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Biblioteca richiedente:
Data richiesta:
20/04/2015 10:03:58
Biblioteca fornitrice:
Biblioteca del Dipartimento di Storia Culture Civilt - Scienze del Moderno. Storia, Istituzioni, Pensiero politico
Data evasione:
21/04/2015 13:48:19
Titolo rivista/libro:
Rinascita
Titolo articolo/sezione:
La lingua del moderno (L'eredit culturale di Gramsci e Leopardi. Lo "Zibaldone" e i "Quaderni del carcere" come modelli di pensiero antidogmati
intellettuale e civile italiana)
Autore/i:
GENSINI
ISSN:
0035-5380
DOI:
Anno:
1987
Volume:
34
Fascicolo:
5 settembre
Editore:
Pag. iniziale:
28
Pag. finale:
29
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La lingua
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Il posto centrale della questione linguistica segna una peculiare convergenza nella riflessione dei due
autori. Un'alta tensione problematica che si afferma infasi storiche percorse da una forte crisi economica
e ideologica. Dalle considerazioni sui limiti della Rivoluzione francese ai ragionamenti sul fascismo e
l'Europa degli anni Trenta. Tra spiritualismo cattolico, idealismo e marxismo volgare, il possibile profilo
di una via di uscita laica. La questione nazionale e le osservazioni sui Costumi degli italiani
di STEFANO GENSINI
rirsi dell'esperienza giacobina e l'involversi dell'illuminismo; dall'altra il fascismo, con la sconfitta della
rivoluzione in Occidente e l'imponente riassetto dello Stato capitalistico nell'Europa degli anni trenta.
2. Credo che la bibliografia accumulatasi, negli
ultimi anni, su Gramsci e Leopardi, possa fornire
ampia prova delle affermazioni appena fatte. Un
terreno certo privilegiato per condurre l'indagine,
ma finora poco calcato dalla critica (che ha preferito
condurre il raffronto sugli espliciti apprezzamenti di
Leopardi da parte di Gramsci) (1), offerto dalla
questione linguistica: questione, appunto, nella sua
determinatezza storica, e ottica, nella sua generalit
tecnica, quanto mai conformi a quel procedimento
movimentale, trasversale del pensiero di cui andiamo ricercando i segni. Ma se per Leopardi, da una
decina d'anni in qua, divenuto pi facile far operare ermeneuticamente il peso dell'occhiale-linguaggio (2), il ruolo che la linguistica ebbe nella formazione e nella genesi delle centrali categorie teoricopolitiche di Gramsci stenta a entrare nel circuito
delle ricostruzioni critiche complessive. Da questo
punto di vista, ha avuto ragione Franco Lo Piparo
(cui si deve il pi ampio e compiuto studio sull'argomento), di richiamare ultimamente, con una comprensibile vis polemica, il persistente confinamento
specialistico subto da una fetta consistente del
lavoro gramsciano, a partire dal fondamentale Quaderno 29 (3).
Pure, sia in Gramsci sia in Leopardi, l'osservatorio formato dal linguaggio e dalle lingue attraversa
e mette in moto il complesso della materia fatta
oggetto di riflessione, come facile vedere, anche in
rapidissima sintesi.
In Leopardi, la facolt di linguaggio vista come
uno dei canoni costitutivi della natura umana e le
lingue che ne derivano, nelle singole comunit sociali, accompagnano e si dialettizzano con l'instabile
equili;.,rio fra natura e ragione attuantesi nelle epoche storiche. Posta, con Leibniz, Locke e gli idologues, la funzione condizionante della parola sul pensiero (cfr. Zib. 1053-54, 1657 ecc.), e posto, all'inverso, l'influsso che l'insieme dei rapporti materiali di
una societ esercita sul linguaggio (cfr. ad es. Zib.
1215), le lingue esibiranno volta a volta, fin dentro le
loro strutture formali, il livello di libert immaginativa ed espressiva proprio di ciascuna civilt, ovvero
la cogenza della societ, con i suoi vincoli politici,
economici, culturali, sugli spazi di originalit consentiti allo scrittore, ma anche al singolo parlante.
Grazie a questo schema concettuale, l'ottica linguistica diviene in Leopardi un c<termometro sensibilissimo, capace di unificare il sottile rilievo glottologico e l'osservazione macrostorica, per articolare la
ricerca intorno alle due grandi Costanti indicate da
Luporini nel testo citato: la condizione umana in generale e l'epoca di crisi in cui gli tocc vivere. Delu-
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sua insistenza sulla Variet del linguaggio, nel tempo e nello spazio, nella disponibilit stilistica dello
scrittore come nella immaginativit e metaforicit
espressiva delle lingue comuni: un'insistenza che non
pu non tornare di grande attualit (indipendentemente dal Leopardi storico) in un'epoca in cui nel
concreto si pone la necessit di salvaguardare la
gamma straordinaria di individualit storiche e linguistiche aggredite dalla moderna societ tardo- o
post-industriale.
All'altro polo, almeno come direzione di pensiero,
Gramsci: il cui modello di conformazione linguistica muove permanentemente, nella fase matura, dallo spontaneo per giungere al cosciente, dal molteplice per giungere all'unit, dalla grammatica immanente per giungere a quella normativa, intesa come
atto di politica culturale. C' anzi probabilmente
da registrare un'evoluzione, uno spostamento d'accento, fra il Gramsci giovane, antimanzoniano e filopascoliano, tutto proteso sulla poliedricit della societ civile, e il Gramsci dei Quaderni, in cui il problema linguistico si riscrive al livello dello Stato e
l'obiettivo della riforma intellettuale di massa suggerisce di studiare i tramiti di una convergenza tra i
processi spontanei del sociale e l'intervento pedagogico ed egemonico del partito o della societ politica
nel suo insieme. E anche in Gramsci, come in Leopardi, con una pi netta sottolineatura politico-culturale, si avvertono una valutazione limitativa dello
spazio del dialetto e una sfiducia verso una possibile
autonomia delle forme espressive popolari che,
mentre risultano perfettamente omogenee al suo
schema teorico, rischiano di attagliarsi con difficolt allo specifico del caso italianoi>.
Chi si proponga di ripensare in termini attuali questi due modelli teorici o loro singole parti li trover
probabilmente diversamente disponibili alle domande dell'oggi. Ci si spiega, e non deve, a mio avviso,
costituire un problema. L'importante che il prelievo, comunque fatto, sia attento alla complessit e
all'unit delle forme di pensiero in cui ogni singola
affermazione si colloc.
In tal senso, non credo sia utile, come a proposito
di Gramsci propone l'amico Lo Piparo, cercare di
liberare la sua formazione liberal-linguistica dalla
superficialissima crosta marxista (6). Mi pare (restando ai termini di un noto saggio di Badaloni) che
non si apprezzi Gramsci senza capire la ((sintesi delle
fonti ch'egli cerc, angolandola attraverso una prospettiva genialmente trasversale, tutta mirata al
compito politico di lungo periodo che gli stava di
fronte, in cui non a caso la componente linguistica
trova ampi spazi di fungibilit. Semmai, tutto da
valorizzare un marxismo che, nel contesto di una
durissima crisi strategica, interna e internazionale,
si ri-forma rendendo operanti e reciprocamente integrabili ottiche problemiche diverse, solo misurabili sulla analisi della realt e sulla possibilit di intervenire efficacemente in essa.
Il discorso potrebbe ripetersi, a maggior ragione,
per Leopardi: ogni attualizzazione spiccia, ogni unidirezionale enfatizzazione tematica (oggi di moda
quella francofortese) sarebbe riduttiva di quella
capacit di investimento globale, pervasivo, delle
tematiche che si regge sull'ipotesi conoscitiva, sul
segno unitario e trasversale del suo pensiero, maturato anch'esso in un tempo di crisi, dinanzi allo scacco dell'illuminismo e alla sclerosi aggressiva dei modelli culturali aristocratico-feudali.
Si trattava, in entrambi i casi, di trovare una via
d'uscita da modi diversi di pensiero dogmatico: quello cattolico-spiritualista (ma anche astrattamente
razionalista) nel caso di Leopardi; quello idealista e
marxistico-volgare nel caso di Gramsci; una via d'uscita laica da forme forti di filosofia, senza tentazione alcuna di cedimenti irrazionalistici.
(I) Vedi soprattutto U. Carpi, fl poeta e la politica. Leopardi, Belli, Montale, Liguori, Napoli 1978, pp. 261 segg. e
S. Timpanaro, Antileopardiani e neomodera ti nella sinistra italiana, ETS, Pisa 1982, pp. 287 segg.
(2) Per un quadro, anche bibliografico, d'insieme mi
permetto di rimandare alla mia Linguistica leopardiana, Il
Mulino, Bologna 1984, spec. pp. 13 segg.
(3) Vedi lo scritto Studio del linguaggio e teoria gramsciana, in Critica marxista, 25, 1987, 2-3, pp. 167 segg. Le
tesi del Lo Piparo sono esposte e ampiamente documentate in Lingua, intellettuali, egemonia in Gramsci, pref. di T.
De Mauro, Laterza, Bari 1979.
(4) Cfr. Timpanaro, op. cit., p. 288.
(5) In Idee e ricerche linguistiche nella cultura italiana,
Il Mulino, Bologna 1980, spec. pp. 5-25.
(6) S tudio del linguaggio, cit., p. 175.