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21/11/2014

Giuseppe Malafronte, Trinit senso dell'uomo. Fede e ragione in P. A. Florenskij (Elaborare l'esperienza di Dio)

Trinit senso dell'uomo. Fede e ragione in P. A. Florenskij


di Giuseppe Malafronte (Roma, 26-28 maggio 2011)

Il dogma della Trinit consustanziale diventa radice comune della religione e della filosofia e in esso viene superato il secolare
conflitto dell'una con l'altra.[1]

1. Introduzione
Indagare la portata filosofica, teologica, ma anche esistenziale, della Trinit nel pensiero di Pavel Aleksandrovi
Florenskij (1882-1937)[2] significa giungere al cuore stesso della sua riflessione, all'anello di congiungimento verso
cui tendevano tutti i suoi sforzi nei campi pi disparati di ogni disciplina con cui si cimentato. Essa rappresenta, e
cercher di dimostrarlo in queste pagine, il centro affinch potesse compiersi il suo grande progetto di una visione
olistica del mondo, tanto quello fisico quanto quello metafisico.
Scopo di una vita stato quello di costruire una Weltanschauung integrale in cui ogni tassello, dal pensiero pi astratto
alla vita pi concreta, possa inserirsi e trovare dignit e spazio.[3] Tale visione non per una mera costruzione
intellettuale o un opera di sintesi tra gli opposti, essa ha come proprio scopo di consentire al flusso vitale e dinamico di
poter scorrere liberamente attraverso di essa.[4] La visione totale di cui parla Florenskij ha un carattere completamente
organico, oserei dire personale, ma per il momento non aggiungo altro. Per poter comprendere il pensare trinitario di
Florenskij, che ora ci apprestiamo a chiarire, importante non perdere mai di vista questo suo particolare metodo di
indagine.
Ed cos che si giunge al suo interesse per la Trinit che non sfocer mai in un vero e proprio trattato a se stante ma
pervader, con la sua logica e il suo senso, ogni ambito esplorato da questo fecondo autore. Se, quindi, come vedremo,
Florenskij affronter e tratter specificatamente il dogma trinitario secondo la teologia e lo indagher attraverso l'analisi
filosofica, ci che rende davvero unico tale autore la centralit data a tale concetto, o, per meglio dire, a tale/i
Persona/Persone. Esiste un vero e proprio trinitario-pensiero che si va ad installare l dove il pensiero classico erge
divisioni e mura, un pensiero onnicomprensivo che si oppone alle rigide settorializzazioni e specificazioni che non
permettono alcuna visione globale. La Trinit non un fine ultimo cui tendere, meno ancora un concetto da
raggiungere o una visione mistica da ricevere come dono: questo ma anche molto di pi. Essa la radice unica su cui
impostare tutta l'esistenza in quel legame inscindibile tra teoria e pratica, tra intelletto e azione. Va intesa in questo
senso la breve frase di Florenskij riportata in alto; essa basterebbe, da sola, a rendere conto della centralit della Trinit
nel nostro autore.
Ma perch proprio la Trinit? Qui accenno solo ad uno dei significati che hanno spinto il nostro autore a rintracciarla
come la radice della sua Weltanschauung integrale. Da un lato vi il molteplice, il movimento e la diversit delle
Persone e il loro reciproco scambio, il tutto, per, dall'altro lato, tenuto indissolubilmente insieme nell'unit mai
spezzata che non si riduce ad una semplice addizione. Tale anche l'ambizione florenskijana: tenere insieme ogni
molteplice aspetto di un campo di ricerca, e tutti gli aspetti globalmente, in una visione unitaria che non risultasse n
solamente sommatoria n intellettualistica n, tantomeno, risultasse distruggere la realt concreta e la dignit di ogni
singolo tassello, anche il pi insignificante.
Esplorare, quindi, le sfaccettature di questo trinitario pensiero significa andare ben al di l della singola
interpretazione dogmatica della Trinit o del suo utilizzo da parte della filosofia, vuol dire entrare nei meandri pi
profondi e reconditi del pensiero e della vita per andare a rintracciare la sua presenza viva ed efficace che permette di
cambiare lo sguardo, di rompere gli schemi tradizionali, di giungere ad una comprensione complessiva. In questo senso
qui sar utile non tanto una dissertazione sulla Trinit nella sua costituzione e nella sua economia, quanto un'analisi di
alcuni ambiti in cui essa si rivela, pi o meno esplicitamente, nel suo ruolo di radice.
Giocando con le parole, proprio come il nostro autore amava fare,[5] sar doveroso, dopo questa breve introduzione,
dare spazio a ben due premesse.[6] La prima una premessa esistenziale: attraverso l'evoluzione delle vicende storiche
e familiari di questo teologo russo si pu ritrovare la traccia di un esistenza attraversata dalla Trinit. Si cercher di
comprendere come la sua stessa vita sia stata un'intensa ricerca di quel principio unitario e molteplice che solo la
Trinit riesce ad incarnare.
La seconda una premessa scientifico-matematica: attraverso la rottura dell'aridit del logicismo matematico e
dell'ingresso principio vitale si affaccia anche qui, in una materia a prima vista immune, la traccia trinitaria di cui siamo
alla ricerca. In questo ambito importante notare come non sia possibile vedere la scienza come qualcosa di esatto che
poco ha a che fare con la molteplice e "inesatta" vita.
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A queste due premesse seguiranno due promesse.[7] Promessa, come anticipa il termine, qualcosa che si mette in
azione ma solo potenzialmente, ma che ha gi in s tutti i requisiti dell'atto vero e proprio. La prima promessa quella
della filosofia con cui il nostro autore, scardinando alcuni principi pensati inamovibili, riesce a giungere nel pensiero
trinitario. La Trinit diviene qui il baluardo per non cadere nel nulla di una scepsi assoluta in cui nulla pi risulta essere
certo.
La seconda promessa incarnata nella teologia che, pur serbando un silenzio mistico di fronte al mistero di Dio, apre
degli sprazzi di luce in cui godere la visione della Trinit. In tali pagine Florenskij oltre a spiegare la dottrina trinitaria
secondo la dogmatica classica tende a inserirla nel tessuto umano concreto e a farla interagire con esso. Anche quando
si appresta al cuore stesso del dogma trinitario non lo fa mai con l'aridit del trattato ma con la vivacit del ricercatore e
con i toni di chi ha fatto una vera esperienza del Dio-Trinit e possa raccontarne le emozioni.
Tutte queste quattro sezioni saranno suddivise, a loro volta, in due: una prima parte, per cos dire, distruttiva, in cui,
con padre Pavel, si andranno a distruggere capisaldi all'apparenza inamovibili. Esso sar il momento della catharsis.
Ad essa seguir, come sempre nel pensiero florenskijano, la parte costruttiva, cio lo sforzo di inglobare nella visione
totale e trinitaria ogni disciplina attraverso una logica, un processo diversamente impostato. Questo il momento della
mathesis.[8]
E dopo? Queste premesse e promesse verranno mantenute?
S, esse troveranno compimento, uno dei tanti esempi, nel terzo momento, quello della praxis.[9] I campi di questa
attuazione sarebbero infiniti, dalla letteratura alla vita concreta, dall'arte alla liturgia. Ho qui scelto, per motivi di
spazio, l'immagine dell'amicizia, che, a mio avviso, pu riassumere tutto il nostro percorso all'insegna della Trinit,
simbolo nascosto, mezzo e fine, di tutto il percorso spirituale, mentale ed esistenziale di Florenskij.
giunto ora il momento di mettersi in cammino sperando di portare almeno un po' di luce sul pensiero di Florenskij e
su ci che resta sempre "sotterrato" in esso: la radice trinitaria.

2. Le premesse
2.1. Una premessa esistenziale. Catharsis e Mathesis
Che cosa ho fatto io per tutta la vita? Ho contemplato il mondo come un insieme, come un quadro e una realt unica, ma in ogni
istante o, pi precisamente, in ogni fase della mia vita, da un determinato angolo di osservazione.[10]

L'infanzia
La citazione di Florenskij, tratta da una delle sue ultime lettere spedite alla famiglia dal gulag presso le isole Solovski,
dimostra in maniera mirabile la sua vocazione ad un pensiero unitario. Come gi accennato, nelle due premesse che
seguiranno non apparir chiaramente, almeno come termine esplicito, una trattazione sulla Trinit eppure se ne vedr,
in nuce, la sua azione e il suo porsi come radice che fanno maturare scelte e percorsi diversi.
Se la tensione verso l'integrit ha guidato la vita del nostro autore, il suo percorso non fu certo lineare n piano: fin
dall'infanzia egli dovette innanzitutto liberarsi da tutto ci che lo allontanava dalla contemplazione della totalit del
reale. proprio dalla pi tenera et che si pu scoprire l'ansia di ricerca del nostro autore.[11]
Della sua formazione, dalla giovinezza fino alla maturit e all'iscrizione alla Facolt di Matematica di Mosca, ce ne
parla lo stesso Florenskij nella bellissima testimonianza scritta per i suoi figli.[12] Cresciuto in Georgia, dove la
famiglia si era trasferita per seguire il padre, Aleksandr, ingegnere capo della costruzione della ferrovia Transcaucasica
in quel territorio; il giovane Pavel crebbe in un ambiente sereno e pacifico, dove vigeva la pi assoluta indifferenza
religiosa[13] e il culto invece per la matematica e la fisica.
In casa Florenskij si respirava una grande apertura mentale grazie soprattutto al capofamiglia con cui il nostro autore
conserver sempre un ottimo rapporto, anche dopo l'allontanamento da casa e la svolta religiosa che li porter,
inevitabilmente, a posizione distanti. Con la madre, figura assai affascinante, il giovane Pavel viveva un rapporto di
profondo amore ma anche di distanza, forse dovuto al pudore di entrambi o ad una certa distanza che la genitrice,
involontariamente, sembrava frapporre tra i due.[14]
Gi in queste prime fasi, secondo Florenskij, si ravvisa un primo movimento di discostamento dalla temperie familiare
per intraprendere una strada autonoma che non inficer mai l'affetto verso i suoi familiari, ma solo il limite del loro
approccio alla vita.[15]
Alla contemplazione della materia pura e semplice cui faceva riferimento suo padre, con occhio da vero ingegnere, egli
contrapponeva invece una materia da contemplare inscindibilmente dalla vita ivi contenuta.[16] questo il primo
punto di rottura: ad una visione arida, semplicistica e perfetta Florenskij, affianca senza distruggere, una visione pi
completa e dinamica che non escludesse alcun particolare. I due grandi pilastri familiari cui il nostro autore and contro
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furono, da un lato, il disinganno scientista secondo cui la fisica rappresenta una perfezione senza anima e vita,
dall'altro, il disinganno esistenziale secondo cui tutto si risolveva nell'immediato hic et nunc senza alcun riferimento n
al passato n ad una dimensione sovrarazionale.
Contro il primo disinganno egli ag, con i suoi occhi di bambino, accostando alla mai rinnegata visione scientifica una
visione oserei dire pi profonda e complessa, in bilico tra una mitologia della natura ed una sua teologia, che trovava il
suo perno centrale nella ricerca del particolare, del simbolo, del bello.[17]
Al secondo disinganno, risponder la sua stessa coscienza prorompendo nel riconoscimento della religione come unico
canale per comprendere la sua esistenza e quella degli altri. Ma procediamo con calma.
Fiabesco, bello, simbolo erano tutte cose che il piccolo Pavel ricercava nella florida natura che lo circondava e che non
gli era stato mai insegnato in famiglia. A casa imparava gi le prime nozioni di fisica e chimica impartite dal padre che
poi applicava nelle sue lunghe passeggiate, ma ad esse affiancava sempre una visione diversa: non si accontentava
della parzialit del dato arido. In ogni cosa cercava il lato misterioso,[18] o per meglio dire, globale che, da un lato lo
legasse al suo essere proprio questa cosa, ma, dall'altro lato, lo mettesse vivamente in comunicazione con il tutto.
La natura si presentava agli occhi di Florenskij non semplicemente come una macchina da "rodare", ma come una
creatura da contemplare nella sua bellezza e nel suo mistero, a tratti magico. Allo sguardo paterno di tipo analitico egli
aggiungeva uno scavo profondo di tipo sintetico e integrale[19] che gli permetteva di scorgere ci che c'era al di l di
ogni semplice apparenza. Nella mente di questo giovinetto non esistevano scompartimenti a chiusura stagna, ma ogni
percezione ne rimandava ad un'altra.[20]
Si ha cos a che fare con un modo di vedere le cose e le persone completamente diverso, che poco ha a che fare con la
scienza.[21] questo il modo di vedere trinitario, anche se in questo momento Florenskij si ferma solo col definirlo
mistico.[22]
Si giunge cos al secondo disinganno, quello esistenziale che lo porter verso la religione. Cresciuto in un ambiente
pressocch agnostico,[23] la ricerca religiosa nel giovane Florenskij nasce dagli strati pi profondi del suo essere.[24] In
principio si trattato di un'immagine generale e a tratti sbiadita che intendeva la religione come quella risposta alla sua
sete di totalit, senza per incarnarsi in un qualsiasi credo storico.[25] In un primo momento il suo rapporto con il
nuovo mondo della religiosit apparve alternato e fluttuante[26]: ci che lo colpiva principalmente era la carica vitale e
onnicomprensiva che la religione portava con s. La religione, pi e meglio di ogni altra cosa, leniva la sete di
conoscenza profonda e integrale del giovane Florenskij.[27]
Nel burrascoso rapporto personale con la persona di Dio, il nostro autore, apprezza della religione l'ansia di andare oltre
di ritrovare in ogni cosa, al di l dell'apparenza fenomenica, il vero senso, il centro noumenico. In questa prima fase
colpisce l'ingegno florenskijano l'estremo simbolismo che condivideva nelle sue ricerche e che ritrovava nel pensiero
religioso, usando il termine nel suo uso pi ampio possibile.
L'affacciarsi del religioso nella vita di Florenskij signific l'abbandono di una visione positivistica tout court senza
per veleggiare sulle alte mete di un'altrettanto arida e sterile metafisica astratta: il simbolo, mettendo insieme due
realt -- spirituale e materiale -- non perdeva mai di vista n la particolarit e singolarit di ogni cosa, n lo schema
generale a cui essa attivamente partecipava.[28] Il simbolo appunto quella premessa non ancora articolata che
prender il nome di Trinit, quel movimento dinamico che per non si perde mai in un circolo senza fine; la certezza
che non abbandona nessun particolare, che non generalizza tralasciando la concretezza.
L'affacciarsi del simbolo e della religione mandarono in profonda crisi la conoscenze acquisite da Florenskij che
dovette vagliarle alla luce di queste sue nuove scoperte. La scepsi scientifica e l'esteriore perfezione matematica non
reggevano alla loro prova: le verit di cui erano portatrici non riuscivano ad esaurire la sua sete di verit. S, il simbolo
gli apri un nuovo accesso alla verit cui per non riusciva ancora a giungere e a cui non bastava la somma delle singole
verit. Ed egli vide, o meglio intravide, la sua risposta in Dio.[29] E in Dio, in quel Dio-Trinit, che si presentava a
Florenskij il modo per sedare tutte le sue ansie, il modo per dare alle sue domande un senso.
Qui si conclude questo primo punto con la domanda angosciosa di verit che si cerca ma appare irraggiungibile, eppure
con la speranza di poterla finalmente incontrare nelle trame nascoste dell'io pi intimo, nell'essenza stessa della vita.
[30] Perch l'uomo un cercatore di verit.

Il sacerdozio
Lasciamo ora la giovinezza di Florenskij per trasferirci nei tempi e nei luoghi dove matur, quasi inaspettatamente, la
sua vocazione. Gi negli anni di formazione scientifica presso la Facolt di matematica e fisica dell'Universit di
Mosca non lo abbandon mai il desiderio di una comprensione maggiore e olistica della realt, tanto da frequentare
contemporaneamente i corsi di Storia della filosofia e, soprattutto, rinunciando alla carriera scientifica per iscriversi, nel
1904, all'Accademia teologica. Il travagliato percorso che lo port al sacerdozio anch'esso una implicita
testimonianza trinitaria del nostro autore: da un lato la distruzione (catharsis) dell'ideale religioso dell'intelligencija
russa distante dalle gerarchie, dall'altro la lotta interiore tra una scelta familiare e atea e una scelta monastica. Anche il
sacerdozio rappresenta quella premessa silenziosa del camino trinitario nella vita di Florenskij. Ma andiamo con
ordine.
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Gli anni di formazione universitaria consentirono a Florenskij di approfondire le domande che gi lo avevano
attanagliato in giovent. Iscrittosi alla facolt di matematica e fisica egli non continu la carriera scientifica ma prefer
iscriversi all'Accademia teologica dove, lentamente, matur la sua scelta di consacrarsi come sacerdote sposato della
Chiesa Ortodossa Russa. Anche qui ci troviamo di fronte ad un doppio movimento, dapprima la distruzione dell'ideale
dell'intellettuale russo legato agli ambiento della pi raffinata intelligencija per poi costruire, fondandosi proprio sulla
vocazione presbiterale, una nuova immagine di s pi completa.
C'era un dilemma che rodeva il vivo intelletto di Florenskij: abbandonarsi alla pura scienza, tutta perfetta nella sua
visione complessiva che per non appagava appieno la sua sete, o lasciarsi andare ad una fede silenziosa e monastica
che per, forse, mal si addiceva al suo spirito inquieto di indefesso ricercatore.[31]
In questo percorso verso la verit pi piena e integrale egli trov, con gli anni e con l'aiuto dei suoi maestri, una
soluzione che ne mettesse insieme ogni aspetto. Accolse la scienza nel suo metodo e nelle sue analisi non rinunciando
per mai a trovare risposte che andassero al di l di ogni apparenza e parcellizzazione; accolse la fede e il sacerdozio
non come muta obbedienza o cieco riconoscimento, ma come atto dinamico tra se stesso e Dio. Ordinato sacerdote nel
1911[32] egli riusc con tale gesto a segnare la strada, tutta personale, della sua ricerca tra la passione per la conoscenza
e la passione per la trascendenza, non pi contrapposte ma riunite, non confuse n distinte.[33]
importante comprendere che anche questa scelta, e forse proprio questa, servono per capire la traccia trinitaria che si
sta cercando di delineare in questa prima premessa. nel cuore stesso dell'ordinazione sacerdotale che Florenskij
rintraccia la sua stessa salvezza.[34]

2.2. Una premessa scientifico-matematica. Catharsis e mathesis


La matematica la pi importante delle scienze che formano il pensiero, essa approfondisce, precisa, generalizza e lega in un unico
nodo la visione del mondo, educa e sviluppa, d un approccio filosofico alla natura. Da noi, invece, la presentano come una
disciplina morta che non serve a nessuno, terrorizzando cos gli studenti.[35]

Per un pensiero scientifico integrale e trinitario: Bugaev e Cantor


Nel lungo cammino di comprensione e di approfondimento sia teorico che esistenziale Florenskij non abbandoner mai
la sua "prima" vocazione scientifica. Come si vede gi dalla citazione posta in alto, la matematica rappresenta,
naturalmente nella maniera indicata da Florenskij, un aiuto ad avere una visione globale del mondo. Interessarsi di
filosofia e teologia, di linguaggio ed arte non sar, per il nostro autore, un rinnegamento del suo pensiero scientifico ma
un completamento che avr numerosi addentellati e risonanze.[36]
necessario, per, capire di quale scienza si stia parlando: c', quindi bisogno, innanzitutto di liberarla da ogni
preconcetto sbagliato che si abbia su di essa e, cosa ancor maggiore, di una costruzione interna che non riesca a
rispondere alla sete di totalit dello stesso Florenskij.
Florenskij lascia la casa paterna alla fine del 1899 e frequenta l'Universit di Mosca laureandosi in matematica pura nel
1904 con una tesi dal titolo Le particolarit delle curve piane come luoghi di violazione della discontinuit. Nel
nostro autore la riflessione scientifico-matematica sar sempre al centro del suo pensare, sia come riflessione specifica,
[37] sia come sfondo e contesto per ogni suo altro scritto di natura anche differente. La matematica resta sempre lo
sfondo primario della sua concezione del mondo e il metodo scientifico sar sempre quello che Florenskij prediliger
nelle sue ricerche per il rigore e la correttezza, anche nelle sue analisi filosofiche, teologiche, artistiche e letterarie
insieme.[38]
Naturalmente ci che lo colpiva non erano le ricerche matematiche pure, egli era convinto fin dall'inizio che con la
matematica si sarebbero aperte immense possibilit per la ricerca filosofica ed esistenziale. Per questo la scelta
dell'universit di Mosca si rivel assai indicata. Infatti mentre a San Pietroburgo l'indirizzo prevalente della ricerca
scientifica era in mano ai positivisti, a Mosca si diffuse invece un orientamento pi idealistico, poi una vera e propria
scuola di pensiero filosofico-matematica (Societ matematica di Mosca) .[39] L'orientamento verso la filosofia
dell'Idealismo dell'Universit moscovita apre scenari ben pi ampi alla ricerca scientifica che non pu fermarsi solo al
suo ambito proprio di riflessione ma deve cercare di interpretare la totalit del reale.
Florenskij resta affascinato dalla proposta del professor Bugaev,[40] che divenne poi suo maestro, per l'indubbia novit
metodologica che proponeva: rimettere in discussione il metodo dominante dell'analisi matematica, incentrata sul
principio di continuit, cio sulla subordinazione dell'esistente e del suo accadere a leggi analitiche costanti e
irrevocabili. Si trattava di far entrare nei principi matematici la realt concreta, la casualit, l'orizzonte metafisico e
trascendente, tale teoria detta aritmologia o teoria della discontinuit. Bisognava concretizzare la matematica perch
essa non pu essere considerata e trattata come un "arido" sistema formale-razionale di simboli; le sue formule devono
invece essere "riempite" con i contenuti legati alla concretezza.
La teoria della discontinuit ammette che sia necessaria una concezione generale del mondo. Per far ci l'indagine deve
condurre ad abbracciare non solo i fenomeni che si sviluppano in maniera continua e piana, senza fratture, ma anche su
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ci che discontinuo, non vincolato e che contiene nella propria struttura il principio del caos. Secondo Florenskij
infatti una delle idee pi antiche della filosofia, la lex continuitatis, cio che non si possa andare da un estremo all'altro
senza passare per un punto intermedio, si impadronita, nel corso del tempo, di tutte le scienze. La continuit ha, cos,
esteso la propria influenza a tutte le ricerche scientifiche. diventata totalizzante e fuorviante. La conseguenza
principale che il principio di continuit elimina il concetto di forma: laddove un processo continuo, non
segmentabile, non possibile riconoscere gli oggetti, caratterizzare l'identit. Il progetto globale di un fenomeno, ci
che lo unisce alle sue parti ed ai diversi elementi pur distinguendolo da essi, rimane nascosto.
Tale idea della discontinuit sar, da quel momento in poi, una delle idee chiavi del suo pensiero al di l dell'ambito
matematico. La ritroveremo presente anche nelle future opere di filosofia, teologia ed arte.[41] L'idea della discontinuit
apr la strada alla contemplazione del mondo nella sua unit integrale, intesa non in senso astratto o concettuale, bens
nella sua concretezza completa e "storica".
Altra grande figura di riferimento per questi anni di formazione quella del matematico G. Cantor[42] e soprattutto
l'incontro con la teoria degli insiemi nella quale Florenskij subito intu una nuova occasione per poter continuare la sua
costruzione di una Weltanshauung integrale. Al centro del pensiero cantoriano vi un tema essenziale: quello
dell'esistenza dell'infinito nelle condizioni del finito. Punto di partenza la netta distinzione tra il concetto di "infinito
attuale" e quello di "infinito potenziale". Per capire questa distinzione lo stesso Florenskij si serve della definizione di
quantum. Ogni quantum pu essere duplice: costante e fisso nel tempo e variabile, dinamico; entrambi si completano e
si contrappongono a vicenda.[43]
Per Cantor l'infinito potenziale non ha realt effettiva, legato al contingente, .[44] Esso non si conclude mai, resta
astratto, resta un concetto limite dello stesso infinito: una negazione che non entra nelle profondit recondite dello
stesso infinito.
L'infinito attuale invece l'unico reale.[45] Esso il presupposto per ogni infinito potenziale; per permetterne i suoi
infiniti mutamenti necessario l'infinito attuale quale "limite sovrafinito". L'infinito il massimo assoluto e quindi
l'unico vero infinito, ci che veramente trascende ogni cosa. Tale concezione viene detta teoria del Transfinito.
importante volgersi verso questo "vero" infinito altrimenti si corre il rischio di illudersi nella costruzione di un infinito
molto, molto finito, a portata della riflessione umana e della sua apprensione mentre l'infinito proprio ci che sta di
fronte, l'alterit assoluta che per nello stesso tempo appartiene ad ogni soggetto.
Dalla teoria del Transfinito Florenskij raccoglie la scintilla che gli far approfondire un'altra categoria centrale della
sua riflessione: l'antinomia. Si vedr in seguito, con una maggiore profondit, la valenza di tale concezione, basti ora
dire che constatare l'antinomia reale della verit, cio ammettere contemporaneamente due cose, apparentemente
opposte, risulter assolutamente logico seppure secondo una logica diversa.[46]
Florenskij in conclusione non rinnegher mai la sua formazione scientifica e soprattutto l'apporto di questi due grandi
matematici, che con molto acume hanno precorso i tempi della ricerca tanto da fargli ammettere che una "nuova
scienza" pensabile solo grazie all'azione di persone qual Bugaev e Cantor.[47]
A partire da questi incontri Florenskij svilupper ancora di pi la sua idea, la sua domanda, che accompagner tutto
l'arco della sua riflessione teoretica: possibile un senso unitario, integrale, comprensivo eppure non apprensivo, non
metafisico, rispettoso dell'altro, di qualsiasi natura sia: mondo, uomo o Dio. La risposta sar trovata nel concetto
vivente di Trinit.

La logica del numero "tre"


Muovendosi ancora su un terreno di logica formale e matematica Florenskij dedica una piccola parte della sua opera
fondamentale, La colonna e il fondamento della verit,[48] proprio alla logica interna del numero "tre", che, a
differenza del "due" e del "quattro", meglio riesce a mettere insieme il momento della diversit e dell'unit.[49] Questo
numero non indica la perfezione identitaria del due n il caos multiforme del quattro, ma stabilisce un mirabile
equilibrio tra questi due estremi: da una parte mantiene l'unit, dall'altro la diversit assicurata dal confronto tra i due
elementi al cospetto di un terzo.[50]
Il numero "tre" non solo di pertinenza concettuale o solo appannaggio della concezione trinitaria di Dio, ma una
categoria fondamentale della vita e del pensiero di ogni uomo. Senza sforare nel campo di analisi successivo proprio
della riflessione filosofica e teologica, qui importante segnalare come un concetto numerico-matematico diviene
icona di quel pensiero nuovo e integrale cui Florenskij tendeva con tutte le sue forze. Tale passaggio possibile senza
tema di essere smentiti perch, anche solo nel campo scientifico, Florenskij proponeva una concezione di tipo formale
e, oserei dire, ontologica del numero che non rappresenta solo una quantit ma un intero organismo multiforme.[51]
Se da un lato, quindi, la Trinit informa la realt cui si comunica, in questa stessa realt, nella sua forma, che esiste gi
una traccia, una scintilla per accoglierla. La filosofia e la teologia trinitaria che a breve tratteremo non scendono
dall'alto sull'esistenza e sulle riflessioni scientifiche di Florenskij per influenzarle dall'esterno, ma svelano ci che di
gi implicito vi era in esso. Senza questo ulteriore chiarimento qualsiasi presupposto di una visione integrale che
rispetti nello stesso tempo il pi infimo particolare scadrebbe in un misero idealismo assolutizzante in cui l'idea pi
forte ingloberebbe e condizionerebbe quella pi piccola e debole.
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3. Le promesse
3.1. La Trinit nel percorso filosofico
Dopo un accurato studio della teodicea, risulta che soltanto la Triunit en kai poll in senso proprio e definitivo, cio in essa
soltanto trova una risposta la questione fondamentale di tutta la filosofia. [...] Ecco perch il supremo dogma della fede quello
spartiacque a partire dal quale si diramano le diverse riflessioni filosofiche.[52]

Inizia qui la seconda parte del nostro percorso che ci vedr ora impegnati nello scandagliare i rapporti che Florenskij
traccia tra la Trinit da un lato, e la filosofia e la teologia dall'altro. In queste pagine il discorso diverr pi esplicito
riguardo ai temi e alla presenza costante del concetto trinitario. Anche in questo caso sar presente una pars destruens
che tende, nelle intenzioni del nostro autore, ad appianare le difficolt e a pulire il campo di indagine da ogni tipo di
preconcetto o idea sbagliata. Ad essa seguir poi la pars costruens, quella pi propriamente attiva e teoretica.
Entrambi i percorsi, pi quello filosofico che quello teologico, useranno, a volte, come sinonimi di Trinit, la parola
Verit che andrebbe presentata con molto pi spazio e tempo nel panorama florenskijano,[53] ma che qui lasciamo, per
il momento, da parte.
Fatte queste brevissime chiarificazioni giunto il momento di incamminarsi.

Catharsis
Florenskij deve, nella sua proposta filosofica, prima di tutto, sgombrare il campo da tutta una logica di tipo duale e
identitario che cercava la verit attraverso i due classici pilastri del ragionamento: il principio di identit e quello di
ragion sufficiente.
La verit, classicamente intesa, si basa sui due principi fondamentali della logica: il principio di identit e quello di
non-contraddizione. La Verit intesa da Florenskij invece tutta pervasa da contraddizioni che mettono in crisi proprio
la linearit di questi principi. Mentre la verit era pensata in una sola direzione, forte, ora si chiarisce, invece, la sua
natura complessa, frutto di una ragione che trova basi altrettanto complesse e diverse. nella ragione, dove
confluiscono pensieri ed azioni, vita e riflessione, che nasce l'esigenza di coniugare i due lati della Verit, quello del
finito e quello dell'infinito. La ragione non procede pi secondo un piano monodirezionale, ma ha una struttura
biassiale, duplice, fedele alla concretezza e tesa, al contempo, verso le profondit ontologiche del senso. La ragione che
qui si delinea chiaramente simbolica,[54] intendendo con questo termine proprio la capacit di mettere insieme senza
confusione i due momenti della concretezza e della trascendenza. chiaro che la Verit v da una parte rintracciata con
l'ausilio della ragione, ma dall'altro si trova sempre al di l di essa, la trascende completamente, proprio come il simbolo
gi tutto il suo significante anche se non lo rivela pienamente, conservandone il mistero. Inoltre essa si ritrova non
grazie ad un processo razionale ed astratto, ma solo immergendosi nell'esperienza vissuta, nel concreto contesto storico
che contiene tutte le molteplici verit, simboli della Verit.[55]
Il raziocinio si muove solo per affermazioni che si dimostrano autoevidenti: superflua, oltre che impossibile, ogni
altra motivazione. I giudizi che esprime sono sempre assolutamente validi anche se relativi al particolare cui si
riferiscono; essi non cercano nemmeno di assurgere a regola generale, ad inserirsi in una complessit pi ampia. Nel
momento, per, che tale raziocinio cerca l'evidenza e l'esistenza della verit si ritrova in mano un mero concetto senza
alcuna vita, senza concretezza.
Per avere la certezza della Verit bisogna metterla in atto, verificarla attraverso il giudizio, farne cio esperienza. Ogni
percorso veritativo si basa, per Florenskij, sull'attendibilit (certitudo) di ogni giudizio: l'atto fondamentale della
conoscenza il giudizio. Il che vuol dire che la Verit si rivela per mezzo dell'affermazione di essa, nel suo concreto
esercitarsi attraverso le verit. Questa constatazione, ovviamente, suscita subito la domanda: quali sono i criteri che
garantiscono la giusta scelta del giudizio? Ossia, quale il segno rivelatore che occorre cogliere nel giudizio per essere
certi dell'esattezza della sua affermazione?[56]
Nel pensiero del nostro autore russo ci sono due possibilit per fondare un giudizio: il giudizio o dato
immediatamente, fondandosi su un'immediata "evidenza dell'intuizione",[57] o dato mediatamente, fondandosi su una
"mediata evidenza della dimostrazione". Ma sta proprio qui il nucleo centrale del problema su cui Florenskij richiama
l'attenzione: vero che sia nel primo che nel secondo caso si arriva a una evidenza certa del giudizio; ma si tratta di
un'evidenza insufficiente. Il motivo che sia all'evidenza dell'intuizione che a quella della dimostrazione manca il
criterio certo della Verit.
Per quanto riguarda l'intuizione, per esempio, alla domanda in che cosa consista l'immediatezza si risponde: "Nel fatto
che ogni immediatezza se stessa; ogni A A". Ora chiaro che la ragione di questa affermazione, formulata nello
spirito dell'autoidentit e dell'auto-evidenza, non sufficientemente fondata. Perch se fosse cos bisognerebbe definire
A ricorrendo a un altro da s, un non-A. Ma ci non possibile a causa della legge d'identit. Per poter dar ragione
(cerititudo) di un affermazione autoidentitaria sarebbe necessario un secondo concetto che la dimostri vera, ma con ci
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Giuseppe Malafronte, Trinit senso dell'uomo. Fede e ragione in P. A. Florenskij (Elaborare l'esperienza di Dio)

si verrebbe meno all'intuizione immediata della legge di identit.


Altrettanto problematico il caso dell'evidenza della dimostrazione. Se l'evidenza di un giudizio consiste nel fatto che
esso trova il suo fondamento in un altro giudizio, allora giustificare un giudizio significa ricorrere a un altro e cos via,
fino a far nascere una catena infinita di giustificazione dei giudizi. L'impossibilit di una tale operazione sta nella
ragione umana che, per la sua limitatezza, incapace di un tale regressus in infinitum.
Detto ci diventa chiaro che n nel caso dell'intuizione n in quello della dimostrazione si pu parlare dell'evidenza
del giudizio. Se l'intuizione, da una parte, si pu realizzare per la sua finitezza, dall'altra non ha un fondamento
razionale sufficiente, non apporta reali conoscenze. La dimostrazione, al contrario, avendo come base la legge della
ragione sufficiente, ha un fondamento razionale, ma, per la sua infinitezza, non praticamente realizzabile. Da sole,
l'intuizione e la dimostrazione, non riescono a rendere ragione della Verit, mancano di coglierne la certezza. Infatti,
affinch il giudizio possa soddisfare il criterio della verit, esso dovrebbe essere fondato sia sull'immediata evidenza
dell'intuizione che sulla mediata evidenza della dimostrazione.
la stessa attivit della ragione a rivelare l'esistenza della sua natura "bi-nomica, bi-centrica, bi-assiale". Essa, cio,
viene coordinata da "due leggi" le quali, sebbene fondamentali e inevitabili per la ragione come tale, sono tra loro del
tutto antinomiche: si tratta della legge d'identit e della legge di ragion sufficiente.
Per legge d'identit Florenskij intende l'insieme delle leggi analitiche del pensiero che esprimono l'esigenza di pensare
un oggetto determinato.[58]
In concreto la legge d'identit rappresenta la staticit del pensare con la quale ogni A viene riconosciuto dalla ragione
solo come A e nient'altro (A=A). evidente che il criterio dell'immediatezza, rappresentato dalla formula A=A, non
in grado di assicurare la certezza di questa affermazione autoevidente. Si tratta di una cieca equazione tautologica -qualcosa perch -- che minaccia di non essere mai dimostrata, n di dimostrarsi come fondamento della realt.
Difatti, la legge d'identit, che pretende di essere un fondamento assoluto e universale di ogni intuizione, in realt
infranta da ogni intuizione reale.[59]
In altre parole, un'eterna affermazione dell'Io porta solo ad un'eterna negazione di ci che diverso da tale Io.
L'affermazione veritativa del principio di identit non reca assolutamente guadagni alla conoscenza, n
approfondimento alla ricerca di senso, ma una polarizzazione estrema del discorso sul soggetto conoscente che non
ha nulla da chiedere alla realt che lo circonda perch priva dell'essere identitario.[60]
Risulta evidente che aderire alla formula A=A significa cadere nel vuoto dell'affermazione Io=Io e, quindi, nella
chiusura di s, nell'egoismo che rifiuta categoricamente l'esistenza di ogni diversit e pluralit, sia fuori che dentro di
s.[61]
In questo senso, assunta come "legge di vita", la formula A=A forma uomini privi di esistenza reale, uomini che non
sono individui ma solo "ombre razionalistiche di persone". La legge d'identit plasma, da sola, un universo senza alcun
contatto e rimando con la vita, con la realt concreta, regno della pluriformit e del movimento dinamico: la legge
d'identit regna sovrana su dei sudditi che per non hanno una realt concreta.[62]
Assodato che il principio di identit non pu, da solo, reggere il confronto con la vita non riuscendo ad andare oltre se
stesso, il nostro autore passa in rassegna l'altro grande principio veritativo: il principio di ragion sufficiente. Secondo
Florenskij altrettanto inimmaginabile che la ragione possa funzionare fidandosi esclusivamente della legge della
ragion sufficiente, basandosi cio su un giudizio dato mediatamente (discursio). La certitudo di ogni "giudizio
mediato" si basa, come dice il nome stesso, sulla riducibilit a un altro giudizio. Grazie a ci ogni giudizio costituisce
la conseguenza di un altro, nel senso che ciascun A si fonda su un non-A, cosicch vale che A=B.[63]
Dunque, dimostrare un giudizio significa mostrare come esso costituisce la conseguenza di un altro e significa ricorrere
al giudizio fondante. Il problema che, seguendo tale logica della dimostrazione, la ragione non pu giungere mai a un
dato sicuro e certo. La legge della ragion sufficiente trascina la ragione in un processo senza fine, senza nessuna
speranza di giungere a un risultato definitivo: ogni giudizio rinvia ad un altro giudizio e cos all'infinito.[64] Tutta la
razionalit, tutto il criterio della dimostrazione sta nella possibilit di giustificare "ciascun gradino della scala
discendente dei giudizi".
Risulta, perci chiaro che n l'intuizione n la dimostrazione appagano la ricerca della Verit; difatti, nessuna della due
ottiene da sola la certitudo, la certezza reale e concreta. Non resta che percorrere una strada alternativa rispetto a quella
classica che vedeva i due principi contrapposti tra di loro. Florenskij postula che le due leggi della ragione non
possono esistere l'una senza l'altra: una funzione presuppone l'altra, e allo stesso tempo tiene fede all'idea classica che le
due leggi si escludono a vicenda.[65]
Il dramma della ragione sembra irrisolvibile. Come conciliare la finitezza e staticit dell'una (legge d'identit) con
l'infinitezza e dinamicit dell'altro (principio di ragion sufficiente)? Secondo Florenskij, a questo punto restano
solamente due possibili soluzioni: o rassegnarsi alla scepsi raziocinante, accettando non solo l'impossibilit di arrivare
alla conoscenza della Verit, ma addirittura riconoscendo come chimerica l'idea stessa della Verit; oppure cercare
tenacemente una via alternativa della conoscenza.[66]
In entrambe le direzioni si assiste di fatto al consumarsi della ragione, al suo smarrimento, proprio perch questa non
pu accontentarsi di una verit semplicemente assertoria, e non trovando in s i mezzi sufficienti per una chiarezza
apodittica finisce per sprofondarenel dubbio assoluto e nella totale epoch, nell'assenza di ogni giudizio.
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Bisogna prescindere dalle due leggi[67] e nel contempo conservarle nonostante l'epoch. Di fronte ai tentativi di
razionalismo filosofico e teologico, Florenskij sottolinea come il criterio razionale una direzione, non un fine. Da
questa aporia insormontabile dell'epoch il pensatore non pu affatto sottrarsi.[68] In questa sua ineluttabilit l'epoch
assoluta deve essere intesa come una dolorosa esperienza necessaria.[69]
La coscienza assetata di verit cade in questo tormentoso inferno scettico, di cui si mostra tutta l'angosciosa agonia, ma
anche tutta la profonda e autentica passione per la verit.[70]
Il passaggio che consente all'uomo di oltrepassare questo tormento scettico forse consiste nell'accesso ad un nuovo
suolo, quello della possibilit, quello del dialogo mai precostituito, mai regolato dai rapporti di forza soggetto-oggetto,
quello della vita reale e concreta.
Un passaggio che invoca una dichiarazione di speranza,[71] chiede che si conceda credito alla relazione, mai stabile,
che si instaura tra la ragione e la vita, tra la conoscenza e l'esperienza, tra l'intuizione e il discorso. una speranza
fondata, "logica" perch non campata in aria, ma si fonda sul principio dell'esperienza e della vita come nuova
modalit di approcciarsi al reale e alla verit, di contemplare quel senso ulteriore nascosto e presente nella stessa realt
mondana. una speranza, una possibilit che ogni volta chiede di essere confermata, assicurata; non vi possono essere
pi statiche certezze, ma solo verit molteplici e in divenire che per non eliminano l'unit di senso che la Verit, pur
nelle sue infinite forme, possiede. La relazione cognitiva nella sua originalit viene a essere illuminata dall'umilt della
conoscenza vera: non catturiamo il dato, ma l'accogliamo con fiducia, con un atto immediato e ragionato insieme.
Per costruire questa fiduciosa esperienza della Verit c' bisogno di formulare alcuni giudizi fondamentali: che la
Verit esiste, che essa sia conoscibile e che sia data come intuizione ma sia nello stesso tempo dimostrata. La Verit
quindi, sotto il medesimo riguardo, intuizione e discorso, cio frutto di un processo.[72]
Da questa sintesi deriva una completa trasformazione degli esiti teoretici delle due categorie, prima esaminate
isolatamente nei loro limiti oggettivi, poi compenetrate dialetticamente e sinergicamente. Intuizione e discorso si
danno nella loro reciprocit, conservando tuttavia il loro carattere oppositorio e irriducibile, in una serie indefinita di
fondamenti, orientati verso l'unit.[73]
La Verit, contro ogni definizione monolitica e classica vista da Florenskij come l'agglomerato dinamico e positivo
di tutta la realt in ogni sua dimensione spaziale, temporale e ontologica in cui le differenze non si conciliano
pianamente ma si concordano nella loro irriducibile lontananza.[74]
Con questa definizione la Verit si riappropria del principio vitale, lo rende logico, razionale, discutibile e dinamico.
Tale Verit ha bisogno di un approccio anch'esso differente da ogni altro metodo usato precedentemente. Questa Verit
non pi un concetto ma diviene un ente dinamico e cosciente che Florenskij riconosce appieno nella Trinit, anche
dal punto di vista teologico.

Mathesis
La ricerca della Verit si andata modulando attraverso l'incontro tra la legge d'identit e il principio di ragion
sufficiente, in un processo dinamico e votato verso la concretezza. La concretezza, dal canto suo, dice multiformit,
dice incontrollabilit, dice mistero, dice, insomma, tante -- forse troppe -- cose. Innanzitutto risulta inammissibile ormai
un pensiero modellato sul solo soggetto conoscente: riduttivo basare ogni realt solo sull'Io che la pone, essa ben al
di l, esprime la vita stessa. Quindi il pensiero chiamato a trascendersi, a rivolgersi oltre se stesso, all'altro. La
conoscenza tale solo nel momento in cui osa andare oltre se stessa.[75]
Il pensiero tende all'unit, alla sintesi nella Verit unica, ma pu farlo, secondo Florenskij, solo attraverso la reale
composizione del molteplice, contemplato per nella sua assoluta dignit ontologica, e quindi non come momento di
passaggio o accidente secondario. Il momento dell'unit rende giustizia all'ideale dell'integralit, quello della
molteplicit testimonia la concretezza della vita.[76]
La conoscenza della Verit quindi una grande sintesi sempre diveniente tra l'uno e il molteplice, tra il finito e
l'infinito nella loro paradossale unione. La loro possibile coincidenza non resta su un piano meramente linguistico,
terminologico, ma essenziale: l'uno i molti e i molti sono l'uno.
Bisogna comprendere che la molteplicit ha una sua realt ontologica ben specifica, lo spazio della vita in cui si
realizza la dialettica della verit, ha una dimensione non deficitaria rispetto all'uno -- all'Essere, all'Io -- ma proprio in
essa e per essa tale unit si rende percepibile, direi di pi, possibile. Senza il molteplice l'uno resta chiuso nella sua
astrattezza e quindi non . Senza il molteplice l'uno non potrebbe fare esperienza del mistero dell'infinito, perch tutto
resta nella dimensione uni-versale, mentre Florenskij cerca di aprire gli spazi del pluri-verso, della multiformit che si
diffonde in spazialit, in temporalit e in profondit[77]: pi che all'analisi che riduce ad un'unit astratta gli
interessava contemplare organicamente le stratificazioni del reale.
L'uno quindi chiamato a rendere viva la Verit che porta, a uscire fuori dalle sicurezze del raziocinio. Queste
dimensioni sono gi presenti nella sua stessa costituzione ma vanno scoperte. L'Uno, infatti, va ben oltre il suo mero
contenuto razionale.[78]
Comprendere questo significa capire che il motivo unificante l'uno e i molti, il senso di questo idealismo , ancora una
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volta, la vita. Questa vita, questa ideale unione, senza confusione, tra il principio unitario e quello molteplice, si
incarna appieno solamente nella Trinit, che nella sua apparizione-donazione agli uomini appare come la visione
unitaria ed integrale che raccoglie in s, senza mortificazioni, tutto il reale.[79]

3.2. La Trinit nel percorso teologico


Catharsis
Ancora una volta il nostro autore inizia prima con lo sgomberare il campo da facili incomprensioni per poi entrare nel
vivo della discussione, in questo caso teologica, sulla Trinit. Florenskij tenta, innanzitutto, di dare nuova linfa alla
speculazione dogmatica differenziandola da tutto ci che ha solo la parvenza di teologia, ma che, invece, una pura
teoresi arida e senza preoccupazione di centrare la sua attenzione sul cuore pulsante della fede che Dio-Trinit.
Padre Pavel usa il termine "dogmatica" per indicare l'ontologia dell'esperienza da lui proposta differenziandolo dal
"dogmatismo" vuoto e intellettualistico dell'ortodossia tradizionale.[80]
Innanzitutto sempre bene precisare la maggiore ampiezza dell'esperienza sul mero concetto, da essa superato senza
comunque rifiutarlo. Il concetto, anche in teologia, senza il supporto e la controprova della realt resta soltanto un
fantasma senza alcun significato.[81] Per cui Florenskij affermer che, affidandosi ai soli concetti astratti, il sistema
dogmatico , a tutti gli effetti, "noioso".[82]
La costruzione di un'ontologia veramente trinitaria nasce essenzialmente dalla e nella vita[83] di cui si vuole fare
conoscenza e trasporre nel pensiero e che, come conoscenza e pensiero, torna alla vita. Per cui il nostro autore arriva a
sostenere che non c' Dio nella nostra dogmatica,[84] se ad essa non si affianca l'essere vivente. C' stato come il
requiem della dogmatica viva a cui subentrato un gi defunto dogmatismo.[85]
Partendo da questa "aridit" emerge pi chiaramente che l'uomo , innanzitutto, un essere che vive nello spirito e nella
vita e poi un essere che schematizza ed astrae.[86] L'astrattezza comporta un errore letale per la riflessione: non si ricerca
pi la Verit.[87] Eppure questa Verit resta sempre la stessa, non stata lei ad allontanarsi, ma stato l'uomo a
discostarsene, a renderla, col tempo, inattingibile. Infatti Florenskij non propone di mettere una nuova Verit in un
posto vecchio, ma esige un posto nuovo per la vecchia Verit.[88]
Nasce spontanea, per, una domanda: Ma si pu dimostrare la dogmatica? Ci non escluso dallo stesso concetto di
rivelazione? .[89] In poche parole: si pu parlare di Dio e non valicare le soglie del mistero che la sua vita conserva?
Ci possibile a patto di non intendere la Verit, oggetto della ricerca dogmatica, in senso "logico-formale" ma in
maniera gnoseologica, ontologica ed esistenziale. Naturalmente, la Trinit resta inattingibile concretamente nel suo in
s ed esperibile esclusivamente nel suo dispiegarsi, nella relazione con l'uomo, con ogni uomo. Non si pone in
discussione che Dio sia ma che e-sista;[90] non che la Verit sia ma che esca fuori di s e si comunichi. L'ontologia
dogmatica trinitaria sempre una relazione manifesta di un'esperienza che l'uomo fa di Dio e Dio fa dell'uomo in un
reciproco scambio e arricchimento che trova il suo centro nel doppio movimento tri-unitario, quello umano e quello
divino. Il cuore rappresentato dalla vita nel suo effettivo dispiegarsi, vita intratrinitaria intendendo cio la vita delle
persone divine e la vita delle persone umane nel Deus-Trinitas.

Mathesis
Le affermazioni sull'essenza del Deus-Trinitas sono chiare e semplici in se stesse secondo Florenskij. Si possono
ricapitolare in due assunti fondamentali: "Dio Amore"[91] e "la Trinit omoousa (uni-sostanziale)".[92]
Iniziamo con la prima affermazione. Bisogna comprendere cosa Florenskij intenda con la parola "amore". Sicuramente
non la intende al modo della "comprensione nuova" della filosofia moderna dove domina l'accezione meramente
psicologica dell'amore.[93] Occorre invece sottolineare maggiormente la dimensione ontologica dell'amore.[94]
Mentre per la prima comprensione, la nuova, l'amore resta solo un sentimento legato allo stato psicologico dell'uomo,
per la seconda esso una vera e propria realt ontologica che pervade tutto il mondo e ne costituisce l'essenza. Per
dimostrare le due differenti concezioni Florenskij si affida alla differenza tra identit generica (e specifica) e identit
numerica.[95] L'amore della prima consente solo di cogliere la somiglianza tra gli amanti (), l'identit
numerica, invece, coglie l'essenza delle persone e la loro identit () .[96]
Trattare dell'identit numerica significa andare all'essenza dell'amore e soprattutto significa ricentrare la ricerca
teologica e filosofica di nuovo sulla persona e non pi sulle cose, o sulle persone trattate per come oggetti.[97] In
primo luogo quindi va nuovamente confermato il superamento della legge di identit: essa non pu aiutare, nella sua
struttura cieca e tautologica, lo studio della persona che vita, movimento e dialettica. Ai concetti chiari e fissi che la
legge di identit -- l'identit generica -- propone si deve sostituire la legge dell'amore che si basa sulla relazione, sul
dialogo. Ai concetti si sostituisce il simbolo, l'evocazione, il dono d'amore pi che l'apprensione intellettuale.
All'astrattezza del raziocinio si impone la persona nella sua vita, nella pienezza del suo bagaglio esperienziale; il tutto
senza mai abdicare alla comunicazione.
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La "filosofia dell'omoousa"[98] ed insieme la teologia dell'amore pongono nel proprio cuore la persona come origine e
fine del loro procedere. La persona origine in quanto la stessa divinit, il Deus-Trinitas una persona, tre ipostasi che
si relazionano alla pari tra di loro. La persona fine in quanto ogni uomo concreto rappresenta la finalit intrinseca sia
della logica triadica, ma anche dell'ontologia trinitaria, sempre l'uomo il centro e l'oggetto dell'amore divino. Questi
due aspetti della persona non sono separati tra di loro: Dio conserva l'umanit, uomo nella seconda Persona, in Ges
Cristo; l'uomo ritrova dentro di s la traccia del divino, riscopre la sua divino-umanit. Entrambe le realt sono perci
concretamente unite nella dinamica dell'amore che le mette in comunicazione e permette alla divinit di rivolgersi
verso l'uomo e viceversa.
Credere in questa concezione ontologica dell'amore significa che questa proposta di Florenskij non solo una semplice
metafora ma una realt simbolica, l'unica possibile e realizzabile, l'unica fonte della vera conoscenza.[99]
Solo una svolta ontologica dell'amore pu far comprendere la centralit trinitaria del percorso florenskijano che diventa
immagine vera e vitale proprio di questo amore puro e realizzato. Proprio dalla caratterizzazione del Deus-Trinitas
come essenzialmente Amore, nasce la sua comunicazione con l'amore limitato dell'uomo che si rivolge a Dio e da Lui
viene assicurato.[100] L'amore non pu mai diventare possesso per cui l'eccedenza, che pu essere insita nell'amore
trinitario, non compromette la dignit dell'amore umano, limitato certo, ma essenziale per instaurare qualsiasi relazione.
In questo contatto l'uomo si apre all'ulteriorit di Dio che gli fa riscoprire la dimensione prettamente sociale e
comunitaria del suo essere. L'amore permette di uscire dall'immobilit di un soggetto autoreferente, assoluto per entrare
nella dialettica della relazione interumana. L'amore comunicato incessantemente da Dio riesce cos a sciogliere il
"cuore prometeico" dell'umanit che la teneva legata solo alla dimensione terrena ed egotica.[101]
L'ontologia trinitaria viene ripensata nel pensiero di Florenskij a partire dalla carit; tale cambiamento di prospettiva
comporta l'abbandono di ogni tentativo di affermazione autoidentitaria: solo nella relazione fondamentale d'amore
possibile cogliere il cuore e il senso di ogni esistenza e di Dio stesso.[102]
In questo processo relazionale il Deus-Trinitas sembra quasi svanire, mettersi da parte per lasciare libero l'uomo. Se egli
si affermasse nella sua potenza, nel suo essere, non ci sarebbe libert. L'amore, invece, permette di conservare
l'onnipotenza di Dio e la libert umana: solo il Dio che ama pu permettere questa assoluta libert che pu spingersi
finanche alla negazione di s. L'ontologia tri-unitaria trapassa ed agisce nella storia per una necessit insita all'idea
stessa di amore, per la sua radicale eccedenza essa non pu che costituirsi come dono e contatto con l'altro. La Trinit
vuole, e perci pu e deve, relazionarsi con ogni creatura attraverso il suo universale ed essenziale amore.
Pi di ogni altra cosa l'amore riesce ad esprimere appieno l'eccedenza di Dio e preserva, nello stesso tempo, la libert
degli individui. Non mai messo in discussione il primato assoluto della persona e della sua irriducibilit nella
dottrina trinitaria di Florenskij.[103]
Passiamo ora, in continuit col cammino fatto sinora, alla seconda affermazione: "la Trinit omoousa
(unisostanzialit -- consustanzialit) ".
Come si prospetta questa "filosofia dell' omoousa"?[104] Il termine "uni-sostanziale" esprime l'unit concreta -- non
nominale -- del Dio-Trinit, ma allo stesso tempo rivela che ognuna delle tre ipostasi la sostanza personale, nel senso
che, sebbene ogni ipostasi sia separabile dalle altre due, esse non si fondono ma rimangono se stesse, realmente distinte
tra loro.[105] Su questo concetto si basa tutta la logica e l'esperienza della vita trinitariamente intesa.[106] Le persone
della Trinit sono una cosa sola e distinte nello stesso momento e nel medesimo riguardo.
In questa affermazione si colgono e si uniscono entrambi gli aspetti di questa ontologia tri-unitaria: da un lato la
concezione di Dio-Amore sottolinea con pi forza il divenire eterno come tangenza tra un circolo d'amore interno alla
stessa relazione trinitaria e un circolo, esterno ad essa, che coinvolge ogni uomo che si riconosce oltre l'ordo
necessarium del raziocinio; dall'altro lato la comprensione di questo stesso Dio come omoousa consente di non
perderne l'unit concreta, di poter sempre ricapitolare in un punto fermo il processo diveniente e quindi di non
prescindere dalla trascendenza. Il Deus-Trinitas si pone al riparo dal rischio di una fissit senza relazioni, ma anche di
un eterno divenire senza punti certi. L'amore di Dio reale ed essenziale perch si fonda sulla relazione tra le tre
ipostasi divine.
L'ontologia tri-unitaria di Florenskij pu essere definita, contemplando tutti e due gli aspetti sin qui analizzati, come la
ricerca della Verit che ogni volta gi ci data ma mai in modo esauriente: la Verit intesa non come immobile
concetto che si dona a noi, ma come relazione personale fondata sulla certezza della sua sostanzialit. La Verit resta di
fronte come stimolo ad essere ricercata ma senza mai essere posseduta. Un'esigenza insieme interna all'uomo e a lui
differente, comprensibile ma concettualmente irraggiungibile, perch non di sua propriet, non a suo solo appannaggio.
La Verit appunto la stessa Tri-unit che si dona, nelle tre ipostasi, all'uomo e lo richiama al senso profondo della
propria esistenza; essa relazione d'amore essenziale che irrora tutta la vita e la rende capace di quello sguardo
unitotale impossibile al solo raziocinio.

Praxis. L'amicizia realizzazione dell'ideale trinitario

L'amicizia sta nel contemplare se stesso attraverso l'amico in Dio, vedendosi con gli occhi dell'altro al cospetto di un Terzo. L'Io
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rispecchiandosi nell'amico, riconosce nel suo Io il proprio alter ego.[107]

Alla fine di questo percorso non ci resta, ora, che vedere si applichi tutta questa visione florenskijana nella realt
concreta. L'incarnazione dell'ideale trinitario trova nell'amicizia la sua pi piena e completa realizzazione e Florenskij
ne fornisce una delle pi belle e mirabili trattazioni non solo sotto l'aspetto etico ma, soprattutto, sotto il profilo
teoretico, filosofico e teologico.
L'amicizia non vista solo come quel sentimento che affratella due o pi anime, ma consiste in qualcosa di pi.[108]
L'amicizia rende evidente la divinit dell'uomo e il suo essere volto verso l'ulteriore: oltre ogni schema, oltre ogni
legge d'identit.
L'amicizia, una sorta di uni-sostanzialit anticipata, omoousa realizzata. In questo senso Florenskij la intende come
segno reale dell'apertura dell'uomo al divino, come realizzazione del suo ingresso nelle relazioni trinitarie.
Una tale definizione dell'amicizia fa emergere in una luce nuova anche la figura dell'amico che, nel caso della
riflessione del nostro autore, incarna il tentativo di arrivare a una fondazione nuova delle principali categorie
antropologiche tra le quali il concetto di persona. Egli infatti convinto che il concetto di persona si basi sul principio
della relazionalit.[109]
Come per il divino, anche l'uomo si esprime essenzialmente nella relazione; tale espressione non disconosce, per, il
valore intrinseco dell'Io personale. Si tratta un rapporto basato sul principio dialettico che esprime l'unit e, al
contempo, la diversit non solo ontologica, ma anche spirituale tra persona e relazione.[110]
Ci che caratterizza, come suo tratto distintivo, la figura dell'amico proprio il radicamento in un tale principio che
permette una definizione dinamica, e non statica, della sua stessa identit ontologica. Uno , esiste nella peculiare
identit del proprio Io, solo in o attraverso un altro, un non-Io.[111] Nell'altro come in uno specchio, l'Io pu
contemplare e ritrovare se stesso, la propria auto-identit.[112]
L'amicizia una realt complessa, come tutto il fenomeno vita, difficilmente imprigionabile in una formula razionale.
Non la si pu ridurre ai legami particolari n a un nesso esclusivamente generale.[113]
Si pu anche paragonare l'amicizia alla consonanza.[114] Essa, cio, nasce dalla vita e questa, come si visto, piena
di dissonanze, di contraddizioni; ma nell'amicizia le dissonanze si risolvono in una polifonia[115] che non rinuncia a
nessuna partitura ma le fa suonare tutte insieme armonicamente. Essa rappresenta il modo di accogliere e di vivere la
vita, un modo che non stato inventato dalla fantasia dell'uomo. L'amicizia non risulta solo un costrutto mentale o, al
massimo, sociale: essa una dimensione ontologica fondamentale del'uomo.[116]
Il punto chiave della riflessione florenskijana sull'amicizia sta nel capire la dinamica dell'accadere di tale consonanza.
Florenskij, per spiegarlo, ricorda il tentativo di Platone[117] di superare o, meglio, di "coprire" la contraddittoriet
dell'amicizia con il concetto di "propriet" contenente in s sia la somiglianza che la dis-somiglianza dei due.[118] Ma
subito aggiunge che si tratta di un concetto che non in grado di colmare l'abisso tra le due strutture dell'amicizia.
[119]

La consonanza accade nelle profondit mistiche della vita stessa dei due amici vissuta nella dinamica della reciproca
pericoresi, secondo l'esempio della vita tri-unitaria caratterizzata dalla completa donazione di ognuna della ipostasi,
dalla dinamica relazionale. Altrettanto accade nell'amicizia per cui l'amico apre tutto se stesso all'altro e gli si dona
totalmente e reciprocamente.[120]
Anche l'amore degli amici, derivante da quello tri-unitario, donazione totale, che manifesta l'armonia di tutte le loro
azioni sentite, desiderate, pensate, parlate. Florenskij vede, dunque, nell'amicizia una realt indispensabile per la
formazione umana della persona. L'amicizia d all'uomo l'autocoscienza, rivela dove e come necessario lavorare su
se stessi.[121] E il lavoro di quello di donarsi totalmente, di dare la vita per gli amici. Una donazione che si
concretizza nella totale apertura al "Tu" dell'amico, nell'accogliere in s come pienezza tutto ci che egli .[122]
La vera essenza di tale donazione sta nel perdere la propria anima per il proprio amico. In altri termini, l'amicizia si basa
su un totale rinnegamento di s per l'altro, che richiede il sacrificio della propria figura personale, della propria libert,
della propria vocazione. Chi vuole salvare la propria anima deve darla tutta per i suoi amici, ed essa non rivivr se non
muore.[123]
Di per s l'amicizia rifiuta le pose eroiche[124] che suscitano lo scalpore degli altri ma solo per un breve attimo.
L'atteggiamento che la costruisce e caratterizza, la totale donazione di s per l'altro che richiede invece la quotidiana
perseveranza dell'amico, la continua scelta di essere ancora amico dell'altro. L'eroismo pecca di un amore sbrigativo,
esteriore, superficiale, insomma, di un amore che non quello di phila. L'amicizia, invece, richiede un totale
immedesimarsi nell'altro, fonte di conoscenza intima e completa dei due, che sfocia nell'incondizionata accoglienza.
[125] Affinch tutto questo sia possibile necessaria la "vita in comune", cio un concreto stare insieme degli amici.
[126]

Questa vicinanza corporea, questo stare insieme, dev'essere inteso come una vera e propria co-esistenza nel senso pi
profondo della parola, dove la particella "co-" indica ci che il nerbo vitale dell'amicizia e, allo stesso tempo la sua
croce: il servizio vicendevole che sta nel portare i fardelli l'un per l'altro.[127] Una delle espressioni concrete di tale
atteggiamento la fedelt: l'amicizia si fonda sul comandamento dell'indissolubilit stretta come nel matrimonio,[128]
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dell'incrollabilit fino all'ultimo, fino all'effusione di sangue.[129]


In ultima analisi si pu costatare che l'amicizia, per Florenskij, una realt che mette alla prova la scelta pi profonda
di ogni uomo: quella di vivere o meno alla luce della Verit trinitaria. L'uomo ci che sceglie come sua meta, la sua
esistenza si identifica con la via che ha deciso di percorrere; il rifiuto della vita trinitaria o l'adesione all'ideale del
rinnegamento di s per gli altri. L'amicizia la realizzazione dell'ideale trinitario sempre in divenire, mai
completamente realizzato.

4. Conclusione
Si giunti cos alla fine di questo cammino in compagnia della proposta trinitaria florenskijana. Non mi resta che
sperare di essere stato chiaro nell'esporre il complesso e integrale punto di vista di Florenskij che fonda tutta la sua
speculazione e la sua vita nel dogma della Trinit e da esso e con esso affronta ogni realt che gli si presenta.
Copyright 2011 Giuseppe Malafronte

Giuseppe Malafronte. Trinit senso dell'uomo. Fede e ragione in P. A. Florenskij. Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del
Convegno La Trinit, Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**161 B].

Note
1. P. A. Florenskij, Ragione e dialettica, in N. Valentini, Pavel A. Florenskij, Morcelliana, Brescia 2004, p. 102.
2. In questo lavoro mi limiter a citare i testi florenskijani tradotti in italiano; per gli studi a lui dedicati cercher di usare
esclusivamente materiale in lingua italiana o comunque tradotto. Pavel Aleksandrovi Florenskij (1882-1937), laureato in
Matematica, rifiut la cattedra per studiare Teologia. Ordinato presbitero ortodosso, fu docente di Filosofia presso l'Accademia
Teologica di Mosca, svolse un'attivit filosofica, teologica, scientifica di livello assoluto fino a quando venne rinchiuso nel
famigerato gulag delle isole Solovski e fucilato. Per una visione complessiva ed abbastanza esaustiva della biografia di
Florenskij reinvio a: A. Pyman, Pavel Florenskij. La prima biografia di un grande genio cristiano del XX secolo, Lindau,
Torino 2010. Per una panoramica sul suo pensiero rimando a: G. Lingua, Oltre l'illusione dell'Occidente. P. A. Florenskij e i
fondamenti della filosofia russa, Zamorani, Torino 1999; S. Tagliagambe, Come leggere Florenskij, Bompiani, Milano 2006; N.
Valentini, Pavel A. Florenskij, Morcelliana, Brescia 2004; Id., Pavel A. Florenskij: la sapienza dell'amore. Teologia della
bellezza e linguaggio della verit, EDB, Bologna 1997; L. Zak, Verit come ethos. La teodicea trinitaria di P. A. Florenskij,
Citt Nuova, Roma 1998. Mi scuso, anticipatamente, per questa omissione generale che tanto avrebbe potuto giovare alla
comprensione dell'autore che lega in maniera indissolubile il suo pensiero con gli altri campi di indagine e con la sua stessa
esistenza, ma non sarebbe stato possibile essere esaurienti e entrare nello specifico contemporaneamente. Per ovviare a tale
problema cercher di utilizzare il corpo delle note non tanto per ampliare l'orizzonte su autori o pensieri paralleli (seppur
interessanti), quanto per lasciare che sia la stessa voce di Florenskij, attraverso i suoi testi, a riecheggiare per la maggior parte
cos da non appesantire neanche la lettura con sospensioni o pause.
3. Ecco cosa scrive di s, redigendo la voce che lo riguardava sul Dizionario enciclopedico dell'Istituto bibliografico russo Granat.
Florenskij assunse a scopo della propria vita l'apertura di nuove vie per una futura e globale visione del mondo (P. A.
Florenskij, Avtoreferat [Nota autobiografica], in Id., Il simbolo e la forma. Scritti di filosofia della scienza, Bollati Boringhieri,
Torino 2007, p. 5.
4. La concezione del mondo che egli [Florenskij] elabora si delinea per contrappunto a partire da alcuni temi tenuti saldamente
insieme da una peculiare dialettica e non si presta perci a essere riassunta e sistematizzata. Essa ha una struttura di carattere
organico, non logico, dove le singole formulazioni non possono essere estrapolate dal materiale concreto (P. A. Florenskij,
Avtoreferat [Nota autobiografica], in Id., Il simbolo e la forma. Scritti di filosofia della scienza, Bollati Boringhieri, Torino
2007, p. 6). In tale contesto importante comprendere la portata teoretica dell'esperienza che, molto spesso, viene affiancata ad
un'assenza di pensiero. La riflessione, invece, come notato da uno studioso del pensiero ortodosso riprende il suo punto
d'avvio dall'esperienza e da ci che esperimentabile e con un consenso sempre pi ampio oppone a quello analitico-occidentale
un pensiero originariamente unitario, includente anche l'esperienza e persino il sentimento, talora accentuando anche il "cuore"
come centro della persona rispetto alla "testa". [...] Pensiero unitario o pensiero della totalit significa pensiero, non sentimento.
Non si disprezza l'intelletto, ma un intellettualismo unilaterale (K. C. Felmy, La teologia ortodossa contemporanea. Una
introduzione, Queriniana, Brescia 1999, p. 36).
5. Ecco, ad esempio, come giustifica l'utilizzo, alquanto dubbio, di sue spiegazioni etimologiche. Per evitare malintesi, ritengo non
inutile ricordare che il vero oggetto delle nostre considerazioni la vita interiore e non la linguistica. Ecco perch qui, come in
altri passi, mi richiamo a etimologie dichiaratamente dubbie o per lo meno non sufficientemente studiate. Per noi le teorie
linguistiche non sono argomenti nel significato proprio del termine. (E in genere sono possibili questi argomenti nelle questioni
di vita interiore? E anche se fossero possibili, sono necessari dove la vita stessa parla con pi eloquenza di qualsiasi argomento?)
Ma se non sono argomenti, che cosa sono? Naturalmente, a loro modo, simboli. Allora non tanto importante sapere in qual
misura questi simboli vengano approvati dai linguisti attuali, perch le esperienze interiori valgono per tutti i tempi e per tutti i
popoli, mentre le opinioni scientifiche sono cose della moda corrente e mutevole, per niente pi stabile della moda dei cappelli e
dei manicotti. [...] La filosofia crea il linguaggio, non lo studia. Secondo l'espressione, diventata classica, di Wilhem Humboldt,
la lingua non una cosa immobile, non un e;rgon, bens un'attivit, una evne,rgeia. La parola si crea incessantemente e in ci
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la sua stessa essenza. Quindi la parola ci che gli conferisce di essere il creatore del linguaggio, il poeta o il filosofo (P. A.
Florenskij, CFV, pp. 761-762).
6. Pre-metto, mettere prima. Questa la definizione: premessa: chiarimento preliminare a un discorso o ad un testo (G. Devoto,
G. C. Oli, Vocabolario illustrato della lingua italiana [vol. II], Selezione dal reader's digest, Milano 197912, p. 602. Con queste
due premesse intendo ci che, appunto, viene prima ed indispensabile alla corretta comprensione della Trinit in Florenskij
senza che essa appaia per mai tematizzata.
7. Pro-metto: metto in favore di qualcosa o qualcuno. Io intendo qui promessa nel suo significato etimologico di un mettersi per,
con, pi che nella sua cristallizzazione nel linguaggio odierno. Queste promesse mantengono, appunto, l'impegno preso a partire
dalla prime premesse di raggiungere una maggior consapevolezza del percorso trinitario di Florenskij. Al contrario delle due
premesse, queste promesse tematizzano appieno la Trinit e ne fanno il fulcro di tutto il discorso florenskijano pur non
risolvendolo del tutto.
8. In una lettera del 27 luglio 1912 al pensatore religioso Valentin Koevnikov, suo amico e collega, Florenskij definisce le tre
fasi del suo pellegrinaggio spirituale: la catharsis, cio il processo di purificazione dal positivismo contemporaneo avvenuto
dopo la conversione, la mathesis, cio l'apprendistato, la fatica intellettuale per incorporare l'esperienza religiosa in una visione
del mondo olistica; la praxis, ovvero l'ascetismo positivo e l'amore attivo all'interno della vita sacramentale della Chiesa (A.
Pyman, Pavel Florenskij. La prima biografia di un grande genio cristiano del XX secolo, Lindau, Torino 2010, p. 217).
9. Cio dell'azione, della dimostrazione, dell'attuazione integrale senza divisioni.
10. P. A. Florenskij, Non dimenticatemi. Le lettere dal gulag del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Mondadori,
Milano 2006, p. 379.
11. Guardando pi attentamente dentro me stesso, trovo ancora qualcosa che ho appreso da quel nostro vivere in due appartamenti
collegati da un cortile. Ed la convinzione ferma, organica, nell'"essere" mistico contrapposto all'empirico "apparire" (P. A.
Florenskij, Ai miei figli. Memorie di giorni passati, Mondadori (Oscar), Milano 2009, p. 65) Tutto il mio sapere sulla vita si
era formato nelle mie primissime esperienze, e quando la coscienza le rischiar le trov completamente formate, terreno ubertoso
che attendeva solo condizioni propizie per dare frutto (P. A. Florenskij, Ai miei figli Memorie di giorni passati, Mondadori
(Oscar), Milano 2009, p. 113). Fin dalle prime esperienze familiari il giovane Pavel riconosce la parzialit di una visione
superficiale e scientista del mondo che non riesce a cogliere la totalit e soprattutto a tenerla insieme.
12. P. A. Florenskij, Ai miei figli. Memorie di giorni passati, Mondadori, Milano 2003 (ora anche nell'edizione Oscar Mondadori,
2009).
13. Persino le fiabe erano vietate a casa sua perch potevano suggestionare negativamente la giovane mente e non renderla aperta
alla spiegazione scientifica. Fiabe. A dispetto dell'innata componente fiabesca di tutta la mia concezione del mondo, i miei
genitori si adoperavano con ogni mezzo per tenermi distante dal mondo delle fiabe. Una delle ragioni era la mia spropositata
sensibilit; i miei genitori credevano che introdurmi nel regno della "fantasia" avrebbe nuociuto alla mia salute, gi cagionevole di
suo, cosicch il mio sistema nervoso venne salvaguardato da tutte quelle impressioni in cui -- non senza fondamento -- essi
scorgevano un ricco cibo per le paure e il senso di mistero della natura (P. A. Florenskij, Ai miei figli Memorie di giorni
passati, Mondadori (Oscar), Milano 2009, pp. 210-211).
14. Mia madre era per me come il caro grembo dell'esistenza, ma stringermi a lei come a qualcosa di caro mi pareva strano, fuori
luogo. [...] Non intendo dire che non avessi alcun rapporto con mia madre. Tutt'altro. Il nostro era un legame forte. Per non era
un legame personale. Era pi di tipo panteistico che morale (P. A. Florenskij, Ai miei figli Memorie di giorni passati,
Mondadori (Oscar), Milano 2009, p. 70).
15. Infatti gi osservava come i grandi mi volevano molto bene, ma capivano molto poco, o cos mi sembrava, del senso vero delle
mie domande (P. A. Florenskij, Ai miei figli Memorie di giorni passati, Mondadori (Oscar), Milano 2009, p. 91).
16. La materia del mondo mi insegn ad amarla e ad ammirarla. E io la amia. Non la materia del fisici, per, non gli elementi della
chimica, non il protoplasma della biologia, ma la materia stessa, con la sua verit e la sua bellezza, e con la sua integrit (P. A.
Florenskij, Ai miei figli Memorie di giorni passati, Mondadori (Oscar), Milano 2009, p. 97).
17. Io non amavo l'uomo in quanto tale, mentre ero innamorato della natura. E, in secondo luogo, il regno della natura lo ripartivo
in due categorie: il bello e il particolare (P. A. Florenskij, Ai miei figli Memorie di giorni passati, Mondadori (Oscar), Milano
2009, p. 109). Si pu vedere da questa dichiarazione come il giovane Florenskij vedesse nella natura qualcosa che andasse al di
l delle semplice contemplazione teoretica dell'insieme.
18. L'esistenza fondamentalmente misteriosa e non desidera che i suoi misteri vengano svelati dalla parola. La superficie della
vita di cui si pu ed concesso parlare molto sottile; al resto, alle radici della vita e forse all'essenziale, si addicono le tenebre
sotterranee (P. A. Florenskij, Ai miei figli Memorie di giorni passati, Mondadori (Oscar), Milano 2009, p. 103). Il bello era
pervaso di aria e di luce, era soave e mi era misteriosamente affine. Lo amavo teneramente, estasiato fino a sentirmi mancare il
respiro, fino a dispiacermi di non potermi fondere con lui per sempre, di non poterlo accogliere dentro di me e di non potere, io,
entrare in lui (P. A. Florenskij, Ai miei figli Memorie di giorni passati, Mondadori (Oscar), Milano 2009, p. 109).
19. La mia vista non era di tipo analitico, non estrapolava -- acuendoli -- singoli elementi; quel che coglievo era soprattutto la
forma (P. A. Florenskij, Ai miei figli Memorie di giorni passati, Mondadori (Oscar), Milano 2009, p. 110).
20. Ogni percezione rimandava ad un'altra, e nella mente si formava una sorta di sistema in cui quanto era eterogeneo si correlava
per dettagli piccoli ma, a mio parere, significativi. Piante, pietre, uccelli, animali [...], fenomeni atmosferici, colori, odori, sapori,
corpi celesti ed eventi sotterranei si intrecciavano tra loro in legami multiformi, andando a formare il tessuto del parallelismo
universale (P. A. Florenskij, Ai miei figli Memorie di giorni passati, Mondadori (Oscar), Milano 2009, p. 125).
21. La percezione infantile, infatti, pi di tipi estetico rispetto a quella di un adulto, pi scientifica, o quantomeno
pseudoscientifica (P. A. Florenskij, Ai miei figli Memorie di giorni passati, Mondadori (Oscar), Milano 2009, p. 126).
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22. La comprensione scientifica del mondo fiacca la differenza esteriore tra i fenomeni rendendoli estranei l'uno all'altro persino
quando essi sono qualitativamente identici cos che il mondo, privato di una vivace variet, non solo non si unifica, ma al
contrario si disperde. La percezione infantile supera la frammentazione del mondo dal di dentro. al di dentro si afferma l'unit
sostanziale del mondo, dovuta non al tale o al tal altro segno generico, ma percepibile senza mediazioni quando l'anima si fonde
con i fenomeni percepiti. Si tratta di una percezione mistica del mondo (P. A. Florenskij, Ai miei figli Memorie di giorni
passati, Mondadori (Oscar), Milano 2009, p. 127).
23. C' per da notare che gli avi del padre appartenevano tutti al clero come piccoli pope di campagna sposati.
24. Florenskij narra un episodio emblematico di questa ricerca. Incontrato per caso durante una passeggiata un pope, questi gli offr
una prosfora (pane benedetto che si dona alla fine di ogni funzione liturgica). La sorpresa fu grande, ma tornato a casa prima non
volle saperne di mangiarla e poi and a trafugarla dalla dispensa dove era stata risposta (Cfr. P. A. Florenskij, Ai miei figli
Memorie di giorni passati, Mondadori (Oscar), Milano 2009, pp. 158-159). E queste sono le conclusioni cui giunge il nostro
autore. Quanto accedde allora rappresenta in forma ristretta l'humus religioso su cui sarebbero cresciute le mie idee successive.
Volendo usare la lingua moderna della psicoanalisi, in me c'era l'eccitazione repressa del sentimento religioso: non ero stato
tagliato fuori in modo tanto efficace che con la forza della mia inclinazione interiore innalzavo ancor di pi il muro che era stato
eretto tra me e la religione. Tanto maggiore era la mia esigenza religiosa, tanto pi io, sul cammino a me indicato, mi allontanavo
mea sponte dall'eventualit di appagarla (P. A. Florenskij, Ai miei figli Memorie di giorni passati, Mondadori (Oscar), Milano
2009, p. 159).
25. Influenzato dal padre egli afferma che proprio dai sovratoni dei suoi giudizi lapidari che si sono cristallizzati gli embrioni delle
mie opinioni successive, vale a dire, in sostanza, che non esistano le religioni, ma che esiste la Religione. La religione cambia
continuamente volto nell'umanit, e continuamente differente il suo valore nei diversi suoi sembianti. Ma le forze che la
formano sono simili (P. A. Florenskij, Ai miei figli Memorie di giorni passati, Mondadori (Oscar), Milano 2009, p. 162).
26. Quanto alla religione crebbi completamente selvatico. Non mi portavano mai in chiesa, non parlavo con nessuno di argomenti
religiosi e non sapevo nemmeno come si faceva il segno della croce. Per sentivo che c'era tutto un ambito della vita, importante
e misterioso, e che c'erano dei gesti particolari che preservavano dalla paura. In segreto ne ero attratto, ma non li conoscevo e non
osavo domandare notizia. Captavo quel che potevo e di nascosto cercavo, come mi era possibile, di applicare le mie osservazioni.
Sotto una coltre di indifferenza, il mio rapporto con la religione era fluttuante e non poteva certo essere definito distaccato. Ero
combattuto tra un'appassionata attrazione e degli eccessi di ostilit contro quanto non conoscevo ma la cui realt mi era data
imperiosamente (P. A. Florenskij, Ai miei figli Memorie di giorni passati, Mondadori (Oscar), Milano 2009, p. 191).
27. L'ostacolo forse maggiore ad una scelta radicale di fede stato, per il nostro autore, il riconoscersi come creatura come debitore
a questa entit superiore senza per sentirsi una nullit. Dio realt e luce. Egli grande; ma anch'io sono realt e anch'io non
sono tenebra, poich non ho ancora conosciuto gli strali del peccato, n ho conosciuto la morte, e di conseguenza non mi sono
ancora riconosciuto quale sua creatura. "Io non nego Dio, ma anch'io, essere umano, sono un dio, e voglio disporre di me
stesso": questo era il senso delle mie emozioni (P. A. Florenskij, Ai miei figli Memorie di giorni passati, Mondadori (Oscar),
Milano 2009, p. 192).
28. Il fenomeno -- bi-unitario, spirituale-materiale --, il simbolo, mi sempre stato caro nella sua immediatezza, nella sua
concretezza, con la sua carne e la sua anima. In ogni vena della sua carne io vedevo, volevo vedere, cercavo di vedere e credevo
di poter vedere l'anima, la sola sostanza spirituale; e tanto salda era la mia convinzione che la carne non fosse solo carne, che non
fosse solo materia inerte, solo esteriore, quanto lo era la convinzione opposta, e cio che fosse impossibile, inutile e pretestuoso
pensare di vedere quest'anima incorporea spogliata del suo velo simbolico. [...] Il positivismo mi disgustava, ma non meno mi
disgustava la metafisica astratta. Io volevo vedere l'anima, ma volevo vederla incarnata. Qualcuno vorr chiamarlo materialismo.
Non si tratta, per, di materialismo, ma della necessit del concreto, o simbolismo. Sono sempre stato simbolista (P. A.
Florenskij, Ai miei figli Memorie di giorni passati, Mondadori (Oscar), Milano 2009, p. 202).
29. Dopo gli anni dell'infanzia l'estate del 1899 il pilastro della mia coscienza (P. A. Florenskij, Ai miei figli Memorie di giorni
passati, Mondadori (Oscar), Milano 2009, p. 265). Quell'estate era l'ultima che Florenskij pass in famiglia prima di trasferirsi a
Mosca presso la Facolt di Matematica. Ed ecco la viva testimonianza della sua esperienza di Dio. Con una fermezza che non
ammetteva dubbio alcuno sentivo quanto impotente fosse ci che mi aveva interessato fino a quel momento nella zona di buoi in
cui ero capitato. L c'erano le mie necessit, le mie sofferenze. Ed evidentemente dovevano esserci anche i miei mezzi e le mie
gioie. E io li stavo cercando, ma non li trovavo; mi lanciavo verso le uscite, ma sbattevo contro le pareti e mi perdevo tra
sotterranei e passaggi. Fui preso da una grande disperazione e dovetti ammettere l'impossibilit di uscire di l, l'evidenza di essere
definitivamente tagliato fuori dal mondo visibile. In quell'attimo un raggio sottilissimo, che era o una luce invisibile o un suono
impercettibile, mi rec un nome: Dio. Non era ancora un'illuminazione n una rinascita, ma solo la notizia di una possibile luce.
Per conteneva la speranza e nel contempo la consapevolezza tumultuosa e improvvisa che la morte o la salvezza erano tutte in
quel nome e nulla pi. Io non sapevo come fare a essere salvato, n perch. Non capivo dove fossi finito e perch in quel luogo
le cose della terra non avessero effetto. Ma mi ritrovai faccia a faccia con un nuovo fatto, tanto incomprensibile quanto
indiscutibile: esisteva un regno delle tenebre e della morte, e da esso veniva la salvezza. Fu una rivelazione improvvisa, come, sui
monti, nello strappo di un mare di nebbia appare all'improvviso un dirupo minaccioso. Per me fu una rivelazione, una scoperta,
uno choc, un colpo. E per quel colpo inatteso mi svegliai all'improvviso, come destato da una forza esterna e senza sapere
perch, ma, tirando le somme di quanto accaduto, gridai per tutta la stanza: "No, non si pu vivere senza Dio!" (P. A.
Florenskij, Ai miei figli Memorie di giorni passati, Mondadori (Oscar), Milano 2009, p. 267).
30. "La verit irraggiungibile", "non si pu vivere senza la verit": queste due asserzioni ugualmente forti mi straziavano l'anima
e portavano all'agonia il mio spirito. [...] Cominci a diventarmi chiaro che, se c'era mai, la verit non poteva essere esterna
rispetto a me, e che essa era la fonte della vita. La vita stessa la verit nel suo profondo, e questo profondo non sono gi pi io
e non pi dentro di me, sebbene io possa toccarlo. [...] "La verit la vita" mi ripetevo pi volte al giorno; "senza verit non si
pu vivere. Senza verit non c' esistenza umana". Era lampante, ma su queste e altre considerazioni simili il mio pensiero si
bloccava, incocciando ogni volta contro qualche ostacolo invalicabile. Un giorno, di colpo, sorse spontanea una domanda: "E
loro?". E con quella domanda il muro fu abbattuto. "E loro, tutti quelli che esistono e che sono esistiti prima di me? Loro, i
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contadini, i selvaggi, i miei avi, l'umanit in genere: davvero sono esistiti ed esistono senza la verit? Oser dunque sostenere
che gli uomini non abbiano avuto e non abbiano la verit, e che dunque non siano vivi e non siano uomini?" (P. A. Florenskij,
Ai miei figli Memorie di giorni passati, Mondadori (Oscar), Milano 2009, pp. 302-305).
31. Come suggerisce un noto studioso del pensiero florenskijano, Pavel si dibatteva tra Sacerdozio o scienza: questa
contrapposizione gli rodeva l'anima non meno di quella fra Dio o famiglia. Cos si svilupp dentro di lui il "senso vivo
dell'antinomicit". Ognuno di questi elementi aveva le proprie radici, la propria giustificazione. Che cosa scegliere? (Igumeno
Andronik [A. S. Trubacev], La vocazione di Florenskij, La Nuova Europa 5 (2007), pp. 51-52.
32. Esattamente fu ordinato diacono il 23 aprile e il giorno seguente segu l'ordinazione sacerdotale. L'anno precedente aveva
sposato Anna Michajlovna Giacintova da cui ebbe ben cinque figli.
33. "Sacerdozio e scienza", lo esortava monsignor Antonij. Cos si risolse la prima contrapposizione. Dal giorno dell'ordinazione
la teologia e la scienza di padre Pavel sarebbero passate al vaglio dell'esperienza dell'altare, sarebbero vissute dentro la vita della
Chiesa (Igumeno Andronik [A. S. Trubacev], La vocazione di Florenskij, La Nuova Europa 5 (2007), p. 52).
34. Leggiamo in un appunto di Florenskij del 23 aprile 1916, a cinque anni dall'ordinazione: "Guardandomi indietro, ringrazio il
mio Signore, che mi ha donato la Sua grande misericordia. Non star qui a parlare della grandezza del dono in quanto tale, forse
non lo comprendo ancora neppure in minima parte. Lo dico rispetto alla mia vita. Che cosa avrei fatto, come avrei potuto vivere
senza la vocazione sacerdotale? Come mi sarei agitato, quanto sarei stato infelice... quanto avrebbero avuto a soffrire per causa
mia Anna e i bambini. Anche ora, non che tutto vada bene, ma in quel caso saremmo periti tutti. Certo, ho avuto sofferenze,
contrasti anche a causa del ministero sacerdotale, ma che cosa sono mai, in confronto al dono della grazia!" (Igumeno Andronik
[A. S. Trubacev], La vocazione di Florenskij, La Nuova Europa 5 (2007), p. 62). Ed ecco il caro ricordo di Bulgakov: Ma tutto
quello che si pu dire dello straordinario talento scientifico di padre Pavel, come della sua originalit, in virt della quale poteva
sempre dire la sua, come una qualche rivelazione su tutto, tuttavia secondario e di poca importanza se non si riconosce in lui la
cosa pi importante. Il centro spirituale della sua personalit, il sole che illuminava tutte le sue doti era il suo sacerdozio. [...] Il
sacerdozio di padre Pavel, come tutto nella sua vita (tranne ci che su di lui compiva il male satanico anticristiano), era anche un
suo atto di autodeterminazione, cha da fuori era come se contraddicesse assolutamente ogni sua condizione di vita. Un tale
jurodstvo [pazzia], come la tonaca, non se lo potevano sognare allo stesso modo n suo padre ingegnere, n i suoi compagni di
ginnasio e di universit. Esso non derivava necessariamente neanche dall'ingresso all'Accademia teologica, ma era una sua voce
interiore, una sua scelta e una sua vocazione (S. N. Bulgakov, Il sacerdote Pavel Florenskij, in Id., Lo spirituale della cultura,
Lipa, Roma 2006, pp. 148-149).
35. P. A. Florenskij, Non dimenticatemi. Le lettere dal gulag del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Mondadori,
Milano 2006, p. 363. Ed ancora: La matematica non deve essere nella mente come un peso portato dall'esterno, ma come un
abitudine del pensiero: bisogna imparare a vedere i rapporti geometrici in tutta la realt e a individuare le formule in tutti i
fenomeni. Chi capace di rispondere all'esame e di risolvere i compiti, ma dimentica il pensiero matematico quando non si parla
direttamente di matematica, non ha appreso la matematica (P. A. Florenskij, Non dimenticatemi. Le lettere dal gulag del grande
matematico, filosofo e sacerdote russo, Mondadori, Milano 2006, p. 68).
36. Si veda, su tutti, l'analisi geometrica e fisica attuata su la Divina Commedia di Dante (P. A. Florenskij, Gli Immaginari in
geometria, in Id., Il simbolo e la forma. Scritti di filosofia della scienza, Bollati Boringhieri, Torino 2007) in cui si mettono in
contatto mondi a prima vista impossibili a paragonarsi: la poesia, da un lato, e la scienza pi astratta, dall'altro. In seguito a
questo accostamento non proprio ortodosso, ecco come si difende lo stesso autore: La mia intenzione quella di dimostrare,
prendendo le stesse parole di Dante, che egli, in modo simbolico, ha espresso un pensiero geometrico incredibilmente
importante, riguardo la natura e lo spazio. Non forse vero che Euclide protetto dallo stato come intoccabile? [...] ritengo che
l'analisi matematica e l'utilizzazione della geometria di immagini poetiche, in quanto espressione di alcuni fatti psicologici,
meritino l'attributo di "scientifico" e io ho proprio fatto un'analisi di questo tipo (cit. in Ibidem, p. 288).
37. Molti saranno gli scritti e gli studi dedicati alla scienza anche negli anni successivi e persino nel lager delle Solovski potr
lavorare a vari esperimenti scientifici e riuscire a brevettare alcune scoperte.
38. Florenskij vede nella matematica il primo e indispensabile presupposto della concezione del mondo, ma proprio
nell'autoreferenzialit della matematica che egli individua la causa della sua sterilit culturale (P. A. Florenskij, Avtoreferat, in
Id., Il simbolo e la forma. Scritti di filosofia della scienza, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 10). Cos si esprime un anno
dopo l'iscrizione all'Universit in una lettera al padre del 4 ottobre 1900: Ora mi occupo di Matematica, e me ne dovr occupare
sempre di pi, e un po' di Filosofia. Sia l'una che l'altra mi sono assolutamente necessarie e sento che la Matematica mi attrae
sempre pi fortemente. Dappertutto si trovano relazioni, analogie, paralleli [...] sono convinto di ricevere pi di quanto mi attenda
o speri. La Matematica per me la chiave del mondo, di quel mondo in cui non c' niente di cos insignificante da non doverne
tenere conto, niente che non sia in relazione con altro. Nel mondo della Matematica non c' bisogno di ignorare intenzionalmente
o inconsciamente intere regioni di fenomeni, ridurre e completare il reale. La Filosofia della natura si salda con l'etica e l'estetica.
La religione riceve un senso completamente nuovo e trova un corrispondente posto nel tutto, un posto del quale era in
precedenza priva, per il fatto di costruirsi un ambiente isolato (brano citato in S. Demidov, O matematike v tvorcestve P. A.
Florenskogo [Sulla Matematica nell'opera di P. A. Florenskij], in M. Hagemeister, N. Kauchtschischwili, P. A. Florenskij i
kul'tura ego vremeni [P. A. Florenskij e la cultura del suo tempo], Blaue Hrner Verlag, 1995, pp. 171-183).
39. N. VAlentini, La simbolica della scienza in Pavel A. Florenskij, in P. A. Florenskij, Il simbolo e la forma. Scritti di filosofia
della scienza, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. XXXII.
40. N. V. Bugaev (1837-1903) fu una conoscenza personale di Florenskij, professore di Matematica all'Universit di Mosca e
presidente della Societ matematica della stessa citt. Egli fa risalire la nozione alla saggezza antica: "Tu hai disposto con
misura, calcolo e peso" (Libro della Sapienza di Salomone 11, 21) e anche al pitagorismo: "Tutto numero", inteso come
numero intero, che idealizza il discreto e rappresenta la forma. con ci Bugaev tentava di elevare la ricerca matematica dai
tradizionali settori di applicazione alla conoscenza della natura e dell'arte (R. Betti, La matematica come abitudine del pensiero.
Le idee scientifiche di Pavel Florenskij, Universit Commerciale Luigi Bocconi -- Centro Pristem, Milano 2009, p. 26). Con lui
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si fa strada una concezione universale della matematica. Il gruppo dei matematici che gli si raccoglie intorno pensa che la
concezione continua delle leggi evolutive sia capace di descrivere ogni fenomeno il maniera sempre pi precisa pur di ridurne
indefinitamente le componenti elementari con un processo che non ha termine e che, nell'indefinita approssimazione, non riesce
mai ad arrivare al fondo dei problemi, al loro nocciolo. Per questa concezione, la verit scientifica soltanto approssimata. Ci
che avanza nella ricerca il casuale. Questa ci che viene chiamata Aritmologia e di cui Bugaev considerato il padre. Egli
colp il nostro autore soprattutto per le sue idee sulla discontinuit, che sono state anche il tema della sua tesi di laurea.
Innanzitutto il pensiero di Bugaev apriva un nuovo percorso per eliminare la scissione tra l'ambito del pensiero scientificofilosofico e l'ambito della religione, tale strada si apriva dalla teoria degli infiniti e dall'accettazione della crisi della continuit
matematica vista come pensiero arido e improduttivo. La teoria della discontinuit invece affiancava alle astratte teorie la
concretezza del pensiero dell'uomo. Cfr. P. A. Florenskij, Su un presupposto della concezione del mondo, in Id., Il simbolo e la
forma. Scritti di filosofia della scienza, Bollati Boringhieri, Torino 2007 pp. .
41. Si pu dire che l'aritmologia si mostra come il modo di filosofare di Florenskij, che impregna tutta la sua opera (S. M.
Polovinkin, P. A. Florenskij: Logos protiv chaosa, Moskva 1989, p. 18).
42. G. Cantor (1845-1918) ha molto influenzato il pensiero del nostro autore per ci che riguarda la sua teoria degli insiemi
transfiniti e la correlata teoria dell'infinito attuale e potenziale. Cfr. P. A. Florenskij, I simboli dell'infinito (Saggio sulle idee di G.
Cantor), in Id., Il simbolo e la forma. Scritti di filosofia della scienza, Bollati Boringhieri, Torino 2007, pp. .
43. Il quantum pu essere dato e stabilito in modo fermo e immutabile e del tutto determinato, e allora rappresenta ci che va sotto
il nome di costante. Ma pu essere anche non determinato, e pu mutare divenendo maggiore o minore. In quest'ultimo caso
viene detto variabile. L'infinito attuale, dunque, un caso particolare del quantum costante, mentre l'infinito potenziale lo del
quantum variabile, e in ci consiste la loro profondissima distinzione essenziale o, se si vuole, la loro sostanziale
contrapposizione (P. A. Florenskij, I simboli dell'infinito (Saggio sulle idee di G. Cantor), in Id., Il simbolo e la forma. Scritti
di filosofia della scienza, Bollati Boringhieri, Torino 2007, pp. 26-27).
44. L'infinito potenziale quel che gli antichi definivano peiron, gli scolastici syncategorematice infinitum, i nuovi filosofi cattivo
infinito (P. A. Florenskij, I simboli dell'infinito (Saggio sulle idee di G. Cantor), in Id., Il simbolo e la forma. Scritti di filosofia
della scienza, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 27).
45. In esso non difficile riconoscere ci che per gli antichi andava sotto il nome di forismnon, per gli scolastici categorimatice
infinitum e per i nuovi filosofi di infinito positivo, proprio (P. A. Florenskij, I simboli dell'infinito (Saggio sulle idee di G.
Cantor), in Id., Il simbolo e la forma. Scritti di filosofia della scienza, Bollati Boringhieri, Torino 2007, pp. 30-31).
46. Altamente significative proprio queste parole di Florenskij. Se per un verso, siamo nulla di fronte all'Assoluto, per l'altro siamo
comunque moralmente in parentela con Esso, possiamo comprenderlo; non direttamente, per, ma tramite simboli; dentro di noi
portiamo qualcosa di finito, di direttamente opposto alla Divinit: noi siamo transfiniti, siamo "il mezzo tra il tutto e il nulla" (P.
A. Florenskij, I simboli dell'infinito (Saggio sulle idee di G. Cantor), in Id., Il simbolo e la forma. Scritti di filosofia della
scienza, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 77). Il nostro autore russo si riferisce poi in questo saggio proprio alla condizione
umana che da un lato finita, mortale ma dall'altro divina, immortale, l'idea cara al pensiero ortodosso russo della divinoumanit che appartiene indifferentemente sia a Dio che all'uomo.
47. Siamo alle soglie della "nuova scienza". E solo quando essa verr fondata potremo apprezzare degnamente l'attivit di profeti
quali Georg Cantor e Nikolaj Bugaev (P. A. Florenskij, Su un presupposto della concezione del mondo, in Id., Il simbolo e la
forma. Scritti di filosofia della scienza, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 24).
48. La colonna e il fondamento della verit, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2010; da ora in poi CFV.
49. Il nostro autore vede il numero tre come immanente alla Verit, come da essa intimamente inseparabile (CFV, p. 57).
50. Immaginiamo un cerchio. Sulla circonferenza rotonda, qualsiasi delle tre persone pu essere considerata la prima e, allo stesso
tempo, qualsiasi delle altre due pu essere riconosciuta come la seconda, cos che l'ultima diventa la terza. Se le persone fossero,
per esempio, quattro, tutto ci non sarebbe possibile. Cfr. L L. Zak, Verit come ethos. La teodicea trinitaria di P. A. Florenskij,
Citt Nuova, Roma 1998, pp. 300-303 (da cui prendo anche lo schema delle circonferenze). Il numero "tre" [...] caratterizza
l'assolutezza della Divinit, proprio di tutto ci che possiede una relativa autonoma completezza, degli aspetti in s completi
dell'essere. Decisamente il numero "tre" appare dappertutto come categoria fondamentale della vita e del pensiero (P. A.
Florenskij, CFV, p. 584 [654]).
51. Di conseguenza il numero un prototipo, uno schema ideale, una primitiva categoria di pensiero ed essere. una forma di
organismo elementare intelligente, qualitativamente distinto da altri simili organismi-numeri. E non a caso Platone identificava
quasi le proprie idee con i numeri pitagorici e i neoplatonici fondevano le une e gli altri con gli dei (P. A. Florenskij, I numeri
pitagorici, in P. A. Florenskij, Il simbolo e la forma. Scritti di filosofia della scienza, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. ???).
52. P. A. Florenskij, Il significato dell'idealismo, Rusconi, Milano 1999, p. 161.
53. Si pensi alle molte pagine dedicate ad essa, alla sua opera principale. per il caso, qui, di tralasciare questa analisi per non
rendere ancor pi difficile il gi complesso cammino qui intrapreso. Sono certo che il concetto di Verit riuscir, comunque, a
balzar fuori, dalle stesse parole di Florenskij e dai suoi illuminanti ragionamenti. Per approfondire il tema rimando a: N.
Valentini, Pavel A. Florenskij: la sapienza dell'amore. Teologia della bellezza e linguaggio della verit, EDB, Bologna 1997; L.
Zak, Verit come ethos. La teodicea trinitaria di P. A. Florenskij, Citt Nuova, Roma 1998; M. ust, la recherche de la Vrit
vivante. L'experience religieuse de Pavel A. Florensky (1882-1937), Lipa, Roma 2002.
54. La concezione del simbolo molto importante in Florenskij ed uno dei capisaldi del suo pensiero. Al simbolo appartiene lo
speciale compito di tenere uniti il mondo del visibile, cui appartiene, col mondo dell'invisibile, cui rimanda non solo
figuratamente ma in maniera formale. Per tutta la vita ho pensato, in sostanza, a una sola cosa: al rapporto tra fenomeno e
noumeno, al rinvenimento del noumeno nei fenomeni, alla sua manifestazione, alla sua incarnazione. Sto parlando del simbolo. E
per tutta la vita ho riflettuto su un solo problema, il problema del SIMBOLO (P. A. Florenskij, Ai miei figli. Memorie di giorni
passati, Mondadori (Oscar), Milano 2009, p. 201). Ed ancora: Una realt che pi di se stessa. Questa la definizione
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fondamentale del simbolo. Esso un'entit che manifesta qualcosa che esso stesso non , che pi grande e che per si rivela
attraverso questo simbolo nella sua essenza. Analizziamo questa definizione formale: il simbolo una realt la cui energia
cresciuta insieme o, meglio, confluita [sratvorennaja] insieme con un altro essere pi prezioso rispetto a lui, contiene in s
quest'ultimo (P. A. Florenskij, La venerazione del nome come presupposto filosofico, in Id., Il valore magico della parola,
Medusa, Milano 20032, p. 28). In questo senso uno dei simboli per eccellenza rappresentato dal nome che per Florenskij
qualcosa di oltre un semplice segno significante ma una realt a s stante con una vita autonoma e positiva frutto dell'incontro tra
la realt e il soggetto conoscente e pensante. Due energie, quella della realt e quella del conoscente, sono prossime l'una
all'altra, e forse si mescolano, ma tale mescolanza fluttuante non rappresenta ancora un'unit e suscita, a seguito della lotta in
conciliata dei suoi elementi nel nostro intero organismo, un forte desiderio di equilibrio. La tensione cresce, e sempre pi forte si
percepisce il contrasto tra colui che conosce e ci che dev'essere conosciuto. come prima del temporale: la parola il lampo che
straccia il cielo da est a ovest e rivela il senso incarnato; nella parola vengono compensate e unite le energie accumulate. La parola
un lampo, non l'una o l'altra energia, ma un nuovo fenomeno energetico, costituito da due unit, una nuova realt nel mondo:
un canale di collegamento tra ci che finora era separato (Ibidem, pp. 32-33).
55. A=A dice tutto; e cio: "La conoscenza limitata ai giudizi convenzionali [relativi]", o semplicemente: "Taci!, ti dico". Questa
formula, chiudendoci meccanicamente la bocca, ci condanna a restare nel finito e quindi nel casuale, e afferma in partenza la
divisione e il particolarismo egoistico degli elementi ultimi dell'esistente, spezzando ogni nesso razionale tra loro. Al quesito:
"Perch? Per quale ragione?", essa ripete: " cos e basta" (Sic et non aliter), interrompendo l'interrogante, incapace sia di
soddisfarlo, sia di insegnargli l'autolimitazione (P. A. Florenskij, CFV, pp. 35-36).
56. Ogni giudizio emesso o attraverso di s o attraverso un altro, vale a dire dato o immediatamente o mediatamente, cio
come conclusione di un altro, e in questo caso ha in quest'altro il proprio fondamento sufficiente. Se non n per s n per un
altro, risulta privo di contenuto reale e di forma ragionevole, cio non un giudizio ma solo suoni, flatus vocis, una vibrazione
dell'aria (P. A. Florenskij, CFV, p. 34).
57. L'evidenza dell'intuizione pu essere l'auto-evidenza dell'esperienza sensibile, e allora il criterio di verit sar il criterio degli
empirici, dell'esperienza esterna (empirico-criticisti, ecc.): " attendibile ci che pu essere ridotto alla percezione immediata
degli organi dei sensi"; attendibile la percezione dell'oggetto. Pu essere l'auto-evidenza [evidenza]dell'esperienza intellettuale, e
in questo caso il criterio di verit sar il criterio degli empirici dell'esperienza interiore (trascendentalisti, ecc.): " attendibile tutto
ci che si riduce alle tesi assiomatiche del raziocinio; attendibile l'auto-percezione [percezione di s] del soggetto". Infine,
l'auto-evidenza dell'intuizione pu essere l'evidenza dell'intuizione mistica. In questo caso il criterio di verit quello enunciato
dalla maggior parte dei mistici (specialmente indiani): " attendibile tutto ci che resta quando scomparso tutto ci che non
riducibile alla percezione del soggetto-oggetto; attendibile soltanto la percezione del soggetto-oggetto nel quale non ci sia
divisione in soggetto e oggetto" (P. A. Florenskij, CFV, pp. 34-35).
58. legge d'identit quella che consente di pensare l'oggetto del pensiero come questo e non altro e di allacciarvi tutte le
precisazioni che gli competono (P. A. Florenskij, CFV, p. 493. Qui padre Pavel sta citando G. Hagemann, Logik und Noetik,
ed. 4, Friburgo in B., p. 23, cit. in Ibidem, p. 768).
59. Ogni A, escludendo tutti gli altri elementi, viene escluso da tutti questi, perch se ognuno di essi per A soltanto non-A, anche
A rispetto a non-A soltanto la negazione di non-A. Dal punto di vista della legge d'identit, tutto l'essere, mentre desidera
affermare se stesso, in realt si annienta, perch si riduce a un ammasso di elementi ciascuno dei quali un centro di negazione e
soltanto di negazione; in tal modo tutto l'essere semplice negazione, un solo grande "No". La legge dell'identit uno spirito di
morte, di vuoto, di annientamento (P. A. Florenskij, CFV, p. 37).
60. Lo stesso si pu dire poi della prospettiva storica. Ogni A diverso storicamente da ogni altro A passato e futuro. Non vi
nessun momento sintetico. La metafisica del principio di identit non esprime la vita storica nel suo divenire perch non pu
rendere il mutamento che resta qualcosa di accidentale, di spurio rispetto al processo della verit. L'A di prima non identico
all'A di adesso e l'A futuro sar diverso da quello presente. L'A presente si contrappone nel tempo a quello passato e a quello
futuro, come avviene nello spazio per l'elemento separato e isolato. Anche nel tempo la coscienza in contraddizione con se
stessa. In nessun luogo mai identica (P. A. Florenskij, CFV, p. 37).
61. Stando cos le cose, da una parte l'Io odia ogni Io fuori da se stesso [fuori di s], perch il secondo Io non per lui Io, e,
odiandolo, si sforza di escluderlo dalla sfera dell'essere; siccome poi anche l'Io passato visto oggettivamente, cio come non-Io,
anch'esso implacabilmente destinato all'esclusione. L'Io non sopporta se stesso nel tempo, nega in ogni maniera se stesso nel
passato e nel futuro, e perci (essendo il nudo "adesso" un puro zero quanto a contenuto) odia ogni suo contenuto concreto, cio
ogni sua vita propria. L'Io risulta un deserto morto di "qui" e "adesso" (P. A. Florenskij, CFV, p. 38).
62. La legge di identit un [monarca] assoluto, ma i suoi sudditi non protestano contro la sua autocrazia solo perch sono spettri
senza sangue, privi di esistenza reale, non sono persone ma solo ombre razionalistiche di persone. Questo lo sheol, il regno
della morte (P. A. Florenskij, CFV, p. 38).
63. Nell'altro giudizio il dato immediato viene come giustificato (oprav-dnnoe), vi viene quasi a trovare la sua verit(P. A.
Florenskij, CFV, p. 40).
64. Tutta la razionalit, tutta l'essenza, tutto il senso del nostro criterio sta, come germe nell'uovo, nella possibilit di giustificare
ciascun gradino della scala discendente dei giudizi, cio nella assoluta e costante possibilit di discendere ancora per lo meno un
gradino al di sotto di qualsiasi dato, cio nel potere sempre passare da n a n + 1, qualunque sia n (P. A. Florenskij, CFV, p.
41). Si marcia indefinitamente all'indietro, in un regressus in indefinitum, in una discesa nella grigia nebbia della "cattiva"
infinit, in una caduta senza arresto nell'indefinito e nell'infondato (P. A. Florenskij, CFV, p. 41).
65. Il fondamento del raziocinio la legge d'identit e la sua trama la legge di ragion sufficiente. Il suo tessuto fatto di finito e
infinito, una cattiva infinit e indeterminatezza che si lacera nelle contraddizioni [nella contraddizione]. Il raziocinio ha
ugualmente bisogno di ambedue le norme e non pu operare senza l'una o senza l'altra. Ma non pu lavorare nemmeno
adoperandole tutte e due, perch sono incompatibili (P. A. Florenskij, CFV, p. 494). Se la prima, cio, esige che il pensiero sia
immediato e quindi che si fermi su un determinato dato che unico, finito e limitato, la seconda esige l'esatto contrario, e cio che
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esso si muova senza fine.


66. Egli, da parte sua, cerca innanzitutto di dimostrare l'assurdit della rinuncia alla Verit, ricorrendo, in un secondo momento, al
metodo ipotetico per definire -- alla luce di quella che ("se esiste") la Verit Assoluta -- i presupposti teorici della sua
conoscenza (L. Zak, Verit come ethos, p. 237). L'impostazione gnoseologica florenskijana di partire dalla scepsi risente
dell'influsso dell'archimandrita S. Makin. L'attenzione di p. Serapion fu volta fino alla morte alla costruzione di un sistema che
iniziando dalla scepsi assoluta e abbracciando tutte le questioni fondamentali dell'umanit, si concludesse con un programma di
attivit sociale (P. A. Florenskij, CFV, p. 606 [672-673]).
67. L'intuizione cieca una cinciallegra in mano, mentre la discursio razionale una gru in volo. Se la prima d una soddisfazione
non filosofica, con la sua presenza e con la sua certezza, la seconda, di fatto, non raggiunta dalla ragione ma semplicemente da
un principio regolativo, da una norma d'azione della ragione, da una strada che dobbiamo eternamente percorrere per non
arrivare mai a nessuna meta. Il criterio razionale una direzione, non un fine (P. A. Florenskij, CFV, p. 42). Qui il nostro
autore ci offre una stravagante ed originalissima parafrasi della classica osservazione kantiana posta all'inizio della logica
trascendentale, secondo la quale "i pensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetto sono cieche".
68. Il dubbio come insicurezza ormai lontano: incominciato il dubbio assoluto come totale impossibilit di affermare una cosa
qualsiasi, perfino la propria non affermazione (P. A. Florenskij, CFV, p. 45).
69. L'epoch si deve ritenere non come rinuncia tranquilla e spassionata al giudizio, bens come dolore interiore nascosto che fa
stringere i denti e tende ogni nervo e muscolo nello sforzo per non urlare e non prorompere in un folle ululato. Questa
chiaramente non atarassia; anzi la tortura pi crudele che strappa le fibre pi profonde dell'essere, il martirio del pirronismo,
veramente di fuoco (P. A. Florenskij, CFV, p. 46).
70. Io non ho la Verit in me, ma l'idea della Verit mi brucia; non ho i dati per affermare che cosa sia la Verit e che io la
raggiunger, ma confessandolo rinuncerei alla sete dell'assoluto, perch accetterei qualcosa di indimostrato. Tuttavia l'idea della
Verit brucia in me come "fuoco divoratore" e la segreta speranza di incontrarla faccia a faccia incolla la mia lingua al palato;
essa il torrente infuocato che mi ribolle e gorgoglia nelle vene (P. A. Florenskij, CFV, pp. 46-47).
71. Io provo a edificare qualcosa lasciandomi guidare non dalla scepsi filosofica ma dal mio sentimento, desistendo per ora dal
bruciarlo con la lava di Pirrone. Nutro, infatti, in me una segreta speranza, la speranza nel miracolo (P. A. Florenskij, CFV, p.
49).
72. Quali giudizi dovremmo formulare nei riguardi di questa esperienza (e ribadisco ancora una volta che non ce l'abbiamo? Eccoli:
1) la Verit assoluta esiste, cio assoluta realt; 2) essa conoscibile, cio assoluta ragionevolezza; 3) essa data come fatto,
cio l'intuizione finale; ma anche assolutamente dimostrata e quindi ha la struttura di un infinito discorso. L'analisi ci dice che
la terza tesi implica le altre due. Infatti se la Verit intuizione, significa che ; se la Verit discorso significa che conoscibile.
Infatti l'intuitivit l'immediatezza effettiva dell'esistenza, mentre la discorsivit la possibilit ideale della conoscibilit. Quindi
tutta la nostra attenzione deve concentrarsi sulla tesi duplice nella forma, ma unica nell'idea ispiratrice: "La Verit intuizione, la
verit discorso", o semplicemente: La verit intuizione-discorso (P. A. Florenskij, CFV, pp. 50-51).
73. L'intuizione discorsiva un'intuizione differenziata all'infinito, il discorso intuitivo una discursio integrata fino all'unit.
Quindi se la Verit esiste, una razionalit reale e una realt razionale, un'infinit finita e un infinita finitezza, ovvero, per
esprimerci in termini matematici, un'infinit attuale, un Infinito pensabile come Unit complessiva, come Soggetto uno e in s
finito (P. A. Florenskij, CFV, p. 51).
74. La Verit racchiude tutta la pienezza della serie infinita dei suoi fondamenti, la profondit della sua prospettiva; il sole che con
i suoi raggi illumina se stesso e tutto l'universo; un abisso di potenza e non di nullit. La Verit moto immobile e immobilit
che si muove, unit degli opposti, coincidentia oppositorum (P. A. Florenskij, CFV, pp. 51-52). Nel nostro autore echeggia
consapevolmente la formula classica (coincidentia oppositorum) adoperata da Nicol Cusano.
75. La conoscenza tale solo nel momento in cui pu pretendere un significato che va oltre i limiti del dato momento e del dato
luogo e cio quando questo momento unico rivolto verso un'altra esistenza, esce dai suoi stessi confini ed indica qualcosa di
pi rispetto a quanto esso stesso (P. A. Florenskij, Il significato dell'idealismo, p. 45).
76. La conoscenza si ha solo dove l'en (uno) si estende nel poll (molti), formando en ka poll (l'uno e il molteplice) [...]. La
conoscenza possibile l dove l'uno diretto verso il molteplice, si estende verso l'altro (P. A. Florenskij, Il significato
dell'idealismo, p. 46). Si pu notare in questa formula tutto l'ascendente platonico di Florenskij. Egli non lo nasconde, anche se
ci che pi lo interessa non il platonismo (i cui sinonimi sono per lui idealismo, realismo) in se stesso come la filosofia di
Platone, ma in quanto visione peculiare del mondo che riesce simultaneamente a tener insieme la ragione filosofante e la ragione
teologica. Il platonismo si rivelato come la concezione del mondo pi vicina al sentire della religione in quanto tale e, per parte
sua, la terminologia del platonismo si dimostrata come il linguaggio pi adatto ad esprimere la vita religiosa (Ibidem, p. 34).
Dunque il distinguere secondo genere e non ritenere come diverso un aspetto che sia lo stesso, n per lo stesso uno che sia
diverso, non diremo forse che questo proprio della disciplina dialettica? [...] Dunque colui che capace di fare questo conosce
perfettamente anche un'idea sola fra molte, che se ne sta disposta per ogni dove, mentre ciascun elemento se ne sta a parte, e
molte altre differenti tra di loro, che sono strette insieme dall'esterno da una sola, e quest'una che si tiene congiunta in unit
attraverso una moltitudine di interi, e molte ancora che si tengono del tutto distinte (Platone, Sofista, 253d). L'idea platonica
tocca uno dei punti nevralgici di tutta la filosofia occidentale. Con l'n kai poll, la filosofia pur agli albori, gi massimamente
matura perch individua un centro a partire dal quale assumere i diversi livelli del problema della verit. Si crea infatti una
proficua tensione di rimando tra la manifestazione molteplice della realt e la riconciliazione all'unit del sapere, tensione che
impone un'analisi psicologica (sulle condizioni della percezione del soggetto), gnoseologica (su come i giudizi possano accedere
alla conoscenza oggettiva delle cose e dei processi, ovvero esprimere le peculiarit di ci che diverso dalla ragione stessa) e in
ultimo ontologica (su come sia costituita la realt perch sia valida la pretesa di verit dei nostri giudizi) (G. Lingua, Oltre
l'illusione dell'Occidente. P. A. Florenskij e i fondamenti della filosofia russa, Zamorani, Torino 1999, p. 174). Florenskij
sceglie la strada platonica mettendola a confronto con l'idealismo trascendentale di Kant che rappresenta una vera e propria
filosofia della solitudine, che, riconoscendo nell'Io dell'uomo chiuso in se stesso il suo principio fondamentale, non pu non
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condurre all'egoismo, all'odio, al nichilismo assoluto. Nell'idealismo concreto di Platone, invece, egli riconosce la strada che
porta, attraverso una conoscenza idealista del mondo -- che vede nel reale i realiora -- alla conoscenza vera della vita concreta.
In questo senso -- constata Florenskij -- uno la "fede nella morte", l'altro la "fede nella vita" (L. Zak, Verit come ethos, p.
168).
77. Florenskij tenta proprio di scardinare la visione tridimensionale classica per proporne una quadrimensionale in cui risulta
centrale la visione simbolica e concreta della vita, della storia. Nella visione tridimensionale c' successione, analisi ma, mai
un'appercezione integrale, intuitiva. La percezione quadrimensionale permette di cogliere il tutto come un insieme, di concepire
l'unit nella molteplicit. La quarta coordinata che permette questo il tempo, cio rendere attraverso uno strumento conoscitivo
lo stesso processo di analisi, la successione diventa essa stessa essenziale alla conoscenza. Nelle tre dimensioni l'uno posto di
fronte al molteplice, nelle quattro dimensioni l'uno presente nella molteplicit come moto interno di unit e la molteplicit
pervade l'unit come suo motivo dinamico e vitale. La quarta dimensione la profondit ontologica della realt che appare nella
sua interezza e complessit. L'idea della contemplazione quadrimensionale gi apparsa pi volte: addirittura possibile che
essa entri proprio a far parte della composizione della concezione della vita, perci, se volessimo datarla, vedremmo che non
pi antica rispetto al tutto con il quale sostanzialmente legata. Per lo meno la simbolica religiosa delle pi antiche religioni
prende vita quando la si guarda nella prospettiva che abbiamo proposto pi in alto. Per i filosofi il pensiero della realt
quadrimensionale (cio di una percezione superiore della profondit del mondo) si esprime in maniera distinta. Riprendo il mito
platonico "della caverna". Gli schemi piatti e le proiezioni delle cose sono per i corpi come delle ombre; allo stesso modo si attua
la relazione fra il mondo tridimensionale e quello vero: cos Platone enuncia il mistero delle contemplazioni della caverna. Tale
mistero per l'erede della grotta di Ditte a Creta, rifugio del neonato Zeus. I misteri delle caverne sono poi stati studiati
ulteriormente dai filosofi, fino ad arrivare addirittura a Schelling e Goethe. Ma le Idee, Madri di tutto ci che esiste, vivono in
profondit, cio secondo quell'orientamento che la profondit del nostro mondo tridimensionale, perci i discorsi su di esse,
anche i pi chiari, per un udito tridimensionale non sono che un ronzante balbettio donnesco delle Parche (A. S. Pukin) (P. A.
Florenskij, Il significato dell'idealismo, p. 105).
78. L'Uno ha una profondit che si estende con lunghe radici fino a penetrare negli altri mondi, e dai quali riceve la vita. La sua
tonalit sonora non quella del secco e isolato diapason, ma una viva armonia che si incarna in un insieme di toni melodici, alti,
svariati... L'e;n (uno) infinitamente pi grande e pi ricco di contenuto di quanto non sia razionale (P. A. Florenskij, Il
significato dell'idealismo, p. 67.
79. La dottrina della SS. Trinit non attrae la mia mente solo perch il centro delle sante verit comunicateci per mezzo della
Rivelazione -- scriveva il 2 ottobre 1852 I. V. Kireevskij ad A. Koelev -- ma anche e soprattutto perch, occupandomi di
filosofia, sono giunto alla convinzione che l'orientamento della filosofia dipende, sin dal suo principio, dal concetto che noi
abbiamo della SS. Trinit (P. A. Florenskij, Il significato dell'idealismo, pp. 161-162.
80. Pur non riferendosi a nessun periodo storico particolare Florenskij sembra polemizzare con la deriva intellettualistica che la
dogmatica ha preso nel corso dei secoli fino alle teorizzazioni a lui contemporanee che non percepiscono pi il valore della vita e
non riescono pi ad inserirlo nelle proprie speculazioni troppo fredde e aride. A questo contrappone la dogmatica di stampo
patristico che partiva dalle esperienze concrete di vita ed era scritta e insegnata da autentici pastori d'anime sempre in contatto con
le concrete esigenze delle loro comunit. Su questa linea, dal punto di vista filosofico, si pu riscontrare un parallelo con la
predilezione per la dialettica paolina al posto di quella troppo intellettualistica dell'idealismo tedesco dell'Ottocento. Cfr. P. A.
Florenskij, Ragione e dialettica, pp. 102-111.
81. Il concetto, che di per s non vale nulla, acquisisce un valore convenzionale attraverso il suo legame con le esperienze che
schematizza (P. A. Florenskij, Dogmatismo e dogmatica, in Id., Il cuore cherubico. Scritti teologici e mistici, Piemme, Casale
Monferrato (AL) 1999, p. 143. altrove: Ecco un piano solo approssimativo del lavoro che si presenta davanti a tutti noi: la
costruzione di una dogmatica esperienziale (Ibidem, p. 168).
82. Il nostro sistema dogmatico si presenta noioso, talmente noioso che non si trova nemmeno il tempo per polemizzare con esso;
colui che lo elogia riconosce che la dogmatica buona, ma non per lui, "per qualcun altro". In una parola, esso esiste non per la
vita e nemmeno per le persone: viene tenuto in serbo, per non si sa bene per chi (P. A. Florenskij, Dogmatismo e dogmatica,
in Id., Il cuore cherubico, p. 147).
83. La vita scorre al di fuori del nostro insegnamento dottrinale e la fede scorre al di fuori della vita (Ibidem, p. 149).
84. P. A. Florenskij, Dogmatismo e dogmatica, in Id., Il cuore cherubico, p. 151. Il sistema diventato inesorabilmente noioso e
incapace di convincere la maggior parte delle persone, spesso persino coloro che accolgono tutto il Vangelo (Ibidem).
85. Alla dogmatica viva subentrato il dogmatismo, ecco la ragione della nostra freddezza di fronte alle forme meravigliose, ma
ormai prive di vita, di questa dogmatica (P. A. Florenskij, Dogmatismo e dogmatica, in Id., Il cuore cherubico, p. 152).
86. Non bisogna dimenticare che l'uomo vive prima per mezzo dello spirito e solo in seguito compie le astrazioni di ci che ha
vissuto: i principi teorici sono solo schemi, segni, contorni delle effettive esperienze, mentre in queste ultime troviamo la fonte, la
vita e il fine di tutte le teorie (P. A. Florenskij, Dogmatismo e dogmatica, in Id., Il cuore cherubico, p. 154).
87. Voi [teologi di professione] non solo non potete dimostrare la falsit, ma non ne intravedete neppure la veridicit. Nel migliore
dei casi, proprio questa la condizione della dogmatica contemporanea, che si fonda meccanicamente sull'autorit delle Sacre
Scritture, della santa Tradizione e non offre alcun motivo di opporsi ad essa; ma per la maggior parte delle persone nemmeno la
sua veridicit visibile (P. A. Florenskij, Dogmatismo e dogmatica, in Id., Il cuore cherubico, p. 156).
88. Cfr. P. A. Florenskij, Dogmatismo e dogmatica, in Id., Il cuore cherubico, p. 158.
89. P. A. Florenskij, Dogmatismo e dogmatica, in Id., Il cuore cherubico, p. 161.
90. Nella sua valenza etimologica di porsi fuori, rendersi conoscibile ed apparire altro a se stesso. E-siste colui che si percepisce
esistente nella copula "" (essere). Sono due metodi di ricerca: uno incerto, che parte dall'ignoto per arrivare al conosciuto,
l'altro vero, che va dal conosciuto all'ignoto (Ibidem). Questo saggio florenskijano termina poi con un appello alla centralit
dell'uomo concreto nella dogmatica (la chiama via dei Padri) in favore di una astratta via universalmente umana. La prima via,
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quella dei Padri studia l'uomo privo di contenuto, che ha in s una minima parte di vita spirituale, invece nella via per ogni
uomo si rende necessario lo studio del campione dell'umanit: Ges Cristo (o uis tou avthropou). Rifacendosi alla cristologia
paolina della lettera ai Galati (Gal. 3, 26-29), Florenskij riconosce in Ges uomo il riempimento di ogni categoria concettuale
umana. La vera pienezza di senso. una dogmatica esperienziale che parte dalla concreta "vita vissuta" dell'uomo-Dio per
eccellenza. la fondazione di una conoscenza mistica nata dalla comunanza umana con il Dio che Cristo. Una conoscenza tutta
umana, mai troppo ascetica perch compenetrata nell'intimo dalle aporie e dai limiti dell'umanit, quindi essenzialmente
esperienziale. Cfr. sull'argomento Y. Spiteris, La conoscenza esperienziale di Dio e la teologia nella prospettiva orientale,
Antonianum 3 (1997), pp. 365-426.
91. Gv. 4, 8.16. Secondo la definizione di Bulgakov: Dio Amore significa non soltanto che l'amore il proprio di Dio, perch
egli colui che ama, ma appunto ch'egli stesso amore, che tale il suo essere stesso. Qui abbiamo una definizione non
descrittiva ma ontologica (S. Bulgakov, Paraclito, Bologna 19872, p. 137). Dio essere assoluto perch atto sostanziale di
amore, atto-sostanza (P. A. Florenskij, CFV, p. 82). Ancora Bulgakov illuminate sul tema: L'Amore non una qualit, ma
l'essenza stessa di Dio; la relazione sostanziale del soggetto trino amore come reciprocit e come abnegazione reciproca, come
amore che si sacrifica. Poich esprime se stesso solo nell'altro, l'Amore si realizza soltanto in e attraverso l'altro (S. Bulgakov,
Capitoli sulla Trinitariet, in P. Coda, Sergej Bulgakov, Morcelliana, Brescia 2003, p. 125).
92. Nella Professione di fede dei 318 padri del concilio Niceno I (325) si legge: Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente,
artefice di tutte le cose visibili e invisibili, e in un solo Signore Ges Cristo, il Figlio di Dio, generato unigenito dal Padre, cio
dalla sostanza del Padre ( ), Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non fatto,
consostanziale al Padre ( ) (DS, 125). Occorre aggiungere che Florenskij traduce il termine omoousios con
la parola edino-sunij (uni-sostanziale) e non, come si pu trovare in altri autori, con konsubstancialnij (consustanziale). Cfr. L.
Zak, Verit come ethos, p. 255. Tutto il senso del dogma sta nell'omoosios, stabilito da Atanasio e ci che gli estraneo
soltanto vanit dell'uomo, opinione transeunte (P. A. Florenskij, CFV, p. 67).
93. Nella comprensione nuova, illusionistica, domina l'accezione psicologica dell'amore [...]. Questa nuova comprensione sembra
risalire a Leibniz e se ne capisce la ragione. Per lui infatti "le monadi non hanno finestre o porte [porte o finestre]" attraverso le
quali possa avvenire l'azione reciproca reale dell'amore; condannate all'autoclausura dell'egoismo ontologico e dello stato
puramente interiore, esse perci amano soltanto illusoriamente, non uscendo da s per mezzo dell'amore. [...] Come abbiamo
visto, per Leibniz e i suoi seguaci l'amore condizionato dalla concezione della felicit dell'altro, mentre per Spinoza "l'idea della
causa esterna", cio di un certo non-Io, accompagna soltanto il diletto, il quale uno stato d'animo puramente soggettivo dell'Io.
[...] L'amore possibile verso una persona, la concupiscenza verso una cosa; ora la concezione razionalistica non distingue, e
non capace di distinguere, la persona e la cosa, o meglio, dispone dell'unica categoria della reitas e quindi reifica tutto,
compresa la persona, e la prende come cosa, res (P. A. Florenskij, CFV, pp. 86-88).
94. Cfr. P. A. Florenskij, CFV, p. 86.
95. La cosa caratterizzata dall'unit esteriore, cio dalla somma delle sue caratteristiche, mentre la persona ha per caratteristica
l'unit interiore, cio l'unit delle'attivit di autoedificazione dell'Io, come dice Fichte. Di conseguenza l'identit delle cose si
ricava dall'identit dei concetti, mentre l'identit della persona dall'unit dell'attivit che la auto-edifica o auto-pone. Di due cose
non si pu mai dire che sono "identiche" in senso stretto, perch sono soltanto "analoghe", anche se "in tutto" (kata, pa,nta),
soltanto somiglianti l'una all'altra, anche se in tutte le loro caratteristiche. Perci l'identit delle cose pu essere generica, secondo
il genere (identitas generica, tauto,thj t? i;dei) o specifica, secondo l'aspetto (identitas specifica), insomma, sintomatica,
un'identit di apparenze esteriori, perch connessa a un certo numero di sintomi comuni, compresa la coincidenza di una loro
quantit transfinita, o, nel caso estremo, di tutti i sintomi; ma non potr mai essere identit numerica (identitas numerica,
tauto,thj kat'avriqmo,n) (P. A. Florenskij, CFV, p. 89). Ci sono tre tipi di identit, unit: unitas generica, specifica, numerica.
Siccome l'uno indica l'essere indivisibile, l'ens individuum, le unitates saranno tante quante sono le divisioni. Ora le cose si
distinguono o nel genere (come per esempio l'uomo dalla pietra) o nella specie (come il leone dal cavallo) o nel numero (come
Pietro da Paolo). Cos esistono tre unit: quella che nega la divisione del genere si chiama generica, quella che nega la divisione
della specie si chiama specifica, quella che nega la divisione del numero si chiama numerica o individuale. [...] Solo la unitas
individualis un'unit reale, perch in rerum natura esistono solo i singularia. Le unit generica e specifica, se non vi si
aggiunge l'unit individuale, non sono unit perfette a parte rei ma solo negazioni di diversit (P. A. Florenskij, CFV, pp. 517518).
96. L'amore delle persone pure, cio di coloro che hanno acquistato una piena padronanza del meccanismo della propria
organizzazione, di coloro che hanno spiritualizzato corpo e anima, postula semplicemente la pura identit numerica, la
(omoousa), mentre l'amore delle pure cose richiede esclusivamente la mera somiglianza generica, la (omoiousa) (P.
A. Florenskij, CFV, pp. 89-90).
97. Quanto pi rigorosa la definizione dell'identit, tanto pi distintamente d rilievo nel suo oggetto all'identit degli aspetti
esteriori e pi precisamente esclude dalla propria visuale l'identit numerica; sempre e dovunque si tratta di cose. Quando invece
si tenga conto dell'identit numerica, la si pu solo descrivere, spiegare, rimandando alla fonte, all'origine prima dell'idea di
identit che denominata identit originaria e si trova nell'interiorit della persona viva. chiaro che non pu essere
diversamente. Perch l'identit numerica la caratteristica pi profonda e, si pu dire, unica della persona viva, e definire
l'identit numerica significherebbe definire la persona (P. A. Florenskij, CFV, p. 92). Florenskij qui entra anche in polemica
con due grandi filosofi occidentali come H. Bergson e W. Stern. Secondo lui entrambi non sono riusciti a scrollarsi di dosso
totalmente, nelle loro proposte filosofiche, le pecche del razionalismo; non si sono decisi per "l'eroismo della fede". Entrambi
danno una definizione razionale della persona che nella sua propria essenza invece indefinibile. Cfr. Ibidem, pp. 630-631.
98. Il razionalismo, cio la filosofia del concetto e del raziocinio, la filosofia della cosa e dell'immobilismo senza vita, perci
ancora una volta totalmente legato alla legge d'identit; , in breve, la filosofia dell'omoiousa. una filosofia carnale. Al
contrario, la filosofia cristiana, cio la filosofia dell'idea e della ragione, la filosofia della persona e dell'ascesi creativa
[dell'eroismo creativo], ancora una volta si basa sulla possibilit di superare la legge dell'identit e pu essere definita filosofia
dell'omoousa. una filosofia spirituale (P. A. Florenskij, CFV, pp. 90-91).
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99. La necessit di una delimitazione rigorosa dell'identit numerica da un lato, dell'identit generica dall'altro e quindi dell'amore
come stato psicologico, che corrisponde alla filosofia della cosa [reificata], dell'amore come atto ontologico, che corrisponde alla
filosofia della persona. In altre parole, l'amore cristiano deve essere, nel modo pi indiscutibile [reciso], sottratto alla psicologia e
trasferito nell'ontologia; solo tenuto conto di questa esigenza il lettore pu comprendere che tutto quanto si detto (e si intende
ancora dire) dell'amore non una metafora, ma l'espressione verace della vera nostra conoscenza (P. A. Florenskij, CFV, p.
93).
100. L'amore per il fratello una specie di manifestazione, quasi un'emanazione della forza Divina irradiante da Dio che ama (P. A.
Florenskij, CFV, pp. 95-96).
101. Cos afferma Prometeo. Ci che prima non potevano strappargli n l'orrore della sfida contro Dio, n i tuoni di Zeus, n le
efferate torture della crocifissione, ora lo dona lui stesso, come un bambino, al Padre celeste, dopo aver conosciuto la sua verit
nell'esperienza di preghiera della coscienza purificata (P. A. Florenskij, Dogmatismo e dogmatica, in Id., Il cuore cherubico,
pp. 140-141). Prometeo il simbolo dell'uomo che non si pone in ascolto della divinit ma reputa di bastare a se stesso, di
potersi trascendere da solo senza rivolgersi a nulla e a nessuno. Naturalmente tale situazione destinata alla sconfitta.
102. Nell'amore come atto ontologico avviene un reale superamento trans-logico dell'autoidentit che, unito all'autentico donarsi
libero e gratuito, lascia trasparire la sua natura rivelativa in tutta la sua forza divina (N. Valentini, La sapienza dell'amore.
Teologia della bellezza e linguaggio della verit, EDB, Bologna 1997, pp. 154-155). In forza di questa uscita da s l'Io diventa
nell'altro, nel non-Io, il non-Io, diviene uni-sostanziale (, omoosios) e non semplicemente simil-sostanziale
(, omoiosios) come richiede il moralismo, che lo sforzo futile e demente di un amore umano, fuori di Dio (P. A.
Florenskij, CFV, p. 101).
103. Cfr. N. Valentini, La sapienza dell'amore, p. 155-ss.; si confrontino sul tema di un'antropologia trinitaria le opere dei Padri
Cappadoci e di Gregorio di Nissa in particolare. Cfr. O. Clement, Riflessioni sull'uomo, Jaca Book, Milano 19913, pp. 39-52.
104. L'esempio pi luminoso e originale dell'ethos ontologico trinitario proposto da Florenskij si pu incontrare nella lettera
sull'amicizia che il pi bel fiore della filosofia dell'omoousa (M. Silberer, Die Trinittsidee im Werke von Pavel A.
Florenskij. Versuch einer systematischen Darstellung in Begegnung mit Thomas von Aquin, Augustinus Verlang, Wrzburg
1984, p. 175).
105. Ciascuna delle ipostasi della triade che ha in s la vita spirituale (conoscenza-amore-diletto), nei diversi aspetti metafisici
conformi alla sua posizione nella triade, si distingue anche per un suo tipo particolare di vita spirituale, per una conformazione
particolare del suo cammino verso Dio. Ci conferisce una sfumatura speciale alla sua conoscenza, al suo amore, al suo diletto:
l'amore della prima ipostasi infuocato e geloso, nella seconda mite e pronto al sacrificio; nella terza entusiastico e trepidante
(P. A. Florenskij, CFV, pp. 104-105).
106. Considerare l'albero di senape fronzuto e ombroso, che la concezione cristiana della vita, come originato dal minimo seme
dell'idea dell'"unisostanzialit" non una possibilit soltanto logica, perch di fatto cos fu storicamente. Il termine
(omoosios) esprime proprio questo germe antinomico, un nome unico per Tre Ipostasi ("nel nome del Padre e del Figlio e dello
Spirito Santo", e non "nei nomi" della Tre Ipostasi) (P. A. Florenskij, CFV, p. 64.
107. P. A. Florenskij, CFV, p. 504.
108. L'amicizia non solo etica e psicologica ma prima di tutto ontologica e mistica, cos l'hanno veduta in tutti i tempi coloro che
hanno contemplato le profondit dell'esistenza (P. A. Florenskij, CFV, p. 504).
109. Da un lato la persona singola tutto, dall'altro qualcosa soltanto dove si trovino "due o tre". Questo "due o tre" qualcosa di
qualitativamente superiore all'"uno", bench sia stato il cristianesimo a creare l'idea del valore assoluto della persona individuale.
La persona non pu essere assolutamente valida se non in una comunicazione assolutamente valida, bench non si possa dire se
la persona sia prima della comunicazione o la comunicazione prima della persona. Il primato della persona o della comunicazione
si escludono a vicenda, dal punto di vista razionalistico, ma sono dati insieme come fatto immediato nella vita ecclesiale (P. A.
Florenskij, CFV, pp. 484-485).
110. P. A. Florenskij, CFV, p. 485.
111. "Due" non "uno pi uno", ma qualcosa per essenza di pi, di pi plurisignificante e possente. "Due" una nuova
composizione chimica dello spirito, quando "uno pi uno" si trasfigurano qualitativamente e costituiscono un terzo". P. A.
Florenskij, CFV, p. 486.
112. L'amico non solo un Io ma un altro Io, altro per l'Io. Per l'Io unico e tutto ci che altro rispetto all'Io gi non Io;
l'amico un Io che non Io, una contraddizione, e il concetto stesso di amico implica un'antinomia. Se la tesi dell'amicizia
l'identit e la somiglianza, la sua antitesi la non identit e non somiglianza. Io non posso amare ci che non Io, perch
altrimenti ammetterei in me stesso qualcosa di estraneo; d'altra parte amando non voglio ci che sono io stesso perch di ci che
gi possiedo non m'importa niente (P. A. Florenskij, CFV, p. 505).
113. P. A. Florenskij, CFV, p. 525.
114. P. A. Florenskij, CFV, p. 506.
115. Cfr. S. Tagliagambe, Come leggere Florenskij, Bompiani, Milano 2006, pp. 7-18.
116. L'ideale dell'amicizia non innato all'uomo ma gli dato a priori, quale elemento costitutivo della sua natura (P. A.
Florenskij, CFV, p. 508).
117. E se pertanto uno desidera o ama l'altro, ragazzi miei, non potrebbe mai desiderarlo n amarlo n essergli amico, se non fosse
affine all'oggetto del suo amore o nell'anima o in qualche altra attitudine dell'anima o nei comportamenti o nell'aspetto. Platone,
Liside, 221e-222a.
118. Gli amici "sono per essenza propri (oikeoi)" l'uno dell'altro, nel senso che ciascuno di loro una parte dell'altro, del cui essere
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completa l'insufficienza metafisica e che perci della stessa natura (P. A. Florenskij, CFV, p. 505).
119. P. A. Florenskij, CFV, p. 506.
120. Fra coloro che si amano si squarcia la cortina dell'aseit e ciascuno vede nell'amico come se stesso, la sua propria essenza pi
intima, il suo alter ego che poi non diverso dall'Io. L'amico viene accolto nell'Io, gli diventa accetto nel significato pi profondo
del termine, viene ammesso nella struttura dell'amante alla quale non riesce estraneo e dalla quale non viene respinto (P. A.
Florenskij, CFV, p. 498).
121. P. A. Florenskij, CFV, p. 506.
122. Ma ricevere la pienezza difficile, perch bisogna prima accogliere l'amico stesso e in lui ritrovare la pienezza; ora non
possibile accogliere l'amico senza aver dato se stessi, e dare se stessi difficile (P. A. Florenskij, CFV, p. 511).
123. P. A. Florenskij, CFV, p. 522.
124. L'eroismo sempre e soltanto l'ornamento e non l'essenza della vita e come tale ha sempre la sua legittima parte di affettazione;
se si sostituisce alla vita, degenera inevitabilmente in trucco, in posa pi o meno verosimile. L'eroismo pi naturale
nell'amicizia, nel suo pathos; ma anche qui ne solo la corolla, non lo stelo n la radice. L'eroico dissipa e non raccoglie, vive
sempre a spese dell'altro, si nutre dei succhi che mette in serbo la vita quotidiana, nelle cui oscurit affondano le radici
sottilissime e delicatissime dell'amicizia; esse succhiano la vera vita, e nessuno le vede, e talvolta nessuno nemmeno le sospetta,
nutrono tuttavia la vita effettiva e il fiore in boccio dell'eroismo, quando non sia vacuo, produce semplicemente il seme
dell'amicizia futura. P. A. Florenskij, CFV, pp. 501-502.
125. L'amico non si meraviglia mai dell'amico e non lo disprezza, non se ne invaghisce e non lo odia. Egli ama e per l'amore l'unica
anima amata infinitamente cara, senza prezzo, superiore a tutto il mondo, con tutti i suoi allettamenti. Perch la phila riconosce
l'amico al suo sorriso, alle sue placide parole, alle sue debolezze, alla maniera con cui tratta con la gente nella vita quotidiana, alla
maniera con cui mangia e dorme, e non alla posa esteriore e alla veste eroica (P. A. Florenskij, CFV, pp. 502-503).
126. La "comunit" dell'amore non deve limitarsi a un'idea astratta ma esige assolutamente manifestazioni sensibili e concrete fino
allo "stretto" contatto compreso. Bisogna non soltanto "amarsi" a vicenda, ma stare stretti (pykns) insieme, sforzandosi, se
possibile, di stringersi pi stretti (pyknteron), l'uno all'altro. [...] Bisogna vivere la vita comune, illuminare e compenetrare la
vita quotidiana con la vicinanza anche esteriore, corporea (P. A. Florenskij, CFV, p. 507).
127. "L'obbedienza dell'amicizia sta nel portare la croce del proprio amico. Ibidem, p. 510. "Portate i pesi gli uni degli altri, cos
adempirete la legge di Cristo". (Gal. 6,2)
128. L'amore una scelta libera: tra molte persone, molti Io, sceglie con un atto di autonoma decisione interiore una persona e con
lei allaccia un rapporto unico e di intimit spirituale. L'Io vuole vedere in questa persona comune una persona straordinaria, in
questa persona grigia una persona briosa, in questa persona feriale una persona festiva. Essa sta nella folla ma l'Io la chiama e la
introduce nella dimora ornata del proprio cuore, ne disegna l'effige su uno sfondo di oro zecchino. E a ragione, perch questa
effige non una caricatura come la disegnano gli uomini il pi delle volte, non nemmeno un ritratto dipinto da un sapiente.
Essa l'immagine dell'immagine di Dio, un'icona. Infrangendo la legge d'identit, l'Io con un atto metafisico di
autodeterminazione (non un atto razionalistico) con tutto il proprio essere, decide di vedere nella persona scelta tra molte una
persona eccezionale, eminente; in una parola, la persona scelta diventa per lui Tu. Ripeto: l'amicizia esclusiva come esclusivo
l'amore coniugale. P. A. Florenskij, CFV, pp. 536-537. Attraverso un incomprensibile atto di elezione una persona diventa
unica, chiamata alla sublime e regale dignit di Tu. Quando essa ha acconsentito a questa scelta, ha detto s e si posta sul
capo la corona della grandezza, che cosa vuole ancora l'Io? Una cosa sola: il suo amore. [...] L'io desidera che il Tu non gli sia
d'ostacolo nell'amore, cio che nei rapporti con lui sia veramente Tu. Che il Tu si comporti come unico, che non scenda dal
piedistallo dell'appartato, del singolare, dell'eletto![...] Nei rapporti con l'Io il Tu deve comportarsi da Tu e non come uno dei
tanti, deve portare la corona regale e non la berretta da notte. La coscienza della necessit di questo Tu affinch sia possibile
l'amore comporta il desiderio di attuare questa elezione e quindi di rinsaldarla e conservarla: tutto questo insieme la gelosia. P.
A. Florenskij, CFV, pp. 538-539.
129. Il comandamento fondamentale dell'amicizia la fedelt, l'indissolubilit, stretta nel matrimonio, l'incrollabilit fino all'ultimo,
fino all'effusione di sangue. P. A. Florenskij, CFV, p. 510. Questa compenetrazione reciproca delle persone un compito e
non un dato iniziale dell'amicizia; quando raggiunta, l'amicizia diventa per forza di cose indissolubile e la fedelt alla persona
dell'amico cessa di essere un eroismo perch non pu essere infranta. Ma fino a quando questa unit superiore non sia raggiunta,
la fedelt , e la coscienza ecclesiale l'ha sempre considerata tale, qualcosa di indispensabile non soltanto per conservare l'amicizia
ma anche per la stessa vita degli amici. Conservare l'amicizia iniziata d tutto, il romperla mette in pericolo la stessa esistenza
dell'apostata, perch le anime dei due amici avevano gi incominciato a fondersi (P. A. Florenskij, CFV, p. 512-513).

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