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Dedicare uno studio al rapporto tra due grandi filosofie storiche, come lo sono quella
di Spinoza e quella di Hegel, indiscutibilmente confrontarsi, al di l dei limiti di una
comparazione formale, accademica nel suo procedere ed indifferente nel suo
contenuto, con certe questioni fondamentali del procedere filosofico considerato in
generale.
Spinoza, Hegel: queste espressioni indicano in primo luogo, per noi, sistemi di
pensiero che hanno valore in s stessi e si vincolano all'esistenza personale di questi
autori, che li nomina dall'inizio, cio, li designa e al tempo stesso li segna. Orbene, se
si prende un po' pi sul serio l'impresa del pensiero filosofico, bisogna riconoscergli
una relativa autonomia in relazione con tali procedimenti di identificazione che, col
pretesto di distinguerla, la disperdono e tendono a farla sparire in una pluralit
indistinta di dottrine, privilegiando quei punti speculativi che costituiscono le
posizioni concrete incarnate nella realt empirica degli autori-sistemi. Ma sciogliere il
laccio tra il gioco speculativo ed i discorsi individuali che li trasmettono anche
arrischiarsi a devitalizzare l'impresa del pensiero sottomettendola ad una valutazione
astratta ed atemporale la cui universalit, alla fine, correrebbe il rischio di non avere
contenuto. Per questo non possibile neanche sottrarre completamente quest'impresa
al suo attecchimento dottrinale: il lavoro della riflessione filosofica passa per la messa
in prospettiva che le posizioni dei filosofi gli assegnano, nella misura in cui queste
creano le condizioni della sua elaborazione, della sua espressione e, fino ad un certo
punto, della sua interpretazione. La verit della filosofia in Spinoza come deve
essere in Hegel, cio a dire che non sta totalmente in uno o nell'altro senza alcun
luogo tra i due, nel passaggio che si effettua dall'uno all'altro. Detto altrimenti: la
filosofia qualcosa che passa, e che accade, l dove si trama l'incatenamento di
pensieri che, nelle opere stesse, sfugge all'iniziativa storica dagli autori, e la cui
ricezione riduce l'interesse che pu aversi per le sue mire sistematiche, perch esso li
guida dinamicamente nel movimento anonimo di una sorta di progetto collettivo che
attribuisce la filosofia all'insieme dei filosofi, e non solamente a qualcuno di essi.
Quando due pensieri tanto caratterizzati come lo sono quello di Spinoza e quello di
Hegel reagiscono luno sull'altro, cio contemporaneamente uno con l'altro ed uno
contro l'altro, deve risultare qualcosa che, venendo da ognuno, non appartiene
propriamente a nessuno di essi ma costituisce, nell'intervallo che li separa, la loro
verit comune. Orbene, se nel caso specifico di questi due filosofi il confronto si
mostra particolarmente fecondo, perch non costituisce l'incontro intellettualmente
neutro tra due pensieri che si affronterebbero e rimarrebbero esterni lun l'altro:
piuttosto questa messa alla prova reciproca che, al tempo stesso che fa s che si
comunichino, apre ciascuno di questi sistemi in s stesso e l'espone ad una
contestazione interna che suscita il riconoscimento dei suoi limiti. Cos non sfuggiamo
da questa doppia esigenza: leggere Spinoza in Hegel, leggere Hegel in Spinoza, come
due specchi che riflettono rispettivamente le loro immagini.
La formula Hegel o Spinoza, utilizzata qui per esporre tale confronto, comporta
un'ambiguit semantica che conviene, se non sopprimere, almeno sottolineare, per
1 La prima edizione di questopera apparve nel 1979 per le Editions Maspero nella collezione Thorie diretta da
Louis Altusser.
Pierre Macherey
giugno di 1990
L'alternativa
Il 30 luglio del 1816, il prorettore dell'universit di Heidelberg scrive a Hegel, allora
direttore del ginnasio di Nremberg, per proporgli una cattedra di professore titolare.
Commenta la sua offerta nel seguente modo: Heidelberg avrebbe per la prima volta,
dalla fondazione dell'Universit, nella sua persona un filosofo. Spinoza fu chiamato qui
una volta, ma in vano, come lei sa senza dubbio.... Si conosce, in effetti, la lettera del
30 di marzo del 1673, diretta al molto illustre e molto distinto Dr. Louis Fabritius,
professore nell'Accademia di Heidelberg e consigliere dell'Elettore palatino", con la
quale Spinoza aveva declinato l'invito ad occupare la cattedra di professore che gli era
stata fatta, perch temeva di dover rinunciare al suo lavoro filosofico personale se si
fosse dedicato ad insegnare ai giovani; lo intimoriva, soprattutto, che la sua libert di
filosofare potesse venir limitata per la necessit di rispettare le leggi stabilite ed i
precetti della religione. Il suo rifiuto, chiaramente motivato, si concludeva cos: Ci
che mi trattiene non per niente la speranza di una fortuna pi alta, bens l'amore per
la mia tranquillit che credo dover preservare, in qualche modo, astenendomi da
lezioni pubbliche. Hegel conosceva quell'episodio che racconta anche nelle sue
Lezioni sulla storia della filosofia: Spinoza (come sappiamo dalle sue lettere
stampate) respinse l'offerta con buone ragioni, per 'non sapere entro quali limiti
avesse dovuto rinchiudere quella libert filosofica che si poneva come condizione il
non attaccare la religione stabilita pubblicamente'."*
Il 6 agosto di 1816, Hegel risponde al rettore con sollecitudine: per amore per gli
studi universitari accetta la sua proposta, anche se gli sono aperte altre prospettive
da parte dell'Universit di Berlino; chiede solo che migliori il trattamento che gli
offrono, che alloggi gratuitamente, che le spese del suo spostamento siano
rimborsate. Un po' pi tardi, il 20 agosto di 1816, quando questi problemi materiali
sono stati gi risolti soddisfacentemente per lui, Hegel torna sulla sua nomina per
esprimere la sua gratitudine, in parte per l'interesse che [il suo corrispondente] pone
nei suoi confronti, in parte per manifestargli lo stato della filosofia in Germania e nelle
universit. Aggiunge: Non meno giubilante per me la bont con la quale lei
considera i miei lavori precedenti e - ci che anche pi - la bont con la quale fonda
speranze sulla mia attivit in un'universit. In nessuna scienza, in effetti, si tanto
solitari come nella filosofia, e sperimento profondamente il desiderio di un circolo di
azione pi vivo. Posso dire che l'anelito pi alto della mia vita. Sento anche quanto
sfavorevole stato per i miei lavori l'assenza di un'azione reciproca. Hegel rimarr un
anno ad Heidelberg, dove comporr ed insegner contemporaneamente la sua
Enciclopedia delle scienze filosofiche. Nel 1817 accedeva finalmente al posto che
desiderava nell'Universit di Berlino.
Dietro ci che queste vicende hanno di aneddotico si annuncia gi, tuttavia, un senso.
Di questa storia gli hegeliani riterranno soprattutto che Hegel occup il posto che
Spinoza aveva lasciato vacante, compiendo, in questa "staffetta", una mansione che
l'altro non aveva potuto o voluto compiere. Nessuno pu saltare al di sopra del suo
tempo: per Spinoza non era arrivato ancora il momento di esporre pubblicamente la
vera filosofia. Altri, che si pu chiamare spinozisti, vedranno qui, al contrario, l'indizio
di una divergenza, di una separazione irriducibile, se non tra due sistemi, almeno tra
due concezioni, o perfino due pratiche della filosofia.
Il sistema hegeliano, la cui esposizione si costruisce e si sviluppa al tempo stesso che
il suo autore percorre, felicemente, le tappe della carriera universitaria (dal
Enciclopedia, 76 modificato
Ma possibile andare pi lontano: ci che Hegel presuppone qui meno che la causa
sui sia il concetto fondamentale dello spinozismo - qualcosa che si presta a
controversia, come abbiamo appena visto che il fatto che lo spinozismo ammetta un
concetto primo dal quale procedere. Ci significa che l'impresa di un sapere assoluto
abbozzata da Spinoza si sviluppa a partire da un inizio assoluto, e che questo anche
il vero punto di partenza della sua interpretazione. Non strano, quindi, che Hegel
stesso si sia impegnato nell'impresa di una critica allo spinozismo: una delle idee
cruciali del suo sistema che effettivamente il sapere assoluto non comincia, o
piuttosto che non pu cominciare assolutamente; la sua infinit si scopre proprio in
quest'impossibilit di un primo cominciamento che sia anche un vero cominciamento o
un cominciamento vero. Inoltre, quale che sia la verit del concetto di causa sui - cosa
che risiede in esso, per riprendere i termini di Hegel - il fatto stesso che d al
sistema di Spinoza un cominciamento, gli basta per marcare il limite di questo
sistema.
Qui noi stessi possiamo iniziare a stupirci. Ignora Hegel che questa aporia del
cominciamento, che mette la sua logica in movimento, questa impossibilit di
poggiare il processo infinito della conoscenza su una verit prima che sia il suo
fondamento o il suo principio, anche una lezione essenziale dello spinozismo,
l'obiezione principale che quest'ultimo formula alla filosofia di Descartes? In questo
modo, che soltanto ut vulgo dicitur, un modo di dire, che lesposizione geometrica
dell'Etica comincia con definizioni che, d'altra parte, hanno un senso effettivo
soltanto nel momento in cui funzionano in dimostrazioni in cui producono realmente
effetti di verit: il pensiero spinozista, precisamente, non ha questa rigidit di una
costruzione che, poggiata su una base, estende i suoi prolungamenti fino ad un punto
terminale, trovandosi cos limitata tra un principio ed una fine. Essa non obbedisce al
modello dell'ordine delle ragioni.
Orbene, la cosa sorprendente meno che Hegel abbia ignorato un aspetto importante
dello spinozismo - tutto il mondo pu sbagliarsi, perfino Hegel, che tuttavia pretende
di sfuggire da questa condizione comune - quanto il contenuto inaspettato di questo
errore. Poich, ci che Hegel non vede in Spinoza quella verit nuova la cui scoperta
egli stesso rivendica e che utilizza per garantire la forma finale della sua filosofia ed il
successo della sua ultima realizzazione. Hegel ignora, dunque, in Spinoza ci che
nessuno stava in condizioni migliori di lui per riconoscere, dato che egli stesso lo ha
pensato: si potrebbe dire che egli procede alla negazione di ci che pu esserci di
hegeliano in Spinoza, a meno che non cerchi di esorcizzare il suo proprio spinozismo.
Non perch teme che non solamente Spinoza sia stato hegeliano, ma soprattutto
che lo sia stato di pi ed in maniera pi conseguente di egli stesso? L'inammissibile,
allora, si produce: l'evoluzione storica devia dal suo senso ineluttabile che subordina
chi che sta prima a chi che viene dopo e che conduce successivamente dall'uno
all'altro, facendo della teleologia la chiave di tutta la filosofia.
Fatte queste osservazioni, sulle quali ritorneremo, possiamo indicare ora quello che,
secondo Hegel, "manca" al concetto di causa sui e compromette il suo sviluppo in
Spinoza. La causa sui continua ad essere un principio sostanziale al quale manca "il
principio di personalit"11[8]: costituisce cos una sostanza che non pu divenire
soggetto, alla quale manca quella riflessione attiva di s che gli permetterebbe di
11 Logica, trad. Labarrire, Aubier, t. I I , p. 239 [L, I I , "Nota...", p. 197].
realizzarsi liberamente nel suo proprio processo. Se Spinoza non seppe, o non pot,
sviluppare il concetto dalla causa sui, perch questo, come lui l'aveva definito, non
conteneva nient'altro che un'identit astratta ed indifferente di s a s, nella quale il
S non nient'altro che quello che gi al suo inizio, senza possibilit di un passaggio
reale verso s, di un movimento immanente che non sia quello della sua pura e
semplice sparizione. Il punto di vista della sostanza esprime l'assoluto alla sua
maniera: senza la vita che lo anima e lo fa esistere. lo spirito fissato e morto che non
che s, in una restrizione originaria che lo condanna fin dal principio.
Cos il punto di vista della sostanza formula, al tempo stesso che si enuncia, le
condizioni della sua propria annichilazione: la sua immobilit apparente, perch il
precario equilibrio che deriva da un conflitto interno, impossibile da contenere
definitivamente. I limiti del sistema, sebbene siano reali per il pensiero che ostacolano,
sono fittizi dal punto di vista dell'assoluto, poich questo oppone alla violenza che gli
viene fatta una violenza pi grande e porta il sistema oltre i limiti illusori che gli
impongono le condizioni della sua coerenza formale. Negativit immanente che mina
la dottrina dall'interno e la forza a dichiarare quello che tuttavia lei stessa si rifiuta di
dire: proprio qui, in questa confessione, sta la sostanza che diviene soggetto.
Una volta rivelata questa contraddizione iniziale, la filosofia di Spinoza si pu
comprendere assolutamente in un senso inverso a quello che proferisce. Il discorso di
Spinoza, secondo Hegel, interamente segnato da questo destino che lo condanna e
l'assolve, che annuncia al tempo stesso la sua sparizione e la sua resurrezione nel
corpo vivo del sapere assoluto nel quale si realizza. Leggere Spinoza in realt per
Hegel ricostruire di nuovo l'edificio del suo sapere, facendo apparire le condizioni di un
altro sapere del quale esso solo la forma incompiuta o la rovina anticipata, poich, in
Spinoza, lo sforzo per allacciare il sapere e l'assoluto si risolve solamente in una
promessa non compiuta.
12
13
Introduzione alle Lezioni sulla storia della filosofia, trad. Gibelin, Gallimard, col. "Idees", t. 11. p.74.
Ibidem, p. 76.
15
Ibid., p. 22-23.
17
Logica, I
18
Ibidem
20
Ibid.
Ibid.
22
Ibid.
23
Ibid.
Ibid., t . I.
25
Ibid.
per dirigersi progressivamente verso un fine nel quale si realizza per mezzo della
determinazione totale di un'identit che non pu essere affermata se non nel
momento in cui diviene veramente effettiva. Al contrario, la manifestazione
dell'assoluto che solo assoluto non d luogo pi che alla vuota ricorrenza di una
sparizione, di una diminuzione, di una perdita di identit, la cui progressione
evidentemente formale, dato che determinata da una mancanza crescente di
contenuto.
Il punto di vista della sostanza, che pretende abbracciare tutta la realt in un unico
concetto, si inverte quindi in una conoscenza negativa: l'assoluto di realt che
rivendica la sostanza ha come contropartita la negazione di realt che raggiunge tutto
ci che essa non e che le succede. Il puro discorso dell'assoluto sviluppa
principalmente il tema dalla poca realt delle cose, di tutto ci che esso non : il
divenire dell'assoluto pu solo allontanarlo dalla sua integrit iniziale e farlo perire.
Scetticismo della sostanza, che assorbe interamente nel suo formalismo la realt;
quindi il negativo solamente il movimento di sottrazione che porta ad una
sparizione, fuori da ogni lavoro reale di determinazione. ci che esprime molto bene
un passaggio delle Lezioni sulla storia della filosofia:
E come tutte le differenze e determinazioni delle cose e della coscienza
non fanno altro che ridursi alla Sostanza una, si pu perfettamente
affermare che nel sistema spinozista tutto scagliato in questo abisso della
negazione. Ma niente ne riemerge; e il particolare di cui Spinoza parla non
che qualcosa che si prende e si recupera dal mondo delle rappresentazioni,
senza che lo giustifichi per niente. Per giustificarlo, Spinoza dovrebbe
dedurlo da una sostanza; ma non si rivela cos, per cui non acquisisce vita,
spiritualit n attivit. [...] La sorte che qui tocca al particolare quella di
essere solamente la modificazione della Sostanza assoluta, ma senza che
questa sia spiegata come tale; perch il momento della negativit quello
che manca in questa immobilit rigida, la cui unica operazione consiste nello
spogliarlo di ogni sua determinazione, della sua particolarit, gettandolo
cos nella Sostanza unica ed assoluta nella quale quello sparisce ed ogni vita
si spegne dentro s. Questo ci che vi di filosoficamente insoddisfacente
in Spinoza [...].
L'assoluto si apre solamente come un precipizio dove tutte le determinazioni sono
abolite, dove si perde ogni realt, nell'abisso irresistibile del vuoto.
La filosofia di Spinoza allora per Hegel un pensiero completamente astratto nel quale
sparisce ogni movimento ed ogni vita finisce. Nel finale della breve biografia di
Spinoza che Hegel fornisce nelle sue Lezioni si trova questa indicazione straordinaria:
Spinoza mor il 21 febbraio del 1677, a 44 anni, vittima di una tubercolosi
che veniva minando il suo organismo da molto tempo; fu una morte molto a
tono col suo sistema, nel quale tutto l'individuale e il particolare sparisce
nellunit della sostanza.
26
L'interpretazione orientalizzante dello spinozismo un luogo comune della filosofia tedesca. Pu leggersi
nell'opuscolo di Kant su La fine di tutte le cose: il sommo bene il nulla; ci si versa nell'abisso della divinit; ci si
affonda l, e la personalit svanisce. Per assaporare anticipatamente questa felicit, i filosofi cinesi si rinchiudono in
posti oscuri, si impegnano a mantenere le palpebre chiuse, si esercitano nella meditazione, nel sentire il suo nulla. Di l
anche il panteismo dei tibetani e di altri paesi orientali, poi pi tardi, per una sublimazione metafisica, lo spinozismo;
due dottrine strettamente affiliate ad uno dei sistemi pi vecchi, quello dell'emanazione, secondo il quale tutte le
anime umane dopo essere uscite dalla divinit finiscono per ritornare e riassorbirsi l. Tutto questo unicamente affinch,
costi quello che costi, gli uomini possano godere finalmente di quel riposo eterno che costituisce ai loro occhi la fine
felice di tutte le cose; concezione che non niente meno che un'abolizione di ogni intelligenza, una sospensione
perfino di ogni pensiero [...], Trad. Festugire. Hegel, come si vede, non ha inventato niente.
successione di enunciati astratti la cui validit deve essere fondata nel suo
cominciamento, in proposizioni prime dalle quali deriva, ed in una certa maniera si
estrae, ogni verit: c' solo conoscenza relativa ad esse. Dopo avere presentato il
contenuto delle definizioni che inaugurano il discorso dell'Etica, Hegel scrive:
Tutta la filosofia spinozista gi contenuta in queste definizioni, le quali
sono nel complesso, tuttavia, definizioni di carattere formale; in questo
risiede il gran difetto di Spinoza, nel fatto che inizia sempre con definizioni.
In matematica questo procedimento pu passare, poich qui si parte da
premesse come il punto, la linea, etc.; ma in filosofia no, perch qui deve
conoscersi il contenuto come il vero in s e per s. Non si pu, di volta in
volta, riconoscere come giusta una definizione nominale, in modo tale che la
parola 'sostanza' corrisponda all'idea che ne d la definizione; ma una cosa
questa ed un'altra che questo contenuto sia vero in s e per s. [...]
Questo problema, che non ha la minima importanza nelle proposizioni
geometriche, precisamente la cosa fondamentale nelle disquisizioni
filosofiche; ma Spinoza non lo comprende affatto. Invece di limitarsi a
spiegare questi pensieri semplici nelle definizioni che stabilisce, ed ad
esporli come qualcosa di concreto, avrebbe dovuto, a rigore, investigare se
questo contenuto sia vero. Apparentemente, si d solo una spiegazione
delle parole; ma ci che conta il contenuto che vi si trova. Ogni altro
contenuto si riduce ad esse e si prova partendo da esse, perch dal primo
contenuto dipende qualunque altro e, prendendo quello come fondamento,
si deriva ogni necessit.28
Ci che qui troviamo l'obiezione fondamentale di Hegel contro la pretesa di
subordinare il sapere al prerequisito di un cominciamento assoluto: il sapere che
deriva da tale procedere puramente relativo. Le proposizioni prime, per esempio le
definizioni, che cercano di fissare il senso dei concetti e regolarne funzionamento, si
presentano come fonti di verit sulle quali si sospende ogni conoscenza ulteriore,
poich la verit solo l'esplicitazione di ci che si trova dato in anticipo in esse: il
paradosso che la verit di queste proposizioni, da cui dipende tutto il resto, sembra
non porre nessun problema, giustamente perch stabilita in anticipo, cio senza
previa condizione. Ma l'atto che espone questa verit iniziale pu essere solo una
decisione formale, il cui contenuto rimane solamente verbale: il ricorso al criterio
dell'evidenza d a questo procedimento una garanzia arbitraria ed astratta, con un
valore essenzialmente relativo, che fonda l'ordine estrinseco delle proposizioni e ne
assicura la coerenza senza determinarne il contenuto, cio la verit.
Queste obiezioni evocano qualcosa di molto familiare ad ogni lettore di Hegel.
Rimandano all'esigenza, che egli riafferm costantemente, di una nuova logica, che
non fosse pi una logica della rappresentazione e delle condizioni formali della sua
organizzazione bens una logica del contenuto stesso, che non riguardi n solo n
innanzitutto l'esercizio formale del pensiero ma esponga il movimento effettivo del
Concetto e la necessit di questa determinazione che d a s stesso nella sua attivit
immanente:
28 Ibid.
Il metodo non , in effetti, che la struttura del Tutto, presentata nella sua
essenzialit pura.32
Il metodo non riassume lo sviluppo completo del sapere nella condizione formale di
una regola iniziale: non nient'altro che questo sviluppo stesso, colto nella sua
necessit concreta, nel momento in cui si effettua. Questo ci che permette a Hegel
di aggiungere:
Ed in quanto a ci che si soliti pensare su questo, dobbiamo avere coscienza che
anche il sistema delle rappresentazioni che si relazionano al metodo filosofico
corrisponde gi ad una cultura dispersa. 33
Perch il metodo non ha pi valore fuori del sapere che lo realizza:
[...] l'espressione di ci che pu essere il solo vero metodo della scienza
filosofica appartiene al trattato della logica stessa; in effetti, il metodo la
coscienza relativa alla forma dell'automovimento interno del suo
contenuto.34
Non nient'altro che il sapere di s del sapere, che si riconosce com' nel processo nel
quale si effettua.
A partire da qui, il "metodo", nella misura in cui questa parola conserva ancora un
senso, perde ogni carattere formale ed astratto, poich
questo metodo non nulla di diverso dal suo oggetto e dal suo
contenuto.35
Non pi "un" metodo, cio una ricetta per conoscere, bens il sapere stesso che si
riflette nel suo oggetto, che si riflette come il suo proprio oggetto:
In questo modo, il metodo non una forma esteriore, ma l'anima ed il concetto del
contenuto, dal quale non diverso eccetto che per i momenti del concetto, che in se
stessi appaiono nella loro determinazione come la totalit del concetto. Non appena
questa determinazione, o contenuto, ritornata con la forma all'idea, questa si
presenta come totalit sistematica, che solo un'idea, i cui momenti particolari sono
tanto pi in se stessi in quanto che per mezzo della dialettica del concetto producono
il semplice essere per s dell'idea. 36
32
33
Ibid.
34
35
Ibid.
L'esposizione del metodo coincide col dispiegamento del sapere, il cui movimento
esprime nella totalit, come totalit; non inaugura il processo della conoscenza
nell'atto di una fondazione iniziale, ma forma la sua conclusione in una ricapitolazione
finale di ci che stato gi realizzato. chiaro che per Hegel la categoria di metodo
ha perso ogni significazione autonoma: affinch sia conservata, stato necessario che
il suo valore filosofico fosse completamente distorto [pervertie].
Ebbene, quando Hegel mette in discussione la nozione di metodo, ed il progetto di un
metodo filosofico, sempre in riferimento al funzionamento del metodo nella
matematica. Il privilegio accordato al metodo nello sviluppo del processo della
conoscenza e nello sviluppo delle verit ha la sua fonte, se non nelle matematiche
stesse, almeno nell'idea, o nel pregiudizio, che esse offrano un modello di
ragionamento universalmente valido. Un tema costante in Hegel che i matematici
non possono rivendicare oramai questa funzione regolatrice nel lavoro della
conoscenza:
[...] non difficile dar conto del modo di esporre un principio, addurre
fondamenti a favore di esso e poi confutare attraverso fondamenti il
principio contrario non la forma in cui pu apparire la verit. La verit il
movimento di essa in s stessa, questo metodo, al contrario, la
conoscenza esteriore alla materia. Per questo peculiare della matematica
e deve essere lasciato ad essa [...] . 37
Sebbene il sapere sia un processo determinato necessariamente, non lo per la sua
conformit ad un ordine formale di ragioni che regola una serie di proposizioni: la
filosofia, in quanto movimento di autoproduzione del concetto, ha smesso di essere
sottomessa all'ideale di una deduzione esatta.
Se in un periodo precedente della sua storia credette di doversi piegare a tale obbligo,
perch c' tuttavia qualcosa in comune tra la filosofia e la matematica. Ci che
condividono il progetto di una determinazione del reale attraverso il pensiero in una
conoscenza che abbia la dignit del generale. Ma quest'elemento comune
inessenziale perch continua ad essere esteriore al contenuto della conoscenza e
consiste solamente in una riflessione astratta:
Quello che la cultura scientifica compartecipa con la filosofia il formale. 38
Perci, tra la verit matematica e quella della filosofia non pu esserci pi che una
somiglianza superficiale. Resta allora da sapere cosa ha potuto legittimare la
confusione che le riun nell'epoca, appunto, di Spinoza. Si tratta, secondo Hegel, di una
ragione strettamente congiunturale, che pertanto perse ogni valore in altro momento
storico. In un periodo in cui l'impresa della conoscenza si sentiva impedita, ridotta
dall'autorit infrangibile di un dogma, il ragionamento matematico pot sembrar
costituire l'arma pi forte nella lotta difensiva contro quell'oppressione: a fianco alla
36
Enciclopedia, 243.
37
38
Ibid.
40
43 G.
La prima colpa dello spinozismo pertanto quella di avere cercato di importare nella
filosofia il ragionamento matematico ed avere introdotto cos il difetto che gli
proprio. Ora, secondo una formula particolarmente brutale della prefazione alla
Fenomenologia, il sapere non filosofico quello che considera la conoscenza
matematica come l'ideale che la filosofia dovrebbe sforzarsi di raggiungere. 44 Il punto
di vista della sostanza dipende completamente, esso stesso, di questa fissazione ad un
modello esterno: Lo spinozismo una filosofia deficiente per il fatto che la riflessione
e il suo vario determinare un pensare esteriore[19]. 45 O anche: "Il difetto dello
spinozismo consiste precisamente nel fatto che la forma non intesa come
immanente a s e, per tale ragione, arriva solamente come forma esterna
soggettiva.46 La volont assoluta di rigore che caratterizza superficialmente lo
spinozismo coincide con la sua impotenza di sviluppare in s una razionalit
necessaria, effettivamente adeguata al suo contenuto, obiettiva e concreta.
Nel momento stesso in cui presta alla filosofia l'apparenza di una coerenza formale, la
geometria gli trasmette l'arbitrario che sta alla base di tutti i suoi procedimenti. In un
allegato al paragrafo 229 dell'Enciclopedia, Hegel osserva che, alla filosofia, il
metodo sintetico conviene tanto poco quanto il metodo analitico, poich la filosofia
deve giustificarsi innanzitutto a partire della necessit dei suoi oggetti[21]. 47 Orbene,
il metodo sintetico propriamente quello dei geometri che costruiscono i loro oggetti
in definizioni, come Spinoza stesso aveva fatto. Ma il metodo geometrico ha, secondo
Hegel, una validit limitata, nel dominio che gli appartiene come proprio, dove tratta
di realt astratte, e non per niente conveniente quando lo si pretende applicare fuori
da questo dominio; in particolare, toglie alla filosofia ogni possibilit di trattare
efficacemente quegli oggetti dai quali l'astrazione esclusa. questo ci che non ha
compreso Spinoza, il quale comincia con definizioni e dice per esempio 'la sostanza
la causa sui'; nelle sue definizioni si espone ci che c' di pi speculativo, ma nella
forma di asserzioni.48 A partire da ci chiaro che Spinoza si posto, fin dallinizio,
fuori del dominio della verit.
45
46
47
Enciclopedia.
48 Ibid.
51 Ibid.
Lettera 37 a Bouwmeester.
53
conoscenza, Spinoza arriva ad una definizione del metodo molto vicina a quella che
Hegel stesso propone: si tratta di una conoscenza riflessiva nella quale diviene
cosciente la forma dell'automovimento interno nel corso del quale le conoscenze
sono state prodotte, secondo Hegel; idea dell'idea che riproduce il movimento reale
dell'idea, secondo Spinoza. Allora, invece di scoprire nella posizione dei due filosofi
rispetto alla la nozione di metodo un motivo di opposizione, che giustificherebbe in
ultima istanza le critiche di Hegel, vediamo su di essa una sorta di linea comune che
avvicina entrambe le dottrine, legate nella lotta contro un stesso avversario. Vediamo
le cose pi di vicino.
In un testo importante del Trattato della riforma dell'intelletto (30) Spinoza sviluppa le
ragioni che rendono insostenibile la concezione tradizionale dal metodo. Se si instaura
il primato del metodo rispetto allo sviluppo reale del sapere, come fa Descartes
(vedere per esempio, le Regole per la direzione dello spirito, regola 4), ci si espone
inevitabilmente alla confutazione degli scettici, che deducono dalle condizioni
preliminari poste alla conoscenza, molto logicamente, l'impossibilit effettiva di ogni
conoscenza. In effetti, se fosse necessario un metodo per conoscere, sarebbe
necessario anche un metodo per stabilire il metodo stesso, e cos via in una
regressione all'infinito: si proverebbe facilmente, in questo modo, che gli uomini non
potevano accedere mai a nessuna conoscenza, poich le risorse che si dichiarano
indispensabili per la ricerca della verit impediscono giustamente che si arrivi ad essa.
Per rendere esplicita questa difficolt, Spinoza riprende qui uno strano paragone di
Descartes, ma gli fa dire qualcosa di completamente differente. Nell'ottava delle sue
Regole per la direzione dello spirito, Descartes giustifica la sua concezione del metodo
paragonandolo con certe arti meccaniche: la pratica del fabbro richiede strumenti, un
martello, un'incudine - che devono quindi preesistere al suo esercizio -, ed egli si dota
di quelli strumenti a partire dai mezzi che gli mette a disposizione la natura (un
ciottolo, un blocco di pietra) prima di mettersi a produrre oggetti finiti (un elmo, una
spada). Allo stesso modo, dice Descartes, prima di imbarcarsi nell'impresa di
conoscere le cose, bisogna disporre delle risorse indispensabili per quest'attivit, e
ricorrere allora agli elementi innati che appartengono immediatamente al nostro
spirito: questa condizione preliminare propriamente il metodo.
Nel testo del Trattato della riforma dell'intelletto al quale ci riferiamo qui, Spinoza
riproduce letteralmente il paragone di Descartes, ma per giungere ad una conclusione
esattamente inversa: non c' condizione preliminare per l'impresa della conoscenza.
Infatti, come gli scettici, sfruttando la concezione tradizionale della conoscenza,
provano l'impossibilit di arrivare alla verit, si dimostrerebbe per la stessa
regressione all'infinito l'incapacit nella quale si trovarono gli uomini di forgiare i
metalli, poich hanno bisogno per questo di strumenti che loro stessi devono mettere
a punto servendosi di strumenti gi dati, etc. Orbene, in questo caso, come in quello
della conoscenza, la pratica quella che decide, rivelando il carattere fittizio
dell'argomentazione: dato che gli uomini forgiano i metalli, gli uomini pensano (Etica,
II, assioma 2); questo implica allora che, per trasformare la natura, non fu necessario
un primo strumento e, allo stesso modo, per conoscere le cose, non fu necessaria una
prima idea, un principio nel senso cartesiano. Allo stesso tempo, Spinoza risolve qui la
difficolt esposta dagli scettici ed estrae tutto il vantaggio critico del suo argomento.
Questo irrefutabile, in effetti, se lo si riferisce al suo vero oggetto, che la
concezione tradizionale della conoscenza la cui contraddizione interna rivela. Per
molto imperfetti, poi pi perfezionati, tra i quali si contavano gli strumenti migliori
adattati per le funzioni che dovevano compiere: in questa maniera si incamminarono a
poco a poco, paulatim, per una via progressiva al termine della quale riuscirono a
svolgere compiti difficili e numerosi con un minimo di pena. Allo stesso modo,
l'intelletto dovette lavorare in primo luogo con le idee che aveva, servirsi di esse come
se fossero conoscenze autentiche, per far s che producessero tutti gli effetti di cui
erano capaci e rettificare dopo, gradualmente, la loro propria attivit: cos raggiunse,
realizzando le sue opere intellettuali (opera intellectualia) la cima della saggezza.
Questa analisi significa chiaramente che non c' per il pensiero un buon
cominciamento, che lo instraderebbe una volta per tutte su una via retta il cui
orientamento sarebbe tracciato completamente dall'inizio: tale pregiudizio
completamente sintomatico della persistenza dell'illusione finalistica nella teoria
cartesiana. La conoscenza al contrario un'attivit - quest'idea essenziale in Spinoza
- e, come tale, non comincia mai veramente n in verit, perch ha cominciato da
sempre: ci sono sempre idee, dato che l'uomo pensa per sua natura. Per questo, se
gli viene negato il valore di una confutazione, l'argomento della regressione all'infinito
- che abbiamo fatto intervenire alcune pagine indietro - conserva una validit, poich
descrive semplicemente le condizioni nelle quali si produce la conoscenza, per un
concatenamento di idee assolutamente continuo e senza cominciamento assegnabile.
Il vero problema consiste nel sapere in che cosa si convertano queste idee che si
possiedono di fatto (habemus enim ideam veram), come sono trasformate, alla
maniera in cui pot trasformarsi un ciottolo per fare di esso un martello. Questa
trasformazione non pone solamente un semplice problema tecnico: non si tratta
principalmente di sapersi servire di queste idee, nella misura in cui non preesistono al
suo uso ma sono, al contrario, il suo risultato. Le idee dalle quali necessario
cominciare per arrivare a conoscere non sono verit innate sulle quali potrebbe
fondarsi una volta per tutte, come su una base infrangibile, un ordine delle ragioni, ma
sono un materiale da lavorare, che deve essere profondamente modificato per servire
ulteriormente alla produzione dalle verit.
Torniamo ad incontrare qui un argomento la cui importanza gi abbiamo constatato in
Hegel: la pretesa di un sapere originario, di un fondamento della conoscenza,
irrisoria. Questa disconosce in effetti il carattere necessariamente artificiale dei
cominciamenti ai quali condannato lo spirito nella sua storia effettiva: per
definizione, tutto ci che appare al cominciamento precario, incompiuto, condannato
a sparire, perch deve cedere il suo posto a ci di cui solo una condizione
preliminare. Questi cominciamenti si giustificano solo per la loro fragilit interna, per la
loro natura intrinsecamente contraddittoria, poich queste caratteristiche permettono
loro di giocare con efficacia il ruolo di spinta per un movimento che succede loro e li
elimina. Se una conoscenza possibile, lo precisamente per questa distanza che
stabilisce in rapporto al suo cominciamento: il quale non esce da questo per
sviluppare un contenuto che sarebbe gi dato positivamente in esso, ma per fuggire
dalla sua indeterminazione e dalla sua necessaria astrazione. Non c' introduzione al
sapere, non c' un buon metodo per conoscere, perch solamente nella sua pratica
effettiva che il pensiero pu essere riflesso come attivit reale di un spirito che mette
in esercizio, e alla prova, la sua propria forza (vis sua nativa), quella che esso forma
esercitandola.
Se la conoscenza non procede conformandosi ad un ordine di ragioni, fissandosi
astrattamente in un quadro che in seguito non gli resterebbe che occupare, perch
esiste fin dallinizio nella sua storia reale, nel suo lavoro effettivo. Possiamo dire che il
sapere un processo, il processo della produzione delle idee, ed questo ci che
giustifica che lo si confronti con un processo di produzione materiale. Questo si
chiarir completamente quando parleremo del concatenamento causale delle idee che
lo stesso di quello delle cose: un unico e medesimo ordine, un unico e medesimo
movimento che si esprime come reale e come pensato. Perci il sapere deve essere
presentato come un'attivit e non come una rappresentazione passiva, idea sulla
quale Spinoza torna instancabilmente: la conoscenza non il semplice sviluppo di una
verit prestabilita, bens la genesi effettiva di un sapere che non preesiste in nessun
modo alla sua realizzazione. Per questo anche il suo progresso non sottomesso alla
condizione di un'origine assoluta che ne garantirebbe la verit fondandola:
contrariamente ad un ordine formale, che determinato dal suo limite, una pratica
non comincia mai veramente, perch gi da sempre cominciata, di una maniera che,
pertanto, non pu essere mai vera. Vediamo che in Spinoza si trova anche l'idea di
una storia della conoscenza: questa non trova la verit come una norma fissata
all'inizio perch inseparabile dal movimento nel quale si costituisce e questo
movimento in s stesso la sua propria norma. In realt, quando Hegel rimprovera a
Spinoza di aver espulso della sua filosofia ogni movimento, erigendo davanti ad essa
l'ideale e il modello di un sapere morto, congelato dall'obbligo di riprodurre un ordine
inflessibile, dobbiamo stupirci di vederlo ignorare, o camuffare, una tendenza
essenziale dello spinozismo.
Un'idea, ogni idea, adeguata secondo la sua causa: nella sua determinazione
intrinseca, esprime la potenza di agire dall'anima in cui si produce. Ma questa potenza
non il potere astratto di una natura delimitata dalle sue condizioni, luce naturale nel
senso cartesiano, ma l'impresa concreta, si direbbe quasi materiale, di un pensiero
impegnato nello sforzo, nel lavoro della sua realizzazione. Nell'Etica, Spinoza si
propone di condurci come per mano alla conoscenza dello spirito umano e della sua
beatitudine suprema (premessa al libro II), e ci seguendo un ordine necessario di
dimostrazioni che dobbiamo seguire, senza potergli sfuggire. In cosa differisce
quest'ordine da un ordine delle ragioni nel senso cartesiano? In che cosa differisce la
via che ha aperto dalla via rigida, completamente determinata dalla condizione
preliminare di un metodo, e che ci conduce - lo sappiamo - alla finzione di un Dio
onnipotente e verace?
D'accordo con le premesse che abbiamo stabilito, necessario che c'imbarchiamo in
una lettura dell'Etica liberata da ogni pregiudizio formalista, scartando l'illusione di un
cominciamento assoluto. Sebbene l'esposizione della dottrina spinozista cominci con
definizioni, assiomi e postulati, sebbene cominci dalla sostanza, se non da Dio, ci non
significa affatto che queste nozioni primitive costituiscano in realt una fonte di verit
a partire dalla quale tutto quello che segue potrebbe essere semplicemente dedotto,
secondo uno sviluppo rigido e predeterminato, nella forma di una esplicitazione.
Sostanza, attributi, modi, tali come appaiono in questi principi preliminari, sono
propriamente l'equivalente di quel ciottolo mal levigato di cui ebbero bisogno i primi
fabbri per cominciare il loro lavoro: sono ancora nozioni astratte, semplici parole,
idee naturali che non riscuoteranno veramente un significato se non a partire dal
momento in cui funzionano in dimostrazioni, producendo effetti reali che esprimono di
tale maniera una potenza della quale non disponevano all'inizio. Forse bisognerebbe
approcciarsi all'Etica di Spinoza come alla Logica di Hegel: non quest'esposizione
questo che esclude ogni relazione col negativo, poich questa potrebbe annodarsi solo
in una prospettiva teleologica che disponesse una volta per tutte, uno in relazione
all'altro, il positivo e il negativo, condividendo un'intenzione comune e nella promessa
della loro riconciliazione. Se c' una storia spinozista, completamente indipendente
da tale presupposto. Essa si situa in quel punto in cui il suo sviluppo necessario, il suo
processo materiale, non richiede pi per essere compreso il riferimento ideale di un
senso o di un orientamento; la sua razionalit non ha nulla a che fare con lo sviluppo
obbligato di un ordine, perch non deve realizzarsi in un fine.
Sule condizioni in cui questa prefazione stata scritta, dietro le indicazioni di Spinoza, cfr. la lettera 13 a
Oldenburg.
Niente esiste dalla cui natura non segua un qualche effetto. 55 Questo enunciato
possiede certe particolarit notevoli. Da un lato, formulato di una maniera
assolutamente generale, che non significa che la sua universalit sia astratta;
evitando di precisare a quale oggetto si applichi questo principio, Spinoza non vuole
indicare che indifferente ad ogni contenuto e che mira solamente ad un possibile
determinato formalmente, ma che esula da ogni distinzione di contenuto: il principio
vale per ogni realt, tanto per la natura naturata come per la natura naturante, nelle
quali si esercita identicamente. Ma anche se la relazione tra la causa ed i suoi effetti
prende una forma molto differente nel processo della causa sui da quella che prende
nell'concatenamento modale, poich nel primo caso questa relazione intrinseca,
mentre nel secondo estrinseca, essa continua in tutti i casi ad affermare una sola e
medesima necessit che non pu essere scissa ma deve, al contrario, essere
conosciuta come identica: in ci consiste precisamente il terzo genere di conoscenza.
D'altra parte, il principio di causalit, come lo enuncia Spinoza, investe letteralmente i
termini del principio tradizionale: la tanto conosciuta formula niente senza causa,
che procede in maniera analitica dell'effetto alla causa, sostituita dalla nuova
formula nessuna causa senza effetto, che procede al contrario dalla causa
all'effetto, sinteticamente, e che riassume in una semplice frase la concezione
genetica della conoscenza elaborata da Spinoza. Causa seu ratio, ratio seu causa.
in questo punto preciso che Spinoza rompe assolutamente con la problematica
cartesiana del metodo. Le Meditazioni risalgono dagli effetti alle cause, vanno dal
finito all'infinito, per esempio dell'anima umana a Dio, prendendo le cose nell'ordine
inverso a quello che le ha prodotte realmente, il quale va necessariamente delle cause
agli effetti: si comprende come da quel punto di vista la conoscenza sia in primo luogo
determinata come rappresentazione, poich riflette il reale nel pensiero e dal suo
punto di vista, conformandosi a criteri di validit che sono dati in esso dal principio e
che riproducono l'ordine reale invertendolo. Per Spinoza, al contrario, una conoscenza
adeguata "spiega" il suo oggetto nella misura in cui si afferma come identica ad esso,
non nella trasparenza di una rappresentazione conforme, bens nella comunanza di
ordine di una realt altrettanto necessaria.
Quest'ordine reale quello nel quale le cose sono state prodotte, e deve essere anche
quello delle idee: l'ordine genetico che va delle cause agli effetti, ed quello che
esprime in senso stretto il more geometrico.
"Hemos mostrado que la idea verdadera es simple, o compuesta de ideas simples, y
que revela cmo y por qu algo es o ha sido hecho; tambin hemos mostrado que
estos efectos objetivos ocurren en el alma de acuerdo con la esencia formal del objeto;
que es lo mismo que dijeron los antiguos (a saber, que la ciencia verdadera procede
de la causa al efecto) [...] [30]"
Abbiamo mostrato che l'idea vera semplice, o composta da idee semplici, e che
rivela come e perch qualcosa o stato fatto; abbiamo mostrato anche che questi
effetti oggettivi si succedono nell'anima d'accordo con l'essenza formale dell'oggetto;
che la stessa cosa che dicevano gli antichi (cio, che la vera scienza procede della
causa all'effetto) [...].56
55
Il riferimento ad Aristotele qui particolarmente importante: vere scire est scire per
causas (Lewis Robinson indica i seguenti riferimenti: Secondi Analitici I C2, Metafisica
983a, Fisica II c3). Ma bisogna comprendere che tale riferimento non ha in assoluto il
significato di un ritorno alle fonti, che restaurerebbe una tradizione antica passando
sopra al moderno Cartesio. Spinoza in effetti si sforza di prendere le distanze anche da
tale tradizione:
[...] ma mai che io sappia, concepirono, come abbiamo fatto noi qui,
l'anima operare secondo leggi determinate e come un automa spirituale. 57
Gli Antichi (Aristotele) sono preferibili ai moderni (Cartesio) nella misura in cui
affermarono la necessit di una conoscenza per le cause. Ma non colsero il carattere
causale del processo del pensiero che procede, esso stesso, secondo le sue cause,
secondo un ordine necessariamente identico a quello delle cose: ignorarono pertanto
la natura delle vere cause, e di conseguenza dovettero presentare le conoscenze in un
ordine fittizio.
In effetti, per gli Antichi, la causa formale di un'idea un'universale astratto, genere o
specie, che rinvia alla potenza di immaginare che sta in noi, per la quale generiamo
liberamente finzioni secondo leggi che sono estranee alla conoscenza stessa. Ma,
per Spinoza - ed ci che significa la sua teoria dell'automa spirituale -, la causa di
un'idea risiede nella potenza dell'intelletto, colta non come il potere singolare di un
soggetto individuale, bens come la propriet eterna di un modo del Pensiero; cos, il
Pensiero, attributo infinito della sostanza, quello che si esprime in maniera
determinata in ogni idea e la genera adeguatamente.
En este punto, Spinoza est de acuerdo con Descartes, contra los Antiguos. Pensar es
proceder por operaciones singulares - intuitivas o deductivas -, es encadenar ideas
efectivamente presentes en el espritu ahorrndose el desvo por los universales, es
decir por las ideas abstractas: los entes de razn son puros posibles, slo tienen un
valor ficticio, y son los sntomas de un pensamiento esencialmente inadeado [32].
"Mientras tratamos de la investigacin de las cosas, nunca nos estar permitido inferir
algo de nociones abstractas [...]" [33]. "Nos es necesario, ante todo, deducir siempre
todas nuestras ideas de las cosas fsicas, o seres reales, avanzando, en lo posible,
segn la serie de las causas, de un ser real a otro ser real, sin pasar por las
abstracciones y los universales, no infiriendo nada real de ellos, ni infirindolos de
nada real; pues lo uno y lo otro interrumpen la marcha verdadera del entendimiento
[verum progressum intellectus]" [34]. Esa "marcha", el proceso real del saber, no
procede ni de las cosas a las ideas, ni de las ideas a las cosas, sino que va de idea en
idea, es decir que liga entre s actos de pensamiento, segn un orden causal necesario
que es el mismo que aqul en el cual las cosas se encadenan en la realidad. Ordo et
connexio rerum, idem ac ordo et connexio causarum, idem ac ordo et connexio
idearum.
56
57 Ibid.
Su questo punto, Spinoza d'accordo con Cartesio, contro gli Antichi. Pensare
procedere per operazioni singolari - intuitive o deduttive -, concatenare idee
effettivamente presenti nello spirito evitando la deviazione per gli universali, cio per
le idee astratte: gli enti di ragione sono puri possibili, hanno solo un valore fittizio, e
sono essenzialmente i sintomi di un pensiero inadeguato [32]. 58 Mentre trattiamo
dell'investigazione delle cose, non ci sar mai permesso inferire qualcosa da nozioni
astratte [...] [33].59 necessario, innanzitutto, dedurre sempre tutte le nostre idee
dalle cose fisiche, o esseri reali, avanzando, per quanto possibile, secondo la serie
delle cause, da un essere reale ad un altro essere reale, senza passare per le
astrazioni e gli universali, non inferendo niente di reale da essi, n inferendo essi da
niente di reale; poich l'uno e l'altro interrompono la vera marcia dell'intelletto (verum
progressum intellectus).60 Questa "marcia", il processo reale del sapere, non procede
n delle cose alle idee, n delle idee alle cose, ma va da idea a idea, cio collega tra
s atti di pensiero, secondo un ordine causale necessario che lo stesso di quello nel
quale le cose si concatenano nella realt. Ordo et connexio rerum, idem ac ordo et
connexio causarum, idem ac ordo et connexio idearum.
Il more geometrico funziona dunque nella cornice di una strategia filosofica
complessa, ed il dispositivo teorico al quale corrisponde produce un doppio effetto,
poich pone contemporaneamente Aristotele contro Cartesio ed Cartesio contro
Aristotele. Spinoza non mette in gioco il machiavellismo solamente nella sua politica.
Aristotele contro Cartesio: privilegia il metodo genetico che procede sinteticamente
delle cause agli effetti ed obbliga cos ad identificare l'ordine delle cose e quello delle
idee. Cartesio contro Aristotele: scarta la concezione astratta, al tempo stesso formale
ed empirica, della conoscenza, a favore di un pensiero in atto, effettivamente presente
nelle idee che esprimono la sua potenza. Ma bisogna saper comprendere che questa
critica dell'astrazione non ci porta, per riprendere una formula ben conosciuta di
Cavaills, da una filosofia del concetto ad una filosofia del giudizio: il pensiero che si
afferma in ciascuna idea non la manifestazione di un soggetto libero che regna sui
prodotti della sua creazione come un re nel suo regno (l'Io o Dio: uno non pi che
l'immagine dell'altro), ma egli stesso dipende dal processo reale obiettivo che mette in
relazione l'idea singolare, come modo del pensiero, con la sostanza che si esprime ed
agisce in lei. Pertanto, n Aristotele n Cartesio: Spinoza.
Il movimento del pensiero procede con la stessa necessit di ogni realt. Gli uomini
pensano: questo assioma esprime, con l'evidenza materiale di un fatto, il carattere
assolutamente naturale di tale processo; questo deve essere sottoposto alle sue leggi
proprie, che dirigono il movimento dell'automa spirituale. Qui vediamo fino a che
punto Spinoza vicino a Hegel: stabilendo una relazione necessaria tra il sapere ed il
processo della sua produzione, gli permette di cogliersi come assoluto, e cos cogliere
l'assoluto; preso fuori da questo sviluppo oggettivo, la conoscenza non altro che la
rappresentazione formale di una realt della quale offre solo l'illusione astratta. Ma
Spinoza si allontana anche da Hegel: facendo del pensiero un attributo della sostanza,
ne costituisce il movimento come assolutamente oggettivo e lo libera da ogni
58 Etica, scolio I della prop. 40, libro II .
59
60
Ibid., 99.
debolezza di una creatura ed il suo sforzo insensato per occupare il posto del suo
padrone, vi una separazione assoluta, un limite netto, una distinzione che non
possibile ignorare: essa che mette tanto la verit quanto l'errore nel posto che
corrisponde loro e proibisce ogni comunicazione tra essi.
Ahora bien, Spinoza, tal como lo hemos visto, rechaza ligar el acto del conocimiento a
la iniciativa de un sujeto (Dios en el caso de la verdad, nosotros en el caso del error),
rechaza tambin la separacin estricta, la oposicin que sta establece entre la
verdad y el error. Primero, es cierto que, cuando nos equivocamos, no hacemos uso, ni
siquiera de una maniera nefasta, de nuestro libre arbitrio: por el contrario, nos
encerramos en el orden implacable de la ilusin y del desconocimiento,
inevitablemente engendrado por el punto de vista de la imaginacin. El error es un
mecanismo regulado por las condiciones ms estrictas, que son tambin las de
nuestra ordinaria esclavitud. "Las ideas inadecuadas y confusas se siguen unas de
otras con la misma necesidad que las ideas adecuadas, es decir, claras y distintas"
[35]. Cuando poseemos la verdad, no accedemos por ello ms a la dignidad de un
sujeto creador: no slo porque todas las ideas son verdaderas en Dios, y por lo tanto
fuera de nuestra iniciativa, sino porque en Dios msmo ellas estn sometidas a las
leyes necesarias que las encadenan unas a otras, segn un orden que es tambin el
de las cosas y del que pueden apartarse. As, tanto en el saber como en la ignorancia,
si alma se revela ser slo un "autmata espiritual" que funciona a partir de
determinaciones objetivas, fuera de toda posibilidad de intervencin - incluso si sta
estuviese reservada a la iniciativa de un ser perfecto -, y por ello mismo por encima de
toda obligacin. Tanto las ideas verdaderas como las falsas se explican por sus causas:
vemos as aparecer entre ellas una comunidad fundamental que prohibe que se las
reparta en dos rdenes diferentes y se las ubique a ambos lados de un lmite ya
trazado, el mismo que separa lo negativo de lo positivo.
Orbene, Spinoza, come abbiamo visto, rifiuta di legare l'atto della conoscenza
all'iniziativa di un soggetto (Dio nel caso della verit, noi nel caso dell'errore), respinge
anche la separazione stretta, l'opposizione che questa stabilisce tra la verit e l'errore.
In primo luogo, certo che, quando ci sbagliamo, non facciamo uso, neanche di una
maniera nefasta, del nostro libero arbitrio: al contrario, ci rinchiudiamo nell'ordine
implacabile dell'illusione e dell'ignoranza, inevitabilmente generato dal punto di vista
dell'immaginazione. L'errore un meccanismo regolato da pi strette condizioni che
sono anche quelle della nostra ordinaria schiavit. Le idee inadeguate e confuse si
succedono le une alle altre con la stessa necessit delle idee adeguate, cio, chiare e
distinte.61 Quando possediamo la verit non accediamo per ci affatto alla dignit di
un soggetto creatore: non solo perch tutte le idee sono vere in Dio, e pertanto fuori
della nostra iniziativa, ma anche perch in Dio stesso esse sono sottomesse alle leggi
necessarie che le concatenano le une alle altre, secondo un ordine che anche quello
delle cose e dal quale possono allontanarsi. Cos, tanto nel sapere quanto
nell'ignoranza, lanima si rivela non essere che un "automa spirituale" che funziona a
partire da determinazioni oggettive, fuori da ogni possibilit di intervento - perfino se
questa fosse riservata all'iniziativa di un essere perfetto -, e per ci stesso al di sopra
di ogni obbligo. Tanto le idee vere come le false si spiegano con le loro cause: vediamo
61
cos apparire tra esse una comunanza fondamentale che proibisce che le si spartisca
in due ordini differenti e le si ponga in entrambi i lati di un limite tracciato, lo stesso
che separa il negativo dal positivo.
Per Spinoza, le idee non sono immagini, rappresentazioni passive, e non riproducono,
in maniera pi o meno corretta, realt che sarebbero loro esterne, o almeno non
questo ci che le costituisce come vere. ci che egli esprime in una formula
sorprendente, che parla evidentemente contro Cartesio: le idee non sono mute
pitture in un quadro, finzioni che alludono ad una realt o un modello che
sussisterebbe fuori di esse ed al quale al massimo potrebbero somigliare. Le idee,
tutte le idee, sono atti, cio affermano in se stesse sempre qualcosa, secondo una
modalit che rimanda alla loro causa, cio, in ultima istanza, alla sostanza che si
esprime in esse nella forma di uno dei suoi attributi, il pensiero. L'anima un automa
spirituale perch non soggetta al libero arbitrio di un soggetto la cui autonomia
sarebbe comunque fittizia: proprio per questo che le idee non sono forme
automatiche, quelle che riproduce, per esempio, la macchina copiatrice della realt
inventata dai filosofi che vogliono a tutti i costi separare il vero dal falso. Non c'
soggetto di conoscenza, neanche Verit che, al di sopra delle verit, disponga in
anticipo la sua forma, perch l'idea vera in s stessa - singolare, attiva ed
affermativa -, in assenza di ogni determinazione estrinseca che la sottometta all'ordine
delle cose o ai decreti del creatore.
Qui incontriamo ancora una volta l'idea di adeguazione che significa
fondamentalmente che l'idea vera non si riferisce se non a s stessa, poich cos
come la genera la sostanza, secondo il concatenamento delle determinazioni che
costituisce la sua forma nell'attributo pensiero, concatenamento che, d'altra parte, si
produce in maniera identica in tutti i suoi altri attributi. La adaequatio allora la
chiave della veritas, poich esprime questa relazione intrinseca dell'idea con se
stessa. ci che dice per esempio la lettera 50 a Tschirnhaus: Tra l'idea vera e l'idea
adeguata, non riconosco un'altra differenza che la seguente: la parola 'vera' si riferisce
unicamente all'accordo (convenientia) dell'idea con il suo ideale, mentre la parola
'adeguata' riguarda la natura dell'idea in s stessa; quindi non c' in realt nessuna
differenza (revera) tra queste due sorta di idee, se non questa relazione estrinseca. In
realt, la stessa cosa parlare di idee vere e di idee adeguate, ma, se si cerca di
spiegarle, qualcosa di completamente differente. Contro il significato immediato,
letterale, della parola, che mette nell'idea di adeguazione quella di accordo, cio
quella di un aggiustamento esterno, Spinoza esprime per la categoria di adaequatio
questa necessit o causalit interna dell'idea che la lega a s stessa, per mezzo di
tutte le altre idee dalle quali dipende nell'attributo del pensiero, e che fa di essa
un'affermazione singolare, un atto, della sostanza assolutamente infinita. Cos come le
cose, come tutto ci che esiste, le idee sono soggette ad un ordine causale che le
spiega totalmente.
La funzione dell'idea di adeguazione quindi in primo luogo critica. Essa ci che
permette di scartare dalla determinazione causale dell'idea tutto quello che dipende
da un altro ordine, per esempio quello secondo il quale l'ideato, il suo oggetto, esiste
anche necessariamente: Intendo per idea adeguata un'idea che, in quanto
considerata in s stessa, senza relazione all'oggetto, possiede tutte le propriet o
denominazioni intrinseche di un'idea vera.62 Tra le idee e le cose non c' una
62
64
dell'idea vera col suo oggetto. Tra l'idea adeguata ed il suo oggetto c' senza dubbio
corrispondenza; nonostante la relazione ordinaria tra questi due termini sia invertita:
l'idea vera non adeguata al suo oggetto perch gli corrisponde; bisogna dire, al
contrario, che gli corrisponde perch adeguata, cio, determinata in s stessa in
maniera necessaria.
Da ci risulta una conseguenza molto importante: un'idea non pu essere pi o meno
adeguata, alla maniera di una rappresentazione che imita pi o meno bene il suo
modello e che pu essere misurata essa stessa per questo grado di conformit. La
teoria dell'idea adeguata elimina dall'ordine della conoscenza ogni normativit, nel
momento stesso in cui impedisce il ritorno dell'illusione finalista che assedia le teorie
classiche della conoscenza. L'idea completamente adeguata nella misura in cui
cos necessariamente, in assenza di ogni intervento di un libero arbitrio: qui sta la
chiave della sua oggettivit. Spinoza esprime questo in una formula provocatoria:
Tutte le idee, in quanto sono riferite a Dio, sono vere. 65 [39] In quanto riferite a
Dio, cio in quanto sono comprese secondo la necessit causale del processo che le
ha generate. Da questo punto di vista, tutte le idee sono adeguate, tutte le idee sono
vere. Tutte le idee, cio anche le idee inadeguate o confuse: le idee false sono anche a
loro modo vere. Per questo Spinoza scrive: verum index sui et falsi. C' nella natura
stessa del vero qualcosa che fa riferimento alla possibilit dell'errore e che lo spiega.
All'inverso, Cartesio stabilisce tra la verit e l'errore una separazione insormontabile
per diritto (perfino se non lo fosse di fatto), la quale obbligava a cercare un'origine
specifica dell'errore costruendo una teoria del libero arbitrio umano. In Spinoza, al
contrario, la teoria dell'errore compresa fin dallinizio in quella della verit e fa corpo
con essa: le idee false sono anche idee singolari e, tanto in un caso come nell'altro, il
problema sapere come sono prodotte necessariamente.
L'espressione tradizionale distinguere il vero dal falso riscuote allora nella dottrina
di Spinoza un significato completamente nuovo. Non indica il limite ideale che traccia
tra due ordini irriducibili una prescrizione o una proibizione che alla buona volont
inerisce rispettare, ma rimanda alla differenza tra modi di conoscenza. Orbene,
Spinoza intende per modo di conoscenza una certa maniera di entrare in relazione con
le idee, essa stessa determinata praticamente da un modo di essere, cio dalle
condizioni di esistenza: l'ignorante anche un schiavo. Ci sono pratiche distinte della
conoscenza che dipendono da tutto un insieme di determinazioni materiali e sociali.
Cos l'immaginazione non , seguendo un'espressione corrente nell'epoca classica, un
genere di conoscenza, una potenza di errore, cio, il potere di generare certe idee
che siano false in loro stesse. Perch nelle idee non c' niente di positivo in virt del
quale si dicano false66: [40] ci che falso, cio ci che ci mette in un certo stato di
illusione, una relazione determinata con le idee, con tutte le idee, che fa che le
percepiamo, potremmo dire perfino che le viviamo, in una maniera inadeguata,
mutila e confusa.
Un'idea non allora mai falsa in s stessa. Questo vuol dire che non neanche mai
vera in s stessa? Tale precisamente la tesi di Cartesio: prese in se stesse, le idee
sono rappresentazioni passive e non sono n vere n false; la verit una funzione del
giudizio che anima queste idee per intermediazione della volont: questa che d loro
65
66
o nega il suo assenso alle rappresentazioni del pensiero e le dichiara conformi o non
conformi alla realt. Da questo punto di vista, se c' nella conoscenza un elemento
attivo (come appare per esempio nella teoria cartesiana dell'attenzione), questo
essenzialmente soggettivo, dato che dipende dall'affermazione dell'io che proferisce i
giudizi e che fa uso della sua libert nell'accordare o negare credibilit alle idee che gli
propone l'intelletto. Niente di simile in Spinoza, che respinge la distinzione cartesiana
dell'intelletto e della volont: il carattere attivo della conoscenza non rinvia
all'iniziativa di un soggetto libero, ma l'idea stessa che attiva, in quanto esprime in
maniera singolare la causalit infinita della sostanza; come tale, non potrebbe essere
indifferente al suo contenuto di verit, alla maniera di una rappresentazione passiva.
Considerata in Dio, secondo il concatenamento causale che la suscita, l'idea sempre
vera, adeguata alle sue condizioni. Che cosa ci che conduce dunque, se del caso,
ad identificarla anche come falsa?
Quando Spinoza definisce la falsit come una privazione di conoscenza 67 [41], non
vuole dire con ci che intrinsecamente qualcosa di negativo, e pertanto esteriore
all'ordine della conoscenza, bens, al contrario, che pu essere compresa solo in
relazione alla conoscenza, della quale costituisce un modo. L'idea inadeguata
un'idea incompleta nella misura in cui non la cogliamo se non mutilandola: in s
stessa, in Dio, adeguata, ma, se la comprendiamo in una maniera parziale, questo
c'impedisce di percepire la sua necessit, ed di questa contingenza, le cui cause
reali stanno in noi, che deriva l'illusione di un libero arbitrio.
Bisogna riprendere qui un esempio ben conosciuto: l'immaginazione, che una forma
di comportamento, una maniera di vivere realizzata materialmente e socialmente
nell'esistenza soggiogata dello schiavo, ci rappresenta il sole a duecento passi, ma
scopriamo che questa percezione falsa dopo che la ragione ci spiega che il sole non
quella voluminosa palla rotonda che brilla nel nostro orizzonte, ma l'astro dal quale
siamo molto lontani e che si trova nel centro di un sistema di stelle del quale
occupiamo solamente una parte. Cos che distingue la rappresentazione immaginaria
dalla conoscenza vera? il punto di vista dal quale origina la conoscenza, e con esso il
nostro modo di conoscere. Nel caso dell'immaginazione, la conoscenza soggetta al
punto di vista di un soggetto libero che si situa al centro del sistema delle sue
rappresentazioni e che costituisce questo sistema come se fosse autonomo, come un
impero in un impero; allora, in quest'universo umano apparentemente libero, il sole
figura come un voluminoso mobile che orna l'arredamento della vita e trova rispetto
ad essa il suo posto ed il suo uso, perch, giustamente, il proprio dell'immaginazione
rinvia tutto all'io. Ma se cambio la mia vita ed smetto di "rappresentarmi" la realt in
relazione a me stesso, cio in relazione a certi fini, come se la realt non fosse pi
fatta che per il mio uso, vedo le cose in un modo completamente differente: in un
universo assolutamente decentrato, dato che, nella sua totale oggettivit, non pu
dipendere dall'iniziativa di un soggetto, quale che sia, perfino un creatore onnipotente;
le cose non dipendono pi da un ordine arbitrario ma si relazionano le une alle altre in
un concatenamento causale necessario, in assenza di ogni determinazione da certi
fini.
Rappresentarsi immaginariamente la realt e conoscerla adeguatamente sono
pertanto due cose completamente differenti. Tuttavia, anche nella rappresentazione
immaginaria, della quale abbiamo appena dato un esempio, deve esserci qualcosa di
67
fissati in tale opposizione. Nel falso, il vero che produce se stesso, nella forma
della sua negazione, cosa che pu fare solo negando immediatamente quella
determinazione per stabilirsi in una forma superiore di relazione con se stesso. Come
dice Hegel in una formula brutale: Si pu conoscere anche falsamente. 70 [44] Sapere
falsamente pur sempre sapere: la verit sempre implicata nell'errore, e viceversa.
Hegel radicalizza questa concezione fino a respingere che si prenda il falso, come
farebbe una dialettica sommaria, come un momento della verit 71, la quale sarebbe
anche una maniera di subordinare il falso al vero, esponendolo come un intermediario,
un mezzo che conduce alla verit, ma che sparisce nel suo risultato una volta che
questa si raggiunge. Tra il vero e il falso bisogna pensarne fino al fine l'unit. Fuori di
questa appartenenza reciproca, il vero pu essere riflesso solo astrattamente e
parzialmente, come un dato, un stato di fatto: un'idea che non pi che un'idea e
che separata dal movimento nel quale si realizza e diviene Reale.
Apparentemente, allora, Spinoza e Hegel arrivano, a proposito della questione della
verit, a conclusioni comparabili. vero che sono ottenute come risultato di processi
differenti ed espresse in termini diversi. Orbene, secondo l'attestazione stessa di
entrambi gli autori: che cos' un risultato considerato fuori del processo che lo
stabilisce? Il nostro obiettivo non qui comparare le due filosofie con l'obiettivo di
identificare l'una con l'altra - qualcosa che sarebbe possibile solo a costo di una
semplificazione abusiva del suo contenuto, che condurrebbe ad una vera distorsione di
senso -, bens mettere in evidenza un fenomeno che fortemente sconcertante: Hegel
si dichiara il pi lontano possibile dallo spinozismo a proposito di un punto nel quale,
tuttavia, entrambe le dottrine sembrano approssimarsi. La sua confutazione, non
avrebbe potuto prendere nota di questa convergenza momentanea, a rischio di
denunciare poi il suo carattere superficiale e scoprire altri motivi che gli permettessero
di distinguersi da Spinoza?
Certo che il suo procedimento esattamente inverso: per dimostrare l'insufficienza
della dottrina spinozista, Hegel gli attribuisce alcune posizioni filosofiche che non sono
le sue, che perfino essa stessa ha scartato espressamente perch dipendenti da una
concezione astratta della conoscenza, incompatibile col punto di vista di una
razionalit immanente. La cosa strana, in questo assunto, che Hegel oppone a
Spinoza un'argomentazione che somiglia molto a quella che questo aveva sviluppato
gi contro i cartesiani: egli ha risposto allora in anticipo alle obiezioni esposte per
Hegel. L'atteggiamento di questo dunque segnato da un formidabile
disconoscimento, apparentemente inspiegabile: ci che Hegel ha dimenticato di
leggere in Spinoza ci la cui importanza e il cui significato era nelle condizioni
migliori di chiunque altro per riconoscere.
Non pu trattarsi evidentemente di un semplice errore, poich Hegel prese molto sul
serio il problema dello spinozismo, al quale dedic numerosi interventi basati su
un'informazione seria e completamente motivata. Per questo motivo bisogna cercare
da un'altra parte una ragione di questo errore: questa pu trovarsi solo nel sistema
dello stesso Hegel, che l'obbliga per il suo movimento proprio a deformare la realt
dello spinozismo. In effetti, per distinguersi meglio da questa dottrina, Hegel dovette
sostituirla con una dottrina fittizia, fabbricata per le necessit della causa, e che
70
71
Ibid.
elimina tutta l'acquisizione storica del sistema di Spinoza. Tutto accade come se, per
superare meglio Spinoza, Hegel avesse dovuto dapprima ridurlo, diminuendolo,
ponendolo sotto posizioni che erano veramente le sue. Ma, in questa necessit in cui si
trov di minimizzare lo spinozismo per confutarlo, non dobbiamo vedere,
contrariamente all'insufficienza che ne scopre Hegel, un indizio del suo carattere
eccessivo, intollerabile per lo stesso Hegel?
Qui comprendiamo meglio perch non basta avvicinare entrambi i sistemi per
decretare l'analogia di una semplice somiglianza tra essi. Perch la loro relazione
essenzialmente quella di un'unit contraddittoria: Hegel si oppone a Spinoza nel
momento stesso in cui rivela la sua parentela con lui. Il che Hegel non pot sopportare
in Spinoza, il che pot eliminare solo a costo di un'interpretazione distorta, un
pensiero nel quale il suo proprio sistema viene messo in discussione e nel quale la sua
propria posizione filosofica si trova implicata. Non c' per questo, tra i due sistemi,
solo una relazione esterna, ossia di indipendenza o di parentela: le tesi filosofiche nelle
quali si oppongono Hegel e Spinoza sono il supporto di una vera alternativa i cui
termini sono legati in maniera immanente. Per tornare al problema particolare che
studiamo qui, il fatto che esige una spiegazione il seguente: Hegel e Spinoza si
confrontano l'uno con l'altro nella misura in cui rivendicano una stessa concezione del
vero, che concreta, attiva ed assoluta.
Tanto per Spinoza quanto per Hegel, la verit una determinazione interna del
pensiero che esclude ogni relazione con un oggetto esterno. Ma - e questa la vera
questione in gioco nella loro contrapposizione -, ciascuno di essi mette nel termine
pensiero una realt molto differente. Il pensiero, per Spinoza, un attributo, cio
una forma, infinita nel suo genere, della sostanza che assolutamente infinita. Per
Hegel, lo Spirito come soggetto di s, che si identifica come tale effettuandosi nel
movimento del suo divenire Reale, al termine del quale appare nella totalit, come
totalit: lo sviluppo razionale del pensiero scopre questo come assolutamente unico,
perch assorbe in esso ogni realt, ogni contenuto. proprio questo privilegio
esclusivo del pensiero quello che non ammette la filosofia di Spinoza, per la quale il
pensiero non l'unica espressione della sostanza, n tantomeno la migliore: al
massimo una delle essenze nelle quali questa agisce sviluppando la sua propria
causalit.
allora possibile, a costo di una violenza cronologica, parlare della confutazione che
Spinoza stesso fa di Hegel: il bersaglio di quella confutazione la presentazione
idealistica della dialettica, che stabilisce la sua universalit sul presupposto che il
pensiero, in ragione della sua riflessivit interna, la forma per eccellenza del reale, di
tutto il reale; in tal modo il pensiero si presenta come un ordine razionale assoluto che
riunisce ed assorbe tutti gli altri ordini nel movimento della sua propria totalizzazione.
La dialettica hegeliana, che presenta s stessa come circolo di circoli, presuppone una
relazione di subordinazione gerarchica tra tutti gli elementi che riunisce, e questa
subordinazione riflessa a partire da un termine ultimo, dal cui punto di vista pu
comprendersi l'insieme del suo progresso, perch ha un senso. E proprio questo
presupposto ci che Spinoza scarta fin dall'inizio, poich elimina della sua concezione
del reale, dalla sostanza, ogni idea di subordinazione gerarchica tra elementi: il
pensiero, come attributo della sostanza, identico a ogni cosa, pertanto non ha niente
sopra di esso, e il concatenamento con il quale si realizza espone
contemporaneamente la sua uguaglianza assoluta con tutte le altre forme nelle quali
anche si esprime la sostanza, forme il cui numero infinito. Hegel, al contrario, pensa
lo Spirito come soggetto e come tutto in una prospettiva di eminenza che impone che
gli si sottometta tutto ci che si produce come reale, che appare quindi come sua
manifestazione. Questa subordinazione, che installa nel movimento razionale una
gerarchia di forme, la chiave della teleologia hegeliana, ed questa teleologia ci
che elimina Spinoza.
Questo ci conduce ad un interrogativo abbastanza paradossale. Stabilendo, a partire
dallo spirito che si coglie come soggetto, come tutto e come fine, una gerarchia di
tutte le forme di realizzazione che dipendono da esso, non Hegel stesso quello che,
in un sorprendente inversione, si installa nel punto di vista che condanna in Spinoza, il
punto di vista della sostanza? Quello che caratterizza questo punto di vista, in effetti,
che in esso si prospetta un Tutto che concentra ogni realt, di maniera tale che possa
allora soltanto degradarsi successivamente in determinazioni sempre meno reali ed
esaurirsi nella sua serie. Quello che appare scandaloso a Hegel in questo ciclo non
tanto la relazione tra il tutto e le sue parti che impone tale concezione, bens l'ordine
di successione nel quale si realizza: secondo questo ordine, il Tutto quello che e dato
per primo in un cominciamento assoluto. Hegel propone solamente di investire questo
ordine, porre il Tutto alla fine del processo e disporre le sue determinazioni come
momenti che conducono progressivamente ad esso. Ma, al termine di questa
inversione, la relazione di integrazione immanente che subordina le parti al tutto in un
ordine gerarchico si conserva integralmente: in questo consiste principalmente
l'evoluzionismo hegeliano.
Al contrario, Spinoza pensa il processo della conoscenza di maniera non evolutiva,
come un processo senza fine: processo di autodeterminazione del pensiero che
permette di conoscere il reale nella totalit, secondo una legge di causalit assoluta,
ma senza esaurire completamente le sue determinazioni. Un processo senza fine:
questo proprio l'impensabile di Hegel. Per questo non pot riconoscerlo nei termini
nei quali lo riflett Spinoza, e da qui la necessit nella quale si trov di interpretare
questo processo senza fine nell'immagine distorta di un processo che comincia
assolutamente. Ma quest'immagine deformata tuttavia adeguata al punto di vista di
Hegel, poich ripete, dandole una forma caricaturale, l'ordine intensivo, la relazione di
eminenza e l'unit di integrazione tra il tutto e le sue parti che costituiscono il
presupposto obbligato del suo proprio pensiero.
chiaro, a partire da qui, che Hegel non poteva letteralmente comprendere ci che
dice Spinoza, poich comprenderlo sarebbe stato allo stesso tempo rinunciare ai
presupposti del suo proprio sistema. Per questo gli era assolutamente necessario, per
risolvere in maniera soddisfacente il problema che gli prospettava Spinoza, assorbirlo
nel suo proprio punto di vista, presentarlo come un momento della sua dottrina:
momento del cominciamento, momento provvisorio, momento da superare, momento
gi superato, minaccia gi dominata per essere stata intrepida nella prospettiva di una
storia scaduta, che non parla pi che alla memoria, fuori di ogni attualit.
Questo sistema di difesa, che Hegel erige per proteggerlo dalla verit dello spinozismo
perde in gran parte la sua efficacia quando si vede dentro esso, non la
rappresentazione dell'oggetto che si d: Spinoza, bens la posizione che cerca di
mantenere, quella di Hegel stesso, la cui fragilit rivela crudelmente. Hegel volle
impadronirsi dell'immagine che impose di Spinoza, ma piuttosto Spinoza quello che
gli offre uno specchio nel quale proietta, senza saperlo, la sua verit.
Logica, I
74
Ibid.
Il commento che fa Hegel degli attributi nello stesso capitolo delle Lezioni va
precisamente in questo senso:
In quarto luogo Spinoza definisce gli attributi, appartenenti alla sostanza
come un secondo elemento di essa, Per attributo intendo ci che lintelletto
percepisce come costituente lessenza della sostanza; e solo questo per
Spinoza il vero. E non c' dubbio che questa una grande determinazione;
lattributo evidentemente una determinabilit, ma una determinabilit che
rimane, al tempo stesso, totalit. E Spinoza, come Cartesio, ammette di
questa solo due determinabilit: il pensiero e lestensione. Lintelletto le
percepisce come lessenza della sostanza; ma lessenza non niente pi
che la sostanza, ma essa essenza solo nella prospettiva dellintelletto, la
quale cade fuori della sostanza. Ciascuno dei due modi di considerare,
lestensione e il pensiero, contiene interamente il contenuto della sostanza;
per questo sono entrambi identici in s, infiniti. Nellattributo lintelletto
coglie tutta la sostanza, ma come la sostanza passi nellattributo non
detto.
Se ogni attributo si trova di nuovo intero il contenuto della sostanza, nella misura in
cui questa gi di per s priva di ogni contenuto: l'attributo solo una forma, che pu
essere autonoma e infinita, ma non priva di qualsiasi movimento effettivo e pertanto
di una concreta unit. Gli attributi sono essenze che si confrontano, che si oppongono,
e la loro relazione estrinseca rivela l'impotenza della sostanza, cio dell'assoluto posto
come immediato, a determinarsi essa stessa in s.
Ma ci che soprattutto caratteristico, nei due testi precedenti, soprattutto, una
straordinaria omissione. Spinoza afferma che la sostanza si esprime in un'infinit di
attributi, dei quali noi ne percepiamo solo due, il Pensiero e lEstensione. Eppure
quando Hegel caratterizza la natura degli attributi fa come se esistessero solo i due
attributi che noi percepiamo: ne riconosce solo due []: il pensiero e lestensione.
Questa limitazione ha conseguenze estremamente importanti, perch ci che
permette a Hegel di stabilire una relazione di filiazione tra Spinoza e Cartesio, e che
autorizza anche, nel presentare l'unit degli attributi nella sostanza come unit di
opposti.
Riprendiamo la definizione che Spinoza d degli attributi: essi sono ci che l'intelletto
percepisce della sostanza come costituente la sua essenza [Etica, I, def. 4]. Abbiamo
gi osservato che Spinoza non specifica qual l'intelletto che percepisce qui la
sostanza: si tratta di un intelletto infinito, che percepisce tutte le sue essenze, o di un
intelletto finito, che ne percepisce solo due? Perch questa distinzione non si presenta
nella definizione generale degli attributi? In ogni caso, chiaro che Hegel non ha
tenuto in alcun conto questa imprecisione, o meglio questa assenza di precisione, e
che interpreta la definizione degli attributi in un senso molto particolare, restrittivo:
l'intelletto che "costituisce" gli attributi percependo la sostanza per lui l'intelletto
finito che comprende quest'ultima solo sotto le due forme del pensiero ed
dellestensione.
M. Gueroult ha sottolineato l'ispirazione kantiana dellinterpretazione che Hegel
propone di Spinoza: effettivamente questo implicito riferimento a Kant ci che
giustifica l'accusa di formalismo fatta contro Spinoza. Gli attributi non sono solo le
"essenze" della sostanza, sono le sue forme e, al limite, i suoi fenomeni. L'attributo
domina tutta la sua interpretazione dello spinozismo. Ci che sorprendente qui che
Hegel, in un punto in cui si delinea tra la sua filosofia e quella di Spinoza una
convergenza essenziale, vi scopra, al contrario, un motivo di divergenza. Questo
capovolgimento pu essere spiegato solo in due modi: o Hegel dispone di argomenti
inconfutabili che permettono di stabilire che la critica spinozista della concezione
classica della verit insufficiente, e per questo motivo ricade nei difetti di questa
concezione a cui, come egli afferma, rimane legato. Oppure questa critica spinozista
intollerabile per Hegel perch, ancora pi radicale della sua, mette in evidenzia i limiti
del sistema hegeliano e rivela la complicit che lo lega tuttora con concezioni
precedenti che pretende di confutare risolvendo le loro contraddizioni. Vedremo che
questultima l'interpretazione che dobbiamo considerare.
Ritorniamo al problema degli attributi che sono, secondo Hegel, determinazioni,
forme attraverso le quali la sostanza si riflette nel punto di vista dell'intelletto. In un
certo senso, la sostanza un contenuto senza forma, dato immediatamente nella sua
indeterminazione assoluta, alla maniera dellEssere vuoto degli eleati, e poi si
esteriorizza in forme senza contenuto, che la riflettono alla maniera delle categorie
kantiane. Il fatto che questo schema tradisce la dottrina spinozista almeno in un
punto: sebbene per Spinoza gli attributi sono forme, o generi di essere, o nature o
anche essenze, non sono certamente forme in opposizione a un contenuto, n
tantomeno sono predicati in opposizione a un soggetto, n categorie astratte in
opposizione a una realt concreta che sarebbe loro esterna. Si potrebbe dire allora che
essi stessi sono contenuti che valgono per una forma, la sostanza, giacch questa
consiste in loro e li comprende come costitutivi la sua essenza. Il che significa
semplicemente che i termini di forma e contenuto sono in realt impropri per
caratterizzare la relazione che collega gli attributi alla sostanza.
Sebbene gli attributi siano ci che l'intelletto percepisce della sostanza, non per
questo dipendono dal punto di vista dell'intelletto, in cui esisterebbero come forme
riflesse, n a maggior ragione - del punto di vista di un intelletto finito, opposto a una
ragione infinita. Qui bisogna prendere sul serio il fatto che Spinoza abbia utilizzato,
nella sua definizione di attributi, la parola percepire (percipere): l'intelletto
percepisce gli attributi come costitutivi dell'essenza della sostanza. Se ci riferiamo alla
spiegazione della definizione 3, all'inizio del libro II dell'Etica, osserviamo che questo
termine ha un significato molto preciso. A proposito dell'idea, che un concetto della
mente, scrive Spinoza: dico concetto, piuttosto che percezione, perch la parola
percezione sembra indicare che la mente sia passiva (patisca) rispetto ad un oggetto,
mentre, concetto sembra esprimere unazione della mente. Si pu invertire questa
indicazione e applicata alla definizione degli attributi: Spinoza non dice che essi sono
ci che l'intelletto concepisce della sostanza, proprio perch ci implicherebbe
un'attivit dell'intelletto rispetto al suo oggetto, al quale imporrebbe una modifica,
ad esempio, dandogli una forma, informandolo. L'attributo ci che l'intelletto
"percepisce" della sostanza perch, nella relazione che qui si stabilisce, c', al
contrario, passivit dellintelletto intelletto di fronte alla sostanza, che accetta cos
com, nelle essenze che la costituiscono, cio, nei suoi attributi.
Il termine "intelletto", come appare nella definizione degli attributi, non pu dunque
essere interpretato in senso kantiano. Anche se si tratta qui di dellintelletto singolare
che il nostro, l'intelletto finito, sarebbe ancora valida l'obiezione che Spinoza ha
indirizz contro Bacone: Egli suppone che lintelletto umano, oltre agli errori che si
deve attribuire ai sensi, fallibile in virt dalla sua sola natura e delle idee che
appartengono ad esso, non nelluniverso; in maniera tale che sarebbe come uno
specchio curvo che nella sua riflessione, mischierebbe le sue proprie caratteristiche
con quelle delle cose stesse.75 Orbene, linterpretazione che d Hegel del ruolo
dellintelletto nella definizione degli attributi va proprio in questo senso: lintelletto che
riflette la sostanza nella forma dei suoi attributi una sorta di specchio deformante, o
informante, che imprime il suo proprio marchio alle immagini che produce, in modo
tale che piuttosto lo specchio che queste danno a vedere che loggetto che
riflettono. Ma, per Spinoza, se l'intelletto uno specchio cosa che daltra parte
contestabile, poich le idee non sono immagini -, non certamente uno specchio
attivo che interviene nella realt, scomponendola per ricostruirla a sua propria misura:
deve essere, almeno nel caso che ci interessa, uno specchio perfettamente oggettivo,
che percepisce la sostanza cos com, nelle essenze che la costituiscono
effettivamente. La definizione di attributi che Spinoza d chiaramente esclude del
tutto la creativit dall'intelletto.
Un'osservazione qui necessaria, che riscuoter il suo significato pieno solo pi tardi.
Abbiamo appena mostrato che la relazione di percezione che lega l'intelletto alla
sostanza nella definizione degli attributi implica passivit piuttosto che una
attivit. Ma se si esamina pi da vicino questa idea di passivit, si rivela anche
abbastanza imbarazzante: non significa che gli attributi, come immagini fedeli che si
accontentano di riprodurre un modello, sono rappresentazioni passive, che
corrispondono esattamente all'oggetto che danno a vedere, vale a dire che sono, per
riprendere una ben nota espressione, mute pitture su un quadro? In tal caso, ci che
avremmo guadagnato da un lato, cessando di considerare gli attributi come forme
generate dall'intelletto, lo avremmo evidentemente perso dallaltro, riducendoli a idee
che riflettono passivamente una realt esterna. Per scartare questa nuova difficolt, va
aggiunto che gli attributi non sono n rappresentazioni attive n rappresentazioni
passive dell'intelletto, semplicemente perch non sono rappresentazioni, immagini,
neanche idee dell'intelletto o nell'intelletto: gli attributi non sono nell'intelletto, come
forme attraverso cui quest'ultimo apprenderebbe, oggettivamente o non, un
contenuto dato nella sostanza, ma che stanno nella sostanza stessa di cui
costituiscono le essenze. Chiaramente, questa precisazione basta per liberare dalla
definizione degli attributi ogni nozione di passivit: gli attributi sono attivi nella misura
in cui la sostanza che si esprime in essi, in tutte le sue essenze.
Orbene, rinunciare a considerare gli attributi come idee dell'intelletto significa mettere
in discussione al tempo stesso un altro aspetto dell'interpretazione proposta da Hegel.
Per presentare il carattere astratto degli attributi, egli li separa dalla sostanza e
presenta la loro relazione come una relazione di successione: prima la sostanza, poi gli
attributi. In tal modo, l'identit di attributi e sostanza, come chiaramente stata
affermata da Spinoza, diventa del tutto problematica: fuori della sostanza e dopo di
essa, gli attributi non sono, realmente, che forme attraverso le quali l'intelletto la
riflette, e vengono dissociati dal fondamento a cui si riferiscono. Ma questa idea della
anteriorit della sostanza rispetto ai suoi attributi, che stabilisce una relazione
gerarchica tra loro, completamente contraria alla lettera della dottrina spinozista.
75
Lettera 2 ad Oldenburg.
76
Come fa M. Doz, Remarques sue les onze premires propositions de lEtique, Reveu de mtaphysique et de
moral, 1976
77
78
79
Etica, I, def. 6.
80
Lettera 60 a Tschirnhaus.
quindi che la sostanza non un immediato assoluto, dato che deve essere dedotta, anche se
deve esserlo a partire da se stessa.
Il rapporto della sostanza con i suoi attributi si trova dunque profondamente modificato. Da una
parte, poich non pi possibile affermare l'esteriorit degli attributi rispetto alla sostanza: gli
attributi sono nella sostanza come aspetti o momenti attraverso i quali essa si
costituisce. D'altra parte, se si vuole assolutamente stabilire un ordine di successione tra la
sostanza e gli attributi, non pi affatto certo che la sostanza debba situarsi prima degli
attributi, ma sono piuttosto quelli che precedono la precedono, come condizioni della sua autoproduzione, dato che hanno nel processo della sua costituzione una funzione essenzialmente
causale. Cos si spiega un'anomalia spesso sottolineata: l'Etica non comincia con Dio, bens
culmina in esso, o almeno porta a lui, dopo tutta una successione di dimostrazioni, una
difficolt che gli interpreti tradizionalmente eludono svuotando di ogni contenuto le
proposizioni che non riguardano ancora la sostanza unica e realmente esistente, per
trasformarle cos solo in precondizioni formali di un discorso che non comincia davvero che
dopo di esse.
Tuttavia, come vedremo, non soddisfacente neanche parlare di una anteriorit degli
attributi rispetto alla sostanza. Per questo ci accontenteremo per il momento di insistere su un
altro aspetto dell'argomentazione, che essenziale e che riguarda l'identit tra attributi e la
sostanza. Se si ammette tale identit, non pi possibile pensare tra la sostanza e gli attributi
una disuguaglianza che presuppone tanto una relazione di successione cronologica quanto una
relazione di subordinazione gerarchica. Non c pi o meno essere o realt nella sostanza che
nei suoi attributi, ma ce n esattamente lo stesso, o almeno ci che si potrebbe dire se
questa realt potesse essere misurata quantitativamente. Gli attributi non sono meno della
sostanza; ad esempio, non sono essenze che, prese in s stesse, manchino di esistenza, bens
la sostanza proprio ci che essi sono. Nei Principi della filosofia di Cartesio Spinoza ha scritto:
Quando egli [Cartesio] dice che una cosa pi grande creare (o conservare) una
sostanza che i suoi attributi, sicuramente non pu intendere per attributi ci che
contenuto formalmente nella sostanza e solo si da essa per una distinzione di
ragione. Perch in questo caso lo stesso creare una sostanza e creare i suoi
attributi (scolio della proposizione 7).
Ma Dio, sostanza che comporta tutti gli attributi, non crea n la sostanza n gli attributi,
qualcosa che Descartes non pu neanche capire.
Letta correttamente, la lettera 9 a Simon de Vries stabilisce che attributo e sostanza sono nomi
diversi per una stessa cosa, allo stesso modo come i nomi di "Israele" e "Jacob" designano lo
stesso essere. vero che questa lettera stata letta solitamente in senso contrario e si
trovato in essa una conferma alla interpretazione formalista degli attributi, come se gli attributi
stessi fossero nomi differenti per una cosa identica e unica che sarebbe la sostanza. La
persistenza di questo equivoco81 pu essere spiegata solo in un modo: nella lettera Spinoza
parla di due nomi per la stessa cosa, e gli esempi che utilizza sviluppano questa ipotesi. Tutto
accade come se lo sguardo dei suoi lettori restasse fisso su questo numero, che in s stesso
non ha alcun significato; Allora si ha l'occasione per reiterare un fantasma comune nella
metafisica del quale Hegel ci ha dato gi un buon esempio: due, apparentemente, non pu
indicare che una cosa sola, la dualit di pensiero e estensione, secondo la divisione cartesiana
delle sostanze; questo che porta a considerare gli attributi, identificandoli una volta per tutte
con i due attributi che il nostro intelletto finito percepisce, come nomi, cio forme esteriori a un
contenuto che essi designano in maniera estrinseca. Ma su questo punto Spinoza
perfettamente chiaro: gli attributi sono essenze, e pertanto realt, per cui non sono in nessun
81
modo, in s stessi, nomi, cio, designazioni della sostanza attraverso cui questa si
scomporrebbe astrattamente in una moltiplicazione di prospettive o di apparenze.
Per cogliere questa identit reale, che collega gli attributi con la sostanza, baster confrontare
due testi che lo dimostrano senza ombra di dubbio:
Per attributo intendo ci che si concepisce per s e in s, cio ci il cui concetto
non implica il concetto di un'altra cosa.82
Per sostanza intendo tutto ci che si concepisce per s e in s, cio ci il cui
concetto non implica il concetto di un'altra cosa. 83
Attributo e sostanza dipendono da una sola e medesima definizione, che si riferisce ad una
identica realt: il fatto qui immediatamente leggibile. Spinoza avrebbe potuto anche scrivere:
"Per sostanza e per attributo intendo una sola e medesima cosa.
E ancora:
Per attributi di Dio bisogna intendere ci che [...] esprime (exprimit) unessenza
della sostanza divina, ossia, ci che inerisce [pertinet] alla sostanza: lo stesso ci
che affermo che deve implicare (involvere) gli attributi.84
Exprimit: gli attributi esprimono la sostanza; ci non significa in assoluto che la rappresentano
nella forma di un predicato, di una propriet o di un nome, ma che la costituiscono in quello
che si pu denominare il suo essere concreto. Pertinet: gli attributi sono compresi nella
sostanza - e, viceversa, essa in loro -; non sono affatto manifestazioni esterne ed
arbitrarie dipendenti dal libero arbitrio di un intelletto che la rifletterebbe secondo le sue
proprie categorie (si noti che la definizione che stiamo commentando non fa alcun riferimento
all'intelletto). Involvere: attributi e sostanza sono inseparabili perch non possono essere
concepiti luno senza laltro, uno fuori dellaltro, e questa dipendenza reciproca non esprime
nientaltro che la loro unit reale.
Un'osservazione per concludere. Forse gli equivoci che si sono accumulati intorno
all'interpretazione della definizione iniziale degli attributi (Etica, I, def. 4) si sarebbero potuti
evitare se Spinoza avesse redatto questa definizione in modo leggermente diverso: intendo
per attributo ci che costituisce l'essenza della sostanza, ed cos che l'intelletto la percepisce
(tale com), formulazione che sopprime ogni specie di dipendenza degli attributi
dallintelletto. Dopo tutto, ammettere il carattere rigoroso del testo di Spinoza non significa
necessariamente considerare la sua lettera come intangibile, n per trasformarla in un oggetto
di adorazione, n considerarla come un ricettacolo in cui riposano grandi misteri che
bisognerebbe solo contemplare a distanza, facendo grande attenzione a non risvegliarli. L'Etica
deve essere spiegata per mezzo dell'Etica - cos come Spinoza, daltra parte, ha spiegato la
Scrittura per mezzo della Scrittura -, cio, determinare il sistema delle corrispondenze materiali
che organizzano il testo e le consentono effettivamente di compiere i suoi obiettivi; in base a
questo, deve essere possibile identificare, eventualmente, le sue lacune.
La diversit degli attributi
82 Lettera 2 a Oldenburg
83
Lettera 4 a Oldenburg
84
Gli attributi sono dunque identici alla sostanza, cos come la sostanza lo stesso dei suoi
attributi; solo dal punto di vista dell'intelletto pu stabilirsi una distinzione tra sostanza e
attributo, ci significa che questa distinzione non ha alcun carattere reale, ma solo una
distinzione di ragione.
Tuttavia, si deve prestare attenzione ad interpretare la relazione tra la sostanza e gli attributi
nel senso di una reciprocit formale. Se c' identit, innegabilmente, fra loro, non
un'uguaglianza astratta e vuota, nel qual caso senza non si capirebbe pi quale sia il ruolo
della nozione di attributo nelleconomia necessaria della dimostrazione e si potrebbe essere
tentati, puramente e semplicemente, di sopprimerla. In questo senso, a quanto pare, Spinoza
afferma che in natura non c' nulla tranne le sostanze e i loro affezioni, come evidente
dallAssioma 1 delle Definizioni 3 e 5;85 e ancora: Salvo le sostanze e gli accidenti, nulla esiste
nella realt, cio fuori dell'intelletto. Qualsiasi cosa c' in effetti concepita, o per s stessa, o
per altro, e il suo concetto implica o no il concetto di un'altra cosa. 86 Nel reale, cio fuori
dell'intelletto, e sembra di essere rinviati di nuovo al punto di partenza: se gli attributi non
hanno alcuna esistenza reale, se si separano dalla sostanza solo dal punto di vista (perspectu)
dell'intelletto, non sono che enti di ragione, finzioni intellettuali esterne ad ogni contenuto, cio
pure forme di rappresentazione?
Ricordiamo che ci che esiste solo per l'intelletto non sono gli attributi stessi - che non stanno
certo nel intelletto - ma la loro distinzione dalla sostanza. Ma bisogna aggiungere qui un
nuovo argomento: l'esistenza degli attributi nella sostanza, che la chiave per la loro identit,
non un'unit indifferente che risulta da un'uguaglianza semplicemente formale; un'identit
concreta che identit nella differenza. Ecco perch gli attributi sono necessari per la
determinazione della sostanza, la cui causalit interna esprimono e realizzano. Ma come passa
la sostanza negli attributi, o gli attributi nella sostanza? Questo ci che ora necessario
capire.
Riprendiamo la divisione del libro I dell'Etica proposto da Gueroult. Le prime otto proposizioni
hanno per oggetto la substantia unius attributi, che permette di eliminare la concezione di un
substrato immobile, indifferenziato, e quindi di per s inconoscibile. Cos, stabilito fin
dall'inizio che la sostanza esiste solo nei suoi attributi, che sono in se stessi sostanziali. Ma da
questo ragionamento risulta anche che ci sono tante sostanze quanti sono gli attributi: come
Gueroult osserva, in questo sviluppo iniziale, sostanza scritto al plurale, come nella
proposizione 5, in cui si dimostra un punto essenziale per tutto il resto (due sostanze
potrebbero essere distinte solo per il loro attributo).
Nelle proposizioni da 9 a 15, si passa dal plurale al singolare: dalla substantia unius attributi,
infinita solo nel suo genere, alla sostanza che comprende un'infinit di attributi e che pu
dirsi assolutamente infinita; Essa include tutti gli attributi, perch non pu mancargliene
nessuno. Questo passaggio riassunto in questi termini nella lettera 36 a Hudde: Se
assumiamo che un essere, indeterminato e perfetto solo nel suo genere, esiste per s, allora
dobbiamo anche accordare l'esistenza ad un essere che assolutamente indeterminato e
perfetto; questo essere che io chiamo Dio. Cos siamo portati, come per mano, dall'idea
degli attributi all'idea della sostanza: se si conosce dapprima la perfezione degli attributi, si
dovrebbe anche conoscere ci che non pu essere compreso fuori dalla perfezione assoluta di
Dio, che li contiene tutti. Infatti, se si resta alla considerazione degli attributi, ciascuno preso in
s stesso, si sarebbe naturalmente portati a pensarli negativamente opponendoli luno allaltro,
apprendendo la natura di ciascuno di essi dalla mancanza delle nature di tutti gli altri. L'infinit
degli attributi pu essere colta positivamente solo se la si collega alla natura divina,
assolutamente infinita, in cui coesistono senza opporsi. Per questo gli attributi non possono
esistere fuori di Dio, ma sono necessariamente in lui, dove si affermano in modo identico come
85
86
Lettera 4 a Oldenburg.
essenze infinite nel loro genere, in una modalit di determinazione che esclude ogni
negativit. Allinverso, la sostanza non che l'unit dei suoi attributi, che essa riunisce nella
sua esistenza assoluta.
In questo ragionamento gi indugiavano i primi lettori dell'Etica, come attesta la lettera 8 di
Simon de Vries a Spinoza: Se dico che ciascuna sostanza ha un solo attributo e se ho l'idea di
due attributi, potrei giustamente concludere che ho due sostanze diverse, giacch dove si
hanno due attributi diversi si hanno due sostanze diverse. Anche su questo punto vi chiediamo
una spiegazione pi chiara. Ma il problema qui effettivamente irrisolvibile, in quanto pone la
diversit degli attributi da un punto di vista che prima di tutto numerico: per Simon de Vries,
un attributo un'espressione che ha senso solo in relazione della serie uno, due tre...
un'infinit di attributi. Questa presentazione caratteristica, in primo luogo perch in questa
serie infinita privilegia, per designare la molteplicit degli attributi, un numero molto particolare
che guarda caso il numero due. Questa scelta rivela fin da subito che la questione qui
considerata esclusivamente dal punto di vista dell'intelletto finito, che giustamente non
conosce pi di due attributi, pensiero ed estensione, mentre - come abbiamo gi indicato -
del tutto significativo che questo punto di vista non intervenga mai nel ragionamento di
Spinoza, che utilizza la nozione di intelletto presa in generale.
D'altra parte, il fatto di contare gli attributi secondo una successione numerica ha per
conseguenza che il passaggio dalle sostanze infinite solo nel loro genere alla sostanza
assolutamente infinita appare come una progressione graduale e continua: tutto accade come
se gli attributi vengano aggiunti luno allaltro alla sostanza, che sarebbe composta essa stessa
da questa infinita sommatoria. Al contrario e questo va veramente rimarcato -, Spinoza
presenta il processo nel quale la sostanza si genera essa stessa a partire dai suoi attributi in
modo completamente diverso: questo si effettua in una rottura netta, che procede senza
intermediari da un livello allaltro, in modo tale che il rapporto tra l'infinito solo nel suo genere
e lassolutamente infinito appare dapprima come una vera contraddizione, che si risolver con
una decisione brusca, fuori da ogni tentativo di conciliazione.
Riprendiamo di nuovo il ragionamento dallinizio: la sostanza pensata dapprima nella
diversit reale dei suoi attributi, come indicato, ad esempio, nelle proposizioni 2 (due sostanze
aventi differenti attributi non hanno nulla in comune lun laltra) e 5 (in natura non possono
darsi due o pi sostanze della stessa natura, ossia, con lo stesso attributo). Successivamente,
la sostanza pensata nella sua unit assoluta, in quanto riunisce in s tutti gli attributi
ponendosi come identica a loro. Qui abbiamo a che fare con una vera inversione di prospettiva:
come bisogna interpretarla?
Si sarebbe tentati di considerare questo ragionamento come un ragionamento per assurdo: in
questo senso va l'interpretazione formalista che gi abbiamo criticato. Si dir allora: in un
primo momento, Spinoza suggerisce la possibilit di sostanze realmente distinte, ciascuna di
esse determinata da un attributo, per poter poi confutarla scoprendo a posteriori, attraverso un
artificio della presentazione, l'unit assoluta della sostanza che coincide con la sua
unicit. Considerato in questo modo, il ragionamento ridotto a un certo modo di esporre le
prove, ossia perde il suo carattere sintetico e il suo significato oggettivo. Perci, secondo le
esigenze del procedimento more geometrico, che - come abbiamo dimostrato - non sono
semplicemente formali, questa interpretazione deve essere scartata.
Ai due momenti dell'argomentazione deve perci essere concessa una realt equivalente:
considerata dal punto di vista della diversit (infinita) dei suoi attributi, la sostanza non una
finzione, n la rappresentazione di una pura possibilit che potrebbe essere costruita solo dalla
enumerazione all'infinito, poich tale enumerazione avrebbe senso solo dal punto di vista
dell'immaginazione. Si tratta di uno stesso contenuto, di una realt identica che si presenta
dapprima come diversit e poi come unit. Orbene, questo contenuto non pu essere
presentato nella progressione armonica e conciliante di ordine compiuto, non senza farci
ricadere nell'aporia del fondamento immediato denunciato da Hegel. Deve esporsi, al contrario,
in un movimento contrapposto che rivela al tempo stesso questi aspetti estremi e al contempo
mostra la loro solidariet, la loro comunit, cio, la loro inseparabilit. Inoltre, questi due
aspetti non sono successivi, ma simultanei.
Allora appare il vero significato della distinzione tra sostanza e attributi, tale come la stabilisce
l'intelletto: essa che permette di comprendere la sostanza cos com, nella complessit reale
della sua natura; cio ci che ci permette di pensare fino in fondo, assolutamente, la sua unit:
perch comprende l'infinit degli attributi che la sostanza assolutamente infinita. L'unit
della sostanza non dunque un'unit aritmetica, non designa l'esistenza di un individuo
irriducibile a tutti gli altri per la semplicit della sua natura. La sostanza non un essere, ed
questa la condizione fondamentale della sua unicit: essa tutto ci che esiste e che pu
essere compreso, che non ha dunque la sua causa se non in s stessa. Per questa pienezza di
essere, questa affermazione assoluta del s che costituisce la sostanza, non pu essere la
forma vuota dellUno che sarebbe solo Uno, o che non sarebbe, se si pu dire, pi che un Uno:
essa questa realt infinitamente varia che comprende tutti gli attributi e che si esprime nella
loro infinit. Questa realt non quella di un Essere che racchiuderebbe questa totalit in virt
di una donazione iniziale, ma che dapprima quella di un movimento irresistibile attraverso cui
gli attributi passano e si unificano nella sostanza che se ne appropria.
Non c' che un'unica sostanza, ma comporta un'infinit di attributi: la sua unit
incomprensibile al di fuori di questa diversit infinita che la costituisce intrinsecamente. Risulta
da ci che la sostanza contiene la molteplicit in s e non al di fuori di s, e, per questo motivo,
questa molteplicit cessa di essere numerica, qualcosa che Spinoza esprime appunto dicendo
che infinita; infatti, per lui, l'infinito non un numero, in quanto non pu essere
rappresentato dallimmaginazione. Siamo qui agli antipodi, come si vede, da quel progetto di
un calcolo filosofico, da quella enumerazione meccanica delle parti che costituiscono
formalmente un essere, a cui Hegel vorrebbe ridurre il more geometrico.
Come conseguenza ed ci che Hegel ha ignorato -, l'identit della sostanza e dei suoi
attributi non formale e astratta, ma reale e concreta. Questa si sviluppa in una doppia
relazione: quella che lega la sostanza ai suoi attributi, senza i quali sarebbe un essere vuoto al
quale non si potrebbe altrimenti riconoscere un minimo di realt, e non il massimo che le
appartiene; quella che lega gli attributi alla sostanza, all'esterno della quale essi esisterebbero
negativamente, come opposti.
Per fare un pastiche del discorso hegeliano, si potrebbe dire: la relazione della sostanza con gli
attributi l'identit divenuta in cui l'assoluto si afferma come effettivo. E questo processo
quello del causa sui o, se si vuole, del ritorno in s della sostanza.
87
sia nell'attributo (in un genere) o nella sostanza (assolutamente), esclude ogni nozione di
divisibilit: la sostanza sta interamente in ciascuno dei suoi attributi (visto che identica ad
essi) nella stessa maniera che, daltra parte, tutta lestensione sta in ciascuna goccia d'acqua o
tutto il pensiero in ciascuna idea. In precedenza abbiamo detto che per Spinoza l'infinito non
un numero; perci sfugge ad ogni partizione. La sostanza indivisibile non la somma di tutti i
suoi attributi.
Questo ci impone di tornare su una delle nostre precedenti affermazioni. Abbiamo detto che la
sostanza non ha la semplicit di un essere dato immediatamente in una presenza irriducibile
che esclude da s ogni contenuto determinato, ma che era la realt complessa di un
movimento assoluto che comprende tutte le sue determinazioni. Da questa complessit della
sostanza, che si esprime nella diversit interna dei suoi attributi, non segue tuttavia che sia
dotata di un carattere composto. Perci bisogna dire che la sostanza semplice come che
complessa, nel senso molto preciso che non divisibile in parti: Questo essere semplice, e
non composto di parti. Sarebbe necessario infatti che le parti componenti fossero, dal punto di
vista della conoscenza, anteriori al composto, il che non pu accadere nel caso di un essere
che per sua natura eterno.88 Questa indicazione estremamente importante, in quanto
esclude ogni presentazione meccanicistica del movimento in cui si produce la sostanza: il
processo della causa sui, immanente alla sostanza, non una genesi temporale che si darebbe
in una successione di operazioni distinte, a partire da elementi gi dati, la cui combinazione
produrrebbe la sostanza come risultato, o come una risultante. La relazione della sostanza con i
suoi attributi non quella del tutto con le sue parti o dellinsieme completo con gli elementi
semplici che lo compongono.
Da questo punto di vista, alcune delle formulazioni utilizzate da M. Gueroult per presentare la
"genesi" della sostanza sono inaccettabili, e l'uso dei testi su cui si appoggia senza dubbio
abusivo. Ad esempio: Incontestabilmente, Spinoza conforme, in questo caso, alle
prescrizioni che aveva enunciate nel De intellectus emendatione: giungere alle idee pi
semplici (idea simplicissimae) per ricostruire con loro, secondo le loro implicazioni interne,
l'idea complessa che cos si costituisce. Di conseguenza, quando si tratta di Dio, si scopriranno
dapprima i prima elementa totius naturae, vale a dire, le sostanze semplici con un singolo
attributo, che sono origo et fons naturae, per costituire con esse l essere totale uno e
infinito, fuori del quale nulla dato e che, per se stesso, anche origo et fons naturae.
Questa ricostruzione, che opera secondo la norma dellidea vera data, culmina in una
definizione genetica di Dio.89 Il termine che presenta un problemi quello di ricostruzione, che
qui interpreta qui il more geometrico in un senso molto particolare.
Notiamo innanzitutto che fare del procedimento more geometrico una costruzione o una
ricostruzione del complesso a partire dal semplice ridurlo a un metodo, cio alla fin fine ad un
artificio espositivo che subordina la necessaria progressione del ragionamento al modello di un
ordine: qui, quello che procede dalle parti al tutto o dal semplice al complesso. E cos non
siamo poi molto lontani da Cartesio. Ma ci che Spinoza ha voluto pensare attraverso il more
geometrico non era un altro metodo, un nuovo ordine di esposizione, ma proprio qualcosa di
diverso da un metodo, che subordina la presentazione del vero al presupposto di un ordine
secondo lo schema di una riflessione necessariamente astratta. In tal caso ci si espone a
difficolt la cui ragione semplicemente formale; per esempio, quando ci si chiede se la
sostanza sta prima degli attributi o gli attributi prima della sostanza, o ancora se gli attributi
sono pi o meno "semplici" della sostanza: da un punto di vista sintetico, queste domande non
hanno in senso stretto alcun significato.
88
Lettera 36 a Hudde.
89
D'altra parte, l'idea di una costruzione della sostanza presuppone non solo che questa sia
costituita, ma anche composta di elementi che sarebbero i suoi attributi. Questa
presupposizione particolarmente evidente nella traduzione di Gueroult dell'espressione
substantia unius attributi (proposizione 8, dimostrazione), come sostanza avente un solo
attributo. certo che questa nozione alla base della sua spiegazione dell'intero inizio
dell'Etica, poich gli serve a designare lelemento semplice dal quale la sostanza viene
costruita. Ma questa traduzione impossibile, non solo perch sostituisce unus con unicus,
ma anche per una ragione fondamentale: perch tratta l'unit che costituisce ciascun attributo
come un numero, cio come il termine di una serie in cui tutti gli attributi figurano come
elementi o momenti di una progressione infinita di cui la sostanza sarebbe l'espressione finale
o il risultato.
Siffatta concezione assolutamente estranea allo spinozismo, e M. Gueroult stesso ha spiegato
magistralmente: la numerazione [degli attributi] non finisce perch non mai iniziata, per la
buona ragione: non c' nessuna numerazione.90 Non si passa dagli attributi - che sarebbero
dati uno per uno - alla sostanza mediante una progressione all'infinito: L'assioma richiamato
alla fine dello scolio della proposizione 10 della parte I (quanta pi realt o essere ha [un ente],
tanti pi attributi avr) segue dall'idea che abbiamo di un essere assolutamente infinito, e non
dal fatto che ci siano, o ci possano essere enti che possiedano tre, quattro o pi attributi.91 Tra
la substantia unius attributi e la sostanza assolutamente infinita che possiede tutti gli attributi
non c' nulla, nessun intermediario che subordina questo passaggio alle regole di una
composizione meccanica. Perci preferibile presentare questo passaggio come un'inversione,
o come lo sviluppo di una contraddizione, la stessa che identifica nella sostanza la sua unit
assoluta e la molteplicit infinita delle sue essenze.
Se gli attributi si sommassero gli uni agli altri, o se si componessero tra loro per generare la
sostanza, cesserebbero di essere irriducibili, e la loro identit alla sostanza sarebbe, cio la loro
natura sostanziale, cos compromessa. In tal caso gli attributi non sarebbero pi essenze
infinite nel loro genere che non possono essere limitate da nulla, ma gradi di realt,
necessariamente diseguali, e disposti gli uni in relazione con gli altri nel contesto di una
gerarchia progressiva che li integrerebbe tutti insieme nellassoluto. Ma Spinoza cos lontano
da questa concezione leibniziana dell'ordine come da quella di Cartesio.
Da questo risultata una conseguenza molto importante. Abbiamo appena visto che gli attributi,
anche se sono realmente distinti, proprio perch sono realmente distinti, non sono come esseri
che potrebbero essere enumerati, anche se fosse in una prospettiva che va all'infinito, giacch
sarebbe ridurre la loro distinzione ad una distinzione modale, cio in un certo modo riflettere
l'infinito dal punto di vista del finito. E ci che vero per gli attributi lo a fortiori per la
sostanza che li contiene tutti: la sostanza non si conta pi degli attributi, almeno se si rinuncia
al punto di vista dell'immaginazione. Per questo la tesi della sua unicit cos difficile da
capire: giacch di fatto non ha in assoluto riferimento alla esistenza di un essere unico, di una
sostanza che esisterebbe in un solo esemplare, con l'esclusione di tutti gli altri possibili: Una
cosa non pu essere detta sola e unica prima che se ne sia concepita unaltra che abbia la
stessa definizione [come si dice] della prima. Ma, essendo l'esistenza di Dio la sua stessa
essenza, senza dubbio dire di Dio che solo e unico dimostra o che non si ha di lui unidea vera
o che se ne parla impropriamente.92 Perci, se Spinoza scrive che Dio unico, questo
significa [...], che in natura non esiste che un'unica sostanza (non nisi unam substantiam dari),
e che questa assolutamente infinita,93 certamente si deve intendere che questa nozione,
non nisi una, strettamente negativa, non ha alcun significato causale e quindi non pu
90
91
Lettera 64 a Schuller.
92
Lettera 50 a J. Jelles
intervenire nella definizione della natura divina: la sostanza assoluta unica, in realt, ma
solo una conseguenza, non della sua stessa realt, ma della nostra potenza di immaginare, che
forgia la finzione, non solo di due, tre o qualsiasi numero di sostanze, ma anche, pi in
generale, di sostanze esistenti in un numero determinato, tra le quali uno mai il primo. Dire
che non c' pi che una sola sostanza parlare all'immaginazione, che pu considerare
lassoluto solo negativamente, a partire dal nulla, cio, dalla parte del possibile che essa
implica. Per se stesso, Dio non uno, pi di quanto non sia due o tre, n bello o
brutto. Contrariamente a una tenace tradizione, va detto che Spinoza non era un monista pi di
quanto non fosse un dualista, n qualsiasi altra cosa, qualunque sia il numero col quale si
voglia cifrare questa finzione, buona al massimo per gli ignoranti o per gli schiavi.
93
94
sostanza estesa e che l'una limita l'altra. Questa frase mette insieme tre affermazioni che
sono in realt interdipendenti: 1) l'irriducibilit degli attributi presentata come separazione
tra sostanze; 2) queste sostanze esistono luna di fronte allaltra in una relazione di limitazione;
3) questa opposizione una relazione di due termini pensata in base alla distinzione tra
pensiero ed estensione. Ma la ragione disfa queste tre affermazioni e la logica che le associa
giacch considera le cose dal punto di vista della loro necessit. 1) gli attributi sono identici
nella sostanza che li comprende tutti; 2) pertanto non si oppongono luno allaltro, in un
rapporto necessariamente disuguale; 3) la loro natura inafferrabile fuori del fatto che sono
un'infinit che vieta che gli si applichi una numerazione.
La chiave del nuovo pensiero che Spinoza introduce in filosofia la tesi dell'identit degli
attributi nella sostanza nella quale sono unificati pur rimanendo realmente distinti. Questa
unit espressa in una proposizione ben nota. L'ordine e la connessione delle idee lo stesso
dell'ordine e la connessione delle cose.95 Si interpretata spesso questa proposizione come se
formulasse una relazione di convenienza, un accordo tra tutto ci che dipende dal pensiero ed
dallestensione. Questa interpretazione inammissibile. Infatti, sebbene in questo enunciato la
parola idee designa i modi dell'attributo pensiero, la parola cose (res) assolutamente non
designa, neppure in maniera restrittiva, i modi dell'attributo dell'estensione, ma i modi di tutti
gli attributi, quali che siano, compreso il pensiero stesso: le idee sono come cose, come
qualsiasi altra affezione della sostanza, sia quel che sia. La proposizione quindi significa che
tutto ci che sotto un attributo, cio in una forma di essere - quale che sia -, identico a ci
che sta sotto tutti gli altri attributi, esattamente allo stesso modo che identico a s: tornando
su s stesso, senza lasciare il proprio ordine, il pensiero scopre tutto ci che contenuto nella
sostanza, mentre questa si esprime nell'infinit di tutti i suoi attributi; verso questa
conclusione gi ci aveva condotto la teoria dell'adaequatio. Questo si pu dire di tutti gli
attributi, che sono identici a tutti gli altri, non in una relazione di comparazione, di
corrispondenza, di convenienza o di omologia, che implicherebbe la loro esteriorit reciproca,
ma nella loro natura intrinseca, che li unifica fin dall'inizio nella sostanza che li costituisce e che
essi costituiscono.
Conseguentemente, non ci saranno motivi per prospettare un'identit tra due, tre, quattro...
un'infinit di serie o attributi, il cui ordine e la cui connessione si riconoscerebbero come
concordanti. Si deve capire - cosa impossibile se ci si mantiene nel punto di vista
dellimmaginazione - che uno e medesimo ordine, una e medesima connessione ci che si
effettuata in tutti gli attributi e li costituisce in modo identico nel loro essere: la sostanza non
nientaltro che questa necessit unica che si esprime simultaneamente in un'infinit di
forme. Ci che si incontra in ciascun genere di essere che pertiene anche per definizione a tutti
gli altri non comporta nessun mistero: perci non vi nessuna necessit di far intervenir la
precondizione di una combinazione o di unarmonia. Vediamo quindi quanto sia ridicolo
presentare il monismo spinozista come un superamento del dualismo cartesiano: il modo
di pensiero messo in pratica da Spinoza produce i suoi effetti in un terreno completamente
diverso, in cui queste vecchie questioni della filosofia vengono semplicemente invalidate.
Da questo spostamento dei problemi deriva ancora una conseguenza: cos come gli attributi
non si limitino gli uni con gli altri in una relazione termine a termine che sarebbe
necessariamente una relazione di subordinazione, la nostra stessa conoscenza non limitata
dal fatto di apprende solo due attributi della sostanza. Cogliendone solo uno, secondo il suo
ordine e la sua connessione propri, essa comprenderebbe la sostanza tale come nella sua
necessit assoluta, cio nel concatenamento causale che ne costituisce lessere. Conoscere la
natura di un attributo, nella sua infinit intrinseca, allo stesso tempo conoscere quella di tutti
gli altri. Per questo, dice Spinoza, anche se percepiamo solo due degli attributi della sostanza,
non siamo per questo privati della conoscenza di tutti gli altri, nella misura in cui
comprendiamo che esistono necessariamente secondo un ordine e una connessione che sono
95
gli stessi che conosciamo. Cos, nei limiti prescritti da un intelletto finito, possiamo conoscere
tutto, cio pensare l'assoluto nella forma della necessit.
Tutto si sostiene quindi nel dispositivo teorico stabilito da Spinoza: l'infinit degli attributi,
concepita indipendentemente da ogni serie numerica, la condizione per cui sfuggiamo ai
dilemmi tradizionali della filosofia. Dal punto di vista dell'assoluto, ora non esiste pi tra i
generi che non sono incompatibili n diseguali - un faccia a faccia, ora non esiste pi pertanto
la necessit di giustificare la loro coesistenza o il loro accordo attraverso il compromesso di una
garanzia esterna, evidentemente arbitraria e irrazionale: la causalit della sostanza allo
stesso tempo la condizione e l'oggetto di un sapere assoluto, che pone solo relazioni
intrinsecamente necessarie il cui sviluppo immanente rende visibili le sue forme in s stesso, al
di fuori di ogni intervento di un libero arbitrio, sia posto sotto la responsabilit di un soggetto
finito o di un Soggetto infinito.
Lerrore di Hegel circa gli attributi
Per valutare il cammino percorso, ritorniamo ora a uno dei testi che Hegel dedica alla questione
degli attributi:
Inoltre, Spinoza determina gli attributi come infiniti, e precisamente infiniti anche
nel senso di una infinita molteplicit. In realt, in seguito, ne appaiono solo due di
essi, il pensiero e lestensione, e non viene indicato come la infinita molteplicit si
riduca per necessit solo all'opposizione, e precisamente a questa determinata
opposizione del pensiero e della estensione. Questi due attributi, per conseguenza,
sono trovati empiricamente. Pensiero ed essere rappresentano l'assoluto in una
determinazione; l'assoluto stesso la loro assoluta unit , cos che essi sono solo
forme inessenziali; l'ordine delle cose lo stesso di quello delle rappresentazioni o
pensieri, e lunico assoluto si trova considerato solo dalla riflessione esterna, cio,
da un modo, sotto quelle due determinazioni, una volta come totalit di
rappresentazioni, unaltra volta come una totalit di cose e loro variazioni. Cos
com questa riflessione estrinseca produce tale differenza, cos anchessa che la
riduce e la immerge nellassoluta identit. Pertanto questo movimento si realizza
fuori dall'assoluto. vero che esso stesso anche il pensare, e pertanto tale
movimento si effettua solo nell'assoluto; ma, come si gi osservato, nellassoluto il
pensiero sta solo come unit con lestensione, e, quindi, non come un movimento
che sia essenzialmente anche il momento dellopposizione.96
L'interesse di questa pagina - per questo bisogna citarla per intero che presenta insieme
un certo numero di affermazioni che applicate al loro oggetto dichiarato, la filosofia di Spinoza,
si dimostrano essere egualmente erronee; conseguentemente, verosimile che lequivoco di
Hegel a proposito della filosofia di Spinoza dipenda dalla logica che le ha generate, logica
che completamente estranea alla lettera e allo spirito dello spinozismo.
Prima di tutto, Hegel riduce gli attributi a forme esterne della riflessione, che hanno perso tutta
la reale interdipendenza con la sostanza da cui apparentemente procedono: non c' a partire
da qui alcuna giustificazione razionale per il movimento attraverso il quale sostanza passa
nel suoi attributi. Questa interpretazione presuppone - lo abbiamo mostrato sufficientemente che il rapporto tra la sostanza e i suoi attributi sia gerarchico e cronologico: la sostanza, che si
presenta allora come un fondamento immediato, viene prima dei suoi attributi ed pi di
quelli. Ma il concetto di attributo, come Spinoza stesso lo ha fissato, esclude proprio la
possibilit di una subordinazione, che ha senso solo in una prospettiva dell'eminenza.
Poi, per Hegel, la tesi secondo cui la sostanza si esprime in un'infinit di attributi non ha alcun
significato reale; per questo non la richiama che a titolo di indicazione, come una
considerazione meramente formale. Infatti, se ci si limita al contenuto, l'unit della sostanza
96
Logica, II.
sempre riflessa attraverso la relazione di due attributi che sono il pensiero e l'essere; ma
questo contenuto non pu essere giustificato razionalmente, riconosciuto solo
empiricamente. Hegel scrive altrimenti:
Spinoza pone la sostanza in cima al suo sistema e la definisce come l'unit di
pensiero ed estensione, senza dimostrare come arrivi a questa differenza e alla
riduzione di questa all'unit della sostanza.97
Lerrore di Hegel consiste qui nel porre la distinzione reale degli attributi come un rapporto
termine a termine, incarnato nella differenza tra i due attributi posti luno di fronte allaltro: in
tale prospettiva, inevitabile che tale distinzione appaia arbitraria, o che sia semplicemente
giustapposta all'unit della sostanza, data altrove. Ma abbiamo visto che, nella dimostrazione
di Spinoza, l'esistenza di un'infinit di attributi permette di scartare dal principio questa
difficolt: la reciproca irriducibilit degli attributi quindi perfettamente coerente con la loro
identit nella sostanza, la cui natura esprimono in tutti i generi possibili, fuori da ogni
restrizione empirica.
Di conseguenza, Hegel trasferisce l'identit di ordine che costituisce intrinsecamente la
sostanza a una corrispondenza formale tra due serie esterne, l'ordine delle cose (lestensione)
e l'ordine delle rappresentazioni (il pensiero): tra questi due insiemi non pu esserci che una
comunanza arbitraria ed esteriore, alla maniera dell'accordo decretato da Dio, nella filosofia
cartesiana, tra natura e ragione. Ma, dato che questa identit di ordine, nel senso letterale del
sistema di Spinoza, non consente in nessun modo di ridurre all'identit tra due ordini separati,
tutta questa problematica dell'accordo tra il pensiero e lessere, che presuppone la loro
separazione, viene evitata fin dal principio.
D'altra parte, che il pensiero si separi dal reale, che per Hegel la condizione del loro
ricongiungimento ulteriore nell'assoluto, svaluta il pensiero. Sebbene lo collochi in un rapporto
di parit con l'estensione, nella misura in cui propriamente trasferisce solo il pensiero
all'assoluto tramite il suo rapporto con estensione, questo ragionamento pone il pensiero in
una posizione di inferiorit rispetto l'assoluto: nellassoluto il pensiero sta solo come unit con
estensione, il che significa che non pu per s stesso, con un movimento proprio, uguagliarsi
con l'assoluto. Hegel dice ancora:
vero che la sostanza l'assoluta unit di pensiero e essere, ossia dellestensione;
contiene, pertanto, il pensiero stesso, ma lo contiene solo nella sua unit con
lestensione, vale a dire, non come separato esso stesso dall'estensione, e, di
conseguenza, in generale non come un determinare e formare, n come un
movimento che ritorna in e comincia da se stesso.98
Il pensiero non pu realizzare da se stesso la sua relazione con l'assoluto, poich necessario
che passi per l'estensione per scoprirsi come momento di ununit che si effettua solo nella
sostanza. Ma gi abbiamo detto abbastanza da non dover insistere oltre sul fatto che la
diversit infinita degli attributi, in Spinoza, implica che questi siano allo stesso tempo e
irriducibili e uguali nella sostanza. Cos la differenza tra il pensiero e lestensione, o qualunque
altra relazione tra attributi quale che sia, non ha come conseguenza la subordinazione di questi
alla sostanza, come ci che diviso da ci che unito, ma, al contrario, la loro assoluta
identificazione in essa. Ci che infinito solo nel suo genere non meno infinito di ci che
assolutamente infinito. Questo vero per il pensiero come per qualsiasi altro attributo in
generale.
97
98
Logica, II.
Infine, la distinzione tra gli attributi, riflessa attraverso la distinzione tra il pensiero ed
lestensione, interpretata da Hegel come una relazione di opposizione: la coesistenza di
queste forme esteriori anche il loro confronto, poich rappresentano in concorrenza la
sostanza unica e dividendosela. Perci, l'unit stessa della sostanza non se non la
risoluzione, il superamento di questo conflitto, la riunione nellassoluto di termini che, in s
stessi, sono separati e antagonisti: un'unit degli opposti, un'unit necessariamente astratta,
che ricostituisce formalmente, col ricorso all'intelletto, una totalit che era stata prima
artificialmente scomposta nei suoi elementi. Assistiamo alla trasposizione del sistema di
Spinoza in termini che ovviamente non sono i suoi, trasposizione che implicitamente fa
intervenire, con le sue nozioni di opposizione e contraddizione, la dialettica in senso hegeliano,
che sta alla base stessa della divergenza che separa le due filosofie.
Attraverso lo sviluppo di questa questione per s stessa riusciremo a far luce sulle ragioni,
cio , sulla posta in gioco, di tutta questa discussione. Perch non ci basta constatare che
Hegel si ingannato nella sua lettura di Spinoza, e che ha completamente frainteso il vero
significato del suo sistema. Dobbiamo anche, e prima di tutto, capire perch, sfidando
levidenza, ha voluto a tutti i costi far dire a questa filosofia esattamente il contrario di ci che
essa stabilisce, in un modo che non lascia spazio ad equivoci. Come se il suo discorso fosse
stato tanto intollerabile da rendere necessario, non riuscendo a rimuoverlo con una semplice
confutazione, sopprimerlo completamente, sostituendolo con la finzione di un discorso opposto
e ridicolo.
Accade che questultimo dibattito gira interamente intorno a una sola frase e alla sua
interpretazione: omnis determinatio est negatio.
decadenza. Il determinato ci che non pu essere colto che per difetto, secondo il
proprio difetto, la mancanza di essere, la negativit che lo determina: l'ineffettivo
che si mantiene a distanza della sostanza ed impotente a rappresentarla se non in
un'immagine inversa.
Hegel dice inoltre: Spinoza ha concepito la negazione in un modo che soltanto
astratto, come un principio d'alterazione indipendente dalla positivit che ha una volta
per tutte installata nell'assoluto. La negazione astratta la negazione considerata
restrittivamente, per difetto, in quanto soltanto negativa. Per Spinoza, il negativo
l'opposto del positivo, e non pu essere conciliato con esso, ma che permane sempre
irriducibile ad esso. In questo modo, tra il positivo che soltanto positivo - e che
esso stesso un'astrazione, poich comporta questa restrizione: la contraddizione
propria dello spinozismo che non pu lasciar introdurre la negativit nella sua sostanza
- e il negativo che soltanto negativo, nessun passaggio pu essere stabilito che
renderebbe effettivo il movimento del concetto e permetterebbe di comprenderne la
razionalit intrinseca. Per il fatto che l'assoluto un immediato, non c' nulla fuori di
esso; o piuttosto, fuori di esso non si ha che enti che possono essere misurati solo
negativamente, a partire dal nulla, dal difetto di sostanza che li compone intimamente
e che causa della loro fatticit.
Ritroviamo qui un'obiezione che conosciamo bene: la sostanza spinozista ha eliminato
del suo ordine proprio, come si eliminano corpi estranei, ogni determinazione, ed
questa chiaramente la condizione della sua identit assoluta con s. Cos non pu
avere con ci che essa non pi che delle relazioni estrinseche. Questo vero
dapprima per gli attributi o generi, che sono determinazioni della sostanza, e che
appartengono gi al mondo della finitudine. Si comprende anche che possono essere
compresi soltanto da un intelletto, cio un modo, che conferisce loro quest'esistenza
astratta e finita, aliena alla pienezza della sostanza. vero inoltre, e a fortiori, rispetto
ai modi stessi, o a ci che Hegel denomina gli individui, che, non avendo in se stessi il
loro principio d'esistenza, non sono veramente nulla in se stessi, se non apparenze
presto condannate a scomparire, che per esse il migliore modo di manifestare la loro
scarsa realt.
Quindi la filosofia di Spinoza, in contraddizione con la sua proclamata affermazione
della pienezza del positivo, in fondo un negativismo, come tutti i pensieri orientali:
Nello stesso modo, nella rappresentazione orientale dell'emanazione,
l'assoluto la luce che illumina se stessa. Tuttavia, non illumina soltanto s
ma anche ci che si emana. Le sue emanazioni sono distanze
(Entfernungen)dalla sua limpida chiarezza: le creazioni che seguono sono
pi imperfetti dei precedenti da cui procedono. L'espansione considerata
come un evento, il divenire soltanto come un perdersi continuo. Cos
l'essere si oscura sempre pi, e la notte, il negativo, il termine della serie,
che gi non fa ritorno alla prima luce. 99
Sorprendente inversione! Come non pu essere stabilita nessuna misura comune tra il
positivo ed il negativo, e che restano assolutamente esteriori l'uno all'altro, l'essere
nella sua luce primitiva condannato ad essere presto invaso dall'ombra che riempir
tutto il suo spazio, e che lo inabisser nel nulla non meno assoluto in cui si produce la
99
Logica, II.
sua abolizione. Ecco un altro testo nel quale Hegel descrive questa caduta in modo
impressionante:
La sostanza, cos com' la si apprende da Spinoza, senza mediazione
dialettica precedente, immediatamente, in quanto potenza universale
negativa, in una certa forma soltanto quest'abisso oscuro, informe, che
assorbe in s ogni contenuto determinato, poich essendo stato
originariamente il nulla [nant], e non produce niente [rien] che abbia in se
steso una consistenza positiva.100
la potenza universale negativa: nella misura in cui l'universalit della sostanza
vuota, e come tale condannata all'immobilit e alla morte, pu essere investita
soltanto da questa potenza inversa che la corrompe, che la disfa, e che allo stesso
tempo proclama la sua verit profonda, il Nulla [Nant].
Si vede dunque dove conduce la presentazione dell'assoluto come positivit pura: al
trionfo del negativo che realmente la sua fine. Allora ci che in gioco nel dibattito
appare chiaramente: riconoscendo al negativo una funzione costitutiva, e creando le
condizioni della sua alleanza, della sua unit con il positivo, si tratta soprattutto, per
Hegel, di difendere il positivo da s stesso, di impedire la sua decadenza che
inevitabile se cede alla tentazione di essere sufficiente a s stesso nella pienezza
vuota, astratta, del suo essere immediato. Rispetto a ci che apparivano inizialmente,
le posizioni sono ora esattamente invertite: rivendicando esclusivamente il positivo,
Spinoza ha scelto di fatto il negativo, o almeno vi si abbandonato, mentre Hegel,
accordando la sua parte di realt al negativo, ne fa lo strumento o l'ausiliario del
positivo a cui garantisce, a sua insaputa, il trionfo: astuzia della ragione. Ci significa
che nel negativo, a condizione che sia considerato in modo razionale, c' qualcosa che
tende al positivo; ed questo ci che sfugge necessariamente all'intelletto astratto
per il quale positivo e negativo, definitivamente esterni l'uno all'altro, sono anche
irriconciliabilmente opposti.
Questo arresto razionale del negativo ci che si esprime nell'idea di negativit
assoluta. Possiamo comprendere quest'idea soltanto abbandonando la sfera della
riflessione astratta, che rappresenta le cose nella loro rapporto immediato con loro
stesse: se le consideriamo nel loro movimento, vediamo che esse stesse sono soltanto
per il tramite di altro che riflettono in s. Questo passaggio negazione, negazione
dell'essere immediato; ma gi anche negazione della negazione, o piuttosto
negazione del negativo stesso, nella misura in cui scopre la cosa nel suo concetto, cos
come in e per s.
Ci che si designa comunemente con l'espressione negazione della negazione,
dunque la razionalit infinita del processo nel quale tutta la realt si effettua. Ma la
tendenza naturale di interpretare questa razionalit nei termini della riflessione
astratta. Diventa allora una relazione tra due termini, che sono due negazioni distinte
e successive. lo schema formale della triade, nel quale si riassume troppo spesso la
presentazione dellhegelismo, e che Hegel stesso ha espressamente ricusato:
dapprima un essere dato nella sua presenza immediata; poi la sua negazione, cio il
riconoscimento dell'altro che disfa questa immediatezza: infine una nuova negazione
100
Logica, II.
102
Scetticismo e filosofia.
104
Ibid.
105
Ibid.
L'unit del pensiero e dell'esistenza (die Einheit des Gedankens und der
Existenz) immediatamente allo stesso tempo posto [lessenza il
generale, il pensiero]; di quest'unit che si tratter eternamente. Causa
sui un'espressione importante. L'effetto opposto alla causa. La causa di
s la causa che produce un effetto, separa un altro, ma ci che fa uscire
s stessa. In questa fuoriuscita, essa supera cos la differenza; la posizione
di s come un altro la caduta ed allo stesso tempo la negazione di questo
declino. Si tratta di un concetto completamente speculativo. Noi ci
rappresentiamo che la causa produca un qualche effetto, e che l'effetto sia
qualcosa di diverso dalla causa. Al contrario, l'esteriorizzazione della causa
(das Herausgehen der Ursache) qui immediatamente superata, la causa di
s non produce che s; un concetto fondamentale per qualsiasi
speculazione. la causa infinita nella quale la causa identica all'effetto. Se
Spinoza avesse sviluppato pi da vicino ci che c' nella causa sui, la sua
sostanza non sarebbe stata l'Immobile.
una nuova contraddizione che Hegel scopre questa volta nella causa sui: la
contraddizione tra la causa e l'effetto. Questa contraddizione, che porta in s la
causalit della sostanza - poich la causa pu essere pensata soltanto in relazione ai
suoi effetti, nei quali si manifesta [esteriorizza] -, si vede dallinizio superata
nell'identit con se stessa della sostanza, che fonda l'unit degli opposti, causa ed
effetto. Ma questa dialettica si arrestata dal principio perch Spinoza, anzich far
coincidere il suo sistema con lo sviluppo di questa contraddizione, la d subito questa
come risolta, ponendo immediatamente l'identit con se stessa della sostanza.
Bellesempio di filosofia a colpi di pistola106, che esaurisce dall'inizio tutto il tenore del
suo contenuto, e non ha poi pi nulla da dire (pi nulla a dire che sia vero, sintende).
Sviluppare con pi precisione ci che c' nella causa sui non potrebbe significare che
una cosa sola: mantenere la contraddizione aperta tutto il tempo necessario alla sua
maturazione, affinch la sua soluzione comprenda tutti gli intermediari necessari alla
sua realizzazione, anzich richiuderla subito sotto l'impulso di quest'impazienza
teorica che richiede l'impossibile: raggiungere lobiettivo senza i mezzi. 107
Dalle prime righe dell'Etica, Hegel scopre dunque il segno dell'insufficienza
caratteristica dello spinozismo: presentata implicitamente, la contraddizione privata,
tuttavia, della sua spiegazione razionale in una esposizione ordinata e progressiva.
Nella sesta definizione, il cui oggetto Dio, Hegel scopre la stessa promessa di
razionalit incompiuta. Nel suo commento delle Lezioni, si interessa soprattutto alla
spiegazione che accompagna questa definizione, e che riguarda la differenza tra i due
infiniti, l'assolutamente infinito e l'infinito solo nel suo genere. Ecco questa
spiegazione, cos come stata formulata da Spinoza:
Dico assolutamente infinito, e non nel suo genere, poich, di ci che
meramente infinito nel suo genere, possiamo negare infiniti attributi, mentre
106 [...] l'entusiasmo che, come un colpo di pistola, comincia immediatamente con la conoscenza assoluta, e si
sbarazza degli altri punti di vista dichiarando che non sono degni di essere presi in considerazione (Prefazione alla
Fenomenologia).
107
Ibid.
per questo che non permesso dire, come ha fa Hegel, che manca alla filosofia di
Spinoza l'idea di negazione della negazione, e che sia essa la causa della sua
imperfezione o della sua incompiutezza. Poich dice Spinoza stesso, il termine
imperfezione significa che a un essere manca ci che tuttavia gli appartiene per sua
natura.108 Ma, l'idea di negazione della negazione, e la concezione molto
particolare della contraddizione che le sta legata, precisamente ci che il
ragionamento seguito da Spinoza esclude decisamente. I commenti di Hegel che
abbiamo appena riprodotto sono quindi, pi che erronei, incongruenti, nella misura in
cui applicano per forza alla dimostrazione spinozista il tipo di argomentazione che
questa aveva dovutamente eliminato fin dall'inizio, come lo stesso Hegel segnala in
un'altra parte. In tutti i modi, questa incongruenza non gratuita, ma
paradossalmente pertinente, poich mette chiaramente in evidenza, al contrario, una
caratteristica essenziale della filosofia spinozista, la sua resistenza ad una certa forma
d'argomentazione alla quale vano misurarla perch ne costituisce in anticipo la
confutazione: la dialettica hegeliana.
Il finito e linfinito
Ritorniamo ora alla formula omnis determinatio est negatio e vediamo quale il suo
significato per Spinoza stesso. Esso appare nella lettera 50 a J. Jelles, alla quale
abbiamo gi abbiamo fatto riferimento per spiegare che Dio, cos come lo concepisce
Spinoza, non pu che impropriamente essere caratterizzato come un essere unico.
Letteralmente c scritto: determinatio negatio est, e vi assume la forma di una
affermazione incidentale. Nel suo commento dell'Etica109 L. Robinson arriva a supporre
a che questa frase non sia della penna di Spinoza, la cui lettera era scritta
originalmente in Olandese, ma che sia stata aggiunta, come spiegazione, nella
versione latina. Senza arrivare a questa posizione estrema, vediamo subito quale
divergenza c' tra questa frase, cos come appare nel testo latino della lettera di
Spinoza, e ci che Hegel ne ha ricavato: da una proposizione incidentale che rinvia ad
un contesto molto particolare, sul quale ritorneremo, Hegel ne ha fatto una
proposizione generale, che assume un significato universale, con l'aggiunta di una
piccola parola che cambia tutto e che confonde molte cose: omnis.
Ma, nella lettera 50 a J. Jelles, Spinoza non affronta il problema della determinazione in
generale, ma lo prende in relazione a un caso molto particolare che quello della
figura. Occorre riprendere il passaggio integralmente:
Quanto al fatto che la figura una negazione, e non realmente qualcosa di
positivo, manifesto che la materia pura, considerata in modo indefinito,
non pu avere alcuna figura, e che la figura trova posto soltanto nei corpi
finiti e determinati. Poich chi dichiara di percepire una figura non indica con
ci null'altro che il fatto che concepisce una cosa determinata, ed il modo in
cui determinata. Dunque questa determinazione non appartiene alla cosa
secondo il suo essere (juxta suum esse), ma al contrario ci che essa non
108 Lettera 36 a Hudde.
109
(ejus non esse). per questo che dunque, essendo la figura soltanto una
determinazione - e la determinazione una negazione -, non potr, come
stato detto, essere altro che una negazione.
Questo testo non si presta ad alcun equivoco, purch lo si comprenda integralmente. Il
suo oggetto la figura, che una realt molto particolare nella misura in cui non
n un'idea n una cosa, ma un limite: in questo senso, non un essere fisicamente
reale, ma soltanto un ente di ragione, ed per questo che il suo contenuto negativo.
Cos, percepire una figura, non per niente percepire una cosa cos come , ma
concepirla come determinata, cio in quanto limitata da un'altra cosa: la figura non
esprime null'altro che questa limitazione reciproca che esiste tra corpi finiti e
determinati, e che li rappresenta non secondo il loro essere proprio, ma secondo ci
che essi non sono.
Per anticipare, accostiamo questa definizione di ci che dice Spinoza in un'altra lettera
in cui tratta, in altri termini, lo stesso problema:
Per quanto riguarda il tutto e le parti: considero le cose come parti di un
certo tutto, in quanto ciascuna di esse si adatta a tutte le altre, in modo tale
che stanno tutte tra loro, e per quanto possibile, armoniose e concordanti;
ma, in quanto queste cose si oppongono, ciascuna di esse forma allora nel
nostro spirito un'idea distinta e deve essere considerata non come una
parte, ma come un tutto (12. Lettera 32 di Spinoza a Oldenburg). 110
Percepire una figura, concepire una cosa come limitata da un'altra che le si oppone;
dunque considerarla come un tutto, e distinguerla dalle altre cose che non
appartengono a questa configurazione. Ma, se ci si mette ad un altro punto di vista,
secondo il quale al contrario essa si adatta, o si conf alle cose che appaiono qui come
agenti su di essa dell'esterno, essa si presenta come una parte, in rapporto a un tutto
che procede esso stesso da un'altra determinazione. Ne risulta, dapprima, che la
rappresentazione della figura dipende non dalla cosa che essa limita, ma dal punto di
vista dell'intelletto che la ritaglia nel concatenamento infinito delle cose singolari,
considerandola come un tutto. D'altra parte - e vedremo che quest'idea molto
importante per Spinoza -, la nozione di totalit, in quanto dipende da una tale
determinazione, non rappresenta l'esistenza positiva di un essere, che si afferma una
volta per tutte in un'individualit stabilita: ma comporta in s l'idea di una limitazione,
e, attraverso di essa, di una negazione. Qui si delinea la distinzione, scandalosa per
Hegel, tra sostanza e soggetto: la sostanza ci che non pu essere soggetto, nella
misura in cui, essendo assoluta, dunque indeterminata, non pu essere determinata
come un tutto; per contro, il soggetto ci che, per sua limitazione propria, non pu
essere sostanza.
Ci che problematico qui la nozione di determinazione. manifesto che, come
funziona nella lettera 50 a J. Jelles, non si applica a qualsiasi tipo di realt. Non
riguarda ovviamente gli attributi che sono essi stessi illimitati e la cui essenza non
comporta alcuna negazione: abbiamo sufficientemente spiegato che non si limitano
l'un l'altro, in conseguenza della loro infinit e la condizione del loro carattere
sostanziale; d'altra parte, sarebbe assurdo se si limitassero essi stessi, ed in s stessi.
110
Ma, la nozione di determinazione, cos come viene qui definita, pu anche applicarsi ai
modi, ad esempio al modo dell'estensione, la cui esistenza implica al contrario una
limitazione? Non sembra trattarsi neppure di questo.
Infatti, i corpi finiti e determinati non sono determinati in questo senso, cio
negativamente, a meno che un intelletto li concepisca dal punto di vista della loro
limitazione reciproca, indipendentemente dall'ordine effettivo della natura, all'interno
del quale essi convengono tra loro, come le parti di un tutto. Allora il concatenamento
dei modi si presenta come una successione discontinua, i cui termini sono separati per
il fatto che si negano gli uni agli altri, opponendosi. Ma questa rappresentazione
adeguata? Non lo certamente, nella misura in cui non conosce i suoi oggetti a partire
dalla loro causa, la sostanza infinita che si esprime in loro in modo assolutamente
continuo: ponendo il finito fuori dell'infinito, come il negativo rispetto al positivo, lo
considera dal punto di vista astratto dell'immaginazione che separa ci che
intimamente unito, e che interpreta ogni totalit come se fosse costituita in s stessa,
a partire dal rapporto delle sue parti.
Determinare l'estensione attraverso la figura, come ha fatto Cartesio, concepirla
negativamente, riportandola ad una relazione di limitazione reciproca, indifferente ed
incompleta, a un ordine astratto nel quale il movimento pu intervenire soltanto
dell'esterno:
Quanto all'estensione cartesiana concepita come una massa inerte, non soltanto
problematico ma completamente impossibile dedurne l'esistenza dei corpi. La materia
in quiete, infatti, perseverer nella sua quiete fintanto che in s; essa sar messa in
movimento soltanto da una causa esterna pi potente; per questo che non ho
esitato in precedenza ad affermare che i principi cartesiani della natura sono inutili per
non dire assurdi .111
anche comprenderla esclusivamente dal punto di vista del finito, a partire dal quale
la sua infinit non pu essere colta senza contraddizione, come indica chiaramente la
lettera 12 a Louis Meyer:
Scherzano, per non dire sragionano, quelli che pensano che la sostanza
estesa sia composta di parti, cio di corpi realmente distinti gli uni degli
altri. come se qualcuno cercasse, con l'aggiunta e l'accumulo di una
moltitudine di cerchi, di produrre un quadrato, un triangolo o qualche altro
oggetto di essenza radicalmente diversa da quella del cerchio.
Il modo la in cui procede l'immaginazione qui evidente: per apprendere l'estensione
la determina o la divide, e tenta in seguito di ricostituirla, di generarla, a partire dagli
elementi cos ottenuti. Ma questa genesi pu essere soltanto fittizia: non esprime
null'altro che l'impotenza dell'immaginazione a rappresentare l'infinito che
dividendolo, in modo strettamente negativo, dunque inadeguato alla sua essenza. Ora,
il quantitativo, preso cos come in s, cos come lo concepisce l'intelletto, appare al
contrario come indivisibile, cio non riducibile a parti discrete, che ne sono soltanto la
negazione e a partire dalle quali non pu essere compreso positivamente.
ci che, in un'osservazione del libro I della Logica dedicata al concetto della
quantit in Spinoza 112, Hegel designa con la nozione di quantit pura, appoggiandosi
allo scolio della proposizione 15 (Etica, l):
111
113
Spinoza, t. I.
Ma le cose non sono cos semplici, n cos decise. Non basta, per sfuggire
all'inclinazione dell'immaginazione, ristabilire una separazione netta tra l'infinito in
senso stretto, cio l'illimitato, e il finito, cio il limitato. Poich tale separazione, presa
alla lettera, generata anche dall'immaginazione: questa trascura un carattere
essenziale del finito, che non si spiega per s, che non nulla al di fuori dell'infinito al
che lo produce e di cui implica necessariamente il concetto. Da questo punto di vista,
l'esempio geometrico rientra anche in un altro dei casi distinti da Spinoza: quello di ci
che infinito per la forza della sua causa, che il proprio di tutti i modi, che siano essi
infiniti o finiti. La variazione delle distanze comprese tra i due cerchi non concentrici
anche infinita, non in s stessa poich limitata, ma come affezione della sostanza
che si esprime in essa come la causa nel suo effetto.
qui che apparentemente ritroviamo Hegel, poich questo, nonostante tutte le libert
che si prende con il testo di Spinoza, ne individua bene alcune tendenze essenziali. Da
un lato, infatti, Hegel ha capito che ci che in gioco nell'esempio un certo aspetto
del problema della causalit, rappresentato dalla relazione della sostanza con le sue
affezioni. D'altra parte, designa questa relazione con la nozione di infinito in atto
(infinitum actu), in un modo che sembra pertinente. Questa nozione appare in Spinoza
nel paragrafo che precede quello dove l'esempio geometrico esposto: coloro che,
dice, ignorano la vera natura delle cose perch la hanno confusa con gli enti di ragione
con i quali l'immaginazione tenta di rappresentarla (cio il numero, la misura ed il
tempo) negheranno l'infinito in atto (infinitum actu negarunt). Cos' un infinito in
atto? un infinito che non si d in una serie illimitata, dunque in modo virtuale o
potenziale, ma tutto d'un colpo: esso che presente in una realt limitata, come una
variazione compresa tra un minimo ed un massimo, in modo completo e presente,
per riprendere le parole di Hegel. Questa nozione, presa in prestito dal vocabolario
della scolastica, segnala che la posizione adottata da Spinoza sulla questione anche
lontana sia da quella di Cartesio che da quella di Leibniz: 117 per Cartesio, che procede
analiticamente a partire dalle evidenze di una ragione finita, l'infinito in atto
incomprensibile perch non pu essere costruito intuitivamente; per Leibniz, che
risolve il problema del continuo con il metodo del calcolo infinitesimale, c' soltanto un
infinito in potenza, dato eminenter sed non formaliter, dunque sempre al di l di un
limite assegnabile. L'affermazione di Spinoza dell'esistenza di un infinito in atto e della
sua razionalit estremamente importante, nella misura in cui esprime la presenza
effettiva dell'infinito nel finito, attraverso l'atto con il quale realmente lo produce:
questa presenza pu essere negata soltanto da quelli che riconducono la natura delle
cose ad un criterio numerico, cosa che li conduce ad ignorare l'infinit, o a
mascherarla nell'idea di una serie illimitata, che esclude la possibilit di un infinito in
atto.
Se adottiamo questa spiegazione, anche l'altra infedelt commessa da Hegel in
relazione al testo di Spinoza sembra poter essere giustificata. Infatti, se la nozione di
infinito in atto designa bene questa presenza immanente della causa nei suoi effetti
(Cfr. Etica, I, prop. 18: Dio causa immanente, ma non transitiva, di tutte le cose),
tutte le particolarit dell'esempio geometrico cos come esposto da Spinoza
sembrano superflue: qualsiasi modo finito, ad esempio la superficie compresa tra le
due circonferenze, che esse siano o no concentriche, o ancora, per riprendere un altro
esempio avanzato da Hegel, l'infinit dei punti compresi in un segmento di retta,
117
esprime un infinito, che implica formalmente (formaliter sed non eminenter) la sua
causa. Eccoci dunque rinviati al punto di partenza: perch Spinoza introduce
espressamente nel suo esempio l'idea di una variazione compresa tra un minimo ed
un massimo, variazione che dipende dal fatto che i due cerchi non sono concentrici?
Se Spinoza avesse voluto, col suo esempio geometrico, soltanto rappresentare l'idea
di un quantum finito che comporta tuttavia una infinit di parti ed eccede ogni numero
assegnabile, non avrebbe avuto bisogno di questa precisione; ma questa
semplificazione avrebbe reso allo stesso tempo inevitabile la riduzione di questa
infinit ad una relazione estensiva tra elementi, relazione considerata negativamente,
dunque in modo inadeguato alla natura stessa della cosa: sarebbe cos tornato al
punto di vista dell'immaginazione da cui cerca al contrario di smarcarsi. Ma, per
l'intelletto che afferra le cose cos come esse sono, secondo la loro causalit propria, si
tratta qui di tutt'altro infinito che deve essere compreso affermativamente, nel senso
proprio dell'affermazione assoluta di una qualsiasi natura: questa appare precisamente
in una variazione continua ma limitata - essa pu dunque essere considerata fuori di
qualsiasi determinazione di grandezza ( ci che indica la precisione fornita dalla
lettera 81 a Tschirnhaus) -, che procede intensivamente, non secondo una relazione
astratta e determinata negativamente, o numericamente, tra parti estrinseche, ma
con la potenza della causa che agisce in essa simultaneamente, e che la sostanza in
persona, nella forma del suo attributo estensione. Questa differenza tra le due infinit,
estensiva ed intensiva, fatta risaltare molto bene da G. Deleuze (20 - Spinoza ed il
problema dell'espressione, p. 183-186.).118
L'infinit intensiva esprime direttamente la relazione immanente, e non transitiva, che
lega la sostanza alle sue affezioni, e che conosciuta soltanto dall'intelletto. Da
questa conoscenza si ricava qualcosa di molto importante: l'infinit tale come pu
essere appresa nei modi non diversa da quella che costituisce la sostanza, ma
formalmente la stessa. Per questo le distinzioni che formula la lettera 12 a Louis Meyer
non possono essere riportate ad un'enumerazione di casi, dove ogni volta una forma
diversa di infinito sarebbe presentata, come se ci potessero essere diversi tipi di
infinito! Poich, ci che si esprime come causa sui nella sostanza come natura
naturante, o che si manifesta nel concatenamento inesauribile dei modi finiti come
natura naturata, che sia conosciuto adeguatamente, cio positivamente, dall'intelletto,
o rappresentato inadeguatamente, cio negativamente, dall'immaginazione, sempre
lo stesso infinito che agisce necessariamente.
Qui occorre prendere sul serio l'idea che l'infinit della sostanza passa,
intensivamente, in tutti i suoi modi senza dividersi: tutta l'estensione, indivisibilmente,
in una goccia d'acqua, cos come tutto il pensiero presente in atto in ciascuna idea
e la determina necessariamente. Ed per questo che se una sola parte della materia
fosse distrutta, immediatamente l'estensione intera verrebbe meno 119, e lo stesso
accadrebbe per le idee che sono parti del pensiero. Cos la continuit inalterabile
che costituisce tutta la realt modale, quali che siano i limiti nei quali la si esamina,
quale che sia la scala con la quale la si considera, esprime per eccellenza l'assoluto,
cio l'unit della sostanza: la conoscenza di quest'infinito in atto che costituisce
l'amore intellettuale di Dio, o la conoscenza di terzo genere.
118
119
Lettera 4 a Oldenburg.
La determinazione
Il punto di vista razionale dell'intelletto essenzialmente affermativo: al punto che,
apparentemente, qualsiasi negativit debba essere attribuita al punto di vista
120
121
122
Etica, I, def. 2.
123
Lettera 36 a Hudde.
comporta alcuna imperfezione, e che non possono essere detti determinati nel senso
che non sono limitati da una cosa della stessa natura.
Tuttavia, occorre fare ben attenzione a ci: la nozione di indeterminazione deve essere
presa qui in modo assolutamente positivo. Ma l'inclinazione delle parole, al contrario,
ci trascina in senso inverso quando designamo una realt assolutamente positiva con
un termine negativo o privativo. Ma, secondo Spinoza, le parole, prese in se stesse,
non esprimono la realt che pretendono di rappresentare, ma il punto di vista
dell'immaginazione che gli sostituisce le sue finzioni. Questo ci che conferma
particolarmente tutto il vocabolario col quale cogliamo l'assoluto:
[] come le parole formano parte dell'immaginazione, cio noi concepiamo
molte finzioni, a seconda che le parole si compongano confusamente nella
memoria in virt di qualche disposizione del corpo, indubbio che le parole,
proprio come l'immaginazione, possono essere causa di molteplici e grandi
errori, a meno che non facciamo un grande sforzo per guardarci da loro.
Aggiungiamo che sono formate secondo il capriccio e la comprensione del
volgo; cos non sono nientaltro che segni delle cose tali come sono
nell'immaginazione e non tali come sono nell'intelletto. Ci risulta
chiaramente dal fatto che a tutte le cose che sono soltanto nell'intelletto, e
non si trovano nell'immaginazione, le si imposto spesso dei nomi negativi,
come: immateriale, infinito, ecc., e che si esprimono in modo negativo
anche molte cose che, in realt, sono positive, e viceversa: cos increato,
indipendente, infinito, immortale, ecc., certamente perch immaginiamo
molto pi facilmente i loro opposti; pertanto questi si presentarono allinizio
ai primi uomini e usurparono i nomi positivi. Affermiamo e neghiamo molte
cose perch queste affermazioni e queste negazioni sono conformi alla
natura delle parole e non alla natura delle cose; in modo che, se lo
ignorassimo, prenderemmo facilmente per vero qualcosa di falso 124.
Chi volesse, in modo hegeliano, interpretare l'indeterminazione della sostanza
spinozista nel senso della negazione di una negazione (determinazione = limitazione;
indeterminazione = soppressione di questa limitazione starebbe allora perdendo
tempo: cadrebbe in una speculazione puramente verbale. vero che, sulla questione
della natura del linguaggio, Hegel e Spinoza hanno anche posizioni divergenti: Hegel
non ammetterebbe che la disposizione delle parole, sottoposta a leggi puramente
corporali, sia messa fuori dall'ordine razionale del pensiero.
Dalla parte di Spinoza, le cose sono dunque perfettamente chiare: la nozione di
indeterminazione in s, invito vocabulo, positiva. Ma, ci significa che la nozione di
determinazione, che costituisce apparentemente il suo opposto diretto,
necessariamente negativa? Quest'opposizione non imputabile precisamente
all'immaginazione che riflette sulle parole, e che non vede le cose cos come sono?
In effetti, Spinoza non usa il termine determinatio soltanto nel senso di una
limitazione, le cui implicazioni sono negative. ci che appare fin dalla settima
definizione del libro I dell'Etica: detta libera quella cosa che esiste per la sola
necessit della sua natura ed determinata (determinatur) da s sola ad agire; [
detta], al contrario, necessaria, o piuttosto coatta, quella che determinata
(determinatur) da un'altra ad esistere e a produrre un effetto secondo una ragione
124
certa e determinata (determinata). Dal punto di vista che qui ci interessa, questa
frase porta un'indicazione molto importante, in quanto applica l'idea di una
determinazione tanto alla realt della sostanza che a quella dei modi: la libert che
appartiene alla causa sui non l'attivit indifferente ed arbitraria di un essere che non
sarebbe determinato ad agire da alcuna causa, alla maniera di quel Dio
incomprensibile le cui iniziative (decisioni) sostengono tutta la costruzione della
filosofia cartesiana. Dio non meno determinato ad agire delle cose che dipendono da
lui: si potrebbe anche dire che lo di pi nella misura in cui riunisce in s tutte le
perfezioni. La sostanza indeterminata non dunque libera da ogni determinazione,
ma, al contrario, determinata da una causa o ragione necessaria, che la sua
propria natura.
Tutto ci diventa perfettamente chiaro se ci si ricorda che l'azione della causa libera
che genera se stessa (natura naturante) non differisce affatto dell'azione causale che
si compie nelle cose che non hanno la loro causa in se stesse (natura naturata). Ma
esse sono un solo e medesimo atto: Dio non si produce da nessun'altra parte che nelle
sue affezioni. Se in Dio non fosse data alcuna determinazione, sarebbe l'esistenza
delle cose e la sua propria che sarebbero rimesse in questione.
Occorre ancora aggiungere che Dio per le cose singolari una causa non soltanto in
quanto esse esistono, ma anche in quanto producono esse stesse degli effetti, il che
significa che sono completamente determinate in Dio: Una cosa che determinata a
produrre un qualche effetto stata determinata cos necessariamente da Dio: e quella
che non stata determinata da Dio non pu determinarsi da se a produrre un
effetto125. Il concatenamento delle determinazioni finite, che si svolge all'infinito.
dunque esso stesso completamente determinato in Dio, e ci perch egli non ammette
in s stesso alcuna contingenza, cio nessuna indeterminazione.
Ne risulta che, associata all'idea di una causalit che identica in Dio ed in tutto ci
che dipende da lui, la nozione di determinazione ha un impiego essenzialmente
positivo, poich produrre un effetto non pu essere in alcun modo il segno di
un'imperfezione: Ci per cui le cose sono determinate a produrre un qualche effetto
necessariamente qualcosa di positivo, come di per s noto 126. Per questo motivo il
collegamento che unisce la nozione di determinazione a quella di negazione si trova
sciolto.
Ci significa che la nozione di determinazione, cos come funziona nel sistema di
Spinoza, ambigua perch rinvia ad una molteplicit di impieghi che sono del resto
contradittori? Non del tutto caratteristico, al contrario, che Spinoza utilizzi lo stesso
termine per designare la causalit infinita che si esercita a partire dalla sostanza e la
causalit finita che si compie nei modi, segnalando con ci che non si tratta di due
fenomeni indipendenti? Dunque, se la nozione di determinazione pu essere presa allo
stesso tempo in un senso positivo ed in un senso negativo, perch ricusa in se
stessa l'opposizione tradizionale di positivo e negativo. Ed eccoci nuovamente molto
vicini a Hegel, ma seguendo una via diversa da quella che Hegel ha preso: se il
funzionamento del concetto di determinazione di Spinoza riduce a niente l'opposizione
tradizionale di positivo e di negativo, ci non perch la supera, o perch la
risolve come una contraddizione razionale, ma pi semplicemente perch la ignora.
125
126
In questo movimento appare una dialettica che non certamente quella di Hegel:
questa una ragione sufficiente per dire che non si tratta, in generale, di una dialettica?
I modi infiniti
Secondo alcune formulazioni precedenti, si potrebbe credere che la relazione della
sostanza con le sue affezioni riproduca quella che intrattiene anche con i suoi attributi:
qui come l, in un senso orizzontale come in un senso verticale, se si pu dire, si
ritrova lo stesso tipo d'unit, che integra una diversit, conferendole la sua razionalit.
Non significa questo che quest'unit l'unit formale di un procedimento che riduce
qualsiasi realt alla stessa cosa, confusamente, ignorando, cancellando, le sue
articolazioni effettive? Per rispondere a quest'obiezione, occorre meglio caratterizzare
il passaggio dall'assoluto al relativo, con il quale si compie la esteriorizzazione della
sostanza, o la sua determinazione.
L'aspetto pi singolare di questo passaggio rappresentato dalla stupefacente teoria
dei modi infiniti che appare nelle proposizioni 21,22,23 ed nello scolio della
proposizione 28 del libro I dell'Etica, che espone, con una concisione estrema, i mezzi
con i quali l'infinito agisce nel finito. Il fatto stesso che ci siano modi infiniti dimostra
bene che l'infinit non appartiene esclusivamente alla sostanza ed ai suoi attributi, cio gli individui - restando i modi al contrario chiusi nella loro finitudine, segnati cos
in maniera strettamente negativa, come Hegel finge di credere: come abbiamo
appena visto, non ci sono due ordini di realt, luno sostanziale ed infinito, l'altro
modale e finito, ma una sola e medesima realt continua ed indivisibile, determinata
da una legge di causalit unica, nella quale finito e l'infinito sono legati
indissolubilmente; i modi infiniti sono in certo modo il luogo dove si annoda
quest'unit, dove si effettua la trasformazione, o anche la determinazione, dell'infinito
nel finito.
In effetti, i modi infiniti si definiscono in un primo approdo per la loro funzione di
transizione: si presentano come intermediari che garantiscono una sorta di
conciliazione tra la sostanza infinita ed i modi finiti. ci che indica apparentemente lo
scolio della proposizione 28: Alcune cose hanno dovuto essere prodotte
immediatamente da Dio, vale a dire quelle che seguono necessariamente della sua
natura assoluta, e per la mediazione di queste prime, altre che non possono tuttavia
n essere n essere concepite senza Dio (Etica, I). Quest'aspetto anche rafforzato
dallo sdoppiamento che Spinoza opera all'interno dei modi infiniti stessi, proponendo
una distinzione tra modo infinito immediato, che procede della natura assoluta di ogni
attributo e lo esprime immediatamente (I, prop. 21) e modo infinito mediato, che
deriva dagli attributi che sono gi modificati (I, p. 22). Questa divisione interna sembra
confermare la funzione che assegnata al modo infinito nell'economia dinsieme del
sistema: provvedere i mezzi per un passaggio graduale, una sorta di evoluzione
continua che conduce dall'assoluto al relativo. Occorre dire anche che questo il
punto per eccellenza dove il sistema spinozista si presenta come una costruzione
formale, che moltiplica le nozioni astratte per risolvere le difficolt che sorgono dallo
sviluppo del suo proprio ragionamento; ma queste nozioni, che meriterebbero
certamente di essere esposte pi chiaramente di come non lo sono nel libro I
dell'Etica, sono cos astratte come sembrano? Sono effettivamente conformi alla
funzione con la quale le abbiamo definite?
128
Spinoza t. II.
129 .Ibid.
130
131
134
135
dell'Etica: Sentiamo che un corpo affetto in molti modi, che interviene nella
dimostrazione della proposizione 51 del libro III: Il corpo umano affetto dai corpi
esterni in un gran numero di maniere. Orbene condivide questa propriet con tutti i
corpi ed al limite con tutte le cose. La formula certa et determinata ratione, che
identifica nel discorso spinozista tutto ci che esiste nella forma della finitudine, non
rinvia dunque all'idea di una determinazione elementare, unica, e che come tale
potrebbe essere isolata, ma a quella di una determinazione complessa, che comporta
un'infinit di determinazioni:
Se fosse data in Natura una cosa che non abbia con le altre alcun
commercio e che ne fosse data un'essenza oggettiva, che dovrebbe
convenire in tutto con l'essenza formale, questa non avrebbe alcun
commercio con le altre idee, cio noi non ne potremmo concludere nulla. E,
al contrario, le cose che hanno commercio con le altre, come lo sono tutte
quelle che esistono in Natura, saranno comprese e le loro essenze oggettive
avranno anche un commercio simile, in altre parole, se ne potr dedurre da
altre idee che a loro volta avranno commercio con altre. 136
Come quello di tutte le cose, il concatenamento delle idee interminabile: come
abbiamo mostrato precedentemente, non ci sono per Spinoza idee prime o ultime, ma
c' sempre gi, ci saranno sempre ancora idee, prese in un ordine infinito di cause che
le concatena interminabilmente le une alle altre, e che impedisce che siano mai
sufficienti a se stesse; l'idea adeguata non un'idea semplice - un atomo intellettuale
- che potrebbe essere presentato in un'intuizione elementare ed isolata: la ragione
finita conosce solo attraverso l'infinit che agisce in essa, e cos conosce
assolutamente, senza limitazioni formali. ci occorre dire anche di tutte le cose
finite, che esistono in se stesse, secondo la loro essenza propria, ma non per se
stesse, come se la loro esistenza potesse dedursi dalla loro essenza.
per questo che, per quanto sorprendente ci possa sembrare, occorre dire che i
corpi pi semplici non sono corpi realmente semplici, nella misura in cui tutto ci
che reale anche irriducibile ad elementi isolati: esistono soltanto cose complesse.
Secondo la definizione che ne d Spinoza, i corpi pi semplici sono quelli che si
distinguono gli uni dagli altri soltanto per il movimento ed la quiete, la velocit e la
lentezza:137 vale a dire che ci sono corpi che si considerano soltanto sotto
quest'aspetto, ad esclusione di tutti gli altri. I corpi pi semplici sono dunque
astrazioni, enti di ragione, che permettono di costruire un discorso sulla realt, ma che
non esistono in essa sotto una forma tale che possano essere isolati: in questo senso,
M. Gueroult determinato a distinguere una fisica astratta dei corpi pi semplici ed
una fisica concreta dei corpi composti, che prende per oggetti gli individui
effettivamente esistenti.138 Allora acquista tutto il suo senso un'indicazione del
Trattato della riforma dell'intelletto, che abbiamo gi riportato, secondo la quale la
conoscenza delle cose singolari dipende da quella delle cose fisse ed eterne:
136
139
142
Etica, I, appendice.
che appartiene al suo genere, secondo un concatenamento causale identico in tutti gli
attributi. Allo stesso tempo, indica la potenza di Dio che agisce in essa - e non affatto
su essa - con la necessit immanente della sua essenza. Infine, elimina la
rappresentazione di un'unit interna, o di un Ordine della natura, che soltanto una
comodit del ragionamento, ma che rende incomprensibile la sua realt infinita
limitandola fittiziamente.
Se ne deve concludere un'identit assoluta dell'infinito e del finito: questi non sono
come due ordini indipendenti, tra i quali si potrebbe soltanto instaurare un rapporto di
corrispondenza o di sottomissione; ma occorre dire che non sono nulla l'uno senza
l'altro, che non sono nulla l'uno al di fuori dell'altro, se non dal punto di vista astratto
dell'immaginazione che li separa. Su questo punto, l'interpretazione hegeliana della
nozione di determinazione, che tende ad isolare le affezioni dalla sostanza, come se
non fossero che esistenze fittizie rispetto alla sua essenza immutabile, insostenibile.
143
Ibid., t. III.
immutabile ed inseparabile dall'essenza del suo soggetto, come una sostanza ha per
attributo di esistere di per s; non si tratta dunque di un modo, cio, secondo Cartesio,
in un maniera di essere variabile, che pu essere modificata senza che cambi
l'essenza della cosa a cui appartiene: cos l'estensione, considerata in s, non
modificata in nulla dal fatto che pu assumere diverse forme (sferiche, quadrate,
ecc.), e lo stesso vale per il pensiero. Ci stabilito, anche se il principio non opposita
sed diversa fosse ammissibile, non si applicherebbe qui: l'identit con se stessa di
una sostanza che passa nei suoi attributi, che sono quindi immutabili, esclude anche
che questi siano diversi, poich ci introdurrebbe nella sostanza da cui dipendono
un principio di cambiamento.
Ma il principio sul quale si appoggia Regius, non opposita sed diversa, esso stesso
inaccettabile. L'obiezione che Cartesio gli oppone ci pu sorprendere, poich consiste
in un richiamo al principio di contraddizione. Ora, abbiamo appena visto che Cartesio
stesso ha rimesso in questione l'universalit di questo principio, affermando che non
pu essere applicato a tutte le cose nelle quali la perfezione infinita di Dio si esprime
direttamente e che sfuggono alla nostra ragione finita; ma, se l'universalit di questo
principio scossa da tutto ci che eccede il nostro potere di conoscere, e deve restare
per noi incomprensibile, quest'ultima resta tuttavia inattaccabile per tutto ci che
rimane nei limiti della luce naturale, di cui costituisce - come abbiamo visto - un
criterio oggettivo di verit. Il ragionamento di Regius dunque difettoso perch
contradittorio:
Aggiunge "che questi attributi non sono opposti ma semplicemente
diversi". In ci c' ancora una contraddizione: poich, quando si tratta di
attributi che costituiscono l'essenza di sostanze alcune, la pi grande
opposizione tra loro pu essere soltanto di essere diversi. E allorch
confessa che uno diverso dall'altro, come se dicesse che uno non
l'altro. Ma essere e non essere sono opposti. [...] Per quanto riguarda questi
tipi di attributi che costituiscono la natura delle cose, non si pu dire che
sono diversi e che non sono in alcun modo compresi l'uno nella nozione
dell'altro, convenendo ad uno solo e medesimo soggetto: poich come se
si dicesse che un solo e medesimo soggetto abbia due nature diverse; cosa
che implica una contraddizione manifesta, almeno quando si tratta, come
qui, di un soggetto semplice e non di un soggetto composto. 148
Nel caso di una sostanza semplice e non composta (come proprio la natura umana
che l'unione di un'anima e di un corpo), assurdo pensare degli attributi distinti in
uno stesso soggetto in cui debbano precisamente opporsi, come nature
incompatibili o esclusive. Di qui la necessit, al contrario, di concludere dalla diversit
degli attributi la distinzione delle sostanze da cui essi dipendono: essendo queste
irriducibili l'una all'altra, come i soggetti di due proposizioni grammaticali distinte,
potendo essere dette solo diversa sed non opposita, precisamente nella misura in
cui, essendo esterne l'una all'altra, non danno luogo a contraddizione.
La concezione spinozista degli attributi, tra cui il pensiero e l'estensione, non ha
certamente nulla a che vedere con il materialismo elementare e confuso di Regius;
tuttavia, cade sotto i colpi dell'obiezione di Cartesio: non perch scarta, tra il pensiero
148
Le essenze singolari
Spinoza prende posizione di fronte alla ragione classica, di cui ricusa l'ordine
immutabile e formale, facendone un uso aberrante, deviante, o per lo meno differente
del principio di contraddizione. Spieghiamoci di pi su questo punto.
Questo principio logico tradizionale introdotto nel libro III dell'Etica, in un posto ed in
una formulazione che meritano riflessione:
Le cose sono di natura contraria, cio che non possono essere nello stesso
soggetto (in eodem subjecto esse), nella misura in cui luna pu distruggere
l'altra.149
Ci significa che gli opposti si escludono, e che non possono coesistere, cio, come
indica la dimostrazione, convenire tra loro (inter se convenire), per costituire
insieme uno stesso essere, o uno stesso soggetto.
Qui riappare la stessa divergenza tra Spinoza ed Hegel: per quest'ultimo, non soltanto
gli opposti possono molto bene coesistere in uno stesso soggetto, ma proprio
quest'unit degli opposti che costituisce la natura del soggetto come tale, in quanto
il processo vivo ed autonomo del suo sviluppo. Espellendo dal soggetto ogni negativit
interna, Spinoza non fa apparentemente che manifestare la sua impotenza a pensare
una dialettica del soggetto, cio una dialettica che trova le sue condizioni nel soggetto
stesso, nel suo soggetto: punto di vista della sostanza. Tuttavia, le cose non sono cos
semplici: si potrebbe anche dire che ci che Spinoza rifiuta di pensare la dialettica in
un soggetto, come far precisamente Hegel? Allora una nuova via aperta, anche se
Spinoza non la percorre effettivamente: porre il problema di una dialettica della
sostanza, cio di una dialettica materiale che non presuppone il suo compimento nelle
sue condizioni iniziali per mezzo di una teleologia necessariamente ideale. Ma tale
dialettica l'impensabile hegeliano.
Ritorniamo al libro III dell'Etica: la proposizione 5 vi enunciata in maniera
assolutamente generale, e la sua dimostrazione che procede per assurdo, facendo
riferimento soltanto alla proposizione precedente evidente per s stessa, mostra
bene che si tratta di una sorta di assioma, di un principio formale che non riguarda
alcuna realt in particolare, ma che espone una condizione universale di ogni pensiero
razionale: essa sembra dunque avere principalmente un significato logico, e potere
essere riportata all'enunciato tradizionale: una cosa non pu essere allo stesso tempo
se stessa ed il suo opposto.
Tuttavia, il senso di questa proposizione pu essere completamente determinato
soltanto nel suo contesto. Perch Spinoza ricorda questo principio generale, dandogli
la forma di una proposizione, nel corso della sua argomentazione? chiaro che le
proposizioni 4 e 5 del libro III dell'Etica, che sono in fondo agli assiomi, fungono da
preambolo alla presentazione della nozione di conatus, il cui significato al contrario
completamente reale e determinato, al quale sono dedicate le proposizioni seguenti:
Ogni cosa, per quanto in essa (quantum in se est), si sforza di
perseverare nel suo essere (in suo esse perseverare conatur) (prop. 6).
149
Lo sforzo (conatus) con il quale ogni cosa cerca di perseverare nel suo
essere non nullaltro di distinto dall'essenza attuale di questa cosa (nihil
praeter ipsius rei actualem essentiam) (prop. 7).
Cos, una cosa singolare o finita, nella quale la potenza di Dio si esprime in modo certo
e determinato (certo et determinato modo) attraverso uno dei suoi attributi, tende
naturalmente a conservare il suo proprio essere, e questa tendenza costituisce la sua
essenza, poich vi esprime tutto ci che in essa (quantum in si ): poi questa
essenza, ed il conatus che la effettua, si oppone a tutto ci che pu distruggerla o
sopprimere la sua esistenza (existentiam tollere), come indica la dimostrazione della
proposizione 6. Infatti, nessuna cosa pu essere distrutta se non da una causa
esterna ad essa (prop. 4), poich non possibile che uno stesso atto affermi la sua
essenza e la neghi al tempo stesso. per questo che, secondo la sua essenza propria
o attuale, qualsiasi cosa tende a perseverare nel suo essere indefinitamente.
Quest'argomentazione conferma ancora, apparentemente, l'interpretazione di Hegel,
nella misura in cui mostra che Spinoza resta attaccato al concetto classico di una
negativit finita, negazione esterna che elimina e che esclude, al di fuori di ogni
discorsivit immanente o lavoro del negativo che ritorna su se stesso, precisamente
per costituire un'essenza: il conatus un movimento assolutamente positivo, nel quale
si esprime un'attivit ed una potenza, al di fuori di qualsiasi limitazione, di qualsiasi
esclusione. Tuttavia, se ci si ferma in questo punto, non si comprende pi molto bene
perch questa realt si afferma e si effettua tendenzialmente in un conatus.
D'altra parte, il ragionamento di Hegel vacilla su un altro punto, poich questo
movimento con il quale una cosa tende a conservare il suo proprio essere
precisamente la sua essenza attuale, o anche, come Spinoza scrive in altra parte, la
sua essenza singolare, che la fa essere, non assolutamente come lo pu soltanto la
sostanza, ma in maniera certa e determinata come un'affezione particolare della
sostanza, presa in uno dei suoi generi. La nozione di conatus rinvia dunque
direttamente a quella di determinazione, della quale rimuove ogni negativit interna:
nella misura in cui una cosa determinata come tale (quantum in se est) per il suo
rapporto immanente alla sostanza di cui un'affezione, essa si oppone
tendenzialmente a tutto ci che ne limita la realt, minacciando di distruggerla.
allora certo che la determinazione non in se stessa una negazione, ma al contrario
un'affermazione: allora l'argomentazione di Hegel, secondo la quale Spinoza pensa la
determinazione soltanto per difetto, dunque come l'ineffettivo, diventa caduco.
C' dunque per Spinoza un concetto positivo della determinazione che sembra del
resto rimettere in questione le definizioni iniziali che davano la sua base al sistema:
detta finita nel suo genere la cosa che pu essere limitata da un'altra
della stessa natura (I, def. 2).
Con modo, intendo le affezioni della sostanza, in altre parole ci che in
altra cosa, per la quale anche concepito (I def. 5).
[...] chiamo necessaria, o piuttosto, coatta, la cosa che determinata da
un'altra ad esistere e a produrre un effetto secondo una ragione finita e
determinata (certa e determinata raziona) (I, def. 7).
propriet comuni. Risulta immediatamente da questa definizione che gli individui non
esistono assolutamente, ma relativamente a circostanze o a un punto di vista:
Per cose singolari intendo le cose che sono finite ed hanno un'esistenza determinata;
se pi individui concorrono in una stessa azione in modo che tutti siano causa allo
stesso tempo di uno stesso effetto, li considero tutti a tale riguardo (eatenus) come
una stessa cosa singolare.151
A tale riguardo: l'unit che costituisce un individuo non affatto eterna, ma dipende
dalle condizioni che la fanno e la disfanno.
Da dove proviene quest'unione? Da un principio interno di raccolta che legherebbe tra
loro elementi diversi, secondo il loro proprio essere, per costituire la realt singolare
ed originale dell'individuo? Cos i finalisti, quando vedono la struttura del corpo
umano sono colpiti da uno sciocco stupore e, siccome ignorano le cause di un cos di
un bell'accordo, concludono che non formato affatto meccanicamente, ma da un'arte
divina o sovrannaturale, ed in modo tale che nessuna parte nuoccia all'altra (Etica, I,
appendice), come se si completassero secondo il principio di un'armonia immanente.
Ma i corpi singolari che compongono individui nell'estensione vi sono attaccati gli uni
contro gli altri, da una costrizione che necessariamente esterna, e non per la
necessit interna di un'essenza che tende indefinitamente a perpetuarsi. Per
riprendere un'espressione di M. Gueroult, la genesi degli individui si spiega con la
pressione dei fattori ambientali,152 cio con un'azione meccanica, un concatenamento
di determinazioni che si articolano, o, piuttosto, che sono articolate tra loro, al di fuori
di ogni ragione intrinseca: questa riunione momentanea assume allora la forma
specifica di una costrizione.
L'individuo, o il soggetto, non esiste dunque per se stesso, nella semplicit irriducibile
di un essere unico ed eterno, ma composto dall'incontro di esseri singolari che si
accordano congiunturalmente in esso, quanto alla loro esistenza, cio che vi
coesistono, ma senza che quest'accordo presupponga una relazione privilegiata,
l'unit di un ordine interno, al livello delle loro essenze, che sussistono in modo
identico, quali com'erano in se stesse prima di essere cos raccolte, e senza essere per
nulla affette.
Prendiamo un esempio di una tale associazione. Abbiamo appena ricordato che i
finalisti hanno spesso preso il corpo umano come il modello di un'organizzazione
integrata, e la sua perfezione ha suscitato il loro sciocco stupore. Ecco come
Spinoza risolve questo problema, appoggiandosi alla definizione dell'individuo che
abbiamo appena commentato (prop. 13):
Le parti che compongono il corpo umano non appartengono all'essenza del
corpo stesso se non in quanto si comunicano le une alle altre i loro
movimenti secondo un certo rapporto (certa ratione)[], e non in quanto
possono essere considerate come individui, a prescindere dal loro rapporto
col corpo umano (55. Etica, II, dim. di prop. 24). 153
151
152
154
155
da questa relazione, e cos via all'infinito, poich l'analisi della realt , secondo
Spinoza, interminabile, e che non pu mai condurre ad esseri assolutamente semplici,
a partire dai quali sarebbe costruito il sistema complesso delle loro combinazioni.
Esistono, propriamente parlando, solo relazioni: per questo che le essenze singolari,
che sono determinate in se stesse, non sono affette dal concatenamento esterno delle
esistenze: per questo che non possono essere raggiunte da un'analisi che
scoprirebbe il semplice al termine del complesso, come un elemento terminale,
un'unit irriducibile. Le essenze non sono le unit costitutive di un tutto, cos come
non sono delle totalit, che unificano elementi per l'eternit.
Come abbiamo gi visto, questo movimento pu essere preso nell'altro senso: nei
corpi, presi come individui, ci sono sempre altri corpi, che sono anch'essi degli
individui: ma cos, ciascun corpo, in quanto esso stesso un individuo, appartiene ad
un altro corpo, che anch'esso un individuo, e cos all'infinito, fino a che arrivavamo a
quell'individuo totale, facies totius universi, che , lo abbiamo mostrato, il modo
infinito mediato dell'estensione: La natura nella sua totalit un solo individuo le cui
parti, cio tutti i corpi, variano di un'infinit di modi, senza che l'individuo totale
cambi. Lo abbiamo indicato, si avrebbe torto ad interpretare questo testo nel senso di
una concezione organicistica della natura, inevitabilmente associata alla
rappresentazione di una finalit immanente, come, tuttavia, si fa generalmente.
Secondo tale concezione, le parti della natura, cio l'insieme delle cose corporali (ma
anche l'insieme delle cose che costituiscono ciascuno degli altri attributi), sarebbero
esse stesse costituite, ciascuna per quanto riguarda la sua propria essenza, da un
rapporto interno di solidariet che le farebbe convergere tutte nella realizzazione di
una forma globale, all'interno della quale sarebbero disposte le une rispetto alle altre
in maniera unitaria. Sarebbe cos possibile concludere armonicamente dalle loro
proprie nature - che si concatenano tra loro secondo una stessa regola - la loro
organizzazione infinita e viceversa: non si farebbe altro, allora, che leggere Leibniz
dentro Spinoza.
Ma una tale rappresentazione della natura, come la conoscenza del corpo umano alla
quale si riferisce come ad un modello, appartiene secondo Spinoza al dominio
dell'immaginazione: questa occulta o altera l'idea adeguata dell'infinito attuale,
secondo la quale la sostanza si esprime immediatamente ed in modo identico - senza
la mediazione di un principio d'ordine, inevitabilmente gerarchizzato e finalizzato - in
ciascuna delle sue affezioni, di cui produce le essenze singolari tutte in una volta,
senza accordare alcun privilegio a nessuna, conferendo loro quella tendenza originaria
a perseverare nel loro essere che appartiene in maniera propria a ciascuna e che non
pu esserle tolta. Queste tendenze sono equivalenti nella misura in cui non possono
essere comparate, poich esse si realizzano nella pienezza positiva della loro propria
natura. Occorre dunque rinunciare definitivamente alla comune illusione per la quale
le cose sono conformate le une alle altre in modo da effettuare, con le loro relazioni
reciproche che le situano le une rispetto alle altre nel concatenamento infinito delle
cause e degli effetti, uno stesso ordine di perfezione. Poich tale interpretazione
mette la natura a rovescio (Etica, I, appendice): essa riconduce ogni parte della
natura alla natura stessa considerata come un tutto e come il principio finale della loro
ripartizione, dal quale esse stesse sono determinate; occorre, al contrario, considerare
la natura come risultante dalla loro coesistenza, cio come un insieme che non
totalizzabile. La natura, considerata da questo punto di vista, costituisce bens un
individuo nel senso che abbiamo stabilito: essa realizza tra gli esseri che la riempiono
Hegel ha dunque buone ragioni per dichiarare che, nel ragionamento di Spinoza, la
sostanza non diventa mai soggetto: possiamo anche dire che questo ci che d al
pensiero spinozista il suo contenuto effettivo, lo stesso che Hegel ha percepito come la
sua restrizione ed il suo limite. Il Dio dell'Etica non una totalit di determinazioni,
disposte in un ordine razionale dalla logica del loro sviluppo o del loro sistema: per
Spinoza, l'intellegibilit di un tutto quella di una forma individuale, che si spiega
relativamente con un concatenamento meccanico e transitivo, in una serie
interminabile di coazioni; essa si distingue dunque radicalmente da un'essenza
singolare, che determinata, al contrario, dal suo rapporto necessario con la sostanza.
Cos, l'idea di totalit che , nel contesto in cui si forma, astratta e negativa: essa
non rappresenta affatto la realt positiva di un essere che tende, per la sua natura
propria, a perseverare indefinitamente nel suo essere, ma questa limitazione reciproca
che situa le forme individuali le une rispetto alle altre e che spiega la loro comparsa e
la loro scomparsa, con cause sempre esteriori.
Laddove si presentano contraddizioni e conflitti, ma anche equilibri e compromessi,
nella successione transitiva delle coazioni individuali, ci che esiste si spiega con un
ordine negativo di determinazione che permane esteriore alle essenze. Ma la
conoscenza assoluta delle cose, in che consiste l'amore intellettuale di Dio, ricusa
questo modello di conoscenza e se ne separa assolutamente: elimina dal suo oggetto
ogni contraddizione, non nel movimento illusorio della sua risoluzione interna, ma
riconoscendo che la vera necessit consiste nel rapporto esclusivo di ogni realt alla
sostanza che si afferma in essa, al di fuori di qualsiasi contraddizione.
Nei Pensieri metafisici, Spinoza scriveva gi:
Dalla comparazione delle cose tra loro emergono alcune nozioni che
tuttavia non sono nulla, al di fuori delle cose stesse, che semplici modi di
pensare. Ci si vede al fatto che, se volessimo considerarle come cose poste
fuori del pensiero, rendiamo confuso il concetto chiaro che, per altro,
abbiamo di esse. Tali sono le nozioni di Opposizione, di Ordine, di
Convenienza, di Diversit, di Soggetto, di Complemento e di altre simili che
si possono aggiungere a queste (I, cap. 5).
Come l'ordine e la convenienza, l'opposizione soltanto un modo di rappresentarsi
non le cose stesse ma le loro relazioni: queste nozioni dipendono infatti dalla loro
comparazione. Si tratta dunque di nozioni astratte, formali, che non corrispondono
realmente ad alcun contenuto. Come non c' un ordine in s non c' opposizione in s:
vale a dire che impossibile, a partire da tali nozioni, conoscere adeguatamente ci
che . Tuttavia, non basta osservare che sono formali ed illusorie; occorre anche
sapere da dove provengano e che cosa le renda cos facilmente credibili. Comparare
le cose, anche se ci non ci insegna nulla sulla loro vera natura, non un'operazione
assolutamente gratuita, nella misura in cui rappresenta il concatenamento transitivo
delle esistenze che autorizza tale comparazione, perch essa misura essa stessa i suoi
oggetti gli uni rispetto agli altri nella relazione indefinita delle loro determinazioni
reciproche. Come modo di pensare, l'opposizione corrisponde, dunque, anche ad un
certo modo di essere: quello che fa coesistere delle cose finite nella serie illimitata
dove si limitano reciprocamente. Ma questa rappresentazione ignora completamente
quella determinazione positiva delle affezioni che le collega direttamente alla
sostanza. per questo che non d luogo ad un principio razionale la cui validit
sarebbe effettivamente universale.
Da tutto ci risulta che il meccanismo del principio di contraddizione, che regola
ancora il funzionamento di un pensiero razionale nell'epoca classica , anche se
comincia ad essere messo in dubbio (come in Pascal), si trova in un certo qual modo
da Spinoza deviato, o sregolato. Riportato all'ordine astratto delle esistenze, che
costituisce gli individui in relazioni d'esteriorit, permette al massimo di misurare, o
piuttosto di constatare, la durata precaria della loro sopravvivenza; ma non ci insegna
nulla sulla realt essenziale che sola conferisce alle cose la loro relazione immanente
alla sostanza, cio quella necessit positiva che le fa essere e perseverare. Per
Spinoza, nessuna cosa intrinsecamente determinata dalle sue contraddizioni, come
osserva giustamente Hegel: in questo senso, la dialettica effettivamente assente
dello spinozismo. Ma occorre insistere anche sul fatto che la contraddizione ha perso
allo stesso tempo il suo potere negativo di confutazione, da cui essa trae, ancora con
Cartesio, una funzione essenzialmente logica: dato che non stabilisce pi un essere
nella sua realt essa non permette neppure di rifiutargli una realt, poich il suo
discorso completamente esteriore all'essenza delle cose. Mentre Hegel non fa, dopo
tutto, che rovesciare il principio di contraddizione, traendone conclusioni inverse da
quelle che attestava tutta una tradizione precedente, Spinoza ne sposta
completamente il campo dapplicazione, togliendogli, come a qualsiasi altro principio
formale, il potere universale che permette di applicarlo uniformemente a qualsiasi
realt. Ma una dialettica, se se ne sviluppa fino in fondo la propria tendenza
immanente non deve saper pensare anche contro la contraddizione?
Forza et conatus
Spinoza attribuisce ancora al principio di contraddizione un significato razionale, ma
gli toglie di fatto il potere di pensare la natura reale delle cose, cio ne limita
l'impiego, confutando la sua pretesa all'universalit. Su questo punto si anticipa,
sembra, la filosofia critica che prende posizione, in modo apparentemente analogo,
contro il formalismo. Questo accostamento tra Spinoza e Kant pertinente?
Secondo le Anfibolie dei concetti della riflessione, che costituisce nella Critica della
ragione pura l'appendice dell'Analitica dei principi, l'applicazione del principio di
contraddizione d luogo ad una conoscenza soltanto dal punto di vista dell'intelletto
puro, che considera una cosa in generale senza determinarla all'interno di un
fenomeno particolare:
Quando la realt ci viene presentata dall'intelletto puro (realitas
noumenon), nessuna discordia pu concepirsi tra le realt; vale a dire che
non si pu concepire un rapporto tale che queste realt, essendo collegate
in uno stesso soggetto, distruggano reciprocamente i loro effetti, e che 3 - 3
= 0.157
Una cosa non pu essere al tempo stesso se stessa ed il suo contrario: l'universalit di
questo principio astratta ed universale, perch tratta il suo oggetto come una cosa
157
Ibid.
Poich, nella contraddizione logica, i predicati non sono considerati in se stessi, nella
loro esistenza reale, ma soltanto per il loro rapporto reciproco, all'interno di questo
soggetto comune che non pu sopportare determinazioni antagonistiche: allora la
contraddizione pu essere risolta da una semplice analisi, interna al soggetto stesso.
Quest'analisi toglie ai predicati ogni positivit, poich porta all'impossibilit di pensarli
insieme:
Si considera solo la relazione per la quale i predicati di una cosa e i loro
effetti si annullano reciprocamente per la contraddizione. Quale dei due
predicati veramente affermativo (realitas) e quale veramente negativo?
Non ci interessa minimamente.161
Al limite, occorrerebbe dire che sono tutti e due negativi: non sono nulla in se stessi,
nella misura in cui ciascuno si definisce, in modo astratto e relativo, con l'esclusione
dell'altro. Osservazione che Hegel riprender dal canto suo per trarne tutt'altro partito:
vi scoprir una ragione per affermare il carattere immanente del rapporto del negativo
col positivo.
Al contrario, in un'opposizione reale, i predicati devono essere realmente e
positivamente determinati al di fuori del loro antagonismo, cio indipendentemente da
quella negativit (annullamento o diminuzione) che si manifesta nel loro incontro: non
sono dunque in se stessi esclusivi l'uno dell'altro, e perch entrino in conflitto occorre
un'occasione che li riunisca in uno stesso soggetto, dove coesistono, in un senso
non pi logico ma fisico. Questo conflitto non pu dunque essere risolto da una
semplice analisi concettuale, ma da una sintesi di determinazioni esteriori, le cui
condizioni sono date dall'esperienza:
Ci che affermato da un predicato non negato dall'altro, poich ci
impossibile; al contrario, i predicati A e B sono entrambi affermativi; ma,
poich le conseguenze di ciascuno di essi presi in particolare sarebbero a e
b, n l'uno n l'altro possono coesistere in un soggetto, cos che l'effetto
zero.162
In questo caso, il disaccordo dunque non tra i predicati stessi, ma tra ci che ne
risulta: sono i loro effetti che si annullano o si correggono reciprocamente, in uno stato
d'equilibrio. Ci significa che i predicati non sono, come nel caso precedente, predicati
logici, determinati a partire dal loro soggetto di cui esprimono la natura intrinseca, ma
sono essi stessi dei soggetti autonomi, definito ognuno in se stesso per le sue
propriet, o ci che Kant chiama i loro conseguenze. L'opposizione reale in realt
una relazione estrinseca, coesistenza, nel senso strettamente fisico del termine, tra
esseri indipendenti.
Per presentare questa forma d'opposizione Kant ricorre inizialmente all'esempio di un
movimento meccanico: una nave sottoposta alle pressioni contrarie di venti che
soffiano in direzioni opposte non entra in contraddizione con se stessa, come il
soggetto di un giudizio predicativo, ma presa nella tensione degli effetti inversi che
161
Ibid.
162
Ibid.
si affrontano in essa perch la prendono per oggetto delle loro azioni antagonistiche.
Nessuna di queste azioni di per s negativa, poich sarebbe assurdo immaginarsi
una specie particolare di oggetti e chiamarli negativi; 163 ma una negativit appare
soltanto nella relazione reciproca che si stabilisce in occasione del loro incontro:
Uno degli opposti non il contradittorio dell'altro, e, se questo qualcosa
di positivo, quello non una pura negazione, ma gli opposto come
qualcosa di affermativo.164
La contraddizione assume qui la forma di un'opposizione tra cause che agiscono una
sull'altra in un rapporto di forze empiricamente determinato e che modificano
reciprocamente i loro effetti.
Nel suo Saggio del 1763, Kant prevede di applicare questo concetto (di grandezza
negativa) agli oggetti della filosofia, cio di trasporre lo studio delle opposizioni
meccaniche dal mondo naturale a quello del mondo spirituale: questo tentativo, che
produce del resto risultati singolari (scoprendo anche nellanima dei conflitti di forze),
sar abbandonato nel periodo critico. Ma lo stesso concetto d'opposizione,
strettamente limitato al dominio della fisica, fa da fondamento ai Primi principi
metafisici della scienza della natura del 1786, dove il suo significato pi pienamente
esplicitato.
In questo testo Kant prende posizione contro un meccanicismo geometrico ereditato
da Cartesio, che suppone la riduzione della realt materiale all'estensione astratta, in
mancanza di un principio fisico di determinazione che si applichi non ad un mondo
intelligibile ma alla realt dell'esperienza: ad esso sostituisce una fisica
dell'opposizione reale che si appoggia sul concetto metafisico di forza. La scienza della
natura non si limita ad una foronomia, che interpreta i fenomeni da partire dai soli
principi della figura e del movimento, per la quale la materia ci che mobile nello
spazio;165 ma la corregge con una dinamica, per la quale la materia mobile in
quanto riempie uno spazio . 166 Il movimento non si spiega dunque soltanto con
propriet geometriche, ma per l'intervento di una forza reale che agisce sul mobile,
sia come spinta sia come resistenza al movimento.
In questa occasione Kant si impegna in una polemica con Lambert i cui termini sono
abbastanza caratteristici:
Secondo la loro opinione, la presenza di qualcosa di reale nello spazio
dovrebbe implicare questa resistenza gi in virt del suo stesso concetto,
come conseguenza del principio di contraddizione e fare in modo che nulla
d'altro possa coesistere nello spazio con questa cosa. Tuttavia, il principio di
contraddizione non rifiuta alcuna materia che si approssima a penetrare in
163
Ibid.
164
Ibid.
165
166
Ibid.
Ibid.
168
Ibid.
169
Ibid.
Ecco il principio generale della dinamica della natura materiale, che tutta
la realt degli oggetti dei sensi esterni e che non semplicemente
determinazione dello spazio (luogo, estensione e figura) deve essere
considerata come forza motrice.170
Introducendo nella rappresentazione della natura la categoria metafisica di forza, Kant
elimina dunque la concezione meccanicista che spiega con la combinazione del pieno
assoluto o del vuoto assoluto tutte le diversit della materia, 171 poich tale
concezione sfocia alla fine in una filosofia corpuscolare che determina la natura con la
relazione astratta tra elementi pieni e l'estensione vuota nella quale essi sono in
movimento; essa si limita ad una fisica dell'urto, la cui razionalit incompleta ed
arbitraria, poich dipende dal preconcetto di un impulso iniziale, e si riduce cos ad
una teologia fisica:
Tutto ci che ci dispensa dal ricorrere a spazi vuoti un vero guadagno per
la scienza della natura; poich questi spazi danno troppo gioco
all'immaginazione per rimpiazzare con sogni vuoti la mancanza dell'intima
scienza della natura. Il vuoto assoluto e il pieno assoluto corrispondono, pi
o meno, in questa scienza, a ci che sono in filosofia metafisica il caso cieco
e il destino folle, cio una barriera per la ragione dominatrice affinch la
fantasia occupi il suo posto o che la metta a riposo sul cuscino delle qualit
occulte.172
La positivit di quest'interpretazione geometrica o meccanica, che scarta dal suo
oggetto ogni azione reale, genera al massimo, nei suoi margini, la finzione poetica di
un mondo possibile.
Il punto di vista metafisico sulla natura, che introduce al contrario ad un'indagine
dinamica dei fenomeni, determina la materia con la combinazione di forze primordiali.
Ma questa spiegazione
ben pi conforme alla filosofia sperimentale e gli cos pi vantaggiosa
poich conduce direttamente a scoprire le forze motrici proprie della
materia e le loro leggi, pur eliminando la libert di ammettere gli intervalli
vuoti ed i corpuscoli primitivi variamente figurati, poich queste due cose
non possono essere determinate n scoperte dall'esperienza. 173
Mentre la rappresentazione meccanicista della natura, le cui determinazioni astratte
possono essere sviluppate con l'analisi, vale soltanto per un mondo possibile, l'ipotesi
170
Ibid.
171
Ibid.
172
Ibid.
173
Ibid.
Ibid.
175
Ibid.
Ibid.
178
Ibid.
Enciclopedia.
180
Ibid.
181Logica.
182
Enciclopedia.
183
Logica, t. I.
184
Ibid.
185
Ibid.
186
Ibid.
Ibid.
188
189
Ibid.
190
Ibid.