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Opinioni

Diritto societario
Amministratori

Doveri e responsabilita`
degli amministratori di societa`
di capitali in crisi
di Renato Rordorf
Nel quadro della disciplina generale dettata dal codice in tema di responsabilita` degli amministratori di societa` di capitali, e ponendo specialmente laccento sullobbligo di curare ladeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili della societa`, lo scritto analizza in particolare la responsabilita` in cui possono incorrere gli amministratori quando la societa` versi in stato di crisi, sotto tre diverse prospettive: la responsabilita` per aver cagionato o aggravato la crisi, la responsabilita` per non averne tempestivamente colto i sintomi e non avervi prontamente reagito, la responsabilita` per avere malamente adoperato gli strumenti giuridici
che oggi lordinamento pone a disposizione dellimprenditore per fronteggiare la crisi nel modo migliore e
per limitarne gli effetti dannosi. Nella prima di tali prospettive viene soprattutto evidenziata la distinzione tra
violazione di regole di buona amministrazione e violazione del dovere giuridico di diligenza; nella seconda ci
si sofferma anche sugli effetti delle disposizioni, recentemente introdotte nella legge fallimentare, in forza
delle quali la presentazione di domande di concordato preventivo o di omologazione di accordi di ristrutturazione del debito sospendono le prescrizioni del codice civile in tema di ricapitalizzazione o liquidazione della
societa` che abbia preso il proprio capitale; nella terza si considerano le conseguenze che la maggiore possibilita` di dar vita a tentativi di soluzioni negoziate della crisi potrebbero provocare in termini di responsabilita`
degli amministratori sociali (*).

Una duplice premessa


Un discorso ordinato sui doveri e sulla conseguenti
possibili responsabilita` degli amministratori di una
societa` di capitali in crisi - cui naturalmente si correlano anche i doveri e le responsabilita` degli organi di controllo - dovrebbe partire dallesame delle
regole generali che disciplinano i compiti dei medesimi amministratori. Quasi sempre la crisi dellimpresa non e` altro che il fattore da cui quelle responsabilita` sono messe meglio in luce, ma per il resto
non fa che dare ad esse una particolare curvatura
ed aggiungervi qualche elemento di specificita`. Impostare il tema in termini generali richiederebbe,
pero`, un tempo ben maggiore di quello del quale io
qui dispongo. Molto quindi dovra` quindi esser dato
per scontato, e mi limitero` solo a quei profili di responsabilita` destinati a venire maggiormente in evidenza quando la societa` si avvii verso uno stato di
crisi o gia` ci si trovi.
In questottica mi sembra che possa risultare utile
distinguere tre possibili scenari di eventuale responsabilita` degli amministratori:

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a) per aver cagionato o aggravato la crisi dellimpresa;


b) per non aver percepito tempestivamente i sintomi della crisi o non avervi prontamente reagito;
c) per aver malamente adoperato gli strumenti necessari o utili a fronteggiare la crisi o a limitarne gli
effetti.
Un approccio al tema che volesse essere completo
e sistematico richiederebbe anche, pero`, che si distinguesse la situazione degli amministratori della
societa` per azioni da quella degli amministratori
della societa` a responsabilita` limitata, essendo ben
noto che il legislatore della riforma ha inteso evitare che questultima societa` costituisca poco piu` che
una riproduzione in piccolo dellaltra. Ai fini del
discorso che mi accingo a svolgere, tuttavia, insisteNota:
(*) Relazione tenuta in occasione della giornata di studio sul tema La crisi dimpresa nellattuale contesto socio-economico:
strategie e strumenti di risanamento, svoltasi in Lecce, il 23
novembre 2012, per iniziativa del Dipartimento di Scienza dellEconomia dellUniversita` del Salento.

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re su questa distinzione avrebbe un sapore inutilmente scolastico: perche, se pure e` innegabile che
il D.Lgs. n. 6/2003 ha differenziato le regole di amministrazione nei due tipi di societa`, restano nondimeno fermi alcuni principi comuni che, specialmente in relazione alla crisi dimpresa, consentono
senzaltro di svolgere un discorso sostanzialmente
unitario.

Responsabilita` per aver causato


(o concorso a causare) la crisi
Le ragioni da cui puo` derivare la crisi di unimpresa
sono, evidentemente, le piu` varie. Non necessariamente esse dipendono da comportamenti ascrivibili
a chi dellimpresa ha la gestione; ma talvolta s`, o
almeno puo` accadere che i comportamenti del gestore e le sue scelte imprenditoriali concorrano a
cagionare o ad aggravare la crisi.
Quelle scelte imprenditoriali restano, nondimeno,
insindacabili ad opera del giudice, ancorche possano aver avuto effetti negativi sullandamento economico dellimpresa, giacche occorre tenere sempre
ben distinte la business judgment rule e la rule of law.
Solo la violazione di questultima - cioe` di doveri
derivanti da vere e proprie regole di diritto - e` idonea a generare responsabilita` giuridica, mentre le
ragioni di opportunita` imprenditoriale e la valutazione del buono o cattivo esito dellattivita` dimpresa restano estranee a questo ambito, potendo semmai assumere rilievo soltanto nella dinamica del
rapporto di fiducia che deve esistere, ove titolarita`
e gestione del capitale impiegato facciano capo a
soggetti distinti, tra i soci e chi amministra la societa` (1).
Ma tra i doveri giuridici che gravano sullamministratore ve` quello, di primaria importanza, di curare
che lassetto organizzativo, amministrativo e contabile della societa` sia adeguato alla natura ed alla dimensione dellimpresa. A questo dovere allude
espressamente lart. 2381 c.c., che specificamente
lo imputa agli organi delegati (comma 5), cioe` agli
amministratori delegati o al comitato esecutivo, ma
prescrive altres` che lintero consiglio di amministrazione debba valutarne ladempimento, sulla base
delle informazioni fornitegli (comma 3). Ai sindaci
tocca poi vigilare sulladeguatezza di quegli assetti e
della loro concreta attuazione (art. 2403, comma 1,
richiamato per il consiglio di sorveglianza dallart.
2409 terdecies, comma 1, lett. c).
Benche dettato con riferimento alla sola societa` per
azioni e benche apparentemente volto soltanto a
disciplinare il funzionamento degli organi ammini-

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strativi collegiali, pare difficile dubitare che il dovere di curare che la societa` sia dotata di un assetto
organizzativo adeguato gravi sempre e comunque su
coloro che sono chiamati ad amministrarla. Si tratta, cioe`, di una norma che esprime un principio generale dellamministrazione societaria (2): principio
destinato ad operare anche qualora la societa` non
si sia dotata di un organo di amministrazione consiliare o non abbia, comunque, istituito la figura dellamministratore delegato o il comitato esecutivo.
Allo stesso modo, pur nel diverso inquadramento
che si ritenga di dover dare ai doveri di diligenza
gravanti sullamministratore di una societa` a responsabilita` limitata, pare indubbio che vi sia compreso anche il compito di organizzare adeguatamente limpresa affidata alla sua gestione, trattandosi di
una funzione intrinseca al fatto stesso dellamministrare una struttura destinata alla produzione di beni o servizi. Ladeguatezza degli assetti societari,
daltronde, e` nozione essenzialmente relativa, dovendo esser commisurata alla natura e alle dimensioni dellimpresa (come si esprime il citato quinto
comma dellart. 2381), di modo che essa risulta perfettamente modulabile in rapporto alle diverse esigenze di unimpresa media o piccola, quale e` per lo
piu` quella gestita in forma di societa` a responsabilita` limitata, e nulla pertanto consente di ritenerla
estranea o incompatibile neppure con la piu` generica nozione di diligenza richiesta per lamministrazione di questultimo tipo di societa`, in qualsiasi
forma la si attui (3).
Ma allora, se e` vero che, come si e` gia` ricordato, le
Note:
(1) In tal senso, da ultimo, Cass. 12 febbraio 2013, n. 3409; ed
ancor prima Cass. 28 aprile 1997, n. 3652, in Giust. civ., 1997, I,
2780, in questa Rivista, 1997, 1389, in Foro it., 1998, I, 3247, in
Giur. it., 1998, 287 ed in Riv. dir. comm., 1998, II, 13. In dottrina
la letteratura sul punto e` assai ampia, ed e` spesso volta a sottolineare i margini dincertezza e di discrezionalita` applicativa nella
ricerca del sottile confine tra insindacabilita` delle scelte economiche e difetto di diligenza imputabile allamministratore a titolo
di responsabilita` giuridica. Si veda da ultimo, per tutti, P. Piscitello, La responsabilita` degli amministratori di societa` di capitali tra
discrezionalita` del giudice e business judgement rule, in Riv.
soc., 2012, 1167 ss.
(2) E` persuasivo il rilievo di P. Abbadessa, Profili topici della nuova disciplina della delega amministrativa, in (Abadessa - portale)
diretto da, Il nuovo diritto delle societa`, Milano, 2007, v. 2, 493,
secondo cui, gia` prima della riforma societaria del 2003, non
poteva certo dubitarsi che nellobbligo di amministrazione diligente rientrasse anche quello di curare che la societa` fosse
provvista di un assetto organizzativo adeguato.
(3) In argomento si vedano per tutti R. Mangano, La responsabilita` degli amministratori di srl - Dalla diligenza del mandatario alla
ragionevolezza delle scelte gestionali, 11; e G. Zanarone, Della
societa` a responsabilita` limitata, in Commentario Schlesinger,
Milano, 2010, II, 1047 ss.

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scelte imprenditoriali dellamministratore sono insindacabili, pur se abbiano provocato o concorso ad
aggravare la crisi dellimpresa, lo stesso non puo` dirsi ogni qual volta tali negative conseguenze siano
riconducibili, in tutto o in parte, ad un difetto di
organizzazione dellimpresa medesima. Non e` la
scelta di compiere una determinata operazione imprenditoriale, risultata poi dannosa, a venire in rilievo in questo caso, bens` il fatto che, rispetto a
quella scelta, la societa` non sia stata attrezzata adeguatamente sotto laspetto organizzativo. Lamministratore e` perfettamente libero nellindividuare le finalita` dellagire imprenditoriale (purche, ovviamente, resti entro i confini del lecito), ma e` tenuto - in
termini di dovere giuridico - a curare che gli strumenti di cui la societa` dispone per realizzare quelle
finalita` siano adeguati allo scopo: sotto il profilo sia
dellorganizzazione interna dellimpresa sia, in modo
piu` specifico, dellidoneita` ad assicurare la corretta
e veritiera rappresentazione contabile delle operazioni compiute, quale condizione per valutarne costantemente gli effetti e per poterne dare conto.
Non diversamente, del resto, nei gruppi dimprese
si atteggia il dovere di attenersi ai principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale, che
lart. 2497, comma 1, c.c. pone a carico dellente
capogruppo (e, di riflesso, a carico dei suoi amministratori) nei rapporti con le altre societa` del medesimo gruppo (4). Doveri tutti che, naturalmente,
comportano lapplicazione di criteri e di regole elaborati essenzialmente dai cultori della scienza aziendalistica, ma che assumono - giova ripeterlo - una
sicura valenza giuridica: onde la loro eventuale violazione ben puo` esser fonte di responsabilita` per
lamministratore, se ne sia derivato danno per la societa`, per i soci, per i creditori o per i terzi. Ed e` appunto su questo piano che credo si possa con maggior frequenza configurare un addebito di responsabilita` a carico degli amministratori per avere cagionato o concorso a cagionare (o ad aggravare) la crisi della societa`, fermo ovviamente restando il non
sempre agevole onere per lattore di dimostrare i
danni che, in simili situazioni, siano imputabili alla
violazione del dovere di adeguatezza di cui se` detto.

fattori in nessun modo imputabili a mala gestio degli


amministratori. Il dovere di diligenza cui costoro
sono tenuti impone loro, nondimeno, di saperne
percepire tempestivamente i sintomi e di reagire in
modo adeguato.
Anche sotto questo profilo, percio`, puo` configurarsi
una responsabilita` dellamministratore che, o per
inadeguatezza dellassetto contabile ed organizzativo
dellimpresa o per la mancata adozione di provvedimenti prescritti dalla legge in presenza di determinati presupposti, abbia tenuto un comportamento
non coerente con il manifestarsi dei sintomi di crisi
ed abbia cos` concorso ad aggravare il danno.
Gli amministratori debbono predisporre strumenti
organizzativi che consentano loro di venire tempestivamente a conoscenza dellavvicinarsi dello stato
di crisi o di una situazione di squilibrio finanziario
idoneo a sfociare nellinsolvenza. Essi debbono,
cioe`, porsi in condizione di esprimere un giudizio
sulla continuita` aziendale, ed essere in grado di
constatare se eventualmente sia divenuto impossibile conseguire loggetto sociale, a causa della situazione economico-finanziaria dellimpresa, cos` da
accertare tempestivamente il verificarsi della causa
di scioglimento consistente nella perdita del capitale sociale.
Basta porre mente alle prescrizioni degli artt. 2446
e 2447 del codice (cui corrispondono, per la societa`
a responsabilita` limitata, gli artt. 2482 bis e ter) per
comprendere come anche qui siano in gioco non
solo generiche regole di buona amministrazione ma
veri e propri doveri giuridici, la cui violazione, se
dannosa, e` percio` idonea a generare responsabilita`.
Lobbligo di convocare senza indugio lassemblea
per gli opportuni provvedimenti e di sottoporle
unapposita situazione patrimoniale, non appena si
sia verificata la perdita di oltre un terzo del capitale
sociale, evidentemente presuppone che lamministratore sia in grado di rilevare nel piu` breve tempo
possibile il verificarsi di un simile evento e che,
dunque, egli abbia avuto cura di predisporre unorganizzazione amministrativa e contabile adeguata a
questo scopo. Diro` tra breve del recente intervento
del legislatore che, in presenza di una domanda di

Responsabilita` per tardiva percezione


della crisi o inadeguata reazione

(4) Sulla connessione esistente tra ladeguatezza degli assetti


organizzativi dellimpresa ed i principi di corretta gestione imprenditoriale cui deve attenersi lente che esercita lattivita` di direzione e coordinamento di un gruppo di societa`, si veda F. Galgano, Direzione e coordinamento di societa`, in Commentario
Scialoja - Branca, Bologna - Roma, 2005, 102 ss.; sul piu` specifico tema della crisi dei gruppi dimprese, U. Tombari, Crisi di impresa e doveri di corretta gestione societaria e imprenditoriale
della societa` capogruppo, in Riv. dir. comm., 2011, I, 631 ss.

La crisi dellimpresa, soprattutto in unepoca in cui


linterconnessione dei fenomeni economici su scala
mondiale produce incontrollabili effetti di propagazione da un mercato allaltro, ben puo` dipendere da

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Nota:

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concordato preventivo o di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, ha stabilito una
temporanea sospensione delloperativita` degli articoli del codice civile da ultimo menzionati, ma va
qui subito sottolineato come tale sospensione non
operi anche per il primo comma dellart. 2446 e per
i primi tre commi dellart. 2482 bis. Il dovere degli
amministratori di porsi in condizione di percepire
tempestivamente lavvenuta perdita del capitale,
per poterne informare senza indugio i soci, resta
quindi in tutti i casi invariato; e, benche le citate
diposizioni del codice espressamente contemplino
soltanto lipotesi di uno sbilancio patrimoniale della societa`, e` agevole intendere come analoghi doveri di diligente monitoraggio e di tempestiva informazione gravino sullamministratore anche con riferimento ad eventuali situazioni di squilibrio economico e finanziario, se tali da mettere in pericolo la
capacita` dellimpresa di continuare a stare sul mercato operando in condizioni di normalita`.

(Segue): la responsabilita` conseguente


alla perdita del capitale sociale
Rimanendo pero` sul terreno dello sbilancio patrimoniale, e` appena il caso di ricordare che il venir
meno del divieto di nuove operazioni dopo lo scioglimento della societa`, contemplato dal previgente
art. 2449, comma 1, c.c. (e drammatizzato dalloperare di diritto delle cause di scioglimento prima della riforma societaria del 2003), e` oggi rimpiazzato
da due obblighi degli amministratori, tra loro concatenati: quello di accertare senza indugio il verificarsi della causa di scioglimento e provvedere ai
conseguenti adempimenti pubblicitari, sotto pena
di responsabilita` verso la societa`, i creditori, i soci
ed i terzi (art. 2485); e quello, al verificarsi di una
causa di scioglimento, di gestire la societa` ai soli fini della conservazione dellintegrita` e del valore del
patrimonio sociale, con analoga previsione di responsabilita` (art. 2486).
Da tali disposizioni, lette anche unitamente a quelle dettate dalla legge fallimentare in tema di bancarotta semplice (sulle quali brevemente poi tornero`),
sembra potersi ricavare la regola generale dellillegittimita` del proseguimento dellattivita` dimpresa se non per finalita` meramente conservative - in
presenza di una situazione di crisi ormai irreversibile. Non so se possa addirittura affermarsi che, in siffatta situazione, linteresse dei creditori, da vincolo
allautonomia della gestione, diventi scopo della
stessa. Certamente, pero`, il verificarsi di una causa
di scioglimento (se non rimossa secondo le modali-

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ta` consentite dalla legge) incide sulloggetto sociale,


imprimendo ad esso una curvatura liquidatoria che
non manca di riflettersi sui poteri e sui doveri degli
amministratori.
Come gia` sopra accennato, pero`, lart. 182 sexies
l.fall. (recentemente introdotto dal D.L. 22 giugno
2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7
agosto 2012, n. 134) stabilisce che gli effetti del verificarsi della causa di scioglimento della societa` per
perdita del capitale, ove sia stata depositata una domanda di ammissione alla procedura di concordato
preventivo o di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, sono sospesi a partire dalla
data di deposito della domanda e fino alla relativa
omologazione. Se una siffatta domanda non sia presentata, continua dunque ad applicarsi il regime ordinario, in base al quale la perdita di oltre un terzo
del capitale sociale e la conseguente discesa di questo al di sotto del limite legale comporta, oltre ai
doveri dimmediata convocazione dellassemblea e
di redazione della situazione patrimoniale da parte
degli amministratori di cui gia` se` detto, anche la
drastica alternativa, per la societa`, tra il ricapitalizzarsi o il porsi in liquidazione (salvo i casi, non frequentissimi, in cui si possa optare per la trasformazione in societa` di tipo diverso senza necessita` di
operare sul capitale). Ma a questa alternativa la societa` puo` ora pero` sottrarsi, almeno temporaneamente, imboccando la strada del concordato preventivo o dellaccordo di ristrutturazione dei debiti.
La nuova previsione, evidentemente ispirata allintento di favorire il ricorso a soluzioni negoziali della
crisi ritenute meglio in grado di preservare il residuo valore dellimpresa, presenta diversi profili problematici, che tuttavia non e` questo il luogo per indagare. Qui interessa soltanto porne in luce i riflessi
sui doveri degli amministratori e sulle loro eventuali responsabilita`; e poiche se` visto che il verificarsi
di una causa di scioglimento della societa` - ivi compresa la perdita del capitale nella misura indicata
dai citati artt. 2446, 2447, 2482 bis e ter - fa sorgere
in capo agli amministratori lobbligo di adempiere
le relative prescrizioni pubblicitarie e di astenersi
dal compiere atti non meramente conservativi, e`
sulla sospensione di questi obblighi che giova fermare brevemente lattenzione.
Si badi, pero`, che, per il periodo anteriore al deposito della domanda di ammissione del concordato o
di omologazione dellaccordo, lapplicazione dellart. 2486 (quindi il dovere di astenersi dal compiere atti non meramente conservativi) e` espressamente fatta salva dal secondo comma del citato art.
182 sexies; ed e` pertanto ben chiaro che la presen-

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tazione della domanda di concordato o di ristrutturazione dei debiti non puo` in alcun caso sanare le
responsabilita` gia` eventualmente maturate (5). Ne
risulta altres` confermata, per il periodo precedente
alla presentazione di una delle suindicate domande,
la necessita` che lamministratore, avendo tempestivamente percepito la perdita del capitale, provveda
senza indugio agli adempimenti di cui al citato art.
2446, comma 1, e si astenga dal compiere operazioni incompatibili.
E` la presentazione della domanda, come se` detto,
che segna la cessazione dei limiti operativi derivanti
dallapplicazione del citato art. 2486, dovendosi da
quel momento in poi lamministratore non piu` preoccuparsi degli anzidetti limiti, bens` attenersi a
quanto previsto dal (o comunque compatibile col)
piano di concordato o con i termini dellaccordo di
ristrutturazione, oltre che rispettare il regime autorizzatorio del procedimento concordatario. Ma la
domanda potrebbe non essere immediatamente corredata dal piano di concordato, stante lattuale formulazione dellart. 161, comma 6, l.fall., e ci si e`
chiesti se sia logico ammettere che, nel periodo occorrente per il perfezionamento del piano, il citato
art. 2486 resti tuttavia inoperante. Occorre pero`
considerare che in tale periodo il debitore non puo`
compiere atti di straordinaria amministrazione senza
lautorizzazione del tribunale, e non pare irragionevole ipotizzare che gli atti per i quali tale autorizzazione necessita coincidano di fatto con quelli non
meramente conservativi che sarebbero altrimenti
vietati dal menzionato disposto dellart. 2486 (6).
Escluderei che la mancata successiva omologazione
del concordato o dellaccordo di ristrutturazione, al
pari della loro eventuale successiva risoluzione, facciano venir meno retroattivamente gli effetti sospensivi previsti dal citato art. 182 sexies, e possano
quindi comportare il rischio per gli amministratori
di vedersi in seguito imputare, a titolo di responsabilita`, il mancato adempimento degli obblighi pubblicitari conseguenti al verificarsi della causa di
scioglimento della societa` oppure il compimento di
attivita` dimpresa non meramente conservative.
Ipotizzare che gli amministratori restino esposti ad
un tale rischio, dipendente dallesito finale (mai
scontato) delle procedure intraprese, significherebbe vanificare lintento legislativo di favorire il ricorso alle suindicate soluzioni negoziali della crisi (7).
Non sono pero` altrettanto sicuro che si possa pervenire alla medesima conclusione anche nel caso
in cui la proposta concordataria sia dichiarata
inammissibile dal tribunale, perche una siffatta situazione equivale a certificare linsussistenza sin dal

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principio delle condizioni indispensabili alla presentazione di quella proposta e potrebbe quindi
mettersi in dubbio che la presentazione di una domanda inammissibile sia idonea a produrre gli effetti sospensivi dellordinario regime di scioglimento
della societa` stabilito dal codice civile; effetti che,
daltronde, la nuova disposizione della legge fallimentare che si sta commentando vuole restino sospesi sino allomologazione (ma forse meglio si
sarebbe dovuto dire sino a che il tribunale si pronunci sullomologazione), per cio` stesso lasciando
intendere che la sospensione presuppone non solo
lavvio ma anche lo svolgimento della procedura
concordataria fino allapprodo naturale del giudizio
di omologazione.
I dubbi pero` non finiscono qui. Se` appena detto
che la sospensione degli obblighi conseguenti alla
perdita del capitale sociale ed allo scioglimento della societa`, che ne dovrebbe di regola conseguire, e`
destinata a durare sino a quando il giudice si sia
pronunciato sullomologazione del concordato o
dellaccordo di ristrutturazione, ma non e` subito
chiaro cosa succede qualora il decreto col quale il
tribunale abbia accolto o rigettato la domanda di
omologazione venga impugnato con reclamo alla
corte dappello (con possibilita` anche di eventuale
successivo ricorso per cassazione). Posto che al decreto di omologazione lart. 180 l.fall. conferisce
provvisoria esecutivita`, sarei propenso a ritenere
che, con la sua pronuncia, lo speciale regime dettato dallart. 182 sexies giunga comunque al termine;
e per evidenti ragioni logiche e sistematiche lo stesso dovrebbe dirsi anche nel caso in cui lomologazione venga negata, ancorche la relativa decisione
sia soggetta ad impugnazione.
Una volta, invece, che il concordato o laccordo di
ristrutturazione siano stati omologati, lordinario regime codicistico sembrerebbe destinato a riprendere
vigore. Se, dunque, la societa` versi ancora nelle
Note:
(5) Secondo T. Ariani, Disciplina della riduzione del capitale per
perdite e concordato preventivo, in Fall., 2013, 117-118, qualora
la causa di scioglimento della societa` sia gia` stata iscritta nel registro delle imprese, la presentazione di una domanda di concordato non ne fa venir meno lo stato di liquidazione, ed un tale
effetto si potrebbe conseguire solo mediante unapposita successiva delibera di revoca della liquidazione, presumibilmente
da adottare nellambito dellesecuzione del piano concordatario.
(6) Nello stesso senso G. Strampelli, Capitale sociale e struttura
finanziaria nella societa` in crisi, in Riv. soc., 2012, 652 ss.
(7) In argomento si vedano anche T. Ariani, op. cit., 118-119; e
P. Montalenti, La gestione dellimpresa di fronte alla crisi tra diritto societario e diritto concorsuale, in Riv. dir. soc., 2011, 820
ss.

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condizioni previste dai citati artt. 2446 e 2447 del
codice, si riproporra` la necessita` di ricapitalizzarla o
di liquidarla (salva lipotesi di trasformazione regressiva, ove ne sussistano i presupposti). Ma e` intuitivo che questa situazione non potra` non essere stata
contemplata nel piano concordatario o nellaccordo
di ristrutturazione, onde appare ragionevole ipotizzare che la suindicata alternativa sara` sciolta in
conformita` alle previsioni di quel piano o di quellaccordo. Ne consegue che anche i doveri degli
amministratori (o liquidatori) risulteranno diversamente conformati a seconda che si tratti di un concordato liquidatorio oppure di un concordato con
continuita` implicante la prosecuzione dellattivita`
dellimpresa da parte del medesimo soggetto societario.

La responsabilita` per la gestione


della societa` nellambito delle procedure
concorsuali
Ancora una quarantina di anni fa un autore prestigioso, come il Provinciali (8), non esitava a definire linsolvenza come un fatto illecito - la colpa sarebbe stata in re ipsa, derivante dalla violazione dellobbligo insito nel dettato dellart. 2740 c.c. - e vedeva nella dichiarazione di fallimento la sanzione
per la violazione di quellobbligo.
Il mutamento di prospettiva intervenuto da allora e`
impressionante. Basta notare che oggi la possibilita`
di accedere alla procedura di concordato preventivo (o di ottenere lomologazione di un accordo di
ristrutturazione dei debiti) non presuppone neppure
piu` il blando requisito della meritevolezza soggettiva dellimprenditore insolvente.
Ma i rapporti economici, e quindi anche quelli tra
creditore e debitore, in qualche misura sono sempre
anche rapporti di potere: il diritto li regola proprio
per segnare i limiti entro cui tale potere puo` essere
legittimamente esercitato. Nella logica della legge
fallimentare del 1942 (che si voglia seguire o meno
la drastica impostazione del Provinciali) prevaleva,
evidentemente, il potere del creditore di assoggettare al proprio soddisfacimento i beni del debitore, sino al punto da limitare per certi aspetti anche la liberta` e le capacita` di questultimo. Adesso i rapporti sono mutati a favore del debitore, di cui e` accresciuto il potere dimporre ai creditori (o ad alcuni
tra essi), a certe condizioni, un sacrificio dei propri
interessi: basti pensare al nuovo regime delle prededuzioni ed allestrema facilita` di paralizzare le azioni
esecutive e cautelari mediante la presentazione di
domande di concordato o di omologazione di ac-

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cordi di ristrutturazione ancora in divenire. E` stato


puntualmente osservato che ammettere la possibilita` di richiedere laccesso a soluzioni concordate
della crisi di impresa da parte di societa` versanti in
condizioni di squilibrio patrimoniale esonerando i
soci dallobbligo di ricapitalizzazione e consentendo
(seppur subordinatamente allautorizzazione del tribunale e allattestazione di un esperto) altres` alla
societa` di contrarre ulteriore indebitamento ... accentua il rischio gravante sui creditori preesistenti
in caso di insuccesso del tentativo di risanamento (9).
La scelta del legislatore di favorire le prospettive di
soluzione delle crisi dimpresa che dovrebbero meglio riuscire, almeno nelle intenzioni, a salvaguardare il valore residuo di cui limpresa stessa sia portatrice, pur se con limposizione di rischi piu` elevati
ai creditori, puo` essere ovviamente apprezzata o criticata, a seconda dei punti di vista. Ma, a prescindere da un tale giudizio, mi pare si possa convenire
sul rilievo per cui, in un sistema ben equilibrato, ad
ogni potere dovrebbe corrispondere un pari livello
di responsabilita`, e quanto piu` il primo si accresce
tanto piu` dovrebbe divenire rigorosa la seconda. E`
per questa ragione che, quantunque il legislatore
non sia direttamente intervenuto per rendere piu`
stringente la responsabilita` dellimprenditore (o dellamministratore della societa`) che eventualmente
abusi della vasta gamma di strumenti oggi posti a
sua disposizione per meglio fronteggiare lo stato di
crisi, questo tema, se non minganno, e` destinato in
un prossimo futuro ad acquisire forte attualita`, anche mediante il recupero di regole o di principi rimasti immutati nella riforma della legge fallimentare, ma che nel nuovo quadro sistematico sono suscettibili di una significativa rivalutazione.
Per decenni la grande maggioranza delle azioni di
responsabilita` intentate dalle curatele fallimentari
nei confronti di amministratori e sindaci di societa`
fallite si sono fondate sulladdebito mosso agli organi sociali di aver violato il dovere di astenersi dal
compimento di nuove operazioni dopo il verificarsi
di una causa di scioglimento della societa`, di regola
ravvisata nella perdita del capitale sociale. Ho gia`
accennato al diverso quadro normativo scaturito
dalla riforma del diritto societario e di quello fallimentare, con la formale eliminazione del divieto di
nuove operazioni (sostituito dallobbligo di compieNote:
(8) R. Provinciali, voce Insolvenza (dir. priv.) in Enc. dir., Milano
1971, XII, 782-3.
(9) G. Strampelli, op. cit., 662.

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Opinioni

Diritto societario
re solo atti conservativi) (10) e con la gia` ricordata
possibilita` di sospendere gli effetti del verificarsi
della causa di scioglimento mediante la presentazione di domande di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione dei debiti. E` probabile che,
di conseguenza, le azioni di responsabilita` assumeranno un differente indirizzo, e che i curatori dovranno acconciarsi a scrutinare i comportamenti
degli organi sociali in una prospettiva almeno in
parte diversa. Il che, sia detto per inciso, potrebbe
riflettersi anche sulla sempre difficoltosa tematica
dellindividuazione del danno e del nesso di causalita` tra il comportamento illegittimo dellagente ed il
danno medesimo (11).
Penso, ad esempio, alla valutazione della possibile
illiceita` (non solo dal punto di vista penale, ma anche ai fini della responsabilita` civile) del comportamento dellamministratore che abbia compiuto operazioni gravemente imprudenti per ritardare il fallimento, o si sia astenuto dal chiedere il fallimento
della societa` ormai inevitabile, se cio` abbia comportato un aggravamento del dissesto (artt. 217,
nn. 3 e 4, e 224 l.fall.). E` ben vero che lintroduzione del nuovo art. 217 bis, volto proprio ad evitare
che il rischio dincorrere in responsabilita` penale
disincentivi le soluzioni negoziali della crisi auspicate dal legislatore, ha esentato dal reato di bancarotta gli atti compiuti in esecuzione di concordati preventivi, accordi di ristrutturazione dei debiti e piani
di risanamento attestati, nonche i pagamenti ed i
finanziamenti che il giudice abbia autorizzato a norma del precedente art. 182 quinquies. Ma non mi
pare che cio` impedisca di configurare la responsabilita` civile degli amministratori per il ritardo nella
dichiarazione di fallimento, in conseguenza di tentativi infruttuosi di dar vita a soluzioni alternative
di risoluzione della crisi, quando ne difettavano manifestamente i presupposti e tali tentativi abbiano
peggiorato le condizioni patrimoniali della societa`;
cos` come sicuramente non la esclude il ricorso
abusivo al credito con dissimulazione dello stato
dinsolvenza (artt. 218 e 225 l.fall.).
Ma, soprattutto, potrebbe venire in evidenza la responsabilita` per il cattivo esito di domande di concordato preventivo o di omologazione di accordi di
ristrutturazione o di piani attestati, se sia dipeso
dalla scorretta tenuta delle scritture contabili o da
altri fatti derivanti da cattiva organizzazione dellimpresa; fatti che non potrebbero certo esser scriminati dalleventuale attestazione positiva del professionista indipendente di cui allart. 67, comma 3,
lett. d), l.fall.
E` certo piu` problematico, ma forse non sempre del

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tutto impossibile, rovesciando in certo senso la prospettiva, ipotizzare che lamministratore incorra in
responsabilita` per aver lasciato fallire la societa` senza fare ricorso a soluzioni alternative, quando ve ne
sarebbero state invece le condizioni e si possa dimostrare che cio` avrebbe meglio salvaguardato i valori
del patrimonio sociale. Puo` certo venire in gioco
anche a questo riguardo un profilo di valutazione
imprenditoriale, come tale non sindacabile in termini strettamente giuridici, ma di nuovo non puo`
escludersi che sia invece linadeguata organizzazione
dellimpresa, imputabile allamministratore a titolo
di colpa per negligenza, ad aver impedito il tempestivo ricorso a procedure alternative al fallimento
ed, in ipotesi, meno penalizzanti anche per i creditori.

Note:
(10) Mutamento, peraltro, sotto alcuni aspetti piu` formale che
sostanziale. Solo per brevita` mi permetto di rinviare, al riguardo,
a quanto scritto in La responsabilita` degli amministratori di spa
per operazioni successive alla perdita del capitale, in questa Rivista, 2009, 277 ss.
(11) Su cui vedi Cass. 8 febbraio 2005, n. 2538, in Giur. it.,
2005, 1637, ed, in tempi piu` recenti, Cass. 4 luglio 2012, n.
11155.

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