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Kenologen in Aristotele
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I nervi dellanima
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Bibliografia generale
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Tabula gratulatoria
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Nel mondo accademico, tradizione consolidata dedicare ai grandi maestri che lasciano linsegnamento un omaggio, solitamente nella forma della Festschrift, la raccolta di studi celebrativi composti per loccasione da
allievi e colleghi. Questuso, pur cos illustre, non ci parso del tutto congruente con il personaggio che intendiamo festeggiare. Mario Vegetti ha
deciso di lasciare la cattedra di Storia della Filosofia Antica che occupava
presso lUniversit di Pavia ben prima di aver raggiunto i limiti di et e in
un momento di massima creativit scientifica, allapice del successo, nazionale e internazionale: allatto puramente burocratico del pensionamento si di fatto accompagnato un eccezionale attivismo, che lo ha portato,
da una parte, a proseguire instancabilmente il lavoro di ricerca, e dallaltra
a diffondere il suo sapere e le sue competenze tramite unintensa partecipazione a conferenze e convegni, in Italia e allestero.
Cos, la modalit celebrativa che ci sembrata pi consona a Mario Vegetti quella di ripubblicare una raccolta di suoi scritti, scegliendoli tra i
moltissimi che ha composto nel corso della sua lunga carriera. Si tratta di
una scelta estremamente ridotta, ma significativa, dal momento che i saggi
coprono tutti i numerosi ambiti di ricerca in cui Vegetti si impegnato, e
nei quali ha lasciato il segno.
Prima di illustrare i temi cui sono dedicati gli studi pubblicati nel volume,
utile accennare al percorso non del tutto tradizionale che Mario Vegetti
ha seguito prima di diventare, nel 1975, professore ordinario Storia della
Filosofia Antica a Pavia. Come lui stesso ha ricordato nellautobiografia
redatta qualche anno fa per il Bollettino della Societ Filosofica italiana,
il suo accesso alla carriera universitaria stato preceduto da una serie
di esperienze condotte in ambiti lavorativi del tutto differenti. Tra queste, un ruolo centrale spesso sottolineato da lui stesso, quando rievoca
i suoi anni giovanili stato occupato dallattivit svolta come addetto
alle pubbliche relazioni in unazienda elettronica italo-americana, la SGS:
non sono molti i professori che hanno vissuto la realt del lavoro al di
fuori della cerchia universitaria, e proprio lesperienza maturata in questo
mondo altro ha contribuito a formare in Mario Vegetti una mentalit
per tanti versi non accademica. A questa apertura ha contribuito inoltre la
diretta partecipazione alla vita politica: il suo impegno in questo campo
non mai venuto meno e ha contribuito anche a far s che i temi della sua
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A partire dalla met degli anni 70, le ricerche condotte da Vegetti assumono nuovi orientamenti, anche a seguito del suo contatto con indirizzi di ricerca allora innovativi intervenuti in ambiente francese: essi sono rappresentati, da una parte, dagli studi antropologici con impianto strutturalistico di J.-P. Vernant, e dallaltra dallepistemologia storica di M. Foucault. Se
gli studi precedenti erano finalizzati a far emergere la struttura dei saperi
effettivi e questo era stato il senso dei suoi lavori cos pionieristici nel
settore della scienza e della biologia antiche ora Vegetti si interroga sui
contesti sociali, politici e ideologici del discorso filosofico-scientifico, sulle
strategie comunicative cui esso si correla, sul suo ruolo nel contesto culturale. A quel periodo risalgono opere come Lideologia della citt, in collaborazione ancora con Diego Lanza (1977), e Il coltello e lo stilo (1979).
Unulteriore fase che riconoscibile nellambito della produzione scientifica di Vegetti si inquadra negli anni 80: iniziano in questepoca gli studi
sulletica antica, orientati anzitutto a esaminare alcuni temi delletica stoica e poi ampliati, in una prospettiva complessiva, che abbraccia lintero
mondo greco, da Omero allet romana, con il volume Letica degli antichi
(1989): continuamente ristampato, questo libro costituisce tuttora un punto di riferimento imprescindibile per questo settore di studi, unopera che
unisce nel modo pi felice un tipo di scrittura molto avvincente anche per
il non specialista a una grande ricchezza di informazioni e a una vera novit nellimpianto. Non si tratta infatti di compiere un semplice percorso
diacronico, isolando le dottrine etiche degli autori che si susseguono nellambito del pensiero antico, bens di individuare periodi, testi o ambienti
esemplari. Basti pensare al ruolo assegnato al mondo omerico e alla figura
delleroe, alle analisi ampie e puntuali riservate alla Repubblica di Platone
e allEtica Nicomachea di Aristotele e infine ai capitoli finali che trattano, in
modo trasversale, delle scuole ellenistiche e dei nuovi problemi di etica
individuale che esse propongono. Lattenzione si concentra, in particolare,
sulla delineazione della figura del saggio, che Vegetti delinea efficacemente secondo le sue molteplici sfaccettature.
Gli studi sulletica antica sono destinati a costituire la base di partenza per
una nuova impresa: questo termine non usato a caso, vista limportanza, e limponenza, del lavoro che Vegetti si propone di iniziare, dopo averne accarezzato a lungo il progetto. Si tratta di una nuova traduzione e del
commento della Repubblica di Platone, uno dei testi pi illustri di questo
filosofo e in generale del pensiero antico, ma al tempo stesso un dialogo su
cui si concentrato un dibattito secolare, in cui sono risuonate spesso voci
pesantemente critiche. Ben consapevole di questa ampia e problematica
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avuto nel rinsaldare la struttura della scuola che Mario Vegetti ha avuto
la fortuna di poter fondare a Pavia: la situazione attuale dellUniversit,
bloccando le prospettive di carriera della maggior parte delle giovani leve,
difficilmente consentir che esperienze simili si ripetano.
Il ruolo di maestro che Vegetti ha svolto per tanti anni non si certo esaurito con la sua andata in fuori ruolo prima e con il suo pensionamento poi:
la sua presenza a Pavia ancora costante, e la sua attivit di insegnamento
continua, tramite corsi tenuti per contratto che attraggono ancora numerosi studenti.
La bibliografia di Mario Vegetti, riportata integralmente in questo volume,
consiste in un numero molto elevato di titoli. I suoi scritti si riconducono a
una tipologia alquanto differenziata, dal momento che saggi dallimpianto accademico coesistono con contributi pubblicati su quotidiani e riviste
ad alta diffusione, a testimonianza di unattivit culturale non limitata alla
sola cerchia universitaria.
Gli studi qui editi rappresentano una selezione assai ridotta rispetto allampiezza di questa produzione. Essi vogliono comunque rappresentare,
esemplarmente, i principali ambiti di ricerca cui Vegetti si dedicato.
I primi tre saggi rivestono un carattere generale e testimoniano una non
comune capacit di sintesi, propria solo degli specialistici pi preparati e
maturi.
Lio, lanima, il soggetto, che apre la serie, affronta la complessa questione di
stabilire quale rapporto intercorra tra la concezione greca della soggettivit e quella moderna. Dopo aver ripercorso i termini di un dibattito che ha
visto il delinearsi di posizioni del tutto opposte, Vegetti mostra come, nel
pensiero greco, la categoria di soggetto non possa essere compiutamente
rinvenuta n in ambito teologico, in cui diversamente da quanto accade
nella tradizione giudaico-cristiana non si assiste ad alcuna forma di soggettivazione del divino, n in campo psicologico, dal momento che lanima si configura come unentit divina e superindividuale; ugualmente,
nel contesto politico, il singolo trasformato in cittadino, parte integrante
di una comunit. Anche nel campo gnoseologico e epistemologico, la
realt-verit delle cose a imporsi, grazie alla sua potenza manifestativa,
sul soggetto conoscente. Al tempo stesso, tuttavia, Vegetti individua una
sorta di transito verso la concezione moderna della soggettivit anzitutto nella concezione aristotelica dellio proprietario, cio a dire nella figura dellindividuo dotato di una propriet privata, legato agli altri soggetti
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quenza, secondo quanto Platone stesso asserisce nel prologo del Timeo. Si
tratta, nella sua interpretazione, di salvare il disordine, di delineare cio,
in questo dialogo, una struttura del mondo caratterizzata da un ordine in
qualche modo precario, non del tutto legalizzato, tale da consentire, o forse meglio da richiedere, una progettualit etico-politica, come quella che,
nella Repubblica, prospetta il modello della kallipolis.
In Struttura e funzioni della dicotomia nel Sofista, Vegetti mette in luce il carattere dialettico-dialogico delle procedure dicotomiche messe in opera da
Platone nel Sofista: il suo approccio porta a escludere che la dicotomia rappresenti una metodologia sistematico-tassonomica. Lutilizzo di questo
metodo funzionale, piuttosto, a reperire il logos di una determinata cosa,
cio a costruire la rete discorsiva idonea a comprendere loggetto indagato. Prioritario dunque lambito del discorso, al cui interno si stabiliscono
le relazioni in base alle quali loggetto stesso deriva il suo significato.
Il saggio Ontologia e metodo esamina le critiche che Aristotele, nei capp. 24 del libro I del De partibus, sottopone la dicotomia. Dopo aver osservato
che nella Historia animalium Aristotele ha ampiamente utilizzato schemi
diairetici per ordinare lambito del mondo animale, Vegetti procede alla
puntuale lettura dei passi del De partibus per comprendere le ragioni di
una presa di distanza tanto drastica dal procedimento diairetico tecnicizzato in forma dicotomica. Sottolinea cos che, per Aristotele, tale metodo
inadeguato a cogliere quegli eide indivisibili che nel loro insieme costituiscono la struttura ultima del mondo animale. Lobiettivo polemico di
tutta la discussione sicuramente rappresentato dagli Accademici, sia dal
Platone del Sofista e del Politico, sia da Speusippo. A partire dallanalisi dei
capitoli del De partibus, Vegetti sviluppa una riflessione di portata ontologica e epistemologica pi generale. Dal punto di vista ontologico, mostra
come, per Aristotele, diversamente da quanto lascia presupporre la dicotomia platonica, non esista alcun livello di sostanzialit autonoma, tale da
essere superiore alleidos indivisibile, e tale da includerlo; sotto il profilo
epistemologico, proprio su tale eidos, al di sotto del quale non possibile scendere, che verte il discorso scientifico, costruito sulle definizioni.
Vegetti rileva infine come, nella critica alla dicotomia presente nel De partibus, siano riscontrabili innegabili connessioni con lontologia sviluppata
in Metafisica Z, proprio dal punto di vista della identificazione primaria
dellousia con leidos.
Il saggio Kenologein in Aristotele indaga il senso dellaccusa di parlare a
vuoto che spesso Aristotele rivolge ai suoi avversari, o con cui prende le
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buisce a Galeno lesigenza fondamentale di vedere superata la rigida distinzione in sette che vige tra i medici del suo tempo. Il suo scopo quello
di fondare una medicina capace di fondere lapproccio razionalistico dei
metodici con lesperienza, invocata dagli empirici. La medicina, cos rifondata, aspira a fare proprio il metodo rigoroso delle scienze matematiche,
un metodo assiomatico-deduttivo tramite il quale essa appare in grado
di acquisire quello statuto forte di cui Galeno ravvisa lattuale mancanza.
Vegetti sottolinea al contempo come la pratica medica, confrontandosi costantemente con la realt della malattia, che rappresenta un drammatico
allontanamento dalla perfezione teleologica attribuita alla natura, conduca Galeno stesso a conferire alla medicina uno statuto pi modesto, tale da
annoverarla tra le tecniche di riparazione, e al medico, di conseguenza,
una condizione non diversa da quella dellartigiano.
In I nervi dellanima, Vegetti esamina la discussione condotta da Galeno,
nel libro IV del De placitis, riguardo a una questione centrale della psicologia stoica: quali siano le cause del movimento dellanima in relazione al
verificarsi degli stati passionali, dei pathe. Dallanalisi che Galeno conduce
della risposta fornita da Crisippo, si inferisce che si di fronte a un problema di carattere energetico, risolto con il ricorso a una metafora fisiologica. Allinterno dellanima presente un sistema di neura, paragonabile
a quello dei muscoli a livello corporeo: se questi sono dotati di un buon
tonos, si instaura larete, la condizione virtuosa, mentre nel caso contrario,
quello della atonia, si verificano gli stati passionali e le azioni scorrette. Attraverso lanalisi condotta sui termini, in particolare neuron e tonos, Vegetti
ravvisa il riferimento, in Crisippo, a un modello di tipo meccanico, e in
particolare al sistema di costruzione, e di funzionamento, delle macchine
da getto, tipiche del periodo alessandrino. Un tipo di spiegazione analogo,
per il movimento volontario, accolto anche da Galeno, nelle cui opere si
ravvisa ladozione di un modello di spiegazione che attinge al medesimo
repertorio: il corpo viene paragonato a un congegno meccanico. Vegetti
argomenta come, nello stesso Galeno, sia ravvisabile un altro paradigma,
destinato a spiegare le modalit con cui il movimento volontario viene
prodotto. la ragione a impartire gli ordini al sistema dei nervi che danno
luogo ai movimenti volontari attraverso un particolare vettore, il pneuma
psichico. Nella delineazione del suo funzionamento, Galeno, come prima di lui gli stoici, ricorre a un modello di tipo pneumatico che, anche in
questo caso, presenta innegabili analogie con la pneumatica alessandrina,
lunica forma di tecnologia antica ad aver prodotto unenergia motrice.
Diversamente da Erasistrato, cui si deve il tentativo di delineare un mo-
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tra gli antichi e noi. Al tempo stesso, tuttavia, proprio la presa datto di
questo scarto a sollevare la domanda cruciale: qual il senso degli studi
sullantico oggi? Vegetti suggerisce che latteggiamento corretto non pu
che essere di tipo archeologico, nel senso che al termine archeologia ha
dato M. Foucault: si tratta di studiare le modalit con cui la tradizione, o
le tradizioni, hanno contribuito a plasmare la nostra modernit, e anche
la nostra identit culturale europea. Vegetti ravvisa la necessit di condurre, in questo ambito, uno studio veramente complessivo e sistematico.
Citando una serie di esempi, mostra poi come, a un diverso livello di consapevolezza, lantico manifesti la sua efficacia nella cultura moderna. Per
quanto riguarda il rapporto tra leredit dellantico e la nostra identit cultuale europea, secondo Vegetti occorre valorizzare la ricchezza di elementi
di dibattito che provengono dal mondo antico, tra cui spiccano, per la loro
importanza, il pluralismo delle posizioni, il contrasto e anche il conflitto
di idee. Tutto questo patrimonio pu trovare unutile applicazione anche
a livello scolastico, opponendosi al processo di omologazione ormai sempre pi ampiamente in atto e contribuendo alla formazione dei cittadini,
sviluppando una soggettivit autonoma e critica.
Lintervento Un viaggio di mille anni un titolo che riprende le parole finali della Repubblica, con cui Socrate allude al lungo tempo richiesto per
raggiungere la migliore condizione dellanima e della citt dedicato
allanalisi di tre questioni filosofiche che hanno a che fare con la nostra
situazione nella societ attuale. Queste pagine costituiscono una chiara
testimonianza dellimpegno politico che ha sempre contraddistinto Vegetti, e che ha ancorato la sua attivit di studioso alla realt del nostro tempo. Le tre domande riguardano: chi siamo, che cosa crediamo di sapere,
che cosa possiamo sperare. Vegetti rileva anzitutto come sia oggi in atto
un vero e proprio smarrimento della soggettivit collettiva. In un mondo
globalizzato, si compiuto un processo di omologazione, si diffuso un
pensiero unico, parallelo al venir meno di quelle numerose strutture capaci di produrre forme forti di identit collettiva (la fabbrica, i partiti ecc.).
Per reagire a questo stato di cose, Vegetti indica la necessit di un ritorno
alletica, intendendo con questo lesigenza di riaprire il dibattito sulla
giustizia e in generale sui valori, di domandarsi che cosa possa essere oggi
la virt e che rapporto essa abbia con la felicit, un nesso centrale nella
societ antica. Da questo lavoro di rifondazione etica potrebbe prendere
avvio il progetto di ricomporre la societ, ricostruendo i legami sociali
oggi allentati o dissolti.
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Nota editoriale
Lio, lanima, il soggetto. I Greci. Storia cultura e societ. Vol. I: Noi e i Greci. S. Settis ed. Einaudi, Torino, 1996, 432-467.
Lumano fra natura, norma e progetto nelle antropologie antiche. Umano post-umano. M. Fimiani V. Gessa Kurotschska E. Pulcini edd. Editori Riuniti, Roma, 2004, 327-340.
Culpability, Responsibility, Cause: Philosophy, Historiography, and
Medicine in the fifth century. The Cambridge Companion to Early Greek
Philosophy. A.A. Long ed. Cambridge University Press, Cambridge,
1999, 271-289.
Il mondo come artefatto. Cosmo e caos nel Timeo di Platone. Reset 89,
2005, 84-88, con il titolo Timeo, se il cosmo ha bisogno del caos (il
testo deriva da una conversazione tenuta al Festival di Filosofia, Modena, settembre 2004).
Struttura e funzioni della dicotomia nel Sofista. Platone e lontologia. Il
Parmenide e il Sofista. M. Bianchetti E.S. Storace edd. Albo Versorio, Milano, 2004, 95-104.
Ontologia e metodo. La critica aristotelica alla dicotomia in De partibus
animalium I 2-4. Platone e Aristotele. Logica e dialettica. Migliori, Morcelliana, Brescia (in corso di stampa).
Kenologen in Aristotele. Dimostrazione, argomentazione dialettica e argomentazione retorica nel mondo antico. A.M. Battegazzore ed. Sagep editrice, Genova, 1993, 37-60.
Athanatizein. Strategie di immortalit nel pensiero greco. Aut Aut 304,
69-80.
I nervi dellanima. Galen und das hellenistische Erbe. J. Kollesch D. Nickel ed. Sudhoffs Archiv Beihefte 32, F. Steiner Verlag, Stuttgart, 1993,
63-77.
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chiarezza la separazione e la differenza fra lantico pre-cristiano e il mondo della soggettivit moderna.
2. Hegel e i suoi critici
Saldamente installato in questa tradizione di pensiero (che anzi egli riteneva di aver portato a compimento), Hegel non era, come noto, disposto
a riconoscere ai Greci un ruolo particolare nella formazione della figura
occidentale della soggettivit. Lesperienza intellettuale greca era per lui
segnata piuttosto da un carattere strutturalmente naturalistico e oggettivistico. Sul piano etico e psicologico, lessenziale di quellesperienza stava
piuttosto nella compatta fiducia, nellunit immediata che legavano
lindividuo alla comunit, alla sostanza etica del popolo e della patria.
Secondo Hegel, i primi passi compiuti verso la formazione di una soggettivit contrapposta al mondo ma non ancora fondata sullinteriorit
costituirono dunque la rovina, il principio della fine dellessenza della
grecit: solo in questo senso, solo attraverso lapertura di una crisi e di un
vuoto, gli episodi antichi della coscienza infelice possono preludere alla
soggettivit moderna. Questa sar lopera precipua dei barbari del nord,
perch soltanto linteriorit (Insichseyn) nordica il principio immediato di
questa nuova coscienza delluniverso: lo spirito universale aveva assegnato alle nazioni germaniche il compito di portare un embrione a figura
duomo pensante, di trovare la forma, il principio dellautocoscienza.
Un secolo dopo, e dalla stessa cattedra berlinese, Jaeger avrebbe nella sostanza riconfermato linterpretazione hegeliana. Loriginalit della paidea
greca non sta nella scoperta dellio soggettivo, bens nellimprimere al
singolo la forma della comunit. Ma lhegelismo di Jaeger non dialettico: i Greci non costituiscono in questo modo una tappa necessaria ma
limitata della storia dello spirito, bens un compimento assoluto (che tra
laltro non li oppone al mondo cristiano ma ne fa il fondamento). In questo
modo, la Staatsethik greca diventa un modello perpetuo di sanit morale
e di armonia della Volksgemeinscbaft.
Le citazioni di Hegel sono dalla Fenomenologia dello spirito, sez. c v b, caa v b, e soprattutto dalle Lezioni sulla storia della filosofia, trad. it. Firenze 1967, III, 113-114.
Jaeger (19592), I, 15-16.
Jaeger (1960b, 102). appena il caso di segnalare che termini come Volksgemeinschaft
avrebbero giocato un ruolo di rilievo nella ideologia nazionalsocialista. Su Jaeger si vedano i saggi di Vegetti (1972) e di Lanza (1972, per la continuit Greci-cristiani 80 ss.).
Sulla linea di Jaeger si muoveva J. Stenzel, che contrapponeva i Greci, e Platone in particolare, alleccesso di soggettivismo dellepoca moderna, hegelianamente iniziato con
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DK B 2.3-4.
DK B 3.
DK B 6.1.
Plat. Resp. V 477a.
Ibid. V 508d.
Plat. Soph. 263b; Crat. 385b.
Aristot. Metaph. II 1.993b30.
Ibid. IV 7.
Ibid. VI 4.1027b18. Per questi problemi cfr. Vegetti (19872, 59 ss.).
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una struttura soggetto-copula-predicato come luogo esclusivo dellasserzione veritiera; e, in secondo luogo, ci impone la concezione del soggetto
grammaticale come osa, sostanza/identit/patrimonio costitutiva della
realt, garanzia di senso del linguaggio e nucleo primario dellindividuazione soggettiva.
2. Una continuit tenace: lokonmoj
Il pensiero contemporaneo ha attaccato a pi riprese ogni concezione forte
del soggetto, dallinteriorit dellanima agostiniana al cogito di Cartesio,
dallio trascendentale di Kant allo spirito hegeliano, e altrettante volte ne
ha dichiarato la crisi. Non si davvero trattato di attacchi inefficaci, se si
pensa a quelli condotti, su linee diverse, da Marx, da Nietzsche, da Freud,
fino alla radicale desostanzializzazione del soggetto compiuta dalla fenomenologia husserliana. Il vecchio soggetto, monolitico, trasparente a se
stesso, senza tempo e senza alterit, stato via via frantumato in istanze
conflittuali e opache (come linconscio, che in Lacan risulta costituito dal
linguaggio che lo parla anzich essere signore del discorso), tradotto
nella polarit instabile di flussi conoscitivi e temporali, posto di fronte a
un altro che, anzich costituirne lo specchio fedele, lo manipola e lo trama in relazioni mutevoli e rischiose.
Tutto questo non ha per potuto davvero intaccare quel nesso profondo
tra senso comune e grammatica di base che fa s che noi non possiamo fare
a meno di pensare e di parlare in termini di soggetto/sostanza e dei suoi
attributi, e di individuarci in termini di mio patrimoniale. La resistenza
di questo nesso provata intanto dalla incapacit degli sforzi filosofici di
incidere sullautoconsapevolezza immediata della vita e del linguaggio
forse anche perch essi si arrestano di solito sulla soglia di quella che
Aristotele aveva definita lassurdit platonica, e cio la trasformazione
delle radici materiali degli usi linguistici e delle forme di soggettivazione
che in essi si esprimono. Ed provata anche, per contrasto, dallinsorgere
sempre pi frequente e angoscioso di crisi di identit, tanto a livello
individuale quanto a livello sociale, che testimoniano lurgenza insopprimibile di vivere la soggettivit nella figura della entit/identit, radicata
nella sua concezione sostanziale/patrimoniale, e che torna sempre di nuoza portatrice di predicati che come giustapposizione di parti, come sequenza di eventi
o come epifania di unidea (59). Su altre opzioni presenti nel pensiero pre-aristotelico,
cfr. i saggi raccolti in Joly (ed.; 1986), in particolare per la discussione fra Platone e Aristotele cfr. Thorton (1986).
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Lloyd, (1979, 49). He does, however (53-55), clearly state that the development of an
idea of causality as such must be sought in the historians and doctors, and he also
emphasizes the primary moral significance (tied to culpability) of words like aitia/aitios.
See also Lloyd (1966, 230 ff.), and on the juridical origins of discussions of responsibility,
Lloyd (1996, 100 ff.).
Jaeger (1965, I, 393). Jaeger insists on the causal significance of prophasis, because he is
naturally familiar with the moral/juridical sense of aitia, ibid., 161.
Williams (1993, 58).
plausibile linscrizione in esso di una citt buona come quella della Repubblica? E reciprocamente: se il mondo stato costruito come un cosmo ordinato, non allora verosimile e possibile che in esso si costruisca una citt
giusta e parimenti ordinata? Perch la societ umana non dovrebbe essere
alla fine armonizzabile con larmonioso manufatto cosmico? Il racconto
della nascita del mondo si configura allora come un mito di fondazione
cosmica delle condizioni di possibilit della nuova citt insomma, come
stato scritto (Pradeau), il mondo della politica, o piuttosto un mondo
per la politica. Lavventura cosmogonica rappresenterebbe dunque, da parte del vecchio Platone, un estremo tentativo di riproporre, su grande scala,
la possibilit di realizzazione dellutopia sullo sfondo di un cosmo che la
riflette da un lato, la richiede e la giustifica dallaltro.
Questo hanno sostenuto autorevoli interpreti, e c senza dubbio del vero
in questa lettura del Timeo. Eppure il dialogo forse racchiude un suo segreto, che richiede una lettura per cos dire in controluce. Poniamoci qualche
domanda, variando il punto di vista seguito finora. Era davvero necessario
ricorrere a una narrazione mitica delle origini del mondo, cos irta di difficolt teoriche, a una sorta di drammaturgia barocca della cosmogonia, con
i suoi improbabili personaggi, per rendere pensabile lordine del mondo?
A ben guardare, questordine non sfugge affatto allesperienza comune,
anzi le si impone come unevidenza quotidiana. I cicli dei giorni, dei mesi,
delle stagioni, i moti degli astri, le generazioni biologiche, si susseguono
con immutabile regolarit: dopotutto, al giorno segue sempre la notte, il
sole e la luna sono sempre l dove li si attende, da un uomo e una donna
nasce sempre un individuo di specie umana.
Partendo da queste evidenze, Aristotele avrebbe inferto colpi spietati alla
cosmologia platonica. Che bisogno c egli si chiedeva di ipotizzare
modelli ideali eterni per ogni realt naturale, di interporre fra questi e il
mondo mediatori cosmici, di moltiplicare le funzioni danima? Tutto questo appartiene al mito e alla poesia assai pi che alla scienza e ad una filosofia rigorosa. Levidenza l a dimostrarci che il mondo ordinato in tutti
i suoi livelli, dal moto degli astri alla riproduzione dei viventi. Il cosmo
esiste da sempre e per sempre, ed governato da una legalit immanente
alla natura che non ha alcun bisogno di divini artigiani o di paradigmi
trascendenti.
Ma forse, agli occhi di Platone, questa soluzione del problema dellordine
del mondo sarebbe parsa eccessiva, perch si spingeva troppo oltre, fino
ad annullare il disordine. Forse il segreto del Timeo consisteva proprio
2.1. Per avvicinarci a una comprensione in positivo della natura e del senso della dialettica dicotomica, bene considerare il modo con cui essa viene delineata nel disegno dialogico del Sofista. Si tratta, come ben noto,
di dare la caccia al personaggio omonimo, che a sua volta un cacciatore,
di seguirne le tracce (ichne), di afferrarlo e chiuderlo in una rete: come ha
osservato Benardete, il linguaggio della caccia che comporta una valenza
euristica appare dominante nel dialogo. Ma come condurre questa caccia a una figura di cui noto soltanto il nome?
Il primo aspetto saliente del dialogo che il procedimento che verr seguito risulta introdotto senza formulare alcuna regola metodica, per la quale
occorre attendere il riepilogo a cose fatte delineato alla fine del dialogo
(264d-e). Poich nella finzione dialogica il Sofista precede il Politico, e non
lecito daltra parte presumere che lo Straniero di Elea avesse assistito alla
conversazione fra Socrate e Fedro sulle rive dellIlisso (su cui dovremo
tornare), nel contesto del dialogo viene presentato un esperimento privo
sia di regole sia di precedenti, e come tale esso andr qui rapidamente
riconsiderato.
Una prima, e importante, indicazione metodica viene tuttavia segnalata
allinizio della procedura dicotomica (218c). Non basta, per conoscere una
cosa qualsiasi, fermarsi al suo nome privo di discorso (cwrj lgou); occorre invece giungere a un accordo mediante i discorsi (sunwmologesqai
di lgwn). Vorrei qui richiamare lattenzione su due aspetti importanti di
questa asserzione. Il primo consiste nellesigenza di homologia fra gli interlocutori del dialogo da raggiungersi attraverso il logos. Essa richiamata alla fine dellesempio del pescatore con la lenza: abbiamo convenuto
(sunwmologkamen) non solo sul nome, ma abbiamo anche afferrato in modo
adeguato il logos relativo alla cosa stessa (auto to ergon) (221b). Il fatto che
la validit dei risultati raggiunti dipenda dallaccordo fra gli interlocutori
sottolinea il carattere dialettico-dialogico, quindi non sistematico-tassonomico, dellintera procedura. La seconda osservazione riguarda il termine
logos, che di solito viene tradotto con definizione: una traduzione che
per imprecisa, visto appunto che si tratta comunque di un discorso
fra due o pi interlocutori, e come vedremo meglio in seguito non
propriamente di una definizione, che si dovrebbe intendere come univoca
e invariante, ma di una rete discorsiva e concettuale che essi intessono
per delimitare il significato, o meglio la pluralit dei possibili significati, del
nome indagato.
Ontologia e metodo.
La critica aristotelica alla dicotomia in De partibus animalium I 2-4
1. Il capitolo 2 del primo libro del De partibus animalium inizia in modo
piuttosto brusco con unaggressione polemica nel miglior stile aristotelico. Leggiamo: Alcuni prendono la singola specie (lambnousi [] t kaq'
kaston) dividendo il genere in due differenze (diairomenoi t gnoj ej do
diaforj: qui Aristotele leggermente impreciso, e bisogna riferirsi alla
dizione inequivocabile dellinizio del capitolo 3: o dicotomontej). Questo
per per certi aspetti non facile, per altri non possibile.
A proposito di questo passo, e dellanalisi che lo segue, vorrei discutere i
seguenti punti:
a. lattacco alla procedura diairetica in quanto formalizzata nella dicotomia una novit di PA rispetto alla Historia animalium;
b. quali sono i principali e non sempre chiari argomenti della critica
aristotelica alla diairesi dicotomica?;
c. in quale misura limmagine del procedimento dicotomico delineata
da questa critica pu venir riferita agli schemi platonici del Politico
e del Sofista, o ad altri esperimenti accademici?;
d. quali sono le ragioni di ordine anche ontologico che motivano questa drastica presa di posizione aristotelica, almeno in parte rivolta
contro la stessa HA? Si pu ritenere che queste ragioni presentino
implicazioni pi generali riguardo alla struttura della stessa ontologia aristotelica?
2. La Historia animalium (il cui periodo di composizione pu venire ragionevolmente stabilito fra il 347 e il 343) aveva largamente fatto ricorso a
schemi diairetici di ordinamento se non propriamente di classificazione
del campo degli animali. Nel capitolo iniziale del libro I, le differenze richiamate in questi schemi riguardavano di volta in volta il modo di
vita, le principali funzioni fisiologiche, i caratteri, le parti degli animali.
Ad esempio, una partizione molto generale divideva gli animali, secondo
Per le prospettive interpretative dinsieme, basta dire in questa sede che mi riferisco alle
tesi di Lloyd (1993c). Un ampio resoconto della discussione recente sui passi in esame si
trova in Carbone (ed.; 2002, 45-94).
Non ho motivo di variare la mia interpretazione complessiva della Historia animalium
esposta in Lanza - Vegetti (edd.; 1971, 19962, 77-128).
12
spirito del tempo, che cominciava a dar voce a quella irruzione della
particolarit autonoma segnalata dallo stesso Hegel. Ed propriamente in
Aristotele che va letta la forma pi compatta e compiuta dellautoidentit
personale pensata in epoca classica.
3. La comunit politica certo qui permane, ed condizione di buona
vita, non tanto per per se stessa quanto primariamente per il suo fulcro
antropologico la figura delloikonomos, lio realizzato in quanto capofamiglia proprietario. Aristotele reclama unevidenza antropologica quando
sostiene, contro Platone, che ognuno si prende cura di ci che gli proprio
(idion) in modo individuale e privato, mentre trascura ci che comune
(koinon). dunque meglio continuare a dire mio come lo si dice ora
nelle citt (Pol. II 3 1262a8). In questa immutabile datit antropologica, il
padre costituisce la roccaforte del mio, la cerniera fra la privatezza del
patrimonio e quella degli affetti. Luna e laltra costituiscono insieme la
garanzia dellautoidentit e il movente principale dellazione. Scrive Aristotele: due sono le cose di cui gli uomini si occupano e che essi prediligono: ci che proprio e ci che amato (agapeton) (Pol. II 4 1262b23):
due cose in fondo riducibili ad una, come suggerisce la struttura della frase, istituendo unequivalenza sostanziale fra il proprio e loggetto degli
affetti.
Su questa sfera di appropriazione, che rappresenta unespansione coesa
dellio, si fondano secondo Aristotele i piaceri e i valori dellidentit primaria. fonte di un piacere inenarrabile (amytheton), egli scrive, il poter
considerare qualcosa come proprio; qui si radica la naturale amicizia di
ciascuno per se stesso (la prima e originaria forma di appropriazione) e per
i propri beni (Pol. II 5 1263a40). Lidentit compatta delluomo aristotelico
che costituisce a sua volta, occorre ripeterlo, una figura dello Zeitgeist
che sfuggiva alla periodizzazione dialettica di Hegel si forma dunque a
partire da una concezione patrimoniale del dispositivo di soggettivazione.
Una concezione fondata sul nesso fra propriet privata, amicizia e affezione per s medesimo come centro di gravitazione delluniverso delle cose
proprie: moglie, figli, schiavi, sostanze, e, ci che pi conta, amici.
La trama dei rapporti di amicizia che sono in primo luogo rapporti di
scambio fra pari costituisce infatti per Aristotele il livello dellintersoggettivit morale, e mediatamente di quella politica. Al suo centro sta, ancora e sempre, lindividuo proprietario. La sua relazione con lamico, con
laltro, non se non unespansione dei rapporti che questa figura forte
dellidentit aristotelica intrattiene con se stesso, perch egli sostiene che
Per la cronologia di Prassagora cfr. Steckerl, 1958 (fondamentale per la raccolta dei
frammenti); cfr. anche Capriglione (1985). Per Erofilo cfr. Von Staden (1989) (unopera
fondamentale per la conoscenza non solo di Erofilo ma di tutta la medicina ellenistica).
Per Erasistrato cfr., oltre a Von Staden, Garofalo (1988) (indispensabile per ledizione dei
frammenti). La presenza di Erasistrato in Alessandria stata negata da Fraser (1969);
trovo convincenti, in senso opposto, le argomentazioni di Lloyd (1975); cfr. anche Von
Staden (1989, 141-142).
Il primo di essi va probabilmente individuato nellopera di Diocle di Caristo, la cui akme pu venir collocata intorno alla met del IV secolo21: la
tradizione, che lo denominava il secondo Ippocrate, mostra di aver individuato il carattere innovativo del suo pensiero medico. Diocle si ispirava
forse alla gerarchia epistemologica istituita da Aristotele quando negava
lopportunit e lutilit per la medicina di una ricerca sulle cause prime
di tutta la natura22, che era evidentemente di pertinenza filosofica. La
tradizione ascrive inoltre a Diocle un trattato di Anatomia, che andrebbe
considerato come il primo tentativo di trasposizione di questo sapere dallambito zoologico proprio di Aristotele a quello specificamente medico.
Altrettanto aristoteliche sono lindistinzione fra vene e arterie, e linterpretazione della respirazione come mezzo di raffreddamento del calore
innato. Ma lo soprattutto il cardiocentrismo attestato in Diocle, cui conseguiva la localizzazione nel ventricolo sinistro del cuore tanto del calore
quanto del pneuma innato. Essendo il ventricolo destro la fonte del sangue, e il cuore lorigine del sistema vascolare, ne seguiva, secondo Diocle,
la compresenza di sangue e pneuma in tutti i vasi23. Linfluenza aristotelizzante di Diocle venne senza dubbio avvertita anche nei centri tradizionali
della medicina, come testimoniano Prassagora a Cos e Crisippo a Cnido.
Prassagora fu una figura complessa e contraddittoria, in cui si intrecciavano strettamente innovazione e tradizione. Sotto linfluenza di Aristotele e Diocle, egli introdusse il cardiocentrismo in quella che era stata la
noto un problema (XXX 1), che non appartiene al libro dei problemi medici. Si tratta
della questione relativa al fatto che tutti gli uomini eccezionali nella filosofia, nella
politica, nella poesia e nelle arti (953a10 ss.) presentano un temperamento melancolico
(cio a dominanza di bile nera). La risposta che la krasis della bile nera (composta di
caldo e freddo) presenta, al pari di quella del vino, un carattere pneumatico, capace
cio di sprigionare vapori che, proprio come il vino, danno luogo a speciali forme di
eccitazione, tanto sessuale quanto intellettuale (in questo caso la bile nera eccessiva e
calda pu produrre follia e passione, ma anche acuire lintelligenza e la fluidit discorsiva). Gli uomini di genio sono dunque tali non propriamente per una malattia, ma per
una particolare costituzione somatica che li predispone a forme eccessive di eccitabilit
e di sensibilit. Il carattere interamente materialistico, non teleologico, che fa linteresse
di questo problema, lo pone daltro canto decisamente fuori dallorizzonte di pensiero
aristotelico. Cfr. Roussel (1988), e ledizione commentata di questo problema aristotelico di Pigeaud (ed. 1988).
21
Per la datazione alta di Diocle vedi Kudlien (1971) contro Jaeger (1938).
22
Fr. 112 Wellmann.
23
Accanto a Diocle andrebbe collocato il trattato Sul cuore della Collezione ippocratica (traduzione e commento in Manuli - Vegetti 1977, 101 ss.) se ne fosse ammessa la datazione
alta, verso la met del IV secolo, ivi sostenuta. La maggior parte degli studiosi inclina
ora ad una cronologia nettamente posteriore.
su Erofilo della filosofia scettica47. Ci che Erofilo rifiutava era la necessit di incorporare nella medicina, come suo livello fondazionale, quella
teoria filosofica degli elementi-qualit sulla quale essa non poteva avere
alcun controllo. In effetti, le cose prime, anche se non sono prime su
cui il sapere medico doveva fondarsi erano, secondo Erofilo, i phainomena,
e precisamente i fenomeni messi in luce dalla dissezione anatomica: che
consistevano, naturalmente, nelle parti organiche e nei sistemi vascolari48.
Negando la possibilit e lutilit per la medicina di risalire alla teoria degli
elementi, e assegnandole levidenza anatomica come livello di fondazione, Erofilo si manteneva del resto fedele alla partizione aristotelica fra filosofia della natura e medicina scientifica tracciata nel De sensu; per un altro
verso, egli costruiva in questo modo una protezione epistemologica dellautonomia della medicina rispetto alla filosofia49, evitando per esempio
che essa dovesse impegnarsi nel dibattito fra scuole rivali sul problema
degli elementi (qualit aristoteliche o atomi epicurei?).
Questo produceva del resto in Erofilo immediati effetti innovativi anche
al di fuori dellambito epistemologico. Labbandono della teoria degli elementi e la sua sostituzione con il primato dellanatomia minavano alle
basi il grande paradigma termico su cui si era imperniata la fisiologia di
Aristotele e con essa il suo cardiocentrismo. Cadeva il presupposto del calore come principio attivo dei processi naturali; lipotesi di un calore innato nel cuore diventava dunque superflua, e altrettanto superflua appariva
lipotesi parallela di un pneuma cardiaco innato, cio senza rapporti con la
respirazione. Erofilo aggrediva gi in questo modo poi confermato con i
dati anatomici i pilastri portanti del vitalismo aristotelico. Ma non quelli
del suo finalismo: il presupposto di un rapporto non ridondante tra organi
e funzioni comportava in Erofilo linizio della costruzione di un nuovo paradigma. I tre grandi sistemi diffusi che lanatomia metteva in luce (nervi,
arterie, vene) dovevano assolvere funzioni diverse e questo comportava
lipotesi che essi costituissero i vasi di fluidi altrettanto differenziati. Il paradigma tre vasi/tre fluidi giocher, come vedremo, un ruolo centrale
nella fisiologia tanto di Erofilo quanto di Erasistrato50.
la tesi di Kudlien (1979, 280 ss.). In generale sul rapporto fra scetticismo e medicina cfr.
Viano (1981).
48
Frr. 50A, 54, 232 Von Staden.
49
Cfr. in proposito Viano (1984, 346 ss.).
50
Cfr. ancora Viano (1984, 347 ss.).
47
Fr. 32 Garofalo.
Fr. 80 Garofalo.
Frr. 81, 82 Garofalo.
Fr. 149 Garofalo.
Per quanto riguarda la derivazione della patologia dal sistema anatomofisiologico, Erasistrato poteva trovare nel sistema stesso un nitido fondamento della teoria della salute e per conseguenza della teoria etiologica.
La salute consisteva in sostanza nella tenuta stagna dei tre sistemi elasticofluidi, cio nel permanere delle tre materie (sangue, pneuma psichico,
pneuma animale) nei rispettivi vasi. Da questa definizione derivava un
netto restringimento del concetto di causa della malattia: ci possono essere fattori potenzialmente patogeni, come il caldo o il freddo, gli eccessi
alimentari o gli sforzi, ma essi non sono propriamente cause; causa soltanto ci che determina direttamente e necessariamente linsorgere della
malattia. Da questo punto di vista Erasistrato poteva operare una drastica
riduzione delletiologia ad una sola condizione patogena: la pletora, cio
leccesso di materie in ingresso nellorganismo, e soprattutto leccesso di
sangue che ne risulta108. Se nei vasi venosi c pi sangue di quanto essi ne
possano contenere, esso tende per cos dire a tracimare nei sistemi contigui: questo fenomeno, la paremptosis, la causa prima e si pu dire unica
di tutte le malattie109.
Sulla base di unetiologia cos audacemente semplificata, e direttamente
derivata dal sistema anatomo-fisiologico, Erasistrato poteva poi ridurre
tutte le malattie a due grandi gruppi. Il primo era quello delle malattie
infiammatorie e febbrili. Esso derivava dal passaggio del sangue in eccesso dalle vene alle arterie, forzando le valvole situate nelle sinastomosi;
ne conseguiva limpedimento al libero moto del pneuma animale nelle
arterie stesse110. Il secondo gruppo di malattie era quello delle paralisi, a
carico del sistema nervoso che presiedeva alla sensazione e al movimento
volontario. Esso dipendeva dal passaggio di sangue nei nervi, dove veniva impedito il moto del pneuma psichico. Poich non esistevano naturalmente sinastomosi fra nervi e vene, da supporre che questo passaggio
avvenisse al livello della triplokia, per infiltrazione dalla vena invisibile al
nervo invisibile111.
Diventava cos possibile formulare altrettanto nettamente, in modo quasideduttivo, il principio generale di qualsiasi terapia: occorreva riportare
la materia (e cio il sangue in eccesso) nel suo luogo naturale (le vene),
riducendone la quantit, causa di paremptosis112. A questo Erasistrato prov
110
111
112
108
109
la perdurante carenza di ogni garanzia istituzionale, di ogni regolamentazione pubblica della professione; questa situazione rendeva dal canto suo
pressoch impossibile la costituzione in medicina di una qualsiasi forma
di comunit scientifica fondata sul consenso intorno a comuni canoni
epistemologici e regole terapeutiche.
Non c dunque motivo di non prestar fede alla cupa descrizione che Galeno
fa della situazione della professione medica in Roma. Sono cosa normale
le risse fra medici, divisi da rivalit individuali e di scuola, al capezzale
del malato (OMC 3, p. 61); ed normale che pazienti agiati e ipocondriaci,
come il filosofo aristotelico Eudemo, facciano di questo uno spettacolo quasi quotidiano, rivolto tanto allintrattenimento quanto alla ricerca della migliore terapia. Una folla di medici circonda Eudemo prima del suo bagno
giornaliero (Pr. 2, pp. 74-76); i migliori medici della citt accorrono per curare la sua febbre quartana, alla presenza di un pubblico di amici che comprende un prefetto come Sergio Paolo, un ex-console come Flavio Boeto, e, a
detta di Galeno, tutti i Romani pi in vista per dignit e cultura (Pr. 2, pp.
78-80). Non c da sorprendersi che questa situazione, priva di regole, alta
I privilegi istituzionali concessi ai medici nella societ imperiale si possono cos riassumere: a) la concessione della cittadinanza ad opera di Cesare (46 a.C.) a chiunque esercitasse
la medicina (e le altre arti liberali) nella citt di Roma; b) la concessione della immunitas
(aleitourgesia), cio dellesenzione dagli obblighi fiscali e dai munera dovuti tanto alla fiscalit imperiale quanto a quella municipale, concessa da Vespasiano e ribadita, intorno
al 117, da Adriano. Questo privilegio, ambito nelle citt di provincia, non comportava a
differenza dellincarico stipendiato di medico pubblico delle citt ellenistiche lobbligo di curare gratuitamente i poveri, ma solo quello di esercitare la professione nella citt
dorigine, salvo naturalmente che a Roma. Antonino Pio restrinse, intorno al 140, il numero dei medici cui si poteva estendere la immunitas: cinque nelle piccole citt, sette in quelle
medie, dieci nelle metropoli (nessun limite per Roma). Ad essi si aggiungevano rispettivamente tre, quattro, cinque retori ed altrettanti filosofi. La scelta di questi professionisti
veniva delegata ai singoli consigli municipali. Solo nel 368 d.C. verr istituito a Roma un
regolare collegio di medici pubblici (archiatri), in numero di 14. Per la situazione istituzionale dei medici nellimpero, cfr. Below (1955, 22 ss.); Nutton (1988, cap. IV); Andr (1987);
Kudlien (1986); Vegetti - Manuli (1989). Cfr. anche Scarborough (1993, 3-48); Nutton (1993,
49-78); e Jackson (1993, 79-101). La protezione sociale della medicina comprende limpunibilit per i danni arrecati ai pazienti con terapie erronee (esclusi, naturalmente, i casi di
dolo). Non esiste tuttavia alcuna normativa che regoli n la formazione dei medici n il
loro accesso alla professione; la scelta dei medici da ammettere allimmunitas da parte dei
consigli municipali si sar basata sulla pubblica fama o su rapporti personali.
Si trattava del resto di una situazione gi ben nota a Plinio: hinc illa circa aegros miserae sententiarum concertationes, nullo idem censente, ne videatur accessio alterius.
Hinc illa infelicis monumenti inscriptio: turba se medicorum perisse (NH 29.11).
Su questo aspetto della societ imperiale, cfr. Bowersock (1969, 62-72). In generale sui
rapporti fra Galeno e la societ romana ancora da vedere Ilberg (1971).
Cfr. Von Staden (1982, 79). Sulla filosofia delle sette cfr. anche Moraux (1973-84, II, 710
ss.).
Cfr. VM 20 (per la polemica contro la physiologia empedoclea), 13, 15 (per lattacco alluso di hypotheseis come caldo/freddo/secco/umido in medicina).
Ma le procedure dimostrative devono a loro volta fondarsi, come in geometria, su una base assiomatica: non c sapere unificato senza axiomata
anapodittici che ne costituiscano i principi convenuti (archai homologoumenai) (MM I K 10.34-5). dunque possibile, secondo Galeno, andar oltre
le preoccupazioni epistemologiche di Diocle, che temeva il ricorso a principi non condivisi come fonte di diaphonia, e dunque lo escludeva dallambito della techne. Del resto, come vedremo, lidentificazione di axiomata e
di archai non scevra di problemi per lo stesso Galeno. Ma intanto occorre
rilevare unimportante conseguenza che egli pensa inerente alla rifondazione unitaria e assiomatizzata della medicina. Grazie al suo assetto epistemologico, il modello matematico si presenta come quello di un sapere
cumulativo e progressivo. La geometria
progredita poco a poco, indagando dapprima i suoi teoremi pi elementari;
quando questi sono stati scoperti, gli uomini che sono vissuti in seguito vi aggiunsero quella meravigliosa teoria che, dicevo, si chiama analitica (AD II 5 K 5.86).
Levidenza che spetta ai principi anapodittici riportata da Galeno al koinos nous e alla
symphytos ennoia. Cfr. Moraux (1973-84, II; 720 e n. 155); Barnes (1982), la accosta alla
phantasia kataleptike degli stoici. Cfr. anche Hankinson (1991b, 15-29); Kudlien - Durling
(1991).
Sulla diairesi cfr. Moraux (1973-84, II, 722). Metodi diairetici sono largamente presenti
nel Peri technes. Questopera non stata comunque utilizzata nel presente scritto perch
va considerata pseudo-galenica: cfr. Kollesch (1988).
Galeno scrive in questo passo (p. 448,5-7) che il pnema psichico ha la sua funzione []
nelle percezioni e nel movimento delle parti. Occorre per questo supporre che ogni
nervo contenga un po di pnema, congenito oppure inviato dal cervello? lo non ho
sottomano una risposta [] Non possibile decidere senzaltro se la dnamij fluisce dal
cervello alle membra attraverso i nervi in questo modo [come la luce attraverso laria],
o se la sostanza del pnema raggiunge le parti sensorie e motrici, o se investe i nervi
per una certa lunghezza in modo da alterarli violentemente, e in seguito lalterazione
trasmessa fino alle membra motrici (ibid., p. 448,19-24). In linea di principio, non c
dubbio che i nervi prendono la facolt psichica dal cervello e portano la facolt della
percezione e del movimento dal principio nelle singole parti (UP I 16: I 32 s. Helmr. =
III 45 K.). Ma qual il ruolo del pnema in questo processo? Il Motu musc. ribadisce che
il principio del moto volontario viene dal cervello mediante i nervi (I 1: IV 373 K.), e
riconosce nei muscoli gli organi del movimento kaq'rmn (ibid., 367), ma non fa alcun
cenno del pnema. A parte il dubbio di principio sopra espresso, sembra che Galeno consideri certo solo il fatto che il cervello, essendo il principio della percezione, lo anche
dellimpulso (rm) che d luogo al movimento volontario (PHP VII 8,4: CMG V 4,1,2,
Le macchine per lancio e trazione corrispondono in modo esplicito in Galeno, sia per struttura sia per il livello energetico, allanatomo-fisiologia
del movimento volontario; quelle pneumatiche, basate sui fluidi, sulla
loro compressione e vaporizzazione, ad alta efficacia e a bassa energia,
corrispondono alla psicofisiologia in senso stretto (sensazione e moti passionali). Poich Galeno definisce pnema, sangue e fonte calorica come i
primi strumenti (rgana) dellanima (Sympt. Caus. II 5: VII 191, 13 s. K.),
si pu inoltre pensare che egli includa il dispositivo pneumatico dei fluidi,
sia per la precisione sia per gli effetti mirabili ottenuti con basse energie,
nel campo degli strumenti vitruviani (un punto di contatto fra energia
pneumatica e struttura a ruotismi degli strumenti per esempio da ravvisare negli orologi automatici ad acqua).
9. In ogni caso, la distinzione introdotta da Galeno tra i due tipi di dispositivi psicofisiologici e le rispettive energie rappresenta un notevole sforzo
teorico di spiegazione non mitica e, almeno nelle intenzioni, non metaforica del campo dei processi psichici. Questo sforzo permette a Galeno
di superare, in direzione di una comprensione analitica, una pluralit di
tentativi sintetici per pi ragioni insoddisfacenti. Il primo era stato quello
platonico, che individuava lenergia innata (smfutoj dnamij) dellanima
(Phaedr. 246a) nella sua carica erotica, agendo lrwj come un flusso di forza (o, mh; Phaedr. 251a-c) canalizzabile in tante direzioni diverse quanti
sono i centri motivazionali dellanima (lgoj, qumj, piquma)29.
Ma il campo unificato di forze psichiche non era suscettibile in Platone
di unadeguata descrizione fisiologica, o lo era soltanto nei termini mitici
del Timeo. Per contro, lunificazione fisiologica proposta da Erasistrato era
incapace di spiegare le dinamiche psichiche fini, come quelle passionali, e si concentrava sul meccanismo del movimento volontario. Gli stoici,
infine, non andavano oltre il suggerimento di un rapporto metaforico fra
il campo di neurdej/tnoj e quello della psiche/pnema.
I due sistemi introdotti da Galeno, rinunciando a ununificazione difficile,
consentono uninterpretazione articolata del complesso psicofisiologico
nei suoi diversi modi di funzionamento e nei suoi diversi livelli energetici. Certo questa rinuncia allunificazione apre a sua volta una serie di problemi, che restano in gran parte irrisolti. Non chiaro, come si visto, il
rapporto che intercorre fra pnema psichico, organo dellanima, e il meccanismo duro del movimento volontario. Dal canto suo, il dispositivo
29
Il primo ha a che fare con il pensiero dellanima, quindi ancora una volta
con la configurazione della soggettivit. Lantichit ci offre qui due tradizioni rivali: quella platonica, con la sua concezione di un io scisso tra
centri motivazionali in conflitto tra loro per il governo della condotta, e
quella aristotelica, centrata su di una psicofisiologia essenzialmente cognitivista. Ad esse si pu aggiungere una terza linea, quella galenica, che
accorda al corpo una netta prevalenza sullanima e conclude quindi ad
una drastica medicalizzazione tanto della malattia psichica quanto della
devianza morale. Che tutto ci abbia a che fare da vicino con le alternative
radicali che abbiamo di fronte nel campo del pensiero morale e psicologico sembra abbastanza chiaro abbastanza, almeno, da far sperare che gli
studiosi del pensiero antico abbiano una qualche consapevolezza dei suoi
esiti moderni, e che daltro canto chi lavora oggi in questi settori di sapere
si renda conto delle origini antiche dei loro problemi, il cui interesse sta
se non altro nella radicalit con cui le tesi rivali sono state formulate e
argomentate.
Il secondo esempio riguarda la storia del pensiero politico occidentale. Gli
antichi hanno sperimentato sia la forma della piccola comunit repubblicana la polis sia quella del grande stato multietnico limperium. Questa
ricca pluralit di esperienze storiche, congiunta con la sostanziale assenza
di forme di dogmatismo censorio, ha dato luogo ad una straordinaria pluralit di riflessioni politiche e di proposte utopiche. La Storia di Tucidide
cos cara a Hobbes, la critica etico-psicologica delle costituzioni nellottavo
libro della Repubblica di Platone e lutopia della perfetta comunit politica
nel quinto libro dello stesso dialogo, la naturalizzazione aristotelica della forma-polis nella Politica, la legittimazione ciceroniana della repubblica
imperiale romana, per limitarmi a qualche esempio fra i molti possibili,
hanno alimentato, in forme diverse, conflittuali e spesso anche equivoche,
il pensiero etico-politico occidentale dal Medioevo al Rinascimento, dai
classici seicenteschi a Rousseau e al pensiero giacobino, dalle opposte
teorie liberal-democratiche e socialiste dellOttocento fino alle odierne riabilitazioni della filosofia pratica. Questo ininterrotto dialogo con la tradizione spesso avvenuto senza che da parte dei moderni ci fosse una adeguata comprensione delle forme delleredit antica che si condividevano o
che si condannavano, e spesso senza che gli specialisti del pensiero antico
fossero abbastanza attrezzati per fornire ai propri contemporanei indicazioni adeguate a porre le loro domande e a formulare le loro risposte in
modo corretto. C qui senza dubbio uno fra i tanti terreni in cui il confronto fra il sapere storico-filologico sullantichit e gli interrogativi sulla
Detto in altri termini, si tratta di mostri della memoria, dei suoi incubi
e dei suoi deliri, che si generano dal sonno della storia, cio nel vuoto
prodotto dalla impossibilit di pensarla come un processo dotato di una
direzione e di un senso.
2. Che cosa crediamo di sapere
Da questa prospettiva, in effetti pi agevole individuare le origini, se
non di questo stato del mondo, almeno di questa desolazione del pensiero, che tende a renderci anche su questo piano inermi di fronte allo stato
del mondo.
Al principio sta probabilmente la concezione hegeliana, in buona parte
condivisa dal marxismo, di un corso del mondo governato da una legge di
sviluppo dialettico, orientato da una teleologia immanente (questa almeno stata linterpretazione dominante dello hegelismo, indipendentemente
dalla sua attendibilit storiografica). Il pensiero dello sviluppo consentiva
di operare una robusta saldatura tra fatti e valori, immergendo interamente i secondi nei primi, che ne risultavano perci a priori giustificati, tanto
giustificati da costituire essi stessi il repertorio storicamente dispiegato dei
valori; ovvero, al contrario, permetteva di interpretare sconfitte storiche
come prova dellinfondatezza di valori che risultavano allora travolti dalla superiore ragione del corso del mondo. In questo senso, la stessa definizione marxiana (e anti-utopistica) del comunismo come movimento
reale che abolisce lo stato di cose presente lo rappresentava non come un
compito o una possibilit, ma come un dato di fatto.
Questa potente giustificazione del mutamento reale lo faceva interamente
coincidere con il senso e il fondamento. Al di fuori di esso, diventava impossibile e persino un poridicolo pensare la dimensione delletica nei
termini classici (e ancora giacobini) del bene comune, della virt, del rapporto fra valori e felicit pubblica e privata. Hegel pronunciava su tutto
questo una sentenza capitale:
Il corso del mondo ottiene vittoria su ci che, in contrapposizione a lui, costituisce
la virt. Ma esso non trionfa di alcunch di reale: trionfa di tale pomposo discorrere
del bene supremo dellumanit e delloppressione di questa; di tale pomposo discorrere del sacrificio per il bene e dellabuso delle doti; simili essenze e fini ideali si
accasciano come parole vuote che rendono elevato il cuore e vuota la ragione.
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