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Le trasformazioni di Lorentz e la

relativit einsteniana
di Fabrizio Tone

Nota sulle unit di misura e postulati


In fisica classica si utilizza comunemente il sistema CGS (centimetri-grammi-secondi) o
il sistema internazionale S.I. (metri-chilogrammi-secondi). In relativit questa scelta non
risulta appropriata poich introduce delle costanti moltiplicative che rovinano l'eleganza
e la bellezza di alcune formule, rendendole asimmetriche. Per ovviare a questo
problema ci sono due soluzioni fondamentali, la prima cambiare l'unit di misura del
tempo, la seconda cambiare l'unit di misura dello spazio. In queste lezioni di relativit
useremo quindi il sistema chiamato "relativistico" (SR) ottenuto dal CGS sostituendo il
centimetro con il secondo luce.
Nel SR l'unit di misura della lunghezza il secondo luce, ovvero la lunghezza che la
luce percorre nell'intervallo di tempo di un secondo. In questo caso l'unit di misura
della velocit "secondi-luce al secondo". La velocit della luce c sar, per definizione,
un secondo luce al secondo, e quindi in questo sistema c = 1 . Come vedremo
successivamente la relativit impone che nessuna particella materiale si muova a
velocit v superiore a quella della luce e quindi v < 1 .
In queste lezioni viene inoltre considerato valido il seguente postulato: la velocit della
luce nel vuoto indipendente dal sistema di riferimento dell'osservatore che la
misura.
Vediamo come possibile derivare le corrette trasformazioni tra due sistemi di
riferimento. Intendiamo, cio, le trasformazioni da un sistema di riferimento S con
coordinate (x,y,z,t) a un sistema S' con coordinate (x',y',z',t'), entrambi inerziali, che
garantiscano:
La invarianza di forma delle leggi fisiche (e della legge di propagazione
della luce);
La invarianza della velocit della luce nei due sistemi di riferimento.
Per semplicit supponiamo di operare nelle condizioni pi semplici (le stesse che
abbiamo adottate nel derivare le trasformazioni di Galileo), cio che a t = t ' = 0 le
origini dei due sistemi coincidano.

Pag. 1

Richiamiamo le espressioni delle trasformazioni di Galileo:

x ' = x Vt
x = x '+ Vt '
y' = y
y = y'

z ' = z
z = z '
t ' = t
t = t '
Ovvero, quantunque la seconda si ottenga dalla prima in modo banale dal punto di vista
algebrico, dal punto di vista fisico esse esprimono due situazioni distinte. La prima
espressione lega le coordinate di un evento misurate in S con quelle in S', la seconda
determina le coordinate nel sistema S a partire dalle misure effettuate in S'. Il motivo
per cui il coefficiente della variabile temporale cambia di segno sta nel fatto che se V
la velocit di S' rispetto a S, quella di S rispetto a S' -V.
In analogia con il caso delle trasformazioni di Galileo, a cui le nuove trasformazioni
devono ridursi per velocit piccole rispetto a quelle della luce, cerchiamo una relazione
lineare del tipo

x ' = A1 x + A2 t
che ammette come inversa

x = A1 x ' A2 t '
Le costanti A1 e A2 sono da determinare in base ai requisiti imposti sulla
trasformazione.
E' altres evidente dalla figura che la posizione di O' , cio del punto (x'=0, y'=0, z'=0),
rispetto a O data a ogni istante t da x ' = Vt , per cui:

x ' = A1 x + A2 t 0 = A1 (Vt ) + A2 t

E dal momento che questa relazione deve valere qualunque sia t, dobbiamo
concludere che

Pag. 2

0 = A1V + A2
cio che, fissata la velocit V, le due costanti non sono indipendenti e pertanto, posto
A1 = A , si ottiene:

x ' = A1 x + A2 t = Ax AVt = A ( x Vt )
x ' = A ( x Vt )

Naturalmente, ragionando allo stesso modo per la trasformazione da S' a S avremo che

x = A ( x '+ Vt ' )

Se si pone A = 1 si ottengono le trasformazioni di Galileo; evidentemente la nuova


trasformazione pu differire da quella di Galileo per il valore di questa costante, che, in
generale, potr dipendere dalla velocit relativa dei due sistemi.
D'altra parte evidente che

y' = y

z' = z

Questa una conseguenza della isotropia dello spazio. Poich tutte le direzioni sono
equivalenti al di fuori della direzione del moto (nel nostro caso l'asse x), ci aspettiamo
che le coordinate y e z si comportino allo stesso modo, e che la sola coordinate x
si modifichi nella trasformazione.
Per ci che riguarda l'espressione di t' in funzione delle coordinate nel sistema S, ci
aspettiamo che anche essa sia lineare per l'omogeneit dello spaziotempo, e che
coinvolga le sole coordinate x e t . La scriveremo pertanto in modo del tutto
generale:

t ' = Dx + Et
ove le costanti D ed E vanno determinate in base alle propriet della trasformazione.
A questo punto possiamo concludere che la trasformazione cercata dipende da tre sole
costanti A, D, E. Per determinarle imponiamo la condizione di invarianza di forma
della legge di propagazione della luce, vale a dire che:

x 2 + y 2 + z 2 = c 2t 2

si trasformi in

x '2 + y '2 + z '2 = c 2 t '2 .

Si noti come cos facendo abbiamo anche imposto che la velocit della luce sia la
stessa nei due sistemi.
Partiamo supponendo vera l'equazione in S' e sostituiamo le espressioni precedenti.
Otteniamo che l'equazione del fronte d'onda nel sistema S data da

x '2 + y '2 + z '2 = c 2 t '2


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A ( x Vt ) + y 2 + z 2 = c 2 [ Dx + Et ]
2

Perch la nostra trasformazione sia corretta occorre che questa espressione coincida con

x 2 + y 2 + z 2 = c 2 t 2 , vale a dire che


A ( x Vt ) + y 2 + z 2 = c 2 [ Dx + Et ]
2

x 2 + y 2 + z 2 = c 2t 2

Sviluppando i calcoli:

A2 x 2 + A2V 2 t 2 2 A2Vtx + y 2 + z 2 = c 2 D 2 x 2 + c 2 E 2 t 2 + 2 DEc 2 xt


A2 x 2 c 2 D 2 x 2 2 A2Vxt 2 DEc 2 xt + y 2 + z 2 = +c 2 E 2 t 2 A2V 2 t 2

(A

c 2 D 2 ) x 2 2 ( A2V + DEc 2 ) xt + y 2 + z 2 = ( c 2 E 2 A2V 2 ) t 2

Imponendo le condizioni relative

A2 c2D 2 = 1
2
2
A V + DEc = 0
c 2 E 2 A 2V 2 = c 2

Questo un sistema di equazioni nelle tre incognite A, E, D, che pu essere facilmente


risolto. Se risolviamo la prima equazione e lo sostituiamo nella seconda e nella terza
otteniamo:

A2 c 2 D2 =1
2
2
+A V + DEc = 0
2 2
2 2
2
c E A V = c

A2 =1+ c 2 D2

2 2
2
(1+ c D )V = DEc
2 2 2
2 2
2
c E c = (1+ c D )V

Ricavando E nella seconda equazione e sostituendo nella terza:

2
2 2
A =1+ c D

1 + c 2 D 2 )V
(

E =
c2D

1 + c 2 D 2 V 2
) c2 = 1 + c2 D2 V 2
c 2 (
(
)

c2 D


Sostituendo ancora la prima nella seconda:

Pag. 4


A2 = 1 + c 2 D 2

1 + c 2 D 2 )V
(
E =
c2 D

2 2 2
c
D
V
1
+
(
)

c 2 = (1 + c 2 D 2 )V 2
2
2

c D
Risolvendo la terza equazione rispetto a D :
2

(1 + 2c D
2

+ c 4 D 4 )V 2 c 4 D 2 = c 2 D 2 (1 + c 2 D 2 )V 2

V 2 1 + 2c 2 D 2 + c 4 D 4 c 2 D 2 c 4 D 4 = c 4 D 2

V 2 + c 2V 2 D 2 = c 4 D 2
V2
2
=
D = 2 2
c ( c V 2 ) c 2 (1 2 )
2

con

V
c

Sostituendo nellespressione di A2 :

V2
c2
=1+ 2
= 2
A =1+ c D =1+ c 2 2
2

c
V
c (c V 2 )
(
) c V 2
2

V2

c2
1
=
A = 2
2
c V
1 2
2

con =
c

Resta da determinare il valore di E :

V2
1 + c 2
V
2
2
2
2 2

c (c V )
1 + c D )V
(
c 2V
c2 V 2

=
= 2

E =
2
2

c2 D
cV

c
V
(
)
V

c2 2 2
c (c V 2 )

c c2 V 2
1
E= 2
=
2
(c V ) 1 2

con

V
c

Pag. 5

La scelta dei segni delle soluzioni (in linea di principio sono possibili anche
soluzioni di segno opposto) motivata da queste considerazioni:
i due coefficienti D ed E devono avere segno opposto;
per velocit piccole rispetto a quelle della luce, cio

V
c

1 trascurabile, il

coefficiente E deve tendere a 1 .

Sostituendo dentro la prima equazione otteniamo il valore

A=

c2
1
=
c2 V 2
1 2

con =
c

anche in questo caso si scelto il segno positivo perch quello che assicura il
corretto limite delle trasformazioni di Galileo a basse velocit.
Possiamo dunque scrivere le nuove trasformazioni nella forma

x
'
=
( x Vt )

2
1

y ' = y

z ' = z

x V
1

t 2
t ' =

c
1 2

Accanto a queste possiamo scrivere quelle che esprimono le coordinate di un


evento in S nei termini di quelle in S'; basta invertire le coordinate accentate con quelle
non accentate e cambiare il segno alla velocit relativa: vale a dire

x
=
( x '+ Vt )

2
1

y = y

z = z

1
x V

t '+ 2
t =

c
1 2

Pag. 6

E' bene intendersi sul significato di queste trasformazioni. Nel primo caso
consideriamo il sistema di riferimento S come quello stazionario e S' come quello
mobile. Nel secondo caso avviene l'opposto. In entrambi i casi l'osservatore stazionario
quello che misura la velocit relativa dei due sistemi (precisamente v nel primo caso
e - v nel secondo).
Se si riguarda la prima delle equazioni, relativa alla coordinata spaziale nella
direzione di moto relativo, cio nel nostro caso l'asse x, si osserva che la differenza
rispetto alle trasformazioni di Galileo essenzialmente dovuta al fattore gamma:

1
1 2

L'effetto di questo fattore significativo a velocit confrontabili con quelle della luce.
Alle velocit ordinarie di un automobile o di un aeroplano non differisce sensibilmente da
1. Se si considera le espressioni che forniscono la trasformazione delle coordinate
temporali, appare evidente che la stessa condizione deve verificarsi per poter
riscontrare significative deviazioni nelle misure dei tempi dei due osservatori. Infatti in
queste espressioni le deviazioni rispetto al "tempo assoluto" sono legate al suddetto
fattore y e al termine ( v c ) all'interno della parentesi.
2

Adesso viene trattato lo stesso problema con un altro punto di vista. Consideriamo un
diagramma spazio-tempo bidimensionale x = x(t)

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Fig 1.1
Esempio di diagramma spazio-tempo (si ricordi che x espresso in secondi luce)

Un punto nel diagramma spazio-tempo, a fissate coordinate (x, t), chiamato evento.
Una particella o un osservatore che si muove nello spazio tempo descrive una traiettoria
chiamata linea d'universo.
La derivata della linea d'universo di una particella legata alla sua velocit dalla
relazione:
dx
=v
(1)
dt
Risulta evidente come un raggio di luce (v = 1) sia una retta inclinata di 45.

Supponiamo che un osservatore O stia utilizzando un sistema di coordinate (x,t),


mentre un altro osservatore O' (che in generale utilizza un sistema di coordinate
diverso x',t') si muove di moto rettilineo uniforme nel diagramma spazio tempo
dell'osservatore O, descrivendo la linea d'universo disegnata in blu nel diagramma
seguente. Nel sistema di riferimento O' la linea d'universo che descrive il movimento
di O' coincide con l'asse temporale t'. Risulta quindi evidente che questa linea
d'universo disegnata in blu rappresenta l'asse t' dell'osservatore O' .
Quale sar la posizione dell'asse x' nel diagramma spazio-tempo di O?
Per rispondere consideriamo prima i seguenti 3 eventi nel diagramma spazio-tempo
dell'osservatore O' (mostrato in figura 1.3), definiti come segue:

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Fig 1.2:
l'asse t' di una particella che si muove
con velocit v rispetto ad O

Evento A)

Un fascio di luce emesso dal punto A ( 0; a ) .

Evento B)

Il fascio viene riflesso nel punto ( a;0 ) .

Evento C)

Il fascio viene ricevuto dall'osservatore nel punto ( 0;a ) .

Sappiamo gi dove si trova l'asse t' nel diagramma di O (si veda la figura 1.2). Dato che
quest'asse definisce il luogo geometrico x ' = 0 possiamo collocare immediatamente gli
eventi A e C [rispettivamente a t ' = a e t ' = + a ]. Secondo il postulato fondamentale
della teoria della relativit speciale la velocit della luce costante in ogni sistema di
riferimento; ci significa che in ogni sistema di riferimento un fascio luminoso
sempre rappresentato da una retta inclinata di 45. Possiamo quindi immediatamente

Pag. 9

disegnare nel diagramma di O il fascio di luce emesso da A, che si muove lungo una
linea d'universo inclinata di 45 (con derivata positiva). Il fascio riflesso deve arrivare
all'evento C, quindi sicuramente esiste una retta inclinata di 45 (con derivata negativa)
che passa attraverso il punto C. L'intersezione di queste due linee rappresenta l'evento B
in O. Segue quindi immediatamente che l'asse x' la retta che connette questo punto e
l'origine.

Fig 1.4: Riflessione della luce in O' vista da O


Osservazione 1): la retta x' simmetrica a t' rispetto alla linea d'universo L di un raggio
di luce che attraversa l'origine del sistema (come facile dimostrare partendo da
considerazioni geometriche).
Uno dei risultati pi sorprendenti di questa trattazione che eventi contemporanei in O'
non sono contemporanei in O
Avendo gli assi dei sistemi O e O' la stessa origine (risultato ottenuto sincronizzando
gli orologi dei due osservatori nel momento in cui passano vicini), la pi generale
trasformazione che consente di passare dal sistema di riferimento O al sistema di
riferimento O' :

t '
x ' =

t
x

(2)

dove i coefficienti all'interno della matrice 2x2 dipendono solo dalla velocit v di O'
rispetto ad O e non dipendono da t, x, t' e x'.
Utilizzando la relazione (1) immediato osservare che la retta t' (luogo geometrico
x'=0) nel sistema di riferimento O soddisfa l'equazione
t 1
=
vt - x = 0
(3)
x v
Imponendo x' = 0 nella (2) si ricava un'altra equazione a cui soddisfa la retta t' nel
sistema di riferimento O

Pag. 10


t + x = 0 t x = 0

(4)

Confrontando la (3) con la (4) si ottiene

= v

(5)

Tenendo presente l'osservazione 1 risulta invece immediato dimostrare che l'equazione


della retta x' (luogo t'=0 in O' ) nel sistema di riferimento O :
t
= v vx t = 0
(6)
x
Possiamo quindi ottenere un'altra equazione della retta x' in O imponendo t'=0 nella (2)

t + x = 0 t

x=0

(7)

da cui , confrontando la (7) con la (6)

= v

(8)

Sostituendo la (5) e la (8) nella (2) si ottiene:

v t
t ' t
t =
(9)
x ' = x =

x v
x

Ovviamente la relazione 2 (e quindi la 9) verificata anche per i punti che appartengono


ad una traiettoria di tipo luce.
Sapendo che la velocit della luce costante in ogni sistema di riferimento si deduce
che, per questo tipo di traiettoria, deve essere verificata la relazione
t = x
t t'
=
=1
(10)
x x'
t ' = x '

combinando le relazioni (10) con la (9), e ricordando che v la velocit del sistema di
riferimento O' , quindi sempre v < 1 :
t'
=1
x'

(t v x )
(t v t )

= =1
=
( v t + x) ( v t + t )

e quindi = .
Da cui, sostituendo nella (9)

Pag. 11

v t
t'
x ' = v
x

(11)

Ovvero, se si preferisce
t'
1 v t
(12)
x ' = v 1 x


Consideriamo ora il sistema di riferimento O. Rispetto ad O' questo si muove di moto
rettilineo uniforme con velocit v , quindi, con procedura analoga a quella qui
seguita deve essere
1 v t '
t
(13)
x = v 1 x '


ma, invertendo la matrice presente nella (12) con si ricava....
t'
=
x '

1 v t
1 v t '
v 1 x v 1 x ' =

1 v 1 v t

v 1 v 1 x

t 1 1 v t ' 1
1 v t '
1
x = v 1 x ' =
2
(1 v ) v 1 x '


t 1
1 v t '
1
x =
2
(1 v ) v 1 x '

(14)

da cui, confrontando la (13) con la (14)


1
1
1
=
2 =
2
(1 v )
(1 v 2 )
ovvero
1

(1 v )
2

Per v = 0 i due Sistemi di Riferimento devono coincidere per cui accettabile solo la
soluzione positiva. Le trasformazioni di Lorentz possono essere scritte, dalla (12), come
t'
x ' =

Ritornando alle variabile classica

(1 v )
2

1 v t
v 1 x

v
si ottiene
c

Pag. 12

t'
x ' =

1
1

v v
1 2 c
c

v

c t

x
1

x ' =

t ' =

x vt
2

v
1

c2

xv
t 2
c
2

v
1

c2

che esattamente la relazione che volevamo trovare, ovvero una relazione che lega
due sistemi di coordinate uno in moto rettilineo uniforme rispetto all'altro
(TRASFORMAZIONI DI LORENTZ)

Unpodistoria.Unacrepanelpalazzodicristallo
Alla fine del XIX secolo, la Fisica raggiunse un traguardo straordinario, riuscendo a
spiegare tutti i fenomeni elettrici e magnetici attraverso una teoria unitaria e
perfettamente coerente, espressa dalle quattro equazioni di Maxwell, cosiddette dal
loro ideatore, James Clerk Maxwell (1831-1879), considerato da alcuni il pi grande
fisico matematico di tutti i tempi. Esse permisero di dedurre, per via puramente teorica,
che non esiste un campo elettrico separato dal campo magnetico, entrambi di natura
vettoriale, ma che l'uno e l'altro sono manifestazioni di un'unica realt fisica, chiamata

campo elettromagnetico o tensore elettromagnetico. Inoltre, esse predicevano con


esattezza straordinaria che tale campo elettromagnetico dovesse propagarsi nello spazio
sotto forma di onde, nonostante nessun esperimento avesse rivelato una simile
propagazione ondosa. La scoperta delle onde elettromagnetiche da parte di Heinrich

Hertz (1857-1894) rappresent perci il pi alto trionfo della costruzione maxwelliana.


A ci deve aggiungersi il fatto che Newton aveva gi fornito, quasi due secoli prima,
una precisissima formulazione teorica della meccanica, oggi nota come meccanica

classica, nella quale tutto viene dedotto a partire dall'equazione di Newton:

F =ma
Secondo il modello di Newton, espresso nella fondamentale opera Philosophiae

Naturalis Principia Mathematica, lo spazio ed il tempo sono realt assolute (un

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discepolo di Newton arriv a considerarle attributi di Dio!!!) ed identiche per tutti gli
osservatori. In altre parole,
le misure di lunghezze (distanze) effettuate da due osservatori diversi
risulteranno identiche;
le misure di durate (tempi) effettuate da due osservatori diversi risulteranno
identiche;
due eventi che hanno luogo nello stesso punto secondo un osservatore, avranno
luogo nello stesso punto secondo qualsiasi altro osservatore;
due eventi giudicati simultanei da uno di essi, saranno simultanei per tutti.
In questo contesto, per passare da un sistema di riferimento all'altro occorre fare uso
delle trasformazioni galileiane.
In poche parole, usando sole cinque equazioni la seconda legge della dinamica e le
quattro di Maxwell e le quattro formule delle trasformazioni galileiane, ovviamente
sulla scorta del calcolo differenziale ed integrale, era possibile prevedere in modo
semplice ed univoco l'evoluzione nello spazio e nel tempo di qualsivoglia sistema
fisico; e non solo di una palla da baseball o di un pianeta attorno alla sua stella, perch
anche la coesione molecolare e la luce sono fenomeni elettromagnetici, e quindi
rientrano nell'ambito di competenza delle equazioni di Maxwell. Una visione del mondo
di questo tipo, nella quale, a partire da determinate condizioni iniziali, l'evoluzione
possibile del sistema fisico in considerazione una ed una sola, prende il nome di

meccanicismo; essa domin tutta la Fisica dell'800, ed aliment la filosofia allora pi


in voga, quella positivistica.
Anche questo splendido e compiutissimo palazzo di cristallo (o tempio della fisica
classica) presentava per una crepa, come sempre accade in tutte le opere della mano
dell'uomo. Infatti, l'equazione F = ma risulta covariante rispetto alle Trasformazioni
di Galileo. Cosa significa? Che se le applichiamo all'equazione fondamentale di
Newton, essa viene ad assumere la forma: F' = ma' . Forze e accelerazioni variano
numericamente, ma variano secondo una ben precisa legge matematica ma la forma
della legge la stessa nei due sistemi. Orbene, se, assieme all'equazione di Newton,
anche le equazioni di Maxwell compongono una teoria fisica perfettamente compiuta e
coerente (la cosiddetta Fisica Classica), ci si deve aspettare che anch'esse, se non

Pag. 14

invarianti, risultino almeno covarianti rispetto alle medesime trasformazioni. Ed ecco


invece il colpo di scena: ci si accorse subito che le equazioni di Maxwell non erano n

invarianti, n covarianti rispetto alle trasformazioni di Galileo; comparivano altri


termini, a secondo delle velocit relative del sistema di riferimento. In altri termini,
cambiando il sistema di riferimento adottato, le equazioni di Maxwell non cambiavano
solo nella forma; non erano assolutamente pi valide! Se si ritiene valida la relativit
galileiana, le equazioni di Maxwell sono s verificate, perch consentono di predire
risultati sperimentali, ma cambiano col sistema di riferimento.
questa la difficolt che indusse i fisici teorici alla ricerca di trasformazioni per cui le
equazioni dell'elettromagnetismo risultassero invarianti. A trovarle fu il fisico olandese
Hendrik Lorentz.
Ma questo non tutto, perch un semplice ostacolo di natura matematica non avrebbe
giustificato la ricerca di una nuova Fisica, da sostituire a quella Classica, peraltro
perfettamente in grado di spiegare pressoch tutti i fenomeni meccanici, elettrici e
magnetici. A porre ulteriori problemi fu per la luce. Prima le osservazioni di Thomas

Young (1773-1829) riguardanti i fenomeni di interferenza della luce (1800), e poi la


costruzione teorica delle equazioni di Maxwell, fecero trionfare definitivamente il

modello ondulatorio della luce a discapito di quello corpuscolare, risalente all'autorit


di Newton. In altre parole, la luce un'onda esattamente come il suono o le onde
sismiche. Questo fatto per, lungi dal rassicurare gli animi dei fisici dell'ottocento,
poneva loro una spinosissima questione: se la luce un'onda, deve esistere un mezzo
attraverso cui essa si propaga! Ma nessuno dei mezzi materiali conosciuti, come nel
caso delle onde sonore o delle scosse di terremoto, pu essere il sostegno delle onde
luminose, giacch esse si propagano pure nel vuoto, come dimostra il fatto che i raggi
solari raggiungono tranquillamente la terra (inoltre, se si leva l'aria da una campana di
vetro sotto la quale posto un campanello, il suono da esso emesso non ci raggiunge
pi, ma noi continuiamo comunque a vederlo).
Fu cos introdotto un nuovo mezzo materiale, supposto impalpabile, trasparente e
perfettamente elastico, che impregnerebbe ogni angolo dell'universo e trasporterebbe in
ogni dove i raggi di luce, oltre che le onde radio e le radiazioni X e gamma. Per analogia
con la celebre quintessenza di aristotelica memoria, a tale misteriosa realt fu dato il

Pag. 15

nome di etere. Questo strano materiale tuttavia poneva pi problemi di quanti non ne
volesse risolvere. Di che tipo di materia era composto? Perch di materia sicuramente
doveva trattarsi, anche se a quei tempi il concetto stesso di "materia" non era ben
definito, e la teoria atomica era ancora di l da venire. Ed in che modo permeava tutto
l'universo? Doveva essere estremamente rigido, in modo da permettere la trasmissione
di onde tanto veloci, ma allo steso tempo non doveva offrire alcuna resistenza al moto
dei pianeti... Eppure, tutti accettarono di buon grado l'introduzione di questa stranissima
sostanza, perch se non altro veniva incontro ad una delle principali preoccupazioni
della Fisica Classica: essa poteva infatti rappresentare il sistema di riferimento
assoluto per tutte le trasformazioni di Galileo, sostituendo quel centro dell'universo

che, in un modello infinito del cosmo, non aveva alcun significato. La terra in moto
attorno al sole, il sole lo intorno alla Galassia, questa lo rispetto alle altre galassie,
ma l'etere pu considerarsi "immobile" in senso assoluto; immobile, come si diceva ai
tempi, rispetto alle stelle fisse (il primo ad avanzare questa ipotesi fu Fresnel nel
1818). Dalle leggi di Newton risultava che nessun sistema di riferimento pu ritenersi
privilegiato rispetto agli altri; se il corpo B in moto con velocit pari a 3 m/s rispetto al
corpo A, ritenuto fermo, nulla proibisce di ritenere che sia fermo il corpo B, e che sia A
a muoversi rispetto ad esso con velocit pari a 3 m/s, senza che le leggi della dinamica
vengano violate. Parlare dunque di posizione assoluta di un corpo privo di senso,
esattamente quanto lo sarebbe cercare il centro di un piano illimitato. La meccanica
newtoniana consente tutt'al pi di parlare di posizione relativa ad un determinato
osservatore. Anche il concetto di velocit assoluta va sostituito perci con quello di
velocit relativa ad un dato osservatore, potendo poi passare dalla velocit misurata
da un sistema a quella misurata da un altro mediante le solite trasformazioni galileiane.
L'etere veniva a colmare questa lacuna, permettendo di stabilire una volta per tutte un
sistema di riferimento nel quale le distanze, gli intervalli di tempo e le velocit potevano
venire misurati in maniera univoca per tutti gli osservatori di questo mondo. Anche la
velocit della luce, fissata univocamente dalla teoria elettromagnetica secondo la
formula c =

0 0

, diventava velocit assoluta rispetto alla fantomatica etere. Ma

Pag. 16

fu proprio questa la crepa che, allargandosi, fin per spezzare tutta quanta la
costruzione!!!

Il principio di relativit galileiano


Introduzione
La teoria della relativit proposta da Einstein allinizio del XX secolo un argomento,
certamente ostico, che, per, ha sempre suscitato un grande interesse. Le nuovissime e
sofisticate tecnologie, che, solamente grazie allo studio di questa branca della fisica
moderna si riusciti a ideare, progettare ed infine a costruire attirano e hanno suscitato
quella voglia di andare oltre le spiegazioni di carattere puramente semplicistico. Ecco,
allora, che con questo trattato non intendiamo certamente scavare pi a fondo di quello
che le nostre conoscenze ci permettono ma, vorremmo approfondire il pi
completamente possibile alcuni temi che si trovano alla nostra portata. Il tema scelto
spazia dalla crisi della meccanica classica, teoria che, per, nonostante sia stata messa in
crisi resistita fino ad oggi e viene ancora applicata ed insegnata nelle scuole, come ad
esempio la nostra, fino alla formulazione, da parte di Einstein, nel 1905, dei postulati
della relativit ristretta. Un percorso che si svolge su un periodo di circa quattrocento
anni e che porta delle modifiche sostanziali nella cultura ideologica e scientifica delle
persone (un caso fra tutti quello di Galileo e delle sue nuove concezioni
dellUniverso).

Un riesame del principio di inerzia


La meccanica, proposta da Newton durante il XVII secolo, fondata su tre principi, il
primo di essi, chiamato principio dinerzia, solitamente enunciato nel seguente modo:
un punto materiale libero (non soggetto a forze), se fermo, continua a stare fermo, se
invece in movimento, continua a muoversi di moto rettilineo uniforme. Questa
affermazione non per niente banale in quanto introduce un concetto, quello di punto
materiale libero, che comporta una grossa astrazione rispetto allesperienza sensibile e
concreta delle cose, infatti esso vuol denotare un corpo puntiforme non condizionato da
nessuna presenza esterna, il cui comportamento non sarebbe molto diverso da quello
che avrebbe se fosse solo in tutto lUniverso. Sulla Terra, per esempio, non esistono
punti liberi in quanto tutti i corpi sono sottoposti allattrazione gravitazionale della
Terra stessa, pi precisamente non potrebbe esistere alcun punto libero in tutto
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lUniverso perch lattrazione gravitazionale coinvolge tutti i corpi. Lutilit del


concetto di punto libero, per, risiede nel fatto che esso permette di semplificare lo
studio del movimento, definendo le propriet delle entit teoriche necessarie per la sua
descrizione univoca e completa: spazio, tempo, sistemi di riferimento. Il principio
dinerzia, inoltre, stabilisce le propriet dello spazio assoluto, chiamato cos perch le
sue propriet sono indipendenti da ci che contiene, affermando che esso omogeneo
e isotropo. Omogeneo perch si postula che tutte le direzioni dello spazio siano
indistinguibili luna dallaltra. Isotropo perch si postula che tutte le direzioni siano
equivalenti. Queste due affermazioni comportarono durante il XVII secolo una grossa
tensione tra Galileo e Newton e i filosofi aristotelici a loro contemporanei perch,
secondo la teoria aristotelica dello spazio, qualsiasi corpo, ovunque lo si ponesse
avrebbe dovuto muoversi per raggiungere il suo luogo naturale, cio il centro
delluniverso, dove, appunto, Aristotele pensava si trovasse la Terra.
A questo punto come si pu determinare se un corpo fermo oppure in movimento?
Infatti, per essere sicuri che un corpo fermo bisognerebbe controllare che la sua
posizione non varia rispetto ad un altro corpo, che sia sicuramente fermo, ci comporta
che dovrebbe esistere un sistema di riferimento sicuramente e assolutamente fermo.
Per gli aristotelici questo non comportava un grosso problema in quanto per loro un tale
sistema di riferimento cera ed era naturale: la Terra, cio il centro dellUniverso. Ma da
quando fu introdotta la concezione copernicana dellUniverso, cio da quando la Terra
venne scoperta in moto attorno al Sole, essa non venne pi sostituita da nientaltro.
Insomma, da quel momento in poi, fu praticamente impossibile di parlare quiete
assoluta di un sistema di riferimento e quindi fu impossibile determinare e stabilire la
quiete assoluta di un punto. Il massimo che si pu affermare che un punto P in quiete
rispetto ad un sistema di riferimento O; lo stesso punto P descritto mediante un altro
sistema di riferimento O, in moto rispetto ad O, apparir in movimento.

Le trasformazioni di Galileo
Iniziamo questo paragrafo col considerare un evento fisico. Un evento qualcosa che
accade in un certo punto ad un certo tempo, indipendentemente dal sistema di riferimento
che potremmo usare (per esempio due particelle si scontrano). Per descrivere un evento

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usiamo quattro misure in un particolare sistema di riferimento, cio le coordinate x, y, z, e


il tempo t. Consideriamo ora due sistemi di riferimento, uno fermo che chiameremo O e
laltro che si muove con velocit v rispetto a S che chiameremo O.

Per comodit poniamo che il sistema K(O;x;y;z;t) si sposta lungo lasse comune xx.
A questo punto poniamo che si verifichi un evento in un punto P, un osservatore S
misurer la posizione e listante in cui avviene levento assegnandogli le coordinate
spaziali x, y, z e il tempo t, mentre un osservatore S in movimento con velocit v rispetto
a S gli assegner le coordinate spaziali x, y, z e il tempo t. Cercheremo ora di trovare le
trasformazioni che mettono in relazione queste otto coordinate spaziali. Visto che O si
muove lungo lasse x di O e che per semplicit supponiamo che gli orologi di entrambi gli
osservatori segnino zero all'istante in cui coincidono le origini, le trasformazioni di
Galileo sono:
x' = x V t
y' = y

z ' = z
t ' = t

TRASFORMAZIONI GALILEIANE

Per lequazione relativa al tempo bisogna assumere che il tempo possa essere definito in
modo indipendente da un qualunque particolare sistema di riferimento per poter affermare
la corrispondente equazione di sincronizzazione.
Queste trasformazioni per valgono unicamente per velocit piccole di un ordine di
grandezza che caratterizza la nostra vita quotidiana o non molto oltre. Se vogliamo
prendere in considerazione corpi che si muovono ad una velocit prossime a quella della
luce notiamo degli effetti strani che sono la dilatazione del tempo e la contrazione delle
lunghezze, due fenomeni che vengono descritti con le trasformazioni di Lorentz, di cui
si discuter in dettaglio in seguito.

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La luce e letere
La meccanica newtoniana nei suoi presupposti impliciti ed espliciti funzion molto bene
fino a quando ci si limit a descrivere il moto di oggetti materiali come molecole,
pianeti o parti di macchine, avvalorando quindi i principi su cui essa era basata fino
renderli senso comune, evidenti ed indubitabili. Quando, per, si cominciarono gli studi
delle leggi dellottica e pi precisamente delle propriet della luce, durante il XIX
secolo, cominciarono a sorgere i primi problemi e i primi dubbi che divennero sempre
pi evidenti con lo studio dellelettromagnetismo e con la formulazione delle equazioni
fondamentali dellelettrodinamica eseguiti da Maxwell alla fine dell800. Infatti il
problema pi evidente risult quello della misurazione della velocit della luce; gi
Galileo, per, sosteneva che la luce si propaga nello spazio con una velocit finita e
cerc di comprovare grazie a degli esperimenti questa sua affermazione ma non ci riusc
in quanto possedeva degli strumenti troppo imprecisi per esperimenti di questo genere.
Il primo a scoprire che la velocit della luce finita fu Roemer durante delle
misurazioni di tipo astronomico; Fizeau e Foucault, verso la met del XIX secolo,
riuscirono, grazie ad esperienze compiute in laboratorio a scoprire un valore pi preciso,
prossimo a 300.000 Km/s, che da quel momento in poi venne comunemente indicato
con c.
Se per le onde sonore le trasformazioni di Galileo andavano bene, per la luce, invece,
esse fallivano ogni volta. Infatti se per il suono il mezzo di propagazione laria
sembrava che per la luce non esistesse nessun mezzo. Tuttavia pareva inconcepibile ai
fisici del XIX secolo che la luce e le altre onde elettromagnetiche, contrariamente a tutti
gli altri tipi di onde, potessero propagarsi in assenza di un mezzo. Sembr allora logico
postulare lesistenza di un tale mezzo, detto etere, anche se si rese necessario
supporre per esso delle propriet alquanto insolite; infatti esso fu considerato di densit
nulla e di una perfetta trasparenza. Si suppose inoltre che letere riempisse lUniverso e
che esso fosse assolutamente fermo. Perci se letere fosse esistito la Terra avrebbe
dovuto muoversi attraverso di esso durante il suo moto di rotazione e rivoluzione e un
osservatore sulla Terra, quindi, avrebbe dovuto avvertire un vento detere avente una
ben precisa velocit vetere rispetto alla Terra. Ne segue, quindi, che un osservatore in
movimento con una velocit w equiversa con la direzione di propagazione di un raggio
luminoso, per la relativit galileiana la luce avrebbe avuto una velocit pari a
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c' = c w .

Questa problematica fu assiduamente studiata dai fisici e in particolare da A.A.


Michelson e E.W. Morley, che grazie a strumentazioni molto raffinate cercarono di
evidenziare lesistenza delletere, ma sempre con risultati negativi.

I postulati di Einstein
James C. Maxwell era profondamente convinto dell'esistenza dell'etere:
Non vi pu essere alcun dubbio che gli spazi interplanetari e interstellari non siano
vuoti ma occupati da una sostanza o corpo materiale che certamente il pi vasto e
probabilmente il pi uniforme di cui abbiamo una qualche conoscenza...
Come noto, tuttavia, questa incrollabile fede nell'esistenza dell'etere era destinata ad
essere messa in discussione appena otto anni dopo la morte di Maxwell, l'artefice della
Teoria Classica dei Campi, a causa dell'esperienza di Michelson-Morley. Ed in effetti
lord Kelvin, uno dei padri della Termodinamica, in una conferenza tenuta il 27 Aprile
1900, parl di tale esperimento, effettuato con la pi attenta cura per garantire un
risultato affidabile , come di una nube della fisica del XIX secolo sulla teoria della
propagazione della luce.
Nel 1904 ancora Kelvin scrisse nella prefazione alle lezioni di Baltimora:
Michelson e Morley, con il loro grande lavoro sperimentale sul moto dell'etere
rispetto alla terra, hanno sollevato l'unica obiezione seria contro le nostre spiegazioni
dinamiche della luce...
Occorre dire, per completezza, che Michelson rimase sempre scettico nei confronti della
teoria della relativit ristretta, che purtroppo comportava la scomparsa dell'etere, ed i
suoi pregiudizi verso la nuova teoria perdurarono fino alla morte: pregiudizi tipici dei
fisici sperimentali di stampo ottocentesco, affetti da un vero e proprio "horror vacui".
Ecco cosa sostenne Michelson ancora nel 1927 nel suo libro Studies in Optiks in cui
present il suo punto di vista sulla Relativit Ristretta e le trasformazioni di Lorentz:
L'esistenza di un etere appare inconsistente con lo teoria della Relativit; ma senza
un mezzo come si pu spiegare la propagazione delle onde di luce? [...] Come si pu
spiegare la costanza della propagazione della luce se non c' nessun mezzo?
Una possibile spiegazione dell'esito dell'esperimento di Michelson e Morley fu fornito
indipendentemente dal fisico irlandese George F. Fitzgerald (1851-1901) nel 1892 e
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dal gi citato olandese Hendrik Lorentz (1853-1928) nel 1895. Essi fecero osservare
che i risultati negativi potevano spiegarsi ammettendo che il braccio dell'interferometro
in moto attraverso l'etere nel senso del movimento della terra (quello orizzontale) si
fosse accorciato. Quest' ipotesi pu apparire piuttosto artificiosa, ma Lorentz la
spiegava ipotizzando che le forze di coesione della materia fossero essenzialmente di
nature elettrica, e quindi il movimento attraverso l'etere poteva modificare le posizioni
di equilibrio degli atomi.
In pratica, Lorentz assunse che le equazioni di Maxwell siano valide solo in un sistema
di riferimento privilegiato, quello in cui l'etere fermo. Ma allora come
trascrivere le equazioni per un altro sistema in moto rispetto al primo? Lorentz si rese
conto ben presto del fatto che ogni modifica nella forma di quelle equazioni avrebbe
comportato che negli altri sistemi di riferimento le leggi (di natura sperimentale)
dell'elettromagnetismo sarebbero diverse; da ci sarebbe seguita la possibilit di rivelare
lo stato di moto rispetto all'etere. Ma, pens Lorentz, se tutti gli esperimenti volti a
rivelare lo stato di moto della terra rispetto all'etere avevano dato esito negativo, solo
un'ipotesi

poteva

essere

sostenuta:

quella

secondo

cui

esistono

delle

trasformazioni, diverse da quelle galileiane, che lasciano inalterate le


equazioni di Maxwell.

Nel 1904 Lorentz scrisse in forma definitiva queste trasformazioni che, oltre a
coinvolgere le coordinate spaziali, per garantire il risultato corretto prevedono una
trasformazione anche per il tempo. Egli tuttavia non attribu significato fisico a

questo "tempo modificato"; lo chiam tempo locale ma, come scrisse egli stesso
anni dopo la pubblicazione della teoria della relativit:
...Io non pensai mai che questo tempo avesse niente a che fare con il tempo reale.
Questo tempo reale per me era ancora rappresentato dalla pi antica nozione classica
di tempo assoluto, indipendente da ogni sistema di riferimento. Esisteva per me un solo
tempo vero: consideravo la ma trasformazione del tempo solo come un'ipotesi di lavoro
euristico, di modo che la teoria della relativit davvero solo opera di Einstein.
Le leggi di trasformazione di Lorentz, furono formulate assai prima delle teorie sulla
contrazione dei tempi e la dilatazione delle lunghezze, ed per questo che ancor oggi si
parla oggi di "contrazione di Lorentz" e non di "contrazione di Einstein". Lorentz
giustificava tuttavia questa contrazione solo come una conseguenza delle modificazioni
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che subivano gli strumenti di misura quando cambiava il loro stato di moto rispetto al
sistema di riferimento assoluto (cio quello in cui l'etere in quiete).
Egli anticip i risultati di Einstein sulla relativit ristretta, eppure non seppe capirne il
senso fisico, cos come Tycho Brahe cap che il geocentrismo era insostenibile, ma non
arriv a porre il sole al centro del suo sistema.
Einstein lavor in modo diverso. Per nulla preoccupato di sfatare tab che resistevano
fin dai tempi del grande Newton, egli comprese che, quando ci si muove a velocit
prossime a quella della luce, spazio e tempo subiscono delle effettive trasformazioni che
non li rendono pi entit assolute, o addirittura metafisiche.
Se si dava credito all'esperienza di Michelson e Morley, una cosa sola appariva costante
nel passare da un sistema di riferimento ad un altro: la velocit della luce, uguale sia
nella direzione del moto della Terra che in direzione opposta. Ed egli part proprio da
qui, assumendo come questa semplice ipotesi avr conseguenze a dir poco esplosive.
La teoria della Relativit Ristretta (o Relativit Speciale) fu conclusa da Einstein e
pubblicata il 30 giugno 1905 sugli Annalen der Physik in una fondamentale
memoria intitolata Zur Elektrodynamik bewegter Krper (Sull'elettrodinamica
dei corpi in movimento, [ 13 ]). In quell'articolo egli scrisse:
...Nessuna caratteristica dei fatti osservati corrisponde al concetto di un etere
assoluto; [...] per tutti i sistemi di coordinate per i quali valgono le equazioni della
meccanica, valgono anche le equivalenti equazioni dell'elettrodinamica e dell'ottica
[...]. In quanto segue facciamo questa ipotesi e introduciamo l'ulteriore postulato, un
postulato a prima vista inconciliabile colle ipotesi precedenti, che la luce si propaga
nello spazio vuoto con una velocit c che indipendente dalla natura del moto del
corpo che la emette. Queste due ipotesi sono del tutto sufficienti a darci una semplice e
consistente teoria dell'elettrodinamica dei corpi in movimento basata sulla teoria di
Maxwell per i corpi in riposo
Tutta la teoria di Einstein basata dunque su due postulati fondamentali:
1. (Principio di relativit)
Leleggidellafisicasonolestesseintuttiisistemidiriferimentoinerziali.Nonesisteun
sistemainerzialeprivilegiato.
2. (Principio della costanza della velocit della luce).
Lavelocitdellalucenelvuotohalostessovalorecintuttiisistemiinerziali.

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Il primo di essi rappresenta un'estensione, a tutti gli eventi, del principio di relativit
galileiana, che non risulta cos annullato, bens superato attraverso il secondo postulato,
dal quale possibile ricavare i fondamenti della cinematica relativistica.
Con questi due soli postulati Einstein rivoluzion l'intero mondo della Fisica; ma
l'aspetto tragico o, perlomeno, tragicomico di questa vicenda che il premio Nobel non
fu assegnato ad Einstein per la Teoria della Relativit, bens per un suo articolo datato
18 marzo 1905, sempre pubblicato sugli Annalen der Physik , dal titolo ber einen
die Erzeugung und Wervandlung des Litches betreffenden heuristischen Gesichtspunkt
(Su un punto di vista euristico circa la creazione e la conversione della luce), nel
quale egli interpretava l'effetto fotoelettrico sulla base dell'ipotesi quantistica formulata
cinque anni prima da Max Planck. Un lavoro certamente importantissimo, che spian la
strada alla nascente Meccanica Quantistica; ma da quest'ultima Einstein si tenne sempre
ai margini, mentre della Relativit egli era stato l'ideatore assoluto, tanto che essa
forse l'ultimo esempio, nella storia della scienza, di una intera teoria creata da un uomo
solo. Il fatto che la teoria della Relativit fu a lungo misconosciuta, in patria e fuori, e
addirittura bollata come fisica ebrea . Il suo autore per non se ne diede per inteso se
vero che, quando gli fu riferito che era stato pubblicato un libro intitolato Cento
fisici contro Einstein , in cui si proponeva una teoria alternativa alla Relativit, egli
rispose con arguzia: Cento? Se fossi in errore, di fisico ne basterebbe uno.

Il "vento d'etere" non esiste!


Il primo problema che ci si pone : c' un punto di riferimento invariante per tutti i
sistemi? S, uno c': la velocit della luce c. La teoria classica dei campi
elettromagnetici imperniata sulle equazioni di Maxwell fornisce per essa il valore di:

c=
Dove 0 e 0

0 0

rappresentano rispettivamente la costante dielettrica e la

permeabilit magnetica del vuoto. Si tratta di due costanti universali, invarianti in

tutti i sistemi, indipendentemente dal sistema di misura. In unit S.I. esse valgono
infatti:

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( Farad m ) ( m Kg A )
= 12 , 56 10 ( ) ( Henry m ) ( m Kg s

0 = 8 , 859 10 12
0 = 4 10 7

-1

-3

-1

-2

A -1

Introducendo questi valori si ottiene:

c=

0 0

= 299.792.456, 2 m s-1

Quindi ci si aspetterebbe che c rappresenti la tanto sospirata VELOCIT


ASSOLUTA. Ed invece la legge di composizione delle velocit contraddice questa

speranza! Immaginiamo di viaggiare sul cosiddetto "treno di Einstein", un ipotetico


treno futuribile che si muove a 240.000 Km/s; accendendo i fari, la loro luce dovrebbe
viaggiare a:

300.000 + 240.000 = 540.000 Km/s


in palese disaccordo con l'affermazione secondo la quale non si vede perch dovrebbe
valere dovunque, fuorch sul treno di Einstein. Il perch di questa apparente
inconciliabilit verr trovato proprio da Einstein.
Le prime prove a favore dell'invariabilit della velocit della luce nel vuoto furono date
dall'esperienza di Michelson e Morley (1887), che ora descriver in succinto,
lasciandone l'analisi quantitativa agli studenti interessati (vedi Approfondimento). Nel
paragrafo precedente abbiamo spiegato in che modo and in voga la teoria dell'etere: la
credenza che ogni perturbazione deve trasmettersi in un mezzo materiale, e non nel
vuoto, condusse all'ipotesi dell'esistenza di una sostanza imponderabile che tutto
permea. La velocit della luce risulterebbe cos costante rispetto all'etere,
salvaguardando tutta la teoria elettromagnetica. Ora, la Terra nel suo cammino attorno
al sole si dovrebbe muovere nel mare d'etere grande quanto tutto l'universo, se vero
che questo mare fermo, come si compete ad ogni riferimento che ha la pretesa di
essere assoluto; dunque, dal punto di vista degli osservatori terrestri, l'etere si dovrebbe
muovere in direzione opposta al moto del nostro pianeta. Ne consegue che, misurando
la velocit della luce nella direzione del moto orbitale terrestre, si dovrebbe riscontrare
un risultato maggiore di quello ottenuto nel caso in cui la si misuri in direzione opposta,

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perch nel primo caso la velocit orbitale pari all'incirca a 33 Km/s si somma al
risultato della legge di composizione delle velocit classico, nel secondo caso si sottrae.
Ebbene, Albert Michelson ed Edward Morley pensarono di effettuare una doppia
misurazione della velocit della luce, nella direzione del moto terrestre ed in direzione
opposta, con lo scopo di confrontare i due risultati e di provare il moto della Terra
attraverso l'etere. Ma una simile misura era pi facile a dirsi che a farsi, poich la
velocit orbitale del nostro pianeta poteva incidere sulla velocit della luce al massimo
per una parte su diecimila. I due scienziati ebbero allora l'idea di utilizzare un
complesso apparato di specchi (INTERFEROMETRO), che sfruttasse proprio il
fenomeno dell'interferenza tra raggi di luce che hanno percorso cammini ottici
differenti. Il loro interferometro aveva pi o meno quest'aspetto:

(l'immagine ricavata dall'Enciclopedia Multimediale Encarta). Vediamo come


funziona.
In esso, un raggio di luce colpisce uno specchio semiargentato, e quindi semirilettente
(al centro della figura): in parte esso riflesso su di uno specchio (in alto), che lo
riflette nuovamente, in parte lo attraversa ed riflesso su un altro specchio. Il primo di

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questi raggi attraversa lo specchio semiargentato, il secondo da questo riflesso in


direzione ortogonale, cosicch i due raggi si sovrappongono prima di giungere ad uno
schermo (in basso). Essendo derivati da un'unica sorgente luminosa, i due raggi sono tra
loro coerenti (cio hanno stessa intensit, stessa ampiezza e stessa lunghezza d'onda);
avendo percorso cammini ottici di uguale lunghezza, essi giungono sullo schermo in
fase, e quindi la luminosit totale sar raddoppiata. In effetti, Michelson e Morley
inclinarono gli specchi in modo che i raggi risultanti non fossero esattamente paralleli,
ma formassero l'uno rispetto all'altro un angolo piccolissimo. Questo sufficiente
perch i cammini ottici non siano pi identici, e quindi sullo schermo si formano delle
frange di interferenza, come quelle visibili in figura:

Se per ruoto l'interferometro di 90, anzich al raggio orizzontale la velocit orbitale


della Terra si sommer al raggio verticale, e dunque la differenza di cammino ottico fra
i due raggi varier; si dovr quindi avere uno spostamento nelle frange di interferenza.
Se L la lunghezza del braccio dell'interferometro e v la presunta velocit della Terra
rispetto all'etere, la differenza tra i cammini ottici dovrebbe essere dato dalla formula:
v2
x = 2 L 2
c
Lo spostamento cos ottenuto dovrebbe equivalere a circa mezza lunghezza d'onda della
luce gialla, e quindi dovrebbe essere tale da portare le frange scure sulle frange chiare e

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viceversa, proprio come illustrato nella figura qui sopra. Nel suo primo esperimento di
questo genere, condotto da solo nel 1881, Michelson non not nulla ma, siccome
l'apparecchiatura era piccola, pens che la differenza di cammino ottico si confondesse
con gli errori sperimentali. Per questo nel 1887 egli ritent, assieme a Morley, usando
un'apparecchiatura molto pi grande, tale che il percorso totale dei raggi di luce
misurasse almeno 11 metri; stavolta la differenza dei cammini ottici nei due casi doveva
uguagliare esattamente mezza lunghezza d'onda della luce utilizzata, e quindi lo
spostamento delle frange di interferenza doveva essere evidente. Ma, a sorpresa,
nemmeno stavolta si not nulla, ed alla stessa conclusione giunsero tutti coloro che, con
tecniche pi o meno perfezionate, ripeterono lo stesso esperimento.
Ci fu chi, per salvare la Teoria Classica dei Campi, azzard l'ipotesi che la Terra
trascinasse con s l'etere nel proprio moto, cos come trascina con s l'atmosfera; ma
allora dove andrebbe a finire l'impalpabilit e l'infinita elasticit della quintessenza di
aristotelica memoria? E che razza di sistema di riferimento assoluto esso
rappresenterebbe, se si muovesse di moto relativo assieme a tutti i corpi che incontra?
Conclusioni: l'esperienza di Michelson e Morley era stata concepita per dimostrare che
la luce pu avere velocit diverse per diversi osservatori in moto relativo rispetto
all'etere, attraverso la dimostrazione dell'esistenza di una sorta di vento d'etere ,
dovuto in realt all'immobilit in senso assoluto della quintessenza, ed al moto relativo
rispetto ad esso della Terra lungo la propria orbita, sulla scorta della presunta validit
della composizione galileiana delle velocit. Il fatto che l'esperimento sia
clamorosamente fallito non poteva far altro che smentire gli assunti di partenza,
mostrando una volta per tutte che la luce ha sempre la stessa velocit per tutti gli
osservatori, e che evidentemente le trasformazioni di Galileo NON sono valide per tutti
i sistemi di riferimento in moto relativo l'uno rispetto all'altro. Anzich cementare la
crepa che minava la solidit del castello della Fisica, Michelson e Morley la allargarono
ulteriormente,

mostrando

che

la

meccanica

galileo-newtoniana

la

teoria

elettromagnetica di Maxwell erano intimamente inconciliabili.


In realt, come abbiamo gi detto nel paragrafo precedente, i fisici sapevano gi che le
equazioni di Maxwell sono invarianti rispetto alle trasformazioni di Lorentz, non

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rispetto a quelle di Galileo, e questo ben prima che il genio di Ulm pubblicasse le sue
mirabolanti teorie. Gi si sapeva insomma che, se si vuole conservare la forma delle
quattro equazioni dell'elettromagnetismo, la somma delle velocit non pu pi
consistere nella semplice somma vettoriale e questo, come vedremo, implica proprio
che deve giocoforza esistere una velocit maggiore di tutte le altre. Nessuna teoria fisica
per giustificava quelle trasformazioni, che restavano un giochetto matematico e niente
pi; e cos, tutti erano impegnati alla ricerca del fantomatico etere, come novelli Parsifal
alla caccia del Sacro Graal, e Michelson continuava a perfezionare i suoi interferometri,
sperando di osservare l'inesistente spostamento delle frange d'interferenza... finch non
arriv quell'apparentemente modesto scienziato ebreo che cambi la Fisica moderna...

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