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MILENA SANTERINI
PIERPAOLO TRIANI
PEDAGOGIA
SOCIALE
PER EDUCATORI
PEDAGOGIA SOCIALE
PER EDUCATORI
Milano 2007
2007
Universit Cattolica del Sacro Cuore - diritto allo studio (I.S.U. - EDUCat)
Largo Gemelli 1, 20123 Milano - tel. 02.72342235 - fax 02.80.53.215
e-mail: editoriale.isu@unicatt.it (produzione); librario.isu@unicatt.it (distribuzione)
web: www.unicatt.it/librario
ISBN: 978-88-8311-542-4
Leditore disponibile ad assolvere agli obblighi di copyright per i materiali eventualmente utilizzati
allinterno della pubblicazione per i quali non sia stato possibile rintracciare i beneciari.
Questo volume stato stampato nel mese di novembre 2007
presso la LITOGRAFIA SOLARI - Peschiera Borromeo (Milano)
INDICE
Capitolo primo
LEDUCATORE NELLAMBITO SOCIALE
1.1. Immagini delleducatore............................................................................. 5
1.2. Cura di s e cura dellaltro........................................................................12
1.3. Leducatore debole .....................................................................................16
1.4. Responsabilit verso la polis.....................................................................24
Capitolo secondo
IL DIBATTITO SULLEDUCATORE
2.1 .La ricerca di una distinzione con altre gure .....................................29
2.2. Lidentit delleducatore tra modelli forti..........................................35
2.2.1. Prima area .........................................................................................35
2.2.2. Seconda area.....................................................................................39
2.3. La dialettica unit-molteplicit e la dialettica professionemestiere .........................................................................................................43
2.3.1. Leducatore tra unit e molteplicit...........................................43
2.3.2. Leducatore tra professione e mestiere ......................................48
Capitolo terzo
LE LOGICHE DI AZIONE EMERGENTI
3.1. Progettazione...............................................................................................53
3.2. Rete ................................................................................................................70
3.3. Empowerment.............................................................................................84
4.4. Strada.............................................................................................................95
4.5. Animazione............................................................................................... 108
Capitolo quarto
I CONTESTI EDUCATIVI
4.1. Case di accoglienza per bambini in dicolt................................... 125
4.1.1. Ambiente educativo e progetto................................................ 131
4.2. Comunit per adolescenti..................................................................... 134
4.2.1. Un progetto dierenziato ......................................................... 140
4.3. Le comunit per tossicodipendenti .................................................... 151
4.4. Case di riposo, istituti, residenze sanitarie assistenziali................. 164
4.5. Educare sulla strada................................................................................. 174
4.5.1. Ladolescenza dicile................................................................. 175
4.5.2. Violenza e rischio......................................................................... 179
4.5.3. Minori e criminalit organizzata ............................................. 188
4.5.4. Educatori sulla soglia .................................................................. 194
4.5.5. Tra i nomadi ................................................................................. 197
Capitolo primo
LEDUCATORE NELLAMBITO SOCIALE*
to nei servizi extra-scolastici, La Nuova Italia, Firenze 1992; M. Donati, M. Maetti (a cura
di), Leducatore indispensabile, Vita e Pensiero, Milano 1992; AA.VV., La formazione degli
educatori nella prospettiva della cultura degli anni Novanta, Atti del XXXIII Convegno di
Schol, La Scuola, Brescia 1995. Inoltre P. Zaghi, Leducatore professionale. Dalla programmazione al progetto, Armando Armando, Roma 1995; P. Caspari, Leducatore professionale. Una provocazione per la pedagogia contemporanea, Anicia, Roma 1995. Nel settore
sociosanitario e dellhandicap. cfr. A. Canevaro (a cura di), La formazione delleducatore
professionale. Percorsi teorici e pratici per loperatore pedagogico, Nis, Roma 1991; L. Tosco,
Professione educatore. Loperatore pedagogico nel settore socio-sanitario, Franco Angeli, Milano 1994.
2
Per un panorama dal punto di vista francese, valido anche per lItalia, sul ruolo
delleducatore e sulle altre professioni sociali cfr. F. Le Poultier, Recherches valuatives en
travail social, Presses Universitaires de Grenoble, Grenoble 1990, p. 27; J.L. Martinet, Les
ducateurs aujourdhui, Privat, Toulouse 1993.
6
Limmaginario collettivo attuale, per, anzich laspetto della condivisione, accentua maggiormente la dimensione di sacricio o di eroismo del
servizio. Si sottolinea sempre pi la necessit di realizzazione di s
delleducatore e si dida dellaltruismo e della prosocialit che impedirebbero di soddisfare i propri bisogni per dedicarsi a esigenze di altri.
Leducazione come vita spesa per gli altri sempre pi sostituita
dallinterpretazione di vita con gli altri. Tuttavia, in questo caso,
levoluzione del sentire comune non fa giustizia del signicato pi profondo di questa scelta. Nel servizio non c tanto lannullamento di s, quanto
lespressione del senso attribuito alla propria vita rispetto a qualcosa di pi
importante.
Emmanuel Lvinas, ricordando la responsabilit verso il volto dellaltro
riporta allatteggiamento delleducatore. Laltro, diverso da me, mi convoca
e costituisce la mia identit. Di fronte allaltro io sono responsabile non
perch mi somiglia, n solo per una causa comune che unisce: il fatto originario della fraternit costituito dalla mia responsabilit di fronte ad un
volto che mi guarda come assolutamente estraneo6. Lidentit
delleducatore, quindi, non conculcata ma realizzata nella responsabilit
verso laltro. Il lavoro educativo, vissuto nella maggior parte dei casi davanti
al limite, allisolamento ed alla soerenza suo popolo, degli altri, si costituisce nella responsabilit e nel servizio verso di loro.
Il tecnico si occupa di riabilitare, ripristinare, restaurare, riparare quei
meccanismi che hanno subito un guasto o si sono inceppati o deteriorati. Il
meccanismo preesistente si suppone funzionante; la tecnica unulteriore
metafora deve individuare il blocco e intervenire, interessandosi dei mezzi appropriati per raggiungere il ne.
Al contrario delleducatore centrato sul servizio, infatti, il tecnico pone
ducia negli strumenti del mestiere anzich nella forza interiore o nel carisma personale. Riuta di agire a mani nude, ma ripara con strumenti, utensili, tecniche, metodi, griglie, giochi, attivit che garantiscono la funzionalit dellintervento al di l della soggettivit personale.
Nel campo della pedagogia speciale la rieducazione il principale tipo di
intervento tecnico. Si rieduca un ragazzo caduto nelle maglie della legge, cos
come un arto fratturato, perch possa riprendere la sua funzionalit nel
6
E. Lvinas, Totalit e innito. Saggio sullesteriorit (trad. dal francese), Jaca Book;
Milano 1990, pp. 219 ss.
8
P. Bertolini, L. Caronia, Ragazzi dicili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento, La Nuova Italia, Firenze 1993.
8
C. De Jonckeere, Images de lducateur, pp. 81-89.
9
J.P. Chartier, Les adolescents diciles. Psychanalyse et ducation spcialise, Privat,
Toulouse 1991, p. 124.
9
10
il suo posto: giudici, assistenti sociali, animatori teatrali ed altri ancora tendono ad assumere funzioni educative.
Il cammino percorso in Italia con listituzione del corso di laurea in
Scienze dellEducazione per educatori professionali extrascolastici ha iniziato un circolo virtuoso di denizione della sua identit professionale. La
rivalutazione della gura delleducatore, tuttavia, non dipende solo da un
titolo di studio, ma soprattutto dalla sua eettiva rispondenza ai problemi
sociali. In questo senso si assiste ad un processo ambivalente e non privo di
ambiguit. Da una parte leducatore diviene necessario a causa, della sempre
pi diusa delega e debolezza della famiglia. stato messo in rilievo ad esempio da Remo Fornaca come lestensione dellextrascolastico possa essere
funzionale al ritiro della famiglia dalle sde educative. Lo stesso si pu dire
per quanto riguarda la scuola, in cui esiste ancora la tendenza a scindere la
sfera educativa da quella dellistruzione, respingendo la prima allesterno.
Ci avviene ormai pi per motivi di saturazione (gli insegnanti denunciano
una responsabilizzazione eccessiva che grava su di loro) che per cause ideologiche, salvo ricorrenti tentativi di scolarizzare il tempo libero degli alunni.
Daltro canto (ed laltra faccia della medaglia) la crescita dei bisogni
educativi connessa allespansione dei luoghi esterni, pubblici. La presenza
degli educatori in questi luoghi, nelle pieghe del sociale, soprattutto, sulla
soglia tra dentro e fuori, tra integrazione e marginalit, costituisce un indubbio vantaggio; anche nei servizi pubblici lentamente gli educatori stanno conquistando uno spazio.
Esiste, dunque, un rischio di banalizzazione del lavoro educativo. Tale
pericolo va contrastato realizzando un prolo professionale distinto e originale in complementarit con gli altri, ma soprattutto respingendo ogni
connotazione tecnicistica (senza naturalmente rinunciare alla competenza), sottolineando, come ha scritto Vattier, il ruolo delleducatore come agente di promozione umana, individuale e collettiva, nonch la ricchezza
di questo mestiere, lo straordinario potenziale di innovazione e di progresso
costituito dalla sua esperienza, la sua capacit di riessione, la diversit delle
situazioni sperimentali da lui vissute13.
Lecacia dellesperienza di vita e della maturit personale non in contraddizione con la competenza e la capacit critica. Al contrario, la variet
13
G. Vattier, Les tches actuelles de lducateur spcialis, Privat, Coll. Msop, 1977,
pp. 33-34.
11
dei compiti da arontare spinge a concepire un educatore non specializzato, che utilizza contenuti e metodi non del tutto denibili a priori, capace
cio di interpretare e comprendere i diversi contesti con rigore critico.
Chartier elabora a questo proposito tre proli o modelli di educatori,
che si attraggono e si respingono allinterno dello stesso campo. I tre poli
sono costituiti dal religioso, dal tecnico, e dal politico, dimensioni apparentemente inconciliabili di un triangolo al centro del quale c leducatore. Il
livello politico riguarda il riformatore sociale, quello religioso leducatore
carismatico e militante, quello tecnico il professionista della relazione.
Leducatore ideale non esiste. Ma chi vive lo sforzo di comprendere la realt sta al centro di questo triangolo, pur avvicinandosi alluno o allaltro polo
in funzione della sua storia personale e familiare, della sua cultura e formazione14. colui-colei che associa alla dimensione di servizio e di accompagnamento una padronanza di strumenti, anche assemblando diversi livelli
di intervento. Lecacia della sua azione risiede non nella carismaticit, n
nelluso di strumenti sosticati, ma nella capacit interpretativa e relazionale nel contesto, unendo osservazione critica, elaborazione approfondita degli elementi in gioco, progettualit.
Si potrebbe ipotizzare che, anche per operare una ricerca intorno al prolo delleducatore, sia necessario prendere in considerazione la disputa
sullio, il signicato attribuito a quella invenzione moderna ed occidentale costituita dallindividuo, tentando di valutare criticamente lazione educativa rispetto a questo versante culturale.
Foucault ricostruisce la storia della cura di s a partire dalla losoa greco-romana, in cui occuparsi di se stessi veniva ritenuta una delle regole fondamentali della condotta sociale e dellarte di vivere16 . La cura messa in
relazione alla conoscenza di s; ma se in un primo momento occorre conoscere per esercitare sollecitudine, via via nel tempo il secondo precetto
prende il sopravvento, oscurando il primo. Nel pensiero cristiano la cura
verr guardata con maggiore severit; secondo Foucault il pensiero moderno sarebbe erede di questa tradizione del pensiero giudaico-cristiano, che
dionde la rinuncia a se stessi, la conoscenza come denuncia delle proprie
tentazioni e desideri e la necessit di essere liberi dal peso dellio17.
Il tema, in Foucault, assunto come lo conduttore della genesi della
mentalit collettiva, attraverso una serie di passaggi. Allinizio la cura di s
rappresenta uningiunzione corrente nella filosoa greca, a partire da Socrate, colui che vigila perch i suoi concittadini si preoccupino di se stessi;
in secondo luogo Foucault concentra la sua attenzione sulle tecniche, le
tecnologie, con cui si esercita questa attenzione: esercizi, pratiche, attivit,
esami di coscienza, mettendo in evidenza la connessione con il pensiero e la
pratica medica.
Inne, il pensatore francese aerma che tutte le tecniche sono orientate
ad uno scopo: la conversione a s, cio ritrovarsi interiormente come in
unoasi, una fortezza protetta dal mondo esterno. Si tende ad unetica della
padronanza, del dominio, attraverso il puro piacere tratto da se stessi e dalla
soddisfazione della propria compagnia18.
Questo punto di vista diusamente ripreso non certo casualmente
nel pensiero attuale. In una societ senza padri viene sentita lesigenza di
16
costruzione di unetica laica, per alcuni da fondarsi proprio sulla base della
cura di s. Letica che scaturisce dalla preoccupazione per se stessi non viene
considerata una forma di egoismo, in quanto egoista chi si occupa di ci
che ha, non di ci che ; la preoccupazione per s non escluderebbe quella
per gli altri in quanto si perviene allimpegno verso lesterno solo attraverso
laccesso alla ragione, che mette in comunicazione universale con gli altri.
La cura di s, in questo senso, potrebbe sostituire la responsabilit.
Oggi, quindi, la cura di s rimane un valore, ma in senso molto diverso
dallaccezione di cui si parlato. La sollecitudine socratica verso la crescita
interiore e la profondit di pensiero, lamore per la propria cultura, non
sembrano al centro dellansia delluomo moderno, ossessionato pi spesso
dal problema del possesso dei beni. Allopposto, nelle forme pi deteriori che la nostra societ sembra sempre pi interessata alla cura di s. Uno
degli aspetti pi signicativi la proliferazione della dimensione terapeutica. Fin dalle origini la psicoanalisi ha costituito, ad esempio, uno degli esempi di tecnologia del s che ha arontato le paure e le angosce delluomo.
La diusione ormai universale della vulgata psicologica, delle attenzioni
minuziose ai propri desideri e pulsioni, sembra far parte di questa inarrestabile tendenza. La cura, anzich assumere la forma di crescita interiore,
diviene la chiusura, il rifugio dellio minacciato dal mondo esterno. Descrivendo il mondo attuale, Lasch ha denito narcisista una societ minacciata
dalla disintegrazione in cui, si potrebbe dire, predomina la cura di s. Lio
minimo della nostra societ occidentale narcisista non nel senso che ama
se stesso, come Narciso che si specchia e si innamora di s, ma al contrario
perch si fonde nella realt esterna, annulla la dierenziazione, fa crollare i
conni tra s e lesterno, il mondo reale della responsabilit. La maturit
dellidentit personale si attua, dal punto di vista dello sviluppo sia psichico
sia culturale, attraverso la divisione tra interno ed esterno, tra interiorit ed
esteriorit; ci avviene di norma nella prima infanzia, con la separazione
dalla madre. Lio immaturo, invece, a livello individuale, ma anche come
soggetto collettivo, non perviene ad operare questa oggettivazione19.
19
Per lanalisi che segue si fa riferimento a C. Lasch, Lio minimo. La mentalit della
sopravvivenza in unepoca di turbamenti, Feltrinelli, Milano 1985; dello stesso autore, cfr.
anche La cultura del narcisismo. Lindividuo in fuga dal sociale in unet di disillusioni collettive, Bompiani, Milano 1981.
14
Il narcisismo denito dai propri interessi e desideri, subordinati al calcolo costi-beneci; in questo senso, tuttavia, il contrario dellamore di s,
in quanto il desiderio che non si compie in intenzionalit impedisce la formazione di una individualit socializzata. Infatti, passa in secondo piano
limportanza della politica, del foro pubblico, esterno, delle azioni oggettive
che si compiono, e del giudizio della comunit sulla vita dei suoi membri20.
Alcuni quello che Lasch denisce il partito del super-io pensano che
per contrastare tale crisi occorra ripristinare lobbedienza alle norme, la dipendenza dalla natura, e combattere ogni velleit di eccessiva libert delluomo, riaermando il valore dei comportamenti appresi. La critica al super-io, alla staticit delle norme e delle tradizioni culturali ereditate dalle
generazioni precedenti, stata condotta soprattutto dalla tradizione liberale che sta dalla parte della razionalit, del realismo, dellio, sia contro gli
impulsi che contro letica ereditata21. Altri ancora propendono verso il
narcisismo, nel senso di ritenere lidea di individuo ormai obsoleta, e tentano di superare il dualismo con la natura, di annullare la divisione tra luomo
e il mondo esterno, tra persona e societ attraverso una nuova fusione, una
perfetta armonia. Sono esemplari in questo senso i movimenti new age, che
tendono al recupero della dimensione immanente e olistica.
Per Lasch, sia coloro che esaltano la razionalit dellio, sia coloro che annullano il dualismo tra lio e il mondo, perdono ci che vi di valido
nellindividualismo, e cio la tensione ed il conitto. necessario invece affermare una salda concezione dellindividualit purch nella consapevolezza critica della natura divisa delluomo. Lindividualit si esprime nella
forma di una coscienza colpevole, la dolorosa consapevolezza dellabisso che
vi tra le aspirazioni e i limiti umani22. La risposta non di conseguenza
nella rigidit delladamento ad una superiore autorit sociale, n nellannullamento del mondo della realt oggettiva per rifugiarsi nellintimit, ma
nella coscienza critica su di s e sui limiti delluomo.
La cura di s ha senso soltanto allinterno della struttura ternaria, proposta da Ricoeur, cio accanto alla cura dellaltro e alla preoccupazione perch vi siano istituzioni giuste: non ci sarebbe un soggetto responsabile se
20
R.N. Bellah, Le abitudini del cuore. Individualismo e impegno nella societ complessa
(trad. dallinglese), Armando Editore, Roma 1996, p. 167.
21
C. Lasch, Lio minimo, p. 143.
22
Ivi, p. 179.
15
questi non potesse stimare se stesso in quanto capace di agire intenzionalmente, cio secondo delle ragioni riesse, e se non fosse capace di inscrivere
le sue intenzioni nel corso delle cose, mediante iniziative che intrecciano
lordine delle intenzioni con quello degli avvenimenti del mondo. La stima
di s, cos concepita, non una forma ranata di egoismo o di solipismo. Il
termine s l per mettere in guardia contro la riduzione ad un io centrato
su se stesso23.
16
26
31
20
mazione di tipo aziendale, che, pur costituendo a tutti gli eetti un mercato
in forte espansione, presenta anche una miseria culturale e eettiva inanit operativa37.
Contrattualismo, negoziazione e transazione, come ha osservato Postic,
costituiscono aspetti importanti della relazione educativa, soprattutto nella
scuola. Indicano la possibilit da parte di bambini, adolescenti e adulti di
partecipare a pieno titolo e come parte attiva al dialogo educativo. Nella
transazione messo in evidenza soprattutto il vantaggio che la persona da
educare (in particolare lalunno) pensa di ricevere stabilendo in anticipo
condizioni dello scambio con linsegnante. Il contratto, di conseguenza,
una metodologia pedagogica estremamente rimotivante nei confronti di
bambini e ragazzi in dicolt o che hanno avuto esperienze negative in
campo scolastico e che possono far valere le proprie ragioni nei confronti
degli adulti. Nel contratto messa in rilievo la reciprocit, la scelta di regole
che guidino il rapporto permettendo alle parti di ottenere ci che desiderano dallaltro (ad esempio ascolto e giustizia da parte degli insegnanti, partecipazione e disciplina da pate degli alunni)38.
stato tuttavia osservato che la contrattazione, sul piano educativo, ha
anche altri scopi. Come ha messo in rilievo Postic, commentando le ricerche di J. Filloux, attraverso di essa le parti stabiliscono le regole del rapporto, diritti e doveri reciproci, ma soprattutto si tutelano da ogni incertezza
denendo i limiti da non oltrepassare. Il contratto costituisce una difesa
dalle possibili aspettative dellaltro e sposta la relazione su un piano impersonale. Cos il rapporto di diritto mascheragli aspetti di dominio e potere
presenti in ogni relazione educativa, sotto unapparenza puricata da ogni
conittualit39.
Questa analisi basata sul potere non viene qui richiamata allo scopo di
annullare lasimmetria del rapporto educativo, specie nel caso dei bambini,
con la relativa conclusione di considerare ogni rapporto come manipolazione; tale tendenza radicale gi stata ampiamente discussa negli ultimi
37
R. Massa, Educare o istruire, Unicopli, Milano 1987, p. 27. Sul rapporto tra educazione e formazione, cfr. R. Massa, La formazione oggi come campo di interventi e di saperi: il rapporto con la pedagogia, in F. Gambi, E. Frauenfelder (a cura di), La formazione.
Studi di pedagogia critica, Unicopli, Milano 1994, pp. 285-303.
38
M. Postic, La relazione educativa, pp. 122-138.
39
Ivi, pp. 131-132.
21
decenni, a partire dalle ricerche della pedagogia istituzionale, delle tesi descolarizzatrici, e cos via. Si vuole invece porre lattenzione sulla funzione di
controllo presente anche nei rapporti paritari o contrattuali. La partecipazione dellaltro (tanto pi se adolescente, giovane o adulto) indispensabile; ma la contrattazione anticipata, la ssazione di regole, la negoziazione
dei rispettivi ruoli non devono costituire una difesa, da parte
delleducatore, nei confronti delle attese di personalizzazione, attenzione,
aetto, coinvolgimento dellaltro. debole non leducatore che instaura
una dinamica educativa partecipata ed attiva, ma quello che si nasconde davanti allimprevisto.
Un altro tipo di ruolo assunto frequentemente da insegnanti e educatori
quello di mediazione. Si tratta di un compito necessario nella complessit
delle situazioni e del contesto; tuttavia leducatore non necessariamente
ostaggio della complessit. La societ attuale, nella sua multiformit, presenta allinterno legami deboli e allentati. La crisi della famiglia e delle istituzioni tradizionali come la scuola, la labilit delle appartenenze in un
mondo sempre pi allargato, la proliferazione dei mass media che permettono la comunicazione a distanza congurano un quadro di rapporti tenui
e dierenziati. Il nuovo tipo di societ, in cui si trovano molteplici e diversi
tipi di relazioni, crea la necessit di un educatore che sappia gestire la complessit.
Molti contesti educativi presentano, in scala, la stessa situazione di sistema a legame debole, caratterizzata cio da precariet, indeterminatezza, temporaneit40. Se si escludono le istituzioni totali come i vecchi collegi
o i carceri, gli altri contesti (in particolare i servizi sociosanitari) possono
presentare una mancanza di chiarezza nel rapporto tra mezzi e ni, a causa
delle dierenze tra le persone impegnate, a dierenze interne come
lincertezza sul proprio ruolo, o esterne, nellambiente sociale. Di conseguenza pongono alla persona il problema di ridenire continuamente il
proprio ruolo e le proprie funzioni in una situazione che presenta molte variabili, senza soccombere di fronte alla complessit41.
Leducatore, in questa concezione, diviene il nodo della rete costituita
dalle relazioni sociali, parentali, aettive in un determinato sistema. Egli si
40
F. Folgheraiter, Operatori sociali e lavoro di rete. Saggi sul mestiere di altruista nelle societ complesse, Edizioni Centro Studi Erickson, Trento 1990; si veda anche L. Sanicola (a
cura di), Reti sociali e intervento professionale, Liguori, Napoli 1995.
43
Ivi, pp. 176-77.
44
Ibidem.
45
Ivi, pp. 188-189.
23
possibilit di altri rapporti che non siano quelli guidati dallinteresse personale48. La comunit sociale, cos come la famiglia, rappresenta secondo
questa visione un luogo di dare-avere, dove esprimere e soddisfare i propri
bisogni, un rimedio temporaneo contro la solitudine.
Oltre allenfasi sul s sempre pi spesso denito come S sono dunque le dimensioni sociali e politiche che appaiono trascurate in una societ
(e in uneducazione) di tipo narcisista. inclinata verso la dimensione terapeutica la societ che vive uninazione della psicologizzazione, cio la
trasformazione di un problema che andrebbe denito storicamente, socialmente e politicamente in una situazione il cui senso si esaurisce nella
dimensione psicologica49. Non si vuole naturalmente mettere in questione
luso corretto della psicologia, ma discutere leccesso di codici individualizzanti applicati a situazioni che possono essere descritte, spiegate ed arontate a livello di sviluppo economico, caratteristiche sociali, tradizioni antropologiche e cos via50.
Anche lapproccio educativo sembra progressivamente voler fare a meno, della politica e della comunit. La societ viene assunta come sfondo,
un contesto che a volte viene tratteggiato dagli educatori esclusivamente
come scenograa su cui si svolge lazione. La dimensione sociopolitica, come hanno messo in rilievo molte ricerche nellultimo decennio, spaventa
soprattutto i giovani a causa della complessit. Leducazione si fa terapeutica e si allontana dalla funzione critica, tentando di occuparsi esclusivamente dellindividuo. Lattenzione per il piano storico e sociale, invece, conduce
a leggere la realt non soltanto in base a ci che percepito soggettivamente
dalla psiche.
Nessun intervento educativo mai neutrale rispetto alle visioni di societ assunte anche implicitamente dalleducatore e veicolate attraverso
lazione, il comportamento, il linguaggio. Lassunzione del livello sociopolitico consiste nellesplicitazione, da parte delleducatore, della sua visione di
societ e di una scelta di trasformazione dei rapporti sociali allinterno del
lavoro di comprensione, in un progetto per la persona e per la societ sulla
48
Ivi, p. 181.
Tale rischio evidenziato in R. Castel, Verso una societ relazionale. Il fenomeno psy
in Francia (trad. dal francese), Feltrinelli, Milano 1982, p. 38.
50
Ivi, p. 44.
49
25
51
26
Ivi, p. 154.
Ivi, p. 74.
57
P. Ricoeur, Persona, comunit, istituzioni, pp. 108-109.
58
P. Ricoeur, La critica e la convinzione, Jaca Book, Milano 1997.
56
27
28
Capitolo secondo
IL DIBATTITO SULLEDUCATORE*
* Tratto da: P. Triani, Sulle tracce del metodo, Pubblicazioni dellI.S.U. Universit Cattolica, Milano 2004, pp. 26-50.
1
Accanto alla distinzione tra lavoro educativo e lavoro sociale, diversi autori operano
una distinzione tra lavoro educativo e lavoro pedagogico per distinguere unazione educativa spontanea da unazione realizzata invece attraverso unadeguata preparazione teoricopratica. Nel contesto della presente riessione, si ritenuto opportuno non arontare direttamente questa distinzione.
2
F. Folgheraiter, Teoria e metodologia del servizio sociale, op. cit., p. 165.
29
Ibi, p. 159.
Ibi, p. 150.
5
Ibi, p. 165.
6
Ibi, p. 150.
7
Cfr. Ibi, pp. 165-166.
8
Collegandosi esplicitamente al lavoro di Folgheraiter, recentemente, R. Franchini ha
proposto larticolazione di quattro gure professionali dei servizi sociali, suddivise su due
comparti: sociale e educativo. Ogni comparto si caratterizza per la presenza di una professione maggiormente orientata alla guida dellazione, al coordinamento e di una seconda
professione maggiormente orientata alla declinazione operativa dei progetti e alla gestione
concreta dei processi. Ne deriva un quadro dinsieme delle professioni dei servizi sociali
caratterizzato da: operatore socio-sanitario; assistente sociale; educatore professionale; pedagogista. Cfr. R. Franchini, Costruire la comunit-che-cura, FrancoAngeli, Milano 2001,
pp. 62-84.
4
30
Cfr. D. Demetrio, Lavoro sociale e competenze educative. Modelli teorici e metodi di intervento, La Nuova Italia Scientica, Roma 1988, p. 23.
10
Cfr. ibi, p. 40.
31
11
32
cico si orientato sui processi di crescita, dapprendimento, di reinserimento sociale, sulla prevenzione, con una rilevante e costante attenzione:
alla persona nella sua globalit, alla valorizzazione delle risorse e al recupero delle potenzialit e dellespressione;
allo sviluppo della partecipazione degli individui, dei nuclei familiari,
degli ambienti relazionali e comunitari;
alla dimensione dellascolto ed al valore di libert delle persone;
al dare senso e signicato allesperienza;
alla mediazione con la realt di riferimento;
alla dimensione infomale della vita delle persone e dei gruppi sociali14.
Questa descrizione dice bene lampiezza del campo di lavoro delleducatore, ne dice bene anche la ricchezza e la complessit. Separata, per, da
una descrizione dettagliata dei rapporti tra campo dintervento, obiettivi,
contenuti, dinamiche formative del soggetto, azioni, rischia di essere depotenziata. E, purtroppo, questo accade spesso. Coloro che operano come educatori descrivono il loro oggetto di lavoro solo come un qualcosa di molto vasto che coincide con la vita della persona nel suo insieme. Una
formulazione troppo generica del campo di interevento, ma soprattutto
una non esplicitazione delle dinamiche di cambiamento sottostanti, accresce invece che limitare la debolezza delleducatore.
La seconda domanda che mette in dicolt lazione per il cambiamento
come tratto distintivo pu essere formulata nel seguente modo: in che modo
peculiare leducatore opera sui cambiamenti del soggetto? Questa domanda
sorge, di solito, dalla constatazione che lo sviluppo, la crescita del soggetto
possono avvenire anche senza una azione diretta delleducatore. Tale osservazione ha portato a ritenere insuciente il primo fattore per una adeguata
distinzione, alimentando cos la ricerca di altri fattori che maggiormente
delineassero un modo proprio del lavoro educativo.
Siamo cos ad un secondo fattore, accennato da Demetrio quando scrive: lattivit pedagogica, in quanto attivit elettivamente metabletica
[n.d.r. che ha a che fare con il cambiamento] di tipo intenzionale, tenter di
costruire le condizioni strutturali pi adatte perch abbiano luogo i processi che possano consentire ai soggetti (in qualsiasi et o condizione essi si
trovino) di ri-rappresentarsi15. In questa breve citazione compare il fattore
14
15
16
19
Kaneklin parla di modelli forti. Cfr. C. Kaneklin, Fantasmi, fantasie e progetto educativo, in M. Donati M. Maetti (a cura di), Leducatore indispensabile, Vita e Pensiero,
Milano 1992, p. 14.
20
A questo proposito Cfr. C. Scurati (a cura di), Volti delleducazione, La Scuola, Brescia 1996.
35
21
Cfr. C. Kaneklin, op. cit., in M. Donati M. Maetti (a cura di), op. cit.
Ibi, p. 10-11.
23
Ibi, p. 11 (il corsivo non presente nelloriginale). Nello stesso volume, lintervento
di Nicora Prodi contiene una osservazione analoga: il lavoro educativo in area extrascolastica (cio quella appunto di pertinenza delleducatore professionale) pu mutuare ben
poco dalle proposte pedagogiche tradizionali pertanto va riformulata una nuova pedagogia
di supporto. A. Nicora Prodi, Il modo di pensare il tirocinio: la scuola di Trento, in M.
Donati M. Maetti (a cura di), op. cit., p. 198.
22
36
C. Kaneklin, op. cit., in M. Donati M. Maetti (a cura di), op. cit., p. 12.
opportuno rilevare come spesso sia presente uninterpretazione delle agenzie formative classiche, soprattutto quella scolastica, troppo generica, che non rende giustizia
della loro articolazione di interventi, di modelli, di ricerca continua di strade nuove.
26
C. Kaneklin, op. cit., in M. Donati M. Maetti (a cura di), op. cit., p. 15.
27
Cfr. ibi, p. 17. Evidentemente lautore non nega il valore della supervisione, ma come
egli precisa nella stessa pagina: La supervisione uno strumento formativo delicato nel
senso che, per esperienza, mi sembra poter dare buoni frutti allinterno di due sets precisi.
(Il corsivo nelloriginale).
25
37
attraverso uno sforzo di attribuzione di senso a quei dati che sono presenti;
un cammino che faticoso, perch per tutti noi pi facile andare a memoria e pensare che sia possibile anticipare il futuro sulla base dellesperienza
passata28.
Ci che d forza al lavoro delleducatore, in ultima istanza, la capacit
di prendere parte con azioni pensate, con comportamenti interpretativi
di tipo non verbale e verbale, in processi trasformativi terapeuticorieducativi29. La consistenza dunque della gura educativa direttamente
proporzionale al suo grado di consapevolezza di un agire pensato in rapporto al contesto. Per questo opportuno da parte della riessione e della
formazione portare lattenzione su ci che succede nella mente
delloperatore30.
Se il primo punto della posizione di Kaneklin (il ruolo di supplenza)
appare oggi modicarsi in una prospettiva di collaborazione e integrazione
tra le diverse gure educative, gli altri due punti risultano ormai come dati
costanti della riessione sulleducatore.
Perci, in merito al rapporto tra insegnante-educatore, ancora forte la
tendenza a pensare al proprio agire come fortemente diverso dalla logica
scolastica e il connotare questultima soltanto nei termini di trasmissione di
saperi disciplinari31. Questo ha generato, a mio parere, nella cultura
delleducatore una sorta di frattura con il mondo della scuola, da cui derivano almeno due conseguenze.
In primo luogo si assiste ad una incomunicabilit tra mondi, che al di l
dellimpegno dei singoli, si basa spesso su una lettura stereotipata. Se vero
che la scuola non esente da errori e dicolt, altrettanto vero che
28
Ibi, p. 23.
Ibi, p. 20.
30
Ibidem.
31
Si prenda, come esempio, quanto aerma P. Marcon: Egli [leducatore] esprime la
sua attivit promozionale non attraverso linsegnamento di contenuti culturali, ma attraverso la condivisione, attraverso la partecipazione alle vicende, agli avvenimenti, non di
rado imprevisti o imprevedibili, come si detto, della vita di ogni giorno: un amico, compagno di cammino, lungo la strada che conduce alla maturit nel tentativo di recuperare al
processo di crescita le tante occasioni, umili talora, ma non insignicanti, oerte dalla vita
di ogni giorno. P. Marcon, Leducatore professionale nellorizzonte educativo, in I problemi della pedagogia, 1-3/1997, p. 171.
29
38
leducatore rischia molte volte di non riconoscerne la complessit e la pluralit di azioni, restando ancorato ad una propria immagine di scuola.
Una seconda conseguenza, ancora pi decisiva, la delega al mondo scolastico della trasmissione dei saperi, per riconoscere come proprio il campo
della relazione. Questo sostanziale misconoscimento dei contenuti culturali come proprio oggetto non corrisponde alla realt del lavoro quotidiano
delleducatore che non solo persona che si relaziona, ma persona che opera su determinati contenuti che chiedono di essere insegnati.
Vi una sorta di resistenza psicologia ad utilizzare la parola insegnamento nel lavoro delleducatore, ma ci comporta il tracciare un campo di intervento spesso troppo generico e vago, e, conseguentemente, raorzare,
invece, limportanza della gura delleducatore stesso.
In merito al rapporto tra genitore ed educatore professionale il quadro
appare meno netto ma il risultato nale sembra essere lo stesso. Si ritiene
generalmente che leducatore, in quanto gura deputata, debba operare con
una attenzione, con uno sguardo, con una logica di intervento, con una
capacit di tenere insieme, non sempre riscontrabile nei genitori. Anche in
questo caso ci che d forza al ruolo delleducatore connesso cos al suo
grado di consapevolezza nellazione.
2.2.2. Seconda area
Un seconda area vede leducatore porsi a confronto con le gure che
svolgono un compito prevalentemente terapeutico32. Si tratta di gure con
cui leducatore non attiva un confronto solo a distanza (come capita solitamente con gli insegnanti e i genitori) ma in presenza, attraverso il lavoro
comune, la condivisione di responsabilit, di spazi, di obiettivi.
In termini generali il confronto non si opera tanto con il medico, quanto piuttosto con le altre professioni sanitarie della riabilitazione che hanno
trovato (accanto alleducatore professionale dellarea sanitaria) una loro recente formalizzazione legislativa nel Decreto del Ministero dellUniversit
e della Ricerca Scientica e Tecnologica del 2 Aprile 2001: Determinazione
delle classi delle lauree universitarie delle professioni sanitarie. Rispetto a
32
queste gure, leducatore cerca una propria identit soprattutto distinguendo il suo operare da una prospettiva strettamente medica.
Nel 1994, proprio in rapporto a questa preoccupazione, Groppo ebbe
modo di proporre la distinzione tra modello medico e modello educativo.
Lintervento medico implica una diagnosi clinica che denisce il caso
nella situazione della manifestazione acuta della patologia e ne prescrive la
terapia che pu essere realizzata o con lintervento chirurgico, o con la cura
farmacologia, o anche con la manipolazione ortopedica o sioterapica, che
comunque si realizza in un tempo preciso e stabilito33.
Lintervento educativo o rieducativo invece fondato su una concezione profondamente diversa in quanto esso centrato sul rapporto interpersonale tra educatore educando in un tempo lungo e continuativo e con
una consistenza quotidiana molto rilevante, nalizzato ad una progressiva
maturazione personale no al raggiungimento di una autonomia piena, l
dove possibile, e fondata su unidentit personale costruita su valori morali e religiosi, che riguarda lintera persona34.
Se il medico cura attraverso la diagnosi, la denizione del caso,
lintervento da attuarsi in un tempo denito, leducatore invece si prende
cura attraverso una relazione caratterizzata dalla quotidianit e da tempi
lunghi35.
33
M. Groppo, Educazione e riabilitazione: modello educativo e modello medico a cononto, in M. Groppo (a cura di), Professione: educatore, op. cit., p. 101.
34
Ibidem.
35
Riprende la distinzione in termini pi problematici L. Tosco. si potrebbe parlare
di modello medico (prevalenza della salute come assenza di malattia e delleducazione come pedagogia dello scarto) e di modello socio educativo (prevalenza della salute come benessere e della educazione come pedagogia della concertazione). A questo proposito per
necessario fare alcune precisazioni:
i due paradigmi costituiscono una tipologia e quindi uno strumento concettuale/astratto per analizzare la realt;
specici contesti e situazioni. L. Tosco, Gli intrecci. Percorsi accidentati: progettare dentro
lesperienza del limite, in AA.VV., La professione di educatore, op. cit., p. 122.
36
Distinguendo tra una logica terapeutica e una logica educativa, ha cercato una possibile strada di chiaricazione Pati, che scrive: la dierenza tra i due [metodo psicoterapeutico e metodo educativo, ndr.] pu essere cos tratteggiata: la psicoterapia si pregge lo
scopo di sanare un danno psichico, di ricucire una lacerazione emotivo-aettiva, di guarire
una malattia interiore. Pu quindi riguardare lo studio delle radici incosce della condotta
umana per risolvere al meglio settoriali problemi di crescita in un limitato arco di tempo.
Ne scaturisce spesso la necessit disolare il paziente rispetto al contesto di vita, per meglio osservarlo e chiarire i moduli di comportamento. Leducazione mira a ridestare le potenzialit individuali, correlandole ai vari ambiti di esperienza. Essa si occupa dei compiti
di sviluppo, che coinvolgono in maniera diretta e attiva leducatore e leducando. Prospetta
modalit relazionali intenzionalmente e axiologicamente circostanziate, guidando il soggetto in istato di bisogno, alla consapevole assunzione delle stesse. Per tali ragioni, colloca
lintervento individualizzato nel pi vasto clima educativo generale e privilegia
lorganizzazione dei tempi lunghi. L. Pati, Leducazione nella comunit locale, op. cit., pp.
254-255.
37
A tal proposito pu essere utile riportare quanto aermato dal Responsabile di un
servizio di Alcologia, che si caratterizza per la compresenza dello psicologo e
delleducatore. Alla domanda Perch ha ritenuto importante inserire in questo servizio
leducatore professionale? il Responsabile ha risposto: Per garantire la continua risposta
educativa nellarco della giornata. Leducatore professionale nel nostro Servizio si occupa,
infatti, di garantire che gli obiettivi educativi individuati dallequipe vengano perseguiti
quotidianamente sia nei momenti strutturati (con il supporto di strumenti quali il gruppo) sia nei momenti pi conviviali. In R. Bombelli, La metodologia educativa nei servizi
alcologici. Il caso del servizio di alcologia della A.O. Ospedale Maggiore di Crema, Tesi di
Laurea in Scienze dellEducazione, Universit Cattolica del Sacro Cuore, Sede di Brescia,
A.A. 1999/2000, p. 208.
41
sanitaria) non analizzabili nelleconomia del presente lavoro. Si intende solo operare alcune considerazioni per evidenziare un dato fondamentale.
Anche in rapporto alle gure della riabilitazione, leducatore sconta
lassunzione di un oggetto di lavoro dicilmente circoscrivibile. Senza un
setting preciso e stabile con cui potersi identicare (leducatore non lavora
solo in palestra, oppure in ambulatorio, o nello studio), con unarea di intervento non racchiudibile in ununica e costante struttura di operazioni,
leducatore, anche in questo caso, cerca un raorzamento della sua identit
sottolineando il modo con cui opera. Un chiaro esempio di questa dinamica riscontrabile in quanto scritto da un gruppo di educatori operanti nei
Sert e pubblicato su Animazione Sociale38. Leducatore svolge una funzione
di sostegno e promozione del cambiamento dei soggetti con consapevolezza, intenzionalit, competenza e continuit39.
Alla luce della loro esperienza quotidiana, per, essi riconoscono limpossibilit di circoscrivere la competenza educativa ad ununica gura: si
dovuto riconoscere che la dimensione educativa presente anche nelle altre
gure professionali () A questo punto sembrato non pi corretto ragionare in termini di pertinenza esclusiva, quanto invece di prevalente competenza educativa, psicologica, medica, assistenziale da parte delle diverse figure professionali40. Leducatore tale quindi nella misura in cui fa
proprio un compito educativo diuso, declinandolo attraverso un determinato modo di relazionarsi, comunicare, strutturare lazione, collaborare.
Stretto tra modelli pi chiari, leducatore pu fare forza su stesso. Povero di strumentazione, leducatore pu avvalersi della sua consapevolezza e
in ultima istanza della sua personalit. Per questo Scaratti aerma: il
primo strumento leducatore stesso41 e, sulla stessa linea, Nicora Prodi
precisa: Il suo esserci lunico strumento del lavoro professionale42.
38
Cfr. AA.VV., Il tavolo e la quarta gamba: leducazione nel Sert, in Animazione Sociale, 11/1995, pp. 91-94.
39
Ibi, p. 92.
40
Ibi, p. 92.
41
G. Scaratti, Metodi e tecniche dellintervento educativo. Suggerimenti metodologici per
lassunzione del ruolo di educatore professionale, in M. Groppo (a cura di), Professione: educatore, op. cit., p. 174.
42
A. Nicora Prodi, Educatore professionale e percorso formativo nellesperienza di una
scuola triennale, in M. Groppo (a cura di), Professione: educatore, op. cit., p. 242.
42
La dialettica con modelli forti porta alla luce unulteriore chiave interpretativa del metodo delleducatore di estrema importanza: la centralit
della persona stessa delleducatore.
Tale centralit, a sua volta, porta con s la sottolineatura della valenza
etica attribuita alla gura educativa43 e la risonanza esistenziale del suo lavoro. Ogni lavoro sociale esistenzialmente denso, ma questa dimensione
ulteriormente raorzata da un modo di comprendere leducatore in cui
lattore e le vie di azione tendono generalmente allidenticazione.
Non essendoci nulla allesterno che pu rafforzarlo, leducatore, nella riessione attuale, invitato ad assumere su di s delle caratteristiche forti,
non per eludere la complessit o cercare di dominarla, ma per arontare
con strumenti originali lambiguit, contraddittoriet e fragilit dei rapporti umani e delle caratteristiche organizzative nei contesti in cui lavora44.
di l delle previsioni che avevamo fatto allinizio sulla base di semplici intuizioni o di informazioni parziali e/o settoriali, che quello delloperatore
pedagogico, o come lo si voglia denire, risulta essere un settore professionale poco denito e perci complesso e non privo di vere e proprie contraddizioni. () Lo dimostrano i dati, ormai ben noti, relativi alle anagrafi
delle due Regioni, i quali presentano una quarantina di qualiche diverse e
solo in parte sovrapponibili molte delle quali ancora presenti nei campioni
degli operatori che hanno risposto al nostro questionario47.
Nel tentativo di dare ordine al materiale emerso, la ricerca giungeva
allinserimento delle diverse gure, allora esistenti nelle due Regioni, in
cinque raggruppamenti.
Primo raggruppamento: animatore socio-culturale; animatore culturale;
operatore culturale; operatore culturale CSPCR (Centri di servizi e programmazione culturale regionale).
Secondo raggruppamento: animatore del tempo pieno; programmatore
scolastico; psicopedagogista; operatore dei centri ricreativi; operatore educativo-culturale CRSEC (Centri regionali servizi educativi e culturali).
Terzo raggruppamento: bibliotecario; ludotecario.
Quarto raggruppamento: coordinatore dquipe; esperto in scienze
delleducazione; pedagogista.
Quinto raggruppamento: educatore terapeuta; assistente/educatore degli handicappati; vigilatrice dinfanzia e assistente di gioco ospedalieri; pedagogista o educatore sanitario; educatore degli appartamenti.
Accanto alla molteplicit, la ricerca per riconosceva la presenza di una
prospettiva pedagogica comune alle diverse gure, tale da consentire di interpretare la professione delloperatore pedagogico come una professione
unitaria pur nella molteplicit delle sue specicazioni48. Da qui la proposta
di ricondurre le diversit ad una forma di unit, attraverso il potenziamento di una gura dotata di alta competenza pedagogica, applicabile in diverse
realt con modalit dierenti, denibile come operatore pedagogico49, da
formarsi in ambito universitario.
47
45
Scurati agli inizi degli anni 90 scriveva: la ricerca stessa di un fulcro basilare comune della prestazione (e conseguentemente della formazione) il bisogno? il territorio? il
contenuto pedagogico? appare tuttaltro che compiuta. C. Scurati, Leducatore professionale. Una formazione dicile, ma necessaria, in M. Groppo (a cura di), Professione educatore, op. cit., p. 43. Nella stessa pagina egli solleva alcune obiezioni alla proposta delloperatore pedagogico: Le obiezioni critiche a questa impostazione mettono
sostanzialmente in evidenza, questa volta un eccesso di contrazione categoriale, che conduce a tre principali osservazioni:
la restrizione disciplinare alla pedagogia non lascia il dovuto spazio ad altri settori, che
invece hanno avuto ed hanno un ruolo di predominanza nellattrezzatura tecnicometodologica necessaria per ladempimento dei compiti richiesti;
il campo in esame comprende un insieme di compiti, da quelli medico-assistenziali a
quelli clinico terapeutici, che va al di l dellaccezione pedagogica tout court;
lapertura di un ombrello cos vasto apre il varco ad analogie ed apparentamenti
come quello con le professioni didattiche fuorvianti ed, alla ne, poco desiderabili.
51
Centro Studi e Formazione Sociale Fondazione E. Zancan, op. cit., p. 19. (Il corsivo
nelloriginale).
52
Cfr. Ibidem.
46
saper agire in pi campi, grazie ad una base fondamentale di conoscenze teoriche e metodologiche.
Dal punto di vista della cultura metodologica delleducatore, ci ha
comportato il sorgere e il raorzarsi di un principio che si potrebbe denire
di polivalenza.
Leducatore caratterizzato dalla polivalenza, in quanto pu operare in
una gamma variegata di servizi e per questo necessita di possedere un pacchetto di conoscenze di base e di tecniche che gli permettano di arontare
problematiche multiformi e la progettazione di interventi mirati alla specicit dellutenza e del bisogno53.
Lazione delleducatore sembra cos caratterizzarsi attraverso due piani.
Un piano generale comune a tutti coloro che svolgono intenzionalmente un
lavoro educativo, caratterizzato dai saperi fondamentali, sempre validi in ogni situazione. Un piano specico, dierente a seconda dei casi, caratterizzato da conoscenze e metodologie ad hoc.
In quanto esigenza di saper mettere in atto una serie di azioni in situazioni
diverse, il principio della polivalenza porta con s il principio delladesione al
contesto. Diversi autori sottolineano il carattere contestuale del lavoro educativo, con le conseguenti capacit di saper leggere il contesto e di saper interagire
con esso. La professionalit di un operatore come leducatore, nella sua componente di insieme di conoscenze ed abilit per produrre, risulta concernere
non solo quanto leducatore come singola persona conosce e padroneggia direttamente, ma anche ci che in strumenti, abilit e saperi sa reperire e attivare
nel determinato ambiente sociale e sico in cui si trova. Il lavoro diventa il
prodotto della interazione del soggetto con il contesto sico e sociale54.
La prospettiva della polivalenza, inoltre, va a caratterizzare leducatore come gura di sintesi. Alleducatore oggi richiesto di ricomporre le diverse domande e le diverse risorse dei protagonisti e del contesto; di operare una sintesi
della situazione che favorisca nei protagonisti stessi una nuova comprensione
della realt; di ricondurre tutti i suoi interventi ad un quadro organico che sappia dare senso e ragione alle singole azioni.
53
57
49
L. Tosco, op. cit., in AA.VV., La professione di educatore, op. cit., pp. 119-120.
F. Villa, op. cit., in M. Groppo, Leducatore professionale oggi, op. cit., p. 192
61
F. Folgheraiter, Teoria e metodologia del servizio sociale, op. cit., p. 190.
62
Ibi, p. 189.
63
A. Dhers, Indeterminazione e tecnicit nel lavoro sociale, in L. Sanicola (a cura di), Reti sociali e intervento professionale, Liguori, Napoli 1995, p. 346.
60
50
P. Reggio, La progettazione degli interventi di animazione di comunit, in Animazione Sociale, 10/1995, p. 72.
65
J. Huet, Cambiamento, asse portante delleducatore professionale, in LEducatore
Professionale, Maggio-Agosto 1998, p. 13. In merito allimportanza attribuita oggi al tema del progetto, signicativo, ad esempio, notare come un articolo dedicato alla metodologia dellintervento educativo in una Rivista di settore inizi la riessione: Per realizzare
un intervento, anche un intervento tipicamente educativo, nei vari ambiti nei quali gli
Operatori Sociali sono chiamati ad interagire, un primo necessario passo quello di stendere un Progetto, di formulare delle ipotesi di lavoro intese come linee operative da sviluppare, A. Bellizzi, Appunti di metodologia per lintervento educativo, in LEducatore
Professionale, Maggio-dicembre 1995, p. 22.
51
sulleducatore abbia evidenziato la centralit metodologica di una strutturazione consapevole e razionale del proprio agire.
Mentre aerma lesigenza di una strutturazione che dia organicit e
quindi peso sociale al compito educativo, la cultura delleducatore vede
per alcuni rischi. Se infatti il lavorare con un progetto pu contenere quello che Scurati chiama il tradizionalismo sentimentalistico, esso pu a sua
volta generare un mansionarismo impiegatizio, un ingegnerismo progettualistico, un produttivismo tecnologistico66.
A fronte di questi rischi, pi volte, la riessione sulleducatore di professione approda alla considerazione della necessit di non disgiungere il
carattere professionale dalle cosiddette componenti artistiche e artigianali
dellazione educativa. Perci, senza negare lesigenza di una professionalit,
alcuni introducono i termini di mestiere e di artigianato nel tentativo di
mettere in evidenza limportanza della creativit, dellintelligenza del fare,
della capacit di saper leggere una determinata situazione e di saper agire a
misura di essa.
il caso di M. Donati: quando ci si avvicina al mestiere concretamente
nella formazione, o nellincontro con i servizi, colpisce questa capacit di
inventare questo artigianato sociale; vi si trovano soluzioni ideative originali
sia sul piano della risposta ai bisogni dellutenza e sul piano organizzativo,
che negli strumenti di lavoro degli educatori, pur coniugandosi in modo talora visibilmente contraddittorio con la riproposizione, ripresentazione acritica di modelli organizzativi educativi interiorizzati o dalla famiglia o
dalla scuola67.
Allinterno della dialettica tra mestiere e professione, la riessione di
questi anni ha quindi tracciato una gura delleducatore a cui chiesto di
coniugare la capacit di strutturare e tenere insieme le diverse componenti
dellintervento con la capacit di misurarsi creativamente e intelligentemente con le singole situazioni.
66
67
Capitolo terzo
LE LOGICHE DI AZIONE EMERGENTI*
Per ognuna delle logiche, a partire dalla progettazione, si cercher di articolare la riessione in tre passaggi:
A. il nucleo portante
Una logica di azione possiede alcune ragioni dessere, alcune idee fondamentali che concorrono a costituirne un nucleo portante. Quali sono i
signicati che sostengono una determinata logica di intervento? Che rapporto hanno questi significati con il lavoro educativo?
B. i diversi modelli
Ogni logica si declina concretamente in una pluralit di modelli.
C. le principali operazioni
Pur nella pluralit di modelli, comunque possibile individuare un patrimonio comune di operazioni.
3.1. Progettazione
La progettazione costituisce oggi nel campo sociale la principale logica
di lavoro. Una logica che chiede un continuo lavoro di riessivit, anch
non cada nella banalizzazione e non rimanga un mero uso formale delle parole. La progettazione cruciale per chiunque faccia lavoro sociale. Non si
pu non progettare. Eppure pi si legge, si fa, si riette sulla progettazione e
pi si costretti a complessicare1.
* Tratto da: P. Triani, Sulle tracce del metodo, Pubblicazioni dellI.S.U. Universit Cattolica, Milano 2004, pp. 62-137.
1
F. Olivetti Manoukian, Generare progettualit sociale, in Quaderni di Animazione e
Formazione, La progettazione sociale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1999, p. 5. Tutto il
53
A. Orsenigo, Progettare: alcuni nodi critici, in Quaderni di Animazione e Formazione, La progettazione sociale, op. cit., p. 29.
6
Ibi, pp. 32-33.
56
Inne, la progettazione si fa portatrice di una logica di costruzione in situazione: la progettazione risponde invece alla logica del non permanente,
del contingente, dellintervento funzionale alla risoluzione di un problema,
con una dimensione costruttiva piuttosto breve nel tempo7.
A chi progetta chiesto, alla luce di una reale apertura al contesto, di
denire il rapporto tra le diverse componenti e larticolazione delle diverse
fasi. Non si tratta semplicemente di declinare un disegno denito a tavolino, ma di saper gestire un complesso intreccio di soggetti, tempi, risorse. La
progettazione si presenta perci caratterizzata non da una logica meramente applicativa, quanto piuttosto da una logica combinatoria, in cui la forma nale degli elementi in gioco mano ai protagonisti del progetto stesso.
B. I diversi modelli
La progettazione, dunque, un orientamento di fondo che attraversa
tutto il mondo del sociale. Loperatore si confronta con la complessit della progettazione ogni qualvolta deve immaginare o creare un nuovo intervento sociale, gestire o risolvere un problema, cambiare o trasformare una
situazione. Nei servizi si quasi tutti coinvolti in attivit di progettazione:
leducatore nel dover costruire un progetto educativo, il dirigente
nellimmaginare un nuovo intervento sanitario, lquipe nel creare una
nuova modalit di accoglienza degli utenti, il consulente nel riorganizzare
un servizio8.
In questo ruolo di logica fondamentale, la progettazione, ancor pi di altre prospettive, subisce per il rischio di svuotamento e di trasformazione
in semplice parola slogan. Si possono vericare casi in cui si parla di progettazione, senza mettere in conto analisi, confronti, delineazione di propositi
precisi; oppure si aerma di avere elaborato un progetto soltanto perch
una persona ha steso un elenco di azione da compiere. La consapevolezza di
questo rischio ha portato, opportunamente, alla elaborazione di strumenti
di guida per la costruzione dei progetti, dove si indicano gli elementi da tenere in considerazione e i passaggi da compiere.
Ma, dovrebbe ormai essere chiaro, la progettazione non coincide mai
con un semplice elenco di elementi in gioco, in quanto essi diventano pro7
57
12
15
F. dAngella, Per un approccio dialogico alla valutazione, op. cit., in Quaderni di Animazione e Formazione, La progettazione sociale, op. cit., p. 172.
16
Per tutte le tre citazione riguardanti gli aspetti problematici, Cfr. F. dAngella A.
Orsenigo, op. cit., in Quaderni di Animazione e Formazione, La progettazione sociale, op.
cit., p. 61.
60
Progettazione dialogica
Alla luce delle critiche rivolte ai due approcci precedenti, in atto un orientamento culturale che propone una progettazione denita dialogica17. Questapproccio intende la costruzione del progetto secondo una logica non tanto anticipatrice ed ordinatrice, quanto piuttosto relazionale e
concertativa.
In questottica la progettazione intesa come un processo intersoggettivo di ricerca e di costruzione collettiva che avviene mediante scambi, negoziazioni tra pi soggetti18. Alla centralit della pianicazione, o alla
centralit della scomposizione del problema, viene sostituita la centralit
della comunicazione.
Essa richiede il riconoscimento condiviso di una questione, di un nodo,
di un problema: spesso nel riorganizzare un servizio la dicolt di coinvolgere le persone e il fallimento dei progetti dipende dal fatto che il problema non sia sentito e riconosciuto cos importante, essenziale da dover
investire delle energie, delle risorse e del tempo19.
A partire da questo riconoscimento, la comunicazione si declina:
nella costruzione di un signicato comune del problema attraverso il
confronto: la progettazione nel processo di costruzione di un signicato condiviso del problema enunciazione, scambio, inter-azione, conitto tra le diverse mappe, con il grande sforzo di costruire un modo
comune di leggere, comprendere e interpretare il problema20.
nella costante e progressiva riformulazione degli obiettivi attraverso una costante revisione su quanto svolto: lequipe che deve riorganizzare un servizio costruisce un pensiero sulle azioni da intraprendere e attiva costantemente un processo di riessione sulle azioni realizzate. La metariessione
consente di riprogettare gli obiettivi del lavoro. Linter-azione tra pensiero e
azione implica un apprendimento dallesperienza21.
La prospettiva dialogica, in sintesi, intende costruire il progetto secondo
quattro criteri metodologici:
17
61
22
I referenti
Questa seconda dimensione pu essere espressa attraverso la domanda con
chi?. La progettazione sociale chiama in causa sempre una serie di persone: coloro che hanno la responsabilit operativa, ma anche i servizi, le istituzioni e,
soprattutto le persone, i gruppi, le organizzazioni a cui si intende rivolgere
lazione e che si intende coinvolgere. Ci comporta, per chi attua il progetto,
una chiara consapevolezza dei soggetti in gioco e una presa di posizione in merito al valore da dare ai destinatari in quanto i clienti sono rappresentabili
con modelli assai diversi: come soggetti passivi, semplici acquirenti del nostro
prodotto, o come cittadini attivi24.
La ragione fondante (il senso)
Perch si mette in atto un progetto? Per quale ragione si chiede ad alcune
persone di mettere in gioco le loro energie? Ogni progetto costruito in base a
delle motivazioni che possono essere, a volte, molto diverse a seconda dei soggetti protagonisti, perch chiamano in causa in loro orientamento verso la vita.
Chiarire le ragioni fondanti un progetto e cercare di creare una base motivazionale comune risulta, essere un fatto strategico non secondario per una sua
buona riuscita25. Tale base comune, che richiama la questione del senso della
propria partecipazione, non , per, un fatto statico, quanto piuttosto un dato
che chiede di essere sostenuti durante il processo.
il senso di fondo, spesso inconsapevole, che guida od orienta le azioni e
ancor pi i pensieri di chi lavora in un progetto () Con la progettazione di un
intervento sociale possono entrare in contatto, anche in termini conittuali,
visioni, ideologie, sistemi di signicato preesistenti. Il senso di un progetto non
quindi necessariamente dato e condiviso tra i vari attori. Esso lo inuenza e
ne inuenzato. Cosicch un progetto pu contribuire alla costruzione del
senso di un servizio e allo stesso tempo sensato in quellorganizzazione, ma
potrebbe non esserlo al di fuori26.
24
Ibi, p. 103.
I presupposti progettuali sono sempre presenti perch propri di ogni attore sociale,
ma spesso non vengono apertamente dichiarati. La loro esplicitazione utile, invece, ai ni
della chiarezza e coerenza progettuali, favorisce il confronto e precisa lidentit stessa dei
progetti, P. Reggio, op. cit., p. 78.
26
A. Orsenigo, La costruzione delloggetto di lavoro e il modo di trattarlo nella progettazione, in Quaderni di Animazione e Formazione, La progettazione sociale, op. cit., p. 104.
25
63
Scopi e obiettivi
Accanto ad una dimensione motivazionale, la progettazione si caratterizza
per una dimensione che potremmo chiamare nalistica, in quanto chiama causa la questione del verso quale risultato ci si intende muovere.
Secondo P. Reggio, a tal proposito, la progettazione richiede innanzitutto
una esplicitazione dello scopo che ha una formulazione di carattere generale (
la nalit, la meta ultima alla quale il progetto tende, che pu essere raggiunta
anche in tempi che superano il progetto in questione27) e, successivamente
durante la fase pi propriamente denita di programmazione la precisazione
degli obiettivi che rappresentano la declinazione operativa, circoscritta, dello
scopo stesso.
Orsenigo, invece, riconoscendo la necessit di una pregurazione dei risultati, introduce il concetto di prodotto, mettendo in luce la sua dicile denizione nel campo sociale. Se relativamente semplice rappresentare il prodotto
di chi produce beni materiali, assai pi dicile da rappresentare per chi eroga servizi, ossia oggetti in gran parte intangibili: informazione, educazione, integrazione sociale, salute28.
Loggetto di lavoro
La progettazione richiede di lavorare non solo per raggiungere qualcosa, ma
anche di lavorare su qualcosa. Generalmente nel lavoro sociale i contenuti sono
presentati sotto la forma di problemi. Questo termine, tuttavia, chiede di essere utilizzato con attenzione, per non cadere in una prospettiva di azione soltanto orientata sulla carenza e sulla mancanza. Loggetto di lavoro, generalmente, non un dato immediato, perci la progettazione richiede che si
investa sulla sua chiaricazione da attuarsi con un diretto coinvolgimento dei
diversi protagonisti. Esso individuato, o forse meglio, costruito
dalloperatore, in relazione con il cliente e in funzione dei modelli, della routine, della cultura del Servizio, e dellambiente in cui opera29.
27
64
Le procedure
La questione del come30 una dimensione pervasiva; la progettazione infatti nel suo insieme un modo di rapportarsi e di agire sulla realt. Chi costruisce un progetto si trova in realt sollecitato a considerare un triplice piano di
procedure. Vi innanzitutto un piano generale di procedure costituito dallo
schema generale di lavoro (lo richiamer brevemente anche tra poco) con le
sue fasi di analisi, ideazione, strutturazione, esecuzione, conclusione. Vi
quindi il piano caratterizzato dalle procedure che danno concretezza ad ogni
singola fase, vi sono operazioni per lanalisi, per il confronto e cos via. Inne vi
il piano in cui tradizionalmente si pone la questione del come. il piano della
cosiddetta realizzazione, in cui si attuano speciche modalit per lavorare
sulloggetto e raggiungere qualche risultato. La decisione di realizzare, ad esempio, un percorso per i genitori, richiede la precisazione di quale congurazione
dare ad esso e di quali strategie educative mettere in atto.
La costruzione del progetto chiama in causa perci la sensibilit alla questione metodologica, la capacit di articolare un quadro coerente di procedure
proprie delle diverse fasi, di denire, in ordine al campo di intervento, appropriate modalit di azione, di dare concretezza a queste modalit.
Laspetto economico
La progettazione, anche se pu essere svolta con spirito di assoluta gratuit,
ha sempre dei costi concernenti le risorse e la loro gestione. Realizzare un progetto comporta limpegno di valorizzare al meglio i diversi soggetti con i loro
talenti e le loro energie, di valorizzare il tempo, gli spazi, gli strumenti, il budget a disposizione. Vi perci una dimensione, che possiamo chiamare economica, che va ben al di l del dato monetario. Essa concorre a determinare i
limiti della progettazione e richiama gli operatori alla necessit di non separare
i desideri dalle possibilit e dalle scelte, allimportanza di considerare le conseguenze delle azioni in un confronto aperto con la realt.
La riessione e la metariessione
Le dimensioni no ad ora viste possono essere assolte solo nella misura in
cui gli operatori prendono sul serio laspetto cognitivo della progettazione. Per
progettare occorre analizzare, comprendere, denire, scegliere, analizzare e
30
Cfr. M. Maviglia T. Rossetto, Il P.O.F. in azione. Pianicare e progettare nella scuola dellautonomia, Junior, Bergamo 2000, pp. 40-41.
65
comprendere ancora. La stessa fase della realizzazione non un mero momento applicativo, ma un agire che chiede una forte presenza a s e una forte capacit di capire come si sta svolgendo la situazione. Se viene meno la dimensione riessiva, il progetto perde di intelligenza. Non si tratta per solo di essere
riessivi durante lazione o di mettere lintelligenza a servizio dei singoli momenti del processo: occorre che la riessivit degli operatori investa la progettazione nel suo insieme. Nella progettazione dialogica, a tal proposito, si parla
di costante e progressiva riformulazione degli obiettivi alla luce delle azioni.
Essa implica un costante processo di inter-azione tra la costruzione di un pensiero sullazione e lazione. Lquipe che deve riorganizzare un servizio costruisce un pensiero sulle azioni da intraprendere e attiva costantemente un processo di riessione sulle azioni realizzate. La metariessione consente di
riprogettare gli obiettivi di lavoro. Linterazione tra pensiero e azione implica
un apprendimento dallesperienza31.
La centralit della dimensione riessiva conduce allimportanza della valutazione non pi intesa come operazione connessa alla verica nale, ma come
dispositivo organizzativo e formativo che sostiene tutto il processo.
Linter-azione e la comunicazione
Uno dei meriti dellanalisi critica portata avanti dallapproccio dialogico
di avere richiamato il carattere fondamentale dei rapporti e della comunicazione tra le persone nel processo di progettazione. Progettare, nel mondo sociale,
non solo questione di analizzare un dato, denire un problema, prevedere azioni; progettare tessere rapporti, attivare ussi comunicativi con una pluralit di soggetti, entrare in un gioco di potere e autorit. Come la carenza di
riessivit rende il progetto meno intelligente, cos una cattiva cura della comunicazione tra i protagonisti, lascia al caso un aspetto decisivo.
Nella progettazione sociale, inoltre, la qualit del rapporto non solo condizione di funzionamento, ma oggetto stesso di lavoro. ancora nellapproccio
dialogico che si ricorda questo, quando si aerma che: nella progettazione dialogica importante attivare un processo di partecipazione diretta delle persone
e nella valutazione del progetto32.
31
Figura 1: Tratta da C. Hadji, La valutazione delle azioni educative, op. cit., p. 45.
33
Un secondo tratto da A. Orsenigo34 (cfr. Figura 2) ha il pregio di evidenziare accanto alle fasi, la pluralit dei protagonisti della formazione e di
richiamare la funzione di sfondo ricoperta dal senso.
34
Cfr. A. Orsenigo, La costruzione delloggetto di lavoro e il modo di trattarlo nella progettazione, in Quaderni di Animazione e Formazione, La progettazione sociale, op. cit.
68
La progettazione ricopre, sicuramente, una posizione centrale, tra le forme di lavoro degli operatori sociali. Anche il mondo degli educatori ha riconosciuto nella progettazione, nella sua dinamica procedurale e combinatoria,
una logica adeguata al proprio oggetto ed al proprio compito e una forma di
azione capace di rispettare la natura stessa del processo educativo, inteso come processo costruttivo e aperto. Progettare signica disegnare il futuro sulla base della consapevolezza che gli avvenimenti e i fatti del futuro possono
essere determinati anche dalla scelta e dal volere del soggetto; signica esercitare consapevolmente selezione, scelta, creativit e implica il riuto di quelle
posizioni che sono orientate alla meccanica riproduzione di ci che dato
come risultato dellesperienza passata35.
Per quanto riguarda il rapporto tra progettazione e lavoro educativo, siamo in presenza di un dato centrale nella cultura metodologica delleducatore.
La crescente importanza attribuita alla logica progettuale ha reso:
la capacit di progetto uno degli elementi costitutivi dellagire
delleducatore;
la costruzione di un progetto il dispositivo chiave per lorganizzazione del
lavoro educativo.
Una capacit e una costruzione che vedono allargare il loro campo e crescere la richiesta di una maggiora ranatezza operativa:
da una fase iniziale in cui ha sviluppato competenze nella progettazione
educativa si man mano confrontato con il non facile compito di progettare; progettare attivit e servizi, progettare e realizzare interventi nellambito
dei progetti europei e nazionali, progettare interventi integrati con altri interlocutori36.
In ragione dellimportanza rivestita dalla progettazione per leducatore, ad
essa sar dedicato ulteriore spazio nei prossimi capitoli. bene per mettere
subito in luce come lenfasi nellattuale riessione, si focalizzi sul progetto inteso come forma di lavoro delleducatore, con il rischio di impoverire il suo
signicato antropologico ed educativo.
35
3.2. Rete
La nozione di rete, declinata in diverse espressioni non propriamente
omogenee tra loro (lavoro di rete, intervento di rete, terapia di rete37), rappresenta il punto di riferimento di una seconda prospettiva emergente nel
lavoro sociale.
La rete richiama un intreccio tra punti, un insieme di ramicazioni che
collega tra loro vari elementi. Questa idea, per, assume una pi precisa connotazione in correlazione al contesto di uso e in correlazione al fatto che possono esservi diversi modi di intendere sia la natura dellintreccio sia il ruolo
giocato dai singoli punti. Per questo, J. Huguet precisa:
Ogni volta che si parla di rete nel campo delle scienze sociali, la dicolt
maggiore consiste nella necessit di denire di che cosa si tratta. In eetti il
termine rete indica da una parte delle realt spaziali concrete (le reti ferroviarie, stradali, la rete delle poste e delle telecomunicazioni che presentano la
particolarit di essere delimitabili; anche un termine tecnico utilizzato in
matematica, in cristallograa, nel campo dellottica e dellelettricit),
dallaltra il suo utilizzo, per estensione, indica in ambito sociale degli insiemi
di relazioni tra persone che non si incontrano obbligatoriamente nello stesso
momento e nello stesso luogo. Per denizione la rete di relazioni non la si incontra se non attraverso contatti diretti tra alcuni degli individui che la compongono, dunque in maniera sempre frammentata38.
Nel campo delle professioni di aiuto il concetto di rete, in prima battuta,
si declina come rete sociale e richiama limmagine di un tessuto di legami e
relazioni (con altri) in cui lindividuo strategicamente inserito e imbrigliato39. Si usa cos il termine rete per indicare un insieme di legami, dove prevale lorizzontalit e la partecipazione rispetto ad una rigida gerarchia di rapporti, dove prevale una comunicazione pi agile e informale rispetto ad un
37
Ad esempio per intervento di rete si intende nella letteratura specializzata la posizione elaborata dal gruppo canadese guidato da C. Brodeur. In questa nostra riessione
sar utilizzata lespressione lavoro di rete in quanto pi fedele alla logica oggi emergente
nel sociale.
38
J. Huguet, Rete di relazione e realizzazione dellidentit individuale, in Quaderni di
Animazione e Formazione, Lintervento di rete. Concetti e linee di azione, Edizioni Gruppo
Abele, Torino 1995, pp. 17-18.
39
P. De Nicola, Luomo non unisola. Le reti sociali primarie nella vita quotidiana,
FrancoAngeli, Milano 1986, p. 29.
70
usso comunicativo molto formalizzato, dove prevale il senso di interdipendenza e di reciproca necessit tra le parti.
La rete sociale, ed questo laspetto maggiormente rilevante, da semplice
oggetto di lavoro ha assunto il valore di termine di riferimento per indicare
una logica di azione, un approccio culturale e operativo. Da qualche anno ormai in Italia in stretta connessione con levidenza della crisi del welfare state tradizionale si iniziato a mettere a fuoco le potenzialit del cosiddetto
approccio di rete (). Lapproccio di rete pi una forma mentis che un insieme di teorie o di pratiche nuove. Anche pratiche molto tradizionali (cio
non specialistiche) possono essere ricomprese in questottica innovativa, che
si ridenisce pertanto pi per le modalit e le qualit degli interventi piuttosto che per lintervento in s40.
In termini generali, lidea fondamentale dellapproccio di rete pu essere
sintetizzata ancora con le parole di Folgheraiter: lavorare per creare o raorzare dei legami, creare integrazione o opportunit strutturali di comunicazione fra entit (persone, enti, risorse) distinte ma che possono convergere o
riannodarsi verso una azione o tensione condivisa41.
La valorizzazione della rete sociale, intesa come realt di sostegno, interdipendenza, aiuto per le singolarit, ha dato origine ad una prospettiva generale di lavoro di rete che andata ramicandosi in tre direzioni:
Prospettiva di analisi. In questa direzione la rete assunta come categoria
di riferimento per leggere in termini pi vasti e ricchi una determinata situazione42; in particolare si assume il concetto di rete primaria per denire meglio il quadro di un determinato problema sociale.
Prospettiva organizzativa. La rete intesa come una possibile (e auspicabile) forma organizzativa dei rapporti tra i diversi soggetti del lavoro sociale;
forma in cui prevalga la circolarit tra le informazioni, la collaborazione, la
sinergia.
40
F. Folgheraiter, Lavoro di rete e valorizzazione delle risorse sociali, in Quaderni di Animazione e Formazione, Lintervento di rete, op. cit., p. 26.
41
Ibi, p. 32.
42
La rete sociale stata usata sovente come strumento metodologico della ricerca sociale per individuare le reti reali e informali delle persone o delle organizzazioni
nellambiente sociale, J. Novak, La pratica delle reti sociali in Germania, in L. Sanicola (a
cura di), op. cit., p. 335.
71
per poi tracciare soltanto una mappatura, obbligatoriamente parziale, dei diversi modelli e delle diverse operazioni.
A. Il nucleo portante
Parlando della rete L. Sanicola riconosce che nelle diverse elaborazioni
si utilizza il termine rete facendo riferimento a paradigmi distinti, concernenti concettualizzazioni della realt talvolta molto distanti tra loro47.
Lautrice individua le seguenti concettualizzazioni della rete:
Rete come realt puntiforme;
Reti sociali intese come realt sociale che si congura in una relazione di
circolarit tra reti primarie (naturali) e reti secondarie (articiali);
Reti sociali intese come sottosistemi del sistema sociale;
Reti sociali intese come legami signcativi di ego intra ed extra familiari
che svolgono una funzione di supporto per il soggetto;
Reti sociali intese come terzo settore48.
Nonostante questa pluralit, ritiene che la rete sociale abbia alcune caratteristiche, comuni alle diverse posizioni.
La prima caratteristica data dal suo congurarsi in una realt costituita
da legami strutturalmente rilevabili; la seconda consiste nel suo funzionamento che si determina in forza di scambi di natura diversa, fondati sul diritto o sul mercato, ma anche scambi di natura simbolica, che comportano transazioni tra i singoli membri di una rete e tra reti di natura diversa; la terza
data dalla propriet della rete di produrre sostegno nei confronti dei singoli
membri che ne fanno parte, con eetti diversi sul piano materiale, informativo ed aettivo; la quarta data dal carattere di reciprocit degli scambi e
quindi del sostegno da essi prodotti49.
La posizione qui esplicitata dalla Sanicola ci sostiene nel tentativo di enucleare un insieme di signicati, che al di l delle diverse posizioni teoriche,
concorrono a costituire la losoa comune50 dellapproccio di rete; losoa che in termini pi o meno consapevoli, viene richiamata da coloro che utilizzano rete come parola essenziale.
47
74
75
strategia nalizzata non solo a rispondere a determinati problemi, ma ad aprire nella realt in cui si interviene percorsi nuovi di azione58.
B. I diversi modelli
La valorizzazione del concetto di rete sociale, si declina in una pluralit di
modi che vengono, a seconda degli autori, ordinati in modo diverso. Prendiamo in considerazione alcune classicazioni.
Secondo M. Croce la valorizzazione della rete sociale si suddivide in tre
macro-modelli.
Modello egocentrato
Appartengono a questo modello gli interventi centrati su un singolo soggetto59. Questi posto al centro delle relazioni ed considerato il punto cardine per conoscere e sviluppare la rete sociale60. Si tratta di un modello messo
in atto prevalentemente da operatori che utilizzano la rete sociale in senso
terapeutico e di prevenzione secondaria, ed a partire da un caso o da un famiglia cercano di lavorare considerando o coinvolgendo in vario modo le persone che hanno delle interazioni pi o meno signicative con il paziente61.
Modello reti di reti
Questo modello pone al centro dellattenzione la comunit. Si caratterizza per interventi che operano prescindendo dalla specicit del singolo caso,
essenzialmente con lobiettivo di favorire la comunit nel riconoscere e utilizzare le proprie risorse. Ci pu signicare, ad esempio e in maniera un po
troppo sintetica e riduttiva, promuovere capacit e consapevolezza delle potenzialit di una comunit nellarontare i problemi che in essa esistono ()
Oppure, come lala radicale della psicologia di comunit richiama, entrare
58
Intervento di rete quindi, non come ricerca o somma di varie persone, come in alcuni casi peraltro pu essere utile, ma soprattutto come ricerca ed apertura di percorsi. M.
Croce, Il lavoro di rete tra tecnica e partecipazione, in Quaderni di Animazione e Formazione, Lintervento di rete, op. cit., p. 7.
59
Cfr. ibi, p. 8.
60
F. Oliva, M. Croce, R. Merlo, Appunti di metodo per un intervento di rete con approccio egocentrato, in Quaderni di Animazione e Formazione, Lintervento di rete, op. cit., p.
70.
61
Ibi, p. 71. Il modello egocentrato, a sua volta, pu essere distinto in due tipi: tipo terapeutico e tipo psico-sociale. Cfr. ibi, pp. 71-78.
76
nel nodo del potere, dellappartenenza, della partecipazione dal basso, empowerment62.
Modello organizzativo
Croce, in realt, non utilizza questa espressione, ma parla semplicemente
di rete secondaria: i servizi e lorganizzazione, per indicare il centro di questo modello. Esso raccoglie gli interventi che utilizzano il termine rete sociale riferendosi al coordinamento tra gli operatori, oppure al collegamento tra
gruppi e istituzioni o ad una strategia che favorisca le connessioni e
lorganizzazione tra risorse formali ed informali63.
Unaltra classicazione, utile a comprendere la pluralit di modelli, quella proposta da L. Sanicola. Essa parla di quattro indirizzi64.
Indirizzo terapeutico
Considera la rete come una realt curante e curabile65. In questo indirizzo lintervento opera, secondo la Sanicola, principalmente ad un livello di
interazioni e lazione si stabilisce nel corso delle sedute di rete, grazie agli
scambi informativi tra reti diverse che, concepite come sistemi e sottosistemi,
producono interazioni comunicative, scambi nuovi, materiali e affettivi, no
allesperienza catartica della tribalizzazione o delleetto rete66.
Indirizzo organizzativo
In questo indirizzo lintervento mira a congurare un disegno organizzativo a rete tanto delle risorse istituzionali (servizi), quanto delle risorse naturali (rapporti signicativi, aggregazioni, gruppi, ecc.)67. Lazione ha quindi
62
77
68
C. Le principali operazioni
Alla pluralit dei modelli (e quindi anche alla pluralit di oggetti) in cui
pu declinarsi lapproccio di rete, corrisponde una diversicazione degli
schemi di azione e degli strumenti utilizzati.
dicile, perci, denire con precisione uno schema generale comune
valido, ad esempio, sia per chi intenzionato a ristrutturare lorganizzazione
di un servizio, sia per chi intenzionato ad arontare direttamente un problema coinvolgendo la rete primaria.
Esaminando la letteratura specializzata, si pu comunque riconoscere un
nucleo operativo comune, distinguibile in due aree.
In una prima area possono essere raccolti una serie di spunti che concorrono a costituire il lato operativo della forma mentis della logica di rete. Ne
emerge una sorta di stile, sintetizzabile nei seguenti passaggi:
Pensare in rete
Si richiede di pensare il proprio campo di azione non semplicemente come un elenco di problemi, ma come una rete sociale che pu essere valorizzata; richiede di interpretare il problema e la sua possibile soluzione non in
termini isolati, ma allargando lo sguardo alle reti di riferimento.
Pensarsi in rete
La logica di rete chiede un mutamento anche alla comprensione che
loperatore ha del proprio ruolo. Loperatore non fuori da una rete sociale;
egli stesso in rete e la sua azione nodo di un tessuto di legami pi ampio.
Interagire in rete
Non si tratta solo di modicare una comprensione, ma di modicare il
proprio modo di lavorare, innalzando la capacit di interagire con gli altri
operatori, di interagire con le gure coinvolte nellintervento, accrescendo la
loro collaborazione e la loro capacit di aiuto.
In un seconda area possono essere raccolti i due passaggi procedurali che,
al di l dei singoli modelli, accomunano lazione di un operatore che intende
valorizzare appieno le reti sociali.
79
73
L. Sanicola, Lesplorazione delle reti primarie, in L. Sanicola (a cura di), op. cit., p.
123.
74
75
137.
76
77
Cfr. F. Folgheraiter, Teoria e metodologia del servizio sociale, op. cit., pp. 265-339.
Ibi, p. 328-329.
80
81
formale dei progetti educativi vede il lavoro di rete tra i presupposti culturali,
tra le strategie operative, tra gli obiettivi nali, oppure come elemento trasversale a tutto il progetto.
Una maggiore sensibilit culturale verso una costruzione progettuale caratterizzata dalla sinergia, dal coordinamento, dalla collaborazione ha trovato
nella logica di rete un proprio punto di forza. Ne un esempio quanto scritto
in merito ad una esperienza di collaborazione tra C.A.G. Scuola e Territorio
nella Provincia di Brescia.
Se pensiamo alla nostra attivit sociale, sia essa svolta nella scuola, nel
C.A.G. e fra le due realt, parlare di cultura di rete diventa qualcosa di pi
dellintegrazione fra i servizi, fra realt istituzionali. La logica di rete rimanda
ad un intreccio tra Aettivit, Cultura, Struttura, che si carica di significato
in quanto rappresenta il risultato di Visioni che interagendo e integrandosi,
producono innovazione sociale. Il lavoro di rete si congura come azione
consapevole diretta a facilitare le sinergie, i sincronismi tra molteplici poli
formali e informali coinvolti concretamente nel progetto; accanto a questo
lavoro di rete prevede anche un lavoro di supporto a reti gi esistenti e
unazione di estensione della rete83.
Gli educatori non solo sono stati sollecitati a ragionare ed ad agire in una
logica di rete ma, con la loro radicata cultura relazionale, hanno contribuito
ad una sua diusione e ad un suo raorzamento.
Molti educatori in questi ultimi dieci anni, hanno partecipato e in alcuni
casi promosso lavori di rete nei diversi ambiti:
lavori di rete per la soluzione dei problemi dei singoli;
sistemi avanzati di network di servizi;
lavori di promozione della comunit84.
Come si pu notare dalle citazioni riportate, il rapporto tra lavoro di rete
e lavoro educativo attualmente considerato molto importante. Per comprenderne appieno, per, lattuale caratterizzazione, importante riconoscere lesistenza di tre diversi aspetti.
Un primo aspetto nellordine della sensibilit culturale e della consapevolezza sociale. Il lavoro di rete richiama infatti il lavoro educativo allim83
portanza di pensarsi appartenente ad un contesto e di prendere in considerazione lesistenza della rete sociale, come dato e come risorsa.
Sottolinea con chiarezza questo aspetto M. Pollo quando scrive: il lavoro
di rete, infatti prima ancora di essere il collegamento di professionalit e risorse, formali e informali, deve essere la riscoperta dellappartenenza delleducatore, delleducando e della comunit locale ad un unico Noi, strutturato da
una cultura e da linguaggi particolari e che si incarna in reti di comunicazione
denite () Lapproccio di rete richiede alleducatore un cambiamento del
suo atteggiamento. Infatti necessario per prima cosa che egli sia disponibile
ad accettare la parzialit e, quindi, i limiti del suo intervento. Questo signica
la capacit di individuare tutte le risorse che, rispetto ai ni che persegue, sono presenti in un dato tempo e luogo sociale e di attivarle, o pi semplicemente di collegarsi con esse85.
Un secondo aspetto riguarda invece la dimensione organizzativa. Il lavoro
di rete va sollecitando i diversi protagonisti degli interventi educativi a definirsi in termini di non auto-sucienza e di pensare larticolazione del loro
lavoro in termini di sinergia, di articolazione, di creazione di legami positivi.
Si tratta di un aspetto fortemente presente nella cultura delleducatore, sollecitato ormai da pi parti a sapersi mettere in rapporto, a sapere connettere i
diversi soggetti e le diverse risorse.
Questa dimensione organizzativa appare per di non semplice costruzione. Il territorio non un luogo ideale dove tutti sono pronti a collaborare e
spesso leducatore si trova ad operare in situazioni in cui uno dei dati prevalenti proprio il disinteresse. Perci oggi lo sforzo pi forte appare orientato
a ridisegnare in una logica di rete innanzitutto il rapporto generale tra i servizi e gli enti, ponendo in secondo piano una logica di rete per lintervento sul
singolo caso.
Un terzo aspetto riguarda loggetto di lavoro. Lapproccio di rete, soprattutto nella sua declinazione di promozione delle reti primarie, ha in s una
forte valenza educativa. Loperatore di rete, infatti, non soltanto colui che
coordina un lavoro, ma colui che attiva processi innovativi in un gruppo sociale allo scopo di migliorane la qualit di vita. In questottica, parlare di lavoro di rete, signica comprendere in modo nuovo loggetto dellazione educa-
85
tiva: non solo i singoli, ma le reti che sostengono i singoli; non solo i comportamenti, ma le culture di determinati gruppi.
Questo aspetto, per, presenta per leducatore, che opera attualmente, dei
contorni problematici, in quanto la promozione delle risorse di una rete un
ideale che si declina in pratiche tuttaltro che semplici ed omogenee e non
sempre conciliabili con loggetto di lavoro a cui uno stato assegnato. La logica della strada (ma in molti aspetti anche lanimazione), che tra poco sar
descritta, concorre a sostenere in questa direzione il lavoro educativo, in
quanto essa ha la rete sociale come contesto e come oggetto. Ma la logica della strada non chiarisce del tutto il quadro, in quanto resta aperto il problema
metodologico di che cosa signichi, per educatori che operano sulla gestione
quotidiana di singole situazioni allinterno di singoli servizi, non solo tenere
presente la rete primaria, ma promuoverla. Da questo punto di vista necessario innalzare il livello di analisi attraverso ricerche che raccolgono ci che
realmente fa un educatore quando aronta un problema in una logica di rete.
3.3. Empowerment
Nel numero 1/2002 di Animazione Sociale nella sezione dedicata alla
discussione sul lavoro sociale per ben tre volte, in poche pagine, si parla di
empowerment come logica importante per un intervento pi ecace e pi
signicativo.
Bench oggi sia frequente collegare lutilizzo di questo termine con il
mondo della formazione professionale e delle aziende, nel pi vasto campo
dellazione sociale e politica, agli inizi degli anni 60, che il concetto di empowerment ha origine86 ed soprattutto nella psicologia di comunit che il
concetto stato e continua ad essere centrale87.
86
Nella declinazione sociale del suo uso, empowerment, sia che lo si intenda come condizione psicologica di un soggetto, sia come forma di intervento88, ha al centro lidea di un raorzamento del sentirsi capaci di agire e un
rafforzamento della reale possibilit di azione di un singolo individuo, di una
organizzazione, di una comunit. Inteso sia come percorso che come risultato89, esso consiste, per riprendere quanto espresso da Rappaport,
nellaccrescere la possibilit dei singoli e dei gruppo di controllare attivamente la propria vita90.
La comprensione per di questo concetto in campo sociale non priva di
ambiguit. ancora una volta opportuno, a questo riguardo, richiamare Folgheraiter, il quale distingue due modi profondamente diversi di intendere
lempowerment allinterno della politica sociale91. Lo si pu intendere come
strategia passiva e quindi come il lasciare il potere di fare agli interessati,
oppure pu essere inteso come strategia relazionale ossia come il reciproco
potenziamento del potere di azione. La prima strategia centrata sullidea del
lasciar fare ha in s il rischio di essere gravemente ineicace nei confronti di
coloro in cui pi alta la carenza di potere di azione92. La seconda strategia,
invece, pone al centro unazione di supporto che non si sostituisca alle persone, ma attraverso una relazione di aiuto incrementi il senso di poter fare degli interessati93. Nellattuale letteratura del sociale e nel linguaggio degli ope88
Cfr. F. Folgheraiter, Teoria e metodologia del servizio sociale, op. cit., p. 406.
Lempowerment una parola processo-prodotto in quanto d nome sia al processo
percorso per raggiungere un certo risultato, sia al risultato stesso caratterizzante lo stato
empowered del soggetto (i corsivi sono nelloriginale), D. Francescato, Empowerment personale, di gruppo, sociale, in C. Arcidiacono B. Gelli A. Putton, Empowerment sociale,
FrancoAngeli, Milano 1996, p. 18. La letteratura dedicata allempowerment presenta al
suo interno la distinzione tra empowering (per intendere le azioni di potenziamento) e
empowered (inteso come lo stato nale del soggetto che ha acquisito potere di agire).
Allinterno della presente riessione si ritenuto opportuno non entrare nel merito di
questa distinzione ed utilizzare empowerment come parola processo-prodotto.
90
D. Francescato, op. cit., in C. Arcidiacono B. Gelli A. Putton, op. cit., p. 17.
91
Cfr. F. Folgheraiter, Teoria e metodologia del servizio sociale, op. cit., pp. 403-418.
92
In prima impressione verrebbe da dire che lasciar fare le persone buttarle a mare
perch imparino a nuotare sia strategia spiccia ad alto rischio, che pu funzionare di tanto in tanto. Altrettanto spesso, alle persone buttate in acqua, manca il tempo di apprendere qualsiasi cosa, Ibi, pp. 408-409.
93
Ibi 410. Lempowerment attivo un modo che ha lesperto di accostare chi ha un
problema o coloro che gli sono vicini, in virt del quale questi sentono di dovere e potere
89
85
ni assolutamente separati, il lato di colui che sa, dal lato di colui che non sa, il
lato di chi esperto e il lato di chi utente, il lato di chi ha potere e quello di
chi non ne ha. Lempowerment intende potenziare la possibilit di vita e la
capacit di azione dei soggetti, attraverso una strada che integri le conoscenze, le capacit, le energie dei servizi con le risorse dei destinatari.
Ci signica portare avanti una logica di intervento che, mentre non
cieca sulle mancanze, intende operare sulla valorizzazione delle risorse. I valori dellempowerment spingono a promuovere il benessere invece di limitarsi a prevenire la malattia, a identicare i punti di forza invece che catalogare i
fattori di rischio e a incrementare le opportunit invece di ssarsi sui problemi99. In questottica si possono comprendere i gruppi di auto-aiuto, che
la logica dellempowerment promuove.
La valorizzazione delle risorse comporta che il soggetto possa riconoscerle
e possa utilizzarle. In questo senso empowerment signica lavorare per incrementare laccesso alle risorse: si riconosce che nella nostra societ ci sono almeno quattro tipi di potere: la forza, la legge, il denaro e la conoscenza, che
sono distribuiti in modo ineguale tra gli individui e nei diversi gruppi sociali
ed etnici. Al tempo stesso si postula che la persona che si sente impotente,
spesso non riconosce n utilizza le risorse accessibili sia personali che sociali100. Si possono, dunque, distinguere due categorie di risorse: le risorse interne al soggetto e le risorse esterne. Sono esempi della prima categoria: la
motivazione, la capacit di analizzare e risolvere i problemi, la capacit di organizzare lazione, la conoscenza dei dati; sono esempi della seconda, la qualit dei rapporti sociali, la situazione economica, la situazione organizzativa di
una data realt. necessario tenere presenti entrambi i tipi di risorse.
Lesclusiva attenzione, infatti, alle risorse interne rischia di far perdere al concetto di empowerment la sua valenza socio-politica, limitando il concetto di
autonomia che ne consegue alla sola dimensione psicologica.
Non basta accedere alle risorse, occorre avere il potere di trasformarle in
azione. Lempowerment, dunque, ripone al centro lidea di potere come oggetto di lavoro e come dimensione su cui vigilare. Il potere, che la logica di
empowerment intende raorzare nei soggetti, non da intendersi semplicemente con il possesso di qualcosa (sono potente perch ho denaro, ho
99
100
16.
87
conoscenze), ma soprattutto come lavere la forza e la possibilit di fare qualcosa, di agire in un determinato modo.
La forza di fare qualcosa richiede secondo Zimmerman: controllo, consapevolezza critica, partecipazione. Sono tre i concetti fondamentali che strutturano la teoria dellempowerment attraverso i diversi livelli di analisi. Questi
concetti sono il controllo, la consapevolezza critica e la partecipazione. Il controllo si riferisce alla capacit, percepita o attuale di inuenzare le decisioni.
La consapevolezza critica consiste nella comprensione del funzionamento
delle strutture di potere e dei processi decisionali, di come i fattori in gioco
vengono inuenzati e le risorse mobilitate (cio identicate, ottenute, gestite). La partecipazione rimanda alloperare per ottenere risultati desiderati101.
I tre concetti indicati da Zimmerman ne chiamano in causa altri. Operare
per accrescere il controllo, la consapevolezza critica, la partecipazione comporta lagire sullautostima dei soggetti, sullaumento delle competenze personali, attraverso percorsi che pongono al centro la maggiore responsabilizzazione possibile. Ma qui entriamo in una tematica molto spigolosa, in
quanto, se relativamente semplice aermare in linea di principio limportanza di responsabilizzare le persone ed i gruppi, sul piano dei fatti ci pu
declinarsi in una pluralit di forme spesso molto distanti tra loro.
Il potere di azione di un determinato soggetto inoltre non pu essere disgiunto dal contesto di riferimento. Per questo la logica di empowerment non
dovrebbe perseguire una concezione astratta di potenziamento e di autonomia, quanto piuttosto contestualizzare lintervento in rapporto ad una determinata situazione. Lempowerment non pu essere la stessa cosa per adolescenti che lottano per laermazione della propria identit e per cittadini
che lavorano per impedire installazioni pericolose sul loro territorio. () Allo
stesso modo lempowerment pu essere qualcosa di sensibilmente diverso
anche per una stessa popolazione se considerato in contesti diversi102.
Rappaport, come ci ricordano Piccardo e Orso Giacone, per sottolineare
limportanza di tenere conto di tutte le interazioni tra possibili variabili intervenienti nello studio di determinati contesti parla di teoria ecologica di
empowerment103.
101
88
Non sarebbe realistico studiare lempowerment senza considerare anche le dierenze di poteri, i rapporti con i mediatori fra poteri o alcune caratteristiche delle strutture
di potere, M.A. Zimmerman, op. cit., p.19.
105
F. Folgheraiter, Loperatore sociale del welfare mix, in op. cit., p. 22.
106
M.A. Zimmerman, op. cit., p. 10.
107
Cfr. M. Bruscaglioni, M. Capizzi, S. Gheno, Orientamenti operativi per la consulenza al self empowerment, in C. Arcidiacono B. Gelli A. Putton, op. cit., pp. 38-52.
89
viventi (chi vive male), contro la prigionia dello scacco matto () Per vivere
in modo signicativo occorre avere davanti a s un qualche possibile, ritrovare lalba di una nuova vita riprendendo in mano la propria strada e il proprio
destino108.
Lempowerment organizzativo
Con questa espressione si intende in senso generale lazione mirante a
promuovere una innovazione nel modo di operare e di decidere di una qualsiasi realt organizzata. Usualmente per applicata con un riferimento particolare alle organizzazioni lavorative. Ad esempio, in una organizzazione si
devono raorzare le competenze dei lavoratori, mutare gli stili di leadership,
riorganizzare i lavoratori in gruppi autonomi (self empowered work team),
mutare i sistemi premianti in modo che valorizzino sia prestazioni individuali che di squadra; creare sistemi informativi computerizzati che rendano accessibile a tutti le informazioni, ridurre gli strati gerarchici, elaborare valori di
base e un senso di mission condivisi109.
In riferimento al campo delle organizzazioni, la Piccardo distingue due
approcci di empowerment: psico-sociologico e socio-organizzativo110.
Il primo ritiene che operare in una logica di empowerment signichi innanzitutto lavorare contemporaneamente sulle dimensioni individuali e organizzative, anch le persone possano sviluppare contemporaneamente
un sentimento del proprio lavoro e un maggior controllo sulla situazione lavorativa111. Il secondo approccio prende in considerazione il funzionamento organizzativo negli aspetti sociali e tecnici, sia a livello microorganizzativo, che comprende i sottosistemi (le singole unit di lavoro, i meccanismi di integrazione e controllo e in particolare i gruppi di lavoro autonomi) che a livello macro-organizzativo (mission dellazienda, clima, cultura,
sistemi premianti, ecc.)112.
Lempowerment di comunit
Parlando di empowerment di comunit (oppure empowerment di rete o,
in termini pi generici, empowerment sociale) ci si riferisce principalmente
108
90
allazione collettiva per il miglioramento della qualit della vita nella comunit e alla connessione tra organizzazioni e agenzie della comunit113. Il potenziamento della comunit114 si articola in diverse strade: il lavoro con le reti
primarie, la promozione delle sinergie fra i diversi soggetti della vita sociale, la
cura e lo sviluppo delle strutture, dei mezzi, dellorganizzazione di un determinato territorio. Come ha notato Zimmerman, lempowerment organizzativo e comunitario non si riduce allaggregazione di pi individui a loro
volta empowered, ma include anche lattivazione di alcuni fattori di contesto
che accrescono le opportunit di empowerment individuale115.
C. Le principali operazioni
La declinazione operativa dellempowerment, ha raggiunto, almeno nel
nostro paese, forme di strutturazione molto diversa a seconda dei campi di
intervento. Accanto a proposte di Self-empowerment (soprattutto nel campo
lavorativo) articolate su specici passaggi, si trovano proposte in cui
lempowerment posto sostanzialmente come valore di riferimento.
La logica dellempowerment appare principalmente come un orientamento di fondo, che prende forma concreta nei diversi livelli di intervento, attraverso dispositivi e strategie diversicati116. Per questo, non facile individuare con precisione un insieme di operazioni che concorrano a costituire una
sorta di struttura di base comune ad ogni lavoro che voglia denirsi di empowerment.
Si pu registrare, invece, innanzitutto la presenza di alcune indicazioni orientative generali, che si ritiene importante siano tenute presenti nel lavorare
secondo una logica di empowerment. Si possono considerare tali le quattro
113
91
Figura 3, tratta da M. Bruscaglioni, M. Capizzi, S. Gheno, Orientamenti operativi per la consulenza al self empowerment, in C. Arcidiacono, B. Gelli, A. Putton, Empowerment sociale, op. cit., p. 42.
92
117
E.R. Martini, Ricerca partecipata e sviluppo di comunit, in C. Arcidiacono B. Gelli,. A. Putton, op. cit., 209.
118
M.A. Zimmerman, op. cit., p. 11.
119
M. Bruscaglioni, M. Capizzi, S. Gheno, op. cit., in C. Arcidiacono B. Gelli A.
Putton, op. cit., p. 39.
120
M. Colombo, op. cit., p. 64.
93
re il lato umano, per dare dimensione concreta a tutti i progetti che puntano al rilancio della qualit totale121.
Per quanto riguarda, per, lapplicazione operativa e la concretizzazione in
speciche forme di azione di questa logica nellambito della professione educativa, lattuale letteratura si presenta ancora piuttosto rada.
Il richiamo allempowerment assume generalmente il ruolo di orientamento generale per il progetto e di senso globale dellintervento. La spiegazione di questo fenomeno pu essere individuata in almeno due ragioni.
La prima consiste nel fatto che il lavoro educativo generalmente pensato,
da coloro che cercano di attuarlo, come lavoro di promozione e potenziamento. Da questo punto di vista, la parola empowerment, in qualche modo, percepita come un raorzativo del senso generale dellazione educativa ed, in eetti, i signicati portanti della logica in questione presentano una forte assonanza
con diversi temi centrali nella pedagogia contemporanea (lattivismo, la motivazione, le competenze). Per questo sembra quasi che la declinazione specifica dellempowerment da parte delleducatore appaia non necessaria, in quanto
ogni azione educativa che voglia essere realmente tale in fondo una azione
mirata al rendere i destinatari pi autonomi, pi responsabili, pi forti.
La seconda ragione consiste nel fatto che il lavoro quotidiano delleducatore ha molto spesso a che fare con situazioni fortemente segnate dalla
debolezza di soggetti depowered. In rapporto a questo contesto come se
si generasse una sorta di resistenza culturale nellutilizzare la parola empowerment in quanto essa appare troppo intensa rispetto agli obiettivi che si
ritengono realmente raggiungibili.
Chiaramente queste ragioni sono qui solo accennate e richiederebbero
unanalisi pi dettagliata. Al di l, per, di una modellistica operativa ancora poco denita, resta evidente che la logica dellempowerment si presenta,
sempre di pi, come una sollecitazione importante per il lavoro educativo,
per muoversi nella direzione di una maggiore attenzione alle risorse e alla
forze dei soggetti in educazione.
121
P. Brustia N. De Piccoli, Percorsi identitari ed empowerment sociale, in Animazione sociale, 10/1996, p. 64.
94
4.4. Strada122
La strada, il viaggio, lavventura non sono temi nuovi per i giovani, per chi
lo stato, e per chi continua ad esserlo () Ci che appare nuovo ed assolutamente interessante almeno per quanto riguarda il crescente interesse
che tale fenomeno sta assumendo nel nostro paese invece pensare la
strada come luogo di intervento sociale con le dimensioni, la diusione,
linteresse, la ricchezza di esperienze e le aspettative che tale pratica sembra
assumere123.
Anche sulla strada come luogo e forma di educazione e, soprattutto, sul lavoro di
strada esiste ormai una letteratura abbastanza ampia, in cui sono arontate questioni anche molto speciche, come la valutazione del lavoro e la dimensione organizzativa. Per un
primo approfondimento si rimanda a: Quaderni di Animazione e Formazione, Il lavoro di
strada, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995; Quaderni del Centro nazionale di documentazione ed analisi per linfanzia e ladolescenza, Dossier Monograco: In strada con
bambini e ragazzi, Pianeta Infanzia Questioni e Documenti N. 12, Istituto degli Innocenti, Firenze, 1999; L. Regoliosi, La strada come luogo educativo. Orientamenti pedagogici sul
lavoro di strada, Unicopli, Milano 2000.
Nel contesto del presente lavoro si intende mettere in luce solo i caratteri generali: per
dare una prima idea in merito alla nozione di strada e al lavoro di strada come logica di azione.
123
M. Croce, La strade nel mito e il mito della strada, in Quaderni del Centro nazionale di documentazione ed analisi per linfanzia e ladolescenza, Dossier Monograco: In strada con bambini e ragazzi, op. cit., p. 62 e p. 64.
124
L. Regoliosi, La strada come luogo educativo, op. cit., p. 41.
125
Per una prima sguardo storico sul lavoro di strada oltre ai volumi gi richiamati si
veda anche F. Santamaria, Il lavoro di strada, in Animazione Sociale, 6-7/1998, pp. 3344.
95
126
96
131
98
138
100
B. I diversi modelli
Come ci ricorda Santamaria: Seppure non si sia ancora approdati a una
modellizzazione condivisa, disponiamo di una serie di tipologizzazioni signicative per un primo bilancio delle esperienze di lavoro di strada. Si
tratta di modelli di lettura che incrociano condizioni di agio (benessere) e
di disagio o devianza, nonch processi educativi e preventivi, sui quali le opinioni scientiche non sempre convergono, ma che rappresentano lo
sfondo teorico e concettuale cui le tipologie sono strettamente correlate140.
Senza nessuna pretesa di coprire lattuale panorama, suciente alla
scopo (introduttivo) del nostro lavoro richiamare tre posizioni che concorrono a delineare un quadro sucientemente esaustivo della prassi in corso.
La prima quella di R. Maurizio, che ha elaborato una classicazione
individuando quattro diverse centrature141.
Interventi centrati sulla prevenzione
Questi interventi, diusi nelle esperienze italiane, si caratterizzano per
una particolare attenzione agli adolescenti e ai gruppi naturali (alle bande
e alle compagnie) e alle tematiche della comunicazione, dellanimazione del
tempo libero nel caso della prevenzione del disagio ed una maggiore attenzione ai singoli adolescenti che, per varie ragioni, vengono identicati come
soggetti particolarmente esposti al rischio di intraprendere una carriera di
emarginazione e/o deviante142.
Interventi centrati sulla devianza e sullemarginazione
In questo caso lattenzione focalizzata sui soggetti che vivono ai margini della societ: senza ssa dimora, tossicodipendenti, giovani che si prostituiscono o che infrangono la legge143. Si interviene per ridurre soerenza e rischi e, quando possibile, per mettere in moto processi di recupero.
140
101
144
Ibidem.
Ibidem.
146
Cfr. M. Croce, Tra la via emilia e il Sert, in Animazione Sociale, 8-9/1997, p. 22.
147
Ibidem.
148
Cfr. Ibidem.
145
102
Filone educativo
Croce con questo lone si riferisce agli interventi focalizzati sullarea del
disagio e della devianza minorile.
Tale approccio, che si muove anchesso sulla base di una critica dei tradizionali interventi nei confronti della devianza e del disagio minorile, si
dierenzia dal primo [lone ecologico] per una precisa denizione (o accettazione) di chi il destinatario dellintervento e dal secondo [lone
pragmatico] per il riuto di modelli riduttivi che non pongono lobiettivo
principale di favorire anche il cambiamento di situazioni suscettibili di evoluzione149.
Su pi piani si muove inne il terzo tentativo di classicazione che esaminiamo, quello elaborato da Regoliosi. Egli, allinterno di un percorso di
ricerca, ha proposto innanzitutto una distinzione ipotizzando lesistenza di
due dierenti setting: il lavoro di strada ed il lavoro di territorio. Nel primo
caso loperatore interviene nei luoghi pubblici informali agendo in assenza
di un contratto relazionale predenito e tra i suoi compiti vi dunque, soprattutto la costituzione di un setting che dia legittimit al rapporto150. Il
lavoro di strada, a sua volta, si caratterizza per quattro forme speciche:
gli interventi di riduzione del danno;
leducazione di strada;
lanimazione di strada;
la rilevazione di strada.
Nel secondo caso loperatore, pur agendo in luoghi informali, fa costante riferimento alle sedi formali dei servizi e opera in base ad un mandato formale sia nei confronti delle istituzioni, sia nei confronti dellutenza,
il che gli consente di denire un preciso setting n dalle prime fasi del rapporto151. Questo lavoro di territorio si declina in due tipologie di intervento:
leducativa territoriale;
lanimazione di territorio e di comunit.
La distinzione tra lavoro di strada e lavoro di territorio, nel corso della
ricerca, stata sottoposta a diverse critiche. Per queste ragione Regoliosi
149
Ibidem.
L. Regoliosi, La strada come luogo educativo, op. cit., p. 60.
151
Ibidem.
150
103
152
Ibi, p. 62.
Cfr. ibi, p. 63.
154
Ibi, p. 64.
155
Ibi, p. 65.
153
104
C. Le principali operazioni
Anche il lavoro di strada, sebbene si articoli al suo interno in diverse tipologie, andato, in questi anni caratterizzandosi, attraverso
lindividuazione di una serie di passaggi operativi che costituiscono quasi
una struttura base dellintervento. Gi nel 1994, nella Carta di Certaldo
possiamo leggere: i progetti di lavoro di strada nascono per conseguire finalit dierenti, sia rispetto al target a cui sono rivolti che rispetto
allobiettivo che si preggono. () Pur tenendo presenti queste dierenze
stato messo in evidenza che esistono delle modalit comuni
nellimpostazione e nello sviluppo di questi progetti156.
Facendo tesoro delle diverse Carte e delle ricerche di diversi autori,
limpostazione del lavoro di strada pu essere declinata in una serie di passaggi.
Mappatura e ricognizione
Il lavoro di strada, innanzitutto, richiede una conoscenza dellambiente
considerato nei vari livelli: economico, sociale, urbanistico, ecc. tramite attivit di ricerca intervento, osservazione partecipante, raccolta di biograe
di vita157. Si tratta perci di realizzare una mappatura del territorio (definendo il prolo territoriale, demograco, economico, istituzionale, dei servizi158), dei gruppi delle relazioni.
Alla mappatura si accompagna un lavoro di osservazione-ricognizione
sul campo, allo scopo di denire meglio il target dellintervento, la sua
cultura e le sue abitudini. Si tratta di una osservazione sul campo; per questo, gi da questa fase, leducatore entra in relazione con il territorio e cerca
di acquisire condenza con esso.
Contatto e approccio con i destinatari
Il lavoro di strada richiede, successivamente, un contatto con i destinatari al ne di creare le condizioni per linserimento e laccettazione da par-
156
te dei singoli e dei gruppi con cui si deciso di lavorare159. Come ricorda la
Carta di Certaldo: le modalit di contatto e di presentazione possono avvenire in base a precise richieste degli utenti, oppure per iniziativa degli operatori con comunicazioni dirette o mediate da iniziative di animazione.
() Risulta immediata limportanza di esplicare e chiarire il proprio ruolo,
denendo ci che si e ci che non si , con la propria presenza, lesserci,
ma anche grazie al proprio fare160.
La modalit dellapproccio deve essere dunque orientata, come sottolineano gli operatori stessi, a creare una relazione signicativa e un clima di
ducia per potere arrivare ad un progetto comune.
Strutturazione stabile
Il passaggio successivo quello della proposta che pu concretizzarsi attraverso diversi tipi di progetti. Gli autori del volume Strada Facendo elencano i seguenti microprogetti:
per gli aspetti del tempo libero: aumentare la capacit organizzativa, diversicare le attivit da fare;
per lautopercezione di s: fermare lautoidenticazione come persone
devianti, arrestare lisolamento del target, aumentare la capacit di maturare scelte;
per i rapporti di rete: aumentare le relazioni del target con lesterno, creare identit, accettare e valutare le dierenze;
per i rapporti con le istituzioni: aumentare i rapporti con i servizi;
per il rapporto con leventuale uso di sostanze: favorire un atteggiamento critico sulla droga-spaccio, modicare latteggiamento nei confronti
del denaro, aumentare la conoscenza e quindi la consapevolezza sulle sostanze161.
Distacco
Unultima fase quella del distacco. Si tratta, da parte delloperatore, di
concludere uno specico intervento o, comunque, di muoverlo verso nuovi
obiettivi, cercando di evitare che si crei una eccessiva identicazione tra una
determinata realt e un determinato gruppo di operatori.
159
162
4.5. Animazione
Analogamente alle altre parole prese no ad ora in esame, anche il termine animazione non si sottrae ad un gioco di interpretazioni molto variegato. Occorre perci fare subito una prima precisazione: il termine animazione sar qui assunto avendo come contesto di riferimento il lavoro sociale
e principalmente quello italiano.
Anche nella cultura italiana del sociale, per, la parola animazione si
presenta con un doppio volto, in quanto pu contemporaneamente indicare nella mente degli operatori, degli amministratori, degli studiosi, qualcosa
di molto debole e qualcosa di molto forte.
Nella sua accezione debole, lanimazione circoscritta alle attivit connesse al semplice divertimento e considerata, rispetto allintervento socioassistenziale o socio-educativo nel suo insieme, meno decisiva, meno nobile,
meno impegnativa.
Nella sua accezione forte, invece, intesa come unazione sociale di
promozione umana e di coscientizzazione personale e comunitaria165. Intesa in questo modo, lanimazione si trova in stretto contatto con la nozio-
164
ne di educazione, dando origine cos ad un problema di distinzioni e di rapporti reciproci di non facile soluzione166.
Nella presente riessione, lanimazione viene presa in considerazione
nella sua accezione forte di azione sociale, intendendola come quellinsieme
organizzato e progettualmente co-costruito di azioni che, avendo come finalit ultima la promozione della signicativit delle persone, mira ad accrescere la vitalit, lespressione dei singoli, la partecipazione, la soggettivit
culturale delle persone, dei gruppi, delle organizzazioni, attraverso interventi di carattere espressivo, culturale, ludico, ricreativo, in una logica di
crescente coinvolgimento167.
Come si pu intuire, e come si potuto notare pi volte nel corso del
questo capitolo, lazione animativa presenta diversi punti di contatto e di
intreccio con le prospettive di intervento viste precedentemente. Credo,
per, nonostante questo, sia lecito e opportuno riconoscere nel termine animazione una logica specica di intervento sociale, che opera in sinergia
con le altre. La specicit data dal fatto che parlare di animazione come
pratica sociale signica accentuare determinati signicati e operare attraverso una precisa struttura metodologica.
A. Il nucleo portante
Se c un elemento su cui tutte le attivit di animazione, nonostante le
profonde dierenze, convergono, quello della tensione verso la liberazione della persona. Non importa poi se alcuni pensano a questa liberazione in
termini politici, altri in termini creativi e psicologici e altri ancora in termini trascendenti. Limportante la liberazione della persona umana da quei
condizionamenti che ne limitano la realizzazione e la capacit di governo
della propria esistenza individuale e collettiva168.
La passione verso la liberazione della persona pu essere considerata sicuramente come una caratteristica fondamentale dellanimazione, ma, co166
110
Lanimazione viene, in questottica, pensata come opera di coscientizzazione, essa mira anzitutto a far prendere coscienza allindividuo, a coscientizzarlo, per impiegare un termine caro a Paulo Freire, in virt di un accostamento autentico a realt signicative173.
Un altro signicato fondamentale della logica animativa riguarda la valorizzazione dellespressivit delluomo. Animare signica perci cercare di
potenziare la capacit del soggetto di dire la vita, di dare un nome alle cose, operare per far esprimere le persone attraverso la pluralit di forme di
comunicazione e linguaggi che luomo possiede ed ha costruito; signica
promuovere e raorzare, attraverso lattivazione, la soggettivit culturale. Il
concetto di attivazione essenziale per lAnimazione che punta a far muovere, rendere protagonista, far costruire allutente. La produzione non riguarda lanimatore, ma lutente. Lanimatore non fa ma fa fare174. Si tratta perci di una attivazione strettamente connessa al concetto di esperienza:
Lanimazione fa suo il principio del fare proposte facendo fare esperienze.
Il principio dice la necessit di operare sempre in modo concreto e rispettoso della sperimentalit delle proposte, facendo quasi toccare con mano i
contenuti a cui sollecita dal punto di vista sia socializzante che educante e
dunque dal punto di vista sia della loro acquisizione che della personale e
creativa rielaborazione175.
Lanimazione intende prendere sul serio la capacit di ogni uomo di elaborare cultura, anch la produzione culturale non sia pi intesa come
esperienza privilegiata, fatto straordinario o appannaggio di alcune minoranze, ma come unesperienza che pu vivere ciascuno e come compito che
devono avere tutti176. Si tratta di promuovere una capacit di signicare il
mondo non in termini autoreferenziali, ma con uno sguardo che, consapevole del proprio terreno culturale, si apra sempre verso orizzonti pi ampi.
Scrive a questo proposito Floris: lanimazione si esercitata come luogo di
dibattito culturale tuttaltro che astratto, teso sempre a lottare dalla parte
173
Ibi, p. 25.
G. Contessa, Lanimazione, CittStudiEdizioni, Milano 1996, p. 59.
175
F. Floris, Il processo di apprendimento esperienziale, in Quaderni di Animazione e
Formazione, Lanimazione con gruppi di adolescenti, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995,
p. 45.
176
C. Laneve, Lanimatore, in C. Scurati (a cura di), Volti delleducazione, op. cit., pp.
107-108.
174
111
F. Floris, Quando si pu parlare di animazione?, in Quaderni di Animazione e formazione, Lanimazione socioculturale, op. cit., p. 148.
178
C. Laneve, op. cit., p. 107.
179
M. Pollo, La mappa dei concetti dellanimazione, in Verso un documento di base
dellanimazione, in Animazione Sociale, 5/1998, pp. 48-49.
180
Per un approfondimento sul ruolo educativo del gruppo nella prospettiva
dellanimazione cfr. M. Pollo, Il gruppo come luogo di comunicazione educativa, Elle Di Ci,
Leumann 1990.
112
una storia, lo sostiene nel suo cammino identitario, e, inne, gli ore un
principio di senso181.
Lanimazione, ponendo al centro la capacit di partecipazione, intende
non solo far partecipare i soggetti, ma, in termini ancora pi forti, rendere i
soggetti partecipi di un progetto condiviso, attraverso lesercizio del dialogo.
Vi una espressione molto signicativa di Freire a tal proposito. Egli, parlando, del dialogo scrive poich un incontro di uomini che danno un
nome al mondo, non deve essere elargizione degli uni agli altri. un atto di
creazione182.
Inne lanimazione si presenta con i tratti della divergenza e della provocazione. Essa, infatti, ha come suo carattere peculiare quello di presentarsi
come azione che mira a suscitare nuove energie, nuove interpretazioni, che
sollecita ad assumere nuovi linguaggi, che spinge ad accostarsi alla realt attraverso forme pi attive e creative e spesso inusuali per i soggetti coinvolti.
in rapporto alla forza di provocazione e di rendere diverso, provocante, stimolante, lapproccio alla realt che va compresa la curvatura di
divertimento che la pratica animativa generalmente assume e la connessa
valorizzazione del gioco. Parlare di divertimento non signica semplicemente distrarre, far riposare la mente, ma piuttosto divertere laccostamento
che il soggetto ha ad una realt, per accendere in lui interesse e curiosit,
per provocare nuove comprensioni e nuove azioni183. Appare chiaro allora
perch lanimazione dia tanta importanza alle forme ludiche, in quanto il
gioco permette al soggetto di entrare nella realt da un altro lato, di approdare ad una dimensione che non toglie dalla vita, ma permette di accostarla con linguaggi, schemi, dinamiche diverse. M. Pollo, a tal proposito,
dopo avere riconosciuto al gioco le qualit particolari di graticazione e di
gratuit, ne ricorda quattro funzioni fondamentali:
lampliamento delle possibilit;
181
184
Cfr. M. Pollo. Il gioco come luogo di animazione, in Quaderni di Animazione e formazione, Lanimazione socioculturale, op. cit., p. 163; pp. 166-167.
185
G. Carpi, Giocaperch Giocaquando, Elle Di Ci, Leumann, Torino 1996, pp. 30-31.
114
186
F. Floris, Dove va lanimazione socioculturale?, in Quaderni di Animazione e formazione, Lanimazione socioculturale, op. cit., p. 8.
187
Ibidem.
188
Ibidem.
189
Ibi, p. 9.
190
Ibi, p. 9.
115
Presenta alcune dierenze la classicazione proposta da M. Pollo, il quale sembra utilizzare un diverso criterio, ponendo maggiore attenzione non
tanto ai principi prevalenti, quanto invece al retroterra culturale che sostiene le diverse tipologie di animazione. Non a caso egli scrive: in Italia non
pu esserci una sola storia dellanimazione per la ragione prima detta della
presenza di una pluralit di lingue e di culture che fondano i molti modelli
attraverso cui lanimazione si esprime nella vita sociale191. Egli individua
sei modelli.
Animazione teatrale
Rappresenta un modello molto forte nel periodo iniziale del movimento dellanimazione e ha al centro la valorizzazione dellespressivit, principalmente attraverso il linguaggio teatrale. Questo tipo di animazione, nato
sotto il segno della liberazione dellespressivit e della fantasia attraverso la
festa e il gioco, andato progressivamente estendendosi ai problemi della
vita quotidiana e del territorio192.
Animazione socio-culturale
Secondo Pollo questo modello stato ben rappresentato dalla rivista
Animazione Sociale quando aveva sede a Milano e dal suo fondatore Don
Aldo Ellena. Lanimazione qui intesa principalmente come una pratica
sociale liberatrice che si avvale, oltre che dellazione del territorio, delluso
dellazione psicosociale per promuovere la capacit espressiva delle persone193.
Animazione culturale
il modello a cui dichiara di appartenere lo stesso Pollo e che fa capo alla rivista Note di Pastorale Giovanile. Lanimazione culturale secondo
questa accezione una vera e propria teoria educativa fondata su concezioni losoche-antropologiche, su un metodo validato e su una strumentazione particolare194.
191
116
195
Ibi, p. 31.
Ibidem. Evidentemente la critica di Pollo allanimazione turistica chiede si essere
collocata (e eventualmente contro criticata) nel quadro della teoria dellanimazione
dellautore in questione.
196
117
118
Cfr. M. Pollo, La funzione dellanimatore, in Verso un documento base sullanimazione, in Animazione Sociale, Maggio 1998, p. 65 e p. 68.
200
Anche nel pi volte citato Verso un documento di base dellanimazione si parla di
trama esistenziale. Cfr. ibi, p. 55.
119
rare a dare forma (comunicabile) ai signicati che incontrano e che elaborano. Egli stimola lespressione e la signicazione attraverso lattivazione di
diversi canali espressivi, attraverso la costruzione e la realizzazione di progetti, attraverso laccompagnamento nella fatica di trovare le parole. In
questa prospettiva, lanimatore ha ducia nella possibilit di ognuno di essere generatore di forme di senso, di essere capace di dire (e balbettare) la
vita.
La terza operazione far partecipare/rendere partecipi. Lanimazione si
compie facendo in modo che le persone mettano in comune il loro modo di
vedere, di agire, di elaborare il loro rapporto con il mondo. Sottolinea questa operazione Floris quando scrive: lanimazione evoca unimpresa collettiva, un qualcosa che viene progettato e organizzato insieme, in cui ognuno
possa esprimere se stesso dentro un sentire comune201.
A queste tre operazioni ne va aggiunta unaltra che si colloca in una posizione, si potrebbe dire, trasversale. Essa connessa alle dimensioni della
provocazione e del divertimento sopra esposta, e pu essere sintetizzata
attraverso la formula del provocare. Ogni animazione ha un oggetto di lavoro (si concretizza attraverso un fare qualcosa) che connesso ai signicati
che si intende esprimere e promuovere. Nel suo processo attuativo,
lanimazione comporta sempre una provocazione alloggetto. Fa questo
lanimatore turistico quando dice ora che siete caldi impariamo una nuova
danza!, lo fa lanimatore educativo quando al gruppo di adolescenti propone di costruire delle maschere, oppure di realizzare un laboratorio teatrale nel quartiere, o agli adulti di fare un gioco sulla comunicazione
Nellanimazione tramite la provocazione si cerca di creare un rapporto tra i
soggetti e il signicato che chiede di essere elaborato, espresso, attuato.
lincentivare non solo una esecuzione ma una signicazione. In questo
senso lanimatore colui che stimola, che chiama fuori, che invita verso.
La provocazione non viene necessariamente dopo la vitalizzazione o dopo
le altre operazioni. Essa pu essere momento a parte, oppure continua. Per
questo pu essere intesa come trasversale alle altre tre.
201
c) Il movimento verso di s
Il metodo dellanimazione si realizza in modo peculiare nella misura in
cui lanimatore, mentre realizza le azioni sullesterno, mette in atto anche
delle operazioni che hanno come oggetto il proprio comportamento. Vi
dunque un movimento verso s, strettamente connesso al movimento verso
lesterno. Esso appare come decisivo nellanimazione educativa.
Nel processo animativo, la vitalizzazione e la sensibilizzazione rimandano
allimportanza che lanimatore stesso attivi la sua sensibilit, tenga continuamente accesse le proprie antenne. Possiamo chiamare questa operazione: essere attento o porsi in attenzione. Il processo cresce se loperatore dellanimazione,
mentre cerca di creare un contesto vitale, mette in atto una continua attenzione a ci sta accadendo, a ci che egli percepisce, prova, comprende. Questo gli
permette di adattare la sua azione, ma anche di prendere pienamente parte a
ci che si sta svolgendo.
La provocazione comporta nellanimatore loperazione del lasciarsi provocare egli stesso da ci che intende proporre e da ci che emerge. Il lato attivo di questa operazione landare in profondit e guardare la realt con
occhi creativi202, ossia interrogare ed elaborare radicalmente ci che prende
vita dal processo e ci egli che vuole porre allattenzione degli altri. Per poter muovere la supercie e spingere oltre, altrove, dentro, lanimazione
chiede alloperatore di essere uomo di profondit e di creativit.
Il promuovere la parola e il rendere partecipi si coniugano dal lato
dellanimatore in tre operazioni: il dare un nome, il mettersi in gioco, il lasciare spazio.
Mentre cerca di promuovere le persone nel cammino di signicare, ossia di esprimere ed elaborare ci che si vive, si desidera, si incontra, si comprende, si costruisce, lanimatore stesso sollecitato a vivere la fatica e la
bellezza dellesprimersi e di dare un nome. Mentre cerca di attuare una reale partecipazione dialogante, lanimatore stesso sollecitato (pur nella diversit) a non essere solo il regista, ma a prendere parte (il che non vuol dire
necessariamente mettere mano) a ci che si sta realizzando. In questo mettersi in gioco, per, solo il lasciare spazio allaltro, ai suoi tempi, ai suoi
202
Questultimo punto dedicato alla creativit non era presente nel saggio a cui si sta
facendo riferimento.
121
segni, ai suoi silenzi che salvaguarda dal rischio del protagonismo e della
manipolazione.
La descrizione del movimento verso s conclude la presentazione della
struttura del metodo schematizzata nella gura 4.
Figura 4: Tratta (con una leggera modica) da P. Triani, Ipotesi sul metodo dellanimazione, in Quaderni di Animazione e formazione, Lanimazione socioculturale, op. cit., p. 184
122
Figura 5
124
Capitolo quarto
I CONTESTI EDUCATIVI*
dorigine, il rispetto per i diritti del bambino, lintegrazione nella comunit locale. Le cause di ingresso hanno invece subito una signicativa evoluzione. A differenza di alcuni decenni fa, quando le condizioni socioeconomiche disagiate delle famiglie rappresentavano il motivo principale per
cui i genitori inviavano il glio in unistituzione, oggi questa causa non
pi prevalente. Il miglioramento delle generali condizioni sociali e gli interventi alternativi di sostegno (sussidi, assistenza domiciliare) rendono
sempre pi raro questo fenomeno. Tuttavia, restano pi di 40.000 minori
istituzionalizzati. Per quali cause?
Lincapacit dei genitori a provvedere ai gli dal punto di vista psicologico e morale, non strettamente economico, messa in primo piano nelle statistiche. Si tratta di bambini maltrattati, o trascurati, la cui famiglia
non ore garanzie sucienti. Vi sono casi di crisi familiari, di dissidi gravi
tra genitori o di famiglie monoparentali. Tossicodipendenza e Aids hanno moltiplicato il numero dei bambini che hanno dovuto essere ospitati
in. una comunit. Inne, esistono ancora i bambini internati per cause
economiche: sono i gli di genitori immigrati, costretti , a separarsi da loro per mancanza di alloggio, lavoro, mezzi di sostentamento.
Nellambito, del progetto Politiche dellinfanzia, il Consiglio dEuropa
ha enumerato tra gli altri i seguenti diritti di cui devono godere i bambini
nelle strutture di accoglienza:
diritto allammissione motivato da necessit assoluta e non da situazioni
di rischio;
diritto di mantenere legami con la famiglia;
diritto al rispetto della specicit culturale e religiosa;
diritto ad una reintegrazione riuscita il pi presto possibile.
In realt, quelli che vengono enumerati come diritti implicano una
problematica molto pi complessa, a cominciare dal problema del mantenimento dei legami con la famiglia e della reintegrazione nel nucleo familiare.
In un passato recente, pi che i diritti del bambino ad avere una famiglia sono stati aermati i diritti dei genitori ad avere un erede. Oggi, lo sviluppo di una nuova cultura dellinfanzia ha promosso una diversa visione
dei rapporti intrafamiliari, meno centrati sullimportanza del legame di
sangue. Lo stesso concetto di liazione comprende ormai vari signicati,
tanto da poter distinguere tra liazione biologica, gestatrice, sociale, giuri126
dica e aettiva3. Il contrasto tra queste concezioni rende complessa la soluzione dei dilemmi relativi alla crescita dei minori.
La cultura della famiglia oggi ambivalente ed oggetto di prese di posizione di carattere ideologico. Da un lato sussiste ancora quella che stata
denita lenfasi simbolica della famiglia naturale, secondo cui lamore dei
genitori per i gli rappresenta un dato assoluto, con la conseguenza di ritardare o non procedere al necessario allontanamento di bambini maltrattati; in base a ideologie contrapposte, invece, si procede in alcuni casi a sradicare indebitamente i gli senza motivi validi4.
La famiglia, i cui diritti, in quanto societ naturale nata dal matrimonio, sono riconosciuti dalla nostra Costituzione allart. 29, presenta una
dimensione privata, ma anche oggetto dellintervento pubblico. Tale collocazione tra il pubblico ed il privato, che tocca in particolare il problema
dei minori, rende in un certo senso debole lintervento giuridico in quanto la funzione sociale di protezione dei minori da parte dei genitori oggi
sotto il controllo sociale. Mentre in passato si assisteva ad una forte riluttanza a toccare i diritti della famiglia, ed eventualmente erano i genitori
stessi a ricorrere volontariamente allinternamento per i loro gli in condizioni di necessit, oggi si ritiene che la difesa degli interessi del bambino
possa giusticare uningerenza nel campo dellautorit parentale.
Un esempio in questo senso dato dal maltrattamento dellinfanzia, riconosciuto a fatica in molti casi ancora oggi a causa della impossibilit a
concepire labuso come proveniente dalla famiglia stessa. I dati dimostrano
invece che la maggior parte delle violenze si consumano proprio allinterno
del nucleo familiare, riguardando sia i veri e propri maltrattamenti, sia le
violenze sessuali, sia la cosiddetta trascuratezza che si congura come una
forma di violenza. Da qui la necessit di intervenire sottraendo il minore
con gli strumenti concessi dalla legge per operare adamenti, adozioni o
inserimento in comunit.
In questo senso si pu dire che leducatore nelle strutture di accoglienza
si trova tra due mondi in trasformazione: da una parte la famiglia, soggetta
a profondi mutamenti negli ultimi anni, dallaltro lo Stato, altres in cambiamento per quanto riguarda latteggiamento nei confronti del nucleo familiare. Il problema daltra parte non solo giuridico, ma specicatamente
pedagogico.
I motivi a favore del mantenimento ad ogni costo del legame familiare
possono essere sintetizzati nel tentativo di salvare i genitori disturbati o fragili attraverso il bambino-terapeuta. Il glio stesso sarebbe cio la principale, se non lunica speranza di modicare i comportamenti patologici dei genitori. Un altro motivo che viene addotto fa riferimento al fatto che la
peggiore famiglia sia comunque pi valida del migliore adamento
allesterno. Secondo alcuni una riconciliazione immaginaria con i propri
genitori una condizione indispensabile per lo sviluppo, ed facilitata dal
mantenimento del legame. A sostegno di tale posizione vi ancora
losservazione che ogni disfunzione a carico della famiglia, ed occorre
quindi curarla anzich occuparsi solo del bambino5.
In realt tali aermazioni devono essere messe alla prova della realt nel
caso di gravi trascuratezze o violenze. Non va nemmeno taciuto il rischio
che la permanenza in una famiglia diseducativa ed abusante sia semplicemente la conseguenza di una indierenza o mancanza di intervento da parte dei servizi o delle autorit giudiziarie preposti oppure di una ideologica
presa di posizione a favore della famiglia di sangue.
La priorit va data alla protezione del bambino, anche a costo di una separazione; curare la famiglia naturalmente auspicabile, ma non pu essere
la condizione da adempiere per poter allontanare il bambino. La Convenzione Internazionale sui diritti dellinfanzia del 1989 postula come primo
diritto di avere i genitori, crescere nellambiente familiare in un clima di
felicit, amore e comprensione. Lart. 7 stabilisce che il bambino ha, nella misura del possibile, il diritto di conoscere i suoi genitori ed essere allevato da loro. Inne in base allart. 9 gli Stati-parte vegliano perch il bambino non sia separato dai genitori contro la loro volont, eccetto nel caso in
5
cui le autorit competenti, sotto controllo giuridico, stabiliscano, in accordo con la legge e i procedimenti applicativi, che tale separazione necessaria
nel maggiore interesse del bambino/a6.
La problematica cruciale dei legami familiari evidenzia alcuni dei compiti educativi posti alle strutture di accoglienza. In linea di principio il dilemma della separazione va arontato aermando in primo luogo il diritto
a favore della famiglia biologica, ed in secondo piano il diritto ad unaltra
famiglia se la prima mancante o incapace. Occorre a questo punto chiedersi, allinterno di questo processo, come eettuare la scelta tra
ladamento ad una famiglia o ad una comunit. Nella pratica, il dilemma
viene spesso risolto dalla scarsa disponibilit di famiglie in grado di assolvere ad un compito cos delicato, senza pretendere il possesso del glio aidato. Inoltre, in molti casi lurgenza dei provvedimenti rende indispensabile ricorrere a strutture di pronta accoglienza.
Ma, al di l della necessit, un valido contesto di comunit non rappresenta soltanto un male necessario, ma pu essere anche unalternativa positiva ed unopportunit non trascurabile. In primo luogo esistono casi particolarmente gravi e delicati, per cui non facile trovare idonea
sistemazione familiare. Inoltre famiglie incapaci o fragili, o temporaneamente inabilitate, madri sole, genitori con disturbi psichici possono essere
sostenuti da comunit con educatori che non si pongono come rivali, o
come famiglia alternativa e riuscita rispetto al loro fallimento.
Linterruzione di molti adamenti mostra la dicolt di farsi carico di situazioni di bambini o adolescenti con una storia ed una famiglia pesante
alle spalle.
La struttura di accoglienza pu disporre di energie di sostegno che una
coppia non sempre ha, in modo da realizzare una eettiva presa in carico di
tutto il nucleo. Mentre si sottolinea la dierenza tra il nucleo familiare ristretto di oggi e la famiglia allargata di ieri, composta da nonni, zii, cugini
ed altri parenti, si dimentica che la comunit esprime un modello ancora
diverso, la cui forza proprio nel costituire una terza via tra linternamento
in istituto e la famiglia, un ponte necessariamente provvisorio per la
crescita dei bambini in un momento dicile della loro vita.
La Convenzione Onu sui diritti dellinfanzia e la sua attuazione sono in A.C. Moro,
Il bambino un cittadino, Mursia, Milano 1991.
129
Le comunit inseriscono minori con alle spalle storie di abbandono materiale o psicologico, violenza, divisione. La famiglia resta in ogni caso presente, anche se in una dimensione inconscia o fantasmatica. I problemi derivati dalla relazione con i genitori non vengono guariti automaticamente
con lallontanamento, ma il dilemma del conitto separazione/non separazione resta iscritto dentro di loro. Gli educatori interpretano tali situazioni
guidando i contatti con la famiglia di origine nelle modalit previste dalla
legge, esercitando una reale responsabilit nel recupero, da parte del bambino, della sua storia.
Una comunit educativa si trova dunque, come si detto, di fronte alle
problematiche del mantenimento del legame familiare. Aronta per anche una serie di altre tematiche speciche, tra cui la realizzazione di un ambiente di vita nuovo, che non la famiglia, ma deve farne le veci. A dierenza di quanto si crede in alcuni casi, comunit familiare non signica
necessariamente la ripetizione stereotipata dei moduli vissuti da una famiglia vera. Non possibile, n auspicabile, riprodurre in scala la funzione
materna o paterna. La comunit, piuttosto, deve la sua vivibilit non solo
alla distanza dal modello istituzionale (ritmi rigidi, anonimato, controllo),
ma soprattutto alla sua congurazione originale: educatori al posto dei genitori, eterogeneit di ospiti, provvisoriet.
Si tratta di un insieme di relazioni sociali, di natura continuativa, tra
bambino e adulti, grazie a cui la responsabilit della crescita del primo non
relegata alla sola relazione con una gura (la materna), ma ridistribuita
fra i numerosi e dierenti personaggi che lo popolano7. Non famiglia,
n lo vuole essere, ma comunit con le stesse funzioni protettrici,
rassicuranti, educative, aettive, di promozione della responsabilit e
dellautonomia.
La stessa denizione di comunit riunisce diversi tipi di case di accoglienza, caratterizzate da dierenti obiettivi, ruoli interni, impostazioni educative. Tra le tipologie esistenti si possono citare le tre immagini individuate nel corso di una recente ricerca. Un primo modello di comunit
stato denito dai ricercatori come esprimi te stesso. Sono comunit laiche,
dove lavorano operatori professionali che eettuano rotazioni a turno. La
visione pedagogica maieutica: leducatore deve cio aiutare il bambino ad
7
P. Brustia, B. Massucco, T. Rosso, Il bambino dove lo metto? Un viaggio nelle comunit alloggio per minori, in P. Amerio (a cura di), Forme di solidariet e linguaggi della
politica. Seminari di psicologia sociale e di comunit, Bollati Boringhieri, Torino 1996, pp.
265-326.
9
Ivi, p. 295.
131
senso di responsabilit, la presenza di adulti signicativi10. Anche nella comunit, come in ogni contesto educativo, gioca un complesso equilibrio per
bilanciare fattori di rischio attraverso la promozione di nuove capacit progettuali da parte del bambino.
Alcune ricerche ed esperienze mostrano le funzioni principali di una
comunit di accoglienza ed in particolare la necessit di continuit e fedelt
nei confronti di bambini che hanno soerto rotture, traumi, abbandoni.
Ci comporta la necessit di una stabilit di gure educative, anche se non
necessariamente linstaurarsi di una gura di madre o di padre. La rotazione degli operatori accettata facilmente dai minori, purch dentro un
quadro di stabilit e con la sicurezza che i legami non verranno interrotti.
Il clima familiare trova unespressione nella congurazione degli ambienti, che il bambino deve poter almeno in parte modicare a sua misura, nelluso di arredi, oggetti, giochi. Il contesto stesso momenti della vita
quotidiana, spazi, apertura allesterno educativo11.
Esiste, come hanno scritto Emiliani e Bastianoni, una interdipendenza
tra organizzazione del quotidiano e sviluppo della competenza sociale e cognitiva dei minori, per riannodare i li della vita quotidiana come un
tessuto connettivo di base su cui viene saldata lesperienza attuale dei minori. Il tempo poi uno degli aspetti pi importanti in quanto molti minori
arrivano in comunit dopo aver vissuto esperienze di frammentazione o inversione dei ritmi della giornata (giorno-notte): si tratta di un tempo irregolare e dilatato, da trasformare in momenti distinti e signicativi, dotati di
senso12.
Allinterno di un contesto rassicurante e stabile, che ore protezione,
ma anche richiesta di responsabilit ed autonomia, vi per in primo piano
il rapporto con gli educatori, capaci di ascolto e di interpretazione dei bisogni, di ltrare, attraverso i momenti della vita quotidiana, quei messaggi affettivi e quelle spinte a chiedere di pi a se stessi, che costituiscono le tappe
10
Riferimenti alla resilience si trovano in F. Emiliani, P. Bastianoni, Una normale solitudine, p. 19; si veda anche F. Emiliani, Processi di crescita tra protezione e rischio, in P.
Di Blasio (a cura di), Contesti relazionali e processi di sviluppo, Raaello Cortina, Milano
1995; E.J. Anthony, Risk, vulnerability and resilience: an overview, in B. Cohler (a cura
di), e Invulnerable Child, Cambridge University Press, Cambridge 1989.
11
F. Emiliani, P. Bastianoni, Una normale solitudine, p. 174
12
Ivi, pp. 175 ss.
132
della crescita. Tra i due elementi contrapposti della tecnica e della carismaticit esiste la lettura e la comprensione paziente e collettiva dei problemi e
la creazione di relazioni aettive ogni volta rimesse in questione dalla vita
quotidiana. In realt, come avviene in famiglia, anche nelle comunit il rapporto diretto e responsabile adulto/bambino viene spesso eluso o reso
insignicante. Osserva Emiliani che, anche dove esista un progetto educativo derivato da teorie dello sviluppo e delleducazione, raramente si riscontra una centralit della relazione degli adulti con i minori, mentre il problema principale delle comunit consiste nel loro essere fondate sul
sistema di relazioni tra adulti e bambini, che deve essere progettato n
dallinizio come un sistema stabile, in un processo in cui sia possibile riconoscere il nesso di causalit fra le azioni e levoluzione dei minori ospiti13.
necessario sviluppare nelle comunit, anzich unenfasi sul progetto,
una forte coesione tra gli operatori riguardo ai modelli culturali, ai valori,
alle concezioni di famiglia e di infanzia e ai relativi strumenti educativi che
si intendono utilizzare. Si tratta di una sorta di carta fondamentale che
deve tener conto di alcuni punti chiave: lassunzione della storia del minore
in tutti i suoi aspetti; la gestione dei rapporti con la famiglia e con lesterno,
in considerazione dei vincoli imposti alle scelte educative; lorganizzazione
degli aspetti della vita quotidiana; gli obiettivi per il futuro.
A partire da tale progetto inteso in senso di carta fondamentale si svilupperanno le tappe signicative della crescita dei minori in obiettivi chiari
e concreti, tenendo presente che i singoli progetti individuali sono sottoposti a incertezza e trasformazioni in base ai tempi, alle circostanze e agli elementi del contesto.
13
Regione Toscana-Giunta Regionale, Coordinamento Nazionale Comunit Per Minori, Educare in comunit. Progetto educativo e qualit dellintervento, Atti del Convegno
di Firenze 30-31 marzo 1992, Quaderni Educare in Comunit 3, Edizioni Regione Toscana, Firenze 1993; sulle storie dei bambini e ragazzi ospiti cfr. Regione Toscana-Giunta
Regionale, Coordinamento Nazionale Comunit Per Minori, Vuoi sapere cosa penso io della comunit per minori? 56 ragazzi e ragazze si raccontano, Quaderni Educare in Comunit
4, Edizioni Regione Toscana, Firenze 1994.
133
D.P.R. n. 448 del 22/9/1988, Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni.
15
Un commento dal punto di vista pedagogico al Processo Penale Minorile in L. Milani, Devianza minorile. Interazione tra giustizia e problematiche educative, Vita e Pensiero,
Milano 1995.
Sullo sviluppo degli interventi istituzionali nei confronti della devianza minorile, cfr.
A. Borsani, Istituzioni e devianza minorile. Sanzione e diritto/dovere alleducazione, Franco
Angeli, Milano 1997.
134
16
Le disposizioni sulle comunit sono contenute nellart. 10 del D. Lgs. n. 272 del
28/7/89, Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del D. P. R. 22/9/88, n.448,
recante disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni.
18
Su questa contraddizione si veda il commento in L. Milani, Devianza minorile, p.
283 e p. 367.
19
M. Lion, M.T. Spagnoletti, Collocamento in comunit: problemi in ordine alla applicazione della misura cautelare, in Esperienze di giustizia minorile, 1-2, 1995, p. 135.
136
22
F. Cardona, Crescere, educare, curare, contenere: strutture residenziali per adolescenti con gravi dicolt in Inghilterra, in C. Kaneklin, A. Orsenigo, Il lavoro di comunit, p. 127.
23
S. Casciotti, F. Curti Gialdino, V. De Orsi et Alii, Comunit educative per minori:
indagine conoscitiva, in Esperienze di giustizia minorile 1-2, 1995, pp. 13-131.
24
Ivi, pp. 38-39.
25
Ivi, p. 41.
138
menti delle attivit, del lavoro, dello studio, ponendo in secondo piano
lattenzione specica al mondo interno delle persone26.
La visione densa che si vuole adottare nel presente lavoro, per garantire una comprensione dei fenomeni, suggerisce di prendere maggiormente
in considerazione la variet di elementi che caratterizzano queste realt collettive: ispirazione culturale, gura degli educatori, approccio psicopedagogico, uso delle regole, rapporti con lesterno, etc. La sionomia delle comunit data dal diverso intrecciarsi degli elementi, con prevalenza ora
della tendenza al rapporto individuale, ora al lavoro, ora al rispetto
dellordine interno.
Dallanalisi di alcuni tipi di strutture residenziali per adolescenti emergono tre tendenze che non costituiscono modelli, ma coloriture del lavoro educativo. La prima mette laccento sulla comunicazione educativa, sulla
parola di cui i ragazzi si riappropriano attraverso il rapporto con gli educatori. Si tratta di una visione consapevole delle implicazioni sociali e culturali che conducono alla devianza, attenta alle dierenze e ai percorsi di vita.
Leducatore prima di tutto un adulto testimone di un altro modo di vivere e di unattenzione nei confronti dei ragazzi. Le regole si situano, prima
ancora che nellordine della casa, nel limite posto dal rapporto educativo
personalizzato.
Una seconda accezione vede la comunit come luogo di rappresentazione di tutte le dinamiche psicologiche delle persone, una famiglia simbolica dove occorre aiutare gli adolescenti ad arontare i fantasmi della loro
storia di relazione. La struttura molto libera e essibile, le regole si costituiscono in base alle situazioni, gli educatori sono compagni di strada, ma
anche tecnici, che lavorano sui vissuti e sui comportamenti simbolici analizzandoli di volta in volta.
Nella terza tendenza si trova un tipo di comunit che spinge gli adolescenti allinterpretazione del signicato della loro vita dando particolare attenzione al contesto. il contesto di comunit, diverso da quello di provenienza, che mette gli adolescenti in grado di riscoprire il senso esistenziale
del gusto di vivere, nel rispetto di s e dei limiti posti dalle istituzioni sociali. Non si guariscono i sintomi, ma si conduce allautonomia attraverso la
creazione di legami. La profondit e la costanza di questi legami con gli e26
ducatori permettono di lasciar cadere le resistenze ed avviarsi alla risoluzione dei problemi.
4.2.1. Un progetto dierenziato
Uno degli obiettivi pi importanti che il sistema dei servizi socioeducativi deve raggiungere, cio un modello dierenziato di intervento, attualmente uno dei pi dicili. Come si visto, esistono diversi tipi di misure
da proporre a giovani che hanno commesso reati, dalla permanenza in casa
allinvio in comunit, alla misura di probation; tuttavia mancano criteri espliciti che permettano di adeguare nel miglior modo possibile il progetto ai
bisogni del minorenne. Alcuni tentativi in questo senso hanno collocato la
devianza secondo un continuum che va da una zona di socialit ad una di
marginalit per arrivare ad una di criminalit esplicita. Per la prima zona
devono essere previsti gli interventi della famiglia, della scuola con
lastensione dallintervento delle istanze giudiziarie. Alla zona di marginalit appartengono giovani con diverse problematiche psicologiche, cui occorre proporre una variet di misure a seconda dei bisogni. Nella zona di
criminalit, inne, lintervento giudiziario diviene necessario, con le conseguenti misure di internamento negli istituti di pena27.
Rimane tuttavia dicile, e aleatorio, trovare criteri in base a cui scegliere
un tipo di misura o unaltra. Anche in questo caso il compito della comunit si rivela complesso, in quanto necessita di una articolazione di intervento
rispetto ai bisogni dei ragazzi, di obiettivi che si vogliono raggiungere e di
misure da prendere, vincolate dalla legge.
Il progetto della comunit consiste nellarticolazione condivisa e partecipata di questi elementi per anticipare gli obiettivi desiderati ma, in una
certa misura, coincide con la stessa vita quotidiana che vi si svolge. In una
comunit ogni momento della giornata va concepito come tempo educativo: spazio, regole, uso del tempo, scelte di fondo, tecniche, risorse. stata
giustamente sottolineata la necessit di vagliare criticamente la denizione
di organizzazione di tipo familiare, intendendo con ci non tanto ladeguamento ad unimmagine tipica che prevede la presenza di una coppia di
adulti, quanto il clima di ducia, dialogo e attenzione ai bisogni della per27
sona che dovrebbero essere presenti in ogni famiglia. In questo senso, particolare attenzione deve essere attribuita al momento alla fase dellaccoglienza
e allammissione che spesso, data la rapidit, non permette una progettazione ecace. Nella fase iniziale di accoglienza occorre tener conto di alcuni elementi per elaborare il progetto: la storia individuale, la situazione al
momento dellentrata, le reazioni alla vita della comunit, le richieste ed i
bisogni impliciti.
La selezione dei ragazzi deve garantire una individualizzazione e una
programmazione che tenga conto dei cambiamenti che ogni ingresso comporta. I minorenni che giungono in comunit a causa di una sanzione manifestano spesso atteggiamenti di chiusura e ribellione e si pone in primo
piano la necessit di conquistare la loro ducia, iniziando da una comunicazione chiara dei tempi e delle ragioni della loro permanenza. Altrettanto
complessi sono i bisogni dei minorenni giunti per cause imputabili alla famiglia: si hanno cos spesso atteggiamenti di indierenza, rassegnazione,
apatia o richieste di attenzione formulate in modo implicito.
La permanenza dei ragazzi richiede un progetto essibile e dierenziato:
nelle comunit, infatti, convivono ragazzi con situazioni diverse. Le misure
cautelari sono previste per breve tempo e non devono essere dilatate in
quanto come ha scritto A.C. Moro la loro nalit resta quella di evitare
fughe o altri reati28.
Per consentire un vero e proprio progetto educativo in molti casi si realizza un incontro tra il collocamento in comunit in base allart. 22 e la
possibilit di trasformare questo articolo in altri tipi di misure (messa alla
prova, ricorso a provvedimenti civili) per progettare lintervento su tempi
medio-lunghi. Altre situazioni riguardano, appunto, ragazzi cui stata concessa la sospensione del processo e per cui occorre fare una seria e concreta
programmazione a medio termine; vi sono poi ragazzi in dicolt, senza
procedimenti a carico, che devono essere allontanati dalla propria famiglia
di origine con possibilit di decadenza totale o parziale o sospensione della
potest genitoriale; inne minori che necessitano di sostegno per un periodo di tempo limitato.
28
A.C. Moro, Il bambino un cittadino, p. 271. Sugli aspetti del progetto nella comunit per adolescenti con problemi penali, cfr. F. Rizzo, Ragazzi in prova. La relazione educativa tra regola e incoraggiamento, Unicopli, Milano 1997.
141
29
143
ma linsieme degli interventi di conoscenza, progetto, decisione, invio, risposta che circolarmente costruiscono lintervento; linsieme degli interventi e dei rapporti35. Questa visione ermeneutica riporta anche in questo
caso al processo di contestualizzazione dellesperienza, di interpretazione
del vissuto che adolescenti e adulti operano insieme.
Da pi parti viene messo in rilievo come il punto centrale del collocamento in comunit non sia la custodia, ma ladamento in vista di un progetto, che non necessariamente deve svolgersi solo allinterno della comunit. Queste caratteristiche fanno della comunit una misura in cui
laspetto di sostegno risulta prevalente rispetto a quello di controllo, in cui
il ragazzo chiamato ad un elevato grado di partecipazione consapevole, in
cui non si tratta di non fare, ma al contrario di impegnarsi a fare nel rispetto del progetto36.
Proprio questo aspetto di coinvolgimento e responsabilit, paradossalmente, risulta il pi dicile da comunicare ai ragazzi che sanno di essere
chiamati ad uscire da una situazione di passivit e di mancanza di progetto
per la loro vita (se si eccettua la situazione di quella minoranza che ha pi
consapevolmente programmato ladesione a schemi criminali). La scarsa
intenzionalit del giovane deviante spesso allorigine delle trasgressioni,
vissute come un fare a propria portata in luogo del ben pi dicile progetto di vita basato su relazioni, lavoro, costruzione di s. Ci induce gli
educatori degli istituti penali a sottolineare il dicile passaggio dal carcere
alla comunit, che spinge alcuni ragazzi a preferire paradossalmente il
ritorno nellistituto penale, contesto sicuramente pi comodo in termini di necessit di responsabilizzazione, e che molto spesso induce alla
passivit37.
Lintervento educativo nalizzato a vari compiti, tra cui riveste importanza la transazione. Linteresse del ragazzo, il vantaggio personale nel restare in comunit e non incorrere in sanzioni si evolve nel riconoscimento
dei diritti degli altri, si trasforma in unoccasione educativa attivando un
processo di cambiamento al cui centro vi il rispetto delle regole.
35
Ivi, p. 162.
M. Lion, M.T. Spagnoletti, Collocamento in comunit, p. 137.
37
C. De Michelis, Lesperienza di Casal del Marmo, in Esperienze di giustizia minorile, 1-2, 1995, p. 155.
36
144
Vengono qui di seguito sintetizzati anche in base alla riessione operata da Piero Bertolini sui ragazzi dicili alcuni elementi che possono
contribuire alla riessione sui percorsi educativi da realizzare nelle comunit: centralit del soggetto, comprensione della devianza come forma di agire
comunicativo, approccio idiograco anzich nomotetico, visione dei problemi dallinterno, conoscenza dei problemi dal punto di vista del soggetto, promozione delle capacit progettuali, recupero di intenzionalit, valorizzazione, essibilit e graduazione delle richieste38.
La permanenza in comunit un momento di un processo di rieducazione che vede come centrale la responsabilizzazione: lanalisi che segue intende individuare le possibilit di suscitare responsabilit nel contesto comunitario, considerando la riessione psicopedagogica in questo campo e le
possibilit offerte dalle norme in vigore.
Recentemente Gaetano De Leo ha ricostruito la storia e i principi di una
cultura della responsabilit nel campo del diritto minorile. La scuola classica (rappresentata soprattutto da Beccaria) ha aermato una visione moderna di tutela dei diritti delluomo, ha messo al centro non la persona ma
il suo atto, ed ha sottolineato il ruolo della responsabilit individuale.
Lavvento del positivismo ha avuto invece un duplice eetto. Da una parte,
la visione della devianza come patologia ha permesso di considerare in
modo pi ampio le implicazioni psicologiche di chi commette reati. Daltro
canto, tale posizione ha indotto un rischio di determinismo, sia biologico
(la persona malata, il delinquente-nato di Lombroso) sia sociale (la societ colpevole)39.
La corrente interazionista, nelle sue varie espressioni, ha introdotto la
componente del rapporto con la societ circostante. Luomo confronta le
proprie esperienze in una rete di relazioni e rapporti sociali. Allinterno di
tale processo circolare di interazioni si costituisce la devianza. Signicativa,
a questo proposito, la distinzione di Lemert tra devianza primaria e secondaria: la prima riguarda comportamenti che infrangono la norma, ma vengono normalizzati; la seconda comportamenti di reazione alla reazione della societ verso la devianza primaria.Tali posizioni, esasperate nella
38
145
Ibidem.
Ivi, p. 8; sul tema della responsabilit cfr. anche G. Ponti (a cura di), Giovani, responsabilit e giustizia, Giur, Milano 1985; G. Vico, Educazione e devianza, La Scuola, Brescia 1988.
42
G. De Leo, Linterazione deviante, p. 19.
43
G. De Leo, Psicologia della responsabilit, Laterza, Bari 1996, p. 56.
44
Ivi, p. 100.
45
F.W. Foerster, Colpa ed espiazione. Alcune fondamentali questioni psicologiche e pedagogiche sul problema della delinquenza e della cura della giovent, Sten, Torino 1912, p. 33.
41
146
individuale a confronto con la societ esterna e le sue norme. Di conseguenza, la proposta del pedagogista tedesco in linea con le proposte pi
attuali in tema di delinquenza giovanile: prendere sul serio il reato, pur
cercando di evitare la soluzione del carcere. Nelle parole di Foerster si sente
leco del dibattito che ha attraversato il nostro secolo tra concezione della
colpa individuale e colpa sociale e la necessit di esigere unassunzione di
responsabilit dai giovani che hanno commesso reati, senza imporre daltra
parte le conseguenze pi negative della carcerazione.
Sia le norme del DPR 448/88, sia i pi recenti orientamenti degli studi e
delle ricerche hanno assunto una visione che si pu qualicare come pedagogica, in quanto comporta un processo dinamico, di cambiamento e di
promozione verso lassunzione di responsabilit attraverso sollecitazioni
degli adulti e della societ46. Lincontro con la giustizia un momento chiave per ladolescente in fase di maturazione, poich lincontro con ci che
proibito in un ordine normativo e morale super-individuale e valido per
tutti. Tuttavia le norme della giustizia minorile, aermato il principio della
responsabilit del minore, operano in direzione educativa. Pena e educazione non vanno mescolate. Con la prima i minorenni si confrontano con
le conseguenze materiali della violazione del proibito; la seconda in questo caso attuata nelle comunit consiste nelle parole con cui gli adulti
spiegano la violazione, la colpa e la pena ai giovani, aiutandoli ad elaborare
la nozione di responsabilit, diritto e dovere47.
Nella stessa direzione vanno le interpretazioni e le applicazioni delle
norme del processo che prevedono la messa alla prova dei minorenni che
abbiano commesso un reato. Il giudice, accertata la colpevolezza del minorenne e sentiti i servizi sociali, pu disporre la sospensione del processo per
un periodo variabile (no a tre anni per i reati pi gravi e non pi di un anno negli altri casi) allo scopo di valutare la sua personalit. chiaro che
questa scelta vede la trasgressione come atto comunicativo di carattere sistemico, relazionale ed interattivo. In questottica latto-reato pu aver avuto senso in un determinato contesto spazio-temporale e perci pu rivelarsi
transitorio e, quindi, non indicativo di una scelta deviante denitiva48.
46
147
Tutte le energie comunitarie devono essere spese per il recupero dei ragazzi
e per la prevenzione, vincendo la sda della collaborazione tra i servizi, la
scuola, la famiglia, le associazioni52.
Un altro aspetto del compito di promozione della responsabilit riguarda la conciliazione e riparazione. Nel sistema giuridico anglosassone esistono forme di probation (sottoporre limputato ad una serie di prescrizioni) e
di mediation (mancato promuovimento dellazione penale e ricerca di un
accordo tra imputato e parte lesa nel corso di unudienza informale). In Italia la forma pi completa in questo senso espressa proprio dallart. 28 del
DPR 448 di cui si nora parlato, che prevede che il giudice pu impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la
conciliazione del minorenne con la persona oesa dal reato.
Secondo Bouchard, la riparazione delle conseguenze siche e morali
del reato attraverso lopera, le parole, i gesti del colpevole appare oggi la vera
frontiera su cui rifondare la giustizia penale, non solo minorile. Questa
tendenza mira a ridare importanza alla vittima verso la quale in particolare la giustizia minorile sente di avere un debito senza per questo tornare
ad una volont punitiva verso i minori53. Secondo alcuni, il modello riparativo costituisce levoluzione pi recente del diritto minorile, dopo quello
retributivo e riabilitativo54. Infatti, la giustizia giusta quella che riesce a
dierenziarsi il pi possibile dalla violenza che deve impedire, evitando di
riprodurre il circolo vizioso della vendetta55. La conciliazione e la riparazione interpretano questo nuovo orizzonte del diritto, rappresentando modelli relazionali ed umani socialmente pi costruttivi rispetto alluso della
forza, dellodio e della vendetta56.
52
149
150
L. Cancrini, Quei temerari sulle macchine volanti. Studio sulle terapie dei tossicomani,
La Nuova Italia Scientica, Roma 1982, p. 163 ss. Sono numerose le ricerche sulle comunit terapeutiche in Italia. Tra queste, si veda D. Costantini, S. Mazzoni, Le comunit per
tossicodipendenti, La Nuova Italia Scientica, Roma 1984; G. Bellieni, G. Gambiaso, Comunit per tossicomani. Esperienze italiane e straniere, Franco Angeli, Milano 1985. Cfr.
anche il numero monograco dedicato alle comunit del Bollettino per le farmacodipendenze e lalcoolismo, 1-2-3, gennaio-giugno 1988; Labos-Ministero dellInterno. Direzione Generale dei Servizi civili, Strategie operative nei servizi per le tossicodipendenze,
Edizioni Ter, Roma 1993.
151
61
M. Ravenna, Le comunit per tossicodipendenti, in A. Palmonari (a cura di), Comunit di convivenza e crescita della persona, p. 118.
63
Sulla storia delle comunit cfr. L. Cancrini, Quei temerari sulle macchine volanti.
153
154
lizzato una certa convergenza. Bellieni e Cambiaso, ad esempio, identicano tre gruppi di comunit: comunit di vita che puntano alla condivisione
di valori, comunit dove preminente luso di psicoterapia e comunit fondate sul lavoro. Anche la ricerca di Cagossi individua tre tipi: comunit terapeutiche fondate sulla pratica della psicoterapia, comunit di accoglienza,
che orono un gruppo contenitore non espulsivo, tollerante, dalle relazioni dirette e solidali e comunit di vita, fondate sul lavoro e sulla dimensione di responsabilit che questo comporta. In ogni caso le comunit divergono secondo Cagossi soprattutto per il loro punto di applicazione,
dando preminenza ora alla soerenza individuale, ora alle relazioni intragruppo, ora alle problematiche familiari, ora alla socializzazione66.
Nella stessa direzione, in una recente ricerca del Labos condotta su 508
realt residenziali italiane, stata proposta una classicazione di tipo funzionale, basata sulla predominanza di alcune attivit sulle altre. Le comunit potrebbero essere raggruppate secondo tre strategie operative: la strategia
operativa di base, la pi diusa, che consiste nella ricerca di armonia nel
gruppo di comunit e di maggiore equilibrio relazionale e tende a sviluppare la responsabilit; la strategia centrata sul lavoro che tende a valorizzare elementi educativi quali la responsabilit e la partecipazione
allorganizzazione; inne la strategia orientata allintervento terapeutico, caratterizzata dalla brevit dellesperienza, dallaltra selettivit e dalla professionalit degli operatori67.
La ricerca Labos aggiunge per altre combinazioni di variabili: un elemento chiave di distinzione , secondo i ricercatori, il rapporto tra numero
degli operatori e numero dei residenti. In proporzione, le comunit che attuano una strategia operativa di base hanno un minore numero di operatori
rispetto a quelle orientate allintervento psicoterapeutico68.
Per Kaneklin, le dierenze risiedono invece allinterno delle modalit
utilizzate nella interrelazione. In un caso si avr un orientamento di tipo
comportamentista, basato sullinduzione di nuove scelte, antitetiche a quelle
dettate dalla dipendenza dai farmaci; qui rinforzi e sostegni esterni, espressi
66
155
attraverso la approvazione/riprovazione del gruppo, contribuiscono ad inuenzare i comportamenti del singolo. Altre comunit, secondo Kaneklin,
utilizzano il modello dello sbloccare-nutrire, ovvero condurre la persona a
riattivare energie interne; inne c il modello della autocomprensione che
punta sul ruolo centrale della psicoterapia69.
Molteplici sono poi le letture della tossicodipendenza, che inuenzano i
vari modelli di comunit: la persona viene vista ora come soggetto in crescita, che deve divenire adulto, ora come membro di una societ malata che
esprime il suo disagio di vivere, ora come una persona che sore di disturbi
della personalit.
Nella ricerca Labos i modelli di uomo/donna a cui pervenire sono sei: la
persona riessiva, razionale e matura; la persona armonicamente integrata
nella famiglia; luomo libero dai condizionamenti sociali; il modello dellEssere-al-mondo, cio di chi progetta la propria vita secondo tappe sempre
pi alte; luomo del disincanto, che si apre alla rivelazione del mondo; ed
inne, un ultimo modello vede come punto di partenza luomo aetto da
patologie e angosce della psiche70.
Ancora pi vari sono i proli antropologici delle comunit. Numerose
congregazioni religiose hanno attualizzato la loro proposta pedagogica e le
caratteristiche della loro vocazione mettendosi al servizio di quella forma di
nuova povert che costituita dalla tossicodipendenza. In vari casi sono
state le personalit carismatiche di responsabili, dotati di grande energia e
capacit organizzativa, a costruire strutture di accoglienza. Altre comunit
nascono da esperienze alternative ispirate a culture o losoe orientali e
mettono al centro del processo di riabilitazione la trasformazione interiore
e spirituale.
Se si guardano le comunit in base allevoluzione, vi sono invece comunit storiche e nuove realt. Le prime, caratterizzate dal fatto di costituirsi
in grandi sistemi di famiglie, si moltiplicano con grande rapidit. In alcuni
casi il modello parte dal centro ed ripetuto nelle varie sedi periferiche; in
altri si assiste ad una forma federalista in cui le varie comunit sono autonome ed aggregate secondo principi di rappresentanza.
69
C. Kaneklin, C. DAmbrosio, F. Olivetti, A. Orsenigo, Tipologie delle comunit terapeutiche per tossicodipendenti, Atti del I Congresso, Sottoprogetto CNR Tossicodipendenze,
Firenze 1985.
70
Labos-Ministero DellInterno, Le comunit per tossicodipendenti, pp. 18-20.
156
In ogni caso il lavoro della comunit stato denito una sorta di terapia del mondo in quanto si applica alle modalit complesse di entrare in
relazione, ai processi per attribuire un senso, allesercizio delle forme pi
adeguate in rapporto a controllate esperienze vitali71. In questo senso, per
rispondere alla domanda iniziale, si pu aermare che le comunit si occupano del rapporto della persona con se stessa e con il mondo circostante:
hanno, dunque, un compito globalmente educativo. Lintervento educativo
non una parte del loro lavoro, n caratterizza alcune comunit al contrario di altre, ma costituisce lelemento centrale, anche se implicito, di tutte le
realt che si occupano di tossicodipendenti. Nella misura in cui la droga
non un nemico astratto da combattere o una malattia da guarire, ma la
risposta deviata ad un complessivo malessere che investe la capacit di dare
senso alla vita, la funzione educativa resta centrale pur se non riconosciuta anche nelle realt pi strettamente orientate verso la psicoterapia.
La capacit di una comunit di essere educativa e di rispondere ai bisogni delle persone senza manipolazioni indebite risiede infatti, a nostro parere, nellequilibrio tra lo spazio lasciato allesperienza di vita quotidiana
nella comunit e quello dedicato alla rielaborazione di tale esperienza. I due
aspetti devono rientrare in una circolarit di comprensione e di interpretazione. La riessione, gli incontri di gruppo, i colloqui di psicoterapia devono mirare alla rielaborazione dellesperienza quotidiana, della storia della
persona, dei suoi comportamenti, senza costituire un mondo a parte. Viceversa, una comunit immersa nellesperienza, incapace di riessivit, rischia di lasciare irrisolti i nodi educativi. Il diverso equilibrio e mixage tra
diversi elementi (lavoro, attivit, incontri, psicoterapia) d luogo a diverse
formule; tuttavia il processo di comprensione della vita delle persone e
della loro storia, di interpretazione della vita quotidiana e di progettazione
del futuro che deve restare al centro.
La comunit come contesto educativo si caratterizza per alcuni elementi
fondamentali, tra cui la presenza di adulti capaci di sostenere e aiutare una
profonda trasformazione sul piano umano, che comporta una revisione delle proprie modalit di vita, abitudini, scelte. Ne consegue che la formazione
degli educatori, pi che la struttura organizzativa, rappresenta di fatto il
problema centrale di queste realt collettive. Tra le funzioni propriamente
71
educative vi sono colloqui di accoglienza, selezione delle entrate, accompagnamento, lavoro con le famiglie, organizzazione del lavoro interno, animazione sociale, formazione, inserimento lavorativo, valutazione dei risultati, ed altro ancora.
Le competenze da acquisire per svolgere queste responsabilit sono per
di nuovo tipo ed ancora poco sviluppata una tradizione formativa. In
primo luogo, infatti, si tratta di uneducazione sociale rivolta agli adulti, che
non riguarda lapprendimento o le attivit parascolastiche: un settore in cui
la tradizione pedagogica meno sviluppata rispetto a quella che si occupa
dei minori o, nel campo degli adulti stessi, dellalfabetizzazione. Inoltre, lo
stesso fenomeno droga, con tutte le sue implicazioni socioculturali, a costituire il terzo elemento, imprevedibile e inquietante, nella relazione tra due
persone o tra la persona e il gruppo. Inne, la struttura complessa della comunit obbliga a elaborare strategie diuse diverse da quelle tradizionali e
non sempre riducibili al rapporto personale.
Gli educatori delle comunit sono consapevoli di questa originalit e del
carattere di sperimentazione del loro lavoro. Non a caso esso viene descritto
negli stessi termini con cui si cerca di denire il lavoro educativo in campo
sociale: un compito dicile, rischioso, da inventare, senza modelli solidi a
cui attingere, elaborato in situazione72. Va sottolineato soprattutto
lelemento di complessit, non semplicabile, nel quale leducatore si trova
immerso. Il tossicodipendente presenta problemi legati al suo contesto di
origine e alla sua storia familiare; spesso portatore di elementi e signicati
inerenti ad una specica cultura, legata allassunzione di sostanze, alla socializzazione con altri tossicodipendenti e cos via. A questi bisogni
leducatore deve rispondere con un intervento di elevato valore simbolico
che incida sullimmagine di s dellaltro e con una elaborazione di nuovi signicati sociali73. Si tratta della valenza simbolica dellagito che si confronta nel sistema organizzativo74.
72
158
75
bilit dei detentori di droghe per uso personale76. In molti casi il trattamento in comunit viene scelto per evitare le sanzioni previste. In questo caso
cura e controllo sociale vengono a coincidere, con tutta lambiguit che ne
consegue. Spetta agli educatori muoversi tra lintervento della comunit in
quanto esecutrice di sanzioni e la sollecitazione verso la libert della persona77.
Negli studi sullargomento viene costantemente sottolineato che la comunit un contesto ttizio, un luogo di prova. In eetti, queste microsociet autosucienti dove si dorme, si mangia, si lavora, si parla, si trascorre
insomma un periodo della propria vita, sembrano isole al riparo dai problemi del mondo reale. Alcune caratteristiche le rendono di fatto diverse:
lisolamento dalla strada, dallesterno; la protezione economica, che permette di sopravvivere anche se non si lavora; la solidariet e la condivisione,
cos diverse dal contesto esterno che il tossicodipendente ha conosciuto,
mondo di violenza o di legami funzionali solo alla ricerca della droga. Ancora, sono diversi dal mondo circostante i ritmi di vita disciplinati e collettivi, le norme uguali per tutti, le separazioni dei sessi, le limitazioni alle uscite ed ai contatti con lesterno.
Tutto concorre a pensare che sia un ambiente articiale in cui si sviluppano esperienze positive, generalmente diverse da quelle sperimentate
nellambiente familiare e sociale di origine. In questo senso le comunit
non hanno un metodo ma sono esse stesse un metodo nella misura in cui la
vita comune, con le sue caratteristiche terapeutiche, agisce in senso educativo su persone dalla vita disgregata.
Pi propriamente, allora, occorre dire che la comunit, pur agendo come
se fosse il mondo o la societ, o la famiglia, e pur senza esserlo, rappresenta
comunque una realt e non una nzione. una struttura intermedia sotto ogni punto di vista, ma tale che possiede gli stessi marchi della realt pur
conservando i caratteri del gioco e dellimmaginario78. Esercita una funzione transizionale, ma le esperienze di solidariet, controllo di s, apertura
76
agli altri, costruzione di signicati sono vere e non inventate. Certo, per un
tossicodipendente in un ambiente protetto pi facile che allesterno evitare lassunzione di sostanze che fanno da stampella alla sua fragilit, interrogarsi su di s con laiuto di altri, lavorare senza frustrazioni. Tuttavia il
signicato positivo che accompagna tali esperienze rimane vero in quanto
dimostra di essere possibile, fruibile anche da chi non laveva mai provato.
Di conseguenza, il contesto della comunit rappresenta una metafora
delleducazione, sospesa tra il gioco e la realt. Sono articiali gli strumenti
adottati, ma reali le esperienze che vi si fanno, tanto da poter essere ripetute
alluscita nel mondo esterno. La solidariet incontrata dentro non irripetibile, in quanto allude a quella che ognuno pu costruire di sua iniziativa o
con laiuto di altri, fuori. Per questo le comunit sono contesti globalmente
educativi, in cui si sperimenta una nuova forma di dipendenza aettiva necessaria per vivere legami diversi da quello con le droghe. Lesperienza di
fragilit e bisogno di aiuto resta paradigmatica nella vita di una persona che
diviene adulta, mentre proprio la negazione del limite e della dipendenza
a far restare adolescenti. Chi educa sa che una lezione da imparare nella
comunit terapeutica quella che normale e naturale aver bisogno degli
altri. Il successo non unindipendenza staccata e progressivamente isolata
e isolante, ma piuttosto una rete di contatti e di amici a cui contribuire e da
cui essere sostenuti. Il mito dellindipendenza, visto come legittimo obiettivo per coloro che lasciano le comunit terapeutiche, deve essere messo in
discussione e visto in prospettiva79. Scrive ancora C. Olievenstein, uno
psichiatra tra i precursori degli interventi sulla tossicodipendenza e fondatore del Centro Marmottan a Parigi: Per noi, si tratta di sostituire in colui
che si droga una marmottandipendenza alla sua tossicodipendenza, di
immergerlo in un rapporto in qualche modo simile a quello del bambino
con la propria madre. Credo che questo stadio fusionale sia tanto pi indispensabile in quanto questi giovani, nel complesso, vivono unadolescenza
prolungata e, molto spesso, sono fermi a un momento molto arcaico del loro sviluppo aettivo. E dopo aver ribadito che niente possibile senza
una relazione di coppia con il tossicodipendente, aggiunge che man
mano bisogna far attenuare no a scomparire questa dipendenza, creando
79
C. Olievenstein C., Non esistono drogati felici (trad. dal francese), Elle Di Ci, Torino
1987, pp. 190-192.
81
Sullintegrazione tra servizi, cfr. C.M. Mozzanica, R. Granata, C. Castelli, Disagio
giovanile negli itinerari della community care, Franco Angeli, Milano 1997; R.C. Gatti,
Lavorare con i tossicodipendenti. Manuale per gli operatori del servizio pubblico, Franco Angeli, Milano 1994.
82
M. Clerici, Tossicodipendenza e psicopatologia. Implicazioni diagnostiche e valutazione
degli interventi terapeutici, F. Angeli, Milano 1993, p. 49.
162
trattamento e cura, emancipazione). Sono per altres daccordo nel dichiarare impossibile una lettura unitaria della carriera di un tossicodipendente,
scegliendo piuttosto per un approccio idiograco83.
A partire dalla dicolt nella valutazione di realt cos complesse, si
arontata la problematica della produttivit delle comunit, cio il numero
di persone che hanno dimesso lassunzione di droghe e realizzata una vita
autonoma, lavoro e stabilit aettiva. Alcune comunit si sono dotate di
sistemi di verica, ancora incompleti, da cui risultano vari elementi da considerare. In primo luogo lindice di ecacia correlato in maggior misura
con il completamento del programma di trattamento. Linterruzione anticipata corrisponde nella maggior parte dei casi ad una ricaduta. Il livello di
queste ultime daltronde molto alto, considerando che il 60% delle persone a carico hanno gi passato un periodo di tempo nella stessa o in altre
comunit. I drop out che interrompono la permanenza in comunit sono
pi esposti allinsuccesso nel tentativo di disintossicazione rispetto ai graduates (coloro che completano il programma). Riassumendo gli elementi
pi signicativi nelle ricerche attuali, Clerici aerma che essi sono costituiti
dai parametri tempo trascorso in trattamento e tipo di conclusione
(concordata o meno coi curanti)84.
Altri studi si orientano verso criteri di tipo qualitativo. Viene cos messa
in secondo piano lastinenza dalle sostanze, cui si d un valore sintomatico,
in quanto costituisce la condizione ed il prerequisito per lentrata in comunit, e considerato preferibilmente il risultato che innesca un cambiamento
ed una trasformazione nello stile di vita, nella percezione di s e del mondo
circostante. In realt ancora oggi gli studi in materia hanno uno scarso valore predittivo, e resta molto dicile delineare un prolo di tossicodipendente da correlare a un certo tipo di servizio (comunit, terapia ambulatoriale,
etc.).
Gli ultimi follow up italiani hanno considerato i cambiamenti nei rapporti con la famiglia, nello stile di vita, nellassunzione di responsabilit85.
Un aspetto interessante di questo tipo di studi rappresentato dalla valuta83
A. Ciocca, Fuori dalla droga. Dati e riessioni sul processo di emancipazione, Teda Edizioni, Castrovillari 1993, in particolare p. 14 e p. 30.
84
M. Clerici, Tossicodipendenza e psicopatologia, p. 50.
85
Si fa riferimento ad un lavoro di ricerca sul follow up, cio sulle persone uscite dalla
comunit Exodus di Milano, eettuato nel 1994.
163
P. Townsend, La dipendenza strutturata degli anziani: creazione della politica sociale nel XX secolo, in D. Giori (a cura di), Vecchiaia e societ, il Mulino, Bologna 1984
pp. 117-141. Per uno sguardo generale sulla condizione anziana, si veda S. De Beauvoir, La
terza et, Einaudi, Torino 1971.
164
87
certo senso un residuo del passato e raccolgono leredit dei vecchi ospizi
dove venivano internati tutti gli indigenti.
Come noto, a partire dal XVIII secolo si intensicato il processo di
ricovero di poveri, anziani, folli abbandonati. Linternamento costituiva
una misura di assistenza e insieme di ordine pubblico, nella frequente equiparazione tra povero e delinquente. Tra gli indigenti la maggior parte era costituita da vecchi, inabili al proprio sostentamento. Solo nei secoli seguenti,
lentamente, si fa strada una dierenziazione dei bisogni specici delle persone e laermazione dei loro diritti. Le case per anziani restano per, insieme agli ospedali psichiatrici destinati a scomparire, le strutture pi simili
alla antica istituzione di ricovero dei poveri.
Come si detto, vi sono varie tipologie di istituti. Vengono denite case
di riposo le strutture destinate ad anziani autosucienti, in mancanza di
forme alternative di assistenza, che forniscono trattamento convittuale,
servizi di carattere assistenziale, prestazioni di tipo sanitario limitate, servizi
di tempo libero88. Come si pu notare, laccento messo sullaspetto assistenziale, mentre il trattamento sanitario non previsto. I servizi del tempo
libero sembrano invece un eufemismo, in quanto alludono a unipotetica
fascia di riposo dopo il lavoro che in realt non c pi. Libera infatti
tutta la vita dellanziano.
Le comunit alloggio sono destinate ad un numero ristretto di ospiti e
sono gestite dagli anziani stessi con il sostegno degli enti locali; le case albergo sono appartamenti separati, in genere con servizi in comune, per persone
autosucienti che desiderano vivere in un ambiente protetto.
In realt, come ha messo in evidenza B. Modesti, i due terzi delle strutture per anziani esistenti oggi in Italia accolgono anche o esclusivamente
anziani non autosucienti89. Come chiaro a chi si occupa di terza et, infatti, il conne che separa interventi di tipo assistenziale da quelli sanitari
assai incerto. Risulta quindi pi corretto includere le case di riposo tra i servizi sociosanitari, sottolineando cos la necessit di non separare la pura assistenza dagli interventi sanitari, comunque imprescindibili. Tale integrazione ha inoltre il senso di non spezzare la vita dellanziano, una volta che
non sia pi autosuciente, ma di prevedere la sua accoglienza in strutture
88
che rispondano globalmente ai suoi bisogni. Una risposta in tal senso proviene dalle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA), nate nel 1988, che dovrebbero svolgere una funzione intermedia tra i servizi del territorio e gli
ospedali per malati acuti. Accedono a queste strutture sia anziani che necessitano di un periodo di riabilitazione, sia anziani non autosucienti o in
fase terminale90.
Anche se nel mondo occidentale linvecchiamento sico sempre pi ritardato dal progresso della medicina, la perdita dellautonomia e dellautosufcienza resta un passaggio cruciale della vita di molte persone. Parlare di
anziani signica infatti individuare vari tipi di vecchiaia: una popolazione
anziana ancora valida e in buone condizioni di salute, che dispone di tempo
libero e gioca un ruolo da protagonista nellimmaginario collettivo e nelle
politiche sociali: si tratta dellanziano giovanile, il nonno ancora sportivo,
partecipante ad attivit sociali o alla formazione nelle Universit della terza
et. Daltro canto, si ha la fascia degli anziani ultrasettantenni, ospitati in
casa o nelle strutture residenziali, spesso in precarie condizioni di salute, a
volte parzialmente non autosucienti. Inne, coloro che hanno perso quasi totalmente la capacit di autonomia e dipendono interamente dallaiuto
esterno.
Sarebbe per equivoco pensare a gruppi diversi. Si parla invece, generalmente, della stessa persona, in fasi diverse della sua vita. Per questo non
ha senso la separazione tra tipi di intervento sociale, assistenziale o sanitario
se non per le esigenze organizzative del sistema che eroga i servizi. Anche se
in misura diversa, gli anziani necessitano di tutti questi supporti. Man mano che si invecchia, sar maggiore il bisogno di cure assidue e personali, ma
non diminuir la necessit di assistenza, aiuto, relazioni sociali.
Si pone, a questo proposito, la dierenza tra cure e care, dove care riguarda la dimensione globale del prendersi cura di qualcuno, in senso pi
ampio della semplice cura medica. Comprende infatti non solo la promozione del benessere del corpo, ma anche laiuto a saper convivere con la malattia o con la progressiva perdita di autosucienza, trovando nuovi equilibri. Tutto ci stato signicativamente riassunto nellespressione
collocare le cure dentro la vita91.
90
167
Ne deriva che autonomia o autosucienza non vanno individuate in astratto, come uno stato, ma in termini funzionali. La salute dellanziano (e
di ciascuno) non consiste nella semplice assenza di malattia, ma nella correlazione e interdipendenza tra diversi fattori, allinterno dei quali gli aspetti
psicosociali e relazionali risultano centrali. La valutazione in termini funzionali, di conseguenza, deve essere in grado di esprimere la salute in termini di autonomia, indipendenza e qualit della vita92.
Da questi brevi accenni possibile trarre alcune osservazioni sul ruolo
pedagogico allinterno delle case di accoglienza per anziani. La gura
delleducatore, come noto, assai incerta dal punto di vista del prolo
giuridico-amministrativo. Anche sul piano culturale, si registra ancora un
forte ritardo nel prevedere ruoli educativi nellambito di vari servizi destinati alla persona, ed in particolare di quelli per gli anziani93. Accanto a questi ultimi troveremo cos, oltre al medico, allinfermiere, allassistente sociale, altri ruoli, come lausiliario o loperatore socioassistenziale. La situazione
appare per in evoluzione, e pare importante ribadire la necessit di accostare, accanto a ruoli sanitari o sociali, una professionalit pedagogica.
Il ruolo delleducatore, come si detto, non si identica con un lavoro
di promozione culturale, n di assistenza alla persona; non daltronde neanche un animatore del tempo libero94. Occorre quindi chiedersi come
congurare la sua azione in questo campo. I capitoli precedenti hanno
permesso di individuare un educatore che si fa interprete dei bisogni della
persona e la sostiene in un progetto di vita. In questo senso, il ruolo educativo non pu certo limitarsi al tempo libero, ma comprende tutte le dimensioni di cambiamento della sua vita. Un anziano ospite di una casa di riposo, o in una struttura di accoglienza, un anziano sradicato, che ha lasciato
la sua casa, i suoi oggetti, il suo mondo. Il trauma rappresentato
dallingresso in istituto dimostrato dai dati che indicano come la mortali92
L. Palombi, M.C. Marazzi, Valutazione multidimensionale nellanziano: la metodologia Oars nel Rome Elderly Study, in Curare gli anziani a casa: prevenzione, terapia, riabilitazione, Atti del Convegno Internazionale ACAP-CEE, Universit Tor Vergata,
CSPSS, Roma ottobre 1988, p. 20.
93
S. Tramma, Il vecchio e il ladro. Invecchiamento e processi educativi, Guerini e Associati, Milano 1989.
94
Ivi, pp. 126 ss; P. Taccani, S. Tramma, A. Barbieri Dotti, Gli anziani nelle strutture
residenziali.
168
t negli istituti sia pi alta di quella degli anziani che restano nelle loro case,
e dalla forte incidenza della mortalit nei primi giorni e mesi dellingresso
nelle strutture residenziali95.
Nella maggior parte dei casi, a parte positive eccezioni, lambiente in cui
gli anziani si trovano anonimo e tende alla spersonalizzazione. La progressiva perdita di autonomia sica si accompagna allora con una crescente distanza sensoriale dal mondo esterno (vista e udito che calano) e soprattutto
alla diminuzione delle motivazioni per agire, cambiare, interessarsi. Per che
cosa e soprattutto per chi vivere?
Se la salute, come si detto, correlata allinteresse per la vita e agli stimoli ricevuti dallesterno, la possibilit per gli anziani di mantenere motivazioni e desideri legata anche allaiuto da parte delle persone accanto a
loro a mantenere o ritrovare un attaccamento alla vita. Limitarsi
allanimazione presuppone lassunto erroneo che gli anziani debbano essere
tenuti allegri nonostante i problemi e le dicolt legati al loro stato di
salute o alla loro solitudine. Pi vicine al prolo educativo sono invece tutte quelle funzioni che attivano risorse umane e sociali intorno alla persona:
colloqui, socializzazione, coinvolgimento degli anziani meno autonomi,
collaborazione nellorganizzazione della giornata, contatti con le famiglie.
Lottica non pu essere quella della gestione del tempo in istituto, ma quella della progettualit per la persona: ci signica prendere in considerazione anche la dimensione esterna (uscite, apertura della casa). Nellottica del
prendersi cura della persona in tutti i suoi bisogni, leducatore non si trova
in posizione subalterna, ma come una risorsa accanto al resto del personale.
Linvecchiamento rappresenta un momento emblematico per una persona: pu essere un naufragio quando prevalgono amarezza, rimpianti e
senso di abbandono. Ma pu anche costituire un approdo di una vita lunga
e ricca. Il lavoro educativo con gli anziani non pu consistere dunque in attivit, per quanto bene organizzate, che sfuggano alle problematiche esistenziali che gli anziani vivono.
In questo senso leducatore aiuta gli anziani a costruire o ricostruire un
progetto per la loro vita. Curare e prendersi cura non vuol dire solo porsi
in una relazione daiuto centrata sui bisogni di tutela e di assistenza, ma anche farsi carico dei desideri e delle aspettative e vigilare perch chi pu tor95
nare nel suo habitat naturale sia spinto e sostenuto a farlo96. La casa il
luogo concreto e simbolico degli aetti e dei ricordi. Molti anziani arontano il ricovero pensando di potervi tornare e solo in seguito si rendono
conto dellirreversibilit della loro condizione. Se il lavoro dellassistente
socile deve sostenere, sul piano concreto, la possibilit di un ritorno nel
proprio ambiente, quello delleducatore contribuisce a dare forma ai progetti nella prospettiva esistenziale che la persona sta vivendo97.
La scelta delleducatore va, per quanto possibile, verso i servizi alternativi e lutilizzo di una serie di oerte che il sistema sociosanitario mette a disposizione: assistenza domiciliare, day hospital98. Ma questo non sar possibile senza la volont dellanziano e soprattutto senza suscitare intorno a lui
la collaborazione della famiglia, del vicinato, dei volontari, degli operatori
sociali. La dimensione educativa si colloca nellaiutare gli anziani a riscoprirsi non pi soli, ma capaci di progetto, ancora con un futuro.
Molti educatori e gli operatori conoscono il percorso spesso lento e
dicile per ricostruire un progetto di vita di una persona anziana e raccontano che Lanziano, ogni anziano, un mondo. Ed pi facile trovarlo chiuso che aperto alle sollecitazioni esterne, alle domande chiare e dirette, alle oerte di aiuto [...]. Dalle storie raccolte emerge un cammnino
lungo, lento, paziente, non alla ricerca della graticazione facile, durato anni, per trovare un varco, per incuneare una chiave, una frase, un gesto99.
Un altro campo importante riguarda la cultura della vecchiaia. Troppo
frequentemente lanziano specie nella quarta et o non autosuciente
viene considerato dalla societ una persona i cui diritti sono pi facilmente
violabili. Ci avviene a causa della dipendenza, sia economica, sia sica e
per la convinzione che essi siano un peso per chi li assiste, per il silenzio con
cui vengono circondati. Una cultura vitalistica e centrata sul benessere tender a nascondere lanziano come immagine del declino e a descriverlo attravero tutti i clich pi consueti: sar cos rappresentato privo di memoria,
96
89.
97
F. DellOrto Garzonio, P. Taccani, Conoscere la vecchiaia, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1990.
98
M. Pagani, P. Baroni, La vita oltre il muro, cap. V.
99
Cooperativa Cultura Popolare, Anziani scomodi. Una proposta per lassistenza domiciliare, Giur, Milano 1984, p. 100.
170
lontano dalla realt, centrato solo sulla propria salute. Gli anziani stessi assorbono la cultura della salute e della vitalit, vergognandosi in molti casi
della perdita di autonomia, e del bisogno che hanno degli altri. Le ricerche
sulla condizione degli anziani smentiscono le generalizzazioni e gli stereotipi sugli anziani e tendono a considerarla come unet in cui, accanto al restringimento di alcune facolt, convivono interesse, capacit di amore,
memoria vigile, generosit e generativit100.
Dove prevale una cultura ingiusta contro gli anziani possono essere pi
facilmente violati i loro diritti. Gli abusi commessi contro di essi sono frequentemente ascrivibili alle omissioni: mancanza di cure, di attenzione, di
assistenza. Si tratta di quei diritti fondamentali, e in particolare quelli che
riguardano la dignit e la personalit dellindividuo, spesso violati quando si
tratta di anziani e particolarmente di anziani, malati, molto vecchi, non autosucienti101.
Listituzionalizzazione pu preludere a dimenticare lentamente gli anziani. La famiglia si allontana, gli ultimi parenti o amici muoiono. Il vecchio
perde la sua storia, spesso anche il suo nome (quanti degenti vengono
chiamati con un numero?); viene trattato spesso con impazienza, quasi
sempre con paternalismo. La solitudine, la distanza, la mancanza di riguardo che lo circonda vengono considerati normali. La difesa dei diritti degli
anziani passa attraverso il rispetto della loro dignit, lascolto dei loro bisogni, il riuto di ogni omissione. Essa fa parte dei compiti educativi, in
quanto instaura una nuova cultura della vecchiaia, antagonista a quella della societ, protesa verso falsi simboli di giovinezza.
La vicinanza alla debolezza della vecchiaia, inoltre, evidenzia la reciprocit di cui si nutre la relazione educativa. Accompagnare la vecchiaia pu
essere una scuola di vita non solo perch lanziano ricco di esperienza e di
passato, ma perch una persona che tocca il limite della forza e della vitalit. Questo limite non solo del malato terminale, della persona con handi-
100
Si veda, a questo proposito, E.H. Erikson, I cicli della vita. Continuit e mutamenti,
Armando Editore, Roma 1993, pp. 59-60.
101
AA.VV., Eutanasia da abbandono. Anziani cronici non autosucienti: nuovi orientamenti culturali e operativi, Rosenberg e Sellier, Torino 1988; Comunit Di S. Egidio (a
cura di), Let pi lunga. Anziani: dallabbandono alla solidariet, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1991.
171
106
Ivi, p. 287.
N. Elias, La solitudine del morente (trad. dal tedesco), il Mulino 1985, p. 82.
108
L.N. Tolstoj, La morte di Ivan Ilic (trad. dal russo), Garzanti, Milano 1988, p. 62 e
pp. 76-77.
107
173
Lenigma della vita e della morte si presenta come una domanda sulla
propria esistenza, che non si pu eludere evitandola o credendo di aver
fatto tutto secondo le regole. La menzogna intorno a Ivan Ilic non
consiste soltanto nel nascondergli le sue reali condizioni, ma nel riuto di
comunicare in profondit con chi morente, aiutandolo ad arontare
lenigma della vita.
M. Maesoli, Il tempo delle trib. Il declino dellindividuo (trad. dal francese), Armando Editore, Roma 1988, pp. 55.
110
M. Maesoli, Rue, esthtique et socialit, in A. Vulbeau E J.Y. Barreyre (a cura
di), La jeunesse et la rue, Descle de Brouwer, Paris, 1994, p. 28.
111
G. Dores, Nuovi riti, nuovi miti, Einaudi, Torino 1977, p. 147.
112
M. Maesoli, Il tempo delle trib, p. 37.
175
113
L. Roulleau Berger, Jeunesse, urbanit et accessibilit, in A. Vulbeau e J.Y. Barreyre (a cura di), La jeunesse et la rue, p. 40.
114
M. Featherstone, La citt senza luoghi (trad. dallinglese), Costa & Nolan, Genova
1988.
176
I muri delle periferie sono invece spesso coperti da scritte cariche di violenza. La chiusura verso gli altri, nei confronti di chi diverso, sembra delimitare lo spazio della propria trib, quella zona di appartenenza e sicurezza di cui gli adolescenti hanno bisogno. Si costituisce il conne che separa
dal vicino, dai nomadi, dalle persone di altre regioni, dagli immigrati, dalla
squadra nemica. I gruppi e le bande difendono il territorio ma soprattutto
cercano la loro identit penalizzando altri gruppi, specie pi deboli. Come
ha scritto Lesourd, gli adolescenti prendono il posto di cui hanno bisogno
per costruirsi contro laltro, il pi vicino, quando non possono prenderlo
contro ladulto nella societ: laltro gruppo, laltra citt, laltra razza115.
Fattori individuali (insicurezza, frustrazione) si uniscono a fattori sociali
(crisi economica, disoccupazione) nellelaborazione di pregiudizi e comportamenti razzisti che hanno come capro espiatorio gli ultimi arrivati. Alterit e occupazione dello spazio sono intimamente legati.
I segni ed i simboli utilizzati anche nellabbigliamento non mostrano
soltanto il conformismo dei ragazzi, ma sono utilizzati come maschere:
pi si avanza mascherati e pi si raorza il legame comunitario116. Sono
usati cio per riconoscersi, per individuarsi allinterno dello stesso gruppo
di riferimento e per comunicare anche senza parole. Altre volte i segni sui
muri, cos come tutti i simboli usati dagli adolescenti, hanno perso ogni signicato. Alcuni simboli archetipici la croce, la svastica, il labirinto, la
spirate non hanno pi il loro valore culturale, il ruolo di strumento che
permette di fare unastrazione. Nelleccedenza di simboli della nostra societ, nellinazione comunicativa, i segni hanno nito per capovolgere il loro
signicato di messaggio e diventano un gioco117.
La dimensione privilegiata degli adolescenti il gruppo ed al gruppo
che si rivolge la proposta delleducativa di strada. Nella storia
delleducazione la dimensione collettiva sempre stata centrale: dalle esperienze delloratorio di don Bosco, ai gruppi di scouts di Baden Powell, dalle
115
portamenti; uguale irritazione esiste, da parte degli adolescenti, per la prosaica lettura delle situazioni che tende a ignorare lo spazio del vissuto, delle
emozioni, del non detto.
Winnicott ha descritto ladolescente come un essere isolato che difende la sua identit e chiede di non essere scoperto e sostiene che gli adolescenti formano degli aggregati piuttosto che dei gruppi e, con il sembrare
tutti uguali, sottolineano la solitudine essenziale di ognuno di loro121.
I dinamisni di gruppo di adolescenti e giovani dicilmente assumono la
forma di movimenti sociali. Dal vitalismo, dallaggregazione naturale, effervescente, frammentata, raramente scaturisce la proiezione verso lesterno in
forma organizzata, la nalizzazione ad un progetto122. In una parola, diicilmente il gruppo si politicizza per esprimere bisogni o confrontarsi con il
mondo degli adulti123. Questo processo non va per escluso, anzi rientra in
una possibilit di progetto educativo. Quando i gruppi di adolescenti o di
giovani trovano uno scopo, si orientano ad unazione, entrano nel gioco
della verbalizzazione e dellazione intenzionale, viene recuperata la forza
interna del gruppo e la possibilit che al suo interno ognuno venga riconosciuto come persona.
4.5.2. Violenza e rischio
I fenomeni attuali di violenza giovanile chiedono alleducatore di comprendere le diverse forme in cui si esprime: sussulto, esplosione, o vissuto
interiorizzato. La violenza degli adolescenti, proteiforme, contagiosa, va interpretata. Riveste infatti un carattere comunicativo, anche quando si riversa ciecamente e gratuitamente verso oggetti innocenti. Richiede la presenza
di un altro, spesso assente. La mancanza sica o psicologica dei genitori, o
della famiglia in genere, come luogo di ascolto e di dialogo, allorigine di
una richiesta prepotente, oppure depressa, o aggressiva, di conferma spesso disattesa della propria esistenza.
La spiegazione pi diusa vede la violenza come impeto primordiale ed
incontenibile della personalit umana. Nella psicoanalisi freudiana eros e
121
246.
122
Si veda S. Freud, Il disagio della civilt e altri saggi, Boringhieri, Torino 1975.
R. Farn, La scuola di Irene: Pace e guerra in educazione, La Nuova Italia, Firenze
1989, p. 239.
126
Sul tema della violenza cfr. P. Bovet, Linstinct combatif Delachaux et Niestl, Nechatel-Paris, 1961.
127
N. Elias, La civilt delle buone maniere, Il Mulino, Bologna 1982.
128
M. Leblanc, Une approche criminologique. Vers un modle direntiel
dintervention et de prise en charge, in R.E. Tremblay, A.M. Favard, R. Jost (a cura di), Le
traitement des adolescents dlinquants, p. 170.
125
180
D. Le Breton, La passione del rischio (trad. dal francese), Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1995.
130
O. Mongin, La violence des images, ou comment sen dbarrasser?, Ed. du Seuil, Paris
1997, p. 25.
131
Ivi, p. 28.
181
132
Ivi, p. 149.
B. Bettelheim, Il mondo incantato. Uso, importanza e signicati psicanalitici delle
abe, Feltrinelli, Milano 1977.
134
P. Marsch, E. Rosser, R. Harr, Le regole del disordine, Giur, Milano 1984.
133
182
Il pedagogo dellantichit, come si detto, era lo schiavo che accompagnava i bambini per difenderli dai pericoli della strada. In strada, infatti,
non vale la protezione della famiglia, della scuola, del luogo di lavoro. Anche leducatore si trova senza difese e coperture, privo del tetto di
unistituzione o di un progetto elaborato. Ci comporta la maggiore importanza della messa in gioco delleducatore come persona. Come si detto, il conitto tra concezione carismatica e visione tecnicistica un vero e
proprio luogo pedagogico. Nel primo caso loperatore educa solo con la sua
persona, nel secondo applica metodi, strumenti e si inserisce
nellintelaiatura di una programmazione. Nellambito della pedagogia sociale e in una visione delleducazione come ermeneutica questo conitto
appare superato, come si tentato di mostrare nel capitolo III.
Non si educa se non attraverso la messa in gioco personale, a prescindere
dalle qualit carismatiche che si possiedono. Coinvolgimento
delleducatore non signica tuttavia improvvisazione, n istinto, n imposizione delle proprie idee o caratteristiche personali: la relazione personale e
contestualizzata, il contrario, diviene progetto pensato e costruito.
Allinterno del rapporto con gli altri si opera una problematizzazione, si riette sulle contraddizioni, si accolgono bisogni, si cambia il proprio punto
di vista, in un lavoro di sintesi che non rinuncia allosservazione puntuale
ed alla sistematicit pedagogica135.
Ci comporta una disponibilit a un lavoro su di s. La relazione coinvolge ma va controllata. In questo caso, si rinuncia a guardare ladolescenza
da lontano, come unet particolare, e a prendere le distanze dalle incertezze e soerenze dei ragazzi, accettando invece di comprendere i loro bisogni
come qualcosa che anche gli adulti non lasciano mai denitivamente e facendosi interrogare dalla loro ricerca di identit.
Inoltre, il lavoro di comprensione delleducatore riguarda anche gli eventuali fenomeni di transfert nella sua relazione con ladolescente e con il
gruppo. Come noto, si indica con il termine transfert linvestimento di
forze emotive, per lo pi inconsce, e di sentimenti positivi e negativi che il
135
D. Demetrio, Per una pedagogia del lavoro di strada, in Il lavoro di strada. Prevenzione del disagio, delle dipendenze, dellAids, Quaderni di Animazione e Formazione,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995, p. 50.
183
La ricerca pi completa dal punto di vista pedagogico sul tema del transfert in P.
Roveda, Il transfert nellattivit educativa, Vita e Pensiero, Milano 1979.
137
P. Bertolini, Lesistere pedagogico, p. 231; cfr. anche P. Bertolini, M. Dallari, Pedagogia al limite, La Nuova Italia, Firenze 1988.
138
J.P. Chartier, Les adolescents diciles, pp. 165-166.
139
M. Postic, La relazione educativa, pp. 157-168.
140
G. Torre, G.P Prada, La relazione adulto-adolescente deprivato, in Marginalit e societ 18, 1991, pp. 16-17.
184
141
F. Dolto, Adolescenza. Esperienze e proposte per un nuovo dialogo con i giovani tra i
10 e i 16 anni, Mondadori, Milano 1995, p. 24.
145
Ivi, p. 70.
186
Il senso del presente, ed anche la solitudine dietro il conformismo apparente, caratterizzano, come si detto, laggregazione giovanile. I gruppi di
adolescenti non possono essere oggetto, per cos dire, di accanimento pedagogico, n si pu violare lombra in cui vogliono mantenersi, pena il fallimento educativo. Per realizzare una presenza discreta, alcuni educatori
scelgono di essere presenti nei templi del divertimento come le discoteche,
le birrerie, etc. Non sempre per linseguimento fruttuoso. I gruppi di adolescenti trovano il loro signicato anche nella distanza e nella separazione dagli adulti, e alcuni conni del loro territorio devono restare invalicabili. Tuttavia esistono progetti dicili cui anche i giovani devono poter
partecipare, e che leducatore deve saper proporre. Al contrario dello spontaneismo aggregativo, luogo non politico per eccellenza, i progetti di costruzione di qualcosa di nuovo non sono giochi per adolescenti ma parte
della vita adulta, attraenti in quanto veri. Essi vanno per accompagnati da
simboli che creino unit, da comunicazione di signicati, da una mediazione culturale. Tra lassociazionismo organizzato da un lato, con i suoi riti e le
sue strutture, spesso lontano dalla maggior parte dei ragazzi, e la semplice
condivisione, c la via della proposta di partecipazione alla vita adulta attraverso lelaborazione di un progetto che valga la pena di perseguire.
Inne, non si pu eludere il nodo della violenza. Ci signica accettarla
come componente sociale ma depurarla della carica fatalistica e naturale
che le viene attribuita, e trattarla invece come esperienza di vita: occorre
toccare la violenza nella vita quotidiana, sia quella subita, sia quella rivolta
contro gli altri. Un progetto educativo non cerca la sublimazione, n consiste in uneducazione alla pace che ignori i conitti, ma accetta il confronto
con la violenza come dimensione esperienziale. Attraverso il dialogo, la riessione, lazione contestualizzata, la violenza si trasforma da usso naturale e automatico in processo concreto, potenzialmente iscritto dentro ogni
persona, che si pu e si deve oggettivizzare e contrastare.
In questo senso la violenza va raccontata. Le narrazioni televisive o lmiche tendono a rappresentazioni epiche di lotta tra Bene e Male, in cui un
mostro rispecchia la patologia dellintera societ, lodio viene destoricizzato
e collocato nella normalit sociale. La violenza, al contrario, una storia
personale, iscritta nelle vicende della propria vita, da storicizzare, initta a
noi stessi e agli altri. Il nemico va reso vicino, comprensibile, mostrato nella
sua somiglianza con ognuno di noi. Il lato dombra che esiste dentro cia187
Si veda D. Gambetta, La maa siciliana. Unindustria della protezione privata, Einaudi, Torino 1992.
147
N. Tranfaglia, La maa come metodo nellItalia contemporanea, Laterza, Bari 1991,
p. 36.
188
accordo reciproco nel contratto sociale che alla base della partecipazione
alla cosa pubblica; il passaggio allItalia unitaria stato altres considerato
cruciale148.
Senza poter entrare negli aspetti pi propriamente storici e nella discussione sulle origini delle onorate societ, va per sottolineato che occorre
rendere complementari le spiegazioni inerenti ai processi socioeconomici
allinterno delle zone in cui queste forme di criminalit sono nate, e la dimensione pi propriamente culturale. Infatti, come noto, maa e camorra
non nascono come corpi estranei allinterno delle societ di appartenenza,
ma sono strettamente intrecciate con modi di vita, costumi, tradizioni. Esse
restano, tuttavia, organizzazioni criminali che non devono essere viste soltanto dal punto di vista culturale o antropologico149.
Il niente maa del passato ha anche prodotto leccesso opposto:
tutto maa, no a far coincidere la societ siciliana con le cosche e a
suggerire che fosse impossibile un intervento di estirpazione di quello che
alla ne sembrava essere la vera anima di questa regione. Oggi la maa esiste, ma non pi normale: divenuta visibile, se ne conoscono i contorni
attraverso le confessioni dei collaboratori di giustizia, ed soprattutto
fatta da persone. A questo mutamento ha dato il suo apporto anche
leducazione. Oggi per necessario un nuovo progetto che, partendo da
un rinnovato impegno, aronti un duplice nodo: laspetto biograco, ovvero la maa come reclutamento e adesioni, e la questione del metodo maoso, basato su clientele e corruzione, che occorre estirpare da tutta la societ.
necessario infatti ricordare che, quando si ricorre sistematicamente
allaermazione dellinteresse particolare contro linteresse comune, tutta la
societ diviene maosa150.
Per esercitare unazione educativa nel contesto sociale letto nella metafora della strada occorre cio pensare a vari livelli di intervento: la prevenzione e il trattamento della criminalit vera e propria dei minorenni e
soprattutto unalternativa di tipo culturale alla mentalit di sducia, sopraffazione, potere e violenza che le mae portano con s.
148
S. Lupo, Storia della maa. Dalle origini ai giorni nostri, Donzelli editore, Roma
1996; cfr. anche N. Tranfaglia, La maa come metodo nellItalia contemporanea; D. Gambetta, La maa siciliana.
149
N. Tranfaglia, La maa come metodo nellItalia contemporanea, p. 19.
150
Ibidem.
189
Dal punto di vista educativo non esiste una societ maosa, ma importante cogliere gli aspetti storici, antropologici e culturali che sottostanno ed
alimentano questi fenomeni accanto a quelli risultanti dal sistema della devianza. Risulta chiaro che non si pu comprendere la scelta di un giovane
aliato senza guardare al clima psicologico e culturale in cui vissuto, ai
valori trasmessi direttamente e indirettamente, al senso dellonore, della
protezione o della solidariet allinterno della famiglia che gli stato inculcato.
Daltra parte, le mae non sono soltanto una mentalit: restano associazioni a ni di lucro fondate sulla violenza e su attivit illecite come lestorsione ed il traco di stupefacenti. Hanno ferree leggi economiche interne (che vietano il furto), sociali e morali (rispetto della famiglia), ma
riutano quelle delle istituzioni statali. Sono caratterizzate quindi
dallanomia, unita ad una violenza primitiva che si esprime in forme arcaiche e crudeli, ma testimoniano allo stesso tempo un bisogno di ordine e
quindi di Stato151.
La maa stabilisce zone franche dove amministrare la legge ed imporla
ai singoli cittadini; si sostituisce allo Stato nel garantire ordine e gestire la
giustizia. Si potrebbe dire che proprio la gestione dello spazio costituisce
la sua forza. Nellassenza di autorit dello stato, la famiglia chiude una porzione di territorio e aerma il suo diritto su di essa. Chi accetta di pagare il
prezzo dovuto a questo anti-Stato sar protetto e non correr pericoli, anzi
goder di diritti e di giustizia, esattamente come in un qualsiasi paese autonomo. In questo le mae anticipano le forme contemporanee di occupazione dello spazio (secessione, o proclamazione di autonomia) non
fondate su identit linguistica o culturale, ma solo sul diritto del pi forte.
Per diverse cause, di tipo storico, o per motivi di protesta, sono simili a quei
movimenti contemporanei che aermano il diritto su uno spazio in base a
criteri del tutto articiali e pretendono di amministrare la loro giustizia su
di esso.
Loccupazione dello spazio costituisce per il suo limite. A parte
lesportazione del modello maoso ad altri paesi, infatti, restano invariabilmente legati alla dimensione locale. Davanti ad un mondo che tende alla
151
G. Falcone in collaborazione con M. Padovani, Cose di cosa nostra, Rizzoli, Milano1991, p. 71.
190
G. Casarrubea, P. Blandano, Leducazione maosa. Strutture sociali e processi di identit, Sellerio editore, Palermo 1991, p. 51. Sui minori nella criminalit organizzata cfr. M.
Cavallo (a cura di), Le nuove criminalit: ragazzi vittime e protagonisti, Franco Angeli, Milano 1995.
153
O. Ciampa, Intervento al Convegno dellAssociazione Italiana Giudici per i minorenni, in P. Andria (a cura di), Criminalit minorile: quanta, quale, perch, Unicopli,
Milano 1988; I Merzagora, D. Paolillo, Il coinvolgimento dei minori nella delinquenza
organizzata: un tentativo di indagine quantitativa, in Marginalit e societ 20, 1991,
pp. 30-47.
154
Ivi, pp. 31-32.
191
Ivi, p. 38.
F. Di Maria Et Alii, Il sentire maoso. Percezione e valutazione di eventi criminosi
nella pre-adolescenza, Giur 1989, pp. 17 ss.
156
192
tit.
158
In questo senso si vedano le esperienze di Danilo Dolci in Sicilia. Cfr. D.Dolci, Inventare il futuro, Laterza, Bari 1988.
159
Cit. in G. Casarrubea, P. Blandano, Leducazione maosa. Strutture sociali e processi
di identit, p. 21.
160
Ivi, p. 39; sul ruolo della scuola nei confronti dei ragazzi che vivono in contesti difcili, si veda Comunit Di S. Egidio, La scuola rubata, Franco Angeli, Milano 1992.
193
mostra tuttavia inadeguato a cogliere la problematica al di l della dimensione strettamente sanitaria; si cos preferito la dizione di intervento a bassa soglia o di cura della vita, che permette di sperimentare un aiuto provvisorio, ma non per questo meno completo, alla persona in stato di
dipendenza, senza attendere la richiesta esplicita da parte della persona di
disintossicarsi o di uscire denitivamente dalla sua situazione162. Questo
tipo di lavoro, essenzialmente socioeducativo, denito come
lattivazione di tutte le forme possibili di contatto e di accompagnamento
anch siano garantite le condizioni minime (cliniche, psicologiche, sociali) che permettano, quando diventa matura lintenzionalit di cambiare, di
poterlo fare, evitando la loro irreversibile compromissione163. La presa in
carico del giovane o delladulto in dicolt si colloca a tre livelli: organizzazione dei servizi, cultura sociale e scelte educative. Non si vuole qui prendere in esame laspetto di prevenzione sanitaria attinente ai due primi livelli, non pertinenti con il nostro tema e gi sottoposti a revisione anche sul
piano etico. Interessano invece i programmi di lavoro con la persona che
mostrino una valenza specicatamente educativa. Si tratta infatti di incontrare giovani e adulti in situazioni di disagio, in particolare tossicodipendenti, o senza ssa dimora, per rispondere ad un bisogno di relazione ed intavolare un dialogo senza necessariamente costringere alla scelta di
riabilitazione, allentrata in una comunit o alla fruizione di servizi. Tali obiettivi restano comunque sullo sfondo, ma non devono creare corti circuiti nel rapporto con leducatore. Ci permette di evitare la standardizzazione delle proposte, raggiungere le persone con meno opportunit,
creare un rapporto quotidiano164.
Sono stati descritti a questo proposito quattro proli di giovani in strada destinatari degli interventi: il giovane a rischio, sulla via della marginalizzazione, ossia sulla soglia tra disagio e devianza; il giovane sradicato ed
162
Caritas Ambrosiana, Riduzione del danno: le comunit sinterrogano, in Il RegnoDocumenti, 21, 1994, pp. 689-694. Sono seguiti altri documenti, tra cui Dalla riduzione
del danno allintervento a bassa soglia (1994) e Cura della vita. Lotta alla droga, prevenzione e recupero: limpegno delle comunit (1997).
163
M. Campedelli, Riduzione del danno, in Prospettive Sociali e Sanitarie, 5, marzo
1995, p. 2; dello stesso autore cfr. anche Educativa di strada e riduzione del danno in Il
lavoro di strada, pp. 62-66.
164
L. Grosso, Lindividualizzazione degli interventi di riduzione del danno, in Animazione sociale, 2, febbraio 1995, pp. 17 ss.
195
165
Ctnerhi (Centre Technique National dtudes et des Recherches sur les Handicaps
et les Inadaptations), Il pubblico del lavoro di strada, in Animazione sociale 2, febbraio
1995, p. 33.
166
Ctnerhi, I nodi da sciogliere per un futuro del lavoro di strada, in Animazione sociale 2, febbraio 1995, p. 51.
196
167
nomadi costituisce un contesto in cui gli educatori, a partire dalla comprensione di una realt complessa, agiscono su di essa.
Originarie dellIndia, le popolazioni zingare iniziano le grandi migrazioni verso occidente a seguito delle pressioni islamiche; vengono segnalati
in Persia nel V secolo, mentre larrivo in Europa avviene intorno al XI secolo. In Italia, le prime cronache testimoniano lingresso a Bologna ed in altre
citt a met del 1400. Dopo una iniziale reazione di curiosit, cominciarono i primi di innumerevoli bandi per allontanarli dai territori, costringendoli a varie strategie di sopravvivenza. In questo periodo, gli zingari svolgevano mestieri funzionali al tessuto economico circostante: fabbri,
commercianti di cavalli, calderai, organizzatori di spettacoli ambulanti168.
Lorigine del nome zingari potrebbe venire da atsingani, nome dato in
Grecia, ma esistono varie denominazioni per indicare i vari gruppi: kalderasha (romeno), lovara (ungherese) xora xane roma, cio zingari musulmani,
rudari.
Oggi il termine rom = uomo zingaro indica lintera etnia. Nel nostro paese vi sono vari gruppi di cittadinanza italiana. Il pi numeroso quello dei
sinti, giostrai e organizzatori di spettacoli ambulanti; i gruppi di origine pi
antica tra loro sono i sinti piemontesi, lombardi, emiliani, veneti; vi sono
inoltre i rom caratterizzati dalla provenienza: rom abruzzesi, calabresi, etc.
I rom sono allo stesso tempo noti a tutti e sconosciuti. Su di loro viene
sovrapposta unimmagine uniforme che non tiene conto delle molteplici
dierenze al loro interno: di nazionalit, (slava, ungherese, romena, italiana
etc.), di religione (ortodossa, musulmana, cattolica). La stessa lingua, il romans, ha accolto diversi elementi dai paesi in cui i nomadi hanno abitato.
Le migrazioni attuali e passate dei rom testimoniano un equilibrio tra dinamiche di adattamento e sollecitazioni della grande storia, che li ha spesso
travolti.
La storia degli zingari presenta infatti un tratto unitario: quello
dellostilit e del pregiudizio da parte delle popolazioni sedentarie. Presenti
ormai da molti secoli nella societ occidentale, i rom sono stati sempre di168
Per una storia dei Rom si veda L. Narciso, La maschera e il pregiudizio. Storia degli
zingari, Melusina, Roma 1990; F. De Vaux De Foletier, Mille anni di storia degli zingari,
Jaca Book, Milano 1978; G. Viaggio, Storia degli zingari in Italia, Anicia 1997; M. Karpati, I gli del vento. Gli zingari, La Scuola, Brescia 1978; M. Olmi, Italiani dimezzati, Edizioni Dehoniane, Napoli 1986.
198
sprezzati. Le rappresentazioni dello zingaro come mendicante, ladro, sfaccendato, sono iscritte nellimmaginario popolare. Ancora oggi pu capitare
che il rapimento dei bambini venga, del tutto fantasiosamente, associato
alla presenza di nomadi. Anche limmagine romantica e nobile dello zingaro libero e artista divenuta in molti casi una manipolazione che non corrisponde alla realt di una vita dura e dicile.
Da parte dei governi si sono alternate misure di vera e propria repressione a tentativi di assimilazione culturale, come nel caso dellAustria
dellimperatrice Maria Teresa in cui i bambini zingari vennero sequestrati e
separati dai genitori per farli allevare dallo Stato.
Il culmine delle politiche repressive raggiunto con il genocidio degli
zingari ad opera dei nazisti durante la seconda guerra mondiale. Mentre
noto lOlocausto ebraico, sceso il silenzio sul mezzo milione di zingari deportati e uccisi nei campi di concentramento. Nella politica hitleriana, che
vedeva al vertice la razza ariana, gli zingari, pur parlando una lingua ariana, non vennero mai riconosciuti come tali, ma condannati per motivi di
razza e asocialit169.
Dopo la seconda guerra mondiale, si assiste a due grandi spinte migratorie: una nel 1960, laltra alla ne del 1980, con la caduta della cortina di ferro. Fino ad allora gli zingari erano stati contenuti dai regimi comunisti dove
vivevano in uno stato di marginalit e indigenza. Molti sono arrivati dalla
Bosnia e dal Kossovo a seguito dalla guerra nella ex Jugoslavia allinizio degli anni novanta. Oggi chiedono diritto dasilo, ma dicilmente viene concesso loro lo statuto di rifugiati politici; in quanto rifugiati economici
condividono lo stesso riuto di tutte le popolazioni che bussano alle porte
dellEuropa.
Si calcola che attualmente i rom siano 6-8 milioni in Europa centrale e
orientale, meno di un milione in Europa occidentale, di cui 70.000 in Italia.
La caratteristica fondamentale del popolo zingaro resta la dispersione. Solo
una minoranza ancora eettivamente nomade, e cio gli zingari giostrai
che trasportano gli spettacoli e i giochi; gli altri semi-sedentarizzati, aspirano ad una casa, e sono pi che altro costretti a spostamenti a causa della
169
D. Kenrick, G. Puxon, Il destino degli zingari. La storia sconosciuta di una persecuzione dal medioevo a Hitler (trad. dallinglese), Rizzoli, Milano 1975.
199
170
200
ma un contributo allo sviluppo globale della societ contemporanea attraverso le cure prestate a una delle sue componenti172.
La situazione dei Rom denita paradossale in quanto, se da una parte
costituiscono una minoranza etnico-linguistica protetta, i cui diritti sono
riconosciuti in via di principio, daltra parte dipendono interamente dalla
buona volont e dallaccoglienza degli stati in cui vivono, in un contesto attuale fortemente marcato dalla xenofobia173.
Lo statuto degli zingari, come si detto, anomalo. Le organizzazioni
che curano i loro diritti generalmente non chiedono leggi speciali a tutela di
questa minoranza, gi sancita dallart. 6 della Costituzione (La Repubblica
tutela con apposite norme le minoranze linguistiche), quanto che si applichino gli articoli della Costituzione che sanciscono la libert, luguaglianza di
tutti i cittadini e la loro piena partecipazione alla vita sociale e politica (artt.
2, 3, 4, 13, 14, ed in particolare lart. 16 che prevede la libert di sosta). Si
tuttavia sviluppato anche un processo di sviluppo dellidentit transnazionale rom, ad opera di gruppi di intellettuali che in recenti congressi hanno
fondato lUnione mondiale dei rom per aermarne e difenderne i diritti culturali.
Ci si pu chiedere quali gure professionali debbano essere presenti
nellambiente dei nomadi, e quali compiti prevedere per gli educatori che si
occupano dei loro problemi. A questo scopo vanno presi in considerazione
gli obiettivi principali da individuare per contribuire a migliorare la situazione delle famiglie zingare174.
Esistono due dimensioni negli interventi a favore degli zingari, collegate
tra loro. La prima di tipo microsociale e riguarda le loro eettive condizioni di vita, leducazione sanitaria, la scolarizzazione dei bambini, la formazione professionale. La seconda, di livello macro, consiste in un lavoro di
tipo interculturale per promuovere la conoscenza e la comprensione reciproca tra il mondo rom e il mondo dei gag (= non zingari). Come si det172
A. Reyniers, Les populations tsiganes et leurs moviments dans les pays dEurope centrale et orientale et vers quelque pays de lOCDE, Documento OCSE (Organizzazione per la
Cooperazione e lo Sviluppo Economico), Paris 1995.
173
Ivi, p. 39
174
Vi sono nora soltanto pochi esempi, ma sono in aumento le amministrazioni comunali che impiegano assistenti sociali, educatori o cooperative di servizi per il sostegno ai
nomadi nelle loro zone.
201
to, i due aspetti sono profondamente interconnessi tra loro. Ostilit e incomprensione verso gli zingari non possono essere considerate come un dato naturale e insuperabile, imputabile al riuto da parte nomade di integrarsi. La situazione, come si visto, molto pi complessa.
Se esistono barriere storiche, linguistiche e culturali, va anche detto che
altrettanto vivo il desiderio da parte di molti nomadi, soprattutto delle
giovani generazioni, di uscire dal cerchio della miseria e dellemarginazione.
Numerosi fattori ostacolano questo processo. A livello microsociale, come si
detto, occorre un lavoro approfondito con i bambini e i pi giovani perch si integrino in uno sviluppo sociale e culturale, premessa indispensabile
per linserimento lavorativo e per evitare fenomeni di devianza. I minori
nomadi che compiono reati (nella stragrande maggioranza reati contro il
patrimonio, cio furti, anzich contro la persona, tipo di reato diuso tra i
non zingari) usufruiscono di fatto, come si detto nel capitolo V, di minori
opportunit alternative al carcere rispetto ai loro coetanei. Il processo di
prevenzione e integrazione sociale, indubbiamente, parte dalla scuola.
La lunga strada verso la scolarizzazione dei bambini zingari ha attraversato due fasi. Nella prima, a partire dal 1963, gli alunni nomadi sono entrati
nella scuola in classi sperimentali a loro riservate (le lacio drom); la seconda
ha visto linserimento nelle classi comuni. Resta ancora da realizzare una
terza fase di eettiva uguaglianza di opportunit e di risultati. Infatti, solo
la met dei bambini zingari oggi scolarizzata, nonostante la volont positiva delle famiglie in questa direzione175.
Ostacolano la frequenza anzitutto la precariet della sosta in mancanza
di campi autorizzati, sanciti dalla legge, ma mai realizzati: le famiglie vengono sgomberate pi volte in un anno, senza preavviso, costringendo i gli
allinterruzione degli studi. Vi inoltre la necessit, da parte dei bambini, di
sostenere la famiglia con il lavoro o con la questua. Inne, si frappongono le
dicolt relative alla scarsa capacit della scuola di adattarsi ai loro bisogni.
Anche la mancanza di educazione prescolastica incide negativamente sulla
scolarizzazione.
La presenza di un bambino zingaro a scuola non costituisce un problema, ma unoccasione di arricchire ed ampliare le risorse ed oerte didattiche a disposizione degli alunni. A partire dal momento
175
dellaccoglienza, la scuola deve darsi obiettivi di integrazione che si realizzino in attivit comuni. Risulta collegata a tali obiettivi minimi la capacit
di comprensione della realt rom da parte degli insegnanti e una comunicazione che, come per tutti gli alunni, deve tener conto degli aspetti motivazionali, culturali, aettivi dellapprendimento. Nonostante la collaborazione della maggior parte degli insegnanti, infatti, la scuola appare ancora
lontana dalla realizzazione di programmi eettivamente interculturali che
faciliterebbero linserimento degli alunni zingari176.
La scuola costituisce, per i bambini rom, il primo se non lunico approccio ravvicinato con il mondo fuori del campo. Si presenta quindi come
un universo minaccioso e insieme come il luogo dove si dispensano gli strumenti desiderati della lettura e della scrittura, che aprono le porte allintegrazione sociale. Qui si gioca la possibilit di invertire il circolo vizioso dello svantaggio, non soltanto conquistando lalfabetizzazione ma soprattutto
imparando a conoscere e a comunicare con la cultura gag. La sda, infatti,
prioritariamente culturale nel senso di padronanza degli strumenti di base, ma anche di integrazione a livello di convivenza sociale. Come riporta il
Rapporto della Commissione della Comunit Europea sulla scolarizzazione
di bambini zingari e viaggianti, sottolineando la relazione tra politiche generali e situazione scolastica: ntantoch rimarranno conittuali le relazioni tra le comunit zingare e lambiente che le circonda, le relazioni dei
genitori e dei bambini zingari con la scuola ne resteranno condizionate177.
Lintervento di educatori nel contesto di conne tra scuola ed extrascuola, di cui si parlato, riguarda anche tale situazione dei nomadi. Una
politica educativa completa, quale si prola anche nelle recenti disposizioni
legislative a favore dellinfanzia, deve prevedere iniziative che contribuiscono alla scolarizzazione, e alla prevenzione, agendo sul contesto (attivit extrascolastiche, arricchimento culturale, rapporti con le famiglie etc.).
Ancora, a livello microsociale esiste la questione delleducazione sanitaria. Il problema della salute dei nomadi richiede interventi educativi, sia a
livello dei bambini che delle loro famiglie. Campagne di sensibilizzazione e
176
Sugli aspetti interculturali, cfr. C. Clanet, Lintgration pluraliste des cultures minoritaires: lexemple des tsiganes, in J. Retschitzky, M. Bossellagos, P. Dasen (a cura di),
La recherche interculturelle, LHarmattan, Paris 1989.
177
J.P. Ligeois, La scolarizzazione dei bambini zingari e viaggianti, p. 136.
203
di prolassi possono essere condotte dagli educatori, previa una buona conoscenza delle situazioni sociali in cui devono essere svolte.
La formazione professionale, inne, pu riguardare gli adolescenti che
abbiano frequentato la scuola e intendano inserirsi a livello lavorativo. I ragazzi nomadi vivono oggi una doppia crisi, legata al passaggio allet adulta
e al confronto con la societ circostante. La televisione e i mezzi di comunicazione hanno ridotto la distanza tra i due mondi, ma non la dicolt a fare parte di quello gag. I consumi unicano il mondo degli adolescenti, senza realizzare una reale integrazione. Gli zingari sono sospesi tra due culture,
non pi monolitiche e strutturate, ma frammentate e intrecciate. In quella
rom vi sono elementi simbolici che costituiscono ancora la loro identit;
ma nella seconda, attraverso la televisione, gli adolescenti ne trovano altrettanti in cui riconoscersi. Il passaggio di sponda , no ad ora, traumatico, e
comporta la rinuncia alluna o allaltra cultura. A quando la possibilit, per
un ragazzo zingaro, di vivere e partecipare ad ambedue?
Come facile comprendere, il livello macrosociale si intreccia con gli interventi di sostegno educativo di cui si parlato. La situazione sanitaria dei
rom, ad esempio, non dipende solo dalla conoscenza di adeguate norme di
igiene o di alimentazione. Gli incidenti, le malattie infettive o da rareddamento, la scarsa alimentazione cause della elevatissima mortalit infantile dipendono da fattori ambientali e quindi ancora una volta da politiche sociali e culturali, necessarie per rispettare eettivamente i loro diritti.
Si prola cos la necessit di un educatore esperto nel campo interculturale,
che aronti, a livello di iniziative di educazione degli adulti e permanente,
le tematiche del pregiudizio e della convivenza tra diversi.
Sono nate in questo senso varie iniziative che hanno portato alla creazione del prolo del mediatore culturale. Tale gura, in genere rappresentata da un membro del gruppo etnico (in questo caso i rom), ha il compito di
avvicinare e mettere in rapporto nomadi e istituzioni, come la scuola, le
strutture sanitarie, istituzionali etc. Anche un educatore non zingaro pu
per svolgere un ruolo di mediazione, lavorando a livello della conoscenza e
delle informazioni, nonch delle immagini e delle rappresentazioni reciproche.
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MILENA SANTERINI
PIERPAOLO TRIANI
PEDAGOGIA
SOCIALE
PER EDUCATORI