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Universit degli Studi di Napoli Federico II

Facolt di Lettere e Filosofia


Corso di Laurea specialistica in FILOLOGIA MODERNA
Insegnamento di LETTERATURA ITALIANA 1
(I anno, II semestre)
Prof. Pasquale SABBATINO

Anno accademico 2010-11

Dispensa : Letteratura e arti figurative


La dispensa contiene per la.a. 2010-11 i seguenti saggi (gi apparsi in riviste o volume):
1. Imitazione ed ecfrasi nelle Vite dellartista-scrittore Giorgio Vasari
2. Il ritratto dellAriosto gran Pittor nella pinacoteca poetica di Marino e la Galleria
regia dellOrlando furioso nella letteratura artistica
3. Il ritratto del Caravaggio. L orrido cominciamento del Decameron e lingegno torbido
e contenzioso dellartista nelle Vite del Bellori
4. Sannazaro e la cultura napoletana nellEuropa del Rinascimento. Tessere per la geografia e
la storia della letteratura
5. Il Trionfo della Galatea di Raffaello e Il Libro del Cortegiano di Castiglione. Il dibattito
sullimitazione nel primo Cinquecento

Pasquale Sabbatino

NELLE VITE

IMITAZIONE ED ECFRASI
DELLARTISTA SCRITTORE GIORGIO VASARI

1. Giotto e limitazione del vero di natura


Nelle singole biografie della raccolta Le vite de pi eccellenti architetti,
pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a tempi nostri (Firenze,
Torrentino, 1550), articolata in tre parti o stagioni, lartista scrittore Giorgio
Vasari descrive con le parole le immagini dipinte o scolpite.1 Lesposizione
vasariana per la sua forza espressiva tenta di volta in volta di uguagliare
lopera originale dello scalpello o del pennello, utilizzando tutte le risorse della
figura retorica dellecfrasi (kphrasis), che ha illustri precedenti in Omero e
Filostrato. 2 In tal modo limmagine verbale dellartista scrittore entra in
competizione con limmagine dipinta o scolpita, puntando sullobiettivo di
tradurla con la scrittura e cogliendo di volta in volta la specificit dellopera e

1 Cfr. C. BEC, Artisti scriventi e artisti scrittori in Italia (secondo Trecento primo Novecento), in
Letteratura italiana e arti figurative, a cura di A. Franceschetti, Firenze, Olschki, 1988, pp. 81-99.
2 H. LAUSBERG, Elementi di retorica, Bologna, Il Mulino, 1995 (la trad. it. del 1969), p. 196; L.
GRASSI, Retorica, in L. GRASSI - M. PEPE, Dizionario di arte, Torino, Utet, 19952, p. 690-91: per
lekphrasis lesempio pi arcaico si pu ravvisare, presso Omero, nella descrizione dello scudo di
Achille. Ma il prototipo sistematico di tutta la tradizione costituito principalmente da quelle
descrizioni di una serie di dipinti, che si attribuiscono, nella tarda antichit, ad un Filostrato, lautore
delle Imagines. Le descrizioni di Filostrato sono prevalentemente la narrazione di un tema e dei
relativi contenuti particolari. Al contrario, le descrizioni vasariane procedono e si snodano
congiuntamente alla dimostrazione critica del temperamento dellartista, della sua abilit
nellimitare, cio ritrarre con una maniera che si nutre e si qualifica mediante quei riferimenti di
valutazione, quelle categorie estetiche (disegno, grazia, componimento, invenzione, ecc.), in cui si
qualificano le virt, lingegno, cio la personalit del pittore, scultore o architetto. Sulle ragioni
dellecfrasi e sulla oscillante e talvolta sfuggente definizione della sua peculiarit cfr. G. PATRIZI,
Narrare limmagine. La tradizione degli scrittori darte, Roma, Donzelli, 2000; Ecfrasi. Modelli ed
esempi fra Medioevo e Rinascimento, a cura di G. Venturi e M. Farnetti, 2 to., Roma, Bulzoni,
2004 (in particolare G. VENTURI, Introduzione. Le ragioni dellecfrasi letteraria, to. 1, pp. 9-13; M.
FARNETTI, Teoria e forme dellecfrasi nella letteratura italiana dalle origini al Seicento. Saggio
bibliografico, to. 2, pp. 573-600).

laltezza raggiunta entro lo schema storiografico delle tre stagioni della


rinascita. 3
La possibilit di essere raccontate come immagini naturali costituisce
per le immagini dipinte e scolpite un chiaro segnale della loro appartenenza
allarte moderna, fondata sullimitazione della natura nella prima e seconda
stagione e sullimitazione del pi bello della natura nella terza stagione.
Limpossibilit di essere raccontate, invece, relega, secondo Vasari, le opere
nellambito dellarte vecchia, quella greca o bizantina, diffusa lungo il
Medioevo. 4 da quel residuo di artisti provenienti dalla Grecia, i quali
facevano imagini di terra e di pietra, e dipignevano altre figure mostruose e
col primo lineamento e col campo di colore. 5
Influenzato dalla tradizione umanistico-rinascimentale - si pensi, ad es.,
ai Commentarii di Lorenzo Ghiberti - Vasari definisce larte bizantina rozza,
goffa e vecchia. Per lincapacit di imitare la natura, larte bizantina
destinata inevitabilmente a non poter essere raccontata come immagine
naturale:
[le cose vecchie] furono poste in opera da un certo residuo de Greci, i quali pi tosto
tignere che dipignere sapevano. Perch [...] al rimanente di que Greci, vecchi e non
antichi, altro non era rimaso che le prime linee in un campo di colore; come di ci fanno
fede oggid infiniti musaici, che per tutta Italia lavorati da essi Greci si veggono [...]; e cos
molte pitture, continovando, fecero di quella maniera con occhi spiritati e mani aperte, in
punta di piedi, come si vede ancora [...] et in Roma in San Pietro, nel vecchio, storie
intorno intorno fra le finestre, cose chhanno pi del mostro nel lineamento, che effigie di
quel che si sia. Di scultura ne fecero similmente infinite [...] cose s goffe e s ree, e tanto
malfatte di grossezza e di maniera, che pare impossibile che imaginare peggio si
potesse. 6
3 Cfr. S. L. ALPERS, Ekphrasis and aesthetic attitudes in Vasaris Lives, Journal of the Warburg
and Courtauld Institutes, XXIII, 1960, 3-4, pp. 190-215; L. RICC, Vasari scrittore. La prima
edizione del libro delle Vite, Roma, Bulzoni, 1979, pp. 18-22; M. WINNER, Ekphrasis bei Vasari, in
Beschreibungskunt, Kunstbeschreibrung, Ekphrasis von der Antike bis zur Gegenwart, a cura di G.
Boehm H. Pfotenhauer, Munich, 1995, pp. 259-73; G. PATRIZI, Narrare limmagine cit.; ; ID., Le
ragioni dellecfrasi. Origini e significato delle narrazioni vasariane, in Ecfrasi. Modelli ed esempi fra
Medioevo e Rinascimento, a cura di G. Venturi e M. Farnetti, to. 2, cit., pp. 421-31; G. STIMATO,
L''ekphrasis' da Vasari a Pontormo: tra narrazione letteraria e rinuncia alla letteratura ,
Schifanoia, 2004, n. 26-27, pp. 245-52; M. POZZI E. MATTIODA, Giorgio Vasari storico e critico,
Firenze, Olschki, 2006; D. CAST, The delight of art. Giorgio Vasari and the traditions of humanist
discourse, Pennsylvania State University Press, 2009.
4 Cfr.. G. VASARI, Le vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a
tempi nostri Nelledizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550, a cura di L. Bellosi e A.
Rossi, presentazione di G. Previtali, Torino, Einaudi, 1986, p. 100, dove si distingue tra arte antica,
che va fino allimperatore Costantino (306-337 d. C.), e arte vecchia, che va da papa Silvestro
(314-325) al 1250: (Ma perch pi agevolmente si intenda quello che io chiami vecchio et antico,
antiche furono le cose inanzi Costantino, di Corinto, dAtene e di Roma, e daltre famosissime citt,
fatte fino a sotto Nerone, a i Vespasiani, Traiano, Adriano et Antonino; percioch laltre si
chiamano vecchie, che da San Silvestro in qua furono poste in opera da un certo residuo de
Greci).
5 Ivi, p. 99.
6 Ivi, p. 100.

E si vede in questa [maniera di Giotto] levato via il proffilo che ricigneva per tutto le figure,
e quegli occhi spiritati e piedi ritti in punta e le mani aguzze et il non avere ombre et altre
mostruosit di que Greci [...]. 7

Da questa manciata di citazioni si possono ricavare gli elementi che,


secondo Vasari, caratterizzano larte bizantina: a) gli artisti sapevano
tignere pi che dipignere e ritraevano la linea di contorno di una figura
(un primo lineamento) in un campo di colore; b) il profilo o primo
lineamento delimitava (ricigneva) le singole figure; c) gli occhi delle figure
appaiono sbarrati (spiritati) in una fissit vacua, i piedi ritti in punta e le
mani aguzze; e) limmagine piena di ombre e di mostruosit.
Cimabue, che fra tante tenebre fu prima luce della pittura, 8 pur
formandosi alla scuola di quei pittori venuti di Grecia [...] in Fiorenza, 9
grazie allosservazione e imitazione della natura super la maniera
ordinaria dei maestri, ferma alla linea di contorno della figura in una parete
di colore, e diede inizio al nuovo modo dellarte, avendo cura del disegno e
intervenendo proprio sul lineamento e sul colorito delle figure. 10 Il tratto
che qualifica il profilo vasariano di Cimabue limpegno a levare da la
pittura gran parte della maniera greca nelle figure dipinte 11 e a dare il nuovo,
riconoscibile per laria delle teste e per le pieghe de panni. 12 Cos le
immagini dipinte si allontanano dal goffo e mostruoso nella misura in cui
tendono ad avvicinarsi alla natura e si avviano a diventare raccontabili come
immagini naturali. 13
Con Giotto, il quale fu tanto imitatore della natura che ne tempi suoi
sband affatto quella greca goffa maniera, 14 il vecchio viene superato del
tutto grazie allintroduzione del ritrar di naturale le persone vive. Vasari
indica, a questo proposito, il ritratto di Dante Alighieri, coetaneo et amico di
Giotto, nellaffresco del Giudizio universale (Firenze, cappella della
Maddalena nel palazzo del Bargello), identificandolo, secondo una
tradizione assai dubbia, 15 nel personaggio in basso a destra.

7 Ivi, p. 211.
8 Ivi, p. 107.
9 Ivi, p. 103.
10 Ivi, p. 107.
11 Ivi, p. 104.
12 Ivi, p. 105.
13 Cfr. M. PALUMBO, Valore e disvalore nelle Vite di Vasari del 1550: l'esempio di Cimabue,
Filologia e critica, 2005, n. 2-3, pp. 394-408.
14 .. G. VASARI, Le vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a
tempi nostri Nelledizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550 cit., p. 118.
15 Cfr. Commento di L. Bellosi e A. Rossi, ivi, p. 118, n. 4. Lidentificazione di questo personaggio
con il poeta fiorentino ha una tradizione assai dubbia.

Come gi Cimabue, Giotto fa rinascere il disegno in un tempo ancora


segnato sul piano dellarte dalla grossolanit e dallinettitudine:
E miracolo fu certamente grandissimo che quella et e grossa et inetta avesse forza
doperare in Giotto s dottamente, che l disegno, del quale poca o nessuna cognizione
avevano gli uomini di que tempi, mediante s buono artefice, ritornasse del tutto in vita. 16

Per ottenere questo risultato, Giotto lavora sulla bellezza de panni e sulla
grazia e vivezza delle teste maschili e femminili, che finalmente si
presentano vivissime e miracolose. 17 La vita della natura, dunque, passa
progressivamente dalle immagini reali alle immagine rappresentate, le quali
possono essere raccontate finalmente come immagini vive e vere. Anche
nella tavoletta a tempera della Dormitio Virginis di Giotto (Berlino,
Staatliche Museen) la propriet della storia dipinta molto simile al vero,
per lattenzione nel disegno, la vivacit della rappresentazione e le
attitudini delle figure:
una tavolina a tempera, dipinta di mano di Giotto con infinita diligenza e con disegno e
vivacit dentrovi la Morte di Nostra Donna, con gli Apostoli che fanno lessequie, e Cristo
che lanima in braccio tiene; da glartefici pittori molto lodata, e particolarmente da Michel
Agnolo Buonaroti, attribuendole la propriet della storia essere simile al vero. Oltra che le
attitudini nelle figure con grandissima grazia dello artefice sono espresse. 18

Pi avanti, nel Proemio della seconda parte, sintetizzando gli aspetti


innovativi della prima et, Vasari sottolinea che la maniera di Giotto un
decisivo superamento dei singoli elementi costitutivi della maniera greca,
elencati ad uno ad uno e coordinati polisindeticamente, creando
sintatticamente una figura geometrica piramidale, dal vertice (E si vede)
alla regione media sui tre lati (levato via [] et il non avere [], e dato) alla
base triangolare (il proffilo [] e quegli occhi spiritati e piedi ritti in punta e le
mani aguzze, ombre et altre mostruosit, una buona grazia nelle teste e
morbidezza nel colorito):
E si vede in questa [maniera di Giotto]
levato via il proffilo che ricigneva per tutto le figure,
e quegli occhi spiritati
e piedi ritti in punta
e le mani aguzze
et il non avere ombre
et altre mostruosit di que Greci,
e dato una buona grazia nelle teste

16 Ivi, p. 117.
17 Ivi, p. 124.
18 Ivi, p. 126.

e morbidezza nel colorito. 19

Anche la nuova maniera di Giotto, grazie alla moltiplicazione del


polisendeto lungo lasse verticale della scrittura, viene descritta nei singoli
elementi costitutivi, come gli atteggiamenti delle figure, la vivezza delle teste,
il movimento dei panni, la sistemazione in prospettiva delle figure, gli affetti
(timore, speranza, ira, amore) dei personaggi, la morbidezza dello stile che
il risultato del superamento dello stile ruvido e scabroso dellarte greca:
E Giotto in particulare fece migliori attitudini alle sue figure,
e mostr qualche principio di dare una vivezza alle teste,
e pieg i panni che traevano pi alla natura che non quegli innanzi,
e scoperse in parte qualcosa de lo sfuggire e scortare le figure.
Oltre a questo egli diede principio agli affetti, che si conoscesse in parte il timore,
la speranza,
lira
e lo amore;
e ridusse a una morbidezza la sua maniera, che prima era e ruvida
e scabrosa [...].
20

Tuttavia la maniera di Giotto non ancora riuscita a rappresentare


pienamente il vivo e il vero negli occhi, nei capelli, nelle barbe, nelle mani, nei
nudi:
e se non fece gli occhi con quel bel girare che fa il vivo,
e con la fine de suoi lagrimatoi,
et i capegli morbidi,
e le barbe piumose,
e le mani con quelle sue nodature e muscoli,
e gli ignudi come il vero,
scusilo la difficult della arte
et il non aver visto pittori migliori di lui.
E pigli ognuno in quella povert dellarte
e de tempi, la bont del giudizio nelle sue istorie,
losservanza dellarie
e lobedienza di un naturale molto facile,
perch pur si vede che le figure obbedivano a quel che elle avevano a fare;
e perci si mostra che egli ebbe un giudizio molto buono, se non perfetto. 21

La gigantografia di Giotto nelleconomia delle Vite viene sancita da


Vasari con il rimando a Dante e a Boccaccio. Il primo esprime la sua
ammirazione per lartista e per le rare doti che la natura aveva nella bont
del gran pittore impresse nel c. XI del Purg., vv. 94-99:
19 Ivi, p. 211.
20 Ibidem.
21 Ivi, pp. 211-12.

Credette Cimabue ne la pittura


tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
s che la fama di colui scura.
Cos ha tolto luno a laltro Guido
la gloria de la lingua; e forse nato
chi luno e laltro caccer del nido. 22

A parlare Oderisi da Gubbio, un miniatore allora rinomato, esponente


nelloltretomba dantesco della superbia dellartista. La sua ammissione, nei
vv. 82-84, di essere stato superato nellarte del miniare da Franco Bolognese:
Frate, disselli, pi ridon le carte
che pennelleggia Franco Bolognese;
lonore tutto or suo, e mio in parte. 23

solo lavvio per delineare quella grande svolta culturale, di cui Dante ha
piena consapevolezza, non solo nellambito della miniatura, ma anche nella
pittura, dove Cimabue ha inaugurato una nuova pittura ma stato superato
da Giotto, e nella letteratura, dove la gloria del bolognese Guido Guinizelli,
padre del dolce stil novo, stata ridimensionata dalla gloria del fiorentino
Guido Cavalcanti e dove si profila il superamento da parte dello stesso Dante
sia di Guinizelli sia di Cavalcanti.
Anche Boccaccio, che durante il suo soggiorno napoletano conobbe
con ogni probabilit di persona Giotto impegnato tra il 1328 e il 1333 ad
affrescare la chiesa di Santa Chiara (costruita fra il 1310 e il 1328), 24 tesse la
lode dellartista nel Decameron, VI, 5. Il grande merito che gli viene oramai
riconosciuto da pi parti di aver riportato in luce la pittura, dopo i molti
secoli del Medioevo, quando era stata nel buio sepolcrale a causa degli
artigiani che avevano puntato pi a dilettar gli occhi deglignoranti che a
compiacere allo ntelletto de savi. 25 Muovendosi in direzione opposta alla
pittura bizantina, il Giotto del Boccaccio si ingegna ad imitare la natura a tal
22 D. ALIGHIERI, La Commedia secondo lantica vulgata, testo critico stabilito da G. Petrocchi per
ledizione nazionale della Societ Dantesca Italiana, Torino, Einaudi 1975, p. 187.
23 Ibidem.
24 G. VASARI, Le vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a
tempi nostri. Nelledizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550 cit., pp. 122-23: Fu
chiamato a Napoli dal Re Ruberto, il quale gli fece fare in Santa Chiara, chiesa reale edificata da
lui, alcune cappelle, nelle quali molte storie del Vecchio e Nuovo Testamento si veggono. Dove
ancora, in una cappella, sono molte storie dellApocalisse, ordinategli (per quanto si dice) da
Dante, fuor uscito allora di Firenze e condotto in Napoli anchegli per le parti. Nel Castello de
lUovo fece ancora molte opere, e particolarmente la cappella di detto Castello. Solo pochi
frammenti del Lamento sul Cristo morto, nel coro delle monache della chiesa di Santa Chiara,
sono pervenuti sino a noi. Per quanto riguarda le storie dellApocalisse ordinate da Dante, Vasari
riferisce quanto si dice, senza entrare nel merito. Fatto che Dante mor nel 1321, sette anni
prima dellavvio dei lavori di Giotto in Santa Chiara. Inoltre Giotto affresc la cappella di Santa
Barbara, che in Castel Nuovo, non nel Castel dellUovo.
25 G. BOCCACCIO, Decameron, a cura di V. Branca, Torino, Einaudi, 1992, p. 738.

punto che limmagine rappresentata sembra allocchio fisico non solo simile a
quella naturale, anzi vera pi che dipinta:
[Giotto] ebbe uno ingegno di tanta eccellenzia, che niuna cosa d la natura, madre di tutte
le cose e operatrice col continuo girar de cieli, che egli con lo stile e con la penna o col
pennello non dipignesse s simile a quella, che non simile, anzi pi tosto dessa paresse, in
tanto che molte volte nelle cose da lui fatte si truova che il visivo senso degli uomini vi
prese errore, quello credendo esser vero che era dipinto. 26

Nel rilevare linganno dellocchio, che percepisce come vero ci che


solo dipinto, Boccaccio ricorre a un preciso aneddoto, quello della gara tra
Zeusi che dipinge luva, ingannando gli uccelli, e Parrasio che dipinge la
tenda, ingannando Zeusi, 27 cos come si legge in Plinio, Naturalis historia,
XXXV, 65:
Descendisse hic in certamen cum Zeuxide traditur et, cum ille detulisset uvas pictas tanto
successu, ut in scaenam aves advolarent, ipse detulisse linteum pictum ita veritate
repraesentata, ut Zeuxis alitum iudicio tumens flagitaret tandem remoto linteo ostendi
picturam atque intellecto errore concederet palmam ingenuo pudore, quoniam ipse
volucres fefellisset, Parrhasius autem se artificem. 28

Lestetica giottesca dellimitazione della natura, fissata da Boccaccio


nella quinta novella della VI giornata del Decameron, viene assunta da Vasari
come paradigma della prima e seconda stagione dellarte moderna. Inoltre ci
sono altri luoghi in cui Boccaccio esalta Giotto, anzi sono continui gli attestati
di ammirazione dello scrittore per lartista (Amorosa Visione, IV, 16 ss.;
Zibaldone Magliabechiano, c. 232; Genealogia, XIV, 6). Il riconoscimento del
primato di Giotto un dato largamente acquisito nel corso del Trecento - e si
pensi oltre a Dante e Boccaccio anche a Petrarca e Sacchetti e poi nel

26 Ivi, p. 737.
27 Cfr. P. SABBATINO, Imitazione e illusione. Leonardo da Vinci, Varchi, Marino, Milizia, Studi
Rinascimentali, 3, 2005, pp. 11-27; Inganni ad arte. Meraviglie del trompe-l'oeil dall'antichit al
contemporaneo. Catalogo della mostra (Firenze, 16 ottobre 2009-24 gennaio 2010), a cura di A.
Giusti, Firenze, Mandragora, 2009. Utili riflessioni sullillusione sono in G. DIDI-HUBERMAN, La
pittura incarnata. Saggio sullimmagine vivente, Milano, Il Saggiatore, 2008. Sulleredit di Plinio in
Vasari cfr. M. SPAGNOLO, Vasari e le difficolt dellarte, in Percorsi vasariani tra le arti e le lettere.
Atti del Convegno di Studi (Arezzo, 7-8 maggio 2003), a cura di M. Spagnolo e P. Torriti, Arezzo,
Editrice Le Balze, 2004, pp. 89-108; . POMMIER, Linvenzione dellarte nellItalia del Rinascimento,
Torino, Einaudi, 2007, pp. 260-69.
28 PLINIO, Storia naturale, V. Minerologia e storia dellarte. Libri 33-37, introduzione di I. CALVINO,
traduzioni e note di A. CORSO, R. MUGELLESI, G. ROSATI, Torino, Einaudi, 1988, pp. 360-62 (Si
racconta che Parrasio venne a gara con Zeusi; mentre questi present delluva dipinta cos bene
che gli uccelli si misero a svolazzare sul quadro, quello espose una tenda dipinta con tanto
verismo che Zeusi, pieno di orgoglio per il giudizio degli uccelli, chiese che, tolta la tenda,
finalmente fosse mostrato il quadro; dopo essersi accorto dellerrore, gli concesse la vittoria con
nobile modestia: se egli aveva ingannato gli uccelli, Parrasio aveva ingannato lui stesso, un
pittore). Cfr. M. BAXANDALL, Giotto e gli umanisti, Milano, Jaca book, 1994.

Quattrocento si pensi allepigramma del Poliziano sul sepolcro di Giotto in


Santa Maria del Fiore. 29
Nella biografia di Giotto, Vasari raccoglie il testimone di questa
tradizione, che gli consente di creare strategicamente nella dinamica
storiografica della rinascita dellarte un inizio forte, con un solo grande eroe
tra tanti artefici inetti:
essendo stati sotterrati tanti anni dalle ruine delle guerre i modi delle buone pitture et i
dintorni di quelle, egli solo, ancora che nato fra artefici inetti, con celeste dono, quella
chera per mala via, resuscit, e redusse ad una forma da chiamar buona. 30

Attorno alleroe si formano numerosi discepoli e cresce la scuola:


Taddeo Gaddi, Puccio Capanna, Ottaviano da Faenza, Guglielmo da Forl
(detto anche Guglielmo degli Organi), Simone Martini, Stefano Fiorentino,
Pietro Cavallini et altri infiniti, i quali molto alla maniera et alla imitazione di
lui saccostarono. 31

2. Masaccio e la nuova maniera di colorito, di scorci, dattitudini naturali


Nella seconda et, che abbraccia lintero Quattrocento, larte moderna
si consolida e vive la stagione della giovent, come racconta Vasari nel
Proemio della seconda parte delle Vite. 32 Gli artisti rappresentano solo quel
che vedevono nel naturale e non pi, liberandosi definitivamente degli ultimi
residui dellarte bizantina (come ad esempio le figure in punta di piedi). Nelle
opere darte finalmente trionfa la nuova maniera di colorito, di scorci,
dattitudini naturali, sono pi accuratamente espressi sia i gesti del corpo,
grazie al disegno, sia i moti dello animo, le arie del viso diventano
interamente somiglianti agli uomini, le luci e le ombre sono pi
attentamente osservate, le rappresentazioni di storie acquistano pi propria

29 G. VASARI, Le vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a


tempi nostri. Nelledizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550 cit., p. 129: Rest nelle
penne di chi scrisse a suo tempo, e poi, tanta maraviglia del nome suo, per esser stato primo a
ritrovare il modo di dipignere, perduto inanzi lui molti anni, che dal Magnifico Lorenzo Vecchio de
Medici, facendosi egli di questo maestro ogni giorno pi maraviglia, merit davere in Santa Maria
del Fiore la effigie sua scolpita di marmo; e dal divino uomo Messer Angelo Poliziano lo infrascritto
epitaffio in sua lode, acci che quegli che verranno eccellenti e rari in qual si voglia professione,
debbino valorosamente esercitarsi per avere di s fatte memorie, meritandole, in lode loro dopo la
morte, come fe Giotto: Ille ego sum per quem pictura extincta revixit / cui quam recta manus tam
fuit et facilis. / Naturae deerat nostrae quod defuit arti / plus licuit nulli pingere nec melius / miraris
turrim egregiam sacro aere sonantem? / Haec quoque de modulo crevit ad astra meo / denique
sum iottus. Quid opus fuit illa referre? / Hoc nomen longi carminis instar erit.
30 Ivi, p. 117.
31 Ivi, p. 129.
32 Ivi, p. 215.

similitudine e il paesaggio (scorci, alberi, erbe, fiori, nuvole, ecc.) pi simile


al vero di natura.
Con Masaccio, lerede della maniera moderna di Giotto e il maestro
della seconda et, limitazione della natura progredisce a tal punto che le
immagini dipinte appaiono sempre pi immagini vive e vere della natura.
Persino lultimo tratto dellarte bizantina come i piedi ritti delle figure, che
ancora resisteva e dava goffezza, viene finalmente eliminato, facendo
scortare i piedi nel piano. 33 Il contributo di Masaccio alla maniera moderna
dellarte stato determinante, per cui e merita certamente non esserne
manco riconosciuto che se e fusse stato inventore della arte.34
Le immagini dipinte da Masaccio, in particolare quelle che raccontano
storie, sono del tutto raccontabili con le parole come naturali. il caso degli
affreschi della cappella Brancacci nella chiesa del Carmine di Firenze. Tra le
istorie di San Piero, - il ciclo fu iniziato da Masolino e poi interrotto -,
Masaccio dipinge alcune scene, come la istoria della cattedra (San Pietro
in cattedra), il liberare gli infermi, suscitare i morti - scena identificata da
Procacci 35 con la Distribuzione delle elemosine - et il sanare gli attratti con
lombra nello andare a l tempio con San Giovanni (San Pietro che risana
con la propria ombra), il Tributo, la Resurrezione del figlio di Teofilo. 36
La lettura vasariana del Tributo un primo esempio di kphrasis di una
pittura di storie (lepisodio evangelico del tributo) ,37 con vari personaggi (San
33 Ivi, p. 266. A tale proposito, nella biografia di Masaccio, Vasari cita laffresco di San Paolo nella
cappella Brancacci (Firenze), distrutto poi nel 1675. Cfr. ivi, pp. 286-87 (Et allora fece Masaccio
per pruova il San Paulo presso alle corde delle campane, solamente per mostrare il miglioramento
che egli aveva fatto nella arte. E dimostr veramente infinita bont in questa pittura, conoscendosi
nella testa di quel Santo- il quale Bartolo di Angiolino Angiolini ritratto di naturale - una terribilit
tanto grande che e' pare che la sola parola manchi a questa figura: e chi non conobbe San Paulo,
guar dando questo vedr quel dabbene della civilit romana, insieme con la invitta fortezza di
quell'animo divinissimo tutto intento alle cure della fede. Mostr ancora in questa pittura medesima
l'intelligenza di scortare le vedute di sotto in su, che fu veramente maravigliosa, come apparisce
ancor oggi ne' piedi stessi di detto Apostolo, per una difficult facilitata in tutto da lui, rispetto a
quella goffa maniera vecchia che faceva (come io dissi poco di sopra) tutte le figure in punta di
piedi; la qual maniera dur fino a lui senza che altri la correg gesse, et egli solo e prima di ogni
altro la ridusse al buono del d doggi).
34 Ivi, p. 266.
35 Cfr. U. PROCACCI, Tutta la pittura di Masaccio, Milano, Rizzoli, 1951; ID., Masaccio, Firenze,
Olschki, 1980.
36 G. VASARI, Le vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a
tempi nostri. Nelledizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550 cit., pp. 270-71.
37 Cfr. Matteo, XVII, 24-27 (si cita da La Sacra Bibbia, Roma, Edizioni Paoline, 1969, p. 1101:
Giunti a Cafarnao, si accostarono a Pietro quelli che riscuotevano le due dramme e gli dissero: Il
vostro maestro non paga le due dramme? Egli rispose: S, certamente. Ma entrato in casa, Ges
lo prevenne dicendo: Che te ne pare, Simone? I re della terra da chi ricevono il tributo o le
imposte? Dai propri figli o dagli estranei?. Dagli estranei, rispose. E Ges a lui: Dunque, i figli ne
sono esenti. Tuttavia, per non scandalizzarli, va al mare, getta lamo e prendi il primo pesce che
viene su; aprigli la bocca e vi troverai uno statere, prendilo e paga per me e per te).Ciascun
ebreo pagava al Tempio due dramme allanno, ma solo dopo i venti anni. Lo statere valeva quattro
dramme.

Pietro, Ges, gli apostoli, lesattore), ciascuno dei quali compie un gesto,
assume un atteggiamento, partecipa con un ruolo:
Ma tra laltre [scene] notabilissima apparisce quella dove San Piero per pagare il tributo,
cava per commissione di Cristo i danari de l ventre del pesce; perch, oltra il vedersi quivi
in uno Apostolo che nello ultimo il ritratto stesso di Masaccio, fatto da lui medesimo a lo
specchio, che par vivo, e vi si conosce lo ardire di San Piero nella dimanda e la attenzione
de gli Apostoli nelle varie attitudini intorno a Cristo, aspettando la resoluzione con gesti s
pronti che veramente appariscon vivi. Et il San Piero massimamente, il quale nello
affaticarsi a cavare i danari del ventre del pesce ha la testa focosa per lo stare chinato. E
molto pi quando e paga il tributo, dove si vede lo affetto del contare e la sete di colui che
riscuote, che si guarda i danari in mano con grandissimo piacere. 38

Nella pittura della storia del tributo, San Pietro colto nellatto di stare
chinato con la testa, che risulta focosa, e di prelevare con affaticamento i
soldi dal ventre del pesce. Nellatto poi di pagare il tributo San Pietro mostra
lo affetto del contare. Chi riceve, invece, manifesta la sete, lavidit nel
riscuotere, e il grandissimo piacere nel vedere quei danari nella mano. Nel
rappresentare i singoli personaggi della storia cos come sono nella natura,
Masaccio crea con il pennello una pittura viva e incarnata: il ritratto di
Masaccio, che d il volto a un apostolo, par vivo e gli apostoli, in
particolare San Pietro, nei loro atteggiamenti e gesti sembrano vivi allo
stesso modo di chi riscuote il tributo.
Nellistoria del Battesimo dei neofiti di Masaccio, il Vasari ferma
lattenzione del lettore delle Vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori
italiani, da Cimabue insino a tempi nostri su un particolare gi allora molto
apprezzato, un uomo ignudo che triema tra gli altri battezzati assiderando di
freddo. 39 Il personaggio affrescato da Masaccio talmente vero e vivo che il
suo corpo non statico, ma sembra scosso da movimenti oscillatori rapidi e
involontari.
Anche attorno al Masaccio, come nella prima et attorno a Giotto, si
formano numerosi artisti, i quali si recano nella cappella Brancacci per
studiare ed esercitarsi. In questa grande scuola, vero e proprio Studio
dellarte moderna, passano numerosi artisti, tutti divenuti eccellenti e chiari:
fra Giovanni da Fiesole detto lAngelico, Alesso Baldovinetti, Andrea del
Castagno, Andrea Verrocchio, Domenico Ghirlandaio, Sandro Botticelli,
Leonardo da Vinci, Pietro Vannucci detto il Perugino, Mariotto Albertinelli,
Michelangelo Buonarroti, Raffaello Sanzio, Francesco Granacci, Lorenzo di
Credi, Ridolfo del Ghirlandaio, Andrea del Sarto, Giovanbattista di Jacopo di
Gasparre detto il Rosso, Francesco di Cristofano detto il Franciabigio, Baccio
38 G. VASARI, Le vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a
tempi nostri. Nelledizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550 cit., p. 271.
39 Ibidem.

10

Bandinelli, Alonso Berruguete, Jacopo Carrucci detto il Pontormo, Perino del


Vaga, Nunziato Antonio dAntonio detto Toto del Nunziata. Linventario degli
artisti, formatisi nello Studio della cappella Brancacci, non completo, anzi
comprende solo i singoli capi della arte, per cui a ogni capo occorre
aggiungere gli altri artisti che formano le membra, come a dire che dalla
scuola del Masaccio il maestro pi moderno fra tutti i vecchi maestri da
Giotto in poi - provengono tutte le altre scuole, le quali cronologicamente
vanno distribuite lungo la seconda e la terza et.

3. Limitazione del pi bello della natura e il ghigno della Gioconda


Nella terza et dellarte moderna si registra un salto di qualit sul piano
della concezione estetica, con il passaggio dallimitazione del vero di natura
allimitazione del pi bello della natura, dalla maniera buona alla bella
maniera: 40
Il disegno fu lo imitare il pi bello della natura in tutte le figure, cos scolpite come dipinte,
la qual parte viene da lo avere la mano e lingegno che rapporti tutto quello che vede
locchio in sul piano, o disegni o in su fogli o tavola o altro piano, giustissimo et a punto; e
cos di rilievo nella scultura; la maniera venne poi la pi bella, da lavere messo in uso il
frequente ritrarre le cose pi belle, e da quel pi bello, o mani o teste o corpi o gambe,
agiugnerle insieme a fare una figura di tutte quelle bellezze che pi si poteva; e metterla in
uso in ogni opera per tutte le figure, che per questo se dice ella essere bella maniera. 41

40 Cfr. A. PINELLI, La bella maniera. Artisti del Cinquecento tra regola e licenza, Torino, Einaudi,
1994, pp. 94-116. Per il dibattito sullimitazione si veda P. SABBATINO, La bellezza di Elena.
Limitazione nella letteratura e nelle arti figurative del Rinascimento, Firenze, Olschki, 1997; F.
TATEO, Il problema dell'imitazione, in Italia e Boemia nella cornice del Rinascimento europeo, a
cura di S. Graciotti, Firenze, Olschki, 1999; P. SABBATINO, Il "Trionfo della Galatea" di Raffaello e il
"Libro del Cortegiano" di Castiglione. Il dibattito sull'imitazione nel primo Cinquecento,Studi
Rinascimentali, 2, 2004, pp. 23-48; ID., Imparare sotto la bella maniera di Michelagnolo.
L'imitazione nelle opere di Benvenuto Cellini, Chronique italennes (dition web), 4, 2009, n. 16
[In punta di pi 'l Granchio ardito. Benvenuto Cellini a tutto tondo. Actes de la Journe d'Etude sur
Benvenuto Cellini organise par le CIRRI / LECEMO de l'Universit de la Sorbonne Nouvelle-Paris
3, l'ELCI (EA 1496) de l'Universit Paris-Sorbonne-Paris 4 l'ENS (Paris), Etudes runies et
prsentes par Corinne LUCAS FIORATO et Frdrique DUBARD DE GAILLARBOIS], pp. 18
41 Ivi, p. 539. Il credo vasariano dellimitazione del pi bello della natura, qui professato in modo
fermo e solenne, appare gi ad apertura della vita di Giotto, non tanto per esporre la linea del
maestro, che invero si prodiga per limitazione della natura, quanto per ribadire che bisogna essere
grati a Giotto, liniziatore dellarte moderna, cos come gli artefici devono essere grati alla natura,
libro di immagini e di esempi da cui scegliere le parti pi belle: Quello obligo istesso che hanno gli
artefici pittori alla natura, la quale continuamente per essempio serve a quegli che, cavando il
buono da le parti di lei pi mirabili e belle, di contrafarla sempre singegnano, il medesimo si deve
avere a Giotto. Perch, essendo stati sotterrati tanti anni dalle ruine delle guerre i modi delle buone
pitture et i dintorni di quelle, egli solo, ancora che nato fra artefici inetti, con celeste dono, quella
chera per mala via, resuscit, e redusse ad una forma da chiamare buona (ivi, p. 117).

11

Nella filigrana dello stralcio si intravede chiaramente laneddoto del


giovane Zeusi di Eraclea (V-IV sec. a. C.), il quale, invitato dagli abitanti di
Crotone nel periodo del loro massimo splendore ad arricchire con dipinti il
tempio di Giunone, dipinse la bellezza piena e straordinaria di Elena
selezionando le cinque vergini pi avvenenti e imitando solo le parti pi
perfette dei loro corpi. La vicenda, raccontata da Cicerone a inizio del
secondo libro di Rhetorici libri qui vocantur De inventione e ripresa con
qualche variante da Plinio, Naturalis historia, XXXV, 64, ebbe larga
circolazione tra Quattrocento e Cinquecento, in particolare negli scritti e
interventi sulla questione capitale dellimitazione, 42 e fu affrescata da Vasari a
Firenze (Casa Vasari, Sala delle Arti e degli Artisti) 43 e ad Arezzo (Casa
Vasari, Sala del Trionfo della Virt).44
Lallusione allaneddoto della perfetta bellezza di Elena dipinta da Zeusi
funzionale, nelleconomia delle Vite, alla messa a fuoco della concezione
dellimitazione come processo selettivo del buono tra le parti pi mirabili e
belle della natura. Rispetto al libro delle immagini offerte dalla natura,
lartista si impegna innanzitutto a osservarle direttamente con locchio fisico e
in secondo luogo a selezionare con locchio mentale le parti pi belle. Lopera
darte, dunque, il frutto dellingegno dellartista, il quale dipinge o scolpisce
con la mano le parti pi mirabili della natura, viste con gli occhi e selezionate
dallintelletto, ottenendo con una formidabile sintesi la perfetta bellezza.
Il primo Cinquecento, dunque, il secolo glorioso dei moderni Zeusi,
aperto da Leonardo da Vinci, il quale mostr gagliardezza e bravezza del
disegno, fu abile nel contraffare sottilissimamente tutte le minuzie della
natura cos appunto come elle sono, con buona regola, migliore ordine, retta
misura, disegno perfetto, infine diede veramente alle sue figure il moto e il
fiato, 45 come dimostra la moderna Elena ovvero la Gioconda (Parigi,
Louvre). Nel descrivere la pittura incarnata della Gioconda identificata
dallartista scrittore con Monna Lisa, moglie di Francesco del Giocondo Vasari
elenca
numerosi
dettagli
che
articolano
il
discorso
42 Cfr. P. SABBATINO, La bellezza di Elena. Limitazione nella letteratura e nelle arti figurative del
Rinascimento cit., pp. 13-59; L. BARKAN, The heritage of Zeusxis. Painting, Rhetoric and History, in
Antiquity and its interpreters, a cura A. Payne, A. Kuttner, R. Smick, Cambridge University Press,
2000, pp. 99-104; . POMMIER, Il ritratto. Storia e teorie dal Rinascimento allEt dei Lumi, Torino,
Einaudi, 2003, pp. 39-41 (Zeusi a Crotone).
43 U. BALDINI, Giorgio Vasari pittore, Firenze, Edizioni darte Il Fiorino, 1994, pp. 248 e 253; M. W.
GAHTAN, Vasaris Allegorical Imagination, in Vasaris Florence. Artists and Litterati at the Medicean
Court, Yale University Art Gallery, catalogue prepared by M. W. Gahtan and Ph. J. Jacks, 1994,
pp. 9-20.
44 A. CECCHI, La Casa del Vasari in Arezzo, nel catalogo Giorgio Vasari. Principi, letterati e artisti
nelle carte di Giorgio Vasari. Casa Vasari. Pittura vasariana dal 1532 al 1554 (Arezzo, 26
settembre-29 novembre 1981), Firenze, Edam, 1981, p. 28; P. SABBATINO, La bellezza di Elena
cit., p. 27-28.
45 G. VASARI, Le vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a
tempi nostri. Nelledizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550 cit., pp. 541-42.

12

analitico. 46 Innanzitutto ferma lattenzione sulla testa, nella quale chi


voleva vedere quanto larte potesse imitar la natura, agevolmente si poteva
comprendere, perch quivi erano contrafatte tutte le minuzie che si possono
con sottigliezza dipignere. 47 E passa in rassegna i singoli elementi, gli
occhi (Avvenga che gli occhi avevano que lustri e quelle acquitrine che di
continuo si veggono nel vivo, et intorno a essi erano tutti que rossigni lividi et
i peli, che non senza grandissima sottigliezza si posson fare), le ciglia (Le
ciglia, per avervi fatto il modo del nascere i peli nella carne, dove pi folti e
dove pi radi, e girare secondo i pori della carne, non potevano essere pi
naturali), il naso (Il naso, con tutte quelle aperture rossette e tenere, si
vedeva essere vivo), la bocca (La bocca, con quella sua sfenditura con le
sue fini unite dal rosso della bocca con la incarnazione del viso, che non
colori ma carne pareva veramente) e la gola (Nella fontanella della gola chi
intentissimamente la guardava, vedeva battere i polsi). 48
Per alcuni elementi, osserva Patrizi, 49 si indicano dei piccoli
movimenti, di attivit biologica, come per le ciglia e per la fontanella della
gola, per cui nellinsieme limmagine dipinta inganna fino a sembrare
unimmagine viva, con il respiro e il cuore che pulsa. E il risultato tale da
far tremare e temere ogni gagliardo artefice.
In secondo luogo, in questa apoteosi della rappresentazione del
volto, 50 Vasari coglie il moto interiore della Gioconda, nella quale non si
insinua la malinconia, come spesso a quel tempo avveniva nellambito
della ritrattistica. Per evitare di cedere alla moda, secondo la testimonianza
raccolta da Vasari, Leonardi esperto di fisiognomica dipinse la Gioconda in
uno studio dove teneva [] chi sonasse o cantasse, e di continuo buffoni
che la facessino stare allegra. 51 Questa testimonianza, raccolta da Vasari, ci
riporta alla mente uno stralcio del Libro di Pittura, cap. 36 (c. 1500), dove
Leonardo mostra linterno dello studio del pittore, il quale dipinge con

46 G. PATRIZI, Lettura e interpretazione dellarte italiana, in Storia dellarte italiana, coord. G.


Bollati e P. Fossati, Parte terza a c. di F. Zeri, vol. III, Conservazione, falso, restauro, Torino,
Einaudi, 1981, p. 227.
47 G. VASARI, Le vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a
tempi nostri. Nelledizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550 cit., p. 552.
48 Ibidem.
49 G. Patrizi, Lettura e interpretazione dellarte italiana cit., pp. 222-31; Id., Le vite de pi
eccellenti pittori, scultori ed architetti di Giorgio Vasari, in Letteratura italiana, dir. A. Asor Rosa, Le
Opere, vol. II, Dal Cinquecento al Settecento, Torino, Einaudi, 1993, p. 600: Vasari un
interprete magistrale della 'lettura' ecfrastica [...]. Quasi virtuosistica la descrizione della Monna
Lisa leonardesca, dove uno schema micronarrativo si attesta in una prospettiva anatomica.
50 M. POZZI, Il volto e le passioni nelle Vite di Giorgio Vasari, in. Il volto e gli affetti. Fisiognomica
ed espressione nelle arti del Rinascimento. Atti del Convegno di studi (Torino, 28-29 novembre
2001), a cura di A. Pontremoli, Firenze, Olschki, 2003, p. 131.
51 G. VASARI, Le vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a
tempi nostri. Nelledizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550 cit., p. 552.

13

laccompagnamento di musici o di lettori. 52 A questi, per loccasione della


Gioconda, Leonardo aggiunse i buffoni.
La spia lessicale per interpretare il moto interiore della Gioconda il
ghigno:
Et in questo [ritratto] di Lionardo vi era un ghigno tanto piacevole che era cosa pi divina
che umana a vederlo, et era tenuta cosa maravigliosa, per non essere il vivo altrimenti. 53

Nelledizione torrentiniana delle Vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori


italiani, la voce ghigno ricorre solo due volte ed entrambe le occorrenze sono
nella biografia di Leonardo. La prima nella descrizione del cartone
raffigurante SantAnna, la Madonna, il Bambino e San Giovanni (databile tra il
1498 e il 1504; Londra, Royal Academy):
si vedeva nel viso di quella Nostra Donna tutto quello che di semplice e di bello pu con
semplicit e bellezza dare grazia a una madre di Cristo; volendo mostrare quella modestia
e quella umilt che in una vergine contentissima di allegrezza del vedere la bellezza del
suo figliuolo, che con tenerezza sosteneva in grembo; e mentre che ella con onestissima
guardatura a basso scorgeva un santo Giovanni piccol fanciullo che si andava trastullando
con un pecorino, non senza un ghigno duna Santa Anna che, colma di letizia, vedeva la
sua progenie terrena esser divenuta celeste. Considerazioni veramente dallo intelletto et
ingegno di Lionardo. 54

Il ghigno di santAnna senza alcun dubbio il sorriso che nasce dal


cuore e dalla mente colmi di letizia nellatto di vedere e constatare che il
nipotino Ges luomo divenuto dio.
La seconda occorrenza di ghigno nella descrizione della Gioconda,
dipinta mentre i musici suonano e cantano e i buffoni tengono allegra Monna
Lisa esorcizzando la malinconia. Allo stesso modo del ghigno di santAnna,
allora, il ghigno della Gioconda il sorriso che apre una finestra sul cuore e
sulla mente della Gioconda, colmi di letizia.
4. Lintera perfezzione di Raffaello e la pittura di storie scritte
La bella maniera, affermatasi durante la terza et dellarte moderna
grazie a Leonardo, avanza ulteriormente con Raffaello Sanzio, il quale

52 LEONARDO DA VINCI, Libro di Pittura. Codice Urbinate lat. 1270 nella Biblioteca Apostolica
Vaticana, a cura di C. Pedretti, trascrizione critica di C. Vecce, I, Firenze, Giunti, 1995, p. 159. Cfr.
P. SABBATINO, Scrittura e scultura nellumanista napoletano Pomponio Gaurico, in P. Gaurico, De
Sculptura, a cura di P. Cutolo, Saggi di F. Divenuto, F. Negri Arnoldi, P. Sabbatino, Napoli, E.S.I.,
1999, p. 32.
53 G. VASARI, Le vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a
tempi nostri. Nelledizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550 cit., p. 552.
54 Ivi, p. 551.

14

raggiunge nella pittura lintera perfezzione, 55 cos come Apelle e Zeusi


nellantichit, al punto da superare la natura, sempre parzialmente perfetta e
parzialmente bella. Cos con Raffaello la natura oramai vinta dai colori.
La vittoria della pittura sulla natura, precisa Vasari, legata alla
metodologia di lavoro di Raffaello. Lartista, altro moderno Zeusi, innanzitutto
studia le opere dei maestri dellarte antica e moderna, poi da tutti seleziona e
raccoglie in modo organico il meglio fino a raggiungere lintera perfezione
della pittura. Allo stesso modo Cicerone, nellopera giovanile Rhetorici libri qui
vocantur De inventione, scelse e raccolse quello che era pi utile e pi esatto
fra i maggiori trattatisti greci e latini che allora componevano la biblioteca
della retorica, arricchendo la retorica dellintera perfezione. Il percorso
metodologico di Raffaello, dunque, viene disegnato su quello parallelo di
Zeusi e di Cicerone, segnando finalmente un doppio pareggio, tra la pittura
moderna e la pittura antica da un canto, tra larte della pittura e larte della
retorica dallaltro.
Il Raffaello di Vasari soprattutto il pittore di storie scritte. Le invenzioni
dellartista attingono dalle scritture di storie e il suo impegno di rimanere
nella pittura fedele alla scrittura:
linvenzione era in lui s facile e propria quanto pu giudicare chi vede le storie sue, le
quali sono simili alli scritti, mostrandoci in quelle i siti simili e gli edificii, cos come nelle
genti nostrali e strane, le cere e gli abiti, secondo che egli ha voluto: oltra il dono della
grazia delle teste, giovani, vecchi e femmine, riservando alle modeste la modestia, alle
lascive la lascivia et a i putti ora i vizii ne gli occhi et ora i giuochi nelle attitudini. E cos i
suoi panni piegati, n troppo semplici, n intrigati, ma con una guisa che paion veri. 56

Tra le pitture di storie scritte, raccontate da Vasari con dovizia di


particolari, c quella della storia della poesia, nella Stanza della Segnatura
affrescata da Raffaello nel 1509-1511 e utilizzata dal committente, papa
Giulio II, come biblioteca, per cui i soggetti rappresentati sulle quattro pareti
(Scuola di Atene, Parnaso, Disputa del Sacramento, Gregorio IX che approva
le Decretali e Giustiniano con le Pandette) indicano gli ambiti scientifici
(filosofia, poesia, teologia, diritto civile e diritto canonico) dei libri custoditi
negli armadi sottostanti.
La descrizione della Stanza della Segnatura procede in modo singolare.
Il punto di osservazione al centro della Stanza della Segnatura. Vasari
dapprima ferma lattenzione sulla parete dove affrescata la Scuola di Atene,
interpretata come la storia planetaria della convergenza tra filosofia,
astrologia e teologia, con i ritratti di tutti i savi del mondo. 57 In secondo
luogo Vasari alza lo sguardo verso la volta, che il cielo di quella
55 Ivi, p. 542.
56 Ibidem.
57 Ivi, p. 616. Cfr. G. W. MOST, Leggere Raffaello. La Scuola di Atene e il suo pre-testo, Torino,
Einaudi, 2001 (Bibliografia scelta, pp. 93-95).

15

stanza, 58 ed elenca i quattro tondi o medaglioni che sono stati affrescati


sulla volta, ciascuno in rapporto tematico con le storie che sono sulle pareti. Il
movimento degli occhi di Vasari, allora, segue una direzione verticale, dalla
Scuola di Atene al medaglione soprastante della Filosofia (una femmina
fatta per la cognizione delle cose, la quale sedeva in una sedia che aveva per
reggimento da ogni banda una dea Cibele, con quelle tante poppe che da gli
antichi era figurata Diana Polimaste; e la veste sua era di quattro colori,
figurati per li elementi, da la testa in gi vera il color del fuoco e sotto la
cintura era quel dellaria, da la natura a l ginocchio era il color della terra e
dal resto perfino a piedi era il colore dellacqua e cos la accompagnavano
alcuni putti bellissimi quanto si pu imaginare bellezza), poi, girando su se
stesso verso destra, dal tondo della Filosofia a quello della Poesia ( finto la
Poesia, la quale in persona di Polinnia coronata di lauro e tiene un suono
antico in una mano et un libro nellaltra e sopra poste le gambe con una aria
di viso immortale per le bellezze sta elevata con esso al cielo,
accompagnandola due putti che son vivaci e pronti, che insieme con essa
fanno vari componimenti con le altre), della Teologia (una Teologia con libri
et altre cose attorno, co medesimi putti, non men bella che le altre) e infine
della Giustizia accanto alla finestra che guarda al cortile (una Giustizia con
le sue bilance e la spada inalberata, con i medesimi putti che a laltre di
somma bellezza). 59
Nellecfrasi vasariana a questo movimento circolare segue un
movimento a croce. Lartista scrittore osserva e descrive le singole immagini
che sono agli angoli nei quattro scomparti rettangolari, ciascuna in stretto
rapporto tematico con il motivo rappresentato nel tondo e nella parete
sottostante. Cos al tondo della Teologia segue il rettangolo con il peccato di
Adamo (il mangiare del pomo) e insieme stanno sulla Disputa del
Sacramento, dalla parte opposta al medaglione della Teologia c quello della
Filosofia cui segue il rettangolo con lAstrologia nellatto di porre le stelle
fisse e lerranti a luoghi loro e insieme stanno sulla Scuola di Atene; al
medaglione della Poesia segue il rettangolo con Marsia fatto scorticare a un
albero da Apollo e insieme stanno sopra il Parnaso, dalla parte opposta al
medaglione della Poesia c quello della Giustizia cui segue il rettangolo con
il giudizio di Salamone quando egli vuol far dividere il fanciullo 60 e insieme
stanno sulle Virt (le altre tre virt cardinali: Temperanza, Fortezza,
Prudenza) e sui due riquadri con Triboniano che consegna le Pandette a
Giustiniano e San Gregorio IX (con il volto di Giulio II) che approva le
Decretali.
Dal cielo della stanza si ritorna poi sui grandi affreschi delle pareti, con
un movimento verticale verso il basso, portando lattenzione sul Parnaso e
58 Ivi, p. 618.
59 Ivi, pp. 617-18.
60 Ivi, p. 618.

16

poi, ancora con movimento circolare, sulla Disputa del Sacramento e sui due
riquadri, sotto le Virt, con Triboniano che consegna le Pandette a
Giustiniano e San Gregorio IX che approva le Decretali. Nellaffresco del
Parnaso Raffaello racconta con i colori la storia della poesia antica e
moderna e lo fa con molta grazia e infinita diligenzia. 61 Al centro, sulla
parte pi alta del monte che domina Delfi, la figura di Apollo attorniato dalle
nove muse (a sinistra Calliope che presiede al coro di Talia, Clio, Euterpe, e
a destra Erato, Polimnia, Melpomene, Tersicore, Urania). Ai piedi di Apollo la
fonte Castalia 62 e intorno una selva ombrosissima di lauri, accarezzati da
una lieve brezza (aure dolcissime) percepibile allocchio per il tremolare
delle foglie reso pittoricamente dalla loro verdezza. 63
Per creare dinamismo, Raffaello annota Vasari - dipinge una infinit
di amori ignudi con bellissime arie di viso. Tra questi amori ignudi alcuni
colgono rami di lauro e ne fanno ghirlande, altri quelle spargono e gettano
per il monte. 64 I poeti, ritratti di naturale, sono sparsi per il monte, sulla
sommit: alcuni ritti, altri seduti, altri nellatto di scrivere, taluni ragionano,
talaltri cantano o favoleggiano, tutti a gruppi di quattro o di sei. 65 Le
immagini dei poeti antichi sono tratte da statue, medaglie e pitture, precisa
Vasari, e le immagini dei poeti conosciuti personalmente sono state
disegnate dal naturale.
Nellelencare i poeti, Vasari non segue un percorso di lettura (utile per
identificare i poeti), 66 anzi sembra pi interessato a indicare la continuit
storica della poesia tra due grandi et, quella antica, greca e latina assieme
(Ovidio, Virgilio, Ennio, Tibullo, Catullo, Properzio, Omero, Saffo), e quella
moderna, che va dal Duecento al Cinquecento e comprende Dante, Petrarca,
Boccaccio, il Tebaldeo e infiniti altri moderni (invero solo Ariosto e
Sannazaro):
E per cominciarmi da un capo, qui vi Ovidio, Virgilio, Ennio, Tibullo, Catullo, Properzio et
Omero, e tutte in un groppo le nove Muse et Apollo con tanta bellezza darie e divinit
nelle figure, che grazia e vita spirano ne fiati loro. vvi la dotta Safo et il divinissimo

61 Ivi, p. 619.
62 Vasari erroneamente la chiama fonte di Elicona (ivi, p. 618), sorgente fatta sgorgare da
Pegaso sul monte Elicona, anche questo sacro alle Muse.
63 Ibidem.
64 Questo particolare un chiaro indicatore del fatto che Vasari descrive laffresco del Parnaso
tenendo davanti lincisione di Marcantonio Raimondi, Il Parnaso (1510, Firenze, Uffizi, Gabinetto
dei disegni e delle stampe).
65 G. VASARI, Le vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a
tempi nostri. Nelledizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550 cit., p. 618.
66 Sui problemi relativi allidentificazione dei poeti cfr. G. REALE, Raffaello, Il Parnaso, Rusconi,
Santarcangelo di Romagna (RN), 1999 (al quale si rimanda per la ricca bibliografia esaminata e
discussa).

17

Dante, il leggiadro Petrarca e lo amoroso Boccaccio, che vivi vivi sono; et il Tebaldeo et
infiniti altri moderni. 67

Ma soprattutto Vasari vuole trasmettere limpressione di trovarsi non


tanto di fronte a una pittura della storia della poesia con i ritratti dei poeti,
bens di fronte a un angolo reale del Parnaso e allincontro dal vivo e
sincronico dei poeti di tutte le et. Vanno in questa direzione la sottolineatura
del fatto che Apollo e le nove Muse hanno tanta bellezza darie e divinit
nelle figure, che grazia e vita spirano ne fiati loro. E ancora di Dante,
Petrarca e Boccaccio sembra di percepire persino il loro respiro (vivi vivi
sono). 68 Al Parnaso di Raffaello si richiama inevitabilmente il Parnaso di
Vasari, affrescato tra il 1548 e il 1554 nella sala dedicata ad Apollo della casa
di Arezzo, Con questa opera, che bene si inserisce nel programma della
celebrazione, raffigurata nella casa di Arezzo, delle arti e dei pi grandi artisti,
Vasari si autoinvita al Parnasomodesto e appena abbozzato. 69
Tra le pitture di Raffaello con storie bibliche, Vasari si sofferma sulla
tavola della Trasfigurazione di Cristo (Pinacoteca Vaticana), commissionata
dal card. Giulio de Medici nel 1517. In questopera, realizzata tra il 1518 e il
1520, Raffaello sintetizza due sequenze del Vangelo (la trasfigurazione di
Cristo sul monte Tabor e lincapacit degli apostoli di liberare il fanciullo dal
demonio a causa della loro poca fede), legate tra loro in Matteo, 17, 1-21:
Ges prese con s Pietro, Giacomo e Giovanni, suo fratello, e li condusse sopra un alto
monte, in disparte. E si trasfigur davanti a loro: il suo volto risplendente come il sole e le
sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco, apparvero loro Mos ed Elia a parlare
con lui. Allora Pietro disse a Ges: Signore, bello per noi stare qui; se vuoi, far qui tre
tende, una per te, una per Mos e una per Elia. Egli parlava ancora, quando una nube
luminosa li avvolse, e dalla nube una voce disse: Questo il mio Figlio diletto, nel quale
mi sono compiaciuto; ascoltatelo. Udito ci, i discepoli caddero bocconi per terra ed
ebbero gran paura. [] Mentre discendevano dal monte, Ges dette loro questordine:
Non parlate a nessuno della visione, finch il Figlio delluomo non sia risuscitato dai
morti!. [] Quando furono giunti presso la folla, si present un uomo che gli si prostr
67 G. VASARI, Le vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a
tempi nostri. Nelledizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550 cit., p. 619.
68 Anche Bellori, nel Seicento, con apprezzamenti da parte di Poussin, si ciment nella
descrizione degli affreschi di Raffaello nella Stanza della Segnatura, come documenta la stampa
della Descrizzione delle imagini dipinte da Rafaelle dUrbino nelle Camere del Palazzo Apostolico
Vaticano [] alla Santit di Nostro Signore Papa Innocenzo duodecimo, In Roma, Nella Stamparia
di Gio: Giacomo Komarek Bomo alla Fontana di Trevi, 1695 (ma apparso postumo nel 1696). Cfr.
Cfr. E. BOREA, Giovan Pietro Bellori e la commodit delle stampe, in Documentary culture:
Florence and Rome from Grandduke Ferdinand I to pope Alexander VII, ed. by E. CROPPER, G.
PERINI, F. SOLINAS, Bologna, 1992, pp. 263-85; P. SABBATINO, La guerra e la pace tra 'l celeste e
'l vulgare Amore. Il poema pittorico di A. Carracci e l'ecfrasi di Bellori (1657, 1672), in Ecfrasi.
Modelli ed esempi fra Medioevo e Rinascimento, a cura di G. Venturi e M. Farnetti, cit., to. 2, pp.
477-78.
69 . POMMIER, Linvenzione dellarte nellItalia del Rinascimento cit., pp. 459-60.

18

dinanzi, e disse: Signore, abbi piet di mio figlio, che lunatico e soffre molto; cade
spesso nel fuoco e spesso nellacqua. Lho presentato ai tuoi discepoli, ma non lhanno
potuto guarire. Ges rispose: O generazione incredula e perversa, fino a quando star
con voi? Fino a quando vi sopporter? Portatemelo qua. Poi Ges minacci il demonio, il
quale usc dal fanciullo che, in quel medesimo istante, fu risanato. Allora i discepoli si
avvicinarono a Ges in disparte e gli domandarono: Perch noi non labbiamo potuto
scacciare?. Ges rispose: Per la vostra poca fede. In verit, infatti, vi dico: se avrete fede
quanto un granello di senapam direte a questo monte: Spostati di qua a l, esso si
sposter; e niente vi sar impossibile.. 70

Il racconto vasariano, nel descrivere ad uno ad uno tutti i personaggi


della pittura di Raffaello, 71 in parte prelevati dal citato passo evangelico e in
parte aggiunti (come il vecchio e la donna), mostra lentusiasmo di chi si trova
di fronte allopera pi alta e pi perfetta di Raffaello.
Nel registro basso, ai piedi del monte Tabor, Raffaello rappresenta
undici apostoli in attesa del ritorno di Ges e larrivo di un giovanetto
spiritato, sostenuto da un vecchio. Il giovane indemoniato, che con
attitudine scontorta si prostende gridando e stralunando gli occhi, mostra il
suo patire dentro nella carne, nelle vene e ne polsi contaminati dalla
malignit dello spirito e con pallida incarnazione fa quel gesto forzato e
pauroso. Il vecchio abbraccia lindemoniato, si fa coraggio, arrotonda gli
occhi, alza le ciglia e increspa la fronte, mostrando nel contempo e forza e
paura, inoltre mira fissamente gli undici apostoli e pare che sperando in
loro, faccia animo a se stesso. Una donna, inginocchiata davanti agli
apostoli, volta la testa loro et il tutto delle braccia verso lo spiritato e ne
mostra la miseria. Alcuni apostoli sono ritti, altri seduti, altri in ginocchio e
mostrano avere grandissima compassione di tanta disgrazia.
Nel registro alto, sopra il monte Tabor, Cristo trasfigurato, con un
vestito di color di neve, le braccia aperte, la testa alzata verso il Padre,
mostra la essenzia della deit di tutte tre le Persone. In quellaria lucida
vi sono Mos ed Elia, i quali alluminati da una chiarezza di splendore si
fanno vivi nel lume di Cristo. Infine i tre apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni
sono prostrati in terra e hanno diverse attitudini, chi atterra col capo e chi
con fare ombra a gli occhi con le mani si difendono da raggi del sole e da la
immensa luce dello splendore di Cristo.
Nel rappresentare il patire dellindemoniato nella carne, il darsi forza e
lavere paura del vecchio, la compassione degli apostoli, la disperazione della
donna nel registro basso, e nel registro superiore limmensa luce di Cristo
uomo trasfigurato in divino, la luminosit di Mos ed Elia che traggono vita da
quello splendore e lumana difesa dei tre apostoli dai raggi del sole divino,
Raffaello raggiunge lultima perfezzione della pittura e la tavola della
Trasfigurazione diviene la pi celebrata, la pi bella e la pi divina.
70 La Sacra Bibbia cit., pp.1100-01. E in Marco, 9, 2-29, Luca, 9, 28-43
71 G. VASARI, Le vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a
tempi nostri. Nelledizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550 cit., pp. 637-38.

19

Siamo di fronte alla pittura che con Raffaello si cimenta nella sua
impresa pi ardua, limitazione di Dio, e siamo di fronte alla scrittura
ecfrastica che con Vasari si cimenta nella pi difficile e nella pi ambita
impresa, il raccontare con le parole limmagine dipinta della divinit.

(PUBBLICATO IN STUDI RINASCIMENTALI, 2009)

Pasquale Sabbatino

Il ritratto di Ariosto gran Pittor nella pinacoteca poetica di Marino


e la Galleria regia dellOrlando furioso nella letteratura artistica

1. Le gallerie dei potenti e la Galeria del Marino


Tra secondo Cinquecento e inizio Seicento si va esaurendo in Italia la
civilt dello studiolo, che ha una matrice umanistica e una fruizione litaria, e
nasce la civilt della galleria, che amplia gli spazi sempre pi scenografici,
coinvolge un pi ampio pubblico e svolge una duplice funzione, celebrativa
del committente e conservativa-espositiva delle glorie artistiche e delle
imprese eccellenti della casata. 72 Alcuni eventi concorrono nell
affermazione della galleria in diverse aree geografiche e in diversi ambiti
(architettonico, lessicale, poetico). 73 Francesco I de Medici, Granduca di
72

C. DE BENEDICTIS, Per la storia del collezionismo italiano. Fonti e documenti con 129 tavole fuori
testo, Firenze, Ponte alle Grazie editori, 19952, p. 79. Si veda inoltre Geografia del collezionismo.
Italia e Francia tra il XVI e il XVIII secolo, a cura di O. Bonfait et alii, Roma, cole franaise de
Rome, 2001.
73 Sullarchitettura cfr. W. PRINZ, Galleria. Storia e tipologia di uno spazio architettonico, a cura di
C. Cieri Via, Modena-Ferrara, Panini Istituto di studi rinascimentali Ferrara, 1988. Sulla voce

20

Toscana dal 1574 al 1587, fu impegnato a ordinare la Galleria degli Uffizi


negli anni Ottanta, trasferendo le opere darte delle raccolte di famiglia all
ultimo piano delledificio vasariano. 74 Nello stesso decennio fu discussa da
Lionardo Salviati (entrato nellAccademia della Crusca nel 1583 e morto nel
1589) la galleria della lingua, il Vocabolario degli Accademici della Crusca
(stampato a Venezia, presso la tipografia di Giovanni Alberti, nel 1612). 75 A
partire dal 1598, per volere del potente cardinale Odoardo Farnese e del
fratello Ranuccio, duca di Parma, Annibale Carracci affresc a Roma la
Galleria Farnese, 76 che, affacciata sul giardino prospiciente il Tevere, ben
galleria (dal francese galerie, attestata nel 1316), che a inizio Seicento era rara e nuova in lingua
italiana, e suonava, come di fatto era, straniera, cfr. C. DIONISOTTI, La galleria degli uomini illustri
[1984], in Appunti su arti e lettere, Milano, Jaca book, 1995, pp. 145-55.
74 Cfr. Gli Uffizi. Quattro secoli di una galleria. Atti del convegno internazionale di studi, Firenze,
20-24 settembre 1982, a cura di P. Barocchi e G. Ragionieri, Firenze, Olschki, 1983; Magnificenza
alla corte dei Medici. Arte a Firenze alla fine del Cinquecento, catalogo della mostra, Milano,
Electa, 1997; G. FOSSI, Galleria degli Uffizi, Firenze, Giunti, 2001.
75 Cfr. G. NENCIONI, La galleria della lingua, in Gli Uffizi. Quattro secoli di una galleria cit., pp. 1748. In particolare Nencioni opera un gemellaggio tra le due gallerie, quella linguistica e quella
figurativa: Abbiamo visto che entrambe avevano un apprezzamento estetico dei loro oggetti,
trascelti entro un novero pi vasto; ma che la collocazione cronologica degli oggetti era totalmente
diversa: medievale nel Vocabolario, greco-latina o cinquecentesca nella Galleria del principe.
Abbiamo visto che lorientamento medievale del Vocabolario era fondato non solo sopra un
condizionamento storico quello delleffettivo processo di unificazione nazionale della lingua
scritta che valeva a renderlo attuale, ma sopra una teorizzazione delleccellenza linguistica del
buon secolo, utile pi a legittimare lintento puristico e ad esaltare la normativit dellopera che a
giustificarne limpostazione; mentre la normativit della Galleria degli Uffizi come prototipo di altre
gallerie italiane e straniere trasse ragione dalla sua univoca e impregiudicata rispondenza alle
esigenze culturali del presente. Da questultima differenza potremmo inferire [] una diversa
disponibilit dei due istituti ad aprirsi a nuove prospettive: assai minore e pi tormentata nel
Vocabolario a causa della sua posizione passatista e conservatrice, e anche per il fatto che
lapertura estrafiorentina della Galleria di Francesco I implicava lammissione della presenza e
validit di altri centri artistici oltre Firenze, mentre la portata nazionale del Vocabolario si fondava
sullequazione tra lingua letteraria comune e fiorentino trecentesco e sulla convinzione che tale
equazione potesse e dovesse perdurare indefinitamente, qualunque fossero [] gli apporti e le
proposte delle altre regioni italiane (pp. 31-32).
76 Della Galleria Farnese si era gi occupato nel 1604 K. VAN MANDER (Het Schilder-Boek, , LAia,
ed. Noe, 1954, pp. 293-95) e poi G. MANCINI, Considerazioni sulla pittura, [1614-1621], pubblicate
per la prima volta da A. MARUCCHI con il commento di L. SALERNO, I, Roma, Accademia Nazionale
dei Lincei,1956, pp. 280, 302. Tra i contributi sulla Galleria cfr. H. TIETZE, Annibale Carraccis
Galerie in Palazzo Farnese und seine rmischen Werksttte, Jahrbuch der Kunsthistorischen
Sammlungen des allerhchsten Kaiserhauses, XXVI, 1906-1907, pp. 49-182; J. R. MARTIN, The
Farnese Gallery, Princeton, 1965; C. DEMPSEY, The Farnese Gallery, New York, 1965 (trad. it.,
Torino, Societ Editrice Internazionale, 1995; C. DEMPSEY, Et nos cedamus amori: Observations
on the Farnese Gallery, The Art Bullettin, L, 1968, 4, pp. 363-74; D. POSNER, Annibale Carracci.
A Study in the Reform of Italian Painting around 1590, I, London, Phaidon Press, 1971, pp. 93-108
e II, p. 49; I. MARZIK, Das Bildprogramm der Galleria Farnese in Rom, Berlin, 1976; F. C. UGINET,
Le Palais Farnse travers les documents financiers (1535-1612), Rome, cole franaise de
Rome, 1980; C. DEMPSEY, Annibal Carrache au Palais Farnse, in Le Palais Farnse, vol. 1, to. 1,
Rome, cole franaise de Rome, 1981, pp. 269 e ss. ; ID., Mythic Inventions in CounterReformation Painting, in Rome in the City and the Myth, a cura di P. A. RAMSEY, Binghamton,
1982, pp. 55-73; G. BRIGANTI, Gli amori degli dei. Nuove indagini sulla Galleria Farnese, testi di G.

21

presto fu considerata tra le maggiori Scuole dellarte alla pari delle Loggie
Chigiane e delle Stanze Vaticane affrescate da Raffaello Sanzio. A inizio
Seicento, nella Torino che da borgo prealpino di frontiera tentava il grande
salto e si preparava [] a diventare la capitale di un barocco duna maniera
propria sua, 77 il duca Carlo Emanuele I di Savoia diede nuovo impulso alla
Galleria di Torino, posta fra Palazzo Madama ed il Palazzo Ducale (16061608), purtroppo andata distrutta a fine Seicento, e commission a Federico
Zuccari il grandioso affresco della Genealogia dei Savoia. 78
Il poeta napoletano Giovan Battista Marino, che fu anche collezionista e
critico d arte, 79 giunse nel Ducato di Savoia nel 1608 al seguito del
cardinale Aldobrandini e fu l occasione per passare alla corte di Carlo
Emanuele I, un centro politico e culturale progressivamente in ascesa sulla
scena italiana ed europea, guidato da un principe che meglio di altri avrebbe
potuto assicurare allo spregiudicato napoletano il primato moderno tra i
Briganti, A. Chastel e R. Zapperi; carta delle giornate e nota tecnica a cura di C. Giantomassi,
Roma, Edizioni dellElefante, 1987; M. BOITEUX, Ftes et crmonies romaines au temps de
Carrache, in Les Carrache et les dcors profanes. Actes du Colloque organis par lcole
franaise de Rome (Rome, 2-4 octobre 1986), Rome, cole franaise de Rome, 1988, pp. 205-8;
C. ROBERTSON, Ars vincit omnia: The Farnese Gallery and Cinquecento Ideas about Art, in
Mlanges de lcole franaise de Rome. Italie and Mditerrane, CII, 1990, 1, pp. 7-41; A.
RECKERMANN, Amor mutuus: Annibale Carraccis Galleria-Farnese-Fresken und das Bild-Denken
der Renaissance, Kln-Wien, 1991; R. ZAPPERI, Eros e controriforma. Preistoria della galleria
Farnese, Torino, Bollati Boringhieri, 1994; M. CALVESI, La Galleria dei Carracci, in Arte a Roma.
Pittura, scultura, architettura nella storia dei Giubilei, a cura di M. CALVESI, Milano, Rizzoli, 1999,
pp. 127-31; C. DEMPSEY, I Carracci a Palazzo Farnese: la descriptio belloriana della Galleria
Farnese, in Lidea del Bello cit., II, pp. 229-31; S. GINZBURG CARIGNANI, Annibale Carracci a Roma.
Gli affreschi di Palazzo Farnese, Roma, Donzelli ed., 2000; P. SABBATINO, La guerra tra l celeste
e l vulgare amore. Il poema pittorico di Annibale Carracci e lecfrasi di Bellori (1657, 1672), in
Ecfrasi. Modelli ed esegesi fra Medioevo e Rinascimento, a cura di G. Venturi e M. Farnetti, vol. 2,
Roma, Bulzoni, 2004, pp. 477-511.
77 A. RUFFINO, Gallerie. Marino e limmagine in esilio in G. MARINO, La Galeria, a cura di M. Pieri e
A. Ruffino, Trento, La Finestra, 2005, p. XXXIV.
78 Cfr. Diana Trionfatrice. Arte di corte nel Piemonte del Seicento. Catalogo della mostra di M. Di
Macco e G. Romano, Torino, Allemandi & c., 1989; P. MERLIN, Tra guerre e tornei. La corte
sabauda nellet di Carlo Emanuele I, Torino, Societ editrice internazionale, 1991; Le collezioni di
Carlo Emanuele I di Savoia, a cura di G. Romano, Torino, Fondazione CRT, 1995; G. PICCIAROTTI,
La pittura nel Seicento, Torino, UTET, 1997, pp. 133-51 (Torino e le terre del Ducato sabaudo); D.
DEL PESCO, Larchitettura del Seicento, Torino, UTET, 1998, pp. 132-37 (Carlo Emanuele I e la
costruzione di Torino capitale: la Citt Nuova e la corona di delitie); Politica e cultura nellet di
Carlo Emanuele I. Torino, Parigi, Madrid, a cura di M. Masoero, S. Mamino, C. Rosso, Firenze,
Olschki, 1999.
79 Cfr. A. BORZELLI, Il Cavalier Giovan Battista Marino (1569-1625), Napoli, Priore, 1898, pp. 18389; ID., La Galeria del Cavalier Marino, Napoli, Vedova Ceccoli & figli, 1923 (nuova stesura
dellopuscolo Il Cavalier Marino con gli artisti e la Galeria, Napoli, Tip. Cosmi, 1891); ID., Storia
della vita e delle opere di Giovan Battista Marino, Napoli, Tip. degli Artigianelli, 1927, pp. 250-71;
E. BERTI TOESCA, Il Cavalier Marino collezionista e critico darte, Nuova Antologia, LXXXVII,
1952, n. 455, pp. 51-66; G. FULCO, Il sogno di una Galeria: nuovi documenti sul Marino
collezionista [1979], in La meravigliosa passione. Studi sul Barocco tra letteratura ed arte,
Roma, Salerno editrice, 2001, pp. 83-117.

22

poeti. 80 Per il duca scrisse Il ritratto del Serenissimo Carlo Emanuello


(Torino, 1608),81 panegirico in sestine dedicato ad Ambrogio Figino (pittore
manierista, allievo di Lomazzo e autore di alcune decorazioni della Galleria di
Carlo Emanuele I) e prezioso anche per qualche riferimento alla Galleria
Sabauda) 82 e dal duca fu insignito dellordine dei SS. Maurizio e Lazzaro,
per poi entrare tra il 1610 e il 1615 al suo servizio. 83 Questi anni torinesi
furono decisivi per la genesi della Galeria, 84 iniziata nel 1602 e pubblicata a
Venezia da Ciotti 85 nel 1620, quando Marino gi da tempo si era trasferito
80 RUFFINO, Gallerie. Marino e limmagine in esilio cit., p. XXXIV.
81 Cfr. M. GUGLIELMINETTI, Un portrait du roi avant lettre? Note sul mariniano Ritratto del
Serenissimo Carlo Emanuello Duca di Savoia, in Politica e cultura nellet di Carlo Emanuele I.
Torino, Parigi, Madrid, Atti del convegno internazionale (Torino, 21-24 febbraio 1995), a cura di M.
Masoero, S. Mamino e C. Rosso, Firenze, Olschki, 1999, pp. 191-214.
82 A. RUFFINO, Pitture e artisti della Galeria, nella ed. 2005 di MARINO, La Galeria cit., p. CCXXXV.
83 Cfr. E. RUSSO, Marino, Roma, Salerno Editrice, 2008, pp. 87-116 (A Torino. Dal Ritratto alla
prigionia del 1611-1612) e 117 ss. (1614-1615. Da Torino a Parigi: Le Dicerie sacre, Lira III).
84 Cfr. J. COSTELLO, Poussins Drawings for Marino and the New Classicism. I. Ovids
Metamorphoses, The Journal of Warburg and Courtauld Institute, XVII, 1955, n. 3-4, pp. 296317; G. ACKERMANN, Giambattista Marinos Contribution to Seicento Art Theory, The Art Bulletin,
XLIII, 1961, n. 4, pp. 326-36; M. ALBRECHT-BOTT, Die bildende Kunst in der italienischen Lyrik der
Renaissance und des Barocks. Studie zur beschreibung von Portraits und anderen Bildwerken
unter besonderer Bercksichtigung von G. B. Marinos Galeria, Wiesbaden, Steiner, 1976; G. E.
VIOLA, Marino e le arti figurative, in Il verso di Narciso. Tre tesi sulla poetica di G. B. Marino, Roma,
Cadmo, 1978, pp. 9-61; A. DURANTI, La galleria della mente, Paragone Letteratura, 1980, n.
366, pp. 93-97; C. DIONISOTTI, La galleria degli uomini illustri [1984] cit.; G. MOSES, Care gemelle
dun parto nate: Marinos Picta Poesis, Modern Language Notes, C, 1985, n. 1, pp. 82-110; L.
NEMEROW-ULMAN, Narrative Unities in Marinos La Galeria, Italica, LXIV, 1987, n. 1, pp.76-85;
F. GUARDIANI, Lidea dellimmagine nella Galeria di G. B. Marino, in Letteratura italiana e arti
figurative. Atti del Convegno di Toronto-Hamilton-Montreal (6-10 maggio 1985), a cura di A.
Franceschetti, vol. 2, Firenze, Olschki, 1988, pp. 647-54; A. MARTINI, I capricci del Marino tra
pittura e musica, ivi, vol. 2, pp. 655-64; I. VIOLA, Un nodo barocco di poesia e pittura, Il piccolo
Hans, XV, 1988-1989, n. 60, pp. 77-98; S. SCHTZE, Pittura parlante e poesia taciturna: il ritorno
di G. B. Marino a Napoli, il suo concetto di imitazione e una mirabile interpretazione pittorica, in
AA.VV., Documentary culture. Florence and Rome from Grand-Duke Ferdinand I to Pape
Alexander VII, Papers from a Colloquium held at the Villa Spelman, Florence 1990, ed. by E.
Cropper, G. Perini, F. Solinas, Villa Spelman Colloquia, vol. 3, Bologna, Nuova Alfa Editrice,
1992, pp. 209-26; E. CROPPER, The Petrifying Art: Marinos Poetry and Caravaggio, The
Metropolitan Museum Journal, XXVI, 1991, pp. 193-212; EAD., Marinos Strage degli Innocenti,
Poussin, Rubens and Guido Reni, Studi secenteschi, XXXIII, 1992, pp. 137-66; F. DALLASTA,
Pittura e letteratura. Schedoni, Marino, Testi, in Philologica, 1, 1992, pp. 99-112; E. PAULICELLI,
Parola e spazi visivi nella Galeria, in The Sense of Marino. Literature, Fine Arts and Music of
Italian Baroque, ed. by F. Guardiani, New York, Legas, 1994, pp. 255-65; M. FUMAROLI, La
Galeria di Marino e la Galleria Farnese: epigrammi e opere darte profane intorno al 1600, in La
scuola del silenzio. Il senso delle immagini nel XVII secolo, Milano, Adelphi, 1995, pp. 61-80; F.
PELLEGRINO, I giochi onomastici sui nomi degli artisti figurativi nei componimenti di G. B. Marino,
Italianistica, XXIX, 2000, pp. 251-66; C. CARUSO, Saggio di commento alla Galeria di Giovan
Battista Marino: 1 (esordio) e 624 (epilogo), Aprosiana, X, 2002, pp. 71-89; V. SURLIUGA, La
Galeria di G. B. Marino tra pittura e poesia, Quaderni ditalianistica, 2002, n. 1, pp. 65-84.
85 Sulla sciatteria dello stampatore nelledizione della Galeria cfr. G. MARINO, Lettere, a cura di M.
Guglielminetti, Torino, Einaudi, 1966, pp. 257-61, nn. 138-139.

23

presso la corte francese. Nellultima parte dellopera, il poeta napoletano


inserisce il madrigale Al Duca di Savoia per la sua Galeria, formulando un
parallelo tra il duca e il poeta, il primo che al culmine della propria potenza
edifica la Grande Galleria e vi raccoglie le reliquie del passato in particolare le
statue, il secondo che crea la Galeria e vi raccoglie in un ala i carmi
celebranti le opere di scultura:
Opra certo , Signor, di te ben degna
unir del secol prisco in chiusa parte
le reliquie cadute,
le memorie perdute;
e raccolte dal suolo,
rotte dagli anni, antiche statue, e sparte,
sovra sostegni alteri
rendere ai tronchi busti i capi interi.
Questo sol, questo solo
a tuoi fatti mancava, ed a miei carmi:
esser largo e pietoso ancora ai marmi. 86

A parte la funzione di una manifesta captatio benevolentiae da parte del


poeta nei riguardi del duca, il madrigale segnala la precisa volont del Marino
di legare la genesi dellopera letteraria sia al generale processo politicoculturale di affermazione e moltiplicazione delle gallerie lungo la Penisola, sia
alla particolare costruzione della Galleria Sabauda, tingendo di torinesinit la
Galeria.
Anche il Marino, che aspirava ad essere il principe dei poeti moderni,
pu avere la propria galleria, quella realizzabile con lunico strumento che
possiede, la scrittura, parallelamente al principe Carlo Emanuele I e a tutti gli
altri potenti, i quali possono edificare la galleria architettonica, un segno forte
della loro magnificenza nel presente e nel futuro.

2. La pinacoteca poetica e i ritratti di Boiardo, Ariosto e Tasso


Nella Galeria Marino offre al lettore una pinacoteca poetica di
madrigali, sonetti e altre forme metriche (stanze madrigalesche, quartine
epigrammatiche, sestine, un componimento in terzine e due in quartine):
Havvi la Galeria, ch come dir pinacoteca, luogo dove anticamente (come riferisce
Petronio Arbitro) si conservano le pitture. 87
86 Si cita da G. B. MARINO, La Galeria, a cura di M. Pieri, to. 1, Padova, Liviana, 1979, p. 307. La
cit. ed. 2005 della Galeria, a cura di M. Pieri e A. Ruffino, presenta in appendice La Galeria del
Cavalier Marino considerata vien dal Paganino ed arricchita con un cd-rom Pitture per la Galeria,
a cura di A. Ruffino.
87 MARINO, Lettere cit., p. 607.

24

Una galleria di testi poetici i quali, pur conservando in molti casi un


legame solo esterno con il dato visivo (dipinti o sculture, opere architettoniche,
medaglie, incisioni in rame, libri istoriati), si muovono in modo del tutto
autonomo rispetto alle caratteristiche specifiche delle singole immagini,
rinunciano allecfrasi e abbracciano lartificio. 88
La pinacoteca poetica del Marino, apparsa priva della parte figurativa
che pure era stata annunciata da Marino in una lettera a Tommaso Stigliani
nel 1609, articolata in due ali, come due sono le ali nellincisione che
raffigura la galleria sul frontespizio delle Immagini di Filostrato tradotte da
Vigenre (Parigi, 1614). 89 Il lettore della Galeria da una parte pu inoltrarsi
nellala dedicata alle Pittura, la pi estesa e nutrita (ben 542 componimenti),
suddivisa in cinque sezioni: 83 poesie su dipinti mitologici (favole), 57 su
dipinti di storie, 322 su ritratti di uomini, 68 su ritratti di donne, 12 su
capricci; e dallaltra parte nellala della Scultura (82 componimenti),
suddivisa solo in tre sezioni: 57 poesie su statue, 13 su rilievi, modelli e
medaglie, 12 su su capricci.
Nel visitare il libro-galleria, dopo aver ammirato nellala della Pittura
sia le favole, sia le storie, il lettore giunge nella sezione dei ritratti di uomini,
dove Marino colloca i simulacri di diversi uomini illustri s in armi come in
lettere e per ciascuna immagine si scherza con qualche bizarria secondo le
azioni del rappresentato, in modo da ottenere un museo scritto, che va
dallantichit alla modernit. 90
Ben sedici sono le sale della sezione ritratti di uomini: 91 principi,
capitani ed eroi (101 poesie); tiranni, corsari e scellerati (11); pontefici e
cardinali (15); padri santi e teologi (10); negromanti ed eretici (10); oratori e
predicatori (9); filosofi e umanisti (21); storici (6); giuristi e medici (5);
matematici e astrologi (11); poeti greci (10); poeti latini (23); poeti volgari (30);
pittori e scultori (12); diversi Signori e Letterati amici dell Autore (22);
ritratti burleschi (26). Il Parnaso mariniano, allora, nelle tre sale dei poeti
greci, latini e volgari.

88 Cfr. L. BOLZONI, Poesia e ritratto nel Rinascimento, Roma-Bari, 2008, pp. 146-48, 178-80, 24345.
89 FUMAROLI, La Galeria di Marino e la Galleria Farnese, cit., pp. 67-68 (Lincisione sul
frontespizio dellin-folio raffigura, vista dallalto, una duplice galleria a un solo piano che si stacca
da un corpo di fabbrica centrale sormontato da una cupola. Nellangolo formato dalle due gallerie,
davanti alledificio centrale, un gruppo scultoreo rappresenta Apollo e le Muse sul Parnaso.
Dunque si tratta di un Museo, di un palazzo espressamente concepito per il culto delle muse e
per le opere darte che di questo culto sono il frutto).
90 MARINO, Lettere cit., p. 607.
91 Solo tre nella sezione Ritratti: donne : Belle Caste e Magnanime; Belle Impudiche e Scelerate;
Bellicose, e Virtuose.

25

Nella sala dei poeti greci, il lettore-visitatore pu leggere-ammirare il


ritratto poetico di Omero, Pindaro, Teocrito, Anacreonte, Euripide (due comp.),
Sofocle, Aristofane, Oppiano, Luciano. Nella sala dei poeti latini si trovano i
ritratti di autori antichi, come Ennio, Lucrezio, Virgilio, Lucano, Stazio, Orazio,
Catullo, Tibullo, Properzio, Ovidio, Silio Italico, Claudiano, Seneca il tragico,
Plauto, Terenzio, Marziale, Persio, Giovenale, e ritratti di autori del
Quattrocento e Cinquecento, come Marullo Tarcagnota, Giacomo Sannazaro,
Giovanni Gioviano Pontano, Girolamo Fracastoro, Aurelio Orsi.
Nella sala dei poeti volgari, Marino colloca i ritratti secondo la seguente
successione: a) il gruppo delle tre corone trecentesche: Dante Alighieri,
Francesco Petrarca, Giovanni Boccaccio; b) il gruppo dei tre autori di romanzi
cavallereschi: Matteo Maria Boiardo, Ludovico Ariosto, Torquato Tasso (due
sonetti); c) il poeta fiorentino Lorenzo il Magnifico, l unico del secondo
Quattrocento, 92 e i numerosi poeti del Cinquecento che operano nelle
diverse aree della Penisola: Pietro Bembo (area veneta), Giovanni della Casa,
in un quadro Francesco Maria Molza e Giovanni Guidiccioni, Annibal Caro,
tutti attivi nellarea tosco-romana; Sperone Speroni (area veneta), Giacomo
Bonfadio (area lombarda) e Ludovico Dolce (area veneta). Buona anche la
presenza dei poeti meridionali, con i ritratti di cinque poeti napoletani, una
vera e propria serie-omaggio: 93 Luigi Tansillo, Angelo di Costanzo,
Bernardino Rota, Benedetto dellUva, Ascanio Pignatelli. Seguono tre poeti
veneziani: Antonio Ongaro e in un quadro Clelio Magno e Orsatto
Giustiniano. Inoltre le coppie ferraresi (di nascita o per adozione) Battista
Guarini e Guidobaldo Bonarelli. Infine Marino coglie loccasione per esibire,
oramai nei pressi delluscita dalla sala, anche i ritratti di due poeti antilirici e
antipetrachisti, Pietro Aretino (due comp.) e il beneventano Nicol Franco,
aggiungendo altri tasselli nel panorama piuttosto articolato delle tendenze
della poesia italiana e nella mappa della sua geografia lungo la Penisola.
Ma, prima di varcare luscita della sala dei poeti volgari, il lettorevisitatore trova due ritratti, quello del poeta francese Pierre Ronsard (15241585) 94 e quello del poeta spagnolo Garcilaso de la Vega (1503-1536). La
92 Il ritratto di Angelo Poliziano (mad. Un ingegno e tre lingue ) nella sezione Filosofi e
umanisti, tra Marsilio Ficino, Ermolao Barbaro, Giovanni Pico della Mirandola. Il ritratto di Iacopo
Sannazaro (son. Io feci al suon de la SINCERA avena), vissuto a cavallo tra Quattrocento e
Cinquecento, nella sezione dei Poeti latini, con Marullo Tarcagnota e Giovanni Gioviano
Pontano.
93 Note di M. PIERI, in MARINO, La Galeria cit., to. 2, p. 128.
94 La presenza di Ronsard non legata alla condizione parigina di Marino, cortigiano del re di
Francia. Infatti, come osserva DIONISOTTI , Appunti su arti e lettere cit., p. 151, il poeta napoletano
scriveva per lItalia, dove non vedeva lora di tornare, ed era fin troppo cosciente a quella data
dellautorit e novit di quanto scriveva. Rischiava anche in questo caso prudentemente, come
dimostra laccoppiamento dellineccepibile Garcilaso con Ronsard. Questi era stato poi per la
prima volta proposto allItalia come legittimo poeta dal Castelvetro nella polemica sua col Caro per
la canzone dei gigli doro.

26

singolare collocazione di questi due poeti nel Parnaso della poesia volgare
un segnale della sensibilit post-rinascimentale del Marino per le nuove
letterature che si affacciano sulla scena dell Europa. 95 Oramai con
Petrarca prima e Ronsard poi la musa della poesia pu volare finalmente con
due ali (i vanni, Partire dal Ciel Francese, v. 8)96 nel cielo francese e con
Garcilaso de la Vega inizia lalba del potico giorno in Spagna e la stella
della poesia sorge in Occidente, dove il sole tramonta.
Nel trittico Boiardo-Ariosto-Tasso, sul quale fermiamo lattenzione in
questa sede, il Marino sviluppa volutamente una rete di rimandi, che occorre
interpretare. Partiamo dal primo ritratto poetico, quello di Boiardo:
Pungo gli affetti e glintelletti sveglio,
gran testor di Romanzi in Hippocrene.
Fabro non di me che sappia meglio
di potici groppi ordir catene.
La mia merc, che gli son guida e speglio,
il Lombardo Maron dietro mi tiene.
Nacqui su l Po. Devea ben da quel fiume
sorger dApollo, ove pria cadde, il lume. 97

Innanzitutto Marino trasforma il ritratto in autoritratto, cos Boiardo a


delineare s stesso con l uso della prima persona, dalla nascita a
Scandiano in val Padana, regione indicata dal suo maggior fiume il Po
(Nacqui su l Po, v. 7), alla produzione di romanzi cavallereschi (gran
testor di Romanzi, v. 2) nellambito della poesia (indicata dalla fonte sacra
alle Muse, in Hippocrene, v. 2). Cos, in una sequenza giocata sul
contrasto, dal Po, dove precipit Fetonte con il carro del Sole, pu sorgere il
sole (il lume, v. 8) di Apollo.
Di particolare interesse la focalizzazione, nellambito del poema, della
linea genealogica che va da Boiardo ad Ariosto parallela alla maturazione del
genere letterario (La mia merc, che gli son guida e speglio, / il Lombardo
Maron dietro mi tiene, vv. 5-6). Marino, dunque, riconosce a Boiardo il ruolo
di guida e specchio, di maestro e modello dellAriosto, il quale a sua volta
viene celebrato come il nuovo mantovano Virgilio (il Lombardo Maron),
nato su solide basi e capace di volare in alto.
Il sonetto dedicato allAriosto, il secondo pezzo del trittico, al centro
ed il centro della terna di poeti:
Quel gran Pittor de larmi e degli amori,
di Pindo unico Sol, canoro mostro
95 MARINO, La Galeria cit., to. 2, p. 131.
96 Ivi, to. 1, p. 187.
97 Ivi, to. 1, p. 176.

27

del Re de fiumi, e Re degli Scrittori,


or qui dipinto agli occhi altrui mi mostro.
Ma meglio che i pennelli e che i colori,
la mia penna dipingono, e l mio inchiostro.
Pi viva la mia imagine, o Pittori,
esprime il libro mio, che l quadro vostro.
Caduche son le vostre tele, eterne
le carte mie. Voi solo il corpo, ed io
dipingo s che lanima si scerne.
A dipinger non prenda il volto mio
chi dipinger non sa tra le superne
meraviglie del Ciel Natura, e Dio. 98

Nella prima quartina, disegnando il ritratto nella forma narrativa dell


autoritratto ariostesco, Marino preleva dallincipit dellOrlando Furioso le
tessere lessicali larme, gli amori (I, 1) e le adatta nellincipit del sonetto
(Quel gran Pittor de larmi e degli amori, v. 1). La centralit e unicit di
Ariosto sono segnalate dallautodefinizione di unico Sol (v. 2) di Pindo,
monte della Grecia consacrato ad Apollo e alle Muse. Il suo accostamento a
Boiardo geografico, dal momento che entrambi sono emiliani e sono nati
nelle terre bagnate dal Po, ma di quel fiume Ariosto diviene linsuperabile
melodiosa meraviglia 99 (canoro mostro / del Re de fiumi, vv. 2-3). L
ultima pennellata sul motivo del superamento di Boiardo da parte dell
Ariosto indicata dallincoronazione dellAriosto quale Re degli Scrittori
di romanzi cavallereschi, per cui Boiardo, guida e specchio, maestro e
modello dellAriosto, appare per quello che , un maestro superato dal
discepolo.
Sul tema del superamento di Boiardo da parte dellAriosto, il Marino
mostra di muoversi a latere di una sua fonte, gli Elogia virorum illustrium di
Paolo Giovio, 100 il quale nel suo museo di carta, cos delinea il ritratto in
prosa di Ariosto:
Sed luculentissimum operum, ob idque forsitan aeternum, id volumen existimatur, quo
Orlandi fabulosi herois admiranda bello facinora octonario modulo decantavit. Boiardo
hercle ipsoque Pulcio peregregie superatis: quandoquidem et hunc rerum et carminum

98 Ivi, to. 1, p. 176.


99

Ivi, to. 2, p. 125.

100 Su questa linea di indagine cfr. C. DIONISOTTI, Appunti su arti e lettere cit., Milano, Jaca Book,
pp. 145-55; O. BESOMI, Fra i ritratti del Giovio e del Marino. Schede per la Galeria, Lettere
italiane, XL, 1988, n. 4, pp. 511-21; C. CARUSO, Paolo Giovio e Giovan Battista Marino,
Giornale storico della letteratura italiana, CLXVIII, 1991, pp. 54-84. A Paolo Giovio il Marino
dedica la stanza Dentro il vasel del mio famoso inchiostro (Galeria cit., to. 1, p. 151).

28

accurata granditate devicerit; ac illum, surrepto inventionis titulo ac eo quidem variis


elegantioris doctrinae luminibus illustrato, penitus extinxerit. 101

Nella seconda quartina del son. Quel gran Pittor de l armi e degli
amori e nelle due terzine, Ariosto dipinto con i colori al momento limitiamoci
a constatare il silenzio sul ritrattista esalta lAriosto dipinto con i versi dallo
stesso poeta. Cos nella lotta tra poesia e pittura, penna e pennello,
inchiostro e colore, la palma del primato viene assegnata alla poesia. Se la
pittura soggetta al trascorrere del tempo e le tele sono caduche, la poesia
grazie al mezzo della scrittura attraversa indenne tutte le stagioni e diviene
eterna. Se il pittore pu dipingere solo (v. 10) il corpo, ma questo un
artificio paradossale, gi in uso nel Cinquecento, 102 per chi come Marino
conosce la fisiognomica, la poesia pu aprire la finestra sullanima.
Chiude il componimento linvito del poeta ai pittori affinch solo gli artisti
capaci di dipingere la divinit si accingano a dipingere il suo ritratto. Un vero
e proprio monito contro gli aspetti degenerativi del ritratto, di cui si ha traccia
nella letteratura artistica del Cinquecento, come lallargamento della fascia
dei ritrattisti, spesse volte non allaltezza del compito, e parallelamente
lallargamento dei committenti, non sempre degni di essere ritratti.
Il sonetto-autoritratto del Tasso completa il trittico degli autori di poemi:
Nacqui in Sebeto, in riva al Po piantai
di mia verde corona i primi allori.
Di Fortuna e di Principe provai
prigioner lire, e peregrin gli errori.
Su la sampogna giovenil cantai
del vago Aminta i boscherecci amori.
Indi la lira tenera accordai
del mio bel foco a celebrar gli ardori.
Alfin la tromba in pi sonori carmi
dietro a lAutor del Furioso alzando,

101 Pavli Iovii Opera, cvra et stvdio Societatis historicae novocomensis, denvo edita, to. VIII,
Elogia virorvm illvstrivm, cvrante Renzo Meregazzi, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato - Libreria
dello Stato, 1972, p. 108. Trad.: Ma quella che considerata la sua opera pi splendida e

perci, forse, destinata allimmortalit, il famoso volume in cui, in ottave, cant le


meravigliose gesta del leggendario eroe Orlando superando nettamente Boiardo e lo
stesso Pulci: il secondo lo super per la grandiosit degli argomenti e del tono poetico, il
primo lo oscur completamente dopo avergli sottratto il merito dellideazione letteraria con
la ripresa del titolo, anche se vero che Ariosto la seppe nobilitare con le luci variopinte di
una cultura pi raffinata (P. GIOVIO, Elogi degli uomini illustri, a cura di Franco Minonzio,
traduzione di Andrea Guasparri e Franco Minonzio, Torino, Einaudi, 2006, p. 248). La
defininizione degli Elogia del Giovio come museo di carta di F. Minonzio (Gli Elogi degli uomini
illustri: il museo di carta di Paolo Giovio, ivi, pp. XVII-LXXXVII).
102 Secondo la tradizione, variamente registrabile nel XVI sec. tra consensi e dissensi, solo alla
poesia viene riconosciuta la capacit di rappresentare linteriorit: cfr. L. BOLZONI, Poesia e ritratto
nel Rinascimento, Roma-Bari, Laterza, 2008.

29

trattai Duci e Guerrier, battaglie ed armi.


Forte destin. Per imitar cantando
Lingegnoso Ariosto, io venni a farmi
imitator del forsennato Orlando. 103

Anche in questo terzo pezzo del trittico, seguito dalle quartine (Cos ti
giaci senza onor di tomba) sulla tomba del Tasso nella chiesa di S. Onofrio a
Roma, 104 scorrono le acque del Po. Infatti, nel sonetto-autoritratto, il Tasso,
dopo aver additato le coordinate del suo natale a Sorrento con il Sebeto
(Nacqui in Sebeto, v. 1), il fiume meno vicino, ma letterariamente pi
importante, a discapito del Sarno, il fiume pi vicino, ma letterariamente poco
rilevante,105 ricorda la sua residenza dal 1565 a Ferrara, citt indicata dal
fiume che lattraversa (in riva al Po piantai / di mia verde corona i primi
allori, vv. 2-3), tra successi letterarii, segregazione nellospedale di Sant
Anna (1579-86) per lire di Alfonso II dEste e peregrinazioni inquiete ed
errabonde tra Roma, Napoli, Firenze, Mantova.
Inoltre il Tasso mariniano segnala, nellautobiografia letteraria, l
Aminta (Su la sampogna giovenil cantai / del vago Aminta i boscherecci
amori, vv. 5-6), le rime per Lucrezia Bendidio (Indi la lira tenera accordai /
del mio bel foco a celebrar gli ardori, vv. 7-8), infine la Gerusalemme liberata
(Alfin la tromba in pi sonori carmi / [] / trattai Duci e Guerrier, battaglie
ed armi, vv. 9 e 11).
Nelle terzine il Tasso mariniano dichiara di aver scelto di imitare nell
ambito poematico lingegnoso autore dellOrlando furioso, ma poi per un
destino beffardo egli si ritrovato ad imitare nella vita la follia del suo
personaggio, Orlando, in un singolare circuito che va dalla vita alla letteratura
e dalla letteratura alla vita. Limmagine del Tasso matto si ritrova anche in
una lettera (1613) del Marino a Bernardo Castello, l illustratore dell
edizione della Gerusalemme liberata del 1585. Nella missiva, 106 rompendo
gli argini della modestia e straripando in una smoderata arroganza,
Marino afferma di aver ricevuto da Dio un tale intelletto da sentirsi abile a
comporre un poema non meno eccellente di quel che si abbia fatto il Tasso
e preannuncia il proprio capolavoro, l Adone. Riprendendo infine un
103 MARINO, La Galeria cit., to. 1, pp. 176-77.
104 Ivi, to. 1, p. 177.
105 Iacopo Sannazaro scrisse il poemetto esametrico Salices (in appendice alledizione
napoletana del 1526 del De partu Virginis, insieme con le Eclogae e la Lamentatio de morte
Christi) dedicato a Troiano Cavaniglia, signore di Troia e Montella e membro dellAccademia
Pontaniana. Sulle orme del poema latino di Ovidio e di una consolidata tradizione umanistica, dal
Ninfale fiesolano di Boccaccio allecloga Coryle di Pontano, Sannazaro narra di Ninfe insediate dai
Satiri nei boschi della Campania e trasformate in salici sulle rive del fiume Sarno, oggi il pi
inquinato dEuropa.
106 MARINO, Lettere cit., p. 141.

30

atteggiamento di reverenza verso il poema del Tasso, Marino non nega che
lAdone potr per aventura avere difetti dove la Gerusalemma liberata
stata impeccabile o essere impeccabile dove stata difettosa. Tuttavia il suo
programma di scrivere il nuovo poema cos ambizioso da consentire al
Marino autore almeno la pretesa di vincere il paragone nellesser pi
matto del Tasso uomo.
Nel riguardare lintero trittico, il ritratto di Boiardo maestro e modello
propedeutico a quello dell Ariosto re degli Scrittori di romanzi
cavallereschi e il successivo ritratto del Tasso una prova della eccellenza e
insuperabilit dellingegnoso Ariosto. 107
Ai romanzi cavallereschi dipinti 108 il Marino dedica alcuni madrigali
collocati nella sezione delle Favole: Due ben temprate cetre (Ruggiero e
Bradamante di Federico Zuccari, opera non identificata), Virt de la tua
mano, Se l senno ancor ne fura, Fugga fugga Medoro (Angelica di Giovanni
Baglione, opera non identificata). Il topos della competizione tra Natura,
Poesia e Pittura nella creazione della bella e seducente Angelica,
protagonista dei poemi di Boiardo e Ariosto, il fulcro di uno dei due
madrigali dedicati allAngelica del pittore romano Giovanni Baglione:
Virt de la tua mano
ha tra noi suscitata,
BAGLION, la bella ingrata.
N certo era a formar volto s bello
uopo daltro pennello.
Lammira Apollo, e non sa dir qual sia
di maggior leggiadria:
in carne, in carte, in tela, o vera, o finta,
viva, scritta, o dipinta. 109

Il dubbio del dio della poesia nellassegnare la palma della vittoria ad


Angelica creata dalla natura, o ad Angelica dipinta con i versi da Ariosto o
con i colori da Baglione lennesimo artificio del Marino per celebrare in
questo caso le arti sorelle Poesia e Pittura, oramai capaci di imitare ed
emulare la Natura. Accumulando nei due versi finali ben due disposizioni
ternarie (in carne, in carte, in tela; viva, scritta, o dipinta) e una binaria
107 Alla letteratura ariostesca dipinta il Marino dedica alcuni madrigali: Due ben temprate cetre
(Ruggiero e Bradamante di Federico Zuccari, opera non identificata) , Virt de la tua mano, Se l
senno ancor ne fura, Fugga fugga Medoro (Angelica di Giovanni Baglione, opera non identificata).
108 Sui poemi dipinti ci limitiamo a segnalare i recenti Larme e gli amori. La poesia di Ariosto,
Tasso e Guarini nellarte fiorentina del Seicento, a cura di E. Fumagalli, M. Rossi, R. Spinelli, op.
cit., la bibliografia alle pp. 246-56; Larme e gli amori. Ariosto, Tasso and Guarini in Late
Renaissance Florence. Acts of an International Conference (Florence, Villa I Tatti, June 27-29,
2001), ed. by M. Rossi F. Gioffredi Superbi, Firenze, Olschki, 2004, voll. 2.
109 MARINO, La Galeria cit., to. 1, p. 44.

31

(o vera, o finta), Marino eleva lAngelica finta, quella in carte, in tela,


scritta, o dipinta, allaltezza dellAngelica vera, quella in carne e
viva. Poesia e Pittura, dunque, nellimitare la Natura si sono appropriate
dellatto creativo della bellezza e sono continuamente alla ricerca dell
emulazione.
Nella sezione Prencipi, Capitani ed Eroi dei ritratti di uomini, Marino
inserisce due componimenti dedicati a Orlando, leroe del poema ariostesco
(son. L invitta forza, l incantata pelle, mad. Furor di Posia), due al
Capitano Goffredo di Buglione (i madrigali Merc di chiara tromba, Sciolse
Goffredo il pio) e uno a Tancredi (mad. Uccisi la mia vita), gli eroi del poema
tassiano. 110 Nella sezione Belle, impudiche e scelerate dei ritratti di donne,
Marino colloca le stanze Il fido annel, che per virt dincanti sulla figura di
Angelica 111 e i tre madrigali Trassi Maga sagace, Fortuna assai peggiore,
Armai, misera Armida sulla figura di Armida, 112 la maga della Gerusalemme
liberata. Nella sezione Bellicose e virtuose le stanze Ben costei Pantasilea
novella su Clorinda. 113 Infine tra i Capricci delle Pitture Marino colloca un
sonetto sulla Gerusalemme del Tasso istoriata da Bernardo Castello:
Movon qui duo gran Fabri Arte contrArte
emule a lite, ove lun laltro agguaglia,
s che di lor qual perda, o qual pi vaglia,
pende incerto il giudicio in doppia parte.
Lun cantando dAmor larmi e di Marte
lorecchie appaga, e glintelletti abbaglia.
Laltro, mentre del canto i sensi intaglia,
sa schernir gli occhi, e fa spirar le carte.
Scerner non ben si pu, qual pi vivace
esprima, imprima illustri forme e belle,
o la muta pittura, o la loquace.
Intente a queste meraviglie e quelle
dubbioso arbitro il mondo ammira e tace
l le glorie dApollo, e qui dApelle. 114

Il pittore genovese Bernardo Castello, 115 che si rec a Ferrara nel


1575 ed entr in relazione con Tasso, prepar i disegni nel 1585 e li offr al
110

Ivi, to. 1, pp. 98-99.

111 Ivi, to. 1, pp. 232-33.


112 Ivi, to. 1, pp. 233-34.
113

Ivi, to. 1, pp. 237-38.

114 Ivi, to. 1, p. 261.


115 Sul Narciso di Bernardo Castello il Marino scrive il son. Chi creder da mortal mano espresso
e il mad. Qui dipinto Narciso; su Europa (disperso) il mad. Certo sera s bella; sul Sansone che
uccide il leone (disperso) il mad. CASTEL, sa lodar prendo; sul San Cristoforo il mad. Quei, che
sotto lincarco; sul ritratto della moglie (disperso) il son Poscia cha far chio dietro a te non vegna

32

porta tramite Angelo Grillo. L edizione La Gierusalemme liberata di


Torquato Tasso con le Figure di Bernardo Castello e le Annotazioni di Scipio
Gentili e di Giulio Guastavini apparve a Genova, presso Girolamo Bartoli, nel
1590, con le incisioni eseguite da Agostino Carracci e Giacomo Franco. 116
Nel sonetto Marino d vita a un vero e proprio duello tra i due gran
fabbri, Tasso e Castello, e le due arti sorelle, poesia e pittura. Il gioco
contrastivo serrato e incalzante e Marino impiega sapientemente molte
serie oppositive a sua disposizione. Il poeta appaga il senso delludito e
abbaglia le menti, il pittore sa schernire il senso della vista e fa spirare le
carte. Il primo esprime le belle forme nella muta pittura e il secondo le
imprime nella pittura loquace. Il duello si chiude con un pareggio tra le glorie
di Apollo, simbolo della poesia, e le glorie di Apelle, il celebre artista dell
antica Grecia simbolo della pittura.

3. Ariosto gran Pittor e Tiziano in Lomazzo e Marino


La definizione mariniana di Ariosto gran Pittor, nel ritratto centrale del
trittico, si fonda sulla letteratura artistica del secondo Cinquecento, che
celebra frequentemente le doti pittoriche dellAriosto e in qualche caso
accosta il colorire con i versi di Ariosto al colorire con i pennelli di Tiziano. Fra
i testi, che a cavallo tra secondo Cinquecento e inizio Seicento arricchiscono
lo scaffale della letteratura artistica (da Vasari a Comanini, da Lomazzo a
Zuccari), occupa un posto di rilievo il Trattato dellarte della pittura, scoltura
et architettura (Milano, Ponzio, 1584) dellartista-scrittore milanese Giovan
Paolo Lomazzo, 117 il quale dedic l opera, come in seguito le Rime
(Milano, Ponzio, 1587), a Carlo Emanuele I Gran Duca di Savoia. 118 nSiamo,
dunque, di fronte a un testo collocabile nellarea torinese, accolto nella
biblioteca del Duca e letto del Marino.

(In persona di Bernardo Castello nel Ritratto di sua moglie morta); sul ritratto del francescano
Castelficardo (disperso) il mad. Dipingimi il sembiante; sul ritratto del marchese Ambrogio Spinola
(disperso) il son. Del Ligustico Marte hai la figura; sul ritratto di Cornelio Musso (disperso) il mad.
Tace, Bernardo, o parla. Cfr. R. ERBENTRAUT, Der Genueser Maler Bernardo Castello 1557?-1629,
Dusseldorf, Luca Verlag Freren, 1989; CAL, La pittura del Cinquecento cit., to. 2, pp. 458-9.
116 Cfr. la scheda di N. BASTOGI., in Larme e gli amori. La poesia di Ariosto, Tasso e Guarini
nellarte fiorentina del Seicento, a cura di E. Fumagalli, M. Rossi, R. Spinelli, Firenze, Sillabe,
2001, pp. 120-22. In altre due occasioni il Castello forn le illustrazioni del poema: nelle edizioni del
1604 e del 1617, a Genova, per i tipi di Giovanni Pavoni. Si veda inoltre Le opere di figura, nella
ed. 2005 della Galeria cit., p. CCCIII.
117 Sul Trattato di Lomazzo nella storiografia artistica del Cinquecento cfr. il fondamentale F.
BOLOGNA, La coscienza storica dellarte dItalia, Torino, UTET, 1982, pp. 112-16.
118 Secondo Lomazzo, Carlo Emanuele I si dilettava a dipingere. Cfr. G. P. LOMAZZO, Scritti sulle
arti, a cura di R. P. Ciardi, vol. 2, Firenze, centro Di, 1974, pp. 9 e 26.

33

Sono piuttosto numerosi i passi che nel Trattato portano lattenzione


sulla ritrattistica e sulle virt pittoriche dellAriosto, 119 temi svolti, poi, nella
Galeria. La lettura deli due testi di grande aiuto per la comprensione dei
punti in comune e delle differenze.
Nel libro VI (Della prattica della pittura), cap. LI, (Composizione di
ritrarre dal naturale), 120 Lomazzo interviene sulla storia e sulla funzione del
ritratto, 121 argomento molto vicino agli interessi culturali Marino. Il ritratto,
sviluppatosi sin dalle origini dell arte, ha sempre svolto la funzione di
conservare e trasmettere la memoria di quanti avessero governato con
saggezza, in modo da accendere nei posteri il desiderio dellimitazione.
Tuttavia a tempi nostri, lamenta Lomazzo, il genere del ritratto si
talmente divulgato, con lallargamento a dismisura e abusivo dei committenti
e degli artisti, i primi non sempre saggi nellarte del governo e i secondi in
molti casi rozzi, fino a perdere la dignit. Per risalire la china, Lomazzo
raccoglie alcune cose necessarie alla vera composizione del far ritratti ed
esibisce alcuni esempi. Innanzitutto raccomanda di prendere in
considerazione la qualit di colui che si ha da ritrarre, cio il carattere
ideale, anche se non posseduto, ma strettamente legato alla funzione politica
e alla dignit del ruolo sociale del ritrattato, e in secondo luogo il particolare
segno distintivo, come nel caso di un imperatore la corona di lauro, i bastoni
o lo scettro o le armi, i simboli del suo potere. Inoltre, secondo Lomazzo, il
ritrattista deve sempre far risplendere quello che la natura deccellente ha
donato al modello, come dimostrano gli artisti nei ritratti dei poeti. Cos Giotto
119 Cfr. il contributo sempre utile di P. BAROCCHI, Fortuna dellAriosto nella trattatistica figurativa,
in Studi vasariani, Torino, Einaudi, 1984, pp. 53-67.
120 LOMAZZO, Scritti sulle arti cit., vol. 2, pp. 374-81.
121 Cfr. Il ritratto e la memoria, a cura di A. Gentili, Ph. Morel, C. Vieri Cia, Roma, Bulzoni,
1993; Il ritratto. Gli artisti i modelli la memoria, a cura di G. Fossi, Firenze, Giunti, 1996, pp. 137-85
(D. BODART, Il ritratto nelle corti europee del Cinquecento); F. CAROLI, Lanima e il volto. Ritratto e
fisiognomica da Leonardo a Bacon, Milano, Electa, 1998, pp. 69-173
(Cinquecento: il volto
magico), 175-295 (Seicento: il volto naturale); M. KOSHIKAWA, Individualit e concetto. Note sulla
ritrattistica del Cinquecento, nel cat. Rinascimento. Capolavori dei musei italiani (Tokyo-Roma
2001), Ginevra-Milano, Skira, 2001, pp. 39-45; Le metamorfosi del ritratto, a cura di R. Zorzi,
Firenze, Olschki, 2002; Il volto e gli affetti. Fisiognomica ed espressione nelle arti del
Rinascimento. Atti del Convegno di studi (Torino, 28-29 novembre 2001), a cura di A. Pontremoli,
Firenze, Olschki, 2003; . POMMIER, Il ritratto. Storia e teorie dal Rinascimento allEt dei Lumi,
Torino, Einaudi, 2003; Tra parola e immagine: effigi, busti, ritratti nelle forme letterarie. Atti del
Convegno Macerata-Urbino, 3-5 aprile 2001, a cura di L. Gentili e P. Oppici, Pisa-Roma, Istituti
editoriali e poligrafici internazionali, 2003; T. CASINI, Ritratti parlanti. Collezionismo e biografie
illustrate nei secoli XVI-XVII, Firenze, Edifir, 2004; Il ritratto nellEuropa del Cinquexcento, a cura di
A. Gallo, C. Piccinini, M. Rossi, Firenze, Olschki, 2007; N. MACOLA, Sguardi e scritture: figure con
libro nella ritrattistica italiana della prima met del Cinquecento, Venezia, Istituto Veneto di
Scienze, Lettere e Arti, 2007; L. BOLZONI, Poesia e ritratto nel Rinascimento, Roma-Bari, Laterza,
2008 (la bibliografia alle pp. 247-74). Sui rapporti tra la superficie piana e i colori della pittura da
una parte e lincarnato (pelle e umori) del soggetto dallaltra cfr. DIDI-HUBERMAN, La pittura
incarnata. Saggio sullimmagine vivente, Milano, Il Saggiatore, 2008 [ed. or.:Paris 1985].

34

ha rappresentato la profondit di Dante,122 Simone Martini la facilit di


la prudenza di
Petrarca, 123 frate Giovanni Angelo Montorsoli
Sannazaro, 124 Tiziano la facundia et ornamento di Ariosto 125 e la
maest e laccuratezza di Bembo. 126

122 G. VASARI, Le vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a
tempi nostri. Nelledizione per i tipi di Lorenzo Torrentino Firenze 1550, a cura di L. Bellosi e A.
Grassi, Presentazione di G. Previtali, Torino, Einaudi, 1986, p. 118: Giotto introdusse il ritrar di
naturale le persone vive, che molte centinaia danni non sera usato. Onde, ancor oggi d, si vede
ritratto, nella cappella del Palagio del Podest di Fiorenza, leffigie di Dante Alighieri, coetaneo et
amico di Giotto, et amato da lui per le rare doti che la natura aveva nella bont del gran pittore
impresse. Sul ritratto di Dante nel Giudizio Universale (Firenze, Palazzo del Bargello, cappella di
S. Maria Maddalena) e sui dubbi nella identificazione cfr. il cat. Dal ritratto di Dante alla Mostra del
Medio Evo, a cura di P. Barocchi e G. Gaeta Bertel, Firenze, SPES, 1985).
123 VASARI, Le vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a
tempi nostri. Nelledizione per i tipi di Lorenzo Torrentino Firenze 1550 cit., p. 157: vvi ancora la
chiesa di Cristo et, a la guardia di quella, il papa, lo imperadore, i re, i cardinali, i vescovi e tutti i
principi cristiani; e tra essi, a canto ad un cavaliere di Rodi, messer Francesco Petrarca, ritratto
pure di naturale. Il che fece Simone per rinfrescare nelle opere sue la fama di chi lo aveva fatto
immortale. Ritratto perduto.
124 La biografia Fra GiovannAgnolo Montorsoli scultore fu aggiunta nella seconda edizione: cfr.
G. VASARI, Le vite de' piu eccellenti pittori scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, a
cura di Bettarini, commento secolare a cura di P. Barocchi, vol. 5, Firenze, SPES, 1984, pp. 49899: and a Napoli, dove nel luogo gi detto mise s la sepoltura detta del Sanazaro, la quale
cos fatta. In sui canti da basso sono due piedistalli, in ciascuno de' quali intagliata l'arme di esso
Sanazaro, e nel mezzo di questi una lapide di braccia uno e mezzo, nella quale intagliato
l'epitaffio che Iacopo stesso si fece, sostenuto da due puttini. Dipoi, sopra ciascuno dei detti
piedistalli, una statua di marmo tonda a sedere, alta quattro braccia, cio Minerva et Apollo; et in
mezzo a queste, fra l'ornamento di due mensole che sono dai lati, una storia di braccia due e
mezzo per ogni verso, dentro la quale sono intagliati di basso rilievo Fauni, Satiri, Ninfe, et altre
figure che suonano e cantano, nella maniera che ha scritto nella sua dottissima Arcadia di versi
pastorali quell'uomo eccellentissimo. Sopra questa storia posta una cassa tonda di bellissimo
garbo e tutta intagliata et adorna molto, nella quale sono l'ossa di quel poeta; e sopra essa, in sul
mezzo, in una basa la testa di lui ritratta dal vivo, con queste parole a pi: ACTIVS SINCERVS ,
accompagnata da due putti con l'ale a uso d'Amori, che intorno hanno alcuni libri. In due nicchie
poi, che sono dalle bande nell'altre due facce della cappella, sono sopra due base due figure tonde
di marmo ritte e di tre braccia l'una o poco pi, cio San Iacopo Apostolo e San Nazzaro. Murata
dunque nella guisa che s' detta quest'opera, ne rimasero sodisfattissimi i detti signori esecutori e
tutto Napoli.
125 La tradizione identifica il ritratto tizianesco dellAriosto con il Ritratto duomo, detto lAriosto
(1510 ca.; Londra, National Gallery), ma di diverso avviso G. GRONAU, Titians Ariosto, The
Burlington Magazine, LXIII, 1933, pp. 194 ss.: cfr. LOMAZZO, Trattato cit., vol. 2, p. 377, nota 18
(Altre proposte di identificare il Ritratto dellAriosto col dipinto di Indianapolis, o con quello gi a
Ferrara, coll. Oriani, sono ancora meno convincenti). Sui ritratti di Tiziano cfr. A. PAOLUCCI, Tiziano
ritrattista, nel cat. Tiziano, Venezia, Marsilio, 1990, pp. 101-8; Tiziano e il ritratto di corte da
Raffaello ai Carracci (Napoli, Museo di Capodimonte, 25 marzo-4 giugno 2006), Napoli, Electa,
2006 (in particolare gli interventi di E. Pommier, J. M. Fletcher, R. Zapperi).
126 Tiziano, Ritratto di Bembo (Washington, National Gallery of Art; Napoli, Galleria di
Capodimonte). Cfr. cat. Tiziano cit., p. 238. Si conosce anche un terzo ritratto di Bembo, quello a
mosaico, del Bargello, derivato da un disegno di Tiziano (cfr. LOMAZZO, Trattato cit., vol. 2, p.
377).

35

Il motivo, sviluppato da Lomazzo, della degenerazione della ritrattistica


nel Cinquecento viene ripreso dal Marino proprio nel ritratto dellAriosto.
Infatti, nella seconda terzina del sonetto Quel gran Pittor de larmi, e degli
amori, Marino fa dire in modo iperbolico ad Ariosto che solo gli artisti
eccellenti possono ritrarre un poeta divino, puntando lindice contro la
mediocrit di tanti ritrattisti e contro la mediocrit dei ritrattati.
Inoltre lelenco, redatto da Lomazzo, di esemplari ritrattisti di poeti
fornisce probabilmente una preziosa informazione al Marino e ai lettori
(contemporanei e posteri) del Marino, quella del presunto ritratto tizianesco
dellAriosto. Rileggendo ora Quel gran Pittor de larmi, e degli amori, il passo
di Lomazzo aiuta a svelare il ritrattista in ombra dellAriosto divino, Tiziano.
Per questo artista lo stesso Ariosto nutr una grande stima, al punto da
inserirlo nella nota ottava, aggiunta tardivamente nella terza e definitiva
edizione dellOrlando furioso del 1532, celebrativa degli artisti moderni
(Leonardo da Vinci, Andrea Mantegna, Giovanni Bellini, Dosso Dossi e
Battista Dossi, Michelangelo Buonarroti, Sebastiano del Piombo, Raffaello,
Tiziano), le cui opere sono alla pari con le opere degli antichi:
e quei che furo a nostri d, o sono ora,
Leonardo, Andrea Mantegna, Gian Bellino,
duo Dossi, e quel cha par sculpe e colora,
Michel, pi che mortale, Angel divino;
Bastiano, Rafael, Tiziano, chonora
non men Cador, che quei Venezia e Urbino;
e gli altri di cui tal opra si vede,
qual de la prisca et si legge e crede;
(Orlando furioso, XXXIII, 2). 127

Sulla base della testimonianza di Lomazzo sul ritratto tizianesco


dellAriosto, allora, possibile cogliere, nellultima terzina del sonetto Quel
gran Pittor de larmi, e degli amori di Marino, un implicito elogio alleccellente
Tiziano, che ha potuto ritrarre il divino Ariosto in quanto pittore divino,
come ripetutamente lartista viene definito lungo il Cinquecento, come nel
caso di Pietro Aretino e Lodovico Dolce. 128
Nel libro II (Del sito, posizione, decoro, moto, furia e grazia delle figure),
Lomazzo si propone di raccogliere e fornire ai pittori gli esempi illustri, nell
ambito della pittura e della letteratura antica e moderna, di quanti hanno
rappresentato con i colori o con le parole i moti secondo la diversit delle
127 L. ARIOSTO, Orlando furioso, a cura di R. Ceserani, vol. 2, Torino, UTET, 1981, p. 1280. Tra gli
altri, espresse critiche allelogio ariostesco dei pittori Lodovico Dolce: cfr. Trattati darte del
Cinquecento fra manierismo e controriforma, a cura di P. Barocchi, vol. 1, Bari, Laterza, 1960, pp.
150-51. Su questa rassegna di artisti cfr. C. DIONISOTTI, Tiziano e la letteratura [1976], in Appunti
su arti e lettere cit., pp. 117-26; BOLOGNA, La coscienza storica dellarte dItalia cit., pp. 70-73.
128 Cfr. Trattati darte del Cinquecento fra manierismo e controriforma cit., vol. 1, pp. 205-6 (e note
relative).

36

passioni e de glaffetti. 129 Quando passa in rassegna i moti semplici dell


animo umano (dalla melancolia alla mesticia, dalla timidit alla ferocia,
dalla vergogna alla meraviglia), i moti degli animali e in particolare dei cavalli
(lo spavento, la disperazione, la violenza nellazzuffarsi), il movimento dei
capelli del corpo umano e il movimento dei panni, Lomazzo cita i classici
della letteratura antica, greca e latina (Omero, Virgilio, Stazio, Ovidio) e gli
autori della letteratura italiana (Dante, Petrarca, Boccaccio, Pontano, Landino,
Boiardo, Bembo, Alamanni, Ariosto, Tasso).
Tra questi ultimi, lindice di frequenza a favore di Ariosto e delle sue
virt pittoriche, gi celebrate tra gli altri da Lodovico Dolce nel Dialogo della
Pittura, intitolato LAretino (Venezia, Gabriel Giolito de Ferrari, 1567). 130
Basta scorrere nel Trattato di Lomazzo, ad esempio, i casi di melancolia e
mesticia. La prima fa glatti pensosi, mesti e colmi di tristezza, 131
come dimostra lAriosto, che dipinge la malinconia del cavaliere Sacripante
in due sequenze (Orlando furioso, I, 40, 1-2; II, 35, 7-8), raffigurandolo
pensoso, a capo basso e ancora con gli occhi molli, il viso basso,
addolorato e lasso. Questa pittura in versi dell Ariosto, secondo le
argomentazioni di Lomazzo, diviene un modello per la rappresentazione
pittorica della melancolia di Adamo e Eva dopo il peccato originale (Genesi,
3, 7) e di Agar dopo essere rimasta gravida di Ismael e dopo essere stata
cacciata via dalla moglie di Abramo (ivi, 21, 9-20):
volendola, per essempio, esprimere ne i primi nostri padri Adam et Eva doppo commesso
il peccato della disubbidienza, si faranno con glocchi dimessi, affissati in terra, con la
testa chinata, col gomito sopra il ginocchio e la mano sotto le gote et assisi in loco
conveniente, come sotto qualche arboro ombroso, ovvero fra sassi e caverne; dove si
porrebbe ancora Agar quando, gravida dIsmael, scacciata dalla moglie di Abraam, si era
ricoverata in loco solitario et ivi tutta dolente se ne stava piangendo e lagnandosi col capo
chino, sin che langelo scese dal cielo a confortarla in tali sembianti. E cos andarebbe
espressa ladultera, Pietro dopo chebbe negato Cristo et altri simili; cos in parte l
adombr lAriosto in Sacripante, nel canto I, quando disse:
Pensoso pi dunora a capo basso
129 LOMAZZO, Trattato cit., vol. 2, p. 100.
130 Trattati darte del Cinquecento fra manierismo e controriforma cit., vol. 1, pp. 172-73 (Ma se
vogliono i pittori senza fatica trovare un perfetto esempio di bella donna, leggano quelle stanze
dellAriosto, nelle quali descrive mirabilmente le bellezze della fata Alcina; e vedranno parimente
quanto i buoni poeti siano ancora essi pittori. Le stanze (che io ho conservato sempre, come gioie
bellissime, nel tesoro della memoria) sono queste: Di persona era tanto ben formata, / quanto me
finger san pittori industri. Ecco che, quanto alla proporzione, lingeniosissimo Ariosto assegna la
migliore che sappiano formar le mani de pi eccellenti pittori, usando questa voce industri per
dinotar la diligenza che conviene al buono artefice. [] Spargeasi per la guancia delicata / Misto
color di rose e di ligustri. Qui lAriosto colorisce et in questo suo colorire dimostra essere un
Tiziano).
131 Ivi, vol. 2, p. 113.

37

Stette, Signori, il cavaglier dolente.


E nel secondo:
Et avea glocchi molli, il viso basso,
e si mostrava adolorato e lasso. 132

Anche per la mestizia, che poco meno chuna istessa cosa con la
melancolia, 133 lartista pu seguire la pittura ariostesca in versi dellattonita
e immobile Angelica, dopo essere stata portata via dal suo cavallo
indemoniato:
Stupida e fissa nella incerta sabbia,
coi capelli disciolti e rabuffati,
con le man giunte e con limmote labbia,
i languidi occhi al ciel tenea levati,
quasi accusando il gran Motor che labbia
tutti conversi nel suo danno i fatti.
(Orlando furioso, VIII, 39, 1-6)

e della mestissima Isabella, figlia del re di Galizia, la quale con volto chino e
piangendo bacia il morente Zerbino:
declinando la faccia lacrimosa,
e congiungendo la sua bocca a quella
di Zerbin, languidetta [].
(ivi, XXIV, 80, 2-4)

Sulla base di questi due stralci, le virt pittoriche di Ariosto si


manifestano proprio nel dipingere la tematica arturiana e quella carolingia, le
donne e i cavallier, gli amori e larme, le cortesie e laudaci
imprese (Orlando furioso, I, 1-2). 134 Il poeta, dunque, viene elevato ed
assunto da Lomazzo prima nel Trattato e da Marino poi nella Galeria come
gran Pittor de larmi e degli amori. Tra Lomazzo e Marino possiamo
agevolmente collocare Galileo Galilei, il quale nelle Considerazioni al Tasso
(1589 ca.) definisce lAriosto magnifico, ricco e mirabile e lOrlando
furioso una regia galleria di sculture e dipinti poetici:
quando entro nel Furioso veggo aprirsi una Guardaroba, una Tribuna, una Galleria regia,
ornata di 100 statue antiche de pi celebri scultori, con infinite storie intere, e le migliori di

132 Ivi, vol. 2, p. 114.


133 Ivi, vol. 2, p. 116.
134 ARIOSTO, Orlando furioso cit.,, vol. 1, p. 36.

38

pittori illustri, con un numero grande di vasi, di cristalli, dagate, di lapislazzoli e daltre
gioie e finalmente ripiena di cose rare, preziose, meravigliose e di tutta eccellenza. 135

Il Trattato di Lomazzo tocca anche il nodo della conformit tra poeti e


artisti e quindi tra Ariosto e Tiziano. Nel libro VI (Della prattica della pittura)
del Trattato, Lomazzo affronta il tema della composizione pittorica,
ripetendo quanto era stato ampiamente dibattuto nel corso del Cinquecento.
occorre evitare la
Nella composizione, secondo Lomazzo, 136
soprabondanza delle parti et ancora la povert. L una produce la
confusione et affettazione e la seconda laridezza e nudit delle opere.
Per questo la linea, proposta da Lomazzo, attenersi alla via di mezzo e
reggersi sempre sotto il sentimento dellistoria, che di qui ne nasce la
buona composizione, parte tanto principale nella pittura, che tanto ha del
grave e del buono, quanto pi simile al vero in tutte le parti. E a proposito
della variazione, Lomazzo precisa che si ha davvertire alla convenevoleza
et anco allaccrescimento delleffetto, ad imitazione de poeti, a quali i
pittori sono in molte parti simili, massime che cos nel dipingere, come nel
poetare, vi corre il furor dApolline, e luno e laltro ha per oggetto i fatti
illustri e le lodi de glEroi da rappresentare. Onde soleva dir alcuno che la
poesia era una pittura parlante e la pittura era una poesia mutola. 137
Da questa conformit tra pittori e poeti, Lomazzo trae due
conseguenze: a) non pu esserci pittore che insieme anco non abbia
qualche spirito di poesia, come nel caso di Bramante (di cui si cita il sonetto
caudato Usciran fuori da le lor tombe oscure, cche allude al Giudizio
Universale) 138 o di Leonardo da Vinci (ma il sonetto citato non di Leonardo,
bens di Antonio di Matteo del Meglio araldo della Signoria fiorentina dal
1418 1l 1446); 139 b) ciascun pittore ha avuto naturalmente un genio pi
conforme ad un poeta che ad un altro; e nel suo operare ha seguito quello,
come facile a ciascuno losservarlo ne pittori moderni. E a questo
proposito, scorrendo la geografia dellarte moderna e la storia della poesia
antica e moderna, Lomazzo propone un elenco di casi di conformit tra il
genio dellartista (il fiorentino Leonardo, laretino Michelangelo, lurbinate
Raffaello, il bergamasco Polidoro da Caravaggio, il padovano Andrea
135 G. GALILEI, Considerazioni al Tasso, in Scritti letterari, a cura di A. Chiari, Firenze, Le Monnier,
1943, p. 96. Lintervento di Galilei interessante anche per la fortuna in Italia della voce galleria.
136 LOMAZZO, Trattato cit., vol. 2, pp. 244-5.
137 Sui rapporti tra poesia e pittura cfr. i contibuti fondamentali di R. W. LEE, Ut pictura poesis. La
teoria umanistica della pittura, Firenze, Sansoni 1974 [ed. or. New York , Norton, 1967]; C.
OSSOLA, Ut pictura poesis, in Autunno del Rinascimento, Firenze, Olschki, 1971, pp. 33-119.
138 D. BRAMANTE, Sonetti e altri scritti, a cura di C. Vecce, Roma, Salerno Editrice, 1995, pp. 5657.
139 LOMAZZO, Trattato cit., vol. 2, p. 246, nota 4.

39

Mantegna, il veneziano Tiziano, il vercellese Gaudenzio Ferrari) e il genio del


poeta (Omero, Virgilio, Dante, Petrarca, Sannazaro, Ariosto e genericamente i
poeti autori di biografie di santi 140 ):
Leonardo ha espresso i moti e decori di Omero; Polidoro la grandezza e furia di Virgilio; il
Buonarrotto loscurezza profonda di Dante; Raffaello la pura maest del Petrarca, Andrea
Mantegna lacuta prudenza del Sannazaro, Tiziano la variet dellAriosto e Gaudenzio
la devozione che si trova espressa ne libri de santi. 141

In queste sequenze, Lomazzo espone una preziosa somma degli


accostamenti tra artista e poeta, che singolarmente presi sono presenti nella
letteratura del Cinquecento, 142 e redige una mappa policentrica dellarte in
Italia, dove si registrano vie o maniere diverse e paritarie della pittura.143 A
tale proposito non certo un caso il fatto che i sette artisti, accostati ai poeti
nel brano appena citato del Trattato, sono definiti in un altra opera di
Lomazzo, Idea del tempio della pittura (Milano, Ponzio, 1590), i Sette
Governatori dellArte e vengono rappresentati come le colonne del tempio
della Pittura, unarte policentrica e poligeniale. 144
Nel rileggere e interpretare i passi del Trattato in cui Ariosto e Tiziano
sono posti in relazione, dunque, appare evidente che, secondo Lomazzo, da
una parte Tiziano ritrattista ha colto le qualit caratterizzanti ed essenziali
140 Sui poemi agiografici nel Rinascimento cfr. M. CHIESA, Agiografia nel Rinascimento:
esplorazioni tra i poemi sacri dei secoli XV e XVI, in Scrivere di santi. Atti del II Convegno di studi
dellAssociazione italiana per lo studio della santit, dei culti e dellagiografia, Napoli, 22-23 ottobre
1997, a cura di G. Luongo, Roma, Viella, 1998, pp. 204-26.
141 LOMAZZO, Trattato cit., vol. 2, p. 246.
142 Ibidem, nota 6 (per i riferimenti bibliografici).
143 BOLOGNA, La coscienza storica dellarte dItalia cit., pp. 112-116.
144 LOMAZZO, Trattato cit., vol. 1, pp. 278-80 (In quella guisa che questo mondo retto e
governato da sette pianeti, come da sette colonne, [] sar parimenti questo mio tempio di pittura
sostenuto e retto da sette governatori, come da sette colonne, et imitar in ci Giulio Camillo nella
idea del suo teatro []. Quella del primo fatta di piombo con cui si viene a mostrare la salda e
stabile contemplazione in Michel Angelo Bonarroto, fiorentino, il quale fu pittore, scultore, statuaro,
architetto e poeta, imitatore di Dante []. La statua del secondo governatore fatta di stagno con
cui si viene a significar in Gaudenzio Ferrari la maest, la quale egli mirabilmente espresse nelle
cose divine, e ne misteri della fede nostra. [] Quella del terzo di ferro, con cui si rappresnta in
Polidoro Caldara da Caravagio la grandissima furia e fierezza cegli diede alle sue figure. [] La
statua del quarto doro, che dimostra lo spendore e larmonia dei lumi in Leonardo Vinci
fiorentino, pittore, statuaro e plasticatore, peritissimo di tutte le sette arti liberali, suonatore di lira
tanto eccellente che super tutti i musici del suo tempo e gentilissimo poeta, il quale ha lasciato
scritti molti libri di matematica e di pittura []. Quella del quinto formata di rame, con la quale si
accenna la gentilezza, la venust, la grazia e lamabilit in Raffaello Sancio da Urbino, pittore et
archittetto grandissimo []. La statua del sesto dargento vivo congelato, che significa la
prudenza arguta in Andrea Mantegna, pittore mantovano []. Quella dellultimo fabricata
dargento con che si dimostra la temperanza singolare in Tiziano Vecelio da Cador, rarissimo
pittore []). Sullabbozzo della teoria dei sette governatori della pittura nelle Rime cfr.
lIntroduzione di Ciardi, ivi, vol. 1, p. LVI.

40

(facundia e ornamento) di Ariosto e che dallaltra parte il pittore possiede


lo stesso genio del poeta nella variet. In tal modo Lomazzo si spinge oltre le
affermazioni di Vasari nella seconda ed. delle Vite:
Fece in quel tempo Tiziano amicizia con il divino messer Lodovico Ariosto, e fu da lui
conosciuto per eccellentissimo pittore, e celebrato nel suo Orlando furioso:
. . . e Tizian che onora
non men Cador che quei Vinezia e Urbino. 145

Se per Vasari il divino poeta Ariosto riconosce lalto valore e celebra


leccellentissimo artista Tiziano nell Orlando furioso, per Lomazzo il genio di
Tiziano conforme al genio di Ariosto nellespressione della variet. Cos il
dipingere con i colori delluno e con i versi dellaltro, la pittura e la poesia si
ritrovano pi che mai arti sorelle, unite come sono da una delle tante e
possibili conformit.
Il motivo della conformit dei due genii non entra nella Galeria, dove
Marino preferisce insistere sulla eccellenza di Tiziano, dedicando numerosi
componimenti alle sue opere: ben cinque madrigali (In s vivi colori; Lo stral
crudo e spietato; S viva questa imago; Chi di questIdol sacro; Spirti furo i
colori) 146 al San Sebastiano di Tiziano (Brescia, Chiesa dei Santi Nazario e
Celso, 1519 ca.; San Pietroburgo, Ermitage, 1570 ca., ma il soggetto fu pi
volte replicato), 147 due madrigali (Ben da mastro eccellente; Sembr gi
morto al mondo) 148 al San Paolo (disperso),149 un madrigale (Crudel fu ben
colui) 150 alla Decollazione di San Giovanni Battista (disperso), 151 un
gruppo di quattordici ottave (Questa, che n atto supplice e pentita) 152 alla
Maddalena (Firenze, Palazzo Pitti, Galleria Palatina, 1532; San Pietroburgo,
Ermitage, 1565; Napoli, Galleria di Capodimonte, 1567) 153 . Inoltre, nella
sezione dei ritratti di pittori e scultori, si legge il madrigale Tiziano di sua
mano, giocato sulla deriva dellartificio in margine a uno dei due autoritratti
autografi (il primo, la cui datazione oscilla tra il 1550 e il 1562, a Berlino,

145

VASARI, Le vite de' piu eccellenti pittori scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568
cit., vol. 6, 1987, p. 159.
146 MARINO, La Galeria cit., to. 1, pp. 65-66.
147 Cfr. Le opere di figura, nella ed. 2005 della Galeria cit., p. CCLXXXVII; cat. Tiziano cit., pp.
368-69.
148 MARINO, La Galeria cit., to. 1, pp. 66-67.
149 Ivi, to. 2, pp. 237-38.
150 Ivi, to. 1, p. 67.
151 Ivi, to. 2, p. 238.
152 Ivi, to. 1, pp. 71-74.
153 Ivi, to. 2, pp. 334-37; Le opere di figura, nella ed. 2005 della Galeria cit., p. CCXCI.

41

Staatliche Museen Gemldegalerie; il secondo, tra il 1562 e il 1567, a Madrid,


Museo del Prado): 154
TIZIANO son io:
mestinse per paura
desser da larte mia vinta Natura.
Ma di mia man mi fi,
vendicando il mio torto,
immortal pria che morto.
Or ecco io vivo, e ben chio sia pittura,
ancor dipingerei,
se non chal morir mio
morir pennelli e carte,
i colori moriro, e mor lArte. 155

Nella prima sequenza (vv. 1-3), la competizione tra pittura e natura


sembra vinta dalla natura che, temendo di essere vinta dallarte di Tiziano, d
la morte allartista. Nella seconda sequenza (vv. 4-6), la competizione appare
vinta definitivamente dallartista, il quale, per vendicare in vita il torto della
morte che avrebbe subito, dipinse lautoritratto che lo rese immortale. Nella
terza sequenza (vv. 7-11), il Tiziano dipinto vive oltre la morte fisica
dellartista, oltre le frontiere del tempo, e sente il desiderio di continuare a
dipingere, ma la morte fisica del grande artista aveva segnato
ineluttabilmente anche la morte della grande arte. Cos nella stagione della
morte dellarte, larte vive attraverso le opere dei grandi artisti oramai
scomparsi e limmagine di Tiziano pittore attraverso limmagine di Tiziano
dipinto con i colori nellautoritratto e con i versi nel madrigale di Marino.

154 Cfr. cat. Tiziano cit., rispettivamente alle pp. 326-27 e 338-39. Di Tiziano si conosce anche
lAutoritratto inciso di Giovanni Britto, databile intorno al 1550. Inoltre un autoritratto di Tiziano
nellAllegoria del Tempo governato dalla Prudenza (1565; Londra, National Gallery), ivi, pp. 34849.
155 MARINO, La Galeria cit., to. 1, ivi, p. 189.

42

PASQUALE SABBATINO

IL RITRATTO DEL CARAVAGGIO


LORRIDO COMINCIAMENTO DEL DECAMERON
E L INGEGNO TORBIDO E CONTENZIOSO DELLARTISTA
NELLE VITE DEL BELLORI*

1. Il boccacciano orrido cominciamento


Nella galleria delle Vite (1672). abilmente costruita e raccontata dal Bellori lungo
lasse vincente che va dalla figura centrale e positiva di Annibale Carracci (1560-1609),
luomo mandato dalla provvidenza nel tempo della decadenza delle arti per farle risorgere,
alla perfezione dellartista-filosofo Nicolas Poussin (1594-1665), la biografia del
Caravaggio (1571-1610) porta inevitabilmente i segni del ruolo negativo, contrastivo e
perdente assegnato dallautore allartista lombardo. Infatti le singole biografie dei pittori,
scultori e architetti moderni, pur godendo di una relativa autonomia e compiutezza, sono
state progettate per essere inserite organicamente allinterno di un disegno storiografico.
In tal modo i biografati sono i personaggi principali o secondari nei quali si incarna la
belloriana visione della storia e della storia dellarte.
Ad apertura della prima biografia, quella di Annibale Carracci, Bellori sviluppa in
buona parte il disegno storiografico, che ruota attorno al principio della perpetua
vicissitudine. Gi nel Cinquecento Machiavelli, Vasari e Giordano Bruno avevano applicato
il principio della perpetua vicissitudine, perno della filosofia della natura, rispettivamente
alla storia politica, alla storia dellarte e alla storia delluomo. Sulla base di tale principio, la
storia segue un movimento rotatorio, dal basso verso lalto e dallalto verso il basso, dalla
rovina alla rinascita e viceversa. 156

* Il saggio fa parte di una ricerca di pi ampio respiro sulla biografia e sulla novella dartista tra Cinquecento
e Seicento. Pertanto, in questa sede, i riferimenti bibliografici sono sempre mirati e strettamente funzionali
allindagine sulla scrittura dellarte.

43

Bellori, che fervido lettore del Vasari, fa proprio questo disegno storiografico.
Infatti individua il movimento verso lalto da parte della ruota della storia dellarte nel lungo
periodo che va da Cimabue e Giotto fino alla prima met del Cinquecento, ma a differenza
del Vasari colloca sul punto pi alto della perfezione il divino Raffaello Sanzio, superiore
agli artisti dellantichit e della modernit:
Allora la pittura venne in grandissima ammirazione de gli uomini e parve discesa dal cielo quando
il divino Rafaelle, con gli ultimi lineamenti dellarte, accrebbe al sommo la sua bellezza,
riponendola nellantica maest di tutte quelle grazie e di que pregi arricchita, che gi un tempo la
resero gloriosissima appresso de Greci e de Romani. 157

Da questa altezza, che d le vertigini alla storia dellarte, parte il disegno


storiografico delle Vite belloriane, caratterizzato dal movimento in discesa, dal declino,
dalla precipitosa trasformazione dellarte, un tempo regina, in donna umile e volgare.
Nel tempo della decadenza i pittori abbandonarono lo studio della natura e viziarono
larte con la maniera, cio con la fantastica idea, appoggiata alla pratica e non
allimitazione.
La maniera, definita un vizio che porta alla distruzione dellarte perch comporta
da una parte la negazione e la perdita del fondamentale rapporto con la natura e dallaltra
laffermazione e la crescita della fantastica idea, si diffuse largamente nel secondo
Cinquecento, ma le sue radici affondavano gi nel secondo decennio del secolo, in
maestri di onorato grido, come Giovanni Battista di Jacopo detto Rosso Fiorentino (14951540) e Jacopo Carucci detto il Pontormo (1494-1556) a Firenze, Domenico Beccafumi
(1486-1551) a Siena, Francesco Mazzola detto il Parmigianino (1503-1540) a Parma, e
cos via di seguito in scuole vere e proprie sullintero territorio della penisola. 158
La geografia della maniera durante la seconda met del XVI sec. abbraccia tutte le
citt italiane e le regioni che, dal punto di vista del romano Bellori, contavano nellarte
(Firenze e la Toscana, Roma, Venezia). Lestensione compatta della maniera, che port
alla degenerazione e distruzione dellarte, fin col travolgere tutto e tutti, le scuole e i
singoli, senza eccezione alcuna:
Questo vizio distruttore della pittura cominci da prima a germogliare in maestri di onorato grido, e
si radic nelle scuole che seguirono poi; onde non credibile a raccontare quanto degenerassero
non solo da Rafaelle, ma da gli altri che alla maniera diedero cominciamento. Fiorenza, che si
vanta di essere madre della pittura, e l paese tutto di Toscana, per li suoi professori gloriosissimo,
taceva gi senza laude di pennello. E gli altri della scuola romana non alzando pi gli occhi a tanti
essempi antichi e nuovi, avevano posto in dimenticanza ogni lodevole profitto; e se bene in
Venezia pi chaltrove dur la pittura, non per quivi o per la Lombardia udivasi pi quel chiaro
grido de colori, che tacque nel Tintoretto ultimo finora de veneziani pittori. 159

Nel collocare la sequenza del contagio del vizio distruttore ad apertura della
prima biografia, Bellori fa proprio lo schema narrativo fissato da Boccaccio nella sua
raccolta di novelle e lo applica alla raccolta di biografie dartista. Nella Introduzione alla
Giornata prima del Decameron Boccaccio pone i lettori-camminanti di fronte a un
grave e noioso principio, s come la dolorosa ricordazione della pestifera mortalit

156

Cfr. E. GARIN, Rinascite e rivoluzioni. Movimenti culturali dal XIV al XVIII secolo, Roma-Bari, Laterza,
1975, pp. 39-47.
157 G. P. BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni, a cura di E. BOREA, Torino, Einaudi, 1976,
p. 31.
158 Ibidem (con la relativa nota 2).
159 Ivi, pp. 31-32.

44

trapassata, e questo orrido cominciamento appare come una vera e propria


montagna aspra e erta 160 da salire e superare.
Sulla estremit della montagna, che il lettore deve faticosamente salire, Bellori
colloca un evento incredibile a raccontarsi, lassenza di pittori, - al punto da sembrare
che il fiammingo Pietro Paolo Rubens (1577-1640), divenuto erudito in pittura 161
durante il suo soggiorno italiano dal 1600 al 1608, avesse portato allestero i colori, - e
il mancato soccorso da parte dellunico artista residente nella penisola, lurbinate Federico
Barocci (1528/35-1612):
n dentro, n fuori dItalia si ritrovava pittore alcuno, non essendo gran tempo che Pietro Paolo
Rubens il primo riport fuori dItalia i colori, e Federico Barocci, che avrebbe potuto ristorare e dar
soccorso allarte, languiva in Urbino, non le prest aiuto alcuno. 162

Per rendere ancora pi grave lorrido cominciamento, sulla cui vetta ormai la
pittura tragicamente volgevasi al suo fine, 163 Bellori crea limmagine forte dellassalto
allarte morente da parte di due tendenze estremistiche e contrapposte (due contrari
estremi), entrambe presenti nella Roma dellultimo decennio del Cinquecento. La prima,
interamente soggetta al naturale, rappresentata dal Caravaggio, il quale copiava
puramente li corpi come appariscono a gli occhi, senza elezzione, e la seconda, soggetta
alla fantasia, rappresentata dal DArpino, il quale non riguardava punto il naturale,
seguitando la libert dellistinto. 164 Naturalismo e manierismo, dunque, per quanto
avversari tra loro, convergono su un unico obiettivo, lattacco da postazioni diverse al
classicismo artistico. 165
160

G. BOCCACCIO, Decameron, con le illustrazioni dellautore e di grandi artisti fra Tre e Quattrocento, a cura
di V. BRANCA, Firenze, Le Lettere, 1999, p. 54
161 BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni cit., p. 242.
162 Ivi, p. 32.
163 Ibidem.
164 Ibidem. Come nota Borea, nella relativa nota 7, la contrapposizione Caravaggio-DArpino [] non va
intesa come valutazione negativa allo stesso livello dei due pittori; tant vero che, se pure obtorto collo, dati
i suoi principi di irriducibile avversatore del naturalismo caraveggesco, lo scrittore pubblicher una vita del
Merisi, ma non di Giuseppe Cesari dArpino.
165 Nel commentare questa posizione di Bellori, E. PANOFSKY, Idea. Contributo alla storia dellestetica,
Firenze, La Nuova Italia, 1992 (ed. or.:1924), scrive sono da condannare i Naturalisti che non hanno idee
affatto, e che, giurando sul modello, copiano pedissequamente gli oggetti di natura fin nei loro difetti; ma son
da condannare anche coloro che, senza conoscere il vero, riducono la facolt artistica ad una mera
esercitazione, e, sdegnando di studiar la natura, pretendono di lavorar di maniera o secondo delle mere
Idee fantastiche, com detto talvolta (p. 66). Alla base di questa posizione c la concezione estetica
classicistica di Bellori, formulata in modo organico nel discorso LIdea del pittore, dello scultore e
dellarchitetto, scelta dalle bellezze naturali superiore alla Natura, tenuto nellAccademia romana di San Luca
nel maggio 1664 e premesso alle Vite. Innanzitutto Bellori ferma lattenzione sulla distinzione tra la pura e
perfetta natura divina e sullimpura e imperfetta natura delle cose, tramando il testo di riferimenti ad autori
(Platone e s. Tommaso) oramai divenuti canonici su questo argomento: Quel sommo ed eterno intelletto
autore della natura nel fabbricare lopere sue maravigliose altamente in se stesso riguardando, costitu le
prime forme chiamate idee; in modo che ciascuna specie espressa fu da quella prima idea, formandosene il
mirabile contesto delle cose create. Ma li celesti corpi sopra la luna non sottoposti a cangiamento, restarono
per sempre belli ed ordinati, qualmente dalle misurate sfere e dallo splendore de gli aspetti loro veniamo a
conoscerli perpetuamente giustissimi e vaghissimi. Al contrario avviene de corpi sublunari soggetti alle
alterazioni ed alla bruttezza; e sebene la natura intende sempre di produrre gli effetti suoi eccellenti,
nulladimeno per linequalit della materia, si alterano le forme, e particolarmente lumana bellezza si
confonde, come vediamo nellinfinite deformit e sproporzioni che sono in noi (BELLORI, Le vite de pittori,
scultori e architetti moderni cit., pp. 13-14). La visione platonica di Dio che ha in s le idee o forme ideali
delle cose e quella di s. Tommaso che distingue tra le forme ideali e le cose in se stesse appartengono al
patrimonio culturale collettivo e appaiono gi in coppia in F. ZUCCARI, Lidea de scultori, pittori e architetti
(Torino, 1607, p. 448), che pu essere in questa parte il referente pi vicino al Discorso belloriano. Inoltre la

45

La scena ormai totalmente cupa e larte caduta e quasi estinta sta per esalare
lultimo respiro, quandecco che Bellori, ancora una volta seguendo il modello narrativo del
Decameron, alla montagna dellorrido cominciamento fa seguire una pianura al
superlativo bella e dilettevole, alla gravezza del racconto della decadenza e della
morte dellarte fa seguire la piacevolezza del racconto della risurrezione con Annibale
Carracci, al dolore per le miserie la letizia per i lieti eventi. Scrive Boccaccio nella
Introduzione alla Giornata prima:
E s come la estremit della allegrezza il dolore occupa, cos le miserie da sopravegnente letizia
sono terminate. A questa brieve noia (dico brieve in quanto in poche lettere si conrtiene) seguita
prestanmente la dolcezza e il piacere []. E nel vero, se io potuto avessi onestamente per altra
parte menarvi a quello che io desidero che per cos aspro sentiero come fia questo, io lavrei
volentier fatto: ma per ci che, qual fosse la cagion per che le cose che appresso si leggeranno
avvenissero, non si poteva senza questa ramemorazion dimostrare, quasi da necessit constretto
a scriverle mi conducono. 166

Secondo Bellori a segnare la svolta della storia dellarte, dal basso verso lalto,
secondo il principio della perpetua vicissitudine, furono gli influssi finalmente benigni delle
stelle sullItalia e la volont di Dio che mand provvidenzialmente in Bologna luomo che
oper la risurrezione dellarte:
Cos quando la pittura volgevasi al suo fine, si rivolsero gli astri pi benigni verso lItalia, e piacque a Dio che
nella citt di Bologna, di scienze maestra e di studi, sorgesse un elevatissimo ingegno, e che con esso
risorgesse larte caduta e quasi estinta. Fu questi Annibale Carracci, di cui ora intendo scrivere, cominciando
dallindole ornatissima ondegli inalz il suo felice genio, [ha] accoppiando due cose raramente concesse a
gli uomini, natura ed arte in somma eccellenza. 167

sequenza della cosmologia ci presenta ancora, per usare unespressione pirandelliana, un cielo di carta, ma
senza lo strappo provocato da Copernico, Bruno e Galilei. Senza alcuna curiosit per questa produzione
filosofica e scientifica, che pure aveva cambiato la cosmologia e sostituito il cielo aritotelico-tolemaico con
quello copernicano, Bellori ridisegna il mondo alla vecchia maniera, con la parte sopralunare, dove i corpi,
composti di materia cristallina e perfetta, sono sempre belli, ordinati e immutabili, e la parte sublunare, dove i
corpi, composti di materia imperfetta, sono soggetti alla mutazione, alla bruttezza e al disordine, con
linevitabile alterazione delle forme ideali. Come la naturale bellezza anche lumana bellezza, che fatta di
materia imperfetta, presenta infinite deformit e sproporzioni, le quali sono escluse, secondo il classicista
Bellori, dallo statuto delle arti, impegnate a rappresentare unicamente il bello, lordine, larmonia. Per questo
lartista deve operare a imitazione di Dio, il primo architetto del mondo e il primo scultore e pittore delluomo,
costruendo un esempio di bellezza superiore dentro di s, nella mente. Tale processo parte
necessariamente dallosservazione della natura e quindi delle bellezze inferiori, passa attraverso la elezione
delle parti pi belle e giunge alla formazione dellidea di bellezza. Lesempio di bellezza superiore, secondo
Bellori, non proviene da Dio, n innato nelluomo, anzi ha origine dalla natura ed una conquista dello
studio dellartista. Questo primo traguardo costituisce poi la premessa per la seconda partita da giocare con
la natura. Infatti lartista, oramai in possesso dellesempio di bellezza superiore, che ha origine dalla natura
ed nella mente, pu finalmente rappresentare questa idea, il vero originale di ciascuna opera darte, con il
risultato che la natura rappresentata una natura emendata: Il perch li nobili pittori e scultori quel primo
fabbro imitando, si formano anchessi nella mente un esempio di bellezza superiore, ed in esso riguardando,
emendano la natura senza colpa di colore e di lineamento. Questa idea, overo dea della pittura e della
scultura, aperte le sacre cortine de glalti ingegni de i Dedali e de gli Apelli, si svela a e discende sopra i
marmi e sopra le tele; originata dalla natura supera lorigine e fassi originale dellarte, misurata dal compasso
dellintelletto, diviene misura della mano, ed animata dallimmaginativa d vita allimmagine. Sono
certamente per sentenza de maggiori filosofi le cause esemplari ne gli animi de gli artefici, le quali risiedono
senza incertezza perpetuamente bellissime e perfettissime. Idea del pittore e dello scultore quel perfetto
ed eccellente esempio della mente, alla cui immaginata forma imitando, si rassomigliano le cose che cadono
sotto la vista (BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni cit., p. 14).
166 BOCCACCIO, Decameron cit., p. 54.
167 BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni cit., pp. 32-33.

46

Lincipit della biografia di Annibale Carracci, con cui decolla questa seconda
rinascita, ha tutti gli ingredienti dellincipit della vita di Cimabue che apre la raccolta
vasariana delle Vite:
Erano per linfinito diluvio dei mali, che avevano cacciato al di sotto et affogata la misera Italia, non
solamente rovinate quelle che chiamar si potevano fabriche, ma, quel che importava assai pi,
spentone affatto tutto l numero degli artefici, quando (come Dio volse) nacque nella citt di
Fiorenza lanno MCCXL, per dare i primi lumi allarte della pittura, Giovanni cognominato Cimabue,
della famiglia de Cimabuoi in quel tempo nobile 168

Come si pu rilevare dalla collazione dei due incipit, la successione boccacciana


delle sequenze narrative montagna e pianura, gravezza dellorrido cominciamento e
piacevolezza della pianura bellissima e dilettevole, era gi stata applicata alle biografie
dartista dal Vasari. Lungo questa strada il modello narrativo del Boccaccio mostra di
essere tentacolare, per cui dalla raccolta di novelle si estende anche alle raccolte di
biografie dartista e giunge attraverso il Vasari al Bellori, dal Cinquecento al Seicento.

2. Caravaggio e lingegno torbido e contenzioso dellartista maledetto


Bellori crea la biografia del Caravaggio da una costola dellorrido cominciamento,
per cui assegna al pittore un ruolo essenzialmente negativo allinterno del disegno
storiografico sullarte moderna tra Cinquecento e Seicento. Per costruire il personaggio
negativo, Bellori monta abilmente una biografia attraversata soprattutto da forze centripete,
per cui in gran parte i singoli elementi convergono verso il centro, lingegno torbido e
contenzioso dellartista, 169 in antitesi allindole ornatissima 170 delleroe positivo,
Annibale Carracci.
Allingegno torbido e contenzioso del Caravaggio, Bellori fa risalire molti eventi.
il caso delle discordie che lo costrinsero a scappare da Milano, dove adolescente si
era adattato a far le colle ad alcuni pittori che dipingevano a fresco. 171 Si ha notizia
dellapprendistato del Caravaggio presso ill maestro bergamasco Simone Peterzano ( a
Milano tra il 1573 e il 1596), Il quale si firmava Titiani alumnus, quasi fosse un quarto di
nobilt. 172 Nella bottega milanese del Peterzano il tredicenne Caravaggio entr nellaprile
del 1584 e lavor per circa quattro anni, facendo ritratti. 173
il caso ancora del soggiorno a Roma a partire dal 1591 o pi probabilmente
dalla seconda met del 1592 174 - dove allinizio il ventenne Caravaggio dimor senza
168

G. VASARI, Le vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a tempi nostri.
Nelledizione per i tipi di Lorenzo Torrentino. Firenze 1550, a cura di L. BELLOSI e A. ROSSI, presentazione di
G. PREVITALI, Torino, Einaudi, 1986, p. 103.
169 BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni cit., p. 212.
170 Ivi, p. 33.
171 Ivi, p. 212. Secondo Bellori le pessime condizioni economiche di Michelangelo Merisi sono dovute al
padre Fermo, che era muratore. Ma oramai stato acquisito che Franco Merisi era maestro di casa dei
marchesi di Caravaggio ed esercitava, sia pure modestamente, il mestiere di architetto, come si ricava dal
Mancini; assai da bene, lo definisce il Baglione (circa 1625). [] Doveva trattarsi, in sostanza, di una
famiglia abbastanza agiata, della piccola nobilt locale (M. CALVESI, Le realt del Caravaggio, Torino,
Einaudi, 1990, pp. XXV-XXVI).
172 M. MARINI, Caravaggio: lincipit tra Lombardia e Venezia, nel catalogo Caravaggio. La luce nella pittura
lombarda, Milano, Electa, 2000, p. 46.
173 BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni cit., p. 212.
174 Sulla oscillazione della data cfr. M. CINOTTI in Il Caravaggio e le sue grandi opere da San Luigi dei
Francesi, testo di G. A. DELLACQUA, Milano, Rizzoli, 1971, pp. 61-64; EAD., La giovinezza di Caravaggio.
Ricerche e scoperte, in AA.VV., Novit su CaravaggioI, Milano, Regione Lombardia, 1975, pp. 208-12.

47

ricapito e senza provedimento, riuscendogli troppo dispendioso il modello, senza il quale


non sapeva dipingere, n guadagnando tanto che potesse avanzarsi le spese. 175 Spinto
dalla necessit, nel giugno del 1593 Caravaggio and a servire il pittore Giuseppe
Cesari detto il cavalier dArpino (1568-1640), allora ritenuto lerede dei maestri del
Cinquecento e in particolare di Raffaello Sanzio e oggi comunemente considerato voce
autorevole del manierismo, 176 e si adatt di mala voglia per circa otto mesi a dipingere
nature morte, con fiori e frutta. Tra queste, Bellori segnala una caraffa di fiori con le
trasparenze dellacqua e del vetro e coi riflessi della fenestra duna camera, sparsi li fiori di
freschissime rugiade e molto genericamente altri quadri, tutti fatti eccellentemente []
di simile imitazione. In seguito, secondo il racconto di Bellori, mosso dal gran rammarico
di vedersi tolto alle figure, Caravaggio pass alla bottega del pittore bresciano Prosperino
delle Grottesche (nato nel 1558). Appartengono a questo periodo romano, tra le opere pi
importanti, il Ragazzo che sbuccia un merangolo (Roma, collezione privata), lAutoritratto
come Bacco coronato dedera (Roma, Galleria Borghese), il Ragazzo con una caraffa di
rose (gi Londra, vendita Christies, n. 21, 14 dicembre 1983) e il Ragazzo con canestro
di frutta (Roma, Galleria Borghese). 177
Sulla scena della Roma dellultimo decennio del Cinquecento e dei primi anni del
Seicento, dominata dalla figura di papa Clemente VIII (1592-1605), 178 Bellori situa la
scelta radicale di dipingere secondo il suo proprio genio, imitando la sola natura, e la
ricca produzione di questi anni. Tuttavia, nonostante gli impegni artistici, puntualizza
Bellori, Caravaggio non [] rimetteva punto le sue inquiete inclinazioni ed era solito,
dopo le ore dedicate alla pittura, attraversare la citt con la spada al fianco e fare
professione darmi, 179 di cui aveva verosimilmente una dotazione personale da duello e
i singoli pezzi furono utilizzati anche in pittura come modelli per le numerose
rappresentazioni. 180 A tale proposito Bellori racconta lepilogo tragico avvenuto il 28
maggio 1606, in occasione di una partita di pallacorda, quando, a seguito di una ennesima
rissa, 181 il trentacinquenne Caravaggio fer mortalmente il giovane amico Ranuccio
Tomassoni da Terni 182 in Campo Marzio, nei pressi di Palazzo Firenze, residenza del card.
Del Monte:
Venuto per a rissa nel giuoco di palla a corda con un giovine suo amico, battutisi con le racchette
e prese larmi, uccise il giovine, restando anchegli ferito. 183
175

BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni cit., p. 213.


Cfr. K. HERRMANN FIORE, Caravaggio e la quadreria del Cavalier DArpino, nel catalogo Caravaggio. La
luce nella pittura lombarda cit., pp. 57-76; S. CORRADINI M. MARINI, Roma 1605: lo strano furto di una
lama di spada di M[aestro]. Michelangelo da Caravaggio Pittore, ivi, pp. 102-7.
177 Cfr. le relative schede nel catalogo Caravaggio e il suo tempo (Napoli, Museo Nazionale di Capodimente,
14 maggio- 30 mgiugno 1985), Napoli, Electa, 1985, pp. 200 ss.
178 CALVESI, Le realt del Caravaggio cit., p. 118: il papa fu eletto in un conclave pilotato [] dagli
Oratoriani e da Federico Borromeo, e andato in porto grazie al contributo di Ascanio Colonna, fratello della
marchesa di Caravaggio. Clemente VIII fu vicino agli Oratoriani, quindi al Borromeo, scegliendo per altro
come proprio consigliere artistico un fraterno amico di questi, il Baronio.
179 BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni cit., p. 224.
180 Cfr. F. ROSSI, Caravaggio e le armi. Immagine descrittiva, valore segnico e valenza simbolica, nel cat.
Caravaggio. La luce nella pittura lombarda cit., pp. 77-88.
181 Sui moventi dellomicidio in Campo Marzio, presentato dal Bellori come esito di un contrasto nel gioco
della pallacorda, sono state avanzate nuove ipotesi: fr. M. MARINI, Caravaggio pictor praestantissimus.
Liter artistico completo di uno dei massimi rivoluzionari dellarte di tutti i tempi, Roma, Newton & Compton,
2001, pp. 6667.
182 Sullaggressivit di Ranuccio Tomassoni, che era solito andare in giro ben armato, con spade, pugnali
et pistole prohibite cfr. S. MACIOCE, Attorno a Caravaggio. Notizie darchivio, Storia dellArte, n. 55, 1985,
pp. 289-91.
183 BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni cit., p. 224.
176

48

La sentenza di morte, emessa da Paolo V Borghese (salito al soglio pontificio nel


1605), la fuga da Roma senza denari nei feudi (Zagarolo e Paliano) dei Colonna
Bellori indica per Zagarolo come sarebbe giusto il nome di di Marzio Colonna -, 184 il
timore di cadere nella rete della giustizia rendono piuttosto mosse e movimentate le ultime
sequenze del racconto biografico. Dapprima Caravaggio prese il camino per Napoli, 185
dove soggiorn tra lottobre del 1606 e i primi mesi del 1607, poi nel mese di luglio si
trasfer nellisola di Malta spinto dal desiderio di ricevere la croce dei Cavalieri dellOrdine
di San Giovanni data solitamente ad uomini riguardevoli per merito e per virt. 186
Guadagnatosi il favore del gran maestro dellordine il francese Alof de Wignacourt, ritratto
in piedi armato assistito da un paggetto - la tela oggi al Louvre e ancora a sedere
disarmato nellabito di Gran Maestro di questopera non si hanno notizie 187 -, e
ricevuta in premio la croce, 188 che gli consentiva di vivere nellisola con decoro della
sua persona ed abbondante di ogni bene, Caravaggio in un subito fu travolto dalla
riemersione violenta del suo torbido ingegno, 189 che gli fece perdere quanto aveva
realizzato. Nellagosto 1608, una nuova lite, questa volta con un cavaliere, fu la causa
della carcerazione dellartista 190 nella Fortezza di SantAngelo, sopra il porto di Valletta, da
dove, prostrato a mal termine di strappazzo e assalito dal timore, Caravaggio decise
di liberarsi, senza attendere il giudizio della corte, e si espose con una rocambolesca
evasione a gravissimo pericolo. Inoltre, violando lobbligo per i cavalieri di non lasciare
Malta senza lautorizzazione del Gran Maestro, fugg dallisola rapidissimamente e
184

CALVESI, Le realt del Caravaggio cit., p. 119: invece inesatto comprendere, secondo luso invalso
nella letteratura caravaggesca, anche Paliano e Palestrina nei suoi feudi [di Marzio Colonna]. Il ramo dei
Colonna di Zagarolo [] si era staccato da quello di Paliano. Marzio Colonna, come ricorda Calvesi,
possedeva unimportante collezione di statue e lapide antiche, aveva una gran passione antiquaria
(come il suo avo Francesco, autore della Hypnerotomschia) ed era in possesso di una licenza per scavare
qualsiasi oggetto archeologico (ivi, pp. 121-22).
185 BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni cit., p. 225.
186 Ivi, p. 226.
187 Cfr. M. MAINDRON, Le Portrait du G. M. Alof de Vignacourt au Muse du Louvre, Revue de lArt ancien
et moderne, 1908, pp. 241-60; M. GREGORI, A new Painting and some observations on Caravaggios
Journey to Malta, The Burlington Magazine, CXVI, 1974, pp. 594-603; M. MARINI, Tre proposte per il
Caravaggio meridionale, Arte illustrata, IV, 1971, nn. 43-44, pp. 56-57. Questo ritratto probabile si
rispecchi in una mediocre tela conservata nel Collegio dei Canonici della Grotta di San Paolo a Rabat, Malta,
che sarebbe firmata da Gian Domenico Corso e datata 1617, e di cui si conosce un altro esemplare a figura
intera nella chiesa sopra la Grotta di San Paolo (cfr. la scheda di M. GREGORI, in Caravaggio e il suo tempo
cit., p. 328).
188 BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni cit., p. 226.
189 Ivi, p. 227.
190 A questo proposito stata avanzata in via ipotetica una diversa lettura della causa della carcerazione.
Cfr. A. OTTINO DELLA CHIESA, Lopera completa del Caravaggio, presentazione di R. GUTTUSO, Milano,
Rizzoli, 1967, p. 84; M. MARINI, Io Michelangelo da Caravaggio, Roma, Studio B di Sestetti e Bozzi, 1974, p.
45. Su questa linea anche CALVESI, Le realt del Caravaggio cit., pp. 138-39: dagli onori che a Malta
furono tributati al Caravaggio si pu ben dedurre che lomicidio di Ranuccio Tomassoni fosse stato
taciuto, per cui lespulsione [] sarebbe intervenuta quando il fatto si venne a risapere. E la vicenda
viene cos ricostruita: Il cavaliere di Giustizia (Baglione) con cui il Caravaggio sarebbe venuto
importunamente a contesa (Bellori) a causa del suo torbido ingegno (Bellori) con ogni probabilit,
proprio quel Hyeronimo de Varayz che fece incarcerare il pittore, come risulta dai documenti maltesi. vero,
come osserva Marini, che Hyeronimo de Varayz era procurator fiscalis Religionis, ossia inquisitorerappresentante dellOrdine, ma appunto in questa veste (non di parte lesa, cio, bens di magistrato) egli
avr fatto imprigionare il Caravaggio. I biografi, orecchiando, dovettero supporre che ci avvenisse a causa
di unoffesa recatagli. In realt, verosimile che il De Varayz fosse stato informato dellomicidio commesso a
Roma, e che nella sua funzione di procurator fiscalis Religionis facesse arrestare il latitante. Il Caravaggio
risulta, dai documenti, detenuto ad istantiam del Varayz, ed poi lo stesso Varayz che ne denuncia la fuga.
Sembra una persecuzione, ma solo una serie di atti dovuti dufficio.

49

raggiunse come uno sconosciuto la Sicilia. Lepisodio, descritto in modo sommario e


solo recentemente documentato e chiarito nella sua dinamica grazie allo storico maltese
dellarte Keith Sciberras, 191 aggiunge nella biografia un altro anello alla catena delle
violenze dellartista:
Ma in un subito il suo torbido ingegno lo fece cadere da quel prospero stato e dalla benevolenza
del Gran Maestro, poich venuto egli importunamente a contesa con un cavaliere nobilissimo, fu
ristretto in carcere e ridotto a mal termine di strappazzo e di timore. Onde per liberarsi si espose a
gravissimo pericolo, ed iscavalcata di notte la prigione fugg sconosciuto in Sicilia, cos presto che
non pot essere raggiunto. 192

Il finale della biografia un crescendo che prepara i lettori al tragico epilogo. Infatti,
in Sicilia, Caravaggio si sentiva perseguitato dalla disgrazia e in preda al timore di
essere preso si spostava da latitante tra Siracusa, Messina e Palermo. Nel 1609, non si
assicurando di fermarsi pi lungamente in Sicilia, lasci lisola e navig alla volta di
Napoli, dove pensava di trattenersi, da una parte con la segreta speranza di poter fare
ritorno a Roma non appena avesse ricevuto la nuova della grazia della sua
remissione 193 per lomicidio di Ranuccio Tomassoni da Terni, dallaltra con la fattiva
volont di placare il Gran Maestro dellOrdine di Malta, al quale mand in dono una
mezza figura di Erodiade con la testa di San Giovanni nel bacino. 194 Tuttavia le cose
precipitarono anche a Napoli, dove sub una violenta aggressione e fu persino sfregiato
nel viso 195 mentre stava sulla porta dellosteria del Cerriglio, allora tappa obbligata non
solo per i napoletani ma anche per i forestieri, per di pi luogo privilegiato della letteratura.
E tra i frequentatori pi assidui dello studio dellosteria del Cerriglio troviamo anche
Pulcinella, la maschera che incarna lopposizione alla cultura ufficale degli Studi, come si
legge nella commedia La Lucilla costante (1632) del capuano Silvio Fiorillo. 196
La solitudine del Caravaggio durante la tragica morte chiude coerentemente il
cerchio attorno al personaggio negativo. Allontanatosi da Napoli sopra una feluca, un
veliero che era diretto allo Stato dei Presidi spagnoli sullArgentario per poi tornare nella
capitale del viceregno spagnolo, Caravaggio sinvi a Roma, dove il cardinale Gonzaga
gli aveva ottenuto la grazia del papa Paolo V. Le battute che seguono tolgono il respiro al
lettore e portano alla scena finale della morte. Giunto sulla spiaggia di Palo (Roma),
Caravaggio fu arrestato dalle guardie spagnole per errore, al posto di un altro, e fu
condotto in prigione. Rilasciato ben presto, cerc sotto il caldo sole dellestate le sue
robbe (gli effetti personali e il quadro di San Giovanni Battista commissionatogli dal card.
Scipione Borghese) 197 e la feluca lungo la spiaggia, spingendosi sino a PortErcole
(Grosseto), ma senza alcun risultato. Profondamente amareggiato e agitato miseramente
da affanno e da cordoglio, Caravaggio si abbandon su quella spiaggia, dove fu
sorpreso da febbre maligna, che lo divor in pochi giorni, allet di circa
quarantanni. 198
191

K. SCIBERRAS, Frater Michael Angelus in tumultu: the cause of Caravaggios imprisonment in Malta,
The Burlington Magazine, CXLIV, 2002, pp. 229-32.
192 BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni cit., p. 227.
193 Ivi, p. 211.
194 Ibidem. Alcuni identificano il dipinto con Salom dellEscorial, altri con Salom di Londra. Cfr. la scheda
di M. GREGORI, in Caravaggio e il suo tempo cit., pp. 335-36.
195 CALVESI, Le realt del Caravaggio cit., p. 147: Si trattava, secondo il Baglione e il Bellori, di emissari del
suo nemico maltese che lo perseguitava, quindi ben verosimilmente di gendarmi che attuavano il
mandato di cattura.
196 P. SABBATINO, Giordano Bruno e la mutazione del Rinascimento, Firenze, Olschki, 1993, pp. 58-59.
197 Il quadro San Giovanni Battista si trova oggi nella Galleria Borghese, Roma.
198 BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni cit., p. 228.

50

Le ultime sequenze del racconto biografico, che sigillano con il morire


disgraziatamente in una spiaggia, 199 per di pi deserta, 200 il vivere disgraziato e
solitario di Caravaggio, sono scritte parallelamente e in margine alle ultime sequenze della
precedente biografia del Caravaggio firmata dal Baglione, il quale aveva gi evidenziato
pi volte il viver male dellartista, concluso con linevitabile morir malamente, da solo
e in una spiaggia deserta:
ma per esser perseguitato dal suo nemico, convennegli tornare alla citt di Napoli; e quivi
ultimamente essendo da colui giunto [il cavaliere di giustizia con cui litig a Malta], fu nel viso cos
fattamente ferito, che per li colpi quasi pi non si riconosceva, e disperatosi della vendetta, con
tutto chegli vi si riprovasse, misesi in una felluca con alcune poche robe, per venirsene a Roma,
tornando sotto la parola del cardinal Gonzaga, che co l pontefice Paolo V la sua remissione
trattava. Arrivato chegli fu nella spiaggia, fu in cambio fatto prigione, e posto dentro le carceri, ove
per due giorni ritenuto, e poi rilassato, pi la felluca non ritrovava s che, postosi in furia, come
disperato andava per quella spiaggia sotto la sferza del sol leone a veder se poteva in mare
ravvisare il vascello, che le sue robe portava. Ultimamente arrivato in un luogo della spiaggia
misesi in letto con febre maligna; e senza aiuto umano tra pochi giorni mor malamente, come
appunto male avea vivuto. 201

Si consolida cos, dal Baglione al Bellori, il mito dellartista maledetto, personaggio


negativo, segnato dal temperamento violento e litigioso, che fu allorigine di tutti i suoi mali
e di tutte le sue disavventure. In aggiunta, secondo le leggi della fisiognomica, gi
largamente diffusa nel Rinascimento, 202 Bellori fa s che linterno del Caravaggio, il suo
ingegno torbido e contenzioso, trovi corrispondenza allesterno, di cui a bella posta
evidenzia in generale il color fosco e in particolare gli occhi foschi, le ciglia e i capelli
neri. Persino le abitudini quotidiane e labbigliamento rispecchiano la sua torbidezza
interiore, con luso di un abito confezionato con drappi e velluti nobili ma portato fino a
quando non gli cadeva in cenci, con una negligenza al superlativo nelle pulizie personali
e con il mangiare mattina e sera per numerosi anni sopra la tela di un ritratto. 203 Il
disprezzo per larte del Caravaggio e il disprezzo per i modi di vita sono in Bellori due volti
di una stessa medaglia, 204 la quale rappresenta lesatto contrario di quello che lo stesso

199

Ivi, p. 214.
Ivi, p. 211.
201 G. BAGLIONE, Le vite de Pittori, Scultori et Architetti dal Pontificato di Gregorio XIII dal 1572 infino a
tempi di Papa Urbano Ottavo nel 1642, Roma, Fei, 1642 . Si cita dalla ristampa anastatica: Bologna, Forni,
1975, pp. 138-39.
202 Cfr. L. BOLZONI, La stanza della memoria. Modelli letterari e iconografici nellet della stampa, Torino,
Einaudi, 1995, pp. 164 ss.; P. CASTELLI, Viso cruccioso e con gli occhi turbati. Espressione e fisiognomica
nella trattatistica darte del primo Rinascimento, in Lideale classico a Ferrara e in Italia nel Rinascimento, a
cura di P. CASTELLI, Firenze, Olschki, 1988, pp. 41 ss.; P. SABBATINO, Scrittura e scultura nellumanista
napoletano Pomponio Gaurico, in P. GAURICO, De Sculptura, a cura di P. Cutolo, saggi di F. Divenuto, F.
Negri Arnoldi, P. Sabbatino, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1999, pp. 22-23; Il volto e gli affetti.
Fisiognomica ed espressione nelle arti del Rinascimento. Atti del convegno di studi, Torino, 28-29 novembre
2001, a cura di A. Pontremoli, Firenze, Olschki, 2003.
203 BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni cit., p. 214.
204 CALVESI, Le realt del Caravaggio cit., p. 336 (il disprezzo che il Bellori ha per questi modi, lo stesso
(ideologico e politico) che manifesta per la sua pittura, colpevole di aver promosso limitazione delle cose
vili, ricercandosi le sozzure, e le deformit; [] calze, brache e berrettoni [] le rughe e i difetti della pelle e
dintorni [] le dita nodose, le membra alterate da morbi; ovvero lo stesso disprezzo del Baglione, davanti
alla Madonna di Loreto, per i due pellegrini, uno co piedi fangosi e laltra con una cuffia sdrucita, e
sudicia).
200

51

Bellori perseguiva, la moralizzazione dellarte e la moralizzazione della vita, avendo fatto


propria la linea politica francese in materia darte a Roma. 205
Caravaggio, dunque, un vero antieroe, a tutto tondo, di fronte al quale Bellori pu
scolpire la gigantesca figura di Annibale Carracci, il vero eroe, lartista benedetto, il
personaggio positivo, segnato dallindole ornatissima, che fu allorigine della sua missione
di far risorgere larte classicistica. 206 Nel rafforzare la struttura binaria del suo romanzo
storico sullarte, fondata sulla compresenza delleroe e dellantieroe, Bellori anticipa la
morte del Caravaggio di un anno, datandola nel 1609. 207 Con questo espediente viene
creato il mito dellanno funesto per la pittura, 208 con la scomparsa di Caravaggio e di
Annibale Carracci, lantieroe e leroe, a cui va aggiunta la scomparsa di Federico Zuccari,
ma a questultimo, esponente del manierismo, Bellori assegna nelle Vite il ruolo marginale
della comparsa.

3. Intento a riguardare la natura: il Demetrio dellet moderna e lanti-Zeusi


Lesordio della vita del Caravaggio offre al lettore la chiave e la sintesi del pensiero
critico del classicista Bellori sulla funzione sostanzialmente negativa e dannosa del
naturalismo di Caravaggio:
Dicesi che Demetrio antico statuario fu tanto studioso della rassomiglianza che dilettossi pi
dellimitazione che della bellezza delle cose; lo stesso abbiamo veduto in Michelangelo Merigi, il
quale non riconobbe altro maestro che il modello, e senza elezzione delle megliori forme naturali,
quello che a dire stupendo, pare che senzarte emulasse larte (p. 201). 209

Utilizzando un paragone gi presente in Giovan Battista Agucchi (1615 c.): 210


il Caravaggio eccellentissimo nel colorire si dee comparare a Demetrio, perch ha lasciato indietro
lIdea della bellezza, disposto di seguire del tutto la similitudine. 211
205

L. SPEZZAFERRO. Caravaggio, nel catalogo Lidea del Bello. Viaggio per Roma nel Seicento con Giovan
Pietro Bellori, to. II, Roma, Edizioni De Luca, pp. 273-74, sottolinea che occorre tener presente come
questa rappresentazione di genio e sregolatezza non sia stata fatta da uno scrittore dellOttocento bens da
un uomo del secolo in cui si veniva sviluppando quella societ di corte nella quale, come ci ha da tempo
insegnato Elias, comportamenti etichette e cerimoniali avevano un senso preciso. La questione [] si
riallaccia concretamente a quanto il Bellori stava operando in senso accademico nel momento in cui
pubblica le sue Vite. Il 1672 infatti oltre che lanno in cui egli pubblica il suo libro anche quello in cui lamico
Charles Errard, fondatore e direttore dellAccademia di Francia a Roma, diviene Principe della romana
Accademia di San Luca: preludio questo alla fusione, breve ma politicamente rilevantissima, delle due
Accademie che si realizzer negli anni immediatamente successivi. Se si tiene presente tutto ci e
soprattutto il ruolo che, per la politica di Colbert, di cui lErrard era il ministro a Roma, aveva la
moralizzazione dellarte e soprattutto della vita e dei comportamenti degli artisti si capisce meglio perch il
Bellori, partecipe e corresponsabile della politica francese a Roma, insiste tanto nello stigmatizzare i cattivi
comportamenti e i costumi spregevoli del Caravaggio. [] leggere tutte le Vite del Bellori e non solo quella
del Caravaggio tenendo presente gli interessi francesi a Roma e i personaggi che li interpretavano,
probabilmente la strada pi produttiva [].
206 Cfr. C. STRINATI, Note biografiche su Caravaggio, in Caravaggio. La luce nella pittura lombarda cit., pp.
28-37.
207 Per una ricostruzione aggiornata degli eventi che portarono lartista alla morte cfr. V. PACELLI, Lultimo
Caravaggio 1606-1610. Il giallo della morte: omicidio di Stato?, Todi (Perugia), Ediart, 2002.
208 BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni cit., pp. 228-29.
209 Ivi, p. 201.
210 D. MAHON, Studies in Seicento Art and Theory, London, The Warburg Institute, 1947, p. 257.
211 Si cita da Immagine del Caravaggio. Mostra didattica itinerante, a cura di M. Cinotti, Cinisello Balsamo
(Milano), Arti Grafiche A. Pizzi, 1973, p. 115.

52

Bellori definisce Caravaggio il nuovo Demetrio. Come nellantichit lo scultore Demetrio


imit il vero di natura pi che la bellezza delle cose, cos nellet moderna Caravaggio
ha scelto di non avere altro maestro che il modello, 212 di volta in volta selezionato, con il
risultato di raffigurarlo interamente, nei suoi tratti belli e inevitabilmente nei suoi tratti brutti,
cos come si presenta allocchio fisico. Sulla dipendenza di Caravaggio dal modello,
senza il quale non sapeva dipingere, 213 Bellori insiste ripetutamente lungo il racconto
biografico, dando una valenza negativa a quanto si trova testimoniato concordemente
nelle prime fonti edite ed inedite, le quali - come scrive Bologna - insieme costituivano gi
uninterpretazione. 214 Nel 1603 Karel van Mander, utilizzando le notizie inviategli da
Roma da Floris Claeszoon van Dyck, aveva annotato:
Egli dice infatti che tutte le cose non sono altro che bagattelle, fanciullaggini o baggianate
chiunque le abbia dipinte se esse non sono fatte dal vero, e che nulla vi pu essere di buono o di
meglio che seguire la natura, e questa copia dipingendo. 215

Nel primo decennio del Seicento, il giureconsulto romano Marzio Milesi, di origine
bergamasca, aveva celebrato lamico e coetaneo pittore in un gruppo di undici
componimenti volgari, il cui autografo stato recentemente rinvenuto. 216 In particolare
Milesi aveva qualificato il naturalismo caravaggesco in opposizione polemica, concreta, a
maniere diverse, pi affidate allartificio concettuale e tecnico 217 nellottava (con schema
metrico ABABACCC):
Cedano a voi glantichi, et i pi illustri
pittor del secol nostro, Angel Michele,
e siano immortali, e glanni, e i lustri
i color vostri, e le pregiate tele.
Fingha altri pur le cose, adombre, e lustri,
voi vive e vere le rendete, intanto
che ben vi si conviene il pregio, e l vanto,
che vi d con la cetra altri e col canto. 218

Nellottava successiva (con schema metrico ABABABCC) Milesi aveva espresso il


suo entusiasmo per la pittura del Caravaggio e aveva rivolto a tutti un appello, costruendo
lincipit sul verso dantesco di Inf., IV, 80 (Onorate laltissimo poeta), con il quale uno dei
poeti del Limbo saluta Virgilio esprimendo il sentimento di tutti:
Ammirate laltissimo Pittore,
cha quanti pria ne furo passa avanti;
a celebrarlo vengha almo scrittore,
degno ben di gran pregi, e sommi vanti.
Stupisce il mondo, e viene a fargli honore
212

BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni cit., p. 201.


Ivi, p. 202.
214 BOLOGNA, Lincredulit del Caravaggio e lesperienza delle cose naturali, Torino, Bollati Boringhieri, 1992,
p. 145. Si rimanda allintero paragrafo (Imitar bene le cose naturali: la dichiarazione dintenti del
Caravaggio e la testimonianza delle fonti, ivi, pp. 144-49) per unanalisi esaustiva delle fonti.
215 La trad. it. di G. Prampolini si cita da Immagine del Caravaggio, cit., p. 115.
216 G. FULCO, Ammirate laltissimo pittore: Caravaggio nelle Rime inedite di Marzio Milesi, in La
meravigliosa passione. Studi sul Barocco tra letteratura ed arte, Roma, Salerno Editrice, 2001, pp. 41561. In Appendice sono stampati i componimenti (pp.461-72).
217 Ivi, p. 447.
218 Ivi, pp. 467-68.
213

53

Con lingegni sublimi tutti quanti.


Felice secol nostro, in cui si vede
Quel che dantica et si scrive, e crede. 219

Pi tardi, nelle Considerazioni sulla pittura (1620), il senese Giulio Mancini aveva
esteso alla scuola del Caravaggio losservazione del vero:
Questa schola [di Caravaggio] molto osservante del vero che sempre lo tiene davanti mentre
chopera. 220

Il medico di Forl Francesco Scannelli nel Microcosmo della pittura (1657) aveva
definito Caravaggio unico mostro di naturalezza e primo capo de naturalisti. 221 Luso,
introdotto da Scannelli a proposito del Caravaggio, della voce naturalismo come categoria
storiografica viene rafforzato da Bellori sia nel discorso LIdea del pittore, dello scultore e
dellarchitetto, scelta dalle bellezze naturali superiore alla Natura tenuto nellAccademia
romana di San Luca nel maggio del 1664 e premesso alle Vite:
quelli, che si gloriano del nome di naturalisti, non si propongono nella mente idea alcuna; copiano i
difetti de corpi, e si assuefanno alla bruttezza ed a gli errori, giurando anchessi nel modello come
loro precettore []. 222

sia lungo la biografia del Caravaggio 223 e nella parte finale, dove introduce brevi biografie
di artisti caravaggeschi (Bartolomeo Manfredi, Carlo Saraceni, Jusepe de Ribera detto lo
Spagnoletto, Jean de Boulogne detto il Valentin, Gerrit van Honthorst detto Gherardo
delle Notti):
Molti furono quelli che imitarono la sua maniera nel colorire dal naturale, chiamati perci naturalisti;
e tra essi annoteremo alcuni che hanno maggior nome. 224

In aggiunta, sempre nel citato esordio della biografia di Caravaggio, Bellori si


mostra particolarmente attento nel delineare il profilo del Caravaggio non solo attraverso
un primo ed esplicito paragone, con Demetrio, ma anche attraverso un secondo e
capovolto paragone, con Zeusi, simbolo ormai dellarte classicistica, di cui Caravaggio la
negazione sistematica e Bellori il fautore convinto. Per raffigurare la perfetta bellezza di
Elena nel tempio di Crotone dedicato alla dea Giunone, secondo la fonte ciceroniana del
De inventione, Zeusi dapprima selezion con giudizio le cinque vergini pi belle e poi da
ciascuna elesse le parti pi perfette, dando vita nellinsieme a unimmagine di piena
bellezza non presente nella natura, anzi collocabile al di sopra della natura. 225 In gara con
219

Ivi, p. 468.
G. MANCINI, Considerazioni sulla pittura, pubblicate per la prima volta da A. MARUCCHI con il commento
di L. SALERNO, I, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei (Fonti e documenti per la Storia dellArte), 1956, p.
108.
221 F. SCANNELLI, Il microcosmo della pittura, a cura di R. Lepore, con saggio bio-bibliografico di G. Giubbini,
Bologna, Cassa di Risparmio di Forl, 1989 (rist. anastatica delled. di Cesena, 1657), pp. 51 e 197. Secondo
BOLOGNA, Lincredulit del Caravaggio cit., p. 145, pu darsi che laggettivo naturalista, fino a quel
momento inedito a quanto pare come termine definitorio specifico della storiografia artistica, sincontri
riferito al Caravaggio solo nel 1657.
222 BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni cit., p. 22.
223 Per un elenco di questi luoghi cfr. BOLOGNA, Lincredulit del Caravaggio cit., p. 147.
224 BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni cit., p. 233.
225 Sullaneddoto di Elena dipinta da Zeusi e sulla utilizzazione dellaneddoto nel Quattrocento e
Cinquecento cfr. P. SABBATINO, La bellezza di Elena. Limitazione nella letteratura e nelle arti figurative del
Rinascimento, Firenze, Olschki, 1997, pp. 13 ss.
220

54

la natura, lartista supera la natura stessa grazie allimitazione selettiva, invece Caravaggio,
che insieme il nuovo Demetrio e lanti-Zeusi, si dilett nellimitare il vero pi che la
bellezza di natura e si ferm al modello nella sua interezza senza elezzione delle megliori
forme naturali, quello che a dire stupendo.
Nel racconto biografico, la scelta caravaggesca della sola natura quale oggetto
del pennello viene configurata come una radicale e gravissima rottura con il passato
remoto e con il passato prossimo, con le reliquie dellantichit e con le opere di Raffaello
Sanzio, il punto pi alto per Bellori della rinascita delle arti nel Cinquecento:
Datosi perci egli a colorire secondo il suo proprio genio, non riguardando punto, anzi spregiando
gli eccellentissimi marmi de gli antichi e le pitture tanto celebri di Rafaelle, si propose la sola natura
per oggetto del suo pennello. 226

A conferma della rottura, Bellori propone al lettore un aneddoto ruotante sul


disprezzo caravaggesco degli antichi maestri il caso degli scultori Fidia, al quale
venivano attribuite numerose copie romane di originali greci, e Glicone, autore dellErcole
Farnese rinvenuto nelle Terme di Caracalla sotto il pontificato di Paolo III, ora nel Museo
Nazionale di Napoli e ovviamente dei moderni, ritenuti ottimi nellambito del classicismo
artistico, e sullelogio dellunico maestro, il vero di natura:
essendogli mostrate le statue pi famose di Fidia e di Glicone, acciocch vi accomodasse lo studio,
non diede altra risposta se non che distese la mano verso una moltitudine di uomini, accennando
che la natura laveva a sufficienza proveduto di maestri. E per dare autorit alle sue parole, chiam
una zingana che passava a caso per istrada, e condottala allalbergo la ritrasse in atto di predire
lavventure, come sogliono queste donne di razza egizziana: fecevi un giovine, il quale posa la
mano col guanto su la spada e porge laltra scoperta a costei, che la tiene e la riguarda; ed in
queste due mezze figure tradusse Michele s puramente il vero che venne a confermare i suoi detti.
Quasi un simil fatto si legge di Eupompo antico pittore; se bene ora non tempo di considerare
insino a quanto sia lodevole tale insegnamento. 227

Nella strategia narrativa del biografo, lepisodio della pittura di personaggi che
appartengono alla realt quotidiana - una zingara nellatto di leggere la mano di un
giovane e di predirne il futuro - finalizzato a dimostrare che lo studio della natura del
moderno anti-Zeusi, sin dalle prime prove prodotte in regime di indipendenza, sulla
stessa linea di un altro artista antico, Eupompo di Sicione (V-IV sec. a. C.). La
contrapposizione belloriana tra il naturalismo di Caravaggio e il classicismo artistico di
Raffaello Sanzio nella prima stagione della rinascita dellarte e di Annibale Carracci nella
seconda rinascita tutta giocata sulleco della contrapposizione antica, al tempo dei Sofisti,
tra Eupompo e Zeusi, cos come la troviamo in Plinio, Naturalis Historia, XXXV, 64 (e
XXXVI, 6), il quale aumenta il numero dei rivali di Zeusi (Eupompo, Timante, Androcide,
Parrasio), tutti attivi alla fine del V secolo e allinizio del IV:
[Zeuxis] alioqui tantus diligentia, ut Agragantis facturus tabulam, quam in templo Iunonis Laciniae
publice dicarent, inspexerit virgines eorum nudas et quinque elegerit, ut quod in quaque
laudatissimum esset pictura redderet. Pinxit et monochromata ex albo. Aequales eius et aemuli
fuere Timanthes, Androcydes, Eupompus, Parrhasius. 228
226

BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni cit., p. 202.


Ivi, pp. 202-3. Su questo dipinto e sulle ipotesi della sua identificazione cfr. il commento di BOREA, ivi, p.
215, nota 1.
228 G. PLINIO SECONDO, Storia naturale, traduzione e note di A. Corso, R. Mugellesi, G. Rosati, V.
Mineralogia e Storia dellarte. Libri 33-37, Torino, Einaudi, 1988, p. 360 ([Zeusi] fu cos esageratamente
preciso che, dovendo fare un quadro per gli Agrigentini da dedicare pubblicamente a spese pubbliche nel
227

55

E in particolare Plinio (Naturalis Historia, XXXV, 75) ricorda unopera di Eupompo che
doveva fondarsi sullo studio del vero:
Est Eupompi victor certamine gymnico palmam tenens. 229

questo il simil fatto al quale rimanda Bellori nellaccostare Caravaggio ad Eupompo, in


contrapposizione allidea del bello di Annibale Carracci e, andando a ritroso, Raffaello e
Zeusi.
Caravaggio, dunque, non vuole programmaticamente creare in proprio
uninvenzione dellarte, quella che Zeusi antico ottiene selezionando e imitando le parti pi
belle, ma va alla ricerca della invenzione di natura, di una invenzione che la natura ha
gi creato e che lartista deve riprodurre. Da qui limportanza, osserva Bellori,
dellocchio con cui Caravaggio guarda e cerca per la citt le figure, che destano il suo
interesse e che gli sembrano invenzione di natura. Da qui il volgere intento locchio di
Caravaggio alla incarnazione, alla pelle, al sangue, alla superficie naturale dei
modelli, in modo da raffigurarli con il colore come veri. Ma nel ristabilire il rapporto tra
larte e il vero, Caravaggio commette il gravissimo errore, secondo Bellori, di guardare
solo allinvenzione di natura e di fermarsi ad essa, con linevitabile tragedia di lasciare
da parte gli altri pensieri dellarte e di non esercitare lingegno. 230

4. La Galeria del Marino e la biografia belloriana di Caravaggio


Nel cast dei personaggi, che entrano sulla scena del racconto biografico dellartista
maledetto, il Bellori d un posto di rilievo al poeta napoletano Giovan Battista Marino, che
fu a Roma per la prima volta nel 1600, trovando una sistemazione cortigiana presso
monsignor Melchiorre Crescenzi, chierico di camera di papa Clemente VIII.
Lammirazione che Marino nutr per Caravaggio documentata dalla Galeria (Venezia,
Ciotti, 1619), 231 un vero e proprio museo in versi di pitture e sculture, ben presto elevato a
tempio di Giunone Lacinia, volle prima esaminare le loro fanciulle nude, quindi ne scelse cinque come
modelle affinch la pittura rendesse ci che cera di pi bello in ciascuna di loro. Dipinse anche dei
monocromi in bianco. Suoi contemporanei e rivali furono Timante, Androcide, Eupompo, Parrasio)
229 Ivi, pp. 372-74 (Appartiene a Eupompo un Vincitore in una gara ginnica che tiene in mano la palma).
230 BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni cit., p. 203.
231 Sui rapporti tra arti e poesia in Marino cfr. A. BORZELLI, Il Cavalier Marino con gli artisti e la Galeria,
Napoli, Tip. Cosmi, 1891; ID., La Galeria del Cavalier Marino, Napoli, Vedova Ceccoli & figli, 1923; E. BERTI
TOESCA, Il Cavalier Marino collezionista e critico darte, Nuova Antologia, LXXXVII, 1952, n. 455, pp. 5166; J. COSTELLO, Poussins Drawings for Marino and the New Classicism. I. Ovids Metamorphoses,
Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, XVIII, 1955, n. 3-4, pp. 296-317; G. ACKERMANN,
Giambattista Marinos Contribution to Seicento Art Theory, The Art Bulletin, XLIII, 1961, n. 4, pp. 326-36;
M. ALBRECHT-BOTT, Die Bildende Kunst in der Italienischen Lyric der Renaissance und des Barok,
Wiesbaden, F. Steiner Verlag, 1976; G. E. VIOLA, Marino e le arti figurative, in Il verso di Narciso. Tre tesi
sulla poetica di G. B. Marino, Roma, Cadmo, 1978, pp. 9-61; G. FULCO, Il sogno di una Galeria: nuovi
documenti sul Marino collezionista [1979], in La meravigliosa passione. Studi sul Barocco tra letteratura
ed arte, Roma, Salerno editrice, 2001, pp. 83-117; A. DURANTI, La galleria della mente, Paragone
Letteratura, 1980, n. 366, pp. 93-97; C. DIONISOTTI, La galleria degli uomini illustri, Lettere italiane,
XXXIII, 1981, pp. 482-92 (poi in ID., Appunti su arti e lettere, Milano, Jaca book, 1995, pp. 145-55); G.
MOSES, Care gemelle dun parto nate: Marinos Picta Poesis, Modern Language Notes, C, 1985, n. 1,
pp. 82-110; L. NEMEROW-ULMAN, Narrative Unities in Marinos La Galeria, Italica, LXIV, 1987, n. 1,
pp.76-85; F. GUARDIANI, Lidea dellimmagine nella Galeria di G. B. Marino, in AA.VV., Letteratura italiana e
arti figurative, a cura di A. FRANCESCHETTI, vol. 2, Firenze, Olschki, 1988, pp. 647-54; A. MARTINI, I capricci
del Marino tra pittura e musica, ivi, vol. 2, pp. 655-64; I. VIOLA, Un nodo barocco di poesia e pittura, Il
piccolo Hans, XV, 1988-1989, n. 60, pp. 77-98; S. SCHTZE, Pittura parlante e poesia taciturna: il ritorno di

56

modello artistico, letterario e retorico, che nel catalogo delle letture di Bellori. 232 Sul
piano storico-critico La Galeria viene dopo la galleria della lingua, il Vocabolario degli
Accademici della Crusca (Venezia, presso la tipografia di Giovanni Alberti, 1612), il cui
progetto lessicografico era stato discusso da Lionardo Salviati (entrato nellAccademia
della Crusca nel 1583 e morto nel 1589) negli stessi anni in cui Francesco I de Medici,
Granduca di Toscana dal 1574 al 1587, era stato impegnato a ordinare la Galleria degli
Uffizi. 233
Per il Marino il Caravaggio dipinse il ritratto, - recentemente identificato da Maurizio
Marini 234 -, allora molto noto e celebrato nelle Accademie dagli uomini di lettere, i quali

G. B. Marino a Napoli, il suo concetto di imitazione e una mirabile interpretazione pittorica, in AA.VV.,
Documentary culture. Florence and Rome from Grand-Duke Ferdinand I to Pape Alexander VII, Papers from
a Colloquium held at the Villa Spelman, Florence 1990, ed. by E. CROPPER, G. PERINI, F. SOLINAS, Villa
Spelman Colloquia, vol. 3, Bologna, Nuova Alfa Editrice, 1992, pp. 209-26; E. CROPPER, The Petrifying Art:
Marinos Poetry and Caravaggio, The Metropolitan Museum Journal, XXVI, 1991, pp. 193-212; EAD.,
Marinos Strage degli Innocenti, Poussin, Rubens and Guido Reni, Studi secenteschi, XXXIII, 1992, pp.
137-66; E. PAULICELLI, Parola e spazi visivi nella Galeria, in AA.VV., The Sense of Marino: Literature, Fine
Arts and Music of the Italian Baroque, ed. by F. GUARDIANI, New York, pp. 255-66; M. FUMAROLI, La Galeria
di Marino e la Galleria Farnese: epigrammi e opere darte profane intorno al 1600, in La scuola del silenzio. Il
senso delle immagini nel XVII secolo, Milano, Adelphi, 1995, pp. 61-80; F. PELLEGRINO, I giochi onomastici
sui nomi degli artisti figurativi nei componimenti di G. B. Marino, Italianistica, 2000, n. 2, pp. 251-66; C.
CARUSO, Saggio di commento alla Galeria di G. B. Marino: 1 (esordio) e 624 (epilogo), Aprosiana, 2002,
n. 10, pp. 71-89; P. SABBATINO, Imitazione e illusione. Leonardo da Vinci, Varchi, Marino, Milizia, Studi
Rinascimentali, III, 2005, pp. 11-27.
232 Cfr. G. PERINI, La biblioteca di Bellori: saggio sulla struttura intellettuale e culturale di un erudito del
Seicento, nel catalogo Lidea del Bello. Viaggio per Roma nel Seicento con Giovan Pietro Bellori, cit., to. II,
pp. 673-77; le relative schede, firmate da C. ABAMONTI, C. CASETTI, F. MUZIO, M. POMPONI, sono alle pp. 67885.
233 Cfr. G. NENCIONI, La galleria della lingua, in Gli Uffizi. Quattro secoli di una galleria. Atti del Convegno
Internazionale di Studi (Firenze, 20-24 settembre 1982), a cura di P. Barocchi e G. Ragionieri, Firenze,
Olschki, 1983, pp. 17-48. In particolare Nencioni opera un gemellaggio tra le due gallerie, quella linguistica e
quella figurativa: Abbiamo visto che entrambe avevano un apprezzamento estetico dei loro oggetti, trascelti
entro un novero pi vasto; ma che la collocazione cronologica degli oggetti era totalmente diversa:
medievale nel Vocabolario, greco-latina o cinquecentesca nella Galleria del principe. Abbiamo visto che
lorientamento medievale del Vocabolario era fondato non solo sopra un condizionamento storico quello
delleffettivo processo di unificazione nazionale della lingua scritta che valeva a renderlo attuale, ma sopra
una teorizzazione delleccellenza linguistica del buon secolo, utile pi a legittimare lintento puristico e ad
esaltare la normativit dellopera che a giustificarne limpostazione; mentre la normativit della Galleria degli
Uffizi come prototipo di altre gallerie italiane e straniere trasse ragione dalla sua univoca e impregiudicata
rispondenza alle esigenze culturali del presente. Da questultima differenza potremmo inferire [] una
diversa disponibilit dei due istituti ad aprirsi a nuove prospettive: assai minore e pi tormentata nel
Vocabolario a causa della sua posizione passatista e conservatrice, e anche per il fatto che lapertura
estrafiorentina della Galleria di Francesco I implicava lammissione della presenza e validit di altri centri
artistici oltre Firenze, mentre la portata nazionale del Vocabolario si fondava sullequazione tra lingua
letteraria comune e fiorentino trecentesco e sulla convinzione che tale equazione potesse e dovesse
perdurare indefinitamente, qualunque fossero [] gli apporti e le proposte delle altre regioni italiane (pp.
31-32). Sulla galleria figurativa a Firenze cfr. Gli Uffizi. Quattro secoli di una galleria. Atti del convegno
internazionale di studi, Firenze, 20-24 settembre 1982, a cura di P. Barocchi e G. Ragionieri, Firenze,
Olschki, 1983; Magnificenza alla corte dei Medici. Arte a Firenze alla fine del Cinquecento, catalogo della
mostra, Milano, Electa, 1997.
234 Cfr. M. MARINI, Marino e Caravaggio: un ritratto nel contesto della Contarelli, in Caravaggio nel IV
centenario della Cappella Contarelli. Atti del convegno, Roma, 24-26 maggio 2001, a cura di C. Volpi, Roma,
CAM, 2002, p. 233.; ID., Caravaggio pictor praestantissimus. Liter artistico completo di uno dei massimi
rivoluzionari dellarte di tutti i tempi, cit., pp. 218-19 e 453-55. Negli anni del ritratto (Roma, 1600 ca.; Londra,
collezione privata), il poeta napoletano, nato nellottobre del 1569, - scrive Marini - non ancora
cavaliere: lo sar solo nel 1609) []; pertanto il Caravaggio lo ritrae, pi che trentenne [], con una toga
nera finemente ricamata e dalle lumeggiature blu [], essendosi questo addottorato in avvocatura. []
Come nel Maffeo Barberini [] il poeta bloccato nellazione in fieri, la sua bocca sta per parlare, oppure ha

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cantavano assieme il nome del poeta e del pittore. 235 Nel ricambiare il dono, Marino
scrisse il sonetto Sopra il proprio Ritratto dellAutore di mano di Mchelangnolo da
Caravaggio (ABBA.ABBA.CDC.DCD), inserito nella sezione Ritratti della Galeria:
Vidi, Michel, la nobil tela, in cui
da la tua man veracemente espresso
vidi un altro me stesso, anzi me stesso,
quasi Giano novel, diviso in dui.
Io, che n virt dAmor vivo in altrui,
spero or mi fia (la tua merc) concesso,
in me non vivo, or ravivarmi in esso,
in me gi morto, immortalarmi in lui.
Piacemi assai che meraviglie puoi
formar s nve, Angel, non gi, ma Dio:
animar lombre, anzi di me far noi.
Che sor scarso a lodarti lo stil mio,
con due penne e due lingue i pregi tuoi
Scriverem, canteremo, ed egli, ed io. 236

Marino, giocando con artificio sul topos della pittura che tanto pi perfetta quanto pi
crea immagini che sembrano vive, mostra se stesso di fronte al ritratto che rende bino
luno. Il nuovo Giano, che linsieme dei due Marino, luno diventato due, lio trasformato
in noi, sente grazie allarte di Caravaggio che se luno soggetto alla morte, laltro del
ritratto vivo, se il primo mortale, il secondo immortale.
Nella sezione Favole della Galeria, Marino dedica un madrigale (abCcbdDaEE) alla
testa di Medusa (1601-1602; Firenze, Galleria degli Uffizi) dipinta da Caravaggio su uno
scudo di legno di pioppo (una rotella), donata dal card. Del Monte al Granduca di
Toscana Ferdinando I e conservata nella sua galleria:
Or quai nemici fian, che freddi marmi
non divengan repente
in mirando, Signor, nel vostro scudo
quel fier Gorgone, e crudo,
cui fanno orribilmente
volumi viperini
squallida pompa e spaventosa ai crini?
Ma che! Poco fra larmi
a voi fia duopo il formidabil mostro:
ch la vera Medusa il valor vostro. 237

A questa celebrazione mariniana della testa di Medusa rimanda esplicitamente Bellori


nella biografia del Caravaggio. 238 Inoltre al Marino, che nutr una grandissima
benevolenza e compiacimento delloperare del pittore, 239 si deve secondo il racconto di

appena finito e lo sguardo, puntando diretto al fruitore [], introduce una nota di inquietante introspettivit,
pi accentuata (sebbene nella stessa ottica) rispetto ai modelli di Tiziano e Raffaello (ivi, p. 454).
235 BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni cit., p. 218. Sul ritratto del Marino si veda a p. 218
la nota 2.
236 G. B. MARINO, La galeria, a cura di M. Pieri, to. I, Padova, Liviana, 1979, p. 199; e per le note: to. II, p.
140.
237 MARINO, La galeria, a cura di M. Pieri, op. cit., to. I, pp. 31-32; e per le note: to. II, p. 18.
238 BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni cit., p. 218.
239 Ibidem.

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Bellori, ma oggi i documenti provano che le cose andarono diversamente 240 lintroduzione del Caravaggio nella cerchia di Melchiorre Crescenzi. Di questo prelato
Caravaggio fece un ritratto, come pure di Virgilio Crescenzi, ma di tali opere non si hanno
pi notizie. E fu Virgilio Crescenzi, conservatore dellospedale di San Giacomo degli
Incurabili ed esecutore testamentario del card. Contarelli (Mathieu Cointrel, morto nel
1585), a volere il Caravaggio a concorrenza di Giuseppe DArpino nella realizzazione di
un programma pittorico della Cappella Contarelli nella chiesa di San Luigi de Francesi. Su
consiglio del Marino, amico del DArpino e del Caravaggio, al primo, che era
pratichissimo del fresco, furono assegnate le figure di sopra nel muro e al secondo li
quadri ad olio. 241
La seconda e ultima apparizione riservata al Marino nella biografia di Caravaggio si
trova durante il racconto della morte dellartista, quando il poeta suo amicissimo ne dolse
ed adorn il mortorio 242 con un madrigale (aAbCCbaBB), riportato per intero dal Bellori:
Fecer crudel congiura
Michele a danni tuoi Morte e Natura;
questa restar temea
da la tua mano in ogni imagin vinta,
chera da te creata, e non dipinta;
quella di sdegno ardea,
perch con larga usura,
quante la falce sua genti struggea,
tante il pennello tuo ne rifacea. 243

In questo componimento, inserito nella sezione Ritratti della Galeria, 244 il poeta
immagina e racconta una congiura ai danni di Caravaggio da parte della Natura, presa dal
timore di essere superata dallartista creatore di immagini vive pi che autore di immagini
dipinte, e da parte della Morte, presa dallo sdegno perch lartista ricreava con la pittura gli
uomini che essa distruggeva. 245
Anche in altre biografie attinge dalla Galeria mariniana. Infatti, a chiusura delle
pagine dedicate alleroe positivo, comprendenti sia la biografia di Annibale Carracci, sia la
descrizione della Galleria farnese, - un caso interessante e intrigante di poema pittorico sul

240

Ivi, p. 219, nota 1.


Ivi, pp. 218-219.
242 Ivi, p. 229.
243 Ibidem.
244 Cfr. MARINO, La galeria cit., to. I, p. 191; per le note: to. II, p. 134.
245 Cfr. SPEZZAFERRO. Caravaggio, in Lidea del Bello. Viaggio per Roma nel Seicento con Giovan Pietro
Bellori, to. II, p. 274 (ci si potrebbe domandare [] perch tra i molti possibili modi con cui il Bellori poteva
commentare la morte del Caravaggio, egli citi proprio i versi del Marino secondo cui il Merisi non dipinge ma
crea le immagini della natura. Infatti, al di l dei topoi tradizionali sullarte che supera la natura, rimane
evidente che per il Marino e dunque anche per il Bellori il Caravaggio non copia ma costruisce immagini
che non sono naturali bens sono il doppio della natura. Ed proprio questo suo modo doperare,
miracoloso e meraviglioso, che i suoi spregevoli seguaci naturalisti non riescono a riprendere sul serio.
Questi tentano solo, per pigrizia ignoranza e vilt, di imitarlo copiando gli aspetti pi transeunti e fantasmatici
della natura, i peggiori non perch ne ignorano come il Caravaggio lidea sottesa, bens perch si arrestano
solo alla prima esperienza delle cose della natura senza tentare, come invece faceva il Merisi, di verificarne
fattualmente e operativamente il senso: ci che permette di generalizzarli, di dipingere appunto il prototipo di
un genere, unopera dunque e non il mero prodotto di un lavoro manuale).
241

59

tema della guerra e della pace tra l celeste e l vulgare Amore -, 246 sia la lettera
allartista cofirmata dai parmegiani Sisto Badalocchi e Giovanni Lanfranchi, Bellori
preleva dalla sezione Ritratti della Galeria 247 e riproduce il madrigale In morte dAnnibale
Caracci (abCdCBdEe):
Chi die lesser al nulla,
ecco che n nulla sciolto.
Chi le tele anim, senzalma giace.
Al gran Pittor, che porse
spesso a i morti color senso vivace,
Morte ogni senso ogni color ha tolto:
ben tu sapresti or forse
farne un altro, Natura, eguale a quello,
savessi il suo pennello. 248

Ritornano, ancora una volta, la Morte e la Natura, ma non c pi, come nel caso
del madrigale in morte del Caravaggio, la loro vittoriosa congiura. Infatti, nel caso del
madrigale in morte di Annibale Carracci la Morte e la Natura sono disgiunte, e se la prima
ha tolto senso e color al pittore, la seconda invece appare superata e sconfitta dal
pennello di Annibale.
La Galeria mariniana, dunque, - come dimostrano anche altre biografie (Poussin,
Guido Reni) sul tavolo da lavoro di Bellori, il quale preleva alcuni componimenti e li
sistema allinterno del suo romanzo storico sullarte moderna o per tessere lelogio del
destinatario dellopera darte, come nel caso della Medusa destinata a Ferdinando I
Granduca di Toscana, o per segnalare il dolore di Marino per la morte di Caravaggio, o per
celebrare Annibale Carracci, il pittore che ha superato la natura, assieme al Marino.
Lammirazione per il Caravaggio da parte del Marino costrinse il Bellori a rivedere il
suo giudizio negativo sul pittore e a darne una formulazione pi articolata. Infatti, proprio
dopo lesibizione del madrigale mariniano in morte di Caravaggio, Bellori riconosce
allartista di aver comunque giovato alla pittura, sulla scena storica a cavallo tra la fine del
Cinquecento e linizio del Seicento, e di aver svolto una positiva funzione antimanierista.
Alla vaghezza del manierismo Caravaggio oppose la verit, al belletto e alla vanit del
colore le tinte rinvigorite:
Giov senza dubbio il Caravaggio alla pittura, venuto in tempo che, non essendo molto in uso il
naturale, si fingevano le figure di pratica e di maniera, e sodisfacevasi pi al senso della vaghezza
che della verit. Laonde costui, togliendo ogni belletto e vanit al colore, rinvigor le tinte e restitu
ad esse il sangue e lincarnazione, ricordando a pittori limitazione. 249

Ma proprio questa tavolozza del Caravaggio, fatta di tinte rinvigorite e di nero,


priva di cinabri (il rosso vermiglio), di azzurri, di turchino, a produrre, secondo Bellori,
anche un grave danno alla pittura:

246

Cfr. P. SABBATINO, La guerra tra l celeste e l vulgare amore. Il poema pittorico di Annibale Carracci e
lecfrasi di Bellori (1657, 1672), in Ecfrasi. Modelli ed esegesi fra Medioevo e Rinascimento, a cura di G.
Venturi e M. Farnetti, vol. 2, Roma, Bulzoni, 2004, pp. 477-511.
247 MARINO, La galeria cit., to. I, p. 191; per le note: to. II, p. 134.
248 BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni cit., p. 111. Cfr. MARINO, La galeria cit., to. I, p.
191; per le note: to. II, p. 134.
249 Ivi, p. 229.

60

Non si trova per che egli usasse cinabri n azzurri nelle sue figure; e se pure tal volta li avesse
adoperati, li ammorzava, dicendo cherano il veleno delle tinte; non dir dellaria turchina e chiara,
che egli non color mai nellistorie, anzi us sempre il campo e l fondo nero; e l nero nelle carni,
restringendo in poche parti la forza del lume. 250

In aggiunta, il precetto caravaggesco del pittore ubbidiente al modello 251 e


imitatore della natura 252 comporta la perdita di invenzione, decoro, disegno, e di ogni
altra scienza della pittura, cio di quelle componenti fondamentali del classicismo artistico,
che va da Raffaello ad Annibale Carracci, da Domenico Zampieri detto il Domenichino a
Poussin:
molte e le megliori parti gli mancavano, perch non erano in lui n invenzione n decoro n
disegno n scienza alcuna della pittura mentre tolto da gli occhi suoi il modello restavano vacui la
mano e l'ngegno. 253

La schiera dei caravaggeschi viene liquidata da Bellori in poche battute e con


laccusa di non avere studio e fatica, di disprezzare la bellezza, di non riconoscere
lauctoritas degli antichi e di Raffaello, di preferire le mezze figure alle istorie, di
privilegiare le cose vili, le sozzure e le deformit:
Molti nondimeno, invaghiti della sua maniera, labbracciavano volentieri, poich senzaltro studio e
fatica si facilitavano la via al copiare il naturale, seguitando li corpi vulgari e senza bellezza. Cos
sottoposta dal Caravaggio la maest dellarte, ciascuno si prese licenza, e ne segu il dispregio
delle cose belle, tolta ogni autorit allantico ed a Rafaelle, dove per la commodit de modelli e di
condurre una testa dal naturale, lasciando costoro luso dellistorie che sono proprie de pittori, si
diedero alle mezze figure, che avanti erano poco in uso. Allora cominci limitazione delle cose vili,
ricercandosi le sozzure e le deformit, come sogliono fare alcuni ansiosamente: se essi hanno a
dipingere unarmatura, eleggono la pi rugginosa, se un vaso, non lo fanno intiero, ma sboccato e
rotto. Sono gli abiti loro calze, brache e berrettoni, e cos nellimitare li corpi si fermano con tutto lo
studio sopra le rughe e i difetti della pelle e dintorni, formano le dita nodose, le membra alterate da
morbi. 254

Il privilegiare le cose vili, le sozzure e le deformit, che non si addicono al decoro di


un soggetto religioso, secondo Bellori, cost non poco al Caravaggio, al punto che alcuni
quadri furono tolti [] da gli altari. 255 il caso del primo quadro di San Matteo e langelo
(fatto per la cappella Contarelli nella Chiesa di San Luigi de Francesi):
avvenne cosa che pose in grandissimo disturbo e quasi fece disperare il Caravaggio in riguardo
della sua riputazione; poich, avendo egli terminato il quadro di mezzo di San Matteo e postolo su
250

Ibidem.
Ibidem.
252 Ivi, p. 230.
253 Ibidem.
254 Ibidem. Cfr. A. BREJON DE LAVERGNE, I seguaci di Caravaggio e le relative schede nel catalogo Lidea
del Bello. Viaggio per Roma nel Seicento con Giovan Pietro Bellori, cit., to. II, pp. 284-88. Su questa
rimozione, non condiviasa oggi dai critici, cfr. SPEZZAFERRO. Caravaggio, in Lidea del Bello. Viaggio per
Roma nel Seicento con Giovan Pietro Bellori, to. II, p. 273 (Sicuramente non fu [] rifiutata la prima
versione del San Matteo e langelo che in realt dovette essere [] solo un quadro provvisorio per laltare
anchesso provvisorio della cappella Contarelli: dipinto per ingraziarsi come in realt avvenne la
commissione dei laterali. La seconda [] versione definitiva fu infatti messa al posto della prima quando,
qualche tempo dopo linizio dellofficiatura della cappella, si decise di rifiutare la statua del Cobaert che da
molti anni in lavorazione una volta posta in opera sullaltare definitivo si rivel secondo la definizione del
Baglione una seccagine).
255 BELLORI, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni cit., p. 231.
251

61

laltare, fu tolto via da i preti con dire che quella figura non aveva decoro n aspetto di Santo,
stando a sedere con le gambe incavalcate e co piedi rozzamente esposti al popolo. 256

E ancora il caso della Morte della Madonna (1605-1606; Chiesa della Scala; ora
al Louvre) quadro rimosso per avervi troppo imitato una donna morta gonfia, di
SantAnna (1605-1606; altare della Basilica Vaticana; poi nella Villa Borghese) ritratti in
esso vilmente la Vergine con Gies fanciullo ignudo. 257
Lelenco delle cose vili, delle sozzure e delle deformit si allarga anche ad opere
non rimosse, alla Madonna dei pellegrini (1604-1606; Roma, Chiesa di SantAgostino):
la Madonna in piedi col fanciullo fra le braccia in atto di benedire: singinocchiano avanti due
pellegrini con le mani giunte, e l primo di loro un povero scalzo li piedi e le gambe, con la
mozzetta di cuoio e l bordone appoggiato alla spalla, ed accompagnato da una vecchia con la
cuffia in capo. 258
si offeriscono le sozzure de piedi del pellegrino; 259

alle Sette opere di Misericordia (1606-1607; Napoli, Pio Monte della Misericordia):
per la Chiesa della Misericordia dipinse le Sette Opere in un quadro lungo dieci palmi; vedesi la
testa di un vecchio che sporge fuori dalla ferrata della prigione suggendo il latte duna donna che a
lui si piega con la mammella ignuda. Fra laltre figure vi appariscono li piedi e le gambe di un morto
portato alla sepoltura; e dal lume della torcia di uno che sostenta il cadavero si spargono i raggi
sopra il sacerdote con la cotta bianca, e sillumina il colore, dando spirito al componimento. 260
vi uno che alzando il fiasco [n.d.r.: mascella dasino] beve con la bocca aperta, lasciandovi
cadere sconciamente il vino. 261

alla Cena di Emmaus (1602; Londra, National Gallery):


oltre le forme rustiche delli due apostoli e del Signore figurato giovine senza barba, vi assiste loste
con la cuffia in capo, e nella mensa vi un piatto duve, fichi, melegrane fuori di stagione. 262

A conti fatti, e tirando le somme, per Bellori il Caravaggio appare come quelle
erbe che ad un tempo producono medicamenti salutiferi e veleni perniciosissimi,
come vuole Marino. Ma alla stessa maniera delle erbe, Caravaggio se bene giov in
parte, fu nondimeno molto dannoso e mise sottosopra ogni ornamento e buon costume

256

Ivi, p. 219.
Ivi, p. 231.
258 Ivi, p. 221.
259 Ivi, p. 231.
260 Ivi, pp. 225-26.
261 Ivi, p. 231.
262 Ibidem. Inoltre Bellori pone a confronto la versione successiva della Cena di Emmaus (1606; Milano,
Brera) dipinta per il marchese Patrizi e quella anteriore dipinta per il card. Scipione Borghese e ora alla
National Gallery: color [] al marchese Patrizi la Cena in Emaus, nella quale vi Cristo in mezzo che
benedice il pane, ed uno de gli apostoli a sedere nel riconoscerlo apre le braccia, e laltro ferma le mani su la
mensa e lo riguarda con maraviglia: evvi dietro loste con la cuffia in capo ed una vecchia che porta le
vivande. Unaltra di queste invenzioni dipinse per lo cardinale Scipione Borghese, alquanto differente; la
prima pi tinta, e luna e laltra alla lode dellimitazione del colore naturale; se bene mancano nella parte del
decoro, degenerando spesso Michele nelle forme unili e volgari (p. 223)
257

62

della pittura, come vuole il classicista Bellori 263 Cos lautore del romanzo storico sulle arti
tra Cinquecento e Seicento assomma al suo giudizio negativo sul Caravaggio quello
positivo formulato da Marino e finisce con il vestire gli abiti dello scrittore salomonico, ma a
patto che il ritratto ossimorico di Caravaggio sia pur sempre il ritratto di un eroe negativo a
fronte del vero eroe, quello pienamente positivo, Annibale Carracci.

263

Ivi, p. 231.

63

STUDI
RINASCIMENTALI
Rivista internazionale di letteratura italiana
2 2004

PISA ROMA

ISTITUTI EDITORIALI E POLIGRAFICI INTERNAZIONALI


MMV

Direttori scientiWci / Editors


Marcello Ciccuto Pasquale Sabbatino
Comitato editoriale / Editorial Board
Gabriella Albanese (Pisa) Rossend Arqus (Barcellona)
Antonio Corsaro (Ferrara) Giuliana Crevatin (Pisa)
Enrico Fenzi (Genova) Filippo Grazzini (Viterbo)
Giorgio Masi (Pisa) Antonio Palermo (Napoli)
Michel Paoli (Amiens) Olga Pugliese (Toronto)
Eduardo Saccone (Cork) Leonardo Sebastio (Bari)
Ruggiero Stefanelli (Bari) Luigi Surdich (Genova)
Frdrique Verrier (Parigi)

*
Si invitano gli autori ad attenersi, nel predisporre i materiali da consegnare alla Redazione e alla Casa
editrice, alle norme speciWcate nel volume Fabrizio Serra, Regole editoriali, tipograWche & redazionali,
Pisa-Roma, Istituti Editoriali e PoligraWci Internazionali, 2004 (ordini a: iepi@iepi.it).
Il capitolo Norme redazionali, estratto dalle Regole, cit., consultabile Online alla pagina
Pubblicare con noi di www.libraweb.net

Pasquale Sabbatino
IL TRIONFO DELLA GALATEA DI RAFFAELLO
E IL LIBRO DEL CORTEGIANO DI CASTIGLIONE
il dibattito sullimitazione nel primo cinquecento

ittori e scrittori, artisti e letterati si confrontarono a lungo sullimitazione, largomento allordine del giorno tra Wne Quattrocento e primo Cinquecento. Intervennero, tra gli altri, Angelo Poliziano e Paolo Cortesi, Giovan Francesco Pico della
Mirandola e Pietro Bembo, RaVaello Sanzio e Baldassarre Castiglione, Erasmo da Rotterdam e Giulio Camillo detto il Delminio. 1
Sul piano storiograWco gli interventi di RaVaello e di Castiglione segnano una tappa
importante nel dibattito sullimitazione per la profonda diVerenza che si registra tra la
concezione estetica del primo, il quale sostiene che larte imitazione dellidea della bellezza, e la proposta del secondo, il quale aVerma che larte imitazione della natura e
della pluralit di modelli oVerti dalla stessa natura. Pu essere utile, nel tentativo di ricostruire questa particolare vicenda e le ragioni delle rispettive posizioni, partire dal Trionfo
della Galatea e dalla celebre lettera di RaVaello al Castiglione sullaVresco e sullimitazione, per giungere poi al Libro del Cortegiano, nel quale lo scrittore si autodeWnisce pittore di
verit e ci consegna il proprio credo estetico.
1. Il Trionfo della Galatea di Raffaello
e la scrittura dellarte nel Cinquecento
Nellambito della storia dellarte, durante il primo Cinquecento, si registra un evento
che dest linteresse generale e segn linizio della fortuna delle favole mitologiche, laVresco del Trionfo della Galatea (1511-1512) di RaVaello (Fig. 1). 2 Nella prima edizione della
raccolta Le vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a
tempi nostri (1550), Vasari non menziona la Galatea nella biograWa di RaVaello, pur elencando le altre opere eseguite nella Villa di Agostino Chigi alla Lungara (acquistata nel
1580 dal cardinale A. Farnese e chiamata la Farnesina). 3 Tuttavia ricorda la Galatea nella
biograWa del senese Baldassarre Peruzzi, larchitetto della Villa Farnesina dalla pianta ad
U che trasforma lesterno in scena teatrale i lavori erano stati avviati nel 1509 e il
pittore della decorazione della sala delle Colonne (tra il 1515 e il 1516), con Wnti colonnati
e sfondi di paesaggio: 4
molto pi gliene diede [nome e fama] il modello del palazzo dAgostin Chigi, condotto con quella
bella grazia che si vede, non murato, ma veramente nato, et adorno di fuori di terretta con storie di
man sua, fra le quali alcune ve ne sono molto belle. E similmente la sala in partimenti di colonne
Wgurate in prospettiva, le quali con istrafori mostrano quella esser maggiore. E quello che di stupenda maraviglia vi si vede una loggia sul giardino dipinta da Baldassarre, con le istorie di Medusa
quando ella converte gli uomini in sasso e quando Perseo le taglia la testa, con molte altre storie ne
1. Cfr. P. Sabbatino, La bellezza di Elena. Limitazione nella letteratura e nelle arti Wgurative del Rinascimento, Firenze, Olschki,
1997, pp. 13-59.
2. Cfr. Ch. Thoenes, Zu RaVaels Galatea, in Festschrift Otto von Simson zum 65. Geburtstag, Berlino, 1977, pp. 220-272; Idem,
Galatea: tentativi di avvicinamento, in RaVaello a Roma. Il convegno del 1983, Roma, Edizioni dellElefante, 1986, pp. 59-72; A.
Chastel, Amor sacro e profano nellarte e nel pensiero di RaVaello, ivi, pp. 3-10.
3. Anche Benvenuto Cellini nellautobiograWa, iniziata nel 1558 e terminata nel 1567, segnala genericamente le opere di
RaVaello nella Villa di Agostino Chigi, divenuta ormai una vera e propria scuola di pittura. Cfr. B. Cellini, Vita, a cura di E.
Camesasca, Milano, Rizzoli, 1985, p. 120 (In questo tempo io andavo quando a disegnare in Capella di Michelagniolo, e
quando alla casa di Agostino Chigi sanese, nella qual casa era molte opere bellissime di pittura di mano dello eccellentissimo
RaVaello da Urbino).
4. Cfr. R. De Fusco, Larchitettura del Cinquecento, Torino, utet, 1981, part. pp. 93-95, 166; La Villa Farnesina a Roma, a cura
di Ch. L. Frommel, Modena, Franco Cosimo Panini, 2003 (e relativa bibliograWa).

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pasquale sabbatino

peducci di quella volta, la quale uno ornamento di tutta lopera, tirato in prospettiva, et di
stucco coi colori contrafatti, che non pare colore, ma vivo e di rilevo. E pu veramente questo
credersi che il mirabile Tiziano, pittore onoratissimo et eccellentissimo, menando io a vedere tale
opera, non voleva credermi che fosse pittura; per il che fummo sforzati mutar veduta, onde rimase
maravigliato di tal cosa. Sono in questo luogo alcune cose fatte da Sebastian Veniziano della prima
maniera, e dal divino RaVaello dUrbino una Galatea rapita da gli di marini. 5

Nella biograWa di Sebastiano del Piombo, autore del Polifemo (Fig. 2 - Roma, Villa Farnesina, loggia di Galatea), Vasari assegna la precedenza cronologica al Trionfo della Galatea, 6
due aVreschi che si fondano
sulle stesse fonti, rappresentano un solo aneddoto mitologico e si completano a vicenda:
Aveva RaVaello fatto in questo
medesimo luogo una storia di
Galatea, e Sebastiano non stette
molto che fece un Polifemo in
fresco, allato a quella, nel quale
cerc davanzarsi pi che poteva, spronato dalla concorrenza
di Baldassarre Sanese e poi di
RaVaello. 7

Fig. 1. Roma, Farnesina. Raffaello, Trionfo della Galatea.

Nella seconda edizione delle


Vite (1568) Vasari sistema questi tasselli anche allinterno
della biograWa di RaVaello,
aggiungendo informazioni
sul committente, fornendo
ulteriori particolari sulla rappresentazione di Galatea
(nel mare sopra un carro tirato da due dolWni, a cui sono
intorno i Tritoni e molti Dei
marini), che correggono e
integrano quanto scritto nella precedente edizione (rapita da gli di marini), ed esprimendo un giudizio sullartista, che ha dipinto con dolcissima maniera:

Al quale [RaVaello] Agostino Chisi sanese, ricchissimo mercante e di tutti gluomini virtuosi amicissimo, fece non molto dopo allogazione duna cappella [nella chiesa di s. Maria della Pace], e ci
5. G. Vasari, Le vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a tempi nostri. Nelledizione per i tipi
di Lorenzo Torrentino. Firenze 1550, a cura di L. Bellosi, A. Rossi, presentazione di G. Previtali, ii, Torino, Einaudi, 1986, p. 685.
6. Sulla questione, ancora aperta, della cronologia dei due aVreschi cfr. Ch. Thoenes, Galatea: tentativi di avvicinamento,
cit., pp. 62-63 (nella letteratura critica troviamo pi pareri che argomenti. Normalmente, si presuppone che il Polifemo abbia
preceduto la Galatea. Sembra questa la soluzione pi logica: la storia, come Poliziano la racconta, si svolge da sinistra a destra,
cominciando nella prima campata della parete con lopera di Sebastiano [], per esser poi, dopo il Polifemo, sostituito da
RaVaello. [] Per quanto riguarda la Galatea, non manca una voce che d ad essa la precedenza: quella del Vasari [].
Aggiungo che lo Hirst, per ragioni stilistiche, pensa il Polifemo eseguito non prima dei primi mesi del 1512, il che sarebbe un
po pi tardi di quanto io ammetterei per la Galatea. Ma tutto ci non conclusivo e rimane pi probabile che fosse stato
RaVaello ad alterare il concetto di Sebastiano, sia come successore, sia anche secondo una proposta di Philipp Fehl come
concorrente, che oper pi o meno contemporaneamente []).
7. G. Vasari, Le vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a tempi nostri, cit., pp. 839-840.

il trionfo della galatea e il libro del cortegiano

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per avergli poco inanzi RaVaello dipinto in una loggia del suo palazzo, oggi detto i Chisii in Trastevere, con dolcissima maniera una Galatea nel mare sopra un carro tirato da due dolWni, a cui sono
intorno i Tritoni e molti Dei marini. 8

RaVaello Borghini travasa i materiali vasariani nel Riposo [] in cui della Pittura, e della
Scultura si favella, de pi illustri Pittori, e Scultori, e delle pi famose opere loro si fa mentione; e
le cose principali appartenenti a dette arti sinsegnano (Firenze, Giorgio Marescotti, 1584):
Aveva egli prima dipinto in una loggia ad Agostin Ghigi mercatante ricchissimo del suo palagio in
Trastevere una Galatea nel mare sopra un carro tirato da due delWni con tritoni, & altri dei marini
[]. 9

Loccasione della committenza, assegnata nellautunno


del 1511, fu laspirazione di
Agostino Chigi alle nozze con
la Wglia del marchese di Mantova Francesco II, lavvenente Margherita Gonzaga, dalla quale la proposta fu poi respinta nel corso del 1512. 10 A
questa aspirazione matrimoniale si collega anche il poema in cinque libelli del poeta erudito romano Egidio
Gallo, De Viridario Augustini
Chigii (Roma, 1511). Nel quinto e ultimo libello il poeta racconta larrivo di Venere a
Roma e la visita della villa di
Chigi, che diviene la villa di
Venere. 11
Giovan Battista Armenini,
riprendendo la notizia vasariana della Galatea rapita da
di marini nel trattato De
veri precetti della pittura (1586),
testimonia la fama raggiunta
dalla Galatea, unopera considerata ormai da tutti mirabile. 12

Fig. 2. Roma, Farnesina. Sebastiano del Piombo, Polifemo.

2. Polifemo e Galatea :
le fonti letterarie nel Rinascimento

Per quanto riguarda la vicenda mitologica di Galatea, la ninfa, Wglia di Nereo e Doride,
8. Per la ii ed. si cita da G. Vasari, Le vite de pi eccellenti pittori, scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, testo a cura
di R. Bettarini, commento secolare a cura di P. Barocchi, iv, Firenze, spes, 1976, p. 176.
9. R. Borghini, Il riposo. Saggio biobibliograWco e Indice analitico a cura di M. Rossi, Milano, Edizioni Labor, 1967, p. 389.
10. Cfr. Ch. Thoenes, Galatea: tentativi di avvicinamento, cit., p. 61 (da una lettera del novembre 1512 apprendiamo che nel
frattempo Agostino si era rassegnato).
11. Ivi, p. 60; La Villa Farnesina a Roma, a cura di Ch. L. Frommel, cit., pp. 19-20. Per il testo del poema cfr. M. QuinlanMcGrath, Aegidius Gallus, De viridario Augustini Chigii vera libellus. Introduction, latin text and english translation, Humanistica
Lovaniensa, 38, pp. 1-99.
12. Cfr. G. B. Armenini, De veri precetti della pittura, ed. a cura di M. Gorreri, Prefazione di E. Castelnuovo, Torino,
Einaudi, 1988, p. 208.

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pasquale sabbatino

secondo il racconto di Esiodo (Theogonia, 240-284), nel 700 a.C., ha chiome bianche e viso
simile al latte , c da segnalare tra le fonti classiche 13 il ditirambo del poeta greco Filosseno (Citera ca. 435-Efeso, ca. 380), il quale trasforma la orribile Wgura omerica del ciclope in
innamorato di Galatea, ma respinto capovolge la situazione, dando mandato ai delWni di
riferire alla ninfa la sua guarigione dallamore grazie alle Muse. Il ditirambo fu parodiato
da Aristofane nella commedia Pluto (rappresentata nel 408 a.C. e pervenutaci in una redazione successiva) e il capovolgimento della situazione fu raccolto nel 200 a.C. da Teocrito
nellxi degli Idilli, nel quale racconta con umorismo il canto di Dafni e Dameta sul tema di
Polifemo e Galatea. Nella gara gioiosa tra Dafni e Dameta, luno immagina di riferire a
Polifemo i segnali amorosi di Galatea, la quale invero si diverte nel prendersi gioco del
ciclope, e laltro d la propria voce a Polifemo, il quale mette in scena la Wnzione di non
accorgersi dei segnali damore, convinto come di ottenere in tal modo un risultato migliore.
Dameta e Dafni il bovaro in un sol luogo / condussero un giorno, o Arato, il loro armento; luno la
barba laveva / bionda, allaltro spuntava appena; presso una fonte stavano seduti / entrambi,
destate nel meriggio, e cantavano cosi. / Cominci Dafni per primo, perch per primo lanci la
sWda. / (Dafni) Scaglia mele Galatea verso il tuo gregge, / o Polifemo, e capraio ti chiama incapace
damare; / ma tu, crudele, non la guardi, e te ne stai seduto / suonando dolcemente la zampogna.
Ecco, ora colpisce la cagna / che ti segue, guardiana delle pecore; essa abbaia / rivolta verso il
mare, e la rispecchiano le belle onde, / mentre corre sulla riva che risuona dolcemente. / Bada che
non savventi contro le gambe della ragazza, / quando esce dal mare, e non le laceri la bella pelle.
/ Anche di laggi lei civetta con te; come la lanugine / secca che si stacca dal cardo, quando linaridisce la bella estate, / fugge chi lama e insegue chi non lama, / e nulla lascia dintentato; davvero allamore / spesso, o Polifemo, le cose non belle appaiono belle. / Dopo di lui cominci Dameta, e cantava cos. / (Dameta) Lho vista, s, per Pan, mentre colpiva il gregge, / e non sfuggita al
mio unico dolce occhio, col quale spero di vedere / Wno alla Wne; e che Telemo lindovino le
profezie di malaugurio / se le porti a casa, e le tenga in serbo per i Wgli suoi! / Ma io, per stuzzicarla
a mia volta, non la guardo, / e dico di avere unaltra donna; lei si fa gelosa / sentendo questo, o
Paian, e si strugge, e dal mare / scruta, furiosa, verso lantro e le greggi. / Ho pure Wschiato alla
cagna di abbaiarle contro; perch quando lamavo, / mugolava, il muso contro i suoi Wanchi. /
Forse, se mi vedr far questo di continuo, mander / un messaggero. Ma io la porta terr chiusa,
Wnch non giuri / di apprestare lei stessa per me su questisola un bel letto. / E certo non sono
neanche brutto, come dicono; / mi sono specchiato poco fa nel mare (era bonaccia), / e bella mi
appariva la barba, bella la mia unica pupilla, per quanto posso giudicare, e i denti, / nel riXesso del
mare, apparivano pi smaglianti del marmo di Paro. / Per evitare il malocchio, tre volte ho sputato
nel mio petto: / cos mi ha insegnato la vecchia Cotittari. / Avendo cos cantato, Dameta baci
Dafni; / e luno allaltro don la zampogna, e nebbe in dono un bellaulo. / Suonava laulo Dameta, suonava la zampogna Dafni il bovaro, / e subito si mettevano a saltare le giovenche sul morbido prato. / Nessuno fu vincitore, entrambi furono invitti. 14

Nelle Bucoliche, composte tra il 42 e il 39 a.C., Virgilio preleva da Teocrito i lamenti damore
del ciclope per Galatea e li trasferisce al pastore Coridone per il bellAlessi (Ecloga ii e iii,
37-40). 15
Lungo lUmanesimo e il Rinascimento circolarono ben due versioni sullamore di Polifemo per Galatea, quella di Ovidio e quella di Filostrato, come possibile ricavare dal
fortunatissimo repertorio di Vincenzo Cartari, Le imagini con la spositione de i dei de gli
antichi (Venezia, Marcolini, 1556), che ebbe numerose stampe tra Cinquecento e Seicento:
E bench siano state le Nereide molte, che Esiodo [Theog., 240-284] le conta cinquanta e le nomina
tutte, nondimeno dir di una solamente, che Galatea, la quale fu cos chiamata dalla bianchezza,
13. Cfr. la voce Galatea in Enciclopedia Virgiliana, ii, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1996, pp. 625-627 (G. Arrigoni); Enciclopedia Oraziana, i, ivi, 1996, pp. 745-747 (G. Mazzoli); Enciclopedia dellArte Antica, iii, ivi, 1960, pp. 754-756 (C. Caprino).
14. Si cita da Teocrito, Idilli e Epigrammi, introduzione, traduzione e note di B. M. Palumbo Stracca (testo greco a fronte),
Milano, Rizzoli, 2001, pp. 145-149.
15. Cfr. Virgilio, Opere, a cura di C. Carena, Torino, utet, 1985, p. 123, nota 6.

il trionfo della galatea e il libro del cortegiano

27

che rappresenta in lei forse la spuma dellacqua, o per meglio dire dal nome gala, che latte signiWca, onde Esiodo [Theog., 250] le fa avere le chiome bianche e la faccia simile al latte. Polifemo
innamorato di lei, vedendola laudare appresso di Ovidio [Met., xiii, 789], la chiama parimente pi
bianca de i bianchissimi ligustri. E Filostrato [ii, 18], in una tavola chei fa del Ciclope, mette Galatea andarsene per lo quieto mare sopra un carro tirato da delWni, li quali sono governati e retti da
alcune Wgliuole di Tritone, che stanno intorno alla bella ninfa, preste sempre a servirla, et ella,
alzando le belle braccia, stende alla dolce aura di ZeWro un porporeo panno per fare coperta al
carro et a s ombra, et ha le chiome sue non sparse al vento, ma che bagnate stanno stese parte per
la candida faccia e parte per i bianchi omeri. 16

La prima fonte, indicata dal Cartari, Ovidio, il quale nelle Metamorfosi (xiii, 740-899),
scritte fra il 3 e l8 circa d.C., crea la sfortunata e triangolare vicenda damore di Galatea
con il pastore siciliano Aci e la violenta reazione di Polifemo, accecato dalla gelosia. A
questa versione, che si era diVusa sotto linXusso del ditirambo di Filosseno di Citera, attingono Dante, Petrarca, Boccaccio e Luigi Pulci. Negli esametri dellEcloga iv, 76-79, Dante
allude alla violenza di Polifemo su Aci, Wno a rappresentare lorrore dello sbranamento:
Quis Polyphemon ait non horreat Alphesiboeus
assuetum rictus humano sanguine tingui,
tempore iam ex illo quando Galatea relicti
Acidis heu miseri discerpere viscera vidit?. 17

Nei Rerum Vulgarium Fragmenta (325, 31-34), Petrarca inserisce Polifemo tra le pi celebri
Wgure vinte da Amore, assieme a Giove, Apollo e Marte. Nel Triumphus Cupidinis ii, Petrarca passa rapidamente in rassegna una serie di amanti, in gran parte tratti dalle Metamorfosi ovidiane e solo in qualche caso dalle Heroides dello stesso autore, e racconta nel
giro di una terzina gli amori Wttizi e senza consistenza reale di Galatea e Aci:
Fra questi fabulosi e vani amori
vidi Aci e Galatea, che n grembo gli era,
e Poliphemo farne gran romori;
(Triumphus Cupidinis, ii, 169-171)

Boccaccio riprende Ovidio nella raccolta Genealogie deorum gentilium (vii, xvii) 18 e fornisce
una lettura allegorica della favola di Galatea e Aci. 19 Al racconto degli amori portati da
Polifemo a Galatea in rozza canzone e del suo dolersi per la privata luce Boccaccio fa
riferimento anche nella Comeda delle Ninfe Worentine (xxxviii, 41). 20 Inoltre Luigi Pulci nel
16. V. Cartari, Le imagini de i dei de gli antichi, a cura di G. Auzzas, F. Martignago, M. Pastore Stocchi, P. Rigo, Vicenza,
Neri Pozza, 1996, p. 216. Il testo esemplato sulledizione del 1587, nella quale si riconosciuto lo stadio pi avanzato,
ancorch non deWnitivo, della elaborazione attribuibile al Cartari (Nota al testo, ivi, p. 615).
17. Cfr. Dante, Opere minori, i, a cura di G. Brberi Squarotti, S. Cecchin, A. Jacomuzzi, M. G. Stassi, Torino, utet, 1983, p.
586 (Chi non avrebbe orrore di Polifemo, disse Alfesibeo, avvezzo a macchiarsi il grifo di sangue umano, gi da quel tempo
quando Galatea lo vide sbranare le visceri dellabbandonato Aci, ahi misero. A mala pena essa scamp, sarebbe forse valsa la
forza dellamore, quando la feroce rabbia schiumava di s grande ira?). Nella Wnzione pastorale, ambientata in Sicilia, Alfesibeo (si ipotizza il medico Fiduccio de Melotti) invita Titiro (Dante) a non lasciare i roridi campi del Peloro, un promontorio
nei pressi dello stretto di Messina, per andare nellantro di Polifemo, cio a non abbandonare Ravenna per Bologna.
18. G. Boccaccio, Tutte le opere, a cura di V. Branca, vii-viii, Milano, Arnoldo Mondadori, 1998, p. 744: Galathea ex
nynphis una Nerei Wlia fuit, ut paucis ostendit Ovidius in persona eius, dicens: At michi cui pater est Nereus, quam cerula
Doris Enixa est etc. Ex qua talis extat fabula: Acis pulcherrimus adolescens syculus a Galathea dilectus est, cum illam summe
diligeret Polyphemus Cyclops. Qui cum non diligeretur, Acimque die una Galathee vinctum cerneret, iratus illum saxo illisit
atque occidit, quem Galathea in Xuvium syculum sui nominis transformavit (Galatea, una tra le ninfe, fu Wglia di Nereo,
come mostra in pochi versi su di lei Ovidio scrivendo: Ma a me, che son Wglia di Nereo, che sono nata dalla cerula Dori ecc.
Di lei si racconta questa favola. Aci, bellissimo adolescente siciliano, fu amato da Galatea, che era grandemente amata dal
ciclope Polifemo. Ma questi non era amato da lei. Un giorno Polifemo vide Aci congiunto con Galatea; irato lo scaravent su
un sasso e lo uccise. Galatea lo trasform in un Wume siciliano che ebbe il suo nome).
19. Ivi, pp. 744-746: Cuius fabule allegoria potest esse talis. Galathea albedinis dea est, per quam albedinem undarum sese
frangentium intelligo. Acim autem amat, id est Xuvium suscipit, quia Xumina omnia in mare volvuntur (Lallegoria della
favola pu essere questa. Galatea dea della bianchezza e io intendo per essa la schiuma delle onde che si frangono. Ella ama
Aci, cio il Wume, perch tutti i Wumi vanno nel mare).
20.G. Boccaccio, Tutte le opere, a cura di V. Branca, ii, Filostrato, Teseida delle nozze di Emilia Comedia delle ninfe Worentine,
Milano, Mondadori, 1964, p. 809.

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pasquale sabbatino

Morgante ricorda Galatea che fece innamorare Polifemo (Cantare, xiv, 70, 6) e il dolersi
del ciclope perch Galatea in grembo Ati a lei sogna (Cantare, xvi, 36, 8). 21 Alla favola
ovidiana fa riferimento anche il poeta romano Egidio Gallo nel poema De viridario Augustini Chigii (l. iv), dove tra le Wgure del corteo di Venere appare Galatea in lacrime a causa
della morte di Aci:
Quam sequitur Galathea fero male pressa sub aestu
perpetuis Acim lachrimis quae plorat amantem,
quem sibi praelatum Poliphaemi dextra peremit
mutatumque suo in liquidum de nomine fontem [].22

La seconda fonte, indicata dal Cartari, il retore greco Filostrato, vissuto nel iii secolo
d.C., il quale nelle Imagines (ii, 18) illustra i soggetti di ben sessantaquattro quadri visti in
un portico a Napoli, durante il suo soggiorno. Nella voce dedicata al ciclope, invita il
destinatario (un fanciullo) a osservare un dipinto antico, senza lasciarsi distrarre dai numerosi ciclopi, ma soVermandosi sul pi feroce, Polifemo. Filostrato descrive laspetto
Wsico di Polifemo, che in alto, sul monte, e indirizza una pastorale canzone damore a
Galatea, che in basso, sul carro marino. Il Polifemo innamorato, allora, nelle Imagines di
Filostrato propositivo, mentre negli Idilli di Teocrito assume un atteggiamento Wttiziamente passivo:
ha un lungo sopracciglio sopra lunico occhio, con un amplissimo naso che gli pesa sul labbro, ed
divoratore di uomini, non altrimenti che i pi crudeli lioni. Ora per astiensi da cotal cibo, per non
parere un vorace e poco gentile, essendo preso damore per Galatea, che va scherzando per questo
mare, e chegli ha veduto dalla montagna; e tiensi la zampogna sotto lascella, canticchiando con
essa, e dirigendole una canzone pastorale, che dice chella candida ma sdegnosa, pi dolce di un
grappolo duva, e che tien in serbo per essa capretti ed orsacchini. Ci canta sotto un elce, dimenticando dove frattanto pascolino le sue pecore, e quante sieno, e quali ne sieno i campi. Egli qui
dipinto rozzo ed arcigno, che scuote la capigliatura rigida e folta al pari di una fronda di pino, mostrando gli aguzzi denti fuori delle voraci mascelle, e tutto irsuto il petto, il ventre, e sino alle estremit delle braccia e de piedi. E sebbene placido mostri lo sguardo, perch ama, pure ha impressa nel
volto la Werezza e linsidia, a simiglianza di una belva da forte laccio obbligata. Ella in questo mezzo
folleggia sulla queta marina; attaccando alle quadrighe i delWni, ad uno stesso giogo soggetti, e da
uguale istinto animati. Le Tritonie vergini, ancelle di Galatea, ne reggono le briglie, ovessi osassero
operare al contrario, e non curarsi del freno. Ella poi, da ZeWro secondata, innalza al disopra del capo
la porporina sua veste, s perch le valga di ombrello, come di vela al carro, e della quale uno splendor si diVonde sopra la di lei fronte e la testa, cui per non cede il grazioso color delle guance. La
chioma sua per non diventa giuoco di ZeWro, perch inzuppata s, che non pu moverla il vento.
Sul destro braccio inoltre si appoggia, curvando il gomito candidissimo, e le dita posando sulla delicatissima spalla; le vene sembrano ondeggiarle sulle cosce, scoperto ha il seno, n della propria
bellezza sono mancanti le parti nascoste. Ma la pianta del piede, e quella grazia che in essa termina
dipinta, o fanciullo, sul mare, radendone leggermente le onde, quasi reggesse il timone del cocchio.
Degni dammirazione son gli occhi, poi che sembrano distendersi quanto lampia marina. 23

A Filostrato attinge Poliziano nel poemetto epico-mitologico Stanze per la giostra (i, 70119). Tra i bassorilievi, che ornano la porta della reggia di Venere e sembrano scene viventi (i, 97, 2: s vivi intagli), gli ultimi due sono dedicati alla vicenda di Polifemo e Galatea.
Secondo lecfrasi di Poliziano, Polifemo ha chiome orribili e tempie aspre, una corona di
rami di quercia (in Filostrato la chioma di Polifemo ad essere paragonata a una fronda di
pino), il ciglio irsuto che va da un orecchio allaltro a mo di arco, naso largo, i denti
grandi come zanne e bianchi come la schiuma, gli omeri setosi, il petto grande, una zampogna con cento canne sotto il braccio, seduto su un sasso sotto un acero (in Filostrato
21. Si cita da L. Pulci, Morgante e opere minori, a cura di A. Greco, i, Torino, utet, 1977, risp. p. 450 e p. 503.
22. M. Quinlan-McGrath, Aegidius Gallus, De viridario Augustini Chigii vera libellus. Introduction, latin text and english translation, cit., p. 59.
23. Si cita da Le Opere dei due Filostrati, volgarizzate da V. Lancetti, ii, Milano, TipograWa di Paolo Andrea Molina, 1831, pp.
520-521.

il trionfo della galatea e il libro del cortegiano

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sotto un elce), tra i piedi un cane. Il ciclope guarda sotto, verso il mare, e canta muovendo
le lanose guance. Egli celebra la bellezza di Galatea, bianca pi che il latte secondo
letimologia (gr. Galteia, da gla latte: nata dalla spuma lattea del mare), e superba pi
di una vitella, per lei ha molte ghirlande, una cerva e un orsetto che gioca col cane. Galatea la vergine passa sul carro, tiene le briglie di due delWni, accompagnata dal corteo
lascivo delle sue fedeli sorelle, le altre Nereidi, e degli animali marini, e inWne si prende
gioco del canto damore del ciclope:
Gli omer setosi a Polifemo ingombrano
lorribil chiome e nel gran petto cascono,
e fresche ghiande laspre tempie adombrano:
dintorno a lui le sue pecore pascono,
n a costui dal cor gi mai disgombrano
le dolce acerbe cur che damor nascono,
anzi, tutto di pianto e dolor macero,
siede in un freddo sasso a pie dun acero.
Dalluno allaltro orecchio un arco face
il ciglio irsuto lungo ben sei spanne;
largo sotto la fronte il naso giace,
paion di schiuma biancheggiar le zanne;
tra piedi ha l cane, e sotto il braccio tace
una zampogna ben di cento canne:
lui guata il mar che ondeggia, e alpestre note
per canti, e muova le lanose gote,
e dica chella bianca pi che il latte,
ma pi superba assai chuna vitella,
e che molte ghirlande gli ha gi fatte,
e serbali una cervia molto bella,
un orsacchin che gi col can combatte;
e che per lei si macera e si sfragella,
e che ha gran voglia di saper notare
per andare a trovarla insin nel mare.
Due formosi delWni un carro tirono:
sovresso Galatea che l fren corregge,
e quei, notando parimente, spirono;
ruotasi attorno pi lasciva gregge:
qual le salse onde sputa, e quai saggirono,
qual par che per amor giuochi e vanegge;
la bella ninfa colle suore Wde
di s rozo cantor vezzosa ride.
(Stanze per la giostra, i, 115-118) 24

Questa versione del mito di Polifemo e Galatea in buona parte adattabile alla situazione
personale di Chigi durante il corteggiamento di Margherita Gonzaga, con linevitabile
ritocco nellatteggiamento di Galatea che nelle Stanze per la giostra vezzosamente ride di
s rozo cantor e nellaVresco di RaVaello appare Wnalmente disposta allascolto. Cos la
vicenda mitologica di Polifemo e Galatea diviene archetipo della vicenda Agostino Chigi
Margherita Gonzaga e la versione di Poliziano viene assunta, con qualche variante,
come testo di riferimento per il progetto del Polifemo di Sebastiano del Piombo e della
Galatea di RaVaello nella reggia di Venere del banchiere. 25
Gi durante il Cinquecento, nel Dialogo della pittura intitolato lAretino (1557),26 Ludovico
24. Si cita da A. Poliziano, Stanze. Fabula di Orfeo, a cura di S. Carrai, Milano, Mursia, 1988, p. 106.
25. La Villa Farnesina a Roma, a cura di Ch. L. Frommel, cit., p. 94.
26.Cfr. Trattati darte del Cinquecento fra Manierismo e Controriforma, a cura di P. Barocchi, i, Bari, Laterza, 1960, p. 192.

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pasquale sabbatino

Dolce informa che linvenzione di RaVaello contende con la bella poesia di Poliziano, in
una gara di creativit che il pittore intraprende con il poeta. Il confronto, proposto da Thoenes, tra la Galatea di RaVaello e il Polifemo di Sebastiano del Piombo, 27 dimostra latteggiamento agonistico del primo rispetto al Poliziano e latteggiamento fedele del secondo:
ovvia la premura di Sebastiano di darci lillustrazione pi meticolosa del testo di Poliziano: letteralmente si vedono raYgurati gli omer setosi del ciclope, le sue orribil chiome, le fresche
ghiande, che laspre tempie adombrono, il sasso a pi dun acero, sul quale siede; tra i piedi ha
il cane, e sotto braccio tace una zampogna. RaVaello, invece, non solo si permette di arricchire la
descrizione del poeta con particolari come quello della carrozza a conchiglia, non nominata n da
Poliziano, n da uno dei suoi predecessori classici; ma inventa pure cose nuove Wno ad arrivare a
una favola completamente diversa. Infatti, da Poliziano non sentiamo di altre persone che di Galatea e delle sue ninfe le suore Wde come il poeta le chiama che scherzano e giocherellano fra di
loro: qual le salse onde sputa, quali sagirono, qual par che per amor giuochi e vanegge; nientaltro, e specialmente nessun uomo, nessun mostro marino, nessun amorino e nessuno degli episodi
erotici che RaVaello ci mostra. 28

RaVaello, dunque, riscrive Wgurativamente i versi del Poliziano, apportando qualche variante e aggiungendo alcuni elementi, Wno a creare una nuova invenzione. In particolare
trasforma il carro in conchiglia, come nella Nascita di Venere di Botticelli, con ruote simili
alle ruote motrici di un mulino, 29 e arricchisce la scena di personaggi. Infatti dal classico
repertorio iconograWco di Venere preleva i tre amorini con arco e freccia in volo nel cielo
e Cupido con molte munizioni in alto a sinistra dietro la nuvola. In basso, ancora a sinistra, colloca il suonatore di conchiglia ritorta rivolto verso lesterno e il suo cavallo bianco-bluastro, la coppia del Tritone muscoloso che tende verso il mare e della Nereide con
il drappo giallo che si difende dallabbraccio. A destra un altro suonatore, rivolto verso
lesterno, e il centauro marino con una Nereide che si aggrappa al suo petto. Al centro
Galatea nellatto di reggere le redini tese dei due delWni, che spingono per andare al largo,
e di tenere fermo il tiro, con lausilio di un amorino alato che si aggrappa con la mano
destra a una pinna del delWno e con lindice della sinistra alla redine. Galatea appare rilassata e gioiosa, con lo sguardo verso lalto, accarezzata dal vento marino che soYa da
destra verso sinistra e innalza la sua veste rosso sangue e i suoi lunghi capelli sciolti Wn
sopra le spalle, scoprendo lorecchio sinistro perch possa ascoltare meglio il canto damore di Polifemo. 30 In tal modo la vergine Galatea esposta alle frecce degli amorini, cos
come Margherita Gonzaga alle frecce di Agostino Chigi.
A Wne Cinquecento, dallaltra parte del Tevere, nel Palazzo Farnese, Annibale Carracci
aVresca la vicenda di Polifemo e Galatea in due quadri, luno di fronte allaltro, nelle teste
della Galleria. Nelle Vite de pittori, scultori e architetti moderni (1672) Giovan Pietro Bellori
oVre una preziosa guida alla lettura del primo quadro Polifemo e Galatea (Fig. 3), per il quale
Annibale Carracci si ispira sostanzialmente alle Imagines di Filostrato, con la Wgura di Polifemo che canta gli aVanni damore e la Wgura di Galatea che gode nellascolto di quel canto
(cos in RaVaello, invece in Poliziano Galatea di s rozo cantor vezzosa ride). In particolare Galatea seduta (in RaVaello in piedi) su una conchiglia (cos in RaVaello, carro in
Filostrato e Poliziano) tirata da delWni (quattro in Filostrato, due in Poliziano e RaVaello), le
cui redini sono rette da Ninfe (cos in Filostrato, invece in Poliziano e RaVaello le redini
sono rette dalla stessa Galatea), mentre ZeWro innalza la sua veste purpurea sopra il capo
(cos in Filostrato, invece Poliziano tace sulla veste e RaVaello con la veste in parte avvolge
il corpo) e la chioma bagnata (in RaVaello i capelli sono sciolti e sollevati dal vento):
27. Cfr. M. Cal, La pittura del Cinquecento, 1, Torino, utet, 2000, p. 132 (nella Wgura di Polifemo il giovane Sebastiano del
Piombo, gi michelangiolesco, non ancora del tutto distaccato dalla sua formazione giorgionesca, che lo portava a
meditare sugli eVetti di luce e di colore, nel contrasto fra laccendersi di bagliori sul fondo e le macchie scure dellalbero alla
cui ombra siede Polifemo); La Villa Farnesina a Roma, a cura di Ch. L. Frommel, cit., pp. 93-99.
28.Ch. Thoenes, Galatea: tentativi di avvicinamento, cit., p. 63.
29.La Villa Farnesina a Roma, a cura di Ch. L. Frommel, cit., p. 95.
30. Ivi, p. 96.

il trionfo della galatea e il libro del cortegiano

31

Fig. 3. Roma, Galleria Farnese. Annibale Carracci, Polifemo e Galatea.


Sentono aVetti damore i pi ferini petti: ecco il crudo Polifemo Wgliuolo di Nettuno il maggiore de
Ciclopi siede sopra uno scoglio del mare siciliano, fatto amante di Galatea; e quivi disacerba i suoi
aVanni, rauco cantando al suono di pastorali canne. In questa Wgura la mente di Annibale si ingrand

32

pasquale sabbatino

con Omero, ed espresse quanto la poesia Wnge della grandezza del gigante; anzi pu dirsi che ingrandisse larte del disegno in una maniera la pi terribile, avendo compreso in brevi linee la vastit
delle membra. Tiene Polifemo con ambe le mani sospesa sotto le labbra la dispari sampogna, e nel
piegarsi col braccio sinistro sopra il sasso, espone il petto e l seno, slungando la destra coscia col
piede a terra, ed incavalcando laltra gamba su ladunco bastone; poich il gigante impiegando le
mani al suono, ritiene appresso il pastorale tronco. In tanto Galatea siede in una conca tirata da
delWni, gode di udirlo ed appressandosi allo scoglio si piega e si appoggia col destro braccio sopra il
collo duna Ninfa che frena un delWno. Questa immerge le coscie squamose nellacque ed asconde
mezzo il petto e l seno dietro Galatea, la quale seminuda allo spirar dellaure con la sinistra ritiene
la purpurea zona gonWa in alto sopra il capo; e dal Wanco appresso si vede il volto e quasi una poppa
dunaltra Ninfa, la quale solleva la fronte verso Polifemo, esprimendo il piacere del canto.31

Nel secondo quadro Lo sdegno di Polifemo (Fig. 4) Annibale Carracci si ispira alle Metamorfosi di Ovidio, con la raYgurazione dellimpeto di Polifemo che lancia uno scoglio contro
Aci, mentre scappa assieme a Galatea:
Lamore di Polifemo agitato dallo sdegno saccende in furore; poich vide nel seno di Galatea Aci
suo rivale. Volgesi il formidabil gigante e lancia uno scoglio contro il giovinetto, e ben furioso
latto: appunta un piede sopra un sasso, vibrando lo scoglio indietro per fulminarlo avanti con
maggior forza. Lungi il lido linfelice fanciullo gi volge le spalle in fuga, si torce e si ripara con una
mano avanti, e riguardando Polifemo alza in proWlo il volto; ma in vano procura sfuggire linevitabile percossa, pendendo dal braccio il manto avvolto su luno e laltro Wanco a mezze coscie, agitato dal vento. Pi lungi Galatea spaventata declina al lido, ma il suo bel corpo oltre lessere ombreggiato dallo scoglio, viene interrotto alla vista dal corpo di Aci, che sincontra e soprasta al lume. E
ben si riconosce chella corre in fuga al volto ed al braccio disteso avanti; n del tutto appariscono
le gambe, abbassandosi al lido per sommergersi in seno alla madre Doride. Limpeto di Polifemo
viene animato con lo stile il pi grande e l veemente, e se ne forma latto terribile; ma oltre la gran
maniera Annibale ci lasci lessempio del moto della forza descritto da Leonardo da Vinci e pi
volte repetito nel suo trattato della pittura, discorrendo dellapparecchio della forza che vuol generarare gran percussione: Quando luomo si dispone alla creazione del moto con la forza, si piega
e si torce quanto pu nel moto contrario a quello dove vuole generare la percussione, e quivi si
apparecchia nella forza che a lui possibile. E nel capitolo del movimento: Se uno debbe gittar
dardi o sassi, avendo volti li piedi allaspetto, quando si torce e si piega e si rimuove da quello in
contrario sito, dove esso apparecchia la disposizione della poenza, esso ritorna con velocit e commodit al sito dove esso lascia uscire il peso dalle mani. Sich Polifemo nel torcersi e piegarsi
indietro con le braccia e col piede avanti, acquista forza e si prepara; la gamba destra posa e si
oppone alla gravit del peso, la sinistra avanti si oppone alle braccia e si piega nel ginocchio; e
questo fa per librarsi sopra il piede che posa in terra, senza il qual piegamento non potrebbe usar la
forza, n tirare, come il medesimo Leonardo va insegnando.32

Con Annibale Carracci, dunque, siamo di fronte a un caso singolare e interessante di


addizione delle due fonti, Filostrato e Ovidio, in due quadri che vanno visti in successione narrativa. Infatti, secondo la lettura allegorica proposta da Bellori, con il primo quadro (Polifemo e Galatea) Annibale Carracci dimostra la potenza dellamore, che assoggetta non solo i petti casti e forti, 33 ma anche quelli ferini, come nel caso del crudo
Polifemo, 34 e con il secondo quadro (Lo sdegno di Polifemo) lartista mostra quanto pu il
furore della gelosia in un petto ferino. Questi due quadri della Galleria Farnese sono
due sequenze del poema pittorico di Annibale Carracci, il quale narra la guerra e la pace
tra lamore terreno e lamore celeste 35 attraverso Wgure e vicende mitologiche che la
cultura umanistica latina e volgare fa circolare largamente, mediante riproposte di classi31. G. P. Bellori, Le vite de pittori, scultori e architetti moderni, a cura di E. Borea, Introduzione di G. Previtali, Torino,
Einaudi, 1976, p. 70.
32. Ivi, pp. 71-72.
33. Ivi, p. 76.
34. Ivi, p. 70.
35. Cfr. P. Sabbatino, La guerra e la pace tra l celeste e l vulgare Amore. Il poema pittorico di Annibale Carracci e lecfrasi di
Bellori (1657, 1672), in Ecfrasi. Modelli ed esegesi fra Medioevo e Rinascimento, a cura di G. Venturi, M. Farnetti, Roma, Bulzoni,
2004.

il trionfo della galatea e il libro del cortegiano

33

ci e repertori di immagini. Laddizione delle fonti letterarie permette allartista di costruire con due testi letterari, diversi e distanti, due sequenze unite e progressive del nuovo
testo pittorico, il quale rimanda per alcuni particolari della Wgura di Galatea allaVresco
di RaVaello dallaltra parte del Tevere. Lintreccio tra letteratura e arti, scrittura e pittura
diventa sempre pi stretto e forte, fonte di ricchezza per letterati e artisti, scrittori e
pittori.
3. La lettera di Raffaello e limitazione dellIdea
Il Castiglione, entusiasta per laVresco del Trionfo della Galatea, che nel corso dei secoli
stato variamente interpretato e rimane ancora oggi un quadro non intellegibile, 36
invi allartista una lettera di elogio non pervenuta sino a noi. Il trentenne RaVaello scrisse in risposta il biglietto Al conte, accompagnato da disegni su alcune invenzioni proposte
dallo stesso Castiglione probabilmente per la Stanza dellIncendio o forse per la volta
della Stanza dEliodoro:
Signor conte. Ho fatto dissegni in pi maniere sopra linventione di V. S. e sadisfaccio a tutti, se
tutti non mi sono adulatori; ma non satisfaccio al mio giudicio, perch temo di non satisfare al
vostro. Ve gli mando. V. S. faccia eletta dalcuno, se alcuno sar da lei stimato degno.37

La missiva senza data, ma pu essere circoscritta tra laprile e il maggio del 1514 per i
riferimenti alla nomina di architetto capo (magister operis) di San Pietro, insieme a fra
Giocondo. Tale nomina, risalente al primo aprile 1514, dopo la morte di Bramante (11
marzo), fu sancita pi tardi da un breve di Leone X, datato 1 agosto 1514:
Nostro Signore con lonorarmi mha messo un gran peso sopra le spalle. Questo la cura della
fabrica di San Pietro. Spero bene di non cadervici sotto, e tanto pi quanto il modello chio nho
fatto piace a Sua Santit et lodato da molti belli ingegni. Ma io mi levo col pensiero pi alto.
Vorrei trovar le belle forme de gli ediWci antichi, n so se il volo sar dIcaro. Me ne porge una gran
luce Vitruvio, ma non tanto che basti. 38

Il modello di questo primo progetto per la basilica vaticana di San Pietro fu realizzato poi
dallintagliatore Giovanni Barile. Linteresse di RaVaello per il De architectura di Pollione
Vitruvio, un testo capitale per il classicismo rinascimentale, cresce sempre pi in questa
36. Ch. Thoenes, Galatea: tentativi di avvicinamento, cit., p. 72. Tra le possibili letture dellopera, in buona parte passate
in rassegna da Thoenes (pp. 62 ss.), A. Chastel, Amor sacro e profano nellarte e nel pensiero di RaVaello, cit., p. 7, privilegia
con argomentazioni interessanti quella della celebrazione dellamore profano, anzi dellamor chigianus, fatta nel palazzo
di Venere (la villa Chigi) e nella Roma sensualmente paganeggiante del Rinascimento: John Shearman ha ammirevolmente dimostrato come la Farnesina, la villa di Agostino Chigi, sia interamente concepita come il palazzo damore
descritto da Apuleio []. Non si pu, a questo punto, stupire di trovarvi le due celebrazioni pi inventive dellamor
profano: la Galatea e la Loggia di Psiche. Due celebrazioni sullo sfondo di modelli antichi della nudit, dellallegria e della
vitalit profane. Prima: la Galatea. Nel gaio tumulto degli abitanti delle acque, il cerchio dellamor profano, ferinus et
vulgaris, si richiude su se stesso. Ma se Galatea partecipa a questo movimento vorticoso grazie al suo equipaggio, ella
stessa compie una specie di torsione che lascia perplessi. Non soltanto ignora il Polifemo preparato a sinistra da Sebastiano del Piombo, ma non guarda neppure verso dove la trascina il carro dei delWni; essa guarda altrove, excelsius. [] Il
moto espressivo basterebbe a contraddire il senso della composizione o, per lo meno, a infondervi la nota della conversio
in altum? Chiedo il permesso di insistere un istante su questo piccolo problema. gi stato osservato, credo, che lo
sguardo di Galatea sembra appuntarsi sullamorino che, nascosto da un cuscino di nuvole nellangolo superiore a sinistra, tiene un fascio di frecce. I suoi tre fratelli volano minacciosi, lui se ne sta tranquillo. tentante pensare che, in
questa composizione inusuale, in cui la ninfa ha il ruolo di Venere, il pittore abbia voluto scivolare nellillustrazione
dellomnia vincit amor della favola, come un sussulto, una resistenza che prepara la conversio allamore superiore. Forse.
Ma non credo. Si pu osservare che il fascio di frecce, emblema piuttosto corrente della concordia, faceva parte delle
imprese di Agostino Chigi. In un gesto di adulazione immensa ma comprensibile verso il padrone di casa, [] la ninfa
non fa altro, probabilmente, che rivolgersi allamor chigianus. Questa interpretazione mi sembra accordarsi con lo straordinario carattere pagano della villa. Secondo Chastel solo nella cappella Chigi si trova lascesi dellanima verso lamore divino (ivi, p. 8).
37. Raffaello, Gli scritti. Lettere, Wrme, sonetti, saggi tecnici e teorici, a cura di E. Camesasca, con la collaborazione di G. M.
Piazza, Milano, Rizzoli, 1994, p. 166. Cfr. inoltre Scritti darte del Cinquecento, a cura di P. Barocchi, ii, Milano-Napoli, Ricciardi, 1973, pp. 1529-1531; F. P. Di Teodoro, RaVaello, Baldassar Castiglione e la Lettera a Leone X, Presentazione di M. Dalai
Emiliani, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1994, pp. 217-218.
38. Ivi, p. 166.

34

pasquale sabbatino
fase, anche per la sua frequentazione di fra Giocondo, gi
editore del Vitruvio latino
(1511). 39 Inoltre RaVaello, sin
dallagosto del 1514, pu Wnalmente disporre di un volgarizzamento di Vitruvio, che
egli stesso aveva commissionato al grecista Fabio Calvo, 40
e in margine al manoscritto
annota di proprio pugno alcune postille. 41
La lettera Al conte, pubblicata lungo il Cinquecento
nelle raccolte curate da Ludovico Dolce, 42 che lattribu a
RaVaello, e da Bernardino
Pino, 43 e a Wne Seicento da
Giovan Pietro Bellori, 44 che
ne conferma la paternit, 45
allude chiaramente al problema dellimitazione, un nodo
centrale nella cultura rinascimentale:

Della Galatea mi terrei un gran


maestro se vi fossero la met
delle tante cose che Vostra Signoria mi scrive. Ma nelle sue
parole riconosco lamore che mi
Fig. 4. Roma, Galleria Farnese. Annibale Carracci, Lo sdegno
porta, e le dico che per dipingedi Polifemo.
re una bella mi bisogneria veder
pi belle, con questa condizione, che Vostra Signoria si trovasse meco a far scelta del meglio. Ma,
39. Sulla fortuna di Vitruvio nel Rinascimento cfr. P. N. Pagliara, Vitruvio da testo a canone, in Memoria dellantico nellarte
italiana, a cura di S. Settis, iii, Dalla tradizione allarcheologia, Torino, Einaudi, 1986, pp. 3-85.
40.Cfr. la lettera a Fabio Calvo (15 agosto 1514) in Raffaello, Gli scritti, cit., p. 202: ho recieuto el Vetruvio vulgare
per parte vostra che me ha dato el vostro Lodovico vicientino schritto de bellissima lectera, e ve ne rengrazio de core.
A consegnare il ms. lattuale cod. it. 37 della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco fu leditore Lodovico degli
Arrighi.
41. La traduzione di F. Calvo del De architectura con le postille di RaVaello edita a cura di V. Fontana, P. Morachiello in
Vitruvio e RaVaello, Roma, OYcina, 1975.
42. L. Dolce, Lettere di diversi eccellentiss. huomini, Venezia, Gabriel Giolito De Ferrari, 1554, pp. 227-228. Cfr. Le carte
messaggiere. Retorica e modelli di comunicazione epistolare: per un indice dei libri di lettere del Cinquecento, a cura di A. Quondam,
Roma, Bulzoni, 1981, p. 281.
43. B. Pino, Della nuova scielta di lettere di diversi nobilissimi huomini, et eccell.mi ingegni, scritte in diverse materie, fatta da tutti
i libri sinhora stampati, ii, Venezia, 1582, pp. 443-444. Cfr. Le carte messaggiere. Retorica e modelli di comunicazione epistolare: per
un indice dei libri di lettere del Cinquecento, a cura di A. Quondam, cit., p. 284.
44.G. P. Bellori, Descrizzione delle imagini dipinte da Rafaelle dUrbino nelle camere del Palazzo Apostolico Vaticano, Roma,
1695 (rist. anast. 1968), p. 100.
45. Ibidem ( qui ne riportiamo una lettera da Rafaelle medesimo scritta al suo amico il conte Baldassar Castiglione,
che apportar splendore alle cose narrate, e servir di lustro insieme allo stile e spirito grazioso della sua penna).
Sullautenticit della lettera e sulle ipotesi di attribuzione a Pietro Aretino cfr. E. Camesasca in Raffaello, Gli scritti
cit., p. 154 (esclude con fermezza che la missiva databile nel 1514 sia dellAretino, il quale in quellanno non si
trovava ancora a Roma, dove giunse soltanto nel 1516 o nel 1517) ; Ch. Thoenes, Galatea : tentativi di avvicinamento, cit.,
p. 66 (ritiene la lettera probabilmente un falso, o [] una Wnzione della cerchia Aretino/Dolce). Sullattribuzione a
Castiglione, il quale metterebbe in scena una Wction indirizzata a s medesimo, cfr. J. Shearman, Castigliones Portrait
of Raphael, Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, xxxviii, 1994, pp. 69-97. opportuno sottolineare che nel 1878 Jacob Burckhardt si schier a favore dellautenticit. Cfr. J. Burckhardt, Larte italiana del Rinascimento. Architettura, Venezia, Marsilio, 1991, p. 42; E. Battisti, Rinascimento e Barocco, Torino, Einaudi, 1960, p. 181, ritiene
che la lettera sia sostanzialmente autentica e che al primo editore, il Dolce, forse si deve la veste letteraria in cui ci
pervenuta .

il trionfo della galatea e il libro del cortegiano

35

essendo carestia e de buoni giudici e di belle donne, io mi servo di certa iddea che mi viene nella
mente. Se questa ha in se alcuna eccellenza darte io non so, ben maVatico di averla. 46

Pur non contenendo alcun rimando patente alla dottrina platonica, la lettera di RaVaello
ne sostanzialmente impregnata. 47 Limitazione della natura insuYciente per dipingere
la bellezza. Infatti limitazione eclettica e selettiva attuata da Zeusi per dipingere la leggendaria bellezza di Elena non praticabile nel presente, come spiega RaVaello con garbata ironia, 48 sia per la mancanza di belle donne, sia per la mancanza di buoni giudici
capaci di valutare le singole bellezze. Per questo RaVaello assegna un ruolo determinante
allidea della bellezza che gli viene nella mente e alla capacit dellartista di dare forma
a quella idea della bellezza, senza ricorrere allimitazione della natura e senza lasciarsi
soggiogare dagli stimoli che vengono dallesterno.
A inizio Novecento Panofsky mostr grande attenzione per questo passo della lettera,
rilevando che RaVaello aveva riconosciuto di poter dedurre soltanto da una intima rappresentazione limmagine della perfetta femminilit, indipendentemente dal singolo oggetto esteriore. 49 Con RaVaello, dunque, per la prima volta lidea della bellezza appare
come principio di indipendenza dellarte dallesperienza esterna. 50 Tuttavia, secondo
Panofsky, nellaccogliere il concetto dIdea, RaVaello non aVronta due problemi fondamentali, quello dellorigine dellidea della bellezza e quello della validit e verit della
stessa idea:
a questa intima rappresentazione egli non attribuiva n unorigine metaWsica n un valore normativo, tanto da poterla deWnire soltanto come una certa Idea. Essa gli si presenta in qualche
modo alla mente, ma lartista non sa n vuol sapere quale sia poi la sua validit e la sua verit. A chi
gli avesse chiesto donde gli venisse, egli non avrebbe contestato che la somma delle esperienze
sensibili si fosse in qualche modo trasformata in intima immagine spirituale (cos allincirca il Drer
ha parlato dun raccolto, segreto tesoro del cuore, che si forma soltanto l dove lartista, dopo
molte elaborazioni, ha preso pieno possesso di se, e dalla cui pienezza pu foggiare nel proprio
cuore una nuova creatura nella Wgura duna cosa) ma anche qui la sua risposta ultima sarebbe
stata io non so. 51

Negli anni cinquanta Eugenio Battisti 52 lega la lettera di RaVaello allepistola De imitatione
di Giovanfrancesco Pico. Secondo Battisti lidea della bellezza, che in RaVaello non
ancora unimmagine interna, ma un criterio quasi istintivo di scelta nella ricerca del
bello da cogliere in una pluralit di corpi e da imitare, si muove parallelamente allidea del
ben dire, che in Giovanfrancesco Pico una propensione innata, listinto che illumina, un
orientamento di gusto che guida lungo la strada dellimitazione dei modelli. 53 RaVaello,
dunque, approda come Pico a un eclettismo spontaneo, istintivo, il quale porta a fondere in un sol corpo le varie virt degli altri, senza per che tale risultato sia impersonale, o
inadeguato al temperamento dellartista.
Il viennese Ernst H. Gombrich, in una conferenza del 1982 a Dsseldorf, pubblicata
lanno successivo, 54 riprende il tema del rapporto tra la lettera di RaVaello e lepistola di
Giovanfrancesco Pico. Pur ammettendo che nella missiva di RaVaello si riscontrano alcune tessere platoniche, come linsegnamento sullanima la quale deriva lIdea da unesi46.Raffaello, Gli scritti, cit., p. 166.
47. A. Chastel, Marsile Ficin et lArt, Lille-Genve, 1954, p. 72.
48.P. Barocchi, in Scritti darte del Cinquecento, cit., ii, p. 1525.
49.E. Panofsky, Idea. Contributo alla storia dellestetica, Firenze, La Nuova Italia, 1996 (ed. orig. Leipzig-Berlin, 1924), p. 36.
50. E. Battisti, Il concetto dimitazione nel Cinquecento italiano, in Rinascimento e Barocco, cit., p. 182.
51. E. Panofsky, Idea, cit., pp. 36-37.
52. Cfr. E. Battisti, Il concetto dimitazione nel Cinquecento italiano, cit., pp. 181-184.
53. Di altro avviso F. Ulivi, Limitazione nella poetica del Rinascimento, Milano, Marzorati, 1959, p. 32: In RaVaello il
richiamo fatto alla certa idea si appoggiava in sostanza sullesperienza pratica, senza voler vedere se quellidea avesse o no
origini metaWsiche; laddove nel Pico [] il fulcro del discorso risiede nel sentimento dominante della personalit, secondo gli
spiriti del neoplatonismo toscano.
54. E. H. Gombrich, Ideale e tipo nella pittura italiana del Rinascimento [1983], in Antichi maestri, nuove letture. Studi sullarte del
Rinascimento, trad. di A. Cane, Torino, Einaudi, 1987, p. 93.

36

pasquale sabbatino

stenza precedente: prima di entrare nel corpo ed essere unita alla materia, lanima ebbe la
visione dellIdea di Bellezza non ancora oVuscata dalla materia, e dunque la nostra conoscenza si fonda in realt sulla memoria, Gombrich osserva che lartista non fa riferimento esplicito a questa dottrina sublime, e forse non a caso. Invero, per il critico, il
punto di riferimento per la lettera di RaVaello non Platone, n Marsilio Ficino, al quale
si deve la fortuna del neoplatonismo nel Rinascimento, bens lepistola De imitatione di
Giovanfrancesco Pico, datata 19 settembre 1512 e inviata a Pietro Bembo, sostenitore dellimitazione nella scrittura latina del perfetto modello, Cicerone nella prosa latina e Virgilio nella poesia eroica. 55 In particolare possibile [...] che le parole del pittore contengano
unallusione a un problema speciWco e a un luogo preciso dellepistola, dove Pico aVerma che nellanimo delluomo esiste una certa idea del linguaggio corretto, alla quale si
guarda quando si giudica il proprio linguaggio o quello degli altri, cos come nel pittore
esiste un modello astratto di bellezza al quale si guarda per poter dipingere un corpo
bello:
Certo, nel testo [di Giovanfrancesco Pico] non si parla di pittura: il pensiero critico dellepoca si
concentrava per lo pi sul linguaggio, sulla retorica, sullo stile del discorso. Ma anche qui adombrata la questione dellimitazione. [] La diversa teoria che egli propone consiste, in breve, nel
sostituire alla pedissequa imitazione una salda e autentica cultura: dobbiamo sviluppare le nostre
innate capacit di giudizio per decidere quali modelli vogliamo seguire e Wno a che punto. Alcuni
brani di questo testo importante minteressano in modo particolare perch vi si trova esposta, in
termini che ricordano da vicino la formulazione di RaVaello, una versione leggermente diversa
della dottrina dellIdea: Tra i rinomati antichi non troverete mai lo sforzo di imitare qualcuno in
modo tale che ci si trova ad usare le stesse parole, le stesse frasi, gli stessi paragraW, come se si fosse
degli eterni bambini, e meno indipendenti degli uccelli che imparano a volare da soli quando i loro
genitori li fanno uscire dal nido, avendoli visti volare soltanto tre o quattro volte. [] osserviamo
[] come lautore se ne serva per appoggiarsi allaVermazione di Aristotele secondo cui di tutte le
creature luomo quella maggiormente disposta allimitazione e allapprendimento. Questa disposizione, questo istinto, si trovano nelluomo Wn dalla nascita, e dunque chi volesse negare o deviare
questa tendenza naturale farebbe violenza alla Natura stessa. Pertanto, conclude Pico, insita
nel nostro animo una certa idea (idea quaedam), una specie di seme dalla cui forza noi siamo animati ad aVrontare qualsiasi compito, e che nostro dovere coltivare, e non soVocare. 56

Come per Giovanfrancesco Pico luomo si serve dellidea del linguaggio corretto che
riceve dalla natura assieme alle altre facolt, cos per RaVaello lartista si serve dellidea
della perfetta bellezza che gli viene nella mente. 57 Tuttavia in RaVaello, secondo Gombrich, c una versione leggermente diversa dellidea e della sua origine.
Gombrich ritiene che il nodo della origine dellidea della bellezza, non aVrontato da
RaVaello nella lettera al Castiglione, possa essere sciolto con la lettura dei dipinti. Limitando lindagine a Botticelli, Leonardo e RaVaello, Gombrich dimostra che ciascun artista
si serve di un tipo ideale di bellezza, ricevuto dalla tradizione culturale, dal proprio
maestro: Botticelli da fra Filippo Lippi, Leonardo da Verrocchio, RaVaello da Pietro Vannucci detto il Perugino sul quale si interviene nelle singole opere, apportando alcune
variazioni. Nel caso della pittura raVaellesca, lartista parte dal tipo di bellezza che trova
nelle opere del Perugino, 58 mutandolo continuamente con diVerenze decisive per un forte balzo in avanti. Cos, se si confrontano le Wgure estatiche, ad esempio quella della
55. Cfr. Le epistole De imitatione di Giovanfrancesco Pico della Mirandola e di Pietro Bembo, a cura di G. Santangelo, Firenze,
Olschki, 1954, pp. 27-28. Sulle diverse posizioni di Giovanfrancesco Pico della Mirandola e di Pietro Bembo nel dibattito
sullimitazione cfr. P. Sabbatino, La bellezza di Elena, cit., pp. 26-35.
56. E. H. Gombrich, Ideale e tipo nella pittura italiana del Rinascimento, cit., pp. 93-94.
57. Raffaello, Gli scritti, cit., p. 166.
58. Sulla formazione giovanile di RaVaello presso il Perugino cfr. G. Vasari, Le vite de pi eccellenti architetti, pittori, et
scultori italiani. Nelledizione per i tipi di Lorenzo Torrentino Firenze 1550, cit., p. 612: Pietro [Perugino], veduto il disegno suo, i
modi et i costumi, ne fe quel giudizio che il tempo dimostr vero. E notabilissimo fu che in pochi mesi, studiando Rafaello la
maniera di Pietro, e Pietro mostrandoli con desiderio che egli imparassi, lo imitava tanto a punto et in tutte le cose, che i suoi
ritratti non si conoscevano da gli originali del maestro, e fra le cose sue e di Pietro non si sapeva certo discernere.

il trionfo della galatea e il libro del cortegiano

37

Galatea e quella di Santa Caterina dAlessandria (ca. 1509, Londra, National Gallery), si rileva che il tipo esemplare di bellezza una trasformazione o modiWcazione dello schema
o vocabolario elaborato dal maestro e che nel dipingere un bel volto, RaVaello come
Botticelli non faceva distinzioni tra sacro e profano. 59 Per questo, Gombrich conclude,
quando RaVaello aVerm di aver modellato la bella ninfa su una certa idea che aveva in
mente, si riferiva semplicemente al proprio tirocinio e alla propria pratica di pittore. [...]
egli fa discendere la sua immagine non da unidea platonica di bellezza bens da un tipo
trasmessogli dalla tradizione. 60
Nel 1999 lo studioso di WlosoWa Giovanni Reale riporta la lettera di RaVaello al suo
spirito platonico-neoplatonico, lamentando che purtroppo non stato compreso a inizio Novecento da Panofsky. Secondo Reale le dichiarazioni di RaVaello corrispondono al
pensiero del tardo Platone (Leggi, vii, 817 b) sul tema della poesia come imitazione dellidea, ripreso e sviluppato da Plotino (Enneadi, v, 8, 1): 61
Plotino introduce una innovazione: dimostra, cio, che larte crea la cosa bella in conformit dellIdea
stessa. Pertanto la poesia dipende non gi da una imitazione delle cose sensibili, ma dallimitazione
dellIdea medesima. [] E riprendendo il concetto platonico secondo cui le arti sono imitazione
della natura, Plotino precisa che, cos come la natura imita la Forma e lIdea, analogamente larte
imita non le cose sensibili, ma proprio le Forme e le Idee. Inoltre, si spinge addirittura ad aVermare
che le arti, mediante questa imitazione dellIdea, vanno oltre la natura stessa, in quanto la accrescono nella
dimensione del bello. E, come esempio, chiama in causa la statua di Zeus scolpita da Fidia, la quale va
molto al di l di una realt sensibile, nella misura in cui esprime in modo straordinario lIdea stessa
di Zeus. 62

Il pensiero di Plotino, largamente presente nella cultura WlosoWca del Rinascimento, fornisce la chiave di lettura neoplatonica delle aVermazioni di RaVaello:
Quella certa Idea cui RaVaello dice di volersi ispirare esattamente lIdea della bellezza (in particolare la speciWca Idea di bellezza femminile), ossia quellIdea che nella raYgurazione artistica aggiunge alla natura sensibile quanto le manca per essere perfetta. E nella pittura, cos come nella poesia, ci
che conta non il dato immediato, ma ci a cui esso rimanda, ossia il suo valore simbolico e
allusivo che fa vedere ci che sta oltre il Wsico, ossia lIdea stessa. 63

3. Il

LIBRO DEL

C ORTEGIANO e lo scrittore pittor di verit

Nel ritratto di pittura della corte di Urbino il tempo della scrittura tra il 1513 e il gennaio
del 1516 per la prima redazione (codd. Vaticani lat. 8204 e 8205), tra il 1520 e il 1521 per la
seconda redazione (codd. Vaticani lat. 8205 e 8206), tra il 1521 e il 1524 per la terza (cod.
Laurenziano Ashburnhamiano 409) 64 , Castiglione paragona lo scrittore al pittore, espone la sua concezione estetica e, intrecciando in un passo un Wne dialogo intertestuale con
la missiva sullaVresco del Trionfo della Galatea e sul tema dellimitazione che RaVaello gli
aveva inviato nel 1514 ca., coglie loccasione per replicare e per misurare la distanza che li
separa.
59. E. H. Gombrich, Ideale e tipo nella pittura italiana del Rinascimento, cit., p. 123.
60. Ivi, p. 126.
61. Cfr. Plotino, Enneadi, prima versione integra e commentario critico di V. Cilento, 3, Bari, Laterza, 1973, pp. 89-90.
62. G. Reale, RaVaello. Il Parnaso, Santarcangelo di Romagna (rn), Rusconi Libri, 1999, pp. 33-34.
63. Ivi, p. 36.
64. Per la storia testuale cfr. G. Ghinassi, Lultimo revisore del Cortegiano, Studi di Wlologia italiana, xxi, 1963, pp. 217264; Idem, Fasi dellelaborazione del Cortegiano, ivi, xxv, 1967, pp. 155-196; Idem, Postille sullelaborazione del Cortegiano, Studi
e problemi di critica testuale, iii, 1971, pp. 171-178. Il lavoro Wlologico approda alla edizione critica di B. Castiglione, La
seconda redazione del Cortegiano, per cura di G. Ghinassi, Firenze, Sansoni, 1968. Si vedano inoltre: G. La Rocca, Un taccuino
autografo per il Cortegiano, Italia medievale e umanistica, xxiii, 1980, pp. 341-373; P. Trovato, Con ogni diligenza corretto. La
stampa e le revisioni editoriali dei testi letterari italiani (1470-1570), Bologna, il Mulino, 1991; M. Bertolo, Nuovi documenti sulledizione principe del Cortegiano, Schifanoia, 13-14, 1992, pp. 133-144; A. Quondam, Questo povero Cortegiano. Castiglione, il Libro, la
Storia, Roma, Bulzoni, 2000, pp. 29 ss. (Tra molti travagli: la fatica di scrivere questo povero Cortegiano); O. Zorzi Pugliese,
Renaissance Ideologies in Il libro del cortegiano: from the Manuscript Drafts to the Printed Edition, Studi Rinascimentali, 1, 2003,
pp. 35-42.

38

pasquale sabbatino

Nominato da papa Clemente VII nunzio apostolico a Madrid, Castiglione fu dal 1525
presso la corte imperiale di Carlo V. Dalla Spagna invi il manoscritto apografo con correzioni autografe (cod. Laurenziano Ashburnhamiano 409) del suo dialogo Il libro del Cortegiano, indirizzandolo ai Manuzio di Venezia, presso i quali il libro a stampa vide la luce
nellaprile del 1528, e ai Giunti di Firenze, presso i quali fu ristampato dopo alcuni mesi,
grazie alle cure editoriali di Giovan Battista Ramusio e di Pietro Bembo. 65
Mentre il dialogo era in corso di stampa, nella primavera del 1527, forse dopo il Sacco di
Roma, Castiglione decise di aggiungere alla dedica ad Alfonso Ariosto, rimane lispiratore e primo autorevole destinatario ed exemplum del modello cortigiano elaborato
nel testo, 66 una nuova lettera dedicatoria al portoghese italianizzato monsignor Miguel
da Sylva, umanista ed erudito, prelato e cortigiano. 67 Il nuovo dedicatario era gi stato
ambasciatore dellimperatore Carlo V a Roma presso la corte pontiWcia di tre papi (Leone
X, Adriano VI, Clemente VII) tra il 1515 e il 1525 in questo decennio fu vicino al Castiglione nel travaglio redazionale del Cortegiano e divenne poi punto di riferimento diplomatico per Clemente VII nella diYcile politica di riavvicinamento e di accordo tra la Chiesa
e lImpero dopo il sacco di Roma. La sua carriera ecclesiastica tocc il cardinalato nel 1541,
per volere di Paolo III. Castiglione e Miguel da Sylva sono tra loro speculari, uniti dalla
fede appassionata di imperialisti convinti e dalla frequentazione di un osservatorio politico di dimensione europea. 68
Nella lettera dedicatoria a Miguel da Sylva, la cui Wgura costituisce il doppio politico
del dedicatore, 69 Castiglione narra la genesi e la storia dellopera. Il dedicatore ripercorre
venti anni e pi della sua esperienza di cortigiano, a partire dal 1504, quando lasci il
marchese Francesco Gonzaga e fu assunto al servizio dei signori di Urbino, Guidubaldo
di Montefeltro ed Elisabetta Gonzaga. Nel 1508, alla morte del duca, il cui elogio funebre
contenuto nellepistola latina De vita et gestis Guidubaldi Urbini Ducibus (indirizzata al re
dInghilterra Enrico VII) 70 e con lavvento di Francesco Maria della Rovere, nipote e Wglio
adottivo del defunto Guidubaldo e nipote di papa Giulio II, Castiglione rimase al servizio
di Urbino e svolse attivit militari. Nel 1513, a seguito della elezione del papa Leone X
(Giovanni de Medici, Wglio di Lorenzo il MagniWco), si trasfer a Roma, per svolgere
lattivit diplomatica e quella letteraria, intensiWcando i contatti con letterati provenienti
da Urbino (Bembo, Bibbiena, Federico Fregoso), con altri personaggi di spicco in ambito
culturale (Sadoleto, Beroaldo, Tebaldeo) e con artisti, Michelangelo e in particolare
RaVaello, il quale tra il 1514 e il 1515 dipinse il Ritratto di Baldassar Castiglione (Fig. 5 - Parigi,
Louvre, olio su tela) 71 e in pi occasioni, prima e dopo, raYgur leYge dello scrittore,
65. Cfr. V. Cian, Prefazione alla quarta ed. riveduta e corretta di B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, Firenze, Sansoni,
1947, p. ix.
66.A. Carella, Il libro del Cortegiano di Baldassarre Castiglione, in Letteratura italiana, dir. A. Asor Rosa, Le Opere, i, Dalle
Origini al Cinquecento, Torino, Einaudi, 1992, p. 1090.
67. Cfr. S. Deswarthe, Il perfetto cortegiano. D. Miguel da Silva, Roma, Bulzoni, 1989.
68.B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, a cura di V. Cian, cit., p. 450.
69.M. Beer, Le maschere del tempo nel Cortegiano, in La corte e il Cortegiano, i, La scena del testo, a cura di C. Ossola, Roma,
Bulzoni, 1980, p. 201.
70. Cfr. G. Gorni, Il mito di Urbino dal Castiglione al Bembo, ivi, pp. 175-190.
71. Sul Ritratto del Castiglione cfr. P. De Vecchi, Lopera completa di RaVaello, presentazione di M. Prisco, Milano, Rizzoli, 1999,
pp. 111-112, n. 114; C. Mutini, Arte e letteratura, in Storia dellarte italiana, a cura di F. Zeri, 10, Torino, Einaudi, 1981, pp. 310-311; G.
Patrizi, La visibilit della norma: il ritratto e il cortigiano, in Il ritratto e la memoria. Materiali, a cura di A. Gentili, Ph. Morel, C. Cieri
Via, 3, Roma, Bulzoni, 1993, p. 96 (Un giudizio di Vittorio Cian vede armonizzarsi nel ritratto del Castiglione [] elevatezza
morale e grazia estetica. Da un fondo neutro ma ben illuminato, si staglia la Wgura del letterato che guarda assorto e malinconico dinanzi a s, stringendo goVamente lun laltra le mani, ma con un gesto impacciato, riassorbito per da un superiore equilibrio della Wgura, la cui eYcacissima posa si inserisce bene nellimpasto delle delicate sfumature dellinsieme. Il curioso e prezioso copricapo fatto confezionare su misura per coprire una calvizie precoce trova puntuale riscontro nei ricchi dettagli
dellabbigliamento, la cui preziosit pi suggerita [] che mostrata. []. Eppure in essa [leYgie] resiste al dettaglio che indica
lo status sociale unaura individuante, una cifra quasi di smarrimento. Non incongruo allora pensare ad unanticipazione, nel
dipinto, del malinconico incipit del Cortegiano [], l dove si medita, nella [] dedica a Michel de Silva, sulla morte dei personaggi che animarono la corte urbinate e che furono protagonisti delle conversazioni narrate dal Castiglione). Nella Elegia [...] qua
Wngit Hippolyten suam ad se ipsum scribentem, composta nel 1519 circa, quando fu presso la corte papale in veste di ambasciatore di
Federico Gonzaga, Castiglione fa dire alla moglie: sola tuos vultus referens, Raphaelis imago / picta manu curas allevat usque
meas. / Huic ego delicias facio arrideoque iocorque / alloquor et, tanquam reddere verba queat. / Assensu nutuque mihi saepe

il trionfo della galatea e il libro del cortegiano

39

dalla Stanza della Segnatura


(1508-1511) negli aVreschi
della Scuola dAtene e del Parnaso 72 alla Sala di Costantino
(1517-1520, continuata da altri
dopo la morte di RaVaello),
nellaVresco Donazione di
Roma, attribuito a Giulio Romano e realizzato su cartoni
di RaVaello tra il 1520 e il 1524.
Al binomio RaVaello-Castiglione si deve la famosa lettera, con cui nasce larcheologia, sulle antichit di Roma
che nel 1519 RaVaello invi a
Leone X, presentando il frutto di indagini e rilevazioni sulle reliquie architettoniche. 73
Nello stesso anno RaVaello
scrisse al Castiglione la lettera sul progetto di Villa Madama, a lungo ritenuta perduta
e riscoperta nel 1967 da Foster, 74 e dopo la morte dellartista nel 1520 Castiglione diede voce al suo dolore in un
epigramma latino. 75
Una profonda rottura con
Leone X si ebbe nel giugno
del 1516, quando il papa, spo- Fig. 5. Parigi, Louvre. Raffaello, Ritratto di Baldassar Castiglione.
destando Francesco Maria,
insedi a Urbino il nipote Lorenzo di Piero de Medici, il dedicatario del Principe di Machiavelli (scritto tra il 1513 e il 1514, anni in cui Lorenzo di Piero de Medici era di fatto
signore di Firenze, e dato alle stampe nel 1532). Castiglione, fedele al legittimo duca, lo
segu in esilio a Mantova.
illa videtur / dicere velle aliquid et tua verba loqui (Solo limmagin del tuo volto, pinta / da la divina man di RaVaello / giunge
alWne a lenir gli aVanni miei. / A quella io fo carezze e rido e scherzo / e parlo, come se parlar potesse, / e spesso par che assenta
e che con cenni / voglia dir qualche cosa e aprire il labbro / per ripetere a me le tue parole). Per le opere minori si cita da B.
Castiglione, Il libro del Cortegiano, Con una scelta delle Opere minori, a cura di B. Maier, Torino, utet, 19813, p. 608. La traduzione
proposta da Maier tratta da A. Bonaventura, La poesia neo-latina in Italia dal secolo XIV al presente. Saggio e versioni poetiche, Citt
di Castello, S. Lapi, 1900, pp. 140-144. Sul Ritratto del Castiglione cfr. P. De Vecchi, Lopera completa di RaVaello, presentazione di M.
Prisco, Milano, Rizzoli, 1999, pp. 111-112, n. 114; G. Patrizi, La visibilit della norma: il ritratto e il cortigiano, cit., pp. 91-101.
72. Lindividuazione di Castiglione nel Parnaso controversa. Cfr. G. Reale, RaVaello. Il Parnaso, cit., p. 81.
73. La lettera, scritta dal Castiglione, accoglie e interpreta il pensiero dellartista, che mor lanno successivo. Sui testimoni
il ms. mantovano Documenti sciolti, a), n. 12 dellArchivio Privato Castiglioni, e il codice it. 37b della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco , sulledizione padovana per i tipi di Comino a cura dei fratelli Giovanni Antonio e Gaetano Volpi (1733)
e sui problemi attributivi cfr. F. P. Di Teodoro, RaVaello, Baldassar Castiglione e la Lettera a Leone X, cit.; C. Vecce, La Lettera
a Leone X tra RaVaello e Castiglione, Giornale storico della letteratura italiana, cxiii, 1996, fasc. 563, pp. 533-543.
74. Ph. Foster, Raphael on the Villa Madams: The Text of a lost Letter, Rmisches Jahrbuch fr Kunstgeschichte, 11, 1967-68,
pp. 308-312 (trascrizione diplomatica di una copia conservata nellArchivio di Stato di Firenze, Archivio Mediceo avanti il Principato, Wlza 94, n. 162, V. 294-299). Cfr. la trascrizione basata sul manoscritto originale in appendice al volume di F. P. Di
Teodoro, RaVaello, Baldassar Castiglione e la Lettera a Leone X, cit., pp. 221-227.
75. Il testo citato da Vasari nella prima edizione delle Vite, cit., p. 641. Cfr. R. Fedi, In obitu Raphaelis, in Studi di Wlologia e
critica oVerti a Lanfranco Caretti, to. i, Roma, Salerno Editrice, 1985, pp. 195-223; F. P. Di Teodoro, RaVaello, Baldassar Castiglione e la Lettera a Leone X cit, p. 241. Sulla Canzone in morte Raphaelis Urbinatis pictoris et architecti di Francesco Maria Molza,
scritta tra la morte di RaVello, il 6 aprile 1520, e la morte di Leone X, il 1 dicembre 1521, cfr. R. Fedi, In obitu Raphaelis, cit., pp.
195-223.

40

pasquale sabbatino

Nel ricostruire a distanza questi anni e questi eventi, Castiglione consapevole di muoversi tra destino privato e destino pubblico, tra autobiograWa e storia collettiva, con linevitabile e prezioso risvolto di raccontare la storia sociale dal suo punto di vista. il caso,
per lappunto, del passaggio ereditario dei poteri ducali da Guidubaldo di Montefeltro a
Francesco Maria della Rovere:
Quando il signor GuidUbaldo di Montefeltro, duca dUrbino, pass di questa vita, io insieme con
alcunaltri cavalieri che laveano servito restai alli servizi del duca Francesco Maria della Rovere,
erede e successor di quello nel Stato []. 76

La lunga e inossidabile fedelt del Castiglione alla famiglia ducale di Urbino viene accuratamente messa in evidenza con la segnalazione dei servizi prestati presso Guidubaldo di
Montefeltro prima e presso Francesco Maria della Rovere dopo, dal 1504 al 1521. Inoltre la
marcata deWnizione di Francesco Maria della Rovere quale erede e successor di Guidubaldo di Montefeltro se da una parte richiama la ormai superata presa di posizione polemica di Castiglione contro la politica urbinate di papa Leone X (morto nel dicembre del
1521) a favore del nipote Lorenzo di Piero de Medici, dallaltro ribadisce che giuridicamente il ducato appartiene di diritto a Francesco Maria della Rovere, di nuovo al governo
di Urbino dal febbraio 1522 Wno al 1538, anno della morte.
Nella lettera dedicatoria a Miguel da Sylva, Castiglione innanzitutto espone la ragione
di fondo che lo spinse a scrivere il primo abbozzo del dialogo tra il 1513 e il 1514 e la prima
redazione organica tra il 1514 e il 1515, cio il desiderio di fermare la memoria, trasmettendola ai posteri, sia dellodor delle virt dello scomparso Guidubaldo di Montefeltro, sia
della satisfazione che egli aveva provato della amorevole compagnia di cos eccellenti
persone, come allora si ritrovarono nella corte dUrbino. 77 In secondo luogo Castiglione
si mostra pienamente consapevole dei processi storici che avevano segnato lItalia dal 15131514 al 1527, con la messa in crisi dellipotesi di un potenziale sviluppo del sistema signorile
italiano e con la Wne irreparabile di un mondo, sancita dal sacco di Roma. 78 Per questo
il libro viene presentato a da Sylva come ritratto di pittura della corte dUrbino 79 nato
dal desiderio di tesserne le lodi e di conservarne la memoria, 80 una rappresentazione dal
vero dellambiente e di persone in azione, fatta non di mano di RaVaello (ormai morto
nel 1520) o di Michelangelo Buonarroti (vivr Wno al 1564 e allaltezza delleditio princeps era
fortemente ammirato per gli aVreschi della volta della Cappella Sistina, 1508-1512), i due
artisti che nel primo Cinquecento si contendevano il primato, ma dalla penna di uno scrittore, che ama deWnirsi pittor di verit 81 e ama mostrare la sua profonda contiguit con
RaVaello ritrattista e con la diVusa pratica del ritratto nella corte urbinate. 82
76. Per il dialogo si cita da B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, ed. Maier, pp. 69-70. opportuno segnalare altre due
edizioni moderne: la prima a cura di W. Barberis, Torino, Einaudi, 1998 sulla quale si veda A. Quondam, Tipologie culturali
del gentiluomo di Antico Regime. Polemichette e noterelle a proposito di una nuova edizione del Libro del Cortegiano, Nuova rivista
di letteratura italiana, i, 2, 1998, pp. 553-598 e la seconda a cura di A. Quondam, Milano, Mondadori, 2002, voll. 2.
77. B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, ed. Maier, p. 70.
78. A. Carella, Il libro del Cortegiano di Baldassarre Castiglione, cit., pp. 1090-1091.
79. B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, ed. Maier, p. 71. Sulla storia della voce ritratto (valore verbale e valore sostantivale), che tra Quattrocento e Cinquecento ha diversi signiWcati (ritrarre dal vero ambiente e persone, ritrarre dal vero la Wgura
umana, ecc.), e sulla fortuna della ritrattistica cfr. E. Castelnuovo, Il signiWcato del ritratto pittorico nella societ, in Storia
dItalia, coord. R. Romano, C. Vivanti, V. I documenti, Torino, Einaudi, 1973, pp. 1031-1094; Il ritratto e la memoria, Roma,
Bulzoni, 1989-1993, 3 voll.; L. Grassi, Ritratto, in L. Grassi, M. Pepe, Dizionario di arte, Torino, utet, 1995, pp. 707-715; F.
Caroli, Lanima e il volto. Ritratto e Wsiognomica da Leonardo a Bacon (Milano, Palazzo Reale, 30 ottobre 1998-14 marzo 1999),
Milano, Electa, 1998; M. Koshikawa, Individualit e concetto. Note sulla ritrattistica del Cinquecento, nel catalogo Rinascimento.
Capolavori dei musei italiani. Tokyo-Roma 2001, Milano, Skira, 2001, pp. 39-45; V. Della Valle, Lispendervi parole non sarebbe
molto proWttevole. Appunti sul lessico delle arti nei trattati dei secoli XV e XVI, in Storia della lingua e storia dellarte. Disimmetrie e
intersezioni, Atti del iii Congresso asli (Roma, 30-31 maggio 2002), a cura di V. Casale, P. DAchille, Firenze, Cesati Editore,
2004, pp. 319-329. Per la funzione del ritratto cfr. J. Burckhardt, Il ritratto nella pittura italiana del Rinascimento, introduzione di
C. Cieri Via, traduzione e note critiche di D. Pagliai, Roma, Bulzoni, 1993 (ed. orig. Basel, 1898).
80.Cfr. C. Ossola, Il libro del Cortegiano: cornice e ritratto (1979), in Dal Cortegiano all Uomo di mondo. Storia di un libro
e di un modello sociale, Torino, Einaudi, 1987, pp. 27-42; E. Saccone, Trattato e ritratto: lintroduzione del Cortegiano, Modern
Language Notes, xciii, 1, 1978, pp. 1-21; A. Quondam, Questo povero Cortegiano. Castiglione, il Libro, la Storia, cit., pp. 508-512.
81. B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, ed. Maier, p. 73.
82.A. Quondam, Questo povero Cortegiano. Castiglione, il Libro, la Storia, cit., p. 510. Questa cultura ritrattistica osserva

il trionfo della galatea e il libro del cortegiano

41

Nel far ricorso al topos dellumilt, lo scrittore disegna s stesso come pittore ignobile
rispetto ai due grandi artisti e quindi capace solo di tirare le linee principali del disegno,
come avveniva nellarte gotica, senza adornar la verit, come avviene nellarte moderna, de vaghi colori e senza ricorrere alla prospettiva che fa sembrare nel ritratto dipinto, e quindi su una superWcie bidimensionale, quello che non , la rappresentazione tridimensionale di oggetti. 83 In questo autoritratto dello scrittore-pittore, consegnato al dedicatario e ai lettori, Castiglione gi fornisce una prima e preziosa indicazione del suo credo
estetico, che unisce scrittori e pittori e si fonda sulla rappresentazione dal vero (storico o
naturale), e rivela una profonda cultura artistica, di cui d un saggio pi avanti (i, xlix-liii).
Il libro del Cortegiano, allora, come ritratto di pittura della corte dUrbino di quel lontano 1507, lanno del dialogo articolato in quattro serate, i cui interlocutori, tra residenti e
ospiti, erano ormai tutti scomparsi, come scomparso era anche Alfonso Ariosto, il primo
destinatario e anche ispiratore. Il lungo necrologio viene suddiviso nel pre-testo e nel
testo, tra la dedica a Miguel da Sylva e il proemio del quarto libro. 84 Con loro se ne era
andato anche il vecchio mondo signorile italiano e la complessa crisi delle corti italiane
era ben evidente dallosservatorio di una capitale europea come Madrid, mentre le grandi
monarchie nazionali della Spagna e della Francia si sviluppavano sempre pi.
Nel licenziare deWnitivamente il dialogo, Castiglione ne avverte la Wsionomia piuttosto Wgurativa e rappresentativa 85 di un luogo e di un tempo la corte e la stagione signorili appartenenti ormai al passato prossimo, la natura di ritratto per lappunto che,
contemplato, si oVre alla contemplazione altrui, 86 la funzione inWne di monumento
funebre della famiglia urbinate che incita dinamicamente, produttivamente, allimitazione. 87 Nel consegnare, dunque, mediante la dedica a Miguel da Sylva, il ritratto storico
della corte di Urbino alle corti europee dei nuovi Stati assolutistici, Castiglione mette a
disposizione la propria esperienza per poter costruire, nel presente e nel futuro, una Wgura esemplare, un modello perfetto, un codice professionale altamente specialistico delluomo di corte. 88

4. L artificiosa imitazione della natura


e il perfettissimo giudicio di bellezza
del pittore e del cortigiano

Castiglione sviluppa in modo ampio e organico la riXessione sullimitazione nel Libro del
Cortegiano, partendo dal proWlo del perfetto uomo di corte il quale tra le altre virt deve
saper conversare e scrivere. Le parole del conte Ludovico da Canossa, lalter ego dellautoQuondam sembra esplodere proprio nel momento del cronotopo del Cortegiano, soprattutto tramite il lavoro del giovane
RaVaello: negli anni tra il 1504 e il 1506 sono repertoriati alcuni ritratti che [] provengono tutti dalle raccolte ducali e tutti
convergono su Urbino, in particolare sul gruppo che si riunisce in conversazione nel Palazzo. Lelenco generico, ma
signiWcativo, e il numero tra parentesi quadre rinvia al catalogo di P. De Vecchi, Lopera completa di RaVaello, cit.: lElisabetta
Gonzaga [n. 40] ora agli UYzi (a tergo si legge questa scritta: Isabetta mantovana moglie del duca Guido), lEmilia Pio [n.
41] ora nella Collezione Epstein di Baltimora, il Francesco Maria della Rovere degli UYzi [n. 45], i due San Giorgio e il drago per
Enrico VII dInghilterra (ora al Louvre [n. 49] e alla National Gallery di Washington [n. 50]), il Guidubaldo degli UYzi [n. 57];
per non dimenticare il perduto ritratto di Pietro Bembo (del 1506) [n. 58], nonch, sempre per diretta pertinenza con il Cortegiano, quello di Federico Gonzaga [n. 102], anchesso perduto, o quello di cardinale ora al Prado (ove riconoscibile, secondo
alcuni, il Bibbiena, e secondo altri Ippolito dEste) [n. 88].
83. B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, ed. Maier, pp. 73-74. Sulla conquista della prospettiva cfr. E. Panofsky, La prospettiva come forma simbolica e altri scritti, a cura di G. D. Neri, con una nota di M. Dalai, Milano, Feltrinelli, 1966; il Catalogo
della Mostra (Firenze, Galleria degli UYzi, 16 ottobre 2001-20 gennaio 2002) Nel segno di Masaccio. Linvenzione della prospettiva,
a cura di F. Camerota, Firenze, Giunti, 2001 (e relativa bibliograWa, pp. 285-307).
84.Guidubaldo era morto nel 1508, Gasparo Pallavicino nel 1511, Cesare Gonzaga nel 1512, Roberto da Bari intorno al 1513,
Giuliano de Medici nel 1516, Bernardo Dovizi da Bibbiena nel 1520, Ottaviano Fregoso nel 1524, Alfonso Ariosto nel 1525, la
duchessa Elisabetta Gonzaga nel 1526. Cfr. B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, ed. Maier, pp. 71-73 e 451-452.
85. Cfr. B. Maier, Commento a B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, cit., p. 73, nota 25.
86.A. Carella, Il libro del Cortegiano di Baldassarre Castiglione, cit., p. 1090.
87. Cfr. A. Quondam, Questo povero Cortegiano. Castiglione, il Libro, la Storia, cit., p. 508.
88.Sulle edizioni, traduzioni e imitazioni del Cortegiano in Europa cfr. P. Burke, Le fortune del Cortegiano. Baldassarre Castiglione e i percorsi del Rinascimento europeo, trad. di A. Merlino, Roma, Donzelli, 1998 (ed. orig. Cambridge, 1995); la recensione
a Burke 1995 di C. Mozzarelli, Annali di Storia Moderna e Contemporanea, iii, 1997, pp. 519-532.

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pasquale sabbatino

re, puntano su una concezione dinamica ed evolutiva della lingua volgare e sulluso sociale e strumentale della stessa, funzionale alla comunicazione del sapere. 89 Da qui lopposizione ferma alla pedissequa pratica imitativa, lesortazione alla imitazione selettiva,
lesaltazione dellingegno e del giudizio naturale di ciascuno nello scrivere senza imitazione, cos come hanno fatto i padri fondatori della letteratura volgare Petrarca e Boccaccio, e inWne la presa di coscienza di una pluralit di percorsi per arrivare alla perfezione.
Le argomentazioni sono aYdate al Canossa, portavoce di Castiglione, il cui discorso si
muove tra la questione dellimitazione e la questione della lingua volgare (e per questultima occorre lasciarsi guidare dalla consuetudine):
Laudo ben sommamente coloro che sanno imitar quello che si dee imitare; nientedimeno non
credo io gi che sia impossibile scriver bene ancor senza imitare; e massimamente in questa nostra
lingua, nella quale possiam esser dalla consuetudine aiutati; il che non ardirei dir della latina.
(i, xxxvi) 90
Creder si po che que che erano imitati fossero migliori che que che imitavano; e troppo maraviglia sara che cos presto il lor nome e la fama, se eran boni, fosse in tutto spenta. Ma il lor vero
maestro credio che fosse lingegno ed il lor proprio giudicio naturale; e di questo niuno che si
debba maravigliare, perch quasi sempre per diverse vie si po tendere alla sommit dogni eccellenzia.
(i, xxxvii) 91

La veriWca della pluralit delle vie per raggiungere la perfezione viene fatta in diversi
ambiti, tutti di pertinenza amatoriale delluomo di corte, dalla poesia e oratoria dellantichit alla letteratura volgare, dalla musica che impegna ludito alla pittura che impegna la
vista. 92 A questo proposito Castiglione, senza lasciarsi prendere dalla tentazione di un
discorso storico delle arti, esibisce un elenco essenziale di cinque pittori (Leonardo da
Vinci, Andrea Mantegna, RaVaello, 93 Michelangelo, Giorgio da Castelfranco detto Giorgione), i protagonisti dellarte nel primo Cinquecento, sottolineando la peculiarit della
maniera dei singoli artisti, la molteplicit dei linguaggi e la perfezione raggiunta da
ciascuno nel proprio stile:
Varie cose ancor egualmente piacciono agli occhi nostri, tanto che con diYcult giudicar si po quai
pi lor sian grate. Eccovi che nella pittura sono eccellentissimi Leonardo Vincio, il Mantegna,
Rafaello, Michel Angelo, Georgio da Castel Franco; nientedimeno, tutti son tra s nel far dissimili,
di modo che ad alcun di loro non par che manchi cosa alcuna in quella maniera, perch si conosce
ciascun nel suo stilo esser perfettissimo.
(i, xxxvii) 94
89.B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, ed. Maier, p. 143.
90.Ivi, pp. 149-150.
91. Ivi, p. 151.
92.Su questa tradizione amatoriale, che vuole il cortigiano non solo esperto in scherma, equitazione, studio della cultura classica, collezionismo, ma anche nelle arti della poesia, della musica e della pittura cfr. P. O. Kristeller, Il pensiero e le arti
nel Rinascimento, Roma, Donzelli, 1998 (ed. orig. 1990), pp. 194-195.
93. la seconda volta che RaVaello viene citato nel Cortegiano. Ritorna in i, l (Rispose allor Ioan Cristoforo: Credo io
veramente che voi parliate contra quello che avete nellanimo e ci tutto fate in grazia del vostro Rafaello, e forse ancor parvi
la eccellenzia che voi conoscete in lui della pittura sia tanto suprema, che la marmoraria non possa giungere a quel grado; ma
considerate che questa laude dun artiWce, e non dellarte); i, li (Disse il Conte ridendo: Io non parlo in grazia de
Rafaello; n mi dovete gi riputar per tanto ignorante, che non conosca la eccellenzia di Michel Angelo e vostra e degli altri
nella marmoraria; ma io parlo dellarte, e non degli artiWci); ii, lxxvi (RaVaello protagonista di un breve racconto arguto:
rispose ancor Rafaello pittore a dui cardinali suoi domestici, i quali, per farlo dire, tassavano in presenzia sua una tavola che
egli avea fatta, dove erano san Pietro e san Paulo, dicendo che quelle due Wgure eran troppo rosse nel viso. Allora Rafaello
sbito disse: Signori, non vi maravigliate; ch io questi ho fatto a sommo studio, perch da credere che san Pietro e san
Paulo siano, come qui gli vedete, ancor in cielo cos rossi, per vergogna che la Chiesa sua sia governata da tali omini come
siete voi).
94.B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, ed. Maier, p. 152. Nel 1532, nellultima redazione dellOrlando furioso (xxxiii, 2),
Ariosto formula un catalogo lungo di artisti (Leonardo da Vinci, Andrea Mantegna, Giovanni Bellini, i fratelli Dosso e
Battista Dossi, Michelangelo Buonarroti, Sebastiano del Piombo, RaVaello, Tiziano): e quei che furo a nostri d, o sono
ora, / Leonardo, Andrea Mantegna, Gian Bellino, / duo Dossi, e quel cha par sculpe e colora, / Michel, pi che mortale,
Angel divino; / Bastiano, Rafael, Tizian, chonora / non men Cador, che quei Venezia e Urbino; / e gli altri di cui tal lopra
si vede, / qual de la prisca et si legge e crede (L. Ariosto, Orlando furioso, a cura di R. Ceserani, 2, Torino, utet, 1981, p.

il trionfo della galatea e il libro del cortegiano

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Il passo di Castiglione, una vera e propria pagina di critica darte gi presente nella prima
redazione del Libro del Cortegiano, una riscrittura, con adattamento e aggiornamento, di
stralci ben precisi del De oratore (3, 7, 25-27) di Cicerone 95 e dellInstitutio oratoria (12, 10, 12) di Quintiliano 96 due opere fondamentali della biblioteca delluomo del Rinascimento , 97 sulla molteplicit degli stili nella scrittura (oratoria e poesia) e nelle arti (pittura e
scultura). 98
Nello scrivere e nel parlare, allora, il perfetto cortigiano non ha modelli da imitare, anzi
deve imitare solo la lingua che gli propria e naturale (i, xxxvii), 99 esercitando la virt
della sprezzatura, che si esalta nella grazia, ed evitando cos di cadere nellerrore contrario dellaVettazione, che diviene vicio odiosissimo (i, xxviii) in quanti si allontanano dalluso vivo nei ragionamenti. 100 il caso di quei Lombardi che, se sono stati un
1280). Si veda inoltre F. Bologna, La coscienza storica dellarte dItalia, Torino, utet, 1982, pp. 71-73; C. Dionisotti, Appunti su
arti e lettere, Milano, Jaca Book, 1995, pp. 120-122.
95. M. T. Cicerone, Delloratore, testo latino, introduzione, versione e note a cura di A. Pacitti, 3, Bologna, Zanichelli, 1977,
pp. 23-25: Natura nulla est, ut mihi videtur, quae non habeat in suo genere res complures dissimiles inter se, quae tamen
consimili laude dignentur. Nam et auribus multa percipimus, quae etsi nos vocibus delectant, tamen ita sunt varia saepe, ut
id, quod proximum audias, iucundissimum esse videatur []. At hoc idem, quod est in naturis rerum, transferri potest etiam
ad artes. Una Wngendi est ars, in qua praestantes fuerunt Myro, Polyclitus, Lysippus; qui omnes inter se dissimiles fuerunt,
sed ita tamen, ut neminem sui velis esse dissimilem. Una est ars ratioque picturae dissimillimique tamen inter se Zeuxis,
Aglaophon, Apelles; neque eorum quisquam est, cui quicquam in arte sua deesse videatur. Et si hoc in his quasi mutis artibus
est mirandum et tamen verum, quanto admirabilius in oratione atque in lingua? Quae cum in isdem sententiis verbisque
versetur, summas habet dissimilitudines; non sic, ut alii vituperandi sint, sed ut ii, quos constet esse laudandos, in dispari
tamen genere laudentur (Non esiste in natura alcun ordine di cose, che, a mio parere, non rivelino nellambito della loro
specie numerose diVerenze e dissomiglianze, le quali, pure in questa diVerenziazione, formano un tuttuno armonioso e
piacevole. Molti sono i suoni che giungono al nostro orecchio, e, sebbene siano tutti piacevoli, tuttavia cos vasta la loro
variet, da sembrarci il pi gradito quello che ci arriva per ultimo. [] Ora, ci che si veriWca nellordine delle percezioni
sensoriali, pu essere applicato anche alle arti. Una larte della scultura, in cui si resero celebri Mirone, Policleto e Lisippo.
Tutte tre diVeriscono tra loro, vero, ma non cos, da desiderare che ciascuno di essi non sia uguale a se stesso. Una larte
della pittura ed unitaria la sua dottrina: eppure Zeusi, Aglaofonte ed Apelle furono assai diVerenti tra loro, n alcuno crede
che la loro arte sia per qualche parte manchevole. Ora, se questa variet realmente esistente in queste arti, che oserei deWnire
mute, desta la nostra meraviglia, perch dovrebbe suscitare stupore maggiore in noi leloquenza e larte della parola? E, pur
implicando essa le medesime idee e le medesime parole, vi si osserva tuttavia una grande variet di aspetti. Non dico con ci
che alcuni oratori corrano il rischio dessere biasimati, ma quelli che meritano dessere apertamente lodati, lo sono per le
particolari qualit dognuno).
96.M. F. Quintiliano, Listituzione oratoria, a cura di R. Faranda, P. Pecchiura, 2, Torino, utet, 19792, pp. 690-692: Superest
ut dicam de genere orationis. [] Cum sit autem rhetorices atque oratoris opus oratio pluresque eius formae, sicut ostendam,
in omnibus iis et ars est et artifex, plurimum tamen invicem diVerunt: nec solum specie, ut signum signo et tabula tabulae et
actio actioni, sed genere ipso, ut Graecis Tuscanicae statuae, ut Asianus eloquens Attico. Suos autem haec operum genera,
quae dico, ut auctores sic etiam amatores habent []. Primi [] clari pictores fuisse dicuntur Polygnotus atque Aglaophon
[]. Post Zeuxis atque Parrhasius non multum aetate distantes circa Peloponnesia ambo tempora []. Floruit autem circa
Philippum et usque ad successores Alexandri pictura praecipue, sed diversis virtutibus. Nam cura Protogenes, ratione Pamphilus ac Melanthius, facilitate Antiphilus, concipiendis visionibus, quas  vocant, Theon Samius, ingenio et gratia, quam
in se ipse maxime iactat, Apelles est praestantissimus. Euphranorem admirandum facit, quod et ceteris optimis studiis inter
praecipuos et pingendi Wngendique idem mirus artifex fuit (Mi resta da parlare dello stile oratorio. [] E poich unorazione
opera della retorica e delloratore, e svariate sono, come dimostrer, le sue forme, in ognuna di esse ci sono unarte e un
arteWce, ma la diVerenza tra loro notevolissima. E non solo nella specie, come ad esempio tra statua e statua, tra dipinto e
dipinto, tra azione forense e azione forense, ma anche nel genere, come tra statue greche e statue etrusche o tra Asianesimo e
Atticismo. Codesti generi cui alludo hanno sia i loro maestri che i loro simpatizzanti []. I primi celebri pittori [] si dice che
siano stati Polignoto e Aglaofonte []. In seguito Zeusi e Parrasio, quasi coetanei tra loro essendo Woriti al tempo della guerra
del Peloponneso []. La pittura ebbe, per, il suo massimo splendore particolarmente al tempo di Filippo e, in seguito, Wno ai
successori di Alessandro, ma per virt diverse. Infatti furono eccellenti Protogene per laccuratezza, PanWlo e Melanzio per la
loro razionalit, AntiWlo per la sua facilit, Teone di Samo per il suo modo di concepire le immagini, chiamate phantasai,
Apelle per il talento e per quella grazia, di cui moltissimo si vanta da s. Suscita ammirazione Eufranore, perch, oltre ad essere
persona di eccezionale cultura, fu nello stesso tempo ammirato pittore e scultore). Il passo continua con lesempliWcazione
nel campo della scultura (Callone, Egesia, Calamide, Mirone, Policleto, Fidia, Alcamene, Lisippo, Prassitele) e della oratoria
(Gaio Lelio, Scipione Africano, Catone il Censore, Tiberio e Caio Gracchi, Lucio Crasso, Quinto Ortensio, Giulio Cesare,
Calidio, Calvo Licinio, Marco Bruto, Servio Sulpicio Rufo, Cassio Severo, Lucio Anneo Seneca, Giulio Africano, Domizio
Afro, Vibio Crispo, Marco Galerio Tracalo, Giulio Africano, Marco Tullio Cicerone, ecc.).
97. Per la ricostruzione della biblioteca privata del Castiglione cfr. G. Rebecchini, The Book Collection and Other Possessions
of Baldassarre Castiglione, Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, lxi, 1998, pp. 17-52.
98.Sulla fortuna tra Quattrocento e Seicento di questi passi dei due retori antichi cfr. E. H. Gombrich, Norma e Forma.
Studi sullarte del Rinascimento, Torino, Einaudi, 1973, pp. 4-6, 203-205; M. Kemp, Equal excellencies. Lomazzo and the explanation of individual style in the visual arts, Renaissance Studies, 1, 1987, pp. 5-6; D. Mahon, Eclecticism and the Carracci: Further
ReXections om the Validity of a Label, Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, xvi, 1953, p. 312, J. Shearman, Castigliones portrait of Raphael, cit., pp. 73-74 e 91, nota 31; P. Giovio, Scritti darte. Lessico ed ecfrasi, a cura di S. MaVei, Pisa, Scuola
Normale Superiore, 1999, pp. 227-232.
99.B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, ed. Maier, p. 154.
100. Ivi, p. 133.

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pasquale sabbatino

anno fuor di casa, ritornati sbito cominciano a parlare romano, talor spagnolo o franzese, e Dio sa come (i, xxviii), 101 o ancora di quelli che fanno uso di parole antiche toscane,
che gi sono dalla consuetudine dei Toscani doggid riWutate. 102
Pi avanti, nellaVrontare unaltra virt del perfetto cortigiano, il saper disegnare ed
aver cognizion dellarte propria del dipingere (i, xlix), 103 lesercizio tecnico e il bagaglio
teorico-estetico, Castiglione riprende la questione dellimitazione e la svolge nellambito
delle arti. Parallelamente allo scrittore che imita con sprezzatura solo la semplice purit
naturale della lingua viva, il pittore e lo scultore conquistano gran laude imitando con gli
strumenti dellarte la nobile e gran pittura delluniverso, dipinto per man della natura e
di Dio, la machina del mondo, che noi veggiamo, secondo la cosmologia aristotelicotolemaica, collamplo cielo di chiare stelle tanto splendido e nel mezzo la terra dai mari
cinta, di monti, valli e Wumi variata e di s diversi alberi e vaghi Wori e derbe ornata. 104
La posizione del Castiglione viene raVorzata, nel corso della questione del primato tra
le arti, con gli interventi dello scultore Giovan Cristoforo Romano:
Ed a me par bene, che luna e laltra sia una artiWciosa imitazion di natura
(i, l); 105

e del conte Ludovico da Canossa:


E voi ben dite vero che e luna e laltra imitazion della natura.
(i, li) 106

Inoltre, aVrontando il nodo dellassegnazione del primato alla pittura o alla scultura, Castiglione analizza le ragioni a favore delluna e dellaltra e inWne assegna la palma alla
pittura, che pi nobile e pi capace dartiWcio che la marmoraria (i, lii). 107 Tra gli
artiWci 108 o strumenti propri della pittura Castiglione elenca le luci e le ombre (il chiaroscuro), la prospettiva, che caratterizza larte moderna, e limitazione dei colori naturali.
Ancora una volta Castiglione esibisce una profonda competenza in materia artistica e su
un tema allora molto discusso, come documentano i trattati di Leon Battista Alberti, De
statua (probabilmente anteriore al 1435) e De pictura (1436), il Libro di Pittura (tra Wne 400 e
inizio 500) di Leonardo da Vinci, il De sculptura (1504) di Pomponio Gaurico, linchiesta
epistolare del Varchi tra otto artisti (Giorgio Vasari, Jacopo Carrucci detto il Pontormo,
Agnolo Bronzino, Giovambattista del Tasso, Francesco da Sangallo, Niccol Tribolo,
Benvenuto Cellini, Michelangelo Buonarroti), i cui risultati sono esposti nella Lezzione
[] nella quale si disputa della maggioranza delle arti e qual sia pi nobile, la scultura o la pittura, fatta da lui pubblicamente nella Accademia Fiorentina la terza domenica di Quaresima, lanno
1546 [secondo lo stile Worentino, 1547 secondo lo stile comune], pubblicata qualche anno
dopo, e il Proemio delle Vite del Vasari: 109
alle statue mancano molte cose che non mancano alle pitture, e massimamente i lumi e lombre;
perch altro lume fa la carne ed altro fa il marmo; e questo naturalmente imita il pittore col chiaro
e scuro, pi o meno, secondo il bisogno; il che non po far il marmorario. E se ben il pittore non fa
la Wgura tonda, fa que musculi e membri tondeggiati di sorte che vanno a ritrovar quelle parti che
non si veggono con tal maniera, che benissimo comprender si po che l pittor ancor quelle conosce
ed intende. Ed a questo bisogna un altro artiWcio maggiore in far quelle membra che scortano e
diminuiscono a proporzion della vista con ragion di prospettiva; la qual per forza di linee misurate,
101. Ibidem.
102. Ibidem.
103. Ivi, p. 176.
104. Ivi, p. 177.
105. Ivi, p. 179.
106. Ivi, p. 180.
107. Ivi, p. 181.
108. Sui vari signiWcati di questa voce cfr. B. Orsini, artiWcio, in L. Grassi, M. Pepe, Dizionario di arte, cit., pp. 75-76.
109. Cfr. P. Sabbatino, Scrittura e scultura nellumanista napoletano Pomponio Gaurico, in P. Gaurico, De sculptura, a cura di
P. Cutolo, Napoli, esi, 1999, part. pp. 27-32.

il trionfo della galatea e il libro del cortegiano

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di colori, di lumi e dombre vi mostra ancora in una superWcie di muro dritto il piano e l lontano,
pi o meno come gli piace. Parvi poi che di poco momento sia la imitazione dei colori naturali in
contrafar le carni, i panni e tutte laltre cose colorate? Questo far non po gi il marmorario, n
meno esprimer la graziosa vista degli occhi neri o azzurri, col splendor di que raggi amorosi. Non
po mostrare il color de capegli Xavi, non lo splendor dellarme, non una oscura notte, non una
tempesta di mare, non que lampi e saette, non lo incendio duna citt, non il nascere dellaurora di
color di rose, con quei raggi doro e di porpora; non po in somma mostrare cielo, mare, terra,
monti, selve, prati, giardini, Wumi, citt n case; il che tutto fa il pittore.
(i, li) 110

Se la pittura, dunque, ha un maggior numero di artiWci, 111 i quali rendono possibile una
pi artiWciosa imitazione della natura rispetto alla scultura, conclude il conte Ludovico da
Canossa, conveniente per il cortigiano avere cognizione della pittura, onorata e apprezzata nellantichit classica, quando era in auge il valore militare, purtroppo in decadenza nel presente:
Per basti solamente dire che al nostro cortegiano conviensi ancor della pittura aver notizia, essendo onesta ed utile ed apprezzata in que tempi che gli omini erano di molto maggior valore, che ora
non sono; e quando mai altra utilit o piacer non se ne traesse, oltre che giovi a saper giudicar la
eccellenzia delle statue antiche e moderne, di vasi, dediWci, di medaglie, di camei, dentagli e tai
cose, fa conoscer ancor la bellezza dei corpi vivi, non solamente nella delicatura de volti, ma nella
proporzion di tutto il resto, cos degli omini come di ogni altro animale. Vedete adunque come lo
avere cognizione della pittura sia causa di grandissimo piacere. E questo pensino quei che tanto
godono contemplando le bellezze duna donna che par lor essere in paradiso, e pur non sanno
dipingere; il che se sapessero, aran molto maggior contento, perch pi perfettamente conoscerano quella bellezza, che nel cor genera lor tanta satisfazione.
(i, lii) 112

Laver notizia della pittura fornisce al cortigiano la formazione estetica e il sapere necessario per esprimere giudizi sullintero ambito artistico (quadri, statue, ediWci e oggetti
prodotti dalle arti minori: vasi, medaglie, cammei, incisioni su pietra o legno), con il conseguente risvolto di trasformare la sua casa in un museo, selezionando gli oggetti artistici e di lusso, i beni di consumo che faranno per secoli la diVerenza del suo status, connotandolo esteticamente. 113 Inoltre la cultura artistica fa conoscere al cortigiano in modo
pi profondo, alla pari del pittore, la bellezza dei corpi, non fermandosi alla delicatura
dei volti, ma andando oltre, nellosservazione della misura delle singole parti e dellarmonia dellinsieme, nel cogliere la grazia. Dunque il piacere estetico del pittore e del cortigiano, procurato dalla competenza artistica di entrambi, il piacere della mente, consente
una pi perfetta conoscenza della bellezza dei corpi ed necessariamente superiore al
piacere dellocchio Wsico.
A questo proposito Castiglione preleva dalla letteratura latina ben due aneddoti, largamente diVusi lungo lUmanesimo e il Rinascimento, che ruotano attorno a due Wgure di
artisti, Apelle e Zeusi. Luno diviene esemplare della pi perfetta conoscenza della bellezza dei corpi da parte dei pittori e laltro del perfettissimo giudicio di bellezza che pu
essere raggiunto dagli artisti e quindi da parte dei cortigiani che fanno proprio il sapere
estetico:
quegli amori che solamente nascono dalla bellezza che superWcialmente vedemo nei corpi, senza
dubbio daranno molto maggior piacere a chi pi la conoscer, che a chi meno. Per [] penso che
molto pi godesse Apelle contemplando la bellezza di Campaspe, che non faceva Alessandro; perch facilmente si po creder che lamor delluno e dellaltro derivasse solamente da quella bellezza;
110. B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, ed. Maier, pp. 180-181.
111. Sugli artiWci della pittura (luce, tenebre, colore, corpo, Wgura, sito, remozione, propinquit, movimento e stasi) cfr.
Leonardo da Vinci, Libro di Pittura. Codice Urbinate lat. 1270 nella Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura di C. Pedretti, trascrizione critica di C. Vecce, i, Firenze, Giunti, 1995, part. capp. 33, 36, 438, 511.
112. B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, ed. Maier, pp. 183-184.
113. Cfr. Il Cortigiano. Guida alla lettura, a cura di A. Quondam, cit., p. 210.

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e che deliberasse forse ancor Alessandro per questo rispetto donarla a chi gli parve che pi perfettamente conoscer la potesse. Non avete voi letto che quelle cinque fanciulle da Crotone, le quali
tra laltre di quel populo elesse Zeusi pittore per far de tutte cinque una sola Wgura eccellentissima
di bellezza, furono celebrate da molti poeti, come quelle che per belle erano state approvate da
colui, che perfettissimo giudicio di bellezza aver dovea? 114

Nellutilizzare laneddoto di Apelle che dipinge Campaspe la donna amata da Alessandro


Magno, Castiglione va oltre la fonte pliniana (Naturalis Historia, xxxv, 86), 115 in cui latto di
donare la donna allartista riportato come esempio di stima da parte di Alessandro Magno per il pittore, e oVre una personale interpretazione (penso, facilmente si po creder) dello speciWco operare dellartista, il quale ha gli strumenti estetici per conoscere
con la mente pi perfettamente la bellezza di un corpo ed per questo in grado di
provare un amore pi profondo rispetto a chi si limita a conoscere la bellezza solo con gli
occhi. 116
Nellutilizzare laneddoto di Zeusi che dipinge Elena selezionando le parti pi perfette
delle cinque vergini pi belle di Crotone (Cicerone, De inventione, ii, 1, 1-3), 117 Castiglione
evidenzia alcune tessere p. es. per far de tutte cinque una sola Wgura eccellentissima di
bellezza, il perfettissimo giudicio di bellezza di Zeusi nel vedere e selezionare le pi
belle , le quali richiamano fortemente la lettera di RaVaello, l dove lartista aveva
aVermato limproponibilit dellimitazione della natura, lamentando ironicamente la carestia e de buoni giudicii e di belle donne. In tal modo si rilancia a distanza la diversit
tra due concezioni estetiche, contrapponendo allIdea della bellezza la bellezza naturale e
allimitazione dellidea limitazione della natura.
Nella replica a RaVaello, il Castiglione tranquillizza i destinatari esterni dellopera, che
ebbe grande fortuna in Italia e in Europa, e sancisce il suo credo, trasmettendolo alluomo
di corte: ci sono ancora belle donne e il cortigiano, al quale conviene acquisire la cultura
estetica necessaria per conoscere la bellezza dei corpi vivi, pu svolgere il ruolo di giudice.
Il messaggio destinato anche alle donne di palazzo che, occupando ruoli non secondari
nel dialogo e sulla scena reale della corte, nutrono e inseguono la bellezza del corpo: ci
sono ancora buoni giudici di bellezza e c ancora il piacere di vedere alcuna donna (i,
liii), 118 anzi quanto pi luomo di corte in grado di conoscere con il sapere estetico e con la
mente la bellezza femminile, che superWcialmente vedemo nei corpi con gli occhi, tanto
pi lamore, che da quella bellezza nasce, sar profondo e dar molto maggior piacere. 119
114. B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, ed. Maier, p. 185.
115. G. Plinio Secondo, Storia naturale, traduzione e note di A. Corso, R. Mugellesi, G. Rosati, V. Mineralogia e Storia
dellarte. Libri 33-37, Torino, Einaudi, 1988, pp. 382-84: Alexander honorem ei clarissimo perhibuit exemplo. Namque cum
dilectam sibi e pallacis suis praecipue, nomine Pancaspen, nudam pingi ob admirationem formae ab Apelle iussisset eumque,
dum paret, captum amore sensisset, dono dedit ei, magnus animo, maior imperio sui nec minor hoc facto quam victoria
aliqua. Quippe se vicit, nec torum tantum suum, sed etiam adfectum donavit artiWci, ne dilectae quidem respectu motus, cum
modo regis ea fuisset, modo pictoris esset (Alessandro con un episodio famosissimo gli dimostr tutta la sua stima. Avendo
infatti ordinato ad Apelle di dipingere nuda per la bellezza delle forme Pancaspe, una delle sue favorite, predilette fra le altre,
ed essendosi accorto che lui, mentre eseguiva lordine, se ne era innamorato, don a lui la donna: fu grande nellanimo, ma
ancor pi grande per il controllo di s, e non meno illustre per questo episodio che per una qualsiasi altra vittoria: infatti egli
vinse su se stesso e non don allartista solo la sua concubina, ma anche una donna a lui cara, senza essere neppure turbato dal
rispetto per i sentimenti della sua favorita, lei che, essendo stata Wno a ieri la donna del re, ora era la donna di un pittore).
116. Laneddoto di Apelle viene citato dal Castiglione anche in i, lii, nellelenco degli elementi che provano la maggiore
nobilt della pittura rispetto alla scultura: penso che presso gli antichi [la pittura] fosse di suprema eccellenzia come laltre
cose; il che si conosce ancor per alcune piccole reliquie che restano, massimamente nelle grotte di Roma, ma molto pi
chiaramente si po comprendere per i scritti antichi, nei quali sono tante onorate e frequenti menzioni e delle opre e dei
maestri; e per quelli intendesi quanto fossero appresso i gran signori e le republiche sempre onorati. Per si legge che Alessandro am sommamente Apelle Efesio e tanto, che avendogli fatto ritrar nuda una sua carissima donna ed intendendo il bon
pittore per la maravigliosa bellezza di quella restarne ardentissimamente inamorato, senza rispetto alcuno gliela don: liberalit veramente degna dAlessandro, non solamente donar tesori e stati, ma i suoi proprii aVetti e desidri; e segno di grandissimo amor verso Apelle, non avendo avuto rispetto, per compiacer a lui, di dispiacere a quella donna che sommamente
amava; la qual creder si po che molto si dolesse di cambiar un tanto re con un pittore. [] E molti nobili scrittori hanno
ancora di questa arte scritto; il che assai gran segno per dimostrare in quanta estimazione ella fosse (B. Castiglione, Il libro
del Cortegiano, ed. Maier, pp. 181-183).
117. Sulle fonti dellaneddoto di Elena dipinta da Zeusi cfr. P. Sabbatino, La bellezza di Elena, cit., pp. 14-20.
118. B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, ed. Maier, p. 184.
119. Ivi, p. 185.

il trionfo della galatea e il libro del cortegiano

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Ecco, in sintesi, lo statuto della vita cortigiana, che si fonda sulla gara tra la donna di
palazzo e luomo di corte. Se da una parte la donna di palazzo mossa dal desiderio di
tendere alla bellezza, quale appare nei corpi e massimamente nei volti, utilizzando tutti
gli strumenti a disposizione (abbigliamento, gioielli, cosmetici, ecc.) per evidenziare i tratti
belli e per nascondere gli inevitabili difetti, dallaltra parte luomo di corte, che ha il sapere estetico, mosso come sempre dalla primaria conoscenza di quella bellezza con gli
occhi ed in grado di raggiungere una conoscenza pi perfetta con la mente, con il conseguente amore, cio il desiderio di fruirne.
Il passaggio dalla conoscenza della bellezza alla fruizione della bellezza viene delineato, nel l. iv, dal personaggio Pietro Bembo, utilizzato da Castiglione, pittor di verit,
per concludere il ritratto del cortigiano:
Dico adunque che, secondo che dagli antichi savi diYnito, amor non altro che un certo desiderio di fruir la bellezza; e perch il desiderio non appetisce se non le cose conosciute, bisogna sempre che la cognizion preceda il desiderio; il quale per sua natura vuole il bene, ma da s cieco e
non lo conosce.
(iv, li) 120

Tutte le sequenze della genesi del desiderio di fruire la bellezza vengono esaminate dal
personaggio Pietro Bembo, che riassume le linee portanti degli Asolani (1505). Il Bembo di
Castiglione va dalla deWnizione Wciniana della bellezza come inXusso della bont divina
che illumina i corpi e i volti misurati e composti, rendendoli bellissimi e mirabili, allattrazione che quei corpi e quei volti esercitano sugli occhi, dalla penetrazione della bellezza
attraverso gli occhi nellanima, dove si imprime facendola vibrare di emozioni e gioie con
una nuova soavit, alla nascita del desiderio di fruire quella bellezza che accende lanima:
Ma parlando della bellezza che noi intendemo, [] diremo che un inXusso della bont divina, il
quale, bench si spanda sopra tutte le cose create come il lume del sole, pur quando trova un volto
ben misurato e composto con una certa gioconda concordia di colori distinti ed aiutati dai lumi e
dallombre e da una ordinata distanzia e termini di linee, vi sinfonde e si dimostra bellissimo, e
quel subietto ove riluce adorna ed illumina duna grazia e splendor mirabile, a guisa di raggio di
sole che percuota in un bel vaso doro terso e variato di preciose gemme; onde piacevolmente tira
a s gli occhi umani e per quelli penetrando simprime nellanima, e con una nova suavit tutta la
commove e diletta, ed accendendola da lei desiderar si fa.
(iv, lii) 121

Per quanto riguarda il desiderio di fruire la bellezza di un corpo ci sono percorsi alternativi,
come nella lettera pitagorica, da una parte quello guidato dal senso e dallaltra quello guidato dalla ragione. Nel primo caso luomo di corte incorre in gravissimi errori e giudica che l
corpo, nel qual si vede la bellezza, sia la causa principal di quella e non leVetto della bont
divina, onde per fruirla estima essere necessario lunirsi intimamente pi che po con quel
corpo; il che falso; e per chi pensa, possedendo il corpo, fruir la bellezza, singanna e vien
mosso [] da falsa opinion per lappetito del senso; onde il piacer che ne segue esso ancora
necessariamente falso e mendoso. 122 Solo nel secondo caso, luomo di corte guidato dalla
ragione evita i lacci dellinganno, giudica che la causa della bellezza del corpo e del volto sia
nellinXusso divino e ritiene necessario per possederla perfettamente e per fruirla elevarsi a
Dio con lintelletto, raggiungendo cos con una ascesi spirituale il vero bene.
Il ritratto del perfetto cortigiano, collocato allinterno della pittura della corte dUrbino, appare concluso solo nel l. iv. Se, durante il gioco del formare con parole un perfetto cortegiano (i, xii), 123 laVermazione iniziale di Ludovico di Canossa, sui rapporti tra il
cortigiano e la pittura:
120. Ivi, p. 522.
121. Ivi, p. 523.
122. Ivi, pp. 523-524.
123. Ivi, pp. 102-103.

48

pasquale sabbatino

penso che dal nostro cortegiano per alcun modo non debba esser lasciata addietro: e questo il
saper disegnare ed aver cognizion dellarte propria del dipingere.
(i, xlix) 124

punta sullabilitazione del cortigiano a una conoscenza pi piena con il sapere estetico
della bellezza dei corpi e dei volti, il discorso Wnale del Bembo sul desiderio che prova il
cortigiano di fruire la bellezza conosciuta e sulla conseguente ascesi mistica dalla bellezza
particolare alla bellezza divina, dalla Venere terrena alla Venere celeste (iv, lxvi-lxviii),
svela lobiettivo capitale del Castiglione, quello di coniugare nel ritratto del nuovo cortigiano codice sociale e codice WlosoWco, comportamento e cultura, professionalit speciWca e neoplatonismo.
Universit degli Studi di Napoli Federico II

124. Ivi, p. 176.

Pasquale Sabbatino
SANNAZARO E LA CULTURA NAPOLETANA
NELLEUROPA DEL RINASCIMENTO
Tessere per la geografia e la storia della letteratura***
Tra fine Quattrocento e inizio Cinquecento la cultura napoletana gode una propria
autonomia, dialoga alla pari con altri centri della nostra Penisola (in particolare Firenze,
Venezia e Roma) e mostra un respiro europeo. Il profilo critico del Sannazaro (14571530) offre numerose tessere per ridisegnare la geografia e la storia del Rinascimento,
mettendo a frutto la lezione metodologica di Dionisotti, i risultati ancora parziali della
filologia, da estendere auspicabilmente allintero corpo delle opere, e infine la bibliografia
specifica prodotta negli ultimi decenni.
Nel delineare il profilo critico del Sannazaro, che presenta due stagioni (aragonese
prima, vicereale poi) segnate dalla frattura biografica1 dellesilio volontario in Francia,
opportuno portare lattenzione almeno su alcuni poli: a) il rapporto tra la cultura
napoletana rappresentata da Sannazaro e la cultura veneziana rappresentata da Pietro
Bembo; b) il contributo e la funzione del Sannazaro nello scacchiere europeo
dellumanesimo latino e della letteratura mariana, che ha la capitale nella citt eterna dei
papi medicei; c) lintreccio tra letteratura e arti figurative.
1. La stagione aragonese
Prendiamo le mosse tatticamente dall solo grande avvenimento della [] esistenza
di cortigiano del Sannazaro.2 Nel settembre del 1501, in seguito alloccupazione francese
del Regno, il quarantaquattrenne Sannazaro, per non mancare al vero officio di perfetto
e onorato cavaliero in seguitare la adversa fortuna del suo re (dedica Al Reverendissimo e
Illustrissimo Signor Cardinale di Aragona, firmata da Pietro Summonte e premessa
allArcadia),3 abbandon Napoli e lItalia e accompagn Federico dAragona nellesilio in
Francia insieme ad un gruppo di fedelissimi.
Lasciava alle spalle una citt abitata da meno di 100.000 abitanti, la Napoli gentile,
anzi quello che rimaneva della Napoli gentile del secondo Quattrocento, dalle
proporzioni equilibrate, a misura duomo, delicata, affabile e discreta nella sua
socievolezza, gentile di nobilt e di finezza,4 raffigurata nella Tavola Strozzi5 e celebrata
La versione definitiva di questo lavoro apparsa in Iacopo Sannazaro. La cultura napoletana nellEuropa
del Rinascimento, a cura di Pasquale Sabbatino, Firenze, Olschki, 2009.
1 M. CORTI, Sannazaro Iacobo, in Dizionario critico della letteratura italiana, dir. V. Branca, vol. 4, Torino, UTET,
19862, p. 83.
2 Ibidem.
3 Si cita da I. SANNAZARO, Arcadia / LArcadie, dition critique par F. Erspamer, introduction, traduction,
notes et tables par G. Marino, avec une prface de Y. Bonnefoy, Paris, Les Belles Lettres, 2004, p. 3.
4 G. GALASSO, Napoli capitale. Identit politica e identit cittadina. Studi e ricerche 1266-1860, Napoli, Electa, 1998, p.
132.
5 Il dipinto rappresenta la flotta aragonese che, dopo la vittoria del 6 luglio 1465 contro il pretendente al trono
Giovanni dAngi e la flotta angioina nelle acque dellisola dIschia, ritorna trionfalmente nel porto di Napoli.
***

tra il 1474-1476 dal toscano Francesco Bandini (da ogni banda che tu ti volgi, tu vedi
cose liete et gentili).6 Il ritratto di questa Napoli gentile, accostabile alla Tavola Strozzi, ma non dipendente, n influenzato come invece ipotizza Erspamer -,7 ci viene offerto dal
Sannazaro nella prosa XI, 5-6 dellArcadia:
A questa cogitazione ancora si aggiunse il ricordarmi de le magnificenzie de la mia nobile e generosissima
patria: la quale, di tesori abondevole e di ricco e onorato populo copiosa, oltra al grande circuito de le
belle mura contiene in s il mirabilissimo porto, universale albergo di tutto il mondo, e con questo le alte
torri, i ricchi templi, i superbi palazzi, i grandi e onorati seggi de nostri patriz, e le strade piene di donne
bellissime e di leggiadri e riguardevoli gioveni.8

Nella Napoli aragonese, il cui rinnovamento culturale e artistico era stato


promosso da Alfonso il Magnanimo tra gli anni Quaranta e Cinquanta, Sannazaro
aveva ricevuto una formazione classicistica, frequentando la scuola del grammatico
Lucio Crasso 9 e del maestro di retorica Giuniano Maio, lettori presso lo Studio. Aveva
maturato una lunga esperienza cortigiana, come letterato e come guerriero, dal 1481 al
1494 presso Alfonso d'Aragona duca di Calabria 10 e, dopo la breve permanenza del
sovrano francese Calo VIII (febbraio-luglio 1495), presso Federico d'Aragona re di
Napoli dal 1496 al 1501. Una lunga fedelt, dunque, alla casa aragonese, sino alla fine.11
La Tavola Strozzi, secondo Spinosa, la pi antica e pi completa rappresentazione dellillustre capitale
meridionale come insieme straordinario di paesaggio urbano e naturale, eccezionale documento, al di l delle
sue qualit in alcuni tratti decisamente modeste, di un nuovo concetto di percezione visiva e di traduzione
pittorica della citt nella sua interezza, raffigurata oggettivamente e analiticamente come concreta successione
di case e castelli, di chiese e conventi, di orti e giardini, di colline e promontori, in una rete fittissima e intricata
di vicoli e slarghi, di cardini e decumani. Cfr. Vedute napoletane dal Quattrocento allOttocento, a cura di N.
Spinosa, Napoli, Electa, 1996, p. 8. Sul nodo della datazione e sulle diverse ipotesi cfr. C. DE SETA, Napoli fra
Rinascimento e Illuminismo, Napoli, Electa, 1991, pp. 11 ss.; M. DEL TREPPO, Le avventure storiografiche della Tavola
Strozzi, in Fra storia e storiografia. Scritti in onore di Pasquale Villani, a cura di P. Macry e A. Massafra, Bologna,Il
Mulino, 1994, pp. 483-515.
6 F. BANDINI, In laudem Neapolitane civitatis et Ferdinandi regis brevis epistola ad amicum (1474-1476 circa). Cfr. P.
O. KRISTELLER, An unpublished Description of Naples by Francesco Bandini, in Studies in Renaissance Thought and
Letters, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1984, pp. 405-10.
7 Cfr. F. ERSPAMER, Introduzione a I. SANNAZARO, Arcadia, Milano, Mursia, 1990, p. 11 e il commento a p.
194, nota 5.
8 SANNAZARO, Arcadia / LArcadie cit., pp. 199-201.
9 NellAsinus Pontano cita Lucio Crasso e Sannazaro lo rievoca in El., I, I e I, II.
10 Sannazaro, che apparteneva alla nobilt cittadina dei Seggi, fu al seguito di Alfonso dAragona nella guerra
di Ferrara (1482-84) e nella spedizione (1485-86) contro Innocenzo VIII, con il quale si erano alleati i baroni
ribelli. Alfonso dAragona, alla morte (1494) del padre Ferrante I, divenne re di Napoli con il nome di
Alfonso II. Nel fonteggiare Carlo VIII, che tentava di riconquistare il trono di Napoli, fu sconfitto. Abdic
nel 1495 in favore del primogenito Ferdinando II (detto Ferrandino) e si spense nel dicembre 1495 a Messina,
dove si era ritirato.
11 Invece sulla posizione di Pontano, il quale consegn le chiavi di Castel Nuovo a Carlo VIII e pronunci
secondo Guicciardini (Storia dItalia, lib. II, cap. 3) il discorso per lincoronazione spingendosi fino a masgnificare
ufficialmente il vincitore del suo re (F. ARNALDI, Nota introduttiva a G. G. PONTANO, Poesie latine, a cura di L. Monti
Sabia, Torino, Einaudi 1977, p. XVI), si a lungo discusso tra i sostenitori dellopportunismo e i sostenitori
della fedelt. [] stato dimostrato afferma L. Monti Sabia (Prolusione, in Atti della Giornata di studi per il V
centenario della morte di Giovanni Pontano, a cura di A. Garzya, Napoli, Accademia Pontaniana, 2004, pp. 22-23)
che il Pontano, rimasto a Napoli daccordo con Ferrante II, si limit a consegnare a Carlo VIII le chiavi della
citt col consenso del suo re e nella qualit di personaggio pi eminente dellantico regime; al pi possiamo
pensare che egli abbia accompagnato il gesto con un discorso doccasione, teso ad ottenere per la citt un
trattamento umano e solide garanzie da parte del nuovo signore. Ad ogni modo il Pontano non era mai stato
prima n fu mai in seguito favorevole ai Francesi.

In questo arco di tempo Sannazaro si era mosso nellorizzonte del bilinguismo


letterario. Sin dagli anni Ottanta aveva frequentato il centro della nuova cultura umanistica,
lAccademia istituita da Alfonso il Magnanimo e guidata da Giovanni Pontano, subentrato
ad Antonio Panormita e pi anziano del Sannazaro di una generazione (circa 25 anni). Nel
1499, il settantenne Pontano aveva dedicato al Sannazaro il dialogo Actius, un trattato sulla
retorica che ha, col senno di poi, il sapore di un passaggio di testimone. Il ricordo della
scuola pontaniana fissato da Sannazaro nellegloga decima dellArcadia, dove il pastore
Selvaggio, narrando in terzine di endecasillabi sdruccioli lauspicio per lesule Sincero del
ritorno a Napoli, lalta cittade (v. 26), alta per nobilt ma anche per le armi e per le
lettere, tesse lelogio dellAccademia (dotte selve, v. 35), nella quale larte di Febo gareggia
(certa, v. 38) con larte di Pallade, la poesia con la scienza.12
Rientrano nellambito della prima fase dellumanesimo latino del Sannazaro alcuni
carmi ad es. quelli dedicati a Lucio Crasso (elegia I, 1) e allamica Carmosina (ivi, I, 3) - e il
poemetto esametrico Salices,13 dedicato a Troiano Cavaniglia, signore di Troia e Montella e
membro dellAccademia Pontaniana.14 Sulle orme del poema latino di Ovidio e di una
consolidata tradizione umanistica, dal Ninfale fiesolano di Boccaccio allecloga Coryle di
Pontano,15 Sannazaro narra di Ninfe insediate dai Satiri nei boschi della Campania e
trasformate in salici sulle rive del fiume Sarno,16 oggi il pi inquinato dEuropa.
Nella stagione aragonese Sannazaro aveva nutrito una forte passione, mai assopita,
per le reliquie dellantichit di Pozzuoli e dei Campi Flegrei, i luoghi virgiliani gi meta di
turismo culturale. Nel 1489 aveva accompagnato nella visita archeologica fra Giocondo da
Verona,17 studioso di Vitruvio e di antichit, il quale in veste di architetto del duca di
Calabria oper a Napoli, tra il 1489 e il 1495, nella costruzione della Villa di Poggioreale,18
progettata da Giuliano da Maiano (morto a Napoli nel 1490), larchitetto della Porta
Capuana (1484)19 edificata nella murazione aragonese.20 Inoltre Sannazaro aveva
mostrato grande attenzione per le arti figurative, come documenta, in Arcadia, XI, 35-38, la
Su altre possibili interpretazioni dellarte di Febo e dellarte di Pallade cfr. SANNAZARO, Arcadia, a cura di
F. Erspamer, op. cit., pp. 183-84, nota 38.
13 Fu dato alle stampe nelledizione napoletana del 1526 del De partu Virginis, insieme con le Eclogae e la
Lamentatio de morte Christi.
14 Cfr. F. PETRUCCI, Cavaniglia Troiano, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 23, Roma, Istituto
dellEnciclopedia Italiana, 1979, pp. 15-16.
15 Il Pontano dedica Coryle al Sannazaro. Cfr. G. PONTANO, Eclogae, a cura di L. Monti Sabia, Napoli, Liguori,
1973, pp. 8-12 e 119-34. Si veda inoltre L. MONTI SABIA, Esegesi e preistoria del testo della Coryle del Pontano,
Rendiconti dellAccademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli, 45, 1970, pp. 159-204.
16 Cfr. A. DI STEFANO, I Salices del Sannazaro, in La Serenissima e il Regno. Nel V centenario dellArcadia di Iacopo
Sannazaro. Atti del Convegno di Studi (Bari-Venezia, 4-8 ottobre 2004) raccolti da D. Canfora e A. Caracciolo
Aric, prefazione di F. Tateo, Bari, Cacucci editore, 2006, pp. 217-44.
17 Sullamicizia tra Sannazaro e fra Giocondo si vedano gli accenni presenti nella biografia del frate (Vite di fra
Iocondo e di Liberale e daltri veronesi), che Vasari aggiunse nelledizione giuntina delle Vite (1568). Cfr. G. VASARI,
Le vite de pi eccellenti pittori scultori e architetti nelle redazioni del 1550 e 1568. Testo a cura di R. Bettarini,
commento secolare a cura di P. Barocchi, IV, Firenze, S.P.E.S., 1976, pp. 559-565.
18 Cfr. R. DE FUSCO, Larchitettura del Quattrocento, Torino, UTET, 1984, pp. 205-9 (La Villa di Poggioreale).
19 Cfr. G. VASARI, Le vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue a tempi nostri. Nelledizione
per i tipi di Lorenzo Torrentino Firenze 1550, a cura di L. Bellosi e A. Rossi, presentazione di G. Previtali, Torino,
Einaudi, 1986, p. 351 (Fece Giuliano ancora di marmo lornamento della Porta Capovana, et in quella infinit
di trofei variati; per il che merit che quel re gli portasse grande amore, e remunerandolo altamente delle
fatiche, adagiasse i suoi descendenti). Nella nota i curatori precisano: La porta Capuana fu costruita sotto
Ferdinando I intorno al 1484. Le sculture decorative furono per eseguite nel 1535 da Giovanni Marliano da
Nola per lingresso trionfale dellimperatore Carlo V.
20 DE FUSCO, Larchitettura del Quattrocento cit., p. 81.
12

descrizione delle due scene (la nuda ninfa, seduta su un otre, allatta un piccolo satirello; due
fanciulli mascherati cacciano le mani attraverso la bocca della maschera e spaventano altri
due fanciulli) di un disegno, conservato al Louvre (Dpt. des Arts graphiques, inv. 5072,
nouv. 2854),21 del pittore e incisore mantovano Andrea Mantegna:
E subito [Ergasto] ordin i prem a coloro che lottare volessono, offrendo di dare al vincitore un bel
vaso di legno di acero, ove per mano del padoano Mantegna, artefice sovra tutti gli altri accorto e
ingegnosissimo, eran dipinte molte cose; ma tra l'altre una ninfa ignuda con tutti i membri bellissimi,
dai piedi in fuori, che erano come quegli de le capre. La quale, sovra un gonfiato otre sedendo,
lattava un picciolo satirello, e con tanta tenerezza il mirava che parea che di amore e di carit tutta si
struggesse; e 'l fanciullo ne l'una mammella poppava, ne l'altra tenea distesa la tenera mano, e con
l'occhio la si guardava, quasi temendo che tolta non gli fosse. Poco discosto da costoro si vedean
duo fanciulli pur nudi, i quali, avendosi posti duo volti orribili di mascare, cacciavano per le bocche
di quelli le picciole mani per porre spavento a duo altri che davanti gli stavano; de' quali l'uno
fuggendo si volgea indietro e per paura gridava, l'altro caduto gi in terra piangeva e, non possendosi
altrimente aitare, stendeva la mano per graffiarlo. Ma di fuori del vaso correva a torno a torno una
vite carica di mature uve; e ne l'un de' capi di quella un serpe si avolgeva con la coda, e con la bocca
aperta venendo a trovare il labro del vaso formava un bellissimo e strano manico da tenerlo. 22

Il caso della conformit tra il genio di Mantegna e il genio di Sannazaro fu ripreso


nel Trattato dellarte della pittura, scoltura et architettura (1584) da Gian Paolo Lomazzo, il
quale redige un interessante elenco di altre coppie di artisti e poeti, come Omero e
Leonardo, Virgilio e Polidoro, Dante e Michelangelo, Petrarca e Raffaello, Ariosto e
Tiziano. Tuttavia, se nelle altre coppie larte che si conforma alla letteratura, nel caso
di Mantegna e Sannazaro la letteratura che si conforma allarte, il poeta al pittore:
E da questa conformit generale che diciamo trovarsi fra pittori e poeti, ne segue anco una
partricolare, che un pittore ha avuto naturalmente un genio pi conforme ad un poeta che ad un
altro; e nel suo operare ha seguito quello, come facile a ciascuno losservarlo ne pittori moderni.
Perch si vede che Leonardo ha espresso i moti e decori di Omero; Polidoro la grandezza e furia di
Virgilio; il Buonarotto loscurezza profonda di Dante; Raffaello la pura maest del Petrarca, Andrea
Mantegna lacuta prudenza del Sannazaro, Tiziano la variet dellAriosto e Gaudenzio la devozione
che si trova espressa ne libri de santi. 23

Ritornando alla stagione aragonese, Sannazaro aveva seguito con particolare


attenzione la letteratura volgare di indirizzo toscano, prodotta a Napoli negli anni Ottanta
anche sullonda della famosa Raccolta aragonese (1476) indirizzata da Lorenzo de Medici e
Poliziano al principe Federico dAragona (figlio di Ferrante). Aveva avuto grande
ammirazione per Giovanni Francesco Caracciolo, autore del canzoniere petrarchista Argo
pubblicato solo nel 1506 (Napoli, De Caneto) insieme agli Amori, e per il Cariteo (il
barcellonese Benedetto Gareth ben presto trasferito a Napoli), autore di un altro
canzoniere Endimione apparso nello stesso anno e presso lo stesso tipografo napoletano. Il
La sceconda scena corrisponde al disegno di Mantegna: cfr. O. KURZ, Sannazaro and Mantegna, in Studi in
onore di Riccardo Filangieri, vol. 2, Napoli, Larte tipografica, 1959, pp. 277-83. Marino, in SANNAZARO, Arcadia
/ LArcadie cit., p. 210, nota 14, segnala che, secondo P. Holberton (Poetry and painting in the time of Giorgione,
Londres, Warburg Institute, 1989, PP. 296-300), il disegno del Louvre una copia di Girolamo Mocetto da
Mantegna e che la prima scena apparat, presque entirement tronque mais encore reconnaissable, sur le
bord droit de la feuille
22 SANNAZARO, Arcadia / LArcadie cit., p. 211.
23 G. P. LOMAZZO, Scritti sulle arti, a cura di R. P. Ciardi, vol. 2, Firenze, Centro Di, 1974, p. 246.
21

poeta Caracciolo viene celebrato nellegloga X, 40-45, dove gli si riconosce un complesso
ideale di cultura che coniuga la poesia con la scienza della natura e con larte medica, in un
interessante insieme che comprende perfino la magia in quanto conoscenza del mondo
naturale e capacit di intervento su di esso:24
Ma a guisa dun bel sol fra tutti rada
Caracciol, che n sonar sampogne o cetere
non troverebbe il pari in tutta Arcada.
Costui non impar putare o metere,
ma curar greggi da la infetta scabba
e passon sanar maligne e vetere.25

E pi avanti, nella prosa XI, 7, Sannazaro tesse le lodi del poeta volgare:
E sopra tutto mi piacque udirla comendare de stud de la eloquenzia e de la divina altezza de la poesia, e
tra le altre cose de le merite lode del mio virtuosissimo Caracciolo, non picciola gloria de le volgari Muse
[].26

Il Cariteo viene ricordato da Sincero, sulla scena dellArcadia (II, 8), come guardiano
di armenti nelle selve napoletane e intagliatore di un prezioso bastone di mirto, con il
manico a forma di testa di ariete, che Sincero promette in dono al pastore Montano per il
suo cantare in un giorno particolarmente caldo:
E acci che tu non creda che le tue fatiche si spargano al vento, io ho un bastone di noderoso mirto,
le cui extremit son tutte ornate di forbito piombo e ne la sua cima intagliata, per man di Cariteo,
bifolco venuto da la fruttifera Ispagna, una testa di ariete, con le corna s maestrevolmente lavorate,
che Toribio, pastore oltra gli altri ricchissimo, mi volse per quello dare un cane, animoso
strangulatore di lupi, n per lusinghe o patti che mi offerisse il poteo egli da me giamai impetrare. Or
questo, se tu vorrai cantare, fia tutto tuo. 27

Nella prosa XII, 48-53, quando Sincero ritornato nelle selve napoletane, i pastori
Cariteo detto Barcinio (perch originario di Barcellona, lat. Barcino) e Summonte
appaiono ai piedi di un colle, perlopi identificato con il monte Somma:
E volendo io pi oltre andare, trovai per sorte appi de la non alta salita Barcinio e Summonzio,
pastori fra le nostre selve notissimi, i quali con le loro gregge al tepido sole, per che vento facea, si
erano retirati, e, per quanto dai gesti comprender si potea, mostravano di voler cantare. Onde io,
bench con le orecchie piene venisse de' canti di Arcadia, pur, per udire quelli del mio paese e vedere
in quanto gli si advicinasseno, non mi parve disdicevole il fermarmi, e a tanto altro tempo per me s
malamente dispeso, questo breve spazio, questa picciola dimoranza ancora aggiungere. Cos non
molto discosto da loro sovra la verde erba mi pusi a giacere, a la qual cosa mi porse ancor animo il
vedere che da essi conosciuto non era, tanto il cangiato abito e 'l soverchio dolore mi aveano in non
molto lungo tempo transfigurato. Ma rivolgendomi ora per la memoria il lor cantare, e con quali
accenti i casi del misero Meliseo deplorasseno, mi piace sommamente con attenzione avergli uditi,
Lorenzo Poliziano Sannazaro, nonch Poggio e Pontano, introduzione e cura di F. Tateo, Roma, Istituto poligrafico
e Zecca dello Stato, 2004, p. 725.
25 SANNAZARO, Arcadia / LArcadie cit., pp. 187-89.
26 Ivi, p. 201. Sannazaro vicino anche a Galeazzo, fratello di Giovan Francesco Caracciolo. Cfr. R. NALDI,
Girolamo Santacroce orafo e scultore napoletano del Cinquecento, Napoli, Electa, 1997, pp. 11-12.
27 SANNAZARO, Arcadia / LArcadie cit., p. 27.
24

non gi per conferirli con quegli che di l ascoltai, n per porre queste canzoni con quelle, ma per
allegrarmi del mio cielo, che non del tutto vacue abbia voluto lasciare le sue selve; le quali in ogni
tempo nobilissimi pastori han da s produtti, e dagli altri paesi con amorevoli accoglienze e materno
amore a s tirati. Onde mi si fa leggiero il credere che da vero in alcun tempo le Sirene vi abitasseno,
e con la dolcezza del cantare detinesseno quegli che per la lor via si andavano. Ma tornando omai ai
nostri pastori, poi che Barcinio per buono spazio assai dolcemente sonata ebbe la sua sampogna,
cominci cos a dire, col viso rivolto verso il compagno; il quale similmente assiso in una pietra,
stava per rispondergli attentissimo []. 28

Lintera egloga XII, fatta a imitazione della seconda delle Eclogae di Pontano, 29
un canto - secondo la finzione poetica - dei pastori Cariteo (Barcinio) e Summonte,
concluso da Meliseo (vv. 313-325), un personaggio prelevato dalle opere del maestro
Pontano (in particolare la seconda delle Eclogae), di cui lalter ego, 30 e inserito
nellopera sannazariana. In tal caso il dizionario dei personaggi della letteratura si
arricchisce di un altro caso di personaggio che ha il dono di una seconda vita.
Presso la corte di Alfonso dAragona il Sannazaro aveva scritto le sei farse a noi
pervenute, che sono le parti recitative di rappresentazioni allegoriche tenute a corte, il cui
tessuto linguistico fa propria la koin napoletano-cortigiana e talvolta sconfina verso esiti
dialettali.31 Allo stesso genere recitativo e allo stesso periodo (1490 circa) appartiene
lunico gliommero sicuramente sannazariano, Licinio, se l mio inzegno (tramandato da
due manoscritti: il parigino Ital. 1543 e il codice II, II, 75 della Biblioteca Nazionale di
Firenze, il secondo descriptus del primo), 32 in metro frottolesco con endecasillabi e
rimalmezzo, giocato sulla contrapposizione tra esiti linguistici bassi e vernacolari e
registro volgare elevato. 33 A questo va aggiunto, sulla scorta della recente attribuzione
al Sannazaro, 34 lo gliommero Eo non agio figli n fittigli (tramandato dal ms. Riccardiano
2752), 35 che presenta alcune affinit con lecloga Alphanio e Cicaro. 36
Ivi, p. 247.
In Meliseus a quo uxoris mors deploratur (Eclogae, II) Pontano (Meliseus) leva il canto funebre per la moglie
Adriana Sassone (Ariadna), spirata il 1 marzo 1490, attraverso il dialogo poetico di due pastori, Cicerisco e
Faburno. Cfr. G. G. PONTANO, Poesie latine, a cura di L. Monti Sabia, introduzione di F. Arnaldi, to. I, Torino,
Einaudi, 1977, pp. 58-73.
30 Cfr. P. SUMMONTE, Locorum aliquot in his Pontani libris, quae ob rerum novitatem non facile intelligi possint,
explanatio, in G. G. PONTANO, Carmina. Ecloghe-Elegie-Liriche, a cura di J. Oeschger, Bari, Laterza, 1948, p. 478
(Sub Melisei persona Pontanus intelligitur ut in ecloga illa, cuius titulus est Meliseus).
31 CORTI, Sannazaro Iacobo cit., pp. 84-85.
32 Cfr. la recente edizione critica, fondata sul testo trdito dal manoscritto parigino Ital. 1543: I. SANNAZARO,
Lo gliommero napoletano Licinio se'l mio inzegno, a cura di N. De Blasi, Napoli, Libreria Dante & Descartes,
seconda edizione ampliata, 19992.
33 Sul genere dello gliommero cfr. M. BERSANI, Farsa, intermezzo, gliommero. Appunti sul teatro del regno aragonese
di Napoli, Studi e problemi di critica testuale, XXVI, 1983, pp. 59-77; N. DE BLASI, Intrattenimento letterario e
generi conviviali (farsa, intramesa, gliommero) nella Napoli aragonese, in Passare il tempo. La letteratura del gioco e
dell'intrattenimento, Atti del Convegno internazionale di Pienza (10-14 settembre 1991), Roma, Salerno editrice, 1993,
pp. 129-59.
34 Cfr., in questi atti, N. DE BLASI, A proposito degli gliommeri dialettali di Sannazaro: ipotesi di una nuova attribuzione.
In precedenza G. PARENTI, Uno gliommero di P. J. De Jennaro, Studi di filologia italiana, XXXVI, 1978,
pp. 321-65, ha attribuito lo gliommero a De Jennaro, fondandosi su alcune affinit con lecloga Alphanio e
Cicaro, ritenuta a quella altezza cronologica di De Jennaro.
35 Edito da B. CROCE, Uno gliommero inedito del Quattrocento, Archivio storico per le province napoletane, XLI
(n. s. II), 1916, pp. 138-45.
36 Sullattribuzione al Sannazaro dellegloga, che si legge nel ms. XIII G 37 della Biblioteca Nazionale di
Napoli senza lindicazione della paternit e fu stampata con l'Arcadia da Sigismondo Mayr (Napoli, 1503), cfr. A.
MAURO, Le prime edizioni dell'Arcadia del Sannazaro, Giornale italiano di filologia, II, 1949, pp. 341-51 (cfr.
28
29

Allazione teatrale di argomento religioso erano destinati alcuni componimenti,


come il breve capitolo in terzine (1490 circa) Se mai per piet dun raro effetto, raccolto
dalled. Mauro delle Opere volgari nella sezione delle Rime disperse 37 e tematicamente
vicino al gruppo di cinque componimenti presenti nelleditio princeps di Sonetti e canzoni, i
sonetti XCV-XCVIII (Le dubbie spemi, il pianto e l van dolore; questo il legno che del sacro
sangue; Almo monte, felice e sacra valle; O mondo, o sperar mio caduco e frale) e il capitolo XCIX
(Lamentazione sopra al corpo del Redentor del mondo a mortali). 38 Infine Sannazaro aveva
scritto un buon numero di rime volgari (pubblicate postume nel 1530) e il prosimetro
l'Arcadia, che nasce, s, per linfluenza della bucolica senese (Francesco Arsocchi,
Iacopo Fiorino de Boninsegni, Filenio Gallo) e della bucolica fiorentina (Girolamo
Benivieni), ma si sviluppa soprattutto in direzione classicistica, seguendo le orme di
Virgilio e di autori che erano gi stati imitatori come Calpurnio e Nemesiano, 39 e
approda al nuovo genere letterario ideato40 dallo stesso Sannazaro, il romanzo
pastorale.
La prima redazione dellArcadia, comprendente prologo, dieci prose e dieci testi
poetici (egloghe, canzoni, sestine) e terminata quasi certamente alla fine del 1484 o poco
pi,41 fu pubblicata senza lautorizzazione del Sannazaro in edizione scorretta a Venezia
nel 1501, ristampata nel 1502 da Bernardino da Vercelli e poi a Napoli nel 1503.
La seconda redazione, da collocare dopo il 1491 e da considerare sostanzialmente
conclusa intorno al 1495,42 aveva impegnato il Sannazaro lungo tre direzioni: a) la
crescita del testo, con l'aggiunta di due prose, di due componimenti poetici e dell'epilogo
A la sampogna; b) la trasformazione del romanzo dellesilio arcadico (I redazione) in
romanzo del ritorno (II redazione), con la svolta dal mito della natura al mito della
citt;43 c) la radicale revisione linguistica, che comporta la riduzione sia dei latinismi che
erano stati favoriti dal clima umanistico, sia dei dialettismi del volgare regionale (tuttavia
alcuni meridionalismi ancora si conservano) e una pi puntuale selezione di lessico
tosco-letterario in genere e petrarchesco in particolare per le egloghe. Stampata a Napoli
per cura dellumanista e accademico pontaniano Pietro Summonte nel marzo 1504,
anche l'edizione sannazariana delle Opere volgari cit.); G. VELLI, Tra lettura e creazione. Sannazaro. Alfieri, Foscolo,
Padova, Antenore, 1983, p. 21; N. De Blasi, Rivista italiana di dialettologia, XIII, 1989, p. 262; G. SCHIRRU,
Profilo linguistico dei fascicoli VIII e IX del ms Riccardiano 2752, Contributi di filologia dell'Italia mediana, VIII,
1994, p. 212. Di altro avviso M. Corti, che attribuisce legloga a De Jennaro nel saggio Le tre redazioni della
Pastorale di P. J. De Jennaro con un excursus sulle tre redazioni dell'Arcadia, Giornale storico della letteratura
italiana, CXXXI, 1954, pp. 305-351. Legloga nel vol. L'Arcadia di Jacobo Sannazaro, a cura di M. Scherillo,
Torino, Loescher, 1888, pp. 335-39.
37 SANNAZARO, Opere volgari cit., pp. 251-53 (Rime disperse, XXXVI*).
38 Ivi, pp. 208- 11.
39 Lorenzo Poliziano Sannazaro, nonch Poggio e Pontano, introduzione e cura di F. Tateo, cit., p. 718.
40 CORTI, Sannazaro Iacobo cit., p. 84.
41 G. VILLANI, Arcadia di lacobo Sannazaro, in Letteratura italiana. Le Opere, dir. A. Asor Rosa, I. Dalle Origini al
Cinquecento, Torino, Einaudi, 1992, p. 870.
42 Ivi, p. 871. Tuttavia Villani avverte che, rispetto alla data del 1495, il limite estremo fissato per la
conclusione della seconda redazione dell'Arcadia, rimane in piedi qualche dubbio almeno per l'epilogo, n si
pu escludere l'eventualit di alcune ulteriori minute cure linguistiche. Infatti la princeps del 1504 oggi esibisce
esemplari non sempre in tutto simili, segno evidente, insieme ad altri, di interferenze del curatore, ma anche
di qualche oscillazione d'autore ancora viva nell'originale portato alle stampe. Cfr. inoltre E. CARRARA, Sulla
composizione dell'Arcadia, Bullettino della Societ filologica romana, 1906, pp. 27-36; CORTI, Le tre redazioni della
Pastorale di P. J. De Jennaro con un excursus sulle tre redazioni dell'Arcadia art. cit., pp. 342-51; G. VELLI, Tra lettura e
creazione cit., pp. 14-19; G. VILLANI, Per l'edizione dell'Arcadia del Sannazaro, Roma, Salerno editore, 1989.
43 Lorenzo Poliziano Sannazaro, nonch Poggio e Pontano, introduzione e cura di F. Tateo, op. cit., p. 719.

durante lultimo anno dellesilio francese del Sannazaro, la seconda redazione documenta
il mutamento di gusto e di poetica, il superamento della koin quattrocentesca, un
influsso pi vistoso della tradizione petrarchesca44 e l'elaborazione in sede di scrittura
creativa della grammatica volgare.
E se teniamo presente, secondo i suggerimenti di Dionisotti, la successione
cronologica di alcuni eventi editoriali a) la pubblicazione a Napoli della seconda
redazione dell'Arcadia (1504) precede di un anno la stampa a Venezia di unopera che
va nella stessa direzione linguistica, gli Asolani di Bembo (1505); b) la stessa
pubblicazione dellArcadia troppo davvicino segue, per poter dipendere, tenuto conto
in ispecie che il Sannazaro era in quegli anni esule in Francia, l'edizione aldina, curata
dal Bembo, delle Cose volgari di messer Francesco Petrarca (1501) e delle Terze rime di
Dante (1502) -, allora si pu agevolmente intendere che la scelta letteraria del toscano,
maturata a Napoli con il Sannazaro, allaltezza della seconda redazione dell'Arcadia,
anteriore a qualsiasi documento a noi noto della codificazione grammaticale
cinquecentesca del volgare.45 Ecco una preziosa tessera, utile per ridisegnare le presenze e
i contributi della cultura napoletana e della cultura veneziana nel processo di elaborazione
della scrittura e della grammatica volgare.
La celebrazione pittorica del poeta arcadico fu fatta, poi, nel 1511, da Raffaello
Sanzio nel grandioso affresco del Parnaso (Citt del Vaticano, Stanza della Segnatura). In
alto a destra, nel gruppo dei poeti bucolico-arcadici, Sannazaro il quinto (sulla destra) 46 dopo Ariosto, Boccaccio, una donna che una figura ideale emblematica, Tebaldeo -, e
la sua immagine corrisponde alleffigie della medaglia commissionata a Girolamo
Santacroce circa dieci anni dopo.47
CORTI, Sannazaro Iacobo cit., p. 84.
C. DIONISOTTI, Appunti sulle Rime del Sannazaro, Giornale storico della letteratura italiana, CLX, 1963, p. 184.
Sulla lingua dell'Arcadia cfr. G. POLENA, La crisi linguistica del Quattrocento e l'Arcadia del Sannazaro, Firenze, Olschki,
1952; M. CORTI, L'impasto linguistico dell'Arcadia alla luce della tradizione manoscritta (1964), in Storia della lingua e storia
dei testi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1989, pp. 243-71; EAD., Rivoluzione e creazione stilistica nel Sannazaro [1968], in
Metodi e fantasmi, Milano, Feltrinelli, 1969, pp. 312-21; L. SERIANNI, La prosa, in Storia della lingua italiana, a cura di L.
Serianni e P. Trifone, I.I luoghi della codificazione, Torino, Einaudi, 1993, pp. 485-89. Sul Sannazaro che elabora la
grammatica del volgare nel chiuso della sua officina di scrittore cfr. G. PATOTA, I percorsi grammaticali , ivi, p. 95.
46 Sullidentificazione cfr. REDIG DE CAMPOS, Dei ritratti di Antonio Tebaldeo e di altri nel Parnaso di Raffaello,
Archivio della Societ Romana di Storia Patria, LXXV, 1952, pp. 51-58; a p. 54: mi pare una congettura
assai probabile, confortata com dalle testimonianze iconografiche e particolarmente dalla perfetta
somiglianza con leffigie della ben nota medaglia attribuita a Girolamo Santacroce, dove il viso pieno, la forma
del naso e lacconciatura sono identici. Allepoca in cui fu dipinto il Parnaso, cio intorno al 1511, lautore
dellArcadia aveva da poco superato la cinquantina e tale sembra appunto let del nostro personaggio. Nella
vecchiaia dimagr assai, a giudicare dal busto del Montorsoli sulla sua tomba in Santa Maria del Parto, a
Napoli.
47 I ritratti dei poeti antichi e moderni, come sottolinea Vasari nellecfrasi del Parnaso, furono tratti medaglie,
statue, pitture e in alcuni casi dal vivo: Nella facciata [] di verso Belvedere, dove il monte Parnaso e il
fonte di Elicona, fece intorno a quel monte una selva ombrosissima di lauri, ne quali si conosce per la loro
verdezza quasi il tremolare delle foglie per laure dolcissime e nella aria una infinit di amori ignudi con
bellissime arie di viso, che colgono rami di lauro e ne fanno ghirlande, e quelle spargono e gettano per il
monte. Nel quale pare che spiri veramente un fiato di divinit nella bellezza delle figure e da la nobilt di
quella pittura, la quale fa maravigliare chi intentissimamente la considera, come possa ingegno umano con
limperfezzione di semplici colori ridurre con leccellenzia del disegno le cose di pittura a parere vive; come
que poeti che si veggono sparsi per il monte, chi ritti, chi a sedere e chi scrivendo, altri ragionando et altri
cantando o favoleggiando insieme, a quattro, a sei, secondo che gli parso di scompartirgli. Sono ritratti di
naturale tutti i pi famosi et antichi e moderni poeti che furono e che erano fino al suo tempo, i quali furono
cavati parte di statue, parte di medaglie e molti da pitture vecchie et ancora di naturale mentre che erano vivi
44
45

Recentemente Giovanni Reale ha proposto di accostare il paesaggio del Parnaso di


Raffaello (con il verde dellerba sulla sommit, la distribuzione degli alberi, in tutto sette
lauri, la fonte) al paesaggio sannazariano del monte Partenio (con un dilettevole piano,
minuta e verdissima erbetta, dodici o quindici alberi, alquanto distanti, et in ordine
non artificioso disposti, un chiaro fonte), entrambi dominati dalla figura (reale o
immaginaria) di Apollo:
Giace nella sommit di Partenio, non umile monte de la pastorale Arcadia, un dilettevole piano, di
ampiezza non molto spazioso per che il sito del luogo nol consente, ma di minuta e verdissima
erbetta s ripieno che se le lascive pecorelle con gli avidi morsi non vi pascesseno vi si potrebbe di
ogni tempo ritrovare verdura. Ove, se io non mi inganno, son forse dodici o quindici alberi, di tanto
strana et excessiva bellezza che chiunque li vedesse giudicarebbe che la maestra Natura vi si fusse
con sommo diletto studiata in formarli. Li quali, alquanto distanti e in ordine non artificioso disposti,
con la loro rarit la naturale bellezza del luogo oltra misura annobiliscono. [] Ma fra tutti nel
mezzo, presso un chiaro fonte, sorge verso il cielo un dritto cipresso, veracissimo imitatore de le alte
mete, nel quale [] esso Apollo non si sdegnarebbe essere transfigurato (Arcadia, prosa I, 1-6). 48

Questo brano, che svela la vicinanza tra il paesaggio del poeta napoletano e quello
dellartista, - conclude Reale - pu spiegare assai bene la collocazione di Sannazaro nel
gruppo dei poeti bucolico-arcadici.49 Nel 1511, dunque, la fortuna romana del Sannazaro
gi solida, al punto da essere celebrato e inserito nel Parnaso di Raffaello.50

2. Dallesilio in Francia alla stagione vicereale: la letteratura mariana e il sogno della nuova et delloro
Sulla frattura biografica dellesilio in Francia (1501-1505), interrotto da qualche
ritorno in Italia, si pu agevolmente rimandare ai recenti lavori di Carlo Vecce.51
opportuno solo sottolineare che il viaggio costituisce un elemento fondamentale sul piano
delle forze dialettiche nellambito della geografia letteraria. Infatti, nel caso del Sannazaro, il quale diffuse in Francia tutto il suo bagaglio umanistico, ebbe contatti con gli ambienti
culturali e spirituali doltralpe, rafforzando il suo impegno religioso che lo port alla
scrittura del poema sacro, e si dedic alla ricerca di testi classici latini (tra questi l
Halieuticon attribuito ad Ovidio, il Cynegeticon di Grazio, il Cynegeticon di Nemesiano, il De
reditu suo di Rutilio Namaziano), introdotti poi a Napoli,52 - il viaggio diviene un momento
da lui medesimo (G. VASARI, Le vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a tempi
nostri. Nelledizione per i tipi di Lorenzo Torrentino Firenze 1550, a cura di L. Bellosi e A. Rossi, op. cit., pp. 618-19).
Alcuni particolari della descrizione, come gli amori ignudi che fanno e spatgono ghirlande di lauro, sono nel
bozzetto preparatorio ma non nellaffresco. Da qui si deduce che Vasari nellecfrasi abbia utilizzato sia gli
appunti presi durante la visita delloriginale, sia il bozzetto. G. REALE, Raffaello, Il Parnaso. Una rilettura
ermeneutica dell'affresco con la prima presentazione analitica dei personaggi e dei particolari simbolici, Santarcangelo di
Romagna (Rimini), Rusconi, 1999, p. 54.
48
SANNAZARO, Arcadia / LArcadie cit., pp. 13-15.
49 REALE, Raffaello, Il Parnaso cit., p. 87.
50 NALDI, Girolamo Santacroce orafo e scultore napoletano del Cinquecento cit., p. 15. Inoltre Naldi segnala anche il
rapporto di Colantonio Caracciolo con Raffaello.
51 Cfr. C. VECCE, lacopo Sannazaro in Francia. Scoperte di codici all'inizio del XVI secolo, Padova, Antenore, 1988; ID.,
Sannazaro in Francia: orizzonti europei di un poeta gentiluomo, in questi atti.
52 Cfr. L' Italie et la France dans l'Europe latine du XIV au XVII. sicle : influence, mulation, traduction, sous la
direction de M. Deramaix et G. Vagenheim, Mont Saint-Aignan, Publications des Universits de Rouen et

significativo del processo di diffusione della civilt napoletana nellEuropa del


Cinquecento e del parallelo processo di ricezione e assimilazione di stimoli e saperi
provenienti dalla civilt francese e importati a Napoli.
Le fondamentali relazioni culturali, intrecciate in Francia e nellItalia del Nord, vanno
da Guillaume Bud e Jacques Lefvre dEtaples ad Isabella dEste e Aldo Manuzio. In
Francia Sannazaro incontr anche fra Giocondo da Verona che aveva
accompagnato nel 1489 nella visita a Pozzuoli e in occasione della costruzione dei
ponti sulla Senna il poeta compose il noto distico De Jucundis architecto, che il Vasari cita
nella seconda edizione delle Vite (1568):
Fece fra Iocondo, stando in Parigi al servizio del re Lodovico Duodecimo, due superbissimi ponti
sopra la Senna, carichi di botteghe: opera degna veramente del grandanimo di quel re e del
maraviglioso ingegno di fra Iocondo; onde merit, oltre la inscrizione che ancor oggi si vede in
queste opere in lode sua, che il Sannazaro poeta rarisssimo lonorasse con questo bellissimo distico:
Iocundus geminum imposuit tibi, Sequana, pontem:
hunc tu iure potes dicere Pontificem. 53

Inoltre Sannazaro compose il carme latino De morte Christi domini ad mortales


lamentatio, riprendendo il motivo della passione di Cristo, gi svolto in alcuni
componimenti volgari e poi sviluppato ampiamente nel poema sacro. 54
Nei primi mesi del 1505 Sannazaro ritorn a Napoli, oramai annessa, dopo la
cacciata dei Francesi, al regno spagnolo di Ferdinando il Cattolico (1503) e governata dai
vicer. Si stabil nel podere di Mergellina,55 che aveva ricevuto in dono da Federico
dAragona, e vi soggiorn fino alla morte (24 aprile 1530). Dentro il podere Sannazaro
fece erigere la chiesa dedicata alla Madonna del Parto.56
A differenza di Pietro Bembo, che, operando tra la Repubblica di Venezia, le corti di
Urbino e Ferrara e la corte pontificia, continu a muoversi nellorizzonte del bilinguismo
letterario, Sannazaro durante la stagione trascorsa nella Napoli vicereale avvert che la sua
produzione volgare era segnata in modo indelebile dalla fine della dinastia aragonese,
per cui si distacc definitivamente dallesperienza bucolica, considerando ledizione
dellArcadia (1504) testo definitivo e ritratto fedele della Napoli aragonese. 57 Tuttavia
si limit a raccogliere e rielaborare linguisticamente i componimenti volgari (in buona
parte scritti nella prima stagione), offerti privatamente alla gentildonna Cassandra
Marchese. Tale impegno va circoscritto, come dimostra Dionisotti, nel primo
decennio del Cinquecento. 58
Du Havre, [2006].
53 Cfr. G. VASARI, Le vite de pi eccellenti pittori scultori e architetti nelle redazioni del 1550 e 1568 cit., IV, p. 561. E
nelle Note al testo, p. 697: lepigramma va nelle edizioni cinquecentine con alcune varianti, peraltro
sintatticamente e metricamente indifferenti: Iucundus geminos fecit tibi, Sequana, pontes; / Iure tuum potes
hunc dicere Pontificem (Milanesi).
54 Cfr. C. VECCE, Maiora Numina. La prima poesia religiosa e la Lamentatio di Sannazaro, Studi e problemi di
critica testuale, vol. XLIII, ottobre 1991, pp. 49-94.
55 Si veda, in questi atti, il contributo di F. DIVENUTO, La casa di Jacopo Sannazaro a Mergellina.
56 Cfr. La Chiesa di S. Maria del Parto a Mergellina, a cura di A. M. Carrella, Napoli, Pentagono, 2000.
57 DIONISOTTI, Appunti sulle Rime del Sannazaro art. cit., p. 184.
58 Ivi, p. 183. Dionisotti prende le distanza da Mauro, che nella Nota sul testo delled. laterziana di
SANNAZARO, Opere volgari cit., pp. 447-48, ha avanzato lipotesi di una estensione dellimpegno di Sannazaro
nellambito delle rime volgari fino al maggio 1525. Con mano ferma Dionisotti scrive: Ritengo [] che resti

Per seguire la parabola della letteratura volgare a Napoli nel primo trentennio del
Cinquecento, occorre guardare altrove, negli annali delle tipografie e nella corte di
Vittoria Colonna. Infatti c da registrare, nel primo decennio del Cinquecento,
larrivo in tipografia della poesia prodotta durante la stagione aragonese di fine
Quattrocento. il caso, oltre lArcadia, dei canzonieri di due poeti menzionati da
Sannazaro, Argo di Giovan Francesco Caracciolo e Endimione del Cariteo, entrambi
apparsi nel 1506.
Dopo il 1510, la poesia volgare ruot attorno a Vittoria Colonna, vera animatrice
dello spazio cortigiano degli Avalos, trainante lettrice di testi e precoce autrice (nel
1512 scrisse lEpistola in terza rima, indirizzandola al marito Ferrante Francesco
dAvalos, marchese di Pescara). Nella corte di Vittoria Colonna, tra Ischia e Naspoli,
nacque il canzoniere di Girolamo Britonio di Sicignano, Opera volgare [] intitolata Gelosia
del Sole (Napoli, Mayr, 1519) e il Triompho [] nel quale Parthenope sirena narra et canta gli
gloriosi gesti del gran marchese di Pescara (Napoli, Evangelista di Presenzani, 1525).
Nella stessa corte circol il manoscritto del Cortegiano, che Castiglione aveva
mandato in lettura alla poetessa. La fortuna del Castiglione nella Napoli degli anni
Venti va vista parallelamente allaccoglienza cauta, senza troppi entusiasmi e con
qualche critica, riservata alle Prose della volgar lingua del Bembo (1524), un trattato
sullimitazione dellottimo modello nella scrittura in volgare. I primi riconoscimenti
dell'autorit poetica del Bembo presso la corte di Vittoria Colonna risalgono solo al
1530, quando la poetessa finalmente stabil un dialogo epistolare con l'autorevole poeta e
grammatico,59 conosciuto personalmente molto tempo prima, durante il pontificato di
Leone X (1513-1521).
Da parte sua Sannazaro, lontano ormai da qualsiasi contesto cortigiano che ne
sollecitasse la produzione in volgare, sent sulle sue spalle tutta leredit
dellumanesimo latino lasciatagli dal Pontano (morto nel 1503), si prodig nel
pubblicare le opere del grande maestro insieme a Pietro Summonte 60 e si dedic
ininterrottamente alla poesia latina,61 di cui divenne lesponente napoletano pi
autorevole, puntando in particolare al De partu Virginis, la carta decisiva di tutta la sua vita
di scrittore.62
Inoltre Sannazaro si interess dellarchitettura, come documenta il codice
Viennese lat. 3503, contenente suoi appunti, databili forse intorno al 1510, in
margine al De re aedificatoria (1452) di Leon Battista Alberti.63 Alle suggestioni
dellAlberti si deve il lessico architettonico di alcune elegie, come nel caso di Diis

a dimostrare e sia per quanto mi risulta improbabile lipotesi del Mauro che, tornato a Napoli alla fine del
1504, per lunghi anni, per un ventennio almeno, il Sannazaro si attard, incontentabile, intorno ad esse (rime):
alcune rifiutando, altre, delle quali aveva smarrito gli esemplari, ricomponendo, altre, ma non molte,
componendone nuove; tutte, antiche e nuove, rielaborando con paziente lavoro di lima (p. 162).
59 Cfr. P. SABBATINO, Lidioma volgare. Il dibattito sulla lingua letteraria nel Rinascimento, Roma, Bulzoni, 1995, part.
pp. 38 e ss.
60 Summonte dal 1519 occup nello Studio di Napoli la cattedra di lettere latine e greche, gi tenuta da
Pomponio Gaurico dal 1512 e prima ancora da Giovanni Musefilo da Gubbio.
61 LOpera omnia latine scripta del Sannazaro fu stampata integralmente a Venezia, dagli eredi di Aldo Manuzio,
nel 1535.
62
DIONISOTTI, Appunti sulle Rime del Sannazaro art. cit., p. 193.
63 Cfr. C. VECCE, Sannazaro e Alberti. Una lettura del De re aedificatoria, in Filologia umanistica per Gianvito Resta, a
cura di V. Fera e G. Ferrau, vol. 3, Padova, Antenore, 1997, pp. 1821-60.

nemorum in extruenda domo ( III, 3). 64 La passione per larchitettura palpabile anche nel
suo zibaldone Repertorium rerum antiquarum (cod. Viennese lat. 9477), tratto da Fasti di
Ovidio, De lingua latina di Varrone, Historia naturalis di Plinio il Vecchio e altri, uno
strumento utile per arrivare ad una ricostruzione dellurbanistica della Roma antica,
con particolare attenzione alle opere architettoniche e ai monumenti sepolcrali. 65
Alcuni materiali degli sfondi descrittivi del De partu Virginis provengono da questo
Repertorium. 66 Con ogni probabilit nel 1529, lanno della convenzione che assegna
Santa Maria del Parto ai Serviti, Sannazaro con le sue competenze architettoniche
supervision il disegno di cantaro et cappella da farsi dietro laltare maggiore
come monumento sepolcrale. 67
Nella cerchia del Sannazaro, secondo limmagine ambientata a Mergellina nella
primavera del 1526 e disegnata da Antonio Sebastiano detto il Minturno 68 nel trattato
De Poeta (Venezia, Rampazeto, 1559), 69 ci fu anche Pomponio Gaurico, rientrato a
Napoli nel 1512, lettore di humanitas nello Studio fino al 1519, autore tra laltro del De
sculptura (Firenze, Giunti, 1504), 70 maturato durante il soggiorno a Padova dove era
stato alla scuola del Pomponazzi, e del De arte poetica (s.n.t., ma Roma, tra il 1510 e il
1512), un commento a Orazio dedicato al fiorentino Francesco Pucci (morto nel
1512), allievo del Poliziano e professore nello Studio di Napoli. Stretto fu anche il
rapporto del Sannazaro con lo scultore napoletano Girolamo Santacroce. 71
Tra il 1505 e il 1513 collocabile il primo stadio del poema mariano del
Sannazaro, il quale allest il primo libro (Cristeis o Christias), con il proposito di
presentarlo a Leone X, eletto per lappunto nel 1513. Intorno al 1518 e negli anni
successivi Sannazaro si dedic alla stesura definitiva del poema, che fu inviato in
lettura nel 1521 sia ad Antonio Seripando, consulente sul piano della selezione
lessicale, come documenta il carteggio, 72 sia a Egidio da Viterbo, consulente teologico.
Il 6 agosto 1521, con un breve, firmato da Pietro Bembo, Leone X approv il poema
del Sannazaro e ne sollecit la pubblicazione. 73
Probabilmente in vista della stampa, che sembrava imminente, ma slitt di cinque
anni per la morte del papa (1 dicembre 1521) e per il rigore dellautore nel labor limae,
fu commissionata una medaglia a Girolamo Santacroce per celebrare il vicino evento
editoriale. La notizia del Sannazaro che si fece ritrarre in medaglia un genere
Ivi, p. 1848.
NALDI, Girolamo Santacroce orafo e scultore napoletano del Cinquecento cit., p. 12.
66 Cfr. S. PRANDI, Arcadia sacra: lultimo sogno dellUmanesimo, in J. SANNAZARO, De partu Virginis. Il parto della
Vergine volgarizzamento di Giovanni Giolito de Ferrari (1588) a fronte, a cura di S. Prandi, Roma, Citt Nuova
Editrice, 2001, p. 17.
67 NALDI, Girolamo Santacroce orafo e scultore napoletano del Cinquecento cit., pp. 118.
68 Minturno si fonda sulla testimonianza di Lucio Camillo Scorziano e Traiano Calcia, entrambi allievi del
Summonte. Cfr. SABBATINO, Lidioma volgare cit., pp. 44-49.
69 Si segnala la ristampa anastatica: Mnchen, W. Fink Verlag, 1970.
70 Cfr. P. GAURICO, De sculptura, a cura di P. Cutolo, saggi di F. Divenuto, F. Negri Arnoldi, P. Sabbatino,
Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1999.
71 NALDI, Girolamo Santacroce orafo e scultore napoletano del Cinquecento cit., passim.
72 Cfr. le lettere al Seripando in data 23 marzo 1521 (tre o quattro anni non ho fatto altro che radere et
cassare tre et quattro volte una cosa, che forse haria fatto meglio in consumare il tempo in altro, o stare ad
piscare a li mei scogli) e 13 aprile 1521 (Ma io ho mandato il libro in Roma per intendere il iudicio de li
amici), in appendice a I. SANNAZARO, De partu Virginis, a cura di C. Fantazzi e A. Perosa, Firenze, Olschki,
1988, rispettivamente pp. 89 e 93.
73 Il breve appare nelledizione del 1526 (ivi, pp. 109-110).
64
65

diffuso a Napoli in ambito umanistico: Adriano Fiorentino, bronzista di Alfonso II


dAragona, aveva ritratto Pontano 74 - contenuta nella lettera che Summonte invi al
veneziano Michiel nel 1524. 75 Sulla base di alcuni studi, 76 la medaglia stata
identificata con il tipo che reca nel diritto il busto laureato e abbigliato allantica, nel
rovescio lAdorazione del Bambino, 77 una precisa combinazione che quasi una
sintesi figurata78 del programma letterario del Sannazaro: coniugare forme classiche e
contenuti cristiani, la pi raffinata lingua latina, quella di Virgilio, e il pi sublime
racconto evangelico, quello della incarnazione di Dio nel grembo di Maria.
Con lopera della maturit, che Sannazaro diede alle stampe solo nel 1526 a
Napoli presso Antonio Frezza 79 e a Roma presso Francesco Giulio Minizio Calvo
(Minitius), 80 il poeta contribu in modo determinante alla fondazione dellepica
cristiana, 81 parallela allepica virgiliana e pagana, 82 con lambizione, piuttosto scoperta,
NALDI, Girolamo Santacroce orafo e scultore napoletano del Cinquecento cit., pp. 55 e 104 ( nota 28).
P. SUMMONTE, Lettera a Marcantonio Michiel del 20 marzo 1524, in F. Nicolini, Larte napoletana del Rinascimento
e la lettera di Pietro Summonte a Marcantonio Michiel, Napoli, R. Ricciardi, 1925, p. 168.
76 NALDI, Girolamo Santacroce orafo e scultore napoletano del Cinquecento cit., p. 104, nota 30.
77 Ivi, p. 56. E a p. 105, nota 34: Carlo Vecce segnala cortesemente lesistenza di vari esemplari della medaglia
che, recando un rovescio privo di figurazioni, erano probabilmente destinati ad essere inseriti nel piatto di una
legatura. Questa circostanza sembrerebbe confermare lipotesi di una esecuzione della medaglia in
concomitanza con il proposito di dare alle stampe il De partu Virginis.
78 Ivi, pp. 55-56: Nella testa del Sannazaro, si coglie come nei marmi la straordinaria capacit del Santacroce
di rendere lacuta indagine del dato fisionomico attraverso un modellato vibrante: il risalto dato al taglio
superiore dellorbita, laccentuazione dello zigomo sporgente che mette in evidenza, per contrasto, la guancia
smagrita; la sottolineatura delle rughe al lato del naso e della bocca, sul mento imbolsito; lanalisi attenta della
corona dalloro, serrata da nastri svolazzanti, e delle lunghe ciocche filiformi dei capelli. [] La particolare
iconografia della medaglia sembrerebbe voler celebrare lattivit poetica dellumanista con riferimento alla sua
maggiore opera latina, il De partu Virginis; la combinazione del busto allantica con lAdorazione del Bambino
quasi una sintesi figurata dellobiettivo perseguito dal Sannazaro: adattare lesametro classico al racconto della
nascita di Ges. La scheda della medaglia alle pp. 172-73. Inoltre Naldi sottolinea: Questa medaglia stata
anche usata come ritratto ufficiale dellumanista in diverse edizioni di sue opere; la si ritrova come modello di
una vera effigie gi in unArcadia veneziana del 1578 (ristampata nel 1586), curata da Francesco Sansovino
(p. 55).
79 In appendice al De partu Virginis cinque Eclogae Piscatoriae, cui aggiunse, nelle ristampe aldine del 1527 e 1528,
dieci epigrammi e cinque elegie. Inoltre nei Carmina di Giovanni Cotta e Marco Antonio Flaminio (Venezia, s.i.t.
[probabilmente stamperia dei fratelli da Sabbio], 1529), apparvero alcune Odae e l'Elegia de malo punico.
80 Occorre segnalare una stampa clandestina e scorretta apparsa a Venezia nel 1526, senza indicazioni
tipografiche. Tale stampa osservano FANTAZZI-PEROSA, Introduzione a SANNAZARO, De partu Virginis cit.,
pp. LIV-LV - contiene la redazione pi antica del primo libro [], che stando alla testimonianza di una
lettera senza data del Sannazaro al patrizio veneto Marcantonio Michiel - sarebbe stata pubblicata
clandestinamente a Venezia. [] La lettera non datata, ma dal Nicolini e dal Mauro stata assegnata al
periodo che va dallinverno 1520-1521 allautunno 1523 o, eventualmente, al luglio 1524. La pubblicazione
clandestina di questa redazione del De partu andr quindi collocata in quello stesso periodo o poco prima,
perch non verisimile, che il Sannazaro sia venuto a conoscenza della stampa (e quindi abbia dato libero
sfogo al suo malumore) con troppo ritardo.
81 Al progetto di unEneide cristiana partecip anche Marco Girolamo Vida con il poema in esametri latini
Christiados libri sex, commissionatogli da Leone X, terminato nel 1527 e pubblicato a Cremona, in aedibus
divae Margaritae, nel 1535.
82 Nel fondare lepica cristiana, Sannazaro d continui segnali della sua rilettura del De rerum natura di Lucrezio
e della sua volont di correggere cristianamente Epicuro, cos come aveva fatto, con un tentativo certo ben
pi organico, Lorenzo Valla nel De voluptate (1431). Cfr. D. CANFORA, Ideologia e fortuna del De partu Virginis:
alcune note, Critica letteraria, XXXII, 2004, n. 122, pp. 133-57 (la cit. a p. 145). Il contributo di Canfora
appare in forma pi breve e con il titolo Epicureismo, naturalismo e cristianesimo nel De partu Virginis di Iacopo
Sannazaro, in La Serenissima e il Regno. Nel V Centenario dellArcadia di Iacopo Sannazaro. Atti del Convegno di
Studi (Bari-Venezia, 4-8 ottobre 2004, raccolti da D. Canfora e A. Caracciolo Aric, op. cit., pp. 53-64.
74
75

di stare, nella galleria della letteratura, accanto ai due grandi modelli volgari, il canto
XXXIIII del Paradiso di Dante e la canzone Vergine bella, che, di sol vestita di Petrarca
(R.V.F., 366). 83
Nello scacchiere europeo dellumanesimo il De partu Virginis occupa un posto
strategico, utile per sottolineare da un lato il rapporto che la cultura napoletana stringe
con Roma, la capitale allora sia del classicismo letterario con Paolo Cortese (morto nel
1510), Angelo Colocci, Giano Coricio (nome umanistico di Jojann Goritz, prelato
lussemburghese trasferitosi a Roma), sia del classicismo artistico (con Bramante,
Giuliano da Sangallo, Raffaello), e dallaltro la fortuna dellopera nel vecchio
continente, tra consensi e dissensi. A Roma si trasfer nel 1512 Pietro Bembo, coprotagonista insieme a Giovanfrancesco Pico della Mirandola nella polemica, assai
accesa allora, sul problema dellimitazione del perfetto modello (secondo luno) e di
pi modelli (secondo laltro). 84
A orientare il Sannazaro verso Roma contribuirono non solo il classicismo
letterario e il classicismo artistico, ma anche la necessit del confronto teologico con
lagostiniano Egidio da Viterbo 85 - durante la sua permanenza a Napoli, negli anni
1499-1501, aveva stretto i rapporti con lAccademia di Pontano, 86 il quale gli dedic il
trattato filosofico e religioso lAegidius (1501) -, un personaggio sempre pi centrale
nella Roma del secondo decennio del Cinquecento, come provano la sua introduzione
ai lavori del V Concilio Lateranense (1512) e la sua nomina a cardinale (1517).
Egidio da Viterbo, autore di tre egloghe spirituali, 87 si fece interprete, dal punto di
vista cristiano, del mito dellet delloro, formulato da Virgilio nella quarta egloga. 88 Nel
prospettare la nuova et delloro, caratterizzata dalla renovatio umanistica e dalla parallela
renovatio cristiana, Egidio da Viterbo rilanci il motivo della nascita di Ges, di Dio che
diventa uomo e delluomo che ha una dignit divina. Il discorso De aurea aetate, tenuto
da Egidio nel 1507, contiene lannuncio della nuova et delloro per la cristianit.
NellHistoria viginti saeculorum Egidio da Viterbo espose la sua filosofia della storia e
83 Cfr. PRANDI, Arcadia sacra: lultimo sogno dellUmanesimo, in J. SANNAZARO, De partu Virginis. Il parto della
Vergine volgarizzamento di Giovanni Giolito de Ferrari (1588) a fronte, cit., p. 8.
84 Cfr. P. SABBATINO, La bellezza di Elena. Limitazione nella letteratura e nelle arti figurative del Rinascimento, Firenze,
Olschki, 1997, pp. 26-35.
85 Per la ingente bibliografia su Egidio da Viterbo cfr. F. X. MARTIN, Egidio da Viterbo, 1469-1532. Bibliography,
1510-1982, Biblioteca e Societ, 4, 1982, pp. 5-91; A. DE MEIJER, Bibliographie historique de lordre de Saint
Augustin, Augustiniana, 35, 1985; 39, 1989. Fondamentale la monografia di F. X. MARTIN, Friar, Reformer,
and Renaissance Scholar. Life and Work of Giles of Viterbo, 1469-1532, with a foreword by John W. O'Malley,
edited by John E. Rotelle, Villanova, Augustinian press, 1992. Utili le raccolte epistolari: Lettere familiari, I,
1494-1506; II, 1507-1517, a cura di A. M. Voci-Roth, Roma, Institutum Historicum Augustinianum, 1990;
Letters as Augustinian General: 1506-1517, edited C. OReilly, Romae, Institutum Historicum Augustinianum,
1992. Sulla presenza di S. Agostino nella letteratura: F. TATEO, S. Agostino e lumanesimo italiano, in LUmanesimo
di SantAgostino, Bari, Laterza, 1988, pp. 335-57.
86 Cfr. F. FIORENTINO, Egidio da Viterbo ed i pontaniani di Napoli, Archicio storico per le provincie
napoletane, IX, 1884, pp. 430-52.
87 M. DERAMAIX, La gense du De partu Virginis de Jacopo Sannazaro et trois glogues indites de Gilles de Viterbe,
Mlanges de lcole franaise de Rome, Moyen Age, to. 102, 1990, 1, pp. 173-276.
88 Sullimitazione di Virgilio: G. SAVARESE, Egidio da Viterbo e Virgilio, in Unidea di Roma. Societ, arte e cultura
tra Umanesimo e Rinascimento, a cura di L. Fortini, Roma, Roma nel Rinascimento, 1993, pp. 121-42; M.
DERAMAIX, Synceromastix nescio quis. Limitation de Virgile dans le De partu Virginis de Sannazar daprs ses lettres
critiques de 1521, in La rception des classiques par les humanistes. Actes du Premier Congrs de la Socit franaise
dtudes no-latines (Tours, 19-20 janvier 2001), d. F. Vuilleumier-Laurens, Cahiers de lHumanisme, srie,
paratre.

identific il punto pi alto della storia dellumanit, divisa in venti et, con la Roma di
Leone X.89 Il papa mediceo fu additato come luomo della provvidenza, capace di far
rivivere nella citt eterna quellideale di pace e di prosperit che aveva caratterizzato
lepoca augustea, momento storico in cui ebbe luogo la nascita di Cristo. 90
Egidio da Viterbo fu tra gli interlocutori romani (Seripando e Antonio Tebaldeo)
del Sannzaro in materia teologica 91 e certamente nel marzo del 1521 ebbe in lettura
una copia integrale del poema92 affinch la emendasse donde li piacesse, come si
legge nella missiva (31 marzo 1521) di G. Tommaso Tucca alla marchesa Isabella.
C infine unaltra ragione solo parzialmente indagata - che orient Sannazaro
verso Roma, vero motore di una rinnovata considerazione e di un culto pi intenso
della Madonna nella storia cristiana del Quattrocento europeo. 93 In particolare la
parabola della dimensione religiosa e della funzione sociale di Maria crebbe ad opera del
papa francescano Sisto IV (1471-1484), teologo sulle orme di Duns Scoto e sostenitore
sin dal 1448 della dottrina dellImmacolata Concezione, 94 che sar sancita come dogma
A. COLLINS, The Etruscans in the Renaissance: the Sacred Destiny of Rome and the Historia viginti saeculorum of Giles of
Viterbo, Studi e materiali di Storia delle religioni, 64, 1998, pp. 337-65; M. DERAMAIX, Phoenix et Ciconia. Il
De partu Virginis di Sannazaro e lHistoria viginti saeculorum di Egidio da Viterbo, in Confini
dellUmanesimo letterario. Studi in onore di Francesco Tateo, a cura di M. De Nichilo, G. Distaso, A. Iurilli,
Roma, Roma nel Rinascimento, 2003, pp. 523-56; ID., Renovantur saecula. Le quintum bonum du dixime
ge selon Gilles de Viterbe dans lHistoria viginti saeculorum et le De partu Virginis de Sannazar, in
LHumanisme et lglise du XVe sicle au milieu du XVIe sicle (Italie et France mridionale). Actes du
colloque international (Rome, 3-5 fvrier 2000), d. P. Gilli, Rome, cole franaise de Rome, 2004, pp. 281326; ID., Spes illae magnae. Girolamo Seripando lecteur et juge de lHistoria viginti saeculorum de Gilles de
Viterbe, in Parrhasiana III. Tocchi da huomini dotti: codici e stampati con postille di umanisti. Atti del III
Seminario di studi (Roma, 27-28 settembre 2002), a cura di G. Abbamonte, L. Gualdo Rosa, L. Munzi,
Annali dellUniversit degli studi di Napoli LOrientale. Dipartimento di studi del mondo classico e del
mediterraneo antico, sezione filologico-letteraria, 27, 2005, pp. 209-37; ID., Musa tua me recepit. Les
Sirnes, la kabbale et le gnie du lieu napolitain dans une lettre inconnue de Gilles de Viterbe Sannazar et
dans son Historia viginti saeculorum, in les Mlanges offerts M. Fumaroli, ds. C. Mouchel C. Nativel,
Genve, Droz, paratre.
90 PRANDI, Arcadia sacra: lultimo sogno dellUmanesimo, in SANNAZARO, De Partu Virginis. Il parto della Vergine
volgarizzamento di Giovanni Giolito de Ferrari (1588) a fronte cit., p. 15.
91 Sui rapporti tra Egidio da Viterbo e Sannazaro cfr. M. DERAMAIX, Si psalmus inspiciatur. Lactualit et son
double antique chez Gilles des Viterbe et chez Sannazar, in Lactualit et sa mise en criture dans lItalie des XVmeXVIIme sicles. Actes du colloque du Centre interuniversitaire de recherche sur la Renaissance Italienne (Paris,
21-22 octobre 2002), ds. D. Boillet C. Lucas, Paris, Presses Universitaires de la Sorbonne Nouvelle-Paris
III, 2005, pp. 51-68 ; ID., Non mea voluntas sed tua. La rvision acadmique du De partu Virginis de Sannazar et
lespression latine du sentiment religieux, in Acadmies italiennes et franaises de la Renaissance : idaux et pratiques (Paris,
10-13 juin 2003), ds. M. Deramaix, P. Galand-Hallyn, G. Vagenheim, J. Vignes, Genve, Droz, paraitre en
2006; ID. Non voce pares. Sannazar, Gilles de Viterbe et leurs doubles, in Vite parallele: memoria, autobiografia, coscienza
dellio e dellaltro. Atti del XII Convegno del Gruppo di Studio sul Cinquecento Francese (Vrone, 20-22 mai 2004), d. R.
Gorris Camos, paraitre; ID. Manifesta signa. Thologie et potique, hypotypose et ekphrasis dans le De partu Virginis
de Sannazar, in La Serenuissima e il Regno. Nel V Centenario dell Arcadia di Iacopo Sannazaro. Atti del Convegno di
studi (Bari-Venezia, 4-8 ottobre 2004), raccolti da D. Canfora e A. Caracciolo Aric, op. cit., pp. 172-202.
92 Cfr. FANTAZZI-PEROSA, Introduzione a SANNAZARO, De partu Virginis cit., p. LXXVI.
93 Cfr. Gli studi di mariologia medievale. Bilancio storiografico. Atti del I Convegno Mariologico della Fondazione
Ezio Franceschini con la collaborazione della Biblioteca Palatina e del Dipartimento di storia dellUniversit
di Parma (Parma, 7-8 novembre 1997), a cura di C. M. Piastra, Firenze, SISMEL-Edizioni del Gaslluzzo,
2001; Maria, lApocalisse e il Medioevo. Atti del III Convegno Mariologico della Fondazione Ezio Franceschini
con la collaborazione della Biblioteca Palatina di Parma (Parma, 10-11 maggio 2002), a cura di C. M. Piastra e
F. Santi, Firenze, Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio Franceschini, 2006.
94 Risale al 1448 il discorso di Francesco della Rovere, il futuro papa Sisto IV, sullImmacolata Concezione.
Cfr. FRANCESCO DELLA ROVERE, LOrazione della Immacolata, a cura di D. Cortese, Padova, Centro studi
antoniani, 1985. Si veda inoltre C. VASOLI, Sisto IV professore di teologia e teologo, in Let dei Della Rovere, V
89

solo nel 1854 da papa Pio IX. Tra laltro, nel 1475 fu istituita la festa liturgica della
Visitazione della Madonna alla anziana cugina Elisabetta e nel 1477 fu pubblicato
lufficio per la festa dellImmacolata Concezione. Questo fervore mariano fu recepito e
rappresentato dalle arti figurative,95 come dimostrano, ad esempio, le opere di Piero
della Francesca, la Madonna del Parto (1450 circa; Arezzo, Museo Comunale), affresco
eseguito nella cappella allingresso del cimitero di Monterchi paese natale della madre
dellartista, e di Leonardo da Vinci, la Vergine delle rocce (1483-1486; Parigi, Louvre),
eseguita per la Cappella della Concezione in San Francesco Grande a Milano, 96 e la
Vergine col Bambino e santAnna (1510-1513; Parigi, Louvre). Inoltre gli affreschi della
Cappella Sistina, eseguiti al tempo di Sisto IV, che dedic la Cappella a Maria, furono
influenzati dalla figura della Madonna, immacolata e madre di Dio, come documenta il
programma mariologico delle pitture parietali di Cosimo Rosselli, Sandro Botticelli,
Domenico Ghirlandaio e Pietro Perugino.97 Dietro laltare, laffresco del Perugino con
una rappresentazione dellImmacolata sul modello di unAssunta,98 testimoniata da un
disegno probabilmente del Pinturicchio (1481; Vienna, Albertina) e sostituita poi dal
Giudizio universale di Michelangelo, il quale in tutti i suoi interventi, dalla volta al Giudizio,
riprende e sviluppa con la sua genialit i motivi iconografici mariologici: Maria la
nuova Eva, sposa del nuovo Adamo fino al giorno del giudizio universale e, di
conseguenza, archetipo della Chiesa. 99
Nellambito della letteratura il panorama della poesia mariologica di tutta Europa si
arricchisce sempre pi,100 almeno fino allinizio del Seicento, 101 e si radica il poema
mariano che celebra e difende la tesi immacolista, come Battista Mantovano (Giovanni
Battista Spagnoli), Parthenice mariana (1481),102 Robert Gaguin, De mundissima Virginis
Mariae conceptione (1489), Jacob Wimpfeling, De triplici candore Mariae (1493). Inoltre, tra il
1501 e il 1504, il tipografo Aldo rilanciava, con le sue edizioni dei Poetae christiani veteres
lepica cristiana di Prudenzio, Sedulio, Giovenco, Aratore, contribuendo alla
preparazione di quellorizzonte di sensibilit favorevole alla rinascita dellepica cristiana
degli anni Venti. 103
Convegno storico savonese, Savona 7-10 novembre 1985, Atti e memorie della Societ Savonese di Storia
Patria, n. s., XXIV, 1988, pp. 182-91.
95
M. LEVI DANCONA, The Iconography of the Immaculate Conception in the Middle Ages and Early Renaissance, New
York, The College Art Association of America in conjunction with the Art Bulletin, 1957; V. FRANCIA,
Splendore di Bellezza. Liconografia dellImmacolata Concezione nella pittura rinascimentale italiana, presentazione di S.
De Fiores, Citt del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2004; T. VERDON, Maria nellarte europea, didascalie a
cura di F. Rossi, Milano, Electa, 2004.
96 Si conosce unaltra versione dellopera, conservata alla National Gallery di Londra.
97 Cfr. HEINRICH W. PFEIFFER, La Sistina svelata. Iconografia di un capolavoro, Milano-Citt del Vaticano, Jaca
Book - Musei Vaticani, Libreria Editrice Vaticana, 2007, pp. 9-80 (Le scene dellAntico e del Nuovo Testamento
eseguite al tempo di Sisto IV), part. pp. 16 ss..
98 Ivi, p. 18.
99 Ivi, p. 69.
100 Cfr. La poesia mariologica dellUmanesimo latino. Testi e versione italiana a fronte, a cura di C. M. Piastra,
presentazione di C. Leonardi, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2002.
101 Tra secondo Cinquecento e inizio Seicento la letteratura mariologica privilegia il dolore e le lacrime della
Madonna: cfr. SABBATINO, La bellezza di Elena cit., pp. 61-95 (Cristo morto in braccio a la madre. Il Pianto di
Vittoria Colonna, la Piet di Michelangelo e il Discorso di Nicol Aurifico) e 97-160 (Le Muse pentite. Le lagrime di
Maria Vergine in Torquato Tasso, Giovan Battista Basile e Ridolfo Campeggi).
102 Si segnala la traduzione: La partenice mariana di Battista mantovano, introduzione, testo latino e versione
metrica, note a cura di E. Bolisani, Padova, Tip. Antoniana, 1957.
103 PRANDI, Arcadia sacra: lultimo sogno dellUmanesimo, in SANNAZARO, De partu Virginis. Il parto della Vergine

Culto mariano e classicismo letterario-artistico, le pagine bibliche sulla Madonna e


lo splendore della forma classica latina si intrecciarono tra loro nel primo Cinquecento,
come dimostra la raccolta di carmi Coryciana (Romae, apud Ludouicum Vicentinum et
Lautitium Perusinum, 1524), promossa dallumanista tedesco Johann Gritz detto il
Coricio sin dal 1512 e pubblicata, dopo numerosi arricchimenti, a cura di Blosio
Palladio nel 1524.104 Tutti gli autori (tra gli altri Bembo, Castiglione, Giovio, Colocci)105
trassero ispirazione dal gruppo marmoreo SantAnna con la Vergine e Ges bambino,
commissionato dal protonotario apostolico Gritz per la chiesa di S. Agostino (Roma) e
scolpito da Andrea Sansovino nel 1512,106 come segnala Vasari nella biografia
dellartista:
Fece di marmo in Santo Agostino di Roma, in un pilastro a mezzo la chiesa, una Santa Anna che tiene
in collo la Nostra Donna con Cristo. 107

Negli anni Venti lepica mariana tocc punte elevate, con il sulmonese Marco
Mariano Probo, Parthenias Liber in divae Mariae historiam, apparso postumo (Napoli, per
Antonio Frezza 1524), il ragusano Giacomo Bona (ambasciatore presso Leone X), De
vita & gestis Christi eiusque mysteriis & documentis opus egregium, ex quattuor euangeliis aliisque
diuinis eloquiis ad omnimodam & perfectam Christianorum eruditionem, carmine heroico eleganter
ac mirifice congestum, atque in 16. libros diuisum (Roma, Per il tip. Francesco Minizio Calvo,
1526) e il napoletano Sannazaro, De partu Virginis. (Napoli, Antonio Frezza, 1526).
Se da una parte Sannazaro strinse il contatto con il classicismo romano, ruotante
attorno alla corte papale, dallaltra la corte papale come documentano i brevi di Leone
X e di Clemente VII che sono nelle prime stampe del De partu Virginis accolse e
stimol il Sannazaro nella composizione del poema epico, atteso come una sorta di
Eneide cristiana, 108 per il suo valore propagandistico e per la sua funzione didattica a
favore della crescente letteratura mariana, in un tempo in cui Lutero aveva mosso
precise accuse al potere della chiesa e al culto idolatrico della Vergine Maria, considerata
impropriamente come mediatrice tra luomo e Dio.109
Sul piano dello scacchiere europeo dellumanesimo latino acquista rilievo il
dissenso forte e autorevole, ma isolato, di Erasmo da Rotterdam, il quale pubblic il
Dialogus Ciceronianus (Basilea, per i tipi dellofficina di Johann Froben, 1528), un trattato
volgarizzamento di Giovanni Giolito de Ferrari (1588) a fronte cit., p. 19.
104 Cfr. Coryciana, critice edidit, carminibus extravagantibus auxit, praefatione et anotationibus instruxit I.
Ijsewijn, Romae, in aedibus Herder, 1997.
105 Cfr. J. RUYSSCHAERT, Les pripties inconnues de ledition des Coryciana de 1524, in Atti del convegno di studi su
Angelo Colocci (Iesi, 13-14 settembre 1969), Iesi, Amministrazione Comunale, 1972, pp. 45-60; R. ALHAIQUE
PETTINELLI, Ars antiqua e nova religio: gli autori dei Coryciana tra classicit e modernit, in Tra antico e moderno. Roma
nel Rinascimento, Roma, Bulzoni, 1991, pp. 63-81.
106 Cfr. G. MARIACHER, La scultura del Cinquecento, Torino, UTET, 1987, p. 76 (una interpretazione [] in
chiave classicheggiante della S. Anna Metterza consueta nelliconografia nordica, pesante e quasi impacciata
nella composizione, ma accuratissima e non priva di grazia toscana).
107 VASARI, Le vite de pi eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue a tempi nostri. Nelledizione per i tipi
di Lorenzo Torrentino Firenze 1550 cit., p. 668.
108 P. TROVATO, Il primo Cinquecento, Bologna, Il Mulino, 1994, p. 23.
109 Cfr. FANTAZZI-PEROSA, Introduzione a SANNAZARO, De partu Virginis cit., p. CIV. Sullimmagine della
Madonna in Lutero e in altri scrittori riformati pu essere un utile punto di partenza la raccolta Maria. Testi
teologici e spirituali dal I al XX secolo, a cura della Comunit di Bose, con un saggio introduttivo di E. Bianchi,
Milano, A. Mondadori, 2000, pp. 757-888.

contro la corruzione della Chiesa e contro lumanesimo paganeggiante promosso da


Roma.
Erasmo ritiene che il voler andare avanti, con la testa rivolta indietro per fissare un
modello o anche pi modelli del mondo classico e pagano, comporti un inevitabile e
rischioso travaso del paganesimo nel cristianesimo. Inoltre il parlare di cose sacre con
parole pagane porta alla frattura fra res e verba, come spiega e ribadisce nella sintesi finale
del Ciceronianus, mentre leloquenza, alla pari di tutte le altre discipline, si apprende per
intendere Cristo, per celebrare la gloria di Cristo (ut Christus intelligamus, ut Christi
gloriam celebremus).110
Nel passaggio dedicato al De partu Virginis, Sannazaro viene accusato di aver
trattato un soggetto sacro con forma pagana. Erasmo coglie ancora una volta
loccasione per mettere a fuoco il suo punto di vista religioso (Christi mysteria non
solum erudite, verum etiam religiose tractanda sunt).111 Per porre fine al trasferimento
del materiale lessicale e figurativo dal mondo pagano a quello cristiano, che equivale allo
smantellamento delle tessere di un mosaico rappresentante il ratto di Ganimede per
riutilizzarle nel mosaico dellarcangelo Gabriele che annuncia alla Madonna la sua
maternit, Erasmo propone di utilizzare il latino moderno, una lingua viva, che
nellarricchirsi trae nutrimento non solo dagli scrittori classici, ma anche e soprattutto
dagli scrittori cristiani, i santi padri della Chiesa, accoglie le parole ebraiche e greche
introdotte dalla filosofia cristiana, sviluppatasi in origine nella Palestina, nellAsia minore
e nella Grecia, fa uso delle espressioni di Ges e degli apostoli, infine si muove
liberamente nella formazione di nuove voci necessarie per esprimere nuove realt.112
Quando Erasmo lev la sua denuncia contro lumanesimo paganeggiante di Roma
siamo allaltezza del 1528, a ridosso ormai della definitiva rottura di Lutero e del sacco
di Roma (1527), eventi che avevano irrimediabilmente infranto il mito della nuova et
delloro proiettato nella Roma papale, la nuova Gerusalemme.
Il De partu Virginis resta, sul piano letterario, la testimonianza pi alta e pi preziosa
dellumanesimo del primo Cinquecento e del sogno di Sannazaro di dar vita a una
nuova et delloro nella Citt eterna, nella terra promessa della pax universalis, della
renovatio umanistica e della renovatio cristiana. 113
3. Il paradosso del Sannazaro: in margine a Mauro e Dionisotti
Per una coincidenza storico-editoriale, nel mese di marzo del 1530, apparve a
Venezia, per Maestro Giovan Antonio & Fratelli da Sabbio, la prima edizione delle
Rime di Pietro Bembo, curate dallautore, 114 e a novembre dello stesso anno, dopo
sette mesi dalla morte del Sannazaro, fu pubblicata a Napoli la sua raccolta Sonetti et

ERASMO DA ROTTERDAM, Il Ciceroniano o dello stile migliore. Testo latino critico, traduzione italiana,
prefazione, introduzione e note a cura di A. Gambaro, Brescia, La Scuola, 1965, p. 308.
111 Ivi, p. 280.
112 Cfr. SABBATINO, La bellezza di Elena cit., pp.40-53 (Erasmo da Rotterdam e Giulio Camillo).
113 PRANDI, Arcadia sacra: lultimo sogno dellUmanesimo, in SANNAZARO, De partu Virginis. Il parto della Vergine
volgarizzamento di Giovanni Giolito de Ferrari (1588) a fronte cit., p. 40.
114 Cfr. P. SABBATINO, Sulla tradizione a stampa delle Rime, in La scienza della scrittura. Dal progetto del Bembo al
manuale, Firenze, Olschki, 1987, pp. 103-7.
110

canzoni ad opera di amici e della depositaria e destinataria Cassandra Marchese, 115 ma


non si hanno indizi per identificare il curatore o i curatori.
Le opere di Bembo e Sannazaro sono diverse nella struttura. Infatti nella prima
edizione delle Rime del Bembo abbiamo 114 componimenti (cc. I-XXXVII), di cui i
primi 111, da Piansi & cantai la perigliosa guerra a Signor quella piet, che ti costrinse, sono
distribuiti e organizzati a posteriori in modo da narrare la storia della perigliosa guerra
[] dAmor, che il poeta dichiara di aver sostenuto molti e moltanni, e la cagion di
cos lunghi affanni, come si legge nel sonetto proemiale (vv. 1-3). Il finale dlla storia
nei componimenti 109-111 (Uscito fuor de la prigione trilustre; Signor del ciel, salcun prego ti
move; Signor quella piet, che ti costrinse), quando il poeta invoca il Padre celeste, ora
chiedendo la liberazione dalle insidie damore (Uscito fuor de la prigione trilustre, vv. 9-11:
Ondio, Padre celeste, a te mi volgo: / Tu lalta via mapristi & tu la sgombra / de le
costui, contra l mio gir, insidie), ora invocando il soccorso e nuove forze (Signor del
ciel, salcun prego ti move, vv. 1-4: Signor del ciel, salcun prego ti move, / volgi a me gli
occhi, questo solo; & poi / sio l vaglio, per piet, coi raggi tuoi / porgi soccorso a
lalma & forze nove), infine impetrando la grazia (Signor quella piet, che ti costrinse, v.
24), affinch larga descenda sul poeta e su quanti sono iscritti alla societ damore
(sopra noi), accomunati da uno stesso torto (nostro torto, v. 22). Gli ultimi tre
componimenti (112-114), scritti nel 1529, sono in morte del Navagero (Navaier mio, cha
terra strana volto; Anime, tra cui spazia or la grandombra) e di Luigi da Porto (Porto, che l mio
piacer teco ne porti), i due amici spentisi in quellanno. Questi componimenti costituiscono
un gruppo a s stante e solo in sguito, ma non allaltezza della prima edizione, tale
gruppo diventer una struttura aperta, fino a crescere, a imitazione della bipartizione
petrarchesca, come seconda parte del canzoniere bembiano e con un titolo significativo
(Rime di messer Pietro Bembo in morte di messer Carlo suo fratello e di molte altre persone).116 Ai 114
componimenti segue lindice dei capoversi (cc. XXXVII-XXXVIIII), la notificazione
dei privilegi (Per concession del Pontefice, della Signoria di Vinegia, del Duca di
Ferrara, & della Rep. Fiorentina si vieta sotto alcuna pena a tutti altri il poter questopera
stampare, n vendere per gli lor domini) e in limine le Stanze con dedica Al Signor
Ottaviano Fregoso, datata Il secondo giorno della quaresima dellanno MDVII. Le Stanze,
scritte per una serata carnevalesca, sono separate dal canzoniere, non solo sul piano
editoriale, ma anche sul piano linguistico, dal momento che il lessico non sempre ha il
sigillo petrarchesco, come ha osservato Dionisotti, per cui il testo viene offerto ai
lettori quale documento del dominio altrettanto sicuro, da parte del Bembo, della
parallela e contrapposta tradizione di lingua e di stile che dalla Commedia discende al
Boccaccio.117
Nei Sonetti et canzoni del Sannazaro abbiamo 101 componimenti, articolati in due
parti, la prima con 32 liriche e la seconda con 66, seguite da un gruppo di tre capitoli,
con una dedica finale alla Cassandra almeno nellesemplare della Biblioteca Apostolica
Vaticana. Anche se si registra un sostanziale consenso della critica nel valutare i tre
capitoli finali come gruppo a s, 118 appaiono distanti le posizioni nellesaminare il
Cfr. la tarda elegia a Cassandra Marchese, Quod pueritiam egerit in Picentinis (El., III, 2).
SABBATINO, Sulla tradizione a stampa delle Rime, in La scienza della scrittura cit., pp.103-41.
117 Cfr. P. BEMBO, Prose e Rime, a cura di C. Dionisotti, Torino, UTET, 1978, pp. 651-52 (nota).
118 MAURO, Nota sul testo in SANNAZARO, Opere volgari cit., p. 448 (alle due parti, e fuori di esse, fece seguire
tre capitoli, stanti a s, come diversi dalle liriche precedenti per ispirazione e metro); DIONISOTTI, Appunti
115
116

rapporto tra le prime due parti. Secondo Mauro le prime due parti rispecchiano la
bipartizione e la struttura unitaria del canzoniere petrarchesco. Il Sannazaro distribu i
componimenti in due parti, tenendo anche in questo locchio al Petrarca. Cos nella
prima parte colloc le rime pi giovanili, ispirate da amori diversi, due per lo meno e
nella seconda parte, che documento di unarte pi sicura e pi meditata, distribu
le rime ispirate in et pi ferma [] da un amore pi profondo e duraturo, dal quale
inappagato, spera in fine di liberarsi raccogliendosi nel pensiero e nel sentimento di
Dio.119 Ma questa lettura, che assume le due parti come membra di un sol canzoniere,
una vera e propria forzatura secondo Dionisotti. Il quale innanzitutto non crede che la
raccolta sia stata complessivamente [] predisposta dal Sannazaro e in secondo luogo
sostiene con argomentazioni forti che le due parti sono separate e distinte, senza alcun
rapporto organico tra loro, 120 e quindi senza un verificabile processo cronologico e
sentimentale.121 In aggiunta Dionisotti espone le ragioni che lo inducono a cogliere solo
nella seconda parte di Sonetti et canzoni le linee del disegno di un canzoniere, che, per
quanto possa essere piccolo, pur sempre di mole sufficiente allordinata
orchestrazione dei varii temi che al Sannazaro erano stati cari in giovinezza.122 Nel
canzoniere, composto nel decennio che va dal 1494 (lanno della caduta della monarchia
aragonese e del giovanile naufragio del poeta, come si legge nella dedica a Cassandra
Marchese) al 1504-1505 (lultimo dellesilio e il ritorno a Napoli), Sannazaro delinea il
bilancio poetico di parte della sua giovinezza, oramai alle spalle, dalla conclusione
dellesperienza tra pastori e selve, raccontata nei componimenti iniziali della seconda
parte (Spente eran nel mio cor le antiche fiamme; Ecco che unaltra volta, o piagge apriche; Or avessio
tutta al mio petto infusa) e dallinizio della guerra dAmor che gli ha teso il laccio, fino al
sestodecimo anniversario dellamore, segnalato nellultimo componimento (O mondo, o
sperar mio caduco e frale, v. 10), facendo coincidere il finale della storia damore e del
canzoniere con la fine del regno aragonese (1494).123 Nella prima parte di Canzoni et
sonetti, invece, Sannazaro raccoglie per un omaggio a Cassandra, al ritorno dallesilio e
presto, componimenti damore sono condannati gli amori trascorsi e viene esaltato
laltro (Al corso antico, a la tua sacra impresa, v. 5) e lalto amore per Cassandra -, che sono
posteriori sia a quelli databili della seconda parte, sia al limite cronologico dato alla
storia damore, con lipotesi formulata da Dionisotti di un ordine retrogrado, cio di una
seconda parte accidentalmente posposta e che avrebbe dovuto essere in realt la
prima.124
sulle Rime del Sannazaro art. cit., pp. 162 e 179-83.
119 Cfr. MAURO, Nota sul testo, in SANNAZARO, Opere volgari cit., p. 448. Sui legami tra le due parti, che
compongono un macrotesto, ritorna con argomentazioni interessanti R. FANARA, Strutture macrotestuali nei
Sonetti et canzoni di Jacobo Sannazaro, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2000, p. 8
(fra le rime della prima e quelle della seconda parte emergono legami e rispondenze che autorizzano, almeno,
ad ipotizzare che le due presunte raccolte siano in realt membra di un macrotesto inteso e perseguito come
tale).
120 DIONISOTTI, Appunti sulle Rime del Sannazaro art. cit., p. 162.
121 Ivi, p. 165 (Quanto al processo cronologico e sentimentale, dir subito che alla possibilit di distinguere in
queste rime i varii amori del Sannazaro, io non credo affatto. Credo che sia lultimo e disperato criterio cui
possa appigliarsi, mancando ogni altra testimonianza, un lettore di rime del Quattro e Cinquecento)
122 Ivi, p. 174.
123 Le argomentazioni di Dionisotti vengono accolte da M. SANTAGATA, La lirica aragonese. Studi sulla poesia
napoletana del secondo Quattrocento, Padova, Antenore, 1979, p. 303.
124 DIONISOTTI, Appunti sulle Rime del Sannazaro art. cit., p. 171.

Nonostante la diversit della struttura, le Rime di Bembo e Canzoni et sonetti di


Sannazaro raggiungono risultati analoghi sul piano della consapevole e fine ricerca
dellortodossia petrarchesca, autorizzando lo storico della letteratura a registrare
nellanagrafe, allaltezza del 1530, la nascita del petrarchismo lirico cinquecentesco.125
Si verific, allora, il paradosso del Sannazaro: a partire dal 1530, sullonda della
progressiva incrinazione della tradizione umanistica latina, la fortuna del Sannazaro
latino del De partu Virginis e dei Piscatoria, corrispondente alla seconda stagione, cedeva il
posto al Sannazaro volgare dell'Arcadia e delle Rime, corrispondente alla prima stagione.
Cos la parabola della fortuna di Sannazaro dopo la morte segue un percorso rovesciato
rispetto alla successione in vita delle due stagioni artistiche e letterarie.126

125
126

Cfr. DIONISOTTI, Introduzione a P. BEMBO, Prose e Rime cit., p. 291.


DIONISOTTI, Appunti sulle Rime del Sannazaro art. cit., pp. 206-7.

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