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IL CASO GIUSTIZIA. Le rivelazioni del " notaio della Magliana " . Di
Ciommo: " Il giudice Adinolfi aveva scoperto le trame dei legali di Ciarrapico "
" Tutti pagarono per il processo Sgarlata "
" Nicoletti diceva: " Pelaggi e' uomo mio " " . Al presidente 80
milioni per l' assoluzione. " Ho elargito mazzette per l' Ufficio
istruzione e per il Tribunale. L' altro imputato mi confesso'
mance per cento milioni: riusci' a cavarsela. Magistrati ospiti
nell' hotel di Capri e nella villa del mio difensore "
PUBBLICATO Le rivelazioni del "notaio della
Magliana" Di Ciommo: "Il giudice Adinolfi aveva scoperto le trame dei legali di Ciarrapico"
TITOLO: "Tutti pagarono per il processo Sgarlata" "Nicoletti diceva: "Pelaggi e' uomo mio". Al
presidente 80 milioni per l' assoluzione
MILANO . Nel capitolo finale di Mani pulite tutte le trame tornano a intrecciarsi. E come un
annuario dei misteri della Repubblica, con personaggi piu' volte sospettati e storie piu' volte
chiacchierate. Che adesso trovano una spiegazione nei risultati dell' inchiesta del pool sui giudici di
Roma. L' ultima puntata di questa epopea di intrighi e' stata scritta da Michele Di Ciommo, notaio
dei baroni democristiani ma anche dei presunti boss della Magliana. Giovedi' notte davanti al
pubblico ministero Ilda Boccassini, Di Ciommo ha riempito un verbale colmo di tangenti e
complotti. Si parte dal crac del finanziere Luciano Sgarlata, che costo' 200 miliardi ai risparmiatori.
Di Ciommo era considerato l' amministratore di fatto delle societa' che avevano inghiottito i fondi. E
quel processo . secondo la sua ricostuzione . fu portato avanti a colpi di bustarelle da tutti gli
indagati. E la cronaca del rito capitolino gia' descritto dal pentito Angelo Mei, quello in cui ogni
ingranaggio della macchina giudiziaria richiedeva di essere oliato con i quattrini: "Nel 1986 il
liquidatore Filippo Satta mi denuncio' per bancarotta fraudolenta e il pm Sante Spinaci formalizzo' l'
inchiesta. Il mio avvocato Mario Santaroni disse: "Per ottenere un giudice amico bisogna pagare il
consigliere istruttore". All' epoca capo dell' ufficio istruzione era Ernesto Cudillo, il magistrato in
prima linea nella lotta al terrorismo che incrimino' Valpreda per Piazza Fontana. "Santaroni era
molto legato a Cudillo . precisa il notaio .. Non fece nomi, ma disse solo che i soldi servivano per i
magistrati". La litania delle mazzette va avanti: "Diedi trecento milioni all' avvocato e il processo
fini' al giudice istruttore Guido Catenacci. Santaroni commento' : "Ottima scelta, ci dara' una
mano". Fu assegnata ai professori Antonio Staffa e Mario Sica una perizia sui miei rapporti con
Luciano Sgarlata. Santaroni disse che aveva convinto Catenacci a dare una perizia sui quesiti che
erano stati concordati insieme". E precisa: "I trecento milioni servivano sia per l' intermediazione
con Cudillo, sia per l' ottenimento della perizia". I giri di favori erano infiniti: "Catenacci con la
moglie era spesso ospite dell' Hotel Mare Blu di Capri di proprieta' dell' avvocato Santaroni. Inoltre,
Catenacci andava a cena nella villa dell' avvocato sulla Cassia. C' erano altri magistrati: Ivo Greco,
Carlo Izzo, Filippo Verde, il giudice fallimentare Maselli. Ho sentito dire che frequentavano pure l'
hotel di Ischia". Di Ciommo, comunque, e' un tipo ostinato, che tira sempre sul prezzo: "I periti
chiesero a Santaroni duecento milioni, io ne diedi cento. Nelle loro conclusioni evidenziarono che
tra me e Sgarlata non erano rimasti debiti in sospeso. Per quanto riguarda l' ultima trance di 30 40
milioni vidi l' avvocato consegnarli a Staffa: sali' nella Mercedes del professore con la busta e scese
senza". Staffa e' in cella, accusato per un' altra perizia: assegnata dal tribunale e venduta a suon di
milioni al palazzinaro Renato Armellini. Nel racconto del notaio, la bilancia della giustizia pesa solo
i pacchi di bancanote: nel processo Sgarlata tutto era questione di tariffe. E Di Ciommo ritiene che
qualcuno abbia offerto di piu' : "Santaroni difendeva pure Fabrizio Ferrari, l' altro inquisito per
bancarotta e la perizia era stata affidata al professore Cavalieri. Da Ferrari avevo saputo che anche
lui aveva pagato il perito cento milioni e l' incarico attraverso Catenacci. Purtroppo, le conclusioni
di Cavalieri aggravarono la mia posizione, mentre non furono approfondite quelle di Paolinelli e
dell' avvocato Calogero Cali' . Fui rinviato a giudizio assieme al mio collaboratore Bruno Biagioni.
Santaroni disse: "Ti faro' assolvere". Alla fine io ho preso sette anni, Biagioni tre". La sentenza
risale al novembre 1994, sette anni dopo il crac. Le cronache riportano che i giudici scagionarono il
ministero dell' Industria accusato dai "truffati" di avere protetto Sgarlata e i suoi compari. In aula,
furono persino interrogati come testimoni l' ex ministro Renato Altissimo e il capo ufficio
legislativo dell' epoca, il celebre giudice Corrado Carnevale: nessuno di loro ricordava nulla. Ma
alcune schegge del dibattimento principale rimasero nei tribunali. "Per uno stralcio della stessa
vicenda . continua Di Ciommo ., Biagioni era imputato davanti al giudice Antonio Pelaggi. Mi
rivolsi al mio cliente Rosario Nicoletti che definiva Pelaggi "persona mia". Nicoletti diceva: "Se ti
capita un processo con lui non ti preoccupare, ci penso io". Contro Nicoletti ci sono numerosi
procedimenti penali: viene considerato il cassiere della Banda della Magliana. "Nicoletti mi disse
che avrebbe mandato il suo assistente Chiappini ad avvicinare Pelaggi. Ma Chiappini disse che
Pelaggi pretendeva una somma eclatante: una cifra spropositata visto che la posizione di Biagioni
era difendibilissima". Il notaio non si perde d' animo: "Fissai un appuntamento con Pelaggi nel bar
Mellini. Era il 1988 89. Appena entrato, senza preamboli il giudice chiese centoventi milioni per l'
assoluzione. Io restai stupito e ottenni lo sconto a 70 80 milioni. Affidai i soldi a Chiappini e
Biagioni fu assolto". Da un mese, Pelaggi e' nel carcere di Opera: avrebbe incassato centinaia di
milioni dal costruttore Armellini e dai suoi eredi. Per trovare agganci si poteva contattare anche la
corte del presunto boss: "Nicoletti mi presento' Filippo Verde durante una cena per festeggiare un
mutuo della Cassa di Risparmio di Roma. Era l' inizio degli anni ' 80. Mi disse che Verde lo aiutava
nelle Commissioni tributarie". Ma e' l' ultima rivelazione a far intravvedere gli scenari piu'
inquietanti. Di Ciommo curava i contratti di Giuseppe Ciarrapico, il re delle acque minerali. E ha
fornito un' indiscrezione su una causa molto scottante. "Per il fallimento della "Casina Valadier" l'
avvocato Santaroni, che assisteva Ciarrapico, approfittando dell' assenza del giudice Adinolfi,
ottenne un provvedimento a favore di Ciarrapico. Ma poco dopo Adinolfi riprese servizio e
denuncio' tutti". Il giudice Paolo Adinolfi e' scomparso due anni fa, poche settimane dopo questo
episodio. Aveva contattato il pm milanese Carlo Nocerino: "Ho bisogno di parlarle come privato
cittadino". Le sue tracce si perdono il primo sabato del luglio ' 94. L' inchiesta sulla scomparsa,
archiviata alcuni mesi fa, e' stata appena riaperta: il faccendiere Francesco Elmo, coinvolto nell'
operazione "Che' que to che' que", ha dichiarato che Adinolfi sarebbe stato assassinato dalla Banda
della Magliana: "L' ufficiale del Sismi Mario Ferraro . ha detto Elmo ., mi fece presente che quel
giudice voleva rivelare gli intrecci tra i settori deviati del Sisde e la criminalita' romana nelle
compravendite di immobili".
Di Feo Gianluca
Bari. Cedis, nominato il nuovo commissario
La Repubblica (13/07/2006)
DAVIDE CARLUCCI
È a Roma, negli uffici del ministero delle Attività
produttive, che si stanno cercando i complici dell
´affare Cedis. Chi sono i funzionari che orientano e
pilotano le procedure di amministrazione
straordinaria dei gruppi falliti? È la domanda a cui
stanno tentando di dare una risposta i pubblici
ministeri romani Stefano Pesci e Giuseppe Cascini. Lo
scandalo Cedis - la svendita dei supermercati del
gruppo ad acquirenti ritenuti "amici" dell´ex
governatore pugliese Raffaele Fitto - s´inserisce in un
quadro più complesso: quello delle procedure sulle
amministrazioni controllate e degli incarichi affidati a
professionisti di area politica per orientare in un
certo modo le procedure. Un vero e proprio sistema
che getta ombre sul ruolo del ministero in diverse
vicende pugliesi: oltre al caso Cedis, anche il crac dei
supermercati dei fratelli Ferri.
Con i magistrati romani hanno avuto contatti anche i
pubblici ministeri di Bari che si occupano della
vicenda: Roberto Rossi, Renato Nitti e Lorenzo
Nicastro. Gli accertamenti riguardano la gestione
Marzano delle procedure di amministrazione
straordinaria. Ma il problema è stato sottoposto all
´attenzione dell´attuale ministro Pierluigi Bersani.
Che come primo atto ha deciso di sospendere per 90
giorni anche Franco Lo Passo, l´ultimo dei tre
commissari straordinari rimasti in carica dopo che
Antonio De Feo (che già aveva presentato le sue
dimissioni mesi fa) e Giuseppe Rochira (che l´ha
fatto in questi giorni) si erano ritirati. Al posto di Lo
Passo il ministero ha nominato Enrico Stasi,
commercialista torinese, che ha all´attivo diverse
procedure di fallimento e di amministrazione
controllata in Piemonte e in Sicilia e che gestirà la
procedura per i prossimi tre mesi in qualità di
commissario unico.
FILCAMS-Cgil
Federazione lavoratori
commercio turismo servizi
UFFICIO STAMPA
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Sentenza di primo grado a Brescia: tredici anni a Bertelli, fondatore
della holding turisticaalberghiera. Le accuse di bancarotta
Crac Italcase, condannati i big della finanza
Quattro anni a Colaninno, Marcegaglia e Lonati. Venti mesi a Geronzi,
Gronchi e Sacchetti
MILANO — Tredici anni all'imprenditore Mario Bertelli, individuato (dopo 250 udienze in due
anni di dibattimento a Brescia) come il principale artefice del crac della sua holding immobiliare
turisticoalberghiera «Italcase», inghiottita nel novembre 2000 da un «buco» di 600 milioni di euro
(circa 1200 miliardi di lire).
Ma se il castello societario di Bertelli (a lungo legato al marchio «Bagaglino») è crollato sotto il
peso di questa spaventoso sbilancio, non è stato soltanto perché al piano terra operavano appunto
Bertelli e la decina di suoi amministratori ora pure condannati per associazione a delinquere
finalizzata a bancarotta, falso in bilancio, evasione fiscale e emissione (secondo il capo di
imputazione) di 1138 miliardi di lire di fatture per operazioni inesistenti tra il 1995 e il 1998.
È stato, invece, anche perché al piano superiore, quello teoricamente più nobile, quello degli istituti
di credito finanziatori del gruppo come Banca di Roma (oggi Capitalia), Banca Agricola Mantovana
(controllata dal Monte dei Paschi di Siena) e Banca Nazionale dell'Agricoltura (incorporata in
Antonveneta), i banchieri avrebbero cercato di fare gli interessi dei propri istituti ai danni di quelli
degli altri creditori.
Per questo ieri a notte fonda — dopo una camera di consiglio iniziata 8 giorni fa, e con una
sentenzathrilling prima prevista per martedì, poi rinviata a ieri pomeriggio, quindi annunciata per
le 21, e infine letta soltanto a mezzanotte —, il Tribunale di Brescia, tra i 63 imputati e i vari
consiglieri d'amministrazione delle tre banche all'epoca, ha ritenuto colpevoli del reato di
«bancarotta semplice» anche il presidente della Banca di Roma e oggi di Capitalia, Cesare Geronzi
(pur assolto dalla bancarotta preferenziale), condannato a 1 anno e 8 mesi, più la sanzione
accessoria dell'incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualunque impresa per due anni;
l'amministratore delegato della Banca Popolare Italiana, Divo Gronchi, stesse pene (e analoga
assoluzione parziale); il presidente della Piaggio, Roberto Colaninno, 4 anni e 1 mese, più
interdizione dai pubblici uffici per 5 anni; l'industriale Steno Marcegaglia, stessa pena come il
finanziere Ettore Lonati; l'ex vicepresidente Unipol, Ivano Sacchetti, 1 anno e 8 mesi, come l'ex
direttore general Mps, Pierluigi Fabrizi. Cinque anni ai consulenti della «Lab», Carlo Maria
Colombo e Mario Santaroni; 4 anni e 6 mesi all' ex amministratore delegato de I viaggi del
Ventaglio, Marco Maria Colombo.
Nella ricostruzione proposta dal pm Silvia Bonardi al Tribunale presieduto dal giudice Enrico
Fischietti, su 40 miliardi di lire concessi a Italcase nel luglio 1998 dal pool di banche per avviare un
piano di risanamento secondo il progetto predisposto dai consulenti della «Lab», 36 miliardi
sarebbero andati a ripianare proprio le esposizioni delle banche. Che, in più, avrebbero richiesto
garanzie ipotecarie pari a quasi la totalità del patrimonio del gruppo e a oltre il 400% della somma
fra precedenti prestiti e nuovi impegni. Così, pur essendo già consapevoli nel 1998 dello stato di
insolvenza del gruppo, ne avrebbero prolungato artificialmente il collasso per trasformarsi e da
creditori chirografari in creditori privilegiati e consolidare le ipoteche a scapito degli altri creditori.
Specialmente delle decine di fornitori e piccole imprese sarde incaricate, ad esempio, della
costruzione (500 ville e 6mila posti letto) del «Country Village» a Stintino.
Le tre banche, che nel corso del processo hanno raggiunto transazioni per 50 milioni di euro con il
curatore fallimentare e i creditori, si sono difese ritenendo «indiscriminata» una imputazione a loro
avviso basata «su elementi erronei e contrastanti con precisi dati documentali», e per la quale «non
si comprende come la condotta del ceto bancario abbia potuto ledere la par condicio dei creditori».
E ieri notte l'unico a commentare a caldo la condanna è stato Colaninno, «molto amareggiato poiché
ritengo il mio comportamento, quale consigliere di amministrazione non esecutivo della Bam, sia
sempre stato orientato, in completa buona fede, a una positiva soluzione che garantisse i fornitori e i
creditori in generale. Convinto della correttezza e regolarità delle decisioni a cui ho partecipato in
base a informazioni e proposte presentate al consiglio dagli organi esecutivi della banca, confido in
una assoluzione in appello».
Tra sospensione condizionale delle pene (anche accessorie), indulto e prescrizione già a metà
dell'anno prossimo, per i condannati che oggi nelle banche siano amministratori o sindaci o direttori
generali la sentenza rischia di pesare, più ancora che per le pene, per gli effetti legati al regolamento
del ministero del Tesoro che individua i «requisiti di onorabilità e professionalità» dei vertici delle
banche e «le relative cause di sospensione».
Tra esse c'è proprio il caso di condanna non definitiva (come questa di primo grado): i consigli di
amministrazioni di Capitalia e Bpi (azioniste anche di Rcs) dovranno prenderne atto rispetto a
Geronzi e Gronchi, in attesa che le assemblee dei soci decidano poi se confermare o revocare la
fiducia ai vertici.
L. Fer.
08 dicembre 2006