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Lee problematiche interpretative e la conduzione dei procedimenti nel

contenzioso nunciatorio e possessorio


Corso – Cod. P13009 – della Scuola superiore della magistratura tenutosi dal 18-
18-20 febbraio
2013

Sommario:

1. Cautela anticipatoria e cognizione sommaria


2. Considerazioni di carattere generale sui procedimenti nunciatori
3. La gestione dei procedimenti di nuova opera e di danno temuto
4. Segue. La proposizione cumulativa in un unico procedimento di domanda
nunciatoria e di domanda possessoria
5. Una na questione di carattere sostanziale: il problema dell’ammissibilità dei
procedimenti di nuova opera e danno temuto a tutela del diritto alla salute
6. Profili generali sulla giurisdizione e competenza in materia di azioni possessorie
7. La struttura del procedimento possessorio e le novità introdotte nel 2005
8. Il problema della stabilità dei provvedimenti interinali possessori
9. La clausola di compatibilità
10. La gestione della fase sommaria
11. Il reclamo
12. La fase a cognizione piena
13. Il divieto di proporre la domanda petitoria pendente il giudizio possessorio
14. La domanda di provvedimento possessorio nel corso del giudizio petitorio

1. Cautela anticipatoria e cognizione sommaria


Il D.L. n.35/05,
35/05, convertito con modificazioni in legge n.80/05, che ha introdotto la
funzione cautelare a strumentalità attenuata1 relativamente alle misure a carattere anticipatorio
(art. 669-octies, 6° comma c.p.c.) non è un punto di partenza, ma il punto unto d’arrivo
d’ di una
lunga evoluzione.. La crisi storica del processo civile (problema tutt’altro che precipuo ed
esclusivo del caso italiano) e del giudicato come unica aspirazione delle parti e come solo
approdo della tutela approntata dall’ordinamento, a partire
partire dagli anni ’70 del secolo appena

1 Secondo Buoncristiani (Cecchella – Amadei), Il nuovo processo ordinario e sommario di cognizione, Milano,
2006, pp. 104-105,
105, poiché la strumentalità
strumentalità è una caratteristica essenziale della tutela cautelare, non subordinabile a
scelte di opportunità legislativa, anche nei casi in cui l’instaurazione del giudizio di merito degrada a mera facoltà
il “provvedimento cautelare nasce non in attesa del provvedimento di merito, ma pur sempre in funzione del
diritto controverso”, per cui è impreciso parlare di strumentalità attenuata o allentata, dato che la strumentalità
ipotetica non è stata minimamente intaccata, sicché è preferibile parlare di assenza di strumentalità
strumentalità necessaria tra
tutela cautelare e tutela di merito.

1
trascorso aveva condotto, soprattutto grazie all’impiego pretorio (e in allora anche pretorile)
della cautela innominata ex art.700 c.p.c., ad una progressiva omologazione della funzione
cautelare a quella cognitiva, nel senso che l’ipertrofia del rimedio cautelare era stata l’occasione
per sperimentare forme di tutela sommaria e meta-cautelare, destinate a mettere capo a
provvedimenti di fatto idonei ad esaudire l’interesse della parte ricorrente, pur senza attingere
agli effetti del giudicato. La trasformazione della tutela cautelare in cognizione sommaria si
rivela appieno anche e soprattutto nella recente formulazione normativa del procedimento
sommario di cognizione, di cui agli artt. da 702-bis a 702-quater c.p.c., preceduto dall’art. 19
del D.Lgs. n.5/03 sul rito societario, oggi abrogato. Pur nella diversità dei rispettivi esiti finali
(mera anticipazione di effetti nel caso dei provvedimenti cautelari a strumentalità non
necessaria, giudicato nelle ipotesi di procedimento sommario di cognizione), il rapporto di
filiazione tra cautela (atipica e anticipatoria) e cognizione sommaria (generalizzata e non
cautelare) è evidente2. A testimoniarne è sia la localizzazione delle norme sul procedimento
sommario di cognizione, inserite subito dopo l’art. 700 c.p.c. sui provvedimenti d’urgenza e
immediatamente prima delle disposizioni sui procedimenti possessori – che partecipano delle
forme del processo cautelare uniforme in quanto compatibili (art. 703, 2° comma c.p.c.), pur
senza essere misure cautelari –, sia dall’art. 702-ter, 5° comma c.p.c., che con disposizione
pressoché identica a quella dell’art. 669-sexies, 1° comma c.p.c. prevede che il giudice, sentite le
parti ed omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio provvede agli atti di istruzione
indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto, emettendo
all’esito ordinanza.
Dunque, è senz’altro necessario un approccio di studio consapevole della comunanza di
molteplici problematiche interpretative, che tenga conto della circolarità tra l’una e l’altra
esperienza processuale.

2. Considerazioni di carattere generale sui procedimenti nunciatori


Sostituita la struttura bifasica (v. gli abrogati artt. 689 e 690 c.p.c.), precedente alle
modifiche introdotte dal processo cautelare uniforme, con quella monofasica degli artt. 669-bis
e ss. c.p.c., resta comunque nevralgica l’individuazione dell’azione di cognizione da esercitare
nell’eventuale e successivo giudizio di merito.
Com’è noto, infatti, le azioni di nunciazione (artt. 1171 e 1172 c.c.) sono preordinate alla
tutela della proprietà o di altro diritto reale, ovvero del possesso. Di qui la necessità di
individuare correttamente l’ordinario giudizio di merito successivo alla fase cautelare, che può
avere natura diversa a seconda che la domanda, identificata attraverso i suoi elementi oggettivi
(petitum e causa petendi), configuri l’esercizio di un’azione petitoria o possessoria, secondo un
apprezzamento che è rimesso alla “motivata valutazione”3 del giudice di merito4, che a

2 Per un confronto fra la tutela sommaria non cautelare e il modello del référé provvisionale e ingiuntivo
dell’ordinamento francese, v. Cecchella, Il nuovo processo civile, Milano, 2009, 109 ss.
3 Cfr. Cass. n. 1519/06, emessa in esito a un regolamento di competenza, che richiama un principio espresso da
Cass. n. 11027/03, pronunciata in relazione ad un procedimento di nuova opera ante lege n.353/90.
4 Vale richiamare Cass. S.U. n. 8077/12, secondo cui quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio
che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un'attività
deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, ed in particolare un vizio afferente
alla nullità dell'atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell'oggetto della domanda o delle ragioni poste
a suo fondamento, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all'esame della sufficienza e
logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di
esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta
dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in

2
differenza del passato (in cui il ricorso di nuova opera e di danno temuto originavano anche il
relativo giudizio di merito) non sembra più controllabile innanzi alla Corte di cassazione.
Ed infatti, è stato affermato che In materia di procedimenti cautelari, è inammissibile la
proposizione del regolamento di competenza, anche nell'ipotesi di duplice declaratoria
d'incompetenza formulata in sede di giudizio di reclamo, sia in ragione della natura giuridica
dei provvedimenti declinatori della competenza - che, in sede cautelare, non possono assurgere
al genus della sentenza e sono, pertanto, inidonei ad instaurare la procedura di regolamento in
quanto caratterizzati dalla provvisorietà e dalla riproponibilità illimitata - sia perché l'eventuale
decisione, pronunciata in esito al procedimento disciplinato dall'art. 47 c.p.c., sarebbe priva del
requisito della definitività, in ragione del peculiare regime giuridico del procedimento cautelare
nel quale andrebbe ad inserirsi. (Nella fattispecie, e a seguito di reclamo contro un'ordinanza
emessa in sede cautelare, il Tribunale del lavoro in composizione collegiale aveva declinato la
propria competenza a favore della Corte d'appello, che, a sua volta, si era dichiarata
incompetente ed aveva richiesto, d'ufficio, il regolamento di competenza)5.
Ulteriore questione – peraltro comune ad ogni procedimento cautelare – riguarda i
limiti entro cui è esigibile che la domanda di merito sia specificata già nel ricorso. Se prima
della riforma introdotta con la legge n.353/90 poteva trattarsi di un falso problema, perché la
struttura bifasica dei procedimenti nunciatori implicava che tanto la domanda cautelare,
quanto la domanda di merito erano introdotte col medesimo ricorso, e dunque anche le
conclusioni di merito dovevano essere adeguatamente formulate in esso, l’interrogativo si pone
più chiaramente nel sistema vigente, che non solo crea una cesura netta tra i due momenti di
tutela, ma altresì conduce all’adozione di un provvedimento cautelare dotato di una stabilità
che è tutta da indagare nelle sue implicazioni, cioè che permane efficace anche se inidoneo al
giudicato e non provvisto dell’autorità della sentenza, che per esplicarsi necessita di un proprio
chiaro ambito di riferimento.
Le norme che sovvengono al riguardo sono gli artt. 125 e 156 c.p.c. Il primo, dettato sul
contenuto in generale degli atti di parti, richiede la formulazione, tra l’altro, delle conclusioni o
dell’istanza, il secondo pone il principio dei requisiti di forma-contenuto indispensabili perché
l’atto raggiunga il suo scopo. Si tratta di norme contenute nel libro primo del codice, e che
pertanto hanno una tendenziale e potenziale applicabilità ad ogni tipo di procedimento.
Coordinando fra loro le due disposizioni in rapporto alle esigenze del procedimento cautelare,
sembra doversi preferire la soluzione che considera sufficiente una generale enunciazione della
tutela di merito cui la misura richiesta è strumentale, che consenta al giudice e all’altra parte
di individuare l’azione che il ricorrente intende proporre nella sede di merito, senza la necessità
di specificare le conclusioni in maniera formalistica6.

conformità alle prescrizioni dettate dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c.). Tale
sentenza in motivazione avverte che la questione potrebbe riproporsi in una molteplicità di casi, accomunati dalla
natura processuale del vizio denunciato dal ricorrente e dalla sua interdipendenza con l’interpretazione da dare ad
una domanda o ad un’eccezione di parte, e per ciò ha espressamente preferito limitare la questione al sindacato di
legittimità sulla nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza del petitum o della causa petendi, e alla
possibilità dell’esame diretto dei dati processuali rilevanti al fine di ravvisare la nullità o meno dell’atto di
citazione, a prescindere dalla valutazione fattane dal giudice di merito e dalla motivazione svolta.
5 Cass. S.U. n. 16091/09.
6 Così, Salvaneschi, in Il processo cautelare, a cura di Tarzia e Saletti, Milano, 2008, 383.

3
La giurisprudenza di merito appare per lo più orientata in tal senso7, con variegate
soluzioni per quanto concerne, invece, le possibilità di sanatoria dell’eventuale vizio di nullità
inerente all’editio actionis8. Sanatoria di cui, in realtà, non sembra potersi dubitare, in virtù
dell’applicazione analogica dell’art. 164 c.p.c., che altro non è se non un’applicazione della
regola generale dell’art. 162 c.p.c. che impone al giudice di disporre la rinnovazione degli atti
nulli.

3. La gestione dei procedimenti di nuova opera


opera e di danno temuto
L’autonomia processuale tra rimedio cautelare e pronuncia cognitiva impone coerenza
nel valutare, altrettanto autonomamente, i requisiti delle rispettive azioni.
Al riguardo, è stato osservato dalla S.C. che nell'azione nunciatoria, i requisiti che
condizionano la proponibilità dell'azione nella fase cautelare (l'infrannualità dall'inizio dell'opera
e la sua incompletezza) e la concessione della misura richiesta (pericolo di danno) non rilevano
nella successiva fase di merito, nella quale l'attore è tenuto solo a dimostrare la sussistenza
della denunciata lesione alla situazione di fatto o al diritto fatti valere9.
Va da sé che quale che sia stato l’esito del procedimento cautelare, nel successivo ed
eventuale giudizio di merito non v’è più spazio per discutere, a nessun effetto, delle condizioni
di quella azione, e dunque sono del tutto errate (come le richieste, così) le pronunce che (per
lo più a causa della mancata previa verifica della natura possessoria o petitoria della domanda
di merito) si limitano a confermare, con formule varie, la misura cautelare già adottata.
Quanto ai profili d’integrità del contraddittorio, è stato di recente ribadito che qualora
l'azione nunciatoria non abbia ad oggetto la richiesta di demolizione di un'opera, bensì il
ripristino dello stato dei luoghi, la domanda può essere interpretata come richiesta di
risarcimento del danno in forma specifica e, pertanto, quando essa sia avanzata contro l'autore
del fatto dannoso, non si verifica un'ipotesi di litisconsorzio necessario tra lo stesso ed il
proprietario o comproprietario del fondo sul quale l'opera illegittima è stata eseguita10.
Tale orientamento fa espresso riferimento ad una risalente11 giurisprudenza della stessa
Corte di cassazione che riconosce alla differenza tra domanda di demolizione e domanda di
ripristino dello stato dei luoghi una potenziale ricaduta sull’interpretazione della pretesa, nel
senso che soltanto nel secondo caso si sarebbe in presenza di un’azione di carattere personale.
Siffatta conclusione, a nostro avviso, merita qualche puntualizzazione, per un corretto uso delle
tecniche di qualificazione dell’azione esercitata tramite la domanda, e, conseguentemente, di
gestione del procedimento.

7 Cfr. Trib. Nola, 4.11.2008, in De Jure, che ritiene necessario un esame complessivo dell’atto introduttivo del
giudizio, esteso alla parte espositiva, da cui possano oggettivamente evincersi le doglianze sollevate e le richieste
conseguentemente avanzate.
8 In senso affermativo circa la sanabilità, v. Trib. Palmi 28.3.2007, in Juris data on line; in senso contrario, Trib.
Isernia, che ritiene incompatibile la possibilità di sanatoria in applicazione dell’art. 164 c.p.c. con le esigenze di
celerità del rito cautelare e con il ritenuto carattere eccezionale di tale norma, che ne escluderebbe l’applicabilità
analogica; una posizione intermedia è espressa da Trib. Ivrea, 16.10.2007, in Giur merito, 2008, 131, secondo cui
l’indicazione del petitum e della causa petendi della causa di merito è necessaria a pena di nullità, anche se essa è
desumibile implicitamente dal contenuto del ricorso, restandone comunque esclusa la possibilità di sanatoria; per
l’inammissibilità del ricorso cautelare in cui manchino le conclusioni di merito, v. Trib. Torino, 7.5.2007, in DG.
9 Cass. n. 2756/11; conforme Cass. n. 12511/01.
10 Cass. n. 6480/10; conformi Cass. nn. 4343/84 e 2306/76.
11 Cass. nn. 4343/84 e 2306/76.

4
Premesso che l’interpretazione della domanda è prodromica alla qualificazione
dell’azione, la prima essendo diretta a delimitare la pretesa dal punto di vista contenutistico, la
seconda avendo lo scopo di individuare le norme applicabili, identificare i themata decidenda et
probanda e ripartire gli oneri probatori, sicché è la seconda a dipendere dalla prima, va detto
che tale indirizzo è sorto anteriormente a Corte cost. n. 25/92, che (sebbene occasionata da un
incidente di costituzionalità sorto in una controversia avente ad oggetto un bene mobile, si è
espressamente riferita alla tutela possessoria anche degli immobili) nel dichiarare illegittimo
l’art. 705, 1° comma c.p.c. nella parte in cui subordina la proposizione del giudizio petitorio alla
definizione della controversia possessoria e all’esecuzione della decisione nel caso in cui ne
possa derivare un pregiudizio irreparabile al convenuto, ha confermato la possibilità che la
demolizione un opus possa essere domandata a tutela del possesso.
In secondo luogo tale indirizzo non si coordina con l’altro, affatto consolidato, in base
al quale sebbene nei giudizi possessori – e lo stesso vale per quelli nunciatori – non ricorra
tendenzialmente una situazione di litisconsorzio necessario, essendo spoglio e turbativa atti
illeciti di cui ciascun autore risponde in solido con gli altri ai sensi dell’art.2055 c.c., il
litisconsorzio necessario dal lato passivo s’impone allorché la reintegrazione o la manutenzione
del possesso comportino il ripristino dello stato dei luoghi mediante demolizione di un’opera di
proprietà o nel possesso di più persone12.
Da ultimo, ma non per ultimo, va detto che l’azione di nuova opera o di danno temuto
è essa stessa una qualificazione giuridica che non richiede aggettivazioni ulteriori (al di là di
quella, generica, di azione cautelare), sicché la soluzione dei problemi riguardanti l’integrità del
contraddittorio dipende essenzialmente dalla tipologia della misura richiesto, che essendo
assimilabile quoad effectum ad una condanna (anche se ovviamente non è qualificabile come
tale) richiede la partecipazione di tutti i soggetti interessati solo in quanto si concreti in una
demolizione o in qualsivoglia altra mutazione di carattere definitivo.

4. Segue. La proposizione
proposizione cumulativa in un unico procedimento di domanda
nunciatoria e di domanda possessoria
La pratica insegna che talvolta il ricorso, occasionato ad un tempo da un pregiudizio
paventato e da uno già prodotto, sia proposto ai sensi tanto degli artt. 1171-1172 c.c. quanto in
base agli artt. 1168-1170 c.c.; o che, nel dubbio, la parte attrice proponga, in via cumulativa o
alternativa, un’intitolazione nunciatoria e/o possessoria; o, più semplicemente, che sorga
questione tra le parti sulla qualificazione della domanda nell’un senso piuttosto che nell’altro.
Fermo restando che in nessun caso è lecito per il giudice desistere da un procedere
ordinato, che muovendo dall’interpretazione della o delle domande pervenga alla relativa
qualificazione giuridica, e che tale attività se ben condotta risolve generalmente una
molteplicità di problemi, va precisato che tra le due tipologie di azioni non intercede alcun
nesso di specialità, che ne inibisca la proposizione congiunta.
Per convincersene basta considerare che mentre le azioni di nuova opera e di danno
temuto nascono e permangono, anche dopo le riforme degli ultimi vent’anni, come azioni
cautelari, le azioni possessorie, nonostante le profonde modificazioni strutturali subite a partire
dalla legge n.353/90, sono pur sempre azioni di cognizione, sommaria o piena a seconda della
fase che si consideri. Accomunate dalle forme del procedimento di cui agli artt. 669-bis e ss.
c.p.c. e dalla pari attitudine a mettere capo ad un provvedimento dotato di stabilità (con le

12 Cass. nn. 3933/10, 921/10, 22833/05, 7412/03, 4312/86, 4137/83, 4382/82, 1441/78, 2348/75 e 1511/74.

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precisazioni che seguiranno in ordine ai procedimenti possessori), le due categorie di azioni si
discostano tra loro sotto il profilo funzionale, tradotto dalla diversità dei rispettivi presupposti
di proponibilità. In più, la possibilità che l’azione di nuova opera o di danno temuto sia diretta
ad assicurare gli effetti di un’azione (petitoria o) possessoria, demarca ulteriormente i confini
tra quelle, strumentali e serventi, e questa, così come il mezzo si distingue dal fine.
Non sorprende, pertanto, che la giurisprudenza del S.C. affermi che l'azione di
denunzia di nuova opera (che è diretta ad ottenere le misure più immediate per evitare danni
alla cosa posseduta mediante un procedimento sommario che si esaurisce con l'emanazione del
provvedimento di rigetto o di accoglimento della pretesa cautelare) e quella di spoglio (che è
destinata a tutelare nel merito, anche se preceduta da una fase interdittale, il possessore nei
confronti dell'autore dello spoglio medesimo) hanno finalità e presupposti diversi, e la loro
autonomia esclude che in virtù di un principio di specialità possa ravvisarsi l'esperibilità
soltanto della prima in caso di contestuale esistenza delle condizioni legittimanti l'esercizio di
entrambe13.
Piuttosto, la proposizione congiunta ed effettiva (che cioè sia declinabile come tale
all’esito di un corretto esercizio della potestà di interpretazione della domanda e di
qualificazione dell’azione) pone qualche problema processuale di coordinamento.
Al riguardo, e in larga approssimazione, si possono formulare due distinte ipotesi.
La prima è che l’azione ex artt. 1171-1172 c.c. sia volta ad assicurare gli effetti di
un’azione petitoria, e che la domanda possessoria sia diretta a tutelare il possesso
corrispondente a un diritto reale ulteriore e diverso (ad es. costruzione in corso d’opera di un
edificio che, ad un tempo, invada la proprietà del ricorrente e sopprima o renda incomodo il
possesso della servitù di passo esercitata sul fondo del convenuto). In tal caso si verifica una
fattispecie di cumulo c.d. qualificato, cioè derivante da connessione sia oggettiva che soggettiva,
se la nuova opera è anche fonte di lesione possessoria; diversamente si tratta di un normale
cumulo oggettivo per connessione soggettiva ai sensi dell’art. 104, 1° comma c.p.c. In entrambe
le ipotesi, esaurita la fase cautelare/sommaria, governata dalle medesime disposizioni
processuali, la causa di merito petitorio e la fase di cognizione piena del procedimento
possessorio seguono regole diverse, rispettivamente dettate dall’art. 669-octies, 6° comma c.p.c.
e dall’art. 703, 4° comma c.p.c. Percorse entrambe le vie, nulla si oppone alla riunione delle due
cause ex art. 274 c.p.c.
La seconda ipotesi è quella di un’azione cautelare e di un’azione possessoria intese a
tutelare un medesimo possesso sottoposto a pregiudizi diversi, ad es. pericolo di crollo di un
edificio fatiscente e chiusura di un cancello, l’uno e l’altra in danno del possesso di un passo. In
tal caso ci sembra che la situazione finale non sia dissimile da quella che si configura nel caso
della coeva introduzione della domanda cautelare e di quella di merito, di guisa che esaurita la
fase cautelare/sommaria, il giudizio di merito possessorio proseguito ai sensi dell’art. 703, 4°
comma c.p.c. includa necessariamente entrambe le questioni. Unico il possesso a tutela del
quale provvedere con sentenza, è unica la causa petendi che su di esso si basa. Il duplice
petitum formale che si articola nella richiesta di condanna a demolire (o a munire di opere
provvisionali) l’edificio pericolante (ove il relativo interesse non sia già stato soddisfatto
interamente nella fase cautelare/sommaria) e a riaprire e mantenere aperto il cancello, non
rende per ciò solo duplice anche la domanda.

13 Così, Cass. n. 24026/04.

6
5. Una questione di carattere sostanziale: ilil problema dell’ammissibilità dei
procedimenti di nuova opera e danno temuto a tutela del diritto alla salute
Il nesso di strumentalità necessaria tra azioni nunciatorie e tutela della proprietà o del
possesso sembra escludere prima facie che attraverso le prime possa farsi valere un diritto
tipicamente personale come quello alla salute. Tuttavia la facoltà di godimento che il
possessore e il titolare di un diritto reale esercitano su di un bene immobile rimanda
necessariamente anche ad aspetti non patrimoniali che danno senso e contenuto effettivo alla
facoltà stessa, e che è arduo pensare di poter separare nei fatti come nelle relative
concettualizzazioni.
Il tema, a ben vedere, è tutt’altro che nuovo, ove si consideri la vicenda
dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 844 c.c., in tema di immissioni
eccedenti la normale tollerabilità, ai fini della tutela della salute (nel senso della salubrità
dell’ambiente). Nata anch’essa per la protezione di diritti patrimoniali, la norma dell’art. 844
c.c. si è mostrata particolarmente duttile per la tutela di interessi affatto diversi, fino a
diventarne strumento privilegiato e a consentire una rilettura del bilanciamento fra proprietà
ed esigenze della produzione in chiave non più soltanto indennitaria14.
La reciproca estraneità fra azioni nunciatorie e diritto alla salute è affermata (in realtà
solo implicitamente, nonostante quanto emerga dalla massima) da una pronuncia della Corte di
cassazione15, la quale ha tuttavia ha affermato che il pericolo di danno alla salute, ai fini
dell'ammissibilità dell'istanza cautelare ex art. 1172 c.c., non assume rilievo caratterizzante ed
esclusivo ove tale pericolo costituisca conseguenza della menomazione delle facoltà di
godimento pieno ed esclusivo della cosa in proprietà.
In senso meno possibilista sembrava muoversi, invece, la giurisprudenza
amministrativa, in materia di discariche ed azioni di nuova opera, vigente l’art. 4 del D.L.
n.90/08, convertito con modificazioni in legge n. 123/08 (norma abrogata dal nuovo processo
amministrativo), che attribuiva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le
controversie, anche in ordine alla fase cautelare, comunque attinenti alla complessiva azione di
gestione dei rifiuti. E’ stato, infatti, affermato16 che l’azione di nuova opera, preordinata alla
tutela della proprietà o del possesso, non può essere esercitata allorché la posizione finale
sottesa alla domanda dei ricorrenti sia non già il diritto dominicale vantato su immobili siti in

14 V. Cass. n. 5564/10, secondo cui in tema di immissioni, l'art. 844, secondo comma, cod. civ., nella parte in cui
prevede la valutazione, da parte del giudice, del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni
della proprietà, considerando eventualmente la priorità di un determinato uso, deve essere letto, tenendo conto
che il limite della tutela della salute è da ritenersi ormai intrinseco nell'attività di produzione oltre che nei
rapporti di vicinato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo considerarsi prevalente
rispetto alle esigenze della produzione il soddisfacimento ad una normale qualità della vita. Ne consegue che le
immissioni acustiche determinate da un'attività produttiva che superino i normali limiti di tollerabilità fissati, nel
pubblico interesse, da leggi o regolamenti, e da verificarsi in riferimento alle condizioni del fondo che le subisce,
sono da reputarsi illecite, sicché il giudice, dovendo riconoscerle come tali, può addivenire ad un
contemperamento delle esigenze della produzione soltanto al fine di adottare quei rimedi tecnici che consentano
l'esercizio della attività produttiva nel rispetto del diritto dei vicini a non subire immissioni superiori alla normale
tollerabilità. (Fattispecie relativa ad immissioni rumorose al di sopra della normale tollerabilità determinate da
attività di ristorazione, caratterizzata principalmente dallo svolgimento di banchetti nuziali, con notevole afflusso
di persone).
15 Cass. n. 1778/07, la quale, emessa in una fattispecie in cui la domanda cautelare riguardava un servizio igienico
di un’abitazione invaso da rigurgiti di fognatura, ha escluso che fosse stata richiesta la tutela del solo diritto alla
salute.
16 T.A.R. Lazio, 9.2.2009, in Foro it., 2009, parte III, 565 ss.

7
prossimità della discarica, ma il diritto alla salute, declinato anche in termini di pretesa a un
ambiente salubre, le cui modalità di protezione esulano dalla sfera operativa tipicamente
riconnessa alle azioni petitorie.

6. Profili generali sulla giurisdizione e competenza in materia di azioni possessorie


L’ammissibilità sia delle azioni di nuova opera e di danno temuto sia delle azioni
possessorie nei confronti della P.A. costituisce un esito ormai acquisito, a partire da ormai
risalenti pronunce delle S.U. della Corte di cassazione17, ogni qual volta la domanda investa non
già un atto o un provvedimento amministrativo, bensì una mera attività materiale della P.A.,
fermo restando che costituisce limite interno alla giurisdizione ordinaria l’emissione di
provvedimenti che incidano in maniera diretta sui provvedimenti amministrativi posti a base
della condotta denunciata.
Tale giurisdizione, che era stata posta in discussione a seguito dell’entrata in vigore
dell’art. 34 del D.Lgs. n.80/98, è ora pacificamente riaffermata a seguito della dichiarazione di
illegittimità di tale norma18.
Permane, dunque, sostanzialmente immutato il principio per cui le azioni possessorie
sono esperibili davanti al giudice ordinario nei confronti della P.A. quando il comportamento
della medesima non si ricolleghi ad un formale provvedimento amministrativo, emesso
nell'ambito e nell'esercizio di poteri autoritativi e discrezionali ad essa spettanti, ed avente
contenuto, in senso lato, ablativo, ma si concreti e si risolva in una mera attività materiale
lesiva di beni, dei quali il privato vanti il possesso; ove risulti, invece, sulla base del criterio del
petitum sostanziale, che oggetto della tutela invocata non è una situazione possessoria, ma il
controllo di legittimità dell'esercizio del potere, va dichiarato il difetto di giurisdizione del
giudice ordinario, competente essendo il giudice amministrativo19.
Per quanto concerne il tema delle azioni possessorie verso un’amministrazione dello
Stato, va segnalato che secondo una (allo stato unica) sentenza della S.C. la norma di cui
all'art. 7 del R.D. 1611/1933 (a mente della quale l'appello delle sentenze dei pretori pronunciate
nei giudizi nei quali è parte un'amministrazione dello Stato è proposto dinanzi al tribunale del
luogo ove ha sede l'Avvocatura dello Stato nel cui distretto le sentenze stesse furono

17 Cass. S.U. nn. 2322/80 e 2921/80. Da ultimo, cfr. Cass. S.U. n. 4633/07.
18 V. Corte cost. n. 281/04. Per Cass. S.U. n. 4632/07, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale
parziale dell'art. 34 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in relazione
all'azione possessoria promossa dal privato nei confronti della P.A. in conseguenza della mera attività materiale,
non sorretta da alcun formale provvedimento amministrativo, da questa posta in essere in ambito urbanistico.
Non costituiscono atti d'imperio della P.A., idonei ad affievolire a interesse legittimo la posizione soggettiva del
privato, né una variante di piano regolatore generale, inidonea a produrre l'effetto implicito di dichiarazione di
pubblica utilità, né l'acquisizione di un fondo con atto, che, in assenza dei caratteri della cessione amichevole, deve
qualificarsi come atto di vendita di diritto privato. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato la giurisdizione dell'AGO
sull'azione di manutenzione esercitata dal proprietario di terreno a cui favore era costituita una servitù avente ad
oggetto il divieto di destinare il fondo servente ad uso diverso da quello agrario, a seguito di acquisizione e
trasformazione in parcheggio da parte del Comune).
19 Così, Cass. S.U. n. 10285/12, che ha affermato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in cui un caso in
cui il ricorrente, assumendo di essere stato molestato nel possesso di un terreno e di un'adiacente strada di sua
proprietà, aveva richiesto la sospensione o l'eliminazione del provvedimento con cui l'amministrazione comunale
aveva disposto la rimozione della recinzione e lo sgombero dell'area, al fine di ripristinare il libero transito dei
mezzi agricoli usati da altri cittadini per raggiungere i propri fondi, non potendosi ravvisare nell'attività del
Comune un disturbo di fatto del possesso del bene vantato dal privato, quanto l'esercizio di una potestà
pubblicistica rientrante nelle competenze municipali in materia di urbanistica e di circolazione stradale.

8
pronunciate) si applica anche al reclamo proposto avverso le misure cautelari ex artt. 669 ss.
c.p.c., pur non essendo il reclamo un mezzo d'impugnazione in senso tecnico20. Alla base di tale
orientamento vi sono due considerazioni, svolte nella motivazione di detta sentenza. La prima è
che la ragione che ha determinato il legislatore a prevedere il foro erariale, consistente nella
facilitazione per la P.A. di difendersi nel luogo ove ha sede l’Avvocatura dello Stato, permane
inalterata anche nell’ipotesi di reclamo possessorio, che costituisce pur sempre un rimedio
impugnatorio. La seconda risiede in ciò, che il principio contenuto nell’art. 669-terdecies c.p.c.,
in base al quale prima della causa di merito la domanda cautelare si propone al giudice
competente a conoscere il merito, deve intendersi riferita anche al giudice del reclamo, essendo
diretto tale rimedio alla revoca o modifica dell’ordinanza impugnata. Pertanto, se il reclamo
fosse proponibile innanzi ad un giudice diverso da quello del foro erariale, la causa di merito e
quella cautelare potrebbero essere proposte innanzi a giudici diversi, in contrasto con la
previsione dell’art. 669-ter, 1° comma c.p.c.
V’è da considerare, però, a) che le azioni possessorie non sono cautelari e la loro
sottoposizione al processo cautelare uniforme è soggetta alla clausola di compatibilità di cui
all’art. 703, 2° comma c.p.c.; b) che detta pronuncia è stata resa in una fattispecie in cui la
domanda possessoria era stata proposta innanzi al pretore, rispetto al quale lo stesso art. 7,
primo comma R.D. 1611/1933 prevedeva la deroga alla regola del foro erariale; c) che tale
deroga, a sua volta, era giustificata dalla natura del pretore, quale giudice c.d. di prossimità, in
considerazione di quelle che erano le sue competenze per materia; e d) che, pertanto, sostituito
al pretore il tribunale quale unico giudice togato di prossimità, non si vede la ragione per cui
debba diversificarsi la competenza tra procedimento possessorio davanti al giudice monocratico
e fase di reclamo innanzi al collegio del medesimo ufficio giudiziario.
Da ricordare che secondo la giurisprudenza della Cassazione formatasi anteriormente
alle modifiche del procedimento possessorio apportate dal D.L. n. 35/05, il provvedimento con
il quale il giudice adito dichiari, nei limiti della cognizione sommaria della fase cautelare, la
propria incompetenza sull'istanza di reintegrazione nel possesso, non è soggetto ad
impugnazione con regolamento di competenza, esperibile unicamente nei confronti di quei
provvedimenti che - ancorché privi della forma di sentenza - abbiano effetti sostanziali di
carattere definitivo, bensì a reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c., richiamato dal nuovo testo
dell'art. 703, secondo comma, c.p.c.21.
Tale indirizzo non sembra destinato a mutare con le modifiche apportate dal
legislatore del 2005, poiché, come si avrà modo di vedere, la definitività del provvedimento
interinale possessorio è un esito eventuale e successivo alla scadenza del termine (30 gg. dalla
comunicazione dell’ordinanza: art. 47, 2° comma c.p.c.) per proporre il regolamento di
competenza.

20 Cass. n. 1722/00.
21 V. Cass. n. 5316/05, cui adde Cass. n. 11164/08, secondo cui Quando il giudice - adito con la prospettazione della
idoneità di determinati fatti ad integrare la fattispecie costitutiva di una domanda di tutela del possesso - ritiene
che essi integrerebbero invece, astrattamente, i fatti costitutivi di una domanda diversa e, anziché limitarsi a
rigettare la domanda possessoria, si considera investito della diversa domanda che i fatti prospettati sarebbero
stati idonei a integrare e si dichiara incompetente sulla medesima, la decisione così assunta deve ritenersi
erroneamente dichiarativa di incompetenza, poiché quella che il giudice ha considerato come qualificazione della
domanda non è tale, essendo egli chiamato a decidere solo sulla domanda possessoria. (In applicazione di tale
principio, la S.C. ha dichiarato la competenza del tribunale che, investito di una domanda possessoria, ritenendo
che la medesima fosse fondata sull'esistenza di un titolo contrattuale agrario, aveva invece dichiarato la propria
incompetenza per essere competente la sezione specializzata agraria).

9
7. La struttura del procedimento possessorio e le novità introdotte nel 2005
Com’è noto, la novità fondamentale apportata al procedimento di cui agli artt. 703-705
c.p.c. dal legislatore del 2005 consiste nell’aver sostituito alla struttura necessariamente bifasica
(affermata, com’è altrettanto noto, dopo la novella di cui alla legge n.353/90 da Cass. S.U.
n.1984/98) una struttura solo eventualmente bifasica. Il 4° comma dell’art. 703 c.p.c., infatti,
rimette all’iniziativa di una delle parti, entro il termine perentorio di 60 gg. decorrente dalla
comunicazione del provvedimento interdittale (recte, che conclude la fase sommaria diretta
all’emissione dell’interdetto possessorio), la prosecuzione del giudizio per il c.d. merito
possessorio con le forme delle cognizione piena.
Tale possibilità, e non necessità, del c.d. merito possessorio, non risolve chiaramente a
favore dell’una o dell’altra opzione il contrasto fra chi, già all’indomani della legge n.353/90
configurava l’azione possessoria come procedimento sommario-semplificato-esecutivo22, e chi,
invece, la collocava e la colloca tuttora saldamente all’interno della funzione giurisdizionale
dichiarativa23, atteso che la riforma del 2005-2006 riedita, a ben vedere, la struttura originaria
del procedimento possessorio articolato in due fasi, quella sommaria (necessaria) e quella a
cognizione piena (eventuale), l’una e l’altra introdotte dal medesimo ed unico ricorso.
Resta di indubbio interesse il fatto che la struttura del procedimento possessorio, che
può arrestarsi alla sola fase sommaria, confermi quella circolarità, ormai conclamata, tra
procedimenti cautelari e procedimenti sommari cui si è accennato all’inizio. Ma, come si dirà
ora, permane una differenza fondamentale.

8. Il problema della stabilità dei provvedimenti interinali possessori


Al pari dei cautelari anticipatori, anche i procedimenti possessori possono dar vita a
provvedimenti dotati di stabilità, cioè efficaci anche se non seguiti dal c.d. giudizio di merito
(come si ricava dall’art.669-novies, 3° comma c.p.c., richiamato dall’ultimo comma dell’art. 703
c.p.c.).
Stabilità sulla quale, però, occorre soffermarsi. Mentre anche i provvedimenti cautelari
a strumentalità attenuata sono tuttavia soggetti alla revoca/modifica ai sensi dell’art.669-decies
c.p.c., e il diritto in essi affermato può essere rimesso in discussione in un giudizio dichiarativo,
come si ricava dall’assenza del requisito di autorità (art. 669-octies, ultimo comma c.p.c.), è
tutt’altro che certo che analogamente accada per i provvedimenti possessori. E ciò per la
ragione che a differenza dei cautelari nei procedimenti possessori la domanda di merito è già
proposta con lo stesso ricorso, e di conseguenza i provvedimenti interdittali a differenza di
quelli cautelari non possono essere pronunciati ante causam24. In altri termini, occorre evitare
l’equivoco di istituire impropri parallelismi tra due diverse dicotomie, quella cautela/merito, da
un lato, e quella possessorio/petitorio, dall’altro.

22 Proto Piani, Lezioni di diritto processuale amministrativo, Napoli, 1994, 738.


23 Luiso, Diritto processuale civile, Milano, 2011, IV, 275, il quale ritiene che la ricostruzione della tutela
possessoria come giurisdizione sommario-esecutiva è soprattutto contraddetta dalla funzione che in concreto ha
assunto nella giurisprudenza della Corte di cassazione l’azione di spoglio, essendone stato inteso il requisito della
violenza o clandestinità come privazione del possesso senza il consenso del possessore, di modo che attualmente
l’azione di spoglio copre tutta l’area lasciata libera dalla perdita del possesso dovuta ad una dismissione volontaria
del possessore.
24 Luiso, op. cit., 277.

10
Mentre secondo una parte della dottrina25 la stabilità dei provvedimenti possessori
sarebbe in tutto ricalcata su quella dei provvedimenti anticipatori, con gli effetti di permanenza
del provvedimento nei termini di ciò che accade per il provvedimento cautelare, altri26 ritiene
che la mancata richiesta di prosecuzione comporti un effetto parificabile a quello del decreto
ingiuntivo non opposto, e cioè una preclusione pro iudicato (i cui effetti sostanziali, com’è
noto, non sono dissimili da quelli di un giudicato vero e proprio27).
Il problema sembra potersi risolvere in quest’ultimo senso, portando alle sue logiche
conseguenze una recente pronuncia del S.C., il quale ha affermato che il procedimento
possessorio, così come risultante dalle modifiche apportate all'art. 703 c.p.c. dal D.L. n. 35 del
2005 (convertito dalla legge n. 80 del 2005), pur essendo diviso in due fasi, conserva una
struttura unitaria, nel senso che la fase eventuale di merito non è che la prosecuzione della
fase sommaria. Da ciò consegue che la procura, conferita al difensore per l'introduzione di un
giudizio possessorio, legittima l'avvocato, in mancanza di una diversa ed esplicita volontà della
parte, a depositare altresì l'istanza di fissazione della trattazione del merito28.
Sebbene rappresenti un obiter dictum (non essendo a rigori né implicata, né
implicante rispetto alla soluzione della diversa questione ivi esaminata, ossia la necessità o
meno di una nuova procura alla lite per introdurre la fase a cognizione piena), l’affermazione
contenuta nella motivazione di detta sentenza, per cui in caso di mancata prosecuzione del
giudizio, mediante l’istanza di cui all’ultimo comma dell’art. 703 c.p.c., l’ordinanza interinale
costituisce il provvedimento definitivo sulla controversia possessoria, costituisce il dato saliente
dell’intera impostazione della sentenza e, in particolare, della valorizzazione del fatto che il
ricorso introduce entrambe le fasi dell’unico procedimento. Ed allora l’arresto definitivo del
processo – o, se si preferisce, la sua estinzione, che è l’effetto di ogni mancata prosecuzione –
non può mutare gli effetti dell’unica domanda giudiziale, degradandola a semplice richiesta di
emissione dei provvedimenti interinali. Con il corollario che l’estinzione produce il giudicato e
non la semplice stabilità esecutiva propria delle misure cautelari a strumentalità attenuata.
Può obiettarsi che in materia di estinzione il sistema ammette entrambe le ipotesi,
dandosi casi in cui questa lascia in vita soltanto l’efficacia esecutiva dei provvedimenti
anticipatori emessi (ad esempio l’art. 186-bis c.p.c.), ovvero ne determina il passaggio in
giudicato (ad esempio l’art. 186-ter c.p.c.). Tuttavia, se si tiene conto della finalità deflattiva
perseguita dal legislatore del 2006, ossia limitare i casi di contenzioso da definire con sentenza,
può osservarsi che la riforma non mira a degradare la tutela piena a tutela cadetta, sul
presupposto indimostrato e indimostrabile (data la tradizione in materia e il rilievo che assume
a vari fini il giudicato possessorio) che non valga la pena assicurare al possesso la medesima
protezione che si garantisce ai diritti, ma ad offrire alle parti – ad entrambe le parti – la
possibilità di prestare acquiescenza ad una cognizione soltanto sommaria, rafforzata dalle
garanzie proprie del processo cautelare uniforme, e che (come insegna la pratica) spesso non è
meno approfondita di quella ottenibile con le forme della cognizione piena.
Del resto, i casi di giudicato all’esito di una cognizione sommaria si sono ormai
moltiplicati, sia mediante l’introduzione generalizzata del modulo di procedimento sommario di

25 Menchini, Nuove forme di tutela e nuovi modi di risoluzione delle controversie: verso il superamento della
necessità dell’accertamento con autorità di giudicato, in Rivista di Diritto Processuale, 2007, 868 ss.
26 Bove, Evitare il processo? in w.w.w. Judicium.it, 12 ss.
27 Cfr. Cass. n. 4799/99.
28 Cass. n.4845/12.

11
cognizione ex artt. 702-bis e ss. c.p.c., sia attraverso l’estensione di tali norme a svariate ipotesi
di contenzioso, come previsto dal D.Lgs. n.150/1129.

9. La clausola di compatibilità
Anche qui innovando rispetto alla legge n.353/90, la riforma entrata in vigore nel 2006
ha previsto che gli artt. 669-bis e ss. c.p.c. si applichino ai procedimenti possessori “in quanto
compatibili” (art. 703, cpv. c.p.c.). Innovazione a ben vedere apparente, poiché anche prima
delle modifiche del 2005 la giurisprudenza, sia di legittimità30, sia costituzionale31, aveva
evidenziato che molte disposizioni del processo cautelare uniforme non potevano trovare
applicazione al giudizio possessorio, sicché la nuova disposizione non fa che rimarcare una
differenza già esistente.
Nulla quaestio sulla compatibilità dell’art. 669-bis c.p.c., visto che anche l’art. 703,
primo comma c.p.c. prevede l’introduzione della domanda con ricorso. La differenza risiede
invece nel giudice competente, che per le azioni possessorie è il foro del luogo in cui è
avvenuto il fatto denunciato (art. 21, cpv. c.p.c.)32.
Sono invece incompatibili gli artt. 669-ter c.p.c., ad eccezione del 4° comma, e 669-
quater c.p.c., non configurandosi un procedimento possessorio ante causam, né potendovi
essere una dicotomia tra procedimento possessorio e causa di merito possessorio. L’ipotesi, per
così dire, speculare è semmai quella prevista dall’art. 705 c.p.c., che disciplina la proposizione
della domanda possessoria nel corso della causa petitoria.
L’art. 669-quinquies c.p.c. è applicabile nel senso che si ritiene esclusa la
compromettibilità dell’intera controversia possessoria, sulla base del comune rilievo che gli
arbitri non possono esercitare poteri d’imperio. Si potrebbe discutere, in ipotesi di pura scuola,
della sola possibilità di rimettere agli arbitri la fase a cognizione piena, ma l’unicità del
procedimento di cui agli artt. 703 e ss. c.p.c. sembra tale da non consentire una simile
frattura33.
Senz’altro compatibile è l’art. 669-sexies c.p.c., che anzi segna la più netta
sovrapposizione del modulo cautelare a quello sommario non cautelare.

29 Ciò non pone problemi di legittimità costituzionale, salvo forse che per i casi di procedimento sommario di
cognizione previsto in unico grado di merito. Accertamento sommario e giudicato sono di regola fra loro
compatibili in quanto la cognizione piena ed esaustiva non si sia svolta non perché non consentita, ma perché le
parti abbiano lasciato cadere la relativa opzione. Si pensi, ad esempio, al decreto ingiuntivo, che può passare in
giudicato nel caso in cui l’ingiunto non raccolga la provocatio ad opponendum, che gli avrebbe consentito
l’accesso ad una cognizione ordinaria. Quanto al giudizio sommario di cognizione, che mette capo ad un’ordinanza
che, se non appellata, passa in giudicato, va osservato, a conferma di quanto detto, che in appello vi è una
possibilità di recupero della cognizione piena, più ampia nella formulazione originaria dell’art. 702-quater c.p.c.,
meno in quella attuale risultante a seguito della modifica introdotta dal D.L. n.83/12, convertito in legge n.134/12.
30 Cass. S.U. n. 1984/98.
31 Corte cost. n. 220/00, che aveva rilevato come le norme innovative della legge n.353/90 si applicassero ai
procedimenti possessori soltanto se compatibili con le caratteristiche di questo. (come desumibile dal carattere
selettivo del richiamo al procedimento cautelare uniforme contenuto nell’art. 703 c.p.c.
32 Sulla competenza territoriale per le lesioni possessorie poste in essere mediante emissioni di onde
elettromagnetiche, v. Cass. nn. 5317/05, 3798/05 e 9511/91.
33 Vale al riguardo, mutatis mutandis, quanto osservato da Cass. n. 9909/09, secondo cui la denuncia di nuova
opera, quando sia rivolta in via urgente alla sospensione immediata dei lavori e, successivamente, al ripristino della
situazione antecedente alla lesione del diritto reale di cui si invoca la tutela possessoria o petitoria, non può essere
oggetto della cognizione arbitrale, né in fase cautelare né in ordine al giudizio a cognizione piena, richiedendo
necessariamente l'esercizio giudiziale di poteri coercitivi.

12
Contrariamente a quanto ritenuto da qualche autore34, non sembra che l’art. 669-
septies, primo comma c.p.c. sia applicabile quanto alla regola della riproponibilità della
domanda respinta, quando sopravvengano mutamenti delle circostanze o siano dedotte nuove
ragioni di fatto o di diritto, una volta che si ritenga che il giudicato possessorio si formi anche
sull’ordinanza cui non segua la fase di cognizione piena.
Quasi del tutto inapplicabile è l’art. 669-octies c.p.c. che presuppone la dicotomia
cautela/merito e la struttura essenzialmente monofasica del procedimento cautelare, l’una e
l’altra inconciliabili con la natura e la struttura delle azioni possessorie, che come s’è detto non
possono essere esercitate ante causam. Quanto all’ultimo comma, in base al quale l’autorità del
provvedimento cautelare non è invocabile in un diverso processo, l’estensione ai provvedimenti
interinali possessori dipende da quanto si è sopra detto in ordine al riconoscere o meno ad essi
l’idoneità a formare il giudicato nell’ipotesi di mancata prosecuzione del giudizio.
Maggiormente problematica, invece, è la questione concernente il regime delle spese,
che riguarda, quindi, la compatibilità con il giudizio possessorio sia del 2° e 3° comma dell’art.
669-septies c.p.c., sia del 7° comma dell’art. 669-octies c.p.c.
Stricto iure, ponendosi nell’ottica del giudizio di cognizione, ordinario o sommario che
sia, non sembrerebbe agevole e piana l’ipotesi di una condanna alle spese che, emessi o non i
provvedimenti interinali richiesti, sia pronunciata all’esito della fase sommaria e dunque ancor
prima che l’una o l’altra parte abbia esercitato l’opzione per la prosecuzione del giudizio sul
merito possessorio, ai sensi del 4° comma dell’art. 703 c.p.c.
Tuttavia l’esigenza deflattiva sottostante alle modifiche apportate in materia negli
ultimi vent’anni rende effettiva l’esigenza di un regolamento anticipato delle spese, avvertita in
varie decisioni di merito35. In particolare, si ritiene che nel silenzio dell’art. 703 c.p.c. ed in
considerazione del fatto che nessuna delle parti potrebbe presentare l’istanza per la
prosecuzione del giudizio di merito, si deve ritenere applicabile anche al processo possessorio il
generale principio della soccombenza, sicché al termine del giudizio cautelare è necessaria la
pronuncia sulle spese del procedimento medesimo36.
A favore di tale soluzione interpretativa può invocarsi l’assimilazione dell’ordinanza
interinale possessoria e del successivo giudizio di merito possessorio al decreto ingiuntivo e alla
relativa opposizione; o meglio ancora il richiamo all’ordinanza d’ingiunzione incidentale ex art.
186-ter c.p.c., che pur non definendo il giudizio contiene la condanna alle spese.
Dell’art. 669-novies c.p.c. è applicabile solo il terzo comma, come si ricava dal fatto che
solo tale norma è espressamente richiamata dall’ultimo comma dell’art. 703 c.p.c., il quale
ultimo nel suo insieme è del resto chiaramente alternativo alle restanti disposizioni dell’art.
669-novies c.p.c.
Coerenza impone di escludere, altresì, che sia compatibile con le azioni possessorie
l’art. 669-decies c.p.c., beninteso se si accede alla soluzione per cui il provvedimento interinale
non seguito dal merito possessorio determina una preclusione pro iudicato che impedisce di
porre in discussione in un successivo giudizio dichiarativo il possesso così accertato.

34 Marinucci, Le nuove norme sul procedimento possessorio, in Riv. Dir. Proc., 2005, 838.
35 Secondo Tribunale di Benevento, 19.3.2009, inedita, l’art. 703 c.p.c. riconosce la facoltà per le parti di
continuare un giudizio possessorio di merito all’esito del provvedimento sommario che deve statuire anche sulle
spese di giudizio. A tale provvedimento, prosegue la sentenza, qualora non vi sia la richiesta di prosecuzione
ovvero non vi sia stata la riforma in sede di reclamo, deve essere riconosciuta una certa stabilità e definitività che,
sebbene non equiparabile ad un giudicato, tuttavia per taluni effetti è a questo assimilabile.
36 Tribunale Torino, 11.6.2008, in ilcaso.it.; Tribunale Napoli, 28.3.2006, inedita; Tribunale Torino, 5.6.2007, in
www.dirittoegiustizia.it;

13
Sembra inapplicabile l’art. 669-undecies c.p.c. (nonostante il rinvio ad esso tramite il 3°
comma dell’art. 669-novies c.p.c., a sua volta richiamato dal 4° comma dell’art. 703 c.p.c.),
perché la cauzione in esso prevista costituisce la controcautela per il caso che il successivo
giudizio di merito accerti l’inesistenza del diritto assicurato, e dunque è incompatibile con il
procedimento possessorio che, come si è detto più volte, non mira ad assicurare l’esistenza del
diritto corrispondente al possesso.
Del tutto compatibile, invece, è l’art. 669-duodecies c.p.c., in materia di esecuzione c.d.
processuale del provvedimento, diretta dallo stesso giudice che l’ha emesso. Infatti, secondo la
giurisprudenza di legittimità, l’esecuzione del provvedimento d'urgenza in materia possessoria,
secondo la previsione dell'art. 669-duodecies c.p.c., che, dettato per i sequestri, trova
applicazione, in virtù dell'art. 669-quaterdecies del codice di rito, anche ai provvedimenti
possessori immediati, non dà luogo ad un processo di esecuzione forzata, bensì ad una
ulteriore fase del procedimento possessorio, che è di competenza dello stesso giudice che ha
emesso il provvedimento. Ne consegue che la sede in cui si fa valere il diritto al rimborso delle
spese sostenute o anticipate per l'attuazione coattiva del provvedimento cautelare possessorio è
il giudizio possessorio, ed il provvedimento che statuisce su tale diritto è la sentenza che
definisce il merito possessorio. Pertanto, ove la parte, per la riscossione di dette spese, inizi un
autonomo processo esecutivo, il giudice dell'esecuzione può rilevare di ufficio la mancanza del
titolo esecutivo, con conseguente declaratoria di improcedibilità del processo, declaratoria che,
essendo da ricondurre ad un difetto dell'azione da lui intrapresa, non può comportare che al
creditore sia riconosciuto il diritto al rimborso delle spese del procedimento esecutivo37.
Non pone problemi, invece l’applicabilità dell’art. 669-terdecies c.p.c., in materia di
reclamo, espressamente richiamato dal 3° comma dell’art. 703 c.p.c. (si ricordi, per il pregresso,
che Corte cost. n. 501/95 ebbe a dichiarare infondata la questione di legittimità dell’art. 669-
terdecies c.p.c. nella parte in cui tale norma, come integrata da Corte cost. n. 253/9438, avrebbe
escluso la reclamabilità dell’ordinanza di rigetto della domanda di provvedimento possessorio).

10.
10. La gestione della fase sommaria
Prima conseguenza della struttura anche solo eventualmente bifasica del procedimento
possessorio è che il ricorso, essendo l’atto introduttivo dell’intero procedimento, inclusa la fase
eventuale a cognizione piena, deve avere i requisiti di cui all’art. 125 c.p.c. (norma che, essendo
contenuta nel libro primo del codice di rito, ha carattere generale e potenzialità applicativa in
ogni tipo di processo ove non diversamente previsto o altrimenti desumibile).
Richiamando quanto sopra detto in relazione al ricorso per nuova opera o per danno
temuto, è possibile una proposizione congiunta della cautela per nuova opera o danno temuto
e della domanda possessoria.
Altra conseguenza della concezione del ricorso ex art. 703, 1° comma c.p.c. come atto
propulsivo di un giudizio di cognizione sommaria proseguibile in via ordinaria, è che il
convenuto può introdurre una domanda riconvenzionale, in pieno accordo con la natura
dichiarativa del procedimento e salvo il divieto di cui all’art. 705 c.p.c., così come manipolato
dalla nota sentenza n.25/92 della Corte costituzionale.
Di particolare rilievo è l’attività di c.d. istruzione sommaria, ampiamente rimessa alle
valutazioni discrezionali del giudice.

37 Così, Cass. n. 481/03.


38 Con la quale il giudice delle leggi dichiarò illegittimo l’art. 669-terdecies c.p.c. nella parte in cui non ammette
il reclamo ivi previsto anche avverso l’ordinanza di rigetto della domanda cautelare.

14
Da Corte cost. n. 25/92 si apprende che l’art. 1168, 4° comma c.c., in base al quale la
reintegrazione deve essere ordinata dal giudice sulla base della semplice notorietà del fatto,
senza dilazione, è un relitto storico privo di fondamento positivo, essendo collegata a un
modus procedendi (il possessorium summariissimum degli antichi statuti piemontesi) non
previsto dal codice di rito.
L’abrogato art. 689, 1° comma c.p.c., dettato in tema di azioni nunciatorie e richiamato
dal vecchio art. 703, 2° comma c.p.c., prevedeva, la possibilità di utilizzare “sommarie
informazioni”, espressione, questa, che nella giurisprudenza della Cassazione riguarda tanto le
dichiarazioni di soggetti informati dei fatti, non sentiti con le forme proprie dell’audizione
testimoniale, sia le informazioni acquisite tramite l’autorità di polizia giudiziaria appositamente
incaricata39.
A quest’ultima modalità informativa, divenuta pressoché desueta, ma ancora prevista
dal 2° comma dell’art. 669-sexies c.p.c., per il caso di emissione della misura con decreto reso
inaudita altera parte, si giustappone il 1° comma di detta norma, in base al quale il giudice
procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili. Disposizione,
quest’ultima, che contemperando il principio del contraddittorio con il metodo acquisitivo,
consente al giudice una massima libertà di scelta dei mezzi e nell’utilizzo delle forme (con la
conseguente possibilità di dare ingresso a prove atipiche e di assumere prove tipiche senza il
rispetto delle relative forme), ma pur sempre nell’ambito delle allegazioni fattuali delle parti, e
ciò proprio in considerazione del rispetto del contraddittorio, che ha assunto un rilievo
centrale nel processo cautelare uniforme.
Di primaria importanza è il problema concernente l’oggetto stesso di tale attività
istruttoria. Mentre nel caso delle misure cautelari esso è chiaramente identificabile nelle
condizioni dell’azione cautelare, ossia il fumus boni iuris e il periculum in mora, nel caso delle
azioni possessorie fase sommaria e fase a cognizione piena hanno il medesimo oggetto40.
Proprio per questo, e indipendentemente dal grado di maggiore o minore aderenza
formale dell’assunzione rispetto al modulo tipico dell’istruzione probatoria ordinaria, il
materiale probatorio raccolto è destinato ad avere un’incidenza nella fase a cognizione piena
maggiore e qualitativamente diversa rispetto alle prove raccolte nel procedimento cautelare.
In quest’ultimo, infatti, l’indagine è diretta a formulare un semplice giudizio di
verosimiglianza della fondatezza delle ragioni del ricorrente, e soprattutto, vi è un’alterità
strutturale tra procedimento cautelare ante causam e giudizio di merito, sicché in definitiva
quelle prove, essendo state raccolte in un giudizio diverso fra le stesse parti, nella causa di
merito possono valere come elementi indiziari o come semplici argomenti di prova41.
Invece, nel procedimento possessorio, la sentenza che definisce il giudizio a cognizione
piena, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, può basarsi esclusivamente sugli
elementi raccolti in fase di cognizione sommaria, allorché questi consentano al giudice di
decidere la causa senza escludere le sommarie informazioni fornite dai testimoni nella prima
fase del procedimento, in quanto idonee a fondare, in sede di decisione, il libero convincimento

39 V. fra le tante, Cass. nn. 1291/86, 3820/86 e 7684/95.


40 Cfr. Esposito, Azioni possessorie e petitorie, in iudicium.it, secondo cui l’oggetto dell’accertamento è lo stesso
diritto sostanziale protetto mediante le forme giudiziarie ordinarie, anche se attraverso il ricorso a strumenti
conoscitivi di più immediato e rapido espletamento, tendenzialmente dotati di un minor grado di efficacia
probatoria, ma certo non di minore attendibilità, i cui risultati vengono valutati sul piano delle probabilità e non
in termini di certezza giuridica.
41 Cfr. Cass. nn. 21417/04 e 10011/91.

15
del giudice42. Per contro i provvedimenti adottati e le prove raccolte precedentemente in un
giudizio possessorio non sono utilizzabili nel giudizio petitorio, di seguito instaurato tra le
stesse parti, gli uni e gli altri non investendo il profilo del titolo discusso in quest’ultimo
giudizio43.
Se a ciò si aggiunge che quanto maggiore è la prognosi di resistenza degli elementi di
prova raccolti ai sensi dell’art. 669-sexies c.p.c., tanto minore è la probabilità che le parti,
eventualmente espletato il reclamo, propongano l’istanza di prosecuzione del giudizio, va da sé
che la controversia è destinata per lo più a risolversi proprio in fase sommaria. Questa,
pertanto, va condotta in maniera tale da trattare ciascuno dei temi rilevanti in ordine
all’accertamento del possesso e della relativa lesione, tralasciando, invece, di compiere gli atti di
istruzione relativi alle eventuali domande accessorie, come quella di risarcimento del danno, la
cui sede naturale è la fase a cognizione piena.
In conclusione e in definitiva, se è vero com’è vero che l’obiettivo da perseguire è
quello di emettere un provvedimento interinale concretamente idoneo a risolvere la
controversia e basato su elementi probatori comunque apprezzabili nella fase di merito
possessorio, economizzando le attività processuali, ciò che occorre in fase sommaria non è
l’impiego di forme istruttorie tipiche (ad esempio la previa capitolazione della prova
testimoniale), ma l’estensione dell’accertamento a tutti i temi su cui si basa il possesso e si
valuta la sua lesione.

11.
11. Il reclamo
Il reclamo è il rimedio avverso l’ordinanza che accoglie o rigetta l’istanza diretta
all’emissione del provvedimento interinale.
Uno sguardo sulla sua natura è prodromico all’impostazione e alla possibile soluzione
delle principali problematiche che vi sono connesse.
In primo luogo non è corretto qualificare il reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. come
mezzo d’impugnazione in senso tecnico, poiché esso ha ad oggetto provvedimenti non
suscettibili di conseguire l’effetto di giudicato.
(La circostanza che, per le considerazioni già svolte, la mancata prosecuzione del
giudizio possessorio con le forme della cognizione piena produca effetti identici al giudicato,
non contraddice tale affermazione, sia perché il reclamo in oggetto è lo stesso rimedio
concepito per i provvedimenti cautelari, che idonei al giudicato non sono in nessun caso, sia e
soprattutto in quanto il giudicato possessorio sull’ordinanza interinale si forma in virtù della
mancata proposizione dell’istanza di cui al 4° comma dell’art. 703 c.p.c., non per la sua omessa
impugnazione con il reclamo).
Il reclamo è comunque un rimedio di tipo sostitutivo, e non già meramente
rescindente. Tale carattere, già evidente nella formulazione dell’art. 669-terdecies c.p.c.
contenuta nella legge n.353/90 (nella parte in cui consentiva la sospensione dell’esecuzione del
provvedimento reclamato anche per motivi sopravvenuti e richiamava gli artt. 737 e 738
c.p.c.), è stato ulteriormente rafforzato dal legislatore del 2005, mediante l’espressa previsione

42 Cass. nn. 1386/09, 21140/06, 5547/05, 21417/04 e 10450/02. Non è, quindi, condivisibile l’opinione di chi ritiene
che possano trovare ingresso nel giudizio di merito solo le prove acquisite in maniera tipica, e che ciò sia
maggiormente verificabile in considerazione dell’attitudine definitiva dell’ordinanza emessa all’esito della fase
sommaria. Come si è già detto, infatti, accertamento sommario e giudicato sono del tutto compatibili fra loro,
ogni qual volta il primo non escluda alle parti la possibilità della cognizione piena.
43 Cass. n. 9881/12.

16
della possibilità di addurre circostanze e motivi sopravvenuti e di acquisire nuovi documenti, e
l’esclusione della possibilità, invece, di rimettere gli atti al primo giudice (4° comma della
norma richiamata, che a sua volta non è che l’integrale trasposizione del 5° comma dell’art. 23
del D.Lgs. n.5/03 sul c.d. rito societario). Il che, ad un tempo, lo avvicina e lo distanzia
dall’omologo mezzo dell’appello, che pur essendo di regola sostitutivo prevede ipotesi tipiche di
rimessione della causa al primo giudice (artt. 353 e 354 c.p.c.).
La natura sostitutiva del reclamo e il consolidamento della scelta normativa sulla
struttura (anche se solo eventualmente) bifasica dei procedimenti possessori, pone una
questione che non è configurabile nel controllo delle misure propriamente cautelari, vale a dire
il possibile contrasto tra la decisione del reclamo e quella successiva sul merito possessorio.
Sebbene la prevalenza della seconda (pronunciata con sentenza) sulla prima (emessa con
ordinanza) sia fuor di discussione, e dunque escluda sostanzialmente il rilievo processuale del
problema, restano intatti i profili deontologici di una gestione per così dire antagonista della
controversia tra giudice monocratico e collegio (di cui quest’ultimo non può far parte: art.
669-terdecies, 2° comma c.p.c.). Tanto verticale e definitivo è il reclamo contro le misure di
assicurazione del diritto, quanto orizzontale e restitutorio, invece, è il reclamo possessorio, che
nel caso di istanza di prosecuzione del giudizio si presta ad essere rivalutato nei suoi contenuti
da quello stesso giudice che aveva emesso l’ordinanza reclamata. Il problema di una gestione
prolungata e antagonista rispetto a quella propria della fase a cognizione piena, appare, però,
in larga misura attenuato dalla previsione del termine di 20 gg. dal deposito del ricorso, entro
cui il procedimento di reclamo deve essere definito (5° comma art. in commento), che riduce
sensibilmente il pericolo che il reclamo si trasformi in una sorta di prosecuzione collegiale del
procedimento. Ciò significa che pur nell’ampiezza dei suoi poteri istruttori, il collegio incontra
dei limiti di natura sistemica ad un eccessivo approfondimento istruttorio, incompatibile con la
funzione del subprocedimento di reclamo.
Quanto alle preclusioni assertive, si tratta delle stesse che sono già maturate con gli
atti introduttivi del procedimento possessorio, mentre non sono ipotizzabili altre limitazioni
all’attività difensiva che suppongano l’esaurimento della fase di trattazione, anche probatoria, di
cui all’art. 183 c.p.c. Le quali ultime, a loro volta, possono essersi già verificatesi, ma solo nel
caso in cui la domanda di tutela del possesso sia proposta nel corso della causa petitoria, ai
sensi dell’art. 704 c.p.c., per i fatti che avvengono nella pendenza di questa.
Vigente la struttura necessariamente bifasica del procedimento possessorio, la
giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che il provvedimento con il quale il giudice
chiuda la fase sommaria senza fissare l’udienza di trattazione e liquidi le spese, avendo natura
sostanziale di sentenza è impugnabile non con il reclamo, ma con l’appello44. Con la nuova
disciplina dell’art. 703 c.p.c. la prosecuzione o non del giudizio con le forme della cognizione
piena dipende dall’istanza dell’una e/o dell’altra parte, e non più dal provvedimento interinale
del giudice, la cui assimilazione ad una sentenza non è più predicabile neppure nel caso in cui
il giudice provveda a liquidare le spese, a misura dell’adesione che s’intenda prestare alla tesi
che propugna tale possibilità. Sicché non è certo che l’indirizzo anzi detto mantenga la sua
validità anche nel nuovo sistema.

12.
12. La fase a cognizione piena

44 V. per tutte, Cass. n. 14281/07.

17
Il passaggio alla fase a cognizione piena è mediato, come dispone il più volte citato 4°
comma dell’art. 703 c.p.c., dalla presentazione di un’apposita istanza di prosecuzione del
giudizio di merito.
Sulla natura endoprocessuale di tale istanza e sulla non necessità, pertanto, del rilascio
di una nuova procura al difensore, la Corte di cassazione si è espressa affermativamente con la
sentenza n. 4845/12 innanzi citata.
Ciò detto, si pongono essenzialmente due problemi: il raccordo tra l’una e l’altra fase e
l’oggetto della fase a cognizione piena.
Quest’ultimo aspetto rimanda al richiamo, contenuto nello stesso 4° comma dell’art.
703 c.p.c., al 3° comma dell’art. 669-novies c.p.c., e dunque alla disposizione che prevede
l’inefficacia della misura nel caso di accertamento negativo del diritto cautelato. Cambiando ciò
che v’è da cambiare, e considerato a) che, come si è detto, il procedimento possessorio
permane bifasico, anche se solo eventualmente; e b) che vige inalterato l’art. 705 c.p.c. sul
divieto di proporre il giudizio petitorio finché il giudizio possessorio non sia stato definitivo e
la decisione eseguita; tutto ciò considerato, deve ritenersi che l’oggetto della fase a cognizione
piena è unicamente il possesso e la relativa lesione, per cui si deve rettamente parlare di
“merito possessorio”. Pertanto, nella fase a cognizione piena non vi è un mutamento d’indagine,
ma un approfondimento – se ritenuto necessario dal giudice – dei temi già affrontati e risolti
in fase sommaria, e un loro, altrettanto eventuale, ampliamento alle possibili tematiche
risarcitorie, che come detto sono senz’altro estranee ad una corretta gestione della fase
sommaria.
Il primo problema, invece, appare di meno intuitiva soluzione, essenzialmente per
quanto concerne le eventuali preclusioni. Uno sguardo al sistema individua come fattispecie
similari i nuovi artt. 616 e 709 c.p.c., che prevedono il compimento di un atto integrativo (anzi,
nel caso dell’art. 616 c.p.c. in realtà introduttivo) della domanda, che sposta in avanti,
risolvendolo, l’effetto delle preclusioni processuali.
Anche a tal riguardo un’utile indicazione si trae dalla citata Cass. n.4845/12, che in
motivazione chiarisce che la richiesta di prosecuzione del giudizio di merito consiste in
un’istanza di fissazione dell’udienza per la comparizione delle parti e per la trattazione della
causa ai sensi dell’art. 183 c.p.c., con valore solo endoprocessuale.
Ne deriva che la fase a cognizione piena finisce per identificarsi con la trattazione in
senso tecnico della causa, mediante la consueta cadenza delle memorie assertive e probatorie,
così come stabilito dal 6° comma di tale norma, e con quanto ne segue in base al giudizio
ordinario di cognizione.

13.
13. Il divieto di proporre la domanda petitoria pendente il giudizio possessorio
L’art. 705 c.p.c. è l’unico in materia a non aver subito modifiche testuali nella stagione
di riforme che da vent’anni non dà tregua al processo civile. Unica variante, com’è noto, la già
richiamata sentenza della Corte costituzionale n.25/92.
La norma in oggetto inibisce la proponibilità della domanda petitoria finché il giudizio
possessorio “non sia definito e la decisione non sia stata eseguita”. Il concetto di definizione
ovviamente dipende, in base alla nuova disciplina, dal livello cui si arresti il procedimento
possessorio, per cui ove alla fase sommaria non segua quella a cognizione piena, la definizione
del giudizio possessorio si realizza alla scadenza del termine di 60 gg. dalla comunicazione
dell’ordinanza (emessa in sede monocratica o collegiale in esito al reclamo); diversamente è la
sentenza sul merito possessorio a definire il procedimento.

18
Una recente sentenza della Corte di cassazione chiarisce l’ambito soggettivo di
applicabilità della norma, affermando che il divieto di proporre giudizio petitorio, previsto
dall'art. 705 c.p.c., riguarda il solo convenuto nel giudizio possessorio, trovando la propria ratio
nell'esigenza di evitare che la tutela possessoria chiesta dall'attore possa essere paralizzata,
prima della sua completa attuazione, dall'opposizione diretta ad accertare l'inesistenza dello ius
possidendi. Ne consegue che l'attore in possessorio, diversamente dal convenuto, può, anche in
pendenza del medesimo giudizio possessorio, proporre autonoma azione petitoria, dovendosi
interpretare tale proposizione come finalizzata ad un rafforzamento della tutela giuridica, e
non già come rinuncia all'azione possessoria; detta facoltà, tuttavia, non può essere esercitata
nello stesso giudizio possessorio, ma soltanto con una separata iniziativa, introducendo la
domanda petitoria una causa petendi ed un petitum completamente diversi, dal che deriva
l'inammissibilità della stessa se proposta dall'attore nella fase di merito del procedimento
possessorio, la quale costituisce mera prosecuzione della fase sommaria45.
La netta diversità tra le due domande, quella petitoria e quella possessoria, costituisce
ius receptum nella giurisprudenza di legittimità, essendo stata affermata ripetutamente per
escludere che i provvedimenti possessori, le ragioni che li sottendono e le circostanze risultanti
dalla sentenza possessoria possano essere invocati per influire sulla decisione petitoria46. Come
pure non è nuova l’affermazione per cui il divieto sancito dall'art. 705 c.p.c. riguarda il solo
convenuto, sicché l'inizio del giudizio petitorio da parte dell'attore in pendenza di quello
possessorio non è che indice della volontà di quest'ultimo di rafforzare, e non già di limitare, la
difesa del diritto che si assume violato47.
Nel caso della sentenza appena richiamata la diversità tra giudizio possessorio e
giudizio petitorio ha condotto ad escludere la possibilità di una decisione congiunta delle due
cause non per un generale divieto di cumulo oggettivo delle due domande, ma perché la
domanda petitoria è nuova e in quanto tale non poteva essere proposta nella fase di merito
possessorio.
Il divieto di cui all’art. 705 c.p.c., la cui violazione è rilevabile d’ufficio48, ha una
potenzialità espansiva nei confronti del convenuto, tanto da inibirgli anche la proposizione del
riscatto agrario nei confronti del concedente che abbia agito in reintegrazione49.
Infine, in tema di concorso tra giudizio possessorio e giudizio petitorio, il passaggio in
giudicato della sentenza di rigetto di separata domanda di accertamento della proprietà,
proposta da parte dell'attore in possessorio, non fa automaticamente venir meno la protezione

45 Cass. n. 10588/12.
46 Cfr. per tutte Cass. n. 7747/99.
47 Cfr. Cass. n. 13495/05, che dalla confermata diversità di causa petendi e di petitum fra domanda possessoria e
domanda petitoria ha tratto che la contemporanea pendenza delle relative cause non determina una questione di
litispendenza.
48 Cass. n. 4728/11, la quale aggiunge che il divieto per il convenuto in giudizio possessorio di proporre domanda
di natura petitoria, finché il primo giudizio non sia definito e la decisione non sia stata eseguita, produce effetti
già al momento del deposito del ricorso e non soltanto dalla successiva notificazione del provvedimento interinale
che fissa l'udienza di comparizione, essendo rilevante, al fine indicato, la formulazione della domanda possessoria e
l'individuazione della parte convenuta e non, invece la costituzione del contraddittorio. Ne consegue che, nel
giudizio possessorio, il convenuto resta tale a partire dal deposito del ricorso in cancelleria e da allora opera il
divieto del cumulo fino a che il giudizio possessorio non sia stato definito e la sentenza abbia avuto esecuzione.
49 V. Cass. n. 22628/12, secondo cui al convenuto nel giudizio possessorio, non potendo egli proporre nei
confronti dell'attore alcun giudizio petitorio, ai sensi dell'art. 705 c.p.c., finché il primo giudizio non sia definito e
la relativa decisione non sia stata eseguita è inibita la domanda di riscatto agrario nei confronti del concedente,
che abbia proposto azione di reintegrazione del possesso.

19
giuridica del potere di fatto, a prescindere dal titolo che lo possa giustificare, né preclude al
giudice del procedimento possessorio, in ipotesi ancora pendente, di emettere una pronuncia di
reintegrazione, giacché la tutela del possesso è destinata a cedere non a fronte
dell'accertamento, nel giudizio petitorio, che il possessore non è proprietario, quanto del diritto
incompatibile spettante all'autore dello spoglio50.

14. La domanda di provvedimento possessorio nel corso del giudizio petitorio


L’art. 704 c.p.c. è stato modificato dal legislatore del 2005 quanto al secondo comma,
relativo alla sola azione di reintegrazione, anche in tal caso seguendo la logica dell’eventualità
della fase di merito possessorio. Infatti, mentre in passato il giudice competente ex art. 703
c.p.c., emessi i provvedimenti temporanei indispensabili, rimetteva le parti al giudice del
petitorio, adesso sono le parti, vale a dire ciascuna di esse, a poter proseguire il giudizio
innanzi al giudice del petitorio.
Resta inalterato, invece, il 1° comma dell’art. 704 c.p.c., che consente di proporre al
giudice del petitorio le domande possessorie per i fatti che avvengano durante la pendenza del
giudizio petitorio. Ne deriva che se la lesione possessoria è stata posta in essere anteriormente
all’esercizio dell’azione petitoria, restano ferme le regole ordinarie di competenza.
Si esclude per lo più in dottrina che i provvedimenti possessori chiesti pendente il
giudizio petitorio svolgano una funzione cautelare del diritto reale corrispondente, di guisa che
al giudice del petitorio si propongono due diverse domande, tra loro cumulate, ossia quella
riguardante lo ius possidendi e quella concernente lo ius possessionis, oltre all’eventuale tutela
interdittale di quest’ultimo51.
Sembra di diverso avviso una recente sentenza della S.C.52, la quale ha affermato che In
tema di concorso tra giudizio possessorio e giudizio petitorio, la riconosciuta titolarità in capo
al soggetto convenuto (cosiddetto spoliator) di un diritto reale incompatibile con il
comportamento che il ricorrente ha inteso tutelare con il ricorso possessorio, è idonea a
paralizzare la tutela della situazione di fatto inconciliabile con detta statuizione. Nello specifico,
la Corte ha confermato la sentenza di merito, che aveva deciso di non prendere in esame la
domanda possessoria, in ragione della pronuncia, in essa adottata, con cui veniva riconosciuta
fondata la domanda del convenuto volta a far dichiarare l'inesistenza della servitù vantata dal
possessore ed il conseguente diritto di quest'ultimo di disporre liberamente del proprio bene.
Ciò in quanto ragioni di coerenza del sistema impediscono che in uno stesso provvedimento
possa essere affermata la tutela possessoria nei confronti di un soggetto, e nel contempo
riconosciuto a quest’ultimo lo ius possidendi sullo stesso bene, incompatibile con la tutela
possessoria, accertamento che tra l’altro comprende, per implicito, il divieto per gli altri di
utilizzarlo in contrapposizione al suo diritto.
Sostanzialmente in linea, ma in un caso in cui le due domande, quella possessoria e
quella petitoria, avevano dato origine a cause separate, è altra sentenza del S.C.53, la quale ha
ritenuto che in tema di concorso tra giudizio possessorio e giudizio petitorio, il passaggio in
giudicato della sentenza di rigetto di separata domanda di accertamento della proprietà,
proposta da parte dell'attore in possessorio, non fa automaticamente venir meno la protezione

50 Cass. n. 2371/12.
51 Luiso, op. cit., 279-280.
52 Cass. n. 10588/12.
53 Cass. n. 2371/12

20
giuridica del potere di fatto, a prescindere dal titolo che lo possa giustificare, né preclude al
giudice del procedimento possessorio, in ipotesi ancora pendente, di emettere una pronuncia di
reintegrazione, giacché la tutela del possesso è destinata a cedere non a fronte
dell'accertamento, nel giudizio petitorio, che il possessore non è proprietario, quanto del diritto
incompatibile spettante all'autore dello spoglio.

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