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Il caso Galileo: la svolta del pensiero

A cura di: Foschi Elisa, Furno Francesco, Guidazzi Giulia, Piotrowska Ilona

La vita di Galileo Galilei

Galileo Galilei, (Pisa 1564 - Arcetri, Firenze 1642), fisico, astronomo e filosofo italiano, insieme
all'astronomo tedesco Keplero, è considerato uno dei fondatori della rivoluzione scientifica del
XVII secolo, culminata nell'opera di Isaac Newton. Il disaccordo con l'autorità ecclesiastica, in
seguito alla sua adesione alle tesi copernicane, l'obbligo di abiurare e la condanna che ne seguì
hanno fatto di Galileo il simbolo della difesa del diritto della scienza a "ricercare" la verità,
rifiutando qualsiasi limitazione da parte delle autorità.
Figlio del musicista Vincenzo, Galileo ricevette la prima formazione culturale presso i monaci di
Vallombrosa; nel 1580 si iscrisse alla facoltà di medicina dell'Università di Pisa, ma il maturare di
nuovi interessi per la filosofia e la matematica lo spinse ad abbandonare gli studi intrapresi e a
dedicarsi a queste discipline. Nel periodo successivo lavorò ad alcuni scritti sull'idrostatica e sui
moti naturali, che non furono pubblicati. Nel 1589 divenne professore di matematica a Pisa, dove
iniziò la critica del pensiero aristotelico: si dice che per dimostrare ai suoi allievi l'errore del
filosofo greco, secondo il quale la velocità di caduta di un corpo era proporzionale al suo peso, egli
abbia lasciato cadere contemporaneamente due oggetti di peso diverso dalla Torre pendente. Nel
1592 ottenne la cattedra di matematica all'Università di Padova, dove rimase per diciotto anni.
Nell'ambiente stimolante della città, Galileo inventò un "compasso" geometrico-militare per
calcolare la soluzione di problemi balistici e realizzò numerosi esperimenti che lo condussero alla
scoperta delle leggi che regolano la caduta libera dei gravi; studiò il moto dei pendoli e alcuni
problemi di meccanica. Per quanto riguarda l'astronomia, egli dichiarò la sua adesione alla teoria
copernicana sin dal 1597 e, in contrapposizione alla concezione geostatica del cosmo elaborata da
Tolomeo, addusse una teoria delle maree che assumeva il movimento della Terra. L'invenzione del
cannocchiale, nel 1609, rappresentò una svolta nella sua attività scientifica: perfezionò lo strumento
e lo utilizzò per precise osservazioni astronomiche. Pubblicò le sue scoperte nel marzo 1610 con il
Sidereus Nuncius. La fama che ne trasse gli procurò il posto di matematico e filosofo di corte a
Firenze, dove, libero dagli impegni dell'insegnamento, si dedicò alla ricerca e alla stesura delle sue
opere. L'osservazione delle fasi di Venere (1610) rappresentò una convincente conferma dell'ipotesi
copernicana. La sua critica alla teoria di Aristotele sulla perfezione dei cieli innescò un'accesa
polemica con l'ambiente filosofico; il contrasto con i teologi si inasprì ulteriormente con la
pubblicazione, nel 1612, di un'opera sulle macchie solari in cui Galileo faceva aperta professione
delle teorie copernicane, considerate eretiche perché in contraddizione con il contenuto della
Bibbia. Nel 1614 un sacerdote fiorentino denunciò i seguaci di Galileo dal pulpito. Galileo rispose
con una lunga lettera, nella quale affermava che il conflitto tra il pensiero scientifico e
l'interpretazione dei testi sacri non era sintomo di una duplice verità: occorreva invece distinguere
fra il significato anzitutto morale e salvifico delle Sacre Scritture, le quali ricorrevano anche a un
linguaggio immaginoso per farsi comprendere dal popolo, e la ricerca scientifica, che deve basarsi
esclusivamente sulle "sensate esperienze" – le osservazioni dei sensi – e le "certe dimostrazioni", le
dimostrazioni di tipo matematico. All'inizio del 1616, i libri di Copernico furono sottoposti a
censura per editto e il cardinale gesuita Roberto Bellarmino intimò a Galileo di ripudiare la teoria
sul moto della Terra. Galileo restò in silenzio per anni, lavorando a un metodo per determinare le
longitudini sul mare in base alla posizione – da lui prevista – dei satelliti di Giove e riprendendo gli
studi precedenti sulla caduta dei corpi. Espose le sue idee sul metodo scientifico nel Saggiatore
(1623), nel quale l'idea centrale è che la complessità del mondo possa essere ricondotta agli
elementi semplici della matematica, centro della strategia conoscitiva di Galileo. In seguito
pubblicò anche un'opera sul fenomeno delle comete, che fu benevolmente accolta dal nuovo
pontefice Urbano VIII. Nel 1624, incoraggiato dal credito ottenuto, mise mano a un'opera che
voleva chiamare Dialogo sulle maree, nella quale riprendeva ed esaminava le teorie tolemaica e
copernicana in relazione alla fisica delle maree. Nel 1630 il libro ricevette il visto per la stampa dai
censori della Chiesa di Roma e fu pubblicato due anni dopo a Firenze con il titolo Dialogo sopra i
due massimi sistemi del mondo, dove ribadì i suoi concetti riguardanti il cosmo e la matematica per
i quali egli venne convocato a Roma dall'Inquisizione, che lo processò per "grave sospetto di
eresia".
Venne condannato al carcere a vita (pena che fu rapidamente commutata negli arresti domiciliari
permanenti ad Arcetri). Fu ordinato, inoltre, che il Dialogo venisse bruciato e che la sentenza contro
lo scienziato fosse letta pubblicamente in tutte le università. L'ultimo libro di Galileo, Discorsi e
dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica, pubblicato nel
1638 a Leida, in Olanda, riesamina e perfeziona gli studi precedenti sul movimento e, in generale, i
principi della meccanica. Quest'opera aprì la strada che avrebbe portato Newton a formulare la
legge della gravitazione universale, collegando le leggi di Keplero sui pianeti alla fisica-matematica
di Galileo.
Intorno al 1870, con la pubblicazione completa dei documenti del processo a Galileo, l'intera
responsabilità della condanna dello scienziato fu attribuita alla Chiesa, trascurando il ruolo svolto
dai professori di filosofia del tempo che, per primi, persuasero i teologi del contenuto eretico della
scienza di Galileo.

Verso il cuore della questione

“Io Galileo [...] giuro che ho sempre creduto, credo adesso, e con l'aiuto di Dio crederò per
l'avvenire, tutto quello che tiene, predica et insegna la Santa Cattolica et Apostolica Chiesa. Ma
perchè da questo Santo Offitio, per aver io, dopo essermi stato con precetto dell'istesso
giuridicamente intimato che omninamente dovessi lasciar la falsa opinione che il Sole sia centro del
mondo e che non si muova e che la Terra non sia centro del mondo e che si muova, e che non
dovessi tenere, difendere nè insegnare in qualsivoglia modo, nè in voce nè in scritto, la detta falsa
dottrina e dopo essermi notificato che detta dottrina è contraria alla Santa Scrittura, scritto e dato
alle stampe un libro nel quale tratto l'istessa dottrina già dannata et apporto ragioni con molta
efficacia a favore di essa, senza apportar alcuna solutione, sono stato giudicato vehementemente
sospetto d'heresia, cioè d'haver tenuto e creduto che il Sole sia centro del mondo e immobile, e che
la Terra non sia centro e si muova; pertanto, volendo io levar dalla mente delle Eminenze Vostre e
d'ogni fedel christiano questa vehemente sospitione, giustamente di me concepita, con cuor sincero
e fede non finta abiuro, maledico e detesto li suddetti errori et heresie, et generalmente ogni
qualunque altro errore, heresia e setta contraria alla Santa Chiesa; e giuro che per l'avvenire non
dirò mai più nè asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa haver di me simile
sospitione; ma se conoscerò alcun heretico o che sia sospetto d'heresia, lo denontiarò a questo Santo
Offitio, o vero all'Inquisitore o Ordinario del luogo dove mi trovarò.”
Galileo Galilei, 22 giugno 1633

Abbiamo qui sopra riportato il testo dell'abiura che Galileo Galilei (1564-1642) pronunciò davanti
al Tribunale della Santa Inquisizione. Tale testo aveva la funzione di confutare e ripudiare le
scoperte sviluppate dallo stesso scienziato pisano, prima tra le quali la conferma della veridicità
della teoria copernicana.
Pochi secoli dopo si riconobbe che, sia Galileo, sia Copernico, sia Bruno, sia Kepler avevano
ragione; nel 1979 il pontefice Giovanni Paolo II, nella Costituzione conciliare Gaudium et Spes
affermò: “Ci sia concesso di deplorare certi atteggiamenti mentali, che talvolta non mancarono
nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia
della scienza, e che, suscitando contese e controversie, trascinarono molti spiriti a tal punto da
ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro.”
Sembra ora lecito chiedersi: come fu possibile, da parte della Chiesa, arrivare a negare scoperte che
apparivano inevitabilmente come evidenze? Su che cosa si fondò il conflitto tra Scienza e Chiesa,
che nacque proprio in quel periodo, e che si trascina fino ai giorni nostri? Con quale coraggio e con
quali motivazioni Giordano Bruno fu bruciato, da vivo, in campo dei Fiori a Roma e Galileo fu
costretto ad abiurare evitando così una sorte simile? Come cambiò il pensiero dopo l’età del
processo a Galileo?
La risposta è che il caso Galileo, e gli altri casi “di contorno storico”, segnarono una delle svolte del
pensiero più importanti nella storia dell'umanità, una svolta per niente scontata e che si porta dietro
millenni di esistenzialità della nostra specie.

Etica: potenza, verità, alleanza.

Albert Einstein, nel suo libro “Come io vedo il mondo”, divide le religioni di tutti i tempi in tre
tipologie. La prima di queste identifica nelle popolazioni primitive e preistoriche una religione del
terrore; egli intende, cioè, che l'uomo primitivo, impaurito e incosciente delle cause della sua
condizione, creda che esse dipendano dal libero arbitrio di un essere, simile a lui, sotto la cui
volontà è governata ogni cosa. Facciamo un esempio: come riporta Freud (L'Interpretazione dei
Sogni, 1899), nelle popolazioni preistoriche i sogni erano legati ad un forte misticismo, cioè si
credeva che essi fossero impressi negli uomini dall'esterno e che fossero rivelazioni da parte di Dei
e Demoni - fino ad Aristotele non si intuì la natura mentale del sogno - . Inoltre, i sogni, considerati
quindi come oggetto di volontà divina, erano usati come guide nelle azioni delle tribù ed erano
collegati ai riti propiziatori, come offerte e sacrifici, spesso umani, per gli Dei. Tali rituali avevano
la funzione di assicurare all'individuo il compiacimento delle divinità, e quindi la loro alleanza.
Soffermiamoci ora su quella che Einstein considera la religione del terrore e sul significato del
termine etica.
Sebbene possa apparire strano, l'etica esisteva molto prima dell'avvento del pensiero greco e aveva,
per l'uomo pre-filosofico, il seguente significato: essere al sicuro. In che modo e in che senso?
L'uomo ottiene sicurezza alleandosi con la potenza, infinitamente superiore a lui, con la
convinzione che essa salvaguardi la sua esistenza. Nell'esempio sopra riportato, è relativamente
semplice far coincidere la potenza con gli Dei e coi Demoni, l'alleanza con la devozione nei
confronti della potenza, la quale si manifesta con i riti propiziatori, e la causa della necessità di
questa alleanza con la presenza di un fenomeno del quale non si conosce la natura.
Questa visione minimale dell'etica sembra essere una caratteristica propria del genere umano, che fu
intuita anche dallo stesso Einstein che disse: ”Tutto ciò che è fatto e immaginato dagli uomini serve
a soddisfare i loro bisogni e a placare i loro dolori.”
Infatti, successivamente, con l'avvento del pensiero filosofico greco avvenne una trasformazione
importantissima: il concetto di etica si radicalizzò e acquistò un significato inaudito. I Greci
introdussero nel paradigma precedente (potenza, alleanza, etica) il concetto di verità, nel quale si
identifica la potenza e senza il quale non ci può essere alleanza. Infatti, la potenza è autentica, e
quindi realmente potente, solo quando essa possiede la verità. Se ci si allea con una potenza
apparente e priva quindi di verità, l'alleanza è insicura e l'individuo perde la protezione conferita
dalla potenza. Ecco che ethos per i Greci diventa l'alleanza esclusivamente con la vera potenza.
Tuttavia, non tutti i Greci riuscirono a elaborare filosofie dove il concetto di ethos avesse questa
fermezza. Ci basti però ricordare, per comprendere meglio quanto detto, che Socrate diceva: “Se
uno conosce, si comporta bene”.
Riprendendo uno spunto di Platone, Aristotele dice che gli uomini sono spinti a filosofare dalla
“meraviglia” che essi provano quando, di fronte agli accadimenti del mondo, ne ignorano le cause.
Cercano quindi la filosofia per se stessa, perché vogliono conoscere e non perché intendano servirsi
della filosofia in vista di qualche vantaggio.
Tuttavia la parola greca “tháuma”, che traduciamo con “meraviglia”, ha un significato molto più
intenso: indica anche lo stupore attonito di fronte a ciò che è strano, imprevedibile, orrendo,
mostruoso. Se infatti non si conoscono le cause di ciò che accade ― se ciò che accade non rientra
nella spiegazione del mondo della quale l’uomo di volta in volta si trova in possesso ― , allora
l’accadimento delle cose é l’inquietante e diventa la fonte di ogni terrore e di ogni angoscia. E
anche di ogni dolore, perché la sofferenza è insopportabile quando non è spiegabile e si avventa
sull’uomo imprevedibilmente e senza ragione.
Affermando che la filosofia nasce dalla meraviglia, Aristotele intende dire (anche se evita di
sottolinearlo) che la filosofia nasce dal terrore provocato dall’imprevedibilità del divenire della vita.
Conoscendo le cause del divenire, la filosofia rende prevedibile l’imprevedibile, lo inserisce nella
spiegazione stabile del senso del mondo, e quindi appronta il rimedio contro il terrore della vita.
Proprio nel passo dove stabilisce il nesso tra filosofia e “meraviglia”, Aristotele osserva che anche il
“philòmythos” (alla lettera: “colui che ama il mito”, ossia che costruisce i miti e crede e vive in
essi) è in qualche modo filosofo, perché anche la costruzione dei miti scaturisce dalla “meraviglia”.
Anche il mito, infatti, raccoglie gli eventi del mondo all’interno di una spiegazione unitaria:
predispone un’interpretazione stabile dell’universo e attende, preparato da essa, l’irrompere degli
eventi, i quali dunque perdono la loro imprevedibilità terrorizzante e si adeguano all’ordine cosmico
enunciato dal mito. Anche la conoscenza mitica delle cause e degli eventi è un rimedio contro il
terrore dell’imprevedibile.
Tuttavia, facendo riferimento al concetto di ethos spiegato prima, appare chiaro che questo secondo
tipo di alleanza, quella del “philòmiythos”, risulta essere una falsa alleanza, in quanto la potenza,
priva della verità, è apparente: infatti è un rimedio insicuro, perché il senso mitico del mondo non è
verità, non è un sapere incontrovertibile e assolutamente stabile che la filosofia, in quanto episteme,
si propone di essere.
Quindi, se da un lato il pensiero greco aveva quasi totalmente superato la precedente religione del
terrore, dall'altro non aveva ancora concepito quella seconda tipologia di religione che Einstein
chiama morale e sociale. Essa, che trovò (e trova ancora) la sua massima espressione nella religione
cristiana, identifica un dio-provvidenza, antropomorfo, che protegge, fa agire, ricompensa e
punisce. La divinità ama, incoraggia, protegge e tutela. Un Dio che ha quindi un fondamento morale
e sociale, che ricorda quello delle figure materna e paterna, ma che non presenta quell'imperfezione
tipica dell'uomo.
Questa religione sociale e morale ha dominato assolutisticamente il percorso umano per più di
quindici secoli ed è essenziale delinearne i tratti principali e cercare di confrontarla con l'ethos dei
Greci, per poter comprendere al meglio la rivoluzione del pensiero che Galileo e gli altri pensatori
hanno portato avanti.

La Storia del Pensiero della Chiesa, tra fede, ragione e verità.

Le “Lettere” di Paolo di Tarso annunciano i dogmi fondamentali della nuova religione che
avrebbero dovuto essere necessari nei secoli a venire come costanti punti di riferimento per ogni
cristiano, e così è stato. Essi sono:
- la conoscibilità naturale di Dio: egli è, infatti, conoscibile attraverso le sue opere, nelle quali si è
rivelato e dalle quali appaiono, in modo evidente, la sua potenza e la sua gloria;
- la dottrina del peccato originale e l’affermazione della possibilità per l’uomo di riscattarsi da tale
condizione mediante la fede in Cristo;
- il concetto di grazia come azione salvifica di Dio attraverso Cristo;
- il nuovo precetto di vivere la vita secondo lo spirito, non secondo la carne;
- l’identificazione del regno di Dio con la vita e con lo spirito della comunità dei fedeli, cioè la
Chiesa. Secondo lo stesso Paolo, infatti, la Chiesa è il corpo di cristo, e i cristiani ne sono le
membra.

Come la storiografia da sempre ci riporta, ogni grande cambiamento è collegato direttamente e


indirettamente ad avvenimenti precedenti che ne forniscono le solide fondamenta per il futuro.
In questo senso possiamo dire che la religione cristiana, prima, e la filosofia cristiana, poi, abbiano
risentito di un'enorme influenza del pensiero greco.
Per prima cosa affermiamo che sia il pensiero classico, sia quello della giovane Chiesa,
concordassero nell'attribuire alla realtà una certa razionalità. Infatti, se per i Greci era possibile
comprendere la natura delle cose con il pensiero - il famoso collegamento tra pensiero ed essere con
l'uso puro della ragione - per i cristiani la potenza creatrice divina aveva rifornito il mondo della
stessa razionalità di cui Dio stesso era il perfetto portatore. Inoltre, i Greci avevano già ripudiato la
mitologia e il politeismo come motori della natura, e avevano già concepito una visione monoteista,
sebbene non avesse ancora i tratti religiosi tipici della tradizione giudaico-cristiana.
Quindi, in una prima fase dell'esistenza cristiana, la teologia, cioè lo studio dell'argomento divino, si
trovava in una pacata armonia con le conoscenze epistemologiche del tempo, le quali erano per lo
più state ereditate dai pensatori balcanici. Per esempio, basti pensare che nel Nuovo Testamento i
riferimenti alla natura fisica del mondo sono pochissimi e ciò è dovuto proprio al fatto che la
visione della natura proposta dai Greci era largamente accettata e che, quindi, non necessitava di
una nuova impostazione.
Nella sua concezione iniziale, la verità “sensibile” (quella cioè che l'uomo ha possibilità di
conoscere con i sensi e con la ragione) delle cose era perfettamente congruente con la verità che
offriva la fede e non era presente nessun motivo di contrasto a livello di conoscenza.
Tuttavia, i primi sintomi di rottura tra l'episteme “sensibile”, chiamiamolo così, e la verità derivante
dalla fede trovarono il loro terreno fertile quando la Chiesa riconobbe nelle Sacre Scritture la fonte
epistemologica principale, ammettendo così solo una conoscenza, basata sì sulla fede, ma che,
proprio per il fatto di essere già stata esplicata e dichiarata completamente nelle righe delle
Scritture, non lasciava spazio a nessun dialogo costruttivo futuro con un episteme sensibile
eterogeneo da quello cristiano. Questa decisione teologica ha prodotto nel corso dei secoli un eco
che ancora oggi ci raggiunge direttamente.
Ovviamente, bisognerà aspettare molti secoli prima che compaia una verità in aperto contrasto con
quanto affermano le Sacre Scritture. Nel frattempo i teologi, nel corso dei secoli, dalla patristica alla
scolastica, tentarono di risolvere il problema tra fede e ragione.
Inizialmente, e appare difficile da credere pensando al caso di Galileo, Aristotele era considerato un
pericolo e un portatore di disordine e di fumo satanico. Ebbe molta più fortuna, se così si può dire,
Platone grazie a Sant'Agostino nel IV secolo d.C..
Platone presupponeva l'esistenza di un mondo metafisico verso il quale ogni cosa tende e l'esistenza
di un Dio: ecco quindi che la materia è un peso, una zavorra negativa dalla quale l'uomo deve
cercare di liberarsi per lasciar tornare la propria anima al mondo puro delle idee. La teoria platonica
della reminiscenza, secondo la quale la mente umana ricorda il tempo in cui l'anima viveva nel
mondo delle idee ed era disgiunta dalla sua prigione del corpo, con i dovuti aggiustamenti, è
l'incipit principale in seguito al quale Agostino Aurelio imposta la base per una prima solida
filosofia cristiana. Il collegamento che Agostino stabili con la filosofia greca deve ricordarci che,
sin dagli albori, la fede ha sempre cercato conferme nella ragione.
Agostino nutrì un forte odio nei confronti della materia: “Perchè il corpo preda della corruzione
appesantisce l'anima, e il vivere terra terra deprime lo spirito che va disperdendosi in mille pensieri”
(Le Confessioni, Capitolo XVII libro VII), e non le lasciò sempre poco spazio nel suo pensiero. Di
conseguenza, in questo primo periodo, la ragione come organo per la conoscenza del mondo non
aveva nessuna importanza, mentre la fede era garante di ogni cosa.
Tuttavia, con il passare dei secoli e con l'avvento di altre intuizioni tecnologiche, iniziava ad
apparire chiaro ormai che, se da un lato la spiritualità fosse fondamentale per ogni cristiano, il
mondo materiale richiedesse anch'esso una certa considerazione nel corso della vita umana.
Si avvertì quindi che l'impostazione troppo negativa della natura e il richiamo alle Sacre Scritture
come unica fonte di episteme, portati avanti da Agostino fossero insufficienti.
Aristotele si presentava invece come un filosofo che, considerando ugualmente la metafisica, non
disprezzava la fisica e che, al contrario, ne aveva elaborato teorie complesse e articolate sul
funzionamento. Inoltre, anche Aristotele concepisce un Dio, diverso certamente da quello cristiano,
che presenta come la spiegazione necessaria a tutto ciò che avviene nel tempo. Un Dio definito
come l'Atto puro, il Motore immobile, la Causa finale di tutto.
Il pensiero aristotelico con gli opportuni aggiustamenti, per merito del rivoluzionario lavoro di San
Tommaso che segnò l'inizio della scolastica, diventa la sfaccettatura razionale del pensiero cristiano
la quale, soprattuto, non è in contrasto con esso.
Bisogna premettere e ricordare che il mondo della Chiesa si dimostrò sofferente a questo
mutamento e che fece molta fatica ad interiorizzarlo; furono soltanto la tenacia e il genio di San
Tommaso, così chiaro e coerente, che permisero questa unione tra la fede e la ragione, che fino ad
allora rappresentavano due campi sostanzialmente differenti. Siamo nel XIII secolo d.C..
I primi proclamatori di questa armonica unione sostenevano che attraverso la ragione si potesse
giungere ad una verità congruente con quella rivelata dal messaggio divino. Questa separazione tra
fede e ragione preoccupava però le autorità ecclesiastiche, in quanto percepivano come minacciata
la funzione della fede; Tommaso, difendendo questa armonia tra fede e ragione, trasformò le
preoccupazioni cristiane in una possibilità per esaltare ulteriormente il messaggio divino, le Sacre
Scritture e la Chiesa.
Egli accettò e valorizzò la ragione, sottomettendola però all'autorevolezza della fede: nacquero così
due modi di conoscere. Uno che viene dall'alto ed è la Rivelazione propria delle Sacre Scritture,
mentre l'altro, proveniente dal basso, è costituito dalla nostra ragione, di cui Aristotele aveva
mostrato il potere espositivo e persuasivo nei secoli precedenti. Infatti Aristotele, con l'utilizzo della
ragione aveva dato più dimostrazioni dell'esistenza di Dio – che Tommaso raccoglierà e inserirà
nelle sue cinque tesi - e, poichè egli non aveva potuto conoscere la verità rivelata, occorreva che il
suo pensiero fosse “cristianizzato” e fosse integrato con quel concetto principale, sconosciuto alla
filosofia greca, che si possa conoscere attraverso la fede. Ovviamente, in questa impostazione, la
ragione non può mai contraddire la fede e, se ciò accade, significa che la prima ha intrapreso un
percorso sbagliato.
Il legame di dipendenza tra fede e ragione porta schematicamente a suddividere una legge divina,
una legge naturale, e una legge umana. Per discesa l’una si deve riversare nell’altra, come abbiamo
visto, e ciò comporta che la legge umana, in fondo alla scala, può fondarsi o per Grazia direttamente
sulla Rivelazione o anche sul rispetto della legge naturale, la quale come appena detto, è conoscibile
con la ragione ed è specchio della legge di Dio. Ecco quindi che la legge umana non è sottomessa
solo ad una volontà superiore come era stato fino ad allora, ma essa è anche capace di essere
acquisita con la ragione.
San Tommaso canonizzato nel 1323, diventò la guida portante del Concilio di Trento e illumina i
documenti papali fino ai giorni nostri.
Galileo si trovò quindi di fronte ad un'autorità ecclesiastica che riconosceva una verità raggiungibile
attraverso le Sacre Scritture e attraverso l'impostazione conoscitiva aristotelica, e di fronte ad un
individuo cristiano che proclamava la seguente etica: “Non mi fido delle potenze di questo mondo
perchè sono apparenti e mi condurranno in perdizione; mi fido della vera potenza che è quella di
Dio” La verità divina è quindi un sapere che non può essere in alcun modo smentito e su questa
stabilità e sicurezza si costruisce l'etica del credente. Il senso centrale della verità è che,
conoscendola, si può affermare l'esistenza di qualche cosa che esiste necessariamente, esiste
immutabilmente. La crisi della verità è crisi dell'etica, della politica, e queste due non possono
esistere senza una crisi della filosofia.
Il mondo cristiano fonda la sua solidità sulla verità rivelata da Dio, ma cosa successe quando
quest'ultima entrò in diretto contrasto con un nuovo modo di concepire la conoscenza?

La nuova visione del mondo: la distruzione progressiva della vecchia epistemologia

La visione del mondo aveva già iniziato a cambiare due secoli prima di Galileo; la speculazione
filosofica, infatti, si interessò moltissimo dei rapporti, incontri o scontri che fossero, che esistevano,
appunto, tra fede e ragione. E, indubbiamente, personaggi come Ockham, Bacone, Bruno e
Copernico, influenzarono quella che fu la concezione di verità, che si rivelò in assoluto contrasto
con quella delle Sacre Scritture.
Guglielmo di Ockham (1280-1347), un francescano scomunicato, sosteneva che la ragione e il
cristianesimo giungessero a conclusioni, quindi verità, differenti.
Le idee di Trinità, Incarnazione, Eucarestia, Creazione, sono infatti assurde di fronte alla ragione,
ma verità di fronte alla fede. Non per caso si attribuisce l'inizio della fine del pensiero scolastico a
questa forte personalità.
Qualche anno prima dell’abiura di Galileo, Giordano Bruno (1548-1600) era stato messo al rogo.
Bruno che si professò credente in Dio fino all'ultimo istante della sua vita, aveva dedotto
razionalmente, senza nessuno strumento come poteva essere il cannocchiale di Galileo, e con
pochissimi dati a disposizione, che la Terra non fosse al centro del sistema solare, che nemmeno lo
stesso Sole fosse al centro dell’universo, che tutti i corpi celesti ruotassero sul proprio asse e che la
Terra è appiattita ai poli. Ipotesi per i contemporanei, verità per Bruno stesso, che tra i posteri
suscitarono grande clamore per la loro veridicità.
Francis Bacon (1561-1620), inglese, era convinto dell'importanza della tecnica raggiungibile con la
sperimentazione e logicamente si poneva in forte opposizione all'epistemologia cristiana. Infatti,
sebbene non fu egli stesso a sviluppare il metodo scientifico odierno, è considerato il padre
dell'empirismo inglese -ricordiamo che la corrente dell'empirismo segna una rivoluzione nella
conoscenza, fino ad allora profondamente razionalista- e il proprietario della massima “sapere è
potere”.
Cronologicamente prima di Bruno e Bacone, visse Niccolò Copernico (1473-1543), lasciato
appositamente per ultimo per i suoi legami diretti con Galileo, in quanto fu il primo a negare il
sistema tolemaico. Egli affermava, sul piano filosofico, il principio di semplicità della natura e della
relatività della conoscenza e di conseguenza non era più possibile affidarsi solo al senso comune per
comprendere il mondo. Copernico nel suo “De Revolutionibus Orbium Celestium” (pubblicato per
la prima volta nel 1543) confutava la struttura del sistema aristotelico-tolemaico, data la sua
complessità irragionevole e non solo inutile, ma che non permetteva neanche di comprendere
moltissimi fenomeni legati ai moti planetari. Egli proponeva quindi una struttura eliocentrica per il
cosmo.
Il sistema aristotelico-tolemaico, dunque, venne gravemente minacciato. Tuttavia è importante
cercare di capire il motivo fondamentale per cui Copernico non fu perseguitato o costretto ad
abiurare per la sua teoria. Copernico prospettava la sua teoria come un'ipotesi matematica,
un'argomentazione ex-suppositione, secondo la quale l'ordinamento eliocentrico era un comodo
artificio, un'invenzione, per permettere una migliore riuscita di calcoli matematici. Il fatto che
l'impostazione eliocentrica fosse più che una semplice supposizione all'interno del De
Revolutionibus lascia spazio a numerosi dubbi; tuttavia, in maniera diretta, Copernico non
conferisce alla sua teoria una realtà fisica.
Infatti, era usanza comune nel mondo della Chiesa non considerare le teorie ex-suppositione,
generalmente matematiche, come in questo caso, verità e quindi affermazioni consistenti. La
contraddizione da parte delle autorità ecclesiastiche sta proprio nel fatto di considerare tali teorie
come qualcosa di astratto, ignorando beatamente molti elementi a favore dell'effettività delle
suddette.
L'attacco di Copernico non fu sufficiente: per attaccare alla radice una cosmologia profondamente
percepita come “vera” dall’uomo cristiano, bisognava necessariamente dare la verifica empirica del
copernicanesimo.
A questo proposito si vuole ora ripercorrere il percorso delle scoperte di Galileo, e cosa
effettivamente esse avessero in contrasto con la concezione dell’universo in quell’epoca.
Lo scienziato pisano, grazie alle osservazioni telescopiche, notò le cosiddette macchie lunari,
ovvero delle macchie scure sulla Luna, e verificò che queste altro non erano che ombre proiettate
dalle montagne lunari sotto l’effetto della luce del sole. Aristotele, invece, affermava che la luna
faceva parte di quei corpi celesti perfetti, e doveva essere quindi liscia, levigata, cioè, anch’essa
perfetta. Il Filosofo credeva lo stesso per il Sole, ma, anche in questo caso, Galileo scoprì macchie
scure sulla superficie solare, che si formavano e scomparivano: era la dimostrazione di come quelli
che erano fino ad allora considerati corpi celesti perfetti fossero soggetti a fenomeni di mutamento e
alterazione e fossero, quindi, imperfetti.
Galileo fece anche altre importanti osservazioni: scoprì quattro satelliti di Giove (i “Pianeti
Medicei”) e notò le fasi di Venere: riguardo a queste ultime, affermò che non solo la Terra, come
sosteneva Aristotele, ma anche Venere fosse un corpo opaco, illuminato dal sole. Per la
dimostrazione effettiva del moto terrestre intorno al Sole bisogna però riferirsi a Kepler.
In ogni caso, si era giunti alla distruzione, appoggiata dai dati dell'esperienza, del sistema
aristotelico-tolemaico. Era la distruzione diretta dell'episteme cosmologico riconosciuto dalla
Chiesa, e, per forza di cose, l'attacco alla verità delle Sacre Scritture.

Giunti a questo passaggio cruciale bisogna ammettere che ci si trovò, quattrocento anni fa, di fronte
alla crisi dell'ethos, inteso nel senso greco, che aveva dominato la scena mondiale per 1600 anni:
una nuova verità si contrappose a quella che aveva fornito precedentemente la potenza con cui ci si
era alleati, e questa prima sembrava trovare una dimostrazione molto più convincente nella realtà
della seconda. Ricordiamo quindi che, in mancanza della verità, l'alleanza diventa insicura e che, se
l'alleanza diventa insicura, non si è più protetti.
Galileo, insieme agli altri protagonisti della Rivoluzione Scientifica, aveva demolito la precedente
verità ma, al contempo, una nuova alleanza, che successivamente sarà stretta con la tecnica -ma
questo è un altro discorso-, non aveva ancora fatto la sua comparsa.
Il mondo della Chiesa, che aveva appena subito un duro colpo dalla Riforma Protestante e che
cercava di ritrovare un nuovo assetto con la Controriforma e con l'istituzione dei nuovi ordini
ecclesiastici, si trovò spalle al muro, di fronte alla più grande crisi mai affrontata: la crisi
dell'alleanza con la potenza.
Se molti teologi e filosofi si rifiutarono di guardare attraverso il telescopio, giustificandosi con
l'affermazione della diabolicità dello stesso, è probabile che sia dovuto alla volontà di non
conoscere la nuova verità. Se quella nuova verità avesse fatto il suo ingresso nella società umana,
avrebbe probabilmente messo in discussione l'alleanza stessa e, così facendo, tutta la concezione
della vita umana avrebbe potuto cambiare. In effetti, il telescopio era davvero lo strumento del
diavolo, e il diavolo si sa, vuole da sempre minare la sicurezza dell'alleanza con Dio.
Ci sembra opportuno riportare, qui di seguito, una parte di un discorso del monacello, tratto dal
libro “Vita di Galileo”, di Bertolt Brecht, che, con grande abilità, è in grado di trasmettere lo
sconforto di fronte all'eventualità di una nuova verità rivoluzionaria:

“Sono cresciuto nell'Agro Romano, figlio di contadini. Gente semplice, che sa tutto della
coltivazione dell'olivo, ma del resto ben poco. Quando osservo le fasi di Venere, ho sempre i miei
genitori dinanzi agli occhi, li vedo seduti insieme a mia sorella, sulla pietra del focolare, mentre
consumano il loro piattuccio di formaggio. Sopra le loro teste vedo le travi del soffitto, annerite dal
fumo dei secoli, e vedo le loro mani spossate dal lavoro che reggono un misero cucchiaio. Non
vivono bene. Ma perfino nella loro disgrazia esiste una sorta di ordine riposto. Sono una serie di
scadenze cicliche: il pavimento della casa da lavare, le stagioni che variano nell'uliveto, le decime
da pagare. Le sventure piovono loro addosso con regolarità. La schiena di mio padre non s'è
incurvata tutta in una volta, ma un poco più ogni primavera, lavorando nell'uliveto: allo stesso modo
che i parti, succedendosi a intervalli sempre uguali, sempre più facevano di mia madre una creatura
senza sesso. Traggono la forza necessaria per risalire, grondanti di sudore, i sentieri petrosi con le
germe colme sul dorso, per far figli, per mangiare perfino, dal senso di continuità, di necessità, che
infonde in loro lo spettacolo degli alberi che rinverdiscono ogni anno, la vista del campicello e della
chiesetta, la spiegazione del Vangelo che ascoltano la domenica. Si son sentiti dire e ripetere che
l'occhio di Dio è su di loro, indagatore e quasi ansioso; che intorno a loro è stato costruito il grande
teatro del mondo perchè vi facciano buona prova recitando ciascuno la grande o piccola parte che
gli è assegnata. Come la prenderebbero ora, se andassi a dirgli che vivono su un frammento di
roccia che rotola ininterrottamente attraverso lo spazio vuoto e gira intorno a un astro, uno fra tanti,
e neppure molto importante? A che scopo potrebbe servire tutta la loro pazienza, la loro
sopportazione di tanta miseria? A che scopo potrebbe servire la Sacra Scrittura, che tutto spiega,
dimostrando la necessità del sudore, della pazienza, della fame, dell'oppressione, a che potrebbe
ancora servire se scoprissero che è piena di errori? No: vedo i loro sguardi velarsi di sgomento, e il
cucchiaio cadere sulla pietra del focolare; vedo come si sentono traditi, ingannati. Dunque, dicono,
non c'e' nessun occhio sopra di noi. Siamo noi che dobbiamo provvedere a noi stessi, ignoranti,
vecchi, logori come siamo? Non ci è stata assegnata altra parte che di vivere così, da miserabili
abitanti di un minuscolo astro, privo di ogni autonomia e niente affatto al centro di tutte le cose?
Dunque, la nostra miseria non ha alcun senso, la fame non è una prova di forza, è semplicemente
non aver mangiato; la fatica è piegar la schiena e trascinar pesi, non un merito.”

Galileo e la nascita della scienza moderna: la concretizzazione di una nuova epistemologia

La prima forma di scienza nacque nell'antica Grecia dove il sistema geometrico euclideo, i cui
enunciati si deducono così chiaramente gli uni dagli altri che ciascuna delle proposizioni dimostrate
non solleva il minimo dubbio, è il punto di partenza verso una conoscenza razionale della realtà.
Sebbene essa sia ancora infante poichè basata solo su una logica razionale a priori e slegata
dall'esperienza, essa rappresenta il primo tentativo dell'uomo, con esito positivo, di comprendere in
maniera efficiente e conforme alla struttura della mente umana la natura delle cose che lo circonda e
conferisce lui una forte fiducia nelle sue capacità conoscitive.
Il completamento di quell'embrione di scienza avviene con la comparsa di Galileo nella storia.
I grandi materialisti dell'antichità greca avevano ipotizzato che tutti i fatti legati alla materia
funzionassero per leggi che regolassero il comportamento degli atomi, i quali avevano una causalità
indipendente da qualsiasi volontà. Possiamo menzionare tra questi filosofi materialisti presocratici
numerosi pensatori divisibili in due categorie principali: monisti e pluralisti. Nella prima possiamo
trovare Talete, Anassimene, Senofane ed Eraclito; questi considerano la materia derivante da un
unico principio costituito da uno degli elementi (acqua, aria, terra, fuoco). Tra i pluralisti dobbiamo
assolutamente ricordare i Pitagorici e i loro numeri e Democrito con i suoi atomi, o indivisibili.
Tuttavia, questa concezione della natura come meccanicismo materialistico era prettamente una
costruzione filosofica che non aveva ancora trovato una dimostrazione nella realtà. Dovranno
passare moltissimi secoli prima che una tale dimostrazione possa avverarsi.
Galileo aveva compreso, tentato di insegnare e in parte dimostrato che l'ordine dell'universo è
comprensibile all'uomo, a patto che egli segua una rigorosa metodologia, basata sulle potenzialità
dell'intelletto e sulla verifica sperimentale e che ha come linguaggio intrinseco la matematica - la
dimostrazione completa di come sia possibile spiegare teoricamente e con successo la realtà come
insieme di necessarie conseguenze, arriverà in seguito con Isaac Newton (I principi matematici di
filosofia naturale, 1687) - .
In un passaggio del “Saggiatore” Galilei afferma: “La filosofia è scritta in questo grandissimo libro
che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se
prima non si impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in
lingua matematica, e i caratteri sono triangoli, cerchi, e altre figure geometriche, senza i quali mezzi
è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro
labirinto.”
La concezione rivoluzionaria che ha permesso il diffondersi del metodo scientifico poggia su
quattro concetti filosofici ai quali Galileo fa riferimento:
1. In accordo con la teoria platonico-pitagorica della struttura matematica del cosmo, Galileo
ritiene che l'universo sia ordinato in maniera geometrica;
2. Divide le qualità dei corpi in due categorie: proprietà primarie e secondarie. Le prime,
oggetto della conoscenza scientifica, caratterizzano i corpi in quanto tali e hanno quindi una
validità intersoggettiva;
3. L'uniformità nell'agire della natura secondo principi di necessità e causalità, come in una
verità geometrica;
4. L'uomo, sebbene differisca da Dio per il modo di apprendere e per l'estensione di nozioni
possedute, risulta simile per il grado di certezza a cui può giungere. Per esempio, 2 + 2 = 4
sia per l'uomo, che per Dio.
Il metodo seguito, che prende il nome di metodo scientifico, non fu teorizzato filosoficamente da
Galileo, diversamente da come fece Francis Bacon, ma fu più che altro applicato direttamente e
ricavato successivamente dai suoi scritti in maniera indiretta: nel Saggiatore, nel Dialogo e nei
Discorsi, lo scienziato tende ad articolare la procedura scientifica in due parti fondamentali:
momento “risolutivo” (sensata esperienza) e momento “compositivo” (necessaria dimostrazione). Il
primo consiste nel risolvere un fenomeno complesso nei suoi elementi semplici misurabili
formulando un'ipotesi matematica sulla legge da cui dipende. Il secondo momento consiste nella
verifica e nell'esperimento in cui lo scienziato prova a comporre o riprodurre artificialmente il
fenomeno, in modo tale che se l'ipotesi supera la prova risulta verificare e viene accettata e
formulata in termini di legge; invece, se non supera la prova risulta non verificata e viene sostituita
con altre ipotesi.
Riassumendo, l'importanza di Galileo sta nell'aver posto le basi di una scienza che abbracciasse la
realtà e che fosse quindi collegata direttamente all'esperienza: lo scienziato compì quel passo che
collega le proposizioni puramente logiche, che sono vuote davanti alla realtà, all'esperienza
sensibile. Ecco ciò che ha reso Galileo il padre della scienza moderna.
Tuttavia, per inquadrare meglio il ruolo del lavoro galileiano è necessario evidenziare alcune
caratteristiche dei suoi risultati.
Galileo aveva fatto un passo importante sulle leggi del movimento. Aveva scoperto il principio di
inerzia e legge di caduta dei gravi: un punto materiale, non influenzato da altri, si muove in linea
retta e in moto uniforme; nel campo della gravità, la velocità verticale di un corpo libero cresce
proporzionalmente al tempo. Tuttavia bisogna mettere in evidenza che le due leggi sul movimento
dello scienziato pisano riguardano esclusivamente il moto di un insieme.
Potrebbe apparire che il passaggio dalla teoria di Galileo a quella di Newton non sia poi così
significativa. In realtà Newton riesce a realizzare per primo una teoria fisica applicabile
generalmente ad ogni fenomeno, proprio perchè ebbe quell'intuizione che lo portò a formulare delle
leggi non solo d'insieme, come aveva fatto Galileo, quando parlava per esempio di ma che fosse
possibile attribuire al punto materiale (la particella più semplice della sua teoria) per spiegare ogni
moto. Tali leggi erano state realizzate osservando i comportamenti di un punto materiale in un
tempo infinitamente piccolo (legge differenziale). La legge differenziale è la sola forma che
soddisfa pienamente la condizione necessaria di causalità per il fisico poichè è l'unica in grado di
assicurare l'universalità del principio stesso.
In ogni caso, da Galileo in poi inizia a diffondersi una nuova e rivoluzionaria visione del mondo che
Einstein identifica come la religiosità cosmica. Sentire il mistero dell’eternità della vita, avere la
conoscenza e l’intuizione di ciò che è, lottare attivamente per afferrare l’intelligenza che si
manifesta nella natura: ecco le principali caratteristiche di questa.
Il sapiente è compenetrato dal senso della causalità per tutto ciò che avviene e la sua religiosità. Un
sentimento prossimo a quello delle menti creatrici religiose di tutti i tempi, consiste
nell’ammirazione estasiata delle leggi della natura. La religiosità cosmica riconosce l’impronta
sublime e l’ordine ammirabile che si manifestano tanto nella natura quanto nel mondo del pensiero.
Essa non ammette né dogmi né Dei: infatti questa tipologia di uomo, che crede nelle leggi causali,
non può concepire l’idea di un Essere che intervenga nelle vicende umane, e, perciò, la religione
terrore, come la religione sociale o morale, non ha presso di lui alcun credito.
D’altra parte alla base di ogni ricerca scientifica si trova la convinzione, di stampo religioso, che il
mondo sia fondato sulla ragione e che possa essere compreso.

Bibliografia

• Albert Einstein, Come io vedo il mondo


• Emanuele Severino e Edoardo Boncinelli, Dialogo su etica e scienza
• Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero, Itinerari di filosofia, volume 2A, edizioni Paravia
• Sigmund Freud, L’Interpretazione dei Sogni
• Sant’Agostino, Le Confessioni
• Bertolt Brecht, Vita di Galileo
• Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero, Protagonisti e testi della filosofia, volumi 1A e 1B, edizioni Paravia

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