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INTRODUZIONE ALLA

ANALISI FUNZIONALE
Dispensa del Corso di
Metodi Matematici della Fisica
(versione ridotta, gennaio 2009)
Prof. Marco Boiti
a.a. 2008-2009

Indice
1 Spazi Metrici
5
1.1 Insiemi Aperti. Insiemi Chiusi. Intorni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.2 Convergenza. Successioni di Cauchy. Completezza. . . . . . . . . . . . . . . . 8
1.3 Completamento di uno Spazio metrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
2 Spazi Normati. Spazi di Banach
2.1 Spazio Vettoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2 Spazio Normato. Spazio di Banach . . . . . . . . . . . . . .
2.3 Ulteriori Propriet`a degli Spazi Normati . . . . . . . . . . . .
2.4 Spazi Normati Finito Dimensionali e Sottospaz . . . . . . .
2.5 Compattezza e Dimensioni Finite . . . . . . . . . . . . . . .
2.6 Operatori Lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.7 Spazi Lineari di Operatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.8 Operatori Lineari Limitati e Continui . . . . . . . . . . . .
2.9 Funzionali Lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.10 Operatori Lineari e Funzionali su Spazi Finito Dimensionali
2.11 Spazi Normati di Operatori. Spazio Duale . . . . . . . . . .

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3 Spazi con Prodotto Scalare. Spazi di Hilbert


3.1 Breve Orientamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.2 Spazi con Prodotto Scalare, Spazio di Hilbert . . . . .
3.3 Ulteriori Propriet`a degli Spazi con Prodotto Scalare .
3.4 Definizione Equivalente di Spazio con Prodotto Scalare
3.5 Completamento di uno Spazio con Prodotto Scalare .
3.6 Complemento Ortogonale e Somma Diretta . . . . . .
3.7 Insiemi e Successioni Ortonormali . . . . . . . . . . . .
3.8 Serie Collegate a Successioni e Insiemi Ortonormali . .
3.9 Basi Ortonormali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.10 Rappresentazione di Funzionali su Spazi di Hilbert . .
3.11 Operatori Aggiunti di Hilbert . . . . . . . . . . . . . .
3.12 Operatori Autoaggiunti, Unitari e Normali . . . . . . .

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4 Teoremi per gli Spazi Normati e di Banach


4.1 Breve Orientamento . . . . . . . . . . . . .
4.2 Lemma di Zorn . . . . . . . . . . . . . . . .
4.3 Alcune Applicazioni del Lemma di Zorn . .
4.4 Teorema di HahnBanach . . . . . . . . . .
4.5 Operatore Duale . . . . . . . . . . . . . . .

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INDICE
4.6
4.7
4.8
4.9
4.10

Spazi Riflessivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Teorema della Categoria e della Uniforme Limitatezza .
Convergenza Forte e Debole . . . . . . . . . . . . . . . .
Convergenza di Successioni di Operatori e di Funzionali
Teorema dellApplicazione Aperta . . . . . . . . . . . .

5 Teoria Spettrale degli Operatori Lineari


5.1 Teoria Spettrale in Spazi Normati Finito Dimensionali
5.2 Concetti Basilari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.3 Propriet`a Spettrali degli Operatori Lineari Limitati . .
5.4 Ulteriori Propriet`a del Risolvente e dello Spettro . . .
5.5 Uso dellAnalisi Complessa nella Teoria Spettrale . . .

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Capitolo 1

Spazi Metrici
Uno spazio metrico `e un insieme X dotato di una metrica. La metrica associa ad ogni coppia
di elementi (punti ) di X una distanza. La metrica `e definita assiomaticamente, gli assiomi
essendo suggeriti da alcune propriet`a semplici della distanza, cos` com`e familiarmente definita fra punti della retta reale R o del piano complesso C. Si tratta come mostrano alcuni
esempi basilari di un concetto molto generale. Unimportante propriet`a aggiuntiva che uno
spazio metrico pu`o possedere `e la completezza. Un altro concetto di interesse teorico e pratico `e la separabilit`
a di uno spazio metrico. Gli spazi metrici separabili sono pi`
u semplici di
quelli non separabili.
1.1 Definizione (Spazio Metrico, Metrica)
Uno spazio metrico `e una coppia (X, d), dove X `e un insieme e d una metrica su X (o
distanza su X), cio`e una funzione definita su X X tale che per ogni x, y, z X si abbia
M1 d `e a valori reali, finito e non negativo.
M2 d(x, y) = 0 se e solo se x = y.
M3 d(x, y) = d(y, x)

(Simmetria)

M4 d(x, y) d(x, z) + d(z, y)

(Disuguaglianza Triangolare)

Alcuni termini di uso corrente sono i seguenti. X `e normalmente chiamato linsieme


sottostante a (X, d). I suoi elementi sono chiamati punti. Per x, y fissati il numero non
negativo d(x, y) si chiama distanza fra x e y. Le propriet`a da (M1) a (M4) sono gli assiomi della metrica. Il nome disuguaglianza triangolare `e preso a prestito dalla geometria
elementare.
e di (X, d) si ottiene prendendo un sottoinsieme Y X e
Un sottoinsieme (Y, d)
restringendo d a Y Y ; allora la metrica su Y `e data dalla restrizione
de = d|Y Y .
de si chiama la metrica indotta su Y da d.

1.1 Insiemi Aperti. Insiemi Chiusi. Intorni.


V`e un considerevole numero di concetti ausiliari che giocano un ruolo in connessione con
gli spazi metrici. Quelli di cui avremo bisogno sono inclusi in questa sezione. Perci`o questa
5

CAPITOLO 1. SPAZI METRICI

sezione contiene molti concetti, ma il lettore noter`a che molti di loro divengono familiari
quando vengono applicati agli spazi euclidei.
Consideriamo dapprima alcuni importanti sottoinsiemi di un dato spazio metrico X =
(X, d).
1.2 Definizione (Palla e Sfera)
Dato un punto x0 X ed un numero reale r > 0 definiamo tre tipi di insiemi
(a) B(x0 ; r) = {x X|d(x, x0 ) < r}

(Palla Aperta)

e 0 ; r) = {x X|d(x, x0 ) r}
(b) B(x

(Palla Chiusa)

(c) S(x0 ; r) = {x X|d(x, x0 ) = r}

(Sfera)

In tutti e tre i casi x0 `e chiamato il centro ed r il raggio.


Attenzione. Lavorando con gli spazi metrici `e assai utile utilizzare una terminologia
analoga a quella della geometria Euclidea. Tuttavia bisogna essere coscienti di quanto sia
pericoloso assumere che palle e sfere in uno spazio metrico arbitrario soddisfino alle medesime
propriet`a soddisfatte da palle e sfere in R3 . Ad esempio una possibile propriet`a inusuale `e
che una sfera pu`o essere vuota. Unaltra possibile propriet`a inusuale sar`a citata pi`
u in l`a.
1.3 Definizione (Insiemi Aperti, Insiemi Chiusi)
Un sottoinsieme M di uno spazio metrico X `e detto aperto se contiene una palla centrata
in ciascuno dei suoi punti. Un sottoinsieme K `e detto chiuso se il suo complemento (in X)
`e aperto, cio`e se K C = X K `e aperto.
La dizione aperta e chiusa utilizzata nella definizione precedente `e coerente con questa
definizione di insieme aperto e chiuso. Infatti, utilizzando la diseguaglianza triangolare, `e
facile vedere che per ogni punto x1 B(x0 ; r) la palla B(x1 ; r1 ) centrata in x1 e di raggio
e 0 ; r)
r1 = r d(x1 , x0) `e contenuta in B(x0 ; r) e quindi B(x0 ; r) `e un insieme aperto. Che B(x
e 0 ; r) non
sia chiuso si dimostra per assurdo. Sia infatti per assurdo il complemento di B(x
e
aperto. Allora esiste ameno un punto x1 esterno a B(x0 ; r), ossia per cui d(x1 , x0 ) > r, tale
e 0 ; r). Consideriamo ora la
che ogni palla centrata in x1 contiene almeno un punto x B(x
e 0 ; r) e
palla B(x1 ; r1 ) centrata in x1 di raggio r1 = d(x1 , x0 ) r. Per l x comune a B(x
B(x1 ; r1 ) abbiamo d(x1 , x0 ) d(x1 , x) + d(x, x0 ) < r1 + r = d(x1 , x0 ), che `e impossibile.
Una palla aperta B(x0 ; ) di raggio `e spesso chiamata un intorno di x0 . Per un
intorno di x0 si intende un qualunque sottoinsieme di X che contiene un intorno di x0 .
Vediamo direttamente dalla definizione che ciascun intorno di x0 contiene x0 ; in altre
parole x0 `e un punto di ciascuno dei suoi intorni. Se N `e un intorno di x0 e N M, allora
anche M `e un intorno di x0 .
Chiamiamo x0 un punto interno di un insieme M X se M `e un intorno di x0 .
Linterno di M `e linsieme di tutti i punti interni a M e pu`o essere indicato con M 0 o con
Int(M ). Int(M ) `e aperto ed `e linsieme aperto pi`
u grande contenuto in M.
Non `e difficile mostrare che la collezione di tutti i sottoinsiemi aperti di X, che possiamo
chiamare T , ha le seguenti propriet`a
T1 T , X T .
T2 Lunione di membri di T `e un membro di T .
T3 Lintersezione di un numero finito di membri di T `e un membro di T .

1.1. INSIEMI APERTI. INSIEMI CHIUSI. INTORNI.

Dimostrazione. (T1) segue dallosservazione che non ha elementi e, ovviamente, X `e aperto. Proviamo (T2). Un punto qualunque x dellunione U degli insiemi aperti appartiene ad
(almeno) uno di questi insiemi, sia M, ed M contiene una palla B di x poiche M `e aperto.
Allora B U per definizione di unione. Ci`o prova (T2). Infine se y `e un punto qualunque
dellintersezione degli insiemi aperti M1 , , Mn allora ciascun Mj contiene una palla di y
e la pi`
u piccola di queste palle `e contenuta nellintersezione. Ci`o prova (T3).
Osserviamo che le propriet`a da (T1) a (T3) sono cos` fondamentali che vengono di norma
inserite in un contesto pi`
u generale. Precisamente si definisce come uno spazio topologico
(X, T ) un insieme X ed una collezione T che soddisfa gli assiomi da (T1) a (T3). Linsieme
T `e chiamato una topologia per X. Da questa definizione segue che
Uno spazio metrico `e uno spazio topologico.
Gli insiemi aperti giocano anche un ruolo in connessione con le applicazioni continue,
dove la continuit`a `e una naturale generalizzazione della continuit`a conosciuta dallanalisi ed
`e definita come segue.
1.4 Definizione (Applicazione Continua)
e due spazi metrici. Unapplicazione T : X Y `e detta
Siano X = (X, d) e Y = (Y, d)
continua nel punto x0 X se per ogni > 0 v`e un > 0 tale che
e x, T x0 ) <
d(T

per ogni x che soddisfa a

d(x, x0 ) < .

T `e detta continua se `e continua in ogni punto di X.


` importante ed interessante che le applicazioni continue possano essere caratterizzate
E
in termini di insiemi aperti come segue.

1.5 Teorema (Applicazioni Continue)


Unapplicazione T di uno spazio metrico X in uno spazio metrico Y `e continua se e solo se
limmagine inversa di un qualunque sottoinsieme aperto di Y `e un sottoinsieme aperto di
X.
Dimostrazione. (a) Supponiamo che T sia continua. Sia S Y aperto ed S0 limmagine
inversa di S. Se S0 = `e aperto. Sia S0 6= . Per un qualunque x0 S0 sia y0 = T x0 . Poiche
S `e aperto contiene un intorno N di y0 . Poiche T `e continua x0 ha un intorno N0 che
`e applicato in N. Poiche N S abbiamo che N0 S0 cos` che S0 `e aperto perche x0 S0
era arbitrario.
(b) Viceversa assumiamo che limmagine inversa di ogni insieme aperto in Y sia un
insieme aperto in X. Allora per ogni x0 X e qualunque intorno N di T x0 limmagine
inversa N0 di N `e aperta, poiche N `e aperto, e N0 contiene x0 . Quindi anche N0 contiene
un intorno di x0 che `e applicato in N poiche N0 `e applicato in N. Di conseguenza, per
definizione, T `e continua in x0 . Poiche x0 X era arbitrario ne segue che T `e continua.
Introduciamo ora due altri concetti che sono collegati. Sia M un sottoinsieme di uno
spazio metrico X. Allora un punto x0 di X (che pu`o o pu`o non essere un punto di M ) `e
chiamato un punto di accumulazione di M (o punto limite di M ) se ogni intorno di x0
contiene almeno un punto y M distinto da x0 . Linsieme costituito dai punti di M e dai
punti di accumulazione di M `e chiamato la chiusura di M ed `e indicato con
M.
Linsieme M `e chiuso, perche se non lo fosse il suo complemento non sarebbe aperto e
conterebbe quindi almeno un punto di accumulazione di M . Inoltre, allo stesso modo, si
mostra che M `e il pi`
u piccolo insieme chiuso che contiene M .

CAPITOLO 1. SPAZI METRICI

Prime di procedere menzioniamo unaltra propriet`a inusuale delle palle in uno spazio
metrico. Mentre in R3 la chiusura B(x0 ; r) di una palla aperta B(x0 ; r) `e la palla chiusa
e 0 ; r), in un generico spazio metrico ci`o pu`o non essere valido.
B(x
Usando il concetto di chiusura vogliamo dare una definizione che risulter`a di particolare
importanza nel seguito.
1.6 Definizione (Insieme Denso, Spazio Separabile)
Un sottoinsieme M di uno spazio metrico X `e detto denso in X se
M = X.
X `e detto separabile se ha un sottoinsieme numerabile che `e denso in X.
Quindi se M `e denso in X ogni palla in X, per quanto piccola, conterr`a punti di M ; o,
in altre parole, non c`e punto x X che abbia un intorno che non contiene punti di M.
Vedremo nel seguito che gli spazi metrici separabili sono alquanto pi`
u semplici di quelli
non separabili.

1.2 Convergenza. Successioni di Cauchy. Completezza.


Sappiamo che le successioni di numeri reali giocano un ruolo importante in analisi ed `e la
metrica di R che permette di definire il concetto basilare di convergenza di una tale successione. Lo stesso vale per le successioni di numeri complessi; in questo caso dobbiamo usare
la metrica del piano complesso. In uno spazio metrico arbitrario X = (X, d) la situazione `e
assai simile, cio`e possiamo considerare una successione (xn ) di elementi x1 , x2 , di X ed
usare la metrica d per definire la convergenza in maniera analoga a quella dellanalisi.
1.7 Definizione (Convergenza di una Successione, Limite)
Una successione (xn ) in uno spazio metrico X = (X, d) `e detta convergere od essere
convergente se v`e un x X tale che
lim d(xn , x) = 0.

x `e chiamato il limite di (xn ) e si scrive


lim xn = x

o semplicemente
xn x.
Diciamo che (xn ) converge a x o ammette il limite x. Se (xn ) non `e convergente si dice che
`e divergente.
Come `e stata usata la metrica d in questa definizione? d ha fornito la successione di
numeri reali an = d(xn , x) la cui convergenza definisce quella di (xn ). Quindi se xn x,
dato un > 0, esiste un N = N () tale che tutti gli xn con n > N giacciono in un intorno
B(x; ) di x.
Per evitare incomprensioni osserviamo che il limite di una successione convergente deve
essere un punto dello spazio X.
Mostriamo ora che due propriet`a delle successioni convergenti (unicit`a del limite e limitatezza), che risultano familiari dallanalisi, si mantengono in questo contesto molto pi`
u
generale.

1.2. CONVERGENZA. SUCCESSIONI DI CAUCHY. COMPLETEZZA.

Chiamiamo un sottoinsieme non vuoto M X un insieme limitato se il suo diametro


(M ) = sup d(x, y)
x,yM

`e finito. Chiamiamo una successione (xn ) in X una successione limitata se linsieme dei
suoi punti `e un sottoinsieme limitato di X.
Ovviamente se M `e limitato allora M B(x0 ; r), dove x0 X `e un qualunque punto
ed r `e un numero reale (sufficientemente grande) e viceversa.
La nostra asserzione `e allora formulata come segue.

1.8 Lemma (Limitatezza, Limite)


Sia X = (X, d) uno spazio metrico. Allora
(a) Una successione convergente in X `e limitata ed il suo limite `e unico.
(b) Se xn x e yn y in X, allora d(xn , yn ) d(x, y).
Dimostrazione. (a) Supponiamo che xn x. Allora prendendo = 1 possiamo trovare un N
tale che d(xn , x) < 1 per tutti gli n > N. Quindi per tutti gli n abbiamo che d(xn , x) < 1 + a
dove
a = max{d(x1 , x), , d(xN , x)}.
Ci`o mostra che (xn ) `e limitata. Assumendo che xn x e che xn z abbiamo dalla (M4)
0 d(x, z) d(x, xn ) + d(xn , z) 0 + 0
e lunicit`a x = z del limite segue dalla (M2).
(b) Dalla (M4) abbiamo che
d(xn , yn ) d(xn , x) + d(x, y) + d(y, yn ).
Da cui otteniamo
d(xn , yn ) d(x, y) d(xn , x) + d(yn , y)
ed una diseguaglianza simile scambiando xn con x e yn con y e moltiplicando per 1. Assieme
forniscono
|d(xn , yn ) d(x, y)| d(xn , x) + d(yn , y) 0
per n .
Definiremo ora il concetto di completezza di uno spazio metrico, che risulter`a basilare
nel seguito. La completezza non segue dagli assiomi (M1) sino a (M4), poiche vi sono spazi
metrici incompleti. In altre parole, la completezza `e una propriet`a addizionale che gli spazi
metrici possono avere o non avere. Essa ha varie conseguenze che rendono gli spazi metrici
completi migliori e pi`
u semplici di quelli incompleti.
Ricordiamo dapprima dallanalisi che una successione (xn ) di numeri reali o complessi
converge sulla retta reale R o nel piano complesso C se e solamente se soddisfa il criterio di
convergenza di Cauchy, cio`e se e solo se per ogni > 0 v`e un N = N () tale che
|xm xn | <

per tutti gli m, n > N.

10

CAPITOLO 1. SPAZI METRICI

Qui |xm xn | `e la distanza d(xm , xn ) da xm a xn sulla retta reale R o nel piano complesso
C. Quindi possiamo scrivere la diseguaglianza del criterio di Cauchy nella forma
d(xm , xn ) <

( m, n > N ).

Se una successione (xn ) soddisfa alla condizione del criterio di Cauchy potremo chiamarla
una successione di Cauchy. Allora il criterio di Cauchy dice semplicemente che una successione di numeri reali o complessi converge in R o C se e solamente se `e una successione di
Cauchy. Sfortunatamente in spazi pi`
u generali la situazione pu`o essere pi`
u complicata e vi
possono essere successioni di Cauchy che non convergono.
1.9 Definizione (Successione di Cauchy, Completezza)
Una successione (xn ) in uno spazio metrico X = (X, d) `e detta di Cauchy (o fondamentale)
se per ogni > 0 v`e un N = N () tale che
d(xm , xn ) <

per ogni m, n > N.

(1.1)

Lo spazio X `e detto completo se ogni successione di Cauchy in X converge (cio`e se ha un


limite che `e un elemento di X).
A prescindere dalla completezza o meno di X la condizione (1.1) `e necessaria per la
convergenza di una successione. Infatti si ottiene facilmente il risultato seguente.

1.10 Teorema (Successione Convergente)


Ogni successione convergente in uno spazio metrico `e una successione di Cauchy.
Dimostrazione. Se xn x allora per ogni > 0 v`e un N = N () tale che
d(xn , x) <

per tutti gli n > N.

Quindi dalla disuguaglianza triangolare otteniamo per m, n > N


d(xm , xn ) d(xm , x) + d(x, xn ) <


+ = .
2 2

Ci`o mostra che (xn ) `e di Cauchy.


Se lo spazio X `e completo la condizione di Cauchy (1.1) diventa necessaria e sufficiente
per la convergenza e si parla di criterio di Cauchy per la convergenza. Il teorema che afferma
la validit`a del criterio di Cauchy in R e in C pu`o essere riespresso in termini di completezza
come segue.

1.11 Teorema (Retta Reale, Piano Complesso)


La retta reale ed il piano complesso sono spazi metrici completi.
Completiamo questa sezione con tre teoremi che sono legati alla convergenza e alla
completezza e che saranno necessari nel seguito.

1.12 Teorema (Chiusura, Insieme Chiuso)


Sia M un sottoinsieme non vuoto di uno spazio metrico (X, d) e M la sua chiusura cos`
come definita nella sezione precedente. Allora
(a) x M se e solo se esiste una successione (xn ) in M tale che xn x.
(b) M `e chiuso se e solo se ogni successione convergente (xn ) di punti di M converge ad un
punto di M, ossia se e solo se per ogni successione di punti xn M tale che xn x
`e x M.

1.2. CONVERGENZA. SUCCESSIONI DI CAUCHY. COMPLETEZZA.

11

Dimostrazione. (a) Sia x M . Se x M una successione di questo tipo `e (x, x, ). Se


x
/ M `e un punto di accumulazione di M. Quindi per ogni n = 1, 2, la palla B(x; 1/n)
contiene un xn M e xn x perche 1/n 0 per n .
Viceversa se (xn ) `e in M e xn x allora se x M non v`e nulla da dimostrare. Se
x
/ M ogni intorno di x contiene punti xn 6= x, cos` che x M per definizione di chiusura.
(b) M `e chiuso se e solo se M = M cos` che (b) segue facilmente da (a).

1.13 Teorema (Sottospazio Completo)


Un sottospazio M di uno spazio metrico completo X `e esso stesso completo se e solo se
linsieme M `e chiuso in X.
Dimostrazione. Sia M completo. Grazie a 1.12(a) per ogni x M v`e una successione (xn )
in M che converge in M, il limite essendo unico per l 1.8. Quindi x M. Questo prova che
M `e chiuso perche x M era arbitrario.
Viceversa sia M chiuso e (xn ) di Cauchy in M. Allora xn x X ci`o che implica x M
per l1.12(a) e x M poiche M = M per assunzione. Quindi la successione arbitraria di
Cauchy (xn ) converge in M ci`o che prova la completezza di M.
Questo teorema `e molto utile e ne avremo molto spesso bisogno nel seguito.
Lultimo dei tre teoremi annunciati mostra limportanza della convergenza delle successioni in connessione con la continuit`
a di unapplicazione.

1.14 Teorema (Applicazione Continua)

e `e
Unapplicazione T : X Y di uno spazio metrico (X, d) in uno spazio metrico (Y, d)
continua in un punto x0 X se e solo se
xn x0

implica

T xn T x 0 .

Dimostrazione. Si assuma che T sia continua in x0 . Allora per un dato > 0 v`e un > 0
tale che
e x, T x0 ) < .
d(x, x0 ) <
implica
d(T
Sia xn x0 . Allora v`e un N tale che per ogni n > N sia
d(xn , x0 ) < .
Quindi per ogni n > N

e xn , T x0 ) < .
d(T

Per definizione ci`o significa che T xn T x0 .


Viceversa assumiamo che
xn x0

implichi

T xn T x0

e proviamo che allora T `e continua in x0 . Supponiamo che ci`o sia falso. Allora v`e un > 0
tale che per ogni > 0 v`e un x 6= x0 che soddisfa a
d(x, x0 ) <

ma tale che

e x, T x0 ) .
d(T

In particolare per = 1/n v`e un xn che soddisfa a


d(xn , x0 ) <

1
n

ma tale che

e xn , T x0 ) .
d(T

Chiaramente xn x ma (T xn ) non converge a T x0 . Ci`o contraddice T xn T x0 e prova il


teorema.

12

CAPITOLO 1. SPAZI METRICI

In particolare da questo teorema e dal Lemma 1.8 al punto b) segue la seguente proposizione.

1.15 Proposizione (Continuit`


a della distanza)
La distanza d(x, y) in X `e continua in x ed in y.

1.3 Completamento di uno Spazio metrico


Sappiamo che la retta razionale Q non `e completa ma pu`o essere allargata alla retta reale
` molto
R che `e completa. Questo completamento R di Q `e tale che Q `e denso in R. E
importante che un arbitrario spazio metrico incompleto possa essere completato in una
maniera simile. Per una formulazione precisa e conveniente useremo i due concetti seguenti
collegati fra loro e che hanno anche diverse altre applicazioni.
1.16 Definizione (Applicazione isometrica, Spazi Isometrici)
e spazi metrici. Allora
e = (X,
e d)
Siano X = (X, d) e X
e `e detta isometrica o una isometria se T conserva le
(a) Unapplicazione T di X in X
distanze, cio`e se per ogni x, y X
e x, T y) = d(x, y),
d(T
dove T x e T y sono le immagini di x e y, rispettivamente.
e se esiste unisometria biiettiva di X su
(b) Lo spazio X `e detto isometrico allo spazio X
e Gli spazi X e X
e sono allora chiamati spazi isometrici.
X.
Si noti che una isometria `e sempre iniettiva.
Due spazi isometrici possono differire al pi`
u per la natura dei loro punti ma sono indistinguibili dal punto di vista della metrica. In uno studio, in cui la natura dei punti non
abbia importanza, i due spazi si possono considerare identici ovvero come due copie del
medesimo spazio astratto.
Possiamo ora formulare il teorema che asserisce che ogni spazio metrico pu`o essere comb che appare in questo teorema `e chiamato completamento dello spazio
pletato. Lo spazio X
dato X.

1.17 Teorema (Completamento)

b che ha
b = (X,
b d)
Per ogni spazio metrico X = (X, d) esiste uno spazio metrico completo X
b Questo spazio X
b `e unico a meno
un sottospazio W che `e isometrico a X e che `e denso in X.
e `e un qualunque spazio metrico completo che ha un sottospazio denso
di isometrie, cio`e, se X
f isometrico a X, allora X
e eX
b sono isometrici.
W
Lo studente interessato pu`o trovare la dimostrazione di questo teorema nella versione
estesa delle dispense.

Problemi


1. Sia ` lo spazio delle successioni x = j jN limitate di numeri complessi, ossia tali
che

j cx
(j = 1, 2, . . . )

1.3. COMPLETAMENTO DI UNO SPAZIO METRICO


per ogni x. Mostrare che

13

d (x, y) = sup j j
jN


dove y = j ` definisce una metrica su ` .
2. Sia C [a, b] linsieme di tutte le funzioni a valori reali x(t), y(t), . . . definite e continue
nella variabile t sullintervallo chiuso J = [a, b]. Mostrare che
d (x, y) = max |x (t) y (t)|
tJ

definisce una metrica su C [a, b].



3. Sia `p (p 1) lo spazio delle successioni x = j jN tali che

X
p
j < .
j=1

Mostrare che

1/p

p
j j
d (x, y) =
j=1


dove y = j `p definisce una metrica su `p .
Suggerimento: Utilizzare la diseguaglianza di Minkowski

1/p
1/p
1/p

X
X
X

p
p
p
j + j
j +
j .

j=1

j=1

j=1

4. Sia la distanza D (A, B) fra due sottoinsiemi non vuoti A e B di uno spazio metrico
(X, d) definita essere
D (A, B) = inf d (a, b) .
aA
bB

Mostrare che D (A, B) non definisce una metrica sullinsieme dei sottoinsiemi non vuoti
di X.
5. Mostrare che lo spazio ` non `e separabile.
Soluzione: Sia y = ( 1 , 2 , . . . ) una successione di 0 e di 1. Allora y ` e due successioni differenti di questo tipo distano 1. Essi possono essere messi in corrispondenza
biunivoca coi reali nellintervallo [0, 1], giacche un qualunque reale nellintervallo [0, 1]
`e rappresentabile in forma binaria come

1
+ 22 + + nn + . . .
1
2
2
2
Quindi non sono numerabili. Consideriamo ora le palle di raggio 1/3 centrate in queste
particolari successioni. Esse sono non numerabili ed hanno a due a due intersezione
nulla. Quindi se esistesse un insieme M numerabile e denso in l . . .
6. Mostrare che lo spazio `p (p 1) `e separabile.

14

CAPITOLO 1. SPAZI METRICI


Soluzione: Sia M linsieme delle successioni di `p della forma
y = ( 1 , 2 , . . . , n , 0, 0, . . . )
con n intero positivo e le j razionali. M `e numerabile. Si tratta di mostrare che `e

denso in `p . Sia dato un x = j `p arbitrario. Per ogni > 0 esiste un n tale che

p
X
p
j < .
2
j=n+1

Scegliamo un y M tale che


n
p
X

j j p < .
2
j=1

Quindi . . .
7. Mostrare che ` `e completo.

(m) (m)
Suggerimento: Sia (xm ) una successione di Cauchy di ` , dove (xm ) = 1 , 2 , . . . .

(m)
Mostrare che le successioni di numeri j
per ogni j fissato sono di Cauchy ed
(m)

quindi convergenti, ossia limm j


x = ( 1 , 2 , . . . ) ` .

= j . Mostrare infine che xm x, dove

8. Mostrare che `p `e completo.


Suggerimento: Seguire la medesima via seguita nel caso precedente.
9. Mostrare che C [a, b] `e completo.
10. Mostrare che linsieme dei polinomi considerati come funzioni di t sullintervallo [a, b]
e con metrica definita come su C [a, b] non `e completo.
11. Se (xn ) e (x0n ) in (X, d) soddisfano a d (xn , x0n ) 0 e (xn ) ammette limite, mostrare
che anche (x0n ) converge ed ha il medesimo limite.
12. Se (xn ) e (x0n ) in (X, d) ammettono il medesimo limite, mostrare che d (xn , x0n ) 0.

Capitolo 2

Spazi Normati. Spazi di Banach


Si ottengono degli spazi metrici particolarmente utili ed importanti se si considera uno spazio
vettoriale e si definisce in esso una metrica a mezzo di una norma. Lo spazio risultante `e
chiamato spazio normato. Se uno spazio vettoriale normato `e completo viene chiamato
spazio di Banach. La teoria degli spazi normati, in particolare degli spazi di Banach, e la
teoria degli operatori lineari definiti su di essi costituiscono la parte maggiormente sviluppata
dellanalisi funzionale.

2.1 Spazio Vettoriale


2.1 Definizione (Spazio Vettoriale)
Uno spazio vettoriale (o spazio lineare) su un campo K `e un insieme non vuoto X di elementi
x, y, (chiamati vettori ) dotato di due operazioni algebriche. Queste operazioni sono
chiamate somma vettoriale e moltiplicazione di vettori per scalari, cio`e per elementi di K.
La somma vettoriale associa ad ogni coppia ordinata (x, y) di vettori un vettore x + y
chiamato la somma di x e y, in tal modo che siano soddisfatte le seguenti propriet`a. La
somma vettoriale `e commutativa ed associativa, cio`e per tutti i vettori si ha che
x+y = y+x
x + (y + z) = (x + y) + z;
inoltre esiste un vettore 0, chiamato vettore nullo, e per ogni vettore x un vettore x tali
che per tutti i vettori si ha che
x+0 = x
x + (x) = 0.
Cio`e X rispetto alla somma vettoriale `e un gruppo additivo abeliano.
La moltiplicazione per scalari associa ad ogni vettore x e scalare un vettore x
(scritto anche x) chiamato il prodotto di e x, in tal modo che per tutti i vettori x, y e
scalari , si ha che
(x) = ()x
1x = x
15

16

CAPITOLO 2. SPAZI NORMATI. SPAZI DI BANACH

e le leggi distributive
(x + y) = x + y
( + )x = x + x.
Dalla definizione vediamo che la somma vettoriale `e unapplicazione X X X, mentre
la moltiplicazione per scalari `e unapplicazione K X X.
K `e chiamato il campo scalare (o campo dei coefficienti ) dello spazio vettoriale X, e
X `e chiamato uno spazio vettoriale reale se K = R (il campo dei numeri reali) ed uno
spazio vettoriale complesso se K = C (il campo dei numeri complessi).
Luso dello 0 sia per lo scalare 0 che per il vettore nullo non dovrebbe, in generale, creare
confusione. Se fosse desiderabile per ragioni di chiarezza, si pu`o indicare il vettore nullo con
0.
Il lettore pu`o provare che per tutti i vettori e gli scalari
0x = 0
0 = 0
e
(1)x = x.
Un sottospazio di uno spazio vettoriale X `e un sottoinsieme non vuoto Y di X tale che
per ogni y1, y2 Y e tutti gli scalari , si ha che y1 + y2 Y. Quindi Y stesso `e uno
spazio vettoriale, le due operazioni algebriche essendo quelle indotte da X.
Uno speciale sottospazio di X `e il sottospazio improprio Y = X. Ogni altro sottospazio
di X (6= {0}) `e chiamato proprio.
Un altro sottospazio speciale di un qualunque spazio vettoriale X `e Y = {0}.
Una combinazione lineare dei vettori x1 , , xm di uno spazio vettoriale X `e unespressione della forma
1 x1 + 2 x2 + + m xm
dove i coefficienti 1 , , m sono scalari qualunque.
Per ogni sottoinsieme non vuoto M X linsieme di tutte le combinazioni lineari di
vettori di M `e chiamato linviluppo o lo span di M e si scrive
span M.
Ovviamente `e un sottospazio Y di M e diciamo che Y `e generato da M.
Introduciamo ora due concetti fra di loro collegati che verranno usati molto spesso nel
seguito.
2.2 Definizione (Indipendenza Lineare, Dipendenza Lineare)
Lindipendenza e la dipendenza lineare di un dato insieme M di vettori x1 , , xr (r 1)
in uno spazio vettoriale X sono definite a mezzo dellequazione
1 x1 + 2 x2 + + r xr = 0,

(2.1)

dove gli 1 , , r sono scalari. Chiaramente lequazione (2.1) vale per 1 = 2 = =


r = 0. Se questa `e la sola rpla di scalari per cui la (2.1) `e valida linsieme M `e detto linearmente indipendente. M `e detto linearmente dipendente se M non `e linearmente
indipendente, cio`e se (2.1) `e anche valida per una rpla di scalari non tutti zero.

2.1. SPAZIO VETTORIALE

17

Un sottoinsieme arbitrario M di X `e detto linearmente indipendente se ogni sottoinsieme


finito non vuoto di M `e linearmente indipendente. M `e detto linearmente dipendente se non
`e linearmente indipendente.
Una motivazione per questa terminologia proviene dal fatto che se M = {x1, , xr } `e
linearmente dipendente almeno un vettore di M pu`o essere scritto come combinazione lineare
degli altri; per esempio se (2.1) vale con un r 6= 0 allora M `e linearmente dipendente e
possiamo risolvere (2.1) rispetto a xr e ottenere
xr = 1 x1 + + r1 xr1

( j = j /r ).

Possiamo usare i concetti di dipendenza ed indipendenza lineare per definire la dimensione


di uno spazio vettoriale.
2.3 Definizione (Base di Hamel)
Se X `e uno spazio vettoriale qualunque e B `e un sottoinsieme linearmente indipendente di
X che genera X, allora B `e chiamato una base (o base di Hamel) per X.
Uno spazio vettoriale X `e detto finito dimensionale se ammette una base B di n vettori
linearmente indipendenti. In questo caso `e facile dimostrare che ogni altra base contiene n
vettori indipendenti. n `e perci`o un numero caratteristico di X ed `e chiamato la dimensione
di X e si scrive n = dim X. Per definizione X = 0 `e finito dimensionale e dim X = 0.
Se dim X = n una npla qualunque di vettori {e1 , , en } di X linearmente indipendenti
costituisce una base per X (o una base in X) ed ogni x X ha una rappresentazione unica
come combinazione lineare di questi vettori, ossia
x = 1 e1 + + n en .
Se X non `e finito dimensionale si dice infinito dimensionale.
Anche nel caso infinito dimensionale ogni x X non nullo ha una rappresentazione unica
come combinazione lineare di (in numero finito!) elementi di B con coefficienti scalari non
tutti nulli.
Ogni spazio vettoriale X 6= {0} ha una base di Hamel.
Per spazi vettoriali arbitrari infinito dimensionali la prova richiede luso del lemma di
Zorn ed `e rinviata a dopo che avremo introdotto questo lemma per altri propositi.
Menzioniamo il fatto che anche le basi di un dato spazio vettoriale X infinito dimensionale hanno lo stesso numero cardinale. Una prova richiederebbe alcuni strumenti piuttosto
avanzati della teoria degli insiemi. Anche nel caso infinito dimensionale questo numero `e
chiamato la dimensione di X.
Pi`
u in l`a avremo bisogno del seguente semplice teorema.

2.4 Teorema (Dimensioni di un Sottospazio)


Sia X uno spazio vettoriale ndimensionale. Allora ogni sottospazio proprio Y di X ha
dimensioni minori di n.
Dimostrazione. Se n = 0 allora X = {0} e non ha sottospaz propri. Sia ora n > 0.
Chiaramente dim Y dim X = n. Se dim Y fosse n allora Y avrebbe una base di n elementi,
che sarebbe anche una base per X perche dim X = n, cos` che X = Y. Ci`o mostra che un
qualunque insieme di vettori linearmente indipendenti in Y deve avere meno di n elementi
e quindi dim Y < n.

18

CAPITOLO 2. SPAZI NORMATI. SPAZI DI BANACH

2.2 Spazio Normato. Spazio di Banach


In molti casi uno spazio vettoriale X pu`o essere al medesimo tempo uno spazio metrico
perche una metrica d `e definita su X. Tuttavia se non v`e relazione fra la struttura algebrica
e la metrica non possiamo aspettarci una teoria utile ed applicabile che combini entrambi
i concetti. Per garantire una tale relazione fra gli aspetti algebrici e geometrici di
X definiamo su X una metrica d in un modo speciale. Prima introduciamo un concetto
ausiliario, quello di norma, che usa le operazioni algebriche dello spazio vettoriale. Poi
utilizziamo la norma per ottenere un metrica d del tipo desiderato. Questa idea conduce al
concetto di spazio normato.
2.5 Definizione (Spazio Normato, Spazio di Banach)
Uno spazio normato X `e uno spazio vettoriale dotato di una norma. Uno spazio di Banach
`e uno spazio normato completo (completo nella metrica definita dalla norma). La norma
su un spazio vettoriale (reale o complesso) X `e una funzione a valori reali su X il cui valore
ad ogni x X `e indicato con
||x||

(si legga norma di x)

ed ha le propriet`a
(N1)

||x|| 0

(N2)

||x|| = 0 x = 0

(N3)

||x|| = ||||x||

(N4)

||x + y|| ||x|| + ||y||

(Disuguaglianza Triangolare);

dove x e y sono vettori arbitrari in X e `e uno scalare qualunque.


Una norma su X definisce una metrica d su X che `e data da
d(x, y) = ||x y||

(x, y X)

ed `e chiamata la metrica indotta dalla norma. Lo spazio normato appena definito si indica
con (X, || ||) o semplicemente con X.

2.6 Lemma (Invarianza per Traslazioni)


Una metrica d indotta da una norma in uno spazio normato X soddisfa a
d(x + a, y + a) = d(x, y)
d(x, y) = ||d(x, y)
per tutti gli x, y, a X ed ogni scalare .
Dimostrazione. Abbiamo
d(x + a, y + a) = ||x + a (y + a)|| = ||x y|| = d(x, y)
e
d(x, y) = ||x y|| = ||||x y|| = ||d(x, y).
Convergenza di successioni e concetti collegati in uno spazio normato seguono facilmente dalle corrispondenti definizioni 1.7 e 1.9 per gli spazi metrici e dal fatto che ora
d(x, y) = ||x y||.

2.2. SPAZIO NORMATO. SPAZIO DI BANACH

19

(i) Una successione (xn ) in uno spazio normato X `e convergente se X contiene un x tale
che
lim ||xn x|| = 0.
n

Allora scriviamo xn x e chiamiamo x il limite di (xn ).


(ii) Una successione (xn ) in uno spazio normato `e di Cauchy se per ogni > 0 esiste un N
tale che
||xm xn || <
per tutti gli m, n > N.
Le successioni erano disponibili anche in un generico spazio metrico. In uno spazio
normato possiamo fare un passo avanti ed usare le serie.
Le serie infinite possono ora essere definite in un modo analogo a quello dellanalisi.
Infatti se (xk ) `e una successione in uno spazio normato X, possiamo associare a (xk ) la
successione (sn ) di somme parziali
sn = x1 + x2 + + xn
dove n = 1, 2, . Se (sn ) `e convergente
sn s

cio`e

||sn s|| 0

allora la serie infinita o, per brevit`a, la serie

xk

k=1

`e detta convergere od essere convergente, s `e chiamata la somma della serie e si scrive


s=

xk .

k=1

P
Se k=1 ||xk || converge la serie `e detta assolutamente convergente. Tuttavia in uno
spazio normato la assoluta convergenza implica la convergenza se e solo se X `e completo.
Possiamo ora estendere il concetto di combinazione lineare al caso di una successione
(xn ) e dire che x `e combinazione lineare degli (xn ) con coefficienti la successione di scalari
(n ) se

X
x=
k xk .
k=1

Analogamente si estende il concetto di indipendenza lineare alle successioni dicendo che


una successione (xn ) `e linearmente indipendente se una qualunque sua combinazione lineare
nulla, anche infinita, ha necessariamente coefficienti tutti nulli.
` quindi naturale utilizzare la struttura di spazio topologico che in uno spazio normato
E
`e aggiunta a quella di spazio vettoriale per dare una definizione di base, che `e alternativa a
quella di Hamel data sopra e che, per distinguerla da quella, chiameremo base senza ulteriori
specificazioni.
2.7 Definizione (Base)
Sia M un sottoinsieme di uno spazio normato X (successione o famiglia di vettori). Allora
M si dice una base di X se ogni elemento x X si pu`o esprimere come combinazione lineare,
eventualmente infinita, di vettori di M con coefficienti univocamente determinati.

20

CAPITOLO 2. SPAZI NORMATI. SPAZI DI BANACH

Si noti che ogni sottoinsieme finito o infinito numerabile di M `e un insieme di vettori


linearmente indipendenti, nel senso sopra detto, e che lo span di M in generale non copre
X, ma `e denso in X, ossia
span M = X.
Grazie a questa definizione possiamo costruirci delle basi molto meno ricche in elementi
delle basi di Hamel e quindi maggiormente maneggiabili e soprattutto possiamo associare
in maniera univoca ad ogni elemento x le sue componenti secondo i vettori della base, in
maniera analoga a quanto succede per gli spazi vettoriali finito dimensionali.
Se M `e una successione (en ), allora (en ) `e chiamata una base di Schauder per X. In
questo caso per ogni x X v`e ununica successione di scalari tali che
x=

k ek .

k=1

Se uno spazio normato X ha una base di Schauder allora `e separabile. La dimostrazione `e


semplice e viene lasciata al lettore. Sorprendentemente linverso non `e vero, cio`e uno spazio
di Banach separabile non ha necessariamente una base di Schauder.

2.3 Ulteriori Propriet`


a degli Spazi Normati
Per definizione un sottospazio Y di uno spazio normato X `e un sottospazio di X considerato
come uno spazio vettoriale con una norma ottenuta restringendo la norma su X ad Y. Questa
norma su Y `e detta indotta dalla norma su X. Se Y `e chiuso in X allora Y `e chiamato un
sottospazio chiuso di X.
Per definizione un sottospazio Y di uno spazio di Banach X `e un sottospazio di X
considerato come uno spazio normato. Quindi non richiediamo che Y sia completo.
A questo riguardo `e utile il Teorema 1.13 perche fornisce immediatamente il seguente
teorema.

2.8 Teorema (Sottospazio di uno Spazio di Banach)


Un sottospazio Y di uno spazio di Banach X `e completo se e solo se linsieme Y `e chiuso
in X.
Il seguente teorema assicura che ogni spazio normato pu`o essere completato secondo
una procedura che `e unica a meno di isometrie. Lo studente interessato pu`o trovare la
dimostrazione nella versione estesa delle dispense.

2.9 Teorema (Completamento)

b ed una
Sia X = (X, || ||) uno spazio normato. Allora esiste uno spazio di Banach X
b
b
b
isometria A da X su un sottospazio W di X che `e denso in X. Lo spazio X `e unico a meno
di isometrie.

2.4 Spazi Normati Finito Dimensionali e Sottospaz


Rozzamente parlando il seguente lemma stabilisce che nel caso di vettori linearmente indipendenti non `e possibile trovare una combinazione lineare che coinvolge grandi scalari ed al
medesimo tempo rappresenta un piccolo vettore.

2.4. SPAZI NORMATI FINITO DIMENSIONALI E SOTTOSPAZI

21

2.10 Lemma (Combinazione Lineare)


Sia {x1 , , xn } un insieme di vettori linearmente indipendenti in uno spazio normato X
(di dimensioni qualunque). Allora esiste un numero c > 0 tale che per ogni scelta degli
scalari 1 , , n abbiamo che
||1 x1 + n xn || c(|1 | + + |n |)

(c > 0).

(2.2)

Dimostrazione. Scriviamo s = |1 | + + |n |. Se s = 0 tutti gli |i | sono zero e allora la


(2.2) `e soddisfatta per ogni c. Sia s > 0. Allora la (2.2) `e equivalente alla disuguaglianza che
si ottiene dalla (2.2) dividendo per s e scrivendo j = j /s, cio`e

n
X

| j | = 1 .

|| 1 x1 + + n xn || c

(2.3)

j=1

` quindi sufficiente provare lesistenza di un c > 0 tale che la (2.3) vale per ogni npla di
E
Pn
scalari 1 , , n con j=1 | j | = 1.
Supponiamo che ci`oPsia falso. Ossia supponiamo che per ogni c > 0 esista una npla di
n
scalari 1 , , n con j=1 | j | = 1 tali che || 1 x1 + n xn || < c. In corrispondenza della
successione c = 1/m esiste allora una successione (ym ) di vettori

(m)
(m)

ym = 1 x1 + + (m)
j = 1
n xn
j=1

tali che
||ym || <

1
m

e quindi tali che


ym 0

come m .

Pn (m)
(m)
Ora ragioniamo come segue. Poiche j=1 j = 1 abbiamo che j 1. Quindi per
ogni fisso j la successione

(m)

(1)

(2)

= j , j ,
(m)

`e limitata. Di conseguenza per il teorema di BolzanoWeierstrass ( 1 ) ammette una


(1,m)
successione estratta ( 1
) convergente. Sia 1 il limite di questa successione estratta e sia
y1,m =

n
X

(1,m)

xj

j=1

la corrispondente successione estratta di (ym ). Per il medesimo argomento (y1,m ) ammette


una successione estratta
n
X
(2,m)
y2,m =
j
xj
j=1
(2,m)

per cui la corrispondente successione estratta di scalari ( 2


) converge; sia 2 il limite.
(2,m)
Si noti che la successione ( 1
) essendo estratta di una successione convergente converge

22

CAPITOLO 2. SPAZI NORMATI. SPAZI DI BANACH

ancora a 1 . Continuando in questo modo dopo n passi si ottiene una successione estratta
(yn,m ) = (yn,1 , yn,2 , ) di (ym ) i cui termini sono della forma

n
n

X
X
(n,m)
(n,m)

yn,m =
j
xj
j
= 1
j=1

j=1
(n,m)
j

(n,m)
j

j per m . Usando allora gli n


che soddisfano il limite
con scalari
limiti 1 , , n definiamo
y = 1 x1 + n xn .
e poiche

X
X
n
n (n,m)

(n,m)

||yn,m y|| = ( j
j )xj

| j
j | ||xj ||

j=1

j=1

per m
yn,m y =

n
X

j xj .

j=1

P
j = 1 non tutti i j possono essere zero ed essendo {x1 , , xn } un insieme
Essendo
linearmente indipendente abbiamo che y 6= 0. Daltro lato poiche (yn,m ) `e una successione
estratta di (ym ) che converge a zero dobbiamo avere yn,m 0 cos che y = 0. Ci`o contraddice
y 6= 0 ed il lemma `e provato.
Come prima applicazione del lemma proviamo il seguente teorema basilare.

2.11 Teorema (Completezza)


Ogni sottospazio finito dimensionale Y di uno spazio normato X `e completo. In particolare
ogni spazio normato finito dimensionale `e completo.
Dimostrazione. Consideriamo unarbitraria successione di Cauchy (ym ) in Y e vogliamo
dimostrare che ammette limite y con y Y . Sia dim Y = n e {e1 , , en } una base
qualunque di Y. Allora ciascun ym ha ununica rappresentazione della forma
(m)

ym = 1 e1 + + (m)
n en .
Poiche (ym ) `e una successione di Cauchy, per ogni > 0 v`e un N tale che ||ym yr || <
quando m, r > N. Da ci`o e dal Lemma 2.10 abbiamo che per qualche c > 0
n
n


X
X (m)

(m)
(r)
(r)

> ||ym yr || =
j j
ej

j
j ,

j=1

j=1

dove m, r > N. Dividendo per c si ottiene


n

X

(m)
(m)
(r)
(r)
j j
j j <
c
j=1

(m, r > N ).

Ci`o mostra che ciascuna delle n successioni


(m)

(j

(1)

(2)

) = (j , j , )

j = 1, , n

`e di Cauchy in R o in C. Quindi converge; sia j il limite. Usando allora gli n limiti


1 , , n definiamo
y = 1 e1 + n en .

2.4. SPAZI NORMATI FINITO DIMENSIONALI E SOTTOSPAZI

23

Chiaramente y Y. Inoltre
X
n


n (m)
X
(m)

||ym y|| =
j j ej

||ej ||.
j
j

j=1

j=1

(m)
j

A destra
j . Quindi ||ym y|| 0, cio`e ym y. Ci`o mostra che (ym ) `e convergente
in Y. Poiche (ym ) era una successione di Cauchy in Y, ci`o prova che Y `e completo.
Da questo teorema e dal Teorema 1.13 si deriva il seguente teorema.

2.12 Teorema (Chiusura)


Ogni sottospazio finito dimensionale Y di uno spazio normato X `e chiuso in X.
Avremo bisogno di questo teorema in numerose occasioni nel seguito.
Unaltra propriet`a interessante di uno spazio vettoriale finito dimensionale X `e che tutte
le norme su X portano alla medesima topologia per X, cio`e gli insiemi aperti sono gli stessi,
a prescindere dalla particolare scelta della norma in X. I dettagli sono i seguenti.
2.13 Definizione (Norme Equivalenti)
Una norma || ||1 su uno spazio vettoriale X `e detta equivalente alla norma || ||2 su X se
esistono dei numeri positivi a e b tali che per ogni x X si ha
a||x||2 ||x||1 b||x||2 .

(2.4)

Questo concetto `e motivato dal seguente fatto.


Norme equivalenti su X definiscono la medesima topologia per X.
Infatti ci`o segue dalla (2.4) e dal fatto che ogni intorno di un punto x secondo la norma
|| ||1 `e intorno anche secondo la norma || ||2 e viceversa. Lasciamo i dettagli di una prova
formale al lettore, che pu`o anche mostrare che le successioni di Cauchy in (X, || ||1 ) e
(X, || ||2 ) sono le stesse.
Usando il Lemma 2.10 possiamo ora provare il seguente teorema (che non vale per gli
spazi infinito dimensionali).

2.14 Teorema (Norme Equivalenti)


Su uno spazio vettoriale finito dimensionale X ogni norma || ||1 `e equivalente a qualsiasi
altra norma || ||2 .
Dimostrazione. Sia dim X = n e {e1 , , en } una base qualunque di X. Allora ogni x X
ha ununica rappresentazione
x = 1 e1 + n en .
Per il Lemma 2.10 esiste una costante positiva c tale che
||x||1 c(|1 | + |n |).
Daltra parte la disuguaglianza triangolare d`a
||x||2

n
X
j=1

|j |||ej ||2 k

n
X
j=1

|j |

k = max ||ej ||2 .


j

Assieme danno a||x||2 ||x||1 dove a = c/k > 0. Laltra disuguaglianza in (2.4) si ottiene
scambiando il ruolo di || ||1 e || ||2 nelle considerazioni precedenti.
Questo teorema ha una notevole importanza pratica. Ad esempio implica che la convergenza o la divergenza di una successione in uno spazio vettoriale finito dimensionale non
dipende dalla particolare scelta della norma su questo spazio.

24

CAPITOLO 2. SPAZI NORMATI. SPAZI DI BANACH

2.5 Compattezza e Dimensioni Finite


Alcune altre propriet`a basilari degli spazi normati finito dimensionali e dei loro sottospaz
sono legate al concetto di compattezza. Questultima si definisce come segue.
2.15 Definizione (Compattezza)
Uno spazio metrico X `e detto compatto 1 se ogni successione in X ha una successione estratta
convergente. Un sottoinsieme M di X `e detto compatto se M `e compatto considerato come
sottospazio di X, cio`e se ogni successione in M ha una successione estratta convergente ad
un limite che `e un elemento di M .
Una propriet`a generale degli insiemi compatti `e espressa nel seguente Lemma.

2.16 Lemma (Compattezza)


Un sottoinsieme compatto M di uno spazio metrico X `e chiuso e limitato.
Dimostrazione. Per ogni x M v`e una successione (xn ) in M tale che xn x; cf. 1.12(a).
Poiche M `e compatto x M. Quindi M `e chiuso perche x M era arbitrario. Proviamo
che M `e limitato. Si noti che se supx,yM d(x, y) = `e anche supxM d(x, b) = per
un qualunque b fisso appartenente a X. Infatti se cos` non fosse avremmo sup d(x, y)
sup d(x, b) + sup d(b, y) < che non `e possibile. Quindi se M fosse non limitato conterrebbe una successione (yn ) tale che d(yn , b) > n e quindi tale che limn d(yn , b) = .
Questa successione non potrebbe avere una successione estratta convergente perche allora
d(yn , b) ammetterebbe una successione estratta convergente, ci`o che `e impossibile perche `e
divergente.
Linverso di questo lemma `e in generale falso.
Dimostrazione. Per provare questo importante fatto consideriamo la successione (en ) in l2 ,
dove en = ( nj ) ha lnmo termine 1 e tuttigli altri termini 0. Questa successione `e limitata
perche ||en || = 1. Poiche `e ||en em || = 2 per ogni n e m (n 6= m), la successione non
ha punti di accumulazione. Quindi i suoi termini costituiscono un insieme di punti che `e
chiuso perche non ha punti di accumulazione. Per la medesima ragione questo insieme non
`e compatto.
Tuttavia per uno spazio normato finito dimensionale abbiamo il seguente Teorema.

2.17 Teorema (Compattezza)


In uno spazio normato finito dimensionale X un qualsiasi sottoinsieme M X `e compatto
se e solo se M `e chiuso e limitato.
Dimostrazione. La compattezza implica la chiusura e la limitatezza per il Lemma 2.16.
Proviamo linverso. Sia M chiuso e limitato. Sia dim X = n e {e1 , , en } una base per X.
Consideriamo una qualunque successione (xm ) in M. Ciascun xm ha una rappresentazione
(m)

xm = 1 e1 + + n(m) en .
Poiche M `e limitato lo `e anche (xm ), cio`e ||xm || k per tutti gli m. Per il Lemma 2.10
X

X
n (m)
(m)

k ||xm || =

j
j
j

j=1

j=1

1 Pi`
u precisamente sequenzialmente compatto; questo `
e il tipo pi`
u importante di compattezza in analisi.
Menzioniamo che ci sono due altri tipi di compattezza, ma per gli spazi metrici i tre concetti divengono
identici.

2.5. COMPATTEZZA E DIMENSIONI FINITE

25

(m)

dove c > 0. Quindi la successione di numeri ( j ) (j fisso) `e limitata e, per il teorema di


BolzanoWeierstrass, ha un punto di accumulazione j ; qui 1 j n. Come nella prova
del Lemma
2.10 concludiamo che (xm ) ha una successione estratta (zm ) che converge a
P
z=
j ej . Poiche M `e chiuso z M. Ci`o mostra che la successione arbitraria (xm ) in M
ha una successione estratta che converge in M. Quindi M `e compatto.
La nostra discussione mostra il seguente. In Rn (o in ogni altro spazio normato finito
dimensionale) i sottoinsiemi compatti sono precisamente i sottoinsiemi chiusi e limitati, cos`
che questa propriet`a (chiusura e limitatezza) pu`o essere usata per definire la compattezza.
Tuttavia questo non pu`o pi`
u essere fatto nel caso degli spazi normati infinito dimensionali.
Una sorgente di altri risultati interessanti `e il seguente lemma di F. Riesz.

2.18 Lemma (F. Riesz)


Siano Y e Z sottospaz di uno spazio normato X (di una dimensione qualunque) e supponiamo che Y sia chiuso e sia un sottospazio proprio di Z. Allora per ogni numero reale
nellintervallo (0, 1) v`e un z Z tale che
||z|| = 1,

||z y|| per ogni y Y.

Dimostrazione. Consideriamo un qualsiasi v Z Y ed indichiamo la sua distanza da Y


con a, cio`e
a = inf ||v y||.
(2.5)
yY

Chiaramente a > 0 perche Y `e chiuso. Prendiamo ora un qualunque (0, 1). Per la
definizione di estremo inferiore v`e un y0 Y tale che
a ||v y0 ||

(2.6)

(si noti che a/ > a perche 0 < < 1). Sia


z = c(v y0 )

dove

c=

1
.
||v y0 ||

Allora ||z|| = 1 e mostriamo che ||z y|| per ogni y Y. Abbiamo che
||z y|| = ||c(v y0 ) y||
= c||v y0 c1 y||
= c||v y1 ||
dove
y1 = y0 + c1 y.
La forma di y1 mostra che y1 Y. Quindi ||v y1 || a per definizione di a. Usando (2.5) e
(2.6) otteniamo
a
a

= .
||z y|| = c||v y1 || ca =
||v y0 ||
a/
Poiche y Y era arbitrario ci`o completa la prova.

2.19 Teorema (Dimensioni Finite)


Se uno spazio normato X ha la propriet`
a che la palla chiusa unitaria M = {x : ||x|| 1} `e
compatta allora X `e finito dimensionale.

26

CAPITOLO 2. SPAZI NORMATI. SPAZI DI BANACH

Dimostrazione. Assumiamo che M sia compatto ma che dim X = e mostriamo che ci`o
porta ad una contraddizione. Scegliamo un qualunque x1 di norma 1. Questo x1 genera uno
sottospazio unidimensionale X1 di X, che `e chiuso (cf. 2.12) ed `e un sottospazio proprio di
X perche dim X = . Per il lemma di Riesz v`e un x2 X di norma 1 tale che
||x2 x1 || =

1
.
2

Gli elementi x1 , x2 generano un sottospazio X2 bidimensionale proprio e chiuso di X. Per il


lemma di Riesz v`e un x3 di norma 1 tale che per tutti gli x X2 abbiamo che
||x3 x||

1
.
2

In particolare
1
,
2
1
||x3 x2 || .
2
||x3 x1 ||

Procedendo per induzione otteniamo una successione (xn ) di elementi xn M tali che
||xm xn ||

1
2

(m 6= n).

Ovviamente (xn ) non pu`o avere una successione estratta convergente. Ci`o contraddice la
compattezza di M. Quindi la nostra assunzione dim X = `e falsa e dim X < .
Questo teorema ha varie applicazioni. Lo utilizzeremo come uno strumento basilare in
connessione con i cosiddetti operatori compatti.
Gli insiemi compatti sono importanti perche hanno un buon comportamento; essi
ammettono numerose propriet`a basilari simili a quelle degli insiemi finiti e che non sono
soddisfatte dagli insiemi non compatti. In connessione con le applicazioni continue una
propriet`a fondamentale `e che gli insiemi compatti hanno immagini compatte.

2.20 Teorema (Applicazioni Continue)


Siano X e Y spazi metrici e T : X Y unapplicazione continua. Allora limmagine di un
sottoinsieme compatto M di X sotto T `e compatto.
Dimostrazione. Per la definizione di compattezza `e sufficiente mostrare che ogni successione
(yn ) nellimmagine T (M ) Y contiene una successione estratta che converge in T (M ).
Poiche yn T (M ) abbiamo che yn = T xn per qualche xn M. Poiche M `e compatto
(xn ) contiene una successione estratta (xnk ) che converge in M. Limmagine di (xnk ) `e una
successione estratta di (yn ) che converge in T (M ) per l1.14 perche T `e continua. Quindi
T (M ) `e compatto.
Da questo teorema concludiamo che la seguente propriet`a, ben nota dallanalisi per le
funzioni continue, si estende agli spazi metrici.

2.21 Corollario (Massimo e Minimo)


Unapplicazione continua T di un sottoinsieme M compatto di uno spazio metrico X in R
assume un massimo ed un minimo in qualche punto di M.
Dimostrazione. T (M ) R `e compatto per il Teorema 2.20 ed `e chiuso e limitato per il
Lemma 2.16 [applicato a T (M )], cos` che inf T (M ) T (M ), sup T (M ) T (M ) e le immagini
inverse di questi due punti consistono dei punti di M in cui T x `e, rispettivamente, minimo
e massimo.

2.6. OPERATORI LINEARI

27

2.6 Operatori Lineari


Nel caso degli spazi vettoriali ed in particolare degli spazi normati unapplicazione `e chiamata
un operatore.
Di speciale interesse sono gli operatori che conservano le due operazioni algebriche
degli spazi vettoriali, nel senso della seguente definizione.
2.22 Definizione (Operatori Lineari)
Se X e Y sono due spazi vettoriali sul medesimo campo K, si dice operatore lineare T
unapplicazione T : X Y tale che per tutti gli x, y X e scalari
T (x + y) = T x + T y
T (x) = T x.

(2.7)

Si osservi la notazione T x invece di T (x); questa semplificazione `e standard in analisi


funzionale.
Nel caso in cui lo spazio vettoriale X sia un sottospazio vettoriale di uno spazio vettoriale
pi`
u ampio lo si indica con D(T ) e si chiama dominio di T . Limmagine di T , ossia T (X),
si indica con R(T ). Lo spazio nullo di T `e linsieme di tutti gli x X tali che T x = 0 e si
indica con N (T ). Unaltra denominazione per lo spazio nullo `e kernel. Non adotteremo
questo termine perche dobbiamo riservarlo ad un altro scopo nella teoria delle equazioni
integrali.
Chiaramente (2.7) `e equivalente a
T (x + y) = T x + T y.

(2.8)

Prendendo = 0 in (2.7) otteniamo la seguente formula di cui avremo bisogno molte


volte nel seguito
T 0 = 0.
(2.9)
`)
2.23 Definizione (Operatore Identita
Loperatore identit`
a IX : X X `e definito da IX x = x per tutti gli x X. Scriviamo anche
semplicemente I per IX ; cos` Ix = x.
2.24 Definizione (Operatore Zero)
Loperatore zero 0 : X Y `e definito da 0x = 0 per tutti gli x X.

2.25 Teorema (Immagine e Spazio Nullo)


Sia T un operatore lineare. Allora
(a) Limmagine R(T ) `e uno spazio vettoriale.
(b) Se dim X = n < , allora dim R(T ) n.
(c) Lo spazio nullo N (T ) `e uno spazio vettoriale.
Dimostrazione. (a) Prendiamo due qualunque y1 , y2 R(T ) e mostriamo che y1 + y2
R(T ) per due scalari qualunque e . Poiche y1 , y2 R(T ) abbiamo che y1 = T x1 e
y2 = T x2 per qualche x1 , x2 X. Anche x1 + x2 X perche X `e uno spazio vettoriale.
La linearit`a di T d`a
T (x1 + x2 ) = T x1 + T x2 = y1 + y2 .

28

CAPITOLO 2. SPAZI NORMATI. SPAZI DI BANACH

Quindi y1 + y2 R(T ). Poiche y1 , y2 R(T ) erano arbitrari e cos` lo erano gli scalari ci`o
prova che R(T ) `e uno spazio vettoriale.
(b) Scegliamo n + 1 elementi y1 , , yn+1 di R(T ) in una maniera arbitraria. Allora
abbiamo y1 = T x1 , , yn+1 = T xn+1 per qualche x1 , , xn+1 in X. Poiche dim X = n
questo insieme {x1 , , xn+1 } deve essere linearmente dipendente. Quindi
1 x1 + + n+1 xn+1 = 0
per degli scalari non tutti nulli. Poiche T `e lineare e T 0 = 0 applicando T ad entrambi
membri si ottiene
T (1 x1 + + n+1 xn+1 ) = 1 y1 + + n+1 yn+1 = 0.
Ci`o mostra che linsieme {y1 , , yn+1 } `e linearmente dipendente perche gli j non sono
tutti nulli. Ricordando che questo sottoinsieme di R(T ) era stato scelto in una maniera
arbitraria ne concludiamo che R(T ) non ammette sottoinsiemi linearmente indipendenti di
n + 1 o pi`
u elementi. Per definizione ci`o significa che dim R(T ) n.
(c) Prendiamo due qualunque x1 , x2 N (T ). Allora T x1 = T x2 = 0. Poiche T `e lineare
per scalari qualunque , abbiamo che
T (1 x1 + 2 x2 ) = 0.
Ci`o mostra che 1 x1 + 2 x2 N (T ). Quindi N (T ) `e uno spazio vettoriale.
La seguente conseguenza immediata della parte (b) della dimostrazione `e degna di nota.
Gli operatori lineari conservano la dipendenza lineare.
Occupiamoci ora dellinverso di un operatore lineare. Ricordiamo dapprima che unapplicazione T : X Y `e detta iniettiva o biunivoca se punti differenti nel dominio hanno
immagini differenti, cio`e se per ogni x1 , x2 X
x1 6= x2 = T x1 6= T x2

(2.10)

T x1 = T x2 = x1 = x2 .

(2.11)

o in maniera equivalente se
In questo caso esiste lapplicazione
T 1 : R(T ) X
y0 7 x0

(y0 = T x0 )

(2.12)

che applica ogni y0 R(T ) su quel x0 X per cui T x0 = y0 . Lapplicazione T 1 `e chiamata


linversa di T.
Dalla (2.12) abbiamo chiaramente che
T 1 T x = x

per tutti gli x X

T T 1 x = x

per tutti gli x R(T ).

In connessione con gli operatori lineari sugli spazi vettoriali la situazione `e la seguente.
Linverso di un operatore lineare esiste se e solo se lo spazio nullo delloperatore consiste solamente del vettore nullo. Pi`
u precisamente abbiamo il seguente utile criterio che utilizzeremo
molto frequentemente.

2.26 Teorema (Operatore Inverso)


Siano X e Y spazi vettoriali entrambi reali o complessi. Sia T : X Y un operatore lineare
con immagine R(T ) Y. Allora

2.6. OPERATORI LINEARI


(a) Linverso T

29

: R(T ) X esiste se e solo se


T x = 0 = x = 0.

(b) Se T 1 esiste, `e un operatore lineare.


(c) Se dim X = n < e T 1 esiste allora dim R(T ) = dim X.
Dimostrazione. (a) Supponiamo che T x = 0 implichi x = 0. Sia T x1 = T x2 . Poiche T `e
lineare
T (x1 x2 ) = T x1 T x2 = 0
cos` che x1 x2 = 0 per ipotesi. Quindi T x1 = T x2 implica x1 = x2 e T 1 esiste per la
(2.11). Viceversa se T 1 esiste allora la (2.11) vale. Dalla (2.11) con x2 = 0 e dalla (2.9)
otteniamo
T x1 = T 0 = 0 = x1 = 0.
Ci`o completa la dimostrazione di (a).
(b) Assumiamo che T 1 esista e mostriamo che T 1 `e lineare. Il dominio di T 1 `e R(T )
ed `e uno spazio vettoriale per il Teorema 2.25(a). Consideriamo degli x1, x2 X qualunque
e le loro immagini
y1 = T x1
e
y2 = T x2 .
Allora
x1 = T 1 y1

x2 = T 1 y2 .

T `e lineare e cos` per degli scalari qualunque e abbiamo


y1 + y2 = T x1 + T x2 = T (x1 + x2 ).
Poiche xj = T 1 yj ci`o implica che
T 1 (y1 + y2 ) = x1 + x2 = T 1 y1 + T 1 y2
e prova che T 1 `e lineare.
(c) Abbiamo che dim R(T ) dim X per il Teorema 2.25(b) e dim X dim R(T ) per il
medesimo teorema applicato a T 1 .
Menzioniamo infine una formula utile per linverso della composizione di operatori lineari.

2.27 Lemma (Inverso del Prodotto)


Siano T : X Y e S : Y Z operatori lineari biiettivi, dove X, Y, Z sono spazi vettoriali.
Allora linverso (ST )1 : Z X del prodotto (composizione) ST esiste e
(ST )1 = T 1 S 1 .

Dimostrazione. La dimostrazione `e lasciata al lettore.

(2.13)

30

CAPITOLO 2. SPAZI NORMATI. SPAZI DI BANACH

2.7 Spazi Lineari di Operatori


Consideriamo due spazi vettoriali qualunque X e Y (entrambi reali o complessi) e linsieme
L(X, Y )
costituito da tutti gli operatori lineari da X in Y, cio`e ciascuno di tali operatori `e definito
su tutto X e la sua immagine giace in Y. Vogliamo mostrare che L(X, Y ) stesso pu`o essere
dotato della struttura di spazio vettoriale.
Il tutto `e molto semplice. L(X, Y ) diviene uno spazio vettoriale se, in maniera del tutto
naturale, definiamo la somma T1 + T2 di due operatori T1 , T2 L(X, Y ) come
(T1 + T2 )x = T1 x + T2 x
e il prodotto T di T L(X, Y ) per uno scalare come
(T )x = T x.

2.8 Operatori Lineari Limitati e Continui


Siamo ora interessati a definire una classe particolare di operatori lineari che ammettono
norma e che costituiscono quindi essi stessi uno spazio normato.
2.28 Definizione (Operatori Lineari Limitati)
Siano X e Y spazi normati e T : X Y . Loperatore T `e detto limitato se esiste un
numero reale c tale che per tutti gli x X
||T x|| c||x||.

(2.14)

In (2.14) la norma a sinistra `e quella di Y e la norma a destra quella di X. Per semplicit`a


abbiamo indicato col medesimo simbolo |||| entrambe le norme, senza pericolo di confusione.
La formula (2.14) mostra che un operatore limitato applica insiemi limitati in X in insiemi
limitati in Y. Ci`o motiva il termine operatore limitato.
Attenzione. Si noti che il presente uso della parola limitato `e differente da quello in
analisi, dove una funzione limitata `e una funzione la cui immagine `e un insieme limitato.
Qual `e il pi`
u piccolo c tale che la (2.14) `e ancora valida per tutti gli x X che non siano
nulli? [Possiamo escludere x = 0 perche T x = 0 per x = 0.] Dividendo si ottiene
||T x||
c
||x||

(x 6= 0)

e ci`o mostra che c deve essere almeno altrettanto grande che lestremo superiore dellespressione a sinistra considerata su X {0}. Quindi il minimo possibile c nella (2.14) `e questo
estremo superiore. Questa quantit`a `e indicata con ||T ||; cos`
||T || = sup
xX
x6=0

||T x||
.
||x||

(2.15)

||T || `e chiamato la norma delloperatore T. Se X = {0} definiamo ||T || = 0; in questo caso


(relativamente ininteressante) T = 0 perche T 0 = 0.

2.8. OPERATORI LINEARI LIMITATI E CONTINUI

31

Si noti che la (2.14) con c = ||T || diventa


||T x|| ||T || ||x||.

(2.16)

Applicheremo questa formula piuttosto frequentemente.


Naturalmente dovremmo giustificare luso del termine norma nel presente contesto.
Questo viene fatto nel seguente lemma.

2.29 Lemma (Norma)


Sia T un operatore lineare limitato. Allora
(a) Una formula alternativa per la norma di T `e
||T || = sup ||T x||.

(2.17)

xX
||x||=1

(b) La norma definita dalla (2.15) soddisfa (N1) sino a (N4).


Dimostrazione. (a) Utilizzando la propriet`a (N3) della norma in Y e la linearit`a di T
otteniamo dalla (2.15)

1
1

||T || = sup
||T x|| = sup T
x
= sup ||T y||.
||x||
xX ||x||
xX
yX
x6=0

x6=0

||y||=1

Scrivendo x invece di y a destra abbiamo la (2.17).


(b) (N1) `e ovvio e cos` ||0|| = 0. Da ||T || = 0 abbiamo che T x = 0 per tutti gli x X,
cos` che T = 0. Quindi (N2) vale. Inoltre (N3) `e ottenuto da
sup ||T || = sup || ||T x|| = || sup ||T x||
||x||=1

||x||=1

||x||=1

dove x X. Infine (N4) segue da


sup ||(T1 + T2 )x|| = sup ||T1 x + T2 x|| sup ||T1 x|| + sup ||T2 x||;
||x||=1

||x||=1

||x||=1

||x||=1

qui x X.
Si noti che loperatore identit`a I : X X e loperatore zero 0 : X X su uno spazio
normato X sono operatori limitati ed hanno rispettivamente norma ||I|| = 1 e ||0|| = 0.

2.30 Teorema (Spazio B(X, Y ))


Lo spazio vettoriale B(X, Y ) di tutti gli operatori limitati lineari da uno spazio normato X
in uno spazio normato Y `e esso stesso uno spazio normato con norma definita da
||T || = sup
xX
x6=0

||T x||
= sup ||T x||.
||x||
xX

(2.18)

||x||=1

Esaminiamo ora alcune propriet`a specifiche importanti degli operatori lineari limitati.

2.31 Teorema (Dimensioni Finite)


Se uno spazio normato X `e finito dimensionale allora ogni operatore lineare su X `e limitato.

32

CAPITOLO 2. SPAZI NORMATI. SPAZI DI BANACH

Dimostrazione.
Sia dim X = n e {e1 , , en } una base per X. Prendiamo un qualunque
P
x=
j ej e consideriamo un qualunque operatore lineare T su X. Poiche T `e lineare
X
X
X

||T x|| =

T
e
| j | ||T ej || max ||T ek ||
| j |
j
j

(somme da 1 a n). Allultima somma applichiamo il Lemma 2.10 con j = j e xj = ej .


Allora otteniamo
X

X
1
1

j ej
| j |
= c ||x||.
c
Assieme danno
||T x|| ||x||

dove

1
max ||T ek ||.
c k

Da ci`o e dalla (2.14) vediamo che T `e limitato.


Consideriamo ora alcune importanti propriet`a degli operatori lineari limitati.
Gli operatori sono applicazioni, cos` che ad essi si applica la definizione di continuit`a.
` un fatto fondamentale che per gli operatori lineari continuit`a e limitatezza divengono
E
concetti equivalenti. I dettagli sono i seguenti.
Sia T : X Y un operatore qualunque non necessariamente lineare, dove X e Y sono
spazi normati. Per la definizione 1.4 loperatore T `e continuo in un x0 X se per ogni
> 0 v`e un > 0 tale che
||T x T x0 || <

per tutti gli x X per cui

||x x0 || < .

T `e continuo se T `e continuo in ogni x X.


Ora se T `e lineare abbiamo il rimarchevole teorema seguente.

2.32 Teorema (Continuit`


a e limitatezza)
Sia T : X Y un operatore lineare e siano X e Y spazi normati. Allora
(a) T `e continuo se e solamente se T `e limitato.
(b) Se T `e continuo in un singolo punto allora `e continuo.
Dimostrazione. (a) Assumiamo che T sia limitato e dimostriamo che `e continuo. Per T = 0
laffermazione `e banale. Sia T 6= 0. Allora ||T || 6= 0. Consideriamo un qualunque x0 X.
Sia dato un > 0 arbitrario. Allora poiche T `e lineare per ogni x X otteniamo
||T x T x0 || = ||T (x x0 )|| ||T || ||x x0 ||.
Quindi per x tale che
||x x0 ||

||T ||

otteniamo
||T x T x0 || .
Poiche x0 X era arbitrario ci`o mostra che T `e continuo.
Viceversa assumiamo che T sia continuo in un arbitrario x0 X. Allora dato un > 0
arbitrario v`e un > 0 tale che
||T x T x0 || <

per tutti gli x X per cui

||x x0 || < .

(2.19)

2.8. OPERATORI LINEARI LIMITATI E CONTINUI

33

Prendiamo ora un qualunque y 6= 0 in X e poniamo


x = x0 +

y.
2||y||

Allora

x x0 =

y.
2||y||

Quindi ||x x0 || = /2 cos` che possiamo usare la (2.19). Poiche T `e lineare abbiamo

= ||T y||
||T x T x0 || = ||T (x x0 )|| =
T
y

2||y|| 2||y||
e (2.19) implica

||T y|| < .


2||y||

Cos`

||T y|| <

2
||y||.

Ci`o pu`o essere scritto ||T y|| c||y||, dove c = 2/. Quindi poiche c dipende da x0 e non da
y ne segue che T `e limitato.
(b) La continuit`a di T in un punto implica la limitatezza di T per la seconda parte della
dimostrazione di (a), che a sua volta implica la continuit`a di T per l(a).

2.33 Corollario (Continuit`


a, Spazio Nullo)
Sia T un operatore lineare limitato. Allora
(a) xn x, dove xn , x X, implica T xn T x.
(b) Lo spazio nullo N (T ) `e chiuso.
Dimostrazione. (a) segue dal Teorema 2.32(a) e 1.14 o direttamente dalla (2.16) perche per
n
||T xn T x|| = ||T (xn x)|| ||T || ||xn x|| 0.
(b) Per ogni x N (T ) v`e una successione (xn ) in N (T ) tale che xn x; cf. 1.12(a).
Quindi T xn T x per la parte (a) di questo corollario. Anche T x = 0 poiche T xn = 0 cos`
che x N (T ). Poiche x N (T ) era arbitrario, N (T ) `e chiuso.
` lasciata al lettore la semplice prova di unaltra utile formula
E
||T n || ||T ||n

||T1 T2 || ||T1 || ||T2 ||,

(n N)

(2.20)

valida per operatori lineari limitati T2 : X Y, T1 : Y Z e T : X X, dove X, Y, Z


sono spazi normati.
Due operatori T1 e T2 sono definiti uguali, scrivendo
T1 = T2 ,
se hanno medesimo dominio D(T1 ) = D(T2 ) e se T1 x = T2 x per tutti gli x D(T1 ) = D(T2 ).
La restrizione di un operatore T : X Y ad un sottoinsieme B X `e indicato con
T |B
ed `e loperatore definito da
T |B : B Y,

T |B x = T x per tutti gli x B.

34

CAPITOLO 2. SPAZI NORMATI. SPAZI DI BANACH

Unestensione di T definito in un sottospazio D(T ) X ad un insieme M D(T ) `e


un operatore
Te : M Y
tale che
T|D(T ) = T.
Se D(T ) `e un sottoinsieme proprio di M, allora un dato T ha molte estensioni. Di interesse pratico sono quelle estensioni che conservano alcune propriet`a basilari, per esempio
la linearit`a (se T `e lineare) o la limitatezza (se D(T ) giace in uno spazio normato e T `e
limitato). Il seguente importante teorema `e tipico a questo riguardo. Concerne lestensione
di un operatore lineare limitato T alla chiusura D(T ) del dominio tale che loperatore esteso
sia nuovamente limitato e lineare e abbia anche la stessa norma. Ci`o include il caso dellestensione da un insieme denso in uno spazio normato X a tutto X. Include anche il caso
dellestensione da uno spazio normato X al suo completamento.

2.34 Teorema (Estensione Limitata Lineare)


Sia
T : D(T ) Y
un operatore limitato lineare, dove D(T ) giace in uno spazio normato X ed Y `e uno spazio
di Banach. Allora T ha ununica estensione continua alla chiusura di D(T )
Te : D(T ) Y.
Inoltre lestensione Te `e un operatore limitato lineare di norma
||Te|| = ||T ||.
Dimostrazione. Consideriamo un qualunque x D(T ). Per il Teorema 1.12(a) v`e una
successione (xn ) in D(T ) tale che xn x. Poiche T `e lineare e limitato abbiamo che
||T xn T xm || = ||T (xn xm )|| ||T || ||xn xm ||.
Ci`o mostra che (T xn ) `e di Cauchy perche (xn ) converge. Per ipotesi Y `e completo cos` che
(T xn ) converge, ossia
T xn y Y.
Quindi se lestensione Te esiste deve essere
Tex = y.
Mostriamo che questa definizione non `e ambigua, `e cio`e indipendente dalla particolare successione scelta in D(T ) convergente a x. Supponiamo che xn x e zn x. Allora xn zn 0.
Poiche T `e lineare e limitato abbiamo che
||T xn T zn || = ||T (xn zn )|| ||T || ||xn zn ||
e le due successioni (T xn ) e (T zn ) hanno il medesimo limite. Ci`o prova che Te `e univocamente
definito per ogni x D(T ).
Chiaramente Te `e lineare e Tex = T x per ogni x D(T ), cos` che Te `e un estensione di T.
Ora usiamo
||T xn || ||T || ||xn ||

2.9. FUNZIONALI LINEARI

35

e lasciamo n . Allora T xn y = Tex. Poiche x 7 ||x|| definisce unapplicazione


continua otteniamo che
||Tex|| ||T || ||x||.
Quindi Te `e limitato e ||Te|| ||T ||. Naturalmente ||Te|| ||T || perche la norma essendo
definita mediante un estremo superiore non pu`o decrescere in unestensione. Assieme danno
||Te|| = ||T ||.

2.9 Funzionali Lineari


Un funzionale `e un operatore la cui immagine giace sulla linea reale R o nel piano complesso
C. Inizialmente lanalisi funzionale era lanalisi dei funzionali. Questi ultimi appaiono cos`
frequentemente che viene usata una notazione specifica. Indichiamo i funzionali con le lettere
minuscole f, g, h, , il dominio di f con D(f ), limmagine con R(f ) ed il valore di f in x
con f (x), con le parentesi.
I funzionali sono operatori cosicche si applicano le definizioni precedenti. Avremo in
particolare bisogno delle seguenti due definizioni perche la maggioranza dei funzionali che
considereremo saranno lineari e limitati.
2.35 Definizione (Funzionale Lineare)
Un funzionale lineare f `e un operatore lineare definito in uno spazio vettoriale X con
immagine nel campo scalare K di X; cos`
f : X K,
dove K = R se X `e reale e K = C se X `e complesso.
Se X `e un sottospazio lineare di uno spazio vettoriale pi`
u ampio, si indica con D(f ) e si
chiama dominio di definizione di f .
2.36 Definizione (Funzionali Limitati Lineari)
Un funzionale limitato lineare f `e un operatore limitato lineare (cf. Def. 2.28) con immagine
nel campo scalare dello spazio normato X. Perci`o esiste un numero reale c tale che per tutti
gli x X
|f (x)| c||x||.
(2.21)
Inoltre la norma di f `e (cf. (2.15) nella Sez. 2.8)
||f || = sup
xX
x6=0

|f (x)|
||x||

(2.22)

o
||f || = sup |f (x)|.

(2.23)

xX
||x||=1

La formula (2.16) nella Sez. 2.8 ora implica che


|f (x)| ||f || ||x||,
ed il Teorema 2.32 viene riformulato nel modo seguente.

(2.24)

36

CAPITOLO 2. SPAZI NORMATI. SPAZI DI BANACH

2.37 Teorema (Continuit`


a e Limitatezza)
Un funzionale lineare f con dominio D(f ) in uno spazio normato `e continuo se e solo se f
`e limitato.
Il lemma seguente valido sia nel caso finito ed che infinito dimensionale trova utile applicazione nel seguito. Un lemma simile per spazi normati arbitrari sar`a dato pi`
u in l`a, nella
sezione 4.10.

2.38 Lemma (Vettore Nullo)


Sia X uno spazio vettoriale. Se x0 X ha la propriet`
a che f (x0 ) = 0 per tutti i funzionali
lineari f su X allora x0 = 0.
Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che x0 6= 0. Allora se X `e finito P
dimensionale x0
n
si pu`o esprimere come combinazione lineare dei vettori di base, ossia x0 = j=1 j ej , dove
gli scalari j non sono tutti nulli. Sia ad esempio 1 6= 0. Se X `e infinito dimensionale
`e necessario ammettere che esso sia dotato di una base di Hamel B, ci`o che dimostreremo
solamente nel seguito utilizzando il Lemma di Zorn. Debbono esistere quindi vettori indipendenti in numero finito, che chiameremo ancora ej , appartenenti a B che generano x0 e
possiamo ripetere largomentazione precedente. Consideriamo ora il funzionale lineare f1
che sui vettori della base B assume i valori
f1 (e1 ) = 1
.
f1 (b) = 0 per ogni b B, b 6= e1
Esso viene esteso a tutti i vettori x X utilizzando la linearit`a ed il fatto che ogni x pu`o
` ora
essere espresso come combinazione lineare di un numero finito di vettori della base B. E
f1 (x0 ) = 1 6= 0,
ma ci`o contraddice lipotesi e quindi dallassurdo segue che x0 = 0.
` di basilare importanza che linsieme di tutti i funzionali lineari definiti su uno spazio
E
vettoriale X possa esso stesso essere fatto spazio vettoriale. Questo spazio `e denotato con X
ed `e chiamato spazio duale algebrico1 di X. Le operazioni algebriche di spazio vettoriale
sono definite in maniera naturale nel modo seguente. La somma f1 + f2 di due funzionali
f1 e f2 `e il funzionale s il cui valore ad ogni x X `e
s(x) = (f1 + f2 )(x) = f1 (x) + f2 (x);
il prodotto f di uno scalare e di un funzionale f `e il funzionale p il cui valore in x X `e
p(x) = (f )(x) = f (x).
Si noti che ci`o concorda con il modo usuale di sommare funzioni e di moltiplicarle per
costanti.
Possiamo fare ancora un passo innanzi e considerare il duale algebrico (X ) di X , i cui
elementi sono i funzionali lineari definiti su X . Indichiamo (X ) con X e lo chiamiamo
lo spazio biduale algebrico di X.
Perche consideriamo X ? Il punto `e che possiamo ottenere una relazione interessante
ed importante fra X e X . Scegliamo la notazione
1 Si noti che questa definizione non involve una norma. Il cosiddetto spazio duale X 0 consistente di tutti
i funzionali limitati lineari su X sar`
a considerato nella Sez. 2.11.

2.9. FUNZIONALI LINEARI


Spazio
X
X
X

37

Generico elemento
x
f
g

Valore in un punto

f (x)
g(f )

Possiamo ottenere un g X , che `e un funzionale lineare definito su X , scegliendo un


x X fisso e ponendo
(x X fisso, f X variabile).

g(f ) = gx (f ) = f (x)

(2.25)

Lindice x serve a ricordare che abbiamo ottenuto g colluso di un certo x X. Il lettore


deve tenere ben presente che qui f `e la variabile mentre x `e fisso. Tenendo ci`o in mente non
dovrebbe avere difficolt`a a capire la nostra presente considerazione.
gx come definito dalla (2.25) `e lineare. Ci`o pu`o essere visto dalla
gx (f1 + f2 ) = (f1 + f2 )(x) = f1 (x) + f2 (x) = gx (f1 ) + gx (f2 ).
Quindi gx `e un elemento di X , per definizione di X .
A ciascun x X corrisponde un gx X . Ci`o definisce unapplicazione
C : X X
x 7 gx .
C `e chiamata lapplicazione canonica di X in X .
C `e lineare perche il suo dominio `e uno spazio vettoriale ed abbiamo
(C(x + y)) (f ) =
=
=
=
=

gx+y (f )
f (x + y)
f (x) + f (y)
gx (f ) + gy (f )
(Cx)(f ) + (Cy)(f ).

C `e anche iniettiva. Infatti se Cx0 = 0 abbiamo che per tutti gli f X


(Cx0 )(f ) = gx0 (f ) = f (x0 ) = 0.
Ci`o implica x0 = 0 per il Lemma precedente e quindi dal Teorema 2.26 segue la iniettivit`a
della C.
C `e chiamato limmersione (embedding) canonica di X in X . Per comprendere e motivare questo termine spieghiamo dapprima il concetto di isomorfismo, che `e di interesse
generale.
Nel nostro lavoro ci occupiamo di diversi spazi. Comune a tutti loro `e il fatto che essi
consistono di un insieme, chiamiamolo X, e di una struttura definita su X. Per uno spazio
metrico questa `e una metrica. Per uno spazio vettoriale le due operazioni algebriche formano
la struttura. Per uno spazio normato la struttura consiste di queste due operazioni algebriche
e della norma.
e dello stesso tipo (ad esempio appunto due spazi metrici o vettoriali
Dati due spazi X e X
o normati) `e di interesse sapere quando essi possano essere considerati essenzialmente
identici, cio`e quando essi si possano considerare coincidenti per quanto riguarda la loro
struttura e differenti al pi`
u per la natura dei loro punti, ossia quando essi possano essere
considerati due realizzazioni del medesimo oggetto astratto.

38

CAPITOLO 2. SPAZI NORMATI. SPAZI DI BANACH

Una risposta matematicamente precisa `e data dallintroduzione del concetto di isomore che conserva la
fismo. Per definizione si tratta di unapplicazione biiettiva di X su X
struttura.
Corrispondentemente un isomorfismo T di uno spazio metrico X = (X, d) su uno spazio
e `e unapplicazione biiettiva che conserva la distanza, cio`e per tutti gli
e = (X,
e d)
metrico X
x, y X
e x, T y) = d(x, y).
d(T
e `e allora detto isomorfo ad X. Ci`o non ci `e nuovo ma si tratta semplicemente di un altro
X
nome per lisometria introdotta nella Def. 1.16. Nuovo `e il seguito.
e sul medesimo
Un isomorfismo T di uno spazio vettoriale X su uno spazio vettoriale X
campo `e unapplicazione biiettiva che conserva le due operazioni algebriche dello spazio
vettoriale; cos` per tutti gli x, y X e scalari
T (x + y) = T x + T y,

T (x) = T x,

e `e un operatore biiettivo lineare. X


e `e allora detto isomorfo ad X ed X e X
e
cio`e T : X X
sono detti spazi vettoriali isomorfi.
Isomorfismi fra spazi normati sono isomorfismi fra spazi vettoriali che conservano anche
le norme.
Al momento possiamo utilizzare il concetto di isomorfismo fra spazi vettoriali come segue.
Poiche C `e lineare e iniettiva `e un isomorfismo di X sullimmagine R(C) X .
Se X `e isomorfo ad un sottospazio di uno spazio vettoriale Y diciamo che X `e immergibile (embeddable) in Y. Quindi X `e immergibile in X e C `e anche chiamato limmersione
(embedding) canonica di X in X .
Se C `e surgettiva cos` che R(C) = X allora X `e detto algebricamente riflessivo.
Proveremo nella prossima sezione che se X `e finito dimensionale allora X `e algebricamente
riflessivo.
Una discussione simile che involve le norme e che conduce al concetto di riflessivit`
a di uno
spazio normato sar`a presentato nella Sez. 4.6 dopo avere sviluppato gli strumenti necessari
(in particolare il famoso teorema di HahnBanach).

2.10 Operatori Lineari e Funzionali su Spazi Finito Dimensionali


Siano X e Y spazi vettoriali finito dimensionali sul medesimo campo e T : X Y un
operatore lineare. Scegliamo una base E = {e1 , , en } per X ed una base B = {b1 , , br }
per Y . Allora ogni x X ha ununica rappresentazione
x = 1 e1 + + n en .

(2.26)

Poiche T `e lineare x ha limmagine

y = Tx = T

n
X

k=1

!
k ek

n
X

k T ek .

(2.27)

k=1

Poiche la rappresentazione (2.26) `e unica otteniamo il nostro primo risultato.


T `e unicamente determinato se le immagini yk = T ek degli n vettori di base sono
assegnate.

2.10. OPERATORI LINEARI E FUNZIONALI SU SPAZI FINITO DIMENSIONALI 39


Poiche y e yk = T ek sono in Y essi hanno ununica rappresentazione della forma
y=
T ek =

r
X
j=1
r
X

j bj

(2.28)

jk bj .

(2.29)

j=1

Sostituendo in (2.27) si ottiene


y=

r
X
j=1

j bj =

n
X

k T ek =

k=1

n
X
k=1

r
X

jk bj =

j=1

n
r
X
X
j=1

!
jk k

bj .

k=1

Poiche le bj formano un insieme linearmente indipendente, i coefficienti di ciascun bj a destra


e a sinistra devono essere gli stessi, cio`e
j =

n
X

jk k

j = 1, , r.

(2.30)

k=1

Ci`o fornisce il nostro risultato


P successivo. P
Limmagine y = T x = j bj di x =
k ek pu`
o essere ottenuto dalla (2.30).
Si noti la posizione inusuale dellindice di somma j di jk in (2.29), che `e necessaria per
arrivare alla posizione usuale dellindice di somma nella (2.30).
I coefficienti nella (2.30) formano una matrice
TEB = ( jk )
con r righe ed n colonne. Se sono assegnate una base E di X ed una base B di Y , allora la
matrice TEB `e univocamente determinata dalloperatore lineare T. Diciamo che la matrice
TEB rappresenta loperatore T rispetto a queste basi.
Introducendo i vettori colonna x
e = ( k ) e ye = ( j ) possiamo scrivere la (2.30) in notazione
matriciale
ye = TEB x
e.
(2.31)
Analogamente anche (2.29) pu`o essere scritta in forma matriciale
>
b
T e = TEB

(2.32)

dove T e `e il vettore colonna con componenti T e1 , , T en (che sono essi stessi vettori) e b `e
>
il vettore colonna di componenti b1 , , br e dove dobbiamo usare il trasposto TEB
di TEB
perche nella (2.29) sommiamo su j che `e il primo indice.
Le nostre considerazioni mostrano che un operatore lineare T determina ununica matrice
rappresentante T rispetto ad una data base per X ed ad una data base per Y . Viceversa
ogni matrice con r righe ed n colonne determina un operatore lineare che essa rappresenta
rispetto a basi date per X e Y.
Ritorniamo ora ai funzionali lineari su X, dove dim X = n e {e1 , , en } `e una base

per X come prima. Questi funzionali costituiscono lo spazio algebrico duale X P


di X come
sappiamo dalla sezione precedente. Per ogni tale funzionale e per ogni x =
j ej X
abbiamo

n
n
n
X
X
X
f (x) = f
j ej =
j f (ej ) =
j j
(2.33)
j=1

j=1

j=1

40

CAPITOLO 2. SPAZI NORMATI. SPAZI DI BANACH

dove
j = f (ej )

j = 1, , n

(2.34)

ed f `e unicamente determinata dai suoi valori j sugli n vettori di base di X.


Viceversa ogni npla di scalari 1 , , n determina un funzionale lineare su X per le
(2.33), (2.34). In particolare prendiamo le nple
(1,
(0,

(0,

0, 0,
1, 0,

0, 0,

0, 0)
0, 0)

0, 1).

Per le (2.33), (2.34) ci`o fornisce n funzionali che denotiamo f1 , , fn e che hanno valori

0
se j 6= k
(2.35)
fk (ej ) = jk =
1
se j = k;
cio`e fk ha il valore 1 al kmo vettore di base e il valore 0 agli altri n 1 vettori di base.
jk `e chiamato la delta di Kroneker. {f1 , , fn } `e chiamato la base duale della base
{e1 , , en } per X. Ci`o `e giustificato dal seguente teorema.

2.39 Teorema (Dimensioni di X )


Sia X uno spazio vettoriale ndimensionale ed E = {e1 , , en } una base per X. Allora
F = {f1 , , fn } data dalla (2.35) `e una base per lalgebrico duale X . di X e dim X =
dim X = n.
Dimostrazione. F `e un insieme linearmente indipendente perche
n
X

k fk (x) = 0

(x X)

(2.36)

k=1

per x = ej d`a

n
X

k fk (ej ) =

k=1

n
X

k jk = j = 0,

k=1

cos` che tutte le k in (2.36) sono zero. Mostriamo che ogni f X pu`o essere rappresentata
come una combinazione lineare degli elementi di F in una maniera unica. Scriviamo come
in (2.34) f (ej ) = j . Per la (2.33)
f (x) =

n
X

j j

j=1

per ogni x X. Daltra parte per la (2.35) otteniamo che


fj (x) = fj ( 1 e1 + n en ) = j .
Dal confronto
f (x) =

n
X

j fj (x).

j=1

Quindi la rappresentazione unica di un arbitrario funzionale lineare f su X in termini dei


funzionali f1 , , fn `e
f = 1 f1 + n fn .

2.11. SPAZI NORMATI DI OPERATORI. SPAZIO DUALE

41

Usando questo teorema ed il lemma 2.38 possiamo ottenere il seguente teorema.

2.40 Teorema (Riflessivit`


a Algebrica)
Ogni spazio vettoriale finito dimensionale `e algebricamente riflessivo.
Dimostrazione. Lapplicazione canonica C : X X considerata nella sezione precedente
`e lineare e iniettiva. Quindi dal Teorema 2.26 segue che lapplicazione C ha un inverso
lineare C 1 : R(C) X, dove R(C) `e limmagine di C. Abbiamo anche per il medesimo
teorema che dim R(C) = dim X. Ora per il Teorema 2.39
dim X = dim X = dim X.
Confrontando, dim R(C) = dim X . Quindi R(C) = X perche, se R(C) fosse un sottospazio proprio di X , per il Teorema2.4 avrebbe dimensioni minori di X , che `e impossibile.
Ci`o prova la riflessivit`a algebrica.

2.11 Spazi Normati di Operatori. Spazio Duale


In che caso lo spazio normato B(X, Y ) delle applicazioni lineari limitate di X in Y `e uno
`
spazio di Banach? Questa `e una domanda centrale a cui si risponde nel seguente teorema. E
rimarchevole che le ipotesi del teorema non coinvolgano X; ossia X pu`o essere o non essere
completo.

2.41 Teorema (Completezza)


Se Y `e uno spazio di Banach allora B(X, Y ) `e uno spazio di Banach.
Dimostrazione. Consideriamo una successione arbitraria di Cauchy (Tn ) in B(X, Y ) e mostriamo che (Tn ) converge ad un operatore T B(X, Y ). Poiche (Tn ) `e di Cauchy, per ogni
> 0 v`e un N tale che
||Tn Tm || <

(n, m > N ).

Per tutti gli x X ed n, m > N otteniamo cos` [cf. (2.16) nella Sez. 2.8]
||Tn x Tm x|| = ||(Tn Tm )x|| ||Tn Tm || ||x|| < ||x||.

(2.37)

Ora per ogni x fisso e per un dato e


possiamo scegliere un = x tale che x ||x|| < e
. Allora
dalla (2.37) abbiamo ||Tn x Tm x|| < e
e vediamo che (Tn x) `e di Cauchy in Y. Poiche Y `e
completo (Tn x) converge, ossia Tn x y. Chiaramente il limite y Y dipende dalla scelta
di x X. Ci`o definisce un operatore T : X Y, dove y = T x. Loperatore T `e lineare
perche
lim Tn (x + z) = lim(Tn x + Tn z) = lim Tn x + lim Tn z.
Proviamo che T `e limitato e che Tn T, ossia che ||Tn T || 0.
Poiche la (2.37) vale per ogni m > N e Tm x T x possiamo fare m . Usando la
continuit`a della norma allora otteniamo dalla (2.37) per ogni n > N e per tutti gli x X
||Tn x T x|| = ||Tn x lim Tm x|| = lim ||Tn x Tm x|| ||x||.
m

(2.38)

Ci`o mostra che (Tn T ) con n > N `e un operatore limitato. Poiche Tn `e limitato T =
Tn (Tn T ) `e limitato, ossia T B(X, Y ). Inoltre se in (2.38) prendiamo lestremo superiore
per tutti gli x di norma 1 otteniamo
||Tn T ||

(n > N ).

42

CAPITOLO 2. SPAZI NORMATI. SPAZI DI BANACH

Quindi ||Tn T || 0.
Questo teorema ha importanti conseguenze rispetto allo spazio duale X 0 di X, che `e
definito come segue.
2.42 Definizione (Spazio Duale X 0 )
Sia X uno spazio normato. Allora linsieme di tutti i funzionali lineari limitati su X
costituisce uno spazio normato con norma definita da
||f || = sup
xX
x6=0

|f (x)|
= sup |f (x)|
||x||
xX

(2.39)

||x||=1

[cf. (2.22) e (2.23) nella Sez. 2.9] che `e chiamato la spazio duale 2 di X ed `e indicato con
X 0.
Poiche un funzionale lineare su X applica X in R o C (i campi scalari di X) e poiche R e
C presi colla metrica usuale sono completi vediamo che X 0 `e B(X, Y ) con lo spazio completo
Y = R o C. Quindi il Teorema 2.41 `e applicabile ed implica il basilare teorema seguente.

2.43 Teorema (Spazio Duale)


Lo spazio duale X 0 di uno spazio normato X `e uno spazio di Banach (lo sia o no X).
Costituisce un principio fondamentale dellanalisi funzionale che lo studio degli spazi sia
spesso combinato con quello dei loro duali.
In particolare, ricordando la discussione sullo spazio algebrico biduale X nella Sez.
2.9, ci possiamo chiedere se sia utile considerare X 00 = (X 0 )0 lo spazio biduale di X. La
risposta `e positiva ma dobbiamo posporre questa discussione alla Sez. 4.6 dove sviluppiamo
gli strumenti necessari per ottenere dei risultati sostanziosi in questa direzione.

Problemi
1. Mostrare che nello spazio delle n-ple x = ( 1 , 2 , . . . , n ) reali o complesse possibili
norme sono
p

p 1/p

||x||p = (| 1 | + | 2 | + . . . | n | )
||x|| = max (| 1 | , | 2 | , . . . | n |) .

(1 p < +)

`p (1 p < +) delle n-ple infinite x = ( 1 , 2 , . . . , n , . . . ),


2. Mostrare chePlo spazio
p
per le quali j=1 j < , ammette norma

1/p

X
p
j .
||x|| =
j=1

Suggerimento: Conviene considerare il caso p = 1 a parte e per p 6= 1 introdurre q


lesponente coniugato di p definito da
1 1
+ = 1.
p q
2 Altri termini sono duale, spazio aggiunto e spazio coniugato. Si ricordi dalla Sez. 2.9 che lo spazio duale
algebrico X `
e lo spazio vettoriale di tutti i funzionali lineari su X.

2.11. SPAZI NORMATI DI OPERATORI. SPAZIO DUALE

43

Per dimostrare la diseguaglianza triangolare conviene dapprima dimostrare la diseguaglianza ausiliaria


p
q

+
p
q
valida per 0, 0 qualunque ed utilizzarla per dimostrare la diseguaglianza di
Holder

1/p
!1/q

X
X
X

p
q
j j
j
| k |
.
j=1

j=1

k=1

Successivamente si dimostra la diseguaglianza di Minkowski

1/p
1/p
!1/p

X
X
X

p
p
p
j + j

j
+
| k |
j=1

j=1

k=1

e quindi la diseguaglianza triangolare.


3. Nel caso in cui T sia una matrice n n di elementi ( jk ), che opera sullo spazio Cn ,
mostrare che una possibile norma `e data da
1/2

n
X
||T || =
| jk |2 ,
j,k=1

norma che tuttavia, come vedremo al capitolo sugli spazi con prodotto scalare, non
corrisponde alla norma naturale definita dalla norma euclidea in Cn .
4. Nel caso in cui T sia una matrice n n di elementi ( jk ), che opera sullo spazio Cn
della n-ple complesse x = ( 1 , 2 , . . . , n ) in cui sia introdotta la norma
n
X

||x|| =

| k |,

k=1

mostrare che la norma naturale `e data da


||T || = max
k

n
X

| jk |.

j=1

5. Mostrare che lo spazio ` delle n-ple infinite x = ( 1 , 2 , . . . , n , . . . ), per le quali


||x|| = supjN j < , ammette norma

||x|| = sup j .
jN

6. Mostrare che lo spazio C[a, b] delle funzioni u (t) continue nellintervallo [a, b] ammette
norma
||u|| = max |u (t)| .
t[a,b]

7. Mostrare che gli spazi `p ed ` sono spazi di Banach.


(n)

Suggerimento: Mostrare che le componenti j-sime j di una successione di Cauchy


x(n) costituiscono una successione di Cauchy, che converge alla componente j-sima del
limite cercato della successione x(n) .

44

CAPITOLO 2. SPAZI NORMATI. SPAZI DI BANACH


8. Mostrare che lo spazio ` non `e separabile.

Suggerimento: Si consideri il sottoinsieme M di ` costituito dagli elementi y =


1 , 2, . . . , n , . . . con j = 0 o j = 1. Si osservi che la distanza fra due qualunque
elementi del sottoinsieme `e 1 e che mediante la formula

yb =

+ 22 + + nn + . . .
2
2
2

si stabilisce una corrispondenza biiettiva fra M ed i numeri reali yb dellintervallo [0, 1].
Poiche quindi linsieme M non `e numerabile . . .
9. Mostrare che lo spazio `p `e separabile.
p
Suggerimento:
Mostrare che

lo spazio numerabile M di ` costituito dagli elementi


y = 1 , 2, . . . , n , 0, 0, . . . con n qualunque e j razionale o complesso razionale `e
denso in `p .

10. Mostrare che la chiusura Y di un sottospazio vettoriale Y di uno spazio normato X `e


ancora un sottospazio vettoriale.
11. Se dim Y < nel Lemma di Riesz mostrare che si pu`o anche scegliere = 1.
12. Sia X lo spazio dei polinomi x (t) in J = [0, 1] con norma
||x|| = max |x (t)|
tJ

e sia T : X X loperatore differenziazione T x(t) = x0 (t). Mostrare che T `e lineare


non `e limitato.
Suggerimento: Considerare lazione di T sui polinomi xn (t) = tn .
13. Si consideri loperatore integrale T : x (t) C[0, 1] 7 y (t) C[0, 1] definito da
Z

y (t) =

k (t, ) x ( ) d
0

con k (t, ) continua nel quadrato J J. Mostrare che T `e lineare e limitato e che
||T || k0 con k0 = max(t, )JJ |k (t, )| .
14. Sia X = C[a, b]. Mostrare che
Z
f (x) =

x (t) dt
a

`e un funzionale lineare limitato e che ||f || = (b a).


15. Sia X = C[a, b]. Mostrare che
f (x) = x (t0 ) ,
dove t0 `e un punto fisso di [a, b], `e un funzionale lineare limitato e che ||f || = 1.

Capitolo 3

Spazi con Prodotto Scalare.


Spazi di Hilbert
Gli spazi con prodotto scalare sono, come vedremo, degli speciali spazi normati. Storicamente sono pi`
u vecchi degli spazi normati generali. La loro teoria `e pi`
u ricca e conserva molti
degli aspetti dello spazio euclideo, un concetto centrale essendo lortogonalit`a. In effetti gli
spazi con prodotto scalare sono la generalizzazione pi`
u naturale dello spazio euclideo.
Questi spazi sono stati sino ad ora gli spazi pi`
u utili nelle applicazioni pratiche dellanalisi
funzionale.

3.1

Breve Orientamento sul Principale Contenuto della


Teoria

Uno spazio con prodotto scalare X `e uno spazio vettoriale dotato di prodotto scalare hx, yi.
Questultimo generalizza il prodotto scalare di vettori nello spazio tridimensionale ed `e usato
per definire
(I) una norma || || con ||x|| = hx, xi1/2 .
(II) lortogonalit`a con hx, yi = 0.
Uno spazio di Hilbert H `e uno spazio con prodotto scalare completo.
La teoria degli spazi con prodotto scalare e degli spazi di Hilbert `e pi`
u ricca di quella
degli spazi normati generali e degli spazi di Banach. Ci occuperemo
(i) della rappresentazione di H come somma diretta di un sottospazio chiuso e del suo
complemento ortogonale,
(ii) degli insiemi e successioni ortogonali e corrispondenti rappresentazioni degli elementi
di H,
(iii) della rappresentazione di Riesz dei funzionali limitati lineari mediante il prodotto
scalare,
(iv) delloperatore aggiunto di Hilbert T di un operatore limitato lineare.
Vedremo che gli insiemi e le successioni ortogonali sono veramente interessanti solo se
sono totali e che gli operatori aggiunti di Hilbert possono essere usati per definire classi di
operatori (autoaggiunti, unitari, normali ) che sono di grande importanza nelle applicazioni.
45

46

CAPITOLO 3. SPAZI CON PRODOTTO SCALARE. SPAZI DI HILBERT

3.2 Spazi con Prodotto Scalare, Spazio di Hilbert


3.1 Definizione (Spazi con Prodotto Scalare)
Uno spazio con prodotto scalare (o pre-hilbertiano) `e uno spazio vettoriale X dotato di
prodotto scalare. Un prodotto scalare su X `e unapplicazione che associa ad ogni coppia
di vettori x e y uno scalare che viene scritto hx, yi ed `e chiamato prodotto scalare (o prodotto
interno) di x e y, tale che per tutti i vettori x, y, z e scalari si ha
(IP1)

hx, y + zi = hx, yi + hy, zi

(IP2)

hx, yi = hx, yi

(IP3)

hx, yi = hy, xi

(IP4)

hx, xi 0
hx, xi = 0 x = 0.

In (IP3) la barra indica il complesso coniugato. Di conseguenza se X `e uno spazio


vettoriale reale abbiamo semplicemente che
hx, yi = hy, xi

(Simmetria).

Un prodotto scalare su X definisce una norma su X data da


p
||x|| = hx, xi
( 0)

(3.1)

e quindi una metrica su X data da


d(x, y) = ||x y|| =

p
hx y, x yi.

(3.2)

La prova che (3.1) soddisfa agli assiomi da (N1) a (N4) di una norma sar`a data allinizio
della prossima sezione.
Quindi gli spazi con prodotto scalare sono spazi normati.
3.2 Definizione (Spazio di Hilbert)
Uno spazio con prodotto scalare che sia completo (completo nella metrica definita dal
prodotto scalare; cf. (3.2)) si dice spazio di Hilbert.
Da (IP1) a (IP3) otteniamo le formule
hx, y + zi = hx, yi + hx, zi
hx, yi = hx, yi
hx + y, zi = hx, zi + hy, zi

(3.3)
(3.4)
(3.5)

che useremo molto spesso. (3.3) mostra che il prodotto scalare `e lineare nel secondo fattore.
Poiche in (3.5) abbiamo a destra i numeri complessi coniugati e diciamo che il prodotto
scalare `e coniugato lineare nel primo fattore. Riferendosi ad entrambe le propriet`a diciamo
che il prodotto scalare `e sesquilineare. Ci`o significa 1 21 volte lineare ed `e motivato dal
fatto che coniugato lineare `e anche noto come semilineare, un termine meno suggestivo
che non useremo.
Il lettore pu`o mostrare con un semplice calcolo diretto che la norma in uno spazio con
prodotto scalare soddisfa limportante uguaglianza del parallelogramma
||x + y||2 + ||x y||2 = 2(||x||2 + ||y||2 ).

(3.6)

3.2. SPAZI CON PRODOTTO SCALARE, SPAZIO DI HILBERT

47

y
x+y

xy
x

Figura 3.1: Uguaglianza del parallelogramma


Questo nome `e suggerito dalla geometria elementare, come si vede dalla figura 3.1, se ri`
cordiamo che la norma generalizza il concetto elementare di lunghezza di un vettore. E
del tutto rimarchevole che una tale equazione continui a valere nel nostro caso molto pi`
u
generale.
Concludiamo che se una norma non soddisfa la (3.6) essa non pu`o essere ottenuta da
un prodotto scalare con luso della (3.1). Queste norme effettivamente esistono. Possiamo
perci`o dire che non tutti gli spazi normati sono spazi dotati di prodotto scalare.
Definiamo ora il concetto di ortogonalit`a che `e basilare in tutta la teoria. Sappiamo che
se il prodotto scalare di due vettori nello spazio tridimensionale `e zero allora i vettori sono
ortogonali, cio`e sono perpendicolari o almeno uno di essi `e il vettore nullo. Ci`o suggerisce e
motiva la seguente definizione.
`)
3.3 Definizione (Ortogonalita
Un elemento x di uno spazio X con prodotto scalare `e detto ortogonale ad un elemento
y X se
hy, xi = 0.
Diciamo anche che x e y sono ortogonali e scriviamo x y. Analogamente per sottoinsiemi
A, B X scriviamo x A se x a per tutti gli a A ed A B se a b per tutti gli
a A e per tutti i b B.
Per due elementi ortogonali x, y `e facile ottenere la relazione di Pitagora
||x + y||2 = ||x||2 + ||y||2 .
Pi`
u in generale se {x1 , , xn } `e un insieme ortogonale allora
||x1 + + xn ||2 = ||x1 ||2 + + ||xn ||2 .
Infatti hxj , xk i = 0 se j 6= k e di conseguenza
+
X 2 *
XX
X
X
X
X

xj
xk =
hxj , xk i =
hxj , xj i =
||xj ||2
xj ,

=
j

(la somma va da 1 a n).


Infine menzioniamo il seguente fatto interessante. Il prodotto scalare pu`o essere espresso
esplicitamente in funzione della norma data dalla (3.1). Infatti il lettore pu`o verificare con
un calcolo diretto che per un prodotto scalare reale abbiamo
hx, yi =

1
(||x + y||2 ||x y||2 )
4

(3.7)

48

CAPITOLO 3. SPAZI CON PRODOTTO SCALARE. SPAZI DI HILBERT

e per un prodotto scalare complesso


1
(||x + y||2 ||x y||2 )
4
1
=hx, yi = (||x iy||2 ||x + iy||2 )
4
<hx, yi =

(3.8)

dove <hx, yi e =hx, yi indicano la parte reale ed immaginaria. La formula (3.8) `e talvolta
chiamata identit`
a di polarizzazione.

3.3 Ulteriori Propriet`


a degli Spazi con Prodotto Scalare
Prima di tutto dovremmo verificare che la (3.1) della sezione precedente definisce una norma.
(N1) e (N2) seguono dalla (IP4). Inoltre (N3) `e ottenuto colluso di (IP2) e (IP3); infatti
||x||2 = hx, xi = hx, xi = ||2 ||x||2 .
Infine (N4) `e incluso nel seguente Lemma.

3.4 Lemma (Diseguaglianza di Schwarz, Diseguaglianza Triangolare)


Un prodotto scalare e la corrispondente norma soddisfano la diseguaglianza di Schwarz e la
diseguaglianza triangolare secondo quanto segue.
(a) Abbiamo
|hx, yi| ||x|| ||y||

(Diseguaglianza di Schwarz)

(3.9)

dove il segno uguale vale se e solo se {x, y} `e un insieme linearmente dipendente.


(b) Questa norma soddisfa anche
||x + y|| ||x|| + ||y||

(Disuguaglianza Triangolare)

(3.10)

dove il segno deguale vale se e solo se1 y = 0 o x = cy (c reale e 0).


Dimostrazione. (a) Se y = 0 allora la (3.9) vale perche hx, 0i = 0. Sia y 6= 0. Per ogni scalare
abbiamo
0 ||x y||2 = hx y, x yi
= hx, xi hx, yi [hy, xi hy, yi].
Vediamo che lespressione nella parentesi [ ] `e zero se scegliamo = hy, xi/hy, yi. La
disuguaglianza risultante `e
0 hx, xi

hy, xi
|hx, yi|2
hx, yi = ||x||2
,
hy, yi
||y||2

dove abbiamo usato hy, xi = hx, yi. Moltiplicando per ||y||2 , trasferendo lultimo termine a
sinistra e prendendo la radice si ottiene la (3.9).
Luguaglianza vale in questa derivazione se e solo se y = 0 o 0 = ||x y||2 , quindi
x y = 0, cos` che x = y, che mostra la dipendenza lineare.
1 Si noti che questa condizione per leguaglianza `
e perfettamente simmetrica in x e y perch
e x=0`
e
incluso in x = cy (per c = 0) ed `
e pure y = kx, k = 1/c (per c > 0).

` DEGLI SPAZI CON PRODOTTO SCALARE


3.3. ULTERIORI PROPRIETA

49

(b) Proviamo la (3.10). Abbiamo


||x + y||2 = hx + y, x + yi = ||x||2 + hx, yi + hy, xi + ||y||2 = ||x||2 + 2Rehx, yi + ||y||2 .
Poiche Rehx, yi |hx, yi| e a sua volta per la disuguaglianza di Schwarz
|hx, yi| ||x|| ||y||
otteniamo
||x + y||2 ||x||2 + 2|hx, yi| + ||y||2
||x||2 + 2||x|| ||y|| + ||y||2
= (||x|| + ||y||)2 .
Prendendo la radice di entrambi i membri abbiamo la (3.10).
Leguaglianza in questa derivazione vale se e solo se
Rehx, yi = ||x|| ||y||.
Da ci`o e dalla (3.9)
Rehx, yi = ||x|| ||y|| |hx, yi|.

(3.11)

Poiche la parte reale di un numero complesso non pu`o essere maggiore del suo modulo
dobbiamo avere luguaglianza. il che implica la dipendenza lineare per la parte (a), cio`e
y = 0 o x = cy. Mostriamo che c `e reale e 0. Dalla (3.11) col segno duguale abbiamo
Rehx, yi = |hx, yi|. Ma se la parte reale di un numero complesso `e uguale al suo modulo la
parte immaginaria deve essere zero. Quindi hx, yi = Rehx, yi 0 per la (3.11) e c 0 segue
da
0 hx, yi = hcy, yi = c||y||2 .
La disuguaglianza di Schwarz (3.9) `e molto importante e sar`a utilizzata nelle dimostrazioni pi`
u e pi`
u volte.
Unaltra propriet`a frequentemente usata `e la continuit`a del prodotto scalare.

3.5 Lemma (Continuit`


a del Prodotto Scalare)
Il prodotto scalare hy, xi con y fissato definisce un funzionale lineare f (x) = hy, xi su X
limitato e quindi continuo, che ha norma ||f || = ||y||.
Dimostrazione. Escludiamo il caso banale y = 0. Per la disuguaglianza di Schwarz `e
|f (x)| = |hy, xi| ||y|| ||x||

(3.12)

e quindi f `e limitata con norma ||f || ||y||. Essendo altres`


||f || = sup
x6=0

|hy, yi|
|hy, xi|

= ||y||
||x||
||y||

(3.13)

ne deduciamo che ||f || = ||y||.


Dalla propriet`a (IP3) segue immediatamente che il prodotto scalare hy, xi `e continuo
anche in y. Si noti infine come il prodotto scalare sia in grado di discriminare fra due vettori
diversi. Ci`o `e messo in evidenza dal seguente Lemma.

50

CAPITOLO 3. SPAZI CON PRODOTTO SCALARE. SPAZI DI HILBERT

3.6 Lemma (Eguaglianza)


Se hy, x1 i = hy, x2 i per tutti gli y in uno spazio con prodotto scalare X allora x1 = x2 . In
particolare hy, xi = 0 per tutti gli y X implica x = 0.
Dimostrazione. Per ipotesi per tutti gli y
hy, x1 x2 i = hy, x1 i hy, x2 i = 0.
Per y = x1 x2 ci`o d`a ||x1 x2 ||2 = 0. Quindi x1 x2 = 0. In particolare hy, xi = 0 con
y = x da ||x||2 = 0, cos` che x = 0.
Si noti come da questo Lemma si deduca immediatamente che i funzionali lineari f (x) su
X siano in grado di discriminare fra due punti x1 ed x2 di X nel senso che se f (x1 ) = f (x2 )
per tutti gli f allora x1 = x2 . Infatti fra tutti i possibili funzionali lineari vi sono quelli
esprimibili come prodotto scalare e quindi si applica il Lemma precedente.

3.4 Definizione Equivalente di Spazio con Prodotto Scalare


Uno spazio pre-Hilbertiano (o con prodotto scalare) pu`o essere definito in maniera equivalente come segue.
3.7 Definizione (Spazio pre-Hilbertiano)
Uno spazio normato X (reale o complesso) `e chiamato spazio pre-hilbertiano se la sua norma
soddisfa alluguaglianza del parallelogramma
||x + y||2 + ||x y||2 = 2(||x||2 + ||y||2 ).

(3.14)

Lequivalenza di questa definizione con la definizione 3.1 `e provata dal seguente teorema
e suo corollario.

3.8 Teorema (Spazio pre-Hilbertiano Reale)


Definiamo in uno spazio normato reale X, che soddisfa alluguaglianza del parallelogramma,
hx, yi =

1
(||x + y||2 ||x y||2 ).
4

(3.15)

Allora hx, yi soddisfa a tutte le propriet`


a richieste al prodotto scalare, da (IP1) a (IP4).
Dimostrazione. (IP3) e (IP4) sono evidenti. Per ottenere la (IP1) osserviamo dapprima che
dalla (3.15) segue
hx, yi + hx, zi =

1
(||x + y||2 ||x y||2 + ||x + z||2 ||x z||2 ).
4

Se ora notiamo che

yz
y+z

x
2
2

y+z
yz
xz = x

2
2

xy =

3.4. DEFINIZIONE EQUIVALENTE DI SPAZIO CON PRODOTTO SCALARE

51

otteniamo utilizzando luguaglianza del parallelogramma


1
hx, yi + hx, zi =
2

2
2 !

y
+
z
y
+
z
x +
x

2
2

ed infine per la (3.15)

y+z
hx, yi + hx, zi = 2 x,
.
(3.16)
2

Se prendiamo y = 0 otteniamo hx, zi = 2 x, z2 , perche hx, 0i = 0 per la (3.15). Quindi


dalla (3.16) otteniamo (IP1). Dalla (IP1) segue che per m intero positivo qualunque
hx, mzi = mhx, zi
e quindi la (IP2) vale per un numero razionale positivo qualunque =
hx,

m
n,

perche

z
n
z
1
i = hx, i = hx, zi.
n
n
n
n

Poiche dalla definizione (3.15) segue che hx, zi = hx, zi, la (IP2) vale anche per un numero
razionale negativo qualunque.
In uno spazio normato ||x+y||2 e ||xy||2 sono continui in e quindi per la (3.15) anche hx, yi `e continuo in . Poiche ogni reale si pu`o ottenere come limite di una successione
di numeri razionali, anche (IP2) `e provata.

3.9 Corollario (Spazio pre-Hilbertiano Complesso)


Definiamo in uno spazio normato complesso X, che soddisfa alluguaglianza del parallelogramma,
hx, yi = hx, yi1 ihx, iyi1

(3.17)

dove
hx, yi1 =

1
(||x + y||2 ||x y||2 ).
4

(3.18)

Allora hx, yi soddisfa a tutte le propriet`


a richieste al prodotto scalare, da (IP1) a (IP4).
Dimostrazione. Poiche X `e anche uno spazio pre-hilbertiano reale hx, yi1 e hx, iyi1 e quindi
hx, yi soddisfano a (IP1) e a (IP2) per reale. Per la (3.18) abbiamo hy, xi1 = hx, yi1 ,
hix, iyi1 = hx, yi1 e quindi hy, ixi1 = hiiy, ixi1 = hiy, xi1 = hx, iyi1 . Perci`o
hy, xi = hy, xi1 ihy, ixi1 = hx, yi1 + ihx, iyi1 = hx, yi
e vale (IP3). Analogamente abbiamo
hx, iyi = hx, iyi1 ihx, iiyi1 = hx, iyi1 + ihx, yi1 = ihx, yi
e quindi abbiamo provato la (IP2) per complesso. Infine vale la (IP4) perche
hx, xi1 = ||x||2

e hx, ixi1 =

1
(|1 + i|2 |1 i|2 )||x||2 = 0.
4

52

CAPITOLO 3. SPAZI CON PRODOTTO SCALARE. SPAZI DI HILBERT

3.5 Completamento di uno Spazio con Prodotto Scalare


Ogni spazio con prodotto scalare pu`o essere completato. Il completamento `e uno spazio di
Hilbert ed `e unico a meno di isomorfismi. La definizione di isomorfismo `e qui la seguente
(come suggerito dalla nostra discussione nella Sez. 2.9).
Un isomorfismo T di uno spazio con prodotto scalare X su uno spazio con prodotto
e sullo stesso campo `e un operatore lineare biiettivo T : X X
e che conserva il
scalare X
prodotto scalare, cio`e tale che per tutti gli x, y X
hT x, T yi = hx, yi,
e . X
e
dove per semplicit`a indichiamo con lo stesso simbolo il prodotto scalare su X e su X
e
`e allora detto isomorfo ad X e X ed X sono detti spazi con prodotto scalare isomorfi. Si
osservi che la biiettivit`a e la linearit`a garantiscono che T `e un isomorfismo fra spazi vettoriali
e cos` che T conserva lintera struttura di spazio con prodotto scalare. T `e anche
di X su X,
e perche le distanze in X e X
e sono determinate dalle norme definite
unisometria di X su X
e
a mezzo dei prodotti scalari in X ed X.
Il teorema sul completamento di spazi con prodotto scalare, la cui dimostrazione lo
studente interessato pu`o trovare sulla versione estesa delle dispense, pu`o ora esser formulato
come segue.

3.10 Teorema (Completamento)


Per un qualunque spazio con prodotto scalare X esiste uno spazio di Hilbert H ed un
isomorfismo A da X su un sottospazio denso W H. Lo spazio H `e unico a meno di
isomorfismi.
Un sottospazio Y di uno spazio con prodotto scalare X `e definito come un sottospazio
vettoriale di X preso con il prodotto scalare su X ristretto a Y Y.
Analogamente un sottospazio Y di uno spazio di Hilbert H `e definito come un sottospazio di H, considerato come uno spazio con prodotto scalare. Si noti che Y non `e necessariamente uno spazio di Hilbert perche Y pu`o non essere completo. Infatti dai Teoremi 2.8
e 2.11 ricaviamo immediatamente le affermazioni (a) e (b) del seguente teorema.

3.11 Teorema (Sottospazio)


Sia Y un sottospazio di uno spazio di Hilbert H. Ne segue
(a) Y `e completo se e solo se Y `e chiuso in H.
(b) Se Y `e finito dimensionale allora Y `e completo.
(c) Se H `e separabile lo `e anche Y. Pi`
u generalmente ogni sottoinsieme di uno spazio con
prodotto scalare separabile `e separabile.
La semplice dimostrazione di (c) `e lasciata al lettore.

3.6 Complemento Ortogonale e Somma Diretta


In uno spazio metrico X la distanza di un elemento x X da un sottospazio non vuoto
M X `e definita essere
= inf d(x, ye)
(M 6= ).
y
eM

3.6. COMPLEMENTO ORTOGONALE E SOMMA DIRETTA

..
..
..
..
..
..
..
..
..
..
..
..
.

Non v`e y

x
..
..
..
..
..
..
..
..
..
..
.. y
.

Un solo y

53

x.
.....
... .... ....
.
.. .. ...
.. ... ....
.
.. ..
...
.
..
...
..
..
...
...
.
.
.
...
..
...
..
.
y
.
M
.
y
Infiniti y

Figura 3.2: Vettore minimizzante


In uno spazio normato ci`o diventa
= inf ||x ye||.
y
eM

(3.19)

Vedremo che `e importante sapere se v`e un y M tale che


= ||x y||,

(3.20)

ossia, parlando intuitivamente, se v`e un punto y M che sia il pi`


u vicino ad un dato x
e se, esistendo questo punto, esso sia unico. Questo `e un problema di esistenza ed unicit`
a.
Esso `e di fondamentale importanza sia teorica che applicativa, ad esempio in connessione
con lapprossimazione delle funzioni.
La figura 3.2 illustra il fatto che anche in uno spazio molto semplice come lo spazio
euclideo R3 vi pu`o non essere alcun y che soddisfa la (3.20) od anche uno solo o pi`
u di
uno. Possiamo aspettarci che in altri spazi, in particolare negli spazi multidimensionali,
vi possano essere a questo riguardo situazioni anche pi`
u complicate. Per un generico spazio
normato questo `e il caso (come si pu`o vedere), ma per gli spazi di Hilbert la situazione rimane
relativamente semplice. Questo fatto `e sorprendente ed ha diverse conseguenze teoriche e
pratiche. Ed `e una delle ragioni per cui la teoria degli spazi di Hilbert `e pi`
u semplice di
quella dei generici spazi di Banach.
Per considerare il problema di esistenza ed unicit`a per gli spazi di Hilbert e per formulare
il teorema chiave (3.12, qui di seguito) abbiamo bisogno di due concetti collegati, che sono
di interesse generale.
Il segmento che congiunge due dati elementi x e y di uno spazio vettoriale X `e definito
come linsieme di tutti gli z X della forma
z = (1 )x + y

( R, 0 1).

Un sottoinsieme M di X `e detto convesso se per ogni x, y M il segmento che congiunge


x e y `e contenuto in M.

54

CAPITOLO 3. SPAZI CON PRODOTTO SCALARE. SPAZI DI HILBERT

Per esempio ogni sottospazio Y di X `e convesso e lintersezione di spazi convessi `e


convesso.
Possiamo ora fornire il principale strumento di questa sezione.

3.12 Teorema (Vettore Minimizzante)


Sia X uno spazio con prodotto scalare ed M 6= un sottoinsieme convesso completo (nella
metrica indotta dal prodotto scalare). Allora per ogni dato x X esiste un unico y M
tale che
= inf ||x ye|| = ||x y||.
(3.21)
y
eM

Dimostrazione. (a) Esistenza. Per definizione di estremo inferiore v`e una successione (yn )
in M tale che
n
dove
n = ||x yn ||.
(3.22)
Mostriamo che (yn ) `e di Cauchy. Ponendo yn x = vn abbiamo yn ym = vn vm e per
luguaglianza del parallelogramma
||yn ym ||2 = ||vn vm ||2 = ||vn + vm ||2 + 2(||vn ||2 + ||vm ||2 ).

(3.23)

Osserviamo che e che

||vn + vm || = ||yn + ym 2x|| = 2 (yn + ym ) x 2


2

(3.24)

perche 12 (yn + ym ) M , essendo M convesso. Ricordando che ||vn || = n , abbiamo quindi


dalle (3.23) e (3.24)
||yn ym ||2 (2)2 + 2( 2n + 2m ),
che per la (3.22) implica che (yn ) `e di Cauchy. Poiche M `e completo (yn ) converge, ossia
yn y M. Questo `e ly cercato. Infatti per la continuit`a della norma e per la (3.22)
otteniamo che
||x y|| = lim ||x yn || = lim n = .
n

(b) Unicit`
a. Assumiamo che entrambi y M e y0 M soddisfino
||x y|| =

||x y0 || =

e mostriamo che allora y0 = y. Per leguaglianza del parallelogramma


||y y0 ||2 = ||(y x) (y0 x)||2
= 2||y x||2 + 2||y0 x||2 ||(y x) + (y0 x)||2

2
1

.
= 2 2 + 2 2 22
(y
+
y
)

x
0
2

A destra 12 (y + y0 ) M, cos` che

1
(y + y0 ) x .

2
Ci`o implica che il membro a destra `e minore od uguale a 2 2 +2 2 4 2 = 0. Quindi abbiamo
la diseguaglianza ||y y0 ||2 0, ossia y0 = y.

3.6. COMPLEMENTO ORTOGONALE E SOMMA DIRETTA

55

Passando dagli spazi convessi arbitrari ai sottospaz otteniamo il lemma che generalizza
lidea familiare della geometria elementare che lunico punto y in un sottospazio dato Y pi`
u
vicino ad un dato x viene trovato tracciando una perpendicolare da x a Y .

3.13 Lemma (Ortogonalit`


a)
Nel teorema 3.12 sia M un sottospazio completo Y e sia x X fissato. Allora z = x y `e
ortogonale a Y.
Dimostrazione. Se z Y fosse falso vi sarebbe un y1 Y tale che
hy1 , zi = 6= 0.

(3.25)

Chiaramente y1 6= 0 perche altrimenti hy1 , zi = 0. Inoltre per ogni scalare


||z y1 ||2 = hz y1 , z y1 i
= hz, zi hz, y1 i [hy1 , zi hy1 , y1 i]
= hz, zi [ hy1 , y1 i].
Lespressione in parentesi `e zero se scegliamo
=

.
hy1 , y1 i

Dalla (3.21) abbiamo ||z|| = ||x y|| = cos` che la nostra equazione ora ci d`a
||z y1 ||2 = ||z||2

||2
< 2.
hy1 , y1 i

Ma questo `e impossibile perche abbiamo


z y1 = x y2

dove

y2 = y + y1 Y,

cos` che ||z y1 || per definizione di . Quindi (3.25) non pu`o essere valida ed il lemma
`e dimostrato.
` sovente utile rappresentare uno spazio di Hilbert come somma diretta di due sottoE
spazi. Questa decomposizione risulta essere particolarmente semplice e conveniente se viene
realizzata utilizzando lortogonalit`a. Per comprendere la situazione ed il problema introduciamo dapprima il concetto di somma diretta. Questo concetto ha senso per qualunque
spazio vettoriale ed `e definito come segue.
3.14 Definizione (Somma Diretta)
Uno spazio vettoriale X `e detto somma diretta di due sottospazi Y e Z di X e si scrive
X =Y Z
se ciascun x X ha ununica rappresentazione
x=y+z

y Y, z Z.

Allora Z `e chiamato un complemento algebrico di Y in X e viceversa, e Y, Z `e chiamato una


coppia complementare di sottospazi in X.
Ad esempio Y = R `e un sottospazio del piano euclideo R2 . Chiaramente Y ha infiniti diversi complementi algebrici in R2 , ciascuno dei quali `e una retta reale. Ma il pi`
u conveniente
`e un complemento che `e perpendicolare.

56

CAPITOLO 3. SPAZI CON PRODOTTO SCALARE. SPAZI DI HILBERT

Analogamente nel caso di uno spazio generale di Hilbert H linteresse principale riguarda le rappresentazioni di H come somma diretta di un sottospazio chiuso Y e del suo
complemento ortogonale
Y = {z H : z Y },
che `e linsieme di tutti i vettori ortogonali a Y. Questo `e il maggior risultato in questa sezione,
che `e qualche volta chiamato il teorema della proiezione per ragioni che spiegheremo dopo
la dimostrazione.

3.15 Teorema (Somma Diretta)


Sia Y un qualunque sottospazio di uno spazio di Hilbert H. Allora
Z = Y .

H =Y Z

(3.26)

Dimostrazione. Poiche H `e completo e Y `e chiuso, Y `e completo per il Teorema 1.13. Poiche


Y `e convesso il Teorema 3.12 ed il Lemma 3.13 implicano che per ogni x H v`e un y Y
tale che

x=y+z
zY .
(3.27)

Notiamo ora che Y = Y perche se v Y , per la continuit`a del prodotto scalare, `e anche
v Y.
Rimane quindi da provare lunicit`a della decomposizione (3.27). Assumiamo sia
x = y + z = y1 + z1
dove y, y1 Y e z, z1 Z. Allora y y1 = z1 z. Poiche y y1 Y mentre z1 z Z =

Y = Y vediamo che y y1 Y Y = {0}. Ci`o implica y = y1 . Quindi anche z = z1 .


` allora
In genere questo teorema si utilizza nel caso in cui Y `e chiuso. E
H =Y Y
e la decomposizione ortogonale di x si scrive
x=y+z

y Y,

z Y .

(3.28)

y in (3.28) `e chiamato, con terminologia presa a prestito dalla geometria elementare, la


proiezione ortogonale di x su Y (o brevemente la proiezione di x su Y ).
Lequazione (3.28) definisce unapplicazione
P :HY
x 7 y = P x.
P `e chiamato loperatore di proiezione ortogonale di H su Y.
Loperatore lineare P `e limitato con norma ||P || = 1. Infatti, poiche y e z sono ortogonali,
abbiamo
p
per ogni x H,
||P x|| = ||y|| ||y||2 + ||z||2 = ||x||
cio`e P `e limitato con norma ||P || 1. Per x = y `e ||P y|| = ||y|| e quindi ||P || = 1.
Si noti che la restrizione di P a Y `e loperatore identit`a su Y essendo
P y = y,

per ogni y Y

3.6. COMPLEMENTO ORTOGONALE E SOMMA DIRETTA

57

e che P `e idempotente, ossia


P 2 = P,
essendo
P 2 x = P (P x) = P y = y = P x,

per ogni x H.

Inoltre
P z = 0,

per ogni z Z = Y .

Un discorso perfettamente analogo si pu`o ripetere per loperatore I P che `e il proiettore


ortogonale su Z = Y .
Riportiamo ora alcune osservazioni sui complementi ortogonali, che saranno utili nel
seguito. Sia M 6= un sottoinsieme (non necessariamente un sottospazio) di uno spazio con
prodotto scalare X e sia M il suo complemento ortogonale, ossia linsieme
M = {x X : hx, vi = 0, v M }.
Si noti che M `e uno spazio vettoriale poiche x, y M implica per tutti i v M e per
tutti gli scalari ,
hv, x + yi = hv, xi + hv, yi = 0
e quindi x + y M .
M `e inoltre chiuso come il lettore pu`o provare utilizzando la continuit`a del prodotto
scalare.
Scriviamo M per indicare (M ) . In generale abbiamo
M M .

(3.29)

Infatti se
x M = x M = x (M )
cio`e M M . Inoltre se x M allora esiste una successione (xn ) di M tale che xn x.
Per la continuit`a del prodotto scalare, poiche xn M anche x M e quindi x M .
Nel caso in cui M sia un sottospazio possiamo formulare il seguente lemma.

3.16 Lemma (Doppio Complemento Ortogonale)


Se Y `e un sottospazio di uno spazio di Hilbert H allora
Y = Y .

(3.30)

Dimostrazione. Y Y per la (3.29). Mostriamo che Y Y . Sia x Y . Allora per


il teorema 3.15 possiamo scrivere per x la decomposizione ortogonale x = y + z , dove y Y
e z Y . Ma x Y per assunzione ed y Y perche per la (3.29) Y Y e quindi,
poiche Y `e uno spazio vettoriale, anche z = x y Y . Essendo z Y abbiamo che
z z e quindi z = 0 cos` che x = y, ossia x Y . Poiche x Y era arbitrario ci`o prova
che Y Y .
Il Teorema 3.15 ed il Lemma conseguente 3.16 implicano facilmente una caratterizzazione
degli insiemi negli spazi di Hilbert il cui span `e denso, che `e la seguente.

58

CAPITOLO 3. SPAZI CON PRODOTTO SCALARE. SPAZI DI HILBERT

3.17 Lemma (Insieme Denso)


Per ogni sottoinsieme M 6= di uno spazio di Hilbert H lo span V di M `e denso in H se e
solo se M = {0}.
Dimostrazione. (a) Assumiamo che V = span M sia denso in H, ossia assumiamo V = H.

Essendo V = V per il Teorema 3.15 possiamo scrivere H = V V , ma per il Lemma


3.16 `e V = V e quindi, essendo H = V , ne segue che V = {0}. Poiche V M , ci`o
mostra che M = {0}.
(b) Viceversa supponiamo che M = {0}. Se x V allora x M cos` che x M
e x = 0. Quindi V = {0}. Per il Teorema 3.15 abbiamo che H = V V . Ma essendo
V = {0} otteniamo H = V , cio`e V `e denso in H.

3.7 Insiemi e Successioni Ortonormali


3.18 Definizione (Insiemi e Successioni Ortogonali)
Un insieme ortogonale M in uno spazio con prodotto scalare X `e un sottoinsieme M X
i cui elementi sono a due a due ortogonali. Un insieme ortonormale M X `e un insieme
ortogonale in X i cui elementi hanno norma 1, ossia per tutti gli x, y M

0
se x 6= y
hx, yi =
(3.31)
1
se x = y.
Se un insieme ortogonale o ortonormale M `e numerabile possiamo ordinarlo in una
successione (xn ) e chiamarlo, rispettivamente, successione ortogonale o ortonormale.
Pi`
u in generale un insieme con indice, o famiglia, (x ), I, `e chiamato ortogonale se
x x per tutti gli , I, 6= . La famiglia `e chiamata ortonormale se `e ortogonale e
tutti gli x hanno norma 1, cos` che per tutti gli , I abbiamo

0
se 6=
hx , x i = =
,
(3.32)
1
se = .
dove `e la delta di Kronecker.
Consideriamo ora alcune semplici propriet`a degli insiemi ortogonali e ortonormali.

3.19 Lemma (Indipendenza Lineare)


Un insieme ortonormale `e linearmente indipendente.
Dimostrazione. Sia {e1 , , en } ortonormale e consideriamo lequazione
1 e1 + + n en = 0.
Moltiplicando per un ej fisso si ottiene
+
*
X
X
k ek =
k hej , ek i = j hej , ej i = j = 0
ej ,
k

ci`o che prova lindipendenza lineare per ogni insieme finito o infinito ortonormale.
Un grande vantaggio delle successioni ortonormali rispetto alle successioni arbitrarie
linearmente indipendenti `e il seguente. Se sappiamo che un dato x pu`o essere rappresentato come una combinazione lineare di alcuni elementi di una successione ortonormale,
allora la ortonormalit`a rende leffettiva determinazione dei coefficienti molto facile. Infatti

3.7. INSIEMI E SUCCESSIONI ORTONORMALI

59

se {e1 , , en } `e una successione ortonormale in uno spazio con prodotto scalare X e se


abbiamo che x span{e1 , , en }, dove n `e fisso, allora per la definizione di span
x=

n
X

k ek ,

(3.33)

k=1

e se calcoliamo il prodotto scalare per un ej fisso otteniamo


*
+
n
n
X
X
hej , xi = ej ,
k ek =
k hej , ek i = j .
k=1

k=1

Con questi coefficienti la (3.33) diventa


x=

n
X

hek , xiek .

(3.34)

k=1

Lutilizzo di un insieme ortonormale risulta vantaggioso anche quando di un elemento x


span {e1 , , en+1 } si conosca gi`a la proiezione x sul sottospazio span {e1 , , en } espressa
` allora
secondo (3.34). E
x = x + n+1 en+1
con n+1 = hen+1 , xi e quindi per esprimere x come combinazione lineare degli ek rimane
da calcolare solamente questo coefficiente mentre gli altri rimangono invariati.

3.20 Teorema (Diseguaglianza di Bessel)


Sia (ek ) una successione ortonormale in uno spazio con prodotto scalare X. Allora per ogni
x X, il vettore y Yn = span{e1 , , en } che ha distanza minima da x `e
y=

n
X

hek , xiek ,

(3.35)

k=1

e vale

|hek , xi|2 ||x||2

(Diseguaglianza di Bessel).

(3.36)

k=1

I prodotti scalari hek , xi nella (3.36) sono chiamati i coefficienti di Fourier di x rispetto
alla successione ortonormale (ek ).
Dimostrazione. Per un generico ye Yn
ye =

n
X

k ek

k=1

abbiamo, grazie allortonormalit`a degli ek ,


+
*
n
n
X
X
2
k ek , x
k ek
||x ye|| = x
k=1
n
X

= ||x||2
= ||x||2

k=1
n
X
k=1

k=1

k hek , xi

n
X
k=1

|hek , xi|2 +

n
X
k=1

k hx, ek i +

n
X
k=1

|hek , xi k |2 .

|k |2

60

CAPITOLO 3. SPAZI CON PRODOTTO SCALARE. SPAZI DI HILBERT

Quindi il vettore di Yn che ha distanza minima da x `e quello definito in (3.35).


Poiche ||x y||2 0 abbiamo per ogni n = 1, 2,
n
X

|hek , xi|2 ||x||2 .

(3.37)

k=1

Questa somma ha termini non negativi e perci`o forma una successione monotona non decrescente. Questa successione converge perche `e limitata da ||x||2 . Quindi la (3.37) implica
la diseguaglianza di Bessel (3.36).
Si noti che la (3.35) si pu`o ottenere pi`
u direttamente osservando che grazie al Teorema
3.12 ed al Lemma 3.13 si pu`o scrivere per ogni x X
x=

n
X

k ek + z

(3.38)

k=1

Pn
ove y =
k=1 k ek ha distanza minima da x e z Yn . I coefficienti k si ottengono
calcolando il prodotto scalare della (3.38) con ej (j = 1, 2, . . . n).
Si noti che se X `e finito dimensionale allora ogni insieme ortonormale in X, essendo
linearmente indipendente per il Lemma 3.19, deve essere finito. Quindi in questo caso in
(3.36) abbiamo una somma finita.
Osserviamo infine che, grazie al Lemma 3.13, z = x yy. Ci`o si pu`o anche mostrare
direttamente. Notiamo dapprima che per lortonormalit`a
* n
+
n
n
X
X
X
hek , xiek ,
hem , xiem =
|hek , xi|2 .
(3.39)
||y||2 =
m=1

k=1

k=1

Quindi, usando questa formula, otteniamo


hy, zi = hy, x yi = hy, xi hy, yi
* n
+
X
hek , xiek , x ||y||2
=
k=1

n
X

hek , xihek , xi

k=1

n
X

|hek , xi|2

k=1

=0
ossia z y.
Abbiamo visto che le successioni ortonormali sono molto convenienti da utilizzare. Rimane il problema pratico di come ottenere una successione ortonormale se `e data unarbitraria
successione linearmente indipendente. Ci`o si ottiene mediante un procedimento costruttivo,
il processo di Gram-Schmidt per ortonormalizzare una successione linearmente indipendente (xj ) in uno spazio con prodotto scalare. La successione ortonormale risultante (en )
ha la propriet`a che per ogni n
span{e1 , , en } = span{x1 , , xn }.
Il processo `e il seguente.
Primo passo. Il primo elemento di (en ) `e
e1 =

1
x1 .
||x1 ||

3.8. SERIE COLLEGATE A SUCCESSIONI E INSIEMI ORTONORMALI

61

Secondo passo. x2 pu`o esser scritto


x2 = he1 , x2 ie1 + v2 .
Allora
v2 = x2 he1 , x2 ie1
non `e il vettore nullo perche (xj ) `e linearmente indipendente; inoltre v2 e1 perche he1 , v2 i =
0 cos` che possiamo prendere
1
e2 =
v2 .
||v2 ||
Passo n-mo. Il vettore
vn = xn

n1
X

hek , xn iek

(3.40)

k=1

non `e nullo ed `e ortogonale a e1 , , en1 . Quindi otteniamo


en =

1
vn .
||vn ||

(3.41)

Si noti che la somma che viene sottratta nel membro a destra della (3.40) `e la proiezione
di xn sullo span{e1 , , en1 }. In altre parole ad ogni passo sottraiamo a xn la sua componente nella direzione dei vettori precedentemente ortonormalizzati. Ci`o d`a vn che `e poi
moltiplicato per 1/||vn || in modo da ottenere un vettore di norma uno. vn per n qualunque
non pu`o essere un vettore nullo. Infatti se n fosse il pi`
u piccolo indice per cui vn = 0 allora
la (3.40) mostrerebbe che xn sarebbe una combinazione lineare degli e1 , , en1 e quindi
una combinazione lineare degli x1 , , xn1 contraddicendo lassunzione che {x1 , , xn }
`e linearmente indipendente.

3.8 Serie Collegate a Successioni e Insiemi Ortonormali


In questa sezione consideriamo dapprima le serie collegate alle successioni ortonormali e poi
estendiamo i risultati ottenuti agli insiemi ortonormali non numerabili.
Data una successione ortonormale (en ) in uno spazio di Hilbert H possiamo considerare
la serie della forma

X
k ek
(3.42)
k=1

dove gli 1 , 2 , sono scalari qualunque. In accordo con la definizione data nella Sez. 2.3
una tale serie converge ed ha la somma s se esiste un s H tale che la successione (sn )
delle somme parziali
sn = 1 e1 + + n en
converge a s, ossia ||s sn || 0 per n .

3.21 Teorema (Convergenza)


Sia (en ) una successione ortonormale in uno spazio di Hilbert H. Allora
(a) La serie (3.42) converge se e solo se la seguente serie

X
k=1

|k |2

(3.43)

62

CAPITOLO 3. SPAZI CON PRODOTTO SCALARE. SPAZI DI HILBERT


converge.

(b) Se la (3.42) converge e si indica con x la sua somma, allora i coefficienti k sono i
coefficienti di Fourier hx, ek i di x e si pu`
o scrivere
x=

hek , xiek .

(3.44)

k=1

(c) Per qualsiasi x H la serie (3.42) con k = hek , xi converge (non necessariamente a
x).
(d) Dato un qualsiasi x H condizione necessaria e sufficiente perche sia
x=

hek , xiek

k=1

`e che sia
kxk2 =

|hek , xi| .

(3.45)

k=1

Dimostrazione. (a) Siano


sn = 1 e1 + + n en

n = |1 |2 + + |n |2 .

Allora a causa dellortonormalit`a per qualsiasi m e n > m


||sn sm ||2 = ||m+1 em+1 + + n en ||2
= |m+1 |2 + + |n |2 = n m .
Quindi (sn ) `e di Cauchy in H se e solo se ( n ) `e di Cauchy in R. Poiche H e R sono completi
ne segue la prima affermazione del teorema.
(b) Sia k un generico ma fisso coefficiente della serie. Prendendo il prodotto scalare di
un qualunque sn con n k e di ek ed usando lortonormalit`a abbiamo che
hek , sn i = k

per ogni n k.

Per ipotesi sn x. Poiche il prodotto scalare `e continuo


k = hek , sn i hek , xi
come si voleva dimostrare.
(c) Dalla diseguaglianza di Bessel nel Teorema 3.20 segue la convergenza della serie

|hek , xi|2 .

k=1

Da ci`o e da (a) concludiamo


che (c) deve esser valido.
P
(d) Se `e x = k=1 hek , xiek allora per la norma di x possiamo scrivere
*
+
X
2
||x|| = x,
hek , xiek ,
k=1

3.8. SERIE COLLEGATE A SUCCESSIONI E INSIEMI ORTONORMALI

63

da cui utilizzando la continuit`a del prodotto scalare otteniamo la (3.45). Se viceversa `e


P
2
kxk2 = k=1 |hek , xi| consideriamo
+
2 *

X
X
X

x
hek , xiek , x
hej , xiej .
hek , xiek = x

j=1

k=1

k=1

Utilizzando la continuit`a del prodotto scalare e lortonormalit`a della successione {en } otteniamo

X
X

2
x
= kx||2
he
,
xie
|hek , xi|
k
k

k=1

k=1

P
e quindi x = k=1 hek , xiek come volevasi dimostrare.
Se una famiglia ortonormale (e ), I, in uno spazio con prodotto scalare X non
`e numerabile (perche linsieme di indici I non `e numerabile) possiamo ancora formare i
coefficienti di Fourier he , xi di un x X. In questo caso possiamo provare il rimarchevole
Teorema seguente.

3.22 Teorema (Coefficienti di Fourier)


Un qualsiasi x in uno spazio con prodotto scalare X pu`
o avere, rispetto ad una famiglia
ortonormale (e ), I, in X, al pi`
u una quantit`
a numerabile di coefficienti di Fourier
he , xi diversi da zero.
Se, per un qualsiasi x X considerato fisso, si ordinano gli e con he , xi 6= 0 in
una successione ortonormale (e1 , e2 , ) si possono considerare le quantit`
a considerate nei
paragrafi precedenti. In particolare vale la diseguaglianza di Bessel
X
|he , xi|2 ||x||2
I

e se X `e uno spazio di Hilbert la serie


X

he , xie

(3.46)

converge. Inoltre la sua somma non dipende dallordine secondo cui gli e con coefficiente
di Fourier diverso da zero sono inseriti nella successione.
Dimostrazione. Per ciascun fissato m = 1, 2, il numero dei coefficienti di Fourier tali che
|he , xi| > 1/m deve essere finito, perch
e, qualora ci`o non fosse, vi sarebbe una successione
P
ortonormale di e per la quale la serie I |he , xi|2 sarebbe divergente in contraddizione
colla disuguaglianza di Bessel (3.36) del Teorema 3.20. Pertanto i coefficienti di Fourier
he , xi, che siano diversi da zero, risultano costituire un insieme che `e lunione di una collezione numerabile di insiemi ciascuno con un numero finito di elementi e sono quindi al pi`
u
numerabili.
La convergenza della serie (3.46) segue dal Teorema 3.21.
Sia ora (wn ) un riordinamento di (en ). Per definizione questo significa che v`e unapplicazione biiettiva n m(n) di N in se stesso tale che i termini corrispondenti delle due
successioni sono uguali, cio`e wm(n) = en . Poniamo
n = hen , xi,
e
x1 =

X
n=1

n en ,

m = hwm , xi

x2 =

X
m=1

m wm .

64

CAPITOLO 3. SPAZI CON PRODOTTO SCALARE. SPAZI DI HILBERT

Allora per il Teorema 3.21(b),


n = hen , xi = hen , x1 i,

m = hwm , xi = hwm , x2 i.

Poiche en = wm(n) otteniamo


hen , x1 x2 i = hen , x1 i hwm(n) , x2 i
= hen , xi hwm(n) , xi = 0
e analogamente hwm , x1 x2 i = 0. Ci`o implica
||x1 x2 ||2 = h
=

n en

n=1

m wm , x1 x2 i

m=1

n hen , x1 x2 i

n=1

m hwm , x1 x2 i = 0.

m=1

Di conseguenza x1 x2 = 0. Poiche il riordino (wm ) di (en ) era arbitrario ci`o completa la


dimostrazione.

3.9 Basi Ortonormali


Gli insiemi ortonormali veramente interessanti negli spazi di Hilbert sono quelli che consistono di un numero sufficientemente grande di elementi perche ogni elemento dello spazio
possa essere rappresentato o approssimato con sufficiente accuratezza utilizzando questi insiemi ortonormali. Per gli spazi finito dimensionali ndimensionali la situazione `e semplice;
tutto ci`o di cui abbiamo bisogno `e un insieme ortonormale di n elementi. Il problema `e
quello di stabilire come si debba procedere nel caso di uno spazio infinito dimensionale. I
concetti principali sono i seguenti.
3.23 Definizione (Base Ortonormale)
Si dice base ortonormale in uno spazio di Hilbert H un insieme ortonormale M H
(successione o famiglia) il cui span `e denso in H, ossia tale che
span M = H.
` importante notare che, a meno che H non sia finito dimensionale, la base qui definita
E
non `e una base nel senso dellalgebra cos` come `e definita in 2.3, dove H deve essere considerato esclusivamente come uno spazio vettoriale. Questa definizione, tuttavia, `e coerente con
la definizione 2.7 di base in uno spazio semplicemente normato. Mostreremo, in particolare,
che proprio lortonormalit`a degli elementi di M e la completezza di H garantiscono che una
base ortonormale sia una base anche secondo la definizione 2.7.
Ogni spazio di Hilbert H 6= {0} ammette una base ortonormale.
Per uno spazio finito dimensionale H ci`o `e chiaro. Per uno spazio H infinito dimensionale
separabile (cf. 1.6) ci`o segue dal procedimento di GramSchmidt per induzione (ordinaria).
Per uno spazio H non separabile una prova (non costruttiva) segue dal lemma di Zorn, come
vedremo nella Sez. 4.2, dove introduciamo e spieghiamo il lemma per altri fini.
Tutte le basi ortonormali in un dato spazio di Hilbert H 6= {0} hanno la medesima
cardinalit`
a. Questultima `e chiamata la dimensione di Hilbert o la dimensione ortogonale
di H. (Se H = {0} questa dimensione `e definita come 0).

3.9. BASI ORTONORMALI

65

Per un H finito dimensionale laffermazione `e evidente perche allora la dimensione di


Hilbert `e la dimensione nel senso dellalgebra. Per un H infinito dimensionale separabile
laffermazione seguir`a facilmente dal Teorema 3.26 (qui di seguito), mentre per un generico
H la dimostrazione richiede degli strumenti pi`
u avanzati dalla teoria degli insiemi.
Il seguente teorema mostra che una base ortonormale non pu`o essere aumentata a
costituire un insieme ortonormale pi`
u esteso aggiungendo dei nuovi elementi.

3.24 Teorema (Criterio del complemento ortogonale)


Sia M un insieme ortonormale di uno spazio di Hilbert H. Allora M `e una base se e solo
se M = {0}.
Dimostrazione. Segue immediatamente dal Lemma 3.17.
Un altro importante criterio perche un insieme ortonormale M sia una base si desume
dal seguente teorema.

3.25 Teorema (Criterio di Parseval)


Un insieme ortonormale M in uno spazio di Hilbert H `e una base se e solo se per tutti gli
x H vale la relazione di Parseval
X
|hek , xi|2 = ||x||2 ,
(relazione di Parseval)
(3.47)
k

o, equivalentemente per il punto (d) del Teorema 3.21, se e solo se


x=

hek , xiek ,

(3.48)

dove nel caso M sia non numerabile la somma si intende estesa su tutti i coefficienti di
Fourier non nulli di x rispetto a M .
Dimostrazione. (a) Sia soddisfatta la (3.47) per ogni x e supponiamo per assurdo che M
non sia una base. Per il Teorema 3.24 v`e un x M in X non nullo. Poiche x M in
(3.47) abbiamo hek , xi = 0 per tutti i k, cos` che il membro a sinistra in (3.47) `e nullo mentre
||x||2 6= 0. Ci`o mostra che la (3.47) non vale. Dalla contraddizione segue che M deve essere
una base in H.
(b) Viceversa si assuma che M sia una base in H. Si consideri un qualunque x H ed i
suoi coefficienti di Fourier non nulli ordinati in una successione he1 , xi, he2 , xi, , o scritti
in un definito ordine se sono in numero finito. Definiamo ora y mediante
X
y=
hek , xiek
(3.49)
k

notando che nel caso di una serie infinita la convergenza segue dal Teorema 3.21. Mostriamo
che x y M. Per ogni ej che appare in (3.49) abbiamo, usando lortonormalit`a,
hej , x y, i = hej , xi

hek , xihej , ek i = hej , xi hej , xi = 0.

Inoltre per ogni v M non contenuto in (3.49) abbiamo hv, xi = 0, cos` che
hv, x yi = hv, xi

X
k

hx, ek ihv, ek i = 0 0 = 0.

66

CAPITOLO 3. SPAZI CON PRODOTTO SCALARE. SPAZI DI HILBERT

Quindi x y M, cio`e x y M . Poiche M `e una base in H abbiamo da 3.17 che


M = {0}. Di conseguenza x y = 0, cio`e x = y. Quindi per il punto (d) del Teorema 3.21
abbiamo
X
|hek , xi|2 .
||x||2 =
k

Ci`o completa la dimostrazione.


Da questo teorema e dal punto (b) del Teorema 3.21, che garantisce lunicit`a dellespansione (3.48), discende che una base ortonormale `e una base anche secondo la definizione
2.7.
Passiamo ora a considerare gli spazi di Hilbert che sono separabili. Per la Def. 1.6 un
tale spazio contiene un sottoinsieme numerabile che `e denso nello spazio. Gli spazi di Hilbert
separabili sono pi`
u semplici di quelli non separabili perche non possono contenere insiemi
ortonormali non numerabili secondo quanto indicato dal seguente teorema.

3.26 Teorema (Spazi di Hilbert Separabili)


Sia H uno spazio di Hilbert. Ne segue
(a) se H `e separabile ogni insieme ortonormale in H `e numerabile,
(b) se H contiene una successione ortonormale che `e una base in H allora H `e separabile.
Dimostrazione. (a) Sia H separabile e sia B un qualunque insieme numerabile denso in H
ed M un qualunqueinsieme ortonormale. Allora due qualunque elementi distinti x e y di
M hanno distanza 2 perche
||x y||2 = hx y, x yi = hx, xi + hy, yi = 2.

Quindi gli intorni sferici Nx di x e Ny di y di raggio 2/3 sono disgiunti.


T Poiche B `e denso
in H v`e un bx B in Nx ed un by B in Ny e bx =
6 by perche Nx Ny = . Quindi se
M fosse non numerabile avremmo un insieme non numerabile di intorni sferici a due a due
disgiunti (per ciascun x M uno di essi), cos` che B sarebbe non numerabile contraddicendo
la separabilit`a di H. Da ci`o concludiamo che M deve essere numerabile.
(b) Sia (ek ) una base ortonormale in H ed A linsieme di tutte le combinazioni lineari
(n)

1 e1 + + (n)
n en
(n)

(n)

(n)

(n)

(n)

n = 1, 2,
(n)

dove k = ak + ibk e ak e bk sono razionali (e bk = 0 se H `e reale). Chiaramente


A `e numerabile. Proviamo che A `e denso in H mostrando che per ogni x H ed > 0 v`e
un v A tale che ||x v|| < .
Poiche la successione (ek ) `e una base in H v`e un n tale che Yn = span{e1 , , en }
contiene un elemento
n
X
k ek ,
dove k =< x, ek >,
y=
k=1

la cui distanza da x `e minore di /2. Quindi abbiamo

n
X


x
k ek

< 2.
k=1

3.9. BASI ORTONORMALI

67
(n)

Poiche i razionali sono densi su R per ciasun k v`e un k


naria razionale) tale che

(n)
k k <
2n
ed abbiamo allora

(con parte reale ed immagi-

X
X
n

n

(n)
[k (n) ]ek
k k < .
k

2
k=1

k=1

Quindi v A definito da
v=

n
X

(n)

k ek

k=1

soddisfa
||x v|| = ||x

(n)

k ek ||

X
X
X (n)
||x
k ek || + ||
k ek
k ek ||

< + = .
2 2
Ci`o prova che A `e denso in H e quindi, poiche A `e numerabile, H `e separabile.
Per concludere questa sezione vogliamo sottolineare che la nostra presente discussione
ha alcune conseguenze di importanza basilare che possono esser formulate in termini di
isomorfismo di spazi di Hilbert.
Il fatto pi`
u straordinario in questa discussione `e che due spazi astratti di Hilbert sul
medesimo campo sono distinguibili solo per le loro dimensioni di Hilbert, una situazione che
generalizza quella degli spazi euclidei. Questo `e il significato del seguente teorema.

3.27 Teorema (Isomorfismo e Dimensione di Hilbert)

e , entrambi reali o complessi, sono isomorfi se e solo se hanno


Due spazi di Hilbert H e H
la medesima dimensione di Hilbert.
e esiste unapplicazione lineare e biiettiva T : H
Dimostrazione. (a) Se H `e isomorfo ad H
e
H che conserva il prodotto scalare e cio`e tale che
hT x, T yi = hx, yi.
` immediato verificare che essa `e limitata con norma ||T || = 1.
E
Conservando T il prodotto scalare gli elementi ortonormali in H hanno immagini ortonormali sotto T. Sia quindi M una base ortonormale di H e mostriamo che linsieme
f = T (M ), che ha la medesima cardinalit`a di M , `e una base in H.
e
ortonormale immagine M
f, poiche T `e limitato e quindi continuo
Sia V = span M . Poiche T `e lineare T (V ) = span M
T V = T (V ) ed infine, essendo V = H perche M `e una base, poiche T `e biiettivo conclue cio`e T applica in modo biiettivo ogni base ortonormale in
diamo che T (V ) = T (H) = H,
e
H in una base ortonormale in H.
e una base
(b) Viceversa supponiamo che vi sia in H una base ortonormale M ed in H
f e che esse abbiano la medesima cardinalit`a. Mostriamo che allora H ed H
e
ortonormale M
f la medesima cardinalit`a, possiamo
sono isomorfi. Avendo le due basi ortonormali M ed M
f = (e
indicizzarle col medesimo insieme di indici { } e scrivere M = (e ) e M
e ).
e
e Per ogni
Per mostrare che H e H sono isomorfi costruiamo un isomorfismo di H su H.
x H abbiamo
X
he , xie
(3.50)
x=

68

CAPITOLO 3. SPAZI CON PRODOTTO SCALARE. SPAZI DI HILBERT

dove il membro a destra `e una somma finita o una serie infinita (cf. 3.22) e
per la diseguaglianza di Bessel. Introduciamo la serie
X
x
e=
he , xie
e .

|he , xi|2 <


(3.51)

e che dipende univocamente da x


Essa `e convergente per il 3.21 e quindi definisce un x
eH
e che possiamo quindi considerare immagine di x secondo un operatore T , ossia
x
e = T x.
Loperatore T `e lineare perche il prodotto scalare `e lineare rispetto al secondo fattore. T `e
isometrico perche usando dapprima (3.51) e poi (3.50) otteniamo
X
||e
x||2 = ||T x||2 =
|he , xi|2 = ||x||2 .

Da ci`o e da (3.7), (3.8) nella Sez. 3.2 vediamo che T conserva il prodotto scalare. Inoltre
lisometria implica liniettivit`a. Infatti se T x = T y allora
||x y|| = ||T (x y)|| = ||T x T y|| = 0,
cos` che x = y e T `e iniettivo per il 2.26.
Mostriamo infine che T `e surgettivo. Dato un qualunque
X
x
e=
ee

e abbiamo che P | |2 < per la diseguaglianza di Bessel. Quindi


in H
X
e

`e una somma finita o una serie che converge ad un x H per il 3.21 ed = he , xi per il
e era arbitrario ci`o
medesimo teorema. Abbiamo perci`o x
e = T x per la (3.51). Poiche x
eH
mostra che T `e surgettivo.
(c) Rimane da mostrare che uno spazio di Hilbert H non pu`o avere due basi M ed M 0
con cardinalit`a diversa. Supponiamo per assurdo che ad esempio la cardinalit`a di M sia
f $ M 0 . Sia
inferiore a quella di M 0 . Allora esiste un corrispondenza biiettiva fra M ed M
f e consideriamo Ve = H
e che essendo un sottospazio chiuso `e uno spazio di
ora Ve = span M
e
e ed H sono isomorfi, che `e impossibile.
Hilbert H $ H. Dal punto (b) precedente segue che H
0
Segue quindi che M ed M hanno la medesima cardinalit`a.

3.10 Rappresentazione di Funzionali su Spazi di Hilbert


` di importanza pratica conoscere la forma generale dei funzionali lineari limitati su vari
E
spazi. Per spazi di Banach generici queste formule e la loro derivazione possono a volte essere
complicate. Tuttavia per uno spazio di Hilbert la situazione `e sorprendentemente semplice.

3.28 Teorema (Riesz. Funzionali su Spazi di Hilbert)


Ogni funzionale lineare limitato f su uno spazio di Hilbert H pu`
o essere rappresentato in
termini di un prodotto scalare e precisamente come segue
f (x) = hz, xi

(3.52)

3.10. RAPPRESENTAZIONE DI FUNZIONALI SU SPAZI DI HILBERT

69

dove z dipende da f, `e univocamente determinato da f ed ha norma


||z|| = ||f ||.

(3.53)

Dimostrazione. Proviamo che


(a) f ha una rappresentazione (3.52),
(b) z in (3.52) `e unico,
(c) vale la formula (3.53).
I dettagli sono i seguenti.
(a) Se f = 0 allora (3.52) e (3.53) sono validi se prendiamo z = 0. Sia f 6= 0. Per orientarci
nella dimostrazione chiediamoci che propriet`a debba avere z se la rappresentazione (3.52)
esiste. Prima di tutto z 6= 0 perche altrimenti f = 0. Inoltre hz, xi = 0 per tutti gli x per cui
f (x) = 0, cio`e per tutti gli x nello spazio nullo N (f ) di f. Quindi z N (f ). Ci`o suggerisce
di considerare N (f ) ed il suo complemento ortogonale N (f ) .
N (f ) `e uno spazio vettoriale per il 2.25 ed `e chiuso per il 2.33. Inoltre f 6= 0 implica
N (f ) 6= H, cos` che N (f ) 6= {0} per il teorema della proiezione 3.15. Quindi N (f )
contiene uno z0 6= 0. Poniamo
v = f (x)z0 f (z0 )x
dove x H `e arbitrario. Applicando f otteniamo
f (v) = f (x)f (z0 ) f (z0 )f (x) = 0.
Ci`o mostra che v N (f ). Poiche z0 N (f ) abbiamo
0 = hz0 , vi = hz0 , f (x)z0 f (z0 )xi
= f (x)hz0 , z0 i f (z0 )hz0 , xi.
Notando che hz0 , z0 i = ||z0 ||2 6= 0 possiamo risolvere rispetto a f (x). Il risultato `e
f (x) =

f (z0 )
hz0 , xi.
hz0 , z0 i

Questo pu`o essere riscritto nella forma (3.52) dove


z=

f (z0 )
z0 .
hz0 , z0 i

Poiche x H era arbitrario la (3.52) `e provata.


(b) Proviamo che z nella (3.52) `e unico. Supponiamo che per tutti gli x H
f (x) = hz1 , xi = hz2 , xi.
Ma allora per il Lemma 3.6 z1 z2 = 0, ossia lunicit`a.
(c) Infine proviamo la (3.53). Se f = 0 allora z = 0 e la (3.53) `e valida. Sia f 6= 0.
Allora z 6= 0. Dalla (3.52) con x = z e dalla (2.24) nella Sez. 2.9 otteniamo
||z||2 = hz, zi = f (z) ||f || ||z||.

70

CAPITOLO 3. SPAZI CON PRODOTTO SCALARE. SPAZI DI HILBERT

Dividendo per ||z|| 6= 0 si ottiene ||z|| ||f ||. Rimane da mostrare che ||f || ||z||. Dalla
(3.52) e dalla diseguaglianza di Schwarz vediamo che
|f (x)| = |hz, xi| ||z|| ||x||.
Ci`o implica
||f || = sup |hz, xi| ||z||.
||x||=1

Si noti che la corrispondenza f z fra H ed il suo duale H 0 `e surgettiva, conserva la


norma, cio`e `e isometrica, ma `e coniugata lineare.
Limportanza pratica dei funzionali lineari limitati sugli spazi di Hilbert risulta in larga
misura dalla semplicit`a della rappresentazione di Riesz (3.52).
Inoltre (3.52) `e molto importante nella teoria degli operatori sugli spazi di Hilbert. In
particolare per quanto riguarda loperatore aggiunto di Hilbert T di un operatore lineare
limitato T che definiremo nella prossima sezione. A questo scopo abbiamo bisogno di una
preparazione che `e anche di interesse generale. Cominciamo con la seguente definizione.
3.29 Definizione (Forme Sesquilineari)
Siano X e Y spazi vettoriali sul medesimo campo K (R o C). Allora una forma sesquilineare
(o funzionale sesquilineare) h su X Y `e unapplicazione
h:X Y K
tale che per tutti gli x, x1 , x2 X e y, y1 , y2 Y e tutti gli scalari ,
h(x, y1 + y2 )
h(x1 + x2 , y)
h(x, y)
h(x, y)

=
=
=
=

h(x, y1 ) + h(x, y2 )
h(x1 , y) + h(x2 , y)
h(x, y)
h(x, y).

(3.54)
(3.55)
(3.56)
(3.57)

Quindi h `e lineare nel secondo argomento e coniugato lineare nel primo argomento. Se X e
Y sono reali (K = R) allora (3.57) diviene semplicemente
h(x, y) = h(x, y)
e h `e chiamata bilineare perche `e lineare in entrambi gli argomenti.
Se X e Y sono spazi normati e se esiste un numero reale c tale che per tutti gli x, y
|h(x, y)| c||x|| ||y||,

(3.58)

allora h `e detta limitata ed il numero


||h|| =

|h(x, y)|
= sup |h(x, y)|
xX{0} ||x|| ||y||
||x||=1
sup

yY {0}

(3.59)

||y||=1

`e chiamato la norma di h.
Ad esempio il prodotto scalare `e sesquilineare e limitato di norma 1.
Si noti che dalla (3.58) e dalla (3.59) abbiamo che
|h(x, y)| ||h|| ||x|| ||y||.

(3.60)

3.10. RAPPRESENTAZIONE DI FUNZIONALI SU SPAZI DI HILBERT

71

Entrambi i termini forma e funzionale sono comuni. Forse `e preferibile usare il


termine forma in questo caso a due variabili e riservare il termine funzionale al caso ad
` ci`o che noi faremo nel seguito.
una variabile. E
` molto interessante che dal Teorema 3.28 si possa ottenere una generale rappresentaE
zione delle forme sesquilineari su spazi di Hilbert.

3.30 Teorema (Rappresentazione di Riesz)


Siano H1 , H2 spazi di Hilbert e
h : H1 H2 K
una forma sesquilineare limitata. Allora h ha la rappresentazione
h(x, y) = hx, Syi

(3.61)

dove S : H2 H1 `e un operatore lineare limitato. S `e unicamente determinato da h ed ha


norma
||S|| = ||h||.
(3.62)
` lineare in x a causa della barra. Per poter applicare
Dimostrazione. Consideriamo h(x, y). E
il Teorema 3.28 manteniamo y fisso. Allora questo teorema ci d`a una rappresentazione in
cui x `e la variabile, ossia
h(x, y) = hz, xi.
Quindi
h(x, y) = hx, zi.

(3.63)

Qui z H1 `e unico ma dipende naturalmente dal nostro y H2 fisso. Ne segue che la (3.63)
con la variabile y definisce un operatore
S : H2 H1

dato da

z = Sy.

Sostituendo z = Sy nella (3.63) abbiamo la (3.61).


S `e lineare. Infatti il suo dominio `e lo spazio vettoriale H2 e dalla (3.61) e dalla
sesquilinearit`a otteniamo
hx, S(y1 + y2 )i = h(x, y1 + y2 )
= h(x, y1 ) + h(x, y2 )
= hx, Sy1 i + hx, Sy2 i
= hx, Sy1 + Sy2 i
per tutti gli x in H1 , cos` che per il Lemma 3.6
S(y1 + y2 ) = Sy1 + Sy2 .
S `e limitato. Infatti lasciando da parte il caso banale S = 0 abbiamo dalla (3.59) e dalla
(3.61)
|hSy, Syi|
||Sy||
|hx, Syi|
sup
= sup
= ||S||.
||h|| = sup
y6=0 ||Sy|| ||y||
y6=0 ||y||
x6=0 ||x|| ||y||
y6=0

Sy6=0

Ci`o prova la limitatezza. Inoltre `e ||h|| ||S||.

72

CAPITOLO 3. SPAZI CON PRODOTTO SCALARE. SPAZI DI HILBERT

Otteniamo ora la (3.62) notando che ||h|| ||S|| segue dallapplicazione della diseguaglianza di Schwarz
|hx, Syi|
||x|| ||Sy||
||h|| = sup
sup
= ||S||.
x6=0 ||x|| ||y||
x6=0 ||x|| ||y||
y6=0

y6=0

S `e unico. Infatti se assumiamo che esista un operatore lineare T : H2 H1 tale che per
tutti gli x H1 e gli y H2 si abbia
h(x, y) = hx, Syi = hx, T yi,
vediamo che per il Lemma 3.6 Sy = T y per tutti gli y H2 . Quindi S = T per definizione.

3.11 Operatori Aggiunti di Hilbert


I risultati della sezione precedente ci permettono ora di introdurre loperatore aggiunto
di Hilbert di un operatore lineare limitato su uno spazio di Hilbert. Questo operatore `e
stato suggerito dai problemi sulle matrici e sulle equazioni differenziali e integrali. Vedremo
che esso aiuta anche a definire tre importanti classi di operatori (chiamati operatori autoaggiunti, unitari e normali ), che sono state ampiamente studiate perche giocano un ruolo
chiave in varie applicazioni.
3.31 Definizione (Operatore Aggiunto di Hilbert T )
Sia T : H1 H2 un operatore lineare limitato, dove H1 e H2 sono spazi di Hilbert. Allora
loperatore aggiunto di Hilbert T di T `e loperatore
T : H2 H1
tale che2 per tutti gli x H1 e gli y H2
hT x, yi = hx, T yi.

(3.64)

o, equivalentemente, tale che per tutti gli x H1 e gli y H2


hy, T xi = hT y, xi

(3.65)

Naturalmente dobbiamo mostrare che questa definizione ha senso, dobbiamo cio`e provare
che per un dato T un tale T esiste.

3.32 Teorema (Esistenza)


Loperatore aggiunto di Hilbert T di T esiste, `e unico ed `e un operatore lineare limitato con
norma
||T || = ||T ||.
(3.66)

Dimostrazione. La formula
h(x, y) = hT x, yi

(3.67)

2 Possiamo indicare i prodotti scalari su H e H col medesimo simbolo perch


e i fattori mostrano a quale
1
2
spazio il prodotto scalare si riferisce.

3.11. OPERATORI AGGIUNTI DI HILBERT

73

definisce una forma sesquilineare su H2 H1 perche il prodotto scalare `e sesquilineare e T


`e lineare. La linearit`a coniugata della forma si verifica direttamente come segue
h(x1 + x2 , y) = hT (x1 + x2 ), yi
= hT x1 + T x2 , yi
= hT x1 , yi + hT x2 , yi
= h(x1 , y) + h(x2 , y).
h `e limitato. Infatti per la diseguaglianza di Schwarz
|h(x, y)| = |hT x, yi| ||T x|| ||y|| ||T || ||x|| ||y||.
Ci`o implica anche ||h|| ||T ||. Inoltre abbiamo ||h|| ||T || da
||h|| = sup
x6=0
y6=0

|hT x, yi|
|hT x, T xi|
sup
= ||T ||.
||x|| ||y||
x6=0 ||x|| ||T x||
T x6=0

Dal confronto
||h|| = ||T ||.

(3.68)

Il Teorema 3.30 fornisce una rappresentazione di Riesz per h. Scrivendo T per S abbiamo
h(x, y) = hx, T yi

(3.69)

e sappiamo da questo teorema che T : H2 H1 `e un operatore lineare limitato unicamente


determinato con norma [cf. (3.68)]
||T || = ||h|| = ||T ||.
Ci`o prova la (3.66). Inoltre hT x, yi = hx, T yi confrontando (3.67) e (3.69), cos` che abbiamo
la (3.64) e concludiamo che T `e effettivamente loperatore che stavamo cercando.
Nel nostro studio delle propriet`a degli operatori aggiunti di Hilbert sar`a utile fare uso
del seguente lemma.

3.33 Lemma (Operatore Nullo)


Siano X e Y spazi con prodotto scalare e Q : X Y un operatore lineare. Ne segue
(a) Q = 0 se e solo se hQx, yi = 0 per tutti gli x X e y Y.
(b) Se Q : X X, dove X `e complesso, e hQx, xi = 0 per tutti gli x X allora Q = 0.
Dimostrazione. (a) Q = 0 significa Qx = 0 per tutti gli x ed implica
hQx, yi = h0, yi = 0.
Viceversa hQx, yi = 0 per tutti gli x e y implica Qx = 0 per tutti gli x per il 3.6, cos` che
Q = 0 per definizione.
(b) Per ipotesi hQv, vi = 0 per ogni v = x + y X, ossia
0 = hQ(x + y), x + yi
= ||2 hQx, xi + hQy, yi + hQx, yi + hQy, xi.

74

CAPITOLO 3. SPAZI CON PRODOTTO SCALARE. SPAZI DI HILBERT

I primi due termini a destra sono zero per ipotesi. = 1 d`a


hQx, yi + hQy, xi = 0.
= i d`a
hQx, yi hQy, xi = 0.
Sommando hQx, yi = 0 e Q = 0 segue dalla (a).
Nella parte (b) di questo lemma `e essenziale che X sia complesso. Infatti la conclusione
pu`o non essere valida se X `e reale. Un controesempio `e la rotazione Q del piano R2 di un
angolo retto. Q `e lineare e Qx x, quindi hQx, xi = 0 per tutti gli x R2 , ma Q 6= 0.
Possiamo elencare e provare alcune propriet`a generali degli operatori aggiunti di Hilbert
che si usano frequentemente nelle applicazioni di questi operatori.

3.34 Teorema (Propriet`


a degli Operatori Aggiunti di Hilbert)
Siano H1 e H2 spazi di Hilbert, S : H1 H2 e T : H1 H2 operatori lineari limitati ed
uno scalare qualunque. Allora abbiamo
a)
b)
c)

(S + T ) = S + T
(T ) = T
(T ) = T

(3.70)
(3.71)
(3.72)

d)
e)

||T T || = ||T T || = ||T ||2


T T = 0 T = 0

(3.73)
(3.74)

e assumendo S : H1 H2 e T : H2 H3
f)

(T S) = S T .

(3.75)

Dimostrazione. (a) Per la (3.64) per tutti gli x e y


hx, (S + T ) yi = h(S + T )x, yi
= hSx, yi + hT x, yi
= hx, S yi + hx, T yi
= hx, (S + T )yi.
Quindi (S + T ) y = (S + T )y per tutti gli y per il 3.6 che `e la (3.70) per definizione.
` ottenuta
(b) La formula (3.71) non deve essere confusa colla formula T (x) = T x. E
dal seguente calcolo e dalla successiva applicazione del Lemma 3.33(a) a Q = (T ) T .
h(T ) y, xi = hy, (T )xi
= hy, (T )xi
= hy, T xi
= hT y, xi
= hT y, xi.
(c) (T ) `e scritto T ed `e uguale a T perche per tutti gli x H1 ed y H2 abbiamo
dalla (3.65) e (3.64)
h(T ) x, yi = hx, T yi = hT x, yi

3.12. OPERATORI AUTOAGGIUNTI, UNITARI E NORMALI

75

e la (3.72) segue dal Lemma 3.33(a) per Q = (T ) T.


(d) Notiamo che T T : H1 H1 ma T T : H2 H2 . Per la diseguaglianza di Schwarz
||T x||2 = hT x, T xi = hT T x, xi ||T T x|| ||x|| ||T T || ||x||2 .
Prendendo lestremo superiore per tutti gli x di norma 1 otteniamo ||T ||2 ||T T ||. Applicando la (2.20), Sez. 2.8, e la (3.66) abbiamo cos`
||T ||2 ||T T || ||T || ||T || = ||T ||2 .
Quindi ||T T || = ||T ||2 . Sostituendo T con T ed usando di nuovo la (3.66) abbiamo anche
||T T || = ||T ||2 = ||T ||2 .
Ora T = T per la (3.72), cos` che la (3.73) `e provata.
(e) Dalla (3.73) otteniamo immediatamente la (3.74).
(f ) Unapplicazione ripetuta della (3.64) d`a
hx, (T S) yi = h(T S)x, yi = hSx, T yi = hx, S T yi.
Quindi (T S) y = S T y per il 3.6 che `e la (3.75) per definizione.

3.12 Operatori Autoaggiunti, Unitari e Normali


Classi di operatori lineari limitati di grande importanza pratica possono essere definiti
utilizzando loperatore aggiunto di Hilbert.
3.35 Definizione (Operatori Autoaggiunti, Unitari e Normali)
Un operatore lineare limitato T : H H su uno spazio di Hilbert H `e detto
autoaggiunto o hermitiano se
anti-hermitiano se
unitario se T `e biiettivo e
normale se

T = T
T = T
T = T 1
T T = T T.

Se T `e autoaggiunto, anti-hermitiano o unitario, T `e normale.


Ci`o pu`o essere immediatamente visto dalla definizione. Naturalmente un operatore
normale non `e necessariamente autoaggiunto o unitario.
I termini usati nella Def. 3.35 sono anche usati in connessione con le matrici. Vogliamo
spiegare le ragioni di ci`o e menzionare alcune importanti relazioni.
Esempio (Matrici). Consideriamo Cn col prodotto scalare definito da
hx, yi = x> y,

(3.76)

dove x e y sono scritti come vettori colonna e > significa trasposto; allora x> = ( 1 , , n )
ed usiamo lordinaria moltiplicazione fra matrici.
Sia T : Cn Cn un operatore lineare (che `e limitato per il Teorema 2.31). Essendo data
una base per Cn possiamo rappresentare T ed il suo aggiunto di Hilbert T con due matrici
quadrate a n righe, siano A e B rispettivamente.

76

CAPITOLO 3. SPAZI CON PRODOTTO SCALARE. SPAZI DI HILBERT

Usando la (3.76) e la regola familiare (Ax)> = x> A> per il trasposto di un prodotto
otteniamo
>
>
hT x, yi = (Ax) y = x> A y
e
hx, T yi = x> By.
Per la (3.64), Sez. 3.11, i membri a sinistra sono uguali per tutti gli x, y Cn . Quindi
dobbiamo avere
>
B=A .
Il risultato `e il seguente.
Se `e data una base per Cn ed un operatore lineare su Cn `e rappresentato da una certa
matrice, allora il suo operatore aggiunto di Hilbert `e rappresentato dal trasposto complesso
coniugato di questa matrice.
Pertanto una matrice quadrata A = (jk ) `e detta
>

hermitiana se A = A
(quindi kj = jk )
>
anti-hermitiana se A = A
(quindi kj = jk )
>
1
unitaria se A = A
>
>
normale se AA = A A.
Invece una matrice quadrata reale A = (jk ) `e detta
(reale) simmetrica se A> = A
(quindi kj = jk )
(reale) anti-simmetrica se A> = A
(quindi kj = jk )
ortogonale se A> = A1 .
Quindi una matrice reale hermitiana `e una matrice (reale) simmetrica. Una matrice reale
antihermitiana `e una matrice (reale) antisimmetrica. Una matrice reale unitaria `e una
matrice ortogonale.
Ritorniamo agli operatori lineari su un arbitrario spazio di Hilbert e enunciamo un
importante e piuttosto semplice criterio per la propriet`a di autoaggiunto.

3.36 Teorema (Autoaggiunto)


Sia T : H H un operatore lineare limitato su uno spazio di Hilbert H complesso. Ne segue
che T `e autoaggiunto se e solo se hT x, xi `e reale per tutti gli x H.
Dimostrazione. (a) Se T `e autoaggiunto allora per tutti gli x
hT x, xi = hx, T xi = hT x, xi.
Quindi hT x, xi `e uguale al suo complesso coniugato, cio`e `e reale.
(b) Se hT x, xi `e reale per tutti gli x allora
hT x, xi = hT x, xi = hx, T xi = hT x, xi
e T T = 0 per il Lemma 3.33(b) poiche H `e complesso.
Si noti come per la sufficienza dellasserto del teorema sia essenziale che H sia complesso.
Ci`o risulta chiaro dal fatto che per un H reale il prodotto scalare ha valori reali, ci`o che
rende hT x, xi reale senza bisogno di alcuna ulteriore assunzione sulloperatore lineare T.
Prodotti (composizioni) di operatori autoaggiunti appaiono spesso nelle applicazioni, cos`
che il seguente teorema risulter`a essere utile.

3.12. OPERATORI AUTOAGGIUNTI, UNITARI E NORMALI

77

3.37 Teorema (Autoaggiunto di un Prodotto)


Il prodotto di due operatori lineari limitati autoaggiunti S e T su uno spazio di Hilbert H `e
autoaggiunto se e solo gli operatori commutano
ST = T S.
Dimostrazione. Per la (3.75) nella Sez. 3.11 e per le ipotesi
(ST ) = T S = T S.
Quindi
ST = (ST ) ST = T S.
Ci`o completa la dimostrazione.
Successioni di operatori autoaggiunti capitano in diversi problemi e per esse abbiamo il
seguente teorema.

3.38 Teorema (Successioni di Operatori Autoaggiunti)


Sia (Tn ) una successione di operatori lineari limitati autoaggiunti Tn : H H su uno spazio
di Hilbert H. Supponiamo che (Tn ) converga, ossia,
Tn T,

cio`e

||Tn T || 0,

dove || || `e la norma sullo spazio B(H, H); cf. Sez. 2.8. Allora loperatore lineare limitato
T limite della successione `e autoaggiunto su H.
Dimostrazione. Dobbiamo mostrare che T = T ossia che ||T T || = 0 od anche, equivalentemente, per la continuit`a della norma che limn ||Tn T || = 0. Per provarlo basta
osservare che, essendo gli operatori Tn autoaggiunti, per il 3.34 ed il 3.32 abbiamo
||Tn T || = ||Tn T || = ||(Tn T ) || = ||Tn T ||.
Quindi poiche limn ||Tn T || = 0 `e ||T T || = 0 e T = T.
Questi teoremi ci danno unidea delle propriet`a basilari degli operatori lineari autoaggiunti. Essi saranno anche utili nel nostro lavoro successivo, in particolare nella teoria spettrale
di questi operatori, dove discuteremo ulteriori propriet`a.
Ritorniamo ora agli operatori unitari e consideriamo alcune delle loro propriet`a basilari.

3.39 Teorema (Operatori Unitari)


Siano gli operatori U : H H e V : H H unitari su uno spazio di Hilbert H. Allora
(a) U `e isometrico; quindi ||U x|| = ||x|| per tutti gli x H;
(b) ||U || = 1, purche H 6= {0},
(c) U 1 (= U ) `e unitario,
(d) U V `e unitario,
(e) U `e normale.
Inoltre

78

CAPITOLO 3. SPAZI CON PRODOTTO SCALARE. SPAZI DI HILBERT

(f ) Un operatore lineare limitato T su uno spazio di Hilbert complesso H `e unitario se e


solo se T `e isometrico e surgettivo.
Dimostrazione. (a) pu`o essere visto da
||U x||2 = hU x, U xi = hx, U U xi = hx, Ixi = ||x||2 .
(b) segue immediatamente da (a).
(c) Poiche U `e biiettivo lo `e anche U 1 e per il 3.34
(U 1 ) = U = U = (U 1 )1 .
(d) U V `e biiettiva e 3.34 e 2.27 danno
(U V ) = V U = V 1 U 1 = (U V )1 .
(e) segue da U 1 = U e U U 1 = U 1 U = I.
(f ) Supponiamo che T sia isometrico e surgettivo. Lisometria implica liniettivit`a, cos`
che T `e biiettivo. Mostriamo che T = T 1 . Per lisometria
hT T x, xi = hT x, T xi = hx, xi = hIx, xi.
Quindi

h(T T I)x, xi = 0

e T T I = 0 per il Lemma 3.33(b), cos` che T T = I. Da ci`o


T T = T T (T T 1 ) = T (T T )T 1 = T IT 1 = I.
In conclusione T T = T T = I. Quindi T = T 1 e T `e unitario. Linverso `e immediato
perche T `e isometrico per (a) e surgettivo per definizione.
Si noti che un operatore isometrico non `e necessariamente unitario perche potrebbe non
essere surgettivo. Un esempio `e loperatore di traslazione a destra T : l2 l2 dato da
( 1 , 2 , 3 , ) 7 (0, 1 , 2 , 3 , )
dove x = ( j ) l2 .

Problemi
1. Mostrare che `2 ammette il prodotto scalare
< x, y >=

j j

j=1

e che, dotato di tale prodotto scalare, `2 `e uno spazio di Hilbert.


2. Mostrare che `p con p 6= 2 non ammette prodotto scalare.
Suggerimento: Si considerino i due elementi di `p , x = (1, 1, 0, 0, . . . ) ed y = (1, 1, 0, 0, . . . )
e si mostri che essi non soddisfano alleguaglianza del parallelogramma.
3. Mostrare che C[a, b] non ammette un prodotto scalare.

Capitolo 4

Teoremi Fondamentali per gli


Spazi Normati e di Banach
Questo capitolo contiene, si pu`o dire, le basi di una teoria pi`
u avanzata degli spazi normati
e di Banach senza le quali lutilit`a di questi spazi e le loro applicazioni sarebbero piuttosto
limitate. I quattro teoremi importanti in questo capitolo sono il teorema di HahnBanach,
il teorema della uniforme limitatezza, il teorema dellapplicazione aperta ed il teorema del
grafico chiuso.

4.1 Breve Orientamento sui Contenuti Principali


1. Teorema di HahnBanach 4.8. Questo `e un teorema di estensione per i funzionali lineari
sugli spazi vettoriali. Noi considereremo la sua versione per gli spazi normati. Essa garantisce
che uno spazio normato `e sufficientemente dotato di funzionali lineari, perche si ottenga una
teoria adeguata degli spazi duali (Sez. 4.5).
2. Teorema di uniforme limitatezza 4.20 di Banach e Steinhaus. Questo teorema fornisce
le condizioni sufficienti perche la successione (||Tn ||) sia limitata, essendo i Tn operatori
lineari limitati da uno spazio di Banach in uno spazio normato. Ha diverse applicazioni
(semplici e pi`
u profonde) in analisi, ad esempio in connessione con le serie di Fourier, la
convergenza debole, la sommabilit`a di successioni, lintegrazione numerica, etc.
3. Teorema dellapplicazione aperta 4.35. Questo teorema stabilisce che un operatore
lineare limitato T da uno spazio di Banach su un altro spazio di Banach `e unapplicazione
aperta, che cio`e applica insiemi aperti su insiemi aperti. Quindi se T `e biiettivo T 1`e
continuo (teorema dellinverso limitato).

4.2 Lemma di Zorn


Avremo bisogno del lemma di Zorn nella dimostrazione del teorema fondamentale di Hahn
Banach. Il lemma ha a che fare con gli insiemi parzialmente ordinati.
4.1 Definizione (Insieme Parzialmente Ordinato)
Un insieme parzialmente ordinato `e un insieme M su cui `e definito un ordine parziale, cio`e
una relazione binaria che si scrive e soddisfa le condizioni
(PO1)

a a per ogni a M.

(Riflessivit`
a)
79

80

CAPITOLO 4. TEOREMI PER GLI SPAZI NORMATI E DI BANACH

(PO2)

Se a b e b a allora a = b.

(Antisimmetria)

(PO3)

Se a b e b c allora a c.

(Transitivit`
a)

La parola parzialmente mette in rilievo il fatto che M pu`o contenere elementi a e b


per cui non vale ne a b ne b a. Allora a e b sono chiamati elementi inconfrontabili. Al
contrario due elementi a e b sono chiamati elementi confrontabili se soddisfano a a b o a
b a (o ad entrambi).
La relazione dordine sopra introdotta `e anche detta relazione dordine debole, mentre
se a b e a 6= b si specifica che la relazione dordine fra a e b `e forte e si scrive a < b.
4.2 Definizione (Catena)
Un insieme totalmente ordinato o catena `e un insieme parzialmente ordinato tale che due
elementi qualunque dellinsieme sono confrontabili. In altre parole una catena `e un insieme
parzialmente ordinato che non ha elementi inconfrontabili.
4.3 Definizione (Limite superiore)
Un limite superiore di un sottoinsieme W di un insieme parzialmente ordinato M `e un
elemento u M tale che
xu
per ogni x W.
A seconda degli insiemi M e W che si considerano un tale u pu`o esistere o non esistere.
4.4 Definizione (Elemento massimale)
Un elemento m di M `e detto elemento massimale se
non esiste x M tale che m < x.
Di nuovo M pu`o avere o non avere elementi massimali. Si noti inoltre che un elemento
massimale non `e necessariamente un limite superiore, perche sar`a m x solamente per gli
elementi x di M confrontabili con m, che non sono necessariamente tutti gli elementi di M .
Possiamo ora formulare il lemma di Zorn, che consideriamo come unassioma.1

4.5 Lemma (di Zorn o Principio di Induzione Transfinita)


Sia M 6= un insieme parzialmente ordinato. Supponiamo che ogni catena C M abbia
un limite superiore. Allora M ha almeno un elemento massimale.
Nemmeno per un analista `e indispensabile conoscere la dimostrazione del lemma di Zorn,
` invece essenziale comprenderne bene
che si pu`o fare a partire dallassioma della scelta. E
lenunciato e saperlo utilizzare. Il lemma di Zorn ha applicazioni numerose e molto importanti in analisi; in particolare `e uno strumento indispensabile per stabilire alcuni teoremi di
esistenza. Pu`o essere considerato un principio di induzione transfinita che estende cio`e il
principio di induzione ad insiemi non numerabili.

4.3 Alcune Applicazioni del Lemma di Zorn


4.6 Teorema (Base di Hamel)
Ogni spazio vettoriale X 6= {0} ha una base di Hamel. (Cf. Sez. 2.1.)
1 Il nome lemma `
e per ragioni storiche. Il lemma di Zorn pu`
o essere derivato dallassioma della scelta,
che stabilisce che per ogni dato insieme E esiste unapplicazione c (funzione di scelta) dallinsieme potenza
P(E) in E tale che se B E, B 6= , allora c(B) B. Viceversa questo assioma segue dal lemma di Zorn,
cos` che il lemma di Zorn e lassioma della scelta possono essere considerati come assiomi equivalenti.

4.4. TEOREMA DI HAHNBANACH

81

Dimostrazione. Sia M linsieme di tutti i sottoinsiemi linearmente indipendenti di X. Poiche


X 6= {0} v`e un elemento x 6= 0 e {x} M, cos` che M 6= . Linclusione fra insiemi definisce
un ordine parziale su M.
Cominciamo col dimostrare che lunione U dei sottoinsiemi B costituenti una catena C
M `e limite superiore di C. Essendo infatti per costruzione U B per ogni B C `e sufficiente
mostrare che ogni sottoinsieme finito {v1 , v2 , . . . , vn } di U `e linearmente indipendente. Vi
sono degli elementi della catena B1 , B2 , . . . , Bn tali che vi Bi per ogni i = 1, 2, . . . , n e
poiche C `e una catena ed i Bi sono in numero finito uno di essi deve contenere tutti gli altri
e quindi tutti i v, che sono perci`o linearmente indipendenti.
Poiche ogni catena C M ha un limite superiore, per il lemma di Zorn segue che M
ha un elemento massimale F . Mostriamo che F `e una base di Hamel per X. Sia Y =
span F . Dimostriamo
S per assurdo che Y = X. Infatti, se cos` non fosse, esisterebbe uno
z X, z
/ Y e F {z} sarebbe un insieme linearmente indipendente contenente F come
sottoinsieme proprio, in contrasto con la massimalit`a di F.

4.7 Teorema (Base Ortonormale)


Ogni spazio di Hilbert H 6= {0} ammette una base ortonormale. (Cf. Sez. 3.9.)
Dimostrazione. Sia M linsieme di tutti i sottoinsiemi ortonormali di H. Poiche H 6= {0}
v`e un elemento x 6= 0 ed un sottoinsieme ortonormale di H `e {y} dove y = ||x||1 x. Quindi
M 6= . Linclusione fra insiemi definisce un ordine parziale su M. Possiamo utilizzare la
relazione dordine totale esistente in una catena per dedurre, in maniera analoga a quanto
fatto nel teorema 4.6, che lunione dei sottoinsiemi costituenti una catena `e un sottoinsieme
ortonormale. Quindi ogni catena C M ha un limite superiore e precisamente lunione di
tutti i sottoinsiemi di H che sono elementi di C. Per il lemma di Zorn M ha un elemento
massimale F. Proviamo che F `e una base in H. Supponiamo che ci`o sia falso.
Allora per
S
il Teorema 3.24 esiste uno z H non nullo tale che zF. Quindi F1 = F {e}, dove e =
||z||1 z, `e ortonormale ed F `e un sottoinsieme proprio di F1 . Ci`o contraddice la massimalit`a
di F.

4.4 Teorema di HahnBanach


Il teorema di HahnBanach `e un teorema di estensione per i funzionali lineari. Vedremo
nella prossima sezione che il teorema garantisce che uno spazio normato `e riccamente fornito
di funzionali lineari limitati, ci`o che rende possibile unadeguata teoria degli spazi duali, che
`e una parte essenziale della teoria generale degli spazi normati. In questo modo il teorema
di HahnBanach diventa uno dei teoremi pi`
u importanti in connessione con gli operatori
lineari limitati.
Generalmente parlando, in un problema di estensione, si considera un oggetto matematico
(per esempio unapplicazione) definito su un sottoinsieme Z di un dato insieme X e si vuole
estendere loggetto da Z allintero insieme X in modo tale che alcune propriet`a basilari
delloggetto continuino a valere per loggetto esteso.
Nella variante del teorema di HahnBanach che considereremo loggetto da estendere `e
un funzionale lineare limitato f che `e definito su un sottospazio Z di uno spazio normato X.
Si richiede che lestensione di f da Z a X avvenga senza perdere la linearit`a e la limitatezza
e mantendo invariata la norma.
Lo studente interessato pu`o trovare nella versione estesa delle dispense una generalizzazione del teorema agli spazi vettoriali reali e complessi non necessariamente normati.

82

CAPITOLO 4. TEOREMI PER GLI SPAZI NORMATI E DI BANACH

4.8 Teorema (HahnBanach. Spazi Normati)


Sia f un funzionale lineare limitato su un sottospazio Z di uno spazio normato X. Allora
esiste un funzionale lineare limitato fe su X che `e unestensione di f a X e che ha la stessa
norma
||fe||X = ||f ||Z
(4.1)
dove

||fe||X = sup |fe(x)|,


xX
||x||=1

||f ||Z = sup |f (x)|


xZ
||x||=1

(e ||f ||Z = 0 nel caso banale Z = {0}).


Dimostrazione. Se Z = {0} allora f = 0 e lestensione `e fe = 0. Sia Z 6= {0}.Cominciamo
collosservare che per tutti gli x Z abbiamo
|f (x)| p(x).

(4.2)

p(x) = ||f ||Z ||x||.

(4.3)

dove per comodit`a abbiamo introdotto

Il funzionale p `e definito su tutto X. Inoltre p `e, come si dice, un funzionale subadditivo in


quanto soddisfa per tutti gli x, y X
p(x + y) p(x) + p(y),

(4.4)

poich`e per la diseguaglianza triangolare


p(x + y) = ||f ||Z ||x + y|| ||f ||Z (||x|| + ||y||) = p(x) + p(y),
ed `e assolutamente omogeneo in quanto per ogni scalare ed x X
p(x) = ||p(x),

(4.5)

perche
p(x) = ||f ||Z ||x|| = ||||f ||Z ||x|| = ||p(x).
Consideriamo ora separatamente i due casi, quello in cui X `e uno spazio vettoriale reale e
quello complesso.
Spazio vettoriale reale. Se X `e reale allora (4.2), essendo p(x) 0, implica
f (x) p(x)

(4.6)

per tutti gli x Z. Procediamo ora passo a passo provando che:


(a) linsieme E di tutte le estensioni lineari g di f dal sottospazio Z = D(f ) al sottospazio
D(g) che soddisfano g(x) p(x) per ogni x D(g) pu`o essere parzialmente ordinato ed
ammette un elemento massimale fe;
(b) fe `e definito sullintero spazio X..
Cominciamo con la parte (a).
(a) Sia E linsieme di tutte le estensioni lineari g di f che soddisfano la condizione
g(x) p(x)

per tutti gli x D(g).

4.4. TEOREMA DI HAHNBANACH

83

Chiaramente E 6= perche f E. Su E possiamo definire un ordine parziale con


gh

significa

h `e unestensione di g,

cio`e per definizione D(h) D(g) ed h(x) = g(x) per ogni x D(g).
Per qualsiasi catena C E di elementi g consideriamo
[
DC =
D(g)
gC

che `e uno spazio vettoriale perche C `e una catena. Per ogni x DC esiste una g C tale
che x D(g) e possiamo quindi definire su DC lapplicazione gb con
gb(x) = g(x)

se x D(g)

con g C.

T
La definizione di gb non `e ambigua. Infatti per un x D(g1 ) D(g2 ) con g1 , g2 C abbiamo,
poiche C `e una catena, g1 g2 o g2 g1 e quindi g1 (x) = g2 (x). Per ogni x DC `e
gb(x) p(x). Inoltre, sempre grazie al fatto che C `e una catena, gb `e un funzionale lineare.
Chiaramente g gb per tutti i g C. Quindi gb `e un limite superiore di C. Poiche C E
era arbitrario il lemma di Zorn implica che E ha un elemento massimale fe. Per definizione
di E questo `e una estensione lineare di f che soddisfa
fe(x) p(x)

per x D(fe).

(4.7)

(b) Mostriamo ora che D(fe) `e tutto X. Supponiamo che ci`o sia falso. Allora possiamo
scegliere un y1 X D(fe) e considerare il sottospazio Y1 di X generato da D(fe) ed y1 . Si
noti che y1 6= 0 perche 0 D(fe). Qualsiasi x Y1 pu`o essere scritto
x = y + y1

y D(fe).

(4.8)

Questa rappresentazione `e unica. Infatti y + y1 = ye + y1 con ye D(fe) implica y ye =


( )y1 , dove y ye D(fe) mentre y1
/ D(fe), cos` che la sola soluzione `e y ye = 0 e
= 0. Ci`o significa lunicit`a.
Consideriamo ora un funzionale g1 su Y1 definito da
g1 (y + y1 ) = fe(y) + c

(4.9)

dove c `e una qualsiasi costante reale. Non `e difficile vedere che g1 `e lineare. Inoltre per
= 0 abbiamo g1 (y) = fe(y). Quindi g1 `e una estensione lineare di fe ed `e propria, perche
D(fe) `e un sottoinsieme proprio di D(g1 ). Conseguentemente se possiamo provare che, per
un opportuno c, lestensione g1 `e tale che
g1 (x) p(x)

per tutti gli x D(g1 ),

(4.10)

allora g1 E e ci`o contraddir`a la massimalit`a di fe, cos` che D(fe) 6= X `e falso e D(fe) = X
`e vero.
Consideriamo ora un qualunque w e z in D(fe). Dalla linearit`a della fe e da (4.7), (4.4) e
(4.5) otteniamo
fe(w) fe(z) = fe(w z) p(w z)
= p(w + y1 y1 z)
p(w + y1 ) + p(y1 + z).

84

CAPITOLO 4. TEOREMI PER GLI SPAZI NORMATI E DI BANACH

Portando lultimo termine a sinistra ed il termine fe(w) a destra abbiamo


p(y1 + z) fe(z) p(w + y1 ) fe(w),

(4.11)

dove y1 `e fisso. Poiche w non appare a sinistra e z non appare a destra lineguaglianza
continua a valere se prendiamo lestremo superiore sugli z D(fe) a sinistra (chiamiamolo
m0 ) e lestremo inferiore sui w D(fe) a destra, chiamiamolo m1 . Allora m0 m1 e per un
c tale che m0 c m1 abbiamo dalla (4.11)
p(y1 + z) fe(z) c
c p(w + y1 ) fe(w)

per tutti gli z D(fe)


per tutti i w D(fe).

Sostituendo in (4.12) z con y/ ed in (4.13) w con y/ otteniamo

y
y
p y1 +
fe
+ c p y1 +

ossia

y
e

+ c p y1 +
f

(4.12)
(4.13)

(4.14)
(4.15)

e moltiplicando entrambi i membri per ||, utilizzando la linearit`a di fe, (4.5) e ricordando
la (4.9) si ottiene (4.10).
Spazio vettoriale complesso. Sia X complesso. Allora anche Z `e uno spazio vettoriale
complesso. Quindi f `e a valori complessi e possiamo scrivere
f (x) = f1 (x) + if2 (x)

xZ

dove f1 e f2 sono a valori reali. Per il momento consideriamo X e Z come spazi vettoriali reali
e li indichiamo con Xr e Zr rispettivamente; ci`o significa semplicemente che restringiamo
la moltiplicazione per scalari ai numeri reali (invece che ai numeri complessi). Poiche f
`e lineare su Z e f1 e f2 sono a valori reali, f1 e f2 sono funzionali lineari su Zr . Inoltre
f1 (x) |f (x)| perche la parte reale di un numero complesso non pu`o essere maggiore del
suo modulo. Quindi per la (4.6)
f1 (x) p(x)

per tutti gli x Z.

Per quanto dimostrato nel caso degli spazi normati reali v`e unestensione fe1 di f1 da Zr a
Xr tale che
fe1 (x) p(x)
per tutti gli x X.
(4.16)
Ci`o per quanto riguarda f1 . Occupiamoci ora di f2 . Ritornando a Z ed usando f = f1 + if2 ,
abbiamo per ogni x Z
i[f1 (x) + if2 (x)] = if (x) = f (ix) = f1 (ix) + if2 (ix).
Le parti reali dei due membri devono essere uguali
f2 (x) = f1 (ix)

x Z.

(4.17)

Quindi se per tutti gli x X poniamo


fe(x) = fe1 (x) ife1 (ix)

x X,

(4.18)

vediamo dalla (4.17) che fe(x) = f (x) su Z. Ci`o mostra che fe `e unestensione di f da Z a
X. Ci rimane da dimostrare che

4.4. TEOREMA DI HAHNBANACH

85

(i) fe `e un funzionale lineare sullo spazio vettoriale complesso X,


(ii) fe soddisfa la (4.2) su X.
Che la (i) sia valida pu`o essere visto dal seguente calcolo che usa la (4.18) e la linearit`a
della f1 sullo spazio vettoriale reale Xr , dove a + ib con a e b reali `e un qualunque scalare
complesso,
fe((a + ib)x) = fe1 (ax + ibx) ife1 (iax bx)
= afe1 (x) + bfe1 (ix) i[afe1 (ix) bfe1 (x)]
= (a + ib)[fe1 (x) ife1 (ix)]
= (a + ib)fe(x).
Proviamo la (ii). Per un qualsiasi x tale che fe(x) = 0 ci`o vale perche p(x) 0. Sia x
tale che fe(x) 6= 0. Allora possiamo scrivere usando la forma polare delle quantit`a complesse
fe(x) = |fe(x)|ei

e cos`

|fe(x)| = fe(x)ei = fe(ei x).

Poiche |fe(x)| `e reale, lultima espressione `e reale e quindi uguale alla sua parte reale. Quindi
per la (4.16) e la (4.5)
|fe(x)| = fe(ei x) = fe1 (ei x) p(ei x) = |ei |p(x) = p(x).
Ci`o completa la dimostrazione.
Quindi possiamo concludere che esiste un funzionale lineare fe su X che `e unestensione
di f e che soddisfa
|fe(x)| p(x) = ||f ||Z ||x||
x X.
Prendendo lestremo superiore su tutti gli x X di norma 1 otteniamo la diseguaglianza
||fe||X = sup |fe(x)| ||f ||Z .
xX
||x||=1

Poiche sotto unestensione la norma non pu`o decrescere abbiamo anche ||fe||X ||f ||Z .
Confrontando otteniamo la (4.1) ed il teorema `e dimostrato.
In casi speciali la situazione pu`o diventare molto semplice. Gli spazi di Hilbert sono di
questo tipo. Infatti se Z `e un sottospazio chiuso di uno spazio di Hilbert X = H, allora f
ha una rappresentazione di Riesz 3.28, ossia
f (x) = hz, xi

zZ

dove ||z|| = ||f ||. Naturalmente poiche il prodotto scalare `e definito su tutto H ci`o fornisce
immediatamente una estensione lineare fe di f da Z a H, ed fe ha la stessa norma di f perche
||fe|| = ||z|| = ||f || per il Teorema 3.28. Quindi in questo caso lestensione `e immediata.
Possiamo, tuttavia, nel caso generale fare a meno del lemma di Zorn? Questa domanda
`e di interesse in particolare perche il lemma non d`a un metodo di costruzione. Se nella (4.9)
prendiamo f invece di fe otteniamo perSun conveniente c reale una estensione lineare g1 di
f al sottospazio Z1 generato da D(f ) {y1 } e tale che g1 (x) p(x) per tutti gli x Z1 ,
come si pu`o vedere dalla parte finale della dimostrazione con fe sostituito con f. Se X = Z1
abbiamo concluso. Se X 6= Z1 possiamo prendere un y2 X Z1 e ripetere il processo

86

CAPITOLO 4. TEOREMI PER GLI SPAZI NORMATI E DI BANACH

per estendere f a Z2 generato da Z1 e y2, etc. Ci`o fornisce una successione di sottospazi
ciascuno contenente il precedente e tali che f pu`o essere esteso da ciascuno al successivo e
lestensione gj soddisfa gj (x) p(x) per tutti gli x Zj . Se
X=

n
[

Zj

j=1

abbiamo concluso dopo n passi e se


X=

Zj

j=1

possiamo usare lordinaria induzione. Tuttavia se X non ha una tale rappresentazione


abbiamo bisogno del lemma di Zorn qui presentato.
Dal Teorema 4.8 deriveremo ora un altro utile risultato che, in parole povere, mostra che
lo spazio duale X 0 di uno spazio normato X consiste di un numero sufficiente di funzionali
lineari limitati da poter distinguere fra punti di X. Ci`o diventer`a essenziale in connessione
con gli operatori duali e la cosiddetta convergenza debole.

4.9 Teorema (Funzionali Lineari Limitati)


Sia X uno spazio normato e sia x0 6= 0 un elemento qualunque di X. Allora esiste un
funzionale lineare limitato fe su X tale che
||fe|| = 1,

fe(x0 ) = ||x0 ||.

Dimostrazione. Consideriamo il sottospazio Z di X consistente di tutti gli elementi x = x0


dove `e uno scalare. Su Z definiamo un funzionale lineare con
f (x) = f (x0 ) = ||x0 ||.

(4.19)

f `e limitato ed ha norma ||f || = 1 perche


|f (x)| = |f (x0 )| = || ||x0 || = ||x||.
Il Teorema 4.8 implica che f ha una estensione lineare fe da Z a X di norma ||fe|| = ||f || = 1.
Dalla (4.19) vediamo che fe(x0 ) = f (x0 ) = ||x0 ||.
Da questo Teorema segue il seguente Corollario, che evidenzia come i funzionali lineari
limitati siano in grado di discriminare fra due punti diversi.

4.10 Corollario (Norma, Vettore Nullo)


Per ogni x in uno spazio normato X abbiamo
||x|| = sup
0

f X
f 6=0

|f (x)|
.
||f ||

Quindi se x0 `e tale che f (x0 ) = 0 per tutti gli f X 0 allora x0 = 0.


Dimostrazione. Dal Teorema 4.9 abbiamo, scrivendo x per x0 ,
sup
f X 0
f 6=0

|f (x)|
|fe(x)|
||x||

=
= ||x||
e
||f ||
1
||f ||

(4.20)

4.5. OPERATORE DUALE

87

f
g

T
-

Figura 4.1: Pull back di g tramite T


e da |f (x)| ||f || ||x|| otteniamo
sup
f X 0
f 6=0

|f (x)|
||x||.
||f ||

Dal confronto segue la (4.20).

4.5 Operatore Duale


Ad un operatore lineare limitato T : X Y su uno spazio normato X possiamo associare
il cosiddetto operatore duale (o coniugato) T 0 di T. Una motivazione per T 0 viene dalla sua
utilit`a nella risoluzione delle equazioni che involvono operatori; tali equazioni intervengono
per esempio in fisica ed in altre applicazioni. Nella presente sezione definiamo loperatore
duale T 0 e consideriamo alcune delle sue propriet`a, inclusa la sua relazione con loperatore
` importante notare che la nostra presente
aggiunto di Hilbert T definito nella Sez. 3.11. E
discussione dipende dal Teorema di HahnBanach (attraverso il Teorema 4.9) e che senza di
esso non andremmo molto lontano.
Consideriamo un operatore lineare limitato T : X Y, dove X e Y sono spazi normati,
e vogliamo definire loperatore duale T 0 di T. A questo scopo partiamo da un qualsiasi
funzionale lineare limitato g su Y. Ponendo per ogni x X
f (x) = g(T x)

(4.21)

otteniamo un funzionale f su X, che `e lineare dal momento che g e T sono lineari. In inglese
si chiama il funzionale pull back di g, `e cio`e il funzionale che si ottiene risospingendo g
allindietro su X, utilizzando lapplicazione T (vedi figura 4.1). Il funzionale f `e limitato
perche
|f (x)| = |g(T x)| ||g|| ||T x|| ||g|| ||T || ||x||.
Prendendo lestremo superiore su tutti gli x X di norma uno otteniamo la diseguaglianza
||f || ||g|| ||T ||.

(4.22)

88

CAPITOLO 4. TEOREMI PER GLI SPAZI NORMATI E DI BANACH

Ci`o mostra che f X 0 , dove X 0 `e lo spazio duale di X definito in 2.42. Per ipotesi g Y 0 .
Conseguentemente per g Y 0 variabile la formula (4.21) definisce un operatore da Y 0 in
X 0 , che `e chiamato loperatore duale di T ed `e indicato con T 0 . Abbiamo cos`
T
X Y
T0
Y 0 X 0

(4.23)

Si porti particolare attenzione al fatto che T 0 `e definito su Y 0 mentre loperatore dato T `e


definito su X. Possiamo riassumere enunciando la seguente definizione.
4.11 Definizione (Operatore Duale T 0 )
Sia T : X Y un operatore lineare limitato, dove X e Y sono spazi normati. Allora
loperatore duale (o coniugato) T 0 : Y 0 X 0 di T `e definito da
f (x) = (T 0 g)(x) = g(T x)

(g Y 0 )

(4.24)

dove X 0 e Y 0 sono rispettivamente gli spazi duali di X e di Y.


Il nostro primo obiettivo `e di provare che loperatore duale ha la medesima norma delloperatore stesso. Questa propriet`a `e basilare, come vedremo pi`
u innanzi. Per la dimostrazione
avremo bisogno del Teorema 4.9, che `e stato derivato dal teorema di HahnBanach. Il teorema di HahnBanach `e perci`o vitale per costruire una teoria soddisfacente degli operatori
duali, che a loro volta sono una parte essenziale della teoria generale degli operatori lineari.

4.12 Teorema (Norma dellOperatore Duale)


Loperatore duale T 0 nella Def. 4.11 `e lineare, limitato e
||T 0 || = ||T ||.

(4.25)

Dimostrazione. Loperatore T 0 `e lineare perche il suo dominio Y 0 `e uno spazio vettoriale ed


otteniamo facilmente
(T 0 (g1 + g2 ))(x) = (g1 + g2 )(T x)
= (g1 )(T x) + (g2 )(T x)
= (T 0 g1 )(x) + (T 0 g2 )(x).
Proviamo la (4.25). Dalla (4.24) abbiamo f = T 0 g e per la (4.22) ne segue che
||T 0 g|| = ||f || ||g|| ||T ||.
Prendendo lestremo superiore su tutte le g Y 0 di norma uno otteniamo la diseguaglianza
||T 0 || ||T ||.
Quindi per ottenere la (4.25) dobbiamo ora provare che ||T 0 || ||T ||. Il Teorema 4.9 implica
che per ogni x X tale che T x 6= 0 v`e un ge Y 0 tale che
||e
g || = 1

ge(T x) = ||T x||.

(4.26)

4.5. OPERATORE DUALE

89

Possiamo quindi scrivere, per ||x|| =


6 0,
||T 0 || = sup
gY 0
g6=0

||T 0 g||
||T 0 ge||
||fe|| ||x||

=
||g||
||e
g ||
||x||

|fe(x)|
|e
g (T x)|
||T x||
=
=
,
||x||
||x||
||x||

dove fe = T 0 ge e sono state utilizzate le propriet`a di ge in (4.26). Poiche x `e generico, prendendo


lestremo superiore di entrambi i membri per ogni x 6= 0 otteniamo
||T 0 || ||T ||
e quindi ||T 0 || = ||T ||.
Illustriamo la presente discussione con le matrici considerate come rappresentanti di
operatori.
Esempio (Matrici). Abbiamo mostrato nella Sez. 2.10 che, se X `e uno spazio vettoriale
ndimensionale, una volta scelta una base E = {e1 , , en } per X, i punti x di X possono
essere rappresentati da vettori colonna x = ( 1 , , n )> ove
x=

n
X

k ek

(4.27)

k=1

e gli operatori lineari T : X X da matrici TE = ( jk ) ove


T ei =

n
X

ji ej

(4.28)

j=1

in modo tale che, se y = T x `e rappresentato dal vettore colonna y = ( 1 , , n )> ove


y=

n
X

k ek

(4.29)

k=1

e se le matrici sono moltiplicate righe per colonne, allora


y = TE x,

od in componenti

j =

n
X

jk k .

(4.30)

k=1

Sia ora F = {f1 , , fn } la base duale di E (cf. Sez. 2.10) ossia tale che
fj (ei ) = ij .

(4.31)

Questa `e una base anche per X 0 (che `e anche esso uno spazio ndimensionale). Sia ora
f = T 0 g ed abbiano g ed f X 0 la rappresentazione
g = 1 f1 + + n fn

(4.32)

f = 1 f1 + + n fn

(4.33)

g(ej ) = j
f (ei ) = i

(4.34)
(4.35)

ove

90

CAPITOLO 4. TEOREMI PER GLI SPAZI NORMATI E DI BANACH

Dalla definizione di operatore duale otteniamo


f (ei ) = g(T ei ) =

n
X

ji g(ej ).

j=1

Dalle (4.34) ed (4.35) abbiamo quindi


i =

n
X

ji j .

j=1

Possiamo ora interpretare questa equazione come lespressione in componenti di f = TE0 g.


Osservando che nel membro a destra si somma rispetto al primo indice (cos` che si somma
su tutti gli elementi di una colonna di TE ) abbiamo il seguente risultato:
Se T `e rappresentato da una matrice TE allora loperatore duale T 0 `e rappresentato dal
trasposto di TE .
Lavorando con gli operatori duali sono utili le formule seguenti dalla (4.36) alla (4.38).
La corrispondente prova `e lasciata al lettore. Siano S, T B(X, Y ); cf. Sez. 2.8. Allora
(S + T )0 = S 0 + T 0
(T )0 = T 0 .

(4.36)
(4.37)

Siano X, Y, Z spazi normati e T B(X, Y ) e S B(Y, Z). Allora per loperatore duale
del prodotto ST abbiamo
(ST )0 = T 0 S 0 .
(4.38)
Se T B(X, Y ) e T 1 esiste e T 1 B(Y, X) allora anche (T 0 )1 esiste, (T 0 )1
B(X 0 , Y 0 ) e
(T 0 )1 = (T 1 )0 .
(4.39)

4.6 Spazi Riflessivi


La riflessivit`a algebrica di spazi vettoriali `e stata discussa nella Sez. 2.9. La riflessivit`
a di
spazi normati `e largomento della presente sezione.
Consideriamo uno spazio normato X, il suo spazio duale X 0 cos` come definito in 2.42
ed inoltre lo spazio duale (X 0 )0 di X 0 . Questo spazio `e indicato con X 00 ed `e chiamato lo
spazio biduale di X.
Esattamente come s`e fatto quando si sono discussi gli spazi duali e biduali algebrici
possiamo definire un funzionale gx su X 0 scegliendo un x X fisso e ponendo
gx (f ) = f (x)

(f X 0 variabile).

(4.40)

Ci`o definisce unapplicazione


C : X X 00

(4.41)

x 7 gx .
C `e chiamata lapplicazione canonica di X in X 00 .Questa applicazione, cos` come per gli
spazi duali e biduali algebrici, `e lineare e biiettiva di X su R(C) X 00 . In questo caso
possiamo aggiungere che gx `e limitata e che lapplicazione C `e un isometria, poiche abbiamo
il seguente lemma basilare.

4.6. SPAZI RIFLESSIVI

91

4.13 Lemma (Norma di gx )


Per ogni x fisso in uno spazio normato X il funzionale gx definito dalla (4.40) `e un funzionale
lineare limitato su X 0 , cos` che gx X 00 ed ha norma
||gx || = ||x||.

(4.42)

Dimostrazione. La linearit`a di gx `e nota dalla Sez. 2.9 e la (4.42) segue dalla (4.40) e dal
Corollario 4.10
|gx (f )|
|f (x)|
||gx || = sup
= sup
= ||x||.
(4.43)
0
0 ||f ||
||f
||
f X
f X
f 6=0

f 6=0

Possiamo quindi esprimerci in termini di un isomorfismo di spazi normati come definito


nella Sez. 2.11

4.14 Lemma (Applicazione Canonica)


Lapplicazione canonica C data dalla (4.41) `e un isomorfismo dello spazio normato X sullo
spazio normato R(C), limmagine di C.
X `e detto immergibile (embeddable) in uno spazio normato Z se X `e isomorfo ad
un sottospazio di Z. Ci`o `e simile alla Sez. 2.9, ma si noti che qui abbiamo a che fare con
un isomorfismo di spazi normati, cio`e con un isomorfismo di spazi vettoriali che conserva la
norma (cf. Sez. 2.11). Il Lemma 4.14 mostra che X `e immergibile in X 00 e C `e chiamato
limmersione canonica (embedding canonico) di X in X 00 .
In generale C non sar`a biiettivo, cos` che limmagine R(C) sar`a un sottospazio proprio
di X 00 . Il caso surgettivo quando R(C) `e tutto X 00 `e sufficientemente importante da dargli
un nome.
`)
4.15 Definizione (Riflessivita
Uno spazio normato X `e detto riflessivo se
R(C) = X 00
dove C : X X 00 `e lapplicazione canonica data dalla (4.41) e dalla (4.40).
` interessante
Se X `e riflessivo `e isomorfo (quindi isometrico) a X 00 per il Lemma 4.14. E
il fatto che linverso in generale non valga.
Inoltre la completezza non implica la riflessivit`a ma viceversa abbiamo il seguente teorema.

4.16 Teorema (Completezza)


Se uno spazio normato X `e riflessivo allora `e completo (quindi uno spazio di Banach).
Dimostrazione. Poiche X 00 `e lo spazio duale di X 0 esso `e completo per il Teorema 2.43. La
riflessivit`a di X significa che R(C) = X 00 . La completezza di X ora segue da quella di X 00
per il Lemma 4.14.
Ogni spazio normato X finito dimensionale `e riflessivo. Infatti se dim X < allora ogni
funzionale lineare su X `e limitato (cf. 2.31), cos` che X 0 = X e la riflessivit`a algebrica di
X implica allora il seguente teorema.

4.17 Teorema (Dimensioni Finite)


Ogni spazio normato finito dimensionale `e riflessivo.
Anche gli spazi di Hilbert risultano essere sempre riflessivi.

92

CAPITOLO 4. TEOREMI PER GLI SPAZI NORMATI E DI BANACH

4.18 Teorema (Spazio di Hilbert)


Ogni spazio di Hilbert `e riflessivo.
Dimostrazione. Proviamo la surgettivit`a dellapplicazione canonica C : H H 00 mostrando
che per ogni g0 H 00 v`e un x0 H tale che g0 = Cx0 . Come preparazione definiamo
A : H 0 H con Af = z dove z `e dato dalla rappresentazione di Riesz f (x) = hz, xi in 3.28.
Dal Teorema 3.28 sappiamo che A `e biiettivo ed isometrico. A `e coniugato lineare come si
vede ricordando che il prodotto scalare `e coniugato lineare a sinistra. Ora H 0 `e completo
per il Teorema 2.43 e diviene uno spazio di Hilbert quando si introduce il prodotto scalare
definito da
hf1 , f2 i = hAf2 , Af1 i.
Si noti il diverso ordine di f1 , f2 nei due membri. (IP1) sino a (IP4) nella Sez. 3.2 sono
facilmente verificati. In particolare (IP2) segue dalla linearit`a coniugata di A
hf1 , f2 i = hA(f2 ), Af1 i = hAf2 , Af1 i = hf1 , f2 i.
Sia g0 H 00 arbitrario. Sia la sua rappresentazione di Riesz
g0 (f ) = hf0 , f i = hAf, Af0 i.
Ricordiamo ora che f (x) = hz, xi dove z = Af e sia x0 = Af0 . Abbiamo allora
hAf, Af0 i = hz, x0 i = f (x0 ).
Confrontando g0 (f ) = f (x0 ), ossia g0 = Cx0 per la definizione di C. Poiche g0 H 00 era
arbitrario C `e surgettivo e quindi H `e riflessivo.
A volte separabilit`a e non separabilit`a possono giocare un ruolo nella prova che certi
spazi non sono riflessivi. Per approfondire questi temi lo studente interessato pu`o utilizzare
la versione estesa delle dispense.

4.7 Teorema della Categoria e della Uniforme Limitatezza


Il teorema di uniforme limitatezza (o principio di uniforme limitatezza) `e spesso considerato
come una delle pietre dangolo dellanalisi funzionale negli spazi normati, le altre essendo
il teorema di HahnBanach, il teorema dellapplicazione aperta ed il teorema del grafico
chiuso. Al contrario del teorema di HahnBanach gli altri tre di questi quattro teoremi
richiedono la completezza. Infatti essi caratterizzano alcune delle pi`
u importanti propriet`a
degli spazi di Banach che in generale gli spazi normati possono non avere.
` molto interessante notare che tutti e tre i teoremi si ottengono da una sorgente comuE
ne. Pi`
u precisamente proveremo il cosiddetto teorema della categoria di Baire e deriveremo
da esso sia il teorema di uniforme limitatezza (in questa sezione) che il teorema della applicazione aperta (nella Sez. 4.10). Lo studente interessato pu`o trovare il teorema del grafico
chiuso e la sua dimostrazione nella versione estesa delle dispense.

4.19 Teorema (Categoria di Baire. Spazi Metrici Completi)


Se uno spazio metrico X 6= `e completo e
X=

[
k=1

Ak

con tutti gli Ak chiusi,

(4.44)

4.7. TEOREMA DELLA CATEGORIA E DELLA UNIFORME LIMITATEZZA

93

allora almeno un Ak contiene un sottoinsieme aperto non vuoto.


Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che lo spazio metrico completo X 6= sia tale che
X=

Mk

(4.45)

k=1

con ciascun Mk chiuso non contenente un sottoinsieme aperto non vuoto. Costruiremo una
successione di Cauchy (pk ) il cui limite p (che esiste per la completezza) non `e in alcun Mk ,
contraddicendo perci`o la rappresentazione (4.45).
Per ipotesi M1 non contiene un insieme aperto non vuoto. Ma X s` (ad esempio X
stesso). Questo implica che M1 6= X. Quindi il complemento M1C = X M1 di M1 `e non
vuoto ed aperto. Possiamo cos` scegliere un punto p1 in M1C ed una palla chiusa di cui `e
centro tale che
1
B1 = B(p1 ; r1 ) M1C
r1 .
2
Per ipotesi anche M2 non contiene un insieme aperto non vuoto. Quindi non contiene la

T
palla aperta B 1 . Ci`o implica che M2C B 1 `e non vuoto ed aperto, cos` che possiamo scegliere
una palla chiusa B2 in questo insieme tale che
B2 = B(p2 ; r2 ) M2C

B1

r2

1
.
22

Per induzione otteniamo cos` una successione di palle chiuse


Bk = B(pk ; rk )
tali che Bk

rk

1
2k

Mk = e
Bk+1 Bk

k = 1, 2, .

Poiche rk 2k la successione (pk ) dei centri `e di Cauchy e converge, ossia pk p


X perche X `e completo per ipotesi. Inoltre per ogni m e n > m abbiamo B (pn ; rn )
B(pm ; rm ) cos` che
d(pm , p) d(pm , pn ) + d(pn , p)
rm + d(pn , p)
e per n
d(pm , p) rm .
C
Ossia p Bm per ogni m. Poiche Bm Mm
, vediamo ora che p
/ Mm per ogni m, cos`
che p
/ X. Ci`o contraddice p X. Il teorema di Baire `e dimostrato.

Notiamo che linverso del teorema di Baire in generale non `e vero.


Dal teorema di Baire otterremo ora facilmente il teorema della uniforme limitatezza.
Questo teorema stabilisce che se X `e uno spazio di Banach ed una successione di operatori
Tn B(X, Y ) `e limitata in ogni punto x X, allora la successione `e uniformemente limitata.
In altre parole la limitatezza puntiforme implica la limitatezza in un senso pi`
u forte, ossia la
uniforme limitatezza. (Il numero reale cx nella (4.46), qui di seguito, varia in generale con
x, un fatto che indichiamo collindice x; il punto essenziale `e che cx non dipende da n.)

94

CAPITOLO 4. TEOREMI PER GLI SPAZI NORMATI E DI BANACH

4.20 Teorema (Uniforme Limitatezza)


Sia (Tn ) una successione di operatori lineari limitati Tn : X Y da uno spazio di Banach
X in uno spazio normato Y tale che (||Tn x||) sia limitata per ogni x X, cio`e
||Tn x|| cx

n = 1, 2,

(4.46)

dove cx `e un numero reale. Allora la successione di norme ||Tn || `e limitata, ossia v`e un c
tale che
||Tn || c
n = 1, 2, .
(4.47)

Dimostrazione. Per ogni k N sia Ak X linsieme di tutti gli x tali che


||Tn x|| k

per tutti gli n.

Ak `e chiuso. Infatti per ogni x Ak v`e una successione (xj ) in Ak che converge a x. Questo
significa che per ogni n fisso abbiamo ||Tn xj || k ed otteniamo ||Tn x|| k perche Tn `e
continuo e cos` la norma in Y (cf. Sez. 2.2). Quindi x Ak e Ak `e chiuso.
Per la (4.46) ciascun x X appartiene a qualche Ak . Quindi
X=

Ak .

k=1

Poiche X `e completo il teorema di Baire implica che qualche Ak contiene una palla aperta,
sia
B0 = B(x0 ; r) Ak0 .
(4.48)
Sia x X arbitrario e non nullo. Poniamo
z = x0 + x

r
.
2||x||

(4.49)

Allora ||z x0 || < r, cos` che z B0 . Per la (4.48) e dalla definizione di Ak0 abbiamo quindi
che ||Tn z|| k0 per tutti gli n. Inoltre ||Tn x0 || k0 perche x0 B0 . Dalla (4.49) otteniamo
x=

1
(z x0 ).

Ci`o fornisce per tutti gli n


||Tn x|| =

1
1
4
||Tn (z x0 )|| (||Tn z|| + ||Tn x0 ||) ||x||k0 .

Quindi per tutti gli n


||Tn || = sup ||Tn x||
||x||=1

4
k0 ,
r

che `e della forma (4.47) con c = 4k0 /r.

4.8 Convergenza Forte e Debole


Sappiamo che in analisi si definiscono diversi tipi di convergenza (ordinaria, condizionale,
assoluta ed uniforme). Ci`o fornisce maggiore flessibilit`a nella teoria e nelle applicazioni delle
successioni e delle serie. Nellanalisi funzionale la situazione `e simile e vi sono una ancora

4.8. CONVERGENZA FORTE E DEBOLE

95

maggiore variet`a di possibilit`a che risultano di interesse pratico. Nella presente sezione ci
occupiamo principalmente della convergenza debole. Questo `e un concetto basilare. Lo
presentiamo ora perche la teoria della convergenza debole fa un uso essenziale del teorema di
uniforme limitatezza discusso nella sezione precedente. Infatti `e questa una delle maggiori
applicazioni di questo teorema.
La convergenza di successioni di elementi in uno spazio normato `e stata definita nella
Sez. 2.3 e dora innanzi sar`a chiamata convergenza forte per distinguerla dalla convergenza
debole.
Definiamo quindi dapprima la convergenza forte.
4.21 Definizione (Convergenza Forte)
Una successione (xn ) in uno spazio normato X `e detta convergente fortemente (o convergente
in norma) se v`e un x X tale che
lim ||xn x|| = 0.

Si scrive
lim xn = x

o semplicemente
xn x.
x `e chiamato il limite forte di (xn ) e diciamo che (xn ) converge fortemente a x.
La convergenza debole `e definita in termini di funzionali lineari limitati su X come segue.
4.22 Definizione (Convergenza Debole)
Una successione (xn ) in uno spazio normato X `e detta debolmente convergente se v`e un x
tale che per ogni f X 0
lim f (xn ) = f (x).
n

Si scrive

xn x
o xn * x. Lelemento x `e chiamato il limite debole di (xn ) e diciamo che (xn ) converge
debolmente a x.
Si noti che la convergenza debole significa la convergenza per la successione di numeri
an = f (xn ) per ogni f X 0 .
Il concetto illustra un principio basilare dellanalisi funzionale e precisamente il fatto che
la studio degli spazi `e spesso collegato a quello dei loro spazi duali.
Per applicare la convergenza debole abbiamo bisogno di conoscere alcune propriet`a basilari, che enunciamo nel prossimo lemma. Il lettore noter`a che nella prova utilizziamo il
Corollario 4.10 ed il Lemma 4.13, che sono una diretta conseguenza del teorema di Hahn
Banach, ed il teorema di uniforme limitatezza. Ci`o mostra limportanza di questi teoremi
in connessione con la convergenza debole.

4.23 Lemma (Convergenza Debole)

Sia (xn ) una successione convergente debolmente in uno spazio normato X, ossia xn x.
Allora
(a) Il limite debole x di (xn ) `e unico.
(b) Ogni sottosuccessione di (xn ) converge debolmente a x.

96

CAPITOLO 4. TEOREMI PER GLI SPAZI NORMATI E DI BANACH

(c) La successione (||xn ||) `e limitata.


w

Dimostrazione. (a) Supponiamo che xn x e che del pari xn y. Allora f (xn ) f (x)
e del pari f (xn ) f (y). Poiche (f (xn )) `e una successione di numeri il suo limite `e unico.
Quindi f (x) = f (y), cio`e per ogni f X 0 abbiamo
f (x) f (y) = f (x y) = 0.
Ci`o implica x y = 0 per il Corollario 4.10 e mostra che il limite debole `e unico.
(b) segue dal fatto che (f (xn )) `e una successione convergente di numeri, cos` che ogni
sottosuccessione di (f (xn )) converge ed ha il medesimo limite.
(c) Poiche (f (xn )) `e una successione convergente di numeri essa `e limitata, cio`e |f (xn )|
cf per tutti gli n, dove cf `e una costante che dipende da f ma non da n. Usando lapplicazione
canonica C : X X 00 (Sez. 4.6) possiamo definire gn X 00 con
gn (f ) = f (xn )

f X 0.

(Scriviamo gn invece di gxn per evitare indici di indici.) Allora per tutti gli n
|gn (f )| = |f (xn )| cf ,
cio`e la successione (|gn (f )|) `e limitata per ogni f X 0 . Poiche X 0 `e completo per il 2.43
`e applicabile il teorema della uniforme limitatezza 4.20 e ci`o implica che (||gn ||) `e limitata.
Ora ||gn || = ||xn || per il 4.13 e quindi (c) `e provato.
Il lettore pu`o forse meravigliarsi del fatto che la convergenza debole non giochi un ruolo
negli spazi Rn e Cn . La semplice ragione `e che negli spazi normati finito dimensionali la
distinzione fra convergenza debole e forte scompare completamente. Proviamo questo fatto
e giustifichiamo anche i termini forte e debole.

4.24 Teorema (Convergenza Forte e Debole)


Sia (xn ) una successione in uno spazio normato X. Ne segue
(a) La convergenza forte implica la convergenza debole col medesimo limite.
(b) Linverso di (a) non `e in generale vero.
(c) Se dim X < allora la convergenza debole implica la convergenza forte.
Dimostrazione. (a) Per definizione xn x significa ||xn x|| 0 ed implica che per ogni
f X0
|f (xn ) f (x)| = |f (xn x)| ||f || ||xn x|| 0.
w

Ci`o mostra che xn x.


(b) pu`o essere visto da una successione ortonormale (en ) in uno spazio di Hilbert H.
Infatti ogni f H 0 ha una rappresentazione di Riesz f (x) = hz, xi. Quindi f (en ) = hz, en i.
Ora la diseguaglianza di Bessel `e (cf. 3.20)

X
n=1

|hz, en i|2 ||z||2 .

4.8. CONVERGENZA FORTE E DEBOLE

97

Quindi la serie a sinistra converge, cos` che i suoi termini devono tendere a zero per n .
Ci`o implica
f (en ) = hz, en i 0.
w

Poiche f H 0 era arbitrario vediamo che en 0. Tuttavia (en ) non converge fortemente
perche
||em en ||2 = hem en , em en i = 2
(m 6= n).
w

(c) Supponiamo che xn x e che dim X = k. Sia {e1 , , ek } una base per X e sia
(n)

(n)

x n = 1 e1 + + k ek
e
x = 1 e1 + + k ek .
Per ipotesi f (xn ) f (x) per ogni f X 0 . Prendiamo in particolare f1 , , fk definiti da
fj (ej ) = 1,

fj (em ) = 0

(m 6= j).

(Ricordiamo che questa `e la base duale di {e1 , , en }). Allora


(n)

fj (xn ) = j ,
(n)

Quindi fj (xn ) fj (x) implica j

fj (x) = j .

j . Da ci`o otteniamo facilmente che

X (n)

||xn x|| =
(

)e
j j
j

j=1

k
X

(n)

|j

j | ||ej || 0

j=1

per n . Ci`o mostra che (xn ) converge fortemente a x.


` interessante notare che esistono anche spazi infinito dimensionali tali che i concetti di
E
convergenza forte e debole sono equivalenti. Un esempio `e l1 .

4.25 Teorema (Convergenza Debole)


Se in uno spazio normato X
(a) la successione (||xn ||) `e limitata,
(b) per ogni elemento f di un sottoinsieme M X 0 di vettori per cui `e span M = X 0 si ha
f (xn ) f (x)
w

allora xn x.
Dimostrazione. Consideriamo un qualunque f X 0 e mostriamo che f (xn ) f (x), che
significa la convergenza debole per definizione.
Per (a) abbiamo che per un c sufficientemente largo ||xn || c per tutti gli n e ||x|| c.
Applicando la diseguaglianza triangolare otteniamo per una qualunque (fj ) in span M
|f (xn ) f (x)| |f (xn ) fj (xn )| + |fj (xn ) fj (x)| + |fj (x) f (x)|
< ||f fj || ||xn || + |fj (xn ) fj (x)| + ||fj f || ||x||.

98

CAPITOLO 4. TEOREMI PER GLI SPAZI NORMATI E DI BANACH

Poiche per lipotesi (b) span M = X 0 , per ogni f X 0 v`e una successione (fj ) in span M
tale che fj f. Quindi per ogni dato > 0 possiamo trovare un j tale che
||fj f || <

.
3c

Inoltre poiche fj span M per lipotesi (b) v`e un N tale che per tutti gli n > N
|fj (xn ) fj (x)| <

.
3

Usando queste due diseguaglianze otteniamo per n > N


|f (xn ) f (x)|

c + + c = .
3c
3 3c

Poiche f X 0 era arbitrario ci`o mostra che la successione (xn ) converge debolmente a x.
In conclusione consideriamo la convergenza debole in due spazi particolarmente importanti.

Esempi
4.26 Teorema (Spazio di Hilbert)
w

In uno spazio di Hilbert xn x se e solo se hz, xn i hz, xi per tutti gli z nello spazio.
` evidente per il 3.28.
Dimostrazione. E

4.27 Teorema (Spazio lp .)

Nello spazio lp , dove 1 < p < +, abbiamo xn x se e solo se


(a) La successione (||xn ||) `e limitata.
(n)

(b) Per ogni j fisso abbiamo j

(n)

j per n , dove xn = ( j ) e x = ( j ).

Dimostrazione. Lo spazio duale di lp `e lq , dove 1/p + 1/q = 1. Una base di Schauder di lq `e


(en ) dove en = ( nj ) ha 1 al posto nmo e zero altrove. span(en ) `e denso in lq , cio`e `e una
base, cos` che la conclusione segue dal teorema 4.25.

4.9 Convergenza di Successioni di Operatori e di Funzionali


Per le successioni di operatori Tn B(X, Y ) tre tipi di convergenza risultano essere di rilievo
sia teorico che pratico. Essi sono
1. Convergenza in norma su B(X, Y ),
2. Convergenza forte di (Tn x) in Y,
3. Convergenza debole di (Tn x) in Y.
Le definizioni e la terminologia sono le seguenti.
4.28 Definizione (Convergenza di Successioni di Operatori)
Siano X e Y spazi normati. Una successione di operatori (Tn ) di operatori Tn B(X, Y ) `e
detta

4.9. CONVERGENZA DI SUCCESSIONI DI OPERATORI E DI FUNZIONALI

99

1. convergente uniformemente se (Tn ) converge in norma su B(X, Y ),


2. convergente fortemente se (Tn x) converge fortemente in Y per ogni x X,
3. convergente debolmente se (Tn x) converge debolmente in Y per ogni x X.
In formule questo significa che v`e un operatore T tale che, rispettivamente,
||Tn T || 0
||Tn x T x|| 0

per tutti gli x X

(4.50)
(4.51)

|f (Tn x) f (T x)| 0

per tutti gli x X e per tutti gli f Y 0 .

(4.52)

T `e chiamato, rispettivamente, loperatore limite uniforme, forte e debole.


Abbiamo rilevato nella sezione precedente che anche in analisi, in una situazione molto
pi`
u semplice, luso di diversi concetti di convergenza d`a una maggiore flessibilit`a. Ci`o nonostante il lettore pu`o essere ancora sconcertato dai molti concetti di convergenza che abbiamo
appena introdotto. Si pu`o chiedere se `e proprio necessario avere tre concetti di convergenza
per le successioni di operatori. La risposta `e che molti degli operatori che appaiono nei
` importante
problemi pratici sono dati come una sorta di limite di operatori pi`
u semplici. E
sapere che cosa si intende per una sorta di e sapere quali propriet`a delloperatore limite
sono implicate dalle propriet`a della successione. Inoltre allinizio di una ricerca non sempre
uno sa in che senso il limite esiste; quindi `e utile avere una molteplicit`a di possibilit`a. A
volte in un problema specifico si `e dapprima capaci di stabilire la convergenza in un senso
molto dolce, cos` che uno ha almeno qualcosa da cui partire, e solo successivamente `e in
grado di sviluppare degli strumenti per provare la convergenza in un senso pi`
u forte, ci`o che
garantisce migliori propriet`a delloperatore limite. Questa `e una situazione tipica nelle
equazioni alle derivate parziali.
Non `e difficile mostrare che
(4.50) = (4.51) = (4.52)
(il limite essendo lo stesso), ma linverso in generale non `e vero, come si pu`o vedere da alcuni
esempi.
Per quanto riguarda gli operatori Tn B(X, Y ) ci chiediamo che cosa si possa dire
sulloperatore limite T : X Y in (4.50)-(4.52).
Se la convergenza `e uniforme T B(X, Y ); altrimenti ||Tn T || non avrebbe senso. Se
la convergenza `e forte o debole T `e ancora lineare ma pu`o non essere limitato se X non `e
completo.
Tuttavia se X `e completo abbiamo il seguente lemma basilare.

4.29 Lemma (Convergenza Forte di Operatori)


Sia Tn B(X, Y ) dove X `e uno spazio di Banach ed Y uno spazio normato. Se (Tn ) converge
fortemente con limite T allora T B(X, Y ) e la successione (Tn ) converge uniformemente
a T.
Dimostrazione. La linearit`a di T segue facilmente dalla linearit`a di Tn . Poiche Tn x T x
per ogni x X la successione (Tn x) `e limitata per ogni x; cf. 1.8. Poiche X `e completo
(||Tn ||) `e limitato per il teorema della uniforme limitatezza, ossia ||Tn || c per tutti gli
n. Da ci`o segue che ||Tn x|| ||Tn || ||x|| c||x||. Ci`o implica ||T x|| c||x||, ossia T `e un
operatore limitato. Quindi anche Tn T `e limitato ed ha norma
||Tn T || = sup ||(Tn T )x||
||x||=1

da cui otteniamo che la successione (Tn ) converge uniformemente a T .

100

CAPITOLO 4. TEOREMI PER GLI SPAZI NORMATI E DI BANACH


Un utile criterio per la convergenza forte di operatori `e il seguente.

4.30 Teorema (Convergenza Forte di Operatori)


Sia data una successione (Tn ) di operatori Tn B(X, Y ), dove X `e normato ed Y `e uno
spazio di Banach. Allora se
(a) la successione (||Tn ||) `e limitata e
(b) la successione (Tn x) converge in Y per ogni x in un sottoinsieme M tale che span M
`e denso in X
la successione (Tn ) `e fortemente convergente
Dimostrazione. Sia c tale che ||Tn || c per tutti gli n. Consideriamo un qualunque x X e
mostriamo che (Tn x) converge fortemente in Y. Dobbiamo mostrare che la successione (Tn x)
`e di Cauchy. Per un qualunque y span M possiamo scrivere applicando la diseguaglianza
triangolare
||Tn x Tm x|| ||Tn x Tn y|| + ||Tn y Tm y|| + ||Tm y Tm x||
< ||Tn || ||x y|| + ||Tn y Tm y|| + ||Tm || ||x y||
Sia > 0 dato. Poiche span M `e denso in X v`e un y span M tale che
||x y|| <

.
3c

Poiche y span M la successione (Tn y) `e di Cauchy per (b). Quindi v`e un N tale che
||Tn y Tm y|| <

(m, n > N ).

Usando queste due diseguaglianze per m, n > N otteniamo


||Tn x Tm x|| < c

+ + c = .
3c 3
3c

Poiche Y `e completo (Tn x) converge in Y. Poiche x X era arbitrario ci`o prova la convergenza forte di (Tn ).
I funzionali lineari sono particolari operatori lineari (con immagine nei campi scalari R
o C), cos` che (4.50), (4.51) e (4.52) si applicano immediatamente. Tuttavia (4.51) e (4.52)
ora diventano equivalenti per la seguente ragione. Abbiamo Tn x Y, ma ora abbiamo
fn (x) R (o C). Quindi la convergenza in (4.51) e (4.52) ora ha luogo in uno spazio
finito dimensionale (unidimensionale) R (o C) e lequivalenza di (4.51) e (4.52) segue dal
Teorema 4.24(c). I due concetti rimanenti sono chiamati convergenza forte e debole (si
legga convergenza debole star).
4.31 Definizione (Convergenza Forte e Debole di una Successione di Funzionali)
Sia (fn ) una successione di funzionali lineari limitati su uno spazio normato X. Allora
(a) La convergenza forte di (fn ) significa che v`e un f X 0 tale che ||fn f || 0. Si scrive
fn f.

4.10. TEOREMA DELLAPPLICAZIONE APERTA

101

(b) La convergenza debole di (fn ) significa che v`e un f X 0 tale che fn (x) f (x) 0
per tutti gli x X. Si scrive2
w

fn f.
f in (a) e (b) `e chiamato, rispettivamente, il limite forte e debole di (fn ).
Vale il seguente teorema che `e semplicemente una riformulazione del teorema 4.30 nel
caso dei funzionali lineari.

4.32 Teorema (Convergenza Debole di Funzionali)


Sia data una successione (fn ) di funzionali lineari limitati su uno spazio normato X. Se
(a) la successione (||fn ||) `e limitata e
(b) la successione (fn (x)) converge per ogni x in un sottoinsieme M di X tale che span M =
X,
allora (fn ) `e convergente debolmente , il limite essendo un funzionale lineare limitato
su X.

4.10 Teorema dellApplicazione Aperta


Vi sono applicazioni tali che limmagine di un qualunque insieme aperto `e un insieme aperto. Ricordando la nostra discussione sullimportanza degli insiemi aperti nella Sez. 1.1
comprendiamo che le applicazioni aperte sono di interesse generale. Come nel teorema di
uniforme limitatezza abbiamo nuovamente bisogno della completezza ed il presente teorema
mostra unaltra ragione per cui gli spazi di Banach sono pi`
u soddisfacenti degli spazi normati incompleti. Il teorema fornisce anche le condizioni per le quali linverso di un operatore
lineare limitato `e limitato. La dimostrazione del teorema dellapplicazione aperta si baser`a
sul teorema di Baire enunciato e spiegato nella Sez. 4.7.
Incominciamo collintrodurre il concetto di applicazione aperta.
4.33 Definizione (Applicazione Aperta)
Siano X e Y spazi metrici. Allora T : X Y `e chiamata unapplicazione aperta se per ogni
insieme aperto in X limmagine `e un insieme aperto in Y.
Si noti che se lapplicazione non `e surgettiva bisogna fare attenzione a distinguere fra le
asserzioni che lapplicazione `e aperta come unapplicazione dal suo dominio
(a) in Y,
(b) sulla sua immagine.
(b) `e pi`
u debole di (a). Per esempio se X Y lapplicazione x 7 x di X in Y `e aperta
se e solo se X `e un sottoinsieme aperto di Y, mentre lapplicazione x 7 x di X sulla sua
immagine (che `e X) `e aperta in ogni caso.
Inoltre per evitare confusioni dovremmo ricordare che, per il Teorema 1.5, unapplicazione continua T : X Y ha la propriet`a caratteristica che per ogni insieme aperto in Y
limmagine inversa `e un insieme aperto in X. Ci`o non implica che T applichi insiemi aperti
2 Questo concetto `
e alquanto pi`
u importante di quello di convergenza debole di (fn ), che per il 4.22
significa g(fn ) g(f ) per tutti i g X 00 . La convergenza debole implica la convergenza debole come si
pu`
o vedere usando lapplicazione canonica definita nella Sez. 4.6.

102

CAPITOLO 4. TEOREMI PER GLI SPAZI NORMATI E DI BANACH

in X su insiemi aperti in Y. Per esempio lapplicazione R R data da t 7 sin t `e continua


ma applica (0, 2) su [1, 1].
Per dimostrare il teorema dellapplicazione aperta `e necessario dapprima provare il seguente lemma. Si noti che, grazie alla linearit`a delloperatore T , la palla B0 pu`o essere presa
di raggio qualunque senza che sia necessario cambiare lenunciato del lemma e che pertanto
il lemma si potrebbe parafrasare dicendo che un operatore lineare limitato surgettivo su uno
spazio di Banach `e un operatore aperto nellintorno dellorigine.

4.34 Lemma (Palla Unitaria Aperta)


Un operatore lineare limitato T da uno spazio di Banach X su uno spazio di Banach Y ,
ossia tale che T B(X, Y ) e Y = T (X), ha la propriet`
a che limmagine T (B0 ) della palla
unitaria aperta B0 = B(0; 1) X contiene una palla aperta di centro 0 Y.
Dimostrazione. Procedendo passo a passo proviamo
(a) La chiusura dellimmagine della palla aperta B1 = B(0; 1/2), ossia T (B1 ) contiene una
palla aperta V = B(y0 ; ) non necessariamente centrata in 0 Y.
(b) T (B0 ) contiene una palla aperta V0 = B(0; ) di centro 0 Y.
(c) T (B0 ) contiene la palla aperta V1 = B(0; /2) di centro 0 Y.
I dettagli sono i seguenti.
(a) In connessione con i sottoinsiemi A X scriveremo A ( uno scalare) e A + w
(w X) per indicare
A = {x X | x = a, a A}
A + w = {x X | x = a + w, a A}

(4.53)
(4.54)

ed analogamente per i sottoinsiemi di Y.


Consideriamo la palla aperta B1 = B(0; 1/2) X. Un qualunque x X fisso `e in kB1
per k reale sufficientemente grande (k > 2||x||). Quindi
X=

kB1 .

k=1

Poiche T `e lineare e surgettivo

Y = T (X) = T

[
k=1

!
kB1

kT (B1 ) =

k=1

kT (B1 ).

(4.55)

k=1

Si noti che prendendo la chiusura non aggiungiamo alcun altro punto allunione perche
lunione era gi`a lintero spazio Y. Poiche Y `e completo si applica il Teorema 4.19 di Baire.
Quindi notando che (4.55) `e simile a (4.44) del Teorema 4.19 concludiamo che almeno un
kT (B1 ) deve contenere una palla aperta. Ci`o implica che anche T (B1 ) contiene una palla
aperta, sia V = B(y0 ; ) T (B1 ). Ne segue che
V0 = B(0; ) = V y0 T (B1 ) y0 .

(4.56)

(b) Proviamo che V0 T (B0 ) dove B0 `e la palla unitaria aperta. Poiche per la (4.56)
sappiamo che V0 T (B1 ) y0 `e sufficiente mostrare che
T (B1 ) y0 T (B0 ).

(4.57)

4.10. TEOREMA DELLAPPLICAZIONE APERTA

103

Sia y T (B1 ) y0 . Allora y + y0 T (B1 ) e ricordiamo che anche y0 T (B1 ). Per il


teorema 1.12(a) vi sono due successioni un e vn in T (B1 ) tali che
un y + y0 ,

vn y0 .

Queste due successioni sono immagine per loperatore T di due successioni wn e zn in B1 ,


ossia `e
un = T wn ,
vn = T z n .
Poiche B1 ha raggio 1/2 ne segue che
||wn zn || ||wn || + ||zn || <

1 1
+ = 1,
2 2

cos` che wn zn B0 . Da
T (wn zn ) = T wn T zn = un vn y
vediamo che y T (B0 ). Poiche y T (B1 ) y0 era arbitrario ci`o prova la (4.57). Dalla
(4.56) abbiamo cos`
V0 = B(0; ) T (B0 ).
(4.58)
(c) Infine proviamo che
V1 = B(0; /2) T (B0 ).

(4.59)

Conviene introdurre le due seguenti successioni di palle aperte centrate nellorigine, rispettivamente in X ed in Y , nelle quali ciascuna palla contiene la palla successiva con raggio
che tende a zero. Precisamente poniamo
Bn = B(0; 1/2n ) X
Vn = B(0; /2n ) Y.
Poiche T `e lineare T (Bn ) = 2n T (B0 ) e quindi moltiplicando la (4.58) per 1/2n otteniamo
Vn = B(0; /2n ) T (Bn ).

(4.60)

Quindi per dimostrare la (4.59) `e sufficiente mostrare che


T (B1 ) T (B0 ).
costruendo per ogni y T (B1 ) una successione (zn ) di X che converge ad un punto x B0
tale che y = T x.
Per il 1.12(a) vi deve essere un v T (B1 ) vicino a y, ossia ||y v|| < /22 . Ora v T (B1 )
implica v = T x1 per qualche x1 B1 . e quindi per questo x1
||y T x1 || <

.
22

Da ci`o e dalla (4.60) per n = 2 vediamo che y T x1 V2 T (B2 ). Come prima concludiamo
che v`e un x2 B2 tale che

||(y T x1 ) T x2 || < 3 .
2

104

CAPITOLO 4. TEOREMI PER GLI SPAZI NORMATI E DI BANACH

Quindi (y T x1 ) T x2 V3 T (B3 ) e cos` via. Allnmo passo possiamo scegliere un


xn Bn tale che

n
X

y
T
x
(n = 1, 2, ).
(4.61)
k < n+1

2
k=1

Osserviamo che una qualunque successione zn = x1 + + xn costruita scegliendo xk Bk


converge a un x contenuto in B0 . Infatti possiamo scrivere per n > m essendo ||xk || < 1/2k
||zn zm ||

n
X

||xk || <

k=m+1

n
X
k=m+1

k=1

k=1

X 1
X 1
1
=

2k
2k
2k

P
e quindi, poiche la serie k=1 21k converge, la successione zn `e di Cauchy e nello spazio
completo X converge a un x. Essendo
||x||

X
k=1

||xk || <

X
1
= 1.
2k

(4.62)

k=1

x B0 come affermato.
Sia zn = x1 + + xn . Per quanto sopra detto zn x ove x B0 . Poiche T `e continuo
T zn T x e la (4.61) mostra che T x = y. Quindi y T (B0 ). Si noti infine, anche se ci`o `e
inessenziale per la dimostrazione, che la successione (zn ) B0 .

4.35 Teorema (Applicazione Aperta e Inverso Limitato)


Un operatore lineare limitato T da uno spazio di Banach X su uno spazio di Banach Y `e
unapplicazione aperta. Inoltre se T `e biiettivo T 1 `e continuo, ossia limitato.
Dimostrazione. Proviamo che per ogni insieme aperto A X limmagine T (A) `e aperta in
Y. Lo facciamo mostrando che per ogni y = T x T (A) linsieme T (A) contiene una palla
aperta di centro y = T x.
Sia y = T x T (A). Poiche A `e aperto contiene una palla aperta di centro x. Quindi
A x contiene una palla aperta di centro 0; sia r il raggio della palla e poniamo k = 1/r.
Allora k(A x) contiene la palla unitaria aperta B(0; 1). Il Lemma 4.34 ora implica che
T (k(A x)) = k[T (A) T x] contiene una palla aperta di centro 0 e cos` pure T (A) T x.
Quindi T (A) contiene una palla aperta di centro T x = y. Poiche y T (A) era arbitrario
T (A) `e aperto.
Infine se T 1 : Y X esiste `e continuo per il Teorema 1.5 perche T `e aperto. Poiche
1
T
`e lineare per il Teorema 2.26 esso `e limitato per il Teorema 2.32.

Problemi
1. Siano Tn : `2 `2 definiti da

Tn 1 , 2 , . . . , n , n+1 , . . . = (0, 0, . . . , 0
, ,
, . . . ).
| {z }n zeri n n+1
Mostrare che i Tn sono lineari e limitati con norma ||Tn || = 1.. Mostrare che la
successione Tn converge a 0 fortemente, ma non uniformemente.
2. Siano Tn : `2 `2 definiti da
Tn ( 1 , 2 , . . . ) = (0, 0, . . . , 0
, , , . . . ).
| {z }n zeri 1 2

4.10. TEOREMA DELLAPPLICAZIONE APERTA

105

Mostrare che i Tn sono lineari e limitati. Mostrare che la successione Tn converge a 0


debolmente, ma non fortemente.
Suggerimento: Si utilizzi per un qualunque funzionale lineare limitato f su `2 la
rappresentazione di Riesz
f (x) =< z, x >=

j j .

j=1

Allora
f (Tn x) =

n+k k

k=1

e quindi . . . Per mostrare che la successione Tn non pu`o convergere fortemente si


consideri ||Tm x Tn x|| per x = (1, 0, 0, . . . ).

106

CAPITOLO 4. TEOREMI PER GLI SPAZI NORMATI E DI BANACH

Capitolo 5

Teoria Spettrale degli Operatori


Lineari in Spazi Normati
Breve orientamento sul principale contenuto del capitolo
Cominciamo con gli spazi finito dimensionali. La teoria spettrale in questo caso `e essenzialmente la teoria degli autovalori delle matrici (Sez. 5.1) ed `e molto pi`
u semplice di quella
degli operatori negli spazi infinito dimensionali. I problemi degli autovalori delle matrici
suggeriscono anche parte dellapproccio generale ed alcuni dei concetti della teoria spettrale
negli spazi normati infinito dimensionali come definiti nella Sez. 5.2, sebbene il caso infinito
dimensionale sia molto pi`
u complicato di quello finito dimensionale.
Importanti propriet`a dello spettro degli operatori lineari limitati su spazi normati e spazi
di Banach sono discussi nelle Sez. 5.3 e 5.4.
Assunzioni generali
Escludiamo lo spazio vettoriale banale {0} ed assumiamo che tutti gli spazi siano complessi a meno che non sia diversamente stabilito.

5.1 Teoria Spettrale in Spazi Normati Finito Dimensionali


Sia X uno spazio normato finito dimensionale e T : X X un operatore lineare. La teoria
spettrale di tali operatori `e pi`
u semplice di quella degli operatori definiti su spazi infinito
dimensionali. Infatti dalla Sez. 2.10 sappiamo che possiamo rappresentare T con delle
matrici (che dipendono dalla scelta delle basi per X) e mostreremo che la teoria spettrale di
T `e essenzialmente la teoria degli autovalori delle matrici. Perci`o cominciamo colle matrici.
Osserviamo che la presente sezione `e algebrica, ma faremo ben presto uso della norma a
partire dalla prossima sezione.
Per una matrice data quadrata a n righe A = (jk ) i concetti di autovalori e di autovettori
sono definiti in termini dellequazione
Ax = x

(5.1)

come segue.
5.1 Definizione (Spettro, Insieme Risolvente di una Matrice)
Un autovalore di una matrice quadrata A = (jk ) `e un numero tale che la (5.1) ha una
soluzione x 6= 0. Questo x `e chiamato un autovettore di A corrispondente allautovalore . Gli
107

108

CAPITOLO 5. TEORIA SPETTRALE DEGLI OPERATORI LINEARI

autovettori corrispondenti a questo autovalore ed il vettore nullo formano un sottospazio


vettoriale di X che `e chiamato lautospazio di A corrispondente a questo autovalore .
Linsieme (A) di tutti gli autovalori di A `e chiamato lo spettro di A. Il suo complemento
(A) = C (A) nel piano complesso `e chiamato linsieme risolvente di A.
Cosa possiamo dire sullesistenza degli autovalori di una matrice in generale?
Per rispondere a questa domanda osserviamo dapprima che la (5.1) pu`o essere riscritta
(A I)x = 0

(5.2)

dove I `e la matrice quadrata unit`a a nrighe. Questo `e un sistema omogeneo di n equazioni


lineari in n incognite 1 , , n , le componenti di x. Il determinante dei coefficienti `e det(A
I) e deve essere zero affinche la (5.2) abbia una soluzione x 6= 0. Ci`o d`a lequazione
caratteristica di A

11 12 1n

21 22 2n

(5.3)
det(A I) =
= 0.
..
..
..
..

.
.
.
.

n1
n2 nn
det(A I) `e chiamato il determinante caratteristico di A. Sviluppandolo otteniamo un
polinomio in di grado n, il polinomio caratteristico di A.
Il nostro risultato `e il teorema basilare seguente.

5.2 Teorema (Autovalori di una Matrice)


Gli autovalori di una matrice quadrata a nrighe A = (jk ) sono dati dalle soluzioni dellequazione caratteristica (5.3) di A. Quindi A ha almeno un autovalore (e al pi`
u n autovalori
numericamente differenti).
La seconda affermazione vale perche, per il cosiddetto teorema fondamentale dellalgebra
ed il teorema della fattorizzazione, un polinomio di grado n e con coefficienti in C ha una
radice in C (ed al pi`
u n radici numericamente differenti). Si noti che le radici possono essere
complesse anche se A `e reale.
Come possiamo applicare il nostro risultato ad un operatore lineare T : X X su
uno spazio normato X di dimensione n? Sia e = {e1 , , en } una base qualunque per
X e Te = (jk ) la matrice che rappresenta T rispetto a questa base (i cui elementi sono
dati in un ordine fissato). Allora gli autovalori della matrice Te sono chiamati autovalori
delloperatore T ed analogamente per lo spettro e per linsieme risolvente. Ci`o `e giustificato
dal seguente teorema.

5.3 Teorema (Autovalori di un Operatore)


Tutte le matrici che rappresentano un dato operatore lineare T : X X su uno spazio
normato finito dimensionale X rispetto alle varie basi per X hanno i medesimi autovalori.
Dimostrazione. Dobbiamo vedere che cosa capita nel passaggio da una base ad unaltra in
X. Siano e = (e1 , , en ) ed e0 = (e01 , , e0n ) due basi qualunque in X scritte come vettori
riga. Per definizione di base ciascun ej `e una combinazione lineare degli e0k e viceversa.
Possiamo scrivere cio`e
e0 = eC
o
e0> = C > e>
(5.4)
dove C `e una matrice quadrata a nrighe non singolare. Ogni x ha ununica rappresentazione
rispetto a ciascuna delle due basi, ossia
X
X
x = e =
j ej = e0 0 =
0k e0k

5.1. TEORIA SPETTRALE IN SPAZI NORMATI FINITO DIMENSIONALI

109

dove = ( j ) e 0 = ( 0k ) sono vettori colonna. Da questa e dalla (5.4) abbiamo e = e0 0 =


eC 0 . Quindi
= C 0 .
(5.5)
Analogamente per T x = y = e = e0 0 , dove = ( j ) e 0 = ( 0j ), abbiamo
= C 0 .

(5.6)

Di conseguenza, se A e A0 denotano le matrici che rappresentano T rispetto ad e ed e0 , allora


= A

0 = A0 0 .

Da ci`o e dalle (5.5) e (5.6) abbiamo


CA0 0 = C 0 = = A = AC 0 .
Moltiplicando a sinistra per C 1 otteniamo la legge di trasformazione
A0 = C 1 AC

(5.7)

con C determinato dalle basi secondo la (5.4) (e indipendente da T ). Usando la (5.7) e


det(C 1 ) det C = 1 possiamo mostrare ora che i determinanti caratteristici di A e A0 sono
uguali
det(A0 I) = det(C 1 AC C 1 IC)
= det(C 1 (A I)C)
= det(C 1 ) det(A I) det C
= det(A I).

(5.8)

Leguaglianza degli autovalori di A e di A0 segue ora dal Teorema 5.2.


Menzioniamo di passaggio che possiamo anche esprimere i nostri risultati in termini del
seguente concetto, che `e di interesse generale. Una matrice n n A0 `e detta similare ad
una matrice n n A se esiste una matrice C non singolare tale che vale la (5.7). A e A0
sono allora chiamate matrici similari. In termini di questo concetto la nostra dimostrazione
mostra quanto segue.
(i) Due matrici rappresentanti il medesimo operatore lineare T su uno spazio normato finito
dimensionale X relative a due basi qualunque per X sono similari.
(ii) Matrici similari hanno gli stessi autovalori.
Inoltre i Teoremi 5.2 e 5.3 implicano il seguente teorema.

5.4 Teorema (Esistenza degli Autovalori)


Un operatore lineare su uno spazio normato complesso finito dimensionale X 6= {0} ha
almeno un autovalore.
In generale non possiamo dire di pi`
u.
Inoltre la (5.8) con = 0 d`a det A0 = det A. Quindi il valore del determinante rappresenta
una propriet`a intrinseca delloperatore T, cos` che possiamo parlare senza ambiguit`a della
quantit`
a det T.

110

CAPITOLO 5. TEORIA SPETTRALE DEGLI OPERATORI LINEARI

5.2 Concetti Basilari


Nella sezione precedente gli spazi erano finito dimensionali. In questa sezione consideriamo
spazi normati di dimensione qualunque e vedremo che negli spazi infinito dimensionali la
teoria spettrale diventa molto pi`
u complicata.
Sia X 6= {0} uno spazio normato complesso, T : X X un operatore lineare e R(T ) X
la sua immagine. A T associamo loperatore
T = T I

(5.9)

dove `e un numero complesso ed I `e loperatore identit`a su X. Indichiamo con R(T )


limmagine di T . Se loperatore lineare T : X R(T ) ammette inverso lo indichiamo
con R (T ), cio`e
R (T ) = T1 = (T I)1
(5.10)
e lo chiamiamo loperatore risolvente di T o, semplicemente, il risolvente di T. Invece
di R (T ) scriviamo semplicemente R se `e chiaro a quale operatore T ci si riferisce nella
specifica discussione.
Il nome risolvente `e appropriato perche R (T ) aiuta a risolvere lequazione T x = y.
Infatti x = T1 y = R (T )y purche R (T ) esista. Notiamo inoltre che R (T ) `e un operatore
lineare per il Teorema 2.26(b).
Pi`
u importante ancora `e il fatto che lo studio delle propriet`a di R risulta basilare per
una comprensione delloperatore T stesso. Naturalmente le propriet`a di R dipendono da
e la teoria spettrale ha appunto a che fare con queste propriet`a.
Noi ci occuperemo solamente della teoria spettrale degli operatori lineari limitati definiti
su spazi di Banach complessi. Lo studente interessato pu`o trovare nella versione estesa delle
dispense un breve introduzione al caso generale.

5.3 Propriet`
a Spettrali degli Operatori Lineari Limitati
Le propriet`a dello spettro dipendono dal tipo di spazio su cui loperatore `e definito e dal
tipo di operatore che si considera. Questa situazione suggerisce di studiare separatamente
larghe classi di operatori con propriet`a spettrali comuni ed in questa sezione ci occupiamo
degli operatori lineari limitati T su uno spazio di Banach complesso X. Cos` T B(X, X),
dove X `e completo; cf. Sez. 2.11.
Nel caso degli operatori lineari limitati su uno spazio di Banach conviene distinguere i
seguenti casi possibili:
R (T ) esiste,

def

R(T ) = X

(T )
def

R (T ) non esiste

p (T )
def

R (T ) esiste,

R(T )

X,

R (T ) limitato

c (T )

R (T ) esiste,

R(T )

X,

R (T ) non limitato

r (T )

def

Linsieme (T ) `e chiamato linsieme risolvente di T ed un (T ) `e chiamato un valore


regolare di T. Il suo complemento (T ) = C (T ) nel piano complesso C `e chiamato lo
spettro di T ed un (T ) `e chiamato un valore spettrale di T. Inoltre lo spettro (T ) `e
partizionato secondo la tabella sopra riportata in tre insiemi disgiunti.
Linsieme p (T ) `e chiamato lo spettro puntuale o spettro discreto di T e p (T ) `e
chiamato un autovalore di T .

` SPETTRALI DEGLI OPERATORI LINEARI LIMITATI


5.3. PROPRIETA

111

Linsieme c (T ) `e chiamato lo spettro continuo di T .


Linsieme r (T ) `e chiamato lo spettro residuale di T .
A questa tabella va aggiunta losservazione che se (T ) allora, per il teorema
dellinverso limitato 4.35, R (T ) `e limitato.
Notiamo che i quattro insiemi della tabella sono disgiunti e che la loro unione `e lintero
piano complesso
[
C = (T ) (T )
[
[
[
= (T ) p (T ) c (T ) r (T ).
Alcuni degli insiemi in questa definizione possono essere vuoti. Si tratta di un problema di
esistenza che dovremo discutere. Per esempio c (T ) = r (T ) = nel caso finito dimensionale
come sappiamo dalla Sez. 5.1. Una motivazione per la partizione di (T ) p (T ) in c (T )
e r (T ) `e data dal fatto che r (T ) = per limportante classe degli operatori autoaggiunti
sugli spazi di Hilbert.
Poiche R (T ) : R(T ) X esiste se e solo se T x = 0 implica x = 0, cio`e se lo spazio
nullo di T `e {0}, se T x = (T I)x = 0 per qualche x 6= 0 allora p (T ) per definizione. In questo caso per analogia col caso finito dimensionale si dice autovalore di T ed
x autovettore di T (o autofunzione di T se X `e uno spazio funzionale) corrispondente
allautovalore . Il sottospazio di X consistente dello 0 e di tutti gli autovettori di T corrispondenti ad un autovalore di T `e chiamato lautospazio di T corrispondente allautovalore
.
Come nel caso finito dimensionale vale il seguente teorema, la cui dimostrazione rimane
invariata rispetto al caso finito dimensionale.

5.5 Teorema (Indipendenza Lineare)


Gli autovettori x1 , , xn corrispondenti ad autovalori differenti 1 , , n di un operatore
lineare T in uno spazio vettoriale X costituiscono un insieme linearmente indipendente.
Dimostrazione. Assumiamo che {x1 , , xn } sia linearmente dipendente e deriviamo una
contraddizione. Sia xm il primo dei vettori che sia una combinazione lineare dei precedenti,
ossia
xm = 1 x1 + + m1 xm1 .
(5.11)
Allora {x1 , , xm1 } `e linearmente indipendente. Applicando T m I ad entrambi i
membri della (5.11) otteniamo
(T m I)xm =

m1
X

j (T m I)xj

j=1

m1
X

j (j m )xj .

j=1

Poiche xm `e un autovettore corrispondente a m il membro a sinistra `e zero. Poiche i vettori


a destra formano un insieme linearmente indipendente dobbiamo avere
j (j m ) = 0,

quindi j = 0

(j = 1, , m 1)

giacche j m 6= 0. Ma allora xm = 0 per la (5.11). Ci`o contraddice il fatto che xm 6= 0


perche xm `e un autovettore e completa la dimostrazione.
Il teorema che segue `e, come vedremo, un teorema chiave in varie parti della teoria.

112

CAPITOLO 5. TEORIA SPETTRALE DEGLI OPERATORI LINEARI

5.6 Teorema (Inverso)


Sia T B(X, X), dove X `e uno spazio di Banach. Se ||T || < 1 allora I T ha range X,
(I T )1 esiste ed `e un operatore lineare limitato su tutto lo spazio X e
(I T )1 =

Tj = I + T + T2 +

(5.12)

j=0

[dove la serie a destra `e convergente secondo la norma su B(X, X)].


Dimostrazione.
||T j || ||T ||j per la (2.20), Sez. 2.8. Ricordiamo che la serie
P Abbiamo
j
geometrica
||T || converge per ||T || < 1. Quindi la serie nella (5.12) `e assolutamente
convergente per ||T || < 1. Poiche X `e completo lo `e pure B(X, X) per il Teorema 2.41.
Lassoluta convergenza perci`o implica la convergenza come sappiamo dalla Sez. 2.3.
Indichiamo la somma della serie nella (5.12) con S e notiamo che questo operatore `e
definito su tutto X cos` come T . Rimane da mostrare che S = (I T )1 . A questo scopo
calcoliamo
(I T )(I + T + + T m )
= (I + T + + T m )(I T )
= I T m+1 .

(5.13)

Lasciamo ora m . Allora T m+1 0 perche ||T || < 1. Otteniamo cos`


(I T )S = S(I T ) = I.

(5.14)

Ci`o mostra che S `e linverso destro e sinistro di (I T ). Il fatto che S sia definito su tutto
X e sia linverso sinistro garantisce che la soluzione dellequazione operatoriale (I T )x = y
per un y X qualunque sia data da x = Sy e quindi il range di I T `e X. Il fatto che S sia
linverso destro garantisce che lequazione operatoriale Sx = y per un y X qualunque sia
data da x = (I T )y e quindi il range di S `e X. S `e dunque linverso di (I T ) applicazione
di X su X.
Come prima applicazione di questo teorema proviamo limportante fatto che il risolvente
R si pu`o rappresentare mediante una serie di potenze in .

5.7 Teorema (Rappresentazione del Risolvente)


Se T `e un operatore lineare limitato su uno spazio di Banach complesso X, per ogni 0 (T )
il risolvente R (T ) esiste ed `e limitato nel disco aperto centrato in 0 e di raggio
r=

1
||R0 ||

(5.15)

ed in questo disco ha la rappresentazione


R =

( 0 )j Rj+1
,
0

j=0

la serie essendo assolutamente convergente per ogni nel disco aperto.


Dimostrazione. Per un 0 (T ) fisso ed un C qualsiasi abbiamo
T I = T 0 I ( 0 )I
= (T 0 I)[I ( 0 )(T 0 I)1 ].

(5.16)

` SPETTRALI DEGLI OPERATORI LINEARI LIMITATI


5.3. PROPRIETA

113

Indicando loperatore in parentesi [ ] con V possiamo scrivere


T = T0 V

dove

V = I ( 0 )R0 ,

(5.17)

ove, poiche 0 (T ), loperatore R0 = T1


B(X, X). Inoltre il Teorema 5.6 mostra che
0
V ha un inverso in B(X, X) definito su tutto X
V 1 =

[( 0 )R0 ]j =

j=0

X
( 0 )j Rj 0

(5.18)

j=0

per tutti i tali che ||( 0 )R0 || < 1, ossia


| 0 | <

1
.
||R0 ||

(5.19)

Poiche T1
= R0 B(X, X) vediamo da ci`o e dalla (5.17) che per ogni che soddisfa la
0
(5.19) loperatore T ha un inverso in B(X, X) definito su tutto X
R = T1 = (T0 V )1 = V 1 R0 .

(5.20)

Quindi (5.19) rappresenta un intorno di 0 consistente di valori regolari di T per i quali il


risolvente ammette la rappresentazione (5.16).
Osservazione. Si osservi che se indichiamo con (0 ) la distanza di 0 dallo spettro, ossia
se
(0 ) = inf |0 s|
(5.21)
s(T )

poiche il disco di raggio r centrato in 0 contiene solo punti di regolarit`a ne segue che
r=

1
(0 )
||R0 ||

e quindi
||R0 (T )||

come

(0 ) 0.

(5.22)

Il teorema 5.7 sopra dimostrato ci permetter`a di applicare lanalisi complessa alla teoria
spettrale, come vedremo nella Sez. 5.5.
Inoltre da questo teorema segue immediatamente che lo spettro di un operatore lineare
limitato `e un insieme chiuso nel piano complesso (mostreremo che 6= in 5.15.).

5.8 Teorema (Spettro Chiuso)


Linsieme risolvente (T ) di un operatore lineare limitato T su uno spazio di Banach complesso X `e aperto; quindi lo spettro (T ) `e chiuso.
Come ulteriore conseguenza del Teorema 5.6 proviamo limportante fatto che per un
operatore lineare limitato lo spettro `e un insieme limitato nel piano complesso.

5.9 Teorema (Spettro)


Lo spettro (T ) di un operatore limitato T : X X su uno spazio di Banach complesso X
`e compatto e giace nel disco dato da
|| ||T ||.

(5.23)

Quindi linsieme risolvente (T ) di T `e non vuoto. [in 5.15 mostreremo che (T ) 6= .]

114

CAPITOLO 5. TEORIA SPETTRALE DEGLI OPERATORI LINEARI

Dimostrazione. Sia 6= 0. Dal Teorema 5.6 otteniamo la rappresentazione

1
j

1
1
1X 1
R = (T I)1 =
I T
=
T

j=0

(5.24)

dove per il Teorema 5.6 la serie converge per tutti i tali che

1 ||T ||
T =
<1
cio`e
|| > ||T ||.

||
Il medesimo teorema mostra anche che un qualunque tale `e in (T ). Quindi lo spettro
(T ) = C (T ) deve giacere nel disco (5.23), cos` che (T ) `e limitato. Inoltre (T ) `e
chiuso per il Teorema 5.8. Quindi (T ) `e compatto.
Poiche dal teorema appena dimostrato sappiamo che per un operatore lineare limitato T
su uno spazio di Banach lo spettro `e limitato sembra naturale chiedersi qual `e il disco minimo
attorno allorigine che contiene lintero spettro. Questa domanda suggerisce il seguente
concetto.
5.10 Definizione (Raggio Spettrale)
Il raggio spettrale r (T ) di un operatore T B(X, X) su uno spazio di Banach complesso
X `e il raggio
r (T ) = sup ||
(T )

del pi`
u piccolo disco chiuso centrato nellorigine del piano complesso di che contiene (T ).
Dalla (5.23) `e ovvio che per il raggio spettrale di un operatore lineare limitato su uno
spazio di Banach complesso abbiamo
r (T ) ||T ||

(5.25)

e nella Sez. 5.5 proveremo che


r (T ) = lim (||T n ||)
n

1/n

(5.26)

5.4 Ulteriori Propriet`


a del Risolvente e dello Spettro
Alcune ulteriori propriet`a del risolvente interessanti e basilari al medesimo tempo sono
espresse nel seguente Teorema.

5.11 Teorema (Equazione del Risolvente, Commutativit`


a)
Siano X uno spazio di Banach complesso, T B(X, X) e , (T ). Allora
(a) Il risolvente R di T soddisfa alla identit`
a di Hilbert o equazione del risolvente
R R = ( )R R

[, (T )].

(5.27)

(b) R commuta con un qualunque S B(X, X) che commuta con T.


(c) Abbiamo
R R = R R

[, (T )].

(5.28)

` DEL RISOLVENTE E DELLO SPETTRO


5.4. ULTERIORI PROPRIETA

115

Dimostrazione. (a) Poiche limmagine di T `e tutto X, essendo regolare, abbiamo I =


` anche I = R T . Di conseguenza
T R dove I `e loperatore identit`a su X. E
R R = R (T R ) (R T )R
= R (T T )R
= R [T I (T I)]R
= ( )R R .
(b) Per ipotesi ST = T S. Quindi ST = T S. Usando I = T R = R T otteniamo cos`
R S = R ST R = R T SR = SR .
(c) R commuta con T per (b). Quindi R commuta con R per (b).
Il nostro prossimo risultato sar`a limportante teorema dellapplicazione spettrale e partiamo con una motivazione suggerita dalla teoria degli autovalori delle matrici.
Se `e un autovalore di una matrice quadrata A allora Ax = x per qualche x 6= 0.
Applicando A si ottiene
A2 x = Ax = Ax = 2 x.
Continuando in questa maniera abbiamo per ogni intero positivo m
Am x = m x;
ossia se `e un autovalore di A allora m `e un autovalore di Am . Pi`
u generalmente allora
p() = n n + n1 n1 + + 0
`e un autovalore della matrice
p(A) = n An + n1 An1 + + 0 I.
Si pu`o mostrare che si ottengono cos` tutti gli autovalori della matrice p(A).
` assai notevole che questa propriet`a si estenda agli spazi di Banach complessi di dimenE
sioni qualunque, come dimostreremo. Nella dimostrazione useremo il fatto che un operatore
lineare limitato ha uno spettro non vuoto. Questo lo mostreremo pi`
u in l`a con i metodi
dellanalisi complessa.
Una notazione conveniente per formulare il teorema `e
p((T )) = { C | = p(), (T )},

(5.29)

cio`e p((T )) `e linsieme di tutti i numeri complessi tali che = p() per qualche (T ).
Useremo anche p((T )) con un significato simile.

5.12 Teorema (Applicazione Spettrale per i Polinomi)


Sia X uno spazio di Banach complesso, T B(X, X) e
p() = n n + n1 n1 + + 0

(n 6= 0).

Allora
(p(T )) = p((T ));

(5.30)

116

CAPITOLO 5. TEORIA SPETTRALE DEGLI OPERATORI LINEARI

ossia lo spettro (p(T )) delloperatore


p(T ) = n T n + n1 T n1 + + 0 I
consiste precisamente di tutti quei valori che il polinomio p assume sullo spettro (T ) di T.
Dimostrazione. Assumiamo che (T ) 6= ; ci`o sar`a dimostrato in 5.15. Il caso n = 0 `e
banale; allora p((T )) = {0 } = (p(T )). Sia n > 0. Nella parte (a) proviamo che
(p(T )) p((T ))

(5.31)

p((T )) (p(T )),

(5.32)

e nella parte (b) che


cos` che otteniamo la (5.30). I dettagli sono i seguenti.
(a) Supponiamo per assurdo che esista un (p(T )) tale che non esista alcun (T )
per cui sia = p().
Per semplicit`a scriviamo S = p(T ) e
S = p(T ) I.
Poiche X `e complesso il polinomio dato da s () = p() deve fattorizzare completamente
in termini lineari, ossia
s () = p() = n ( 1 )( 2 ) ( n ),

(5.33)

dove 1 , , n sono gli zeri di s (che dipendono naturalmente da ), ossia


s ( j ) = p( j ) = 0
per ogni j . Per lipotesi assurda fatta nessun (T ) pu`o essere radice di s () e quindi
ciascun j `e in (T ) e ciascun T j I ha un inverso limitato definito su tutto X. In
corrispondenza alla (5.33) abbiamo
S = p(T ) I = n (T 1 I)(T 2 I) (T n I).
e quindi per la (2.13) nella Sez. 2.6 S1 esiste e vale
S1 =

1
(T n I)1 (T 2 I)1 (T 1 I)1 .
n

Quindi in questo caso (p(T )) in contraddizione con lipotesi assurda fatta. Da ci`o
concludiamo che
(p(T )) p((T )).
(b) Dimostriamo ora la (5.32)
p((T )) (p(T )).

(5.34)

Supponiamo per assurdo che esista un p((T )), ossia un per cui
= p()

per qualche

e tale che
/ (p(T )), ossia tale che (p(T )).

(T ),

5.5. USO DELLANALISI COMPLESSA NELLA TEORIA SPETTRALE

117

Da = p() abbiamo p() = 0. Quindi `e uno zero del polinomio


s () = p() .
Ne segue che possiamo scrivere
s () = p() = ( )g(),
dove g() denota il prodotto degli altri n 1 fattori lineari e di n . In corrispondenza a
questa rappresentazione abbiamo
S (T ) = p(T ) I = (T I)g(T ).

(5.35)

Siccome i fattori di g(T ) commutano tutti con (T I) abbiamo anche


S = g(T )(T I).

(5.36)

Supponiamo per assurdo che (p(T )) e che quindi S abbia un inverso. Allora la (5.35)
e la (5.36) ci danno
I = (T I)g(T )S1 = S1 g(T )(T I)
che mostra che (T I) ha inverso destro e sinistro. Ma allora, per le medesime considerazioni fatte nella dimostrazione del teorema 5.6, ne segue che per limmagine di (T I)
dobbiamo avere
R(T I) = X
(5.37)
e (T I)1 esiste ed `e definito su tutto X, che contraddirebbe (T ). Ci`o prova la
(5.34). Il teorema `e dimostrato.

5.5 Uso dellAnalisi Complessa nella Teoria Spettrale


Il risolvente R `e un operatore che dipende dal parametro complesso . Ci`o suggerisce che
possa essere utile estendere la teoria delle funzioni di variabile complessa a valori complessi
alle funzioni a valori vettoriali o funzioni operatoriali di una variabile complessa , ossia
alle applicazioni
S : B(X, X)
(5.38)
7 S
dove `e un sottoinsieme qualunque del piano complesso di . Scriviamo S invece di S()
utilizzando la medesima notazione introdotta per R .
Connessioni tra lanalisi complessa e la teoria spettrale possono essere ottenute mediante
gli integrali complessi curvilinei e le serie di potenze. Noi useremo solamente le serie di
potenze.
Iniziamo col definire lolomorfia per una funzione operatoriale.
5.13 Definizione (Olomorfismo)
Sia un sottoinsieme aperto di C ed X uno spazio di Banach complesso. Allora S nella
(5.38) `e detto olomorfo nel punto 0 se ha una rappresentazione in serie di potenze
S =

Sj ( 0 )j

j=0

con Sj B(X, X) e raggio di convergenza non nullo.

118

CAPITOLO 5. TEORIA SPETTRALE DEGLI OPERATORI LINEARI


Da questa definizione e dal Teorema 5.7 segue immediatamente il seguente teorema.

5.14 Teorema (Olomorfia del Risolvente)


Il risolvente R (T ) di un operatore lineare limitato T : X X su uno spazio di Banach
complesso `e olomorfo in ogni punto 0 dellinsieme risolvente (T ) di T .
` di grande importanza teorica e pratica il fatto che lo spettro di un operatore lineare
E
limitato T su uno spazio di Banach complesso non possa mai essere un insieme vuoto.

5.15 Teorema (Spettro)


Se X 6= {0} `e uno spazio di Banach complesso e T B(X, X) allora (T ) 6= .
Dimostrazione. Per ipotesi X 6= {0}. Se T = 0 allora (T ) = {0} 6= . Sia T 6= 0. Allora
||T || 6= 0. Cominciamo col dimostrare che il risolvente R ha norma limitata a grandi . La
serie (5.24), Sez. 5.3, `e
j

1X 1
(|| > ||T ||).
(5.39)
R =
T
j=0
Poiche questa serie converge per || > ||T ||| essa converge assolutamente per || > 2||T ||.
Per questi per la formula della somma di una serie geometrica otteniamo
j

1 X 1
1
1
||R ||
T

(|| > 2||T ||),


(5.40)
=
|| j=0
|| ||T ||
||T ||
e quindi la norma ||R || `e limitata a grandi , come preannunciato.
Mostriamo ora che lassunzione (T ) = porta ad una contraddizione. (T ) = implica
(T ) = C. Quindi R `e olomorfo per tutti i , per il 5.14. Di conseguenza per un x X
fisso ed un f X 0 fisso la funzione h definita da
h() = f (R x)
`e sviluppabile in serie di potenze nellintorno di ogni ed `e quindi olomorfa su C, ossia h `e
una funzione intera. Poiche lolomorfia implica la continuit`a h `e continua e cos` limitata sul
disco compatto || 2||T ||. Ma h `e anche limitata per || > 2||T || perche ||R || 1/||T ||
per la (5.40) e
|h()| = |f (R x)| ||f || ||R x|| ||f || ||R || ||x||
||f || ||x||/||T ||.
Quindi h `e limitata su C e perci`o costante, per il teorema di Liouville, che stabilisce che una
funzione intera che `e limitata su tutto il piano complesso `e una costante. Poiche x X ed
f X 0 in h erano arbitrari h = cost implica che R `e indipendente da e quindi anche
R1 = T I. Ma ci`o `e impossibile ed il teorema `e dimostrato.
Il seguente teorema determina il raggio di convergenza della serie di Laurent operatoriale
(5.24).

5.16 Teorema (Serie di Laurent per il risolvente)


Se T `e un operatore lineare limitato su uno spazio di Banach X allora il risolvente R `e
sviluppabile in serie di Laurent

X
1
Tj
(5.41)
R =
j+1

j=0
per || > r (T ).

5.5. USO DELLANALISI COMPLESSA NELLA TEORIA SPETTRALE

119

Dimostrazione. Sappiamo dal Teorema 5.9 che la serie (5.41) converge per || > ||T || e
quindi possiamo scrivere per ogni x X ed f X 0 e per || > ||T ||, grazie alla continuit`a
della f ,

X
1
f (R x) =
f (T j x)
(5.42)
j+1

j=0
ottenendo cos` uno sviluppo in serie di Laurent per la funzione h() = f (R x). Poiche la
funzione h() per le propriet`a di olomorfia di R `e olomorfa per || > r (T ) ne segue che la
sua serie di Laurent (5.42) converge per || > r (T ) e quindi sempre per la continuit`a della
f otteniamo

X
1
f (R x) = f
T j x ,
per || > r (T ),
(5.43)
j+1

j=0
da cui per il Corollario 4.10
R x =

X
j=0

j+1

T j x,

per || > r (T ).

(5.44)

Poiche X `e di Banach possiamo applicare il Lemma 4.29 ed il teorema `e dimostrato.


Possiamo infine provare il seguente teorema.

5.17 Teorema (Raggio Spettrale)


Se T `e un operatore lineare limitato su uno spazio di Banach complesso allora per il raggio
spettrale r (T ) di T abbiamo
r (T ) = lim ||T n ||1/n = inf {||T k ||1/k }.
n

k1

(5.45)

Dimostrazione. Dobbiamo dapprima dimostrare che il limite in (5.45) esiste e vale r =


` evidentemente per ogni n 1
inf k1 {||T k ||1/k }. E
r ||T n ||1/n .

(5.46)

Dato un > 0 qualunque per definizione di inf esiste un m tale che ||T m ||1/m r + .
Per un n arbitrario scriviamo n = pm + q dove 0 q m 1. Allora, poiche ||AB||
||A|| ||B||, otteniamo
||T n ||1/n ||T m ||p/n ||T ||q/n (r + )mp/n ||T ||q/n .
Ad m fisso per n `e q/n 0 e quindi mp/n 1. Perci`o abbiamo che la limitazione
superiore di ||T n ||1/n tende a r + per n e quindi esiste un N tale che per n > N sia
||T n ||1/n (r + ) + .
Da questa diseguaglianza e dalla (5.46) segue che limn ||T n ||1/n esiste ed `e uguale ad r.
Mostriamo ora che
r (T ) lim ||T n ||1/n .
(5.47)
n

Abbiamo (T ) = [(T )] per il teorema dellapplicazione spettrale 5.12, cos` che


r (T n ) = [r (T )]n .

120

CAPITOLO 5. TEORIA SPETTRALE DEGLI OPERATORI LINEARI

Dalla (5.25) nella Sez. 5.3 applicata a T n invece che a T vediamo che
r (T n ) ||T n ||.
Dal confronto
r (T ) = (r (T n ))

1/n

1/n

(||T n ||)

per ogni n. Quindi segue la (5.47).


Mostriamo infine che
r (T ) lim ||T n ||1/n .
n

(5.48)

R `e olomorfa in per || > r (T ). Per il Teorema 5.16 sappiamo che la serie operatoriale

1X
R =

k=0

k
T

(5.49)

`e convergente per || > r (T ) e quindi


n
T
lim n = 0
n
per || > r (T ), cosicche per ogni > 0 abbiamo
(r (T ) + )n ||T n ||
a grandi n. Ci`o prova la (5.48). Allora la (5.47) e la (5.48) implicano la (5.45).

Problemi
1. Sia X = C[0, 1] e sia T : X X definito da
T x (t) = v(t)x (t)
con v (t) X. Mostrare che T `e lineare e limitato e studiarne lo spettro.
` ||T || = ||v||. T = v(t) ammette inverso limitato R = (v(t) )
Suggerimento: E
per tutti i , che non appartengono allintervallo chiuso R (v) e quindi (T ) = p (T ) =
R (v).

2. Sia {j }jN un insieme numerabile di reali denso nellintervallo [0, 1]. Si consideri

loperatore T : `2 `2 definito da y = T x dove se x = j risulta y = j j .


Mostrare che T `e lineare e limitato e studiarne lo spettro.
2 P 2
P
j abbiamo ||T || 1. Essendo
Suggerimento: Poiche
j j
(T I) x = ((1 ) 1 , (2 ) 2 ) , . . . )
linverso se esiste `e
(T I)

1
1
x = (1 ) 1 , (2 ) 2 , . . . ).

5.5. USO DELLANALISI COMPLESSA NELLA TEORIA SPETTRALE

121

Se
/ [0, 1] linverso R esiste ed `e definito su tutto `2 . Infatti, se () = mins[0,1] | s|
`e la distanza di dallintervallo, abbiamo

X j 2
1 X 2
j .
2
2
|j |
()
Se [0, 1] allora R sicuramente non esiste per = j . Quindi poiche (T ) `e chiuso
segue che (T ) = [0, 1]. Se 6= j allora R certamente esiste per tutti gli x `2
della forma ( 1 , 2 , . . . , n , 0, 0. . . . ) che costituiscono un insieme denso in `2 . Quindi
p (T ) = {j }jN e c (T ) = (T ) p (T ).

3. Si consideri loperatore T : `p `p definito da y = T x dove se x = j risulta

y = j+1 . Mostrare che T `e lineare e limitato e studiarne lo spettro.


` ||T || = 1 e quindi se || > 1 segue che (T ). Se || < 1 gli
Suggerimento: E
autovalori di T , ossia tali che T x = 0 sono

x = , , 2 , . . .
con C. Per || < 1 essi appartengono a `p e quindi (T ) = { | || 1}. Per
|| = 1 invece x 6= `p e quindi linverso R esiste. Poiche R (T ) = X loperatore R per
|| = 1 non pu`o essere limitato e quindi p (T ) `e il disco aperto centrato nellorigine e
di raggio 1 e c (T ) `e la circonferenza centrata nellorigine e di raggio 1.

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