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TECNOLOGIA DELLESPERIENZA
MUSICALE NEL NOVECENTO
Agostino Di Scipio
n.b. Questo testo una copia della bozza preliminare dellarticolo
dato alle stampe dalleditore. Esso viene reso qui disponibile in
formato elettronico a solo uso personale. I diritti di riproduzione, di
uso pubblico, e la responsabilit sui contennuti sono dellautore.
Introduzione
Uno dei tratti pi significativi del Novecento musicale riguarda lo
sviluppo dei linguaggi e delle estetiche in rapporto alla tecnica. In effetti
gi lidea tutta novecentesca di artigianato musicale, come categoria
riferita alle soluzioni pratiche interne al lavoro di composizione e di
esecuzione musicale, accoglie il senso di una tradizione consolidata nei
modi stessi del far musica, nelle tecniche del lavoro musicale
primancora che in questioni di linguaggio musicale.
Tuttavia, decisivo stato anche e soprattutto il rapporto delle
specifiche tecniche musicali con la razionalit e il sapere della tecnica in
generale con la tecnologia. Nel corso del Novecento la musica
occidentale non solo ha sviluppato una crescente consapevolezza teorica
delle proprie tecniche tradizionali, ma si spesso anche assunta la
responsabilit delle proprie tecnologie. Con ci, essa sembra indicare
che uno degli aspetti essenziali dellesperienza dellarte, nel contesto
storico generale, consiste nel definire le condizioni della propria
esistenza in un contesto di sempre crescente razionalit tecnica.
Si pensi, per es., allesperienza della musica elettronica. La quale,
pur non essendo la sola ad articolare in profondit la questione della
tecnica, ne ha per tematizzato radicalmente gli aspetti peculiari sia
rispetto al pi ampio contesto socio-culturale, sia rispetto ad elementi
specifici di teoria della musica, dando vita inoltre ad un repertorio
emblematico di varie tensioni intellettuali che hanno attraversato il
secolo. Come ha scritto Luigi Rognoni nel 1956, il significato storico
della musica elettronica va compreso come una domanda rivolta al
problema della tecnica in generale [...] che investe lessenza umana del
suo stesso operare, prima di essere un problema di linguaggio
specifico.1
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Luciano Gallino, nel suo Critica della ragione tecnologica. Valutazione, governo,
responsabilit dei sistemi socio-tecnici (in La tecnologia per il XXI secolo. Prospettive
di sviluppo e rischi di esclusione, a c. P.Ceri e P.Brogna, Einaudi, Torino, 1998),
definisce la ragione tecnologica come il dominio delle intenzioni, dei paradigmi, dei
modelli di mondo, delle tecniche argomentative, dei giudizi di valore, dei criteri di scelta
che orientano lazione teoretica e pratica di coloro i quali producono, diffondono,
applicano tecnologia, e pi in generale prendono decisioni in merito ad essa (p.5).
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La questione stata posta in innumervoli luoghi della letteratura filosofica del
secolo. Qui vale richiamarsi, poich talvolta vi torneremo, a Martin Heidegger, Die
frage nach der technik, 1953 (La questione della tecnica, in M.Heidegger, Saggi e
discorsi, a c. G.Vattimo, Mursia, Milano, 1976). Si veda anche M.Heidegger, Filosofia e
cibernetica (a c. A.Fabris, ETS Editrice, Pisa, 1988), e Reiner Schrmann, Dai principii
allanarchia. Essere e agire in Heidegger (Il Mulino, Bologna, 1985). Alcune premesse
generali al pensiero di Heidegger su scienza e tecnica vanno individuate nel lavoro del
suo maestro, Edmund Husserl (La crisi delle scienze europee e la fenomenologia
trascendentale, Il Saggiatore, Milano, 1961; ed. or. 1959). A sua volta Herbert Marcuse,
allievo di Heidegger sebbene pi spesso associato alla scuola francofortese di
Horkheimer e Adorno, ha indicato nella razionalit tecnologica un evento storico che
tocca lessenza umana: quando la tecnica diventa la forma universale della produzione
materiale, ci delimita unintiera cultura: configura una totalit storica un mondo
(Luomo a una dimensione, Einaudi, Torino, 1967, p.168; ed. or. 1964).
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T.W.Adorno, Vers une musique informelle (in Quasi una fantasia, Verso,
Londra, 1992, p.293); si vedano daltra parte anche certi passi di T.Adorno e
M.Horkeimer, Dialettica dellilluminismo (Einaudi, Torino, 1966).
La letteratura sul timbro come dimensione portante dellarticolazione musicale
sconfinata. La sua centralit la centralit del suono-in-quanto-forma, del comporre-ilsuono stata elaborata in innumerevoli occasioni gi a partire dalle prime prove di
musique concrte (Pierre Schaeffer, A la recherche dune musique concrte, Seuil,
Parigi, 1952). In Germania, il dibattito estetico dei primi anni della elektronische musik
si focalizz presto su questa nuova dimensione del comporre (si veda la ricostruzione
storica di Gianmario Borio, New technology, new techniques. The aesthetics of
electronic music in the 1950s, Journal of new music research, vol.22, n.1, 1993;
traduzione italiana in Quaderni della Civica Scuola di musica di Milano, 26, 1999). In
seguito, il dibattito si allargato fino a includere i pi recenti sviluppi della ricerca
acustica e psicoacustica, spesso condotti parallelamente alle ricerche dell informatica
musicale un nome da richiamare, in tal senso, quello del fisico e compositore
francese Jean-Claude Risset (nato nel 1937, allievo di Andr Jolivet per la
composizione, pioniere della sintesi digitale del suono e delle ricerche informatizzate di
psicoacustica musicale). Una rassegna di vari approcci al timbro nellambito delle
tecnologie digitali della composizione fornita in Le timbre. Mtaphore pour la
composition (a c. J.B. Barrire, C.Bourgois, 1991). Pi ricca di spunti di rilievo teorico e
musicologico, per, la raccolta Timbre composition in electroacoustic music (numero
tematico di Contemporary music review, vol.10, n.2, 1994).
Devo anche segnalare che dubbi assai severi sono stati sollevati dallarea della
psicologia cognitivista circa la possibilit di fare della dimensione timbrica parametro
portatore di forma musicale. Si vedano, in proposito, alcuni contributi in La musique et
les sciences cognitives (a c. S.McAdams e I.Delige, Mardaga Ed., Liegi, 1989). Rimane
per indiscutibile come il timbro, nella sua infinita problematicit, sia assurto ad
elemento espressivo e costruttivo in tutti quei repertori musicali che rinviano ad un
confronto di qualche profondit con le condizioni tecnologiche del fare musica. Ci vale
naturalmente per i repertori elettroacustici in genere, la cui dialettica interna anzi quasi
impone di volgere a proprio vantaggio gli aspetti sfuggenti del timbro (come segnalava
gi Adorno nei primi anni Sessanta, cfr. Music and new music, in Quasi una fantasia,
op.cit., p.267), facendo profitto dellanarchia in cui ricadono i tentativi di delineare una
possibile metrica delle relazioni timbriche. Inoltre si sa bene che la centralit del timbro,
anche nella sua valenza generale di matericit e morfologia del gesto sonoro,
elemento estetico caratterizzante anche di repertori di musica strumentale: si pensi alla
composizione post-seriale nei suoi vari orientamenti (per es. Salvatore Sciarrino, Helmut
Lachenmann, Gerard Grisey), o anche ad esperienze coeve al serialismo (Giacinto
Scelsi), e si pensi infine alla violenta matericit di certe interpretazioni jazzistiche (Cecil
Taylor) e di altre prassi musicali che contaminano improvvisazione e stilemi delle
avanguadie (Art Ensemble of Chicago, John Zorn).
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Non possibile soffermarsi, qui, sul rilievo musicale che la dimensione dello
spazio ha assunto nel corso del Novecento. Al di l di alcuni casi maggiormente noti
(Varse, Stockhausen, Nono), le posizioni teoriche e le prosopettive di lavoro sono
molteplici. Si vedano le rassegne Musica, spazio, architettura, numero tematico dei
Quaderni della Civica Scuola di musica di Milano (n.25, 1995) e Lespace:
musique/philosophie (a c. J.M.Chouvel e M.Solomos, LHarmattan, Parigi, 1998). Per
uno studio delle diverse e contrastanti implicazioni tecniche ed estetiche, mi permetto
anche di rinviare al mio Le son dans lespace, lespace dans le son (Nota
Preliminares, n.2, 1998, in francese e spagnolo).
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In particolare per Desrts (per percussioni, ottoni, pianoforte e suoni registrati su
nastro magnetico, 1950-1954), Varse aveva lavorato a stretto contatto con Pierre
Schaeffer (che lo aveva ospitato, non senza polemiche, negli studi del Groupe de
Recherches Musicales, per le fasi finali della lavorazione dei suoni su nastro), e con
Pierre Henry (collaboratore di Schaeffer, che si occup anche della diffusione dei suoni
registrati su nastro per la prima esecuzione assoluta, diretta a Parigi da Hermann
Scherchen, nellOttobre 1954); egli si avvalse poi della stretta collaborazione di Bruno
Maderna (che diresse lopera due volte sotto la supervisione di Varse, ad Amburgo e
Stoccolma nel Dicembre 1954) e di Stockhausen (che si occup della diffusione per le
esecuzioni di Maderna). Con altri, tra cui Luigi Nono, Varse si era incontrato nel 1950
a Darmstadt, luogo canonico della neue musik. In quella circostanza il compositore
incontr anche Herbert Eimert, Robert Beyer e Werner Meyer-Eppler, che avrebbero
presto definito gli orientamenti musicali e tecnici dello Studio di Colonia. A sancire
lemblematicit dellesperienza di Dserts concorre il fatto che la prima esecuzione
assoluta del brano avvenne in quel Thtre de Champs lyses dove quarantuno anni
prima era stata data la prima del Sacre du printemps stravinskiano (cui Varse aveva
assistito), destando ora come allora grande scandalo.
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Max Mathews, The technology of computer music (MIT Press, Cambridge Mass.,
1969).
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Per una panoramica su tecnologie e repertori di live electronics, cfr. Nicola
Bernardini, Live electronics, in La nuova Atlantide (op.cit.). Per alcune considerazioni
sulla figura emergente dell interprete elettronico, cfr. Alvise Vidolin, Ambienti
esecutivi, in I profili del suono (a c. S.Tamburini e M.Bagella, Musica Verticale Galzerano, 1987), e Nuovi interpreti per nuovi strumenti (Atti del convegno 19481998: dalla molecola al bit. Cinquant'anni di musica elettroacustica, Nuova
Consonanza, Roma, in corso di stampa).
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degno di nota che le strumentazioni digitali usate in queste musiche
(campionatori, batterie elettroniche, ecc.) conoscano qui un utilizzo che tradisce le
finalit della loro stessa progettazione: concepite come strumentazioni da studio di
produzione, esse sono qui piegate ad una finalit performativa, e anche proprio ad una
manualit, che ne forza il quadro di funzionamento e duso cui destinate.
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Jacques Ellul, Lempire du non-sens. Lart et la socit technicienne (Parigi, PUF,
1980), pp.59-60.
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Andr Schaeffner, Origine degli strumenti musicali, Sellerio, Palermo, 1978 (ed.
or. 1968), p.334.
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Si possono segnalare le iniziative di restauro di brani elettronici degli anni
Cinquanta e Sessanta, come quelli dello Studio di Fonologia di Milano, per es. Thema
(Omaggio a Joyce) di Berio, del 1958, restaurato nel 1995 presso Centro Tempo Reale
di Firenze sotto la supervisione del compositore (cfr. Paolo Zavagna, Thema (Omaggio
a Joyce) di Luciano Berio. Unanalisi, Quaderni della Civica Scuola di musica di
Milano, n.21-22, 1992). Alcuni nastri di Luigi Nono sono stati restaurati negli ultimi
anni per iniziativa di Ricordi e della Fondazione Archivio Luigi Nono in occasione di
recenti esecuzioni in concerto.
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Fino ad oggi pochissime sembrano essere state le iniziative vlte a restaurare
software musicale di rilievo storico: negli Stati Uniti, Arun Chandra ha riscritto e reso
funzionanti programmi di Lejaren Hiller e di Herbert Brn risalenti agli anni Cinquanta
e Settanta; in Europa, il programma Project1 di Koenig, disegnato nei tardi anni
Sessanta, stato reso operativo sugli attuali computer ad opera di alcuni collaboratori
del compositore.
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Cfr. Schaeffer, Trait des objets musicaux (op.cit.), pp.18-19. Si deve notare che
le problematiche segnalate da Schaeffer offrono valide motivazioni per seguire una via
etnomusicologica ai repertori nati in ambiente tecnologico. La formazione
musicologica, daltra parte ancora oggi, non implica la necessaria familiarit con le
tecnologie musicali successive a quelle del repertorio tardo-romantico e neo-classico, e
dunque non permette di valutare il gesto esecutivo o compositivo sulla base di una
comprensione attiva della prassi: fra un lavoro di Brahms e uno di Stockhausen, come
peraltro anche tra Brahms e Haendel o tra Haendel e Perotinus, la differenza non
innanzitutto nei rispettivi linguaggi musicali, ma nei modi del fare musica, negli
strumenti e nei concetti ad essi relativi. Di qui la necessit di porre riparo al decifit di
comprensione della prassi attraverso uno studio sul campo (lesigenza argomentata
nel mio Centrality of techne for an aesthetic approach on electroacoustic music,
Journal of new music research, vol.24, n.4, 1995). Ci risponde alla opportunit, daltra
parte ben nota allanalisi musicale, di adattare i metodi di osservazione alla specificit
culturale dei repertori: si tratta di una questione propriamente etnometodologica, cio
relativa alla ricerca empirica dei metodi utilizzati [in un certo dominio di esperienza]
per dare senso e portare a termine le azioni (Alain Coulon, Lethnomthodologie, PUF,
Parigi, 1993, p.26).
Lesigenza di un approccio etnomusicologico stata sollevata anche a seguito
dellassenza, quasi totale nei repertori elettroacustici, di forme di notazione musicale:
ci in effetti mette chi voglia occuparsi di simili repertori in una posizione simile a
quella delletnomusicologo di fronte a musiche extra-occidentali, con la necessit di
effettuare una trascrizione da sottoporre a successiva indagine (e con la necessit di
formulare i criteri stessi di trascrizione, pervenendo anche ad inevitabili questioni di
teoria della musica). Naturalmente in una simile situazione sorgono difficolt dovute a
contenuti musicali timbricamente piuttosto complessi, non facili da segmentare e
trascrivere (ci rimanda anche alla carenza terminologica cui si riferisce Schaeffer). Da
qui un certo psicologismo nelle analisi che seguono questa strada, come per es. nel
lavoro di Franois Delalande (En labsence de partition: le cas singulier de lanalyse de
la musique lectro-acoustique, Analyse musicale, n.3, 1986), e nei contributi di vari
autori in Analysis of electroacoustic music (numero tematico di Journal of new music
research, vol.27, n.1-2, 1998). In italiano si veda Lelio Camilleri, Metodologie e
concetti analitici nello studio di musiche elettroacustiche, Rivista italiana di
musicologia, vol.28, n.1, 1993, e Strategie di analisi della musica elettroacustica
(numero tematico del Bollettino di analisi e teoria musicale, vol.5, n.1, 1998).
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Non il caso di soffermarsi sui contenuti della proposta di Schaeffer, spesso
messa in discussione anche dai suoi contemporanei (talvolta anche allinterno del
Groupe de Recherches Musicales). Pregi e difetti di Schaeffer teorico sono stati
richiamati da Jean-Jacques Nattiez (cfr. alcuni capitoli del suo Musicologia generale e
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Hans Jonas, Dalla fede antica alluomo tecnologico, Il Mulino, Bologna, 1991
(ed. or. 1974), p.50.
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