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occidentale
Pubblicato: 29-01-2007
Giorgio Rimondi
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La scena madre
In un certo senso, tutto inizia con Solone. Nella seconda parte del prologo
drammaturgico del Timeo si racconta infatti la storia del famoso legislatore,
che dopo aver redatto la costituzione per gli ateniesi si reca in Egitto per
incontrare i sacerdoti dell'antica citt di Sais. Curioso di carpirne i segreti,
volutamente provoca la loro reticenza raccontando in modi fantasiosi
dell'origine del mondo e delle genealogie degli uomini. Come previsto, uno dei
sacerdoti finisce per rivolgergli un sorriso di compatimento, passando a
spiegargli come l'origine del mondo non stia nelle ingenue storie da lui
raccontate, ma si trovi iscritta nelle pareti e nelle colonne dei templi di Sais.
Le conoscenze dei greci sarebbero
dunque ben poca cosa, simili alle favole
per fanciulli, se rapportate alla sapienza
egizia.
La vicenda serve a Platone per
introdurre la propria cosmologia e,
soprattutto, per rovesciare il discorso
del sacerdote, mostrando come i greci si
pongano al di fuori dell'antica tradizione
sapienziale, collegata all'oralit e
supportata da un codice di incerta o
equivoca decifrazione: le immagini dipinte e i geroglifici. Con l'invenzione
della filosofia essi infatti affidano la trasmissione del sapere a un medium del
tutto nuovo: la scrittura alfabetica. Ci determina una cesura destinata a
mutare il corso della storia, ancorch lo stesso Platone affermi che il primato
della dialettica implica la superiorit del discorso orale sul discorso scritto,
che la scrittura solo una mnemotecnica, e che ogni testo rimane sterile
finch non risuona in una voce. E nonostante egli sostenga di aver affidato la
parte pi importante del proprio messaggio alla voce di quelli che Aristotele
avrebbe poi chiamato gli agrapha dogmata, gli insegnamenti non scritti.
Poich, di fatto, da allora in poi la filosofia verr considerata come la
manifestazione esclusiva di una ragione grafica, ovvero di un logos che
progressivamente svaluta la dimensione della comunicazione orale in quanto
incapace di giungere alla verit. Sicch la verit si affermer in quanto vera
conoscenza, o episteme, facendo corpo con il discorso razionale, quello che
procede per idee chiare e distinte e del tutto separato dal discorso comune,
dall'opinione o doxa, che veicola una conoscenza falsa o apparente.
Cos la scena madre del discorso filosofico, dunque del pensiero occidentale, si
inaugura screditando i valori di cui portatrice l'oralit, o quanto meno
relegandoli in secondo piano, e contrapponendovi quelli inaugurati dalla
Entra cos nel gioco, e da un accesso non secondario, la musica che costituisce
l'oggetto di questo discorso, per introdurre la quale sar opportuno affidarsi a
due testimoni d'eccezione. Prima
testimonianza. In un celebre passo di Et
d'uomo, pubblicato nel 1939, ricorda Michel
Leiris:
Un anno, prima della fine della guerra,
apparve il jazz []. Nel periodo di grande
libert seguito alle ostilit fu un segnale di
riavvicinamento, uno stendardo orgiastico, che
agiva magicamente come una specie di
possessione. La sua comunanza con la danza,
l'erotismo, il bere, aiutava gli individui a
superare i fossati che ancora li separavano.
Con le violente zaffate d'aria calda tropicale, il
jazz trasportava sapori di una civilt antica e
insieme moderna, capace di esprimere al
meglio lo stato d'animo di molti di noi: la
demoralizzazione nata dalla guerra, lo stupore
naf davanti ai conforti del progresso, l'abbandono alla gioia animale di subire
l'influenza del ritmo moderno, l'aspirazione soggiacente a una vita nuova o a
uno spazio pi grande. Il jazz dava forma al nostro desiderio ancora
inespresso.
Condivise dalla parte pi sensibile della sua generazione, queste parole - cos
attente a rilevare la capacit del jazz di coniugare l'antico e il moderno per
dare una forma al desiderio di rinnovamento di un'intera generazione, e a
suggerire la presenza di un malessere che quello della musica e dell'arte
occidentali cui manca la forza di giocarsi il ruolo di rigenerazione richiesto dal
mutare dei tempi - costituiscono un prezioso suggerimento per individuare lo
spazio simbolico del jazz, dunque il modo e il luogo della sua epifania. Esse ci
dicono che questa musica, formazione di compromesso (fra antico e
moderno, erotismo e danza, ecc.) come il sintomo freudiano, presenta una
doppia emergenza, costituendosi sia come metafora che allude a qualcos'altro,
sia come luogo di godimento, ovvero luogo in cui piacere e interdizione si
annodano inscindibilmente. Se in quanto luogo di godimento il sintomo
jazzistico non teorizzabile, resta un oggetto opaco e tende a porsi, come
insegna Lacan, fuori di senso, in quanto metafora di un malessere segnala
tuttavia uno spazio impensato, o indicibile, imponendoci di ridefinire il nostro
rapporto con l'arte e la bellezza.
Come si vede, incomincia qui a definirsi il carattere perturbante della musica
jazz, grazie al fatto che essa si presenta strettamente allacciata alla vita e alle
sue vitali contraddizioni. Ma veniamo alla seconda testimonianza:
Vi una musica che incute rispetto per la virt che possiede di non avere per
fine il farsi sentire. [..] Questa musica esiste, anche senza ascoltatori.
Potrebbe mettersi a suonare da sola, in certe ore del giorno o della notte,
senza attese di dover fare la propria parte davanti a qualcuno. Bach.
C' invece un'altra musica che si preparata prima di venir fuori; si
soprattutto rimosso, della modernit, oltre che cono d'ombra della luminosa
democrazia statunitense (di una democrazia che, non diversamente dalla
filosofia platonica e dalla cultura greca, si vorrebbe definita da un manifest
destiny, da un destino manifesto il quale, in quanto giusto e inevitabile, le
impone di negare l'altro per affermare se stessa) non certamente
trascurabile n secondario. La musica Nero-americana il prodotto, e la
testimonianza, di una delle pi oscene avventure nella storia dell'umanit, ha
scritto James Baldwin. E' perlomeno ironico - osserva a questo proposito
Christian Bthune - pensare che il cammino della filosofia verso la pretesa
universalit dei suoi valori si fondi sulla scandalosa particolarit di una
struttura sociale basata sullo schiavismo. Ma dal crogiuolo di questa spietata
alchimia che deriva la separazione fra il singolare e l'universale, in nome della
quale la scienza rifiuta la doxa. Radicalmente altro, il jazz nasce rifiutando di
accettare questa separazione. Ragione per cui non ci sar un secondo
momento: il per s il seguito sono gi l, e a noi resta solo da distinguere la
musica in quello che si suona qui e ora.
Sembra allora che questa condizione paradossale, che ha costretto
l'espressione jazzistica a svilupparsi all'interno di un sistema di valori estetici
e sociali che non erano i suoi, sia il tratto pi significativo della sua identit.
Sembra insomma che il suo affermarsi nel panorama novecentesco, la forza
che l'ha sospinta, contro il parere di molti e le forze di tanti, a sostenere la
sfida della propria esistenza, scrutando coraggiosamente l'immagine della
propria necessit e interrogandosi senza sosta sul proprio (e sul nostro)
desiderio; sembra infine che tutto ci abbia fatto del jazz il cuore di tenebra
dell'Occidente musicale, il suo compagno segreto, che come un tamburo
invisibile percosso dai suoni dell'aria conradianamente risuona in un vuoto
buio, pieno di echi selvaggi. E se a questo punto non ne temessimo l'effetto
teatrale e grandguignolesco, potremmo forse andare oltre, e proporre il
seguente confronto: come l'Erode biblico, usurpatore e fratricida, l'occidente
capitalistico costretto a subire l'inquietante presenza di un Giovanni Battista
afroamericano, che dal fondo della prigione in cui stato gettato non cessa di
alzare la propria voce per rammentare il peccato originale su cui si edificato
il potere del sovrano. E quante Salom a contendersi l'onore di offrire a quel
sovrano la testa di Giovanni!
Iniziamo cos a comprendere quanto di irricevibile sia veicolato dal jazz,
musica che riempiendo quel vuoto abbuiato e cruciale avrebbe
lacanianamente fatto mancare la mancanza, e contemporaneamente
emergere l'angoscia, costituendosi come presenza unheimlich nell'intimo della
casa: come oscura radice della nostra identit, come il grande rimosso
ovvero il Grande Altro della musica occidentale, e dunque colui dal quale,
come insegna Lacan, riceviamo il nostro messaggio nella sua forma invertita e Carlo Belli lo aveva compreso perfettamente.
Sullo sfondo di un consumo musicale primonovecentesco equamente suddiviso
fra melomani, consumatori di arie popolari e, come dir Cocteau, estenuati
ammiratori di una musica satura di vaghezze e impressionismi, l'arrivo del
jazz ebbe infatti un effetto assolutamente dirompente, complice il suo trovarsi
eccentricamente collocato fra un presente problematico e un passato
idealizzato, costretto a vivere la propria esistenza nascondendosi fra le pieghe
dell'esistenza altrui. Straordinaria testimonianza di questa difficile
infatti che a partire dal 1917, dalla chiusura del quartiere di Storyville che
indirizz altrove i destini del jazz, solo pochi scelsero di restare a New
Orleans, e proprio per questo furono dimenticati. Per gli altri si aprirono le
porte di un viaggio pieno di speranze e di imprevisti, segnato dalla struggente
malinconia immortalata dalla voce di Billie Holiday: Do you know what it
means to miss New Orleans. Ma fra quelli che restarono, e che non incisero
mai un disco, mai una sola nota, un nome brilla luminoso nel ricordo degli
appassionati, quello di Bolden, il Grande Trombettista Nero.
Si sa che nacque nel 1877, o forse nel 1879, che si spos, ebbe due figli ma
non una specifica educazione musicale. Un solo disegno resta, di datazione
incerta fra il 1894 e il 1895, che lo ritrae non ancora ventenne e vestito
elegantemente; e una foto sbiadita, scattata da un anonimo fotografo attorno
al 1905, che lo mostra insieme agli uomini della sua band: Jimmy Johnson,
Willie Cornish, William Warner, Jefferson Mumford e Frank Lewis. Il grande
Jelly Roll Morton, che lo conobbe, in un'intervista rilasciata ad Alan Lomax
afferma che egli non aveva rivali a New Orleans, e che l'ammirazione della
gente, quando suonava per le strade della citt, era dovuta alle originali
invenzioni melodiche ma soprattutto all'incredibile voce della sua tromba, che
rifrangendosi sull'acqua dei canali si diffondeva ovunque. Cos Bolden divenne
la voce di New Orleans, e lo rimase anche quando la vita, fosse follia o scelta
consapevole non sapremo mai, lo condusse all'isolamento e al pi completo
silenzio.
Il vivido ricordo dell'inventore del jazz, come si autodefiniva Morton,
contiene tutti gli elementi utili alla formazione del mito, a cominciare dal fatto
che della prima grande voce del jazz manca qualsiasi testimonianza sonora. Di
quella musica resta solo il ricordo, e la nostalgia di una voce che risuonava
per la felicit di tutti.
Bibliografia
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