rinnovare le nostre conoscenze su questa
civilt; ma linvestigazione etimologica in linguistica sarda pu mettere in
evidenza una situazione pi generale in rapporto alla referenza fenicia e
punica nellAntichit e aprire nuove prospettive di ricerca alla rintracciabilit
di un libico-berbero in epoca storica.

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Note
1

In realt la glossa porta la dicitura ma lemendamento di Movers in accettato


dalla gran parte degli studiosi.
2 La distruzione del santuario dei marinai a Cuccureddus di Villasimius (540 a.C. circa), il
brutale annichilimento di Monte Sirai alcuni anni dopo (520 a.C.) indicano con
evidenza, insieme al ripiegamento di altri importanti centri fenici come Sulci e Bitia,
come Cartagine si sia scontrata con durezza, in termini di vera e propria aggressione
militare, con gli insediamenti fenici nellisola (Bartoloni, Marras e Moscati 1987: 230).
3 Mutuiamo dal fr. civilisation, ingl. civility, ted. Kultur unidea di cultura che si estende a tutte
le forme del vivere sociale, sia nei loro aspetti spirituali che in quelli pi marcatamente
materiali.
4 Lattestazione della magistratura sufetale fornita dalliscrizione neopunica di Bithia,
datata al II-III secolo d.C. (cfr.: Guzzo Amadasi 1967: 78).
5 il nome con cui i Greci chiamavano probabilmente gi in et micenea gli
Occidentali, gli abitanti di Fenicia ma anche i Cari dAnatolia (cfr.: Garbini e Durand
1994).
6 Il nome del rosmarino in campidanese forse anche in virt del fatto che questo sia un
imprestito punico trattato come unimportante isoglossa dialettale. Larea lessicale di
tsppiri, coincidente con quella dialettale, fornisce un dato discordante rispetto alla
testimonianza toponomastica (Paulis 1991: 89). Il nome punico infatti attestato nella
denominazione locale dei luoghi della Sardegna nord-occidentale in cui il nome
dialettale del rosmarino il neolatino ramasinu (DES 1960: 98). In questarea (Paulis
1991: 89) presente nella forma fonetica tppiri secondo il trattamento atteso per cui
camp. /ts/~ log. /t/. Il nome del rosmarino nei dialetti logudorosi e campidanesi
distribuito secondo un criterio di esclusione complementare, al pari dellisoglossa
camp. /ts/~ log. /t/. Allespulsione della parola punica in unarea in cui questa
attestata dalla toponomastica locale (attraverso una precedente fase in cui /ts/ > /t/)
non estranea la componente ideologica.
La colonizzazione punica in queste aree stata pi tardiva ma sopratutto meno
radicale (cfr. Moscati 1986).
7 In virt del passaggio semantico per cui da lat. CENTENODIA = Poligonum Aviculare L.
> la correggiola e il poligono equisetiforme, per la comune presenza di ocre nodose,
condividono in campidanese la stessa denominazione, ra de ntu nus, ed giustificato
il nome sintsri, propriamente nome popolare del poligono equisetiforme anche per la
nota malerba dei campi (Paulis 1991).
8 Il punico tsikkira mostra un alto grado di integrazione fonetica, come riportato dalla
glossa del Dioscoride viene recepito in sardo. Ma la conservazione del nesso k + j, in
questi dialetti che conoscono la palatalizzazione (k + i, e > ) appare come lesito di un
fenomeno simile a quello che ha permesso in campidanese la conservazione di un
relitto linguistico come kittsi (DES 1960: 127). In ambedue i casi avremo avuto la
successione, in sillabe contigue, di foni omorganici, cio articolati in modo simile ([] e
[ts] sono due affricate, pre-palatale la prima e alveo-dentale la seconda). Nel caso, ben
noto alla linguistica sarda, di kittsi si tratta di una dissimilazione preventiva, mentre per
tsikkira possiamo parlare di dissimilazione regressiva. La mancata palatalizzazione
impedisce che i due foni si confondano, perdendo la loro qualit oppositiva.

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Il punicismo krma, riconosciuto nei dialetti delle Baronie, non attestato dai dialetti
campidanesi per le aree della colonizzazione punica. Paulis (1990: 612) ipotizza anche
una continuazione della voce punica, per immistione, in kursta, cimice. In tutto il
sardo cimice esito di una derivazione diretta dal latino CIMEX, -ICE, in parte
incrociatasi con PULEX, PUDECLU, e PINNA (DES 1960: 338); nei dialetti delle
Baronie di Siniscola, Orosei, Posada, Bitti e a Oliena ursta e, in una vasta area
settentrionale, comprendente Nule, Orune, Pattada, Buddus, Berchidda, Luras, Monti,
Olbia, rsta. Lassociazione fonica con la parola punica avrebbe favorito la derivazione
dal latino CRUSTA (crosta, nellaccezione di sporcizia incrostata), indotta dalla
circostanza per cui la ruta, in virt dellodore acre che emana, veniva utilizzata per far
uscire allo scoperto le pulci, che poi venivano uccise con lacqua bollente. Questo
ragionamento pu spiegare lintroduzione della parola semitica per irradiazione da un
centro punico come Olbia compresa nellarea lessicale di rsta. Leffettiva assenza del
nome punico della ruta nei dialetti campidanesi, meno conservativi ma partecipi della
pi profonda e capillare colonizzazione punica anche nella forma indiretta, rsta
spiegata con il fatto che il nome della ruta dovesse essere una parola magica, (la ruta
trova impiego nella pratica dellaffumentu) e come tale, in qualche misura, segreta (Paulis
1991).
10 Se non riserva sorprese il fatto che Dioscoride si riferisca prevalentemente ai Punici con
il termine i Punici dello Pseudo Apuleio si rivelano invece pi problematici.
una specie di aneto che Dioscoride (De Materia Medica, III, 58), nelle sue
interpolazioni sinonimiche, attribuisce agli . Ugualmente il nome della ruta hortensis
dato da Dioscoride (De Materia Medica, III, 45) per gli stessi Afroi quale khourm e in
ambedue i casi stabilita la corrispondenza con altre lingue semitiche antiche.
Il rosmarino ben identificato in unespressione come quella che segue: a Graecis
dicitur libanotis, alii ycteritis, Itali rosmarinum, Punici zibbir (Pseudo Apuleio 80,31) e
una corrispondenza sembra stabilita con il patronimico ebraico Zebir. Ma sembrano
estranei al fondo semitico degli appellativi della lingua fenicio-punica i nomi attribuiti ai
Punici dai codici della classe dello Pseudo Apuleio per la correggiola (Herbarium 12,
27) herba proserpinaca Punici: zunzur che compare nelle varianti sensur, sunsur dei
Dynamidia (2,35), sumsur nelle Gloss. medic. (61,15), in Mustio (Gyn. 69,5) come zenzur
(~ sard. sintsurru, sntsiri) e un nome del nasturzio (confrontato con il nome sardo del
nasturzio gspinu et alii, in Barbagia e in Baronia) restituito in base alla glossa dello
Pseudo Apuleio (20) che esplicitamente afferma: punici cusmin uocant, e altrimenti
presente in altre glosse con: cusmin id est nasturcium.(vat. lat. 4417, 122v) (Vattioni 1978:
143; Paulis 1990, 1991, 1992).
11 Fra gli Chleuh awal amazi la lingua poetica (Galand-Pernet 1972).
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