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ALDO MORO E UNA CERTA LETTERATURA

A trentacinque anni dal 16 marzo del 1978, una rilettura delliconografia


dellAffaire Moro da Leonardo Sciascia a Giorgio Vasta.
Moro e la sua vicenda sembrano generati da una certa letteratura.
incredibile a qual punto sia giunta la confusione delle lingue.
Aldo Moro lettera a Eleonora Moro, 8 aprile 1978.
La rappresentazione della storia da parte del cinema spesso fondata su un
immaginario autoreferenziale, i film si citano a vicenda, o rimandano a fonti
audiovisive di tipo documentario, a fotografie, a dipinti, elementi visibili.
Questo succede per ogni periodo storico ma nessun decennio come gli anni
Settanta risente di uniconografia standardizzata che spesso diventa stereotipo,
luogo comune, banalit.
C un evento per, negli anni Settanta, il cui percorso iconografico stato
completamente diverso. Questo evento il caso Moro. E il racconto
cinematografico dei 55 giorni, pi che alle fonti visive, deve il suo canone
narrativo alla letteratura, una letteratura che fino alla pubblicazione del
romanzo di Giorgio Vasta, Il tempo materiale, non ha mai osato discostarsi dal
solco tracciato da due giganti tanti anni fa. Dal 1978, per essere precisi.
Le cose stanno cos: 16 marzo 1978. Aldo Moro, presidente del Consiglio
nazionale della Democrazia Cristiana, viene prelevato uccisi i cinque uomini
che lo scortavano da una banda che si presume delle Brigate rosse. Unora
dopo, le confederazioni sindacali proclamano lo sciopero generale. Prima di
sera, il governo presieduto dallonorevole Andreotti, su cui fino al giorno prima
si manifestavano perplessit e riserve da parte delle sinistre e di alcuni gruppi
della Democrazia Cristiana, viene approvato, da una maggioranza che
comprende anche i comunisti, alla Camera dei deputati e al Senato. In via
Licinio Calvo, a un centinaio di metri da via Fani dove il prelevamento
avvenuto, la polizia trova un delle automobili di cui si sono serviti i terroristi.
Le parole allorigine di tutto: Uno dei racconti pi straordinari che Borges
abbia scritto quello che, nelle Ficciones, sintitola Pierre Menard, autore del
Chisciotte. Come tutte le cose che sembrano assolutamente fantastiche, di
pura astrazione e misteriose, questo racconto parte da un dato reale, da un
fatto, da un preciso avvenimento che quello che si usa denominare il mondo
occidentale ha, se non conosciuto, respirato. Questavvenimento la
pubblicazione, nel 1905, della Vida de Don Quijote y Sancho di Miguel de
Unamuno Da quel momento non stato pi possibile leggere il Don
Chisciotte come Cervantes laveva scritto: linterpretazione unamuniana che
sembrava trasparente come un cristallo rispetto allopera di Cervantes, era in
effetti uno specchio: di Unamuno, del tempo di Unamuno, del sentimento di
Unamuno.
Cos inizia Laffaire Moro, di Leonardo Sciascia. Sono passati pochi mesi dal 17
marzo del 1978 e il ragionamento dello scrittore di Racalmuto trasparente
come un cristallo se messo in relazione alloscuro dispiegarsi degli eventi che
ha portato Aldo Moro alla morte. Sciascia disegna, da quel momento, un
canone, e ogni lettura dellevento e il Moro che per anni abbiamo visto
raccontare il Moro di Sciascia, del tempo di Sciascia, del sentimento di
Sciascia.

Ma neppure quella di Sciascia uninterpretazione originale. La sua lettura di


Moro si rif, in modo esplicito, a quella di Pier Paolo Pasolini che, il 1 febbario
1975, aveva scritto su il Corriere della Sera: Il regime democristiano ha avuto
due fasi assolutamente distinte, che non solo non si possono confrontare tra
loro, implicandone una certa continuit, ma sono diventate addirittura
storicamente incommensurabili. La prima fase di tale regime (come
giustamente hanno sempre insistito a chiamarlo i radicali) quella che va dalla
fine della guerra alla scomparsa delle lucciole, la seconda fase quella che va
dalla scomparsa delle lucciole a oggi. () Nella fase di transizione ossia
durante la scomparsa delle lucciole gli uomini di potere democristiani hanno
quasi bruscamente cambiato il loro modo di esprimersi, adottando un
linguaggio completamente nuovo (del resto incomprensibile come il latino):
specialmente Aldo Moro: cio (per una enigmatica correlazione) colui che
appare come il meno implicato di tutti nelle cose orribili che sono state
organizzate dal 69 a oggi, nel tentativo, finora formalmente riuscito, di
conservare comunque il potere.
Pasolini che crea licona, inventa il personaggio che poi le Brigate Rosse
rendono protagonista della loro mise en scene e che Sciascia racconta. Il Moro
che rapiscono le BR, infatti, non uno dei tanti politici della Democrazia
Cristiana, ma proprio quello descritto su Il Corriere della Sera: il meno
implicato di tutti nelle cose orribili che, da Piazza Fontana portano a Piazza
della Loggia, hanno segnato i primi anni Settanta; il pi responsabile di tutti
perch, malgrado lorrore, rimasto l dove a conservare il potere inteso non
come pratica ma come sistema (SIM). Moro, fin dallarticolo di Pasolini
unidea, e avendo orecchiato Hegel i brigatisti sanno che lunico modo per
superare lidea renderla concreta, mangiarla, come aveva cantato Giorgio
Gaber nel 1973. Se potessi mangiare unidea avrei fatto la mia rivoluzione.
Moro idea, Moro icona, Moro astratta ma concretissima incarnazione del SIM, lo
Stato Imperialista delle Multinazionali.
Moro, scrivono Pasolini e Sciascia, agisce attraverso la lingua: i suoi discorsi
involuti, il suo latinorum, sono lo strumento principale per conservare lo status
quo. Moro il simbolo di un potere incomprensibile e in quanto tale le Brigate
Rosse, ossessionate dalla retorica del complotto e dei linguaggi da decifrare, lo
rapiscono, in omaggio, appunto a unidea pi che a un dato di fatto.
Sciascia il primo a svelare il corto circuito ermeneutico che ha trasformato un
uomo in un simbolo, in una vittima sacrificale, e cos facendo ci invita a
mettere in discussione la lettura di Pasolini senza mai dirlo esplicitamente. Dir
Sciascia altrove Sono sempre daccordo con Pasolini anche quando sbaglia.
Ecco Laffaire Moro, pur partendo dalla riflessione di Pasolini, portandone
allestremo il ragionamento, quello sulla simbologia del potere incarnata da
Moro e la sua lingua, ne svela il meccanismo retorico e invita a guardare
alluomo, in carne e ossa, cos fragile, vulnerabile, minuto, da finire
acciambellato in un portabagagli, come ha scritto
Mario Luzi:
Acciambellato in quella sconcia stiva,
crivellato da quei colpi,
lui, il capo di cinque governi,
punto fisso o stratega di almeno dieci altri,
la mente fina, il maestro
sottile

di metodica pazienza, esempio


vero di essa
anche spiritualmente: lui
Dopo LAffaire Moro, quindi a partire dal 1978, ogni racconto per immagini della
figura del politico democristiano ha oscillato fra Pasolini e Sciascia. Lo ha fatto
Il caso Moro del 1986 nel quale il problema della lingua stato messo a nudo in
frammenti come quello dellinterrogatorio. Lo ha fatto Romanzo di una strage di
Marco Tullio Giordana, il pi didascalico, fra tutti i film, che con linterpretazione
di Gifuni ha reso omaggio, senza alcuna originalit, al Moro icona, prima che
uomo. Lo ha fatto, anche Buongiorno notte, di Marco Bellocchio, lunico che ha
cercato di andare loltre levento, proiettando sullaffaire lo sguardo di una
generazione, la sua, che dalluccisione di Moro si sentita, per prima, e in
prima persona plurale, tradita.
Se il cinema stato debitore in modo cos esplicito della lettura di Sciascia
tanto pi lo stata la letteratura, il cui immaginario, come ha scritto Raffaele
Donnarumma ha patito in modo particolare la storia, questa storia. Rari,
per, i casi nei quali, riuscendo ad alzare lo sguardo, il narratore ha riletto
secondo il suo tempo il caso Moro: Bellocchio, appunto, e poi Giorgio Vasta che
con Il tempo materiale ha dato un nuovo senso pubblico alla storia di Aldo
Moro.
Quello che uno storico dovrebbe aspettarsi dalluso pubblico della sua
disciplina non tanto la riproposizione dei fatti, dei punti di vista, della
tradizione, storiografica o letteraria che sia, ma una chiave di lettura che
traduca un evento del passato in qualcosa che risuoni nelle coscienze dei
contemporanei.
A prescindere dallesattezza, dalla filologia, dalla logica interna dei fatti, che
non competete alla finzione. Come ha fatto in modo esemplare Jonathan Safran
Foer con Ogni cosa illuminata rispetto al racconto della Shoah che ha
completamente reinventato.
Vasta, a distanza di 30 anni, ha messo in luce il sintomo, la lingua, per parlare
della patologia, la storia. Scrive Vasta:In questo momento lItalia percorsa
dal contagio. Vuole essere percorsa dal contagio. Prova piacere ma non pu
ammetterlo. Perch non si pu provare piacere davanti alla violenza e alla crisi.
Non decente. () LItalia finge di desiderare il calore mentre non pu
rinunciare al tiepido. dal 16 marzo che pretende di vivere con quaranta di
febbre, solo che con quaranta di febbre non si vive. Lincandescenza un
gioco. Leccitazione civile, lo scuotimento etico, sono funzioni. Lindignazione si
subito istituzionalizzata; si istituzionalizzata la paura.
Lha fatto attraverso le vite di tre ragazzini, lha fatto in una Palermo onirica ma
allo stesso tempo realissima, dove i nomi delle vie, viale delle Magnolie, via
Sciuti, villa Sperlinga, la connotazione borghese degli ambienti sono elementi
vividi come se illuminati da una lampada al neon, o dal riflettore di una ripresa
cinematografica.
Lha fatto ribadendo, a suo modo, la questione del linguaggio, la stessa
indicata da Pasolini, ripresa da Sciascia, che Vasta rielabora e non declina ai
tempi di oggi.
Mi torna in mente la maestra che quasi un anno fa, durante gli esami, ironica
e realistica mi avevo detto che sono mitopoietico, quanto ero stato contento di
scoprire che cosa voleva dire, quale piacere pu dare muoversi dentro le
parole, passare il tempo nel linguaggio. Andarsene via costruendo frasi,
isolarsi. Perch la conseguenza del nostro modo di espirmerci- il tono

sommesso, il volume basso, ogni parola piatta, ritagliata, calma eppure


sediziosa che i nostri compagni di classe non ci riconoscono.
Marco Belpoliti ha scritto, in relazione alluso della Polaroid nel rapimento Moro
I terroristi italiani vogliono riprodurre, con un metodo del tutto simile a quello
agito su di loro da poliziotti e magistrati, la realt stessa. Si tratta di una forma
di realismo traumatico, in cui la messa in scena del sequestro, il rito della foto
segnaletica, pi ancora del comunicato o della propaganda scritta, diventa un
elemento iperrealistico. Vogliono sottomettere il reale.
Vasta non scatta una polaroid sul 1978. Non vuole sottomere il reale, ma
rivelarne lassoluta attualit, rendendo utile il racconto, militante, quanto lo
ogni racconto della storia nel quale il punto di vista dichiarato, e non
nascosto. Scrive Walter Siti: C evidentemente unesigenza metastorica in chi
si dedica al folle compito di dare senso al mondo con le parole: lesigenza
quella di giocare col fuoco, o se si vuole a nascondino con la realt
stuzzicandola per trarne scintille che la realt non sa nemmeno di avere,
copiandola per negarla, cercando di sfuggire alla sua insensatezza ma nella
convinzione che non ci sia senso senza mondo, come la colomba si illude se
pensa di volare pi veloce senza la resistenza dellaria.
Vasta ha giocato col fuoco indicando una chiave di racconto possibile,
riportando al cuore della narrativa la storia, non come sequenza di fatti e di
date, ma materia (possibile) di cui son fatti i racconti. Riportandoci un luogo
della memoria della storia del 900. Raccontando lAldo Moro di Vasta, del
tempo di Vasta, del sentimento di Vasta.

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