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La ricerca spirituale deve partire dallio e non dal concetto di Dio.

Infatti lio,
per luomo, la sola certezza auto evidente mentre Dio una mera ipotesi.
Il paradosso (a ben considerare, per, solo apparente) per che proprio cercando la
vera natura dellio si scopre, secondo la tradizione, la sua radice infinita, cio D
io; un Dio, naturalmente, ben diverso da quello delle contraddittorie ed antropo
morfiche delle religioni storiche.
Platone, vissuto tra il 438 ed il 347 a: C., riprese le sue dottrine metafisiche
fondamentali dalla tradizione esoterica dei culti misterici e si propose di ind
icare un percorso iniziatico di conoscenza metafisica che non ricorresse a riti
ed atti cultuali quanto piuttosto ad una prassi tutta interiore.
Esso comportava lisolamento della coscienza dal mondo "esterno" ed il conseguente
suo orientamento verso linteriorit sino a rimanere in una condizione di "pura pr
esenza a se stessi".
Tale consapevolezza priva di contenuti, secondo Platone, capace di tradursi spon
taneamente in "contemplazione" (theoria) cio nella percezione di quel mondo divin
o da cui lanima proviene.
Per Platone oltre il mondo fisico esiste, infatti, un mondo di forze sottili, le
"idee", capaci di plasmarlo. Le "idee", quindi, non sono solo concetti astratti
della nostra mente, ma forze reali operanti anche sul piano materiale. Tali "es
senze" non sono percepibili con i sensi ma solo attraverso lattivit della coscienz
a, capace, per la sua stessa natura, dinnalzarsi dal mondo sensibile (quello che
ci appare attraverso i sensi) a quello intellegibile, interiore, spirituale.
Il "mondo delle "idee" ( a cui appartiene ontologicamente lidea delluomo, cio il su
o io spirituale) strutturalemente gerarchico e per questo luomo sente il bisogno
di passare dalla conoscenza dei singoli enti finiti a quella somma ed universale
dellUno/Bene/Dio, lIdea che tutto include.
Luomo, cos, aspira, pi o meno consapevolmente, alle supreme essenze: il Bello in s, il
Giusto in s, il Buono in s ecc. che sole danno il vero Sapere.
Per questo il filosofo deve sforzarsi di fare uso della sua coscienza/ragione ne
lla sua "purezza" liberandola dalle contaminazioni dei sensi, "volgendola su se
stessa", "concentrandola", "unificandola", coltivando la facolt intuitiva del pur
o spirito.
Per Platone, infatti, come per Socrate, chi vuole conoscere se stesso deve conos
cere e "aver cura" della propria "essenza" , cio dellanima (o meglio dell io spiri
tuale) ed in particolare quella parte di essa che per sua natura pi eminente, la
ragione; ma proprio cercando il fondamento ontologico della ragione si sospinti
ad andare oltre di essa.
La conoscenza di s coincide con la saggezza sia teorica che pratica ed inoltre an
che se lanima ha una natura divina, una naturale affinit (sunghenneia) col Dio, las
similazione (omoiosis) a Lui rimane un compito che esige unascesi.
In un passo del Fedone (79 d) molto chiara la natura di quel processo attraverso
cui lanima sinnalza al divino, al sovrasensibile:
Quando lanima, restando in s sola (separandosi dunque dalle percerzioni), volge la
sua ricerca (cio alimenta la sua "aspirazione" conoscitiva senza pi legarla al se
nsibile) allora si eleva (per un suo autonomo, spontaneo ed "ontologico" process
o di liberazione) a ci che puro, eterno ed immortale (cio al divino) e avendo natu
ra affine a quello (c dunque una identit sostanziale tra lo spirito umano e quello
di Dio), rimane sempre con quello ogni volta che le riesca essere in s e per s sol
, e questo stato dellanima si chiama "sapienza" (frnesis, sinonimo di sofa).
Sempre nel Fedone (67 c-d) si dice che con tale prassi si opera una "catarsi" ch
e la stessa dellantica dottrina (chiaro riferimento alla sapienza sacra dellEllade
prefilosofica ma in particolare a quella misterica e orfico-pitagorica) e consi

ste appunto nel separare il pi possibile lanima dal corpo e nellabituarla (e ci pres
uppone una costante prassi meditativa) a raccogliersi e a restare sola in se ste
ssa (la con-centrazione!) e a rimanere per il tempo presente (cio la vita terrena
) e futuro (cio dopo la morte) sola in se medesima, sciolta dal corpo come da cat
ene.
La sofa dunque lintuizione mistica del divino ed a tale esperienza naturalmente fu
nzionale la filo-sofa.
Lattivit della riflessione (propriamente la filo-sofia) umana, lattivit della contem
plazione divina e deve approdare al suo esito naturale, la sofia.
Per acquisire la sofa bisogna che la coscienza raggiunga una condizione "estatica
" (il termine "estasi" significa in greco "uscita") che cio sappia "separarsi" ra
dicalmente dal piano sensibile e dunque da quel corpo a cui si congiunta col suo
nascer in questo mondo.
Per questo il filosofo ateniese considera la vita retta e morale come il primo g
rado di tale separazione, in quanto comporta un effettivo distacco dalle pulsion
i e dagli istinti del corpo/materia.
Con tale prassi ascetica lanima pu conoscere se stessa e provare quella "divina eb
brezza" che la tradizione misterica indicava come "mana", "entusiasmo" conseguend
o quella conoscenza illuminativa che la stessa tradizione indicava con il termin
e "epopteia".
E quindi perfettamente comprensibile come Platone, quando descrive quelle condizi
oni dello spirito e quei livelli di conoscenza usi sempre la terminologia del sa
cro tipica delle esoterismo, cio della tradizione misterica, gi ben definita nellet
arcaica dellEllade.
Esiste un percorso naturale della coscienza che inizia dalla dialettica (dunque
dalla filosofia come ricerca intellettuale del Vero) e perviene in conclusione a
lla theoria contemplativa (dunque allesperienza mistica).
La contemplazione implica una diretta percezione del mondo metafisico basata sul
larresto del pensiero cio di tutta lattivit percettiva, concettuale ed immaginativa
su cui poggia lio ordinario.
Lanima, svincolata dal corpo, recupera la sua facolt di "intuizione intellettuale
pura" (che Platone e gli esponenti della sua Accademia indicheranno con il termi
ne "noesis") superando la mera discorsivit logica ("dianoia").

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