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Prefazione alla seconda edizione1

Dedicare uno studio al rapporto tra due grandi filosofie storiche, come lo sono quella
di Spinoza e quella di Hegel, indiscutibilmente confrontarsi, al di l dei limiti di una
comparazione formale, accademica nel suo procedere ed indifferente nel suo
contenuto, con certe questioni fondamentali del procedere filosofico considerato in
generale.
Spinoza, Hegel: queste espressioni indicano in primo luogo, per noi, sistemi di
pensiero che hanno valore in s stessi e si vincolano all'esistenza personale di questi
autori, che li nomina dall'inizio, cio, li designa e al tempo stesso li segna. Orbene, se
si prende un po' pi sul serio l'impresa del pensiero filosofico, bisogna riconoscergli
una relativa autonomia in relazione con tali procedimenti di identificazione che, col
pretesto di distinguerla, la disperdono e tendono a farla sparire in una pluralit
indistinta di dottrine, privilegiando quei punti speculativi che costituiscono le
posizioni concrete incarnate nella realt empirica degli autori-sistemi. Ma sciogliere il
laccio tra il gioco speculativo ed i discorsi individuali che li trasmettono anche
arrischiarsi a devitalizzare l'impresa del pensiero sottomettendola ad una valutazione
astratta ed atemporale la cui universalit, alla fine, correrebbe il rischio di non avere
contenuto. Per questo non possibile neanche sottrarre completamente quest'impresa
al suo attecchimento dottrinale: il lavoro della riflessione filosofica passa per la messa
in prospettiva che le posizioni dei filosofi gli assegnano, nella misura in cui queste
creano le condizioni della sua elaborazione, della sua espressione e, fino ad un certo
punto, della sua interpretazione. La verit della filosofia in Spinoza come deve
essere in Hegel, cio a dire che non sta totalmente in uno o nell'altro senza alcun
luogo tra i due, nel passaggio che si effettua dall'uno all'altro. Detto altrimenti: la
filosofia qualcosa che passa, e che accade, l dove si trama l'incatenamento di
pensieri che, nelle opere stesse, sfugge all'iniziativa storica dagli autori, e la cui
ricezione riduce l'interesse che pu aversi per le sue mire sistematiche, perch esso li
guida dinamicamente nel movimento anonimo di una sorta di progetto collettivo che
attribuisce la filosofia all'insieme dei filosofi, e non solamente a qualcuno di essi.
Quando due pensieri tanto caratterizzati come lo sono quello di Spinoza e quello di
Hegel reagiscono luno sull'altro, cio contemporaneamente uno con l'altro ed uno
contro l'altro, deve risultare qualcosa che, venendo da ognuno, non appartiene
propriamente a nessuno di essi ma costituisce, nell'intervallo che li separa, la loro
verit comune. Orbene, se nel caso specifico di questi due filosofi il confronto si
mostra particolarmente fecondo, perch non costituisce l'incontro intellettualmente
neutro tra due pensieri che si affronterebbero e rimarrebbero esterni lun l'altro:
piuttosto questa messa alla prova reciproca che, al tempo stesso che fa s che si
comunichino, apre ciascuno di questi sistemi in s stesso e l'espone ad una
contestazione interna che suscita il riconoscimento dei suoi limiti. Cos non sfuggiamo
da questa doppia esigenza: leggere Spinoza in Hegel, leggere Hegel in Spinoza, come
due specchi che riflettono rispettivamente le loro immagini.
La formula Hegel o Spinoza, utilizzata qui per esporre tale confronto, comporta
un'ambiguit semantica che conviene, se non sopprimere, almeno sottolineare, per
1 La prima edizione di questopera apparve nel 1979 per le Editions Maspero nella collezione Thorie diretta da
Louis Altusser.

caratterizzarla meglio. Nella lingua francese, l'utilizzo della congiunzione o confonde


due figure della valutazione comparata che altre lingue, al contrario, distinguono:
quindi l'o del francese traduce indistintamente il vel e l'aut... aut del latino che
apparentemente affermano il contrario. Aut... aut la formula dell'opposizione e
dell'esclusione, (o) uno o l'altro, ma non i due contemporaneamente. Se Hegel o
Spinoza si dicesse in questa maniera, aut Hegel aut Spinoza, cio o Hegel o
Spinoza, ci equivarrebbe a presentare le due forme di pensiero come irriducibili ed a
costituire i due termini di una scelta che non possibile lasciare indefinitamente
sospesa. Ma se si privilegia, per indicare il carattere inevitabile di questa alternativa,
l'ordine dei nomi che inverte la successione cronologica, si fa passare Spinoza dopo
Hegel, e non prima di questo, sembra compromettersi dacchito in tale scelta, poich
per tale privilegio ha ricusato implicitamente la logica evolutiva che costituisce il cuore
del sistema hegeliano, secondo il quale ci che viene dopo ingloba e comprende
necessariamente ci che, precedendolo, costituiva solo la sua anticipazione o la sua
preparazione; si invertita, cos, la prospettiva che la lettura hegeliana di Spinoza
ordina subordinandola alla prospettiva - necessariamente ipotetica - di una lettura
spinozista di Hegel la cui potenza speculativa, di conseguenza, sembra trionfare. Al di
l di una misura reciproca dei sistemi, che li fa dipendere dalla loro relazione, il gioco
di "o... o" sembra allora sfociare, pi o meno dogmaticamente, in una risoluzione della
crisi aperta col loro confronto, e scegliendo di porre Spinoza come alternativa a Hegel e non all'inverso -, dalla parte del primo, apparentemente, dove si va a cercare le
condizioni di questa soluzione, per una decisione la cui necessit rimarrebbe allora da
stabilire e da giustificare.
Ma non bisogna dimenticare che Hegel o Spinoza si pu tradurre anche con Hegel
vel (sive) Spinoza, che significa apparentemente il contrario. La o qui la formula
dell'identit o dell'equivalenza. ci che si trova nella famosa espressione, tanto
frequentemente attribuita a Spinoza - mentre egli non la scrisse mai in questa forma -,
Deus sive natura, nella quale "Dio" e "natura" si presentano come due nomi differenti,
ma anche indifferenti, per un'unica e stessa cosa. Hegel e Spinoza, non sarebbero
allora ugualmente due nomi per una stessa cosa? Ed in tale caso, quale sarebbe
questa cosa che designerebbero indistintamente? conveniente lasciare che questa
domanda conservi fino alla fine il suo carattere interrogativo e non pretendere di
risolverla in maniera definitiva. essa che sostiene ed attraversa, dall'inizio alla fine,
lo studio che si sta per leggere. D'accordo con lo spirito di questa interrogazione, si
mette in evidenza che, sebbene ineluttabile leggere Spinoza ed Hegel opponendoli
l'uno all'altro - il lato aut... aut della o -, non meno necessario far s che si
riflettano l'uno all'altro, come se consegnassero loro elementi, o loro parti, ad un unico
discorso, all'interno del quale le loro rispettive posizioni sarebbero indissociabili,
perch il loro senso si spiegherebbe solo nella loro interazione - e qui il lato sive della
o quello che si mette di rilievo -.
Il dibattito che si erige tra queste due forme di pensiero non sarebbe allora necessario,
e non avrebbe alcun significato, se non condividessero una stessa verit, il cui
processo non appartiene n all'una n all'altra, perch si produce nell'intersezione dei
loro rispettivi percorsi. Perci questa verit sospesa, risultato della contestazione e del
conflitto, non ha valore di una tesi stabilita, bens quello di una critica e di una prova il
cui oggetto la filosofia stessa, come si spiega, attraverso l'insieme della sua storia,
nell'elemento problematico della differenza e del dibattito.

Pierre Macherey
giugno di 1990

L'alternativa
Il 30 luglio del 1816, il prorettore dell'universit di Heidelberg scrive a Hegel, allora
direttore del ginnasio di Nremberg, per proporgli una cattedra di professore titolare.
Commenta la sua offerta nel seguente modo: Heidelberg avrebbe per la prima volta,
dalla fondazione dell'Universit, nella sua persona un filosofo. Spinoza fu chiamato qui
una volta, ma in vano, come lei sa senza dubbio.... Si conosce, in effetti, la lettera del
30 di marzo del 1673, diretta al molto illustre e molto distinto Dr. Louis Fabritius,
professore nell'Accademia di Heidelberg e consigliere dell'Elettore palatino", con la
quale Spinoza aveva declinato l'invito ad occupare la cattedra di professore che gli era
stata fatta, perch temeva di dover rinunciare al suo lavoro filosofico personale se si
fosse dedicato ad insegnare ai giovani; lo intimoriva, soprattutto, che la sua libert di
filosofare potesse venir limitata per la necessit di rispettare le leggi stabilite ed i
precetti della religione. Il suo rifiuto, chiaramente motivato, si concludeva cos: Ci
che mi trattiene non per niente la speranza di una fortuna pi alta, bens l'amore per
la mia tranquillit che credo dover preservare, in qualche modo, astenendomi da
lezioni pubbliche. Hegel conosceva quell'episodio che racconta anche nelle sue
Lezioni sulla storia della filosofia: Spinoza (come sappiamo dalle sue lettere
stampate) respinse l'offerta con buone ragioni, per 'non sapere entro quali limiti
avesse dovuto rinchiudere quella libert filosofica che si poneva come condizione il
non attaccare la religione stabilita pubblicamente'."*
Il 6 agosto di 1816, Hegel risponde al rettore con sollecitudine: per amore per gli
studi universitari accetta la sua proposta, anche se gli sono aperte altre prospettive
da parte dell'Universit di Berlino; chiede solo che migliori il trattamento che gli
offrono, che alloggi gratuitamente, che le spese del suo spostamento siano
rimborsate. Un po' pi tardi, il 20 agosto di 1816, quando questi problemi materiali
sono stati gi risolti soddisfacentemente per lui, Hegel torna sulla sua nomina per
esprimere la sua gratitudine, in parte per l'interesse che [il suo corrispondente] pone
nei suoi confronti, in parte per manifestargli lo stato della filosofia in Germania e nelle
universit. Aggiunge: Non meno giubilante per me la bont con la quale lei
considera i miei lavori precedenti e - ci che anche pi - la bont con la quale fonda
speranze sulla mia attivit in un'universit. In nessuna scienza, in effetti, si tanto
solitari come nella filosofia, e sperimento profondamente il desiderio di un circolo di
azione pi vivo. Posso dire che l'anelito pi alto della mia vita. Sento anche quanto
sfavorevole stato per i miei lavori l'assenza di un'azione reciproca. Hegel rimarr un
anno ad Heidelberg, dove comporr ed insegner contemporaneamente la sua
Enciclopedia delle scienze filosofiche. Nel 1817 accedeva finalmente al posto che
desiderava nell'Universit di Berlino.
Dietro ci che queste vicende hanno di aneddotico si annuncia gi, tuttavia, un senso.
Di questa storia gli hegeliani riterranno soprattutto che Hegel occup il posto che
Spinoza aveva lasciato vacante, compiendo, in questa "staffetta", una mansione che
l'altro non aveva potuto o voluto compiere. Nessuno pu saltare al di sopra del suo
tempo: per Spinoza non era arrivato ancora il momento di esporre pubblicamente la
vera filosofia. Altri, che si pu chiamare spinozisti, vedranno qui, al contrario, l'indizio
di una divergenza, di una separazione irriducibile, se non tra due sistemi, almeno tra
due concezioni, o perfino due pratiche della filosofia.
Il sistema hegeliano, la cui esposizione si costruisce e si sviluppa al tempo stesso che
il suo autore percorre, felicemente, le tappe della carriera universitaria (dal

precettorato privato all'Universit di Berlino, passando per tutte le tappe


intermediarie), l'una riflettendosi nell'altra e reciprocamente, dandogli la sua verit,
non fatto giustamente, nella sua organizzazione gerarchica, per essere insegnato
nella cornice di un'istituzione pubblica di insegnamento? J. Derrida lo dice molto bene:
Hegel non concepisce la scuola come la conseguenza o l'immagine del sistema,
neanche come la sua pars totalis: il sistema stesso un'immensa scuola, da parte a
parte l'autoenciclopedia dello spirito assoluto nel sapere assoluto. E una scuola dalla
quale non si esce, bens un'istruzione obbligatoria: la quale si obbliga a s stessa dato
che la necessit non pu arrivargli dal di fuori. 2
La dottrina spinozista, al contrario, bench abbia saputo dare alla preoccupazione
politica il suo vero posto nella speculazione filosofica (vedi non solo i Trattati, ma
anche l'Etica: questa una delle sue chiavi), respinge profondamente tale
ufficializzazione. Espone il punto di vista di un solitario, di un riprovato, di un ribelle, e
si trasmette di bocca in bocca. Se fosse insegnata, correrebbe il rischio di entrare in
contraddizione con se stessa, per accettare di avere un posto nel meccanismo di
oppressione materiale ed intellettuale che subordina tutto al punto di vista
dell'immaginazione. La filosofia sopprime la paura ed ignora l'obbedienza; non pu
essere, quindi, insegnata pubblicamente. La filosofia di Hegel si insegna ad alunni,
dall'alto al basso; la filosofia di Spinoza si trasmette a discepoli, in un livello di
uguaglianza. Qui si abbozza una differenza che necessario prendere sul serio.
Tuttavia, l'accostamento tra Spinoza e Hegel un luogo comune, perch c' tra essi
un'evidente familiarit. Non pu leggersi oggigiorno Spinoza senza pensare a Hegel,
forse perch tra Spinoza e noi c' Hegel che si interpone o che intercede. Hegel stesso
non smise di pensare dentro Spinoza - o piuttosto di pensarlo: per dirigerlo, assorbirlo
come un elemento dominato dal suo proprio sistema -. Ma il fatto che Hegel non abbia
smesso di riprendere il problema che gli esponeva Spinoza indica anche che trovava in
lui qualcosa di indigesto, una resistenza che gli fu sempre necessario affrontare di
nuovo. Tutto succede come se Spinoza avesse occupato, rispetto al discorso
hegeliano, la posizione di un limite che Hegel respingeva nel momento stesso in cui
l'includeva.
Per questo l'impresa di comparare la filosofia di Spinoza con quella di Hegel
fondamentalmente deludente. Bisogna cogliere in effetti in cosa si appoggia tale
comparazione: nei sistemi, cio nei discorsi organizzati formalmente a partire da un
principio di coerenza interna, tra i quali si pu cercare di stabilire una corrispondenza
che si interpreta come una relazione di filiazione o una differenza che esclude ogni
possibilit di comprendere l'uno a partire dall'altro. Cos, in un annesso del suo
monumentale studio su Spinoza, dove analizza l'interpretazione che Hegel d dello
spinozismo, M. Gueroult giunge alla conclusione di un radicale disconoscimento,
fondato su una fantasia: quelli che riprendono questa interpretazione non fanno
altro che proiettare nella dottrina di Spinoza tutto un mondo di concetti nati da
un'altra parte e senza relazione con essa.3 Come ci mostrer uno studio dettagliato
dei testi che Hegel dedica a Spinoza, difficile non sottoscrivere la constatazione di M.
Gueroult almeno in questo: la ricerca di una pretesa omogeneit, di una somiglianza o
di una relazione evolutiva tra le due filosofie, se non condannata assolutamente al
2

Qui a peur de la philosophie?, "L'ge de Hegel", volume collettivo del G. R. E. P. H . , p. 106.

M. Gueroult, Spinoza, 1.1. p. 468.

fallimento, conduce a risultati senza interesse. Tende solamente a ridurre entrambe le


dottrine ad un modello comune che non rappresenta autenticamente n l'una n
l'altra.
Ma, sebbene bisogna andare contro la propensione agli accostamenti troppo evidenti
che procedono per analogia, scartare la tentazione di cercare tra Spinoza e Hegel la
similitudine globale di un senso comune, attraverso il quale si manifesterebbe
l'identit o la convergenza dei due pensieri, non sarebbe meno assurdo decretare che
si tratta di due forme di riflessione filosofiche radicalmente esterne l'una all'altra e
rimetterle, come sistemi estranei, alla loro indipendenza. Effettivamente,
incontestabile che Hegel e Spinoza si incontrarono, anche se quell'incontro prese, da
parte di Hegel, la forma di uno straordinario malinteso. Sebbene Spinoza e Hegel non
percorrono, insieme o luno dietro l'altro, uno stesso percorso, ci che resta, in realt,
che le loro rotte si incrociarono che si avvicinarono in certi momenti per separarsi
dopo verso direzioni decisamente opposte. Da questo punto di vista, pi che
comparare sistemi, tentativo condannato al fallimento o a trionfi troppo facili, pu
essere significativo cercare tra questi due filosofi singoli punti di intersezione, perch
sono essi quelli che spiegano il sentimento di strana familiarit che sperimenta ogni
lettore hegeliano di Spinoza, ogni lettore spinozista di Hegel.
Nei suoi Elementi di autocritica, L. Althusser parla della ripetizione anticipata di Hegel
da Spinoza. Elenchiamo alcuni punti che giustificano tale affermazione: il rifiuto di
una concezione relativistica della conoscenza e l'idea che c' nella ragione qualcosa di
assoluto che l'imparenta col reale; la scoperta del carattere formale di ogni
rappresentazione finita, condannata all'astrazione; la critica dell'infinito malo; l'idea
che la conoscenza un processo reale che porta in s le condizioni della sua
obiettivit. In tutti questi punti, anche se entrambi li riflettono con elementi
concettuali molto differenti, perfino se a partire da essi arrivano da conseguenze
opposte, Spinoza ed Hegel hanno evidentemente qualcosa in comune che li distingue
di tutti gli altri. Bisogna spiegare questo accostamento.
Abborderemo la questione appoggiandoci alla lettura che ha fatto di Spinoza lo stesso
Hegel. Questa lettura molto istruttiva, non perch manifesti la verit dello
spinozismo, finalmente svelata da Hegel, bens, al contrario, perch riposa su un
formidabile errore: tutto accade come se Hegel si fosse procurato i mezzi per costruire
un'interpretazione dello spinozismo che gli consentirebbe di ignorare la sua lezione
essenziale, nella misura in cui questa ha qualcosa a che vedere giustamente col suo
proprio sistema. Tale interpretazione appare come una sorta di difesa ostinata eretta
contro un ragionamento che fa vacillare la filosofia hegeliana stessa. Da qui questo
effetto paradossale: Hegel non sta mai tanto vicino a Spinoza come nel momento in
cui si allontana da lui, perch questo rifiuto ha valore di sintomo ed indica la presenza
ostinata, se non di un progetto, di un oggetto in comune che lega inseparabilmente i
due filosofi senza confonderli.
Tenere in conto questa relazione conflittuale significa uscire dalla concezione
formalistica della storia della filosofia che sopprime in essa ogni storicit e la ritaglia in
unit irriducibili ed arbitrarie la cui dispersione , al massimo, oggetto di un commento
descrittivo, tanto pi esaustivo quanto pi si rinchiude dall'inizio nei limiti della
coerenza interna dei sistemi ed elimina ogni interrogazione sulla loro posizione storica.
Contro quella dispersione, il cui significato al massimo estetico, nella misura in cui fa
delle dottrine opere d'arte, bisogna arrivare a pensare una certa forma di unit, un
legame, tra filosofie diverse: la questione sapere se ci possibile senza ricadere nel

confusionismo che identifica puramente e semplicemente le diverse filosofie nella


finzione di una verit comune.
Tra Hegel e Spinoza accade qualcosa di essenziale che legittima che li si accosti: non
il riconoscimento diretto e franco di due pensieri che leggerebbero l'uno nell'altro, a
libro aperto, la loro identit nell'unit di un discorso confessato e condiviso, bens una
tensione irriconciliabile che suppone un fondo comune da accerchiare: come minimo la
prosecuzione di uno stesso problema, diversa e perfino conflittualmente risolta.
Per semplificare, si potrebbe dire che il problema quello della dialettica, ma sarebbe
assurdo scoprire in Spinoza l'abbozzo o la promessa di una dialettica, manifestamente
assente dalla sua opera. Tuttavia, ci non impedisce che noi stessi possiamo, a partire
da Spinoza, pensare di nuovo la dialettica, cio esporle quelle questioni che Hegel
scart dal suo proprio sistema perch gli erano insopportabili. Nello specchio dello
spinozismo, il discorso hegeliano lascia vedere indubbiamente la sua propria
limitazione, o addirittura la sua contraddizione interna. Spinoza in Hegel: questo non
significa che bisogna leggere l'Etica come un inizio incompiuto della Logica, come fa lo
stesso Hegel, ma che bisogna cercare tra queste due filosofie l'unit conflittuale che
spiega il sorprendente fenomeno di disconoscimento/riconoscimento che le lega
opponendole. Hegel o Spinoza: uno che si divide in due.
Diciamo: Hegel o Spinoza, e non l'inverso. Dato che Spinoza quello che costituisce la
vera alternativa alla filosofia hegeliana. La discussione che andiamo ad intavolare
implica allora pi di una questione: non fa solo apparire il limite del sistema hegeliano,
la cui universalit necessariamente storica, ma contemporaneamente ci permette di
uscire dalla concezione evolutiva della storia della filosofia, che anche un'eredit
dell'hegelianismo. Secondo questa concezione, Hegel considera s stesso come l'unica
alternativa possibile allo spinozismo, dovendo chi precede cedere il posto a chi viene
dopo, in questo movimento di elevazione che avvicina sempre pi lo spirito a s
stesso. Orbene, noi vogliamo qui rovesciare il dominio di questa interpretazione
universitaria e progressiva della storia della filosofia che dialettica solo in apparenza.
Secondo Hegel, il pensiero di Spinoza non tuttavia sufficientemente dialettico. E se lo
fosse troppo? O, almeno, se lo fosse in una maniera inaccettabile per Hegel? Il rifiuto
di questa dialettica - diciamo, per andare pi veloci, di una dialettica senza teleologia
-, alla quale Hegel procede per mezzo di Spinoza, la sua maniera di trovare nello
sviluppo del suo proprio pensiero un ostacolo insormontabile: quello di un discorso del
quale bisogna dire non che non ancora hegeliano, ma lo gi pi. E la
presentazione evoluzionista della storia della filosofia quella che esce qui sconfitta,
poich anche Spinoza, obiettivamente, confuta a Hegel.
Questo libro riprende e sviluppa il contenuto di un'esposizione che feci nel 1977 al
convegno Spinoza organizzato dalle Universit di Leyde e di Amiens: un passaggio del
terzo capitolo fu pubblicato anteriormente sui verbali di quel convegno.
D'altra parte, ho dovuto trattare queste stesse questioni molte volte in occasione di
corsi. Vorrei ringraziare gli studenti che ebbero la pazienza di ascoltarmi ed le cui
reazioni, suggestioni e contributi mi sono stati molto utili; ho dovuto leggere molte tesi
di lauree su Spinoza, in particolare quella di Bruno Huisman (Hegel devant Spinoza),
che comportava una prova di traduzione del capitolo su Spinoza delle Lezioni sulla
storia della filosofia di Hegel (in collaborazione con A. Lacroix). Per quanto riguarda
quest'ultimo testo, arrischio qui le mie proprie traduzioni.

I. Hegel lettore di Spinoza


Il punto di vista della sostanza
Tutto comincia, in Hegel, con un riconoscimento. C' nella filosofia di Spinoza qualcosa
di eccezionale e ineluttabile. Spinoza tanto fondamentale per la filosofia moderna
che pu ben dirsi: chi non spinozista non ha alcuna filosofia (du hast entweder den
Spinozismus oder keine philosophie)4. Occorre passare per Spinoza, perch nella
sua filosofia che si lega la relazione essenziale del pensiero con l'assoluto, unico punto
di vista dal quale si espone la realt completa e si avverte che la ragione non ha nulla
fuori di se stessa ma comprende tutto in s. Cos ogni filosofia, tutta la filosofia diventa
possibile.
Per Hegel, Spinoza occupa quindi la posizione di un precursore: con lui comincia
qualcosa. Ma, giustamente, non pi che un precursore: ci che comincia con lui non
si conclude, al modo di un pensiero fissato che si tronca la possibilit di raggiungere
un obiettivo indicato, tuttavia, da esso. per questo che Hegel scopre nell'opera di
Spinoza tutti i caratteri di un tentativo abortito, bloccato da difficolt insormontabili
che essa stessa ha stabilito prima della sua propria progressione. Questa conoscenza
fondamentale ma strappata non ha allora pi che un significato storico: nel processo
dell'insieme della filosofia, Spinoza occupa una posizione molto particolare, dalla quale
l'assoluto percepito, ma raccolto limitatamente come una sostanza. Con Spinoza, e
con il suo sforzo di pensare l'assoluto, si indica in un certo modo una data, ma i limiti
storici di questo pensiero fanno s che impossibile andare pi lontano, in attesa di
questo punto vista finale nel quale Hegel gi installato e dal quale interpreta
retrospettivamente tutte le filosofie precedenti.
Quest'analisi illustrata da un'espressione completamente caratteristica che torna
ogni volta che Hegel parla di Spinoza. Ad esempio, nel libro I della Logica: In Spinoza,
la sostanza e la sua unit assoluta ha la forma di un'unit immobile, di una rigidit
nella quale non si incontra ancora il concetto dell'unit negativa del Se, della
soggettivit5. O anche nel paragrafo 50 de La logica dell'Enciclopedia: La sostanza
assoluta di Spinoza non ancora certamente lo spirito assoluto. E nel capitolo delle
Lezioni di storia della filosofia dedicato a Spinoza: La sostanza assoluta la verit,
ma non la verit intera. In questa modalit cos particolare di un gi che anche
non ancora, propria di ogni anticipazione, Spinoza si stacca dal fondo di tutta la
storia della filosofia, la cui progressione sottolinea arrestandola.
Quindi quando Hegel, nell'introduzione al terzo libro della Logica, Del concetto in
generale, espone le condizioni che gli permettono di interpretare le dottrine
filosofiche e chiarire il loro significato concreto, non pu che riprendere l'esempio di
Spinoza:
[...] lunica confutazione dello spinozismo pu consistere solo nel fatto che
il suo punto di vista sia, in primo luogo, riconosciuto come essenziale e

4 Lezioni di storia della filosofia, cap. Spinoza.


5 Logica, trad. Labarrire, Aubier, t. I, p. 249.

necessario; ma che, in secondo luogo, questo punto di vista sia portato, a


partire da s, verso un punto di vista pi elevato. 6
Questo punto di vista quello della sostanza, in tanto che ancora non soggetto,
per riprendere una formula ben conosciuta della prefazione de La fenomenologia.
La sostanza una fase essenziale nel processo di sviluppo dell'idea, non
tuttavia essa stessa, non l'Idea assoluta, ma l'idea nella forma ancora
limitata della necessit.7
L'opera di Spinoza significativa perch tende verso qualcosa a cui non arriva:
dominare il suo senso significa proseguire questa tendenza oltre i limiti che la
fermano, cio, superarla risolvendo la sua contraddizione interna.
Perci, occorre cambiare punto di vista ed installarsi nel punto di vista di un assoluto
che non soltanto sostanza ma anche soggetto. Ebbene, questo passaggio da un
punto di vista all'altro dipende da condizioni storiche: la storia questo processo
irresistibile ed irreversibile che trasforma i punti di vista non soltanto nel senso del loro
ampliamento graduale, ma anche nel movimento reale della loro decomposizione,
seguita dalla loro ricostruzione su nuove basi; cos, ci si eleva incessantemente a un
punto di vista superiore. Al limite, si potrebbe dire che Spinoza era hegeliano senza
saperlo, e quindi in modo incompleto, mentre Hegel sarebbe uno spinozista cosciente
dei limiti di questo punto di vista singolare da cui ha saputo distaccarsi, una volta per
sempre, installandosi nel punto di vista dell'universale.
per questo che l'interpretazione che Hegel d di Spinoza non si riduce alla ricerca di
un senso compiuto: se c' una verit della dottrina, diventa irrisorio ogni tentativo di
confutazione esterna perch tale tentativo opporrebbe arbitrariamente al suo punto di
vista un altro punto di vista indipendente, questa verit relativa alla situazione molto
particolare che tiene Spinoza nellinsieme del processo della storia della filosofia, e
non pu staccarsene. Colto all'interno, in questa tensione e limitazione che impone a
se stesso, questo punto di vista allo stesso tempo, in s stesso, la sua propria
giustificazione e la sua propria confutazione: se lo si riconduce al suo movimento
interno, si vede che si disf nel tempo stesso in cui si costruisce, e con gli stessi mezzi,
poich questo movimento lo porta al di l di s stesso. Non si tratta allora, per Hegel,
di tornare a Spinoza per scoprire in lui la forma astratta di una verit incompiuta,
coerente ed autonoma; al contrario, necessario rendere manifesta questa
trasformazione immanente, questo passaggio che induce gi il sistema verso un
altro sistema e ci induce a leggerlo come l'abbozzo, o il progetto, di un nuovo senso
sospeso che non ha ancora trovato le condizioni per la sua realizzazione. Per tale
ragione, la lettura hegeliana di Spinoza in un certo modo doppia: cerca nella dottrina
i segni di una verit che si annuncia e, allo stesso tempo, scopre la forma reale della
sua assenza, gli ostacoli che si oppongono alla sua manifestazione e costringono a
parlare di essa soltanto per difetto.
6 Logica, trad. Janklvitch, Aubier, t. I I , p. 248 [1,11, Libro 3ffl, Del concetto in generale, p. 254).
7 Logica de l'Enciclopedia, trad. Bourgeois, Vrin, adicin al 151, p. 584; vedi anche nel 5 159, p. 405.

Comprendere lo spinozismo allora, in primo luogo, identificare la contraddizione sulla


quale fondato. Come vedremo, questa contraddizione immediatamente manifesta.
Abbiamo detto che la verit profonda dello spinozismo consiste nel suo sforzo di
pensare l'assoluto. Anche se questo problema non appare nella storia della filosofia
con lui - si hanno precedenti di dei quali parleremo -, in lui costituisce per la prima
volta l'oggetto di uno sviluppo e di un tentativo di risoluzione sistematica. C' in
Spinoza un orientamento verso il sapere assoluto, e ci che lo rappresenta, secondo
Hegel, il concetto di causa sui, che d a tutta la dottrina una base razionale:
La prima definizione di Spinoza quella della causa sui, che
concettualizzata come 'cuius essentia involvit existentiam' [...];
linseparabilit del concetto e dellessere la determinazione fondamentale
e l'ipotesi.8
Infatti, con la causa sui pone dall'inizio l'identit tra ci che e ci che concepito,
tra l'essere ed il pensiero, che per Hegel la condizione di un pensiero assoluto che
non ha nulla fuori di s e si sviluppa, di conseguenza, in una riflessione immanente ed
universale. Tornando su queste definizioni nella nota storica del libro II della Logica
dedicata a Spinoza, Hegel parla di questi concetti profondi e precisi. 9. E nelle sue
Lezioni su Spinoza, ancora pi precisamente, dice: Se Spinoza avesse continuato a
sviluppare ci che questa causa sui implica, non sarebbe arrivato, come arriva, alla
conclusione che la sostanza lImmobile (das Starre). Sicch la contraddizione
specifica dello spinozismo appare immediatamente: il suo primo concetto porta in s
la promessa ed il fallimento di una verit, della quale egli d solo un punto di vista in
un sapere incompleto.
Prima di chiarire ci che, secondo Hegel, manca nel concetto di causa sui e gli
impedisce di superare la sua propria limitazione, possiamo fare immediatamente
un'osservazione che chiarisce lo stile di questa interpretazione e rende manifesta la
distanza nella quale questa si situa immediatamente rispetto alla dottrina che lavora.
Prima di tutto, si pu mostrare, come fa M. Gueroult, che il concetto di causa sui non
ha in Spinoza realmente un valore iniziale fondante: non rappresenta una verit
primaria, un principio in senso cartesiano, a partire dal quale tutto il sistema potrebbe
essere sviluppato come a partire da un germe di verit. La causa sui una propriet
della sostanza e si spiega attraverso essa. Ma non si tratta, almeno per Spinoza, di
definire una cosa, quale che sia, con la sua propriet; procedendo in tale modo si cade
in una grave confusione subordinando l'essenza di Dio alla sua potenza, che la
chiave di tutte le teologie finalistiche che si appoggiano all'immaginazione. quindi
per facilit, ed in maniera inadeguata, che si riduce la sostanza alla causa sui, mentre
il concetto di quest'ultima, al contrario, si chiarisce veramente soltanto a partire da
quello di sostanza: si res in se sit, sive, ut vulgo dicitur, causa sui (De intellectus
emendatione). quindi per un modo di dire che si assimila la sostanza alla causa sui.10
8

Enciclopedia, 76 modificato

9 Hegel, Logica, 1180


10 M. Gueroult, Spinoza, 1.1, p. 41.

Ma possibile andare pi lontano: ci che Hegel presuppone qui meno che la causa
sui sia il concetto fondamentale dello spinozismo - qualcosa che si presta a
controversia, come abbiamo appena visto che il fatto che lo spinozismo ammetta un
concetto primo dal quale procedere. Ci significa che l'impresa di un sapere assoluto
abbozzata da Spinoza si sviluppa a partire da un inizio assoluto, e che questo anche
il vero punto di partenza della sua interpretazione. Non strano, quindi, che Hegel
stesso si sia impegnato nell'impresa di una critica allo spinozismo: una delle idee
cruciali del suo sistema che effettivamente il sapere assoluto non comincia, o
piuttosto che non pu cominciare assolutamente; la sua infinit si scopre proprio in
quest'impossibilit di un primo cominciamento che sia anche un vero cominciamento o
un cominciamento vero. Inoltre, quale che sia la verit del concetto di causa sui - cosa
che risiede in esso, per riprendere i termini di Hegel - il fatto stesso che d al
sistema di Spinoza un cominciamento, gli basta per marcare il limite di questo
sistema.
Qui noi stessi possiamo iniziare a stupirci. Ignora Hegel che questa aporia del
cominciamento, che mette la sua logica in movimento, questa impossibilit di
poggiare il processo infinito della conoscenza su una verit prima che sia il suo
fondamento o il suo principio, anche una lezione essenziale dello spinozismo,
l'obiezione principale che quest'ultimo formula alla filosofia di Descartes? In questo
modo, che soltanto ut vulgo dicitur, un modo di dire, che lesposizione geometrica
dell'Etica comincia con definizioni che, d'altra parte, hanno un senso effettivo
soltanto nel momento in cui funzionano in dimostrazioni in cui producono realmente
effetti di verit: il pensiero spinozista, precisamente, non ha questa rigidit di una
costruzione che, poggiata su una base, estende i suoi prolungamenti fino ad un punto
terminale, trovandosi cos limitata tra un principio ed una fine. Essa non obbedisce al
modello dell'ordine delle ragioni.
Orbene, la cosa sorprendente meno che Hegel abbia ignorato un aspetto importante
dello spinozismo - tutto il mondo pu sbagliarsi, perfino Hegel, che tuttavia pretende
di sfuggire da questa condizione comune - quanto il contenuto inaspettato di questo
errore. Poich, ci che Hegel non vede in Spinoza quella verit nuova la cui scoperta
egli stesso rivendica e che utilizza per garantire la forma finale della sua filosofia ed il
successo della sua ultima realizzazione. Hegel ignora, dunque, in Spinoza ci che
nessuno stava in condizioni migliori di lui per riconoscere, dato che egli stesso lo ha
pensato: si potrebbe dire che egli procede alla negazione di ci che pu esserci di
hegeliano in Spinoza, a meno che non cerchi di esorcizzare il suo proprio spinozismo.
Non perch teme che non solamente Spinoza sia stato hegeliano, ma soprattutto
che lo sia stato di pi ed in maniera pi conseguente di egli stesso? L'inammissibile,
allora, si produce: l'evoluzione storica devia dal suo senso ineluttabile che subordina
chi che sta prima a chi che viene dopo e che conduce successivamente dall'uno
all'altro, facendo della teleologia la chiave di tutta la filosofia.
Fatte queste osservazioni, sulle quali ritorneremo, possiamo indicare ora quello che,
secondo Hegel, "manca" al concetto di causa sui e compromette il suo sviluppo in
Spinoza. La causa sui continua ad essere un principio sostanziale al quale manca "il
principio di personalit"11[8]: costituisce cos una sostanza che non pu divenire
soggetto, alla quale manca quella riflessione attiva di s che gli permetterebbe di
11 Logica, trad. Labarrire, Aubier, t. I I , p. 239 [L, I I , "Nota...", p. 197].

realizzarsi liberamente nel suo proprio processo. Se Spinoza non seppe, o non pot,
sviluppare il concetto dalla causa sui, perch questo, come lui l'aveva definito, non
conteneva nient'altro che un'identit astratta ed indifferente di s a s, nella quale il
S non nient'altro che quello che gi al suo inizio, senza possibilit di un passaggio
reale verso s, di un movimento immanente che non sia quello della sua pura e
semplice sparizione. Il punto di vista della sostanza esprime l'assoluto alla sua
maniera: senza la vita che lo anima e lo fa esistere. lo spirito fissato e morto che non
che s, in una restrizione originaria che lo condanna fin dal principio.
Cos il punto di vista della sostanza formula, al tempo stesso che si enuncia, le
condizioni della sua propria annichilazione: la sua immobilit apparente, perch il
precario equilibrio che deriva da un conflitto interno, impossibile da contenere
definitivamente. I limiti del sistema, sebbene siano reali per il pensiero che ostacolano,
sono fittizi dal punto di vista dell'assoluto, poich questo oppone alla violenza che gli
viene fatta una violenza pi grande e porta il sistema oltre i limiti illusori che gli
impongono le condizioni della sua coerenza formale. Negativit immanente che mina
la dottrina dall'interno e la forza a dichiarare quello che tuttavia lei stessa si rifiuta di
dire: proprio qui, in questa confessione, sta la sostanza che diviene soggetto.
Una volta rivelata questa contraddizione iniziale, la filosofia di Spinoza si pu
comprendere assolutamente in un senso inverso a quello che proferisce. Il discorso di
Spinoza, secondo Hegel, interamente segnato da questo destino che lo condanna e
l'assolve, che annuncia al tempo stesso la sua sparizione e la sua resurrezione nel
corpo vivo del sapere assoluto nel quale si realizza. Leggere Spinoza in realt per
Hegel ricostruire di nuovo l'edificio del suo sapere, facendo apparire le condizioni di un
altro sapere del quale esso solo la forma incompiuta o la rovina anticipata, poich, in
Spinoza, lo sforzo per allacciare il sapere e l'assoluto si risolve solamente in una
promessa non compiuta.

Una filosofia del cominciamento


L'interpretazione che Hegel d di Spinoza fa valere innanzitutto, come abbiamo
appena visto, l'idea del cominciamento. Filosofia che comincia, lo spinozismo anche
un pensiero del cominciamento. Seguendo una formula dell'Enciclopedia, il corso
fondamentale di ogni vero sviluppo ulteriore. Ed anche, nelle Lezioni sulla storia della
filosofia: il pensiero non ebbe altra scelta che collocarsi nel punto di vista dello
spinozismo; essere spinozista il punto di partenza essenziale di ogni filosofia. Cos si
annoda il laccio che unisce la filosofia di Spinoza con tutti i pensieri dell'inizio.
Hegel si avventura qui in un ragionamento abbastanza paradossale: presenta Spinoza
come un punto di partenza, perfino come il punto di partenza della filosofia e,
contemporaneamente, lo pone nella filiazione di tutti quelli che seppero cominciare,
ma non pi di quello, senza che il suo sforzo conducesse effettivamente alla scoperta
del vero:
Dio in realt sicuramente la necessit o, come anche si pu dire, la Cosa
assoluta, ma al tempo stesso anche la Persona assoluta, ed in questo
punto che bisogna riconoscere che la filosofia spinozista rest dietro al vero
concetto di Dio, che forma il contenuto della coscienza religiosa cristiana.

Spinoza era di origini ebree, ed insomma l'intuizione orientale, secondo la


quale ogni essere finito appare solamente come un essere che passa, come
un essere che sparisce, ci ha trovato nella sua filosofia un'espressione
conforme al pensiero. certissimo che quell'intuizione orientale dell'unit
sostanziale costituisce il fondamento di ogni sviluppo vero ulteriore, ma non
si pu fermarsi l; quello che ancora gli manca il principio occidentale
dell'individualit.12
Lo spinozismo allora contemporaneamente un punto di partenza ed un punto
darrivo, dato che, in ci che comincia, deve esserci anche qualcosa che termina. La
singolarit dello spinozismo si afferma nel prolungamento di tutta una tradizione il cui
movimento dinsieme riassume: in essa domina ancora, ma per l'ultima volta,
l'intuizione orientale. Cos comincia il capitolo delle Lezioni sulla storia della filosofia
dedicato a Spinoza:
[...] la profonda unit della sua filosofia, cos come attraverso di lui si
manifesta in Europa, la concezione dello spirito, dell'infinito e del finito come
identici in Dio, senza vedere in questo un terzo termine, in realt un'eco
del pensiero orientale.
questo che d a questa filosofia un carattere inconfondibile: con essa termina il
discorso sulle origini.
In Hegel Oriente la figura visibile di ci che comincia: questa figura pi mitica che
storica, ma il mito, non la forma di esposizione pi appropriata per un'origine? il
momento in cui si afferma per la prima volta l'assoluto nella sostanza che esclude
l'individualit di un soggetto:
In Oriente il rapporto capitale allora il seguente: che la sostanza unica
come tale il vero e l'individuo in s senza valore e non ha niente da
guadagnare per s intanto che mantiene la sua posizione contro ci che in
s e per s; esso non pu avere, al contrario, vero valore se non
confondendosi con questa sostanza, da dove risulta che questa smette di
esistere per il soggetto e che il soggetto stesso smette di essere una
coscienza e che svanisce nell'inconscio.13
La sublimit, l'immensit di questa rappresentazione che assorbe di colpo tutta la
realt in un unico essere o in un'unica idea resta formale, poich coincide con la
povert irrisoria delle manifestazioni esterne di questa sostanza che non sono
effettivamente pi che vuota esteriorit:
"Il finito non pu divenire verit se non immergendosi nella sostanza; separato da
essa, rimane vuoto, povero, determinato per s, senza lacci interni. E, non appena
troviamo in essi [gli Orientali] una rappresentazione finita, determinata, non pi che

12

Enciclopedia, add. al 151.

13

Introduzione alle Lezioni sulla storia della filosofia, trad. Gibelin, Gallimard, col. "Idees", t. 11. p.74.

un'enumerazione esteriore, secca, degli elementi - qualcosa di molto penoso, vuoto,


pedantesco, insulso -.14
Avendo riflesso l'assoluto in ununica istanza, questo pensiero non pu poi pi che
enumerare astrattamente le manifestazioni, tra le quali non appare pi, se le si stacca
dalla loro origine, nessuna forma vera di unit.
Qui, il richiamo a un sapere assoluto che non sia solamente sapere dell'assoluto si
realizza nell'estasi immediata, da qui che ogni coscienza viene necessariamente
abolita: il sapere che si realizza nella forma della sua propria negazione. Orbene, in
Spinoza stesso, dietro le apparenze del rigore geometrico, che per Hegel sono solo una
maschera (una forma senza contenuto), si trova, per ultima volta, quell'abisso di
incoscienza che esclude un discorso razionale:
[...] come nello spinozismo il modo come tale non precisamente il vero e
solo la sostanza il vero, e tutto deve ridursi ad essa - il che allora un
immergersi di tutto il contenuto nella vacuit, questo , nell'unit solo
formale e carente di contenuto, cos pure Siva a sua volta il gran tutto, non
differente da Brahma, bens Brahma stesso. Cio, la differenza e la
determinazione spariscono a loro volta, ma non sono conservate e non sono
eliminate (aufgehohen), e l'unit non si converte nell'unit concreta, la
scissione non viene ricondotta alla conciliazione. Il fine supremo per l'uomo,
costretto nella sfera del nascere e del perire, cio della modalit in generale,
l'immergersi nell'incoscienza, l'unit con Brahma, l'annientamento; questo
il Nirvana buddista, il Nieban, ecc..15
la stessa cosa...: questo straordinario sincretismo storico non ha limiti per Hegel,
apparentemente, dato che anche pertinente per rischiarare certi aspetti del pensiero
occidentale.
Commentando, nelle Lezioni sulla storia della filosofia, la famosa frase di Parmenide
sull'essere ed il non essere, Hegel scopre un'altra volta la stessa collusione di una pura
affermazione e di un negativismo radicale che avr il suo ultimo enunciato in Spinoza:
Tale la determinazione nella sua concisione, ed dentro questo niente
rientra la negazione in generale e, sotto una forma pi concreta, il limite, il
finito, la limitazione; determinatio est negatio: c' qui la grande proposizione
di Spinoza. Parmenide dice che, qualunque sia la forma che il negativo
possa rivestire, non in assoluto.
La forma inaugurale del pensiero orientale ancora un'ossessione nella dottrina degli
Eleati, coi quali Spinoza deve mantenere una relazione privilegiata: l'Uno, essere puro
ed immediato, contemporaneamente dissoluzione di ogni realt determinata,
sparizione del finito nell'infinito, abolizione di ogni individualit e di ogni differenza; e,
come gi aveva notato Platone nei suoi ultimi dialoghi, appoggiandosi egli stesso al
14

Ibidem, p. 76.

15

Logica, I, "Teoria della misura".

punto di vista di una dialettica, il discorso nel quale si esprime quest'assoluto, o


totalit iniziale, nella misura in cui esclude ogni negativit, nella misura in cui rifiuta di
accordare un'esistenza al non essere, un discorso impossibile.
Notiamo di passaggio che nel capitolo del libro I della Logica sulla misura, Hegel
presenta questo stesso accostamento tra Spinoza e Parmenide, ma questa volta per
scoprire in lui l'indizio di una differenza:
Il modo spinozista, come il principio ind del cambiamento, il senza
misura. I Greci erano coscienti, in modo ancora impreciso, che tutto ha una
misura - per cui lo stesso Parmenide introdusse, dopo l'essere astratto, la
necessit come l'antico limite che imposto a tutto - linizio di un concetto
molto pi elevato di quello contenuto nella sostanza e nella distinzione del
modo rispetto ad essa.16
Ci sono, pertanto, cominciamenti e cominciamenti: ci sono cominciamenti che
cominciano prima di altri, e quest'ultimi, al contrario, gi cominciano a separarsi dal
puro cominciamento. Tuttavia, Spinoza, a dispetto della sua posizione abbastanza
tardiva nella cronologia delle filosofie, bisogna porlo tra coloro che cominciano
assolutamente, tra i veri primitivi del pensiero, e perci, quando si tratta di marcare la
sua singolarit, il metafora orientalista quella che prevale in Hegel.
Nella biografia che d di Spinoza nelle sue Lezioni sulla storia della filosofia, Hegel
osserva:
Non strano che gli interessasse specialmente la luce [l'ottica], che ,
nella materia (in der Materie), l'identit assoluta stessa, base della
concezione orientale.
Quella luce inaugurale l'elemento di un pensiero immediato. significativo che
Hegel trovi la stessa immagine nel primo capitolo della Logica per rappresentare le
illusioni dell'essere puro, che anche senza misura:
Si arriva cos a rappresentare l'essere con l'immagine della pura luce, come
la chiarezza del vedere non intorbidato, ed il nulla, invece, come la pura
notte, e si riferisce la loro differenza a questa ben conosciuta differenza
sensibile. Ma nella realt, quando ci si rappresenta questo vedere in un
modo pi esatto, si pu molto facilmente notare che nella chiarezza assoluta
non si vede n pi n meno che nell'assoluta oscurit, cio uno [dei due
modi di] vedere, esattamente come l'altro, un vedere puro, vale dire un
vedere niente. La luce pura e la pura oscurit sono due vuoti che sono la
stessa cosa.17
La lucentezza indeterminata dell'immediato profondamente oscura, come la notte:
come questa assorbe, cancella, dissolve ogni contorno che sarebbe per la sua
16

Ibid., p. 22-23.

17

Logica, I

infinitudine ancora un limite. Allo stesso modo, la pretesa di cogliere l'essere in s


stesso, nella sua identit istantanea con s stesso, ancora non inquinata per il
rapporto con altro, si risolve immediatamente nella purezza inversa, e formalmente
uguale, di un nulla assoluto: contraddizione del cominciamento che l'inizio di ogni
passaggio.
Da questo punto di vista, si potrebbe credere che il posto privilegiato della Logica nel
quale Hegel dovrebbe richiamare la sua interpretazione dello spinozismo il primo
capitolo del libro I, dove l'immediato stesso confuta la sua propria illusione. Orbene, in
quel testo celebre, nessuna allusione allo spinozismo! Senza dubbio perch Hegel volle
evitare quell'avvicinamento troppo facile che, preso alla lettera, si trasformerebbe
facilmente in amalgama. Come abbiamo gi notato, la filosofia di Spinoza non un
cominciamento come gli altri: in ritardo rispetto ai Greci per la sua eccessivit
intrinseca, anticipa ampiamente anche gli aspetti pi moderni del pensiero razionale.
Si potrebbe dire che un discorso fondamentalmente anacronistico, spiazzato: un
cominciamento che non pi un cominciamento, ma si trova gi da un'altra parte.
notevole, in effetti, che Hegel abbia scelto, per presentare nel suo insieme il punto di
vista della sostanza, il capitolo sull effettivit, (die Wirklichkeit) che si trova alla fine
della seconda parte della Logica. Posizione chiave che indica bene il significato
cruciale che accorda allo spinozismo, col quale ci che in gioco il destino stesso
della filosofia. Perch in questo momento, nell'articolazione dei libri II ed III della
Logica, che si opera il passaggio dalla logica oggettiva alla logica soggettiva. Secondo
il posto che gli assegnato nel processo d'insieme del sapere, chiaro che il punto di
vista della sostanza rappresenta un falso cominciamento: un cominciamento che ,
esso stesso, il culmine e la ricapitolazione di un movimento previo, movimento che
condusse dal pensiero dell'Essere a quello dell'Essenza. Pertanto nella sostanza, in
senso spinozista, lintero processo della logica obiettiva che si completa e si riassume.
Cos, in maniera analoga, la considerazione della sostanza spinozista era gi apparsa
in abbozzo precisamente alla fine del primo libro, nel paragrafo su l'indifferenza
assoluta, in questa articolazione interna della logica oggettiva che il passaggio
dell'Essere all'Essenza:
Dato che l'indifferenza assoluta pu sembrare la determinazione fondamentale della
sostanza di Spinoza, si deve tuttavia osservare al riguardo che [...] l'ultima
determinazione dell'essere, prima che questo si converta in essenza; ma questa
[determinazione] non giunge a tale [essenza]. 18
Spinoza allora presente in tutti i tornanti decisivi del pensiero razionale:
cominciamento assoluto, non lo si pu limitare alla posizione di un singolo
cominciamento che sarebbe questo o quello, ma deve riapparire ogni volta che
qualcosa di essenziale si produce nello sviluppo del processo razionale. Spinoza
assedia il sistema hegeliano in totalit il suo svolgimento: l'ossessione, del quale
sintomo, che non si lascia disfare in un sol colpo, ma ritorna continuamente in questo
discorso stesso che non finisce mai veramente col suo cominciamento.

18

Ibidem

La ricostruzione del sistema


C' nell'opera di Hegel una gran quantit di riferimenti a Spinoza, che spesso
prendono la forma di osservazioni incidentali, pi o meno precise o dettagliate. Ma
Hegel ha proposto anche spiegazioni dell'intero sistema spinozista: il capitolo che gli
dedica nelle Lezioni sulla storia della filosofia l'analizza ordinatamente, appoggiandosi
al testo. Tuttavia, partiremo qui da un altro commento, fatto da Hegel nel capitolo del
libro II della Logica dedicato all'Assoluto,19 il cui stile molto differente: si tratta di una
spiegazione globale della dottrina spinozista, tratta nel suo "senso" generale e spoglia
dei suoi dettagli. Dall'inizio di questo testo, che d'altra parte non nomina
esplicitamente Spinoza, Hegel si pone a distanza, separato dallo spinozismo, il cui
discorso ricompone liberamente secondo la logica della sua propria concezione.
Questa violenza esercitata sul testo corrisponde ad un obiettivo molto preciso:
permette, per cos dire, di rivelare il "movimento" essenziale del sistema dato che
Hegel caratterizza soprattutto questa filosofia per il suo immobilismo. L'interesse di
questa ricostituzione apparentemente arbitraria, di questa ricostruzione, risiede nel
fatto che rivela le articolazioni principali del pensiero spinozista, cos come Hegel lo
comprende, isolando le sue categorie principali e ponendo le une in rapporto alle altre.
A partire da questa interpretazione, Hegel espone la sua critica allo spinozismo in
un'importante "Osservazione storica", dedicata a Spinoza e a Leibniz, che termina il
capitolo. Questa presentazione generale estremamente interessante poich dispone
gli elementi costitutivi della dottrina ed esplicita la loro articolazione.
L'assoluto, che costituisce l'oggetto d'insieme di questo sviluppo, caratterizzato in
primo luogo per la sua identit semplice e massiva 20: appare rinchiuso
nell'interiorit della sostanza, interamente ripiegata su di s. Eppure, come vedremo,
c un processo di esposizione dell'assoluto: quello della sua manifestazione
esteriore, che passa dall'affermazione iniziale dell'assoluto come sostanza alla sua
riflessione negli attributi e poi nei modi. questo passaggio - vedremo che ha solo
lapparenza di movimento - ci che organizza il punto di vista della sostanza nella sua
disposizione singolare cos come si espresso storicamente nell'opera di Spinoza.
Seguiremo questo sviluppo nelle sue tappe successive.
Il processo comincia dall'assoluto stesso, che si espone immediatamente come tale.
L'argomentazione di Hegel consiste nello scoprire la contraddizione latente che
assedia e scompone in gran segreto questa apparente unit. Nella sua costituzione
iniziale l'assoluto si presenta come l'identit indifferenziata nella forma e nel
contenuto, e pertanto indifferente a s. L'assoluto che assoluto al tempo stesso un
soggetto nel quale si sono posti tutti i predicati ed un soggetto del quale si sono negati
tutti i predicati: un punto di partenza, una base, che pu essere riconosciuta come
tale solo nel momento in cui non si edificato ancora niente su di essa, e che solo
base di niente. Tutto il ragionamento di Hegel si costruisce qui su un gioco di parole
che prende come pretesto l'espressione zum Grunde gehen: ritornare al fondamento
che vuole dire anche andare nell'abisso. La pienezza dell'assoluto, rinchiusa
nell'interiorit radicale della sostanza, quella del vuoto.
19

Logica, II, LEssenza, LEffettivit, cap. LAssoluto.

20

Ibid.

Cos la sostanza, che si presenta come una fonte di determinazioni, anche in s


stessa un nulla di determinazione, perch l'indeterminato ci che precede e
condiziona ogni determinazione. la contraddizione propria della sostanza: essa
dapprima si offre, nella sua assoluta positivit, come ci che pi reale, ma,
contemporaneamente, per garantire questo massimo di essere, necessario che si
ritiri realt a ci che non essa e che essa colloca sotto la sua dipendenza.
Affermando la sua anteriorit e la sua preminenza, la sostanza si prospetta per ci che
di fronte allapparenza di ci che, anche in questo cominciamento, non . Di qui la
sua funzione essenzialmente de-realizzante, dato che lancia nell'abisso senza fondo
del negativo che solo negativo tutto quello che non coincide immediatamente con la
sua positivit iniziale. Nella sostanza, ci che si offre e si sottrae
contemporaneamente: essa ci che d ma anche ci che toglie realt.
D'altra parte, l'autosufficienza della sostanza che si definisce per s stessa, in assenza
di ogni determinazione, rende incomprensibile il passaggio del soggetto ai predicati, la
relazione del fondamento con ci che questo fonda: le determinazioni che hanno una
base nel'assoluto non possono aggiungersi a quest'assoluto se non a posteriori e
dall'esterno, in maniera arbitraria, senza sviluppo immanente. Per questo la sostanza,
che l'oggetto di ogni conoscenza, anche inconoscibile: , in se stessa, un soggetto
del quale non si pu affermare nulla, salvo essa stessa, e la sua relazione con le
determinazioni che si appoggiano ad essa incomprensibile; data la sua totale
autosufficienza, non ha nessuna necessit di queste determinazioni che le sono
aggiunte dunque senza necessit e senza ragione.
Come cominciamento assoluto, la sostanza pertanto anche un fine: nella pienezza
del suo essere proprio, al quale niente manca, ha gi esaurito ogni possibilit di
movimento; quello che inizia in essa finisce immediatamente. un cominciamento che
non comincia niente, nel quale l'assoluto immobile costituisce la negazione di ogni
processo. Il sistema che comincia dall'esposizione dell'assoluto si trova cos
immediatamente arrestato: essendosi dato ogni realt all'inizio, non pu pi
progredire.
Tuttavia, la dottrina spinozista, alla quale questa analisi si riferisce implicitamente, non
si accontenta di indicare, in una definizione iniziale, la pienezza dell'assoluto; presenta
il suo ordine interno, in maniera coerente, esplicitando il suo contenuto razionale. Ma
la progressione di questa esposizione pu essere solo apparente: il suo sviluppo
formale di fatto una regressione, poich l'identit immediata dell'assoluto con s
stesso proibisce ogni avanzamento ulteriore. Il processo illusorio della sostanza, che
inizia l'esposizione dell'assoluto, non pu essere il movimento di una costituzione
positiva, dato che tutto costituito dall'inizio, bens quello di una degradazione che
sottrae successivamente all'assoluto gli elementi della sua realt, riportandoli a
determinazioni estrinseche che, effettivamente, non possono aggregare niente, dato
che esso completamente sufficiente a s stesso.
Questa regressione manifesta dal primo passaggio che conduce dalla sostanza
all'attributo, cio dall'assoluto al relativo. L'assoluto che assoluto anche ci che
solamente assoluto: la sua pienezza primordiale anche la forma ineluttabile della sua
limitazione. La perfezione dell'assoluto al tempo stesso ci che gli manca per essere
davvero assoluto: la totalit delle determinazioni che dove negare per ritornare in s,
per essere solo s. L'assoluto che solo assoluto anche una negazione dell'assoluto:
Non di conseguenza l'assolutamente assoluto, bens l'assoluto in una

determinatezza nella quale esso assoluto. 21 L'assoluto diviene attributo, riceve


determinazioni, ma si espone allora in una realt diminuita.
L'attributo costituisce il secondo momento, il termine medio, del processo apparente
dell'assoluto che si da immediatamente come tale all'inizio e la cui progressione si
trova per questo paralizzata: L'attributo l'assoluto solamente relativo,22 o, anche,
l'assoluto determinato solamente in quanto alla sua forma. La sostanza che si esprime
nei suoi attributi scoprendo che le sono identici l'assoluto che si riflette
esteriorizzandosi, precisamente perch, come tale, non comporta in se stesso nessuna
determinazione, incapace di una riflessione immanente. L'assoluto si esaurisce in
questa riflessione, poich la sua determinazione lo fronteggia, gli si oppone come
l'inessenziale all'essenziale: esso riconosce l solo la sua inanit. L'attributo il
predicato che riflette il soggetto fuori di s: esso la sua rappresentazione, il
fenomeno, ci che d soltanto un'immagine della sostanza.
L'attributo allora una forma vuota, poich qualifica la sostanza dall'esterno e senza
necessit: in esso l'assoluto si ritrova ristretto, e diminuito, nella misura in cui si
afferma come essere che gli identico. Questa restrizione, che appare appena la
sostanza si riflette in un attributo, si rafforza quando si pone una molteplicit di
attributi: data le sua esteriorit e la sua contingenza, una sola forma non basta per
rappresentare lassoluto; perci questo si esaurisce nella ricerca indefinita di
determinazioni nuove, che si oppongono le une alle altre (come fanno, per esempio, il
pensiero e l'estensione), attraverso le quali cerca invano di recuperare la sua
completezza. Nella forma dell'attributo, l'infinito prende necessariamente l'apparenza
della pluralit: si divide, si disperde, si perde nella serie illimitata delle immagini che
suscita il movimento illusorio della sua riflessione esterna. Il passaggio dalla sostanza
all'attributo il divenire apparenza dell'assoluto, che si mette a pensare la sua unit
nello sminuzzamento della differenza pura.
La sostanza si disfa, si dissolve nei suoi attributi, proiettandosi in una coscienza che gli
necessariamente straniera. Per questo ci vuole l'intervento dell'intelletto astratto
che scompone l'identit del contenuto nelle sue forme multiple affinch l'unit della
sostanza sia determinata in una diversit di forme. Di fronte all'oggettivit pura
dell'assoluto che solo assoluto si porne, e si oppone, la forma esteriore di una
soggettivit che apre una prospettiva, suscita un modo di essere, proietta
un'apparenza. Nonostante l'identit astratta che lo lega alla sostanza in una relazione
formale di rappresentazione, l'attributo preso come tale si slega e si allontana da essa
come una semplice modalit: cos si gi passati dell'attributo al modo, che
costituisce il terzo momento del processo regressivo dell'assoluto.
Il modo ancora la sostanza, ma presa nell'elemento dell'esteriorit assoluta: il modo
l'esser fuori di s dell'assoluto, il suo perdersi nella variazione e contingenza
dell'essere.23 Allora l'assoluto non oramai per niente identico a s, ha perso tutta la
sua realt, si dileguato nella sua propria apparenza, nella fatticit illimitata di ci che
non ha oramai causa in s. Al limite estremo della sua manifestazione, come l'ultimo
effluvio di un profumo che si volatilizza, la sostanza si estenuata, finita in una
21

Ibid.

22

Ibid.

23

Ibid.

pullulazione di aspetti che la mostrano scomporsi, al termine di una presentazione che


puramente negativa. Inversamente, se si ritorna all'assoluto, la realt
immediatamente percettibile che deriva dall'addizione di tutti questi modi si trasforma
in un'apparenza, nel senso pi critico di questo termine, poich questa non d
dell'assoluto pi che un'espressione illusoria nella quale finisce per sparire e, allo
stesso modo, si inabissa in esso. A questo punto, in cui la realt esposta allinizio
nell'assoluto si dissolta totalmente, termina il "movimento" della sostanza,
movimento essenzialmente negativo.
Nel modo non rimane pi niente di ci che era dato nella sostanza; non rimane pi che
questo nulla nel quale ogni realt abolita. In un altro testo, all'inizio della terza
sezione del libro I della Logica, La misura, Hegel scrive a proposito del modo in
generale:
Se il terzo termine fosse preso come semplice esteriorit, allora sarebbe
modo. In questo senso, il terzo termine non ritorno in s, bens, mentre il
secondo l'inizio della relazione con l'esteriorit, un uscire che si mantiene
ancora in relazione con l'essere originale, il terzo la rottura compiuta. 24
Immediatamente precisa, riferendosi a Spinoza:
In Spinoza, ugualmente, il modo il terzo dopo la sostanza e l'attributo;
egli lo spiega come le affezioni della sostanza cio come ci che in altro,
per il quale anche concepito. Questo terzo, in accordo con questo
concetto, solo l'esteriorit come tale. Come si ricordato, del resto, in
generale manca in Spinoza, alla sotanzialit rigida, il ritorno in s stessa. 25
Il sillogismo che associa la sostanza alle sue affezioni per mezzo dei suoi attributi,
che riassume il significato essenziale del sistema spinozista, per Hegel un sillogismo
astratto: descrive non il compimento dell'assoluto, bens questa decadenza
progressiva che l'allontana da s stesso.
A partire da questa ricostituzione d'insieme appare chiaramente la ragione per la
quale il punto di vista della sostanza caratterizzato per la sua immobilit. Il
movimento che si instaura a partire dall'assoluto, che conduce della sostanza agli
attributi e poi ai modi, tutto il contrario di un movimento reale, di un processo di
costituzione dell'assoluto; per cui l'effettivit del reale si d qui in una maniera
caricaturale, nell'irrisione di una decadenza. il movimento regressivo di una
degradazione successiva che conduce da un massimo di essere dato all'inizio al suo
esaurimento totale, in forme che gli sono sempre di pi esteriori e che, pi che modi di
essere, sono oramai per esso maniere di non essere. Questo movimento discendente,
rinchiuso tra un'origine assolutamente positiva ed una fine definitivamente negativa,
per la quale non c' oramai pi niente, tutto il contrario del ciclo razionale, del
processo dialettico del quale Hegel fa, d'altra parte, il principio di tutta la realt:
processo che scopre, contrariamente a quello che abbiamo appena descritto,
l'indeterminazione del suo cominciamento, il suo carattere provvisorio ed apparente,
24

Ibid., t . I.

25

Ibid.

per dirigersi progressivamente verso un fine nel quale si realizza per mezzo della
determinazione totale di un'identit che non pu essere affermata se non nel
momento in cui diviene veramente effettiva. Al contrario, la manifestazione
dell'assoluto che solo assoluto non d luogo pi che alla vuota ricorrenza di una
sparizione, di una diminuzione, di una perdita di identit, la cui progressione
evidentemente formale, dato che determinata da una mancanza crescente di
contenuto.
Il punto di vista della sostanza, che pretende abbracciare tutta la realt in un unico
concetto, si inverte quindi in una conoscenza negativa: l'assoluto di realt che
rivendica la sostanza ha come contropartita la negazione di realt che raggiunge tutto
ci che essa non e che le succede. Il puro discorso dell'assoluto sviluppa
principalmente il tema dalla poca realt delle cose, di tutto ci che esso non : il
divenire dell'assoluto pu solo allontanarlo dalla sua integrit iniziale e farlo perire.
Scetticismo della sostanza, che assorbe interamente nel suo formalismo la realt;
quindi il negativo solamente il movimento di sottrazione che porta ad una
sparizione, fuori da ogni lavoro reale di determinazione. ci che esprime molto bene
un passaggio delle Lezioni sulla storia della filosofia:
E come tutte le differenze e determinazioni delle cose e della coscienza
non fanno altro che ridursi alla Sostanza una, si pu perfettamente
affermare che nel sistema spinozista tutto scagliato in questo abisso della
negazione. Ma niente ne riemerge; e il particolare di cui Spinoza parla non
che qualcosa che si prende e si recupera dal mondo delle rappresentazioni,
senza che lo giustifichi per niente. Per giustificarlo, Spinoza dovrebbe
dedurlo da una sostanza; ma non si rivela cos, per cui non acquisisce vita,
spiritualit n attivit. [...] La sorte che qui tocca al particolare quella di
essere solamente la modificazione della Sostanza assoluta, ma senza che
questa sia spiegata come tale; perch il momento della negativit quello
che manca in questa immobilit rigida, la cui unica operazione consiste nello
spogliarlo di ogni sua determinazione, della sua particolarit, gettandolo
cos nella Sostanza unica ed assoluta nella quale quello sparisce ed ogni vita
si spegne dentro s. Questo ci che vi di filosoficamente insoddisfacente
in Spinoza [...].
L'assoluto si apre solamente come un precipizio dove tutte le determinazioni sono
abolite, dove si perde ogni realt, nell'abisso irresistibile del vuoto.
La filosofia di Spinoza allora per Hegel un pensiero completamente astratto nel quale
sparisce ogni movimento ed ogni vita finisce. Nel finale della breve biografia di
Spinoza che Hegel fornisce nelle sue Lezioni si trova questa indicazione straordinaria:
Spinoza mor il 21 febbraio del 1677, a 44 anni, vittima di una tubercolosi
che veniva minando il suo organismo da molto tempo; fu una morte molto a
tono col suo sistema, nel quale tutto l'individuale e il particolare sparisce
nellunit della sostanza.

Lo spinozismo la filosofia malata di petto, che declina progressivamente verso la


sparizione di ogni realt effettiva, estenuandosi nell'affermazione di un assoluto che
pu solo rappresentare dall'esterno, inattivo e senza vita.
Il verdetto di insufficienza che era stato decretato contro questa filosofia e contro il
punto di vista che la sottende si trova a partire da ci legittimato. Questo pensiero
negativo di un negativo che solamente negativo d accesso solo all'abolizione del
suo contenuto; pu quindi esporsi solo negativamente, secondo il suo difetto, la sua
inanit propria. Filosofia che comincia = filosofia che declina. solo andando contro
questo cominciamento, col lavoro di un negativo che non sia solamente negativo, che
il pensiero pu sollevarsi al di sopra dell'abisso della sostanza per scoprire il
movimento concreto dell'effettivo. Bisogna cominciare da Spinoza, bisogna passare
per Spinoza, bisogna uscire da Spinoza.
Per questo necessario sottoporre la dottrina alla prova di una critica che non si
appoggi pi unicamente su un'interpretazione globale, come quella che abbiamo
appena seguito, ma consideri il dettaglio della sua argomentazione. Allora si metter
in evidenza la contraddizione propria del suo contenuto. Questa analisi isola nel
sistema tre punti critici, tre concetti, sei quali Hegel concentra la sua argomentazione:
si tratta del problema della dimostrazione (indicato con la famosa espressione more
geometrico), della definizione degli attributi e, finalmente, della formula omnis
determinatio est negatio, che Hegel attribuisce a Spinoza e nella quale concentra
tutto il suo sistema. Sono questi tre punti, precisamente, quelli che ora andiamo
considerare.26

26

L'interpretazione orientalizzante dello spinozismo un luogo comune della filosofia tedesca. Pu leggersi
nell'opuscolo di Kant su La fine di tutte le cose: il sommo bene il nulla; ci si versa nell'abisso della divinit; ci si
affonda l, e la personalit svanisce. Per assaporare anticipatamente questa felicit, i filosofi cinesi si rinchiudono in
posti oscuri, si impegnano a mantenere le palpebre chiuse, si esercitano nella meditazione, nel sentire il suo nulla. Di l
anche il panteismo dei tibetani e di altri paesi orientali, poi pi tardi, per una sublimazione metafisica, lo spinozismo;
due dottrine strettamente affiliate ad uno dei sistemi pi vecchi, quello dell'emanazione, secondo il quale tutte le
anime umane dopo essere uscite dalla divinit finiscono per ritornare e riassorbirsi l. Tutto questo unicamente affinch,
costi quello che costi, gli uomini possano godere finalmente di quel riposo eterno che costituisce ai loro occhi la fine
felice di tutte le cose; concezione che non niente meno che un'abolizione di ogni intelligenza, una sospensione
perfino di ogni pensiero [...], Trad. Festugire. Hegel, come si vede, non ha inventato niente.

II. More Geometrico


Hegel e il metodo
Hegel critica in primo luogo Spinoza a proposito del posto che assegna al metodo nel
sapere filosofico, ed anche a proposito del contenuto stesso di questo metodo.
Improntando procedimenti di dimostrazione ed un modello di organizzazione del
discorso razionale proprio dei matematici, Spinoza si pone, secondo Hegel, nella
continuazione di Descartes: subordina, in effetti, la verit filosofica ad una garanzia di
evidenza formale, ad una regola esteriore ed astratta. Cos, bench si dichiari monista
affermando l'unit assoluta della sostanza, instaura di nuovo una sorta di dualismo per
la separazione che impone nel sapere stesso tra forma e contenuto. Dal punto di vista
formale del metodo, le condizioni della conoscenza, la cui universalit si risolve di una
maniera completamente astratta, sono indifferenti al suo oggetto, e possono essere
fissate fuori di esso. Ma questa scissione ignora ci che c' di specifico nel sapere
filosofico, l'identit dell'essere e del conoscere cos come si effettua nel Concetto:
Il metodo matematico-dimostrativo di Spinoza sembra accusare [...]
solamente un difetto in quanto alla forma esterna; in realt, il difetto
fondamentale del punto di vista del suo insieme. In questo metodo, si nega
totalmente la natura del sapere filosofico e l'oggetto dello stesso, perch la
conoscenza ed il metodo matematici sono semplicemente una conoscenza
formale e, pertanto, completamente inadeguati alla filosofia. La conoscenza
matematica espone la prova sull'oggetto esistente come tale, ma non, in
modo alcuno, come concepito; ci che manca di conseguenza il
concetto, ma loggetto della filosofia proprio il concetto e ci che vi
concepito. [...] Pertanto questo concetto, come conoscenza dell'essenza [di
ci che ], qualcosa di trovato in anticipo [non dopo il fatto], dal quale si
parte e che cade dentro loggetto filosofico; ed precisamente questo ci
che appare come il metodo proprio e peculiare della filosofia spinozista. 27
Questo metodo privilegia l'aspetto formale, esterno, strettamente riflessivo della
deduzione, alla maniera della vecchia logica, il cui punto di vista, secondo Hegel, si
mantiene essenzialmente senza cambiamenti da Aristotele fino a Cartesio: il vero si
decide allora, nell'ordine della rappresentazione, attraverso le relazioni reciproche che
organizzano le proposizioni, nella loro costituzione e nella loro successione, fuori di
ogni determinazione reale, inerente al Soggetto che vi si enuncia, cio al Concetto
come tale. A causa di questo formalismo che separa il contenuto effettivo del pensiero
dalle sue forme di riflessione nel discorso, il sistema spinozista si iscrive nella sfera
dell'essenza, della quale costituisce in qualche modo il limite assoluto: per questo
Hegel dedica una lunga osservazione storica allo spinozismo precisamente alla fine del
secondo libro della Logica.
Hegel non si limita a mettere in discussione il principio del metodo spinozista, contesta
anche il suo sviluppo effettivo. Quello che caratterizza il "metodo", come abbiamo
appena visto, il suo verbalismo, poich rimette le condizioni di tutta la verit
all'ordine formale delle proposizioni. A partire da qui, il sapere si espone in una
27

HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, cap. su Spinoza.

successione di enunciati astratti la cui validit deve essere fondata nel suo
cominciamento, in proposizioni prime dalle quali deriva, ed in una certa maniera si
estrae, ogni verit: c' solo conoscenza relativa ad esse. Dopo avere presentato il
contenuto delle definizioni che inaugurano il discorso dell'Etica, Hegel scrive:
Tutta la filosofia spinozista gi contenuta in queste definizioni, le quali
sono nel complesso, tuttavia, definizioni di carattere formale; in questo
risiede il gran difetto di Spinoza, nel fatto che inizia sempre con definizioni.
In matematica questo procedimento pu passare, poich qui si parte da
premesse come il punto, la linea, etc.; ma in filosofia no, perch qui deve
conoscersi il contenuto come il vero in s e per s. Non si pu, di volta in
volta, riconoscere come giusta una definizione nominale, in modo tale che la
parola 'sostanza' corrisponda all'idea che ne d la definizione; ma una cosa
questa ed un'altra che questo contenuto sia vero in s e per s. [...]
Questo problema, che non ha la minima importanza nelle proposizioni
geometriche, precisamente la cosa fondamentale nelle disquisizioni
filosofiche; ma Spinoza non lo comprende affatto. Invece di limitarsi a
spiegare questi pensieri semplici nelle definizioni che stabilisce, ed ad
esporli come qualcosa di concreto, avrebbe dovuto, a rigore, investigare se
questo contenuto sia vero. Apparentemente, si d solo una spiegazione
delle parole; ma ci che conta il contenuto che vi si trova. Ogni altro
contenuto si riduce ad esse e si prova partendo da esse, perch dal primo
contenuto dipende qualunque altro e, prendendo quello come fondamento,
si deriva ogni necessit.28
Ci che qui troviamo l'obiezione fondamentale di Hegel contro la pretesa di
subordinare il sapere al prerequisito di un cominciamento assoluto: il sapere che
deriva da tale procedere puramente relativo. Le proposizioni prime, per esempio le
definizioni, che cercano di fissare il senso dei concetti e regolarne funzionamento, si
presentano come fonti di verit sulle quali si sospende ogni conoscenza ulteriore,
poich la verit solo l'esplicitazione di ci che si trova dato in anticipo in esse: il
paradosso che la verit di queste proposizioni, da cui dipende tutto il resto, sembra
non porre nessun problema, giustamente perch stabilita in anticipo, cio senza
previa condizione. Ma l'atto che espone questa verit iniziale pu essere solo una
decisione formale, il cui contenuto rimane solamente verbale: il ricorso al criterio
dell'evidenza d a questo procedimento una garanzia arbitraria ed astratta, con un
valore essenzialmente relativo, che fonda l'ordine estrinseco delle proposizioni e ne
assicura la coerenza senza determinarne il contenuto, cio la verit.
Queste obiezioni evocano qualcosa di molto familiare ad ogni lettore di Hegel.
Rimandano all'esigenza, che egli riafferm costantemente, di una nuova logica, che
non fosse pi una logica della rappresentazione e delle condizioni formali della sua
organizzazione bens una logica del contenuto stesso, che non riguardi n solo n
innanzitutto l'esercizio formale del pensiero ma esponga il movimento effettivo del
Concetto e la necessit di questa determinazione che d a s stesso nella sua attivit
immanente:

28 Ibid.

Questo pensiero obiettivo costituisce dunque il contenuto della scienza pura. Di


conseguenza tanto lontano da essere formale ed sprovvisto della materia
necessaria per una conoscenza reale e vera, piuttosto solo il suo contenuto il vero
assoluto, o, se uno vuole avvalersi ancora della parola materia, la vera materia; ma
una materia la cui forma non qualcosa di esteriore, perch detta materia piuttosto
il pensiero puro e pertanto la forma assoluta stessa. 29
Da questo punto di vista, ci che si invalida il progetto di una metodologia della
conoscenza. Per esempio, la Logica di Aristotele non per Hegel pi che una
descrizione empirica, necessariamente elaborata a posteriori, del procedere della
conoscenza portato sistematicamente al funzionamento delle regole, dei procedimenti
esteriori ad ogni contenuto:
L'interesse, all'interno di questa scienza, imparare a conoscere nel suo procedere il
pensiero finito, e la scienza esatta se corrisponde al suo oggetto presupposto. 30
Una metodologia presuppone il suo oggetto come un dato esterno che trova gi
costituito di fronte a s, perch incapace di costruirlo. Per questo, rimanendo
indifferente al movimento reale del contenuto, o della cosa stessa, il metodo non pu
essere riconosciuto come vero in s stesso, ma solamente perch verificato al livello
della sua applicazione. Non il Sapere, neanche un sapere, bens solamente una
tecnologia pi o meno efficace del sapere. Appare allora irrisoria la sua ambizione di
condizionare la verit stessa, di dirigere la conoscenza sulla buona via che fissa la
conformit ai suoi procedimenti formali:
La derivazione dalle richiamate regole e leggi, soprattutto quelle del
sillogizzare, non vale molto pi delle prove fatte con bastoncini di disuguale
lunghezza al fine di classificarli ed unirli secondo il loro volume o del gioco di
bambini, nel quale si tenta di ricomporre quadri previamente ritagliati,
unendo appropriatamente i pezzi. Per questo e non senza ragione si
equipar questa maniera di pensare al calcolo matematico, e questo calcolo
si uguagli a simile maniera di pensar. 31
Per Hegel, sono le dimostrazioni dell'Etica qualcosa di distinto da questa sistemazione
futile di elementi sparsi, e necessariamente incompleti, di una verit che in essi non
pu ritrovarsi come tale, necessariamente e totalmente?
Non c' pertanto metodo preliminare all'esercizio del pensiero e che potrebbe essere
studiato per s stesso, per cominciare: non c' discorso sul metodo anteriore alle
prove di questo metodo. Perch tale discorso sarebbe solamente la caricatura
retrospettiva di una scienza effettiva il cui movimento, gi realmente realizzato, si
vedrebbe solamente rispecchiato nell'illusione di una forma generale di sapere. Se si
pu tuttavia parlare di metodo, a condizione di precisare che questo inseparabile
dal sapere in cui si realizza, cio che non viene n prima n dopo esso, bens con esso.
29

Scienza della logica, introduzione alla seconda edizione.

30 Enciclopedia, I parte, aggiunta al 20.


31 Scienza della logica, introduzione alla I edizione

Il metodo non , in effetti, che la struttura del Tutto, presentata nella sua
essenzialit pura.32
Il metodo non riassume lo sviluppo completo del sapere nella condizione formale di
una regola iniziale: non nient'altro che questo sviluppo stesso, colto nella sua
necessit concreta, nel momento in cui si effettua. Questo ci che permette a Hegel
di aggiungere:
Ed in quanto a ci che si soliti pensare su questo, dobbiamo avere coscienza che
anche il sistema delle rappresentazioni che si relazionano al metodo filosofico
corrisponde gi ad una cultura dispersa. 33
Perch il metodo non ha pi valore fuori del sapere che lo realizza:
[...] l'espressione di ci che pu essere il solo vero metodo della scienza
filosofica appartiene al trattato della logica stessa; in effetti, il metodo la
coscienza relativa alla forma dell'automovimento interno del suo
contenuto.34
Non nient'altro che il sapere di s del sapere, che si riconosce com' nel processo nel
quale si effettua.
A partire da qui, il "metodo", nella misura in cui questa parola conserva ancora un
senso, perde ogni carattere formale ed astratto, poich
questo metodo non nulla di diverso dal suo oggetto e dal suo
contenuto.35
Non pi "un" metodo, cio una ricetta per conoscere, bens il sapere stesso che si
riflette nel suo oggetto, che si riflette come il suo proprio oggetto:
In questo modo, il metodo non una forma esteriore, ma l'anima ed il concetto del
contenuto, dal quale non diverso eccetto che per i momenti del concetto, che in se
stessi appaiono nella loro determinazione come la totalit del concetto. Non appena
questa determinazione, o contenuto, ritornata con la forma all'idea, questa si
presenta come totalit sistematica, che solo un'idea, i cui momenti particolari sono
tanto pi in se stessi in quanto che per mezzo della dialettica del concetto producono
il semplice essere per s dell'idea. 36

32

Prefazione alla Fenomenologia.

33

Ibid.

34

Scienza della Logica, intr. alla I ed.

35

Ibid.

L'esposizione del metodo coincide col dispiegamento del sapere, il cui movimento
esprime nella totalit, come totalit; non inaugura il processo della conoscenza
nell'atto di una fondazione iniziale, ma forma la sua conclusione in una ricapitolazione
finale di ci che stato gi realizzato. chiaro che per Hegel la categoria di metodo
ha perso ogni significazione autonoma: affinch sia conservata, stato necessario che
il suo valore filosofico fosse completamente distorto [pervertie].
Ebbene, quando Hegel mette in discussione la nozione di metodo, ed il progetto di un
metodo filosofico, sempre in riferimento al funzionamento del metodo nella
matematica. Il privilegio accordato al metodo nello sviluppo del processo della
conoscenza e nello sviluppo delle verit ha la sua fonte, se non nelle matematiche
stesse, almeno nell'idea, o nel pregiudizio, che esse offrano un modello di
ragionamento universalmente valido. Un tema costante in Hegel che i matematici
non possono rivendicare oramai questa funzione regolatrice nel lavoro della
conoscenza:
[...] non difficile dar conto del modo di esporre un principio, addurre
fondamenti a favore di esso e poi confutare attraverso fondamenti il
principio contrario non la forma in cui pu apparire la verit. La verit il
movimento di essa in s stessa, questo metodo, al contrario, la
conoscenza esteriore alla materia. Per questo peculiare della matematica
e deve essere lasciato ad essa [...] . 37
Sebbene il sapere sia un processo determinato necessariamente, non lo per la sua
conformit ad un ordine formale di ragioni che regola una serie di proposizioni: la
filosofia, in quanto movimento di autoproduzione del concetto, ha smesso di essere
sottomessa all'ideale di una deduzione esatta.
Se in un periodo precedente della sua storia credette di doversi piegare a tale obbligo,
perch c' tuttavia qualcosa in comune tra la filosofia e la matematica. Ci che
condividono il progetto di una determinazione del reale attraverso il pensiero in una
conoscenza che abbia la dignit del generale. Ma quest'elemento comune
inessenziale perch continua ad essere esteriore al contenuto della conoscenza e
consiste solamente in una riflessione astratta:
Quello che la cultura scientifica compartecipa con la filosofia il formale. 38
Perci, tra la verit matematica e quella della filosofia non pu esserci pi che una
somiglianza superficiale. Resta allora da sapere cosa ha potuto legittimare la
confusione che le riun nell'epoca, appunto, di Spinoza. Si tratta, secondo Hegel, di una
ragione strettamente congiunturale, che pertanto perse ogni valore in altro momento
storico. In un periodo in cui l'impresa della conoscenza si sentiva impedita, ridotta
dall'autorit infrangibile di un dogma, il ragionamento matematico pot sembrar
costituire l'arma pi forte nella lotta difensiva contro quell'oppressione: a fianco alla
36

Enciclopedia, 243.

37

Prefazione alla Fenomenologia.

38

Lezioni sulla storia della filosofia, introduzione.

filosofia, e in un movimento comune, rappresentava un stesso sforzo per pensare per


s stesso[13],39 lontano da ogni coazione esterna. Ma quel periodo passato: con
tutto il potere del dogma spar anche la necessit di formare contro di esso
compromessi che, senza quella circostanza, diventano rapidamente ambigui. Nel
momento nel quale Hegel scrive, che quello di un pensiero libero che va fino alla fine
dell'atto della sua realizzazione con i propri mezzi, ci che predomina , al contrario,
ci che separa la filosofia dalla matematica, alla quale si era alleato solo
temporaneamente.
Questa differenza essenzialmente quella che incontra tra una scienza del finito ed
una scienza dell'infinito: chiaro che in entrambi i casi la parola scienza designa
due realt molto differenti: nel primo una conoscenza astratta che trova sempre il suo
oggetto nell'esteriorit; nella seconda, un sapere concreto che per s stesso il suo
proprio contenuto e si effettua in tale modo come assoluto. Se l'intelletto, che per
eccellenza il luogo nel quale conoscere e rappresentare sono formalmente identici,
una determinazione necessaria del pensiero razionale, un momento che ha il suo
luogo nel processo d'insieme del sapere, esiste appunto per la limitazione che lo situa
in qualche parte di questo sviluppo, ed il punto di vista che gli corrisponde ha valore
solo rispetto a questa posizione singolare, che sufficiente per negargli il diritto
all'universalit che tuttavia rivendica.
L'argomentazione che permette cos a Hegel di tornare a mettere al loro posto le
matematiche si incontra esposta nella sua forma pi chiara in un passaggio ben
conosciuto - al quale abbiamo fatto varie volte riferimento - della prefazione alla
Fenomenologia. Di una maniera assai sorprendente, Hegel effettua in questo testo un
amalgama tra le verit matematiche e le verit storiche, e presenta entrambe come
verit di fatto, caratteristica della maniera dogmatica di pensare che separa d'un
colpo tutto il vero dal falso:
A domande come quando nacque Cesare, quanti metri ci sono in uno stadio, etc.,
bisogna dare una risposta netta, nello stesso modo che una verit determinata
quella per cui il quadrato dell'ipotenusa uguale alla somma dei quadrati degli altri
due lati del triangolo rettangolo. Ma la natura di questa richiamata verit differisce
dalla natura delle verit filosofiche.40
Questo accostamento molto significativo, perch mostra che Hegel attacca
contemporaneamente la matematica dal lato del suo formalismo e dal lato del suo
empirismo, poich sono tendenze essenzialmente convergenti: l'astrazione non
quella che ci devia dell'immediato, bens, al contrario, quello che ci lega ad esso.
Come scrive G. Lebrun nel suo bel libro su Hegel:
Il dramma del pensiero dell'intelletto quello di separarsi dal sensibile
senza smettere di operare con la stessa innocenza e senza discutere le
rappresentazioni che provengono dalla frequentazione del sensibile (il
'tempo', per esempio) .41
39

Ibid.

40

Prefazione alla Fenomenologia.

Questa innocenza matematica si spiega per il fatto che, secondo Hegel, il


ragionamento formale non pu generare il suo oggetto. necessario allora che
quest'oggetto gli sia dato, che esista fuori del movimento nel quale lo pensa; pertanto
l'oggetto presupposto di fatto, esattamente come tutto quello che, per la coscienza
comune, appartiene all'esperienza. Nell'intelletto che gli esteriore, l'oggetto
solamente rappresentato:
"Il movimento della dimostrazione matematica non appartiene a ci che
l'oggetto, un'operazione esteriore alla cosa". 42
Pertanto, la forma ed il contenuto esistono di una maniera necessariamente finita,
appunto perch sono estranei l'uno all'altro.
Questa finitezza non caratterizza solo la relazione tra il ragionamento matematico ed il
contenuto al quale mira ma lo segna nella sua forma stessa: dietro un progresso
apparentemente implacabile di un irreversibile e costrittivo ordine di dimostrazioni,
Hegel scopre una serie disarticolata di elementi indipendenti che semplicemente
vengono uniti gli uni agli altri, senza comunicazione reale, senza necessit. In realt,
tale dimostrazione non offre pi che la caricatura di un pensiero libero, l'illusione di
una conoscenza in movimento: la prova si costruisce solamente a partire da operazioni
finite, realizzate in proposizioni che si combinano, si dispongono e si organizzano
artificialmente (vedere la metafora del puzzle gi richiamata), di modo tale da
generare provvisoriamente la convinzione, cio, l'adesione di un soggetto invaso dal
sentimento dell'evidenza, che si sottomette all'operazione del soggetto
manipolatore imposta da questa organizzazione, da questa costrizione. In questo
punto, ancora una volta, la cosa migliore che possiamo fare riprodurre le seguenti
formule di G. Lebrun:
Isolando i 'pensieri' ed incatenandoli come semplici oggetti di conoscenza,
l'intelletto accredita l'idea che il Sapere sia una strategia 'soggettiva'. Va
allora da s che il 'pensiero' per diritto astratto, che le 'conoscenze' sono
per diritto parziali, che il dominio del 'conoscere' sta separato dalla pratica.
L'intelletto accetta che qualcosa sia vero 'nella mia testa' e che il 'sapere' si
riduca ad una distribuzione di contenuti in un ordine che posso facilmente
ripercorrere .43
Cos viene sconfitta anche la pretesa del matematico di produrre una conoscenza
obiettiva, ma il suo soggettivismo quello del pensiero morto che si lascia manipolare
fatalmente dall'esterno secondo il pregiudizio tecnologico che detta l'illusione del
libero arbitrio individuale; non la soggettivit vera e vivente del Concetto che si
realizza nel dominio effettivo di s che anche la sua conoscenza. Qui si separano
l'impresa del matematico e quella del filosofo: more geometrico, id est non
philosophico, e reciprocamente.
41 G. LEBRUN, La Patience du concept, Gallimnrd, p. 78.
42

Prefazione alla Fenomenologia.

43 G.

Lebrun, La Patience du Concept, p. 77.

La prima colpa dello spinozismo pertanto quella di avere cercato di importare nella
filosofia il ragionamento matematico ed avere introdotto cos il difetto che gli
proprio. Ora, secondo una formula particolarmente brutale della prefazione alla
Fenomenologia, il sapere non filosofico quello che considera la conoscenza
matematica come l'ideale che la filosofia dovrebbe sforzarsi di raggiungere. 44 Il punto
di vista della sostanza dipende completamente, esso stesso, di questa fissazione ad un
modello esterno: Lo spinozismo una filosofia deficiente per il fatto che la riflessione
e il suo vario determinare un pensare esteriore[19]. 45 O anche: "Il difetto dello
spinozismo consiste precisamente nel fatto che la forma non intesa come
immanente a s e, per tale ragione, arriva solamente come forma esterna
soggettiva.46 La volont assoluta di rigore che caratterizza superficialmente lo
spinozismo coincide con la sua impotenza di sviluppare in s una razionalit
necessaria, effettivamente adeguata al suo contenuto, obiettiva e concreta.
Nel momento stesso in cui presta alla filosofia l'apparenza di una coerenza formale, la
geometria gli trasmette l'arbitrario che sta alla base di tutti i suoi procedimenti. In un
allegato al paragrafo 229 dell'Enciclopedia, Hegel osserva che, alla filosofia, il
metodo sintetico conviene tanto poco quanto il metodo analitico, poich la filosofia
deve giustificarsi innanzitutto a partire della necessit dei suoi oggetti[21]. 47 Orbene,
il metodo sintetico propriamente quello dei geometri che costruiscono i loro oggetti
in definizioni, come Spinoza stesso aveva fatto. Ma il metodo geometrico ha, secondo
Hegel, una validit limitata, nel dominio che gli appartiene come proprio, dove tratta
di realt astratte, e non per niente conveniente quando lo si pretende applicare fuori
da questo dominio; in particolare, toglie alla filosofia ogni possibilit di trattare
efficacemente quegli oggetti dai quali l'astrazione esclusa. questo ci che non ha
compreso Spinoza, il quale comincia con definizioni e dice per esempio 'la sostanza
la causa sui'; nelle sue definizioni si espone ci che c' di pi speculativo, ma nella
forma di asserzioni.48 A partire da ci chiaro che Spinoza si posto, fin dallinizio,
fuori del dominio della verit.

La rivalutazione spinozista del metodo


Non ci domanderemo se le obiezioni formulate da Hegel contro il metodo dei geometri
siano o non fondate, bens se toccano effettivamente qualcosa della filosofia di
Spinoza, ed in che punto si verifica questo contatto.
Partiamo dalle definizioni che Spinoza stesso d del metodo: Si vede chiaramente
quale debba essere il vero metodo ed in cosa essenzialmente consista, cio nella mera
44

Prefazione alla Fenomenologia.

45

Scienza della Logica, II.

46

Enciclopedia, allegato al 151.

47

Enciclopedia.

48 Ibid.

conoscenza dell'intelletto puro, della sua natura e delle sue leggi[23]. 49 Se


appartiene alla natura del pensiero formare idee vere, come si mostrato nella prima
parte, necessario indagare ora che cosa intendiamo per forze e potenza
dell'intelletto. [...] La parte principale del nostro metodo comprendere perfettamente
le forze dell'intelletto e la sua natura[24]. 50 Ci significa che il metodo non una
conoscenza nel senso comune del termine; in effetti, non conosce nulla, se non il
nostro potere di conoscere, l'intelletto la cui natura si esprime. Questa distinzione che
pone il metodo fuori dell'ordine delle conoscenze rappresenta l'anticartesianismo di
Spinoza per eccellenza.
Che cosa significa, in effetti, conoscere le forze e la natura dell'intelletto? Non
significa per nulla, come in Cartesio, circoscrivere i limiti del suo uso, poich il potere
dell'intelletto non determinato a priori da condizioni che limiterebbero la sua attivit;
un tema costante in Spinoza, al contrario, che possiamo conoscere tutto, e pertanto
arrivare ad una sorta di sapere assoluto, propriamente a condizione che si imbarchi il
pensiero per una strada differente da quella che le fiss Cartesio appoggiandosi al suo
metodo.
In effetti, nella misura in cui riguarda il nostro potere di conoscere oggetti, e non gli
oggetti stessi, il metodo presuppone l'esercizio di questo potere e pertanto ha, come
condizione preliminare, le conoscenze che produce: Da ci si inferisce che il Metodo
non altro che la conoscenza riflessiva o l'idea dell'idea; e dato che non c' idea
dell'idea se non esiste preliminarmente un'idea, non ci sar, dunque, metodo se non
c' previamente un'idea.51 Si vede che l'ordine abituale delle precedenze qui
invertito: l'idea dell'idea, la conoscenza riflessiva che ha per oggetto il potere
dell'intelletto, non la condizione della manifestazione del vero bens al contrario il
suo effetto, il suo risultato. Il metodo non precede lo sviluppo delle conoscenze ma lo
esprime o lo riflette. Ci significa che bisogna produrre idee vere prima di potere
riconoscere (formalmente, direbbe Hegel) le condizioni della sua comprensione
[apprehension]: ci che indica una famosa parentesi del Trattato della riforma
dell'intelletto, habemus enim ideam veram: l'idea vera, gi l'abbiamo, senza la quale
non potremmo sapere che la possediamo, n tantomeno che cosa sia avere un'idea
vera. Orbene, Cartesio diceva esattamente il contrario: prima di conoscere in verit e
secondo l'ordine, bisogna darsi la possibilit di tale conoscenza, cio che bisogna
saper riconoscere la verit l dove essa possibile, secondo le regole (formali, direbbe
Hegel) della sua costituzione.
L'inversione operata da Spinoza ha come conseguenza uno spostamento ed una
rivalutazione del metodo. Uno spostamento: se il metodo un effetto, deve arrivare
dopo e non prima della conoscenza, come abbiamo detto. Cos si spiega, per esempio,
un'anomalia del Trattato teologico-politico sulla cui trattazione si sono intrattenuti tutti
i commentatori: solamente nel capitolo 7, dopo aver completamente sviluppato
l'analisi dalle profezie e dei miracoli, che Spinoza esplicita il suo metodo storico di
interpretazione della Scrittura, il che significa che bisogna aver fatto funzionare
49 Lettera 37 a Bouwmeester.
50

Trattato della riforma dellintelletto.

51 Ibid.

effettivamente un metodo ancor prima di poterlo formulare. la conoscenza ci che si


applica nel metodo, e non viceversa.
Una rivalutazione: di fatto, una svalutazione. Per comprendere ci, almeno tanto
quanto l'esige il metodo, non necessario conoscere la natura dello spirito dalla sua
causa prima, basta una breve descrizione (historiolam) dello spirito o delle percezioni
alla maniera di Bacone.52 Riflettendo a posteriori una conoscenza gi effettiva, il
metodo non pi che un inventario empirico di procedimenti, fuori di ogni
determinazione delle cause reali che dirigono il suo funzionamento. Ci vuole dire, in
particolare, che il metodo ha perso la funzione giuridica di garanzia che gli assegnava
la teoria cartesiana della conoscenza: non ha pi il potere di assegnare alla verit le
sue condizioni originarie ma sprigiona da essa, a posteriori, alcune propriet, alcuni
aspetti, d'altra parte in maniera isolata o arbitraria. In questo senso, bisogna leggere il
Trattato della riforma dell'intelletto come una sorta di Discorso contro il Metodo.
Anche la nozione classica di ordine, al tempo stesso di quella di metodo, cambia allora
radicalmente: lo sviluppo di una conoscenza razionale non pi subordinato ad una
stretta gerarchia di operazioni successive il cui concatenamento sarebbe fissato una
volta per tutte. Sebbene l'Etica sia ordine geometrico demonstrata, come indica il
sottotitolo, "ordine" designa qui qualcosa di completamente differente da una
relazione di precedenza tra proposizioni. Si sa che Spinoza non smise di riprendere e di
modificare la disposizione delle dimostrazioni dell'Etica, e niente permette di affermare
che lo stato nel quale le lasci sia definitivo. Non si tratta dunque di una relazione
rigida, rinchiusa una volta per sempre tra un inizio ed una fine e che procede in linea
retta dall'uno all'altro con una successione lineare di argomenti, come in Cartesio. Per
Spinoza, le idee di metodo e di ordine, che cessano di essere determinate
formalmente da un criterio di priorit, esprimono il movimento reale del pensiero:
Pertanto come la verit non necessita di nessun segno e come per
sopprimere ogni dubbio basta possedere (habere) le essenze oggettive delle
cose o, ci che lo stesso, le idee, risulta che il metodo vero non cercare il
segno della verit dopo l'acquisizione delle idee, bens il percorso (via) per
trovare, nell'ordine dovuto, la verit stessa o le essenze oggettive delle
cose, o le idee (tutti questi termini significano la stessa cosa). 53
Ritornando al senso originale del parola metodo, Spinoza l'identifica con il percorso
(via) reale dell'idea vera che si forma nello spirito secondo le leggi proprie della
natura, indipendentemente da ogni modello esteriore. L'ordine delle idee pertanto
quello della loro produzione effettiva; quest'ordine necessario, non in virt di una
costrizione legale, che sarebbe soddisfatta solo in maniera contingente, bens in
ragione della causalit intrinseca dell'idea vera, che la determina a produrre la totalit
dei suoi effetti, cio, tutte le idee che dipendono da essa.
Tutte queste considerazioni, lontane dallallontanare Spinoza da Hegel, l'avvicinano a
lui: come Hegel, Spinoza vede nel metodo, nel senso cartesiano, piuttosto un ostacolo
che un strumento efficace per lo sviluppo di un pensiero adeguato. Ma - e questo
particolarmente interessante -, sciogliendo il laccio tradizionale stabilito tra metodo e
52

Lettera 37 a Bouwmeester.

53

Trattato della riforma dellintelletto. 36.

conoscenza, Spinoza arriva ad una definizione del metodo molto vicina a quella che
Hegel stesso propone: si tratta di una conoscenza riflessiva nella quale diviene
cosciente la forma dell'automovimento interno nel corso del quale le conoscenze
sono state prodotte, secondo Hegel; idea dell'idea che riproduce il movimento reale
dell'idea, secondo Spinoza. Allora, invece di scoprire nella posizione dei due filosofi
rispetto alla la nozione di metodo un motivo di opposizione, che giustificherebbe in
ultima istanza le critiche di Hegel, vediamo su di essa una sorta di linea comune che
avvicina entrambe le dottrine, legate nella lotta contro un stesso avversario. Vediamo
le cose pi di vicino.
In un testo importante del Trattato della riforma dell'intelletto (30) Spinoza sviluppa le
ragioni che rendono insostenibile la concezione tradizionale dal metodo. Se si instaura
il primato del metodo rispetto allo sviluppo reale del sapere, come fa Descartes
(vedere per esempio, le Regole per la direzione dello spirito, regola 4), ci si espone
inevitabilmente alla confutazione degli scettici, che deducono dalle condizioni
preliminari poste alla conoscenza, molto logicamente, l'impossibilit effettiva di ogni
conoscenza. In effetti, se fosse necessario un metodo per conoscere, sarebbe
necessario anche un metodo per stabilire il metodo stesso, e cos via in una
regressione all'infinito: si proverebbe facilmente, in questo modo, che gli uomini non
potevano accedere mai a nessuna conoscenza, poich le risorse che si dichiarano
indispensabili per la ricerca della verit impediscono giustamente che si arrivi ad essa.
Per rendere esplicita questa difficolt, Spinoza riprende qui uno strano paragone di
Descartes, ma gli fa dire qualcosa di completamente differente. Nell'ottava delle sue
Regole per la direzione dello spirito, Descartes giustifica la sua concezione del metodo
paragonandolo con certe arti meccaniche: la pratica del fabbro richiede strumenti, un
martello, un'incudine - che devono quindi preesistere al suo esercizio -, ed egli si dota
di quelli strumenti a partire dai mezzi che gli mette a disposizione la natura (un
ciottolo, un blocco di pietra) prima di mettersi a produrre oggetti finiti (un elmo, una
spada). Allo stesso modo, dice Descartes, prima di imbarcarsi nell'impresa di
conoscere le cose, bisogna disporre delle risorse indispensabili per quest'attivit, e
ricorrere allora agli elementi innati che appartengono immediatamente al nostro
spirito: questa condizione preliminare propriamente il metodo.
Nel testo del Trattato della riforma dell'intelletto al quale ci riferiamo qui, Spinoza
riproduce letteralmente il paragone di Descartes, ma per giungere ad una conclusione
esattamente inversa: non c' condizione preliminare per l'impresa della conoscenza.
Infatti, come gli scettici, sfruttando la concezione tradizionale della conoscenza,
provano l'impossibilit di arrivare alla verit, si dimostrerebbe per la stessa
regressione all'infinito l'incapacit nella quale si trovarono gli uomini di forgiare i
metalli, poich hanno bisogno per questo di strumenti che loro stessi devono mettere
a punto servendosi di strumenti gi dati, etc. Orbene, in questo caso, come in quello
della conoscenza, la pratica quella che decide, rivelando il carattere fittizio
dell'argomentazione: dato che gli uomini forgiano i metalli, gli uomini pensano (Etica,
II, assioma 2); questo implica allora che, per trasformare la natura, non fu necessario
un primo strumento e, allo stesso modo, per conoscere le cose, non fu necessaria una
prima idea, un principio nel senso cartesiano. Allo stesso tempo, Spinoza risolve qui la
difficolt esposta dagli scettici ed estrae tutto il vantaggio critico del suo argomento.
Questo irrefutabile, in effetti, se lo si riferisce al suo vero oggetto, che la
concezione tradizionale della conoscenza la cui contraddizione interna rivela. Per

uscire da questa contraddizione, giunge allora a rinunciare alla problematica della


verit che sottomette quest'ultima a condizioni preliminari di possibilit.
Paradossalmente, il paragone tra lo sviluppo delle conoscenze intellettuali e la storia di
una tecnica materiale di trasformazione della natura, come la riprende Spinoza, ha la
funzione di eliminare la concezione strumentale del sapere che il pensiero cartesiano,
al contrario, impone. Il ragionamento seguito da Descartes il seguente: per
conoscere, bisogna disporre prima degli strumenti dei quali potremo servirci dopo per
conoscere bene; cominciamo allora col darci un buon metodo: sappiamo quello che
possiamo conoscere, su quali idee possiamo appoggiarci, per quale via dobbiamo
avviarci per raggiungerlo. L'esempio che in Descartes serve per giustificare questa
prescrizione interpretato da Spinoza in un senso inverso: nella storia della
conoscenza (poich c' una storia della conoscenza, e non solo un ordine di ragioni) gli
strumenti non intervengono come condizioni preliminari, perch essi stessi devono
essere prodotti nello stesso movimento che genera una produzione differente, oggetto
finito o idea vera. La conoscenza usa strumenti solo nella misura in cui li ha elaborati,
senza che nessun privilegio di diritto condizioni il suo uso col presupposto di una
donazione iniziale. Ci significa che la produzione delle idee vere non regolata dal
semplice gioco di una tecnologia intellettuale che ne subordinerebbe la convalida alla
condizione preliminare di un metodo. Orbene, come gi abbiamo indicato, la
confutazione di questa concezione tradizionale del metodo, ridotto ad una
manipolazione di strumenti, essenziale anche in Hegel: persino uno degli
argomenti che egli oppone a Spinoza.
Ma possibile andare ancora pi lontano: se lo sviluppo delle conoscenze non si
riduce per Spinoza alla messa in pratica di un procedimento, perch non c'
cominciamento assoluto per il sapere. In Descartes, la ricerca della verit era
sottomessa, propriamente, a questa condizione iniziale di una rottura con le forme
anteriori del pensar,e che sono solo ignoranza e devono essere espulse dall'oscurit
che le confonde; la riforma dell'intelletto determina quest'origine vera, che riconduce
la conoscenza al momento della sua nascita e della quale derivano tutte le altre idee
nella retta via di un ordine razionale e necessario. Il progetto spinozista di una
emendatio intellectus (dove si traduce un termine medico, emendatio, per una
nozione che ha senso solo in un contesto giuridico e religioso, riforma), che sembra
riprendere questa concezione, serve in realt per bloccarla, falsificarla, esponendo la
questione della conoscenza e della sua storia su basi completamente differenti.
In effetti, "l'idea vera data" che, in Spinoza, permette di sfuggire al circolo vizioso
implicato dalla concezione strumentale dalla conoscenza, tutto il contrario di un
principio nel senso cartesiano. Sebbene Spinoza dica che lo spirito ha bisogno di uno
strumento innato per cominciare a conoscere, chiaro che per lui non si tratta di un
germe di verit, di una conoscenza originaria nella quale tutto il sapere risultante
preesiste alla sua attualizzazione.
E qui che il paragone con la storia delle arti meccaniche, presa da Descartes,
riscuote tutto il suo senso, un senso che sfugge necessariamente da Descartes. Il
primo martello utilizzato da un fabbro non pot essere giustamente un vero martello -,
come neanche l'uomo che lo manipolava aveva potuto essere un vero fabbro -, ma era
un ciottolo raccolto sul bordo di una via, strumento naturale imperfetto in s stesso,
che si trasform in strumento solo per l'uso che ne fu fatto di servirsi di esso come di
un attrezzo, qualcosa che all'inizio non era certamente. Cos gli uomini di quest'epoca
primitiva poterono, con l'aiuto di strumenti estemporanei, fabbricare oggetti, dapprima

molto imperfetti, poi pi perfezionati, tra i quali si contavano gli strumenti migliori
adattati per le funzioni che dovevano compiere: in questa maniera si incamminarono a
poco a poco, paulatim, per una via progressiva al termine della quale riuscirono a
svolgere compiti difficili e numerosi con un minimo di pena. Allo stesso modo,
l'intelletto dovette lavorare in primo luogo con le idee che aveva, servirsi di esse come
se fossero conoscenze autentiche, per far s che producessero tutti gli effetti di cui
erano capaci e rettificare dopo, gradualmente, la loro propria attivit: cos raggiunse,
realizzando le sue opere intellettuali (opera intellectualia) la cima della saggezza.
Questa analisi significa chiaramente che non c' per il pensiero un buon
cominciamento, che lo instraderebbe una volta per tutte su una via retta il cui
orientamento sarebbe tracciato completamente dall'inizio: tale pregiudizio
completamente sintomatico della persistenza dell'illusione finalistica nella teoria
cartesiana. La conoscenza al contrario un'attivit - quest'idea essenziale in Spinoza
- e, come tale, non comincia mai veramente n in verit, perch ha cominciato da
sempre: ci sono sempre idee, dato che l'uomo pensa per sua natura. Per questo, se
gli viene negato il valore di una confutazione, l'argomento della regressione all'infinito
- che abbiamo fatto intervenire alcune pagine indietro - conserva una validit, poich
descrive semplicemente le condizioni nelle quali si produce la conoscenza, per un
concatenamento di idee assolutamente continuo e senza cominciamento assegnabile.
Il vero problema consiste nel sapere in che cosa si convertano queste idee che si
possiedono di fatto (habemus enim ideam veram), come sono trasformate, alla
maniera in cui pot trasformarsi un ciottolo per fare di esso un martello. Questa
trasformazione non pone solamente un semplice problema tecnico: non si tratta
principalmente di sapersi servire di queste idee, nella misura in cui non preesistono al
suo uso ma sono, al contrario, il suo risultato. Le idee dalle quali necessario
cominciare per arrivare a conoscere non sono verit innate sulle quali potrebbe
fondarsi una volta per tutte, come su una base infrangibile, un ordine delle ragioni, ma
sono un materiale da lavorare, che deve essere profondamente modificato per servire
ulteriormente alla produzione dalle verit.
Torniamo ad incontrare qui un argomento la cui importanza gi abbiamo constatato in
Hegel: la pretesa di un sapere originario, di un fondamento della conoscenza,
irrisoria. Questa disconosce in effetti il carattere necessariamente artificiale dei
cominciamenti ai quali condannato lo spirito nella sua storia effettiva: per
definizione, tutto ci che appare al cominciamento precario, incompiuto, condannato
a sparire, perch deve cedere il suo posto a ci di cui solo una condizione
preliminare. Questi cominciamenti si giustificano solo per la loro fragilit interna, per la
loro natura intrinsecamente contraddittoria, poich queste caratteristiche permettono
loro di giocare con efficacia il ruolo di spinta per un movimento che succede loro e li
elimina. Se una conoscenza possibile, lo precisamente per questa distanza che
stabilisce in rapporto al suo cominciamento: il quale non esce da questo per
sviluppare un contenuto che sarebbe gi dato positivamente in esso, ma per fuggire
dalla sua indeterminazione e dalla sua necessaria astrazione. Non c' introduzione al
sapere, non c' un buon metodo per conoscere, perch solamente nella sua pratica
effettiva che il pensiero pu essere riflesso come attivit reale di un spirito che mette
in esercizio, e alla prova, la sua propria forza (vis sua nativa), quella che esso forma
esercitandola.
Se la conoscenza non procede conformandosi ad un ordine di ragioni, fissandosi
astrattamente in un quadro che in seguito non gli resterebbe che occupare, perch

esiste fin dallinizio nella sua storia reale, nel suo lavoro effettivo. Possiamo dire che il
sapere un processo, il processo della produzione delle idee, ed questo ci che
giustifica che lo si confronti con un processo di produzione materiale. Questo si
chiarir completamente quando parleremo del concatenamento causale delle idee che
lo stesso di quello delle cose: un unico e medesimo ordine, un unico e medesimo
movimento che si esprime come reale e come pensato. Perci il sapere deve essere
presentato come un'attivit e non come una rappresentazione passiva, idea sulla
quale Spinoza torna instancabilmente: la conoscenza non il semplice sviluppo di una
verit prestabilita, bens la genesi effettiva di un sapere che non preesiste in nessun
modo alla sua realizzazione. Per questo anche il suo progresso non sottomesso alla
condizione di un'origine assoluta che ne garantirebbe la verit fondandola:
contrariamente ad un ordine formale, che determinato dal suo limite, una pratica
non comincia mai veramente, perch gi da sempre cominciata, di una maniera che,
pertanto, non pu essere mai vera. Vediamo che in Spinoza si trova anche l'idea di
una storia della conoscenza: questa non trova la verit come una norma fissata
all'inizio perch inseparabile dal movimento nel quale si costituisce e questo
movimento in s stesso la sua propria norma. In realt, quando Hegel rimprovera a
Spinoza di aver espulso della sua filosofia ogni movimento, erigendo davanti ad essa
l'ideale e il modello di un sapere morto, congelato dall'obbligo di riprodurre un ordine
inflessibile, dobbiamo stupirci di vederlo ignorare, o camuffare, una tendenza
essenziale dello spinozismo.
Un'idea, ogni idea, adeguata secondo la sua causa: nella sua determinazione
intrinseca, esprime la potenza di agire dall'anima in cui si produce. Ma questa potenza
non il potere astratto di una natura delimitata dalle sue condizioni, luce naturale nel
senso cartesiano, ma l'impresa concreta, si direbbe quasi materiale, di un pensiero
impegnato nello sforzo, nel lavoro della sua realizzazione. Nell'Etica, Spinoza si
propone di condurci come per mano alla conoscenza dello spirito umano e della sua
beatitudine suprema (premessa al libro II), e ci seguendo un ordine necessario di
dimostrazioni che dobbiamo seguire, senza potergli sfuggire. In cosa differisce
quest'ordine da un ordine delle ragioni nel senso cartesiano? In che cosa differisce la
via che ha aperto dalla via rigida, completamente determinata dalla condizione
preliminare di un metodo, e che ci conduce - lo sappiamo - alla finzione di un Dio
onnipotente e verace?
D'accordo con le premesse che abbiamo stabilito, necessario che c'imbarchiamo in
una lettura dell'Etica liberata da ogni pregiudizio formalista, scartando l'illusione di un
cominciamento assoluto. Sebbene l'esposizione della dottrina spinozista cominci con
definizioni, assiomi e postulati, sebbene cominci dalla sostanza, se non da Dio, ci non
significa affatto che queste nozioni primitive costituiscano in realt una fonte di verit
a partire dalla quale tutto quello che segue potrebbe essere semplicemente dedotto,
secondo uno sviluppo rigido e predeterminato, nella forma di una esplicitazione.
Sostanza, attributi, modi, tali come appaiono in questi principi preliminari, sono
propriamente l'equivalente di quel ciottolo mal levigato di cui ebbero bisogno i primi
fabbri per cominciare il loro lavoro: sono ancora nozioni astratte, semplici parole,
idee naturali che non riscuoteranno veramente un significato se non a partire dal
momento in cui funzionano in dimostrazioni, producendo effetti reali che esprimono di
tale maniera una potenza della quale non disponevano all'inizio. Forse bisognerebbe
approcciarsi all'Etica di Spinoza come alla Logica di Hegel: non quest'esposizione

lineare ed omogenea, uniformemente vera da un estremo all'altro, che esplorerebbe


progressivamente un ordine gi stabilito, fissandosi un ideale di conformit, ma un
processo reale di conoscenza che costruisce la sua propria necessit nella misura in
cui avanza, nel movimento effettivo del suo autoconcepimento, della sua genesi.
Pertanto la sostanza, o la causa sui, tale come ci si presenta allinizio in una
definizione geometrica, all'inizio del libro I dell'Etica, qualcosa che si avvicina
all'Essere in senso hegeliano: nozione precaria e come tale insostenibile che bisogner
trasformare per comprenderla e dominarla.
Tuttavia, l'accostamento che appena stato abbozzato trova abbastanza rapidamente
il suo limite: quello che costituisce in Hegel il motore dello sviluppo razionale, la
contraddizione, completamente assente della dimostrazione spinozista, e senza
dubbio sarebbe abusivo pretendere di trovarlo in essa. In Spinoza, il potere
dell'intelletto , in tutto il suo esercizio, integralmente positivo, affermazione di s che
esclude gli arretramenti e le sconfitte, che non comporta nessun tipo di negativit.
giusto interpretare questa assenza come il sintomo della difettosit specifica dello
spinozismo, come fa Hegel? Poich, insieme alla contraddizione che lo determina,
manca al sistema il movimento, cio quella vita interna che conduce allo spirito, o lo
riconduce, a s stesso, fino al punto in cui storia e ragione si congiungono: il pensiero
che aspira a un positivo che sia solo positivo pensiero morto e arrestato. Al contrario,
il concetto hegeliano messo costantemente alla prova dagli ostacoli che deve
superare per avanzare: la storia che percorre tanto pi reale e necessaria quanto pi
scandita da queste attese, per queste impazienze e quei rovesci che le fanno durare
realmente. Sebbene il sistema spinozista tratti alla sua maniera la conoscenza come
un processo, questo avanza di una maniera molto diversa dallo sviluppo hegeliano,
dato che perpetua una stessa affermazione assoluta. Ci significa che rimane
sottomesso alle leggi di una temporalit astratta, quella di un ordine
contemporaneamente simultaneo e successivo la cui progressione continua
puramente apparente? In tale caso la scoperta in Spinoza di un storicit del razionale
sarebbe effettivamente illusoria.
Per uscire da questa difficolt, bisogna osservare che alla storia spinozista manca non
solo il motore della contraddizione, ma anche quello che il suo prodotto pi
caratteristico: quell'orientamento cui tende il processo per intero in vista di un fine e
che il principio segreto di tutte le sue operazioni. L'aspetto fondamentale della
dimostrazione spinozista il suo rifiuto radicale di ogni teleologia. Nel caso di Hegel, la
contraddizione il mezzo che suscita una storia e che permette contemporaneamente
di superarla, portandola fino a quel termine nel quale tutti i suoi aspetti successivi
sono totalizzati e riconciliati. Da questo punto di vista, la dialettica hegeliana potrebbe
essere solo il sostituto della nozione classica di ordine, della quale riprende,
rinnovandola, la funzione di garanzia: col suo ricorso alla negativit, la storia,
ritornando su s stessa, avanza - perfino a costo di tante deviazioni - verso un fine che
anche il suo compimento e la sua realizzazione; storia ricorrente, perch orientata,
perch ha un senso che si afferma in maniera permanente in tutti i suoi momenti. In
tale caso il vero successore di Cartesio non sarebbe Spinoza, bens lo stesso Hegel.
Contrariamente allo sviluppo dello spirito hegeliano che essenzialmente finalizzato, il
processo della conoscenza come lo costruisce Spinoza assolutamente causale; come
tale, contemporaneamente necessario e libero da ogni norma prestabilita, e la sua
positivit non suppone nessuna nozione regolatrice che sottometta l'attivit
dell'intelletto ad un modello esterno, indipendente dal suo compimento. proprio per

questo che esclude ogni relazione col negativo, poich questa potrebbe annodarsi solo
in una prospettiva teleologica che disponesse una volta per tutte, uno in relazione
all'altro, il positivo e il negativo, condividendo un'intenzione comune e nella promessa
della loro riconciliazione. Se c' una storia spinozista, completamente indipendente
da tale presupposto. Essa si situa in quel punto in cui il suo sviluppo necessario, il suo
processo materiale, non richiede pi per essere compreso il riferimento ideale di un
senso o di un orientamento; la sua razionalit non ha nulla a che fare con lo sviluppo
obbligato di un ordine, perch non deve realizzarsi in un fine.

La conoscenza per mezzo delle cause


Cosa resta allora in Spinoza stesso del procedimento more geometrico? La fedelt
sempre menzionata ad un modello di dimostrazione che offrono le matematiche, non
va nel senso inverso a quello della nuova via nella quale si incammin Spinoza,
sostituendo alla determinazione formale della conoscenza come un ordine la sua
presentazione come un processo effettivo e non finalizzato? Per rispondere a questa
domanda, bisogna sapere cosa significa esattamente il riferimento costante di Spinoza
al procedimento more geometrico.
Anche qui vedremo che Hegel si sbagliato completamente circa il pensiero reale di
Spinoza presupponendo che fosse la continuazione di quello di Cartesio. In tale caso la
successione delle proposizioni che compone l'Etica non sarebbe niente pi che
un'applicazione dell'ideale di rigore formulato nel Discorso sul metodo, un esempio di
quelle lunghe catene di ragioni tanto semplici e facili che costruiscono i geometri
per arrivare direttamente a conoscenze certe. Ma il procedimento more geometrico
, al contrario, l'indizio di una divergenza fondamentale: lontano dallallineare Spinoza
alla problematica cartesiana della conoscenza, ci che gli permette di affermare
un'opposizione radicale rispetto ad essa.
Per comprendere il senso di questa opposizione, bisogna tornare al testo di Cartesio
nelle sue Risposte alle seconde obiezioni che Spinoza commenta attraverso la penna
dell'autore della sua prefazione, Louis Meyer54, all'inizio dei Principi della filosofia di
Cartesio. In quel testo, Cartesio distingue due maniere di dimostrare: una segue un
ordine analitico e risale dagli effetti verso le cause. quella che rappresenta una ratio
cognoscendi che abborda i suoi oggetti dal punto di vista della sua rappresentazione
nel pensiero secondo un movimento che accompagna la conoscenza nel suo
progresso: quest'ordine quello che Cartesio segu nelle sue Meditazioni. Ma la
dimostrazione pu anche, all'inverso, partire dalle cause per costruire, a partire da
esse, i suoi effetti: allora, dice Cartesio, essa si serve da una lunga serie di
definizioni, di domande, di assiomi, di teoremi e di problemi, di modo che, se gli sono
negate alcune conseguenze, essa faccia vedere come sono contenute negli
antecedenti ed ottenere il consenso del lettore, per quanto ostinato e testardo sia.
Ma questo metodo che seguirono gli antichi geometri non conviene tuttavia tanto
bene [come l'analisi] alle materie che appartengono alla metafisica [...] dove la
principale difficolt concepire chiaramente e distintamente le prime nozioni.
possibile senza dubbio trasformare un ordine di esposizione nell'altro: le Seconde
54

Sule condizioni in cui questa prefazione stata scritta, dietro le indicazioni di Spinoza, cfr. la lettera 13 a
Oldenburg.

Risposte terminano con un Compendio geometrico nel quale le prove dell'esistenza di


Dio sono precisamente more geometrico dispositae. Dispositae, il termine
significativo: l'ordine geometrico dispone le prove; come tale, non per Cartesio
che un ordine artificiale, appropriato solo per trattare certe questioni, ma che rimane
esteriore alla natura specifica dello spirito umano, estraneo alla sua luce naturale:
l'ordine sintetico rinvia ad una manipolazione formale delle idee, e come tale deve
essere scartato della metafisica a beneficio dell'ordine analitico, le cui esigenze sono
autenticamente razionali. Si vede che, quando Hegel giudica il metodo geometrico per
disprezzarlo, non si scosta di molto dalla concezione che Cartesio aveva gi avanzato
al riguardo.
Orbene, quando Spinoza adotta il procedimento more geometrico, proprio in
riferimento a questa critica che Cartesio le oppose, le cui considerazioni e conclusioni
respinge. Nei Principi della filosofia di Cartesio (more geometrico demonstratae, e non
dispositae) egli si incammina in un'impresa a prima vista abbastanza strana:
appoggiandosi al compendio geometrico dato da Cartesio a titolo di esempio (e come
una sorta di curiosit), riprende l'insieme della dottrina per dargli la forma
dimostrativa che le manca nelle Meditazioni. Spinoza respinge pertanto la gerarchia
delle preferenze stabilita dallo stesso Cartesio, che privilegi l'ordine analitico
nell'esposizione del suo sistema. Ma Spinoza non scarta solamente la forma nella
quale presentato il sistema: si sforza di far notare dal principio che non riconosce
neanche come vero il contenuto della dottrina. La traduzione geometrica che offre
Spinoza della filosofia cartesiana non un modo di dire la stessa cosa in maniera
differente, ma gi un modo di prendere posizione, di prendere distanza rispetto ad
essa.
L'Etica, nella quale Spinoza sviluppa un contenuto filosofico completamente differente
dal contenuto del sistema cartesiano, essa stessa ordine geometrico demonstrata,
cio esposta sinteticamente in una progressione che va delle cause agli effetti. Se
Spinoza adotta questa presentazione evidentemente che vede in essa qualcosa di
completamente differente da una disposizione formale della prova, cos come
l'interpretava Cartesio. Questa scelta significa che non c' un procedimento more
philosophico (analitico) distinto dal procedimento more geometrico (sintetico), un
ordine di investigazione distinto da un ordine di esposizione, una ratio cognoscendi
distinta da una ratio essendi. Tra le idee, come tra le cose, c' una sola ed unica
connessione, che va delle cause agli effetti, perch in s stessa necessaria: proprio
questa identit che determina, fuori da ogni garanzia soggettiva (sia questa
commisurata all'Io o a Dio, alla fine lo stesso), l'obiettivit della conoscenza, cio la
potenza che detiene naturalmente di esprimere la realt delle cose come sono in s, e
non solamente come sono per me. Si capisce cos che il procedimento more
geometrico la risorsa di cui ebbe bisogno di Spinoza per sfuggire la concezione
giuridica dalla conoscenza, che in Cartesio subordina ancora l'esercizio del pensiero
alle condizioni di un artificio.
Il processo della conoscenza, determinato sinteticamente, non mira pi alle cose cos
come sono per me, ma le coglie come sono in s. Viene quindi liberato completamente
dall'illusione finalista che, come si sa, procede per proiezione a partire da me; si
appoggia su una necessit strettamente causale, e questa la forma della sua
obiettivit. del tutto significativo, da questo punto di vista, che il libro I dell'Etica
finisca con quell'enunciato del principio di causalit, presentato in questi termini:

Niente esiste dalla cui natura non segua un qualche effetto. 55 Questo enunciato
possiede certe particolarit notevoli. Da un lato, formulato di una maniera
assolutamente generale, che non significa che la sua universalit sia astratta;
evitando di precisare a quale oggetto si applichi questo principio, Spinoza non vuole
indicare che indifferente ad ogni contenuto e che mira solamente ad un possibile
determinato formalmente, ma che esula da ogni distinzione di contenuto: il principio
vale per ogni realt, tanto per la natura naturata come per la natura naturante, nelle
quali si esercita identicamente. Ma anche se la relazione tra la causa ed i suoi effetti
prende una forma molto differente nel processo della causa sui da quella che prende
nell'concatenamento modale, poich nel primo caso questa relazione intrinseca,
mentre nel secondo estrinseca, essa continua in tutti i casi ad affermare una sola e
medesima necessit che non pu essere scissa ma deve, al contrario, essere
conosciuta come identica: in ci consiste precisamente il terzo genere di conoscenza.
D'altra parte, il principio di causalit, come lo enuncia Spinoza, investe letteralmente i
termini del principio tradizionale: la tanto conosciuta formula niente senza causa,
che procede in maniera analitica dell'effetto alla causa, sostituita dalla nuova
formula nessuna causa senza effetto, che procede al contrario dalla causa
all'effetto, sinteticamente, e che riassume in una semplice frase la concezione
genetica della conoscenza elaborata da Spinoza. Causa seu ratio, ratio seu causa.
in questo punto preciso che Spinoza rompe assolutamente con la problematica
cartesiana del metodo. Le Meditazioni risalgono dagli effetti alle cause, vanno dal
finito all'infinito, per esempio dell'anima umana a Dio, prendendo le cose nell'ordine
inverso a quello che le ha prodotte realmente, il quale va necessariamente delle cause
agli effetti: si comprende come da quel punto di vista la conoscenza sia in primo luogo
determinata come rappresentazione, poich riflette il reale nel pensiero e dal suo
punto di vista, conformandosi a criteri di validit che sono dati in esso dal principio e
che riproducono l'ordine reale invertendolo. Per Spinoza, al contrario, una conoscenza
adeguata "spiega" il suo oggetto nella misura in cui si afferma come identica ad esso,
non nella trasparenza di una rappresentazione conforme, bens nella comunanza di
ordine di una realt altrettanto necessaria.
Quest'ordine reale quello nel quale le cose sono state prodotte, e deve essere anche
quello delle idee: l'ordine genetico che va delle cause agli effetti, ed quello che
esprime in senso stretto il more geometrico.
"Hemos mostrado que la idea verdadera es simple, o compuesta de ideas simples, y
que revela cmo y por qu algo es o ha sido hecho; tambin hemos mostrado que
estos efectos objetivos ocurren en el alma de acuerdo con la esencia formal del objeto;
que es lo mismo que dijeron los antiguos (a saber, que la ciencia verdadera procede
de la causa al efecto) [...] [30]"
Abbiamo mostrato che l'idea vera semplice, o composta da idee semplici, e che
rivela come e perch qualcosa o stato fatto; abbiamo mostrato anche che questi
effetti oggettivi si succedono nell'anima d'accordo con l'essenza formale dell'oggetto;
che la stessa cosa che dicevano gli antichi (cio, che la vera scienza procede della
causa all'effetto) [...].56

55

Etica, I, prop. 36.

Il riferimento ad Aristotele qui particolarmente importante: vere scire est scire per
causas (Lewis Robinson indica i seguenti riferimenti: Secondi Analitici I C2, Metafisica
983a, Fisica II c3). Ma bisogna comprendere che tale riferimento non ha in assoluto il
significato di un ritorno alle fonti, che restaurerebbe una tradizione antica passando
sopra al moderno Cartesio. Spinoza in effetti si sforza di prendere le distanze anche da
tale tradizione:
[...] ma mai che io sappia, concepirono, come abbiamo fatto noi qui,
l'anima operare secondo leggi determinate e come un automa spirituale. 57
Gli Antichi (Aristotele) sono preferibili ai moderni (Cartesio) nella misura in cui
affermarono la necessit di una conoscenza per le cause. Ma non colsero il carattere
causale del processo del pensiero che procede, esso stesso, secondo le sue cause,
secondo un ordine necessariamente identico a quello delle cose: ignorarono pertanto
la natura delle vere cause, e di conseguenza dovettero presentare le conoscenze in un
ordine fittizio.
In effetti, per gli Antichi, la causa formale di un'idea un'universale astratto, genere o
specie, che rinvia alla potenza di immaginare che sta in noi, per la quale generiamo
liberamente finzioni secondo leggi che sono estranee alla conoscenza stessa. Ma,
per Spinoza - ed ci che significa la sua teoria dell'automa spirituale -, la causa di
un'idea risiede nella potenza dell'intelletto, colta non come il potere singolare di un
soggetto individuale, bens come la propriet eterna di un modo del Pensiero; cos, il
Pensiero, attributo infinito della sostanza, quello che si esprime in maniera
determinata in ogni idea e la genera adeguatamente.
En este punto, Spinoza est de acuerdo con Descartes, contra los Antiguos. Pensar es
proceder por operaciones singulares - intuitivas o deductivas -, es encadenar ideas
efectivamente presentes en el espritu ahorrndose el desvo por los universales, es
decir por las ideas abstractas: los entes de razn son puros posibles, slo tienen un
valor ficticio, y son los sntomas de un pensamiento esencialmente inadeado [32].
"Mientras tratamos de la investigacin de las cosas, nunca nos estar permitido inferir
algo de nociones abstractas [...]" [33]. "Nos es necesario, ante todo, deducir siempre
todas nuestras ideas de las cosas fsicas, o seres reales, avanzando, en lo posible,
segn la serie de las causas, de un ser real a otro ser real, sin pasar por las
abstracciones y los universales, no infiriendo nada real de ellos, ni infirindolos de
nada real; pues lo uno y lo otro interrumpen la marcha verdadera del entendimiento
[verum progressum intellectus]" [34]. Esa "marcha", el proceso real del saber, no
procede ni de las cosas a las ideas, ni de las ideas a las cosas, sino que va de idea en
idea, es decir que liga entre s actos de pensamiento, segn un orden causal necesario
que es el mismo que aqul en el cual las cosas se encadenan en la realidad. Ordo et
connexio rerum, idem ac ordo et connexio causarum, idem ac ordo et connexio
idearum.

56

Trattato sulla riforma dellintelletto, 85.

57 Ibid.

Su questo punto, Spinoza d'accordo con Cartesio, contro gli Antichi. Pensare
procedere per operazioni singolari - intuitive o deduttive -, concatenare idee
effettivamente presenti nello spirito evitando la deviazione per gli universali, cio per
le idee astratte: gli enti di ragione sono puri possibili, hanno solo un valore fittizio, e
sono essenzialmente i sintomi di un pensiero inadeguato [32]. 58 Mentre trattiamo
dell'investigazione delle cose, non ci sar mai permesso inferire qualcosa da nozioni
astratte [...] [33].59 necessario, innanzitutto, dedurre sempre tutte le nostre idee
dalle cose fisiche, o esseri reali, avanzando, per quanto possibile, secondo la serie
delle cause, da un essere reale ad un altro essere reale, senza passare per le
astrazioni e gli universali, non inferendo niente di reale da essi, n inferendo essi da
niente di reale; poich l'uno e l'altro interrompono la vera marcia dell'intelletto (verum
progressum intellectus).60 Questa "marcia", il processo reale del sapere, non procede
n delle cose alle idee, n delle idee alle cose, ma va da idea a idea, cio collega tra
s atti di pensiero, secondo un ordine causale necessario che lo stesso di quello nel
quale le cose si concatenano nella realt. Ordo et connexio rerum, idem ac ordo et
connexio causarum, idem ac ordo et connexio idearum.
Il more geometrico funziona dunque nella cornice di una strategia filosofica
complessa, ed il dispositivo teorico al quale corrisponde produce un doppio effetto,
poich pone contemporaneamente Aristotele contro Cartesio ed Cartesio contro
Aristotele. Spinoza non mette in gioco il machiavellismo solamente nella sua politica.
Aristotele contro Cartesio: privilegia il metodo genetico che procede sinteticamente
delle cause agli effetti ed obbliga cos ad identificare l'ordine delle cose e quello delle
idee. Cartesio contro Aristotele: scarta la concezione astratta, al tempo stesso formale
ed empirica, della conoscenza, a favore di un pensiero in atto, effettivamente presente
nelle idee che esprimono la sua potenza. Ma bisogna saper comprendere che questa
critica dell'astrazione non ci porta, per riprendere una formula ben conosciuta di
Cavaills, da una filosofia del concetto ad una filosofia del giudizio: il pensiero che si
afferma in ciascuna idea non la manifestazione di un soggetto libero che regna sui
prodotti della sua creazione come un re nel suo regno (l'Io o Dio: uno non pi che
l'immagine dell'altro), ma egli stesso dipende dal processo reale obiettivo che mette in
relazione l'idea singolare, come modo del pensiero, con la sostanza che si esprime ed
agisce in lei. Pertanto, n Aristotele n Cartesio: Spinoza.
Il movimento del pensiero procede con la stessa necessit di ogni realt. Gli uomini
pensano: questo assioma esprime, con l'evidenza materiale di un fatto, il carattere
assolutamente naturale di tale processo; questo deve essere sottoposto alle sue leggi
proprie, che dirigono il movimento dell'automa spirituale. Qui vediamo fino a che
punto Spinoza vicino a Hegel: stabilendo una relazione necessaria tra il sapere ed il
processo della sua produzione, gli permette di cogliersi come assoluto, e cos cogliere
l'assoluto; preso fuori da questo sviluppo oggettivo, la conoscenza non altro che la
rappresentazione formale di una realt della quale offre solo l'illusione astratta. Ma
Spinoza si allontana anche da Hegel: facendo del pensiero un attributo della sostanza,
ne costituisce il movimento come assolutamente oggettivo e lo libera da ogni
58 Etica, scolio I della prop. 40, libro II .
59

Trattato sul la riforma dell'intelletto, 93.

60

Ibid., 99.

riferimento ad un soggetto, perfino se questo fosse il pensiero stesso. A partire da qui,


la causalit essenziale che sta nella base di ogni razionalit si definisce senza
presupposto teleologico. La forma pi sottile di questo presupposto sarebbe data da
un pensiero, soggetto autonomo della sua propria attivit, che si rapporta a s stesso
come meta della sua realizzazione: questa concezione di un pensiero che ritorna su s
stesso, a s stesso, come un soggetto, e si appropria di ogni realt effettuandosi,
precisamente la chiave dell'idealismo hegeliano. Allora l'interpretazione che Hegel
propone dello spinozismo comincia a vacillare: il pensiero di Spinoza non la
promessa incompiuta di una dialettica prematura, ancora impossibile, ma gi la
critica di una perversione della dialettica nella quale Hegel stesso si incammin
producendo il concetto di Logica soggettiva. Hegel qui, a quanto appare, quello
che deve rendere conto a Spinoza.

Idea adeguata ed idea inadeguata


Nella strategia della conoscenza elaborata da Spinoza, il procedimento more
geometrico ha quindi una posizione essenziale, che non conduce ad una concezione
formale della verit bens a presentarla, al contrario, come un processo necessario,
oggettivamente determinato. Essa ha, inoltre, come conseguenza un cambiamento
completo della relazione tradizionale stabilita dai filosofi, da Cartesio in particolare, tra
la verit e l'errore. Le famose pagine nelle quali Hegel denuncia i pensieri astratti che
oppongono rigidamente la verit all'errore possono leggersi gi in Spinoza;
certamente sono scritte di una maniera totalmente differente e producono effetti
inammissibili per lo spirito hegeliano.
Nell'assioma 5 del libro I dell'Etica, Spinoza afferma l'accordo (convenientia) dell'idea
vera col suo oggetto. Questa proposizione, che non una definizione, non esprime il
carattere intrinseco dell'idea vera: non la costituisce a partire dalla sua causa, ma la
caratterizza solo a posteriori per una delle sue propriet, come lo conferma la
definizione 4 del libro II quando distingue i caratteri estrinseci ed intrinseci dell'idea
vera. La nozione di convenientia che relaziona l'idea con l'oggetto che sta fuori di
essa, designa evidentemente un carattere estrinseco. La definizione causale dell'idea
vera determina questa, al contrario, per la sua adaequatio: questo concetto,
essenziale in Spinoza, quello che segna la sua rottura con la concezione tradizionale
della conoscenza. In effetti, per adaequatio bisogna pensare tutto il contrario di ci
che si espone come convenientia.
Adaequatio la determinazione intrinseca dell'idea vera, cio ci che produce la sua
verit nell'idea. Bisogna prendere molto seriamente l'affermazione per la quale questa
determinazione interna all'idea: non c' necessit di uscire dall'idea, di andare verso
un esterno, che sarebbe per esempio il suo oggetto, per affermare l'esistenza
necessaria del suo contenuto, che essa effettivamente contiene, poich scopre la
sua realt rimanendo nei suoi propri limiti. Ci troviamo qui, apparentemente, nella
punta estrema di un idealismo: l'autosufficienza dell'idea la sottrae ad ogni
determinazione esterna, e pertanto ad ogni criterio di oggettivit, nel senso
tradizionale di questo termine. Ma un eccesso di idealismo pu confinare anche con un
materialismo, o almeno produrre certi effetti materialisti.
La funzione essenziale della categoria di adaequatio rompere con la concezione della
conoscenza come rappresentazione, che domina ancora nel cartesianismo. Conoscere,

nel senso di rappresentare, ra-presentare, letteralmente riprodurre, ripetere: l'idea


allora solamente un doppio, un'immagine della cosa di cui offre la rappresentazione e
che esiste, e sussiste, fuori di essa. Qual la cosa essenziale in questo schema
empirista, quello che il materialismo volgare ha assunto? il presupposto che l'idea,
rappresentazione di un oggetto per o in un soggetto, abbia fuori di s il suo contenuto,
contenuto che pu quindi solo imitare, designare, simulare, indicare, o anche, come si
dice, riflettere. A partire da ci, il problema della conoscenza consiste nella
giustificazione di quella relazione di conformit tra l'idea e l'oggetto al quale si
riferisce, e questo non possibile se non per la scoperta di una garanzia che confermi
la validit, oppure la oggettivit della relazione estrinseca tra forma e contenuto
della conoscenza.
Per esempio, si sa che Cartesio, essendosi proposto in primo luogo di stabilire la verit
delle idee solo in base alla loro evidenza interna, scopre l'insufficienza di quello criterio
- formale in s stesso - e la necessit di ottenere una garanzia superiore di oggettivit:
questa sicurezza infrangibile che resiste perfino alla prova di un dubbio iperbolico
data da un Dio non ingannatore ed onnipotente, creatore delle verit eterne, dal quale
dipende che le nostre idee abbiano un contenuto fuori di noi, contenuto al quale
corrispondono in maniera esatta e che ci consentono di conoscere. Questo Dio verace
anche il dio meccanico che aggiusta il sistema della natura e ne mantiene l ordine
con leggi imperiose ed irrefutabili: egli che adatta le idee alle cose ed assicura cos
che sappiamo veramente ci che sappiamo, fuori da ogni rischio di illusione. Questo
sistema esemplare di garanzia, incarnato in un Essere onnipotente, che regna sulle
nostre idee come un re sui suoi sudditi, permette anche di stabilire una stretta
separazione tra, da un lato, l'ordine di ci che vero, voluto da Dio, al quale
necessario che ci sottomettiamo, e, d'altra parte, il disordine di ci che esiste fuori di
quei limiti e costituisce l'universo vago, anomico e minacciante l'errore.
necessario spendere qualche parola circa la teoria dell'errore sviluppata per
Cartesio, poich Spinoza la prese come uno dei suoi bersagli principali. Secondo
questa, l'idea falsa non pu essere voluta da Dio, in ragione della perfezione della sua
natura che, al contrario, garantisce tutte le verit. L'errore ci che Dio non avrebbe
potuto creare senza contraddizione; esso , allora, nel dominio della conoscenza,
strettamente imputabile alla natura umana e alla parte, strettamente negativa, del
libero arbitrio che gli corrisponde. Il libero arbitrio paradossalmente in Cartesio ci
che imparenta la natura umana con la natura divina, poich infinito in noi come in
Dio, ma qui l'identit che si stabilisce quella di un'immagine inversa, perversa,
diabolica. Ingannarci , in qualche modo, l'unica maniera che noi stessi abbiamo di
essere creatori, onnipotenti sull'opera che dipende dalla nostra iniziativa assoluta; ma
si tratta di una caricatura irrisoria della creazione divina, imitazione maligna di questa,
che riproduce negativamente, in tracciati di ombra, ci che Dio stesso iscrisse una
volta per tutte nella ragione a caratteri luminosi. L'errore allora imputabile a quella
porzione di nulla che persiste in noi e che la marca propria della nostra indegnit. Da
qui una conseguenza essenziale: se ci sbagliamo, perch lo vogliamo; quindi, anche
il migliore rimedio contro l'errore si trova nel libero arbitrio che lo ha generato: basta
voler fare un buon uso della nostra libert, del nostro potere di giudicare, e con ci ci
sottomettiamo al decreto divino, resistendo a quel peso che c'attrae verso il basso,
sospendendo gli effetti di questa negativit che sola c'appartiene e c'oppone all'ordine
della verit. Pertanto, tra un vero puramente positivo, che esprime l'onnipotenza di un
creatore autentico, ed un falso puramente negativo, che esprime solamente la

debolezza di una creatura ed il suo sforzo insensato per occupare il posto del suo
padrone, vi una separazione assoluta, un limite netto, una distinzione che non
possibile ignorare: essa che mette tanto la verit quanto l'errore nel posto che
corrisponde loro e proibisce ogni comunicazione tra essi.
Ahora bien, Spinoza, tal como lo hemos visto, rechaza ligar el acto del conocimiento a
la iniciativa de un sujeto (Dios en el caso de la verdad, nosotros en el caso del error),
rechaza tambin la separacin estricta, la oposicin que sta establece entre la
verdad y el error. Primero, es cierto que, cuando nos equivocamos, no hacemos uso, ni
siquiera de una maniera nefasta, de nuestro libre arbitrio: por el contrario, nos
encerramos en el orden implacable de la ilusin y del desconocimiento,
inevitablemente engendrado por el punto de vista de la imaginacin. El error es un
mecanismo regulado por las condiciones ms estrictas, que son tambin las de
nuestra ordinaria esclavitud. "Las ideas inadecuadas y confusas se siguen unas de
otras con la misma necesidad que las ideas adecuadas, es decir, claras y distintas"
[35]. Cuando poseemos la verdad, no accedemos por ello ms a la dignidad de un
sujeto creador: no slo porque todas las ideas son verdaderas en Dios, y por lo tanto
fuera de nuestra iniciativa, sino porque en Dios msmo ellas estn sometidas a las
leyes necesarias que las encadenan unas a otras, segn un orden que es tambin el
de las cosas y del que pueden apartarse. As, tanto en el saber como en la ignorancia,
si alma se revela ser slo un "autmata espiritual" que funciona a partir de
determinaciones objetivas, fuera de toda posibilidad de intervencin - incluso si sta
estuviese reservada a la iniciativa de un ser perfecto -, y por ello mismo por encima de
toda obligacin. Tanto las ideas verdaderas como las falsas se explican por sus causas:
vemos as aparecer entre ellas una comunidad fundamental que prohibe que se las
reparta en dos rdenes diferentes y se las ubique a ambos lados de un lmite ya
trazado, el mismo que separa lo negativo de lo positivo.
Orbene, Spinoza, come abbiamo visto, rifiuta di legare l'atto della conoscenza
all'iniziativa di un soggetto (Dio nel caso della verit, noi nel caso dell'errore), respinge
anche la separazione stretta, l'opposizione che questa stabilisce tra la verit e l'errore.
In primo luogo, certo che, quando ci sbagliamo, non facciamo uso, neanche di una
maniera nefasta, del nostro libero arbitrio: al contrario, ci rinchiudiamo nell'ordine
implacabile dell'illusione e dell'ignoranza, inevitabilmente generato dal punto di vista
dell'immaginazione. L'errore un meccanismo regolato da pi strette condizioni che
sono anche quelle della nostra ordinaria schiavit. Le idee inadeguate e confuse si
succedono le une alle altre con la stessa necessit delle idee adeguate, cio, chiare e
distinte.61 Quando possediamo la verit non accediamo per ci affatto alla dignit di
un soggetto creatore: non solo perch tutte le idee sono vere in Dio, e pertanto fuori
della nostra iniziativa, ma anche perch in Dio stesso esse sono sottomesse alle leggi
necessarie che le concatenano le une alle altre, secondo un ordine che anche quello
delle cose e dal quale possono allontanarsi. Cos, tanto nel sapere quanto
nell'ignoranza, lanima si rivela non essere che un "automa spirituale" che funziona a
partire da determinazioni oggettive, fuori da ogni possibilit di intervento - perfino se
questa fosse riservata all'iniziativa di un essere perfetto -, e per ci stesso al di sopra
di ogni obbligo. Tanto le idee vere come le false si spiegano con le loro cause: vediamo
61

Etica, II, prop. 36.

cos apparire tra esse una comunanza fondamentale che proibisce che le si spartisca
in due ordini differenti e le si ponga in entrambi i lati di un limite tracciato, lo stesso
che separa il negativo dal positivo.
Per Spinoza, le idee non sono immagini, rappresentazioni passive, e non riproducono,
in maniera pi o meno corretta, realt che sarebbero loro esterne, o almeno non
questo ci che le costituisce come vere. ci che egli esprime in una formula
sorprendente, che parla evidentemente contro Cartesio: le idee non sono mute
pitture in un quadro, finzioni che alludono ad una realt o un modello che
sussisterebbe fuori di esse ed al quale al massimo potrebbero somigliare. Le idee,
tutte le idee, sono atti, cio affermano in se stesse sempre qualcosa, secondo una
modalit che rimanda alla loro causa, cio, in ultima istanza, alla sostanza che si
esprime in esse nella forma di uno dei suoi attributi, il pensiero. L'anima un automa
spirituale perch non soggetta al libero arbitrio di un soggetto la cui autonomia
sarebbe comunque fittizia: proprio per questo che le idee non sono forme
automatiche, quelle che riproduce, per esempio, la macchina copiatrice della realt
inventata dai filosofi che vogliono a tutti i costi separare il vero dal falso. Non c'
soggetto di conoscenza, neanche Verit che, al di sopra delle verit, disponga in
anticipo la sua forma, perch l'idea vera in s stessa - singolare, attiva ed
affermativa -, in assenza di ogni determinazione estrinseca che la sottometta all'ordine
delle cose o ai decreti del creatore.
Qui incontriamo ancora una volta l'idea di adeguazione che significa
fondamentalmente che l'idea vera non si riferisce se non a s stessa, poich cos
come la genera la sostanza, secondo il concatenamento delle determinazioni che
costituisce la sua forma nell'attributo pensiero, concatenamento che, d'altra parte, si
produce in maniera identica in tutti i suoi altri attributi. La adaequatio allora la
chiave della veritas, poich esprime questa relazione intrinseca dell'idea con se
stessa. ci che dice per esempio la lettera 50 a Tschirnhaus: Tra l'idea vera e l'idea
adeguata, non riconosco un'altra differenza che la seguente: la parola 'vera' si riferisce
unicamente all'accordo (convenientia) dell'idea con il suo ideale, mentre la parola
'adeguata' riguarda la natura dell'idea in s stessa; quindi non c' in realt nessuna
differenza (revera) tra queste due sorta di idee, se non questa relazione estrinseca. In
realt, la stessa cosa parlare di idee vere e di idee adeguate, ma, se si cerca di
spiegarle, qualcosa di completamente differente. Contro il significato immediato,
letterale, della parola, che mette nell'idea di adeguazione quella di accordo, cio
quella di un aggiustamento esterno, Spinoza esprime per la categoria di adaequatio
questa necessit o causalit interna dell'idea che la lega a s stessa, per mezzo di
tutte le altre idee dalle quali dipende nell'attributo del pensiero, e che fa di essa
un'affermazione singolare, un atto, della sostanza assolutamente infinita. Cos come le
cose, come tutto ci che esiste, le idee sono soggette ad un ordine causale che le
spiega totalmente.
La funzione dell'idea di adeguazione quindi in primo luogo critica. Essa ci che
permette di scartare dalla determinazione causale dell'idea tutto quello che dipende
da un altro ordine, per esempio quello secondo il quale l'ideato, il suo oggetto, esiste
anche necessariamente: Intendo per idea adeguata un'idea che, in quanto
considerata in s stessa, senza relazione all'oggetto, possiede tutte le propriet o
denominazioni intrinseche di un'idea vera.62 Tra le idee e le cose non c' una
62

Etica, II, def. 4.

relazione di corrispondenza che sottometta le une alle altre, ma un'identit causale


che stabilisce per ognuna di esse la necessit del suo ordine, o del suo movimento, o
meglio ancora del suo processo proprio. Cos, le idee non si formano a somiglianza di
oggetti che rappresenterebbero o dai quali deriverebbero come da un'origine, in
maniera tale che si possa trovare nell'idea quello era dato prima nella cosa: [...] n le
idee degli attributi di Dio n quelle delle cose singolari riconoscono come causa
efficiente le cose ideate da esse, cio, le cose percepite, bens Dio stesso, in quanto
cosa pensante.63 Ma neanche si pu dire, viceversa, che le cose stesse sono state
create ad immagine di idee a partire dalle quali sarebbero state formate e di cui
sarebbero la manifestazione, di maniera tale che si trovi nella cosa quello che era dato
in primo luogo nell'idea: [...] l'essere formale delle cose che non sono modi di
pensare non segue dalla natura divina in virt del fatto che questa conosca
anticipatamente le cose, ma le cose sulle quali vertono le idee derivano e finiscono
allo stesso modo dei suoi attributi, e con la stessa necessit con la quale abbiamo
mostrato che derivano le idee dall'attributo del Pensiero. 64 Questa affermazione
evidentemente simmetrica alla precedente: le cose non sono state create da Dio in
conformit ad un'idea preliminare di cui sarebbero la realizzazione; ugualmente, le
idee non provengono dalle cose delle quali darebbero una rappresentazione. Spinoza
denuncia qui due errori inversi, che sono alla fine equivalenti, dato che rimandano ad
un stesso presupposto: quello della subordinazione gerarchica degli attributi e delle
loro affezioni. Ma il concatenamento causale si compie totalmente nella forma di
ciascun attributo, in una maniera che non lascia nulla a desiderare e che proibisce
ogni comunicazione, e perfino ogni comparazione, tra gli attributi.
E cos come, tra l'idea e l'ideato, non c' pi oramai una relazione di conformit che
metta l'uno sotto la dipendenza dell'altro, qualunque sia il senso nel quale si effettui
questa riduzione: questo il significato della famosa formula del Trattato della riforma
dell'intelletto: una cosa il cerchio ed un'altra l'idea del cerchio (33). Deriva da ci
che l'idea, che determinata solamente in s stessa, cio nel suo concatenamento
con le altre idee che costituiscono l'attributo del pensiero, perde ogni oggettivit nel
senso immediato del termine, cio ogni relazione con l'oggetto del quale l'idea? Non
affatto cos, essenzialmente per due ragioni. La prima che l'idea stessa una cosa,
nella misura in cui determinata causalmente, come lo sono tutte le affezioni della
sostanza; in maniera tale che pu essere l'oggetto di un'idea, propriet molto
importante della quale torneremo a parlare. D'altra parte, l'idea singolare, per la sua
posizione nell'ordine e la connessione degli elementi che formano nel suo insieme il
pensiero, identica all'ideato, in tanto che questo occupa esattamente la stessa
posizione nell'ordine e la connessione del suo proprio attributo, qualunque esso sia.
Orbene, quest'ordine lo stesso del precedente, dato che tutti gli attributi esprimono
allo stesso modo la sostanza, senza privilegio gerarchico che implichi la
subordinazione di uno all'altro. proprio perch comunica con quell'ideato solo per
lintermediazione della sostanza stessa, nella quale tutto ci che si compie sotto la
forma di ciascun attributo identico, che l'idea gli adeguata: essa coincide
assolutamente con esso, in una maniera che non lascia niente a desiderare. Allora
acquista senso l'assioma 5 del libro I dell'Etica che afferma altres la convenienza
63

Etica, II, prop. 5.

64

Etica, II, corollario alla prop. 6.

dell'idea vera col suo oggetto. Tra l'idea adeguata ed il suo oggetto c' senza dubbio
corrispondenza; nonostante la relazione ordinaria tra questi due termini sia invertita:
l'idea vera non adeguata al suo oggetto perch gli corrisponde; bisogna dire, al
contrario, che gli corrisponde perch adeguata, cio, determinata in s stessa in
maniera necessaria.
Da ci risulta una conseguenza molto importante: un'idea non pu essere pi o meno
adeguata, alla maniera di una rappresentazione che imita pi o meno bene il suo
modello e che pu essere misurata essa stessa per questo grado di conformit. La
teoria dell'idea adeguata elimina dall'ordine della conoscenza ogni normativit, nel
momento stesso in cui impedisce il ritorno dell'illusione finalista che assedia le teorie
classiche della conoscenza. L'idea completamente adeguata nella misura in cui
cos necessariamente, in assenza di ogni intervento di un libero arbitrio: qui sta la
chiave della sua oggettivit. Spinoza esprime questo in una formula provocatoria:
Tutte le idee, in quanto sono riferite a Dio, sono vere. 65 [39] In quanto riferite a
Dio, cio in quanto sono comprese secondo la necessit causale del processo che le
ha generate. Da questo punto di vista, tutte le idee sono adeguate, tutte le idee sono
vere. Tutte le idee, cio anche le idee inadeguate o confuse: le idee false sono anche a
loro modo vere. Per questo Spinoza scrive: verum index sui et falsi. C' nella natura
stessa del vero qualcosa che fa riferimento alla possibilit dell'errore e che lo spiega.
All'inverso, Cartesio stabilisce tra la verit e l'errore una separazione insormontabile
per diritto (perfino se non lo fosse di fatto), la quale obbligava a cercare un'origine
specifica dell'errore costruendo una teoria del libero arbitrio umano. In Spinoza, al
contrario, la teoria dell'errore compresa fin dallinizio in quella della verit e fa corpo
con essa: le idee false sono anche idee singolari e, tanto in un caso come nell'altro, il
problema sapere come sono prodotte necessariamente.
L'espressione tradizionale distinguere il vero dal falso riscuote allora nella dottrina
di Spinoza un significato completamente nuovo. Non indica il limite ideale che traccia
tra due ordini irriducibili una prescrizione o una proibizione che alla buona volont
inerisce rispettare, ma rimanda alla differenza tra modi di conoscenza. Orbene,
Spinoza intende per modo di conoscenza una certa maniera di entrare in relazione con
le idee, essa stessa determinata praticamente da un modo di essere, cio dalle
condizioni di esistenza: l'ignorante anche un schiavo. Ci sono pratiche distinte della
conoscenza che dipendono da tutto un insieme di determinazioni materiali e sociali.
Cos l'immaginazione non , seguendo un'espressione corrente nell'epoca classica, un
genere di conoscenza, una potenza di errore, cio, il potere di generare certe idee
che siano false in loro stesse. Perch nelle idee non c' niente di positivo in virt del
quale si dicano false66: [40] ci che falso, cio ci che ci mette in un certo stato di
illusione, una relazione determinata con le idee, con tutte le idee, che fa che le
percepiamo, potremmo dire perfino che le viviamo, in una maniera inadeguata,
mutila e confusa.
Un'idea non allora mai falsa in s stessa. Questo vuol dire che non neanche mai
vera in s stessa? Tale precisamente la tesi di Cartesio: prese in se stesse, le idee
sono rappresentazioni passive e non sono n vere n false; la verit una funzione del
giudizio che anima queste idee per intermediazione della volont: questa che d loro
65

Etica, II, prop. 32.

66

Etica, II, prop. 33.

o nega il suo assenso alle rappresentazioni del pensiero e le dichiara conformi o non
conformi alla realt. Da questo punto di vista, se c' nella conoscenza un elemento
attivo (come appare per esempio nella teoria cartesiana dell'attenzione), questo
essenzialmente soggettivo, dato che dipende dall'affermazione dell'io che proferisce i
giudizi e che fa uso della sua libert nell'accordare o negare credibilit alle idee che gli
propone l'intelletto. Niente di simile in Spinoza, che respinge la distinzione cartesiana
dell'intelletto e della volont: il carattere attivo della conoscenza non rinvia
all'iniziativa di un soggetto libero, ma l'idea stessa che attiva, in quanto esprime in
maniera singolare la causalit infinita della sostanza; come tale, non potrebbe essere
indifferente al suo contenuto di verit, alla maniera di una rappresentazione passiva.
Considerata in Dio, secondo il concatenamento causale che la suscita, l'idea sempre
vera, adeguata alle sue condizioni. Che cosa ci che conduce dunque, se del caso,
ad identificarla anche come falsa?
Quando Spinoza definisce la falsit come una privazione di conoscenza 67 [41], non
vuole dire con ci che intrinsecamente qualcosa di negativo, e pertanto esteriore
all'ordine della conoscenza, bens, al contrario, che pu essere compresa solo in
relazione alla conoscenza, della quale costituisce un modo. L'idea inadeguata
un'idea incompleta nella misura in cui non la cogliamo se non mutilandola: in s
stessa, in Dio, adeguata, ma, se la comprendiamo in una maniera parziale, questo
c'impedisce di percepire la sua necessit, ed di questa contingenza, le cui cause
reali stanno in noi, che deriva l'illusione di un libero arbitrio.
Bisogna riprendere qui un esempio ben conosciuto: l'immaginazione, che una forma
di comportamento, una maniera di vivere realizzata materialmente e socialmente
nell'esistenza soggiogata dello schiavo, ci rappresenta il sole a duecento passi, ma
scopriamo che questa percezione falsa dopo che la ragione ci spiega che il sole non
quella voluminosa palla rotonda che brilla nel nostro orizzonte, ma l'astro dal quale
siamo molto lontani e che si trova nel centro di un sistema di stelle del quale
occupiamo solamente una parte. Cos che distingue la rappresentazione immaginaria
dalla conoscenza vera? il punto di vista dal quale origina la conoscenza, e con esso il
nostro modo di conoscere. Nel caso dell'immaginazione, la conoscenza soggetta al
punto di vista di un soggetto libero che si situa al centro del sistema delle sue
rappresentazioni e che costituisce questo sistema come se fosse autonomo, come un
impero in un impero; allora, in quest'universo umano apparentemente libero, il sole
figura come un voluminoso mobile che orna l'arredamento della vita e trova rispetto
ad essa il suo posto ed il suo uso, perch, giustamente, il proprio dell'immaginazione
rinvia tutto all'io. Ma se cambio la mia vita ed smetto di "rappresentarmi" la realt in
relazione a me stesso, cio in relazione a certi fini, come se la realt non fosse pi
fatta che per il mio uso, vedo le cose in un modo completamente differente: in un
universo assolutamente decentrato, dato che, nella sua totale oggettivit, non pu
dipendere dall'iniziativa di un soggetto, quale che sia, perfino un creatore onnipotente;
le cose non dipendono pi da un ordine arbitrario ma si relazionano le une alle altre in
un concatenamento causale necessario, in assenza di ogni determinazione da certi
fini.
Rappresentarsi immaginariamente la realt e conoscerla adeguatamente sono
pertanto due cose completamente differenti. Tuttavia, anche nella rappresentazione
immaginaria, della quale abbiamo appena dato un esempio, deve esserci qualcosa di
67

Etica, II, prop. 35.

adeguato, qualcosa di vero. In effetti, se noi, e la maggioranza degli uomini,


consideriamo la realt da un punto di vista immaginario, non perch cos vogliamo,
per un comportamento la cui responsabilit giuridica avremmo a carico, ma perch
non possiamo considerarla altrimenti: cos bisogna prendere alla lettera l'idea che
siamo schiavi dell'immaginazione. Nella vita che questa ci costruisce, il libero arbitrio
stesso solo un'illusione necessaria dalla quale non possiamo sfuggire.
L'immaginazione ignora le cause che determinano realmente la nostra attivit ma non
le sopprime; in tale senso, c' nella conoscenza inadeguata qualcosa che non
puramente soggettivo e che vero, esso stesso, alla sua maniera. Per questo, quando
conosciamo adeguatamente la realt, quando sappiamo, dal punto di vista razionale
della necessit, che il sole non sta, come ce lo rappresentiamo spontaneamente, a
duecento passi, non smettiamo tuttavia di vederlo come ci apparso fin dallinizio dal
punto di vista dell'immaginazione.68 Miglio ancora: sappiamo che ci apparso cos
necessariamente e che non poteva essere altrimenti. Il saggio non quello che, con
decisione volontaria di riformare una volta per tutte il suo intelletto, ha eliminato una
volta per sempre da questo tutte le idee false che potrebbero trovarsi in esso e ha
soppresso dalla sua propria esistenza, di questa maniera, tutti gli effetti del modo di
conoscenza immaginario: il semi-saggio (idiota) quello che crede di essersi liberato
di tutte le sue passioni, mentre esse non gli appartengono veramente e non dipendono
da lui; l'uomo libero, al contrario, sa fare i conti con esse, poich ha colto
adeguatamente in che maniera sono necessarie. Verum index sui et falsi: il vero
espone il falso anche nella sua obiettivit, fino a quel punto limite in cui smette di
apparire come falso per mostrare la sua propria verit.
Che cos' allora ci che vero nell'idea falsa? Riprendiamo l'esempio del sole che
vediamo dapprima a duecento passi. Quest'idea in Dio adeguata e vera. In noi,
un'idea mutilata e confusa perch la cogliamo in maniera incompleta, in una maniera
tale che si presenta come slegata della sua causa. Perch questa rappresentazione
immaginaria tuttavia adeguata? Perch indica oggettivamente qualcosa di
completamente differente dall'ideale al quale spontaneamente la rinviamo, il sole: ci
che essa esprime di fatto la disposizione del nostro corpo che c'induce a formarci
una percezione del sole che svia la sua realt. Cos, l'immagine falsa in relazione
all'oggetto al quale mira. Ma ci non significa che sia una rappresentazione puramente
illusoria, un'idea senza oggetto la cui apparenza possa dissolversi solo respingendola.
In effetti, un'idea, una vera idea, se non un'idea vera; come tale, adeguata, e
corrisponde ad un oggetto che non quello che gli attribuiamo immediatamente e si
trova in un posto differente da quello nel quale spontaneamente l'ubichiamo: non l
dove si trova obiettivamente il sole reale del quale abbiamo un'immagine mutilata e
confusa, ma qui dove stiamo, col nostro corpo che c'impedisce di avere del sole una
rappresentazione esatta. L'immagine falsa del sole un'idea vera se la rimettiamo alla
nostra propria esistenza corporale. In che senso dunque inadeguata? Nella misura in
cui separata della conoscenza del suo oggetto che essa sostituisce con un altro
contenuto. Pascal ha espresso lo stesso ragionamento con una concisione penetrante:
[...] Bench le opinioni del popolo siano sane, lo sono nella testa, poich esso pensa
che la verit sta dove non sta [...] (Pensieri, Brunschwicg 335).
La libert del saggio non consiste nel sopprimere le passioni e gli effetti della servit,
bens nel modificare la relazione con le sue passioni e con le immagini che le
68

Etica, IV, scolio alla prop. 1.

accompagnano o le suscitano: riconoscendo anche la necessit che esse esprimono


alla loro maniera, le trasforma in passioni allegre, in immagini chiare, che si spiegano
nella totalit della loro determinazione. In questo consiste specificamente la politica
spinozista, poich la conoscenza, che dipende in primo luogo dai modi secondo i quali
la si pratica, anche questione di politica.
Questa deviazione, senza dubbio troppo breve in relazione alla complessit reale della
teoria spinozista dell'immaginazione, ci permette di mettere in evidenza il carattere
totalmente originale della concezione della verit che ne deriva. Questa singolarit
manifesta in due punti essenziali: la determinazione intrinseca della verit a partire
dalla categoria di adeguazione e la relazione immanente tra verit ed errore che ne
la conseguenza. Su questi due punti, sembra che Spinoza anticipi tesi che saranno
sviluppate anche da Hegel.
Infatti Hegel oppone alla concezione dogmatica, metafisica, costretta della verit,
una concezione speculativa che dallinizio costituisce la verit nella relazione del
pensiero con se stesso:
Abitualmente, denominiamo 'verit' l'accordo di un oggetto con la nostra
rappresentazione. In questo caso presupponiamo un oggetto al quale la
rappresentazione che abbiamo di esso deve essere conforme. In senso
filosofico, invece, verit significa, se lo si esprime astrattamente in una
maniera generale, accordo di un contenuto con s stesso. 69
Non bisogna intendere, allora, come verit, da un punto di vista filosofico, una
propriet, una relazione formale, estrinseca, dell'idea considerata nella sua relazione
con l'oggetto che ha di fronte, ma una determinazione del contenuto stesso che si
afferma come vero, o non vero, in s stesso. Conoscere veramente qualcosa non
formarsi di questo qualcosa una rappresentazione a partire da un punto di vista
esterno, e soggettivo, bens svilupparne la natura propria, come essa si riflette nel
movimento che la costituisce. Siamo qui molto vicini alla nozione di adeguazione:
rincontriamo la sua funzione critica, con l'eliminazione di una problematica astratta
della verit definita come l'accordo tra una rappresentazione ed il suo oggetto, ma, in
maniera positiva, c'incamminiamo anche nell'analisi del processo della conoscenza. In
Hegel, effettivamente, questo contenuto che si esprime come vero non altro che il
pensiero che torna su di s per cogliersi in s realizzandosi. La conoscenza perci
una relazione immanente del pensiero con se stesso, con lesclusione di ogni tentativo
di andare verso l'esterno per riunirsi con una realt la cui esistenza sarebbe
determinata astrattamente, fuori di esso.
D'altra parte, come ben si sa, la concezione hegeliana del vero come determinazione
intrinseca del pensiero implica una relazione completamente nuova tra verit ed
errore. Dal punto di vista speculativo, il falso non un negativo che sarebbe solo
negativo e che sarebbe perci completamente esterno al vero: nella misura in cui la
conoscenza inseparabile dal processo attraverso il quale si realizza, sviluppa,
ritornando su di s, una negativit immanente. In tal senso il vero stesso anche un
negativo in rapporto al falso che supera nel progresso del suo autosviluppo. Quindi
non pi possibile mantenere dogmaticamente tra il vero e il falso una separazione
rigida. Daltronde, neanche la dialettica autorizza che il positivo e il negativo siano
69

Enciclopedia, agg. Al 24.

fissati in tale opposizione. Nel falso, il vero che produce se stesso, nella forma
della sua negazione, cosa che pu fare solo negando immediatamente quella
determinazione per stabilirsi in una forma superiore di relazione con se stesso. Come
dice Hegel in una formula brutale: Si pu conoscere anche falsamente. 70 [44] Sapere
falsamente pur sempre sapere: la verit sempre implicata nell'errore, e viceversa.
Hegel radicalizza questa concezione fino a respingere che si prenda il falso, come
farebbe una dialettica sommaria, come un momento della verit 71, la quale sarebbe
anche una maniera di subordinare il falso al vero, esponendolo come un intermediario,
un mezzo che conduce alla verit, ma che sparisce nel suo risultato una volta che
questa si raggiunge. Tra il vero e il falso bisogna pensarne fino al fine l'unit. Fuori di
questa appartenenza reciproca, il vero pu essere riflesso solo astrattamente e
parzialmente, come un dato, un stato di fatto: un'idea che non pi che un'idea e
che separata dal movimento nel quale si realizza e diviene Reale.
Apparentemente, allora, Spinoza e Hegel arrivano, a proposito della questione della
verit, a conclusioni comparabili. vero che sono ottenute come risultato di processi
differenti ed espresse in termini diversi. Orbene, secondo l'attestazione stessa di
entrambi gli autori: che cos' un risultato considerato fuori del processo che lo
stabilisce? Il nostro obiettivo non qui comparare le due filosofie con l'obiettivo di
identificare l'una con l'altra - qualcosa che sarebbe possibile solo a costo di una
semplificazione abusiva del suo contenuto, che condurrebbe ad una vera distorsione di
senso -, bens mettere in evidenza un fenomeno che fortemente sconcertante: Hegel
si dichiara il pi lontano possibile dallo spinozismo a proposito di un punto nel quale,
tuttavia, entrambe le dottrine sembrano approssimarsi. La sua confutazione, non
avrebbe potuto prendere nota di questa convergenza momentanea, a rischio di
denunciare poi il suo carattere superficiale e scoprire altri motivi che gli permettessero
di distinguersi da Spinoza?
Certo che il suo procedimento esattamente inverso: per dimostrare l'insufficienza
della dottrina spinozista, Hegel gli attribuisce alcune posizioni filosofiche che non sono
le sue, che perfino essa stessa ha scartato espressamente perch dipendenti da una
concezione astratta della conoscenza, incompatibile col punto di vista di una
razionalit immanente. La cosa strana, in questo assunto, che Hegel oppone a
Spinoza un'argomentazione che somiglia molto a quella che questo aveva sviluppato
gi contro i cartesiani: egli ha risposto allora in anticipo alle obiezioni esposte per
Hegel. L'atteggiamento di questo dunque segnato da un formidabile
disconoscimento, apparentemente inspiegabile: ci che Hegel ha dimenticato di
leggere in Spinoza ci la cui importanza e il cui significato era nelle condizioni
migliori di chiunque altro per riconoscere.
Non pu trattarsi evidentemente di un semplice errore, poich Hegel prese molto sul
serio il problema dello spinozismo, al quale dedic numerosi interventi basati su
un'informazione seria e completamente motivata. Per questo motivo bisogna cercare
da un'altra parte una ragione di questo errore: questa pu trovarsi solo nel sistema
dello stesso Hegel, che l'obbliga per il suo movimento proprio a deformare la realt
dello spinozismo. In effetti, per distinguersi meglio da questa dottrina, Hegel dovette
sostituirla con una dottrina fittizia, fabbricata per le necessit della causa, e che
70

Prefazione alla Fenomenologia.

71

Ibid.

elimina tutta l'acquisizione storica del sistema di Spinoza. Tutto accade come se, per
superare meglio Spinoza, Hegel avesse dovuto dapprima ridurlo, diminuendolo,
ponendolo sotto posizioni che erano veramente le sue. Ma, in questa necessit in cui si
trov di minimizzare lo spinozismo per confutarlo, non dobbiamo vedere,
contrariamente all'insufficienza che ne scopre Hegel, un indizio del suo carattere
eccessivo, intollerabile per lo stesso Hegel?
Qui comprendiamo meglio perch non basta avvicinare entrambi i sistemi per
decretare l'analogia di una semplice somiglianza tra essi. Perch la loro relazione
essenzialmente quella di un'unit contraddittoria: Hegel si oppone a Spinoza nel
momento stesso in cui rivela la sua parentela con lui. Il che Hegel non pot sopportare
in Spinoza, il che pot eliminare solo a costo di un'interpretazione distorta, un
pensiero nel quale il suo proprio sistema viene messo in discussione e nel quale la sua
propria posizione filosofica si trova implicata. Non c' per questo, tra i due sistemi,
solo una relazione esterna, ossia di indipendenza o di parentela: le tesi filosofiche nelle
quali si oppongono Hegel e Spinoza sono il supporto di una vera alternativa i cui
termini sono legati in maniera immanente. Per tornare al problema particolare che
studiamo qui, il fatto che esige una spiegazione il seguente: Hegel e Spinoza si
confrontano l'uno con l'altro nella misura in cui rivendicano una stessa concezione del
vero, che concreta, attiva ed assoluta.
Tanto per Spinoza quanto per Hegel, la verit una determinazione interna del
pensiero che esclude ogni relazione con un oggetto esterno. Ma - e questa la vera
questione in gioco nella loro contrapposizione -, ciascuno di essi mette nel termine
pensiero una realt molto differente. Il pensiero, per Spinoza, un attributo, cio
una forma, infinita nel suo genere, della sostanza che assolutamente infinita. Per
Hegel, lo Spirito come soggetto di s, che si identifica come tale effettuandosi nel
movimento del suo divenire Reale, al termine del quale appare nella totalit, come
totalit: lo sviluppo razionale del pensiero scopre questo come assolutamente unico,
perch assorbe in esso ogni realt, ogni contenuto. proprio questo privilegio
esclusivo del pensiero quello che non ammette la filosofia di Spinoza, per la quale il
pensiero non l'unica espressione della sostanza, n tantomeno la migliore: al
massimo una delle essenze nelle quali questa agisce sviluppando la sua propria
causalit.
allora possibile, a costo di una violenza cronologica, parlare della confutazione che
Spinoza stesso fa di Hegel: il bersaglio di quella confutazione la presentazione
idealistica della dialettica, che stabilisce la sua universalit sul presupposto che il
pensiero, in ragione della sua riflessivit interna, la forma per eccellenza del reale, di
tutto il reale; in tal modo il pensiero si presenta come un ordine razionale assoluto che
riunisce ed assorbe tutti gli altri ordini nel movimento della sua propria totalizzazione.
La dialettica hegeliana, che presenta s stessa come circolo di circoli, presuppone una
relazione di subordinazione gerarchica tra tutti gli elementi che riunisce, e questa
subordinazione riflessa a partire da un termine ultimo, dal cui punto di vista pu
comprendersi l'insieme del suo progresso, perch ha un senso. E proprio questo
presupposto ci che Spinoza scarta fin dall'inizio, poich elimina della sua concezione
del reale, dalla sostanza, ogni idea di subordinazione gerarchica tra elementi: il
pensiero, come attributo della sostanza, identico a ogni cosa, pertanto non ha niente
sopra di esso, e il concatenamento con il quale si realizza espone
contemporaneamente la sua uguaglianza assoluta con tutte le altre forme nelle quali
anche si esprime la sostanza, forme il cui numero infinito. Hegel, al contrario, pensa

lo Spirito come soggetto e come tutto in una prospettiva di eminenza che impone che
gli si sottometta tutto ci che si produce come reale, che appare quindi come sua
manifestazione. Questa subordinazione, che installa nel movimento razionale una
gerarchia di forme, la chiave della teleologia hegeliana, ed questa teleologia ci
che elimina Spinoza.
Questo ci conduce ad un interrogativo abbastanza paradossale. Stabilendo, a partire
dallo spirito che si coglie come soggetto, come tutto e come fine, una gerarchia di
tutte le forme di realizzazione che dipendono da esso, non Hegel stesso quello che,
in un sorprendente inversione, si installa nel punto di vista che condanna in Spinoza, il
punto di vista della sostanza? Quello che caratterizza questo punto di vista, in effetti,
che in esso si prospetta un Tutto che concentra ogni realt, di maniera tale che possa
allora soltanto degradarsi successivamente in determinazioni sempre meno reali ed
esaurirsi nella sua serie. Quello che appare scandaloso a Hegel in questo ciclo non
tanto la relazione tra il tutto e le sue parti che impone tale concezione, bens l'ordine
di successione nel quale si realizza: secondo questo ordine, il Tutto quello che e dato
per primo in un cominciamento assoluto. Hegel propone solamente di investire questo
ordine, porre il Tutto alla fine del processo e disporre le sue determinazioni come
momenti che conducono progressivamente ad esso. Ma, al termine di questa
inversione, la relazione di integrazione immanente che subordina le parti al tutto in un
ordine gerarchico si conserva integralmente: in questo consiste principalmente
l'evoluzionismo hegeliano.
Al contrario, Spinoza pensa il processo della conoscenza di maniera non evolutiva,
come un processo senza fine: processo di autodeterminazione del pensiero che
permette di conoscere il reale nella totalit, secondo una legge di causalit assoluta,
ma senza esaurire completamente le sue determinazioni. Un processo senza fine:
questo proprio l'impensabile di Hegel. Per questo non pot riconoscerlo nei termini
nei quali lo riflett Spinoza, e da qui la necessit nella quale si trov di interpretare
questo processo senza fine nell'immagine distorta di un processo che comincia
assolutamente. Ma quest'immagine deformata tuttavia adeguata al punto di vista di
Hegel, poich ripete, dandole una forma caricaturale, l'ordine intensivo, la relazione di
eminenza e l'unit di integrazione tra il tutto e le sue parti che costituiscono il
presupposto obbligato del suo proprio pensiero.
chiaro, a partire da qui, che Hegel non poteva letteralmente comprendere ci che
dice Spinoza, poich comprenderlo sarebbe stato allo stesso tempo rinunciare ai
presupposti del suo proprio sistema. Per questo gli era assolutamente necessario, per
risolvere in maniera soddisfacente il problema che gli prospettava Spinoza, assorbirlo
nel suo proprio punto di vista, presentarlo come un momento della sua dottrina:
momento del cominciamento, momento provvisorio, momento da superare, momento
gi superato, minaccia gi dominata per essere stata intrepida nella prospettiva di una
storia scaduta, che non parla pi che alla memoria, fuori di ogni attualit.
Questo sistema di difesa, che Hegel erige per proteggerlo dalla verit dello spinozismo
perde in gran parte la sua efficacia quando si vede dentro esso, non la
rappresentazione dell'oggetto che si d: Spinoza, bens la posizione che cerca di
mantenere, quella di Hegel stesso, la cui fragilit rivela crudelmente. Hegel volle
impadronirsi dell'immagine che impose di Spinoza, ma piuttosto Spinoza quello che
gli offre uno specchio nel quale proietta, senza saperlo, la sua verit.

III. Il problema degli attributi


Lambiguit della nozione di attributo
Le obiezioni di Hegel alla questione del rapporto degli attributi con la sostanza si
pongono nella stessa prospettiva della critica al more geometrico e la amplificano. La
discussione precedente concerneva essenzialmente le condizioni di una conoscenza
vera, e metteva cos in gioco la posizione del pensiero rispetto al reale. Tuttavia
l'intervento delle categorie di sostanza e attributi nel trattamento di questo problema
rivela una divergenza essenziale tra Spinoza e Hegel. Per Hegel il pensiero e il reale
sono fondamentalmente uniti in quanto sorgono dallo stesso processo nel quale lo
spirito, leffettivo, esso stesso il proprio soggetto, al di l della rappresentazione del
vero come sostanza, che unilaterale, c' anche la sua apprensione come un
soggetto, che , come una totalit in movimento. Al contrario, quando Spinoza
presenta il pensiero, non come sostanza, ma come un attributo della sostanza, egli
ammette ancora una volta di cadere in una conoscenza puramente razionale, nella
quale il suo sistema fornirebbe solo uno schizzo imperfetto e incompleto.
In questo spostamento - dal pensiero come sostanza che divenuta soggetto a
pensiero come un attributo della sostanza - ci che in questione innanzitutto lo
statuto del pensiero. Ponendo il pensiero "fuori" della sostanza e in qualche modo
dipendente da essa, Spinoza, secondo Hegel, rimuove il pensiero dalla sua posizione di
eminenza nel momento in cui contesta la sua vocazione universale. In questo senso
Spinoza rimane estraneo alla prospettiva idealista, perch nega al pensiero il carattere
di sostanza (che Cartesio, al contrario, gli aveva accordato). In realt, sembrerebbe
infatti che tra la sostanza, che assolutamente infinita, e i suoi attributi, che sono
infiniti solo nel loro genere72, ci sia una differenza gerarchica, analoga a quella che
separa il tutto dalle sue parti. Se, allora, il pensiero un attributo, come il sistema
spinozista incontestabilmente asserisce, e se gli attributi occupano una posizione
subordinata rispetto alla sostanza, che conferisce loro diminuite, o incomplete,
funzioni, il pensiero non pi quel processo assoluto che afferma la propria necessit
attraverso la propria realizzazione. Piuttosto, il pensiero solo un aspetto o un
momento di tale processo, che non ha tutti i presupposti in s stesso, e il cui sviluppo
, se considerato in s stesso, contingente, nella misura in cui dipende da una causa
esterna. Cos Hegel parla degli attributi, cio termini che non hanno un'esistenza
particolare, un essere in s e per s, ma che esistono solo subalterni, come
momenti.73 Ma sono gli attributi parti della sostanza per Spinoza? Ed un rapporto di
dipendenza quello che collega gli attributi alla sostanza, seguendo linterpretazione di
Hegel, una relazione gerarchica tra elementi essenzialmente diversi? qui il nocciolo
dell'intera questione.
Si deve capire che, in questa questione, Hegel passa da una difficolt - per lui centrale
che concerne specificamente uno degli attributi spinozisti, il Pensiero, a un'analisi
critica della natura degli attributi in generale, a cui estende queste prime obiezioni.
Non sorprende, quindi, che ripeta, per quanto riguarda gli attributi, gli stessi argomenti
che avevano in primo luogo riguardato il metodo. Anche qui, di nuovo, ci che Hegel
72 Etica, I, spiegazione della definizione 6.
73

Logica, I

rimprovera a Spinoza il formalismo di quest'ultimo e l'astrazione che, secondo Hegel,


caratterizza l'intero sistema di Spinoza. Infatti, gli attributi, come Spinoza li definisce,
sono per Hegel essenze astratte, punti di vista sulla sostanza, che rimangono esterni
alla sostanza stessa e di conseguenza solo rappresentati in modo incompleto, di
fuori di ogni possibilit di sviluppo concreto:
La definizione di Spinoza dell'assoluto seguita dalla definizione
dell'attributo, e questo definito come il modo in cui l'intelletto comprende
l'essenza della sostanza. Oltre a considerare l'intelletto, per sua natura,
posteriore allattributo - che Spinoza definisce come modo , lattributo,
ossia la determinazione come determinazione dell'assoluto, cos fatto
dipendere da altro, cio, dallintelletto, che appare come esterno e
immediato rispetto alla sostanza.74
Ci che qui in questione evidentemente la definizione che Spinoza da di attributo
allinizio del libro I dellEtica: per attributo intendo ci che l'intelletto percepisce della
sostanza come costituente la sua essenza (def. 4). A quanto pare, Hegel segue
questa definizione alla lettera: se l'attributo ci che l'intelletto percepisce della
sostanza, consegue che non esiste di per s stesso fuori dell'intelletto che lo
percepisce, e in cui appare come una rappresentazione - cio un'immagine o un'idea della sostanza, esterna ad essa e perci necessariamente incompleta. Allora il divario
che separa l'attributo dalla sostanza diventa manifesto: non altro che un punto di
vista nel quale la sostanza riflessa, ma non in s stessa, nel movimento proprio della
sua riflessione interna, poich, secondo Hegel, la sostanza spinozista essenzialmente
immobile. Bisogna dire piuttosto che la sostanza riflessa fuori di s, nell'intelletto
che percepisce in essa un'essenza irriducibile, che rappresenta la totalit della
sostanza mutilandola, riducendola solo a uno dei suoi aspetti o momenti.
Questa obiezione di Hegel sembra apparentemente molto forte, perch mette in luce
una formidabile contraddizione nello stesso enunciato di Spinoza: l'attributo esprime
la sostanza e in un certo modo identico ad essa, partecipa della sua infinit, ne
costituisce la sua essenza, si potrebbe dire anche che sostanziale, e tuttavia non
presenta la sostanza nella sua intima natura (ma ne ha solo una?). Come un
fondamento, la sostanza spinozista per Hegel un abisso, un nulla di determinazioni,
ma come appare, come appare fuori di s, per un intelletto che la comprende.
Ma cos' questintelletto che percepisce la sostanza e da cui dipende dunque la natura
dell'attributo? Che si tratti di un intelletto finito o infinito si noti che la definizione di
Spinoza non consente questa distinzione - un modo, vale a dire, unaffezione della
sostanza per lintermediazione di uno solo dei suoi attributi, che in questo caso il
pensiero. allora che si vede chiaramente il circolo nel quale il suo ragionamento
astratto costringe il sistema di Spinoza: nell ordine del sistema, l'attributo, come
un'essenza della sostanza, precede il modo, che una determinazione ulteriore della
sostanza; e pertanto, nella definizione di Spinoza interviene la considerazione di un
modo, l'intelletto: meglio ancora, questa definizione fa dipendere la natura
dell'attributo dall'esistenza di questo modo, senza il quale sarebbe non solo
incomprensibile, ma addirittura impossibile.

74

Ibid.

Per Hegel, il sistema spinozista essenzialmente astratto, perch vuol pensare


l'assoluto in un cominciamento, come un cominciamento: la determinazione
dell'assoluto allora ridotta all'ordine regressivo di una manifestazione della sostanza
fuori di s (dal momento che non ha nulla in s), dapprima nei suoi attributi, poi nelle
nei suoi modi. Ma a causa del suo carattere formale, questo ordine viene invertito nel
momento stesso in cui si svolge: nella misura in cui gli succede il modo dipende
dall'attributo. Pertanto Spinoza pensa, o piuttosto definisce, l'attributo a partire dal
modo, e quindi come un modo; risulta, allora, come minimo, che la distinzione tra
l'attributo e il modo diventa incomprensibile.
Ma questa incoerenza non attribuibile a un difetto di ragionamento; ha un senso:
esprime il limite caratteristico del pensiero di Spinoza che, secondo le premesse, i
principi che egli stesso si dato, non pu evitare di cadere in tali difficolt.
L'assoluta autosufficienza della sostanza, la sua unit data fin dall'inizio in un
fondamento che assorbe in s tutta la realt, ma da cui nulla pu sfuggire, salvo le
apparenze o i "modi di essere," fornisce la garanzia ontologica al sistema, ma allo
stesso tempo ne impedisce lo sviluppo; pertanto necessario che, nel suo sviluppo,
vengano rimesse in discussione queste premesse: il passaggio dalla sostanza agli
attributi il processo formale e arbitrario attraverso il quale la sostanza si distrugge o
si esaurisce, disperde la sua unit profonda in una molteplicit di attributi che solo la
comprendono ignorandone la vera natura. L'incoerenza e la debolezza della nozione
spinozista di attributo esprimono la necessaria, o piuttosto linevitabile auto-esteriorit
della sostanza, la quale pu essere colta nella sua essenza solo se a questa essenza le
si oppone come una determinazione presa dal di fuori, la quale deve, pertanto, esserle
inadeguata. Ma questa inadeguatezza solo il difetto della sostanza stessa: come
forma universale e vuota, essa non in grado di ritornare a s stessa per cogliersi in
s come vera. Perci l'incoerenza del sistema di spinozista, come appare nella
definizione degli attributi, deriva logicamente dalle sue premesse, di cui la
conseguenza necessaria: il circolo vizioso in cui si rigira Spinoza anche la sua verit,
la condizione di possibilit del suo discorso e il sintomo evidente del suo fallimento.
Poich ragiona astrattamente, Spinoza pu determinare l'assoluto solo
decomponendolo, passando dal punto di vista di una coerenza data
immediatamente a quello di un'analisi degli elementi, le "essenze" che lo
costituiscono. Quando si esce dal fondamento per andare verso ci che questo fonda,
prevedendo le sue determinazioni successive, gli attributi e quindi i modi, si vede la
sua unit disfarsi, o addirittura scomparire, e quello che prende il suo posto una
molteplicit, una diversit. Infatti, non solo gli attributi sono esterni alla sostanza e
manifestano cos la auto-esteriorit della sostanza stessa - che incapace
effettivamente di riunirsi in un movimento intrinseco - ma sono anche esterni lun
laltro, come aspetti o punti di vista: essenze irriducibili che possono essere solo poste
a fianco luna laltra e enumerate, senza la possibilit di stabilite una vera comunit
fra esse. E infatti un'affermazione inequivocabile in Spinoza che gli attributi non
agiscono reciprocamente e che non sono collegati da un rapporto di comunicazione
reciproca, sono fondamentalmente indipendenti.
In questa separazione degli attributi, Hegel vede propriamente il sintomo della loro
impotenza a uguagliarsi all'assoluto, che parzialmente rappresentano. Quindi,
l'unit immediata e vuota della sostanza si disperde in una molteplicit di attributi che
la esprimono in forme incomplete, e queste forme non possono essere afferrate
insieme, comprese in un tutto effettivo, ma possono solo essere assemblate,

giustapposte, aggiunte luna allaltra, come pezzi astrattamente e arbitrariamente


prese in un insieme.
Ma - e qui la critica di Hegel raggiunge il suo punto cruciale gli attributi non esistono
solo come entit separate, presi ciascuno in se stesso, nella solitudine della loro
astrazione, ma sono anche opposti lun laltro. Dal momento che sono solo punti di
vista della sostanza il cui contenuto condividono e che fanno apparire in maniera
monca, sono in certo modo confrontati gli uni con gli altri, come forme concorrenti, per
cui ciascuna quali esiste solo per la mancanza di tutte le altre e in opposizione ad
esse.
Qui abbozzato un nuovo argomento, quello che prende come pretesto la ben nota
tesi omnis determinatio est negatio: gli attributi determinano la sostanza
negativamente, cio, privativamente. Cos, ci che d forma a un attributo ci che a
tutti gli altri manca, ecco perch irriducibile ad essi.
Considereremo questo argomento nei suoi propri termini pi tardi. Per il momento ne
riteniamo solo una conseguenza. Abbiamo visto che, ponendo gli attributi dopo la
sostanza come sue determinazioni astratte, il sistema spinozista si trova
inevitabilmente coinvolto in un movimento regressivo: essendo partito, ma solo partito
- poich ricordiamolo, la radice dell'errore di Spinoza sta nel suo punto di partenza, dal
quale non poteva discostarsi - dalla conoscenza lassoluta della sostanza unica, ritorna
poi sui suoi passi e ritrova allora il dualismo Cartesiano. Si noti come nelle sue Lezioni
sulla storia del Filosofia cos Hegel presenta ci che chiama l'idealismo Spinozista,
riducendolo alla sua ispirazione principale:
La filosofia di Spinoza l'oggettivazione (Objektivierung) di quella di
Descartes nella forma della verit assoluta. Il pensiero elementare
dellidealismo spinozista : ci che vero semplicemente la sostanza
unica, i cui attributi sono il pensiero e l'estensione (natura); e solo questa
unit assoluta reale, il reale (wirklich, die Wirklichkeit), essa sola Dio.
, come in Cartesio, l'unit di pensiero ed essere o ci che contiene in se
stesso il principio della sua esistenza. Per Cartesio, sostanza, l'Idea, quasi
certamente inclusa essa stessa nel suo concetto; ma solo essere astratto
come essere astratto, non essere come essere reale (reales Sein) o come
estensione. In Cartesio, la corporeit e lIo pensante sono essenze
indipendenti per se stesse; questa indipendenza dei due estremi elevata
nello spinozismo e diventano momenti di un essere assolutamente uno.
Vediamo che ci che viene espresso qui la comprensione dellEssere come
Unit degli opposti.
A prima vista questo testo mette in luce ci che separa Spinoza da Descartes: ci che
quest'ultimo pone come sostanze autonome, pensiero ed estensione (che Hegel
assimila alla natura, anzi al reale), sono riunite, riconciliate, in Spinoza dalla
assoluta unit della sostanza, che anche l'unit degli opposti. Ma sappiamo che
per Hegel questa ununit astratta, cio, una falsa unit che si decompone nel
determinarsi, proprio in quegli stessi opposti che, pertanto, aveva solo
provvisoriamente riunito superando la loro opposizione: come Spinoza le presenta,
le opposizioni che sono solo le opposizioni non possono essere superate pi che
illusoriamente, ma sono semplicemente trasposte. Perci, al fondo del sistema di
Spinoza, troviamo di nuovo il dualismo cartesiano, anche se in forma modificata.

Il commento che fa Hegel degli attributi nello stesso capitolo delle Lezioni va
precisamente in questo senso:
In quarto luogo Spinoza definisce gli attributi, appartenenti alla sostanza
come un secondo elemento di essa, Per attributo intendo ci che lintelletto
percepisce come costituente lessenza della sostanza; e solo questo per
Spinoza il vero. E non c' dubbio che questa una grande determinazione;
lattributo evidentemente una determinabilit, ma una determinabilit che
rimane, al tempo stesso, totalit. E Spinoza, come Cartesio, ammette di
questa solo due determinabilit: il pensiero e lestensione. Lintelletto le
percepisce come lessenza della sostanza; ma lessenza non niente pi
che la sostanza, ma essa essenza solo nella prospettiva dellintelletto, la
quale cade fuori della sostanza. Ciascuno dei due modi di considerare,
lestensione e il pensiero, contiene interamente il contenuto della sostanza;
per questo sono entrambi identici in s, infiniti. Nellattributo lintelletto
coglie tutta la sostanza, ma come la sostanza passi nellattributo non
detto.
Se ogni attributo si trova di nuovo intero il contenuto della sostanza, nella misura in
cui questa gi di per s priva di ogni contenuto: l'attributo solo una forma, che pu
essere autonoma e infinita, ma non priva di qualsiasi movimento effettivo e pertanto
di una concreta unit. Gli attributi sono essenze che si confrontano, che si oppongono,
e la loro relazione estrinseca rivela l'impotenza della sostanza, cio dell'assoluto posto
come immediato, a determinarsi essa stessa in s.
Ma ci che soprattutto caratteristico, nei due testi precedenti, soprattutto, una
straordinaria omissione. Spinoza afferma che la sostanza si esprime in un'infinit di
attributi, dei quali noi ne percepiamo solo due, il Pensiero e lEstensione. Eppure
quando Hegel caratterizza la natura degli attributi fa come se esistessero solo i due
attributi che noi percepiamo: ne riconosce solo due []: il pensiero e lestensione.
Questa limitazione ha conseguenze estremamente importanti, perch ci che
permette a Hegel di stabilire una relazione di filiazione tra Spinoza e Cartesio, e che
autorizza anche, nel presentare l'unit degli attributi nella sostanza come unit di
opposti.
Riprendiamo la definizione che Spinoza d degli attributi: essi sono ci che l'intelletto
percepisce della sostanza come costituente la sua essenza [Etica, I, def. 4]. Abbiamo
gi osservato che Spinoza non specifica qual l'intelletto che percepisce qui la
sostanza: si tratta di un intelletto infinito, che percepisce tutte le sue essenze, o di un
intelletto finito, che ne percepisce solo due? Perch questa distinzione non si presenta
nella definizione generale degli attributi? In ogni caso, chiaro che Hegel non ha
tenuto in alcun conto questa imprecisione, o meglio questa assenza di precisione, e
che interpreta la definizione degli attributi in un senso molto particolare, restrittivo:
l'intelletto che "costituisce" gli attributi percependo la sostanza per lui l'intelletto
finito che comprende quest'ultima solo sotto le due forme del pensiero ed
dellestensione.
M. Gueroult ha sottolineato l'ispirazione kantiana dellinterpretazione che Hegel
propone di Spinoza: effettivamente questo implicito riferimento a Kant ci che
giustifica l'accusa di formalismo fatta contro Spinoza. Gli attributi non sono solo le
"essenze" della sostanza, sono le sue forme e, al limite, i suoi fenomeni. L'attributo

la sostanza come essa appare ad un intelletto che la scompone secondo le condizioni


della sua percezione, cio, che la determina limitandola. In questo senso, per Hegel,
l'infinit degli attributi che esprime la loro identit con la sostanza, una infinit senza
contenuto: l'infinit di un forma che, in s stessa, come forma, nella limitazione che
la costituisce, dal punto di vista dell'intelletto che la "percepisce", una forma finita.
Cos tutto si regge: lincapacit di Spinoza a pensare concretamente l'assoluto risulta
dal fatto che fin dall'inizio egli si posto dal punto di vista dell'intelletto finito che,
per sua propria natura, incapace di cogliere l'infinito altrimenti che scomponendolo,
cio riducendolo ad essenze astratte. Notiamo che soggiace a tutta questa
argomentazione la distinzione kantiana tra ragione (destinata all'incondizionato) e
lintelletto (che determina il suo oggetto solo sotto certe condizioni). Ci che Hegel
non ha visto, non ha voluto leggere, nella definizione degli attributi data da Spinoza
proprio il rifiuto anticipato di tale distinzione: questo rifiuto espresso dal fatto che la
nozione di intelletto figura in questa definizione in modo assolutamente generale,
senza che debba perci far intervenire nessuna differenza quale che sia tra i diversi
tipi di intelletto.
allora evidente che Hegel non spiega il testo di Spinoza ma che propone
un'interpretazione di esso. Grazie a questa interpretazione, ritrova Cartesio in
Spinoza: l'intelletto, che serve a determinare la natura degli attributi, l'intelletto
finito, che percepisce solo due attributi, l'unit della sostanza si risolve, si disfa, nella
distinzione tra pensiero ed estensione, che ristabilisce in essa una inconfessata
dualit. In questo senso, Hegel pu sostenere che lo spinozismo uno sforzo fallito di
superare i limiti del cartesianismo: entrambi riposano sulle stesse premesse e trattano
- anche se in modo diverso - lo stesso problema, quello della relazione tra due entit
distinte per le quali devono essere stabilite le condizioni di un accordo. Una volta che
Spinoza ha posto fin dallinizio lunit della sostanza, che poi ununit senza
contenuto, il pensiero e lestensione, in cui tale unit viene quindi decomposta, come
opposti che debbano riconciliarsi e vi riescono in un modo che non sia formale.
Vedremo che questa interpretazione si discosta completamente da quanto esposto
effettivamente da Spinoza nelle sue dimostrazioni, giacch per lui pensiero ed
estensione non si fronteggiano lun l'altro come i termini di un'opposizione che
dovrebbe essere in seguito superata: questo precisamente ci che significa la tesi
della loro irriducibilit, che esclude tra loro ogni rapporto, anche se fosse una relazione
di opposizione. Orbene, se si riprende alla lettera il sistema, ci si rende conto che
questa indipendenza degli attributi, che sono comunque identici nella sostanza le cui
essenze costituiscono, si comprende solamente a partire dal fatto che la sostanza si
esprime non in uno, due o qualsiasi numero di attributi, ma nella sua infinit, vieta di
stabilire tra loro una relazione termine a termine, qualunque ne sia la forma. Ma
comprendere ci significa situarsi all'interno di un modo di ragionamento che non ha
nulla a che fare con quello che Hegel imputa a Spinoza.

La realt degli attributi


Attraverso la sua critica del cartesianismo, Spinoza confuta in anticipo una
problematica della conoscenza di tipo kantiano, posta in termini di rapporto
soggetto/oggetto o forma/contenuto. ci che Hegel, nonostante rifiuti questa
problematica e pretende di superarla, ha assolutamente ignorato: questa lacuna

domina tutta la sua interpretazione dello spinozismo. Ci che sorprendente qui che
Hegel, in un punto in cui si delinea tra la sua filosofia e quella di Spinoza una
convergenza essenziale, vi scopra, al contrario, un motivo di divergenza. Questo
capovolgimento pu essere spiegato solo in due modi: o Hegel dispone di argomenti
inconfutabili che permettono di stabilire che la critica spinozista della concezione
classica della verit insufficiente, e per questo motivo ricade nei difetti di questa
concezione a cui, come egli afferma, rimane legato. Oppure questa critica spinozista
intollerabile per Hegel perch, ancora pi radicale della sua, mette in evidenzia i limiti
del sistema hegeliano e rivela la complicit che lo lega tuttora con concezioni
precedenti che pretende di confutare risolvendo le loro contraddizioni. Vedremo che
questultima l'interpretazione che dobbiamo considerare.
Ritorniamo al problema degli attributi che sono, secondo Hegel, determinazioni,
forme attraverso le quali la sostanza si riflette nel punto di vista dell'intelletto. In un
certo senso, la sostanza un contenuto senza forma, dato immediatamente nella sua
indeterminazione assoluta, alla maniera dellEssere vuoto degli eleati, e poi si
esteriorizza in forme senza contenuto, che la riflettono alla maniera delle categorie
kantiane. Il fatto che questo schema tradisce la dottrina spinozista almeno in un
punto: sebbene per Spinoza gli attributi sono forme, o generi di essere, o nature o
anche essenze, non sono certamente forme in opposizione a un contenuto, n
tantomeno sono predicati in opposizione a un soggetto, n categorie astratte in
opposizione a una realt concreta che sarebbe loro esterna. Si potrebbe dire allora che
essi stessi sono contenuti che valgono per una forma, la sostanza, giacch questa
consiste in loro e li comprende come costitutivi la sua essenza. Il che significa
semplicemente che i termini di forma e contenuto sono in realt impropri per
caratterizzare la relazione che collega gli attributi alla sostanza.
Sebbene gli attributi siano ci che l'intelletto percepisce della sostanza, non per
questo dipendono dal punto di vista dell'intelletto, in cui esisterebbero come forme
riflesse, n a maggior ragione - del punto di vista di un intelletto finito, opposto a una
ragione infinita. Qui bisogna prendere sul serio il fatto che Spinoza abbia utilizzato,
nella sua definizione di attributi, la parola percepire (percipere): l'intelletto
percepisce gli attributi come costitutivi dell'essenza della sostanza. Se ci riferiamo alla
spiegazione della definizione 3, all'inizio del libro II dell'Etica, osserviamo che questo
termine ha un significato molto preciso. A proposito dell'idea, che un concetto della
mente, scrive Spinoza: dico concetto, piuttosto che percezione, perch la parola
percezione sembra indicare che la mente sia passiva (patisca) rispetto ad un oggetto,
mentre, concetto sembra esprimere unazione della mente. Si pu invertire questa
indicazione e applicata alla definizione degli attributi: Spinoza non dice che essi sono
ci che l'intelletto concepisce della sostanza, proprio perch ci implicherebbe
un'attivit dell'intelletto rispetto al suo oggetto, al quale imporrebbe una modifica,
ad esempio, dandogli una forma, informandolo. L'attributo ci che l'intelletto
"percepisce" della sostanza perch, nella relazione che qui si stabilisce, c', al
contrario, passivit dellintelletto intelletto di fronte alla sostanza, che accetta cos
com, nelle essenze che la costituiscono, cio, nei suoi attributi.
Il termine "intelletto", come appare nella definizione degli attributi, non pu dunque
essere interpretato in senso kantiano. Anche se si tratta qui di dellintelletto singolare
che il nostro, l'intelletto finito, sarebbe ancora valida l'obiezione che Spinoza ha
indirizz contro Bacone: Egli suppone che lintelletto umano, oltre agli errori che si
deve attribuire ai sensi, fallibile in virt dalla sua sola natura e delle idee che

appartengono ad esso, non nelluniverso; in maniera tale che sarebbe come uno
specchio curvo che nella sua riflessione, mischierebbe le sue proprie caratteristiche
con quelle delle cose stesse.75 Orbene, linterpretazione che d Hegel del ruolo
dellintelletto nella definizione degli attributi va proprio in questo senso: lintelletto che
riflette la sostanza nella forma dei suoi attributi una sorta di specchio deformante, o
informante, che imprime il suo proprio marchio alle immagini che produce, in modo
tale che piuttosto lo specchio che queste danno a vedere che loggetto che
riflettono. Ma, per Spinoza, se l'intelletto uno specchio cosa che daltra parte
contestabile, poich le idee non sono immagini -, non certamente uno specchio
attivo che interviene nella realt, scomponendola per ricostruirla a sua propria misura:
deve essere, almeno nel caso che ci interessa, uno specchio perfettamente oggettivo,
che percepisce la sostanza cos com, nelle essenze che la costituiscono
effettivamente. La definizione di attributi che Spinoza d chiaramente esclude del
tutto la creativit dall'intelletto.
Un'osservazione qui necessaria, che riscuoter il suo significato pieno solo pi tardi.
Abbiamo appena mostrato che la relazione di percezione che lega l'intelletto alla
sostanza nella definizione degli attributi implica passivit piuttosto che una
attivit. Ma se si esamina pi da vicino questa idea di passivit, si rivela anche
abbastanza imbarazzante: non significa che gli attributi, come immagini fedeli che si
accontentano di riprodurre un modello, sono rappresentazioni passive, che
corrispondono esattamente all'oggetto che danno a vedere, vale a dire che sono, per
riprendere una ben nota espressione, mute pitture su un quadro? In tal caso, ci che
avremmo guadagnato da un lato, cessando di considerare gli attributi come forme
generate dall'intelletto, lo avremmo evidentemente perso dallaltro, riducendoli a idee
che riflettono passivamente una realt esterna. Per scartare questa nuova difficolt, va
aggiunto che gli attributi non sono n rappresentazioni attive n rappresentazioni
passive dell'intelletto, semplicemente perch non sono rappresentazioni, immagini,
neanche idee dell'intelletto o nell'intelletto: gli attributi non sono nell'intelletto, come
forme attraverso cui quest'ultimo apprenderebbe, oggettivamente o non, un
contenuto dato nella sostanza, ma che stanno nella sostanza stessa di cui
costituiscono le essenze. Chiaramente, questa precisazione basta per liberare dalla
definizione degli attributi ogni nozione di passivit: gli attributi sono attivi nella misura
in cui la sostanza che si esprime in essi, in tutte le sue essenze.
Orbene, rinunciare a considerare gli attributi come idee dell'intelletto significa mettere
in discussione al tempo stesso un altro aspetto dell'interpretazione proposta da Hegel.
Per presentare il carattere astratto degli attributi, egli li separa dalla sostanza e
presenta la loro relazione come una relazione di successione: prima la sostanza, poi gli
attributi. In tal modo, l'identit di attributi e sostanza, come chiaramente stata
affermata da Spinoza, diventa del tutto problematica: fuori della sostanza e dopo di
essa, gli attributi non sono, realmente, che forme attraverso le quali l'intelletto la
riflette, e vengono dissociati dal fondamento a cui si riferiscono. Ma questa idea della
anteriorit della sostanza rispetto ai suoi attributi, che stabilisce una relazione
gerarchica tra loro, completamente contraria alla lettera della dottrina spinozista.

75

Lettera 2 ad Oldenburg.

Dobbiamo qui tornare all'argomentazione, inconfutabile fino a prova contraria, di


commentatori come G. Deleuze e M. Gueroult, che, dopo Lewis Robinson, hanno
sottolineato il carattere genetico e non ipotetico delle prime proposizioni
dell'Etica, che culminano con la dimostrazione dell'esistenza di Dio, cio, della
sostanza unica che comprende un'infinit di attributi. in generale un'idea in gran
parte accettata che lEtica di Spinoza comincia con Dio: Hegel riprende questa idea
alla sua maniera e rimprovera Spinoza di aver cominciato, come un cinese,
dall'assoluto. Certo che, se del tutto dubbio che il sistema di Spinoza si edifichi
sulla base di un cominciamento assoluto, un'attenta lettura dell'inizio dell'Etica mostra
che questo cominciamento non potrebbe davvero essere Dio, cio, la sostanza unica
assolutamente infinita: di quest'ultima abbiamo dapprima solo una definizione
(definizione 6), e bisogna aspettare fino alla proposizione 11 per scoprire che questa
definizione corrisponde ad un essere reale, effettivamente unico. Che cosa successo
nel frattempo?
Se si interpretano le prime dieci proposizioni dell'Etica nel senso di un'ontologia
generale o di una combinatoria formale il che significa negare loro ogni significato
reale - per trasformarle in un enunciato che concerna solo dei possibili, 76 si risponder
che davvero non succede nulla, che queste proposizioni hanno solo un valore
preparatorio e funzionano come presupposto metodologico per il discorso effettivo
sulla sostanza che arriver dopo, nel momento in cui l'esistenza di questa sar
realmente stabilita, il che mette fine alle considerazioni sulle pure essenze considerate
fuori di una presa di posizione sulla loro esistenza.
Osserviamo subito che questa interpretazione coincide con quella di Hegel in un punto
essenziale: fa del discorso sulla sostanza in una sorta di cominciamento assoluto; perci si dir
che finch non trattano della sostanza stessa, per cos dire di persona, ossia di Dio, le
dimostrazioni di Spinoza hanno solo una funzione introduttiva; in realt, non parlano di nulla,
dal momento che il loro oggetto lessere in generale, considerato fuori delle condizioni
della sua esistenza. Ci che qui riappare la concezione formalista degli attributi, esposta a
partire da un dualismo dellessenza e dellesistenza che Spinoza, da parte sua, rifiuta
esplicitamente: L'esistenza degli attributi non differisce in nulla dalla loro essenza. 77
Simile lettura, non mette in discussione la necessit del ragionamento tale come lo stabilisce il
more geometrico, in una progressione sintetica, veramente causale? Secondo Spinoza, il
discorso vero anche, e al tempo stesso, tale da escludere qualsiasi indagine sul possibile e
anche qualsiasi sottomissione al presupposto di un cominciamento o di un'introduzione.
Bisogna allora riprendere linsieme delle proposizioni che precedono la dimostrazione
dell'esistenza di Dio per identificarne il loro statuto.
Gueroult presenta queste proposizioni secondo la seguente divisione: 78
Le proposizioni da 1 a 8 procedono alla deduzione degli elementi costitutivi
dell'essenza divina, vale a dire, vale a dire sostanze con un solo attributo.

76

Come fa M. Doz, Remarques sue les onze premires propositions de lEtique, Reveu de mtaphysique et de
moral, 1976

77

Lettera 10 a Simon de Vries.

78

M. Gueroult, Spinoza, t. I (Dieu).

Nella seconda sezione (proposizioni da 9 a 15), si tenter di costruire Dio a


partire dai suoi elementi semplici, le sostanze con un singolo attributo [...] e di
conferirgli le ravvisate caratteristiche di ciascuna di esse.
Vedremo che alcune di queste formulazioni suscitano gravi obiezioni, e non si possono
mantenere. Tuttavia, sebbene lo presentino in un discorso abusivo, che devia almeno su un
punto dalla lettera del sistema, permettono di porre in evidenza un aspetto molto
importante della dimostrazione di Spinoza, un aspetto che non era mai apparso prima cos
chiaramente.
Infatti, se si segue M. Gueroult nell essenziale della sua analisi, anche se sembra inaccettabile
in alcuni punti, si avverte, per riprendere i termini di una questione posta sopra, che senza
dubbio qualcosa avviene in queste proposizioni che aprono il libro I dell'Etica. E questo
accadimento si trova precisamente nellintersezione tra le proposizioni 8 e 9, nel momento in
cui si passa dalla substantia unius attributi (lasciamo da parte per il momento la traduzione,
giacch problematica) alla sostanza assolutamente infinita, che possiede tutti gli attributi e
esiste necessariamente, in modo tale che non pu concepirsi nessunaltra sostanza. Cos, per
riprendere lespressione di M. Gueroult, la sostanza viene "costruita" a partire dagli elementi
che la compongono, vale a dire gli attributi stessi in quanto costituiscono la sostanza (dato che
gli attributi sono sostanziali, se non sono, propriamente parlando, sostanze). La sostanza
appare allora nel suo processo reale, e il discorso di questa genesi oggettiva non esprime una
conoscenza vuota a cui si ridurrebbe la precondizione formale di una combinatoria, ma esprime
attivamente il movimento effettivo del suo oggetto, in qualche modo nella sua storia concreta.
Il merito essenziale di queste analisi quello di dare alla nozione di causa sui tutta la sua
significanza. Se Dio causa di s, non nel senso che interpreta Hegel, come una donazione
immediata dell'assoluto nel gesto di una fondazione originaria in cui questo si esaurisce nello
stesso tempo in cui comunica i suoi elementi in un colpo solo, nell'irriducibilit di una presenza
inalienabile che potrebbe allora essere determinata solo da fuori. In realt, la causa sui non
altro che il processo all'interno del quale la sostanza si genera essa stessa a partire delle
essenze che la costituiscono, su cui stabilisce la sua esistenza: questo movimento culmina
nel momento in cui produce la sostanza, come il prodotto della sua attivit, come risultato della
sua determinazione. Da questo punto di vista, la sostanza spinozista non ha nulla a che fare
con l'Essere degli Eleati: nella sua vita immanente - sebbene Hegel non cessi di parlare di
sostanza morta -, movimento verso s, affermazione di s, tutto il contrario di un
contenuto ineffettivo che dovrebbe cercare le sue forme di fuori di s stesso. Ci troviamo qui,
ancora una volta, molto vicini ad Hegel, mentre questo rimasto completamente cieco
davanti a questa vicinanza.
questo movimento che esprime la definizione di Dio, che deve essere compresa
geneticamente e causalmente: Per Dio intendo un essere assolutamente infinito, ossia, una
sostanza che consta di infiniti attributi, ciascuno dei quali esprime un'essenza eterna e
infinita.79 Questa definizione sintetica o geometrica, perch determina il suo oggetto
necessariamente, producendolo: Dio, se causa sui, non senza una causa; ma , al contrario,
assolutamente determinato per s: gli attributi sono appunto le forme di questa
determinazione. Sulla base di questa definizione, si possono dedurre necessariamente tutte le
propriet del suo oggetto: Quando definisco Dio come l'essere sommamente perfetto, questa
definizione non esprime la causa efficiente (voglio dire, in effetti, n una causa efficiente
interna n esterna), non sar in grado di dedurre da ci tutte le propriet di Dio. Al contrario
quando definisco Dio come lessere assolutamente infinito (definizione 6). 80 Cos, generata nei
suoi attributi, che sono la sua causa efficiente interna, la sostanza anche causa di s: chiaro

79

Etica, I, def. 6.

80

Lettera 60 a Tschirnhaus.

quindi che la sostanza non un immediato assoluto, dato che deve essere dedotta, anche se
deve esserlo a partire da se stessa.
Il rapporto della sostanza con i suoi attributi si trova dunque profondamente modificato. Da una
parte, poich non pi possibile affermare l'esteriorit degli attributi rispetto alla sostanza: gli
attributi sono nella sostanza come aspetti o momenti attraverso i quali essa si
costituisce. D'altra parte, se si vuole assolutamente stabilire un ordine di successione tra la
sostanza e gli attributi, non pi affatto certo che la sostanza debba situarsi prima degli
attributi, ma sono piuttosto quelli che precedono la precedono, come condizioni della sua autoproduzione, dato che hanno nel processo della sua costituzione una funzione essenzialmente
causale. Cos si spiega un'anomalia spesso sottolineata: l'Etica non comincia con Dio, bens
culmina in esso, o almeno porta a lui, dopo tutta una successione di dimostrazioni, una
difficolt che gli interpreti tradizionalmente eludono svuotando di ogni contenuto le
proposizioni che non riguardano ancora la sostanza unica e realmente esistente, per
trasformarle cos solo in precondizioni formali di un discorso che non comincia davvero che
dopo di esse.
Tuttavia, come vedremo, non soddisfacente neanche parlare di una anteriorit degli
attributi rispetto alla sostanza. Per questo ci accontenteremo per il momento di insistere su un
altro aspetto dell'argomentazione, che essenziale e che riguarda l'identit tra attributi e la
sostanza. Se si ammette tale identit, non pi possibile pensare tra la sostanza e gli attributi
una disuguaglianza che presuppone tanto una relazione di successione cronologica quanto una
relazione di subordinazione gerarchica. Non c pi o meno essere o realt nella sostanza che
nei suoi attributi, ma ce n esattamente lo stesso, o almeno ci che si potrebbe dire se
questa realt potesse essere misurata quantitativamente. Gli attributi non sono meno della
sostanza; ad esempio, non sono essenze che, prese in s stesse, manchino di esistenza, bens
la sostanza proprio ci che essi sono. Nei Principi della filosofia di Cartesio Spinoza ha scritto:
Quando egli [Cartesio] dice che una cosa pi grande creare (o conservare) una
sostanza che i suoi attributi, sicuramente non pu intendere per attributi ci che
contenuto formalmente nella sostanza e solo si da essa per una distinzione di
ragione. Perch in questo caso lo stesso creare una sostanza e creare i suoi
attributi (scolio della proposizione 7).
Ma Dio, sostanza che comporta tutti gli attributi, non crea n la sostanza n gli attributi,
qualcosa che Descartes non pu neanche capire.
Letta correttamente, la lettera 9 a Simon de Vries stabilisce che attributo e sostanza sono nomi
diversi per una stessa cosa, allo stesso modo come i nomi di "Israele" e "Jacob" designano lo
stesso essere. vero che questa lettera stata letta solitamente in senso contrario e si
trovato in essa una conferma alla interpretazione formalista degli attributi, come se gli attributi
stessi fossero nomi differenti per una cosa identica e unica che sarebbe la sostanza. La
persistenza di questo equivoco81 pu essere spiegata solo in un modo: nella lettera Spinoza
parla di due nomi per la stessa cosa, e gli esempi che utilizza sviluppano questa ipotesi. Tutto
accade come se lo sguardo dei suoi lettori restasse fisso su questo numero, che in s stesso
non ha alcun significato; Allora si ha l'occasione per reiterare un fantasma comune nella
metafisica del quale Hegel ci ha dato gi un buon esempio: due, apparentemente, non pu
indicare che una cosa sola, la dualit di pensiero e estensione, secondo la divisione cartesiana
delle sostanze; questo che porta a considerare gli attributi, identificandoli una volta per tutte
con i due attributi che il nostro intelletto finito percepisce, come nomi, cio forme esteriori a un
contenuto che essi designano in maniera estrinseca. Ma su questo punto Spinoza
perfettamente chiaro: gli attributi sono essenze, e pertanto realt, per cui non sono in nessun

81

G. Deleuze, Spinoza et le problme de lexpression, p. 52

modo, in s stessi, nomi, cio, designazioni della sostanza attraverso cui questa si
scomporrebbe astrattamente in una moltiplicazione di prospettive o di apparenze.
Per cogliere questa identit reale, che collega gli attributi con la sostanza, baster confrontare
due testi che lo dimostrano senza ombra di dubbio:
Per attributo intendo ci che si concepisce per s e in s, cio ci il cui concetto
non implica il concetto di un'altra cosa.82
Per sostanza intendo tutto ci che si concepisce per s e in s, cio ci il cui
concetto non implica il concetto di un'altra cosa. 83
Attributo e sostanza dipendono da una sola e medesima definizione, che si riferisce ad una
identica realt: il fatto qui immediatamente leggibile. Spinoza avrebbe potuto anche scrivere:
"Per sostanza e per attributo intendo una sola e medesima cosa.
E ancora:
Per attributi di Dio bisogna intendere ci che [...] esprime (exprimit) unessenza
della sostanza divina, ossia, ci che inerisce [pertinet] alla sostanza: lo stesso ci
che affermo che deve implicare (involvere) gli attributi.84
Exprimit: gli attributi esprimono la sostanza; ci non significa in assoluto che la rappresentano
nella forma di un predicato, di una propriet o di un nome, ma che la costituiscono in quello
che si pu denominare il suo essere concreto. Pertinet: gli attributi sono compresi nella
sostanza - e, viceversa, essa in loro -; non sono affatto manifestazioni esterne ed
arbitrarie dipendenti dal libero arbitrio di un intelletto che la rifletterebbe secondo le sue
proprie categorie (si noti che la definizione che stiamo commentando non fa alcun riferimento
all'intelletto). Involvere: attributi e sostanza sono inseparabili perch non possono essere
concepiti luno senza laltro, uno fuori dellaltro, e questa dipendenza reciproca non esprime
nientaltro che la loro unit reale.
Un'osservazione per concludere. Forse gli equivoci che si sono accumulati intorno
all'interpretazione della definizione iniziale degli attributi (Etica, I, def. 4) si sarebbero potuti
evitare se Spinoza avesse redatto questa definizione in modo leggermente diverso: intendo
per attributo ci che costituisce l'essenza della sostanza, ed cos che l'intelletto la percepisce
(tale com), formulazione che sopprime ogni specie di dipendenza degli attributi
dallintelletto. Dopo tutto, ammettere il carattere rigoroso del testo di Spinoza non significa
necessariamente considerare la sua lettera come intangibile, n per trasformarla in un oggetto
di adorazione, n considerarla come un ricettacolo in cui riposano grandi misteri che
bisognerebbe solo contemplare a distanza, facendo grande attenzione a non risvegliarli. L'Etica
deve essere spiegata per mezzo dell'Etica - cos come Spinoza, daltra parte, ha spiegato la
Scrittura per mezzo della Scrittura -, cio, determinare il sistema delle corrispondenze materiali
che organizzano il testo e le consentono effettivamente di compiere i suoi obiettivi; in base a
questo, deve essere possibile identificare, eventualmente, le sue lacune.
La diversit degli attributi

82 Lettera 2 a Oldenburg
83

Lettera 4 a Oldenburg

84

Etica, I, dimostrazione della proposizione 19.

Gli attributi sono dunque identici alla sostanza, cos come la sostanza lo stesso dei suoi
attributi; solo dal punto di vista dell'intelletto pu stabilirsi una distinzione tra sostanza e
attributo, ci significa che questa distinzione non ha alcun carattere reale, ma solo una
distinzione di ragione.
Tuttavia, si deve prestare attenzione ad interpretare la relazione tra la sostanza e gli attributi
nel senso di una reciprocit formale. Se c' identit, innegabilmente, fra loro, non
un'uguaglianza astratta e vuota, nel qual caso senza non si capirebbe pi quale sia il ruolo
della nozione di attributo nelleconomia necessaria della dimostrazione e si potrebbe essere
tentati, puramente e semplicemente, di sopprimerla. In questo senso, a quanto pare, Spinoza
afferma che in natura non c' nulla tranne le sostanze e i loro affezioni, come evidente
dallAssioma 1 delle Definizioni 3 e 5;85 e ancora: Salvo le sostanze e gli accidenti, nulla esiste
nella realt, cio fuori dell'intelletto. Qualsiasi cosa c' in effetti concepita, o per s stessa, o
per altro, e il suo concetto implica o no il concetto di un'altra cosa. 86 Nel reale, cio fuori
dell'intelletto, e sembra di essere rinviati di nuovo al punto di partenza: se gli attributi non
hanno alcuna esistenza reale, se si separano dalla sostanza solo dal punto di vista (perspectu)
dell'intelletto, non sono che enti di ragione, finzioni intellettuali esterne ad ogni contenuto, cio
pure forme di rappresentazione?
Ricordiamo che ci che esiste solo per l'intelletto non sono gli attributi stessi - che non stanno
certo nel intelletto - ma la loro distinzione dalla sostanza. Ma bisogna aggiungere qui un
nuovo argomento: l'esistenza degli attributi nella sostanza, che la chiave per la loro identit,
non un'unit indifferente che risulta da un'uguaglianza semplicemente formale; un'identit
concreta che identit nella differenza. Ecco perch gli attributi sono necessari per la
determinazione della sostanza, la cui causalit interna esprimono e realizzano. Ma come passa
la sostanza negli attributi, o gli attributi nella sostanza? Questo ci che ora necessario
capire.
Riprendiamo la divisione del libro I dell'Etica proposto da Gueroult. Le prime otto proposizioni
hanno per oggetto la substantia unius attributi, che permette di eliminare la concezione di un
substrato immobile, indifferenziato, e quindi di per s inconoscibile. Cos, stabilito fin
dall'inizio che la sostanza esiste solo nei suoi attributi, che sono in se stessi sostanziali. Ma da
questo ragionamento risulta anche che ci sono tante sostanze quanti sono gli attributi: come
Gueroult osserva, in questo sviluppo iniziale, sostanza scritto al plurale, come nella
proposizione 5, in cui si dimostra un punto essenziale per tutto il resto (due sostanze
potrebbero essere distinte solo per il loro attributo).
Nelle proposizioni da 9 a 15, si passa dal plurale al singolare: dalla substantia unius attributi,
infinita solo nel suo genere, alla sostanza che comprende un'infinit di attributi e che pu
dirsi assolutamente infinita; Essa include tutti gli attributi, perch non pu mancargliene
nessuno. Questo passaggio riassunto in questi termini nella lettera 36 a Hudde: Se
assumiamo che un essere, indeterminato e perfetto solo nel suo genere, esiste per s, allora
dobbiamo anche accordare l'esistenza ad un essere che assolutamente indeterminato e
perfetto; questo essere che io chiamo Dio. Cos siamo portati, come per mano, dall'idea
degli attributi all'idea della sostanza: se si conosce dapprima la perfezione degli attributi, si
dovrebbe anche conoscere ci che non pu essere compreso fuori dalla perfezione assoluta di
Dio, che li contiene tutti. Infatti, se si resta alla considerazione degli attributi, ciascuno preso in
s stesso, si sarebbe naturalmente portati a pensarli negativamente opponendoli luno allaltro,
apprendendo la natura di ciascuno di essi dalla mancanza delle nature di tutti gli altri. L'infinit
degli attributi pu essere colta positivamente solo se la si collega alla natura divina,
assolutamente infinita, in cui coesistono senza opporsi. Per questo gli attributi non possono
esistere fuori di Dio, ma sono necessariamente in lui, dove si affermano in modo identico come

85

Etica, I, prop. 6, cor.

86

Lettera 4 a Oldenburg.

essenze infinite nel loro genere, in una modalit di determinazione che esclude ogni
negativit. Allinverso, la sostanza non che l'unit dei suoi attributi, che essa riunisce nella
sua esistenza assoluta.
In questo ragionamento gi indugiavano i primi lettori dell'Etica, come attesta la lettera 8 di
Simon de Vries a Spinoza: Se dico che ciascuna sostanza ha un solo attributo e se ho l'idea di
due attributi, potrei giustamente concludere che ho due sostanze diverse, giacch dove si
hanno due attributi diversi si hanno due sostanze diverse. Anche su questo punto vi chiediamo
una spiegazione pi chiara. Ma il problema qui effettivamente irrisolvibile, in quanto pone la
diversit degli attributi da un punto di vista che prima di tutto numerico: per Simon de Vries,
un attributo un'espressione che ha senso solo in relazione della serie uno, due tre...
un'infinit di attributi. Questa presentazione caratteristica, in primo luogo perch in questa
serie infinita privilegia, per designare la molteplicit degli attributi, un numero molto particolare
che guarda caso il numero due. Questa scelta rivela fin da subito che la questione qui
considerata esclusivamente dal punto di vista dell'intelletto finito, che giustamente non
conosce pi di due attributi, pensiero ed estensione, mentre - come abbiamo gi indicato -
del tutto significativo che questo punto di vista non intervenga mai nel ragionamento di
Spinoza, che utilizza la nozione di intelletto presa in generale.
D'altra parte, il fatto di contare gli attributi secondo una successione numerica ha per
conseguenza che il passaggio dalle sostanze infinite solo nel loro genere alla sostanza
assolutamente infinita appare come una progressione graduale e continua: tutto accade come
se gli attributi vengano aggiunti luno allaltro alla sostanza, che sarebbe composta essa stessa
da questa infinita sommatoria. Al contrario e questo va veramente rimarcato -, Spinoza
presenta il processo nel quale la sostanza si genera essa stessa a partire dai suoi attributi in
modo completamente diverso: questo si effettua in una rottura netta, che procede senza
intermediari da un livello allaltro, in modo tale che il rapporto tra l'infinito solo nel suo genere
e lassolutamente infinito appare dapprima come una vera contraddizione, che si risolver con
una decisione brusca, fuori da ogni tentativo di conciliazione.
Riprendiamo di nuovo il ragionamento dallinizio: la sostanza pensata dapprima nella
diversit reale dei suoi attributi, come indicato, ad esempio, nelle proposizioni 2 (due sostanze
aventi differenti attributi non hanno nulla in comune lun laltra) e 5 (in natura non possono
darsi due o pi sostanze della stessa natura, ossia, con lo stesso attributo). Successivamente,
la sostanza pensata nella sua unit assoluta, in quanto riunisce in s tutti gli attributi
ponendosi come identica a loro. Qui abbiamo a che fare con una vera inversione di prospettiva:
come bisogna interpretarla?
Si sarebbe tentati di considerare questo ragionamento come un ragionamento per assurdo: in
questo senso va l'interpretazione formalista che gi abbiamo criticato. Si dir allora: in un
primo momento, Spinoza suggerisce la possibilit di sostanze realmente distinte, ciascuna di
esse determinata da un attributo, per poter poi confutarla scoprendo a posteriori, attraverso un
artificio della presentazione, l'unit assoluta della sostanza che coincide con la sua
unicit. Considerato in questo modo, il ragionamento ridotto a un certo modo di esporre le
prove, ossia perde il suo carattere sintetico e il suo significato oggettivo. Perci, secondo le
esigenze del procedimento more geometrico, che - come abbiamo dimostrato - non sono
semplicemente formali, questa interpretazione deve essere scartata.
Ai due momenti dell'argomentazione deve perci essere concessa una realt equivalente:
considerata dal punto di vista della diversit (infinita) dei suoi attributi, la sostanza non una
finzione, n la rappresentazione di una pura possibilit che potrebbe essere costruita solo dalla
enumerazione all'infinito, poich tale enumerazione avrebbe senso solo dal punto di vista
dell'immaginazione. Si tratta di uno stesso contenuto, di una realt identica che si presenta
dapprima come diversit e poi come unit. Orbene, questo contenuto non pu essere
presentato nella progressione armonica e conciliante di ordine compiuto, non senza farci
ricadere nell'aporia del fondamento immediato denunciato da Hegel. Deve esporsi, al contrario,
in un movimento contrapposto che rivela al tempo stesso questi aspetti estremi e al contempo

mostra la loro solidariet, la loro comunit, cio, la loro inseparabilit. Inoltre, questi due
aspetti non sono successivi, ma simultanei.
Allora appare il vero significato della distinzione tra sostanza e attributi, tale come la stabilisce
l'intelletto: essa che permette di comprendere la sostanza cos com, nella complessit reale
della sua natura; cio ci che ci permette di pensare fino in fondo, assolutamente, la sua unit:
perch comprende l'infinit degli attributi che la sostanza assolutamente infinita. L'unit
della sostanza non dunque un'unit aritmetica, non designa l'esistenza di un individuo
irriducibile a tutti gli altri per la semplicit della sua natura. La sostanza non un essere, ed
questa la condizione fondamentale della sua unicit: essa tutto ci che esiste e che pu
essere compreso, che non ha dunque la sua causa se non in s stessa. Per questa pienezza di
essere, questa affermazione assoluta del s che costituisce la sostanza, non pu essere la
forma vuota dellUno che sarebbe solo Uno, o che non sarebbe, se si pu dire, pi che un Uno:
essa questa realt infinitamente varia che comprende tutti gli attributi e che si esprime nella
loro infinit. Questa realt non quella di un Essere che racchiuderebbe questa totalit in virt
di una donazione iniziale, ma che dapprima quella di un movimento irresistibile attraverso cui
gli attributi passano e si unificano nella sostanza che se ne appropria.
Non c' che un'unica sostanza, ma comporta un'infinit di attributi: la sua unit
incomprensibile al di fuori di questa diversit infinita che la costituisce intrinsecamente. Risulta
da ci che la sostanza contiene la molteplicit in s e non al di fuori di s, e, per questo motivo,
questa molteplicit cessa di essere numerica, qualcosa che Spinoza esprime appunto dicendo
che infinita; infatti, per lui, l'infinito non un numero, in quanto non pu essere
rappresentato dallimmaginazione. Siamo qui agli antipodi, come si vede, da quel progetto di
un calcolo filosofico, da quella enumerazione meccanica delle parti che costituiscono
formalmente un essere, a cui Hegel vorrebbe ridurre il more geometrico.
Come conseguenza ed ci che Hegel ha ignorato -, l'identit della sostanza e dei suoi
attributi non formale e astratta, ma reale e concreta. Questa si sviluppa in una doppia
relazione: quella che lega la sostanza ai suoi attributi, senza i quali sarebbe un essere vuoto al
quale non si potrebbe altrimenti riconoscere un minimo di realt, e non il massimo che le
appartiene; quella che lega gli attributi alla sostanza, all'esterno della quale essi esisterebbero
negativamente, come opposti.
Per fare un pastiche del discorso hegeliano, si potrebbe dire: la relazione della sostanza con gli
attributi l'identit divenuta in cui l'assoluto si afferma come effettivo. E questo processo
quello del causa sui o, se si vuole, del ritorno in s della sostanza.

La costituzione della sostanza nei suoi attributi.


Fino ad ora abbiamo parlato di un'auto-produzione o di un'auto-costituzione della sostanza nei
dei suoi attributi. Ora va precisato che questa non ha nulla a che fare con una genesi della
sostanza a partire dai suoi attributi, ed eliminare un equivoco che comporta ancora il
commento di Gueroult, che abbiamo essenzialmente seguito fin qui.
Infatti, sebbene tutti gli attributi appartengano insieme alla sostanza e ne costituiscano l
essere (Etica, I, scolio della proposizione 10), non coesistono in essa come parti che si
aggiustano luna allaltra ordinatamente per comporne alla fine il sistema completo. Se cos
fosse, gli attributi si definirebbero gli uni in relazione agli altri per le loro mancanze
reciproche: non potrebbero allora essere concepiti ciascuno per se, perch sarebbero limitati
per propria natura da qualcos'altro. Un attributo, ad esempio lestensione, potrebbe essere
limitato solo da s stesso, il che assurdo poich infinito nel proprio genere: Anche se
lestensione nega di suo il pensiero, non v nessuna imperfezione in essa; ma se fosse daltra
parte privata di una certa (parte) estensione, ci sarebbe qui unimperfezione; ci che
accadrebbe se fosse determinata o se fosse privata di durata o di luogo. 87 Pensare l'infinito,

87

Lettera 36 a Hudde; vedi anche la lettera 4 a Oldenburg.

sia nell'attributo (in un genere) o nella sostanza (assolutamente), esclude ogni nozione di
divisibilit: la sostanza sta interamente in ciascuno dei suoi attributi (visto che identica ad
essi) nella stessa maniera che, daltra parte, tutta lestensione sta in ciascuna goccia d'acqua o
tutto il pensiero in ciascuna idea. In precedenza abbiamo detto che per Spinoza l'infinito non
un numero; perci sfugge ad ogni partizione. La sostanza indivisibile non la somma di tutti i
suoi attributi.
Questo ci impone di tornare su una delle nostre precedenti affermazioni. Abbiamo detto che la
sostanza non ha la semplicit di un essere dato immediatamente in una presenza irriducibile
che esclude da s ogni contenuto determinato, ma che era la realt complessa di un
movimento assoluto che comprende tutte le sue determinazioni. Da questa complessit della
sostanza, che si esprime nella diversit interna dei suoi attributi, non segue tuttavia che sia
dotata di un carattere composto. Perci bisogna dire che la sostanza semplice come che
complessa, nel senso molto preciso che non divisibile in parti: Questo essere semplice, e
non composto di parti. Sarebbe necessario infatti che le parti componenti fossero, dal punto di
vista della conoscenza, anteriori al composto, il che non pu accadere nel caso di un essere
che per sua natura eterno.88 Questa indicazione estremamente importante, in quanto
esclude ogni presentazione meccanicistica del movimento in cui si produce la sostanza: il
processo della causa sui, immanente alla sostanza, non una genesi temporale che si darebbe
in una successione di operazioni distinte, a partire da elementi gi dati, la cui combinazione
produrrebbe la sostanza come risultato, o come una risultante. La relazione della sostanza con i
suoi attributi non quella del tutto con le sue parti o dellinsieme completo con gli elementi
semplici che lo compongono.
Da questo punto di vista, alcune delle formulazioni utilizzate da M. Gueroult per presentare la
"genesi" della sostanza sono inaccettabili, e l'uso dei testi su cui si appoggia senza dubbio
abusivo. Ad esempio: Incontestabilmente, Spinoza conforme, in questo caso, alle
prescrizioni che aveva enunciate nel De intellectus emendatione: giungere alle idee pi
semplici (idea simplicissimae) per ricostruire con loro, secondo le loro implicazioni interne,
l'idea complessa che cos si costituisce. Di conseguenza, quando si tratta di Dio, si scopriranno
dapprima i prima elementa totius naturae, vale a dire, le sostanze semplici con un singolo
attributo, che sono origo et fons naturae, per costituire con esse l essere totale uno e
infinito, fuori del quale nulla dato e che, per se stesso, anche origo et fons naturae.
Questa ricostruzione, che opera secondo la norma dellidea vera data, culmina in una
definizione genetica di Dio.89 Il termine che presenta un problemi quello di ricostruzione, che
qui interpreta qui il more geometrico in un senso molto particolare.
Notiamo innanzitutto che fare del procedimento more geometrico una costruzione o una
ricostruzione del complesso a partire dal semplice ridurlo a un metodo, cio alla fin fine ad un
artificio espositivo che subordina la necessaria progressione del ragionamento al modello di un
ordine: qui, quello che procede dalle parti al tutto o dal semplice al complesso. E cos non
siamo poi molto lontani da Cartesio. Ma ci che Spinoza ha voluto pensare attraverso il more
geometrico non era un altro metodo, un nuovo ordine di esposizione, ma proprio qualcosa di
diverso da un metodo, che subordina la presentazione del vero al presupposto di un ordine
secondo lo schema di una riflessione necessariamente astratta. In tal caso ci si espone a
difficolt la cui ragione semplicemente formale; per esempio, quando ci si chiede se la
sostanza sta prima degli attributi o gli attributi prima della sostanza, o ancora se gli attributi
sono pi o meno "semplici" della sostanza: da un punto di vista sintetico, queste domande non
hanno in senso stretto alcun significato.

88

Lettera 36 a Hudde.

89

Spinoza, cit. (Dieu), pag. 169

D'altra parte, l'idea di una costruzione della sostanza presuppone non solo che questa sia
costituita, ma anche composta di elementi che sarebbero i suoi attributi. Questa
presupposizione particolarmente evidente nella traduzione di Gueroult dell'espressione
substantia unius attributi (proposizione 8, dimostrazione), come sostanza avente un solo
attributo. certo che questa nozione alla base della sua spiegazione dell'intero inizio
dell'Etica, poich gli serve a designare lelemento semplice dal quale la sostanza viene
costruita. Ma questa traduzione impossibile, non solo perch sostituisce unus con unicus,
ma anche per una ragione fondamentale: perch tratta l'unit che costituisce ciascun attributo
come un numero, cio come il termine di una serie in cui tutti gli attributi figurano come
elementi o momenti di una progressione infinita di cui la sostanza sarebbe l'espressione finale
o il risultato.
Siffatta concezione assolutamente estranea allo spinozismo, e M. Gueroult stesso ha spiegato
magistralmente: la numerazione [degli attributi] non finisce perch non mai iniziata, per la
buona ragione: non c' nessuna numerazione.90 Non si passa dagli attributi - che sarebbero
dati uno per uno - alla sostanza mediante una progressione all'infinito: L'assioma richiamato
alla fine dello scolio della proposizione 10 della parte I (quanta pi realt o essere ha [un ente],
tanti pi attributi avr) segue dall'idea che abbiamo di un essere assolutamente infinito, e non
dal fatto che ci siano, o ci possano essere enti che possiedano tre, quattro o pi attributi.91 Tra
la substantia unius attributi e la sostanza assolutamente infinita che possiede tutti gli attributi
non c' nulla, nessun intermediario che subordina questo passaggio alle regole di una
composizione meccanica. Perci preferibile presentare questo passaggio come un'inversione,
o come lo sviluppo di una contraddizione, la stessa che identifica nella sostanza la sua unit
assoluta e la molteplicit infinita delle sue essenze.
Se gli attributi si sommassero gli uni agli altri, o se si componessero tra loro per generare la
sostanza, cesserebbero di essere irriducibili, e la loro identit alla sostanza sarebbe, cio la loro
natura sostanziale, cos compromessa. In tal caso gli attributi non sarebbero pi essenze
infinite nel loro genere che non possono essere limitate da nulla, ma gradi di realt,
necessariamente diseguali, e disposti gli uni in relazione con gli altri nel contesto di una
gerarchia progressiva che li integrerebbe tutti insieme nellassoluto. Ma Spinoza cos lontano
da questa concezione leibniziana dell'ordine come da quella di Cartesio.
Da questo risultata una conseguenza molto importante. Abbiamo appena visto che gli attributi,
anche se sono realmente distinti, proprio perch sono realmente distinti, non sono come esseri
che potrebbero essere enumerati, anche se fosse in una prospettiva che va all'infinito, giacch
sarebbe ridurre la loro distinzione ad una distinzione modale, cio in un certo modo riflettere
l'infinito dal punto di vista del finito. E ci che vero per gli attributi lo a fortiori per la
sostanza che li contiene tutti: la sostanza non si conta pi degli attributi, almeno se si rinuncia
al punto di vista dell'immaginazione. Per questo la tesi della sua unicit cos difficile da
capire: giacch di fatto non ha in assoluto riferimento alla esistenza di un essere unico, di una
sostanza che esisterebbe in un solo esemplare, con l'esclusione di tutti gli altri possibili: Una
cosa non pu essere detta sola e unica prima che se ne sia concepita unaltra che abbia la
stessa definizione [come si dice] della prima. Ma, essendo l'esistenza di Dio la sua stessa
essenza, senza dubbio dire di Dio che solo e unico dimostra o che non si ha di lui unidea vera
o che se ne parla impropriamente.92 Perci, se Spinoza scrive che Dio unico, questo
significa [...], che in natura non esiste che un'unica sostanza (non nisi unam substantiam dari),
e che questa assolutamente infinita,93 certamente si deve intendere che questa nozione,
non nisi una, strettamente negativa, non ha alcun significato causale e quindi non pu

90

Ibid., pag. 150

91

Lettera 64 a Schuller.

92

Lettera 50 a J. Jelles

intervenire nella definizione della natura divina: la sostanza assoluta unica, in realt, ma
solo una conseguenza, non della sua stessa realt, ma della nostra potenza di immaginare, che
forgia la finzione, non solo di due, tre o qualsiasi numero di sostanze, ma anche, pi in
generale, di sostanze esistenti in un numero determinato, tra le quali uno mai il primo. Dire
che non c' pi che una sola sostanza parlare all'immaginazione, che pu considerare
lassoluto solo negativamente, a partire dal nulla, cio, dalla parte del possibile che essa
implica. Per se stesso, Dio non uno, pi di quanto non sia due o tre, n bello o
brutto. Contrariamente a una tenace tradizione, va detto che Spinoza non era un monista pi di
quanto non fosse un dualista, n qualsiasi altra cosa, qualunque sia il numero col quale si
voglia cifrare questa finzione, buona al massimo per gli ignoranti o per gli schiavi.

Lordine e la connessione delle cose


Gli attributi non sono meno della sostanza. N alcuni sono "meno" di altri: questo che
esprime la tesi della loro reciproca irriducibilit. Gli attributi sono incomparabili, ed per questo
che sono identici nella sostanza che li possiede necessariamente tutti, cosa che non sarebbe
possibile se si introducesse fra loro una qualsiasi disuguaglianza. Nessuna forma di essere
superiore allaltra: non c' quindi alcun motivo per cui una di esse debba appartenere a Dio di
preferenza pi di unaltra o ad esclusione di unaltra. cos come Dio simultaneamente, e in
modo identico, una cosa pensante e una cosa estesa,94 ma anche tutte le altre cose che
non possiamo apprendere per la limitatezza del nostro intelletto. Su questo punto, ci si riferir
al libro di G. Deleuze, che fa una critica definitiva della nozione di eminenza e dimostra che
completamente estranea allo spinozismo. Eminenza in un certo senso il concetto classico di
"superamento". Spinoza ragiona sempre formalmente (formaliter), cio, non con l'esclusione di
ogni contenuto, ma fuori di ogni prospettiva di eminenza (eminenter), poich questa
reintroduce nella conoscenza il presupposto di un possibile che una finzione.
Limmaginazione, al contrario, produce con facili trasposizioni o con amplificazioni: se il
triangolo potesse parlare direbbe di Dio che eminentemente triangolare (vedi lettera 56 a
Hugo Boxel). Dio non in realt al vertice, o alla fine, di una gerarchica progressione di forme
le cui propriet riunirebbe nella loro totalit superandole.
Perci Spinoza non si accontenta di risolvere la questione posta dal dualismo cartesiano, ma
ne inverte completamente la problematica. Nell'interpretazione dello spinozismo proposta da
Hegel, abbiamo visto che tutto avviene come se la sostanza si esprima essenzialmente in due
attributi di cui costituisce lunit assoluta, questi stessi attributi che noi percepiamo, e a cui
Cartesio attribuiva lo statuto di sostanze indipendenti. Di conseguenza, tutti gli altri attributi
appaiono rispetto a quest'ultimi come possibili, pure finzioni, e possono essere concepiti, al
massimo, secondo il modello dei due attributi reali che conosciamo effettivamente. Questa
concezione proprio quella che il ragionamento sintetico seguito da Spinoza rende
impossibile: secondo questa ogni attributo deve essere concepito per s stesso cio nella
sua infinit propria, che gli conferisce un carattere sostanziale e non sulla base della sua
relazione con qualsiasi altro attributo, qualunque sia. Comprendere la natura degli attributi
significa precisamente proibirsi di prenderli termine a termine per compararli.
Quando Spinoza dice che gli attributi sono infiniti solo nel loro genere, un'espressione che
abbiamo gi incontrato, ci non significa che la loro infinit in qualche modo limitata e
incompleta. Una tale concezione caratterizza, al contrario, il punto di vista
dell'immaginazione. Nel primo dialogo che segue il capitolo 2 del Breve trattato, la
Concupiscenza che dichiara, Vedo che la sostanza che pensa non ha nulla in comune con la

93

Etica, I, cor. 1 della prop. 14.

94

Etica, II, prop. 1 e 2.

sostanza estesa e che l'una limita l'altra. Questa frase mette insieme tre affermazioni che
sono in realt interdipendenti: 1) l'irriducibilit degli attributi presentata come separazione
tra sostanze; 2) queste sostanze esistono luna di fronte allaltra in una relazione di limitazione;
3) questa opposizione una relazione di due termini pensata in base alla distinzione tra
pensiero ed estensione. Ma la ragione disfa queste tre affermazioni e la logica che le associa
giacch considera le cose dal punto di vista della loro necessit. 1) gli attributi sono identici
nella sostanza che li comprende tutti; 2) pertanto non si oppongono luno allaltro, in un
rapporto necessariamente disuguale; 3) la loro natura inafferrabile fuori del fatto che sono
un'infinit che vieta che gli si applichi una numerazione.
La chiave del nuovo pensiero che Spinoza introduce in filosofia la tesi dell'identit degli
attributi nella sostanza nella quale sono unificati pur rimanendo realmente distinti. Questa
unit espressa in una proposizione ben nota. L'ordine e la connessione delle idee lo stesso
dell'ordine e la connessione delle cose.95 Si interpretata spesso questa proposizione come se
formulasse una relazione di convenienza, un accordo tra tutto ci che dipende dal pensiero ed
dallestensione. Questa interpretazione inammissibile. Infatti, sebbene in questo enunciato la
parola idee designa i modi dell'attributo pensiero, la parola cose (res) assolutamente non
designa, neppure in maniera restrittiva, i modi dell'attributo dell'estensione, ma i modi di tutti
gli attributi, quali che siano, compreso il pensiero stesso: le idee sono come cose, come
qualsiasi altra affezione della sostanza, sia quel che sia. La proposizione quindi significa che
tutto ci che sotto un attributo, cio in una forma di essere - quale che sia -, identico a ci
che sta sotto tutti gli altri attributi, esattamente allo stesso modo che identico a s: tornando
su s stesso, senza lasciare il proprio ordine, il pensiero scopre tutto ci che contenuto nella
sostanza, mentre questa si esprime nell'infinit di tutti i suoi attributi; verso questa
conclusione gi ci aveva condotto la teoria dell'adaequatio. Questo si pu dire di tutti gli
attributi, che sono identici a tutti gli altri, non in una relazione di comparazione, di
corrispondenza, di convenienza o di omologia, che implicherebbe la loro esteriorit reciproca,
ma nella loro natura intrinseca, che li unifica fin dall'inizio nella sostanza che li costituisce e che
essi costituiscono.
Conseguentemente, non ci saranno motivi per prospettare un'identit tra due, tre, quattro...
un'infinit di serie o attributi, il cui ordine e la cui connessione si riconoscerebbero come
concordanti. Si deve capire - cosa impossibile se ci si mantiene nel punto di vista
dellimmaginazione - che uno e medesimo ordine, una e medesima connessione ci che si
effettuata in tutti gli attributi e li costituisce in modo identico nel loro essere: la sostanza non
nientaltro che questa necessit unica che si esprime simultaneamente in un'infinit di
forme. Ci che si incontra in ciascun genere di essere che pertiene anche per definizione a tutti
gli altri non comporta nessun mistero: perci non vi nessuna necessit di far intervenir la
precondizione di una combinazione o di unarmonia. Vediamo quindi quanto sia ridicolo
presentare il monismo spinozista come un superamento del dualismo cartesiano: il modo
di pensiero messo in pratica da Spinoza produce i suoi effetti in un terreno completamente
diverso, in cui queste vecchie questioni della filosofia vengono semplicemente invalidate.
Da questo spostamento dei problemi deriva ancora una conseguenza: cos come gli attributi
non si limitino gli uni con gli altri in una relazione termine a termine che sarebbe
necessariamente una relazione di subordinazione, la nostra stessa conoscenza non limitata
dal fatto di apprende solo due attributi della sostanza. Cogliendone solo uno, secondo il suo
ordine e la sua connessione propri, essa comprenderebbe la sostanza tale come nella sua
necessit assoluta, cio nel concatenamento causale che ne costituisce lessere. Conoscere la
natura di un attributo, nella sua infinit intrinseca, allo stesso tempo conoscere quella di tutti
gli altri. Per questo, dice Spinoza, anche se percepiamo solo due degli attributi della sostanza,
non siamo per questo privati della conoscenza di tutti gli altri, nella misura in cui
comprendiamo che esistono necessariamente secondo un ordine e una connessione che sono

95

Etica, II, prop. 7

gli stessi che conosciamo. Cos, nei limiti prescritti da un intelletto finito, possiamo conoscere
tutto, cio pensare l'assoluto nella forma della necessit.
Tutto si sostiene quindi nel dispositivo teorico stabilito da Spinoza: l'infinit degli attributi,
concepita indipendentemente da ogni serie numerica, la condizione per cui sfuggiamo ai
dilemmi tradizionali della filosofia. Dal punto di vista dell'assoluto, ora non esiste pi tra i
generi che non sono incompatibili n diseguali - un faccia a faccia, ora non esiste pi pertanto
la necessit di giustificare la loro coesistenza o il loro accordo attraverso il compromesso di una
garanzia esterna, evidentemente arbitraria e irrazionale: la causalit della sostanza allo
stesso tempo la condizione e l'oggetto di un sapere assoluto, che pone solo relazioni
intrinsecamente necessarie il cui sviluppo immanente rende visibili le sue forme in s stesso, al
di fuori di ogni intervento di un libero arbitrio, sia posto sotto la responsabilit di un soggetto
finito o di un Soggetto infinito.
Lerrore di Hegel circa gli attributi
Per valutare il cammino percorso, ritorniamo ora a uno dei testi che Hegel dedica alla questione
degli attributi:
Inoltre, Spinoza determina gli attributi come infiniti, e precisamente infiniti anche
nel senso di una infinita molteplicit. In realt, in seguito, ne appaiono solo due di
essi, il pensiero e lestensione, e non viene indicato come la infinita molteplicit si
riduca per necessit solo all'opposizione, e precisamente a questa determinata
opposizione del pensiero e della estensione. Questi due attributi, per conseguenza,
sono trovati empiricamente. Pensiero ed essere rappresentano l'assoluto in una
determinazione; l'assoluto stesso la loro assoluta unit , cos che essi sono solo
forme inessenziali; l'ordine delle cose lo stesso di quello delle rappresentazioni o
pensieri, e lunico assoluto si trova considerato solo dalla riflessione esterna, cio,
da un modo, sotto quelle due determinazioni, una volta come totalit di
rappresentazioni, unaltra volta come una totalit di cose e loro variazioni. Cos
com questa riflessione estrinseca produce tale differenza, cos anchessa che la
riduce e la immerge nellassoluta identit. Pertanto questo movimento si realizza
fuori dall'assoluto. vero che esso stesso anche il pensare, e pertanto tale
movimento si effettua solo nell'assoluto; ma, come si gi osservato, nellassoluto il
pensiero sta solo come unit con lestensione, e, quindi, non come un movimento
che sia essenzialmente anche il momento dellopposizione.96
L'interesse di questa pagina - per questo bisogna citarla per intero che presenta insieme
un certo numero di affermazioni che applicate al loro oggetto dichiarato, la filosofia di Spinoza,
si dimostrano essere egualmente erronee; conseguentemente, verosimile che lequivoco di
Hegel a proposito della filosofia di Spinoza dipenda dalla logica che le ha generate, logica
che completamente estranea alla lettera e allo spirito dello spinozismo.
Prima di tutto, Hegel riduce gli attributi a forme esterne della riflessione, che hanno perso tutta
la reale interdipendenza con la sostanza da cui apparentemente procedono: non c' a partire
da qui alcuna giustificazione razionale per il movimento attraverso il quale sostanza passa
nel suoi attributi. Questa interpretazione presuppone - lo abbiamo mostrato sufficientemente che il rapporto tra la sostanza e i suoi attributi sia gerarchico e cronologico: la sostanza, che si
presenta allora come un fondamento immediato, viene prima dei suoi attributi ed pi di
quelli. Ma il concetto di attributo, come Spinoza stesso lo ha fissato, esclude proprio la
possibilit di una subordinazione, che ha senso solo in una prospettiva dell'eminenza.
Poi, per Hegel, la tesi secondo cui la sostanza si esprime in un'infinit di attributi non ha alcun
significato reale; per questo non la richiama che a titolo di indicazione, come una
considerazione meramente formale. Infatti, se ci si limita al contenuto, l'unit della sostanza

96

Logica, II.

sempre riflessa attraverso la relazione di due attributi che sono il pensiero e l'essere; ma
questo contenuto non pu essere giustificato razionalmente, riconosciuto solo
empiricamente. Hegel scrive altrimenti:
Spinoza pone la sostanza in cima al suo sistema e la definisce come l'unit di
pensiero ed estensione, senza dimostrare come arrivi a questa differenza e alla
riduzione di questa all'unit della sostanza.97
Lerrore di Hegel consiste qui nel porre la distinzione reale degli attributi come un rapporto
termine a termine, incarnato nella differenza tra i due attributi posti luno di fronte allaltro: in
tale prospettiva, inevitabile che tale distinzione appaia arbitraria, o che sia semplicemente
giustapposta all'unit della sostanza, data altrove. Ma abbiamo visto che, nella dimostrazione
di Spinoza, l'esistenza di un'infinit di attributi permette di scartare dal principio questa
difficolt: la reciproca irriducibilit degli attributi quindi perfettamente coerente con la loro
identit nella sostanza, la cui natura esprimono in tutti i generi possibili, fuori da ogni
restrizione empirica.
Di conseguenza, Hegel trasferisce l'identit di ordine che costituisce intrinsecamente la
sostanza a una corrispondenza formale tra due serie esterne, l'ordine delle cose (lestensione)
e l'ordine delle rappresentazioni (il pensiero): tra questi due insiemi non pu esserci che una
comunanza arbitraria ed esteriore, alla maniera dell'accordo decretato da Dio, nella filosofia
cartesiana, tra natura e ragione. Ma, dato che questa identit di ordine, nel senso letterale del
sistema di Spinoza, non consente in nessun modo di ridurre all'identit tra due ordini separati,
tutta questa problematica dell'accordo tra il pensiero e lessere, che presuppone la loro
separazione, viene evitata fin dal principio.
D'altra parte, che il pensiero si separi dal reale, che per Hegel la condizione del loro
ricongiungimento ulteriore nell'assoluto, svaluta il pensiero. Sebbene lo collochi in un rapporto
di parit con l'estensione, nella misura in cui propriamente trasferisce solo il pensiero
all'assoluto tramite il suo rapporto con estensione, questo ragionamento pone il pensiero in
una posizione di inferiorit rispetto l'assoluto: nellassoluto il pensiero sta solo come unit con
estensione, il che significa che non pu per s stesso, con un movimento proprio, uguagliarsi
con l'assoluto. Hegel dice ancora:
vero che la sostanza l'assoluta unit di pensiero e essere, ossia dellestensione;
contiene, pertanto, il pensiero stesso, ma lo contiene solo nella sua unit con
lestensione, vale a dire, non come separato esso stesso dall'estensione, e, di
conseguenza, in generale non come un determinare e formare, n come un
movimento che ritorna in e comincia da se stesso.98
Il pensiero non pu realizzare da se stesso la sua relazione con l'assoluto, poich necessario
che passi per l'estensione per scoprirsi come momento di ununit che si effettua solo nella
sostanza. Ma gi abbiamo detto abbastanza da non dover insistere oltre sul fatto che la
diversit infinita degli attributi, in Spinoza, implica che questi siano allo stesso tempo e
irriducibili e uguali nella sostanza. Cos la differenza tra il pensiero e lestensione, o qualunque
altra relazione tra attributi quale che sia, non ha come conseguenza la subordinazione di questi
alla sostanza, come ci che diviso da ci che unito, ma, al contrario, la loro assoluta
identificazione in essa. Ci che infinito solo nel suo genere non meno infinito di ci che
assolutamente infinito. Questo vero per il pensiero come per qualsiasi altro attributo in
generale.

97

Enciclopedia, all. al 151

98

Logica, II.

Infine, la distinzione tra gli attributi, riflessa attraverso la distinzione tra il pensiero ed
lestensione, interpretata da Hegel come una relazione di opposizione: la coesistenza di
queste forme esteriori anche il loro confronto, poich rappresentano in concorrenza la
sostanza unica e dividendosela. Perci, l'unit stessa della sostanza non se non la
risoluzione, il superamento di questo conflitto, la riunione nellassoluto di termini che, in s
stessi, sono separati e antagonisti: un'unit degli opposti, un'unit necessariamente astratta,
che ricostituisce formalmente, col ricorso all'intelletto, una totalit che era stata prima
artificialmente scomposta nei suoi elementi. Assistiamo alla trasposizione del sistema di
Spinoza in termini che ovviamente non sono i suoi, trasposizione che implicitamente fa
intervenire, con le sue nozioni di opposizione e contraddizione, la dialettica in senso hegeliano,
che sta alla base stessa della divergenza che separa le due filosofie.
Attraverso lo sviluppo di questa questione per s stessa riusciremo a far luce sulle ragioni,
cio , sulla posta in gioco, di tutta questa discussione. Perch non ci basta constatare che
Hegel si ingannato nella sua lettura di Spinoza, e che ha completamente frainteso il vero
significato del suo sistema. Dobbiamo anche, e prima di tutto, capire perch, sfidando
levidenza, ha voluto a tutti i costi far dire a questa filosofia esattamente il contrario di ci che
essa stabilisce, in un modo che non lascia spazio ad equivoci. Come se il suo discorso fosse
stato tanto intollerabile da rendere necessario, non riuscendo a rimuoverlo con una semplice
confutazione, sopprimerlo completamente, sostituendolo con la finzione di un discorso opposto
e ridicolo.
Accade che questultimo dibattito gira interamente intorno a una sola frase e alla sua
interpretazione: omnis determinatio est negatio.

IV. Omnis determinatio est negatio


Il punto di vista della sostanza
Spinoza ha dunque formulato questa gran frase, come
dice Hegel nelle sue Lezioni sulla storia della filosofia. Mettiamola nel suo contesto e
scopriremo che quello che dice non ha molto a che vedere con ci che Hegel vi
trova, un abisso di significato. Possiamo anche chiederci se questa fase - che trascrive
die Bestimmuheit ist Negation (Logica), o alle Bestimmung ist eine Negation
(Lezioni) - non fu scritta da Hegel stesso, dal momento che una frase appartiene a chi
la utilizza: in ogni caso, la strumentalizzazione che Hegel fa di questa frase h come
condizione che la abbia staccata dal suo contesto, e che la prenda assolutamente,
come una formula quasi magica nella quale lo lintero spinozismo, con le sue
contraddizioni, le sue promesse ed i suoi scacchi, si trova in un certo qual modo
riassunto.
Qui, il culto della lettera non deve smarrirci: ci che Hegel ha letto in Spinoza - ed ogni
lettura autentica , a suo modo, violenta, se non ha soltanto la benignit di una
parafrasi importa tanto quanto quello che questo ha effettivamente detto; o
piuttosto, ci che conta la reazione di questi due discorsi, uno rispetto all'altro,
perch questa costituisce per essi un insostituibile rivelatore. Da questo punto di vista,
che la frase famosa sia di Spinoza o di Hegel, il migliore dei sintomi per analizzare il
rapporto tra le due filosofie.
Non si risolve allora il problema che pone linterpretazione di questa frase se la si
riferisce allimmaginazione di Hegel, evidenziando la sua artificialit nellannichilirla.
Tuttavia occorre sapere da quale ragionamento Hegel stato condotto ad attribuire
questa frase a Spinoza, per farne la ragione e l'indizio principale della loro divergenza.
Occorre dunque prendere omnis determinatio est negatio come un enunciato
completamente reale, che funziona da qualche parte tra Spinoza ed Hegel, e nel quale
la contraddizione delle loro due filosofie assume una forma visibile.
Il negativismo di Spinoza
Cominciamo col delucidare il senso di questa frase, cos come Hegel la prende. Questo
senso fondamentalmente doppio, daccordo con il posto che Hegel assegna a
Spinoza nella storia della filosofia, che quello di un precursore. Nella frase si
annuncia qualcosa di grandioso - Hegel stesso usa quest'espressione -, ma che
assume soltanto la forma di un presentimento, separato dei mezzi che
permetterebbero di realizzarlo. per questo presenta allo stesso tempo due aspetti:
da un lato, la frase pu essere compresa soltanto rispetto a questa verit essenziale
che gi si delinea in essa; d'altra parte, esiste soltanto col difetto che impedisce che la
sua promessa sia mantenuta. E ci che la caratterizza, pertanto, la sua
incompiutezza. Rappresenta dunque una verit in movimento, presa nel mezzo del
cammino che deve percorrere. Perci pu essere considerata, sia dal punto di vista del
compito che ha realizzato, sia di quello di ci che le resta da fare per raggiungere il
suo obiettivo.
Vediamo inizialmente l'aspetto buono della frase e rileviamone il contenuto positivo.
Questo consiste nella relazione che si stabilisce tra determinazione e negazione: ci
che determinato implica in s una negazione, e questa negazione lo fa esistere come

qualcosa di determinato. Quindi, la negazione non soltanto una privazione, poich


per mezzo di essa qualcosa pu essere posto: la negazione, in un certo qual modo,
produce esistenza, il che implica che ha una funzione costitutiva. Pertanto, come
spiega Hegel nell'allegato al paragrafo 91 dell'Enciclopedia, la realt non pu essere
compresa dalla sua sola relazione ad uno Essere pienamente positivo e fondatore, che,
propriamente, non sarebbe tale se non restando indifferente ed esterno ad ogni realt
effettiva: come tale essere, in s stesso indeterminato, potrebbe essere anche un
principio di determinazione? Questo ragionamento si assomiglia molto a quello che
Platone, nel Sofista, rivolgeva gi contro gli Eleati, per raggiungere, del resto, una
conclusione abbastanza vicina a quella di Hegel: necessario, se si vuole sostenere un
discorso razionale su ci che esiste, accordare al non essere, dunque al negativo, una
qualche realt.
Secondo questo primo aspetto, vediamo che la filosofia spinozista, di cui Hegel non
cessa di denunciarne limmobilit, inizia a muoversi un po': se si ammette, almeno a
livello di ci che ha un'esistenza determinata, un principio di negativit effettivo,
questa esistenza non si mantiene pi nella sua posizione iniziale, cio, nella
affermazione di un essere assoluto e completamente positivo che comprende tutto in
s e nel quale s'inabissa tutta la realt. Accanto alla materia vuota e morta, riconosce
un mondo di determinazioni che vive soltanto per sua negativit propria. Orbene, non
questo caso gi il lavoro del negativo, anche se lo si espone in una forma
incompleta, che non domina ancora la necessit del concetto?
Occorre, immediatamente, osservare che Hegel non scopre tale promessa nella frase
che attribuisce a Spinoza ma dal fatto che la legge a rovescio. Omnis negatio est
determinatio: in ogni negazione c' determinazione, cio, qualcosa che pone e che
agisce, che produce effetti e che fa esistere. In altre parole, in ogni negazione c
anche qualcosa di positivo: un mezzo, un intermediario, una mediazione che
conduce verso un'altra cosa, che mette sotto scacco la tirannia dell'identit formale e
vuota, e rivela che c' contenuto effettivo solo con l'alterazione di quest'identit, con
questo movimento, questo passaggio che eccede la presenza immediata a s del
positivo che soltanto positivo, e lo realizza in un altro, per mezzo del negativo.
Tuttavia - e questo il lato cattivo della formula che appare se la si legge al dritto -,
cos come Spinoza lo avrebbe scritto, questa relazione interne del positivo con il
negativo appare soltanto sotto forma di una insoddisfazione e di un'insufficienza, ma
non veramente compresa. Perch rimasto nel punto di vista dell'intelletto (in senso
hegeliano), Spinoza continua a separare il positivo dal negativo, che appartengono,
per lui, a due ordini distinti: dal lato dell'assoluto, che dato immediatamente al di
fuori di qualsiasi determinazione, c' soltanto la positivit di un essere al quale non
manca nulla e che non pu divenire, in questa presenza originaria, pi di ci che non
gi: perci il negativo, anche se il suo intervento riconosciuto come necessario, deve
essere espulso fuori di s: appare soltanto l dove si producono le determinazioni,
ossia, nella sfera di ci che finito e che per natura esterno alla sostanza infinita.
Allora la frase omnis determinatio est negatio lascia intravedere un senso del tutto
nuovo, che precisamente un senso negativo, o restrittivo: ogni determinazione
negativa, cio soltanto qualcosa di negativo, e che non pi che negativo. La realt,
l'esistenza del finito, si pensano in un certo qual modo soltanto per differenza, per
sottrazione, rispetto all'assoluto della sostanza. Per Spinoza, cos come Hegel lo
interpreta, la determinazione un movimento regressivo, non come il ritorno in s di
ci che , ma al contrario come la sua decomposizione, la sua degradazione, la sua

decadenza. Il determinato ci che non pu essere colto che per difetto, secondo il
proprio difetto, la mancanza di essere, la negativit che lo determina: l'ineffettivo
che si mantiene a distanza della sostanza ed impotente a rappresentarla se non in
un'immagine inversa.
Hegel dice inoltre: Spinoza ha concepito la negazione in un modo che soltanto
astratto, come un principio d'alterazione indipendente dalla positivit che ha una volta
per tutte installata nell'assoluto. La negazione astratta la negazione considerata
restrittivamente, per difetto, in quanto soltanto negativa. Per Spinoza, il negativo
l'opposto del positivo, e non pu essere conciliato con esso, ma che permane sempre
irriducibile ad esso. In questo modo, tra il positivo che soltanto positivo - e che
esso stesso un'astrazione, poich comporta questa restrizione: la contraddizione
propria dello spinozismo che non pu lasciar introdurre la negativit nella sua sostanza
- e il negativo che soltanto negativo, nessun passaggio pu essere stabilito che
renderebbe effettivo il movimento del concetto e permetterebbe di comprenderne la
razionalit intrinseca. Per il fatto che l'assoluto un immediato, non c' nulla fuori di
esso; o piuttosto, fuori di esso non si ha che enti che possono essere misurati solo
negativamente, a partire dal nulla, dal difetto di sostanza che li compone intimamente
e che causa della loro fatticit.
Ritroviamo qui un'obiezione che conosciamo bene: la sostanza spinozista ha eliminato
del suo ordine proprio, come si eliminano corpi estranei, ogni determinazione, ed
questa chiaramente la condizione della sua identit assoluta con s. Cos non pu
avere con ci che essa non pi che delle relazioni estrinseche. Questo vero
dapprima per gli attributi o generi, che sono determinazioni della sostanza, e che
appartengono gi al mondo della finitudine. Si comprende anche che possono essere
compresi soltanto da un intelletto, cio un modo, che conferisce loro quest'esistenza
astratta e finita, aliena alla pienezza della sostanza. vero inoltre, e a fortiori, rispetto
ai modi stessi, o a ci che Hegel denomina gli individui, che, non avendo in se stessi il
loro principio d'esistenza, non sono veramente nulla in se stessi, se non apparenze
presto condannate a scomparire, che per esse il migliore modo di manifestare la loro
scarsa realt.
Quindi la filosofia di Spinoza, in contraddizione con la sua proclamata affermazione
della pienezza del positivo, in fondo un negativismo, come tutti i pensieri orientali:
Nello stesso modo, nella rappresentazione orientale dell'emanazione,
l'assoluto la luce che illumina se stessa. Tuttavia, non illumina soltanto s
ma anche ci che si emana. Le sue emanazioni sono distanze
(Entfernungen)dalla sua limpida chiarezza: le creazioni che seguono sono
pi imperfetti dei precedenti da cui procedono. L'espansione considerata
come un evento, il divenire soltanto come un perdersi continuo. Cos
l'essere si oscura sempre pi, e la notte, il negativo, il termine della serie,
che gi non fa ritorno alla prima luce. 99
Sorprendente inversione! Come non pu essere stabilita nessuna misura comune tra il
positivo ed il negativo, e che restano assolutamente esteriori l'uno all'altro, l'essere
nella sua luce primitiva condannato ad essere presto invaso dall'ombra che riempir
tutto il suo spazio, e che lo inabisser nel nulla non meno assoluto in cui si produce la
99

Logica, II.

sua abolizione. Ecco un altro testo nel quale Hegel descrive questa caduta in modo
impressionante:
La sostanza, cos com' la si apprende da Spinoza, senza mediazione
dialettica precedente, immediatamente, in quanto potenza universale
negativa, in una certa forma soltanto quest'abisso oscuro, informe, che
assorbe in s ogni contenuto determinato, poich essendo stato
originariamente il nulla [nant], e non produce niente [rien] che abbia in se
steso una consistenza positiva.100
la potenza universale negativa: nella misura in cui l'universalit della sostanza
vuota, e come tale condannata all'immobilit e alla morte, pu essere investita
soltanto da questa potenza inversa che la corrompe, che la disfa, e che allo stesso
tempo proclama la sua verit profonda, il Nulla [Nant].
Si vede dunque dove conduce la presentazione dell'assoluto come positivit pura: al
trionfo del negativo che realmente la sua fine. Allora ci che in gioco nel dibattito
appare chiaramente: riconoscendo al negativo una funzione costitutiva, e creando le
condizioni della sua alleanza, della sua unit con il positivo, si tratta soprattutto, per
Hegel, di difendere il positivo da s stesso, di impedire la sua decadenza che
inevitabile se cede alla tentazione di essere sufficiente a s stesso nella pienezza
vuota, astratta, del suo essere immediato. Rispetto a ci che apparivano inizialmente,
le posizioni sono ora esattamente invertite: rivendicando esclusivamente il positivo,
Spinoza ha scelto di fatto il negativo, o almeno vi si abbandonato, mentre Hegel,
accordando la sua parte di realt al negativo, ne fa lo strumento o l'ausiliario del
positivo a cui garantisce, a sua insaputa, il trionfo: astuzia della ragione. Ci significa
che nel negativo, a condizione che sia considerato in modo razionale, c' qualcosa che
tende al positivo; ed questo ci che sfugge necessariamente all'intelletto astratto
per il quale positivo e negativo, definitivamente esterni l'uno all'altro, sono anche
irriconciliabilmente opposti.
Questo arresto razionale del negativo ci che si esprime nell'idea di negativit
assoluta. Possiamo comprendere quest'idea soltanto abbandonando la sfera della
riflessione astratta, che rappresenta le cose nella loro rapporto immediato con loro
stesse: se le consideriamo nel loro movimento, vediamo che esse stesse sono soltanto
per il tramite di altro che riflettono in s. Questo passaggio negazione, negazione
dell'essere immediato; ma gi anche negazione della negazione, o piuttosto
negazione del negativo stesso, nella misura in cui scopre la cosa nel suo concetto, cos
come in e per s.
Ci che si designa comunemente con l'espressione negazione della negazione,
dunque la razionalit infinita del processo nel quale tutta la realt si effettua. Ma la
tendenza naturale di interpretare questa razionalit nei termini della riflessione
astratta. Diventa allora una relazione tra due termini, che sono due negazioni distinte
e successive. lo schema formale della triade, nel quale si riassume troppo spesso la
presentazione dellhegelismo, e che Hegel stesso ha espressamente ricusato:
dapprima un essere dato nella sua presenza immediata; poi la sua negazione, cio il
riconoscimento dell'altro che disfa questa immediatezza: infine una nuova negazione
100

Enciclopedia, agg. al 151.

che si aggiunge alla precedente, se si pu dire, o la prende come oggetto e la


annulla, reintegrando l'essere iniziale nella sua identit, aumentata con tutte le
trasformazioni per le quali passata, con tutto ci che ha appreso nella successione
di questi episodi.
Ma, ci che Hegel ha voluto pensare attraverso la negazione della negazione,
qualcosa di completamente diverso, che non pu essere riportato cos al taglio
meccanico di una serie temporale. Nello schema precedente, la negazione della
negazione risulta dalla combinazione di due operazioni distinte, il cui adattamento
corregge gli effetti, producendo una sorta d'equilibrio, ma queste due operazioni sono
in se stesse identiche, equivalenti; tutta l'efficacia del processo proviene dalla loro
ripetizione. Accade, secondo una regola grammaticale ben nota - dice Hegel stesso che il risultato di quest'operazione positivo, ma questa positivit soltanto
constatata, non razionalmente dimostrata, e nulla ne giustifica la necessit. Ancor
pi, anche ammettendo che due negazioni fanno una affermazione, nella misura in
cui si succedono, nulla ci dice che l'operazione si svolger sempre fino alla fine, che
una seconda negazione verr a correggere la prima: il ritorno in s del positivo, di
conseguenza, non pi garantito.
Neanche la negazione della negazione, nella dialettica hegeliana, si lascia ricondurre
alla combinazione di due negazioni. In realt si tratta di un processo intrinsecamente
coerente e necessario, nel quale la stessa negazione che, dal principio alla fine,
sviluppa tutti i suoi effetti. In un primo momento, questa negazione si scopre come
negazione finita, cio che astrattamente determinata, nel senso pi usuale del
negativo, come un atto d'opposizione che installa l'altro di fronte allo stesso e fuori
dello stesso. Questo trattamento del negativo come esteriorizzazione precisamente
quello che Hegel attribuisce a Spinoza. Ma in un secondo momento - che succede al
precedente in un modo che non semplicemente cronologico, ma logico -, questa
negazione si riprende e si comprende in se stessa come infinita. Appare allora che non
ha, finalmente, altro oggetto che essa stessa, o anche che, presa assolutamente,
negazione di s come negazione. La negazione della negazione non dunque per
Hegel la sovrapposizione di due negazioni che si annullano combinandosi - non si vede
del resto come quest'aggiustamento potrebbe costituire un divenire -, ma il
movimento unico e immanente di una negazione che va fino al fondo di s stessa, che
ritorna su di s e produce, cos, effetti determinati.
La negazione assoluta dunque la negazione che, negando qualcosa, si nega essa
stessa in questa cosa come negazione e si risolve effettuandola (portando la cosa
allessere). la negazione che non gi pi soltanto negazione, ma che, andando pi
lontano, scopre in s il cammino che conduce al positivo. Cos, come abbiamo
accennato poco fa, il negativo appare come un intermediario: la sua apparenza
immediata voltata, subordinata agli interessi del positivo di cui prepara l'evento.
per questo che l'espressione negazione del negativo sarebbe preferibile per
designare l'insieme di questo processo, poich marca bene il collegamento intrinseco
tra i suoi momenti ed anche, nel confronto che si opera qui tra il positivo ed il
negativo, il fatto che il positivo quello che fissa le questioni in gioco e che deve
importarle, mentre il negativo gli inesorabilmente sottoposto, come un mezzo che il
positivo utilizza per i propri fini. Ritorneremo ulteriormente su questo punto, poich
essenziale.
Rispetto a questa concezione sviluppata del negativo, le insufficienze dello spinozismo
sono per Hegel evidenti:

Spinoza resta alla negazione come determinazione o qualit: non va fino


alla conoscenza di questa (negazione) come negazione assoluta, cio
(negazione) negantesi; pertanto la sua sostanza non contiene essa stessa la
sua forza assoluta, e il conoscere di questa stessa sostanza non conoscere
immanente.101
Con la forma di riflessione astratta che si fissato, lo spinozismo un pensiero
arrestato, incapace di afferrare il negativo nel movimento che lo porta irresistibilmente
al di l di s stesso, verso il positivo: si arresta alla negazione immediata, colta
limitatamente come un negativo che soltanto negativo, e non va oltre la
risoluzione di questa negativit nell'effettivo ed il razionale, cio nel concetto.
questo che spiega la caduta nel negativo alla quale giunge alla fine il suo sistema:
avendo posto di primo acchito l'assoluto come identit immediata con se stesso, pu
rifletterlo soltanto nelle sue determinazioni esteriori astratte, che sono la negazione, e
solamente la negazione. In modo tale che il cammino di questo negativo, lungi dal
coniugare le apparenze della negativit facendo addivenire un positivo, non fa che
rafforzare questa negativit, degradando gradualmente l'assoluto fino alla sua
completa sparizione. La debolezza dello spinozismo deriva dal fatto che non ha potuto
trovare nell'intelletto un'arma efficace contro il negativo, ed in particolare quest'arma
assoluta che la negativit infinita, o negazione della negazione, poich questa
appartiene al pensiero razionale, in quanto non si lascia ridurre alle determinazioni
dell'intelletto, e ne garantisce lo sviluppo concreto, la vita immanente.
Hegel dice anche che il ragionamento di Spinoza si scontra con opposizioni
inconciliabili o insolubili perch non giunto al processo razionale della
contraddizione:
L'intelletto ha determinazioni che non si contraddicono; non pu far fronte
alla contraddizione. Orbene, la negazione della negazione non altro che la
contraddizione, negando la negazione come semplice determinabilit, da
una parte affermazione e, daltra parte, negazione in generale. E questa
contraddizione, che propriamente il razionale, ci che manca a
Spinoza.102
Per Spinoza, determinare un essere, quale che sia, sarebbe determinarlo in modo
finito: la determinazione soltanto riflessa dall'intelletto come un limite, cio - lo
abbiamo visto - come una relazione di esteriorit. Perci un essere sempre
determinato rispetto ad un altro essere, che ne costituisce la negazione. Cos il
pensiero, come attributo, cio come determinazione della sostanza, si pone come un
op-posto nella limitazione che lo separa da un altro attributo, l'estensione. Questi due
termini non hanno in se stessi le condizioni della loro unit, che deve dunque essere
riflessa fuori di essi, nella sostanza in cui sono indistinti, indifferenti. Cos, dall'assoluto
alle sue determinazioni, e da queste determinazioni all'assoluto stesso, nessuna
101

Logica, II.

102

Lezioni sulla storia della filosofia.

progressione razionale pu essere stabilita, perch si tratta di termini irriducibili, legati


da relazioni esclusivamente negative.
Il pensiero razionale della contraddizione afferma, al contrario, l'unit degli opposti, e
non si accontenta di associarli o riunirli in un equilibrio meccanico, ma ne rileva la
relazione intima nel momento stesso in cui la realizza. La contraddizione
(Widerspruch) si distingue dall'opposizione (Gegensetz) per il fatto di non essere una
relazione fissata tra termini distinti ed antagonistici, ma di essere movimento
irresistibile che scopre in ciascuno dei suoi elementi la verit dell'altro e li produce, in
tal modo, come i momenti di un processo unico nel quale appaiono come inseparabili.
La sostanza spinozista , secondo Hegel, soltanto un'unit di opposti, perch risolve
con un colpo di autorit, senza necessit vera, l'antagonismo esteriore delle sue
determinazioni: il concetto hegeliano un'unit di opposti perch il suo sviluppo
anche ritorno a s che pone un'identit relazionando lo stesso con l'altro, e li riconosce
cos come solidali. Essendo l'assoluto, in Spinoza, dato all'inizio nella totalit di ci
che , non pu incamminarsi in questo movimento, appropriarsi della sua propria
contraddizione per risolverla e divenire se stesso, ma deve subire gli antagonismi
inevitabili nei quali lo fa cadere la sua pretesa irrisoria di essere immediatamente
identico a s.
per questo che la concezione della determinazione come negazione, presa in un
senso che non comprende ancora il movimento della negativit assoluta con il quale la
negazione torna in s stessa e diventa l'ausiliaria del positivo, rappresenta ancora il
limite del pensiero spinozista: essa fa vedere chiaramente ci che le manca per
riuscire nel suo progetto di pensare l'assoluto. Questo ci che giustifica il tipo molto
particolare di lettura applicato da Hegel alla filosofia di Spinoza, lettura per difetto: a
tutti i livelli del testo, Hegel ritrova questa stessa necessit di pensare fino in fondo
una contraddizione cio, di pensarla in vista della sua soluzione necessaria -, ed ogni
volta constata anche la stessa impotenza di Spinoza a raggiungere quest'obiettivo,
impotenza il cui migliore l'indice l'assenza, nel suo sistema, del concetto di
negazione della negazione.

Una dialettica impotente


Due esempi ci permetteranno di caratterizzare meglio questo approccio molto
singolare che consiste nel riprendere una filosofia a partire dalla sua impotenza a
realizzare le sue proprie tendenze: si tratta del commento che Hegel fa delle
definizioni 1 e 6 del libro I dell'Etica.
La prima definizione ha per oggetto la causa sui, questa nozione primordiale che
implica una riflessivit della sostanza ed innesca la trasformazione con la quale si
converte in soggetto: Se Spinoza avesse continuato sviluppare pi da vicino ci che
questa causa sui implica, non sarebbe arrivato, come arriva, alla conclusione che la
sostanza l'Immobile (das Starre) (Lezioni). Cosa contiene dunque questa nozione, e
come potuto passare inosservato questo contenuto?
Hegel comment la prima volta questa definizione in un testo pubblicato a Iena nel
1802:

Spinoza comincia la sua Etica con la seguente dichiarazione: per causa di


s intendo ci la cui essenza implica l'esistenza, o, il che lo stesso, ci la
cui essenza non pu essere compresa che come esistente. Ma, il concetto di
essenza o natura pu essere posto soltanto se si fa astrazione
dell'esistenza; uno esclude l'altro; luno determinabile soltanto in
opposizione all'altro; se si collegano i due e li si pone come uno, allora la
loro relazioneo contiene una contraddizione, e tutti e due vengono allo
stesso tempo negati.103
Hegel scopre qui nello spinozismo un riferimento positivo perch lo interpreta di primo
acchito in un senso dialettico: l'unit necessaria posta nella causa sui tra l'essenza e
l'esistenza razionale in quanto l'unit di una contraddizione di cui costituisce la
soluzione. Sembra dunque che Hegel abbia iniziato pi tardi a sospettare che Spinoza
restasse in un pensiero dell'intelletto: per il momento, scopre in lui un arpiglio, nel suo
sforzo per giustificare il lato negativo) 104 cosa che comporta in s ogni filosofia
autentica e che la condizione effettiva della sua razionalit. Allora Spinoza sta, se si
pu dire, dal lato buono della ragione, dato che assicura il suo trionfo sulle opposizioni
nelle quali l'intelletto resta fermo, e impedisce cos
[] la trasformazione del razionale in riflessione e la conoscenza
dell'assoluto in conoscenza finita. Ma, la forma fondamentale che conduce
da un estremo all'altro questa trasformazione consiste nello stabilire come
principio l'opposto della prima definizione di Spinoza, che esplica una causa
sui come ci la cui essenza implica allo stesso tempo l'esistenza, e
nellaffermare come principio fondamentale che il pensiero (das Gedachte),
per il fatto di essere un pensato, non implica allo stesso tempo un essere
(ein Sein). Questa separazione del razionale, nella quale pensiero ed essere
sono uno, nei termini opposti di pensiero ed essere, questo attaccamento
assoluto a questa opposizione, dunque l'intelletto eretto in assoluto,
costituisce il fondamento che questo scetticismo dogmatico ripete senza
sosta e che applica ovunque.105
Affinch la filosofia di Spinoza sfugga alla condanna cos lanciata contro la riflessione
astratta, ed anche perch serva per sopraffarla un po' di pi, occorre procedere poi ad
una doppia trasposizione: dapprima, riportare la relazione che stabilisce la definizione
tra essenza ed esistenza alla relazione tra pensiero e essere; poi, identificare questa
relazione come una contraddizione, e l'oggetto definito, la causa sui, come la
risoluzione di questa contraddizione. manifesto che il carattere autenticamente
razionale della filosofia di Spinoza pu essere riconosciuto soltanto a condizione che
venga distorto. Ma cosa rester di questa razionalit se, ritornando alla sua letteralit,
si rinuncia a queste trasposizioni che la salvano?
A dire il vero, il commento di questa stessa definizione che Hegel proporr pi tardi
nelle sue Lezioni sulla storia della filosofia ci allontana ancora un po' di pi dal testo:
103

Scetticismo e filosofia.

104

Ibid.

105

Ibid.

L'unit del pensiero e dell'esistenza (die Einheit des Gedankens und der
Existenz) immediatamente allo stesso tempo posto [lessenza il
generale, il pensiero]; di quest'unit che si tratter eternamente. Causa
sui un'espressione importante. L'effetto opposto alla causa. La causa di
s la causa che produce un effetto, separa un altro, ma ci che fa uscire
s stessa. In questa fuoriuscita, essa supera cos la differenza; la posizione
di s come un altro la caduta ed allo stesso tempo la negazione di questo
declino. Si tratta di un concetto completamente speculativo. Noi ci
rappresentiamo che la causa produca un qualche effetto, e che l'effetto sia
qualcosa di diverso dalla causa. Al contrario, l'esteriorizzazione della causa
(das Herausgehen der Ursache) qui immediatamente superata, la causa di
s non produce che s; un concetto fondamentale per qualsiasi
speculazione. la causa infinita nella quale la causa identica all'effetto. Se
Spinoza avesse sviluppato pi da vicino ci che c' nella causa sui, la sua
sostanza non sarebbe stata l'Immobile.
una nuova contraddizione che Hegel scopre questa volta nella causa sui: la
contraddizione tra la causa e l'effetto. Questa contraddizione, che porta in s la
causalit della sostanza - poich la causa pu essere pensata soltanto in relazione ai
suoi effetti, nei quali si manifesta [esteriorizza] -, si vede dallinizio superata
nell'identit con se stessa della sostanza, che fonda l'unit degli opposti, causa ed
effetto. Ma questa dialettica si arrestata dal principio perch Spinoza, anzich far
coincidere il suo sistema con lo sviluppo di questa contraddizione, la d subito questa
come risolta, ponendo immediatamente l'identit con se stessa della sostanza.
Bellesempio di filosofia a colpi di pistola106, che esaurisce dall'inizio tutto il tenore del
suo contenuto, e non ha poi pi nulla da dire (pi nulla a dire che sia vero, sintende).
Sviluppare con pi precisione ci che c' nella causa sui non potrebbe significare che
una cosa sola: mantenere la contraddizione aperta tutto il tempo necessario alla sua
maturazione, affinch la sua soluzione comprenda tutti gli intermediari necessari alla
sua realizzazione, anzich richiuderla subito sotto l'impulso di quest'impazienza
teorica che richiede l'impossibile: raggiungere lobiettivo senza i mezzi. 107
Dalle prime righe dell'Etica, Hegel scopre dunque il segno dell'insufficienza
caratteristica dello spinozismo: presentata implicitamente, la contraddizione privata,
tuttavia, della sua spiegazione razionale in una esposizione ordinata e progressiva.
Nella sesta definizione, il cui oggetto Dio, Hegel scopre la stessa promessa di
razionalit incompiuta. Nel suo commento delle Lezioni, si interessa soprattutto alla
spiegazione che accompagna questa definizione, e che riguarda la differenza tra i due
infiniti, l'assolutamente infinito e l'infinito solo nel suo genere. Ecco questa
spiegazione, cos come stata formulata da Spinoza:
Dico assolutamente infinito, e non nel suo genere, poich, di ci che
meramente infinito nel suo genere, possiamo negare infiniti attributi, mentre
106 [...] l'entusiasmo che, come un colpo di pistola, comincia immediatamente con la conoscenza assoluta, e si
sbarazza degli altri punti di vista dichiarando che non sono degni di essere presi in considerazione (Prefazione alla
Fenomenologia).

107

Ibid.

all'essenza di ci che assolutamente infinito compete tutto ci che


esprime la sua essenza, e non implica alcuna negazione.
Se questo testo attira l'attenzione di Hegel perch il concetto di negazione vi appare
in termini propri: deve pertanto trovarvisi un'indicazione sull'interpretazione spinoziste
di questo concetto.
Ci che assoluto soltanto nel suo genere, cio, l'attributo, ci di cui si pu negare
un'infinit di cose. Hegel interpreta questa particolarit nel modo seguente: l'attributo
ci la cui natura implica una negazione e, come tale, una determinazione della
sostanza, determinazione esterna, soltanto negativa Questo infinito , prosegue, il
cattivo infinito, l'infinito dell'immaginazione, che rappresentato soltanto da un
passaggio al limite, e cos via all'infinito. Questo si oppone all'infinito del pensiero, o
allassolutamente l'infinito, che si tiene fuori da tutte le negativit, ed pura
affermazione di s, o anche infinito in atto, cio, l'infinito concepito come effettivo e
non rappresentato soltanto come un possibile. Ed Hegel conclude questa sintesi
esclamando: Ed completamente giusto. Ma avrebbe potuto esprimerlo meglio
dicendo: la negazione della negazione. Se si prende la relazione tra gli attributi
come una contraddizione - ed abbiamo visto, infatti, che Hegel considera, per
sviluppare la nozione attributo, soltanto due attributi, il pensiero e lestensione, e li
colloca uno in relazione all'altro -, Dio questa contraddizione risolta, nella misura in
cui allo stesso tempo affermazione assoluta di s e negazione assoluta, cio,
superamento di tutte le negazioni specifiche che costituiscono l'essenza specifica di
ogni attributo; in questo modo, s'innesca anche un movimento verso il razionale completamente caratteristico del procedere di Spinoza, cos come Hegel lo comprende
-, anche se questo movimento si arresta immediatamente, e la feconda contraddizione
subito fissata in un'opposizione sterile ed astratta.
L'abuso di quest'interpretazione proposta da Hegel si attiene evidentemente al fatto
che Spinoza non dice da nessuna parte che l'essenza che costituisce ciascun attributo
implica una negazione. Senza di che evidentemente questa essenza non potrebbe
pi essere concepita per s. D'altra parte, allorch Spinoza scrive che
l'assolutamente infinito comprende nella sua essenza tutto ci che esprime la sua
essenza, e non implica alcuna negazione, quest'espressione designa gli attributi
stessi in quanto stanno tutti nella sostanza che si esprime in essi in maniera
completamente affermativa: per introdurre nell'essenza dell'attributo una negativit,
occorre staccarlo dalla sostanza nella quale esiste per provare a comprenderlo, in
maniera astratta, a partire dalla differenza che lo separa da tutti gli altri; occorre
dunque cessare di concepirlo per s - ma non tale che nella sostanza - per concepirlo
nella sua relazione ad altre essenze, che esso nega e che lo negano. Ora
assolutamente necessario che Hegel inverta cos la vera natura degli attributi abbiamo visto come: non considerandone che due e ponendoli in una relazione
d'opposizione perch possa identificare l'infinit degli attributi, di ci che infinito
soltanto nel suo genere, all'infinito dell'immaginazione o al cattivo l'infinito, cos
come Spinoza lo caratterizza, d'altra parte, nella sua lettera 12 a Louis Meyer. Ci che
infinito nel suo genere non dunque meno, o differentemente infinito, di ci che
assolutamente infinito, poich non infinito che in s.

per questo che non permesso dire, come ha fa Hegel, che manca alla filosofia di
Spinoza l'idea di negazione della negazione, e che sia essa la causa della sua
imperfezione o della sua incompiutezza. Poich dice Spinoza stesso, il termine
imperfezione significa che a un essere manca ci che tuttavia gli appartiene per sua
natura.108 Ma, l'idea di negazione della negazione, e la concezione molto
particolare della contraddizione che le sta legata, precisamente ci che il
ragionamento seguito da Spinoza esclude decisamente. I commenti di Hegel che
abbiamo appena riprodotto sono quindi, pi che erronei, incongruenti, nella misura in
cui applicano per forza alla dimostrazione spinozista il tipo di argomentazione che
questa aveva dovutamente eliminato fin dall'inizio, come lo stesso Hegel segnala in
un'altra parte. In tutti i modi, questa incongruenza non gratuita, ma
paradossalmente pertinente, poich mette chiaramente in evidenza, al contrario, una
caratteristica essenziale della filosofia spinozista, la sua resistenza ad una certa forma
d'argomentazione alla quale vano misurarla perch ne costituisce in anticipo la
confutazione: la dialettica hegeliana.

Il finito e linfinito
Ritorniamo ora alla formula omnis determinatio est negatio e vediamo quale il suo
significato per Spinoza stesso. Esso appare nella lettera 50 a J. Jelles, alla quale
abbiamo gi abbiamo fatto riferimento per spiegare che Dio, cos come lo concepisce
Spinoza, non pu che impropriamente essere caratterizzato come un essere unico.
Letteralmente c scritto: determinatio negatio est, e vi assume la forma di una
affermazione incidentale. Nel suo commento dell'Etica109 L. Robinson arriva a supporre
a che questa frase non sia della penna di Spinoza, la cui lettera era scritta
originalmente in Olandese, ma che sia stata aggiunta, come spiegazione, nella
versione latina. Senza arrivare a questa posizione estrema, vediamo subito quale
divergenza c' tra questa frase, cos come appare nel testo latino della lettera di
Spinoza, e ci che Hegel ne ha ricavato: da una proposizione incidentale che rinvia ad
un contesto molto particolare, sul quale ritorneremo, Hegel ne ha fatto una
proposizione generale, che assume un significato universale, con l'aggiunta di una
piccola parola che cambia tutto e che confonde molte cose: omnis.
Ma, nella lettera 50 a J. Jelles, Spinoza non affronta il problema della determinazione in
generale, ma lo prende in relazione a un caso molto particolare che quello della
figura. Occorre riprendere il passaggio integralmente:
Quanto al fatto che la figura una negazione, e non realmente qualcosa di
positivo, manifesto che la materia pura, considerata in modo indefinito,
non pu avere alcuna figura, e che la figura trova posto soltanto nei corpi
finiti e determinati. Poich chi dichiara di percepire una figura non indica con
ci null'altro che il fatto che concepisce una cosa determinata, ed il modo in
cui determinata. Dunque questa determinazione non appartiene alla cosa
secondo il suo essere (juxta suum esse), ma al contrario ci che essa non
108 Lettera 36 a Hudde.
109

Lewis Roamson, Kommentar zu Spinozas Ethik, Lipsia, 1928, p. 103.

(ejus non esse). per questo che dunque, essendo la figura soltanto una
determinazione - e la determinazione una negazione -, non potr, come
stato detto, essere altro che una negazione.
Questo testo non si presta ad alcun equivoco, purch lo si comprenda integralmente. Il
suo oggetto la figura, che una realt molto particolare nella misura in cui non
n un'idea n una cosa, ma un limite: in questo senso, non un essere fisicamente
reale, ma soltanto un ente di ragione, ed per questo che il suo contenuto negativo.
Cos, percepire una figura, non per niente percepire una cosa cos come , ma
concepirla come determinata, cio in quanto limitata da un'altra cosa: la figura non
esprime null'altro che questa limitazione reciproca che esiste tra corpi finiti e
determinati, e che li rappresenta non secondo il loro essere proprio, ma secondo ci
che essi non sono.
Per anticipare, accostiamo questa definizione di ci che dice Spinoza in un'altra lettera
in cui tratta, in altri termini, lo stesso problema:
Per quanto riguarda il tutto e le parti: considero le cose come parti di un
certo tutto, in quanto ciascuna di esse si adatta a tutte le altre, in modo tale
che stanno tutte tra loro, e per quanto possibile, armoniose e concordanti;
ma, in quanto queste cose si oppongono, ciascuna di esse forma allora nel
nostro spirito un'idea distinta e deve essere considerata non come una
parte, ma come un tutto (12. Lettera 32 di Spinoza a Oldenburg). 110
Percepire una figura, concepire una cosa come limitata da un'altra che le si oppone;
dunque considerarla come un tutto, e distinguerla dalle altre cose che non
appartengono a questa configurazione. Ma, se ci si mette ad un altro punto di vista,
secondo il quale al contrario essa si adatta, o si conf alle cose che appaiono qui come
agenti su di essa dell'esterno, essa si presenta come una parte, in rapporto a un tutto
che procede esso stesso da un'altra determinazione. Ne risulta, dapprima, che la
rappresentazione della figura dipende non dalla cosa che essa limita, ma dal punto di
vista dell'intelletto che la ritaglia nel concatenamento infinito delle cose singolari,
considerandola come un tutto. D'altra parte - e vedremo che quest'idea molto
importante per Spinoza -, la nozione di totalit, in quanto dipende da una tale
determinazione, non rappresenta l'esistenza positiva di un essere, che si afferma una
volta per tutte in un'individualit stabilita: ma comporta in s l'idea di una limitazione,
e, attraverso di essa, di una negazione. Qui si delinea la distinzione, scandalosa per
Hegel, tra sostanza e soggetto: la sostanza ci che non pu essere soggetto, nella
misura in cui, essendo assoluta, dunque indeterminata, non pu essere determinata
come un tutto; per contro, il soggetto ci che, per sua limitazione propria, non pu
essere sostanza.
Ci che problematico qui la nozione di determinazione. manifesto che, come
funziona nella lettera 50 a J. Jelles, non si applica a qualsiasi tipo di realt. Non
riguarda ovviamente gli attributi che sono essi stessi illimitati e la cui essenza non
comporta alcuna negazione: abbiamo sufficientemente spiegato che non si limitano
l'un l'altro, in conseguenza della loro infinit e la condizione del loro carattere
sostanziale; d'altra parte, sarebbe assurdo se si limitassero essi stessi, ed in s stessi.
110

Lettera 32 di Spinoza a Oldenburg

Ma, la nozione di determinazione, cos come viene qui definita, pu anche applicarsi ai
modi, ad esempio al modo dell'estensione, la cui esistenza implica al contrario una
limitazione? Non sembra trattarsi neppure di questo.
Infatti, i corpi finiti e determinati non sono determinati in questo senso, cio
negativamente, a meno che un intelletto li concepisca dal punto di vista della loro
limitazione reciproca, indipendentemente dall'ordine effettivo della natura, all'interno
del quale essi convengono tra loro, come le parti di un tutto. Allora il concatenamento
dei modi si presenta come una successione discontinua, i cui termini sono separati per
il fatto che si negano gli uni agli altri, opponendosi. Ma questa rappresentazione
adeguata? Non lo certamente, nella misura in cui non conosce i suoi oggetti a partire
dalla loro causa, la sostanza infinita che si esprime in loro in modo assolutamente
continuo: ponendo il finito fuori dell'infinito, come il negativo rispetto al positivo, lo
considera dal punto di vista astratto dell'immaginazione che separa ci che
intimamente unito, e che interpreta ogni totalit come se fosse costituita in s stessa,
a partire dal rapporto delle sue parti.
Determinare l'estensione attraverso la figura, come ha fatto Cartesio, concepirla
negativamente, riportandola ad una relazione di limitazione reciproca, indifferente ed
incompleta, a un ordine astratto nel quale il movimento pu intervenire soltanto
dell'esterno:
Quanto all'estensione cartesiana concepita come una massa inerte, non soltanto
problematico ma completamente impossibile dedurne l'esistenza dei corpi. La materia
in quiete, infatti, perseverer nella sua quiete fintanto che in s; essa sar messa in
movimento soltanto da una causa esterna pi potente; per questo che non ho
esitato in precedenza ad affermare che i principi cartesiani della natura sono inutili per
non dire assurdi .111
anche comprenderla esclusivamente dal punto di vista del finito, a partire dal quale
la sua infinit non pu essere colta senza contraddizione, come indica chiaramente la
lettera 12 a Louis Meyer:
Scherzano, per non dire sragionano, quelli che pensano che la sostanza
estesa sia composta di parti, cio di corpi realmente distinti gli uni degli
altri. come se qualcuno cercasse, con l'aggiunta e l'accumulo di una
moltitudine di cerchi, di produrre un quadrato, un triangolo o qualche altro
oggetto di essenza radicalmente diversa da quella del cerchio.
Il modo la in cui procede l'immaginazione qui evidente: per apprendere l'estensione
la determina o la divide, e tenta in seguito di ricostituirla, di generarla, a partire dagli
elementi cos ottenuti. Ma questa genesi pu essere soltanto fittizia: non esprime
null'altro che l'impotenza dell'immaginazione a rappresentare l'infinito che
dividendolo, in modo strettamente negativo, dunque inadeguato alla sua essenza. Ora,
il quantitativo, preso cos come in s, cos come lo concepisce l'intelletto, appare al
contrario come indivisibile, cio non riducibile a parti discrete, che ne sono soltanto la
negazione e a partire dalle quali non pu essere compreso positivamente.
ci che, in un'osservazione del libro I della Logica dedicata al concetto della
quantit in Spinoza 112, Hegel designa con la nozione di quantit pura, appoggiandosi
allo scolio della proposizione 15 (Etica, l):
111

Lettera 81 di Spinoza a Tschirnhaus

Se facciamo attenzione alla quantit cos come si d nell'immaginazione


che il caso pi frequente e pi facile - noi la troveremo finita, divisibile e
composta di parti; se al contrario facciamo attenzione a ci che per
l'intelletto e la concepiamo come sostanza, cosa che pi difficile, allora,
come abbiamo gi sufficientemente dimostrato, la troveremo infinita, unica
ed indivisibile.
Determinare la quantit riportandola ad una causa esterna, negare il suo infinito, il
quale impedisce di comprenderne positivamente la sua lessenza.
a questo proposito che Spinoza introduce una distinzione tra ci che Hegel chiama
cattivo infinito e l'infinito razionale; ma questa distinzione non ha nulla a che vedere
con quella dell'infinito nel suo genere e l'assolutamente infinito. Il cattivo infinito
corrisponde all'attitudine dell'immaginazione che pretende di comprendere ogni cosa
determinandola, cio negandone la sua essenza, in una conoscenza necessariamente
inadeguata. Ma questa deformazione riguarda tanto la sostanza che le sue affezioni:
Come ci sono numerose cose che possiamo afferrare soltanto con
l'intelletto ed in nessun modo con l'immaginazione, quali la sostanza,
l'eternit, ecc., ci si applica realmente a sragionare con l'immaginazione se
si tenta di spiegare tali concetti per mezzo di nozioni come il tempo, la
misura, ecc., che sono soltanto ausiliari di quest'immaginazione. Anche i
modi della sostanza non possono essere conosciuti correttamente se li si
confonde con questi enti di ragione o ausiliari dell'immaginazione. Quando
facciamo questa confusione, infatti, li separiamo dalla sostanza e dal modo
in cui derivano dall'eternit, trascurando cos che senza questa non possono
essere conosciuti (15 - lettera 12 a Louis Meyer). 113
Conoscere adeguatamente i modi finiti, consiste nel concepirli non a partire dalla loro
finitudine, cio della loro limitazione reciproca (Cfr. Etica, I, def. 2), ma a partire
dall'infinito da cui dipendono e da cui devono essere compresi nel loro concetto, se
vero che la conoscenza dell'effetto dipende dalla conoscenza della causa e la
implica (Etica, I, assioma 4). Per l'immaginazione, al contrario, la finitudine un dato
in s indispensabile, e la rappresenta tal quale, fuori di qualsiasi riferimento all'infinito,
con mezzi strettamente finiti, cio, come dice Spinoza, con la misura e con il numero:
questa fissazione al finito, l'immaginazione la traspone all'infinito, che tenta di
analizzare con l'ausilio di questi stessi strumenti, invano.
Per far comprendere questa relazione d'implicazione o d'avvolgimento che lega il finito
all'infinito per una conoscenza adeguata, Spinoza prende in prestito dalla geometria
un esempio sul quale occorre insistere, poich Hegel vi si riferito a pi riprese: nel
capitolo delle Lezioni sulla storia della filosofia (commento della VI definizione del libro
I dell'Etica); nel libro I della Logica (osservazione storica sullinfinito matematico che si
trova alla fine del capitolo sul quantum).
112

Logica, Trad. Labarrire

113

Lettera 12 a Louis Meyer

Affinch la discussione guadagni un po'in chiarezza, cominciamo


col riprendere l'esempio geometrico cos com dato da Spinoza:
Tutte le diseguaglianze dello spazio (inegalitates
spatii) interposto tra due cerchi, AB e CD, e tutte le
variazioni che deve subire la materia che muta in
questo spazio, sono superiori a qualsiasi numero. E ci
non segue dell'ampiezza eccessiva dello spazio
interposto: infatti, per quanto piccola sia la parte di
questo spazio che prendiamo, tuttavia le diseguaglianze di questa piccola
parte saranno superiori a qualsiasi numero. E ci non si conclude neppure,
come avviene in altri casi, dal fatto che non abbiamo n massimo n
minimo; infatti, nellesempio qui presentato, abbiamo luno e l'altro: il
massimo AB e CD il minimo; ma da ci si conclude soltanto che la natura
dello spazio interposto tra due cerchi aventi centri distinti non pu
sopportare nulla del genere. per questo che se qualcuno volesse
determinare con qualche numero (certo aliquo numero determinare) questa
variazione dovr allo stesso tempo concludere che un cerchio non
qualcosa di circolare.114
In questo testo, lo spazio interposto tra i due cerchi non concentrici indica l'insieme
delle distanze, comprese tra AB e CD, che separano le due circonferenze. Le
disuguaglianze di questo spazio, sono l'insieme delle differenze tra queste distanze
disuguali o la loro variazione. Quest'insieme non riducibile ad alcun numero, poich
si tratta di una variazione continua, che una conseguenza della circolarit delle
figure ADA e BCB. Ma questa incertezza non deriva dal fatto che lo spazio interposto
tra i due cerchi sia di unampiezza troppo grande , cio che la sua dimensione
illimitata: al contrario, essa limitata dalle due circonferenze, e questa limitazione
segnata dai due segmenti disuguali, AB e CD, che sono le forme estreme della sua
variazione. Del resto, se si prende una parte soltanto di questo spazio, ad esempio
andando da AB verso CD nel senso delle lancette di un orologio, la stessa incertezza
persiste: appare inoltre in questo caso che la somma delle diseguaglianze delle
distanze comprese in questo semi-spazio, senza poter essere rappresentata da nessun
numero, la met della somma delle diseguaglianze della distanza dello spazio totale
compreso tra le due circonferenze, insieme che non neppure riducibile a nessun
numero: la lettera 81 a Tschirnhaus che aggiunge questa precisazione.
Le difficolt che illustra quest'esempio non sono tali per l'immaginazione che vuole
rappresentare ogni cosa con dei numeri, e che, nel caso presente, cerca di analizzare
la grandezza con un numero, cosa che la conduce a paradossi insolubili. Ma i
matematici, che percepiscono queste cose chiaramente e distintamente, non si
lasciano fermare da questi paradossi:
In effetti, oltre al fatto che hanno trovato molte cose che non possono
essere spiegate da alcun numero, cosa che rende abbastanza manifesta
l'impotenza dei numeri a determinare tutto, ne hanno anche molte che non
possono essere uguagliate (adaequari) a nessun numero, ma che sono
114

Lettera 12 a Louis Meyer.

superiori a qualsiasi numero che possa essere dato. E tuttavia non


concludono che tali cose sono superiori a qualsiasi numero a causa della
moltitudine delle loro parti, ma a causa del fatto che la natura della cosa
non pu, senza contraddizione manifesta, supportare il numero (numerum
pati).
Ci sono grandezze limitate che non possono essere numerate, perch il movimento
che le costituisce assolutamente continuo, e dunque indivisibile. l'immaginazione
che vede l una contraddizione, e si arresta, mentre per l'intelletto la nozione del
continuo perfettamente chiara e distinta.
Vediamo ora come Hegel interpreta questo stesso esempio, inizialmente secondo il
testo della Logica, che della mano di Hegel, mentre quello delle Lezioni stato
ricostituito a partire da note di allievi che hanno pi o meno ben compreso e registrato
il ragionamento di Hegel:
Si sa che il suo esempio dell infinito vero uno spazio tra due cerchi
disuguali, di cui l'uno cade all'interno dell'altro senza toccarlo, e che non
sono concentrici. Dava grande importanza, sembra, a questa figura e al
concetto; un esempio nel modo in cui li utilizz, che ne fece il tema
principale (Motto) della sua Etica. I matematici, dice, concludono che le
diseguaglianze che sono possibili in tale spazio sono infinite non a causa
della moltitudine infinita delle parti, poich la sua grandezza determinata
e limitata, e si possono porre tali spazi pi grandi e pi piccoli, ma perch la
natura della cosa supera ogni determinatezza (weil die Natur des Sache
jede Bestimmheit bertrifft). Come si vede, Spinoza respinge questa
rappresentazione dell'infinito secondo la quale rappresentato come
moltitudine o come serie che non sono complete, e ricorda che qui, nello
spazio che riporta nell'esempio, l'infinito non al di l ma presente e
completo (gegenwrtig und vollstndig); [questo spazio uno spazio infinito
perch la natura della cosa supera (bersteigt) ogni determinabilit,
perch la determinazione della grandezza che vi si trova contenuta, allo
stesso tempo non un quantum. Quest'infinito di una serie, Spinoza lo
chiama infinito dell'immaginazione; per contro, l'infinito come relazione a s,
lo chiama l'infinito del pensiero o infinitum actu. infatti actu,
effettivamente infinito, perch in s completo e presente (vollendet und
gegenwrtig)].115
Nella seconda edizione della Logica, il passaggio tra parentesi quadre modificato nel
modo seguente:
Questo spazio qualcosa di limitato, ma anche qualcosa di infinito perch
la natura della cosa supera ogni determinatezza, perch la determinazione
di grandezza che vi compresa non neppure rappresentabile come un
quantum, o, daccordo con l'espressione kantiana gi citata, la sintesi che
conduce ad un quantum - discreto - non pu concludersi. Come in generale,
l'opposizione tra quantum continuo e discreto conduce all'infinito, ci deve
115

Logica. l, testo della prima edizione.

essere chiarito in una nota ulteriore. Quest'infinito di una serie, Spinoza lo


nomina l'infinito dell'immaginazione; l'infinito, al contrario, come relazione a
s stesso [lo chiama] l'infinito di pensiero o infinitum actu. propriamente
actu, effettivamente infinito, perch in s completo e presente.
Ecco infine come lo stesso esempio presentato e commentato nelle Lezioni sulla
storia della filosofia:
Spinoza introduce qui per illustrare il concetto di infinito degli esempi
geometrici; nelle sue opere postume, ad esempio, fornisce una figura come
immagine di quest'infinito (anche prima della sua Etica). Pone due cerchi
che sono l'uno dentro l'altro senza essere concentrici. La superficie tra i due
cerchi non pu essere data, non pu essere espressa in un rapporto
determinato, non commensurabile; se volessi determinarla, dovrei
continuare all'infinito - una serie infinita. Questo il di fuori (das Hinaus),
che sempre per difetto, la negazione; e tuttavia questo cattivo infinito
concluso (fertig), limitato - affermativo, presente in questa superficie.
L'affermativo anche negazione; duplex negatio affirmativa, secondo la ben
nota regola grammaticale. Lo spazio tra i due cerchi effettivo, uno spazio
circoscritto, interamente e non in un solo lato; e pertanto la determinazione
dello spazio non si lascia sufficientemente indicare da un numero.
Determinarlo non crea lo spazio stesso, e tuttavia presente. O anche una
linea, una linea limitata, consiste in una infinit di punti multipli; e tuttavia
presente, determinata. L'infinito deve essere rappresentato come
effettivamente presente. Il concetto di causa sui cos l'effettivit vera.
Appena la causa ha di fronte a s un altro, l'effetto, si ha a che fare con la
finitezza; ma qui questo altro allo stesso tempo superato, nuovamente
essa (la causa) stessa.
Leggendo questi testi, ci si pu dacchito chiedere se si riferiscano proprio al
passaggio di Spinoza che abbiamo riprodotto per cominciare, tanto lo interpretano
liberamente. Questo dubbio potrebbe trovare conferma nel fatto che Hegel, ogni volta,
si riferisce ad una lettera XXIX di Spinoza. Ma, in tutte le edizioni della
corrispondenza, questo numero corrisponde ad una lettera di Oldenburg che parla di
tutt'altra cosa. Pertanto occorre ammettere che proprio la lettera XII a Louis Meyer
che qui interessata; ma lo al prezzo di un certo spostamento del suo contenuto
effettivo.
In primo luogo l'esempio, cos come Hegel lo riproduce, non lo stesso di quello che
dato nel testo di Spinoza: in ogni caso, la stessa figura sfruttata in sensi ben diversi,
come ha osservato il M. Gueroult .116 Spinoza, lo abbiamo visto, considera la variazione
delle distanze comprese tra le due circonferenze, ed osserva che continua. Per
questo non pu essere determinata da un numero. Nella Logica e nelle Lezioni, Hegel
parla soltanto dello spazio interposto tra le due circonferenze, che costituito da
un'infinit di distanze diseguali, e che tuttavia completo e presente, poich
compreso in limiti stabiliti. Se si interpreta cos l'esempio ovviamente non ne vede pi
quale interesse abbia a presentare cerchi non concentrici: lo stesso ragionamento
116

Spinoza, t. I.

varrebbe se le distanze che separano le due circonferenze fossero ovunque uguali.


Hegel trascura dunque qualcosa, che al contrario essenziale nel ragionamento
proposto da Spinoza: l'idea di una variazione compresa tra un minimo ed un
massimo, dunque di una progressione determinata, che non pu tuttavia essere
rappresentata da un numero.
Ma non la modifica pi importante apportata al testo di Spinoza. Pi caratteristico
ancora il fatto che Hegel vi introduca, vi inietti, la nozione di infinito in atto, che non
vi appare espressamente, come si potr facilmente constatare riferendosi al testo che
abbiamo riprodotto pi su. vero che la lettera da cui questo testo estratto
conosciuta sotto il nome di lettera sull'Infinito (Spinoza stesso utilizza questa
espressione nella sua lettera LXXXI a Eschirnhaus), e che comincia cos: Mi chiedete
ci che penso dell'Infinito, cosa che far bene volentieri. Come prende posto
l'esempio geometrico nel contesto di questa discussione sull'infinito?
Per uscire dalle difficolt che implica l'impiego corrente della nozione di infinito,
impiego imposto dall'immaginazione, basta, dice Spinoza, rispettare un certo numero
di distinzioni. Vi ci che infinito con sua natura (e che si concepisce per s come
infinito) e ci che infinito per la forza della sua causa (e non per la sua essenza
propria); vi ci che infinito perch senza limiti, e ci che infinito perch non
determinabile numericamente. Abbiamo a che fare qui con due distinzioni successive,
esposte senza precisione sul campo che condividono, o che si dividono: nel suo
commento della lettera sull'Infinito, M. Gueroult le riporta all'enumerazione di quattro
casi successivi, cosa che, rispetto al testo di Spinoza, sembra eccessiva. Queste due
distinzioni rinviano a quella della sostanza (che concepita per s) e delle sue
affezioni (che non possono essere concepite per s), ed anche a quella della ragione
(che conosce le cose adeguatamente, cos come sono) e dell'immaginazione (che
rappresenta le cose in modo inadeguato). I paradossi tradizionali sull'infinito derivano
dal fatto che queste distinzioni non sono rispettate: basterebbe, al contrario,
ristabilirle perch tutte le contraddizioni siano non risolte, ma cancellate, poich
dipendono soltanto dai termini nei quali un problema era stato, mal, posto.
L'esempio geometrico, cos come introdotto da Spinoza, si riferisce ad una di queste
distinzioni: essa fa vedere ci che infinito perch non pu essere determinato da
alcun numero, bench sia compreso entro certi limiti. Occorre ricordarsi che
l'immaginazione che portata a determinare con un numero una progressione
continua compresa tra un minimo ed un massimo: per questo tenta di dividerla in parti
e di ricostituire la variazione a partire da questi elementi. Ma la progressione, essendo
continua, non pu essere divisa in questa forma. Per questo appare che essa non pu
essere determinata numericamente. Attenendosi strettamente a questo
ragionamento, dunque l'immaginazione che scopre qui un infinit, in un quantum
che non riesce ad uguagliare ad alcun numero, e che determina dunque, con un
passaggio al limite, come superiore a qualsiasi numero, dunque come illimitata. In
cosa che questa rappresentazione inadeguata? Nel fatto che ignora questo dato
essenziale, che il suo oggetto limitato poich compreso tra un minimo ed un
massimo. Esso dunque finito, nel senso preciso che Spinoza d di questa nozione (
detta finita nel suo genere la cosa che pu essere limitata da un'altra della stessa
natura, Etica, I, definizione 2). Sembra dunque che l'errore dell'immaginazione
consista nel prendere come infinita, nel suo tentativo di determinarla numericamente,
una cosa che di per s, se si pu dire, finita.

Ma le cose non sono cos semplici, n cos decise. Non basta, per sfuggire
all'inclinazione dell'immaginazione, ristabilire una separazione netta tra l'infinito in
senso stretto, cio l'illimitato, e il finito, cio il limitato. Poich tale separazione, presa
alla lettera, generata anche dall'immaginazione: questa trascura un carattere
essenziale del finito, che non si spiega per s, che non nulla al di fuori dell'infinito al
che lo produce e di cui implica necessariamente il concetto. Da questo punto di vista,
l'esempio geometrico rientra anche in un altro dei casi distinti da Spinoza: quello di ci
che infinito per la forza della sua causa, che il proprio di tutti i modi, che siano essi
infiniti o finiti. La variazione delle distanze comprese tra i due cerchi non concentrici
anche infinita, non in s stessa poich limitata, ma come affezione della sostanza
che si esprime in essa come la causa nel suo effetto.
qui che apparentemente ritroviamo Hegel, poich questo, nonostante tutte le libert
che si prende con il testo di Spinoza, ne individua bene alcune tendenze essenziali. Da
un lato, infatti, Hegel ha capito che ci che in gioco nell'esempio un certo aspetto
del problema della causalit, rappresentato dalla relazione della sostanza con le sue
affezioni. D'altra parte, designa questa relazione con la nozione di infinito in atto
(infinitum actu), in un modo che sembra pertinente. Questa nozione appare in Spinoza
nel paragrafo che precede quello dove l'esempio geometrico esposto: coloro che,
dice, ignorano la vera natura delle cose perch la hanno confusa con gli enti di ragione
con i quali l'immaginazione tenta di rappresentarla (cio il numero, la misura ed il
tempo) negheranno l'infinito in atto (infinitum actu negarunt). Cos' un infinito in
atto? un infinito che non si d in una serie illimitata, dunque in modo virtuale o
potenziale, ma tutto d'un colpo: esso che presente in una realt limitata, come una
variazione compresa tra un minimo ed un massimo, in modo completo e presente,
per riprendere le parole di Hegel. Questa nozione, presa in prestito dal vocabolario
della scolastica, segnala che la posizione adottata da Spinoza sulla questione anche
lontana sia da quella di Cartesio che da quella di Leibniz: 117 per Cartesio, che procede
analiticamente a partire dalle evidenze di una ragione finita, l'infinito in atto
incomprensibile perch non pu essere costruito intuitivamente; per Leibniz, che
risolve il problema del continuo con il metodo del calcolo infinitesimale, c' soltanto un
infinito in potenza, dato eminenter sed non formaliter, dunque sempre al di l di un
limite assegnabile. L'affermazione di Spinoza dell'esistenza di un infinito in atto e della
sua razionalit estremamente importante, nella misura in cui esprime la presenza
effettiva dell'infinito nel finito, attraverso l'atto con il quale realmente lo produce:
questa presenza pu essere negata soltanto da quelli che riconducono la natura delle
cose ad un criterio numerico, cosa che li conduce ad ignorare l'infinit, o a
mascherarla nell'idea di una serie illimitata, che esclude la possibilit di un infinito in
atto.
Se adottiamo questa spiegazione, anche l'altra infedelt commessa da Hegel in
relazione al testo di Spinoza sembra poter essere giustificata. Infatti, se la nozione di
infinito in atto designa bene questa presenza immanente della causa nei suoi effetti
(Cfr. Etica, I, prop. 18: Dio causa immanente, ma non transitiva, di tutte le cose),
tutte le particolarit dell'esempio geometrico cos come esposto da Spinoza
sembrano superflue: qualsiasi modo finito, ad esempio la superficie compresa tra le
due circonferenze, che esse siano o no concentriche, o ancora, per riprendere un altro
esempio avanzato da Hegel, l'infinit dei punti compresi in un segmento di retta,
117

Y. Belaval, Leibniz critique de Descartes, p. 329-338

esprime un infinito, che implica formalmente (formaliter sed non eminenter) la sua
causa. Eccoci dunque rinviati al punto di partenza: perch Spinoza introduce
espressamente nel suo esempio l'idea di una variazione compresa tra un minimo ed
un massimo, variazione che dipende dal fatto che i due cerchi non sono concentrici?
Se Spinoza avesse voluto, col suo esempio geometrico, soltanto rappresentare l'idea
di un quantum finito che comporta tuttavia una infinit di parti ed eccede ogni numero
assegnabile, non avrebbe avuto bisogno di questa precisione; ma questa
semplificazione avrebbe reso allo stesso tempo inevitabile la riduzione di questa
infinit ad una relazione estensiva tra elementi, relazione considerata negativamente,
dunque in modo inadeguato alla natura stessa della cosa: sarebbe cos tornato al
punto di vista dell'immaginazione da cui cerca al contrario di smarcarsi. Ma, per
l'intelletto che afferra le cose cos come esse sono, secondo la loro causalit propria, si
tratta qui di tutt'altro infinito che deve essere compreso affermativamente, nel senso
proprio dell'affermazione assoluta di una qualsiasi natura: questa appare precisamente
in una variazione continua ma limitata - essa pu dunque essere considerata fuori di
qualsiasi determinazione di grandezza ( ci che indica la precisione fornita dalla
lettera 81 a Tschirnhaus) -, che procede intensivamente, non secondo una relazione
astratta e determinata negativamente, o numericamente, tra parti estrinseche, ma
con la potenza della causa che agisce in essa simultaneamente, e che la sostanza in
persona, nella forma del suo attributo estensione. Questa differenza tra le due infinit,
estensiva ed intensiva, fatta risaltare molto bene da G. Deleuze (20 - Spinoza ed il
problema dell'espressione, p. 183-186.).118
L'infinit intensiva esprime direttamente la relazione immanente, e non transitiva, che
lega la sostanza alle sue affezioni, e che conosciuta soltanto dall'intelletto. Da
questa conoscenza si ricava qualcosa di molto importante: l'infinit tale come pu
essere appresa nei modi non diversa da quella che costituisce la sostanza, ma
formalmente la stessa. Per questo le distinzioni che formula la lettera 12 a Louis Meyer
non possono essere riportate ad un'enumerazione di casi, dove ogni volta una forma
diversa di infinito sarebbe presentata, come se ci potessero essere diversi tipi di
infinito! Poich, ci che si esprime come causa sui nella sostanza come natura
naturante, o che si manifesta nel concatenamento inesauribile dei modi finiti come
natura naturata, che sia conosciuto adeguatamente, cio positivamente, dall'intelletto,
o rappresentato inadeguatamente, cio negativamente, dall'immaginazione, sempre
lo stesso infinito che agisce necessariamente.
Qui occorre prendere sul serio l'idea che l'infinit della sostanza passa,
intensivamente, in tutti i suoi modi senza dividersi: tutta l'estensione, indivisibilmente,
in una goccia d'acqua, cos come tutto il pensiero presente in atto in ciascuna idea
e la determina necessariamente. Ed per questo che se una sola parte della materia
fosse distrutta, immediatamente l'estensione intera verrebbe meno 119, e lo stesso
accadrebbe per le idee che sono parti del pensiero. Cos la continuit inalterabile
che costituisce tutta la realt modale, quali che siano i limiti nei quali la si esamina,
quale che sia la scala con la quale la si considera, esprime per eccellenza l'assoluto,
cio l'unit della sostanza: la conoscenza di quest'infinito in atto che costituisce
l'amore intellettuale di Dio, o la conoscenza di terzo genere.
118

Spinoza et le Problme de l'expression.

119

Lettera 4 a Oldenburg.

Come abbiamo appena visto, questa conoscenza affermativa: non procede in


maniera regressiva dai modi verso la sostanza - che sarebbe, allora, gettata all'infinito,
suo limite -, ma procede della sostanza alle sue affezioni, cio della causa verso i suoi
effetti, sinteticamente, in una progressione assolutamente necessaria e continua, che
esclude ogni ricorso al possibile ed ogni negativit. Non si pu dunque dire, come fa
Hegel, che negazione superata, o sorpassata, e con ci compresa, ma ci il cui
concetto esclude ogni negazione, ogni negativit interna.
Se si applicasse qui alla lettera il principio forgiato da Hegel, omnis determinatio est
negatio, si dovrebbe aggiungere che la conoscenza adeguata delle cose, per sua
propria natura, esclude anche per questo fatto ogni determinazione, la quale
evidentemente assurda. Nellesempio che abbiamo appena commentato avevamo
precisamente a che fare con uninfinit che non pu essere determinata da alcun
numero, ma che in s effettivamente determinata, dato che finita. Appare allora
evidente, a proposito del concetto di determinazione, introdurre una distinzione:
determinare una cosa negativamente, significa rappresentarla astrattamente a partire
dai suoi limiti e separarla da Dio che agisce in essa, tentando di adattarla alle regole
formali, puri enti di ragione, forgiati dallimmaginazione; per esempio, coglierla
intanto che una certa parte della durata le assegnata: la si riferisce allora a ci che
non , alla sua possibile sparizione, e la si presenta come contingente. Determinare
una cosa positivamente, percepirla nella sua realt fisica, singolare, secondo la
necessit immanente che la genera nella sostanza, secondo una legge di causalit che
quella stessa per la quale la sostanza produce se stessa, perch la sostanza stessa
che si produce nelle sue affezioni: significa anche considerarla dal punto di vista
delleternit, in quanto essa stessa eterna, cio in quanto non pu essere distrutta,
se non da una causa esterna (Etica, III, prop. 4).
Tutta questa discussione, che ci ha trascinati in considerazioni di dettaglio
apparentemente oziose ma di cui non era possibile fare economia, rinvia dunque ad
un principio fondamentale, che caratterizza tutta la filosofia di Spinoza: non ci sono
due ordini di realt separati, due mondi, uno infinito, l'altro finito, nei quali
funzionerebbero forme di necessit, leggi di causalit, distinte. L'obiettivo di Spinoza
non neppure di scoprire tra questi due ordini una relazione di convenienza, realizzata
in una serie graduale di intermediari che permetterebbero di passare dall'una all'altra
con un movimento successivo: questo l'ordine immaginato da Hegel che va dalla
sostanza agli attributi quindi dagli attributi ai modi, determinando progressivamente
l'assoluto, cio negandolo nel relativo. Per Spinoza, uno solo e medesimo ordine, non
pi l'ordine astratto dell'immaginazione, ma l'ordine concreto, fisicamente reale della
sostanza, che si esprime simultaneamente e identicamente come assoluto e come
relativo, e che conosciuto in modo contradittorio dall'intelletto e dall'immaginazione.
per questo che la relazione della sostanza con le sue affezioni non pu essere
esaurita dalla semplice opposizione dell'indeterminato e del determinato, del positivo
e del negativo, come l'interpreta Hegel, nei termini di una logica paradossalmente
astratta.

La determinazione
Il punto di vista razionale dell'intelletto essenzialmente affermativo: al punto che,
apparentemente, qualsiasi negativit debba essere attribuita al punto di vista

dell'immaginazione che incapace di comprendere la sostanza cos come s stessa,


ma anche come essa agisce nei suoi modi, come si esprime allo stesso tempo
nell'infinito e nel finito. L'interpretazione proposta da Hegel dunque insostenibile: il
negativismo spinozista, conseguenza inevitabile di un pensiero vuoto dell'assoluto,
una finzione, incompatibile con la lettera del sistema. Ma l'interpretazione contraria
pi soddisfacente? Si potrebbe dire, come fa G. Deleuze, che la filosofia di Spinoza
una filosofia dell'affermazione pura?120 Questo positivismo, di cui il negativismo
precedente sarebbe soltanto la volta o l'inverso, non arriva in definitiva allo stesso
risultato? Di questa collusione troviamo almeno un indice nel fatto che queste due
presentazioni opposte dello spinozismo finiscono entrambe per mettere in evidenza il
suo carattere non dialettico, ci che l'una interpreta come il sintomo dell'inferiorit e
dello scacco di questa filosofia, mentre, l'altra, ne dimostra al contrario sua eccellenza.
Ritorniamo un po' indietro. La formula che Hegel mette davanti, omnis determinatio
est negatio, senza dubbio inadeguata alla lettera dello spinozismo. Ci significa che
si dovrebbe sostituirla con un'altra formulazione: omnis determinatio est affirmatio? Il
senso di questo nuovo enunciato chiaro: la determinazione non ha semplicemente il
valore restrittivo di una degradazione di ci che in s sostanziale, in un semplice
movimento di esteriorizzazione - passaggio senza ritorno dallo stesso all'altro -, ma
l'atto con il quale la sostanza esprime tutta la sua potenza causale: Tutto ci che
concepiamo essere nel potere di Dio necessariamente 121, perch in Dio, che causa
di s e di tutte le cose, essenza e potenza sono una sola e medesima cosa. Cos la
necessit dei modi non inferiore a quella della sostanza o diversa da essa:
precisamente la stessa. Tuttavia, se ci fermassimo qua, una delle obiezioni avanzate
da Hegel acquisterebbe nuovo vigore: l'identit qui affermata non privata di qualsiasi
contenuto effettivo, che getta ogni cosa in questa notte indistinta in cui tutte le
vacche sono grigie? Per rispondere a questa questione, occorre riprendere la nozione
di determinazione, di cui Hegel fa un impiego abbondante nel suo commento di
Spinoza, e vedere cosa significa esattamente per Spinoza stesso.
Tutti i commentatori hanno osservato che Spinoza assume il termine determinatio in
sensi molto diversi. Da un lato, lo utilizza per esprimere l'idea di una limitazione, che
essa stessa legata a quella di finitudine: la lettera 50 a Jarig Jelles parla dei corpi finiti
e determinati. Presa cos, la nozione di determinazione implica senza contestazione
possibile una negazione, e si applica alle cose che sono limitate da un'altra della
stessa natura122. In questo senso, la sostanza che soprattutto illimitata anche
indeterminata: Poich la determinazione non marca nulla di positivo, ma soltanto una
privazione nella natura dell'esistenza concepita come determinata, ne consegue che
ci di cui la definizione afferma l'esistenza non pu essere concepito come
determinato123. Ci vero della sostanza e dei suoi attributi, la cui nozione non

120

Spinoza et le Problme de l'expression.

121

Etica, I, prop. 35.

122

Etica, I, def. 2.

123

Lettera 36 a Hudde.

comporta alcuna imperfezione, e che non possono essere detti determinati nel senso
che non sono limitati da una cosa della stessa natura.
Tuttavia, occorre fare ben attenzione a ci: la nozione di indeterminazione deve essere
presa qui in modo assolutamente positivo. Ma l'inclinazione delle parole, al contrario,
ci trascina in senso inverso quando designamo una realt assolutamente positiva con
un termine negativo o privativo. Ma, secondo Spinoza, le parole, prese in se stesse,
non esprimono la realt che pretendono di rappresentare, ma il punto di vista
dell'immaginazione che gli sostituisce le sue finzioni. Questo ci che conferma
particolarmente tutto il vocabolario col quale cogliamo l'assoluto:
[] come le parole formano parte dell'immaginazione, cio noi concepiamo
molte finzioni, a seconda che le parole si compongano confusamente nella
memoria in virt di qualche disposizione del corpo, indubbio che le parole,
proprio come l'immaginazione, possono essere causa di molteplici e grandi
errori, a meno che non facciamo un grande sforzo per guardarci da loro.
Aggiungiamo che sono formate secondo il capriccio e la comprensione del
volgo; cos non sono nientaltro che segni delle cose tali come sono
nell'immaginazione e non tali come sono nell'intelletto. Ci risulta
chiaramente dal fatto che a tutte le cose che sono soltanto nell'intelletto, e
non si trovano nell'immaginazione, le si imposto spesso dei nomi negativi,
come: immateriale, infinito, ecc., e che si esprimono in modo negativo
anche molte cose che, in realt, sono positive, e viceversa: cos increato,
indipendente, infinito, immortale, ecc., certamente perch immaginiamo
molto pi facilmente i loro opposti; pertanto questi si presentarono allinizio
ai primi uomini e usurparono i nomi positivi. Affermiamo e neghiamo molte
cose perch queste affermazioni e queste negazioni sono conformi alla
natura delle parole e non alla natura delle cose; in modo che, se lo
ignorassimo, prenderemmo facilmente per vero qualcosa di falso 124.
Chi volesse, in modo hegeliano, interpretare l'indeterminazione della sostanza
spinozista nel senso della negazione di una negazione (determinazione = limitazione;
indeterminazione = soppressione di questa limitazione starebbe allora perdendo
tempo: cadrebbe in una speculazione puramente verbale. vero che, sulla questione
della natura del linguaggio, Hegel e Spinoza hanno anche posizioni divergenti: Hegel
non ammetterebbe che la disposizione delle parole, sottoposta a leggi puramente
corporali, sia messa fuori dall'ordine razionale del pensiero.
Dalla parte di Spinoza, le cose sono dunque perfettamente chiare: la nozione di
indeterminazione in s, invito vocabulo, positiva. Ma, ci significa che la nozione di
determinazione, che costituisce apparentemente il suo opposto diretto,
necessariamente negativa? Quest'opposizione non imputabile precisamente
all'immaginazione che riflette sulle parole, e che non vede le cose cos come sono?
In effetti, Spinoza non usa il termine determinatio soltanto nel senso di una
limitazione, le cui implicazioni sono negative. ci che appare fin dalla settima
definizione del libro I dell'Etica: detta libera quella cosa che esiste per la sola
necessit della sua natura ed determinata (determinatur) da s sola ad agire; [
detta], al contrario, necessaria, o piuttosto coatta, quella che determinata
(determinatur) da un'altra ad esistere e a produrre un effetto secondo una ragione
124

Trattato della riforma dell'intelletto, 88

certa e determinata (determinata). Dal punto di vista che qui ci interessa, questa
frase porta un'indicazione molto importante, in quanto applica l'idea di una
determinazione tanto alla realt della sostanza che a quella dei modi: la libert che
appartiene alla causa sui non l'attivit indifferente ed arbitraria di un essere che non
sarebbe determinato ad agire da alcuna causa, alla maniera di quel Dio
incomprensibile le cui iniziative (decisioni) sostengono tutta la costruzione della
filosofia cartesiana. Dio non meno determinato ad agire delle cose che dipendono da
lui: si potrebbe anche dire che lo di pi nella misura in cui riunisce in s tutte le
perfezioni. La sostanza indeterminata non dunque libera da ogni determinazione,
ma, al contrario, determinata da una causa o ragione necessaria, che la sua
propria natura.
Tutto ci diventa perfettamente chiaro se ci si ricorda che l'azione della causa libera
che genera se stessa (natura naturante) non differisce affatto dell'azione causale che
si compie nelle cose che non hanno la loro causa in se stesse (natura naturata). Ma
esse sono un solo e medesimo atto: Dio non si produce da nessun'altra parte che nelle
sue affezioni. Se in Dio non fosse data alcuna determinazione, sarebbe l'esistenza
delle cose e la sua propria che sarebbero rimesse in questione.
Occorre ancora aggiungere che Dio per le cose singolari una causa non soltanto in
quanto esse esistono, ma anche in quanto producono esse stesse degli effetti, il che
significa che sono completamente determinate in Dio: Una cosa che determinata a
produrre un qualche effetto stata determinata cos necessariamente da Dio: e quella
che non stata determinata da Dio non pu determinarsi da se a produrre un
effetto125. Il concatenamento delle determinazioni finite, che si svolge all'infinito.
dunque esso stesso completamente determinato in Dio, e ci perch egli non ammette
in s stesso alcuna contingenza, cio nessuna indeterminazione.
Ne risulta che, associata all'idea di una causalit che identica in Dio ed in tutto ci
che dipende da lui, la nozione di determinazione ha un impiego essenzialmente
positivo, poich produrre un effetto non pu essere in alcun modo il segno di
un'imperfezione: Ci per cui le cose sono determinate a produrre un qualche effetto
necessariamente qualcosa di positivo, come di per s noto 126. Per questo motivo il
collegamento che unisce la nozione di determinazione a quella di negazione si trova
sciolto.
Ci significa che la nozione di determinazione, cos come funziona nel sistema di
Spinoza, ambigua perch rinvia ad una molteplicit di impieghi che sono del resto
contradittori? Non del tutto caratteristico, al contrario, che Spinoza utilizzi lo stesso
termine per designare la causalit infinita che si esercita a partire dalla sostanza e la
causalit finita che si compie nei modi, segnalando con ci che non si tratta di due
fenomeni indipendenti? Dunque, se la nozione di determinazione pu essere presa allo
stesso tempo in un senso positivo ed in un senso negativo, perch ricusa in se
stessa l'opposizione tradizionale di positivo e negativo. Ed eccoci nuovamente molto
vicini a Hegel, ma seguendo una via diversa da quella che Hegel ha preso: se il
funzionamento del concetto di determinazione di Spinoza riduce a niente l'opposizione
tradizionale di positivo e di negativo, ci non perch la supera, o perch la
risolve come una contraddizione razionale, ma pi semplicemente perch la ignora.
125

Etica, I, prop. 26.

126

Etica, I, prop. 26, dim.

In questo movimento appare una dialettica che non certamente quella di Hegel:
questa una ragione sufficiente per dire che non si tratta, in generale, di una dialettica?

I modi infiniti
Secondo alcune formulazioni precedenti, si potrebbe credere che la relazione della
sostanza con le sue affezioni riproduca quella che intrattiene anche con i suoi attributi:
qui come l, in un senso orizzontale come in un senso verticale, se si pu dire, si
ritrova lo stesso tipo d'unit, che integra una diversit, conferendole la sua razionalit.
Non significa questo che quest'unit l'unit formale di un procedimento che riduce
qualsiasi realt alla stessa cosa, confusamente, ignorando, cancellando, le sue
articolazioni effettive? Per rispondere a quest'obiezione, occorre meglio caratterizzare
il passaggio dall'assoluto al relativo, con il quale si compie la esteriorizzazione della
sostanza, o la sua determinazione.
L'aspetto pi singolare di questo passaggio rappresentato dalla stupefacente teoria
dei modi infiniti che appare nelle proposizioni 21,22,23 ed nello scolio della
proposizione 28 del libro I dell'Etica, che espone, con una concisione estrema, i mezzi
con i quali l'infinito agisce nel finito. Il fatto stesso che ci siano modi infiniti dimostra
bene che l'infinit non appartiene esclusivamente alla sostanza ed ai suoi attributi, cio gli individui - restando i modi al contrario chiusi nella loro finitudine, segnati cos
in maniera strettamente negativa, come Hegel finge di credere: come abbiamo
appena visto, non ci sono due ordini di realt, luno sostanziale ed infinito, l'altro
modale e finito, ma una sola e medesima realt continua ed indivisibile, determinata
da una legge di causalit unica, nella quale finito e l'infinito sono legati
indissolubilmente; i modi infiniti sono in certo modo il luogo dove si annoda
quest'unit, dove si effettua la trasformazione, o anche la determinazione, dell'infinito
nel finito.
In effetti, i modi infiniti si definiscono in un primo approdo per la loro funzione di
transizione: si presentano come intermediari che garantiscono una sorta di
conciliazione tra la sostanza infinita ed i modi finiti. ci che indica apparentemente lo
scolio della proposizione 28: Alcune cose hanno dovuto essere prodotte
immediatamente da Dio, vale a dire quelle che seguono necessariamente della sua
natura assoluta, e per la mediazione di queste prime, altre che non possono tuttavia
n essere n essere concepite senza Dio (Etica, I). Quest'aspetto anche rafforzato
dallo sdoppiamento che Spinoza opera all'interno dei modi infiniti stessi, proponendo
una distinzione tra modo infinito immediato, che procede della natura assoluta di ogni
attributo e lo esprime immediatamente (I, prop. 21) e modo infinito mediato, che
deriva dagli attributi che sono gi modificati (I, p. 22). Questa divisione interna sembra
confermare la funzione che assegnata al modo infinito nell'economia dinsieme del
sistema: provvedere i mezzi per un passaggio graduale, una sorta di evoluzione
continua che conduce dall'assoluto al relativo. Occorre dire anche che questo il
punto per eccellenza dove il sistema spinozista si presenta come una costruzione
formale, che moltiplica le nozioni astratte per risolvere le difficolt che sorgono dallo
sviluppo del suo proprio ragionamento; ma queste nozioni, che meriterebbero
certamente di essere esposte pi chiaramente di come non lo sono nel libro I
dell'Etica, sono cos astratte come sembrano? Sono effettivamente conformi alla
funzione con la quale le abbiamo definite?

Poich, se manteniamo questa determinazione, che fa del modo infinito n pi n


meno che un processo artificiale per effettuare una transizione dalla sostanza verso le
sue affezioni, alla maniera del termine medio in un ragionamento formale, vediamo
riapparire l'idea, che crediamo di aver scartato, di una gerarchia degli esseri, che
riconduce lo spinozismo ad una variante del neoplatonismo: allora confermata
l'interpretazione regressiva proposta da Hegel del passaggio dell'assoluto al relativo,
per la quale l'infinito si diluisce, si esaurisce, nel finito, fino a scomparirvi del tutto.
Spinoza scrive d'altra parte: omnia quamvis diversis gradibus animata tamen sunt.), 127
[gli uomini e gli atri individui] tutti, sebbene in diversi gradi, sono pertanto animati.
Non questo l'indizio del carattere essenzialmente processuale della realt che
avanza, o degrada al contrario, da un massimo verso un minimo di essere, passando
in maniera continua per tutte le tappe intermedie, passaggio che riassumono
propriamente, con la loro funzione transitoria, i modi infiniti? Ma, se si ammette una
tale interpretazione, si indotti cos a reintrodurre nel sistema spinozista uno
aristotelismo senza Aristotele, secondo una curiosa espressione di M. Gueroult, 128 ed
anche l'idea di una finalit interna immanente, 129 cio di un kantismo senza Kant, e,
perch no, anche una metafisica della totalit, cio un hegelismo senza Hegel: la porta
allora largamente aperta, come si vede, a tutti gli accostamenti, a tutte le
confusioni, a tutte le alterazioni, che sopprimono puramente e semplicemente
l'efficacia singolare del ragionamento spinozista. Vedremo che tali interpretazioni
devono essere invalidate assolutamente. Per mostrarlo, occorre ritornare sulla teoria
dei modi infiniti e alla distinzione di modo infinito immediato e di modo infinito
mediato, poich essi servono precisamente ad eliminare tali concezioni.
Come abbiamo gi indicato, la nozione di modi infiniti, cos come appare nell'Etica,
molto enigmatica. Cosa che ha spinto uno dei corrispondenti di Spinoza a chiedergli
qualche chiarimento, per dare a questa nozione un contenuto: [...] vorrei esempi di
cose prodotte immediatamente da Dio e di cose prodotte mediatamente da una
modificazione infinita; del primo genere mi sembrano essere il pensiero e l'estensione;
del secondo l'intelletto nel pensiero, il movimento nell'estensione, ecc.. 130 L'errore
commesso qui, assimilando i modi infiniti immediati agli attributi stessi, flagrante,
ma conferma la difficolt del problema che occorre risolvere. La risposta di Spinoza
data senza commenti, con la secchezza di una constatazione: Ecco gli esempi che mi
chiedete: quelli del primo genere sono, nell'ordine del pensiero, l'intelletto
assolutamente infinito; nell'ordine dell'estensione, il movimento ed la quiete; per il
secondo genere, c' la figura di tutto l'universo (facies totius universi) che rimane
sempre lo stesso, bench vari secondo uninfinit di modi; vedete su questo punto lo
scolio del lemma VII che viene prima della proposizione 14, parte II. 131 Lasceremo qui
127

Etica, II, scolio alla prop. 13.

128

Spinoza t. II.

129 .Ibid.
130

Lettera 63 di Schuller a Spinoza.

131

Lettera 64 di Spinoza a Schuller.

da parte l'anomalia che ha interessato tutti i commentatori: Spinoza, mentre d


esempi di modo infinito immediato rispetto ai due attributi del pensiero e della
dimensione, ne d soltanto uno del modo infinito mediato, la facies totius universi,
che riguarda ovviamente l'estensione. Per caratterizzare queste nozioni anche noi ci
limiteremo al caso della dimensione, cio al problema stretto della fisica, poich deve
valere per tutti gli altri.
In questo caso preciso, la relazione tra assoluto e il relativo si espone a partire dalle
seguenti distinzioni:
estensione/
attributo sostanziale
movimento e quiete
/ modo infinito immediato
facies totius universi
/ modo infinito mediato
corpo singolare (individuo) /
modi finiti
Queste distinzioni conducono alla rappresentazione di una gerarchia di forme, che
integra tutta la realt nella sostanza, che sarebbe essa stessa una forma assoluta ed
ultima, messa al di sopra ed al termine di tutte le altre ed che impone loro la sua
determinazione? Ci sarebbe, ovviamente, tornare al punto di vista
dell'immaginazione.
Cosa intende dire Spinoza facendo del movimento e della quiete il modo infinito
immediato dell'estensione? Null'altro che questo: la realt sostanziale dell'estensione
si esprime assolutamente nel movimento ed nella quiete, cio in un certo rapporto
(certa ratione) di movimento e di quiete. Quest'idea pu essere presa in molti sensi:
l'estensione non pu essere colta al di fuori di questo rapporto di movimento e di
quiete che la anima; ed chiaro che ci che qui scartato la concezione cartesiana
di una estensione inerte, definita esclusivamente attraverso propriet geometriche, in
estensione, ed alla quale il movimento deve essere aggiunto dall'esterno, sotto forma
di quantit determinata di movimento che deve essere conservato identico al suo
impulso iniziale. Ma Spinoza vuole dire anche che tutto ci che si produce
nell'estensione si spiega col rapporto di movimento e di quiete, che ne costituisce in
un certo qual modo la legge fondamentale. questo che spiega molto chiaramente un
passaggio del breve Trattato:
Se [...] consideriamo solamente l'estensione, non percepiamo in essa
nient'altro che Movimento e Quiete, dai quali troviamo che sono formati
tutti gli effetti che fuoriescono da essa; e questi due modi sono tali nel corpo
che nessun'altra cosai pu apportarvi alcun cambiamento. (II, cap. 19)
Eccetto che qui il movimento ed la quiete non sono pi considerati come modi distinti,
l'Etica riprende questa concezione: secondo il lemma II della proposizione 13 (libro II),
tutti i corpi convengono in alcune cose, cio hanno propriet comuni in quanto
implicano il concetto di uno stesso attributo, l'estensione, che si esprime
immediatamente nel rapporto di movimento e quiete. Cos si trova dimostrata,
geneticamente, l'universalit delle leggi della natura e la possibilit di conoscerle: se
tutto ci che esiste nell'estensione si spiega con il movimento e con la quiete,
perch l'estensione produce, producendosi cos essa stessa, un certo rapporto di
movimento e di quiete, agisce e si raffina in questo rapporto, che la rappresenta
assolutamente, cio senza intermediario e senza restrizione. Le leggi della natura, che

esprimono questo rapporto di movimento e di quiete, sono irriducibili nella misura in


cui derivano immediatamente dalla sostanza: esse sono una sorta di incondizionato,
che funge da base per lo studio di tutti i fenomeni naturali.
Ci si pu allora chiedere in cosa questa proporzione, nella quale l'attributo estensione
si esprime immediatamente, modale: non l'attributo stesso, considerato nella sua
causalit interna, nel suo rapporto immanente a s? Ma la risposta a questa domanda
va da s: la proporzione modale necessariamente, in quanto che essa
propriamente una proporzione, cio in quanto essa determinata da una certo
rapporto (certa ratione), che obbliga a distinguerla dalla sostanza illimitata ed
indeterminata. Ci che crea allora un problema la possibilit per l'indeterminazione
di esprimersi assolutamente, immediatamente, in una determinazione, che per
certo - infinita, dunque, inassegnabile. Non certo che i concetti spinozisti permettano
di risolvere questa difficolt, ma permettono propriamente di affrontarla: appare allora
che, nella logica del sistema, la determinazione non una privazione, una negazione
dell'indeterminato, ed per questo che non ogni determinazione non
necessariamente ed esclusivamente finita. Omnis determinatio non est negatio.
Vediamo ora ci che il modo infinito mediato - facies totius universi, cio la natura
corporale presa nel suo insieme. Va detto che questa nozione ambigua, perch, a
seconda dei testi, Spinoza ne d presentazioni molto diverse, e persino inverse: a
volte, infatti, la definisce geneticamente a partire dalla sua causa, che
necessariamente anch'essa infinita; a volte la costituisce, o occorrerebbe piuttosto
dire che la costruisce, a partire dagli elementi che essa raccoglie, cio le
determinazioni finite che totalizza. Quale di questi due movimenti adeguato alla
natura del modo infinito mediato?
Se si seguono le proposizioni 22 e 23 del libro I dell'Etica, il modo infinito mediato
segue necessariamente da un attributo in quanto quest'ultimo modificato da una
modificazione che, per la natura di quest'attributo, esiste necessariamente: in questo
senso la figura dell'universo, considerata nel suo insieme, questa determinazione
infinita che segue dall'attributo dell'estensione in tanto che questo gi modificato
dalla modificazione che segue necessariamente della sua natura, cio una certa
proporzione di movimento e di quiete. Ci significa che dall'estensione, presa
assolutamente, derivano un certo numero di leggi di movimento, e che queste leggi si
applicano alla natura corporale presa nel suo insieme di cui ritagliano, in un certo qual
modo, la figura globale. Facies totius universi, dunque ci che si deduce dalla
sostanza stessa per mezzo dellestensione e le leggi della natura che la esprimono
immediatamente, cio linsieme dei fenomeni corporali cos come sono sottoposti alle
leggi del movimento e della quiete.
Ma la deduzione, che procede qui dall'infinito all'infinito, si ferma precisamente in
questo punto, come precisa la proposizione 28, che espone come sono i modi finiti essi
stessi determinati, non affatto a partire dall'infinito, ma nel loro proprio
concatenamento interno:
Tutte le cose singolari, in altre parole, ogni cosa finita e che ha un'esistenza
determinata, non pu esistere n essere determinata a produrre un effetto
se non determinata ad esistere e a produrre quest'effetto da un'altra
causa, che anch'essa finita e che ha un'esistenza determinata; ed a sua
volta questa causa non pu neppure esistere n essere determinata a
produrre un effetto se non determinata ad esistere e produrre questo

effetto da un'altra, che anch'essa finita, e che ha un'esistenza


determinata, e cos all'infinito.
Questa proposizione, enunciata qui in modo assolutamente generale, sar ripresa nel
libro II dell'Etica nel caso dei modi del pensiero (prop. 9), e poi in quello dei modi
dell'intelletto (prop. 13, lemma III). Essa deriva immediatamente dalla definizione dei
modi finiti che data all'inizio del libro I dell'Etica: detta finita nel suo genere la
cosa che pu essere limitata da un'altra dello stesso genere (def. 2). Ma qui
stabilita differentemente, per mezzo di una dimostrazione che procede per
eliminazione: le cose singolari finite non hanno potuto essere prodotte n dalla
natura assoluta di qualche attributo di Dio, n da quest'attributo in quanto affetto da
una modificazione infinita, ed per questo che devono procedere da un modo finito,
che la loro causa e che dipende, esso stesso, da un altro modo finito, e cos via
all'infinito. Vediamo dunque riapparire qui una sorta di taglio tra l'infinito e il finito:
dall'infinito si pu dedurre soltanto l'infinito, e il finito non pu esso stesso che essere
dedotto dal finito. Allora viene meno l'idea di una processione degli esseri, che
avanza, o regredisce, gradualmente, dell'assoluto verso il relativo passando per tutte
le tappe intermedie. Ci significa che tra la natura presa nel suo insieme e le cose
singolari che riempiono la sua figura della loro esistenza determinata non vi un
passaggio continuo, ma al contrario una separazione. Non allora il postulato
razionale dell'unit della natura che viene cos rimesso in questione?
A prima vista, la separazione passa qui tra le essenze infinite ed le esistenze finite.
Questa distinzione appare alla fine del Trattato della riforma dell'intelletto, dove
Spinoza distingue nell'ordine della natura la serie delle cose singolari mutevoli e
la serie delle cose fisse ed eterne ( 100). La prima sfugge alla conoscenza umana,
a causa della moltitudine infinita delle circostanze che la compongono. Ricordiamoci
il dialogo fittizio che, nell'appendice al libro I dell'Etica, oppone i partigiani del
finalismo a quelli che cercano di vedere le cose cos come sono, nella loro necessit
immanente: un uomo morto per la caduta di una pietra piombatagli da un tetto
sulla testa; perch la pietra caduta? perch il vento soffiava nel momento in cui
passava. Perch lo vento soffiava in quel momento? Perch si era alzato alla vigilia, il
mare aveva iniziato ad agitarsi, e quell'uomo era stato invitato da amici, et caetera.
Vediamo qui riapparire la regressione all'infinito che, secondo la proposizione 28 del
libro I, concatena tutte le determinazioni finite. Per definizione, questo
concatenamento non pu essere esaurito in una conoscenza, ed per questo che i
confusionisti se ne appropriano come di una argomentazione e vi trovano conferma
di un'intenzione nascosta, che d il suo senso a tutto questa serie di eventi, senso
irriducibile ad ogni determinazione strettamente causale, che non riesce ad esaurire
la successione, ma che richiede l'intervento di cause finali. Questi fini sono proiettati
dall'immaginazione li proietta precisamente al termine dell'enumerazione delle
determinazioni finite, che essa chiude idealmente, totalizzandola: precisamente
questa concezione che la nozione spinozista dell'infinito l'attuale elimina, impedendo
di costruire l'infinito a partire dal finito.
Per evitare di dar campo alle illusioni dell'immaginazione, che si installano in questo
luogo aperto dalla regressione all'infinito, questo et caetera che il vero asilo
dell'ignoranza, occorre rinunciare all'ambizione di una conoscenza esaustiva delle
cose singolari, cio del loro concatenamento globale, che per definizione
inaccessibile: l'infinito non pu essere appreso a partire dal finito, in un movimento di

totalizzazione, o perde la sua necessit intrinseca per diventare un puro possibile,


cio una finzione formale. Occorre dunque limitarsi alla conoscenza delle cose fisse
ed eterne e delle loro leggi, in tanto che esse comandano l'esistenza e la
disposizione delle cose singolari (34. Trattato della riforma dell'intelletto, 101.) 132:
a partire da queste leggi, le cose singolari sono intelligibili, sufficientemente almeno
perch possa essere scartata la tentazione di interpretarle a partire da fini
immaginari.
Ci chiederemo in seguito cosa sono queste cose fisse ed eterne, di cui Spinoza dice
anche che, malgrado la loro singolarit, sono una sorta di universali. Per il momento
teniamo soprattutto fermo che non possibile, a meno di ricadere in errori
incorreggibili, osservare l'insieme della natura corporale a partire dai modi finiti che
questa concatena gli uni agli altri, bench questi si determinino l'un l'altro all'infinito
con un concatenamento necessario. Ma si deve al contrario cercare di conoscere e
dominare quest'ordine del finito a partire da determinazioni essenziali, forse i modi
infiniti, che lo rendono intelligibile. Ci significa che non possibile procedere dal
finito all'infinito come fa l'immaginazione, ma che occorre andare allinverso, secondo
l'ordine causale reale, dall'infinito al finito. Quest'esigenza compatibile con la
separazione che abbiamo appena riscontrato tra le cose infinite e le cose finite?
E ancora, come pu Spinoza presentare la natura corporale, considerata nel suo
insieme, a partire dai corpi che la costituiscono, al termine di una progressione
all'infinito, cosa che fa, d'altra parte, nello scolio del lemma VII della proposizione 13
(Etica, II)? Per comprendere il senso di questo testo occorre riprendere fin dall'inizio il
riassunto di fisica che Spinoza propone in allegato a questa proposizione, in vista di
trarne indicazioni sulla natura e la composizione del corpo umano. In un primo
momento, le leggi del movimento sono applicate ai corpi pi il semplici (entia
simplicissima), nozione sulla quale ritorneremo; in seguito, le stesse leggi sono
applicate ai corpi composti, cio agli individui, che sono formati da un'unione di corpi:
esse devono allora essere complicate; infine, nello scolio che commentiamo, Spinoza
sviluppa quest'amplificazione fino al suo termine, la natura corporale presa nel suo
insieme, in quanto essa stessa un'unione di corpi, determinata da leggi costanti, da
cui potrebbe allontanarsi soltanto con un concorso straordinario di Dio, cio un
miracolo, la cui necessit non potrebbe essere dimostrata. La rappresentazione della
natura cos esposta ottenuta attraverso un passaggio al limite:
[...] e, se continuiamo in tal modo all'infinito, concepiremo facilmente che
tutta la natura un solo individuo, le cui parti - cio tutti i corpi - variano di
un'infinit di modi (modis infinitis), senza alcun cambiamento dell'individuo
totale.
Spinoza vuole dire qui che la natura corporale, pur comprendendo una variet
inesauribile di determinazioni, conserva tuttavia una identica forma, nel senso che
resta sottoposta a leggi costanti, che escludono ogni intervento straordinario come,
del resto, qualsiasi finalit. Ed appunto a questa determinazione universale (facies
totius universi) che faceva riferimento nella sua lettera 64 a Schuller.
Ma numerosi commentatori hanno cercato in questo passaggio conferma di
un'interpretazione vitalista, organicista del sistema spinozista: precisamente a
132

Trattato sulla riforma dell'intelletto. 101.

questo proposito che M. Gueroult stesso parla di un aristotelismo senza Aristotele.


Riconosciamo che c' qui, nel testo di Spinoza, una difficolt reale: dando del modo
infinito mediato la definizione genetica da cui siamo partiti, egli ha escluso la
possibilit di comporre quest'ultimo a partire dai modi finiti, totalizzandoli; ma, nella
misura in cui questo stesso modo infinito mediato appare qui al termine di una
progressione infinita, che integra le cose singolari in un'unit allo stesso tempo
individuale e totale, questa esigenza , sembra, invertita. Gli effetti positivi di
quest'inversione saltano agli occhi: nella misura in cui il modo infinito mediato si situa
nella confluenza di due movimenti inversi, di cui uno parte dall'infinito e l'altro dal
finito, precisamente il luogo privilegiato della loro congiunzione. Ma allora si
producono anche degli effetti negativi: nel momento stesso in cui questa conciliazione
realizzata, il principio universale del determinismo, che scarta ogni illusione finalista,
, se non annientato, almeno in grandissima parte attenuato nella sua applicazione;
ed allora riappare, con l'idea di una logica interna del tutto, realizzata nella natura
considerata un solo individuo, quella di una finalit immanente di questo tutto, ancor
pi pericolosa di quella di una finalit che suppone il ricorso ha una trascendenza.
Riprendiamo lo scolio del lemma VII.133 Passando dai corpi pi semplici, che non sono
individui (poich egli rifiuta ogni filosofia corpuscolare), ai corpi composti, poi,
allestremo, alla natura intera considerata come l'insieme di tutti i corpi, e presa come
un Tutto, Spinoza d l'impressione di costruire una totalit a partire da elementi che la
compongono realmente, in uno sviluppo progressivo. Ma quest'impressione
ingannevole, poich tale costruzione evidentemente impossibile. Nel suo movimento
apparente, questa costruzione porta fino al suo termine il concatenamento dei modi
finiti che presenta la proposizione 28: essa d un contenuto reale al e cos via
all'infinito sul quale si chi completa questa proposizione. Ma questo completamento
realmente impossibile, al livello dei modi finiti stessi, poich non possibile
concludere dal finito all'infinito, come abbiamo mostrato.
Non tutto: non soltanto questa progressione non si completa, ma neppure comincia
mai realmente. Ci deriva dal carattere molto particolare di questi corpi pi semplici
a partire dai quali l'ordine comune della natura razionalizzato nel sunto di fisica. 134
Infatti, questi non sono elementi materiali primitivi, ai quali giungerebbe un'analisi
della natura corporale o dellestensione. Spinoza rifiuta gli atomi, che sono corpi
assolutamente semplici, o parti indivisibili dell'estensione, poich non meno
assurdo supporre che la sostanza corporale sia composta di corpi o di parti che di
supporre che il corpo composto da superfici, le superfici di linee, e infine le linee di
punti:135ritroviamo qui lo stesso ragionamento secondo il quale impossibile costruire
l'infinito a partire dal finito, di generarlo nel movimento di una progressione all'infinito.
La natura non comporta dunque che corpi composti, o individui, perch ogni modo
finito determinato da un concatenamento infinito di cause; ci che significa che ogni
determinazione finita anche infinita, contemporaneamente per la potenza infinita
della sua causa immanente, che la sostanza stessa, e per la molteplicit infinita delle
sue cause transitive. questo che esprime, ad esempio, l'assioma 4 del libro II
133

Etica, II, prop. 13.

134

Etica, II, annesso alla prop. 13.

135

Etica, I, scolio alla prop. 15.

dell'Etica: Sentiamo che un corpo affetto in molti modi, che interviene nella
dimostrazione della proposizione 51 del libro III: Il corpo umano affetto dai corpi
esterni in un gran numero di maniere. Orbene condivide questa propriet con tutti i
corpi ed al limite con tutte le cose. La formula certa et determinata ratione, che
identifica nel discorso spinozista tutto ci che esiste nella forma della finitudine, non
rinvia dunque all'idea di una determinazione elementare, unica, e che come tale
potrebbe essere isolata, ma a quella di una determinazione complessa, che comporta
un'infinit di determinazioni:
Se fosse data in Natura una cosa che non abbia con le altre alcun
commercio e che ne fosse data un'essenza oggettiva, che dovrebbe
convenire in tutto con l'essenza formale, questa non avrebbe alcun
commercio con le altre idee, cio noi non ne potremmo concludere nulla. E,
al contrario, le cose che hanno commercio con le altre, come lo sono tutte
quelle che esistono in Natura, saranno comprese e le loro essenze oggettive
avranno anche un commercio simile, in altre parole, se ne potr dedurre da
altre idee che a loro volta avranno commercio con altre. 136
Come quello di tutte le cose, il concatenamento delle idee interminabile: come
abbiamo mostrato precedentemente, non ci sono per Spinoza idee prime o ultime, ma
c' sempre gi, ci saranno sempre ancora idee, prese in un ordine infinito di cause che
le concatena interminabilmente le une alle altre, e che impedisce che siano mai
sufficienti a se stesse; l'idea adeguata non un'idea semplice - un atomo intellettuale
- che potrebbe essere presentato in un'intuizione elementare ed isolata: la ragione
finita conosce solo attraverso l'infinit che agisce in essa, e cos conosce
assolutamente, senza limitazioni formali. ci occorre dire anche di tutte le cose
finite, che esistono in se stesse, secondo la loro essenza propria, ma non per se
stesse, come se la loro esistenza potesse dedursi dalla loro essenza.
per questo che, per quanto sorprendente ci possa sembrare, occorre dire che i
corpi pi semplici non sono corpi realmente semplici, nella misura in cui tutto ci
che reale anche irriducibile ad elementi isolati: esistono soltanto cose complesse.
Secondo la definizione che ne d Spinoza, i corpi pi semplici sono quelli che si
distinguono gli uni dagli altri soltanto per il movimento ed la quiete, la velocit e la
lentezza:137 vale a dire che ci sono corpi che si considerano soltanto sotto
quest'aspetto, ad esclusione di tutti gli altri. I corpi pi semplici sono dunque
astrazioni, enti di ragione, che permettono di costruire un discorso sulla realt, ma che
non esistono in essa sotto una forma tale che possano essere isolati: in questo senso,
M. Gueroult determinato a distinguere una fisica astratta dei corpi pi semplici ed
una fisica concreta dei corpi composti, che prende per oggetti gli individui
effettivamente esistenti.138 Allora acquista tutto il suo senso un'indicazione del
Trattato della riforma dell'intelletto, che abbiamo gi riportato, secondo la quale la
conoscenza delle cose singolari dipende da quella delle cose fisse ed eterne:
136

Trattato della riforma dell'intelletto, 41.

137 Etica, II, prop. 13, lemma III, assioma 2.


138

Spinoza, t. II, p. 156.

Cos queste cose fisse ed eterne - nonostante la loro singolarit - saranno


tuttavia per noi - grazie alla loro presenza ovunque ed alla loro grandissima
potenza - tipi di universali, cio generi per le definizioni di cose fisse e
mutevoli, e come le cause prossime di tutte le cose ( 101).
I corpi pi semplici non esistono in natura, e tuttavia permettono di conoscerla, nella
misura in cui ne fissano le propriet essenziali: non sono determinazioni elementari
dalle quali la sua realt complessa potrebbe essere ricostituita, non sono neppure
forme ideali che si incarnerebbero nel reale imponendogli un modello di intellegibilit;
ma sono in natura come generi universali, infinitamente potenti, che permettono di
afferrare ci che c' in essa, cio nella diversit inesauribile delle sue forme, d'eterno.
Il concatenamento delle cause transitive, ordo e connexio rerum, dunque irriducibile
a qualunque forma o a qualunque principio che sia: completamente determinato nella
misura in cui anche interminabile, esso la realizzazione dell'infinito nel finito, in
una serie senza inizio n fine, totalit che non totalizzabile, insieme che non pu
essere compreso a partire dai suoi elementi, n dedotto a partire dalla sua forma
globale.
per questo che la rappresentazione della natura corporale come un Individuo o come
un Tutto deve avere un significato molto limitato. essa stessa un'astrazione: ci che
essa considera, l'unit della natura in quanto questa assolutamente determinata
da leggi costanti, da cui nulla pu farla spostare. Ma, come per la nozione dei corpi
pi semplici, di cui in un certo qual modo l'immagine speculare, bisogna guardarsi
dall'incarnarlo in una realt singolare effettivamente esistente. La natura non
certamente, presa in se stessa, un Tutto, anche se , da una parte, unica, e dall'altra,
un insieme di determinazioni sottoposte a principi costanti.
Allorch Spinoza scrive che la Natura nella sua totalit un solo individuo, le cui
parti, cio tutti i corpi, variano in un'infinit di maniere, senza che l'individuo totale
cambi139, non vuole assolutamente dire che essa si conservi identica a s come una
forma stabilita, inalterabile, immobile, alla maniera delle Forme platonicizzanti, poich
sarebbe la sua infinit che diventerebbe allora problematica. Egli, al contrario, si
allontana da tale concezione, come Epicuro aveva potuto fare quando scriveva nella
sua Lettera ad Erodoto: Cos il tutto (to pan) sempre stato la stesso di come ora e
sar sempre tale. Poich non c' nulla in cui possa trasformarsi, poich non esiste
nulla fuori del tutto che possa penetrare in esso e trasformarlo ( 39). Questo tutto
che costituisce la natura, l'insieme di tutto ci che esiste, al di fuori del quale nulla
pu essere pensato: si comprende che sia in s stesso inalterabile, nella misura in cui
irriducibile a qualunque cosa che non sia il suo proprio concatenamento,
perfettamente sufficiente a s stesso, e definisce solo per s stesso tutto ci che
appartiene alla sua realt. Ma questa totalit, che quella di un insieme esclusivo
ed illimitato, non si lascia ridurre ad un sistema di determinazioni ordinate, che
convergono nella costituzione di un Essere unico ed unificato, alla maniera
dell'Universo degli stoici. Si pu applicare a Spinoza un'analisi formulata da G. Deleuze
a proposito dell'epicureismo:

139

Etica, II, m. 13, scolio del lemma VII.

La Natura come produzione del diverso pu essere soltanto una somma


infinita, cio una somma che non totalizza i suoi propri elementi. Non c'
combinazione capace di abbracciare tutti gli elementi della Natura in una
volta, n un mondo unico o universo totale. Phusis non una
determinazione dell'Uno, dell'Essere o del Tutto. La natura non collettiva
ma distributiva; le leggi della natura distribuiscono parti che non si
totalizzano.140
Precisiamo soltanto, affinch questo accostamento abbia un senso: Spinoza non
esclude del tutto la possibilit di afferrare o di comprendere tutti gli elementi della
Natura nello stesso tempo, nella loro infinit intensiva, poich in questa possibilit,
al contrario, che consiste il punto di vista dell'eternit, o terzo genere di conoscenza.
Ci che esclude, che questa conoscenza possa effettuarsi in una combinazione, nella
legge di una serie convergente che totalizza il finito a partire da un tipo di logica
interna della sua progressione: Spinoza si oppone a Leibniz tanto quanto
all'epicureismo allo stoicismo.
Dire che la natura sempre la stessa non significa, dunque, che ordinata a partire da
un principio formale che la costituisce come una totalit, ma che si esplica in modo
esaustivo con il concatenamento delle sue determinazioni, aa esclusione di ogni
intervento esterno, con il quale sarebbe reintrodotto il pregiudizio della finalit.
questa stessa idea che riprende Spinoza, nell'introduzione al libro III dell'Etica:
Non accade nulla in Natura che possa essere attribuito ad un vizio
esistente in essa; poich la Natura sempre la stessa, ed ovunque la sua
virt e la sua potenza dagire una ed identica. Ci significa che (hoc est) le
leggi e le regole della Natura, secondo le quali ogni cosa accade e passa da
una forma a un'altra, sono ovunque e sempre le stesse, e di conseguenza
pu esistere un solo e medesimo modo (ratio) di comprendere la natura di
queste cose qualunque esse siano, cio attraverso le regole universali della
Natura.
Spinoza se la prende qui con i mistificatori che pretendono di mettere la natura umana
fuori dell'ordine comune della Natura, concepire l'uomo come un impero nell'impero,
fare l'individuo umano in un soggetto libero che potrebbe, con il suo comportamento
straordinario e con l'iniziativa delle sue scelte, modificare la necessit naturale, sia per
migliorarla, sia per corromperla. Ora, per Spinoza, che si appresta a considerare le
azioni e gli appetiti del corpo umano come se fosse questione di linee, di piani o di
corpi (Ibid.), non c' specificit del soggetto umano che gli permetterebbe di sfuggire
all'ordine naturale o di attentarvi.
Ma occorre andare ancora pi lontano: non c' per niente un soggetto, quale che sia,
che potrebbe porsi di fronte alla natura per imporle la forma della sua intenzione. Dio
che, secondo una proposizione importante del libro I dell'Etica, causa immanente
ma non transitiva di tutte le cose (prop. 18), non interviene nella realt come un
agente esterno che la sottometterebbe ai suoi obiettivi, ai suoi fini: con la sua azione,
strettamente causale, egli esprime in tutte le sue affezioni la necessit della sua
essenza, in maniera completamente determinata che evidentemente conforme a
140

Logica del senso.

questa essenza, e non pu n limitarla n comprometterla. I miracoli esistono soltanto


nello spirito disturbato di quelli che vogliono credervi perch il loro corpo ve li dispone,
e che scoprono in quest'illusione la promessa di una libert:
[] il volgo ritiene che, mentre la natura agisce secondo l'ordine abituale,
Dio non agisca; ed al contrario che la potenza della natura e le cause
naturali sono inattive mentre Dio agisce. [] E il volgo non pu che adorare
Dio e ricondurre tutto alla sua potenza ed alla sua volont sospendendo le
cause naturali delle cose e immaginando cause esterne all'ordine della
natura; e la potenza di Dio non appare mai pi ammirevole di quando ci si
immagina la potenza della natura in qualche modo come soggiogata da
Dio.141
Ma il problema non di ammirare la potenza divina e di sottoporvisi nelladorarla,
come lo stesso Cartesio noi siamo portati a mettere Dio nella natura come il re nel suo
regno; quello di conoscere questa potenza, cio di comprenderne le leggi interne,
cosa che conduce all'amore intellettuale di Dio, sola forma di libert che pretende il
saggio.
per questo che spiegare la natura secondo la necessit dei suoi concatenamenti
suppone che si rinunci a subordinarla all'iniziativa di un soggetto quale che sia, questo
soggetto stato posto, integrato nella natura stessa, e impostagli la forma definitiva
di un Tutto. Ritorneremo su questa questione, ma possiamo immediatamente
segnalare che le illusioni della finalit interna non sono meno pericolose di quelle della
finalit esterna; che sono del resto le stesse che sono proiettate e concentrate
dall'esteriorit illusoria di un soggetto indipendente nell'ordinamento immanente di
una forma che d a se essa stessa i propri fini:
E come quelli che non comprendendo la natura delle cose sono incapaci di
affermare alcunch su di esse, ma le immaginano soltanto e scambiano
l'immaginazione per l'intelletto, credono fermamente che ci sia un Ordine
nelle cose, ignoranti come sono della natura delle cose e della loro propria.
Infatti allorch le cose sono disposte di modo tale che la rappresentazione
dei sensi ci permette di immaginarle facilmente, diremo che esse sono bene
ordinate. In caso contrario, diremo che sono male ordinate o confuse. E
siccome le cose che possiamo immaginare facilmente ci tornano pi
piacevoli delle altre, gli uomini preferiscono quindi l'ordine alla confusione,
come se, fuori dellimmaginazione, l'ordine sia qualcosa di interno alla
natura.142
Nella natura stessa non c' n ordine n disordine: queste nozioni sono inadeguate
alla sua essenza.
Si vede dunque cosa significa l'idea d'unit della natura, ed anche ci che esclude.
Inizialmente, indica l'unicit della natura, che comprende senza limitazione tutto ci
141

Trattato teologico-politico, cap. 6.

142

Etica, I, appendice.

che appartiene al suo genere, secondo un concatenamento causale identico in tutti gli
attributi. Allo stesso tempo, indica la potenza di Dio che agisce in essa - e non affatto
su essa - con la necessit immanente della sua essenza. Infine, elimina la
rappresentazione di un'unit interna, o di un Ordine della natura, che soltanto una
comodit del ragionamento, ma che rende incomprensibile la sua realt infinita
limitandola fittiziamente.
Se ne deve concludere un'identit assoluta dell'infinito e del finito: questi non sono
come due ordini indipendenti, tra i quali si potrebbe soltanto instaurare un rapporto di
corrispondenza o di sottomissione; ma occorre dire che non sono nulla l'uno senza
l'altro, che non sono nulla l'uno al di fuori dell'altro, se non dal punto di vista astratto
dell'immaginazione che li separa. Su questo punto, l'interpretazione hegeliana della
nozione di determinazione, che tende ad isolare le affezioni dalla sostanza, come se
non fossero che esistenze fittizie rispetto alla sua essenza immutabile, insostenibile.

Non apposita sed diversa


La posizione molto particolare che occupa Spinoza nella filosofia si esprime in
particolare nella messa in disparte, o la corruzione, delle forme tradizionali della
logica. Cos egli fa nel suo sistema un uso aberrante del principio di contraddizione.
Questa modificazione va nel senso della logica hegeliana, che anch'essa elaborata
contro questo principio? Non facile rispondere a questa domanda, perch la Logica
oggetto, nella filosofia hegeliana, di una teoria che ne sviluppa tutte le implicazioni;
mentre per Spinoza la logica, se tuttavia questo termine qui pertinente, resta
implicita: essa non esiste che in atto, inestricabilmente mescolata alle dimostrazioni
singolari che costituiscono esclusivamente la sua forma visibile. Proviamo tuttavia a
caratterizzarla, almeno in alcuni dei suoi effetti.
Per far questo passeremo per Cartesio, poich ci d un termine di raffronto molto
illuminante: si tratta della sua corrispondenza e della polemica con Regius, nella quale
emerge il tema ben noto, che i commentatori applicano spesso a Spinoza, diversa
sed non opposita. Ricordiamo che Regius era un medico che impartiva, dal 1638,
all'universit di Utrecht un insegnamento molto controverso sostenuto sui principi
della fisiologia cartesiana. Appar molto rapidamente che interpretava questi principi
in modo unilaterale, paradossale, travisandone il significato; per questo che Cartesio
si si attiv per togliere il marchio della sua dottrina dalle tesi di questo discepolo
abusivo. Lerrore commesso da Regius era di intervenire senza precauzione in
questioni di metafisica delicate, pericolose e complicate allo stesso tempo, avanzando
formulazioni imprudenti che Cartesio non poteva accettare.
In una lettera del luglio 1645, ecco come ricapitola gli errori di Regius: 143
Prima, considerando l'anima come una sostanza distinta dal corpo, avete
scritto che l'uomo era un essere per accidente. Attualmente, considerando
al contrario che l'anima ed il corpo sono strettamente uniti nello stesso
uomo, volete che sia soltanto un modo del corpo, errore che peggiore
della primo.

143

Opere filosofiche, t. III.

Ci che rende le imprudenze di Regius particolarmente intollerabili, che mettono il


dito su una difficolt particolare della dottrina cartesiana, che la teoria dell'unione
dell'anima e del corpo. Nella sua corrispondenza con Elisabeth, Cartesio riconosce egli
steso il carattere contradittorio di questa teoria che afferma allo stesso tempo la
distinzione dell'anima e del corpo, rinviando a quella della sostanza pensante e della
sostanza estesa, e la loro unione sostanziale nella natura dell'uomo:
Non mi sembra che lo spirito umano sia capace di concepire ben
distintamente ed allo stesso tempo la distinzione fra l'anima ed il corpo e la
loro unione; occorre perci concepirli come una cosa sola, ed insieme,
concepirli come due, cosa che si contraddice. 144
Sembra che le dottrine successivamente professate da Regius si spieghino col
desiderio di uscire da questa contraddizione, che risolvono prendendo in
considerazione ogni volta un solo termine: inizialmente Regius insiste sulla distinzione
dell'anima e del corpo, e caratterizza su questa base la natura dell'uomo come
accidentale e composto, poich consiste nella sovrapposizione di due nature distinte.
In seguito, diffidato da Cartesio a ritirare questa concezione eretica, che pu essere
sospettata di pelagianesimo, Regius adotta una dottrina inversa alla precedente,
rifiutando di accordare all'anima una natura distinta da quella del corpo, di cui non
costituisce che una modificazione: cade allora in un errore, per Cartesio pi grave
ancora del precedente, poich arriva a professare il materialismo.
Ci che ci interessa in questa polemica che fa intervenire, in un certo qual modo allo
stato pratico, il problema della contraddizione, che illumina in modo abbastanza
particolare. Questa questione appare abbastanza presto nella corrispondenza di
Descartes con Regius:
Dato che riconoscete che il pensiero un attributo della sostanza che non
rinchiude alcuna estensione, e che al contrario l'estensione l'attributo
della sostanza che non racchiude alcun pensiero, occorre perci che
riconosciate anche che la sostanza che pensa distinta da quella che
estesa; poich non abbiamo affatto un altro segno per conoscere che una
sostanza differisce dall'altra se non il fatto che comprendiamo luna
indipendentemente dall'altra; ed infatti, Dio pu fare tutto ci che possiamo
comprendere chiaramente; e se ci sono altre cose che si dice che Dio non
possa fare, sono quelle che implicano contraddizione nelle sue idee, cio
che non sono intelligibili. Ma possiamo comprendere chiaramente una
sostanza che pensa e che non sia estesa, ed una sostanza estesa che non
pensa, come ammettete: essendo cos, sebbene Dio leghi e colleghi queste
sostanze per quanto lo pu, non potr per ci privarsi della sua onnipotenza,
n togliersi il potere di separarle, quindi esse rimangono distinte. 145
Occorre seguire questo ragionamento nel dettaglio. Comprendiamo chiaramente il
pensiero senza l'estensione, e l'estensione senza il pensiero, come due sostanze
144 Lettera ad Elisabeth, il 28 giugno 1643, Ibid., t. III.
145

Lettera a Regius, il 6 ottobre 1642, Ibid., t. II.

distinte. Infatti, definire il pensiero con l'estensione, e viceversa, implica


contraddizione. Ma quest'idea, chiara nel mio spirito, pu imporsi a me con una tale
evidenza soltanto perch Dio ha voluto cos; e, poich la sua perfezione esclude che
possa volermi fuorviare, quest'idea deve corrispondere ad un contenuto effettivo.
L'estensione ed il pensiero sono dunque realmente due sostanze distinte. Cos il
principio di contraddizione funziona come un criterio nei limiti di ci che
comprendiamo; ma occorre stare in guardia di non applicarlo al di l dei limiti della
nostra ragione, che strettamente limitata per sua natura. Dio, la cui onnipotenza
infinita, pu ben fare ci che per noi incomprensibile, se assolutamente necessario
che faccia ci che comprendiamo. Cos, del tutto possibile, anche se questa nuova
operazione costituisce per me un profondo mistero, che Dio leghi ed unisca queste
sostanze quanto lo pu. ci di cui testimonia precisamente l'unione di un'anima e di
un corpo nella mia natura: per il fatto che non comprenda quest'unione, perch la sua
idea implica per me una contraddizione, non risulta che sia impossibile, poich in Dio
nulla a priori impossibile, poich la sua potenza per definizione illimitata. Tutto ci
che posso affermare che Dio non pu, legando queste sostanze, volere e fare che
non siano allo stesso tempo tali che io le comprenda, cio separate e distinte.
Il principio di contraddizione ha dunque valore di criterio oggettivo ed assoluto per
tutte le mie idee; ma perde quel valore per tutto ci che oltre il mio potere di
conoscere. La logica divina, se si pu dire, comprende e garantisce la logica umana,
ma non si identifica con essa e la supera infinitamente:
In quanto alla difficolt di concepire come Dio sia stato libero ed
indifferente di far s che non sia vero che i tre angoli di un triangolo siano
uguali a due retti, o in generale che i contradittori non possano stare
insieme, la si pu facilmente eliminare, considerando che la potenza di Dio
non pu avere alcun limite; anche considerando, poi, che il nostro spirito
finito e creato di tale natura che pu concepire come possibili le cose che
Dio abbia voluto fossero veramente possibili, ma non che possa anche
concepire come possibili quelle che Dio avrebbe potuto rendere possibili ma
che tuttavia ha voluto rendere impossibili. Poich la prima considerazione ci
fa conoscere che Dio non pu essere stato determinato a far s che fosse
vero che i contradittori non possano stare insieme, e che quindi avrebbe
potuto fare l'opposto; quindi l'altro ci garantisce che, bench ci sia vero,
non dobbiamo affatto provare a capirlo, perch la nostra natura ne non ne
affatto capace.146
del tutto caratteristico che queste arguzie, che stupiranno cos tanto Leibniz,
dipendano dall'attribuzione a Dio di un libero-arbitro, che lo fa regnare come un
monarca su idee e su cose di cui fa ci che vuole: una concezione della natura divina
che Spinoza respinge espressamente perch, al contrario delle sue pretese dichiarate,
immagina questa natura a partire dalla nostra, per proiezione, in una relazione
d'eminenza. Cos, per Cartesio, Dio si ispira al principio di contraddizione
eminentemente ma non formalmente: questo principio esso stesso una conseguenza
della sua azione, e non un principio eterno che potrebbe limitarla regolandola. Non
precisamente dal lato di Hegel che guarda qui Cartesio, sospendendo l'efficacia di un
146

Cartesio a Mesland, il 2 maggio 1644, Ibid., t. III.

principio razionale quando si tratta dell'assoluto? vero che questa sospensione ha


qui per effetto di rendere l'infinito come tale incomprensibile, marcando cos che la
nostra ragione finita impotente ad accedere ad una conoscenza dell'assoluto, o ad
una conoscenza assoluta.
Questi preamboli erano necessari per farci vedere ci che c' dietro l'argomentazione
che Cartesio oppone pubblicamente a Regius nel 1647, nel suo Notae in programma,
in risposta ad un certo manifesto di questo, Regius scriveva in particolare:
Per quanto riguarda la natura delle cose, nulla impedisce, sembra, che lo
spirito possa essere o una sostanza o un certo modo della sostanza
corporea; oppure, se vogliamo seguire il parere di alcuni nuovi filosofi che
dicono che il pensiero e l'estensione sono attributi presenti in alcune
sostanze come nei loro soggetti, poich questi attributi non sono affatto
opposti ma semplicemente diversi (non apposita sed diversa), non vedo
nulla che possa impedire che lo spirito o il pensiero possa essere un
attributo che convenga ad uno stesso soggetto tanto quanto l'estensione,
sebbene la nozione dell'uno non sia affatto compresa nella nozione
dell'altra: la cui ragione che tutto ci che possiamo concepire pu anche
essere. Oppure, concepibile che lo spirito umano sia qualcuna di queste
cose, poich non c' in ci nessuna contraddizione; e quindi pu essere
qualcuna.
per questo che si illudono quelli che sostenendo che concepiamo
chiaramente e distintamente lo spirito umano come una cosa che per
necessit distinta realmente del corpo. 147
Questo testo del tutto caratteristico del modo di Regius, che si sforza, appoggiandosi
su principi presi a prestito da Cartesio, di giustificare conclusioni che sono proprio
quelle che Cartesio ha scartato: Regius ha forse ragione di sostenere posizioni diverse
da quelle di Cartesio, ma ha certamente torto nel cercare di sostenerle con prove
prese a prestito da Cartesio, cosa che conferisce al suo ragionamento l'aspetto di un
compromesso abbastanza ambiguo.
La dimostrazione di Regius tende a stabilire che lo spirito ed il corpo possano
appartenere ad una stessa sostanza, come attributi diversi che si rilevano senza
contraddizione di uno stesso soggetto: siamo molto lontani qui da Spinoza, non
soltanto perch quest'ultimo mantiene tra il pensiero e
l'estensione una distinzione reale, ma soprattutto perch scarta la concezione
grammaticale degli attributi, secondo la quale la relazione di questi con la loro
sostanza pu essere riportata ad una relazione del tipo soggetto-attributo. Ma
vedremo che la confutazione opposta da Cartesio a Regius ha una portata molto pi
ampia dell'oggetto che la riguarda immediatamente: in questo senso, tale
confutazione illustra molto bene un modo di ragionare che proprio quello col quale
Spinoza romper.
Per Cartesio, Regius ha commesso un primo errore confondendo le nozioni d'attributo
e di modo: quando i nuovi filosofi, cio Cartesio stesso, definiscono il pensiero come
un attributo della sostanza immateriale e l'estensione come un attributo della
sostanza corporale, intendono con questa parola d'attributo una cosa che
147

Ibid., t. III.

immutabile ed inseparabile dall'essenza del suo soggetto, come una sostanza ha per
attributo di esistere di per s; non si tratta dunque di un modo, cio, secondo Cartesio,
in un maniera di essere variabile, che pu essere modificata senza che cambi
l'essenza della cosa a cui appartiene: cos l'estensione, considerata in s, non
modificata in nulla dal fatto che pu assumere diverse forme (sferiche, quadrate,
ecc.), e lo stesso vale per il pensiero. Ci stabilito, anche se il principio non opposita
sed diversa fosse ammissibile, non si applicherebbe qui: l'identit con se stessa di
una sostanza che passa nei suoi attributi, che sono quindi immutabili, esclude anche
che questi siano diversi, poich ci introdurrebbe nella sostanza da cui dipendono
un principio di cambiamento.
Ma il principio sul quale si appoggia Regius, non opposita sed diversa, esso stesso
inaccettabile. L'obiezione che Cartesio gli oppone ci pu sorprendere, poich consiste
in un richiamo al principio di contraddizione. Ora, abbiamo appena visto che Cartesio
stesso ha rimesso in questione l'universalit di questo principio, affermando che non
pu essere applicato a tutte le cose nelle quali la perfezione infinita di Dio si esprime
direttamente e che sfuggono alla nostra ragione finita; ma, se l'universalit di questo
principio scossa da tutto ci che eccede il nostro potere di conoscere, e deve restare
per noi incomprensibile, quest'ultima resta tuttavia inattaccabile per tutto ci che
rimane nei limiti della luce naturale, di cui costituisce - come abbiamo visto - un
criterio oggettivo di verit. Il ragionamento di Regius dunque difettoso perch
contradittorio:
Aggiunge "che questi attributi non sono opposti ma semplicemente
diversi". In ci c' ancora una contraddizione: poich, quando si tratta di
attributi che costituiscono l'essenza di sostanze alcune, la pi grande
opposizione tra loro pu essere soltanto di essere diversi. E allorch
confessa che uno diverso dall'altro, come se dicesse che uno non
l'altro. Ma essere e non essere sono opposti. [...] Per quanto riguarda questi
tipi di attributi che costituiscono la natura delle cose, non si pu dire che
sono diversi e che non sono in alcun modo compresi l'uno nella nozione
dell'altro, convenendo ad uno solo e medesimo soggetto: poich come se
si dicesse che un solo e medesimo soggetto abbia due nature diverse; cosa
che implica una contraddizione manifesta, almeno quando si tratta, come
qui, di un soggetto semplice e non di un soggetto composto. 148
Nel caso di una sostanza semplice e non composta (come proprio la natura umana
che l'unione di un'anima e di un corpo), assurdo pensare degli attributi distinti in
uno stesso soggetto in cui debbano precisamente opporsi, come nature
incompatibili o esclusive. Di qui la necessit, al contrario, di concludere dalla diversit
degli attributi la distinzione delle sostanze da cui essi dipendono: essendo queste
irriducibili l'una all'altra, come i soggetti di due proposizioni grammaticali distinte,
potendo essere dette solo diversa sed non opposita, precisamente nella misura in
cui, essendo esterne l'una all'altra, non danno luogo a contraddizione.
La concezione spinozista degli attributi, tra cui il pensiero e l'estensione, non ha
certamente nulla a che vedere con il materialismo elementare e confuso di Regius;
tuttavia, cade sotto i colpi dell'obiezione di Cartesio: non perch scarta, tra il pensiero
148

Cartesio, Notae in programma, ibid., t. III.

e l'estensione, una distinzione reale, ma perch rifiuta di concludere, da questa


distinzione, quella delle sostanze. Come abbiamo mostrato, la diversit infinita degli
attributi , per Spinoza, l'altro aspetto dell'unit della sostanza che la costituisce
effettivamente, nell'infinit attiva delle sue essenze, che la esprimono ciascuna nel
loro genere, in modo identico e senza opposizione.
Ci significa che la sostanza, cos come Spinoza la concepisce, ha perso la funzione di
soggetto che deteneva ancora nella filosofia cartesiana, ed per questo che non
determinata, nella sua natura intrinseca, dal principio di contraddizione della logica
tradizionale, che impotente a determinarla. A suo modo, Spinoza si ricongiunge qui
con Cartesio: il principio di contraddizione non riesce a farci afferrare tutto ci che
concerne l'assoluto. Ma quest'incapacit non significa, per Spinoza come per Cartesio,
che l'assoluto debba restare per noi incomprensibile, perch i principi che guidano la
ragione finita non gli sono applicabili; vuol dire, al contrario, che la razionalit delle
vere cause - che non ha pi nulla a che vedere con i fini impenetrabili di un Dio
eccessivo - non riducibile ai principi formali di una logica, di cui rivela al contrario la
fondamentale precariet: tutto ci che generale anche, per Spinoza, immaginario.
qui che vediamo quanto siamo allo stesso tempo vicini e distanti da Hegel: vicini per
questa sospensione dei criteri razionali astratti ai quali Cartesio resta ancora attaccato
( il motivo per cui, se quest'ultimo ammette nella sua filosofia l'idea dell'infinito,
respinge la possibilit di trarne qualunque conoscenza); ma anche molto lontani,
poich, con il principio di contraddizione tradizionale e la separazione rigida,
automatica, che installa tra il vero ed il falso, il pensiero stesso della contraddizione
che Spinoza respinge apparentemente fuori della filosofia, rifiutando in anticipo la
nozione hegeliana di una razionalit del negativo, e scartando forse con essa la
possibilit di una dialettica.
In modo rimarchevole, Spinoza rivela dunque, nell'hegelismo, una collusione
stupefacente con la ragione classica, di cui prende in considerazione ancora un
preconcetto: l'idea che la contraddizione una relazione che pu essere compresa e
risolta soltanto in un soggetto, o da un soggetto. Infatti, per Cartesio, l'assimilazione
della sostanza l soggetto di una proposizione che gli permette di applicarle il principio
di contraddizione e di individuarne la razionalit. Per Hegel, la presentazione
dell'assoluto come soggetto, che ritorna in s in un discorso esaustivo, che permette
di sviluppare in esso tutte le contraddizioni di cui capace, ed attraverso esse di
condurre lo spirito fino al suo compimento effettivo. Nei due casi, il metodo che
conduce al vero la risoluzione delle contraddizioni intanto che appartengono ad un
soggetto.
Ma, Hegel non smette di dirlo, Spinoza il filosofo che ha pensato l'assoluto nel
concetto di una sostanza che non un soggetto. per questo che la sostanza, cos
come la presenta, liberata allo stesso tempo dalle costrizioni della ragione finita, cos
come Cartesio le aveva fissate, e anche dal modello evolutivo immaginato da Hegel.
Nel momento stesso in cui impedisce l'intervento nella filosofia di un soggetto
giuridico - Dio creatore delle verit eterne di cui si fa garante -, Spinoza invalida la
funzione di un soggetto logico che funge da fondamento alla proposizione vera e ne
attesta il carattere non contradittorio, o gli permette di esplicitare, e dunque risolvere,
tutte le contraddizioni che porta in s.

Le essenze singolari

Spinoza prende posizione di fronte alla ragione classica, di cui ricusa l'ordine
immutabile e formale, facendone un uso aberrante, deviante, o per lo meno differente
del principio di contraddizione. Spieghiamoci di pi su questo punto.
Questo principio logico tradizionale introdotto nel libro III dell'Etica, in un posto ed in
una formulazione che meritano riflessione:
Le cose sono di natura contraria, cio che non possono essere nello stesso
soggetto (in eodem subjecto esse), nella misura in cui luna pu distruggere
l'altra.149
Ci significa che gli opposti si escludono, e che non possono coesistere, cio, come
indica la dimostrazione, convenire tra loro (inter se convenire), per costituire
insieme uno stesso essere, o uno stesso soggetto.
Qui riappare la stessa divergenza tra Spinoza ed Hegel: per quest'ultimo, non soltanto
gli opposti possono molto bene coesistere in uno stesso soggetto, ma proprio
quest'unit degli opposti che costituisce la natura del soggetto come tale, in quanto
il processo vivo ed autonomo del suo sviluppo. Espellendo dal soggetto ogni negativit
interna, Spinoza non fa apparentemente che manifestare la sua impotenza a pensare
una dialettica del soggetto, cio una dialettica che trova le sue condizioni nel soggetto
stesso, nel suo soggetto: punto di vista della sostanza. Tuttavia, le cose non sono cos
semplici: si potrebbe anche dire che ci che Spinoza rifiuta di pensare la dialettica in
un soggetto, come far precisamente Hegel? Allora una nuova via aperta, anche se
Spinoza non la percorre effettivamente: porre il problema di una dialettica della
sostanza, cio di una dialettica materiale che non presuppone il suo compimento nelle
sue condizioni iniziali per mezzo di una teleologia necessariamente ideale. Ma tale
dialettica l'impensabile hegeliano.
Ritorniamo al libro III dell'Etica: la proposizione 5 vi enunciata in maniera
assolutamente generale, e la sua dimostrazione che procede per assurdo, facendo
riferimento soltanto alla proposizione precedente evidente per s stessa, mostra
bene che si tratta di una sorta di assioma, di un principio formale che non riguarda
alcuna realt in particolare, ma che espone una condizione universale di ogni pensiero
razionale: essa sembra dunque avere principalmente un significato logico, e potere
essere riportata all'enunciato tradizionale: una cosa non pu essere allo stesso tempo
se stessa ed il suo opposto.
Tuttavia, il senso di questa proposizione pu essere completamente determinato
soltanto nel suo contesto. Perch Spinoza ricorda questo principio generale, dandogli
la forma di una proposizione, nel corso della sua argomentazione? chiaro che le
proposizioni 4 e 5 del libro III dell'Etica, che sono in fondo agli assiomi, fungono da
preambolo alla presentazione della nozione di conatus, il cui significato al contrario
completamente reale e determinato, al quale sono dedicate le proposizioni seguenti:
Ogni cosa, per quanto in essa (quantum in se est), si sforza di
perseverare nel suo essere (in suo esse perseverare conatur) (prop. 6).

149

Etica, III, prop. 5.

Lo sforzo (conatus) con il quale ogni cosa cerca di perseverare nel suo
essere non nullaltro di distinto dall'essenza attuale di questa cosa (nihil
praeter ipsius rei actualem essentiam) (prop. 7).
Cos, una cosa singolare o finita, nella quale la potenza di Dio si esprime in modo certo
e determinato (certo et determinato modo) attraverso uno dei suoi attributi, tende
naturalmente a conservare il suo proprio essere, e questa tendenza costituisce la sua
essenza, poich vi esprime tutto ci che in essa (quantum in si ): poi questa
essenza, ed il conatus che la effettua, si oppone a tutto ci che pu distruggerla o
sopprimere la sua esistenza (existentiam tollere), come indica la dimostrazione della
proposizione 6. Infatti, nessuna cosa pu essere distrutta se non da una causa
esterna ad essa (prop. 4), poich non possibile che uno stesso atto affermi la sua
essenza e la neghi al tempo stesso. per questo che, secondo la sua essenza propria
o attuale, qualsiasi cosa tende a perseverare nel suo essere indefinitamente.
Quest'argomentazione conferma ancora, apparentemente, l'interpretazione di Hegel,
nella misura in cui mostra che Spinoza resta attaccato al concetto classico di una
negativit finita, negazione esterna che elimina e che esclude, al di fuori di ogni
discorsivit immanente o lavoro del negativo che ritorna su se stesso, precisamente
per costituire un'essenza: il conatus un movimento assolutamente positivo, nel quale
si esprime un'attivit ed una potenza, al di fuori di qualsiasi limitazione, di qualsiasi
esclusione. Tuttavia, se ci si ferma in questo punto, non si comprende pi molto bene
perch questa realt si afferma e si effettua tendenzialmente in un conatus.
D'altra parte, il ragionamento di Hegel vacilla su un altro punto, poich questo
movimento con il quale una cosa tende a conservare il suo proprio essere
precisamente la sua essenza attuale, o anche, come Spinoza scrive in altra parte, la
sua essenza singolare, che la fa essere, non assolutamente come lo pu soltanto la
sostanza, ma in maniera certa e determinata come un'affezione particolare della
sostanza, presa in uno dei suoi generi. La nozione di conatus rinvia dunque
direttamente a quella di determinazione, della quale rimuove ogni negativit interna:
nella misura in cui una cosa determinata come tale (quantum in se est) per il suo
rapporto immanente alla sostanza di cui un'affezione, essa si oppone
tendenzialmente a tutto ci che ne limita la realt, minacciando di distruggerla.
allora certo che la determinazione non in se stessa una negazione, ma al contrario
un'affermazione: allora l'argomentazione di Hegel, secondo la quale Spinoza pensa la
determinazione soltanto per difetto, dunque come l'ineffettivo, diventa caduco.
C' dunque per Spinoza un concetto positivo della determinazione che sembra del
resto rimettere in questione le definizioni iniziali che davano la sua base al sistema:
detta finita nel suo genere la cosa che pu essere limitata da un'altra
della stessa natura (I, def. 2).
Con modo, intendo le affezioni della sostanza, in altre parole ci che in
altra cosa, per la quale anche concepito (I def. 5).
[...] chiamo necessaria, o piuttosto, coatta, la cosa che determinata da
un'altra ad esistere e a produrre un effetto secondo una ragione finita e
determinata (certa e determinata raziona) (I, def. 7).

Per le cose che hanno origine da cause esterne, che si compongono di


molte parti o di un piccolo numero, tutto ci che hanno di perfezione o di
realt lo hanno in virt della causa esterna, e anche la loro esistenza
proviene dalla sola perfezione di questa causa, non dalla loro (I, scolio della
prop. 11).
In tutte queste formule, una cosa non determinata per ci che in essa (quantum in
se est) come nel libro III, ma, al contrario, dell'esterno, a partire da altre cose che la
limitano e che allo stesso tempo la fanno esistere, costituendola essa stessa come una
causa esterna per altri effetti. Questo ragionamento dunque completamente diverso
da quello del libro III: una cosa finita vi determinata dell'esterno da un'altra cosa; in
quest'esteriorit non sono raccolte le condizioni che potrebbero distruggere la sua
esistenza, ma quelle che, al contrario, la rendono possibile, o che la producono,
necessariamente. Queste definizioni conducono alla proposizione 28 del libro I,
secondo la quale una cosa singolare non esiste di per se stessa, ma per un'altra che
a sua volta determinata da un'altra, in un concatenamento infinito.
Ma, questa differenza, questo contrasto tra due esposizioni della nozione di
determinazione, determinazione esterna o determinazione interna, pu spiegarsi
solo con una ragione evidente: non sono le stesse cose che sono determinate
nell'uno e nell'altro caso; o, almeno, le stesse cose sono determinate a da punti di
vista diversi. In un caso, una cosa finita determinata quanto alla sua essenza, per la
quale tende indefinitamente a perseverare nel suo essere; mentre, nell'altro caso,
determinata quanto alla sua esistenza, in condizioni che la limitano. Tale
precisamente la situazione particolare delle cose singolari: esse hanno unessenza
propria, che data in esse, e nella quale la sostanza si esprime certo e determinato
modo, ed esistono esteriormente in un concatenamento interminabile che le lega a
tutte le altre cose. Si comprende di conseguenza perch, a differenza della sostanza
stessa, queste cose non esistono necessariamente, in altre parole la loro essenza non
implica l'esistenza: che la loro esistenza e la loro essenza sono determinate in
modi completamente diversi, in se et in alio. per questo che il fatto che le cose
singolari non esistono nell'eternit, ma nel movimento incessante e mutevole di
relazioni estrinseche nel corso delle quali appaiono e scompaiono, non affetta in nulla
l'eternit della loro essenza, cio della loro tendenza immanente a perseverare nel loro
essere.
Riprendiamo l'esempio che funge da pretesto a Spinoza nel suo dialogo immaginario
con gli oscurantisti (Etica, I, appendice). Un uomo muore per la caduta di una tegola
portata via dal vento e che gli caduta sulla testa nel momento in cui si recava da
amici: la sua esistenza distrutta da un concorso di circostanze esterne, che si spiega
con un concatenamento interminabile di determinazioni, tutte esteriori le une rispetto
alle altre, senza alcun collegamento immanente. Ma, per sua essenza propria, non per
la sua comune appartenenza al genere umano, ma questa forma attuale e singolare
che lo fa essere una persona, niente lo destinava a subire ci che deve dunque essere
designato, in senso forte, come un accidente, cio qualcosa che gli arriva al di fuori di
qualsiasi predisposizione, di qualsiasi tendenza interna, poich questa, al contrario, vi
si oppone. Si tratta di un accidente necessario, poich si spiega con delle cause, anche
se con un concatenamento infinito di cause che lo determina completamente, ma
senza che da nessuna parte in questo concatenamento appaiano le condizioni di
un'unit interna, che leghi tra loro tutte queste cause nel quadro di uno sviluppo

immanente, cio di un movimento finalizzato. questa la ragione per cui


l'interpretazione di quest'evento con la provvidenza o il destino, che ricerca, tramite
cause finali, un significato interno nascosto, perfettamente inadeguato: disvia dalla
questione, poich riguarda in realt tutt'altro oggetto che quello che pretende di
spiegare; sfrutta una circostanza e l'ignoranza nella quale ci troviamo
necessariamente in quanto alla totalit delle sue condizioni e la utilizza come un
pretesto per stabilire o rafforzare una superstizione. La tesi provvidenzialista, che
funge da veicolo alla religione del timore, si sostiene sulla confusione dei punti di vista
dell'essenza e dell'esistenza.
Torniamo al problema della contraddizione. Cosa sono due cose contrarie? Sono due
cose di cui l'una sopprime l'esistenza dell'altra, e che non possono dunque convenire
tra loro, cio essere in uno stesso soggetto (in eodem subjecto simul esse). Ma cosa
significa essere in uno stesso soggetto? Letteralmente, significa coesistere, secondo il
termine stesso utilizzato da Spinoza: due cose sono contrarie quando l'esistenza
dell'una esclude quella dell'altra, apportando le condizioni esterne del suo
annullamento. Da ci risulta una conseguenza molto importante: l'enunciato del
principio di contraddizione riguarda qui esistenze e non essenze. e il soggetto che fa
intervenire, e di cui garantisce la possibilit egli stesso determinato al livello delle
esistenze e non a quello delle essenze. Vi sarebbe contraddizione soltanto tra
esistenze e per esistenze, e non tra essenze e per essenze? Ne risulterebbe che le
cose singolari, considerate cos come sono in se stesse (quantum in se est), secondo la
loro propria essenza, non sono determinate come soggetti, poich un soggetto
soltanto un ente nel quale coesistono esistenze distinte, cio ci che Spinoza
chiama in un altro punto un individuo. La nozione di soggetto ha significato razionale
soltanto con le esistenze, e non le essenze.
Se in Spinoza c' una teoria del soggetto, essa assume d'acchito una forma non logica
ma fisica, nel senso che la fisica studia le forme di coesistenza tra gli enti. Questa
teoria esposta nella proposizione 13 del libro II dell'Etica:
Quando un certo numero di corpi di stesse o differenti dimensioni sono
costretti da altri a restare attaccati gli uni contro gli altri, o anche muovendosi secondo una velocit identica o differente -a comunicarsi gli uni
agli altri i loro movimenti secondo una certa relazione, diremo che questi
corpi sono uniti tra loro e che compongono insieme uno solo e medesimo
corpo, in altre parole un individuo, che si distingue dagli altri per questa
unione di corpi.
Questa definizione si applica immediatamente ai corpi, cio alle determinazioni
dell'estensione; ma vale anche, indirettamente, per tutte le altre forme di unioni di
determinazioni che si producono anche in altri generi di essere; per questo che
possibile appoggiarsi ad essa per trarne una nozione generale di individuo.
Cos' un individuo? Un'unione di corpi, cio un certo assemblaggio di elementi della
stessa natura che convengono tra loro, non soltanto in quanto alla loro essenza,
poich tutti i corpi convengono tra loro quanto alla loro essenza (52. Etica, II, lemma 2
di prop. 13150), ma quanto alla loro esistenza: formano allora un solo e medesimo
corpo, in altre parole un individuo, che si distingue dagli altri per un certo numero di
150 Etica, II, lemma 2 della prop. 13.

propriet comuni. Risulta immediatamente da questa definizione che gli individui non
esistono assolutamente, ma relativamente a circostanze o a un punto di vista:
Per cose singolari intendo le cose che sono finite ed hanno un'esistenza determinata;
se pi individui concorrono in una stessa azione in modo che tutti siano causa allo
stesso tempo di uno stesso effetto, li considero tutti a tale riguardo (eatenus) come
una stessa cosa singolare.151
A tale riguardo: l'unit che costituisce un individuo non affatto eterna, ma dipende
dalle condizioni che la fanno e la disfanno.
Da dove proviene quest'unione? Da un principio interno di raccolta che legherebbe tra
loro elementi diversi, secondo il loro proprio essere, per costituire la realt singolare
ed originale dell'individuo? Cos i finalisti, quando vedono la struttura del corpo
umano sono colpiti da uno sciocco stupore e, siccome ignorano le cause di un cos di
un bell'accordo, concludono che non formato affatto meccanicamente, ma da un'arte
divina o sovrannaturale, ed in modo tale che nessuna parte nuoccia all'altra (Etica, I,
appendice), come se si completassero secondo il principio di un'armonia immanente.
Ma i corpi singolari che compongono individui nell'estensione vi sono attaccati gli uni
contro gli altri, da una costrizione che necessariamente esterna, e non per la
necessit interna di un'essenza che tende indefinitamente a perpetuarsi. Per
riprendere un'espressione di M. Gueroult, la genesi degli individui si spiega con la
pressione dei fattori ambientali,152 cio con un'azione meccanica, un concatenamento
di determinazioni che si articolano, o, piuttosto, che sono articolate tra loro, al di fuori
di ogni ragione intrinseca: questa riunione momentanea assume allora la forma
specifica di una costrizione.
L'individuo, o il soggetto, non esiste dunque per se stesso, nella semplicit irriducibile
di un essere unico ed eterno, ma composto dall'incontro di esseri singolari che si
accordano congiunturalmente in esso, quanto alla loro esistenza, cio che vi
coesistono, ma senza che quest'accordo presupponga una relazione privilegiata,
l'unit di un ordine interno, al livello delle loro essenze, che sussistono in modo
identico, quali com'erano in se stesse prima di essere cos raccolte, e senza essere per
nulla affette.
Prendiamo un esempio di una tale associazione. Abbiamo appena ricordato che i
finalisti hanno spesso preso il corpo umano come il modello di un'organizzazione
integrata, e la sua perfezione ha suscitato il loro sciocco stupore. Ecco come
Spinoza risolve questo problema, appoggiandosi alla definizione dell'individuo che
abbiamo appena commentato (prop. 13):
Le parti che compongono il corpo umano non appartengono all'essenza del
corpo stesso se non in quanto si comunicano le une alle altre i loro
movimenti secondo un certo rapporto (certa ratione)[], e non in quanto
possono essere considerate come individui, a prescindere dal loro rapporto
col corpo umano (55. Etica, II, dim. di prop. 24). 153
151

Etica, II, def. 7

152

M. Gueroult, Spinoza, t. II, p. 166

Intanto che , come qualsiasi individuo, un essere composto, il corpo umano


costituito da parti che possono essere considerate in due modi: in quanto elementi che
coesistono in esso e formano insieme la sua organizzazione globale, e in quanto sono
esse stesse degli individui indipendenti, che esistono essi stessi come dei tutti, a
prescindere dalla loro appartenenza al corpo umano. Spinoza propone la stessa
distinzione nella sua lettera 32 a Oldenburg. Ma soltanto l'immaginazione che scopre
tra questi due aspetti un'identit o una convergenza: come se ciascuna parte fosse
costituita in se stessa in modo da formare con tutte le altre una totalit armoniosa ed
ordinata. A questa concezione finalista, che riassume astrattamente un
concatenamento infinito di determinazioni nella finzione di un'intenzione unica,
occorre sostituire una spiegazione completamente causale: questa, che non considera
che le relazioni esterne tra i corpi, completamente meccanicista. Ogni parte del
corpo appartiene a questa forma globale che il corpo preso nel suo insieme, non
secondo la sua propria essenza, ma a causa di questo collegamento esterno, la cui
necessit transitiva quella di una costrizione, che fa tenere insieme tutti gli elementi
del corpo umano fino al momento in cui, essendo cambiate le condizioni ambientali, le
relazioni tra questi elementi sono anche modificate: l'assemblaggio si disfa, e le sue
parti sono rinviate ad altre combinazioni. Non vi dunque nessuna necessit di
interpretare la struttura del corpo umano da partire da un'arte divina e
sovrannaturale, le cui ragioni sono essenzialmente misteriose, prendendo a pretesto il
fatto che costituita in modo tale che nessuna parte nuoce all'altra ma al contrario
gli convenga: la ragione di quest'accordo non da ricercare in una predeterminazione
oscura delle essenze singolari che le spingerebbe a convergere tutte insieme verso
una essenza unica (una natura ideale), ma nella relazione transitiva di determinazione
che le costringe provvisoriamente ad associarsi.
Si sar osservato che, nel testo che abbiamo appena commentato, Spinoza stesso
presenta le parti del corpo umano, considerate al di fuori della loro appartenenza
comune all'individuo nel quale coesistono come degli individui:
Il corpo umano composto dun numero molto grande di individui (di
diversa natura) ciascuno dei quali molto composto (56. Etica, II, post. I al
seguito della prop. 13)..154
Le parti del corpo umano sono infatti individui molto composti (post. 1) le
cui parti (lemma 4) possono essere separate dal corpo umano e comunicare
i loro movimenti (assioma 1 a seguito del lemma 3) ad altri corpi secondo un
altro rapporto, sebbene il corpo conservi interamente la sua natura e la sua
forma. [...] Si pu dire altrettanto di qualunque parte dell'individuo che entra
nella composizione del corpo umano. 155
Gli elementi costitutivi di un individuo sono dunque essi stessi delle realt complesse,
composte di parti distinte che coesistono in esse e che sono a loro volta determinate
153

Etica, II, dim. di prop. 24.

154

Etica, II, post. I al seguito della prop. 13.

155

Etica, II, dimostrazione della prop. 24.

da questa relazione, e cos via all'infinito, poich l'analisi della realt , secondo
Spinoza, interminabile, e che non pu mai condurre ad esseri assolutamente semplici,
a partire dai quali sarebbe costruito il sistema complesso delle loro combinazioni.
Esistono, propriamente parlando, solo relazioni: per questo che le essenze singolari,
che sono determinate in se stesse, non sono affette dal concatenamento esterno delle
esistenze: per questo che non possono essere raggiunte da un'analisi che
scoprirebbe il semplice al termine del complesso, come un elemento terminale,
un'unit irriducibile. Le essenze non sono le unit costitutive di un tutto, cos come
non sono delle totalit, che unificano elementi per l'eternit.
Come abbiamo gi visto, questo movimento pu essere preso nell'altro senso: nei
corpi, presi come individui, ci sono sempre altri corpi, che sono anch'essi degli
individui: ma cos, ciascun corpo, in quanto esso stesso un individuo, appartiene ad
un altro corpo, che anch'esso un individuo, e cos all'infinito, fino a che arrivavamo a
quell'individuo totale, facies totius universi, che , lo abbiamo mostrato, il modo
infinito mediato dell'estensione: La natura nella sua totalit un solo individuo le cui
parti, cio tutti i corpi, variano di un'infinit di modi, senza che l'individuo totale
cambi. Lo abbiamo indicato, si avrebbe torto ad interpretare questo testo nel senso di
una concezione organicistica della natura, inevitabilmente associata alla
rappresentazione di una finalit immanente, come, tuttavia, si fa generalmente.
Secondo tale concezione, le parti della natura, cio l'insieme delle cose corporali (ma
anche l'insieme delle cose che costituiscono ciascuno degli altri attributi), sarebbero
esse stesse costituite, ciascuna per quanto riguarda la sua propria essenza, da un
rapporto interno di solidariet che le farebbe convergere tutte nella realizzazione di
una forma globale, all'interno della quale sarebbero disposte le une rispetto alle altre
in maniera unitaria. Sarebbe cos possibile concludere armonicamente dalle loro
proprie nature - che si concatenano tra loro secondo una stessa regola - la loro
organizzazione infinita e viceversa: non si farebbe altro, allora, che leggere Leibniz
dentro Spinoza.
Ma una tale rappresentazione della natura, come la conoscenza del corpo umano alla
quale si riferisce come ad un modello, appartiene secondo Spinoza al dominio
dell'immaginazione: questa occulta o altera l'idea adeguata dell'infinito attuale,
secondo la quale la sostanza si esprime immediatamente ed in modo identico - senza
la mediazione di un principio d'ordine, inevitabilmente gerarchizzato e finalizzato - in
ciascuna delle sue affezioni, di cui produce le essenze singolari tutte in una volta,
senza accordare alcun privilegio a nessuna, conferendo loro quella tendenza originaria
a perseverare nel loro essere che appartiene in maniera propria a ciascuna e che non
pu esserle tolta. Queste tendenze sono equivalenti nella misura in cui non possono
essere comparate, poich esse si realizzano nella pienezza positiva della loro propria
natura. Occorre dunque rinunciare definitivamente alla comune illusione per la quale
le cose sono conformate le une alle altre in modo da effettuare, con le loro relazioni
reciproche che le situano le une rispetto alle altre nel concatenamento infinito delle
cause e degli effetti, uno stesso ordine di perfezione. Poich tale interpretazione
mette la natura a rovescio (Etica, I, appendice): essa riconduce ogni parte della
natura alla natura stessa considerata come un tutto e come il principio finale della loro
ripartizione, dal quale esse stesse sono determinate; occorre, al contrario, considerare
la natura come risultante dalla loro coesistenza, cio come un insieme che non
totalizzabile. La natura, considerata da questo punto di vista, costituisce bens un
individuo nel senso che abbiamo stabilito: essa realizza tra gli esseri che la riempiono

un rapporto necessario di coesistenza, poich tutte le cose corporali vi si trovano per


definizione raccolte, senza che questo rapporto sia retto da un ordine, di conseguenza
ideale, di essenze, di cui sarebbe soltanto la manifestazione o la materializzazione.
Tuttavia, una nuova difficolt appare qui: secondo la definizione che Spinoza d
dell'individuo, la relazione degli elementi che lo costituiscono come un essere
composto interamente determinata dall'esteriorit, nella forma esclusiva della
causalit transitiva, o secondo il principio della pressione dei fattori ambientali, per
riprendere l'espressione avanzata da M. Gueroult. Ci non costituisce problema per
nessuna cosa della natura, che si trova cos costretta esteriormente dal
concatenamento infinito delle cause nel quale presa. Ma questo si pu ancora dire
della natura stessa, che comprende o almeno comporta tutto in essa, e per la quale
nulla le pu essere ancora esterno? Ci mette apparentemente in scacco il principio
della pressione dei fattori ambientali.
Ci arrestiamo qui perch abbiamo reintrodotto, senza rendercene conto, questa
nozione di interiorit che esclude completamente la definizione di individuo: se la
natura corporale osservata globalmente come facies totius universi un insieme
illimitato che non pu essere totalizzato, ci significa che essa stessa esiste
completamente nell'esteriorit. Nulla gli esterno, precisamente perch qualsiasi
esteriorit cade dentro di essa e vi si ritrova, se non collegata e compresa (cio risolta
a partire da un principio interno d'unit), almeno riunita ed assemblata in un rapporto
di coesistenza immutabile ed illimitata: in questo senso il suo ordine esclude ogni
contraddizione, cio che tende a risolverla in uno stato d'equilibrio che , daltra parte,
costantemente rimesso in causa. La pressione dei fattori ambientali che fa tenere
insieme tutti gli esseri corporali e costituisce la natura come la loro forma globale
d'individualit, il concatenamento infinito delle loro determinazioni causali.
L'esteriorit di questo concatenamento interpretata dall'immaginazione secondo la
finzione astratta di un esterno, che esisterebbe indipendentemente da ci che
determina; ma occorre comprendere, al contrario, che non vi nulla al di fuori delle
cose che determina. Questo concatenamento delle cause transitive che esso stesso in s stesso si potrebbe dire -, un concatenamento in esteriorit. Non c' allora alcuna
necessit di supporre una realt esterna alla natura per comprendere che essa stessa
sottoposta ad una determinazione esterna, la stessa degli esseri che la compongono.
Tutto nella la natura proprio perch essa non pu essere spiegata a partire da
un'armonia ideale, da un ordine integrato, che stabilirebbe un limite fittizio tra ci che
gli interno ed e ci che gli esterno. per questo che ritroviamo, al livello della
natura stessa considerata nel suo insieme, come in quello di ciascuna delle sue parti,
la stessa concezione dell'individuo, considerato come una relazione esterna tra
esistenze.
Ci significa che nessuna unit pu pi essere pensata in natura, e che questa
dispersa all'infinito, in una successione circostanziale di incontri, a livello dei quali
nessuna necessit immanente pu pi essere individuata? Ma, per sfuggire all'illusione
di un ordine finalistico, non basta sostituirgli la rappresentazione di un disordine
contingente di pure esistenze, che non ne dopotutto che limmagine allo specchio.
Tutto ci che si produce in natura determinato dalle leggi universali del movimento,
per le quali ogni cosa esprime, in modo certo e determinato, l'essenza della sostanza
in quanto cosa estesa: il che significa che c' per ciascuna cosa un'essenza singolare
che la fa essere necessariamente, non pi per la costrizione di un essere esterno, ma
per l'atto della sostanza che si afferma in essa come in tutte le sue altre affezioni. In

questo senso, la natura stessa, considerata come un essere unico, possiede


un'essenza propria che la ragione della sua necessit e della sua unit: essa modo
infinito immediato, nel quale la sostanza si esprime direttamente, al di fuori di
qualsiasi relazione ad altra cosa. Ma, considerata cos, dal punto di vista della sua
essenza, nella quale la potenza di Dio si esprime immediatamente, essa non pi un
individuo o un soggetto, cio il sistema di tutte le coazioni che riunisce in essa, in una
serie infinita, di esistenze esterne le une alle altre. Lo abbiamo visto, Spinoza nega
ogni tentativo di ricondurre uno di questi aspetti all'altro, poich ci reintrodurrebbe
quella concezione gerarchizzata del reale e l'ordine dei fini di cui si stupiscono gli
sciocchi e gli schiavi.
Nello stesso modo, come ogni realt modale, il corpo umano possiede un'essenza
singolare, distinta della sua esistenza, per la quale tende a perseverare nel suo essere.
Ma, considerato da questo punto di vista, non pi un individuo, cio un assemblaggio
complesso di parti che si dispongono in lui secondo la coazione esterna delle loro
relazioni reciproche; poich determinato da una disposizione interna, che non l'
ordine finalizzato di una composizione o di una totalit, ma l'affermazione che non
pu scomporsi - della sostanza che si esprime in esso in modo certo e determinato, in
un atto unico, incomparabile, ed irriducibile ad una determinazione esterna quale che
sia.
Pi in generale, occorre dire che nessuna essenza singolare pu dedursi direttamente
come tale da un'altra essenza singolare, non pi, del resto, della natura comune, cio
l'attributo da cui dipendono tutte: Ci che comune a tutte le cose e che
ugualmente in una parte come nel tutto non costituisce l'essenza di nessuna cosa
singolare.156 La necessit universale rappresenta non solo un ordine comune tra le
cose, dal quale potrebbero essere comprese per astrazione: essa l'affermazione
concreta della sostanza che agisce in tutte le cose, in un'infinit assolutamente uguale
ed assolutamente diversa di affezioni che lesprimono in maniera identica nella misura
in cui sfuggono ad ogni comparazione reciproca.
Siamo cos riportati ad un'idea importante che abbiamo gi incontrato
precedentemente: la sostanza stessa, la cui l'unit coincide con la sua potenza infinita,
che non pu mai venire a mancare e che si esprime in un'infinit di essenze, non
esiste come un individuo, sotto l'ordine del quale ogni determinazione sarebbe
compresa. Come indica brevemente Spinoza nella lettera 50 a J. Jelles - ma l'idea vera,
si sa, basta a se stessa -, l'unit della sostanza non numerica, non quella di un solo
essere che esisterebbe con lesclusione di tutti gli altri esemplari che si potrebbero
immaginarne, ma l'unit assolutamente infinita, che non pu essere osservata come
tale dall'esterno, per eliminazione in qualche modo -, in un movimento che
condurrebbe del possibile al reale. Non soltanto Dio non un individuo, ma la sola
cosa che non pu assolutamente essere considerata da questo punto di vista,
astrattamente, secondo un principio d'ordine o di coesistenza che eliminerebbe in lui
ogni intellegibilit, poich in Dio essenza ed esistenza coincidono esattamente, nella
necessit immanente della causa sui. Mentre tutte le cose della natura, in
qualunque attributo siano, possono essere considerate da questo punto di vista
esterno e negativo, dove la loro relazione causale assume una forma esclusivamente
transitiva, Dio per definizione tutto positivo: ci che determina ogni cosa come
tale, positivamente.
156

Etica, II, prop. 7

Hegel ha dunque buone ragioni per dichiarare che, nel ragionamento di Spinoza, la
sostanza non diventa mai soggetto: possiamo anche dire che questo ci che d al
pensiero spinozista il suo contenuto effettivo, lo stesso che Hegel ha percepito come la
sua restrizione ed il suo limite. Il Dio dell'Etica non una totalit di determinazioni,
disposte in un ordine razionale dalla logica del loro sviluppo o del loro sistema: per
Spinoza, l'intellegibilit di un tutto quella di una forma individuale, che si spiega
relativamente con un concatenamento meccanico e transitivo, in una serie
interminabile di coazioni; essa si distingue dunque radicalmente da un'essenza
singolare, che determinata, al contrario, dal suo rapporto necessario con la sostanza.
Cos, l'idea di totalit che , nel contesto in cui si forma, astratta e negativa: essa
non rappresenta affatto la realt positiva di un essere che tende, per la sua natura
propria, a perseverare indefinitamente nel suo essere, ma questa limitazione reciproca
che situa le forme individuali le une rispetto alle altre e che spiega la loro comparsa e
la loro scomparsa, con cause sempre esteriori.
Laddove si presentano contraddizioni e conflitti, ma anche equilibri e compromessi,
nella successione transitiva delle coazioni individuali, ci che esiste si spiega con un
ordine negativo di determinazione che permane esteriore alle essenze. Ma la
conoscenza assoluta delle cose, in che consiste l'amore intellettuale di Dio, ricusa
questo modello di conoscenza e se ne separa assolutamente: elimina dal suo oggetto
ogni contraddizione, non nel movimento illusorio della sua risoluzione interna, ma
riconoscendo che la vera necessit consiste nel rapporto esclusivo di ogni realt alla
sostanza che si afferma in essa, al di fuori di qualsiasi contraddizione.
Nei Pensieri metafisici, Spinoza scriveva gi:
Dalla comparazione delle cose tra loro emergono alcune nozioni che
tuttavia non sono nulla, al di fuori delle cose stesse, che semplici modi di
pensare. Ci si vede al fatto che, se volessimo considerarle come cose poste
fuori del pensiero, rendiamo confuso il concetto chiaro che, per altro,
abbiamo di esse. Tali sono le nozioni di Opposizione, di Ordine, di
Convenienza, di Diversit, di Soggetto, di Complemento e di altre simili che
si possono aggiungere a queste (I, cap. 5).
Come l'ordine e la convenienza, l'opposizione soltanto un modo di rappresentarsi
non le cose stesse ma le loro relazioni: queste nozioni dipendono infatti dalla loro
comparazione. Si tratta dunque di nozioni astratte, formali, che non corrispondono
realmente ad alcun contenuto. Come non c' un ordine in s non c' opposizione in s:
vale a dire che impossibile, a partire da tali nozioni, conoscere adeguatamente ci
che . Tuttavia, non basta osservare che sono formali ed illusorie; occorre anche
sapere da dove provengano e che cosa le renda cos facilmente credibili. Comparare
le cose, anche se ci non ci insegna nulla sulla loro vera natura, non un'operazione
assolutamente gratuita, nella misura in cui rappresenta il concatenamento transitivo
delle esistenze che autorizza tale comparazione, perch essa misura essa stessa i suoi
oggetti gli uni rispetto agli altri nella relazione indefinita delle loro determinazioni
reciproche. Come modo di pensare, l'opposizione corrisponde, dunque, anche ad un
certo modo di essere: quello che fa coesistere delle cose finite nella serie illimitata
dove si limitano reciprocamente. Ma questa rappresentazione ignora completamente
quella determinazione positiva delle affezioni che le collega direttamente alla

sostanza. per questo che non d luogo ad un principio razionale la cui validit
sarebbe effettivamente universale.
Da tutto ci risulta che il meccanismo del principio di contraddizione, che regola
ancora il funzionamento di un pensiero razionale nell'epoca classica , anche se
comincia ad essere messo in dubbio (come in Pascal), si trova in un certo qual modo
da Spinoza deviato, o sregolato. Riportato all'ordine astratto delle esistenze, che
costituisce gli individui in relazioni d'esteriorit, permette al massimo di misurare, o
piuttosto di constatare, la durata precaria della loro sopravvivenza; ma non ci insegna
nulla sulla realt essenziale che sola conferisce alle cose la loro relazione immanente
alla sostanza, cio quella necessit positiva che le fa essere e perseverare. Per
Spinoza, nessuna cosa intrinsecamente determinata dalle sue contraddizioni, come
osserva giustamente Hegel: in questo senso, la dialettica effettivamente assente
dello spinozismo. Ma occorre insistere anche sul fatto che la contraddizione ha perso
allo stesso tempo il suo potere negativo di confutazione, da cui essa trae, ancora con
Cartesio, una funzione essenzialmente logica: dato che non stabilisce pi un essere
nella sua realt essa non permette neppure di rifiutargli una realt, poich il suo
discorso completamente esteriore all'essenza delle cose. Mentre Hegel non fa, dopo
tutto, che rovesciare il principio di contraddizione, traendone conclusioni inverse da
quelle che attestava tutta una tradizione precedente, Spinoza ne sposta
completamente il campo dapplicazione, togliendogli, come a qualsiasi altro principio
formale, il potere universale che permette di applicarlo uniformemente a qualsiasi
realt. Ma una dialettica, se se ne sviluppa fino in fondo la propria tendenza
immanente non deve saper pensare anche contro la contraddizione?

Forza et conatus
Spinoza attribuisce ancora al principio di contraddizione un significato razionale, ma
gli toglie di fatto il potere di pensare la natura reale delle cose, cio ne limita
l'impiego, confutando la sua pretesa all'universalit. Su questo punto si anticipa,
sembra, la filosofia critica che prende posizione, in modo apparentemente analogo,
contro il formalismo. Questo accostamento tra Spinoza e Kant pertinente?
Secondo le Anfibolie dei concetti della riflessione, che costituisce nella Critica della
ragione pura l'appendice dell'Analitica dei principi, l'applicazione del principio di
contraddizione d luogo ad una conoscenza soltanto dal punto di vista dell'intelletto
puro, che considera una cosa in generale senza determinarla all'interno di un
fenomeno particolare:
Quando la realt ci viene presentata dall'intelletto puro (realitas
noumenon), nessuna discordia pu concepirsi tra le realt; vale a dire che
non si pu concepire un rapporto tale che queste realt, essendo collegate
in uno stesso soggetto, distruggano reciprocamente i loro effetti, e che 3 - 3
= 0.157
Una cosa non pu essere al tempo stesso se stessa ed il suo contrario: l'universalit di
questo principio astratta ed universale, perch tratta il suo oggetto come una cosa
157

Critica della ragion pura.

qualunque, indipendente da ogni carattere empirico, e che l'intelletto pone soltanto in


se stesso, come un soggetto puramente logico che non pu ammettere attributi
opposti. Si pone allora la questione di sapere se lo stesso principio pu essere
applicato anche alle cose che sono realmente presenti nell'esperienza e se sufficiente
a spiegarle razionalmente.
Ma nelle relazioni tra i fenomeni appaiono contraddizioni, o piuttosto opposizioni, il cui
movimento non pu essere ridotto a questa determinazione formale:
Al contrario, le realt interne ai fenomeni (realitas phaenomenon) possono
certamente essere opposte tra loro ed essere riunite in uno stesso soggetto;
l'una pu eliminare completamente o in parte gli effetti dell'altra, ad
esempio due forze motrici sulla stessa linea retta, intanto che corrono
premono un punto nella direzione opposta, o anche il piacere che compensa
il dolore.158
La conoscenza scientifica della natura non pu risolvere queste contraddizioni in
maniera speculativa, riducendole all'impossibile o al nulla, ma deve spiegarne le
conseguenze, il che significa che riconosce la loro esistenza, o loro realt. Non c'
conflitto, allora, tra la logica e l'esperienza?
Kant introduce questo problema nella Critica della ragione pura in una prospettiva
polemica ben precisa: la sua osservazione diretta contro la tradizione leibniziana che
ha risolto questo conflitto intellettualizzando i fenomeni, cio sottomettendo
direttamente la natura e l'esperienza alle condizioni dell'intelletto puro per il quale
l'esistenza un predicato logico che pu essere estratto dal suo soggetto con analisi:
Il principio che le realt (come semplici affermazioni) non si oppongono
affatto logicamente tra loro una proposizione molto vera per quanto
riguarda il rapporto dei concetti, ma senza alcun valore ne rispetto alla
natura, e soprattutto rispetto ad una cosa in s (di cui non abbiamo alcun
concetto). [...] Sebbene Leibniz non abbia dichiarato questa proposizione
come nuova, ne ha fatto tuttavia uso per nuove affermazioni ed i suoi
successori lhanno introdotta espressamente nella loro dottrina leibnizwolfaniana. Secondo questo principio, tutti i mali, ad esempio, non sono che
le conseguenze dei limiti delle creature, cio, negazioni, perch queste
negazioni sono l'unica cosa che si contrappone alla realt (ed
effettivamente cos nel concetto di una cosa in generale, ma non nelle cose
come fenomeni). I seguaci di Leibniz trovano non di meno che non
soltanto possibile ma anche naturale conciliare ogni realt in un essere,
senza timore d'opposizione, perch non riconoscono altra opposizione che
quella della contraddizione (con la quale il concetto stesso di una cosa
scompare); ma essi non conoscono l'opposizione di danno reciproco, che ha
luogo quando un principio reale distrugge l'effetto di un altro. solo nella
sensibilit che incontriamo le condizioni necessarie per rappresentare
quest'opposizione o contrariet. 159
158 Ibid.
159

Ibid.

Dal punto di vista dell'armonia universale la necessit delle cose si riconduce al


rapporto di convenienza che le lega le une alle altre, e si spiega completamente con
esso: un tipo di logica oggettiva permette allora di dedurre il reale dal possibile con un
ragionamento omogeneo e continuo, che non fa intervenire alcuna determinazione
esteriore, nessun principio d'esistenza autonoma. L'ordine del reale si trova di
conseguenza garantito dalla sua conformit ad un principio puramente intellettuale,
per il quale, in particolare, tutto ci che si contraddice sopprime allo stesso tempo il
suo diritto all'esistenza: reciprocamente, da tutto ci che esiste, le contraddizioni si
trovano effettivamente assenti.
Kant rifiuta questo modo diretto di dedurre il sensibile dall'intelligibile, che si risparmia
una vera deduzione trascendentale, perch essa non lascia mai quella sfera di idealit
con la quale ha, una volta per tutte, identificato ogni realt. La sintesi di
determinazioni che alla base di una conoscenza empirica, e ne garantisce la
legittimit, non si riduce alle condizioni formali dell'intelletto puro, che ragiona con
analisi di concetti, ma suppone il concetto di una cosa in particolare, cos come data
nell'esperienza. Ma, da questo punto di vista, nella natura, il principio per il quale delle
realt (considerate come di semplici affermazioni) non possono contraddirsi o negarsi
tra loro, cio entrare in un rapporto conflittuale, non pi applicabile universalmente.
Occorre dunque sviluppare un nuovo concetto della contraddizione e della negazione,
che non sia pi determinato da condizioni strettamente logiche.
ci che Kant aveva intrapreso dal 1763, nel Saggio per introdurre in filosofia il
concetto di grandezza negativa, nel quale prendeva gi posizione a favore del
realismo newtoniano contro il concettualismo dei cartesiani e di Leibniz. Le
grandezze negative, il cui concetto appartiene alla fisica e non alla logica, derivano da
opposizioni reali, cos come sono date nell'esperienza, con le quali una cosa si afferma
positivamente negandone un'altra, o almeno eliminandone gli effetti. Appare qui un
nuovo rapporto tra il positivo e il negativo che non pi, in senso stretto,
contraddittoria.
Per spiegare questo fenomeno del tutto particolare che una grandezza negativa,
occorre far intervenire la distinzione tra contraddizione logica ed opposizione reale:
Due cose sono opposte tra loro quando per il fatto di porre l'una elimina
l'altra. Quest'opposizione doppia: sia logica (per la contraddizione), sia
reale (senza contraddizione). Si considerata finora soltanto la prima
opposizione o opposizione logica. Essa consiste nell'affermare e nel negare
qualcosa di uno stesso soggetto. Questa connessione logica senza effetto
(nihil negativum repraesentabile), come lenuncia il principio di
contraddizione. [...] La seconda opposizione, l'opposizione reale, tale che i
due predicati di un soggetto sono opposti ma senza contraddizione.
Certamente, una cosa distrugge egualmente ci che stato posto da
un'altra, ma qui la conseguenza qualcosa (cogitabile).160
Nelle due forme dell'opposizione, la relazione che si stabilisce tra le determinazioni
conflittuali si presenta come la relazione tra predicati che appartengono ad uno stesso
soggetto. Ma la natura di questa relazione , nei due casi, completamente diversa.
160

Saggio per introdurre in filosofia il concetto di grandezza negativa.

Poich, nella contraddizione logica, i predicati non sono considerati in se stessi, nella
loro esistenza reale, ma soltanto per il loro rapporto reciproco, all'interno di questo
soggetto comune che non pu sopportare determinazioni antagonistiche: allora la
contraddizione pu essere risolta da una semplice analisi, interna al soggetto stesso.
Quest'analisi toglie ai predicati ogni positivit, poich porta all'impossibilit di pensarli
insieme:
Si considera solo la relazione per la quale i predicati di una cosa e i loro
effetti si annullano reciprocamente per la contraddizione. Quale dei due
predicati veramente affermativo (realitas) e quale veramente negativo?
Non ci interessa minimamente.161
Al limite, occorrerebbe dire che sono tutti e due negativi: non sono nulla in se stessi,
nella misura in cui ciascuno si definisce, in modo astratto e relativo, con l'esclusione
dell'altro. Osservazione che Hegel riprender dal canto suo per trarne tutt'altro partito:
vi scoprir una ragione per affermare il carattere immanente del rapporto del negativo
col positivo.
Al contrario, in un'opposizione reale, i predicati devono essere realmente e
positivamente determinati al di fuori del loro antagonismo, cio indipendentemente da
quella negativit (annullamento o diminuzione) che si manifesta nel loro incontro: non
sono dunque in se stessi esclusivi l'uno dell'altro, e perch entrino in conflitto occorre
un'occasione che li riunisca in uno stesso soggetto, dove coesistono, in un senso
non pi logico ma fisico. Questo conflitto non pu dunque essere risolto da una
semplice analisi concettuale, ma da una sintesi di determinazioni esteriori, le cui
condizioni sono date dall'esperienza:
Ci che affermato da un predicato non negato dall'altro, poich ci
impossibile; al contrario, i predicati A e B sono entrambi affermativi; ma,
poich le conseguenze di ciascuno di essi presi in particolare sarebbero a e
b, n l'uno n l'altro possono coesistere in un soggetto, cos che l'effetto
zero.162
In questo caso, il disaccordo dunque non tra i predicati stessi, ma tra ci che ne
risulta: sono i loro effetti che si annullano o si correggono reciprocamente, in uno stato
d'equilibrio. Ci significa che i predicati non sono, come nel caso precedente, predicati
logici, determinati a partire dal loro soggetto di cui esprimono la natura intrinseca, ma
sono essi stessi dei soggetti autonomi, definito ognuno in se stesso per le sue
propriet, o ci che Kant chiama i loro conseguenze. L'opposizione reale in realt
una relazione estrinseca, coesistenza, nel senso strettamente fisico del termine, tra
esseri indipendenti.
Per presentare questa forma d'opposizione Kant ricorre inizialmente all'esempio di un
movimento meccanico: una nave sottoposta alle pressioni contrarie di venti che
soffiano in direzioni opposte non entra in contraddizione con se stessa, come il
soggetto di un giudizio predicativo, ma presa nella tensione degli effetti inversi che
161

Ibid.

162

Ibid.

si affrontano in essa perch la prendono per oggetto delle loro azioni antagonistiche.
Nessuna di queste azioni di per s negativa, poich sarebbe assurdo immaginarsi
una specie particolare di oggetti e chiamarli negativi; 163 ma una negativit appare
soltanto nella relazione reciproca che si stabilisce in occasione del loro incontro:
Uno degli opposti non il contradittorio dell'altro, e, se questo qualcosa
di positivo, quello non una pura negazione, ma gli opposto come
qualcosa di affermativo.164
La contraddizione assume qui la forma di un'opposizione tra cause che agiscono una
sull'altra in un rapporto di forze empiricamente determinato e che modificano
reciprocamente i loro effetti.
Nel suo Saggio del 1763, Kant prevede di applicare questo concetto (di grandezza
negativa) agli oggetti della filosofia, cio di trasporre lo studio delle opposizioni
meccaniche dal mondo naturale a quello del mondo spirituale: questo tentativo, che
produce del resto risultati singolari (scoprendo anche nellanima dei conflitti di forze),
sar abbandonato nel periodo critico. Ma lo stesso concetto d'opposizione,
strettamente limitato al dominio della fisica, fa da fondamento ai Primi principi
metafisici della scienza della natura del 1786, dove il suo significato pi pienamente
esplicitato.
In questo testo Kant prende posizione contro un meccanicismo geometrico ereditato
da Cartesio, che suppone la riduzione della realt materiale all'estensione astratta, in
mancanza di un principio fisico di determinazione che si applichi non ad un mondo
intelligibile ma alla realt dell'esperienza: ad esso sostituisce una fisica
dell'opposizione reale che si appoggia sul concetto metafisico di forza. La scienza della
natura non si limita ad una foronomia, che interpreta i fenomeni da partire dai soli
principi della figura e del movimento, per la quale la materia ci che mobile nello
spazio;165 ma la corregge con una dinamica, per la quale la materia mobile in
quanto riempie uno spazio . 166 Il movimento non si spiega dunque soltanto con
propriet geometriche, ma per l'intervento di una forza reale che agisce sul mobile,
sia come spinta sia come resistenza al movimento.
In questa occasione Kant si impegna in una polemica con Lambert i cui termini sono
abbastanza caratteristici:
Secondo la loro opinione, la presenza di qualcosa di reale nello spazio
dovrebbe implicare questa resistenza gi in virt del suo stesso concetto,
come conseguenza del principio di contraddizione e fare in modo che nulla
d'altro possa coesistere nello spazio con questa cosa. Tuttavia, il principio di
contraddizione non rifiuta alcuna materia che si approssima a penetrare in
163

Ibid.

164

Ibid.

165

Primi principi metafisici della scienza della natura.

166

Ibid.

uno spazio in cui si trova un'altra materia. Soltanto qualora io attribuisca a


ci che occupa uno spazio una forza per respingere ogni mobile esterno che
si avvicina, io posso comprendere che ci pu essere contraddizione nel fatto
che nello spazio occupato da una cosa un'altra cosa dello stesso genere
possa penetrare.167
Qui Kant, ancora una volta, rifiuta ogni confusione tra determinazione logica ed una
determinazione fisica - Il principe di contraddizione non rifiuta alcuna materia: non
ha qui un valore effettivamente causale; al massimo pu, una volta compiuto il
movimento, esprimere alcune delle sue propriet, descrivendone, formalmente, il
risultato. Ma fare passare quest'interpretazione astratta per la spiegazione razionale
del fenomeno significa rinunciare a conoscere la realt fisica che determinata dal
rapporto delle forze antagonistiche: l'impenetrabilit ad un fondamento fisico. 168 La
fisica non qui pi subordinata ad un presupposto logico, ma trova la sua garanzia in
un principio metafisico.
Infatti, queste forze primitive, il cui concetto da una spiegazione dell'esperienza, non si
possono come tali assegnare nell'esperienza, e possono essere rappresentate solo
metafisicamente. N la forza attrattiva n la forza repulsiva possono essere
ricondotte ad un movimento empirico che si effettua in un luogo determinato a partire
da un corpo determinato: questo movimento soltanto il loro effetto, la
manifestazione fisica di un principio che non in se stesso fisico. Cos, l'idea di
un'opposizione reale tra forze alla base di una razionalit sperimentale, ma non si
confonde con le relazioni reali tra corpi che costituiscono effettivamente la natura
materiale. Ci significa che le forze non appartengono a parti della materia di cui
esprimerebbero la natura essenziale, ma che sono forze della natura stessa,
considerata in generale da un punto di vista metafisico. Il concetto di forze
antagonistiche permette dunque una costruzione della materia: i fenomeni devono
essere interpreti a partire dall'opposizione reale delle forze, e non l'inverso. Come,
d'altra parte, sappiamo, il ritorno all'esperienza non implica per Kant la sottomissione
all'esperienza, ma la sua determinazione a partire da principi razionali che si applicano
all'esperienza senza essere dati in essa.
Come abbiamo visto questi principi si sviluppano non nel senso di un'analisi ma di una
sintesi. Presuppongono dunque che sia confutata la riduzione della materia
all'estensione:
Lo spazio un concetto che non contiene ancora qualcosa di esistente, ma
soltanto le condizioni necessarie delle relazioni esteriori tra gli oggetti
possibili dei sensi esterni.169
Come riempie un corpo un posto nell'estensione? Non per i caratteri che appartengono
all'estensione stessa o che potrebbero esserne dedotti:
167

Ibid.

168

Ibid.

169

Ibid.

Ecco il principio generale della dinamica della natura materiale, che tutta
la realt degli oggetti dei sensi esterni e che non semplicemente
determinazione dello spazio (luogo, estensione e figura) deve essere
considerata come forza motrice.170
Introducendo nella rappresentazione della natura la categoria metafisica di forza, Kant
elimina dunque la concezione meccanicista che spiega con la combinazione del pieno
assoluto o del vuoto assoluto tutte le diversit della materia, 171 poich tale
concezione sfocia alla fine in una filosofia corpuscolare che determina la natura con la
relazione astratta tra elementi pieni e l'estensione vuota nella quale essi sono in
movimento; essa si limita ad una fisica dell'urto, la cui razionalit incompleta ed
arbitraria, poich dipende dal preconcetto di un impulso iniziale, e si riduce cos ad
una teologia fisica:
Tutto ci che ci dispensa dal ricorrere a spazi vuoti un vero guadagno per
la scienza della natura; poich questi spazi danno troppo gioco
all'immaginazione per rimpiazzare con sogni vuoti la mancanza dell'intima
scienza della natura. Il vuoto assoluto e il pieno assoluto corrispondono, pi
o meno, in questa scienza, a ci che sono in filosofia metafisica il caso cieco
e il destino folle, cio una barriera per la ragione dominatrice affinch la
fantasia occupi il suo posto o che la metta a riposo sul cuscino delle qualit
occulte.172
La positivit di quest'interpretazione geometrica o meccanica, che scarta dal suo
oggetto ogni azione reale, genera al massimo, nei suoi margini, la finzione poetica di
un mondo possibile.
Il punto di vista metafisico sulla natura, che introduce al contrario ad un'indagine
dinamica dei fenomeni, determina la materia con la combinazione di forze primordiali.
Ma questa spiegazione
ben pi conforme alla filosofia sperimentale e gli cos pi vantaggiosa
poich conduce direttamente a scoprire le forze motrici proprie della
materia e le loro leggi, pur eliminando la libert di ammettere gli intervalli
vuoti ed i corpuscoli primitivi variamente figurati, poich queste due cose
non possono essere determinate n scoperte dall'esperienza. 173
Mentre la rappresentazione meccanicista della natura, le cui determinazioni astratte
possono essere sviluppate con l'analisi, vale soltanto per un mondo possibile, l'ipotesi

170

Ibid.

171

Ibid.

172

Ibid.

173

Ibid.

metafisica delle forze ha un significato concreto, una validit sperimentale; permette


di conoscere, per costruzione, il mondo reale.
Secondo quest'ipotesi, le relazioni tra i corpi che costituiscono la natura si spiegano
con l'antagonismo di due forze primitive, la repulsione e l'attrazione, che agiscono
l'una sull'altra in una relazione sintetica.
Questa relazione primitiva. Se la forza repulsiva immediatamente accessibile alla
rappresentazione, poich l'esistenza di un corpo quale che sia coincide con la
resistenza che oppone ad ogni intrusione esteriore, appare immediatamente evidente
che questa forza non pu essere pensata come principio unico d'esistenza della
materia, poich questa, se fosse costituita soltanto da questa tendenza espansiva,
tenderebbe non soltanto ad occupare uno spazio e a difendere quest'ultimo contro le
aggressioni esterne, ma si diffonderebbe in tutto lo spazio, in maniera illimitata.
Cio che si disperderebbe all'infinito, e non si potrebbe trovare in nessuno
spazio determinabile una quantit determinabile di materia.
Conseguentemente, se esistessero soltanto forze repulsive nella materia,
tutti gli spazi sarebbero vuoti, e non ci sarebbe, propriamente parlando,
nessuna materi.174
La forza repulsiva dunque un principio di intellegibilit per la natura considerata nel
suo insieme solo se , in un certo qual modo, equilibrata da un principio contrario, una
forza d'attrazione:
Occorre dunque ammettere da qualche parte una forza primitiva della
materia che agisce con una grandezza opposta alla forza repulsiva e che
produce il raccostamento, dunque una forza d'attrazione. 175
Il teorema 6 della dinamica (nessuna materia possibile per la sola forza dattrazione
senza la forza di repulsione), riprende la stessa dimostrazione in senso inverso:
spiegare la natura per la sola forza dattrazione, sarebbe sottoporla ad un movimento
di contrazione infinita che farebbe egualmente svanire la materia in un solo punto
dello spazio. Ne risulta che ci che primitivo, e costituisce il vero principio di
conoscenza della natura, il conflitto originario di forze opposte, che determina tutto il
movimento della materia nello spazio.
Questo conflitto originario nella misura in cui non pu essere ridotto ad una
determinazione pi profonda. Fornendo il suo principio a tutta la scienza della natura,
questo principio non pu esso stesso essere spiegato, cio analizzato, ed per questo
che un principio metafisico:
Tutta la filosofia della natura consiste nel riportare le forze date,
apparentemente diverse, ad un numero pi piccolo di forze e di potenze, atti
a spiegare gli effetti delle prime; ma questa riduzione pu giungere soltanto
fino alle forze fondamentali oltre le quali la nostra ragione non pu elevarsi.
174

Ibid.

175

Ibid.

[...] Questo tutto ci che pu fare la metafisica in previsione della


costruzione del concetto di materia. 176
Cos, il conflitto delle forze il punto ultimo al quale pu risalire una spiegazione
razionale della natura; ma ci non significa affatto che la costituisce tale come in s
secondo la sua destinazione finale. Poich i principi metafisici di una scienza della
natura non sfociano su null'altro che questa conoscenza alla quale assegnano le sue
condizioni, ma non ci conducono affatto ad una metafisica della natura che - se la sua
impresa ha un senso - dovrebbe mettere in pratica altri concetti e altre prove. Nella
dottrina kantiana, corrisponde nella filosofia della storia, che si appoggia in principio
sullo stesso concetto di forze antagonistiche (si veda ad esempio il concetto di
insociabile socievolezza in Idee per una storia universale dal punto di vista
cosmopolita), il risolvere il conflitto dentro una determinazione ultima che riconcilia la
natura e la ragione in uno stato di diritto: perch c' un fine della storia che tale
soluzione possibile, e che necessariamente conforme all'intenzione della
natura.
Nel dominio della natura, facile comprendere perch questo conflitto originario
irriducibile, e non si lascia ricondurre, in particolare, ad una relazione analitica: se cos
fosse, le forze antagonistiche potrebbero essere ricondotte l'una all'altra, come le
forme inverse o avverse di una stessa forza primitiva, alla maniera ad esempio di un
impulso vitale o di un'energia fondamentale, che costituirebbe una sorta di modello
generale d'interpretazione della natura. Emergerebbe allora un problema insolubile:
perch questa forza entra in conflitto con se stessa al livello delle sue manifestazioni?
Ma una tale riduzione impossibile, se non per astrazione, poich le forze
antagonistiche sono nel loro principio anche irriducibili le une alle altre:
Le due forze motrici sono di specie molto diversa e non esiste la minima
ragione per rendere l'una dipendente dall'altra e per rifiutarle ogni
possibilit senza l'intermediazione dell'altra. 177
Le due forze sono dunque inseparabili, poich agiscono una sull'altra, se non l'una
attraverso l'altra, e pertanto la loro relazione sintetica e suppone la loro reale
esteriorit. qui che ritroviamo il concetto di grandezza negativa, poich soltanto il
gioco di un'illusione o di una convenzione che ci fa dire che l'una il negativo
dell'altra.
Riprendiamo il movimento d'insieme di questo ragionamento, cos come riassunto
nel Corollario generale alla dinamica.178 Il punto di partenza dato dalla forza di
repulsione come determinazione immediata del reale nello spazio: il corpo si offre
inizialmente alla rappresentazione come un solido, attraverso il fenomeno della
resistenza. La forza di attrazione presentata, dopo, in opposizione alla precedente;
ma quest'opposizione quindi compresa nell'ordine della rappresentazione che fa
apparire ci che rispetto a questo reale, vero, oggetto della percezione esterna,
176 Ibid.
177

Ibid.

178

Ibid.

negativo, ovvero, la forza d'attrazione. C' in questo caso non negativit in s, ma


soltanto secondo le condizioni immediate della nostra apprensione del reale, che ne
scompone i rapporti seguendo l'ordine di successione che gli proprio. per questo
che l'opposizione delle due forze data soltanto a posteriori, come una relazione di
limitazione reciproca, che la condizione di intellegibilit della natura. Si vede il
vantaggio di questa rappresentazione, immediatamente comprensibile poich si
appoggia alla rappresentazione spontanea della realt fisica: fa bene apparire il
carattere sintetico della relazione antagonistica, poich oppone a posteriori
l'attrazione alla repulsione. Ma, trasformando l'attrazione in una forza intrinsecamente
negativa, inverte di fatto l'ordine fisico razionale che deve partire dal conflitto delle
forze e non dall'una o l'altra di queste, per comprendere realmente e non formalmente
le relazioni necessarie tra i fenomeni. Ma ci che diventa allora problematica
l'indipendenza reale di queste forze ed il carattere originariamente sintetico della loro
relazione.
Nella sua osservazione al paragrafo 262 dell'Enciclopedia, Hegel segnala che Kant ha
aperto la via, grazie al suo saggio, a ci che chiama una costruzione della materia,
verso un concetto della materia, e grazie a questo saggio ha destato dal suo sonno il
concetto di una filosofia della natura. 179 Tuttavia, Kant non ha potuto, secondo Hegel,
andare fino in fondo a quest'impresa, perch ha limitato la determinazione della realt
materiale alla considerazione di forze tra le quali non esiste che una relazione sintetica
d'esteriorit, come saldamente collocate l'una di fronte all'altra. Ridotta a questo
rapporto di forze, la materia resta in s inintelligibile: come abbiamo appena visto,
precisamente per rispettare questa limitazione della conoscenza che Kant presentava
il conflitto delle forze come irriducibile. Ma ne risulta una conseguenza paradossale: la
relazione delle forze, data come un'opposizione reale, la cui esistenza di fatto
insuperabile, tuttavia accessibile soltanto da un punto di vista metafisico, perch
non si manifesta mai come tale nell'esperienza. Per uscire da questa contraddizione,
occorre dare un nuovo contenuto al concetto di materia, non pi costruendolo
sinteticamente per mezzo di queste determinazioni riflessive 180 che sono le forze
primitive, ma producendolo effettivamente a partire dallo sviluppo delle sue
contraddizioni interne. Qui sta in effetti ci che separa contraddizione ed opposizione:
in quest'ultima, i termini antagonistici sono esterni ed indipendenti; nel movimento
della contraddizione gli opposti sono collegati tra loro in uno stesso processo
immanente. Hegel sviluppa completamente questa distinzione nel libro II della
Logica.181
Hegel inverte dunque la posizione kantiana: attrazione e repulsione non sono pi
elementi irriducibili che permettono soltanto di dare della natura una rappresentazione
razionale. Esse sono le manifestazioni, o i momenti, di un processo materiale unico,
dentro lo sviluppo del quale appaiono come intrinsecamente legate:
[] lattrazione e la repulsione [] non necessario considerarli per se
come indipendenti, o come forze; la materia deriva da loro soltanto in
179

Enciclopedia.

180

Ibid.

181Logica.

quanto sono momenti concettuali, ma essa il presupposto perch si


manifestino fenomenicamente.182
Come si vede, i sentieri della dialettica, che d qui il cambio alla metafisica, riportano
Hegel ad un'analisi strettamente logica della realt. Ma questa utilizza altri mezzi
rispetto a Leibniz, ed in particolare fa un impiego completamente opposto del principio
di contraddizione.
La stessa argomentazione si trova sotto una forma pi sviluppata nella prima sezione
del libro I della Logica, sotto la forma di una osservazione al capitolo sull'essere per
s.183 La costruzione della materia per Kant parte dall'attrazione e dalla repulsione
considerate come forze autonome, in modo tale che non si rapportano l'una all'altra
secondo la loro natura, cio che ciascuna non debba essere soltanto un momento che
passa nel suo opposto, ma che debba stabilmente mantenersi di fronte all'altra: 184
queste forze sono quindi astrattamente giustapposte, e la materia non che il
risultato del loro conflitto. La realt materiale non realmente conosciuta, nella
misura in cui rappresentata da determinazioni esteriori, che sono esteriori tra loro e
che le sono esteriori. La metafisica delle forze impedisce la comprensione del
movimento interno, del passaggio, che unifica gli elementi costitutivi della materia
nel momento stesso in cui li effettua.
Kant ha dunque mancato il suo obiettivo di dare una deduzione razionale della
materia. Questa valutazione conduce Hegel ad una conclusione sorprendente: Il
metodo di Kant al fondo analitico e non costruttivo. 185 Infatti, il concetto delle forze
primitive ottenuto a partire da una rappresentazione immediata della materia, data
nell'intuizione, di cui esplicita i presupposti:
La repulsione sarebbe pensata immediatamente nel concetto della materia
perch cos sarebbe immediatamente data: l'attrazione, in compenso, gli
sarebbe aggiunta tramite sillogismi. Ma alla base di questi sillogismi si trova
ci che si appena detto, cio che una materia che avesse semplicemente
la forza repulsiva non esaurirebbe ci che ci rappresentiamo come materia.
chiaro che questo il metodo di conoscere abituale che riflette
sull'esperienza; questo conoscere percepisce inizialmente le determinazioni
nel fenomeno, le mette allora a fondamento e per la loro cosiddetta
spiegazione ammette materiali fondamentali ed anche forze che dovrebbero
produrre queste determinazioni del fenomeno. 186

182

Enciclopedia.

183

Logica, t. I.

184

Ibid.

185

Ibid.

186

Ibid.

Il concetto di forze primitive proviene dunque dall'analisi della rappresentazione


empirica: esse sono soltanto elementi di questa rappresentazione, astratti ed
oggettivati. La loro differenza, la loro esteriorit reale non sono dunque altro che
un'esteriorit, una differenza nella rappresentazione, proiettata nella forma di
un'opposizione reale. Le forze non sono propriet effettive della natura, ma delle
determinazioni prese dalla percezione, formalmente realizzate ed artificialmente
isolate.
Su questo punto, dunque, Kant per Hegel un pensatore non conseguente, che non ha
saputo andare fino in fondo nella sua critica del meccanicismo: determinando la
materia a partire da forze che determinano i movimenti reali dei corpi, Kant ha
eliminato il concetto astratto di una materia inerte, analizzabile con mezzi puramente
geometrici; egli apre cos la via ad una nuova concezione della materia, non soltanto
dinamica, ma dialettica, che riconduce questa al processo razionale dell'attrazione e
della repulsione, unite intrinsecamente nella loro contraddizione. Ma di fronte a questa
conseguenza, che la vera costruzione della materia, cio la sua genesi effettiva, Kant
restato bewusstlos [inconscio]:187 non l'ha afferrata perch ha travestito la natura
della cosa nella rappresentazione astratta, ed allo stesso tempo empirica, della forza.
La critica di Hegel, se si lasciano di parte le libert che si prende con il testo di Kant,
ha soprattutto il merito di mettere in evidenza l'ambiguit del concetto d'opposizione
reale ed il carattere artificiale della distinzione che la separa dalla contraddizione
logica. Cosa significa infatti il termine reale nell'espressione opposizione reale?
Esso significa un carattere che irriducibile ad una determinazione logica salvo che
per l'operazione di un intelletto formale. Ma reale ha qui anche un significato
positivo - e non critico -, che indica l'esistenza materiale, indipendente dal pensiero, di
una realt oggettiva che non gli immediatamente adeguata e che gli resta in s
esteriore? Certamente no, poich la realt del conflitto originario delle forze, che
pu essere affermata soltanto metafisicamente, posta dal pensiero, in quanto questo
mira ad appropriarsi degli oggetti con la conoscenza, ed dunque sottoposta alle
condizioni, trascendentali e non pi formali, della ragione.
L'opposizione delle forze il concetto di cui la ragione ha bisogno per spiegare
teoricamente la natura, e questo concetto gli fornito dalla metafisica che d alle
scienze della natura le loro condizioni di possibilit. Kant si oppone a Leibniz, lo
abbiamo visto, nella misura in cui rifiuta una deduzione continua che identifica
immediatamente l'esistenza ad un predicato, il sensibile all'intelligibile. Ma si accorda
con lui molto pi profondamente, prendendo in considerazione l'idea di una deduzione
(anche se questa non pi soltanto formale) che conduca dal possibile al reale, al
termine di una sintesi complessa che tiene conto della diversit delle fonti della
conoscenza anzich installarsi di primo acchito nella finzione di un intelletto intuitivo.
E il reale a cui mira tale deduzione, quali che siano le condizioni, non pu che essere la
realizzazione di condizioni razionali che anticipano il movimento effettivo e ritagliano
in lui a priori un dominio aperto alla conoscenza.
Lucio Colletti ha creduto di poter riconoscere in Kant il solo filosofo tedesco classico
nel quale sia possibile ritrovare almeno un grano di materialismo: 188 questo
materialismo critico consisterebbe precisamente nella distinzione che installa tra
187

Ibid.

188

L. Colletti, Il marxismo ed Hegel.

l'opposizione reale e la contraddizione logica, distinzione che garantisce la priorit


dell'esistenza ed il suo carattere extralogico189, cio l'eterogeneit di pensiero e
essere.190 Ma quest'interpretazione sovrappone la distinzione di intuizione e concetto,
che condiziona il funzionamento interno della ragione differenziando le fonti della
conoscenza, e quella della cosa in s e del fenomeno, che limita dall'esterno il potere
della ragione. Ma, in questi due casi, il rapporto del reale e del pensiero designa un
contenuto completamente diverso, e precisamente irriducibile. Il reale che restituisce il
concetto fisico d'opposizione deriva da una costruzione metafisica, o anche, per
riprendere l'espressione che abbiamo appena utilizzato, la realizzazione di un
possibile; in questo senso, determinato a partire da condizioni che sono inizialmente
date nella ragione: resta dunque esteriore alla costituzione della realt materiale come
tale.

189

Ibid.

190

Ibid.

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