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Chiesa, mafia e urgenze pastorali

di Giuseppe Savagnone
in Avvenire del 14 aprile 2016
Perch la mafia, al di l di episodi locali scatenanti e immediati, uccide i due sacerdoti (don Pino
Puglisi e don Giuseppe Diana)? Perch rappresentano quella Chiesa che non sta in silenzio, che non
si sente autosufficiente, che non vive chiusa dentro il proprio mondo 'istituzionale', separata dal
mondo reale di tutti e di tutte (p.109). Sono parole che sintetizzano listanza positiva di un recente
e documentato libro di Rosario Giu (Vescovi e potere mafioso, Cittadella, pp. 184, euro 14,90) e
che possono essere largamente condivise da chiunque si trovi a soffrire per una ben diversa
pastorale (purtroppo ancora diffusa), che invece rimane prigioniera di frasi fatte, neutralizzando la
carica rivoluzionaria del Vangelo, che vive in modo autoreferenziale, concentrata nel recinto del
sacro, tra riti e amministrazione di sacramenti, incapace di lasciarsi interpellare dai problemi
quotidiani del territorio e della gente, e che a causa di ci non riesce a incidere sul modo di pensare,
di sentire, di agire, degli stessi fedeli, meno che mai, ovviamente, su quello degli altri.
Don Puglisi e don Diana sono un esempio, non lunico, certo, di uno stile diverso, capace di far
emergere il significato 'umanizzante' che il messaggio cristiano pu assumere per i singoli e per la
comunit civile, in nome di un Dio che ha scelto di essere anche vero uomo. E questo tanto pi
appropriato in quanto la mafia non si riduce a singoli atti criminosi, ma, come viene giustamente
sottolineato in queste pagine, costituisce una vera e propria struttura di peccato (p.149), da cui la
vita di uomini e donne tragicamente condizionata. Da qui la sincera passione con cui lautore ne
sottolinea lincompatibilit con la fede e linaccettabilit da parte della comunit cristiana.
I limiti di questa coraggiosa denunzia sono, per, due. Il primo (a nostro avviso il pi grave) di
avere identificato nel rapporto col fenomeno della mafia il nodo cruciale dello 'scollamento' tra
pastorale e vita reale, ignorando o minimizzando tutti gli altri problemi che rendono oggi
problematico il rapporto tra Vangelo e cultura e societ. Il secondo di avere caricato in modo
esclusivo la responsabilit di questo 'scollamento' sulle pronunzie ufficiali dellepiscopato,
scambiando un momento importante, ma non certo isolabile dal contesto della pastorale, per lunico
rilevante. Un terzo aspetto discutibile del libro di Giu, ma collegato strettamente al secondo,
potrebbe essere individuato nellatteggiamento ipercritico con cui quelle pronunzie vengono
analizzate.
Esaminiamo brevemente questi punti, cominciando dal primo. Per Giu la secolarizzazione - intesa
come minaccia non solo al cristianesimo, ma anche allumanit degli uomini e delle donne del
nostro tempo - non lindividualismo selvaggio che dissolve le comunit e rende precari i rapporti
tra le persone subordinandoli alla logica del mercato; e neppure lo svuotamento di senso che d
luogo a quel nichilismo devastante denunciato da autori 'laici' come Galimberti: per lui la vera
secolarizzazione data dal sistema criminale politico-mafioso disposto a tutto per mantenere il
proprio potere (p.130).
Anzi, laltro tipo di secolarizzazione, quella che storicamente si manifestata con la legislazione sul
divorzio e sullaborto e che, secondo lautore, prodotta dal pensiero liberale, dalla societ
pluralista e democratica, sarebbe solo il segno dellautonomia delle coscienze in una pluralit di
opzioni responsabili in campo etico, dunque unopportunit, un 'segno dei tempi'. Il vero
problema della pastorale, dunque, sarebbe quello di non essersi adeguatamente impegnata a
combattere la mafia, perch troppo concentrata su temi etici sensibili come la famiglia, la
procreazione, il fine vita, cio su uninterpretazione della questione antropologica come difesa
dei 'valori cristiani' clericalmente interpretati (p.121).
Oggi anche papa Francesco preferisce situare il discorso sui cosiddetti valori non negoziabili in
un pi ampio orizzonte salvifico. Ma non ci sembra possibile bollare la prospettiva ecclesiale sui

temi della famiglia e della bioetica come visione integralista e statica della verit (ivi). Tanto
meno di considerare lenunciazione chiara dei princpi su questi temi come un attentato alla laicit
dello Stato (p.126).
purtroppo vero che la nostra pastorale oggi non riesce a incidere in modo decisivo sulla societ,
producendone una 'conversione' culturale benefica gi sul piano semplicemente umano. Su questo
punto Giu ha ragione. Ma ci non riguarda solo e innanzitutto la mentalit mafiosa. Certamente,
essa, e anche in questo concordiamo con lautore, ha ormai da tempo una portata nazionale e
implicazioni esistenziali profonde. Ma, proprio per questo, non va isolata e contrapposta a un ben
pi ampio quadro veritativo e valoriale, la cui crisi si manifesta in molti modi.
Il secondo punto discutibile del libro la convinzione che la lotta contro la piaga della mafia - ma,
aggiungiamo noi, anche contro le altre piaghe della nostra societ - si giochi essenzialmente a
livello di pronunzie ufficiali dellepiscopato. Esse, ovviamente, sono indispensabili e ci sono state, a
tutti i livelli, anche nei riguardi della mafia, come lautore onestamente riconosce, pur
denunziandone la genericit. Ma il loro compito di fornire dei criteri di fondo, non di sostituire
lazione educativa e operativa capillare che spetta, invece, alle realt territoriali, prima fra tutte la
parrocchia.
Non tenerlo abbastanza presente porta lautore a criticare continuamente, nel corso di tutta la sua
esposizione, il fatto che le esplicite condanne dellepiscopato non abbiano specificato in cosa
dovesse o potesse consistere in pratica la 'risposta' alla mafia, elaborando un progetto pastorale di
liberazione dal potere mafioso (pp.108-109), in cui si indichi come passare dai pronunciamenti ai
fatti (p.146).
C da chiedersi se una simile concretezza operativa possa venire dalla Conferenza episcopale
italiana (la prima 'imputata' di questa pretesa omissione) o non debba, sulla scorta delle
enunciazioni di principio, essere ricercata attraverso un rinnovamento dello stile quotidiano
dellevangelizzazione a livello locale, sul territorio. Che quello che ha reso cos pericoloso per la
mafia limpegno pastorale di don Puglisi.
Un cenno, infine, allipersensibilit che lautore mostra, nellesame dei documenti, nei confronti
della lettera. Come quando sottolinea con sospetto il fatto che a volte vi si parli di 'criminalit
organizzata', invece che di 'mafia'. O che in alcuni testi, pur denunziando un atto di violenza, non si
sia fatto espressamente il nome delle singole vittime.
Francamente, la sostanza dei problemi sembra sia altrove. E precisamente nei contenuti di una
pastorale spesso ancora legata a quel dualismo tra sacro e profano che autorizza i mafiosi (ma non
solo loro!) a considerarsi 'buoni cristiani' perch rispettosi di forme religiose tradizionali, senza mai
essere costretti dallo stile della comunit ecclesiale a scegliere tra comportamenti conformi al
Vangelo e comportamenti che ne sono la negazione. questa, in fondo, lesigenza, in s pienamente
condivisibile, che sta al fondo del libro di Giu, anche se il modo in cui viene sviluppata finisce per
disperderla spesso su falsi bersagli.

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