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Indice

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Presentazione

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Nota editoriale

27

Bibliografia degli scritti di Mario Vegetti

29

Tavola delle abbreviazioni

41

Lio, lanima, il soggetto

43

Lumano fra natura, norma e progetto nelle antropologie antiche

81

Culpability, responsibility, cause: Philosophy, historiography,


and medicine in the fifth century

93

Il mondo come artefatto. Cosmo e caos nel Timeo di Platone

111

Struttura e funzioni della dicotomia nel Sofista

123

Ontologia e metodo. La critica aristotelica alla dicotomia


in De partibus animalium I 2-4

133

Kenologen in Aristotele

145

Athanatizein. Strategie di immortalit nel pensiero greco

165

I piaceri del mio. La questione della persona nello stoicismo antico

179

Tra il sapere e la pratica: la medicina ellenistica

189

Limmagine del medico e lo statuto epistemologico


della medicina in Galeno

227

I nervi dellanima

279

Cinquantanni di filosofia antica in Italia: successi e problemi

297

Intervista sul classico

305

Un viaggio di mille anni. Tre questioni filosofiche

313

Bibliografia generale

323

Indice dei luoghi citati

335

Tabula gratulatoria

347

Presentazione
Nel mondo accademico, tradizione consolidata dedicare ai grandi maestri che lasciano linsegnamento un omaggio, solitamente nella forma della Festschrift, la raccolta di studi celebrativi composti per loccasione da
allievi e colleghi. Questuso, pur cos illustre, non ci parso del tutto congruente con il personaggio che intendiamo festeggiare. Mario Vegetti ha
deciso di lasciare la cattedra di Storia della Filosofia Antica che occupava
presso lUniversit di Pavia ben prima di aver raggiunto i limiti di et e in
un momento di massima creativit scientifica, allapice del successo, nazionale e internazionale: allatto puramente burocratico del pensionamento si di fatto accompagnato un eccezionale attivismo, che lo ha portato,
da una parte, a proseguire instancabilmente il lavoro di ricerca, e dallaltra
a diffondere il suo sapere e le sue competenze tramite unintensa partecipazione a conferenze e convegni, in Italia e allestero.
Cos, la modalit celebrativa che ci sembrata pi consona a Mario Vegetti quella di ripubblicare una raccolta di suoi scritti, scegliendoli tra i
moltissimi che ha composto nel corso della sua lunga carriera. Si tratta di
una scelta estremamente ridotta, ma significativa, dal momento che i saggi
coprono tutti i numerosi ambiti di ricerca in cui Vegetti si impegnato, e
nei quali ha lasciato il segno.
Prima di illustrare i temi cui sono dedicati gli studi pubblicati nel volume,
utile accennare al percorso non del tutto tradizionale che Mario Vegetti
ha seguito prima di diventare, nel 1975, professore ordinario Storia della
Filosofia Antica a Pavia. Come lui stesso ha ricordato nellautobiografia
redatta qualche anno fa per il Bollettino della Societ Filosofica italiana,
il suo accesso alla carriera universitaria stato preceduto da una serie
di esperienze condotte in ambiti lavorativi del tutto differenti. Tra queste, un ruolo centrale spesso sottolineato da lui stesso, quando rievoca
i suoi anni giovanili stato occupato dallattivit svolta come addetto
alle pubbliche relazioni in unazienda elettronica italo-americana, la SGS:
non sono molti i professori che hanno vissuto la realt del lavoro al di
fuori della cerchia universitaria, e proprio lesperienza maturata in questo
mondo altro ha contribuito a formare in Mario Vegetti una mentalit
per tanti versi non accademica. A questa apertura ha contribuito inoltre la
diretta partecipazione alla vita politica: il suo impegno in questo campo
non mai venuto meno e ha contribuito anche a far s che i temi della sua

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Presentazione

riflessione raggiungessero un pubblico molto pi vasto di quello universitario.


Lingresso di Mario Vegetti nellambito accademico avviene nel 1967,
quando, a seguito del conseguimento della libera docenza, gli viene affidato lincarico per linsegnamento di Storia della Filosofia antica presso
lUniversit di Pavia. Si tratta di una data importante, non solo perch
d inizio a una carriera straordinaria, ma anche perch coincide con lattivazione di un corso specifico del tutto nuovo: fino a quella data, era il
docente di Storia della Filosofia in quegli anni Vittorio Enzo Alfieri ad
assumersi il compito di trattare, periodicamente, un argomento relativo al
pensiero antico. Il numero di allievi certamente esiguo nei primi anni in
cui linsegnamento di Antica viene impartito (unesiguit che consentiva
un impianto seminariale e un contatto molto stretto e proficuo tra docente
e studenti, e che Mario ha sempre ricordato con una certa nostalgia negli
anni successivi) si fa via via pi ampio, fino a che la nuova disciplina acquista una vera e propria centralit nellambito del corso di studi in filosofia dellUniversit di Pavia. Come gi stato ricordato, il ruolo di docente
e di studioso svolto da Mario Vegetti a partire dal 1967 viene premiato, nel
1975, tramite il conseguimento del titolo di professore ordinario: da allora, fino al 2002, anno nel quale ha chiesto di essere collocato fuori ruolo,
egli ha rappresentato, a Pavia, la Storia della Filosofia Antica, formando
generazioni di studenti, e un gruppo di allievi che hanno dato luogo a una
scuola, di cui Vegetti tuttora il riconosciuto maestro.
Gli interessi scientifici di Mario Vegetti si sono indirizzati, nel corso degli
anni, a diversi ambiti.
I suoi primi studi hanno riguardato il settore della scienza antica, e in particolare la medicina.Proseguendo le indagini condotte nella tesi di laurea,
dedicata a Tucidide e discussa a Pavia, dove aveva svolto i suoi studi universitari, allievo del Collegio Ghislieri, Vegetti si dedica anzitutto mentre
ancora lavora alla SGS alla traduzione delle opere di Ippocrate che, nel
1965, sono pubblicate da Geymonat nella grande collana di testi relativi
alla Storia della scienza edita dalla UTET. In questo stesso filone di ricerca si inseriranno, negli anni successivi, ledizione, delle opere biologiche
di Aristotele, curata in collaborazione con Diego Lanza (1971) e quella di
opere scelte di Galeno, in collaborazione con Ivan Garofalo (1978), entrambe edite dalla UTET.

Presentazione

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A partire dalla met degli anni 70, le ricerche condotte da Vegetti assumono nuovi orientamenti, anche a seguito del suo contatto con indirizzi di ricerca allora innovativi intervenuti in ambiente francese: essi sono rappresentati, da una parte, dagli studi antropologici con impianto strutturalistico di J.-P. Vernant, e dallaltra dallepistemologia storica di M. Foucault. Se
gli studi precedenti erano finalizzati a far emergere la struttura dei saperi
effettivi e questo era stato il senso dei suoi lavori cos pionieristici nel
settore della scienza e della biologia antiche ora Vegetti si interroga sui
contesti sociali, politici e ideologici del discorso filosofico-scientifico, sulle
strategie comunicative cui esso si correla, sul suo ruolo nel contesto culturale. A quel periodo risalgono opere come Lideologia della citt, in collaborazione ancora con Diego Lanza (1977), e Il coltello e lo stilo (1979).
Unulteriore fase che riconoscibile nellambito della produzione scientifica di Vegetti si inquadra negli anni 80: iniziano in questepoca gli studi
sulletica antica, orientati anzitutto a esaminare alcuni temi delletica stoica e poi ampliati, in una prospettiva complessiva, che abbraccia lintero
mondo greco, da Omero allet romana, con il volume Letica degli antichi
(1989): continuamente ristampato, questo libro costituisce tuttora un punto di riferimento imprescindibile per questo settore di studi, unopera che
unisce nel modo pi felice un tipo di scrittura molto avvincente anche per
il non specialista a una grande ricchezza di informazioni e a una vera novit nellimpianto. Non si tratta infatti di compiere un semplice percorso
diacronico, isolando le dottrine etiche degli autori che si susseguono nellambito del pensiero antico, bens di individuare periodi, testi o ambienti
esemplari. Basti pensare al ruolo assegnato al mondo omerico e alla figura
delleroe, alle analisi ampie e puntuali riservate alla Repubblica di Platone
e allEtica Nicomachea di Aristotele e infine ai capitoli finali che trattano, in
modo trasversale, delle scuole ellenistiche e dei nuovi problemi di etica
individuale che esse propongono. Lattenzione si concentra, in particolare,
sulla delineazione della figura del saggio, che Vegetti delinea efficacemente secondo le sue molteplici sfaccettature.
Gli studi sulletica antica sono destinati a costituire la base di partenza per
una nuova impresa: questo termine non usato a caso, vista limportanza, e limponenza, del lavoro che Vegetti si propone di iniziare, dopo averne accarezzato a lungo il progetto. Si tratta di una nuova traduzione e del
commento della Repubblica di Platone, uno dei testi pi illustri di questo
filosofo e in generale del pensiero antico, ma al tempo stesso un dialogo su
cui si concentrato un dibattito secolare, in cui sono risuonate spesso voci
pesantemente critiche. Ben consapevole di questa ampia e problematica

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Presentazione

tradizione interpretativa, Vegetti ha concepito il lavoro di commento in


modo del tutto inusuale. Esso non si limitato a una serie pi o meno ampia di note, che pure sono presenti, in calce alle pagine della traduzione:
la vera novit consiste nel produrre un commento composto da una serie
di saggi interpretativi sui nodi centrali del testo. Questo lavoro cos esteso
ha richiesto la formazione di una quipe, che ha visto affiancarsi a Mario
Vegetti un numero sempre pi nutrito di allievi e di collaboratori, scelti
per le loro specifiche competenze. I primi risultati di questo ambizioso
progetto hanno visto la luce nel 1994, quando, in forma di preprint, stato
edito il volume relativo al libro I della Repubblica, cui sono seguiti, sempre
nella stessa forma, per cos dire artigianale, i volumi relativi ai libri II-III
(1995) e IV (1997). Nel 1998, questi tre volumi, che nel frattempo erano gi
ampiamente circolati nella comunit scientifica nazionale e internazionale
meritandosi ampi consensi, sono rivisti e stampati in via definitiva nella
collana di Elenchos, diretta da Gabriele Giannantoni presso Bibliopolis. Negli anni successivi, limmane lavoro continua: nel 2000 viene pubblicato il
volume relativo al libro V, nel 2003 quello relativo ai libri VI-VII e nel 2005
quello dedicato ai libri VIII-IX. Al momento, in preparazione lultimo
volume della serie, sul libro X, e limpresa trover il suo coronamento nel
volume supplementare con la bibliografia complessiva e lindex locorum.
Si trattato di un lavoro che si protratto grosso modo nellarco di quindici anni, durante i quali Mario Vegetti si fatto carico dellideazione del
progetto e della sua realizzazione. Non solo ha tradotto integralmente il
testo corredato di note, scritto le introduzioni a ciascun volume, steso un
ampio numero di saggi interpretativi, ma ha coordinato e controllato minuziosamente il lavoro di tutta lquipe, i cui membri hanno sempre formato un gruppo coeso, e consapevole delle particolari regole che governavano questa fatica comune.
Giunto ormai in prossimit del traguardo, Mario Vegetti potr dirsi soddisfatto, pensiamo, di questa sua impresa, che ha dato vita a quello che si
potrebbe veramente chiamare un Lebenswerk. E noi, i suoi allievi, quando
vediamo sui nostri scaffali la lunga fila dei tomi, di mole sempre pi cospicua, che condensano la nostra fatica collettiva, siamo, per parte nostra,
orgogliosi di aver contribuito alla realizzazione del suo progetto, diventato via via anche nostro.
Il risultato positivo del lavoro sulla Repubblica va valutato sia per il suo valore scientifico, dal momento che non ha eguali, sia per lampiezza sia per
la struttura, nellambito dei commenti ai testi, sia per la rilevanza che ha

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avuto nel rinsaldare la struttura della scuola che Mario Vegetti ha avuto
la fortuna di poter fondare a Pavia: la situazione attuale dellUniversit,
bloccando le prospettive di carriera della maggior parte delle giovani leve,
difficilmente consentir che esperienze simili si ripetano.
Il ruolo di maestro che Vegetti ha svolto per tanti anni non si certo esaurito con la sua andata in fuori ruolo prima e con il suo pensionamento poi:
la sua presenza a Pavia ancora costante, e la sua attivit di insegnamento
continua, tramite corsi tenuti per contratto che attraggono ancora numerosi studenti.
La bibliografia di Mario Vegetti, riportata integralmente in questo volume,
consiste in un numero molto elevato di titoli. I suoi scritti si riconducono a
una tipologia alquanto differenziata, dal momento che saggi dallimpianto accademico coesistono con contributi pubblicati su quotidiani e riviste
ad alta diffusione, a testimonianza di unattivit culturale non limitata alla
sola cerchia universitaria.
Gli studi qui editi rappresentano una selezione assai ridotta rispetto allampiezza di questa produzione. Essi vogliono comunque rappresentare,
esemplarmente, i principali ambiti di ricerca cui Vegetti si dedicato.
I primi tre saggi rivestono un carattere generale e testimoniano una non
comune capacit di sintesi, propria solo degli specialistici pi preparati e
maturi.
Lio, lanima, il soggetto, che apre la serie, affronta la complessa questione di
stabilire quale rapporto intercorra tra la concezione greca della soggettivit e quella moderna. Dopo aver ripercorso i termini di un dibattito che ha
visto il delinearsi di posizioni del tutto opposte, Vegetti mostra come, nel
pensiero greco, la categoria di soggetto non possa essere compiutamente
rinvenuta n in ambito teologico, in cui diversamente da quanto accade
nella tradizione giudaico-cristiana non si assiste ad alcuna forma di soggettivazione del divino, n in campo psicologico, dal momento che lanima si configura come unentit divina e superindividuale; ugualmente,
nel contesto politico, il singolo trasformato in cittadino, parte integrante
di una comunit. Anche nel campo gnoseologico e epistemologico, la
realt-verit delle cose a imporsi, grazie alla sua potenza manifestativa,
sul soggetto conoscente. Al tempo stesso, tuttavia, Vegetti individua una
sorta di transito verso la concezione moderna della soggettivit anzitutto nella concezione aristotelica dellio proprietario, cio a dire nella figura dellindividuo dotato di una propriet privata, legato agli altri soggetti

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da vincoli di amicizia, i quali prolungano quella prima e fondamentale


affezione che ciascuno nutre per se stesso. Un altro ambito in cui viene
valorizzato lapporto di Aristotele quello ontologico: Vegetti mette in
luce come la dottrina aristotelica dellousia il termine che, nel linguaggio
comune, indica proprio il patrimonio conduca allemergere della sostanza, o entit, come vero e proprio soggetto in campo ontologico e logicolinguistico.
Lindividuazione dei nessi che intercorrono tra antropologia e etica nel
pensiero antico loggetto del saggio Lumano tra natura, norma e progetto
nelle antropologie antiche. Vegetti vi esamina tre approcci significativi, quello stoico, quello aristotelico e quello platonico, indagando al contempo
le modalit con cui ciascuno di questi tre modelli stato ripreso nella discussione filosofica contemporanea. Il punto di partenza dellindagine
rappresentato dallindividuazione del concetto di natura che ciascuna di
queste filosofie elabora. Si cos di fronte, nello stoicismo, a una teoria descrittiva forte della natura, sia delluomo sia del mondo, che mira ad assicurare al soggetto la sua piena autonomia, armonizzandolo con la struttura cosmica e azzerando al contempo gli influssi dellambiente storicosociale. In Aristotele non sono presenti assunzioni altrettanto impegnative
relativamente alla natura umana: il carattere di normalit dei processi naturali trova il suo riscontro anche nellambito umano, dove tale carattere
attribuito alla figura esemplare delluomo secondo natura, lo spoudaios.
A sancirne la positivit sono i fatti, cio le opinioni e le credenze condivise allinterno della comunit politica: la normativit di questo personaggio si costituisce dunque allinterno della fenomenologia della morale,
dellethos pubblico. Sono queste le caratteristiche del pensiero aristotelico
che ne hanno favorito la ripresa in epoca recente, nellambito della cosiddetta filosofia pratica. I problemi connessi a questa rivisitazione, che fa
leva proprio sullopportunit di riattualizzare la nozione aristotelica di
comunit come luogo di formazione e di trasmissione dellethos pubblico,
sono stati analizzati da Vegetti in un importante saggio del 1993, Aristotele
e la filosofia pratica: qualche problema, in Paradigmi. Vegetti analizza infine
i motivi per cui il modello antropologico platonico abbia goduto di assai
scarsa fortuna: sottolinea cos che la costruzione antropologica platonica
, allopposto di quella aristotelica, contro lethos pubblico e la tradizione,
e in pi improntata a un forte artificialismo. Non solo mancano assunzioni circa la normativit di una natura buona in s, e anche riguardo al
carattere normativo dellesistente, ed anzi lanimale umano deve essere

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riconfigurato, attraverso un progetto artificialistico quale quello della


Repubblica che produce un buon governo dellanima e della citt.
Un ulteriore saggio di argomento generale Culpability, responsibility, cause. Analizzando una serie di territori culturale differenti dalla filosofia,
alla storiografia, alla medicina greca del V secolo Vegetti rintraccia il
passaggio dalluso del linguaggio della colpevolezza intesa in senso personale, allelaborazione di una nozione di responsabilit morale, politica
e legale, per rinvenire infine lemergere di una nozione neutralizzata di
causa, con il significato di spiegazione. Lambito privilegiato in cui questo
processo viene portato a compimento quello della medicina, come mostrano le approfondite analisi testuali che Vegetti conduce: lopera che, in
questo quadro, assume una rilevanza particolare Antica medicina, in cui
si riscontra la concezione pi concettualizzata e precisa della causalit per
quanto attiene al V secolo. A questo scritto ippocratico compete allora il
merito di segnare linizio di una nuova storia del pensiero causale.
Nella raccolta, ai saggi fin qui presentati, che analizzano temi di portata
generale, fanno seguito alcuni studi specifici, dedicati rispettivamente a
Platone, Aristotele, gli stoici.
Il primo contributo su Platone Il cosmo come artefatto intende mostrare
come alla cosmogonia descritta nel Timeo sia applicabile quel paradigma
artificialistico che, secondo Vegetti, percorre tutta la filosofia di Platone.
Si delineano cos le condizioni che conducono alla fabbricazione del manufatto cosmico, e che vengono ricavate per analogia su quelle che consentono la produzione degli oggetti dellesperienza sensibile: lesistenza
di modelli di riferimento le idee , il luogo della generazione delle cose
concrete, la chora, lartigiano costruttore il demiurgo. Vegetti si sofferma,
in particolare, sulla decodificazione delle metafore utilizzate da Platone
per descrivere loperato di questa figura centrale di costruttore: oltre alla
metafora artigianale, una metafora politica, dal momento che il demiurgo
si delinea anche come magistrato che governa la citt cosmica, tentando di
imporle un ordine razionale, cui essa, tuttavia, tende a sottrarsi. La terza
metafora quella generativa, poich il divino artigiano riveste anche la
funzione di padre rispetto a una chora che si delinea come madre o come
nutrice, e da tale incontro ha origine quel grande essere animato che il
mondo. A questo viene attribuita unanima, quale guida razionale e garanzia di ordine, del tutto cos come delle sue parti. Vegetti sottolinea, inoltre,
lo stretto legame che sussiste tra questo progetto cosmogonico e quello
etico-politico delineato nella Repubblica, dialoghi che sono collocati in se-

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quenza, secondo quanto Platone stesso asserisce nel prologo del Timeo. Si
tratta, nella sua interpretazione, di salvare il disordine, di delineare cio,
in questo dialogo, una struttura del mondo caratterizzata da un ordine in
qualche modo precario, non del tutto legalizzato, tale da consentire, o forse meglio da richiedere, una progettualit etico-politica, come quella che,
nella Repubblica, prospetta il modello della kallipolis.
In Struttura e funzioni della dicotomia nel Sofista, Vegetti mette in luce il carattere dialettico-dialogico delle procedure dicotomiche messe in opera da
Platone nel Sofista: il suo approccio porta a escludere che la dicotomia rappresenti una metodologia sistematico-tassonomica. Lutilizzo di questo
metodo funzionale, piuttosto, a reperire il logos di una determinata cosa,
cio a costruire la rete discorsiva idonea a comprendere loggetto indagato. Prioritario dunque lambito del discorso, al cui interno si stabiliscono
le relazioni in base alle quali loggetto stesso deriva il suo significato.
Il saggio Ontologia e metodo esamina le critiche che Aristotele, nei capp. 24 del libro I del De partibus, sottopone la dicotomia. Dopo aver osservato
che nella Historia animalium Aristotele ha ampiamente utilizzato schemi
diairetici per ordinare lambito del mondo animale, Vegetti procede alla
puntuale lettura dei passi del De partibus per comprendere le ragioni di
una presa di distanza tanto drastica dal procedimento diairetico tecnicizzato in forma dicotomica. Sottolinea cos che, per Aristotele, tale metodo
inadeguato a cogliere quegli eide indivisibili che nel loro insieme costituiscono la struttura ultima del mondo animale. Lobiettivo polemico di
tutta la discussione sicuramente rappresentato dagli Accademici, sia dal
Platone del Sofista e del Politico, sia da Speusippo. A partire dallanalisi dei
capitoli del De partibus, Vegetti sviluppa una riflessione di portata ontologica e epistemologica pi generale. Dal punto di vista ontologico, mostra
come, per Aristotele, diversamente da quanto lascia presupporre la dicotomia platonica, non esista alcun livello di sostanzialit autonoma, tale da
essere superiore alleidos indivisibile, e tale da includerlo; sotto il profilo
epistemologico, proprio su tale eidos, al di sotto del quale non possibile scendere, che verte il discorso scientifico, costruito sulle definizioni.
Vegetti rileva infine come, nella critica alla dicotomia presente nel De partibus, siano riscontrabili innegabili connessioni con lontologia sviluppata
in Metafisica Z, proprio dal punto di vista della identificazione primaria
dellousia con leidos.
Il saggio Kenologein in Aristotele indaga il senso dellaccusa di parlare a
vuoto che spesso Aristotele rivolge ai suoi avversari, o con cui prende le

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distanze da posizioni teoriche che rimangono anonime. Vegetti mostra,


attraverso la citazione di numerosi esempi, che, entro il denominatore
del kenologein, sono ricondotte due tipologie argomentative, da una parte
quella dialettica, dallaltra quella che fa ricorso alle metafore. Secondo Aristotele, largomentazione dialettica pu essere tacciata di parlare a vuoto nella misura in cui si basa sugli endoxa, opinioni autorevoli e condivise,
ma estranee a quella dimensione esplicativo-causale che propria della
scienza. Lutilizzo di metafore, poi, appartiene al territorio della poesia:
Aristotele imputa a Platone e ai platonici di limitarsi a parlare a vuoto,
cio per metafore poetiche, riguardo al rapporto tra idee e mondo sensibile, e soprattutto assume come oggetto delle sue critiche Empedocle, il cui
linguaggio diventa il principale emblema della vuotezza poetica. Vegetti mostra al contempo come, a fronte di queste prese di posizione tese a
salvaguardare la specificit del discorso scientifico, Aristotele faccia a sua
volta ricorso a entrambe le forme argomentative da lui stesso ricondotte al
kenologein. Cos, dallanalisi dei testi biologici emergono esempi eminenti
di questo utilizzo, che si giustifica sia con lesigenza di colmare eventuali
lacune del discorso scientifico, sia con la necessit di renderlo pi efficace
rispetto al pubblico dei destinatari.
Con Athanatizein. Strategie di immortalit nel pensiero greco, a partire da due
testimonianze tra loro diversissime da una parte, il celebre elogio della vita filosofica contenuto nel libro X dellEtica Nicomachea di Aristotele,
dallaltra laneddoto relativo a Diogene il Cinico, che si sarebbe dato la
morte trattenendo il respiro Vegetti indaga il complesso molto articolato
delle esperienze, e delle posizioni teoriche, che, sul tema dellimmortalit,
sono riconoscibili nel mondo greco. Si delinea cos un panorama che comprende anzitutto la tradizione sciamanico-sapienziale, cui sono connesse
esperienze di immortalit condotte da figure di sapienti quali Pitagora,
Parmenide, Empedocle al cui centro di situa la katabasis, la discesa al
regno dei morti, per analizzare poi la ripresa e la riformulazione di queste
pratiche in Platone. Vegetti analizza lo spettro di posizioni che riconoscibile nei dialoghi, partendo dal Fedone, che recepisce ampiamente linflusso del pitagorismo rifacendosi alla concezione dellanima-demone transindividuale, alla Repubblica, in cui limmortalit dellanima individuale
unesigenza morale, legata al meccanismo dei premi e delle punizioni,
per approdare al Simposio, dove si prospettano due forme di immortalit,
luna secondo il corpo, che coincide con la perpetuazione biologica della
specie, laltra secondo lanima, che consiste nel produrre belle opere, in
poesia, nel campo della legislazione e soprattutto in filosofia. Laneddoto

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attribuito a Diogene mostrerebbe la ripresa e la riattivazione delle antiche


pratiche sciamaniche di separazione dellanima dal corpo, attraverso il
controllo del respiro.
Mentre lesaltazione della vita filosofica innalzata da Aristotele con linguaggio solenne nel finale della Nicomachea, in cui fa la sua apparizione un verbo
raro e arcaicizzante come athanatizein si ricollega, secondo Vegetti, proprio
alla forma di acquisizione dellimmortalit che emerge dal Simposio, operata dal filosofo con il suo lavoro teorico. Su questa stessa linea si pongono anche le filosofie ellenistiche, che propongono una concezione materialistica, e
perci mortale dellanima, assicurando tuttavia al saggio una condizione di
eccellenza che lo fa aspirare a una condizione super-umana.
Il saggio I piaceri del mio indaga il problema dellidentit personale nello stoicismo antico. La peculiarit della posizione stoica viene valutata in
rapporto ai precedenti platonico e aristotelico. Se in Platone la scissione
presente nellanima e nella citt trova la sua ricomposizione nella kallipolis,
concepita come la realizzazione dellunit collettiva, in Aristotele si assiste allelaborazione di una forma compiuta e molto forte dellautoidentit
personale: la figura centrale quella delloikonomikos, lio realizzato in
quanto capofamiglia proprietario. Per gli stoici, si tratta di sottrarre lio
alla fragilit cui inevitabilmente condannato dalla mutevolezza della
sorte anche nella potente costruzione aristotelica. Di qui la necessit di
far coincidere lidentit personale con un elemento, la ragione, del tutto
indipendente dalle circostanze esterne, un possesso per eccellenza stabile
e intangibile. Questo logos un frammento della ragione cosmica: come
possibile parlare di unidentit davvero personale, differente a seconda
degli individui? Vegetti esamina, a questo riguardo la metafora dellattore, che compare ripetutamente nei testi stoici. La differenza tra attore e
personaggio la stessa che intercorre tra il vero io e la rappresentazione
che ciascuno costretto a recitare nel mondo, subendone i condizionamenti; risalire alla vera identit, allio, dietro la maschera, un problema
che, nellambito delle concezioni stoiche, rimane insoluto.
Sono confluiti poi, in questa raccolta, tre ampi contributi relativi alla medicina, un ambito di ricerca in cui Vegetti si costantemente impegnato
lungo tutto larco della sua carriera, a iniziare dalledizione degli scritti
ippocratici del 1965, cui si erano affiancati numerosi studi sulla medicina
in Platone, il volume Cuore, sangue e cervello, scritto nel 1977 in collaborazione con Paola Manuli, la raccolta di scritti galenici del 1978 e numerosi
saggi su riviste e volumi collettivi.

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Il primo lavoro qui pubblicato, Tra il sapere e la pratica: la medicina ellenistica,


esamina, in tutte le sue articolazioni, lo sviluppo, e la profonda trasformazione, che coinvolgono la medicina nella prima met del III secolo a.C.
Sottolineando leffetto decisivo che su di essa viene esercitato dalle condizioni geopolitiche e cio dalla nascita e dal consolidamento dei regni
ellenistici, e in particolare dellEgitto tolemaico Vegetti delinea anzitutto
i contorni della svolta epistemologica che coinvolge questa forma di sapere: mentre nella tradizione ippocratica appare centrale il problema della
malattia, ora prioritaria lanalisi della condizione di salute, cio dello
stato naturale dei corpi. Funzionale a questo tipo di conoscenza anzitutto lanatomia, che consente di accedere allosservazione diretta degli
organi interni: le pratiche di dissezione, e anche di vivisezione, del corpo
umano, ora consentite grazie alla protezione accordata agli scienziati dai
sovrani, favoriscono nuove, straordinarie acquisizioni. Su questo sfondo,
Vegetti colloca loperato dei due massimi esponenti della medicina ellenistica, Erofilo e Erasistrato. proprio tramite lanatomia e la vivisezione
che Erofilo individua il sistema nervoso, la cui origine viene indicata nel
cervelletto e nel midollo spinale ad esso adiacente, una scoperta che segna la fine del cardiocentrismo; negli stessi anni Erasistrato porta a compimento quella rivoluzione epistemologica che Erofilo ha lasciato ancora
incompiuta, non solo progredendo nelle conoscenze anatomiche, ma procedendo fattivamente nello sforzo di assiomatizzare la medicina, come testimonia ladozione del linguaggio dellassiomatica aristotelica. Come ben
mostra Vegetti, il punto di approdo dello sforzo innovativo di Erasistrato
lelaborazione di una spiegazione globale del funzionamento dellorganismo che combina due modelli proposti dalla tecnologia alessandrina,
quello meccanico e quello pneumatico. Questo imponente sforzo avviene
comunque a prezzo del ricorso a costrutti teorici come la triplokia, lintreccio di nervi, arterie e vene poco difendibili sul piano empirico.
Il saggio Limmagine del medico e lo statuto epistemologico della medicina in
Galeno analizza le modalit con cui Galeno, reagendo alla crisi in atto nella
medicina del suo tempo da lui attribuita da una parte alla mancanza di
una regolamentazione istituzionale, e dallaltra allignoranza degli stessi
medici , tenta di assegnare alla figura del medico un profilo professionale
specifico. Vegetti sottolinea come, nel condurre questa operazione di riqualificazione del sapere medico, Galeno proponga costantemente se stesso, la propria formazione e il proprio sapere come modello: i riferimenti
autobiografici ampiamente presenti nelle sue opere acquistano un vero
e proprio valore protrettico. Sotto il profilo epistemologico, Vegetti attri-

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buisce a Galeno lesigenza fondamentale di vedere superata la rigida distinzione in sette che vige tra i medici del suo tempo. Il suo scopo quello
di fondare una medicina capace di fondere lapproccio razionalistico dei
metodici con lesperienza, invocata dagli empirici. La medicina, cos rifondata, aspira a fare proprio il metodo rigoroso delle scienze matematiche,
un metodo assiomatico-deduttivo tramite il quale essa appare in grado
di acquisire quello statuto forte di cui Galeno ravvisa lattuale mancanza.
Vegetti sottolinea al contempo come la pratica medica, confrontandosi costantemente con la realt della malattia, che rappresenta un drammatico
allontanamento dalla perfezione teleologica attribuita alla natura, conduca Galeno stesso a conferire alla medicina uno statuto pi modesto, tale da
annoverarla tra le tecniche di riparazione, e al medico, di conseguenza,
una condizione non diversa da quella dellartigiano.
In I nervi dellanima, Vegetti esamina la discussione condotta da Galeno,
nel libro IV del De placitis, riguardo a una questione centrale della psicologia stoica: quali siano le cause del movimento dellanima in relazione al
verificarsi degli stati passionali, dei pathe. Dallanalisi che Galeno conduce
della risposta fornita da Crisippo, si inferisce che si di fronte a un problema di carattere energetico, risolto con il ricorso a una metafora fisiologica. Allinterno dellanima presente un sistema di neura, paragonabile
a quello dei muscoli a livello corporeo: se questi sono dotati di un buon
tonos, si instaura larete, la condizione virtuosa, mentre nel caso contrario,
quello della atonia, si verificano gli stati passionali e le azioni scorrette. Attraverso lanalisi condotta sui termini, in particolare neuron e tonos, Vegetti
ravvisa il riferimento, in Crisippo, a un modello di tipo meccanico, e in
particolare al sistema di costruzione, e di funzionamento, delle macchine
da getto, tipiche del periodo alessandrino. Un tipo di spiegazione analogo,
per il movimento volontario, accolto anche da Galeno, nelle cui opere si
ravvisa ladozione di un modello di spiegazione che attinge al medesimo
repertorio: il corpo viene paragonato a un congegno meccanico. Vegetti
argomenta come, nello stesso Galeno, sia ravvisabile un altro paradigma,
destinato a spiegare le modalit con cui il movimento volontario viene
prodotto. la ragione a impartire gli ordini al sistema dei nervi che danno
luogo ai movimenti volontari attraverso un particolare vettore, il pneuma
psichico. Nella delineazione del suo funzionamento, Galeno, come prima di lui gli stoici, ricorre a un modello di tipo pneumatico che, anche in
questo caso, presenta innegabili analogie con la pneumatica alessandrina,
lunica forma di tecnologia antica ad aver prodotto unenergia motrice.
Diversamente da Erasistrato, cui si deve il tentativo di delineare un mo-

Presentazione

23

dello fisiologico unificato delle energie psico-fisiologiche, capace cio di


essere al contempo elastico e fluido, Galeno differenzia il versante corporeo da quello psichico attraverso lassegnazione, a ciascuno dei due, di un
diverso meccanismo di funzionamento e fungendo in tal modo da punto
di riferimento per i modelli scientifici successivi.
I due ulteriori contributi ristampati nel volume si possono definire di carattere storiografico e riguardano, sotto differenti angolazioni, lo status
degli studi sul pensiero antico. In Cinquantanni di filosofia antica in Italia,
Vegetti ripercorre, facendo costante riferimento alla propria esperienza di
studioso, levoluzione cui sono andati incontro gli studi nellambito della
storia della filosofia antica a partire dagli anni 50 del Novecento. In quel
periodo, essi appaiono da una parte appannaggio della ben consolidata
tradizione classicistica, legata al nome di W. Jaeger, dallaltra un territorio
e qui Vegetti si riferisce soprattutto ai presocratici in cui si addentrano i teoreti. Questa situazione andata mutando nel decennio successivo
grazie allapplicazione, al pensiero antico, di due categorie, quella della
storicit e quella della relativit, grazie alle quali si recupera la distanza tra
lantico e noi in termini di valori. In questi anni, si amplia fortemente lambito dei temi della ricerca. Da una parte, acquistano un ruolo e una rilevanza gli studi sulla scienza antica, dallaltra una svolta significativa negli
studi antichistici si attua a seguito della diffusione in Italia delle esperienze antropologiche, di impianto strutturalista e anche marxista, provenienti
dalla Francia, legate soprattutto al nome di J.-P. Vernant. Al tempo stesso,
si applicano al pensiero antico anche approcci di tipo analitico che sacrificano lo spessore storico dei testi, ma contribuiscono a chiarirne la struttura argomentativa. Questo fervore di studi ha una ricaduta anche sul piano
istituzionale: la Storia della Filosofia Antica diventa una disciplina autonoma, sempre pi insegnata nelle Universit; si creano centri di ricerca
specializzati; si pubblicano collane di testi e studi. Vegetti conclude la sua
rassegna esprimendo qualche preoccupazione sul futuro della disciplina
che, aspirando a una sempre maggiore specializzazione, corre il rischio di
produrre studi molto sofisticati ma anche ripetitivi: di qui lauspicio che si
possano sperimentare nuove prospettive, instaurando fecondi contatti da
una parte con le tematiche generali del pensiero filosofico, dallaltra con
linsieme dei saperi relativi al mondo antico.
In Intervista sul classico, Vegetti suggerisce anzitutto una rettifica terminologica, sostituire cio classico con antico: il ricorso a questo termine ha
la funzione di segnalare contro il continuismo classicistico proprio dellambiente tedesco tra Ottocento e Novecento la distanza che intercorre

24

Presentazione

tra gli antichi e noi. Al tempo stesso, tuttavia, proprio la presa datto di
questo scarto a sollevare la domanda cruciale: qual il senso degli studi
sullantico oggi? Vegetti suggerisce che latteggiamento corretto non pu
che essere di tipo archeologico, nel senso che al termine archeologia ha
dato M. Foucault: si tratta di studiare le modalit con cui la tradizione, o
le tradizioni, hanno contribuito a plasmare la nostra modernit, e anche
la nostra identit culturale europea. Vegetti ravvisa la necessit di condurre, in questo ambito, uno studio veramente complessivo e sistematico.
Citando una serie di esempi, mostra poi come, a un diverso livello di consapevolezza, lantico manifesti la sua efficacia nella cultura moderna. Per
quanto riguarda il rapporto tra leredit dellantico e la nostra identit cultuale europea, secondo Vegetti occorre valorizzare la ricchezza di elementi
di dibattito che provengono dal mondo antico, tra cui spiccano, per la loro
importanza, il pluralismo delle posizioni, il contrasto e anche il conflitto
di idee. Tutto questo patrimonio pu trovare unutile applicazione anche
a livello scolastico, opponendosi al processo di omologazione ormai sempre pi ampiamente in atto e contribuendo alla formazione dei cittadini,
sviluppando una soggettivit autonoma e critica.
Lintervento Un viaggio di mille anni un titolo che riprende le parole finali della Repubblica, con cui Socrate allude al lungo tempo richiesto per
raggiungere la migliore condizione dellanima e della citt dedicato
allanalisi di tre questioni filosofiche che hanno a che fare con la nostra
situazione nella societ attuale. Queste pagine costituiscono una chiara
testimonianza dellimpegno politico che ha sempre contraddistinto Vegetti, e che ha ancorato la sua attivit di studioso alla realt del nostro tempo. Le tre domande riguardano: chi siamo, che cosa crediamo di sapere,
che cosa possiamo sperare. Vegetti rileva anzitutto come sia oggi in atto
un vero e proprio smarrimento della soggettivit collettiva. In un mondo
globalizzato, si compiuto un processo di omologazione, si diffuso un
pensiero unico, parallelo al venir meno di quelle numerose strutture capaci di produrre forme forti di identit collettiva (la fabbrica, i partiti ecc.).
Per reagire a questo stato di cose, Vegetti indica la necessit di un ritorno
alletica, intendendo con questo lesigenza di riaprire il dibattito sulla
giustizia e in generale sui valori, di domandarsi che cosa possa essere oggi
la virt e che rapporto essa abbia con la felicit, un nesso centrale nella
societ antica. Da questo lavoro di rifondazione etica potrebbe prendere
avvio il progetto di ricomporre la societ, ricostruendo i legami sociali
oggi allentati o dissolti.

Presentazione

25

Crediamo davvero che questa raccolta possa testimoniare lampiezza di


orizzonti abbracciata dallattivit scientifica di Mario Vegetti, la sua capacit di condurre unanalisi puntuale dei singoli testi e al contempo di produrre efficaci discorsi di sintesi. La sua attivit di studioso si in tal modo
configurata come un vero e proprio continuo dialogo con gli antichi, cui
ha posto, e continua a porre, una serie di domande mai scisse dal radicamento nellattualit, e che ad essa costantemente si riportano. In questo
consiste la sua peculiarit.
Dellesempio che ci ha offerto con il suo lavoro, e dellinsegnamento che
ci ha impartito per tanti anni gli siamo grati e lo ringraziamo con grande
affetto.
Desideriamo rivolgere un caloroso ringraziamento al prof. Livio Rossetti,
che ha accettato di buon grado, ed anzi ha caldeggiato, di pubblicare il
volume nella collana Studies in Ancient Philosophy, e che in seguito si
ripetutamente impegnato nella lettura e nella revisione del manoscritto,
fornendoci preziosi suggerimenti.
Ringraziamo vivamente, inoltre, la dott. Maria Carmen De Vita, che ha uniformato tutte le citazioni e ha curato lIndice dei luoghi, e Anna Cattivelli,
per il suo prezioso contributo al coordinamento redazionale.
I curatori

Nota editoriale
Lio, lanima, il soggetto. I Greci. Storia cultura e societ. Vol. I: Noi e i Greci. S. Settis ed. Einaudi, Torino, 1996, 432-467.
Lumano fra natura, norma e progetto nelle antropologie antiche. Umano post-umano. M. Fimiani V. Gessa Kurotschska E. Pulcini edd. Editori Riuniti, Roma, 2004, 327-340.
Culpability, Responsibility, Cause: Philosophy, Historiography, and
Medicine in the fifth century. The Cambridge Companion to Early Greek
Philosophy. A.A. Long ed. Cambridge University Press, Cambridge,
1999, 271-289.
Il mondo come artefatto. Cosmo e caos nel Timeo di Platone. Reset 89,
2005, 84-88, con il titolo Timeo, se il cosmo ha bisogno del caos (il
testo deriva da una conversazione tenuta al Festival di Filosofia, Modena, settembre 2004).
Struttura e funzioni della dicotomia nel Sofista. Platone e lontologia. Il
Parmenide e il Sofista. M. Bianchetti E.S. Storace edd. Albo Versorio, Milano, 2004, 95-104.
Ontologia e metodo. La critica aristotelica alla dicotomia in De partibus
animalium I 2-4. Platone e Aristotele. Logica e dialettica. Migliori, Morcelliana, Brescia (in corso di stampa).
Kenologen in Aristotele. Dimostrazione, argomentazione dialettica e argomentazione retorica nel mondo antico. A.M. Battegazzore ed. Sagep editrice, Genova, 1993, 37-60.
Athanatizein. Strategie di immortalit nel pensiero greco. Aut Aut 304,
69-80.
I nervi dellanima. Galen und das hellenistische Erbe. J. Kollesch D. Nickel ed. Sudhoffs Archiv Beihefte 32, F. Steiner Verlag, Stuttgart, 1993,
63-77.

28

Nota editoriale

Tra il sapere e la pratica: la medicina ellenistica. Storia del pensiero medico


occidentale. 1: Antichit e medioevo. M.D. Grmek ed. Laterza, Roma-Bari,
1993, 73-120.
Limmagine del medico e lo statuto epistemologico della medicina in
Galeno. W. Haase H. Temporini edd. Aufstieg und Niedergang der rmischen Welt (ANRW). II 37.2, De Gruyter, Berlin-New York, 1994, 16721717.
Cinquantanni di filosofia antica in Italia: successi e problemi. Greek Philosophy in the New Millennium. Essays in Honour of Th.M. Robinson. L.
Rossetti ed. Academia Verlag, Sankt Augustin, 2004, 293-299.
Intervista sul classico. Di fronte ai classici. I. Dionigi ed. BUR, Milano,
2002, 265-278.
Un viaggio di mille anni. Oltrecorrente, novembre 2001, 53-62.
Si ringraziano i curatori e gli editori della versione originale per lautorizzazione a ripubblicare i saggi qui raccolti.
I piaceri del mio. La questione della persona nello stoicismo antico
un testo ancora inedito.

Bibliografia degli scritti di Mario Vegetti


1964 Technai e filosofia nel peri technes pseudoippocratico. Atti della Accademia delle Scienze di Torino 98 (1963-64), 1-73.
1965 (19762) (traduzione e commento) Ippocrate. Opere scelte. UTET, Torino.
1965 Il De locis in homine fra Anassagora ed Ippocrate. Rendiconti Istituto
Lombardo- Accademia di Scienze e Lettere, Classe di Lettere 99, 193-213.
1965 La medicina in Platone. Rivista Critica di Storia della Filosofia I, 1-37
(poi in 1995*).
1967 La medicina in Platone, II. Rivista Critica di Storia della Filosofia III,
251-270 (poi in 1995*).
1967 Teoria ed esperienza nel metodo ippocratico. Il pensiero XII, 6685.
1967 Rapporti fra filosofia e sapere scientifico in una prospettiva storiografica sul pensiero greco. Atti del convegno sui problemi metodologici
di storia della scienza. Barbera, Firenze, 79-95.
1968 La medicina in Platone, III. Rivista Critica di Storia della Filosofia III,
251-267 (poi in 1995*).
1968 La medicina ippocratica nella cultura e nella societ greca. La medicina e la societ contemporanea. Editori Riuniti, Roma,19-38.
1969 La medicina in Platone, IV. Rivista Critica di Storia della Filosofia I,
3-22 (poi in 1995*).
1969 (ed.) Platone. La Repubblica (libri V-VII). RADAR, Padova.
1970 La filosofia della natura nel V secolo. L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico. Garzanti, Milano, I, 64-94.
1970 Le scienze della natura e delluomo nel V secolo, ivi, 122-172.
1970 La svolta metodologica delle scienze della natura e delluomo nel
IV secolo, ivi, 217-232.
1970 Tre tesi sullunit della Metafisica aristotelica. Rivista di filosofia
LXI, 333-383.

Non comprende recensioni e presentazioni di volumi.

Bibliografia degli scritti di Mario Vegetti

37

1999 Culpability, responsibility, cause: Philosophy, historiography, and


medicine in the fifth century. Early Greek philosophy. A.A. Long
(ed.). Cambridge U.P., Cambridge, 271-289.
1999 Tradition and Truth: forms of philosophical-scientific historiography in Galens De Placitis. Ancient Histories of Medicine. P.J. van
der Eijk (ed.). Brill, Leiden, 333-357.
1999 Historiographical strategies in Galens physiology (De usu partium,
De naturalibus facultatibus), ivi, 383-395.
1999 (ed., con M. Abbate) La Repubblica di Platone nella tradizione antica.
Bibliopolis, Napoli.
1999 Lautocritica di Platone: il Timeo e le Leggi, ivi, 13-22.
2000 Gli studi italiani sulla filosofia antica: problemi di metodo, questioni di senso. Cinquantanni di storiografia filosofica in Italia. E. Donaggio E. Pasini (edd.). Il Mulino, Bologna, 71-80.
2000 Metforas del cuerpo humano de Aristteles a Galeno. Unidad
y pluralidad del cuerpo humano. A.P. Jimnez -G.C. Andreotti (edd.).
Ediciones Clasicas, Madrid, 81-94.
2000 De caelo in terram. Il Timeo in Galeno (De placitis, Quod animi). La
filosofia in et imperiale. A. Brancacci (ed.). Bibliopolis, Napoli, 69-84
(anche in Le Time de Platon. A. Neschke-Hentschke (ed.). Peeters,
Louvain-Paris, 3-13).
2000 Tempo e storia nellesperienza greca. Scrittura e memoria della filosofia. Studi offerti a Fulvio Papi. S. Borutti (ed.). Mimesis, Milano,
353-360.
2000 Normale, naturale e normativo in Aristotele. Quaderni di storia 52,
73-84.
2000 Societ dialogica e strategie argomentative nella Repubblica (e contro la Repubblica). La struttura del dialogo platonico. G. Casertano
(ed.). Loffredo, Napoli, 74-85.
2001 Un viaggio di mille anni. Oltrecorrente, novembre, 53-62.
2001 Athanatizein. Strategie di immortalit nel pensiero greco. Aut Aut
304, 69-80.
2001 Il confronto degli antichi e dei moderni in Galeno. Lantico degli
antichi. G. Cajani D. Lanza (edd.). Palumbo, Palermo, 87-100.

Lio, lanima, il soggetto

45

chiarezza la separazione e la differenza fra lantico pre-cristiano e il mondo della soggettivit moderna.
2. Hegel e i suoi critici
Saldamente installato in questa tradizione di pensiero (che anzi egli riteneva di aver portato a compimento), Hegel non era, come noto, disposto
a riconoscere ai Greci un ruolo particolare nella formazione della figura
occidentale della soggettivit. Lesperienza intellettuale greca era per lui
segnata piuttosto da un carattere strutturalmente naturalistico e oggettivistico. Sul piano etico e psicologico, lessenziale di quellesperienza stava
piuttosto nella compatta fiducia, nellunit immediata che legavano
lindividuo alla comunit, alla sostanza etica del popolo e della patria.
Secondo Hegel, i primi passi compiuti verso la formazione di una soggettivit contrapposta al mondo ma non ancora fondata sullinteriorit
costituirono dunque la rovina, il principio della fine dellessenza della
grecit: solo in questo senso, solo attraverso lapertura di una crisi e di un
vuoto, gli episodi antichi della coscienza infelice possono preludere alla
soggettivit moderna. Questa sar lopera precipua dei barbari del nord,
perch soltanto linteriorit (Insichseyn) nordica il principio immediato di
questa nuova coscienza delluniverso: lo spirito universale aveva assegnato alle nazioni germaniche il compito di portare un embrione a figura
duomo pensante, di trovare la forma, il principio dellautocoscienza.
Un secolo dopo, e dalla stessa cattedra berlinese, Jaeger avrebbe nella sostanza riconfermato linterpretazione hegeliana. Loriginalit della paidea
greca non sta nella scoperta dellio soggettivo, bens nellimprimere al
singolo la forma della comunit. Ma lhegelismo di Jaeger non dialettico: i Greci non costituiscono in questo modo una tappa necessaria ma
limitata della storia dello spirito, bens un compimento assoluto (che tra
laltro non li oppone al mondo cristiano ma ne fa il fondamento). In questo
modo, la Staatsethik greca diventa un modello perpetuo di sanit morale
e di armonia della Volksgemeinscbaft.





Le citazioni di Hegel sono dalla Fenomenologia dello spirito, sez. c v b, caa v b, e soprattutto dalle Lezioni sulla storia della filosofia, trad. it. Firenze 1967, III, 113-114.
Jaeger (19592), I, 15-16.
Jaeger (1960b, 102). appena il caso di segnalare che termini come Volksgemeinschaft
avrebbero giocato un ruolo di rilievo nella ideologia nazionalsocialista. Su Jaeger si vedano i saggi di Vegetti (1972) e di Lanza (1972, per la continuit Greci-cristiani 80 ss.).
Sulla linea di Jaeger si muoveva J. Stenzel, che contrapponeva i Greci, e Platone in particolare, alleccesso di soggettivismo dellepoca moderna, hegelianamente iniziato con

Lio, lanima, il soggetto

53

un perpetuo rischio di stsij nellanima; necessario perci che sotto la


pressione congiunta delle altre due parti essa sviluppi almeno una capacit di auto-controllo (swfrosnh) che comporti laccettazione della guida
razionale. Del resto, c qui e soprattutto nel desiderio erotico una fonte
inesauribile di energie psichiche, che possono e devono venir messe al
servizio della razionalit mediante adeguati dispositivi di sublimazione25.
Anche la sfera dei desideri, che pure sono privati in quanto irrazionali
e asociali, non ha tuttavia nulla di individuale, perch la corporeit onde
essi si originano del tutto trans-individuale.
Lanima platonica, nella sua struttura scissa e conflittuale, non ha dunque
alcun rapporto con la singolarit e linteriorit della persona. Nel libro
IX della Repubblica, essa pu venire metaforizzata come un recinto in cui
coesistono, e si affrontano, un uomo il principio razionale, in cui consiste
il vero io ma solo in virt delle sue capacit di universalizzazione , un
leone il principio emotivo dello qumj e un mostro policefalo luniverso confuso e violento dei desideri26. Se ci pu essere qualcosa di specificamente individuale, semmai il peculiare rapporto di forza che in ciascuno
si realizza fra queste tre polarit conflittuali; ma luomo della ragione,
luomo della passione, luomo dei desideri che Platone descrive nei
libri VIII e IX della Repubblica sono piuttosto figure di una fenomenologia
etico-politica che ritratti di psicologie individuali.
Certo, esiste in Platone un dispositivo mitologico di premi e punizioni che
spettano allanima immortale nellaldil in ragione della vita condotta in
questa terra, ed esiste una scelta di vita che le anime compiono prima
di affrontare una nuova reincarnazione27. Tutto questo avrebbe avuto un
duraturo successo anche nella tradizione cristiana, che non contempla tuttavia un ritorno dellanima nel mondo. Si tratta naturalmente, in Platone,
di una versione moralizzante del pensiero dellanima-demone; c comunque anche qui un forte elemento di de-soggettivazione, perch lanima,
prima di reincarnarsi, obbligata alloblio delle precedenti esistenze, tanto
terrene quanto oltremondane (un espediente necessario a spiegare come
mai le anime continuino a scegliere vite malvage nonostante le tremende
punizioni con cui sono destinate a scontarle).
A parte questa diversione mitico-retorica, non c dubbio che limmagine
platonica di unanima scissa e conflittuale (anche se ormai sganciata dal
Ibid. IV 439d, 4.485d.
Ibid. IX 588c-589b.
27
Ibid. X 615a-617e.
25
26

Lio, lanima, il soggetto

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Non c stato comunque in quella esperienza nulla che possa somigliare


allimmaginario contrattualista tipico della modernit, dove una pluralit
di individui autonomi e atomizzati negoziano le regole dellaggregazione
e della convivenza sociale. Fuori della citt, come diceva Aristotele nelle
celebri pagine di apertura della Politica, non c posto per individui siffatti,
ma soltanto per gli di e le fiere, o gli uomini ferini.
4. La verit e la cosa stessa
In ambito gnoseologico ed epistemologico, Parmenide aveva imposto,
con la sua consueta energia intellettuale, la coincidenza di linguaggio,
pensiero, verit ed essere: nel dire che e che non dato che non sia,
consiste il sentiero della Persuasione, che accompagna Verit58; identico
il pensare e lessere59; necessario dire e pensare che ci che 60.
Questa inaugurale imposizione di Parmenide stata certo, nella tradizione filosofica greca dominante, pi volte arricchita e articolata, ma mai
sostanzialmente violata. Platone ribadiva la perfetta corrispondenza tra
statuto epistemologico della conoscenza e statuto ontologico dei suoi oggetti: ci che perfettamente , perfettamente conoscibile61. Ne viene un
nesso strettissimo tra lqeia e n, verit ed essere, che risplendono insieme62. Da questo sistema teorico deriva immediatamente la definizione
del discorso vero come quello che dice le cose che sono, come sono63. Su
questo punto, almeno, Aristotele segue senza incertezze Platone. C una
coestensione originaria di essere e verit: ogni cosa nella misura in cui ha
essere ha verit64; poich affermare lessere, e negare il non-essere, vero,
e il contrario falso65, Aristotele pu condensare questa implicazione parlando dellessere in quanto vero e del nonessere in quanto falso66.
Ma Aristotele integra la dottrina parmenideo-platonica della coincidenza
di essere e verit sullo sfondo di una pi complessa elaborazione gnoseologica ed epistemologica. Il punto di partenza qui la celebre tesi del De



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DK B 2.3-4.
DK B 3.
DK B 6.1.
Plat. Resp. V 477a.
Ibid. V 508d.
Plat. Soph. 263b; Crat. 385b.
Aristot. Metaph. II 1.993b30.
Ibid. IV 7.
Ibid. VI 4.1027b18. Per questi problemi cfr. Vegetti (19872, 59 ss.).

Lio, lanima, il soggetto

69

proprio (dion) e ci che amato (gaphtn)98: due cose in fondo riducibili


ad una, come suggerisce la struttura della frase, stabilendo unequivalenza
di fondo tra proprio e oggetto degli affetti. E come conferma lo sviluppo successivo dellanalisi aristotelica. fonte di un piacere inenarrabile
(mqhton) il poter considerare qualcosa come proprio; qui si radica la naturale amicizia di ciascuno per se stesso (la prima e pi originaria forma di
appropriazione) e per i propri beni (crmata)99. Certo, leccesso di questa
amicizia naturale pu trasformarla nei vizi dellegoismo e dellavidit. Ma
ancor pi radicalmente viziosa la polis comunista platonica, in quanto
essa elimina le virt maggiori della temperanza (incoraggiando rapporti
con donne altre dalla propria moglie) e della liberalit (perch sopprimendo i patrimoni privati essa impedisce di farne un uso generoso)100. Aristotele ha cos preparata la conclusione positiva della sua critica alla Repubblica platonica. Il sistema attuale, egli scrive, abbellito (pikosmhqn) dai
buoni costumi e ordinato da leggi corrette, presenterebbe sia i vantaggi
della propriet privata sia quelli del collettivismo. La privatezza soddisfa
le esigenze antropologiche e psicologiche primarie di cui si ampiamente
discusso; spetter alla virt della generosit il render comune agli amici
luso (crsij) di tale propriet, correggendo in questo modo gli eccessivi
squilibri patrimoniali eventualmente presenti nella comunit101.
2. Aristotele: la soggettivazione patrimoniale
In tutto questo sembra venir prendendo forma qualche cosa di nuovo intorno al problema della soggettivit: e precisamente una concezione patrimoniale della soggettivazione, centrata sul nesso tra propriet privata
(osa), amicizia e affezione per se medesimo mediata dal legame con le
cose proprie (dia). Aristotele sottolinea a pi riprese che laspetto fondante di un rapporto intersoggettivo quale lamicizia (fila) lo scambio di
reciproche utilit, una transazione da mano a mano: lamicizia etica
pi nobile, ma quella fondata sullutilit pi necessaria102. Il legame di
amicizia in ogni caso fondato sullo scambio tra individui proprietari,
in cui si realizza la virt della generosit, che, come si visto, consiste
nella messa in comune delluso dei patrimoni individualmente posseduti.
Aristot. Pol. II 4.1262b23 ss.
Ibid. II 5.1263a40 ss.
100
Ibid. II 5.
101
Ibid.
102
Aristot. EE VII 10.
98
99

Lio, lanima, il soggetto

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una struttura soggetto-copula-predicato come luogo esclusivo dellasserzione veritiera; e, in secondo luogo, ci impone la concezione del soggetto
grammaticale come osa, sostanza/identit/patrimonio costitutiva della
realt, garanzia di senso del linguaggio e nucleo primario dellindividuazione soggettiva.
2. Una continuit tenace: lokonmoj
Il pensiero contemporaneo ha attaccato a pi riprese ogni concezione forte
del soggetto, dallinteriorit dellanima agostiniana al cogito di Cartesio,
dallio trascendentale di Kant allo spirito hegeliano, e altrettante volte ne
ha dichiarato la crisi. Non si davvero trattato di attacchi inefficaci, se si
pensa a quelli condotti, su linee diverse, da Marx, da Nietzsche, da Freud,
fino alla radicale desostanzializzazione del soggetto compiuta dalla fenomenologia husserliana. Il vecchio soggetto, monolitico, trasparente a se
stesso, senza tempo e senza alterit, stato via via frantumato in istanze
conflittuali e opache (come linconscio, che in Lacan risulta costituito dal
linguaggio che lo parla anzich essere signore del discorso), tradotto
nella polarit instabile di flussi conoscitivi e temporali, posto di fronte a
un altro che, anzich costituirne lo specchio fedele, lo manipola e lo trama in relazioni mutevoli e rischiose.
Tutto questo non ha per potuto davvero intaccare quel nesso profondo
tra senso comune e grammatica di base che fa s che noi non possiamo fare
a meno di pensare e di parlare in termini di soggetto/sostanza e dei suoi
attributi, e di individuarci in termini di mio patrimoniale. La resistenza
di questo nesso provata intanto dalla incapacit degli sforzi filosofici di
incidere sullautoconsapevolezza immediata della vita e del linguaggio
forse anche perch essi si arrestano di solito sulla soglia di quella che
Aristotele aveva definita lassurdit platonica, e cio la trasformazione
delle radici materiali degli usi linguistici e delle forme di soggettivazione
che in essi si esprimono. Ed provata anche, per contrasto, dallinsorgere
sempre pi frequente e angoscioso di crisi di identit, tanto a livello
individuale quanto a livello sociale, che testimoniano lurgenza insopprimibile di vivere la soggettivit nella figura della entit/identit, radicata
nella sua concezione sostanziale/patrimoniale, e che torna sempre di nuoza portatrice di predicati che come giustapposizione di parti, come sequenza di eventi
o come epifania di unidea (59). Su altre opzioni presenti nel pensiero pre-aristotelico,
cfr. i saggi raccolti in Joly (ed.; 1986), in particolare per la discussione fra Platone e Aristotele cfr. Thorton (1986).

Lumano fra natura, norma e progetto nelle antropologie antiche

85

secondo la quale il soggetto nasceva gi sempre conformato ai poteri-saperi


della dominazione microfisica; dallaltro, lappello ad una soggettivit
ma quale? che fosse in grado di resistere a questa stessa dominazione,
di condurre lattacco alla razionalit politica della modernit e ai suoi
dispositivi di assoggettamento e dominazione. Se questa soggettivit residuale e resistente non appariva pi reperibile, alla maniera illuministica,
nel progresso della ragione, e neppure, in quella storicistica, nel corso
del mondo, letica stoica poteva offrire il modello di una autocostruzione
liberata dellio senza storia, e contro la dinamica politica dei poteri. Il saggio
infatti, secondo Zenone, oute despozei oute despozetai, non esercita n subisce il potere (SVF I 216).
Ma questa rivisitazione conduceva forse Foucault come si accennato
in un ulteriore paradosso. Letica stoica si giustificava sulla base di una
fondazione antropologica loriginaria bont della natura umana e della
simultanea assunzione di un ordine destinale del mondo provvidenzialmente garantito. Questo pu apparire suggestivo in un mondo come il
nostro, che abita nel deserto prodotto dal collasso delle idee di anima e
di citt, dunque del progresso della ragione nel tempo storico. Tuttavia i
presupposti stoici possono apparire ancora pi onerosi sul piano teorico
di quelli che essi sono chiamati a rimpiazzare. Lidea stessa di un compito
di liberazione appare contraddittoria a quella di accettazione del destino;
la concezione dellinterazione sociale come in se stessa patogena, rispetto
alla natura buona, rende impossibile contrapporre la societ stessa ai poteri
della razionalit politica; infine, larte di vivere, come si visto, intrinsecamente connessa con unarte del morire, nella figura di una derealizzazione del tempo dellesistenza storica rapportato allimmutabile presente
dellordine fatale. Tutto ci pu essere accettabile nel quadro di un anarchismo disperato (non esente dalla traccia di Nietzsche) ma difficilmente
riportabile al senso di un pensiero che vuole essere ancora politico, e pi
precisamente di critica militante alla politica, come pur sempre quello di
Foucault.
2.1. Il modello aristotelico stato considerato a sua volta una potente
versione di naturalismo etico. La definizione pu essere accettata solo
con qualche cautela: quello di Aristotele in realt un essenzialismo antropologico-etico naturalizzato mediante complesse operazioni teoriche, che
vanno analizzate con qualche attenzione perch proprio da esse dipende


Cos Engberg-Pedersen (1983). Per la questione rinvio a Vegetti (2002).

Culpability, responsibility, cause:


Philosophy, historiography, and medicine in the fifth century
The idea of nature as implying a universal nexus of cause and effect
comes to be made explicit in the course of the development of Presocratic
philosophy: G.E.R. Lloyd. The conception of cause is borrowed from the
language of medicine, as is clear from the word prophasis which Thucydides uses: W. Jaeger. The word aition is, from the Hippocratic writings
on, a standard word for cause, and its relative aitia [] meant a complaint or an accusation, but already by the time of Herodotus book it can
mean simply cause or explanation: B. Williams.
These three distinguished scholars, distant though they are from one another in their intellectual orientations, seem to agree on the opinion that a
precise and well-defined conception of causality is present in fifth-century
philosophy, history, and medicine. This judgement is widely shared, but it
needs to be corrected, or at least clarified and formulated, from two different but complementary perspectives.
First, as we shall see, lexical investigation of causality (aitia, aitios, to aition,
prophasis) shows that explicit theoretical reflection on causal connections
and forms of explanation based upon them emerged only gradually and
with considerable uncertainty from the fuzziness of moral, political, and
judicial language to do with culpability, responsibility, and imputability
of facts and actions. Interestingly, the conceptualization of causality developed in medical contexts rather than in early Greek philosophy (judging
from the fragments of the latter and setting aside the causal formulations
provided by Aristotle and Peripatetic doxography).
Second, there is a need to clarify the relationship between the development
of theoretical reflection on causality and the kind of causal connections it
describes. For example, Aristotles treatment of cause in book two of

Lloyd, (1979, 49). He does, however (53-55), clearly state that the development of an
idea of causality as such must be sought in the historians and doctors, and he also
emphasizes the primary moral significance (tied to culpability) of words like aitia/aitios.
See also Lloyd (1966, 230 ff.), and on the juridical origins of discussions of responsibility,
Lloyd (1996, 100 ff.).
Jaeger (1965, I, 393). Jaeger insists on the causal significance of prophasis, because he is
naturally familiar with the moral/juridical sense of aitia, ibid., 161.
Williams (1993, 58).

Culpability, responsibility, cause 101

as here in Thucydides, the causal expression is aitia, not prophasis or the


neuter form to aition.
This last term, which Thucydides does not use very frequently, normally
means motive in a quite general sense12. However, there is one interesting occurrence of it in a passage very similar to those we have cited from
Herodotus. In regard to a tidal wave, Thucydides states his opinion of the
cause (aition, III 89.5), an earthquake without which I do not think such
an event could have happened. Here we observe not only the extension
of the concept of responsibility to any phenomenon (Fredes point about
the origin of causal thinking) but also a formulation, as in Herodotus, of
the necessary presence of the cause in connection with its effect. Here too
we can see the beginning of a transition towards a form of causal thinking, but it is still vague and without any conceptual generality. It is among
the medical writers that we shall find a more decisive step taken in this
direction.
Medicine
The medical material that could be discussed for our purpose in this chapter, even confining it to the fifth-century writings, is too extensive to be investigated fully here. Instead, I shall limit myself to considering a number
of crucially important texts that provide the coordinates for a map of the
medical thinking relevant to our topic. So far as their relative dates are
concerned, we know too little to proceed on a chronological basis, and in
any case, we can find divergent positions adopted in Hippocratic texts that
are probably contemporaneous. We cannot speak of a univocal progress
of medical thought during the fifth century, either for our own topic or
for any other. At one extreme we find writings in which the language of
causal explanation is completely absent or irrelevant. Thus, the words aitia
and prophasis never occur in De locis in homine, regarded as one of the oldest works in the Hippocratic corpus (440-430?), and also from some points
of view as one of the most authoritative13.
Terms for cause and responsibility are also nearly absent from a work as
important as Prognostic, and here I need to clarify an equivocation widely
found in the history of this works interpretation. It has been long sup12
13

Cf. for example I 11.1, II 65.8, III 82.8.


It is probably close to the Anaxagorean group; see Vegetti (1995).

Culpability, responsibility, cause 109

I do not intend, in making those observations, to reopen the debate on


Dillers proposals about the dating of Ancient medicine, proposals he himself has now partially retracted. My purpose is simply to point out that
this work constitutes a radical turn between the thinking of the fifth century and the philosophical elaboration of the fourth, both in the area of
causality and on various epistemological issues.
In conclusion, my study has shown that it is not the case, as has been proposed, that the transition from the words aitia/aitios to the adjectival substantive to aition signifies a growth in conceptual generalization. This idea
was probably suggested because of Stoic terminology, but in fact Thucydides, Ancient medicine, and Aristotle himself all use the substantive and
the adjective without any difference of meaning.
There is a more important philosophical point. Aristotle did not completely follow Ancient medicines rigorous definitions of causality25. His own
definition of the types of causality in Physics II, in Metaphysics V, and
elsewhere, looks back to the entire elaboration of the fifth century and
makes from their uncertainties an element that is rich and conceptually
complex. The answer to the question why, in his view, should not be
limited to giving the productive or efficient cause along the lines adopted
by the theory of Ancient medicine and as the Stoics later thought26. His use
of the idea of end or goal in causal explanation (as already in Platos
Phaedo) restores the moral and political context of motives and reasons that had been the property of fifth-century thought and that Ancient
medicine, in its drastically rigorous way, seems to have dismissed as a piece
of foolishness27.

On causality in Aristotle, see Sorabji (1980).


For the Stoic tendency to reduce causality to a single efficient form, see Frede (1987b),
and also Duhot (1988) and Ioppolo (1994).
27
This chapter has been translated by the editor from the authors original Italian text.
25
26

Il mondo come artefatto. Cosmo e caos nel Timeo di Platone 117

plausibile linscrizione in esso di una citt buona come quella della Repubblica? E reciprocamente: se il mondo stato costruito come un cosmo ordinato, non allora verosimile e possibile che in esso si costruisca una citt
giusta e parimenti ordinata? Perch la societ umana non dovrebbe essere
alla fine armonizzabile con larmonioso manufatto cosmico? Il racconto
della nascita del mondo si configura allora come un mito di fondazione
cosmica delle condizioni di possibilit della nuova citt insomma, come
stato scritto (Pradeau), il mondo della politica, o piuttosto un mondo
per la politica. Lavventura cosmogonica rappresenterebbe dunque, da parte del vecchio Platone, un estremo tentativo di riproporre, su grande scala,
la possibilit di realizzazione dellutopia sullo sfondo di un cosmo che la
riflette da un lato, la richiede e la giustifica dallaltro.
Questo hanno sostenuto autorevoli interpreti, e c senza dubbio del vero
in questa lettura del Timeo. Eppure il dialogo forse racchiude un suo segreto, che richiede una lettura per cos dire in controluce. Poniamoci qualche
domanda, variando il punto di vista seguito finora. Era davvero necessario
ricorrere a una narrazione mitica delle origini del mondo, cos irta di difficolt teoriche, a una sorta di drammaturgia barocca della cosmogonia, con
i suoi improbabili personaggi, per rendere pensabile lordine del mondo?
A ben guardare, questordine non sfugge affatto allesperienza comune,
anzi le si impone come unevidenza quotidiana. I cicli dei giorni, dei mesi,
delle stagioni, i moti degli astri, le generazioni biologiche, si susseguono
con immutabile regolarit: dopotutto, al giorno segue sempre la notte, il
sole e la luna sono sempre l dove li si attende, da un uomo e una donna
nasce sempre un individuo di specie umana.
Partendo da queste evidenze, Aristotele avrebbe inferto colpi spietati alla
cosmologia platonica. Che bisogno c egli si chiedeva di ipotizzare
modelli ideali eterni per ogni realt naturale, di interporre fra questi e il
mondo mediatori cosmici, di moltiplicare le funzioni danima? Tutto questo appartiene al mito e alla poesia assai pi che alla scienza e ad una filosofia rigorosa. Levidenza l a dimostrarci che il mondo ordinato in tutti
i suoi livelli, dal moto degli astri alla riproduzione dei viventi. Il cosmo
esiste da sempre e per sempre, ed governato da una legalit immanente
alla natura che non ha alcun bisogno di divini artigiani o di paradigmi
trascendenti.
Ma forse, agli occhi di Platone, questa soluzione del problema dellordine
del mondo sarebbe parsa eccessiva, perch si spingeva troppo oltre, fino
ad annullare il disordine. Forse il segreto del Timeo consisteva proprio

Struttura e funzioni della dicotomia nel Sofista 125

2.1. Per avvicinarci a una comprensione in positivo della natura e del senso della dialettica dicotomica, bene considerare il modo con cui essa viene delineata nel disegno dialogico del Sofista. Si tratta, come ben noto,
di dare la caccia al personaggio omonimo, che a sua volta un cacciatore,
di seguirne le tracce (ichne), di afferrarlo e chiuderlo in una rete: come ha
osservato Benardete, il linguaggio della caccia che comporta una valenza
euristica appare dominante nel dialogo. Ma come condurre questa caccia a una figura di cui noto soltanto il nome?
Il primo aspetto saliente del dialogo che il procedimento che verr seguito risulta introdotto senza formulare alcuna regola metodica, per la quale
occorre attendere il riepilogo a cose fatte delineato alla fine del dialogo
(264d-e). Poich nella finzione dialogica il Sofista precede il Politico, e non
lecito daltra parte presumere che lo Straniero di Elea avesse assistito alla
conversazione fra Socrate e Fedro sulle rive dellIlisso (su cui dovremo
tornare), nel contesto del dialogo viene presentato un esperimento privo
sia di regole sia di precedenti, e come tale esso andr qui rapidamente
riconsiderato.
Una prima, e importante, indicazione metodica viene tuttavia segnalata
allinizio della procedura dicotomica (218c). Non basta, per conoscere una
cosa qualsiasi, fermarsi al suo nome privo di discorso (cwrj lgou); occorre invece giungere a un accordo mediante i discorsi (sunwmologesqai
di lgwn). Vorrei qui richiamare lattenzione su due aspetti importanti di
questa asserzione. Il primo consiste nellesigenza di homologia fra gli interlocutori del dialogo da raggiungersi attraverso il logos. Essa richiamata alla fine dellesempio del pescatore con la lenza: abbiamo convenuto
(sunwmologkamen) non solo sul nome, ma abbiamo anche afferrato in modo
adeguato il logos relativo alla cosa stessa (auto to ergon) (221b). Il fatto che
la validit dei risultati raggiunti dipenda dallaccordo fra gli interlocutori
sottolinea il carattere dialettico-dialogico, quindi non sistematico-tassonomico, dellintera procedura. La seconda osservazione riguarda il termine
logos, che di solito viene tradotto con definizione: una traduzione che
per imprecisa, visto appunto che si tratta comunque di un discorso
fra due o pi interlocutori, e come vedremo meglio in seguito non
propriamente di una definizione, che si dovrebbe intendere come univoca
e invariante, ma di una rete discorsiva e concettuale che essi intessono
per delimitare il significato, o meglio la pluralit dei possibili significati, del
nome indagato.

Ontologia e metodo.
La critica aristotelica alla dicotomia in De partibus animalium I 2-4
1. Il capitolo 2 del primo libro del De partibus animalium inizia in modo
piuttosto brusco con unaggressione polemica nel miglior stile aristotelico. Leggiamo: Alcuni prendono la singola specie (lambnousi [] t kaq'
kaston) dividendo il genere in due differenze (diairomenoi t gnoj ej do
diaforj: qui Aristotele leggermente impreciso, e bisogna riferirsi alla
dizione inequivocabile dellinizio del capitolo 3: o dicotomontej). Questo
per per certi aspetti non facile, per altri non possibile.
A proposito di questo passo, e dellanalisi che lo segue, vorrei discutere i
seguenti punti:



a. lattacco alla procedura diairetica in quanto formalizzata nella dicotomia una novit di PA rispetto alla Historia animalium;
b. quali sono i principali e non sempre chiari argomenti della critica
aristotelica alla diairesi dicotomica?;
c. in quale misura limmagine del procedimento dicotomico delineata
da questa critica pu venir riferita agli schemi platonici del Politico
e del Sofista, o ad altri esperimenti accademici?;
d. quali sono le ragioni di ordine anche ontologico che motivano questa drastica presa di posizione aristotelica, almeno in parte rivolta
contro la stessa HA? Si pu ritenere che queste ragioni presentino
implicazioni pi generali riguardo alla struttura della stessa ontologia aristotelica?

2. La Historia animalium (il cui periodo di composizione pu venire ragionevolmente stabilito fra il 347 e il 343) aveva largamente fatto ricorso a
schemi diairetici di ordinamento se non propriamente di classificazione
del campo degli animali. Nel capitolo iniziale del libro I, le differenze richiamate in questi schemi riguardavano di volta in volta il modo di
vita, le principali funzioni fisiologiche, i caratteri, le parti degli animali.
Ad esempio, una partizione molto generale divideva gli animali, secondo


Per le prospettive interpretative dinsieme, basta dire in questa sede che mi riferisco alle
tesi di Lloyd (1993c). Un ampio resoconto della discussione recente sui passi in esame si
trova in Carbone (ed.; 2002, 45-94).
Non ho motivo di variare la mia interpretazione complessiva della Historia animalium
esposta in Lanza - Vegetti (edd.; 1971, 19962, 77-128).

Ontologia e metodo 141

formale (quella per esempio che distingue Socrate da Corisco nelleidos


uomo).
Nella critica alla dicotomia del primo libro di PA Aristotele sembra dunque
assumere pienamente le elaborazioni ontologiche sviluppate in Metafisica
Z: lidentificazione primaria della ousia con leidos (in tensione teorica, se
non proprio in contraddizione, con lontologia della sostanza individuale
sviluppata nelle Categorie)12, la non definibilit scientifica dellindividuo
singolo, lindifferenziazione formale degli individui definiti da un eidos
specifico.
Lassunzione di questi criteri segna, dal punto di vista metodico, una linea
di discontinuit rispetto agli schemi di ordinamento diairetico del mondo
animale largamente presenti, come si visto, in HA, e motiva, pi in generale, lattacco alla dicotomia, accusata di violare la primariet ontologica
ed epistemologica delleidos-ousia con raggruppamenti artificiali che includono eide diversi oppure spezzano lunit dello stesso eidos.
8. il caso, a questo punto, di formulare alcune osservazioni dinsieme,
alle quali potr seguire un quesito problematico.

12

a. La centralit ontologica ed epistemologica delleidos non influisce


sul metodo espositivo delle opere biologiche mature di Aristotele,
come il De partibus e il De generatione animalium, che continuano ad
assumere preferibilmente il livello del genos illustrandone i caratteri
anatomo-fisiologici comuni, allinterno dei quali le parti dei singoli
eide si differenziano solo da un punto di vista quantitativo (ad esempio tutti gli uccelli hanno ali, ma le aquile le hanno pi grandi dei
passeri). Questo metodo espositivo potrebbe sembrare in contraddizione con la concezione delleidos come soglia di discontinuit formale, non quantitativa, nel campo del vivente, ma il punto di vista
comparatista ha a che fare con le parti o organi degli animali, non
con le loro specie. Si tratta comunque, come sottolinea pi volte
Aristotele in PA I 1, di un approccio motivato soltanto da ragioni
di economia espositiva e non di carattere onto-epistemologico. La
trattazione dei singoli eide preferibile sul piano teorico comporterebbe in effetti di ripetere troppo volte le stesse cose (ad esempio:
il passero un oviparo, lo struzzo un oviparo, e cos via, mentre basta dire che gli uccelli sono ovipari). Questo non comporta
Mi limito qui a rinviare, per una discussione che comincia con Zeller, a Lewis (1991), e a
Irwin (1988).

Kenologen in Aristotele 149


3. Aristotele kenolgoj: argomentazioni dialettiche in biologia
Nonostante questi divieti epistemologici, non mancano nelle opere biologiche numerosi casi di ricorso ad argomentazioni logico-dialettiche e a
procedimenti metaforici. Linteresse di unindagine su di essi non consiste
certo nel ribadire ancora una volta la fin troppo nota ovviet che Aristotele
spesso infedele ai propri canoni epistemologici. Una ricognizione tipologica, anche se naturalmente incompleta, delle ricorrenze del kenologen
in Aristotele, pu invece tentare di comprenderne il senso e le funzioni:
pu cio mirare a mettere in luce perch Aristotele trasgredisca a volte il
prescritto rigore epistemologico, e le necessit argomentative rispetto sia
alla costruzione teorica sia allesplicitazione del suo senso che lo inducono a queste trasgressioni.
(a) Per quanto riguarda i casi di pdeixij logik, si pu cominciare da un
testo di GA I 1, che presenta unargomentazione assai simile a quella rifiutata a proposito della sterilit dei muli. Si tratta del problema della
generazione spontanea di alcuni insetti: un problema grave, perch rappresenta uneccezione rispetto alla teoria generale della riproduzione di
Aristotele. Questi insetti si devono definire come animali non nati da
animali. Essi dunque non possono generare per accoppiamento animali
dello stesso genere (moiogen), perch ci sarebbe contraddittorio rispetto
alla definizione del genere. Neppure possono generare animali di genere
diverso ma capaci di accoppiarsi, perch altrimenti questi genererebbero
animali di un genere diverso, e cos via allinfinito: ma ci impossibile,
dice Aristotele, in virt del principio generalissimo secondo cui la natura
fugge linfinito (peiron) perch linfinito incompiuto e la natura cerca
sempre il tloj (715b14-6). Questi animali genereranno dunque prole di
genere diverso e incapace di riprodursi a sua volta.
Come facile vedere, largomentazione condotta da un lato sulla base di
un gioco logico di definizioni (alla maniera di quella sui muli), dallaltra
mediante il ricorso ad un principio che pu davvero sembrare troppo
generale e troppo distante dai principi propri. Ma quello che importa
di pi ad Aristotele in questo contesto che essa consente di sistemare in
modo soddisfacente (elgwj ripetuto tre volte in tre rr. in 715b7-10)10 un
problema teoricamente serio per la sua anomalia.
La vicinanza tra i due passi stata notata da Le Blond (1938, 72), e da Lanza in Lanza
- Vegetti (1971, 927, n. 93).
10
Secondo Le Blond (1938, 23), la funzione di questo concetto consiste appunto in un cambiamento di piano: dal piano della necessit al piano della finalit e dellarmonia, che


Kenologen in Aristotele 157


da Aristotele in Metaph. V 1, e la cui efficacia retorica, per gli slittamenti
che essa rende possibili, era stata messa in luce da Aristotele stesso nella
Retorica (III 11.1412b5 ss.).
La metafora del cuore come sta/krpolij svolge dunque, in uno dei
nuclei della teoria biologica di Aristotele, una pluralit di funzioni: da
un lato, quella di confermare lunicit del principio organico, nel doppio
senso della commensalit, della cooperazione orizzontale tra parti, e del
comando, della subordinazione verticale tra centro di potere e periferia,
secondo il ruolo che Platone aveva assegnato al cervello; dallaltro lato,
quella di consentire una connessione trasversale, che la teoria non pu
asserire in modo esplicito e formale, tra ordine del corpo e ordine della
famiglia, della citt e del cosmo22.
(b) Un secondo campo metaforico compare allinterno di unessenziale declinazione del paradigma termico, quella che lo estende alla teoria della
generazione. Essa si produce, come noto, per lincontro tra il seme maschile, che deriva dal sangue per effetto di una pyij operata dal calore
cardiaco, e il residuo mestruale femminile, che permane non cotto a causa
della freddezza di questo sesso, da cui dipendono la sua sterilit ed impotenza generativa (GA I 19-20, IV 1).
Su questa base di fisiologia calorica Aristotele sovrappone lanalisi causale
della generazione, destinata a renderne conto in termini teorici: il principio maschile al tempo stesso causa motrice, formale e finale, in quanto
vettore dellanima; quello femminile ha il ruolo di causa materiale della
formazione dellembrione (GA II 1.732a5 ss.).
Ma queste analisi sono precedute, e in un certo senso introdotte, da una
metafora potente, che segue immediatamente la distinzione aristotelica
tra il maschile (che genera in altro) e il femminile (che genera in se stesso),
e che ne produce lorizzonte di senso: perci anche nelluniverso chiamano femmina e madre la natura della Terra, e si rivolgono al Cielo, al Sole
22

Unulteriore conferma di questa espansione dellasse metaforico che connette lordine


biologico con quello cosmico si ha in PA II 7, IV 10.686b1 ss. Luomo, in virt del suo
maggiore calore, cresce secondo la stessa direzione basso/alto delluniverso, come dimostra la sua stazione eretta che ne conferma il carattere divino; tutti gli altri animali
sono rispetto a lui simili a nani (nandej), giacch la scarsit di calore, e il peso proporzionalmente maggiore della materia inerte, li fa reclinare verso il suolo, come i quadrupedi.
Come di consueto, questa metafora ha al tempo stesso un valore assiologico (perch
conferma luomo come la pi divina tra le forme animali), ed euristico (perch permette
per esempio di comparare gli arti superiori delluomo con quelli anteriori dei quadrupedi).

Athanatizein. Strategie di immortalit nel pensiero greco


La passione per limmortalit , secondo Plinio, un tratto distintivo della
natura umana, che egli definisce, con una espressione bellissima, come
mortalitas avida numquam desinere (VII 188-90). Comune dunque a
tutti gli uomini, questa passione, questa brama di immortalit personale, tuttavia spiccatamente filosofica, nel doppio senso che al tema dellimmortalit i filosofi hanno dedicato un rilevante impegno teorico, e che
daltra parte essi hanno spesso rivendicato alla propria forma di vita uno
speciale e privilegiato accesso alla perpetuazione eterna.
Sia la riflessione, sia la pretesa di immortalit hanno per seguito percorsi
diversi e strategie differenziate, profondamente varianti secondo le epoche, i contesti storico-culturali, le prospettive teoriche messe allopera.
1. Per una ricognizione, certamente non sistematica n esauriente, che
esplori le esperienze e le vedute alle quali la passione dellimmortalit ha
dato luogo, si pu iniziare da due testimoni tanto diversi fra loro come un
celebre passo aristotelico e un aneddoto sulla morte del cinico Diogene
tramandato da Diogene Laerzio; testimoni che hanno in comune soltanto
un aspetto anomalo, in qualche misura sorprendente, e che forse presentano, proprio per questo, un valore indiziario per un percorso che non
intende ricostruire le dottrine dellimmortalit dellanima, bens attraversare quelle esperienze di immortalizzazione personale, o di esistenza sovrumana, rispetto alle quali le prime costituiscono forse, come vedremo,
un caso particolare e alquanto isolato.
Il passo aristotelico in EN X 7, e compare nel contesto dellelogio della
superiorit della vita teoretica rispetto a quella politica e pratica. il caso
di leggerlo per esteso: Se lintelletto cosa divina rispetto allessere umano, anche la vita secondo lintelletto sar divina rispetto alla vita umana.
Non si deve, essendo uomini, limitarsi a pensare cose umane, n essendo
mortali pensare solo a cose mortali, come dicono i consigli tradizionali,
ma rendersi immortali (athanatizein) fin quanto possibile e fare di tutto
per vivere secondo la parte migliore che in noi. Anche se di peso minuscolo (t gkwi mikrn), per potere e onore (dunmei ka timithti) essa supera
di gran lunga tutto il resto (1177b30-1178al, trad. it. Natali).
Ci che vi di sorprendente in questo passo prima di tutto il suo linguaggio, sovraccarico di toni enfatici e arcaicizzanti come di rado accade

Athanatizein. Strategie di immortalit nel pensiero greco 173

ricorso morale al tema dellimmortalit confligge con quello gnoseologico


per un aspetto centrale. Dal secondo punto di vista, essenziale che le anime conservino un ricordo, pure offuscato, della verit vista nellaldil; dal
punto di vista morale, invece, altrettanto essenziale che le anime bevano
lacqua delloblio, perch se esse potessero ricordare le vicende oltreterrene non ci sarebbero pi ingiusti dopo la rinascita, e comunque i giusti lo
sarebbero non per scelta morale ma per calcolo di interesse.
Ma la Repubblica introduce anche, rispetto alla questione dellimmortalit
dellanima, un elemento pi rilevante sul piano della teoria.
Vi si abbandona in effetti lopposizione di matrice orfico-pitagorica fra un
corpo impuro e unanima pura di origine divina, che ancora dominava
il Fedone, per sviluppare invece la teoria innovativa di unanima scissa
fra diversi centri motivazionali in conflitto tra loro per il controllo della
condotta; unanima certo non pi demonica, ma pensata piuttosto come
una struttura psichica in cui hanno origine quegli stessi desideri che venivano nel Fedone imputati alla corporeit. Il Timeo sviluppa dal canto suo
(per questo aspetto seguendo in parte la traccia della Repubblica) una teoria complessa delle interazioni fra anima e corpo allinterno di quello che
poteva venire ormai concepito come il complesso psicosomatico. Salute
e malattia del corpo e dellanima costituiscono qui un nesso reciproco, e
la tripartizione dellanima stimola la domanda sulla localizzazione negli
organi somatici (cervello, cuore, visceri) delle sue funzioni motivazionali
(razionalit, aggressivit, desiderio).
Se almeno due parti dellanima, quella aggressiva (thymoeides) e quella
desiderante (epithymetikon) sono estranee alla razionalit e ai suoi valori
insieme di conoscenza e di moralit; se inoltre lanima, e soprattutto le sue
parti irrazionali, sono strettamente radicate nel corpo diventa difficile
per Platone continuare a pensare alla immortalit dellanima individuale
nella sua interezza. Come pensare che lanima si porti nellaldil aggressivit e desideri connessi alla corporeit, quando se ne staccata con la
morte? e questo non tornerebbe a rendere impossibile quella visione trasparente della realt ideale, che costituiva come si detto la motivazione
gnoseologica della teoria dellimmortalit? In effetti, Platone restringe con
crescente chiarezza, nel Timeo e nelle Leggi, la condizione dellimmortalit
alla sola sfera razionale del complesso psichico: ma si pu allora ancora
parlare di immortalit dellanima individuale? La ragione non diversa
fra i diversi uomini; ci che configura lindividualit lo specifico rapporto che in ognuno si viene a formare fra istanze razionali, aggressive e

La questione della persona nello stoicismo antico 181

spirito del tempo, che cominciava a dar voce a quella irruzione della
particolarit autonoma segnalata dallo stesso Hegel. Ed propriamente in
Aristotele che va letta la forma pi compatta e compiuta dellautoidentit
personale pensata in epoca classica.
3. La comunit politica certo qui permane, ed condizione di buona
vita, non tanto per per se stessa quanto primariamente per il suo fulcro
antropologico la figura delloikonomos, lio realizzato in quanto capofamiglia proprietario. Aristotele reclama unevidenza antropologica quando
sostiene, contro Platone, che ognuno si prende cura di ci che gli proprio
(idion) in modo individuale e privato, mentre trascura ci che comune
(koinon). dunque meglio continuare a dire mio come lo si dice ora
nelle citt (Pol. II 3 1262a8). In questa immutabile datit antropologica, il
padre costituisce la roccaforte del mio, la cerniera fra la privatezza del
patrimonio e quella degli affetti. Luna e laltra costituiscono insieme la
garanzia dellautoidentit e il movente principale dellazione. Scrive Aristotele: due sono le cose di cui gli uomini si occupano e che essi prediligono: ci che proprio e ci che amato (agapeton) (Pol. II 4 1262b23):
due cose in fondo riducibili ad una, come suggerisce la struttura della frase, istituendo unequivalenza sostanziale fra il proprio e loggetto degli
affetti.
Su questa sfera di appropriazione, che rappresenta unespansione coesa
dellio, si fondano secondo Aristotele i piaceri e i valori dellidentit primaria. fonte di un piacere inenarrabile (amytheton), egli scrive, il poter
considerare qualcosa come proprio; qui si radica la naturale amicizia di
ciascuno per se stesso (la prima e originaria forma di appropriazione) e per
i propri beni (Pol. II 5 1263a40). Lidentit compatta delluomo aristotelico
che costituisce a sua volta, occorre ripeterlo, una figura dello Zeitgeist
che sfuggiva alla periodizzazione dialettica di Hegel si forma dunque a
partire da una concezione patrimoniale del dispositivo di soggettivazione.
Una concezione fondata sul nesso fra propriet privata, amicizia e affezione per s medesimo come centro di gravitazione delluniverso delle cose
proprie: moglie, figli, schiavi, sostanze, e, ci che pi conta, amici.
La trama dei rapporti di amicizia che sono in primo luogo rapporti di
scambio fra pari costituisce infatti per Aristotele il livello dellintersoggettivit morale, e mediatamente di quella politica. Al suo centro sta, ancora e sempre, lindividuo proprietario. La sua relazione con lamico, con
laltro, non se non unespansione dei rapporti che questa figura forte
dellidentit aristotelica intrattiene con se stesso, perch egli sostiene che

Tra il sapere e la pratica: la medicina ellenistica


Una rivoluzione epistemologica incompiuta
Poche epoche della storia della medicina e non solo di quella antica
hanno conosciuto unaccelerazione cos brusca nello sviluppo, una trasformazione cos profonda delle strutture, come quelle che si produssero
nei primi cinquantanni del III secolo a.C. Si verifica in questo periodo
non solo una straordinaria espansione del sapere medico, ma anche una
vera e propria rivoluzione epistemologica (ancorch, come vedremo, parzialmente incompiuta). Ed anche raro che tali innovazioni siano in gran
parte da riportare a un gruppo ristretto e ben definito di personaggi, che
nel nostro caso sono nitidamente individuabili. Si tratta di due eccezionali
coppie di maestro e discepolo: la prima quella composta da Prassagora
di Cos (la cui akme va collocata intorno al 300 a.C.) e da Erofilo di Calcedone, vissuto fra il 330/320 e il 260/250, e operante soprattutto nellambiente
di Alessandria; la seconda coppia quella formata da Crisippo di Cnido
(di datazione incerta) e da Erasistrato di Ceo, vissuto anchegli fra il 330 e
il 250, e attivo nella capitale seleucide Antiochia, oltre che molto probabilmente nella stessa Alessandria tolemaica.
Gi queste indicazioni geografiche permettono di delineare con precisione
non solo il quadro geopolitico della trasformazione, ma anche il rapporto
peculiare fra tradizione e innovazione che in essa prende corpo. I maestri
sono infatti radicati nei centri forti come Cos e Cnido della grande
tradizione medica del V e IV secolo a.C., quella i cui testi sopravvissuti furono raccolti nella grande collezione del cosiddetto Corpus hippocraticum.
Gli allievi confluiscono invece nelle capitali delle nuove monarchie ellenistiche, e segnatamente in quella Alessandria dei Tolomei la cui egemonia includeva, allinizio del III secolo, tutta larea dellEgeo, Cos e Cnido
comprese.

Per la cronologia di Prassagora cfr. Steckerl, 1958 (fondamentale per la raccolta dei
frammenti); cfr. anche Capriglione (1985). Per Erofilo cfr. Von Staden (1989) (unopera
fondamentale per la conoscenza non solo di Erofilo ma di tutta la medicina ellenistica).
Per Erasistrato cfr., oltre a Von Staden, Garofalo (1988) (indispensabile per ledizione dei
frammenti). La presenza di Erasistrato in Alessandria stata negata da Fraser (1969);
trovo convincenti, in senso opposto, le argomentazioni di Lloyd (1975); cfr. anche Von
Staden (1989, 141-142).

Tra il sapere e la pratica: la medicina ellenistica 197

Il primo di essi va probabilmente individuato nellopera di Diocle di Caristo, la cui akme pu venir collocata intorno alla met del IV secolo21: la
tradizione, che lo denominava il secondo Ippocrate, mostra di aver individuato il carattere innovativo del suo pensiero medico. Diocle si ispirava
forse alla gerarchia epistemologica istituita da Aristotele quando negava
lopportunit e lutilit per la medicina di una ricerca sulle cause prime
di tutta la natura22, che era evidentemente di pertinenza filosofica. La
tradizione ascrive inoltre a Diocle un trattato di Anatomia, che andrebbe
considerato come il primo tentativo di trasposizione di questo sapere dallambito zoologico proprio di Aristotele a quello specificamente medico.
Altrettanto aristoteliche sono lindistinzione fra vene e arterie, e linterpretazione della respirazione come mezzo di raffreddamento del calore
innato. Ma lo soprattutto il cardiocentrismo attestato in Diocle, cui conseguiva la localizzazione nel ventricolo sinistro del cuore tanto del calore
quanto del pneuma innato. Essendo il ventricolo destro la fonte del sangue, e il cuore lorigine del sistema vascolare, ne seguiva, secondo Diocle,
la compresenza di sangue e pneuma in tutti i vasi23. Linfluenza aristotelizzante di Diocle venne senza dubbio avvertita anche nei centri tradizionali
della medicina, come testimoniano Prassagora a Cos e Crisippo a Cnido.
Prassagora fu una figura complessa e contraddittoria, in cui si intrecciavano strettamente innovazione e tradizione. Sotto linfluenza di Aristotele e Diocle, egli introdusse il cardiocentrismo in quella che era stata la
noto un problema (XXX 1), che non appartiene al libro dei problemi medici. Si tratta
della questione relativa al fatto che tutti gli uomini eccezionali nella filosofia, nella
politica, nella poesia e nelle arti (953a10 ss.) presentano un temperamento melancolico
(cio a dominanza di bile nera). La risposta che la krasis della bile nera (composta di
caldo e freddo) presenta, al pari di quella del vino, un carattere pneumatico, capace
cio di sprigionare vapori che, proprio come il vino, danno luogo a speciali forme di
eccitazione, tanto sessuale quanto intellettuale (in questo caso la bile nera eccessiva e
calda pu produrre follia e passione, ma anche acuire lintelligenza e la fluidit discorsiva). Gli uomini di genio sono dunque tali non propriamente per una malattia, ma per
una particolare costituzione somatica che li predispone a forme eccessive di eccitabilit
e di sensibilit. Il carattere interamente materialistico, non teleologico, che fa linteresse
di questo problema, lo pone daltro canto decisamente fuori dallorizzonte di pensiero
aristotelico. Cfr. Roussel (1988), e ledizione commentata di questo problema aristotelico di Pigeaud (ed. 1988).
21
Per la datazione alta di Diocle vedi Kudlien (1971) contro Jaeger (1938).
22
Fr. 112 Wellmann.
23
Accanto a Diocle andrebbe collocato il trattato Sul cuore della Collezione ippocratica (traduzione e commento in Manuli - Vegetti 1977, 101 ss.) se ne fosse ammessa la datazione
alta, verso la met del IV secolo, ivi sostenuta. La maggior parte degli studiosi inclina
ora ad una cronologia nettamente posteriore.

Tra il sapere e la pratica: la medicina ellenistica 205

su Erofilo della filosofia scettica47. Ci che Erofilo rifiutava era la necessit di incorporare nella medicina, come suo livello fondazionale, quella
teoria filosofica degli elementi-qualit sulla quale essa non poteva avere
alcun controllo. In effetti, le cose prime, anche se non sono prime su
cui il sapere medico doveva fondarsi erano, secondo Erofilo, i phainomena,
e precisamente i fenomeni messi in luce dalla dissezione anatomica: che
consistevano, naturalmente, nelle parti organiche e nei sistemi vascolari48.
Negando la possibilit e lutilit per la medicina di risalire alla teoria degli
elementi, e assegnandole levidenza anatomica come livello di fondazione, Erofilo si manteneva del resto fedele alla partizione aristotelica fra filosofia della natura e medicina scientifica tracciata nel De sensu; per un altro
verso, egli costruiva in questo modo una protezione epistemologica dellautonomia della medicina rispetto alla filosofia49, evitando per esempio
che essa dovesse impegnarsi nel dibattito fra scuole rivali sul problema
degli elementi (qualit aristoteliche o atomi epicurei?).
Questo produceva del resto in Erofilo immediati effetti innovativi anche
al di fuori dellambito epistemologico. Labbandono della teoria degli elementi e la sua sostituzione con il primato dellanatomia minavano alle
basi il grande paradigma termico su cui si era imperniata la fisiologia di
Aristotele e con essa il suo cardiocentrismo. Cadeva il presupposto del calore come principio attivo dei processi naturali; lipotesi di un calore innato nel cuore diventava dunque superflua, e altrettanto superflua appariva
lipotesi parallela di un pneuma cardiaco innato, cio senza rapporti con la
respirazione. Erofilo aggrediva gi in questo modo poi confermato con i
dati anatomici i pilastri portanti del vitalismo aristotelico. Ma non quelli
del suo finalismo: il presupposto di un rapporto non ridondante tra organi
e funzioni comportava in Erofilo linizio della costruzione di un nuovo paradigma. I tre grandi sistemi diffusi che lanatomia metteva in luce (nervi,
arterie, vene) dovevano assolvere funzioni diverse e questo comportava
lipotesi che essi costituissero i vasi di fluidi altrettanto differenziati. Il paradigma tre vasi/tre fluidi giocher, come vedremo, un ruolo centrale
nella fisiologia tanto di Erofilo quanto di Erasistrato50.

la tesi di Kudlien (1979, 280 ss.). In generale sul rapporto fra scetticismo e medicina cfr.
Viano (1981).
48
Frr. 50A, 54, 232 Von Staden.
49
Cfr. in proposito Viano (1984, 346 ss.).
50
Cfr. ancora Viano (1984, 347 ss.).
47

Tra il sapere e la pratica: la medicina ellenistica 213

pi conseguente, e anche pi ambizioso, nel fronteggiare i problemi posti


da quella rivoluzione.
Laggressivit epistemologica di Erasistrato si manifestava gi al livello
della partizione della medicina. Non solo egli ne confermava la scissione
fra una dimensione teorica e quella clinica, ma assegnava ad esse un diverso peso epistemico. Allanatomo-fisiologia, cui veniva ora significativamente aggiunta letiologia (un impegno teorico che Erasistrato si sforzer
di onorare), spettava uno statuto propriamente epistemico (epistemonikon);
alla clinica (semeiotica, terapeutica) veniva invece riconosciuto solo un carattere di approssimazione stocastica (stochastikon)73. Un dislivello, questo,
che da un lato contribuiva a declassare la tradizione ippocratica, dallaltro era destinato a segnare una traccia profonda nellautoconsapevolezza
della medicina, e anche nella diversa dignit spettante al suoi professionisti, il teorico e il clinico praticante.
Fin qui Erasistrato seguiva ancora, precisandole, le note indicazioni aristoteliche. Pi complesso era invece il suo rapporto con la teleologia di
Aristotele. Secondo la testimonianza di Galeno, egli avrebbe professato
una convinzione teleologica, descrivendo la natura con un linguaggio
addirittura, almeno in apparenza, pi stoico che aristotelico come artefice provvidenziale del vivente (technike, pronoetike)74. Tuttavia Erasistrato avrebbe ulteriormente indebolito la teleologia di Aristotele (che Galeno
considerava gi troppo poco provvidenzialistica) ammettendo il carattere
non finalizzato di numerosi organi75. Anzi, egli avrebbe finito per dare un
valore troppo letterale alla tecnicit della natura, sostenendo che gli animali crescono come un setaccio, una corda, un sacco o un cesto, per i quali
laggiunta avviene intrecciando allestremit di ciascuno altro materiale
simile a quello di cui sono inizialmente composti76. Galeno certamente
interessato a contestare la legittimit di quella ascendenza peripatetica che
gli erasistratei del suo tempo rivendicavano, sulla base degli indubbi rapporti del maestro con Teofrasto e Stratone. Tuttavia, la sua polemica colpisce almeno parzialmente nel segno. certo, come vedremo, che il modello
dellintreccio, della corda ritorta, gioca un ruolo importante nellanatomofisiologia di Erasistrato. Ed altrettanto certo che egli rifiutava i punti forti
del vitalismo aristotelico, come il calore innato, il pneuma innato, il para

75

76

73
74

Fr. 32 Garofalo.
Fr. 80 Garofalo.
Frr. 81, 82 Garofalo.
Fr. 149 Garofalo.

Tra il sapere e la pratica: la medicina ellenistica 221

Per quanto riguarda la derivazione della patologia dal sistema anatomofisiologico, Erasistrato poteva trovare nel sistema stesso un nitido fondamento della teoria della salute e per conseguenza della teoria etiologica.
La salute consisteva in sostanza nella tenuta stagna dei tre sistemi elasticofluidi, cio nel permanere delle tre materie (sangue, pneuma psichico,
pneuma animale) nei rispettivi vasi. Da questa definizione derivava un
netto restringimento del concetto di causa della malattia: ci possono essere fattori potenzialmente patogeni, come il caldo o il freddo, gli eccessi
alimentari o gli sforzi, ma essi non sono propriamente cause; causa soltanto ci che determina direttamente e necessariamente linsorgere della
malattia. Da questo punto di vista Erasistrato poteva operare una drastica
riduzione delletiologia ad una sola condizione patogena: la pletora, cio
leccesso di materie in ingresso nellorganismo, e soprattutto leccesso di
sangue che ne risulta108. Se nei vasi venosi c pi sangue di quanto essi ne
possano contenere, esso tende per cos dire a tracimare nei sistemi contigui: questo fenomeno, la paremptosis, la causa prima e si pu dire unica
di tutte le malattie109.
Sulla base di unetiologia cos audacemente semplificata, e direttamente
derivata dal sistema anatomo-fisiologico, Erasistrato poteva poi ridurre
tutte le malattie a due grandi gruppi. Il primo era quello delle malattie
infiammatorie e febbrili. Esso derivava dal passaggio del sangue in eccesso dalle vene alle arterie, forzando le valvole situate nelle sinastomosi;
ne conseguiva limpedimento al libero moto del pneuma animale nelle
arterie stesse110. Il secondo gruppo di malattie era quello delle paralisi, a
carico del sistema nervoso che presiedeva alla sensazione e al movimento
volontario. Esso dipendeva dal passaggio di sangue nei nervi, dove veniva impedito il moto del pneuma psichico. Poich non esistevano naturalmente sinastomosi fra nervi e vene, da supporre che questo passaggio
avvenisse al livello della triplokia, per infiltrazione dalla vena invisibile al
nervo invisibile111.
Diventava cos possibile formulare altrettanto nettamente, in modo quasideduttivo, il principio generale di qualsiasi terapia: occorreva riportare
la materia (e cio il sangue in eccesso) nel suo luogo naturale (le vene),
riducendone la quantit, causa di paremptosis112. A questo Erasistrato prov

110

111

112

108
109

Frr. 158, 161-162 Garofalo.


Fr. 198, una sola causa fr. 169 Garofalo.
Frr. 198, 200 Garofalo.
Fr. 240 Garofalo.
Fr. 212 Garofalo.

Limmagine del medico e lo statuto epistemologico della medicina in Galeno 229

la perdurante carenza di ogni garanzia istituzionale, di ogni regolamentazione pubblica della professione; questa situazione rendeva dal canto suo
pressoch impossibile la costituzione in medicina di una qualsiasi forma
di comunit scientifica fondata sul consenso intorno a comuni canoni
epistemologici e regole terapeutiche.
Non c dunque motivo di non prestar fede alla cupa descrizione che Galeno
fa della situazione della professione medica in Roma. Sono cosa normale
le risse fra medici, divisi da rivalit individuali e di scuola, al capezzale
del malato (OMC 3, p. 61); ed normale che pazienti agiati e ipocondriaci,
come il filosofo aristotelico Eudemo, facciano di questo uno spettacolo quasi quotidiano, rivolto tanto allintrattenimento quanto alla ricerca della migliore terapia. Una folla di medici circonda Eudemo prima del suo bagno
giornaliero (Pr. 2, pp. 74-76); i migliori medici della citt accorrono per curare la sua febbre quartana, alla presenza di un pubblico di amici che comprende un prefetto come Sergio Paolo, un ex-console come Flavio Boeto, e, a
detta di Galeno, tutti i Romani pi in vista per dignit e cultura (Pr. 2, pp.
78-80). Non c da sorprendersi che questa situazione, priva di regole, alta

I privilegi istituzionali concessi ai medici nella societ imperiale si possono cos riassumere: a) la concessione della cittadinanza ad opera di Cesare (46 a.C.) a chiunque esercitasse
la medicina (e le altre arti liberali) nella citt di Roma; b) la concessione della immunitas
(aleitourgesia), cio dellesenzione dagli obblighi fiscali e dai munera dovuti tanto alla fiscalit imperiale quanto a quella municipale, concessa da Vespasiano e ribadita, intorno
al 117, da Adriano. Questo privilegio, ambito nelle citt di provincia, non comportava a
differenza dellincarico stipendiato di medico pubblico delle citt ellenistiche lobbligo di curare gratuitamente i poveri, ma solo quello di esercitare la professione nella citt
dorigine, salvo naturalmente che a Roma. Antonino Pio restrinse, intorno al 140, il numero dei medici cui si poteva estendere la immunitas: cinque nelle piccole citt, sette in quelle
medie, dieci nelle metropoli (nessun limite per Roma). Ad essi si aggiungevano rispettivamente tre, quattro, cinque retori ed altrettanti filosofi. La scelta di questi professionisti
veniva delegata ai singoli consigli municipali. Solo nel 368 d.C. verr istituito a Roma un
regolare collegio di medici pubblici (archiatri), in numero di 14. Per la situazione istituzionale dei medici nellimpero, cfr. Below (1955, 22 ss.); Nutton (1988, cap. IV); Andr (1987);
Kudlien (1986); Vegetti - Manuli (1989). Cfr. anche Scarborough (1993, 3-48); Nutton (1993,
49-78); e Jackson (1993, 79-101). La protezione sociale della medicina comprende limpunibilit per i danni arrecati ai pazienti con terapie erronee (esclusi, naturalmente, i casi di
dolo). Non esiste tuttavia alcuna normativa che regoli n la formazione dei medici n il
loro accesso alla professione; la scelta dei medici da ammettere allimmunitas da parte dei
consigli municipali si sar basata sulla pubblica fama o su rapporti personali.
Si trattava del resto di una situazione gi ben nota a Plinio: hinc illa circa aegros miserae sententiarum concertationes, nullo idem censente, ne videatur accessio alterius.
Hinc illa infelicis monumenti inscriptio: turba se medicorum perisse (NH 29.11).
Su questo aspetto della societ imperiale, cfr. Bowersock (1969, 62-72). In generale sui
rapporti fra Galeno e la societ romana ancora da vedere Ilberg (1971).

Limmagine del medico e lo statuto epistemologico della medicina in Galeno 237

ta di secondo fondatore della medicina (senza dubbio per il suo cruciale


apporto allo sviluppo dellanatomia), e proprio per questo prescrive una
ricognizione attenta dei punti di consenso e di dissenso tra Ippocrate e lo
stesso Erasistrato intorno alla terapia. In ogni caso, il buon medico porr
Erasistrato al secondo posto nei suoi studi storico-teorici sulla tradizione
del sapere medico.
(c) Il sillabo medico20. Questi studi andranno integrati con la conoscenza
dei grandi medici del IV e del III secolo (Diocle, Pleistonico, Prassagora,
Dieuches, Erofilo), ai quali, fra i pi recenti, Galeno aggiunge il solo
Asclepiade. Ed unaggiunta strana, per i legami di Asclepiade con la
medicina metodica a pi riprese denunciati da Galeno; meno strano invece il silenzio sugli altri grandi medici di et ellenistica, come Ateneo e
Archigene fra i pneumatici, o Eraclide di Taranto fra gli empirici, giacch
nota la tendenza di Galeno, tanto in medicina quanto in filosofia, a tacere
della storia successiva al III secolo se non per denunciarne le perniciose
deviazioni rispetto alla tradizione degli antichi. Altri riferimenti al sillabo degli scritti medici antichi sono reperibili nello stesso OMC (9, pp.
115-117), dove Galeno si limita a citare Ippocrate, Diocle, Prassagora e
gli altri antichi. Una versione pi estesa dello stesso sillabo presente
nel De methodo medendi, dove Galeno chiama a raccolta contro i metodici
il meglio della tradizione medica: Erofilo, Filotimo, Prassagora maestro
di Erofilo, Erasistrato, Diocle, Mnesiteo, Dieuches, Filistione e Pleistonico
(MM I K 10.28). il caso di rilevare il privilegio accordato in questa lista
ad Erofilo21. A proposito del sillabo in generale, certo che Galeno non
presume da parte del medico in formazione la conoscenza diretta dei testi
di tutti gli autori citati, quanto piuttosto la consultazione di sillogi e dossografie contenute nei manuali di scuola, ai quali egli stesso certamente si
riferisce nella costruzione del suo programma di studi.
(d) Giustificare le dottrine corrette ed esporre quelle erronee. Questa indicazione interessante perch rivela lo spirito con il quale Galeno pensa
ci si debba avvicinare allo studio della tradizione medica: lo stesso, del
mento di Galeno verso Erasistrato cfr. Garofalo (1988, 10-15); Iskandar, CMG Suppl. Or.
IV, 156.
20
Nutton (1990, 246-247), rileva che tutti i medici citati sono razionalisti (il che spiega
linclusione di Asclepiade); in generale sulla natura dei manuali introduttivi allinsegnamento della medicina cfr. Kollesch (1973, 13 ss.), e Bourdon (1994).
21
In EM 13, p. 109, Galeno d una valutazione nettamente positiva di Erofilo, in particolare per la dottrina del polso, la cui utilit stata pienamente scoperta solo ora (cio da
Galeno stesso). Sulla questione cfr. Von Staden (1989, 262 ss.).

Limmagine del medico e lo statuto epistemologico della medicina in Galeno 245

E questo precisamente il programma cui Galeno conforma il proprio resoconto autobiografico.


(c) La formazione apodittica. Galeno studia e si esercita per molti anni sui
metodi dimostrativi dei filosofi (MM VII K 10.469), e in particolare affronta fin da ragazzo la logica di Aristotele, di Crisippo e degli Stoici (LS 11
K 19.39 ss.); ma, come sappiamo, egli valuta come molto pi importante
listruzione, avviata dal padre, nei metodi apodittici dei matematici, che
non si stanca di indicare come lunico modello espistemologicamente incontrovertibile.
(d) La competizione: la prognosi. Forte di questa complessa preparazione,
Galeno ora in grado di affrontare la competizione professionale con gli
altri medici, e lo fa nel contesto dellaccesa rivalit tipica dellambiente
romano. Nella costruzione della propria immagine, Galeno non risparmia
i toni drammatici, una forte teatralizzazione fatta di chiamate improvvise,
di violente discussioni intorno al capezzale, di attese emozionanti della
verifica della prognosi, di invidie e strascichi polemici. Il triangolo ippocratico, il conflitto tra malattia, malato e medico, si qui alterato, giacch
il conflitto tra i medici e le loro scuole che viene ad occupare tutto il centro della scena. Nella competizione, Galeno dispone di unarma altamente
spettacolare, capace di impressionare tanto i pazienti quanto i rivali: la
sua straordinaria abilit prognostica30. Baster citare qui solo un paio tra i
numerosi successi che egli si attribuisce: la prognosi della febbre quartana
di Eudemo (Pr. 2, pp. 78 ss.), e la diagnosi (ottenuta con gli stessi mezzi)
di un tumore viscerale a partire dal polso (OMC 6, p. 81). Non sfugge ai
rivali questa spettacolarizzazione galenica della prognosi, tanto che essi lo
soprannominano paradoxologos, miracle-teller; ma, a fronte agli effettivi
successi terapeutici, questo appellativo sarcastico viene presto sostituito,
racconta compiaciuto Galeno, dallaltro di paradoxopoios, facitore di miracoli (Pr. 8, p. 110; OMC 6, p. 61). Pi insidiosa laltra accusa, facilmente
prevedibile, di praticare non la prognosi scientifica bens la mantica, divinatoria o astrologica che sia, o addirittura la goeteia, la stregoneria, il che
d un accento sinistro allappellativo di paradoxopoios che poteva sembrare
lusinghiero (Pr. 1, p. 70; 7, p. 106). In una occasione, un medico come
Marziano (o Marziale?) ad accusarlo di praticare la mantica, e a ricordargli
le cautele della prognosi ippocratica31 (Pr. 3, p. 84).
30
31

Cfr. in proposito Nutton (1972, 61); Nutton (1990, 257).


In effetti, Prorrh. 2.1 (Littr 9.6) negava la possibilit di predizioni esatte e meravigliose nella medicina.

Limmagine del medico e lo statuto epistemologico della medicina in Galeno 253

le quali in particolare il De sectis, esplicitamente rivolto ai giovani medici


in via di formazione Galeno non certamente il primo autore di questo
genere di letteratura, anzi segna in qualche modo lepilogo di una lunga
tradizione di polemica medica.
Come ha mostrato Von Staden43, la hairesis-literature nasce gi verso la
fine del III secolo a.C., ad opera dellempirico Serapione di Alessandria,
allievo del fondatore della scuola Filino, nel contesto della polemica empirica contro i gruppi avversari, come gli erofilei in primo luogo, gli erasistratei, i prassagorei.
Mentre gli empirici costituiscono un gruppo relativamente piccolo e dotato di un compatto nucleo dottrinale come pi tardi i metodici , i loro
avversari razionalisti o dogmatici comprendono un vasto spettro di
posizioni, che si estende, al di l delloriginario nucleo erofileo, fino ad
Asclepiade di Bitinia da un lato, ai pneumatici dallaltro. soprattutto la
polemica empirica prima, e molto pi tardi la sistemazione galenica, a fare
dei diversi indirizzi razionalistici una scuola unificata e canonica, contrapposta a quella empirica. Questa polarit appare comunque gi nettamente
codificata nel Proemio di Celso, largamente ispirato alla letteratura settaria
e composto nellet di Tiberio. Qui compaiono le tendenze di coloro che
seguono la rationalem medicinam (13), cui si oppongono coloro che se empiricos ab experientia nominant (27), rifiutando lauctoritas dottrinale sulla
base dellevidenza della discordia che la inficia (28). Celso non nomina
esplicitamente la terza setta, quella metodica. Questa omissione dipende
probabilmente dal fatto che egli non riconosce ai metodici una vera autonomia teorica. Non senza qualche ragione, come vedremo, egli ritiene
in effetti che i seguaci di Temisone, se restano fedeli ai loro principi, sono
ultra-dogmatici, magis quam ulli rationales (62); ma di fatto risultano superempirici, giacch si arrestano a osservazioni superficiali, disponibili anche
a chi sia imperitissimus di medicina (63).
Nel rielaborare ed approfondire la lunga tradizione della hairesis-literature, Galeno mosso da una esigenza molto precisa: si tratta di costruire
un profilo teorico-critico delle sette nitido e consistente, in modo da renderle agevolmente riconoscibili anche ai principianti cosa tanto pi necessaria perch, non trattandosi di vere e proprie scuole, esse non sono
identificabili n attraverso un sistema di insegnamento istituzionalizzato,
n attraverso una vera e propria ortodossia dottrinale. dunque neces43

Cfr. Von Staden (1982, 79). Sulla filosofia delle sette cfr. anche Moraux (1973-84, II, 710
ss.).

Limmagine del medico e lo statuto epistemologico della medicina in Galeno 261

mo livello anatomicamente accertabile (il passaggio di Erasistrato verso la


supposizione della inosservabile triplokia non faceva del resto riferimento
che a questi elementi ultimi). Questo limite non superabile dellassiomatizzazione della medicina era stato nettamente definito da Erofilo, che affermava, secondo la testimonianza galenica: stw tata prta, e ka m
sti prta (siano queste cose prime anche se non sono prime) (MM II K
10.107). Ed Erofilo si muoveva a sua volta nelleredit aristotelizzante di
Diocle, che, pur essendo dogmatico, rifiutava il ricorso a cause universali comuni alla natura intiera, e criticava coloro che credono di dire le
cause ricorrendo a principi ignoti, non condivisi e non credibili (gnoomena ka m mologomena ka pqana) (AF I K 6.455-456).
Il senso della critica galenica ai logikoi risulta a questo punto chiaramente
delineato. Fedeli ai canoni dellepistemologia aristotelica, essi erano certamente disposti ad assumere il livello anatomo-fisiologico (comprendente
la struttura degli organi interni e la loro fisiologia, anche quando qualcosa di tutto questo restasse invisibile, come la triplokia, il pneuma, o le
facolt naturali, le funzioni degli organi) come fondamento del sapere
medico, a partire dal quale si doveva derivare tanto la comprensione prognostico-diagnostica delle malattie quanto lintervento terapeutico. Non
accettavano invece un ulteriore procedimento riduttivo, che conducesse
al di l degli organi alle parti omogenee e ai loro componenti primi ed
elementari, ritenendo che ci sconfinasse nel campo controvertibile della
filosofia della natura, estranea ai limiti della medicina. Galeno ritiene per
contro che senza questa ulteriore fondazione la medicina resti un sapere
monco, incapace di ultimare la propria costruzione epistemologica; e che,
in particolare, venga in tal modo minata quella teoria dei temperamenti
(kraseis) dalla quale dipendono in ultima istanza sia la fisiologia degli organi sia la patologia. Si pu osservare che in questo modo Galeno regredisce a una fase arcaica della medicina, non solo pre-aristotelica ma addirittura ignara della polemica di Antica medicina50; pi esatto pensare per
che, qui come in altri settori, egli pensi piuttosto ad una medicina capace
di rimpiazzare scientificamente una filosofia della natura che gli appariva
ormai esaurita nelle diatribe di scuola tra peripatetici, stoici ed epicurei, e
arenata nelle secche di indecidibili problemi metafisici.
La modestia epistemologica dei razionalisti fa s che essi si comportino
di fatto, secondo Galeno, come dei semi-dogmatici, dei logikoi dimidiati. I
50

Cfr. VM 20 (per la polemica contro la physiologia empedoclea), 13, 15 (per lattacco alluso di hypotheseis come caldo/freddo/secco/umido in medicina).

Limmagine del medico e lo statuto epistemologico della medicina in Galeno 269

Ma le procedure dimostrative devono a loro volta fondarsi, come in geometria, su una base assiomatica: non c sapere unificato senza axiomata
anapodittici che ne costituiscano i principi convenuti (archai homologoumenai) (MM I K 10.34-5). dunque possibile, secondo Galeno, andar oltre
le preoccupazioni epistemologiche di Diocle, che temeva il ricorso a principi non condivisi come fonte di diaphonia, e dunque lo escludeva dallambito della techne. Del resto, come vedremo, lidentificazione di axiomata e
di archai non scevra di problemi per lo stesso Galeno. Ma intanto occorre
rilevare unimportante conseguenza che egli pensa inerente alla rifondazione unitaria e assiomatizzata della medicina. Grazie al suo assetto epistemologico, il modello matematico si presenta come quello di un sapere
cumulativo e progressivo. La geometria
progredita poco a poco, indagando dapprima i suoi teoremi pi elementari;
quando questi sono stati scoperti, gli uomini che sono vissuti in seguito vi aggiunsero quella meravigliosa teoria che, dicevo, si chiama analitica (AD II 5 K 5.86).

Nello stesso modo pu venir considerata la medicina, una volta riunificata


dopo la dispersione settaria, e in particolare pu venir pensato il programma galenico nei confronti della grande tradizione ippocratica. Ippocrate
ha trovato il metodo e la via del sapere terapeutico, senza tuttavia lordine (taxis) e il rigore (akribeia) necessari. Ai successori resta il compito
di portare a termine le vie che egli ha tracciato, proprio come Traiano ha
fatto per la rete viaria italiana, pavimentando strade, spianando asperit,
abbreviando percorsi, costruendo ponti (MM IX K 10.633). Cos Galeno si
attribuisce il compito di dire in modo ben definito e certo (saphos) ci che
in Ippocrate era rimasto incompleto, e di colmarne le lacune (prostheinai ta
leipomena) (MM VI K 10.420).
Quali sono dunque i caratteri e i contenuti degli axiomata (o archai) che
Galeno vuol porre alla base della medicina? Sui primi, le sue indicazioni
sono univoche. Deve trattarsi di elementi evidenti e certi; e levidenza pu
assumere due forme, quella che deriva dallintuizione razionale (nous) e
quella che proviene dallosservazione percettiva (aisthesis) (AD II 6 K 5.94).
Anche il De methodo medendi individua in aisthesis e noesis la doppia fonte
dellevidenza che spetta ai principi anapodittici (I K 10.36); la dimostrazione deve partire da t prj asqhsin te ka nhsin nargj fainmena (I K 10.39)55.
55

Levidenza che spetta ai principi anapodittici riportata da Galeno al koinos nous e alla
symphytos ennoia. Cfr. Moraux (1973-84, II; 720 e n. 155); Barnes (1982), la accosta alla
phantasia kataleptike degli stoici. Cfr. anche Hankinson (1991b, 15-29); Kudlien - Durling
(1991).

Limmagine del medico e lo statuto epistemologico della medicina in Galeno 277

le vesti o aggiustano le scarpe (CAM 1 K 1.227-229). Galeno sembra aver


completamente dimenticato la polemica contro i sarti e i calzolai fra
i quali Tessalo reclutava i propri seguaci. Ma egli segue di fatto coerentemente la linea di ragionamento che governa questa nuova prospettiva:
c un montaggio naturale dei corpi, simile a quello tecnico delle case e
delle navi, che pu presentare difetti e guasti, le malattie: la terapia consiste allora nella sostituzione cio nella rigenerazione dei pezzi difettosi
(CAM 5-6 K 1.237-245). Il problema qui specificamente quello delle ferite,
ma le metafore tecniche di Galeno si estendono di fatto allintero lavoro
terapeutico, e, sviluppate fino in fondo, finiscono per abbassare il livello
della medicina anche al di sotto delle arti poietiche cui essa appartiene. In
effetti, il muratore che restaura una casa rovinata e il sarto che rammenda
le vesti strappate conoscono il progetto iniziale, il modello del manufatto
che riparano. Non cos il medico, che non ha progettato il corpo e ne ignora la struttura, che si deve a dio e alla natura.
Lo svantaggio conoscitivo del medico rispetto agli artigiani per altri aspetti
suoi simili deve per convertirsi, secondo Galeno, in uno strenuo lavoro
di ricerca, nel quale si ricostituisce la dignit scientifica della medicina anche in questa sua pi modesta collocazione. La comprensione del progetto
originale del corpo da riparare pu essere ottenuta mediante lindagine
anatomica in primo luogo (CAM 20 K 1.303). E la conoscenza del piano delledificio cui si dedica quellarchitettura restaurativa che la medicina deve
seguire il movimento che Galeno ha altrove descritto: secondo un procedimento analitico di risoluzione e composizione delle parti, bisogna partire
dai componenti semplici del corpo, giungere agli organi noti mediante la
dissezione, e procedere verso le loro funzioni (CAM 2 K 1.230-233)
Ritornano dunque, ordinati da un metodo geometrico quale quello analitico, i noti livelli dellepistemologia galenica, la dottrina degli elementi
e lanatomo-fisiologia. E credo che in questambito sia da collocare anche un metodo logico meno elevato di quello apodittico ma ben fondato
nella tradizione platonico-aristotelica, la diairesi65: un prezioso strumento
di classificazione delle malattie e dunque di ordinamento dellesperienza
medica (cfr. per es. MM I K 10.21).
Di fronte allimpegno quotidiano della lotta terapeutica contro la malattia,
la medicina perde dunque in Galeno i panni augusti del sapere alto, la sua
65

Sulla diairesi cfr. Moraux (1973-84, II, 722). Metodi diairetici sono largamente presenti
nel Peri technes. Questopera non stata comunque utilizzata nel presente scritto perch
va considerata pseudo-galenica: cfr. Kollesch (1988).

I nervi dellanima 285

300,12 K.): il riferimento tecnologico anche qui assai chiaro, se si pensa


che i meccanici ellenistici avevano assunto il diametro del foro di alloggiamento delle molle a torsione come canone per la riproducibilit delle
catapulte su scale diverse (Philo Bel. 3: pp. 8,20-9,45 Diels - Schramm).
Grandi orologi automatici, catapulte, macchine a leve e pulegge per la
trazione e il sollevamento dei pesi: i maggiori ritrovati della meccanica
ellenistica servono dunque a Galeno per rendere descrivibile una parte
dei processi psicofisiologici, quelli del movimento volontario, come erano
serviti agli stoici per metaforizzare il problema dellenergia psichica.
Si pone tuttavia allinterno di questo modello un problema rilevante per
la psicofisiologia di Galeno. Il movimento volontario avviene sulla base di
ordini impartiti dalla ragione, sita nel cervello, e trasmessi dai nervi a tendini e muscoli (UP XII 3: II 186,15-187,26 Helmr. = IV 7,7-9,9 K.). Ma qual
il vettore di questi ordini? Ladduzione al cervello degli stimoli percettivi
avviene mediante il pneuma psichico contenuto nei nervi sensori, molli e
cavi (per es. UP XVI 3: II 384,13-385,7 Helmr. = IV 275,10-276,10 K.). I nervi motori, la cui funzione prevalentemente meccanica, appaiono invece
duri e privi di pneuma (cfr. per es. UP XVI 2: II 381,2 s. Helmr. = IV 270,16
s. K.). Se in linea di principio il pneuma psichico senza dubbio secondo
Galeno il primo rganon dellanima tanto per la sensazione quanto per il
movimento volontario (PHP VII 3,23: CMG V 4,1,2, p. 444,15), il suo ruolo
nella trasmissione della dnamij psichica, mediante i nervi, ai tendini e
ai muscoli, resta incerto e non viene di fatto precisato (questa incertezza
chiaramente riconosciuta da Galeno in PHP VII 4,1-3.20-25: CMG V 4,1,2,
pp. 448,4-24; 452,8-28)12.
12

Galeno scrive in questo passo (p. 448,5-7) che il pnema psichico ha la sua funzione []
nelle percezioni e nel movimento delle parti. Occorre per questo supporre che ogni
nervo contenga un po di pnema, congenito oppure inviato dal cervello? lo non ho
sottomano una risposta [] Non possibile decidere senzaltro se la dnamij fluisce dal
cervello alle membra attraverso i nervi in questo modo [come la luce attraverso laria],
o se la sostanza del pnema raggiunge le parti sensorie e motrici, o se investe i nervi
per una certa lunghezza in modo da alterarli violentemente, e in seguito lalterazione
trasmessa fino alle membra motrici (ibid., p. 448,19-24). In linea di principio, non c
dubbio che i nervi prendono la facolt psichica dal cervello e portano la facolt della
percezione e del movimento dal principio nelle singole parti (UP I 16: I 32 s. Helmr. =
III 45 K.). Ma qual il ruolo del pnema in questo processo? Il Motu musc. ribadisce che
il principio del moto volontario viene dal cervello mediante i nervi (I 1: IV 373 K.), e
riconosce nei muscoli gli organi del movimento kaq'rmn (ibid., 367), ma non fa alcun
cenno del pnema. A parte il dubbio di principio sopra espresso, sembra che Galeno consideri certo solo il fatto che il cervello, essendo il principio della percezione, lo anche
dellimpulso (rm) che d luogo al movimento volontario (PHP VII 8,4: CMG V 4,1,2,

I nervi dellanima 293

Le macchine per lancio e trazione corrispondono in modo esplicito in Galeno, sia per struttura sia per il livello energetico, allanatomo-fisiologia
del movimento volontario; quelle pneumatiche, basate sui fluidi, sulla
loro compressione e vaporizzazione, ad alta efficacia e a bassa energia,
corrispondono alla psicofisiologia in senso stretto (sensazione e moti passionali). Poich Galeno definisce pnema, sangue e fonte calorica come i
primi strumenti (rgana) dellanima (Sympt. Caus. II 5: VII 191, 13 s. K.),
si pu inoltre pensare che egli includa il dispositivo pneumatico dei fluidi,
sia per la precisione sia per gli effetti mirabili ottenuti con basse energie,
nel campo degli strumenti vitruviani (un punto di contatto fra energia
pneumatica e struttura a ruotismi degli strumenti per esempio da ravvisare negli orologi automatici ad acqua).
9. In ogni caso, la distinzione introdotta da Galeno tra i due tipi di dispositivi psicofisiologici e le rispettive energie rappresenta un notevole sforzo
teorico di spiegazione non mitica e, almeno nelle intenzioni, non metaforica del campo dei processi psichici. Questo sforzo permette a Galeno
di superare, in direzione di una comprensione analitica, una pluralit di
tentativi sintetici per pi ragioni insoddisfacenti. Il primo era stato quello
platonico, che individuava lenergia innata (smfutoj dnamij) dellanima
(Phaedr. 246a) nella sua carica erotica, agendo lrwj come un flusso di forza (o, mh; Phaedr. 251a-c) canalizzabile in tante direzioni diverse quanti
sono i centri motivazionali dellanima (lgoj, qumj, piquma)29.
Ma il campo unificato di forze psichiche non era suscettibile in Platone
di unadeguata descrizione fisiologica, o lo era soltanto nei termini mitici
del Timeo. Per contro, lunificazione fisiologica proposta da Erasistrato era
incapace di spiegare le dinamiche psichiche fini, come quelle passionali, e si concentrava sul meccanismo del movimento volontario. Gli stoici,
infine, non andavano oltre il suggerimento di un rapporto metaforico fra
il campo di neurdej/tnoj e quello della psiche/pnema.
I due sistemi introdotti da Galeno, rinunciando a ununificazione difficile,
consentono uninterpretazione articolata del complesso psicofisiologico
nei suoi diversi modi di funzionamento e nei suoi diversi livelli energetici. Certo questa rinuncia allunificazione apre a sua volta una serie di problemi, che restano in gran parte irrisolti. Non chiaro, come si visto, il
rapporto che intercorre fra pnema psichico, organo dellanima, e il meccanismo duro del movimento volontario. Dal canto suo, il dispositivo
29

Sul problema mi limito qui a rinviare a Vegetti (1990, 130 ss.).

Cinquantanni di filosofia antica in Italia: successi e problemi 301

luoghi di ricerca. Cos, per limitarmi a qualche esempio, se Padova ha


continuato ad essere il centro privilegiato per gli studi aristotelici, e Roma
quello degli studi su Socrate e le filosofie ellenistiche, dallo stoicismo allo
scetticismo, a Milano si sono sviluppate importanti ricerche sui Sofisti,
Platone e il medio-platonismo, a Pavia sulla scienza antica, dalla medicina
allastronomia, e pi tardi sul pensiero etico-politico; Catania diventata un importante centro di ricerca sul pensiero tardo-antico, e Napoli su
quello platonico. Laspetto che va soprattutto sottolineato a proposito di
questo periodo dei nostri studi in Italia la loro accentuata internazionalizzazione: non solo nel senso delle numerose traduzioni di importanti opere
straniere, ma soprattutto in quello dei sempre pi frequenti contatti con i
centri di ricerca europei e americani, che hanno prodotto una serie di convegni, seminari, scambi culturali difficilmente immaginabili nei decenni
precedenti: si pu davvero dire, da questo punto di vista, che in Italia la
nostra disciplina sia finalmente diventata maggiorenne.
3. Lultimo decennio, se da un lato ha assistito al consolidamento dei risultati acquisiti, ha forse cominciato a manifestare a mio avviso problemi di orientamento e prospettiva (anche in rapporto, va detto, a un certa
stanchezza nella capacit di proposte innovative, in campo tanto filosofico
quanto storiografico, che ha cominciato a farsi sentire nei centri che tradizionalmente hanno ispirato il nostro lavoro, in Francia come in Inghilterra
e in Germania).
probabile che questi problemi siano per cos dire laltra faccia della medaglia di un fenomeno per altri versi positivo, cio il necessario incremento di professionalit specialistica richiesto dai nostri studi, che ne ha allentato i legami con la riflessione filosofica generale da un lato, e dallaltro
con gli ambiti affini della filologia classica, della storia politica e sociale del
mondo antico, dellantropologia, dellepistemologia storica. In altri termini, lelevato tasso di specialismo ormai richiesto dai nostri studi presenta,
soprattutto per i ricercatori pi giovani, costi e rischi che possono risultare
preoccupanti.
Ci sono in primo luogo una certa ripetitivit paradigmatica (per usare
unespressione kuhniana) nelle nuove ricerche, una crescente difficolt di
sperimentare prospettive innovative per metodi e contenuti. Non si vede
insomma oggi nulla di paragonabile allo spirito di apertura e di novit


Recentemente riassunti e problematizzati nel fascicolo intitolato Nuove prospettive di


ricerca sul pensiero antico della rivista Paradigmi, XXI 2003.

Intervista sul classico 309

Il primo ha a che fare con il pensiero dellanima, quindi ancora una volta
con la configurazione della soggettivit. Lantichit ci offre qui due tradizioni rivali: quella platonica, con la sua concezione di un io scisso tra
centri motivazionali in conflitto tra loro per il governo della condotta, e
quella aristotelica, centrata su di una psicofisiologia essenzialmente cognitivista. Ad esse si pu aggiungere una terza linea, quella galenica, che
accorda al corpo una netta prevalenza sullanima e conclude quindi ad
una drastica medicalizzazione tanto della malattia psichica quanto della
devianza morale. Che tutto ci abbia a che fare da vicino con le alternative
radicali che abbiamo di fronte nel campo del pensiero morale e psicologico sembra abbastanza chiaro abbastanza, almeno, da far sperare che gli
studiosi del pensiero antico abbiano una qualche consapevolezza dei suoi
esiti moderni, e che daltro canto chi lavora oggi in questi settori di sapere
si renda conto delle origini antiche dei loro problemi, il cui interesse sta
se non altro nella radicalit con cui le tesi rivali sono state formulate e
argomentate.
Il secondo esempio riguarda la storia del pensiero politico occidentale. Gli
antichi hanno sperimentato sia la forma della piccola comunit repubblicana la polis sia quella del grande stato multietnico limperium. Questa
ricca pluralit di esperienze storiche, congiunta con la sostanziale assenza
di forme di dogmatismo censorio, ha dato luogo ad una straordinaria pluralit di riflessioni politiche e di proposte utopiche. La Storia di Tucidide
cos cara a Hobbes, la critica etico-psicologica delle costituzioni nellottavo
libro della Repubblica di Platone e lutopia della perfetta comunit politica
nel quinto libro dello stesso dialogo, la naturalizzazione aristotelica della forma-polis nella Politica, la legittimazione ciceroniana della repubblica
imperiale romana, per limitarmi a qualche esempio fra i molti possibili,
hanno alimentato, in forme diverse, conflittuali e spesso anche equivoche,
il pensiero etico-politico occidentale dal Medioevo al Rinascimento, dai
classici seicenteschi a Rousseau e al pensiero giacobino, dalle opposte
teorie liberal-democratiche e socialiste dellOttocento fino alle odierne riabilitazioni della filosofia pratica. Questo ininterrotto dialogo con la tradizione spesso avvenuto senza che da parte dei moderni ci fosse una adeguata comprensione delle forme delleredit antica che si condividevano o
che si condannavano, e spesso senza che gli specialisti del pensiero antico
fossero abbastanza attrezzati per fornire ai propri contemporanei indicazioni adeguate a porre le loro domande e a formulare le loro risposte in
modo corretto. C qui senza dubbio uno fra i tanti terreni in cui il confronto fra il sapere storico-filologico sullantichit e gli interrogativi sulla

Un viaggio di mille anni. Tre questioni filosofiche 317

Detto in altri termini, si tratta di mostri della memoria, dei suoi incubi
e dei suoi deliri, che si generano dal sonno della storia, cio nel vuoto
prodotto dalla impossibilit di pensarla come un processo dotato di una
direzione e di un senso.
2. Che cosa crediamo di sapere
Da questa prospettiva, in effetti pi agevole individuare le origini, se
non di questo stato del mondo, almeno di questa desolazione del pensiero, che tende a renderci anche su questo piano inermi di fronte allo stato
del mondo.
Al principio sta probabilmente la concezione hegeliana, in buona parte
condivisa dal marxismo, di un corso del mondo governato da una legge di
sviluppo dialettico, orientato da una teleologia immanente (questa almeno stata linterpretazione dominante dello hegelismo, indipendentemente
dalla sua attendibilit storiografica). Il pensiero dello sviluppo consentiva
di operare una robusta saldatura tra fatti e valori, immergendo interamente i secondi nei primi, che ne risultavano perci a priori giustificati, tanto
giustificati da costituire essi stessi il repertorio storicamente dispiegato dei
valori; ovvero, al contrario, permetteva di interpretare sconfitte storiche
come prova dellinfondatezza di valori che risultavano allora travolti dalla superiore ragione del corso del mondo. In questo senso, la stessa definizione marxiana (e anti-utopistica) del comunismo come movimento
reale che abolisce lo stato di cose presente lo rappresentava non come un
compito o una possibilit, ma come un dato di fatto.
Questa potente giustificazione del mutamento reale lo faceva interamente
coincidere con il senso e il fondamento. Al di fuori di esso, diventava impossibile e persino un poridicolo pensare la dimensione delletica nei
termini classici (e ancora giacobini) del bene comune, della virt, del rapporto fra valori e felicit pubblica e privata. Hegel pronunciava su tutto
questo una sentenza capitale:
Il corso del mondo ottiene vittoria su ci che, in contrapposizione a lui, costituisce
la virt. Ma esso non trionfa di alcunch di reale: trionfa di tale pomposo discorrere
del bene supremo dellumanit e delloppressione di questa; di tale pomposo discorrere del sacrificio per il bene e dellabuso delle doti; simili essenze e fini ideali si
accasciano come parole vuote che rendono elevato il cuore e vuota la ragione.


Hegel (1973, I 323).

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Indice dei luoghi citati 341


10, p. 126: 246
11-12, pp.126-132: 248
12, p. 132: 264
p. 134: 246
De sectis
2 H 3-4: 255
3: 258
4 H 9: 265
5 H 10: 254
11: 256, 259
12: 265
6 H 12 s.: 263
15: 263
7 H 15-16: 263
9 H 24-25: 264
De simplicium medicamentorum temperamentis
et facultatibus
II 5 K 11.476: 256 n.
V K 11.783: 263
De symptomatorum causis
II 5: VII 191, 4-9 K: 287
5: VII 191, 13 s. K: 293
5: VII 191, 16 K: 292
5: VII 191, 17 K: 292
De temperamentis
I 8: 275
II 1 K 1.559: 275
1 K 1.572: 275
De usu partium
I 8 K 3.17: 268
16: I 32s. Helmr. = III 45 K: 285 n.
16: I 33 Helmr. = III 45 s. K: 287 n.
16: I 33, 7 s. Helmr. = III 45, 17-46,
2 K: 291
VI 8: I 320, 10-12 Helmr. = III 438, 13 s.
K: 288
13 K 3.466 s.: 264
VII 3.8: I 378, 22 s. Helmr. = III 521,
6-8: 288
3.8: I 390, 13-17 Helmr. = III 537, 4-7
K: 288
8: I 392, 4-8 Helmr. = III 539, 7-11
K: 288
14: I 415, 27-416, 6 Helmr. = III 572, 7-13
K: 284
14: I 418, 1-5 Helmr. = III 575, 4-8 K: 284
VIII 8: I 477, 14-16 Helmr. = III 658, 5-7
K.: 288
XI 14 K 3.905: 264
14 K 3. 905-906: 273
XII 3: II 186, 15-187, 26 Helmr.= IV 7, 7-9, 9
K: 285

XIV 5: II 295, 7-15 Helmr. = IV 156, 11157,


1 K: 284
6: II 296, 19-297, 26 Helmr. = IV 158, 13160,
6 K: 295 n.
6: II 403, 8-11 Helmr. = IV 301, 1-3 K:
284
9: II 314, 19-315, 4 Helmr. = IV 181,
15-182, 6 K: 295
XV 1: II 339, 11-19 Helmr. = IV 214, 10-17
K: 295
1: II 339, 26-340, 3 Helmr. = IV 215,
6-10: 295
XVI 2: II 381, 2 s. Helmr. = IV 270, 16 s.
K: 285
3: II 384, 13-385, 7 Helmr. = IV 275,
10-276, 10 K: 285
4: II 389, 9-16 Helmr. = IV 282, 5-12
K: 284
6: II 401, 2-403, 2 Helmr. = IV 298,
1-300, 12 K: 285
XVII 1 K 4.351: 249
1 K 4.360-361: 273
2 K 4.362-363: 249
3 K 4.366: 273
In Prorrheticum
2.1: 245 n.
2, p. 76: 250
3, p. 86: 250
11, p. 128: 250
Protrepticus
5 K 1.7: 251
14 K 1.38-39: 251
Quod optimus medicus sit quoque
philosophus
2 K 1.56-57: 230 n.
1.57: 244
3 K 3.59-61: 250
4 K 3.61-62: 250
Subfiguratio empirica
2, p. 45: 255
3, p. 49: 255
5, pp. 61-62: 256
6, p. 54: 255
p. 58: 256
7, p. 63: 258
p. 65: 256
8, p. 69: 255
12, p. 88: 256
pp. 89-90: 259, 268

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