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1 Elementi di analisi funzionale
1.1 Generalit sugli spazi di funzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.1.1 Spazi vettoriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.1.2 Spazi metrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.1.3 Limiti di successioni, continuit di funzioni . . . . . . . .
1.1.4 Successioni di Cauchy e completezza . . . . . . . . . . . .
1.2 Convergenza uniforme per successioni e serie di funzioni . . . . .
1.2.1 Successioni di funzioni: convergenza puntuale e uniforme
1.2.2 Successioni di funzioni e derivazione . . . . . . . . . . . .
1.2.3 Serie di funzioni: convergenza puntuale e uniforme . . . .
1.3 Operatori lineari continui . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4 Lintegrale di Lebesgue . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4.1 Motivazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4.2 La misura di Lebesgue . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4.3 Integrale di Lebesgue . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4.4 Relazione tra integrale di Riemann e integrale di Lebesgue
1.4.5 I teoremi di convergenza per lintegrale di Lebesgue . . .
1.4.6 Derivazione sotto il segno di integrale . . . . . . . . . . .
1.4.7 Spazi Lp . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4.8 Integrali doppi in Rn . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4.9 Convoluzione in Rn . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.5 Richiami sulle serie di Fourier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.5.1 Serie di Fourier in L2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.5.2 Convergenza puntuale delle serie di Fourier e rapidit di
convergenza a zero dei coe cienti . . . . . . . . . . . . . .
6
6
6
9
11
12
14
15
22
26
31
33
33
36
41
48
52
57
65
69
71
72
72
74
79
79
80
83
83
85
87
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153
153
162
164
167
167
172
173
180
181
185
190
4.4
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194
194
196
202
211
211
218
225
235
237
6 Spazi di Hilbert
6.1 Spazi vettoriali con prodotto interno . . . . . . . . . .
6.2 Spazi di Hilbert . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.3 Analisi di Fourier in spazi di Hilbert . . . . . . . . . .
6.4 Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.5 Il sistema trigonometrico. Serie di Fourier in una o pi
6.5.1 Completezza del sistema trigonometrico . . . .
6.5.2 Serie di Fourier in pi variabili . . . . . . . . .
6.6 Base di Haar e wavelets . . . . . . . . . . . . . . . . .
260
260
266
270
278
280
280
284
286
. . . . .
. . . . .
. . . . .
. . . . .
variabili
. . . . .
. . . . .
. . . . .
.
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.
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237
245
249
251
255
7.7
337
338
343
346
348
349
350
355
359
363
368
368
1
1.1
Cominciamo con lintrodurre o richiamare alcune strutture astratte che si utilizzano per studiare gli spazi di funzioni che sono coinvolti nei problemi analitici
che incontreremo.
1.1.1
Spazi vettoriali
Iniziamo a ricordare la denizione di spazio vettoriale che lo studente ha incontrato nello studio dellalgebra lineare.
Denizione 1.1 (Spazio vettoriale) Uno spazio vettoriale sul campo K (= R o C)
un insieme X su cui sono denite:
1. unoperazione + (somma di vettori), che associa ad ogni coppia di
vettori (x; y) un vettore x + y; loperazione di somma soddisfa le propriet (per
ogni x; y; z 2 X):
-commutativa: x + y = y + x;
-associativa: x + (y + z) = (x + y) + z;
-esistenza dellelemento neutro 0; tale che x + 0 = 0 + x = x;
-esistenza dellopposto x di ogni elemento x, tale che x + ( x) = 0:
2. Unoperazione di prodotto tra un vettore e uno scalare, che associa a
una coppia ( ; x) con 2 K; x 2 X un vettore
x 2 X; loperazione1 soddisfa
le propriet (per ogni x; y 2 X; ; 2 K):
-distribuitva del prodotto per uno scalare rispetto alla somma di vettori:
(x + y) = x + y
-distribuitva del prodotto per uno scalare rispetto alla somma di scalari:
( + ) x = x + x;
-pseudoassociativa: ( x) = ( ) x;
-lelemento neutro del prodotto tra scalari elemento neutro del prodotto per
uno scalare: 1 x = x:
Ricordiamo che uno spazio X ha dimensione nita quando esiste un numero
nito di elementi e1 ; e2 ; :::; en 2 X tali che ogni altro elemento di X combinazione lineare di questi. Altrimenti si dice che X ha dimensione innita. Nel
corso di algebra lineare e geometria lo studente ha incontrato soprattutto spazi
vettoriali di dimensione nita, come sono gli spazi Rn e Cn , gli spazi di matrici,
gli spazi di polinomi di grado minore o uguale di un n ssato. In analisi ci
interessano spazi vettoriali di funzioni, e questi sono solitamente di dimensione
innita.
Denizione 1.2 (Spazio di funzioni) Sia
F = ff :
1 Come nellalgebra usuale, il simbolo
sottointeso.
! Rg :
2 K:
max
i=1;2;:::;n
n
X
i=1
jxi j oppure
jxi j :
Si pu dimostrare che queste tre norme sono tutte tra loro equivalenti, il che
signica che per certe costanti c1 ; c2 > 0 risulta
c1 jxj0
jxj
c2 jxj0
e analoghe disuguaglianze permettono di confrontare jxj con jxj1 e jxj0 con jxj1 .
2. In C 0 [a; b] possiamo denire:
kf kC 0 [a;b] = max jf (x)j ,
x2[a;b]
jf (x)j dx.
Anche questa risulta una norma su C 0 [a; b], pur essendo sostanzialmente diversa dalla norma kf kC 0 [a;b] . Le norme k kC 0 e k kL1 non sono equivalenti.
Vediamo quindi che su uno spazio di funzioni, diversamente che in Rn , possono
esistere norme sostanzialmente diverse tra loro.
4. Se provassimo a denire la norma kf kC 0 o kf kL1 in C 0 (a; b) (che pure
uno spazio vettoriale), queste norme non risulterebbero nite per ogni f 2
C 0 (a; b), in quanto C 0 (a; b) contiene anche funzioni illimitate. Quindi su questo
spazio queste non sarebbero norme. Vediamo quindi che non in ogni spazio
vettoriale esistono norme naturali.
1.1.2
Spazi metrici
Una diversa struttura astratta utile in analisi quello di spazio metrico, che ora
introduciamo.
Denizione 1.8 (Spazio metrico) Si dice spazio metrico un insieme X dotato di una funzione distanza
d:X
X ! [0; 1]
X un suo sottoin-
2 Lorigine del nome L1 dato a questa norma si chiarir in un prossimo capitolo, parlando
dellintegrale di Lebesgue. Per ora solo un simbolo come un altro scelto per denotare questa
norma integrale.
X.
1.1.3
E5 = fx 2 X : f (x) 0g
E6 = fx 2 X : f (x) = 0g
sono chiusi.
Esempio 1.19 In uno spazio vettoriale normato (X; k k) gli insiemi
fx 2 X : kxk = 1g ; fx 2 X : kxk
fx 2 X : kxk > 1g aperto.
1g sono chiusi;
12
Proposizione 1.24 Se una successione fxn gn=1 di Cauchy in (X; d), allora
limitata.
Diamo ora la seguente
Denizione 1.25 (Spazio metrico completo) Uno spazio metrico (X; d) si
dice completo se ogni successione di Cauchy in X convergente in X.
Quindi negli spazi metrici completi la condizione di Cauchy risulta equivalente alla convergenza. In uno spazio completo se verichiamo che una successione di Cauchy (il che, ricordiamolo ancora, non richiede la previa conoscenza
del candidato limite) ne segue che esiste un elemento x 2 X a cui la successione
converge. La completezza dello spazio unipotesi importante nei teoremi di
esistenza dellanalisi matematica.
LEsempio 1.23 mostra che lo spazio metrico Q non completo. Vale invece
il seguente fondamentale
Teorema 1.26 Rn completo.
Tornando agli spazi metrici qualsiasi proviamo ora che:
Teorema 1.27 Se (X; d) uno spazio metrico completo e C
chiuso. Allora (C; d) uno spazio metrico completo.
X un insieme
13
1;1]
1
1
jf (x)j dx:
=2
1
1+
p
n
x dx
1
n
1
1
1+ m
! 0 per n; m ! 1:
Daltro canto la successione non converge ad alcun elemento dello spazio. Questa
a ermazione non facile da giusticare rigorosamente a questo livello del corso.
In sostanza, tuttavia, il ragionamento il seguente: la successione converge (con
questa norma) alla funzione limite
fn (x) =
1
1
se x > 0
se x > 0
che discontinua, ossia non sta nello spazio considerato. Perci, in questo
spazio, la successione non converge.
Lesempio precedente mostra che garantire la completezza di uno spazio di
funzioni non scontato, e in particolare dipende in modo cruciale dalla norma
che si considera. Nel seguito ci occuperemo di spazi di funzioni continue e
derivabili e mostreremo la loro completezza, nella norma opportuna.
Successivamente ci occuperemo di spazi di funzioni integrabili, gli spazi di
Lebesgue, e mostreremo come per ottenere spazi di Banach di questo tipo sia
stato necessario sviluppare un nuovo tipo di integrale. Questo ci porter ad
accennare alla teoria della misura e dellintegrazione nata allinizio del 1900, su
cui si basa ad esempio lo studio moderno delle equazioni alle derivate parziali,
dellanalisi armonica, del calcolo delle variazioni.
1.2
Molti procedimenti risolutivi per i problemi dierenziali che studieremo porteranno a rappresentare la soluzione cercata come somma di una serie di funzioni.
Per garantire che la funzione cos ottenuta abbia le propriet richieste occorre
sapere quando una data serie di funzioni rappresenta una funzione continua,
quando rappresenta una funzione derivabile, e come si possono calcolarne le
14
derivate. Un concetto chiave in questa direzione quello di convergenza uniforme, che ora discuteremo, prima per successioni e poi per serie. Questo sar
anche lo strumento per dimostrare che gli spazi di funzioni C 0 [a; b] ; C k [a; b] ; e
i loro analoghi per funzioni di pi variabili, sono spazi di Banach.
1.2.1
0 se x 2 [0; 1)
1 se x = 1:
1
x
per x 2 [ n1 ; 1)
nx per x 2 0; n1 :
15
Si ha:
1
x
per x 2 (0; 1)
0 per x = 0:
fn (x) !
In questo caso il limite puntuale di una successione di funzioni continue e limitate una funzione discontinua e illimitata. (Si noti che il limite nito in
ogni punto).
Esempio 1.34 Sappiamo che linsieme Q\ [0; 1] numerabile, perci possiamo
1
elencare i suoi elementi in una successione3 fxn gn=1 . Sia ora:
1 se x = x1 ; x2 ; x3 ; :::; xn
0 altrimenti.
fn (x) =
Si ha:
fn (x) !
1 se x 2 Q
0 altrimenti.
fn (x) = jxj
Si ha:
fn (x) ! jxj :
f (x)j ! 0 per n ! +1
ossia se
8" > 0 9n0 tale che n
n0 =) jfn (x)
3 Non si tratter di una successione monotona. Ad esempio, i suoi primi termini potrebbero
essere:
0; 1; 1=2; 1=3; 2=3; 1=4; 3=4; 1=5; 2=5; :::
16
n0 =) jfn (x)
Dal punto di vista logico, la dierenza sta tutta nella posizione del quanticatore
8x 2 I; nel caso della convergenza puntuale, aermare che per ogni x e
per ogni " esiste n0 tale che..., implicitamente signica che il numero n0 pu
dipendere anche da x (oltre che da "); nel caso della convergenza uniforme invece
lordine dei quanticatori ci dice che n0 non dipende da x. Questo si traduce
nel fatto che la distanza tra il graco di fn e quello di f diventa uniformemente
piccolo; precisamente, tutto il graco di fn (x) in I compreso nella striscia
(f (x) "; f (x) + ") non appena n n0 .
1+1=n
Ora tracciamo il graco di f (x) insieme a quello di f (x) + 0:1 e f (x) 0:1;
ottenendo cos una striscia in cui devono essere contenuti i graci interi delle
17
p
Esempio 1.38 La successione fn (x) = n jxjsgn(x) converge a
8
< 1 se x 2 (0; 1]
0 se x = 0
f (x) =
:
1 se x 2 [ 1; 0):
(come gi visto nellEsempio 1.32). Mostriamo che la convergenza non uniforme. Come sopra, tracciamo per prima cosa il graco di f insieme al graco
delle prime fn :
18
Ora tracciamo il graco di f (x) insieme a quello di f (x) + 0:1 e f (x) 0:1,
ottenendo cos una striscia in cui devono essere contenuti i graci interi delle
funzioni fn ; almeno per n abbastanza grande:
e si capisce che anche aumentando lindice n non possibile che il graco intero
sia contenuto nella striscia. Infatti il graco di ogni fn continuo, perci non
pu entrare nei due pezzi di striscia, che sono tra loro discosti.
Si noti anche che:
fn ! f uniformemente in I () kfn
f kC 0 (I) ! 0:
f (x)j
jf (x)
f (x)j ;
con un n che ora sceglieremo. Per " > 0 ssato, per denizione di convergenza uniforme esiste n0 tale che per ogni n
n0 si ha jf (x) fn (x)j < ": In
particolare allora si ha:
jf (x)
f (x)j
Poich fn0 continua in x, ssato " > 0 esiste > 0 tale che jx
jfn0 (x) fn0 (x)j < ": Allora per jx xj < si ha
jf (x)
f (x)j
xj <
=)
3";
e f continua in x.
Teorema 1.40 (Convergenza uniforme e limitatezza) Siano fn : I ! R,
con I
Rn , funzioni limitate per n = 1; 2; 3:::; e supponiamo che fn ! f
uniformemente in I. Allora f limitata in I.
Teorema 1.41 (Convergenza uniforme e integrabilit) Siano fn : [a; b] !
R, funzioni limitate e Riemann integrabili per n = 1; 2; 3:::; e supponiamo che
fn ! f uniformemente in I. Allora f (limitata e) Riemann integrabile in
[a; b]. Inoltre
Z b
Z b
fn (x) dx !
f (x) dx:
a
jfn (x)
f (x)j dx
f (t)j (b
a)
t2(a;b)
(1.1)
n0 ; 8x 2 I risulta kfn
fm k1 < ":
(1.2)
f (x)j
"
8x 2 I:
Quindi ssato " > 0 esiste n0 tale che per ogni n n0 risulta jfn (x) f (x)j < "
per ogni x 2 I, perci fn ! f uniformemente, che la tesi.
Viceversa, se la successione converge uniformemente, cio converge nella
norma k k1 ; allora di Cauchy in norma k k1 (stessa dimostrazione vista per
provare che in uno spazio metrico una successione convergente di Cauchy),
quindi vale la (1.1).
Possiamo ora provare il primo risultato fondamentale di completezza di uno
spazio di funzioni:
Teorema 1.43 Sia K
Rn un insieme chiuso e limitato. Allora lo spazio
0
vettoriale normato C (K) (delle funzioni f : K ! R continue, con la norma
k kC 0 (K) ) completo, cio uno spazio di Banach.
Dimostrazione. Ricordiamo anzitutto che lipotesi K chiuso e limitato serve a
garantire che le funzioni in C 0 (K) siano limitate (per il teorema di Weierstrass)
e quindi la loro norma k kC 0 (K) sia nita.
1
Sia ffn gn=1
C 0 (K) una successione di Cauchy in C 0 (K) , e proviamo
0
che converge in C (K). Dire che di Cauchy nello spazio vettoriale normato
C 0 (K) signica dire che vale la (1.2), quindi la (1.1); perci per il Teorema
1
1.42 ffn gn=1 converge uniformemente, cio in norma k kC 0 (K) , a una certa f .
Daltro canto, essendo limite uniforme di funzioni continue, per il Teorema 1.39
anche f 2 C 0 (K). Quindi fn ! f in C 0 (K), e C 0 (K) completo.
21
1.2.2
Vorremmo ora dimostrare che analoghi spazi di funzioni derivabili sono completi.
Ragioniamo sullo spazio C 1 [a; b], che si pu vedere come sottospazio vettoriale
di C 0 [a; b]. Sappiamo che un sottoinsieme chiuso di uno spazio metrico completo completo, quindi se mettiamo in C 1 [a; b] la norma k kC 0 [a;b] possiamo
vedere
C 1 [a; b] ; k kC 0 [a;b]
1+
1
n
in [ 1; 1] : Si ha fn 2 C 1 [ 1; 1] per n =
x2[ 1;1]
= max
x2[0;1]
1+
1
1 + n1
x
max g (x) = g
x2[0;1]
1
n
x1+ n .
0 per
1
1 + n1
1
1 + n1
xn
x1+ n :
1
=
n
1 + n1
!
1
n 1 + n1
1
1+
1
n
1
! 0:
en
22
C 1 [ 1; 1] ; k kC 0 [
1;1]
non
1;1]
C 0 [ 1; 1] ; k kC 0 [
1;1]
ch questo spazio completo; il limite sta in C 0 [ 1; 1] ma non necessariamente in C 1 [ 1; 1]; in questultimo caso abbiamo una successione di Cauchy in
C 1 [ 1; 1] ; k kC 0 [ 1;1] ma non convergente in questo spazio.
1+
1
n
e questa convergenza non certamente uniforme, dal momento che le fn0 sono
continue mentre il loro limite discontinuo. Questo suggerisce che per conservare la derivabilit del limite della successione occorra richiedere la convergenza
uniforme delle derivate. Equanto aerma il prossimo teorema:
Teorema 1.45 (Convergenza uniforme e derivabilit) Sia fn : [a; b] !
R, fn 2 C 1 [a; b] e supponiamo che:
1. La successione fn0 converge uniformemente in [a; b] a una certa funzione
g.
2. La successione fn converge puntualmente in [a; b] a una certa funzione f .
Allora:
La successione fn converge uniformemente in [a; b] a f 2 C 1 [a; b], e f 0 = g:
Schematicamente:
se ffn g converge puntualmente e ffn0 g converge uniformemente, allora
lim fn
n!1
= lim fn0 :
n!1
23
C (a; b) e vale
d
(f (x)
dx
d
f (a)) =
dx
g (t) dt = g (x)
f (x)
quindi
jfn (x)
f (x)j
f 0 (t)j (x
t2(a;b)
a) + jfn (a)
f (a)j ;
1
x1
0 e poniamo
@j jf
(x) :
@x22 :::@xnn
= f:
! R : f 2 C0
e @ f 2 C0
Poniamo
kf kC k ( ) = kf kC 0 ( ) +
k X
X
j=1 j j=j
con j j
k@ f kC 0 ( ) :
Osservazione 1.48 (Perch ?) Si noti che mentre lo spazio C 0 (K) denito con K sottoinsieme chiuso e limitato di Rn , perch in base al teorema di
Weierstrass questo su ciente a garantire la nitezza della norma kf kC 0 (K) ;
per calcolare le derivate parziali di f abbiamo bisogno di essere in un insieme
aperto; partiamo perci da un insieme aperto e limitato , la cui chiusura
un insieme chiuso e limitato; f si suppone denita e continua in ; le derivate
parziali di f esistono in
e si suppone si possano prolungare con continuit
no al bordo di ; a questo modo f e le @ f sono continue sul chiuso e limitato
; quindi kf kC k ( ) nita.
Valgono i seguenti risultati:
Teorema 1.49 Gli spazi C k
25
1.2.3
La nozione di convergenza uniforme e i teoremi precedenti si possono interpretare in particolare per le serie di funzioni.
Denizione 1.51 (Convergenza di una serie di funzioni) Sia fn : I ! R
per n = 1; 2; 3; ::: con I R o in Rn . Si dice che la serie di funzioni
1
X
fn (x)
n=1
converge in x0 2 I, oppure converge puntualmente in I, oppure converge uniformemente in I se la successione delle somme parziali
sn (x) =
n
X
fk (x)
k=1
fn (x)
n=1
n=1
jfn (x)j
fn (x)
n=1
26
n=1
an < 1:
1
X
sin (nx)
n2
n=1
sin (nx)
n2
e
1
n2
1
X
1
< 1:
n2
n=1
La serie
1
X
sin (nx)
n
n=1
an per ogni x 2 R
sin(nx)
n
an ) e daltro
27
fn (x)
n=1
converga uniformemente in I, con somma f (x). Allora f (limitata e) Riemann integrabile in [a; b].
k=1
n=1
nt
sin (nx)
n2
28
sono continue e derivabili innite volte nellinsieme Q = [0; ] [0; 1]. Per
studiare la convergenza della serie applichiamo il criterio della convergenza
totale:
e nt sin (nx)
1
per ogni (x; t) 2 [0; ] [0; 1] :
2
n
n2
P 1
Poich
n2 converge, la serie di partenza converge totalmente e quindi uniformemente in Q, e poich le fn sono continue, la somma della serie
u (x; t) =
1
X
e
nt
n=1
sin (nx)
n2
nt
nt
sin (nx)
n2
sin (nx)
n2
1
X
e
n=1
1
X
nt
cos (nx)
n
nt
n=1
sin (nx)
:
n
Pe
nt
nt
cos (nx)
n
sin (nx)
n
n
n
4 v.
1
X
@u
(x; t) =
@t
n=1
29
nt
cos (nx)
n
nt
sin (nx)
:
n
e
e
nt
nt
sin (nx)
n2
sin (nx)
n2
1
X
n=1
1
X
e
ne
nt
sin (nx)
nt
cos (nx)
n=1
1
X
cos (nx) cos (nt)
=
n2
n=1
1
X
n=1
30
1
X
n=1
e lultima serie non converge totalmente. Questa volta la situazione non migliora mettendosi in un sottoinsieme di Q. Dobbiamo concludere che u 2 C 1 (Q)
ma non possibile a ermare che sia derivabile due volte in Q. (Si noti che
queste argomentazioni non permettono di concludere rigorosamente che una certa derivata non esiste; semplicemente, non c un modo semplice per a ermare
che esiste e verosimilmente non esiste, almeno in qualche punto).
1.3
2 K.
Solitamente quando un operatore lineare si omette la parentesi nellargomento, e si scrive T x invece che T (x) (ma naturalmente bisogna comunque
scrivere T (x + y) se largomento una somma!).
Teorema 1.61 Siano X; Y due spazi vettoriali normati e T : X ! Y un
operatore lineare. Sono equivalenti le seguenti tre condizioni:
(a) T (vista come funzione tra due spazi metrici) continua in 0.
(b) T continua in ogni punto.
(c) vale la seguente condizione di limitatezza:
kT xkY
< 1:
x2X;x6=0 kxkX
sup
Denizione 1.62 Un operatore lineare T : X ! Y tra due spazi vettoriali normati X; Y si dice continuo se vale una delle tre condizioni equivalenti espresse
dal teorema precedente. In tal caso si denisce norma delloperatore il numero
kT k =
sup
x2X;x6=0
31
kT xkY
.
kxkX
kT k kxkX
8x 2 X:
c kf kC 2 [a;b] :
Esempi di operatori lineari continui di altro tipo (ad esempio, espressi analiticamente da integrali) si potranno fare pi avanti.
Si verica facilmente che ogni combinazione lineare di operatori lineari continui tra X e Y a sua volta un operatore lineare continuo. Si pu considerare
quindi lo spazio L (X; Y ) di tutti gli operatori lineari continui tra gli spazi
vettoriali normati X e Y , che risulta uno spazio vettoriale. Anzi, la norma
operatoriale
kT xkY
kT kL(X;Y ) = sup
x2X;x6=0 kxkX
risulta eettivamente una norma in questo spazio, quindi: L (X; Y ) uno spazio
vettoriale normato.
Vale il seguente teorema, che ci limitiamo a enunciare:
Teorema 1.64 Siano X; Y spazio vettoriali normati. Se Y completo anche
anche L (X; Y ) completo.
32
1.4
1.4.1
Lintegrale di Lebesgue
Motivazione
A partire dagli inizi del 20 secolo la teoria classica dellintegrazione, di Riemann, stata sostanzialmente sostituita da una nuova teoria, dovuta a Lebesgue,
estremamente pi generale, essibile e potente, che ha rivoluzionato lanalisi
matematica. Noi non ci occuperemo di questioni da cui emerga no in fondo
limportanza di questa diversa impostazione, ma non possiamo comunque farne
a meno, per molti motivi. Vediamo molto sinteticamente alcune questioni5
rispetto alle quali lintegrale di Riemann inadeguato ed auspicabile avere un
concetto diverso di integrale.
1. Vorremmo un concetto di integrale in cui la possibilit che la funzione
integranda sia illimitata e/o che linsieme di integrazione sia illimitato costituisca
la regola e non leccezione (come nella teoria di Riemann, in cui lintegrale viene
generalizzato solo in un secondo momento per includere queste situazioni).
2. Vorremmo un concetto di integrale in cui, sia in una variabile che in pi
variabili, linsieme di integrazione possa essere di tipo molto generale, anche
molto irregolare.
3. Vorremmo un concetto di integrale in cui ci linsieme delle funzioni integrabili sia stabile rispetto a un gran numero di operazioni, in particolare
rispetto al passaggio al limite di successione. (Per lintegrale di Riemann, invece,
una successione di funzioni integrabili pu convergere a un limite non integrabile). Questo signicher anche che dovranno essere integrabili anche funzioni
molto discontinue.
4. Vorremmo un concetto di integrale con cui lintegrazione di successioni
e serie di funzioni obbedisca a regole semplici, cio si possa dimostrare che lo
scambio tra limite e integrale lecito sotto ipotesi piuttosto generali e di facile
verica. (Nella teoria di Riemann lunico criterio semplice di integrazione per
successioni richiede la convergenza uniforme, che unipotesi piuttosto forte).
5. Vorremmo che lo spazio (vettoriale) delle funzioni integrabili su un certo
dominio, munito della norma dellintegrale, fosse uno spazio di Banach (cio
fosse completo), cosa che non accade per lintegrale di Riemann.
Ottenere un integrale con propriet migliori (dai punti di vista spiegati)
signica ovviamente cambiare la denizione di integrale, e pi precisamente
cambiarlo in un senso che renda meno restrittiva la richiesta di integrabilit.
Ricordiamo come stato denito lintegrale di Riemann come limite di somme:
lim sn = lim
n!1
n!1
n
X
b
k=1
a
n
(n)
k
33
h
i
(n)
(n)
(n)
arbitrariamente, gli n punti k 2 xk 1 ; xk , k = 1; 2; :::; n. La funzione f si
dice Riemann-integrabile se il limite esiste nito e non dipende da come si sono
(n)
scelti, ad ogni passo, i punti k . Si capisce dalla denizione che ci che mette
a rischiolintegrabilit il fatto che f abbia numerosi punti di discontinuit, e
quindi nel corso della costruzione succeda tanteh volte chei scegliendo il punto
(n)
(n)
(n)
in modi diversi allinterno dellintervallino xk 1 ; xk
si ottengano delle
k
variazioni importanti nel valore di sn . Ad esempio, la funzione di Dirichlet
1 se x razionale
0 se x irrazionale
d (x) =
Ek
x 2 [a; b] :
1
n
f (x) <
k
n
, con k = 1; 2; :::; n:
n
X
k=1
n
X
(n)
Ek
(n)
Ek
k=1
1
n
k
;
n
34
e cos via6 .
Ci che dimostra quanto sia buona questidea, e quanto sia diversa da quella
dellintegrale di Riemann (non ostante lapparente simmetria: suddividiamo
lasse x / suddividiamo lasse y) che per come sono costruite le somme risulta
6 Come vedremo, buona parte del problema da arontare sta in questo semplicistico e cos
via.
35
sempre
0
s+
n
sn =
n
X
(n)
Ek
k=1
1
1
=
n
n
per cui lo scarto tra le approssimazioni per eccesso e per difetto tende necessariamente a zero! Signica che questo algoritmo di approssimazione restituisce
sempreun limite. Apparentemente, ogni funzione risulta integrabile a questo
modo. In realt, abbiamo in un certo senso spostato il problema: data una
(n)
funzione f e interi n; k qualsiasi, come sar fatto linsieme Ek ? Se f ha molte
oscillazioni e discontinuit potr essere un insieme molto diverso da un intervallo o lunione di un numero nito di intervalli. Ad esempio, per la funzione di
(n)
Dirichlet tra gli insiemi Ek ci saranno
fx 2 [0; 1] : x 2 Qg ; fx 2 [0; 1] : x 2
= Qg ,
che non sono esprimibili come unioni nite di intervalli.
Dunque: per costruire una teoria dellintegrazione di questo nuovo tipo dobbiamo prima impegnarci a costruire una teoria della misura che sia in grado
di assegnare una lunghezza anche a sottoinsiemi molto irregolari della retta.
1.4.2
La misura di Lebesgue
Procedendo ora in modo molto schematico, mostriamo come si arriva alla denizione
di questo nuovo tipo di integrale. Come anticipato, occorre prima denire una
nozione di misura, e questo richiede un podi lavoro tecnico.
Denizione 1.65 Sia un insieme. Si dice -algebra (su ) una famiglia M
di sottoinsiemi di (cio7 M P ( )) tale che:
2 M;
E 2 M =) E c 2 M (dove E c indica il complementareSdi E in );
1
1
se fEn gn=1 una successione di insiemi di M, allora n=1 En 2 M.
Gli insiemi di M si dicono insiemi misurabili, ( ; M) si dice spazio misurabile.
Ogni insieme
ha due -algebre banali: la pi piccola quella costituita
solo da e ;; la pi grande tutto P ( ). Dalla denizione segue facilmente la:
Proposizione 1.66 Se M una -algebra, M chiusa anche rispetto alle
seguenti operazioni insiemistiche: unione nita, intersezione nita o numerabile; di erenza insiemistica8 .
7 dove P ( ) indica linsieme delle parti di
compresi stesso e linsieme vuoto ;
8 La dierenza insiemistica denita cos:
A n B = A \ Bc:
36
Denizione 1.67 Sia ( ; M) uno spazio misurabile. Si dice misura (su questo
spazio) una qualunque funzione (dinsieme)
: M ! [0; +1]
1
che sia numerabilmente additiva, ossia tale che per ogni successione fEn gn=1
di insiemi di M a due a due disgiunti, si abbia
!
1
1
[
X
En =
En .
n=1
n=1
i=1
n=1
Nel seguito, come vedremo, saranno molto importanti gli insiemi di misura
nulla. Notiamo che se E; E0 2 M, E0 E e (E) = 0, allora (per la monotonia
della misura) anche (E0 ) = 0. Talvolta siamo in una situazione leggermente
37
Si verica che
una misura detta misura del conteggio. Come vedremo,
lintegrale rispetto a questa misura risulter una serie numerica, quindi la teoria
astratta dellintegrazione assorbir al suo interno la teoria delle serie numeriche.
La misura atomica o di Dirac. Sia
un insieme qualsiasi, x0 2 un suo
elemento ssato, e M = P ( ). Deniamo : M ! [0; +1] tale che
(A) =
1 se x0 2 A
0 altrimenti.
38
[a2 ; b2 ]
:::
[an ; bn ] ; con ai ; bi 2 R;
risulta11
(I) = jb1
a1 j jb2
a2 j ::: jbn
an j :
1
[
[k; k + 1]
k=0
" "i
;
2k 2k
E" :
39
(E" ) :
Calcoliamo ora (E" ): poich la misura di Lebsegue di un rettangolo semplicemente la sua area (cio la misura elementare) e daltro canto la misura
numerabilmente additiva,
(E" ) =
1
X
k=0
[k; k + 1]
X
" "i
; k
=
1
k
2 2
1
k=0
2"
= 4":
2k
Perci (E) < " per ogni " > 0, perci (E) = 0:
Analogamente si prova che il semiasse x
0 ha misura nulla, da cui essendo unione di due insiemi di misura nulla lasse x ha misura nulla in R2 .
Naturalmente, in R lasse x avrebbe invece misura innita.
Osservazione 1.72 Esiste una buona misura rispetto a cui tutti gli
insiemi sono misurabili? Abbiamo visto che possibile denire una buona
misura (la misura di Lebesgue, che ha le buone propriet gi ricordate) denita
su una certa -algebra di sottoinsiemi di Rn che e ettivamente molto ampia, il
che signica che rispetto alla misura di Lebesgue, quasi tutti gli insiemi sono
misurabili. Chiediamoci se non possibile fare di meglio: esiste una misura
in Rn che, oltre a soddisfare la denizione astratta di misura, estenda la misura
elementare, sia invariante per traslazioni, e inoltre si possa a ermare che tutti i
sottoinsiemi di Rn sono misurabili? (Se fosse cos, potremmo anche fare a meno
di introdurre la nozione di -algebra). La risposta per negativa, e questo
un risultato profondo di teoria degli insiemi. Se si vuole una buona teoria della
misura, nei sensi gi spiegati, non si pu scegliere una strada pi semplice di
quella descritta; in particolare non si pu rinunciare al concetto di -algebra.
Osservazione 1.73 (Misura di Lebesgue su un insieme ) Abbiamo costruito la misura di Lebesgue su Rn . Naturalmente in molte questioni non consideriamo lo spazio intero, ma un sottoinsieme
di Rn , e vorremmo avere una
misura sui sottoinsiemi di . Questo passaggio molto semplice. La restrizione
della misura di Lebesgue a un sottoinsieme misurabile di Rn la stessa misura
di Lebesgue, calcolata sui sottoinsiemi misurabili di , che sono tutti e soli gli
insiemi del tipo E \ con E sottoinsieme misurabile di Rn . Detto in modo pi
preciso e generale:
Teorema 1.74 (Restrizione di una misura) Sia ( ; M; ) uno spazio di misura
astratto (qualsiasi), e sia 0
; 0 2 M (cio 0 un sottoinsieme misurabile
di ). Allora:
(a) La famiglia di insiemi M0 = fE0 = E \ 0 : E 2 Mg una -algebra
di sottoinsiemi di 0 .
(b) La funzione dinsieme ristretta a M0 una misura su ( 0 ; M0 ), quindi
d luogo ad un nuovo spazio di misura ( 0 ; M0 ; 0 ) dove 0 = =M0 detta
restrizione della misura a 0 .
40
Integrale di Lebesgue
Torniamo ora alla teoria generale astratta della misura. Supponiamo di avere
uno spazio di misura qualsiasi ( ; M; ) e supponiamo inoltre che la misura
sia completa (come accade per la misura di Lebsegue); vogliamo denire lintegrale rispetto a questa misura. Ricordando quanto spiegato nellintroduzione,
ci attende ancora un passo preliminare, quello di denire cosa sono le funzioni
misurabili, che saranno quelle per cui la costruzione dellintegrale di Lebesgue
possibile. Cominciamo dal seguente semplice
Teorema 1.75 Sia ( ; M) uno spazio misurabile qualsiasi e sia f :
Sono equivalenti le seguenti 4 condizioni:
1. fx 2 : f (x) > ag 2 M per ogni a 2 R;
2. fx 2 : f (x) ag 2 M per ogni a 2 R;
3. fx 2 : f (x) < ag 2 M per ogni a 2 R;
4. fx 2 : f (x) ag 2 M per ogni a 2 R.
! R.
Allora f misurabile.
Abbiamo ora tutti gli ingredienti per denire lintegrale rispetto ad una
misura (astratta) qualsiasi. Lintegrale di una qualsiasi funzione (misurabile) f
sar denito come estremo superiore o limite di opportune somme di Lebesgue
di f (anzich somme di Cauchy-Riemann), dove queste somme (la cui costruzione
stata anticipata intuitivamente nellintroduzione) si possono vedere come integrali di opportune funzioni approssimanti, le funzioni semplici, che ora introduciamo.
Denizione 1.82 Si dice che una funzione s :
bile e assume un numero nito di valori.
! R semplice se misura-
n
X
cj
j=1
42
Ej
(x)
(pensare al caso della misura di Lebesgue sulla retta; se gli insiemi Ej sono intervalli lintegrale risulta larea sotto il graco della poligonale s (x); naturalmente
la teoria stata fatta proprio per poter considerare le situazioni in cui gli insiemi Ej non sono intervalli ma insiemi molto complicati). Lidea allora denire
lintegrale di una funzione misurabile e positiva, per cominciare, come lestremo
superiore degli integrali delle funzioni semplici s (x)
f (x). Il problema se
c un modo standard di denire funzioni semplici che approssimano tanto bene
quanto si vuole la funzione f . Questa esattamente lidea, che stata anticipata
nellintroduzione, di suddividere in parti uguali linsieme dei valori assunti da
f , anzich il dominio di f . La costruzione contenuta nel prossimo
Teorema 1.83 (Approssimazione con funzioni semplici) Sia f : ! [0; +1]
misurabile. Esiste una successione monotona crescente di funzioni semplici sk
che converge puntualmente a f in : Se inoltre f limitata la convergenza
uniforme.
Dimostrazione. Fissato un intero k = 1; 2; 3:::; sia
Ek = x 2
: f (x) > 2k
Ekj =
x2
1
2k
e siano
< f (x)
Poniamo
j
2k
2k
sk (x) = 2
Ek
(x) +
2
X
j
j=1
1
2k
Ekj
(x) :
Dunque per ogni funzione misurabile e non negativa ben denito (nito o
+1) lintegrale di Lebesgue. Si noti in particolare che in questa teoria il caso in
cui la funzione o il dominio sono illimitati vengono trattati direttamente e non,
come accadeva per la teoria di Riemann, in un secondo tempo facendo il limite
di integrali di funzioni limitate su domini limitati.
Per comprendere meglio il signicato geometrico della costruzione dellintegrale di Lebesgue, consideriamo il caso particolare in cui f misurabile, positiva
e limitata, 0 f (x) M . La costruzione del teorema precedente si pu allora
ritoccare ponendo
Ekj =
x2
1
2k
j
M
2k
M < f (x)
per j = 1; 2; ::::; 2k
sk (x) = M
2
X
j
j=1
Ekj
2k
(x)
2
X
j
j=1
1
2k
2
X
j
j=1
1
2k
Ekj
Ekj A
k
f (x) d (x)
44
2
X
j
k
2
j=1
Ekj ;
dove lo scarto tra lapprossimazione per eccesso e per difetto al passo k non
supera, se ha misura nita,
k
2
X
1
M
k
2
j=1
Ekj
2
1 X
M k
2 j=1
Ekj =
M
( )
2k
1 per x 2 Q
0 per x 2
=Q
misurabile, q.o. nulla, quindi Lebesgue integrabile con integrale nullo. Nella
teoria di Lebesgue dunque, in particolare, tutte le funzioni misurabili e limitate
hanno integrale nito sugli insiemi di misura nita.
Arriviamo ora alla denizione di integrale di Lebesgue per una funzione di
segno qualsiasi.
Denizione 1.85 Sia f : ! [ 1; +1] misurabile. Si dice che f Lebesgue
integrabile, o sommabile, se
Z
jf (x)j d (x) < 1
e in tal caso si pone
Z
Z
f (x) d (x) =
f + (x) d (x)
e risulta ovviamente
Z
f (x) d (x)
f (x) d (x)
1 per x 2 E
1 per x 2
=E
;M; )
= 0 =) f (x) = 0 q.o. in
Per ottenere una norma quindi necessario identicare funzioni uguali q.o. tra
loro, ossia introdurre in L1 la relazione di equivalenza f g se f = g q.o. e considerare lo spazio delle classi di equivalenza di funzioni, che pu essere reso uno
spazio vettoriale normato a questo modo. Questa operazione coerente anche
perch la misura completa, perci se f misurabile e g = f q.o., anche g misurabile. Naturalmente sul piano intuitivo continueremo a pensare gli elementi
di L1 come funzioni, che sono tra loro indistinguibili quando sono uguali quasi
ovunque; sul piano formale, invece, gli elementi di L1 sono classi dequivalenza
di funzioni. Nel seguito lasceremo sempre sottointesa questa osservazione.
Sottolineiamo che abbiamo denito lintegrale di Lebesgue in un generico
spazio astratto di misura (completa). Se in particolare stiamo considerando la
misura di Lebesgue su un sottoinsieme
Rn Lebesgue misurabile, avremo
denito un integrale, che chiamiamo ancora integrale di Lebesgue, che quello
che principalmente ci interesser nel seguito, e che ci aspettiamo generalizzi il
classico integrale di Riemann (anche se le relazioni tra questo integrale e quello
di Riemann andranno approfondite). In questo scriveremo pi semplicemente
Z
Z
f (x) dx per indicare
f (x) d (x) :
Occorre naturalmente provare che lintegrale di Lebesgue soddisfa le solite
propriet elementari dellintegrale. Premettiamo la seguente denizione, che ci
serve per dar senso allintegrale di una funzione su un sottoinsieme (misurabile)
di :
Denizione 1.87 Se E 2 M; poniamo
Z
Z
f (x) d (x) =
(f
E ) (x) d
(x)
=E
g (x) q.o. in
E; F 2 M; E
F; f
=)
0 =)
f (x) d (x)
f (x) d (x)
g (x) d (x) ;
f (x) d (x)
3. Propriet di annullamento
se
(E) = 0 allora
f (x) d (x) = 0;
ZE
Teorema 1.89 Sia f : ! [0; +1] misurabile e fEn gn=1 una successione di
sottoinsiemi misurabili di a due a due essenzialmente disgiunti12 . Allora
Z
1 Z
X
f (x) d (x) =
f (x) d (x) :
[1
n=1 En
n=1
En
47
In altre parole, le serie sono particolari integrali astratti. Nella teoria di Lebesgue
quindi lanalisi del discreto e del continuo non hanno pi solamente certe analogie, ma possono vedersi formalmente come due diverse applicazioni concrete
della medesima teoria astratta. Questo fondamentale ad esempio nelle applicazioni al Calcolo delle Probabilit, che difatti nella sua formulazione moderna,
dovuta a Kolmogorov, anni 1930, fondata sulla teoria astratta della misura,
unicando cos, ad esempi, i concetti di variabili aleatorie discrete e continue.
1.4.4
converge, ed uguale a l.
Si pu dimostrare il seguente
Teorema 1.92 Nelle ipotesi della denizione precedente, si supponga inoltre
che per qualche k a si abbia f (x) 0 per ogni x k (oppure f (x) 0 per
ogni x
k). Allora se lintegrale di Riemann generalizzato di f converge, la
funzione f anche sommabile secondo Lebesgue, e il suo integrale di Lebesgue
su (a; +1) uguale allintegrale generalizzato.
In pratica, lipotesi richiede che la funzione f non cambi di segno innite volte
per x ! +1. Un discorso analogo vale ovviamente per lintegrale generalizzato
su ( 1; 0). Qualche esempio chiarir i modi in cui solitamente si ragiona.
Esempio 1.93 Si consideri
Z
1
x
sin dx:
4
1+x
x
Si osservi che la funzione continua e limitata in (0; +1) (in particolare tende
a zero per x ! 0+ ), quindi Riemann integrabile su ogni intervallo (0; k).
1 3 In senso proprio, non generalizzato. Della relazione tra integrale di Lebesgue e integrale
di Riemann generalizzato diremo qualcosa tra breve.
49
x
1 + x4
1
per x ! +1,
x3
+1
sin x
dx:
x2
+1
sin x
dx:
x
La funzione cambia di segno innite volte per x ! 1, perci non si pu applicare il teorema direttamente a f . Daltro canto ragionando su jf (x)j non si
riesce a concludere la convergenza dellintegrale generalizzato. Il teorema non
quindi in questo caso di alcuna utilit per stabilire lesistenza o la non esistenza
dellintegrale di Lebesgue. Si pu dimostrare che:
1. Lintegrale generalizzato di f converge, ma:
2. la funzione f non Lebesgue sommabile, in quanto lintegrale di Lebesgue
di jf (x)j diverge.
Questo esempio mostra quindi un tipo di situazione in cui lintegrabilit
secondo Lebesgue risulta una condizione pi esigente dellintegrabilit in senso generalizzato secondo Riemann. Lidea geometrica soggiacente la seguente:
nellintegrale generalizzato di una funzione che cambia di segno innite volte si
possono avere compensazioni tra le aree con segno delle porzioni del graco di
f che stanno ora sopra ora sotto lasse delle x; lintegrale di Lebesgue richiede
invece di calcolare prima il contributo totale della parte di graco sopra lasse
delle x, poi quello della parte sotto lasse delle x, e poi sottrarre: se entrambi
50
questi numeri sono inniti, lintegrale perde signicato, non consentendo quindi le compensazioni parziali che avvenivano calcolando lintegrale su (0; k) e
facendo poi tendere k a +1.
Un discorso completamente analogo si pu fare per lintegrale di Riemann
generalizzato per una funzione illimitata su un intervallo illimitato:
Denizione 1.96 Sia f : (a; b] ! R una funzione con la propriet di essere
limitata e Riemann integrabile su ogni intervallo [a + "; b] (per " > 0). Se esiste
nito
Z b
lim
f (x) dx = l
"!0+
a+"
converge, ed uguale a l.
Si pu dimostrare il seguente
Teorema 1.97 Nelle ipotesi della denizione precedente, si supponga inoltre
che per qualche "0 > 0 si abbia f (x) 0 per ogni x 2 (a; a + "0 ) (oppure f (x)
0 per ogni x 2 (a; a + "0 )). Allora se lintegrale di Riemann generalizzato di f
converge, la funzione f anche sommabile secondo Lebesgue, e il suo integrale
di Lebesgue su (a; b) uguale allintegrale generalizzato.
In questo caso ci che va escluso che la funzione cambi di segno innite
volte in ogni intorno del punto a in cui la funzione illimitata. Se la funzione
non ha inniti cambi di segno, la convergenza dellintegrale di Riemann generalizzato implica la Lebesgue sommabilit della funzione; se invece la funzione
ha inniti cambi di segno, si pu provare la Lebesgue sommabilit mostrando la
convergenza dellintegrale generalizzato del modulo di f . Rimane la possibilit,
per, che una funzione con inniti cambi di segno in un intorno di un punto in
cui illimitata abbia integrale di Riemann generalizzato convergente e tuttavia
non sia Lebesgue sommabile.
Esempio 1.98 Consideriamo
Z
1
1
p sin dx:
x
x
1
1
sin dx:
x
x
1
x
Finora abbiamo costruito lintegrale di Lebesgue, ne abbiamo elencato le propriet di base, abbiamo constatato (ultimo paragrafo) che le funzioni Lebesgue
integrabili sono pi di quelle Riemann integrabili, ma non abbiamo realmente
illustrato i vantaggi di questo integrale rispetto a quello classico. Cominciamo
ora proprio a illustrare questi vantaggi, che consistono anzitutto in alcuni importanti teoremi sulle relazioni tra lintegrale di Lebesgue e le operazioni di limite
di successione di funzioni, e di serie di funzioni.
Torniamo ancora nel contesto astratto di un qualsiasi spazio di misura ( ; M; ),
in cui supponiamo come in precedenza che la misura sia anche completa.
Teorema 1.100 (della convergenza monotona) Sia fn : ! [0; +1] una
successione di funzioni misurabili, monotona crescente, cio fn (x)
fn+1 (x)
per ogni intero n e x 2 . Allora
Z
Z
lim
fn (x) d (x) =
lim fn (x) d (x)
n!+1
n!+1
In particolare,
jfn (x)
lim
n!1
fn (x) d =
f (x) d
La funzione g che compare nellipotesi del teorema si chiama funzione dominante integrabile (perch domina, cio maggiora, il modulo delle fn ), da cui il
nome del teorema.
Vediamo ora qualche esempio pratico di passaggio al limite sotto il segno di
integrale per lintegrale di Lebesgue, a confronto con quanto si pu dire nella
teoria dellintegrale di Riemann.
Nella teoria di Riemann, se ffn g una successione di funzioni fn : [a; b] ! R
limitate e Riemann integrabili e inoltre fn ! f uniformemente in [a; b], si pu
Rb
Rb
garantire che a fn (x) dx ! a f (x) dx. Supponiamo di sapere soltanto che le
funzioni fn sono misurabili, jfn (x)j c per ogni x 2 [a; b] e per ogni n, e inoltre
fn ! f puntualmente quasi ovunque in [a; b]. Per il teorema di Lebesgue della
Rb
Rb
convergenza dominata risulter a fn (x) dx ! a f (x) dx, sotto ipotesi che
quindi sono molto pi deboli della convergenza uniforme.
Esempio 1.102 Sia
1=n
fn (x) = jxj
in [ 1; 1] :
sin nx
in [0; +1):
nx3=2
1
nx
= 1=2 ;
3=2
nx
x
53
sin nx
nx3=2
1
;
nx3=2
1
2 L1 [1; +1)
x3=2
1
nx3=2
g (x) =
1
x1=2
1
x3=2
1 e 1=n
per x 2 [0; 1]
per x 2 [1; +1)
1).
Si osservi che, diversamente dallesempio precedente, questa volta la maggiorante integrabile una funzione illimitata.
Si poteva anche, del resto, valutare direttamente lintegrale:
Z +1
Z +1
dt
sin t dt
sin nx
dx
=
nx
=
t;
dx
=
=
3=2
3=2 n
n
nx
0
0
n nt
Z +1
1
sin t
c
p
dt = p ! 0 per n ! 1
=
n 0
n
t3=2
R +1 sin t
perch c = 0
dt una costante (abbiamo dimostrato allinizio che ogni
t3=2
fn L1 , questa integranda f1 ).
Laltro risultato fondamentale che ha a che fare con la relazione tra integrale
e limite di successioni il seguente:
Teorema 1.104 Lo spazio vettoriale normato L1 ( ; M; ) (denito indenticando funzioni uguali q.o.) completo.
54
fn (x) dx !
f (x) dx per n ! 1:
Dalle propriet dellintegrale di Lebesgue in relazione alloperazione di limite di successione di funzioni, si possono dedurre le sue propriet in relazione
alloperazione di serie di funzioni.
La domanda che ci poniamo : sotto quali ipotesi si pu aermare che
Z X
1
fn (x) dx =
n=1
1 Z
X
fn (x) dx?
n=1
Rispondono i prossimi due teoremi, che si dimostrano facilmente come conseguenze dei teoremi della convergenza monotona e dominata, rispettivamente:
Teorema 1.105 Siano fn : ! R misurabili e non negative. Allora sempre
vero che
Z X
1 Z
1
X
fn (x) dx
fn (x) dx =
n=1
n=1
n
X
fk (x) :
k=1
n!1
lim gn (x) dx =
n!1
lim
n!1
n
X
k=1
55
fk (x) dx =
Z X
1
n=1
fn (x) dx
n!1
n!1
k=1
k=1
n=1
n=1
! R appartenenti a L1 ( ). Se
1 Z
X
jfn (x)j dx < 1;
n=1
P1
n=1
n=1
dove per ipotesi il secondo membro, e quindi il primo, nito. Ci signica che
la funzione
1
X
g (x) =
jfn (x)j
n=1
1
X
jgn (x)j =
Pn
n
X
k=1
k=1
n=1
n=1
avendo posto gn =
P1
fk . Poich
fk (x)
n
X
k=1
jfk (x)j
56
1
X
k=1
fn (x)
n!1
fn (x) dx =
n=1
1.4.6
1 Z
X
fn (x) dx:
n=1
Nel risolvere problemi dierenziali, talvolta stabiliremo delle formule di rappresentazione della soluzione in cui questa assegnata da un opportuno integrale,
con una formula del tipo:
Z
u (x) =
k (x; y) f (y) dy
dove u la soluzione cercata, f un dato o termine noto, k un nucleo che dipende
dalloperatore dierenziale e dal tipo di problema, ma non da dati o termini noti;
in questa formula ciascuna delle variabili x; y pu essere scalare o vettoriale.
Si tratta di vericare che la u cos denita risolve esplicitamente lequazione
dierenziale assegnata; perci bisogna saper calcolare le derivate di u rispetto
a x (o le derivate parziali di u rispetto alle variabili xi ). Ora, nellintegrale che
assegna la u la variabile di integrazione la y, mentre la x dal punto di vista
dellintegrale un parametro. Il problema matematico che ci interessa quindi:
derivare un integrale dipendente da un parametro, rispetto a quel parametro.
Supponiamo, ad esempio, che sia x che y siano variabili bidimensionali ossia
scriviamo, pi esplicitamente,
Z Z
u (x1 ; x2 ) =
k (x1 ; x2 ; y1 ; y2 ) f (y1 ; y2 ) dy1 dy2 :
@u
Proponiamoci di calcolare @x
(x1 ; x2 ). In questo caso y1 ; y2 sono le variabili di
1
integrazione, x1 il parametro rispetto a cui si deriva (quindi bisogner pensarlo
come variabile), mentre x2 non gioca alcun ruolo, in altre parole un parametro
@u
che si pu ritenere ssato. Quando vorremo calcolare @x
(x1 ; x2 ) diventer
2
importante il ruolo di x2 mentre sar la x1 a svolgere il ruolo di parametro ssato.
In ogni caso, nel discutere il problema teorico della derivazione dellintegrale
dipendente da un parametro (eventualmente vettoriale), ssiamo lattenzione
su un parametro (scalare) alla volta, quindi tanto vale studiare direttamente
questa situazione, ossia:
Z
u (x) =
k (x; y) f (y) dy
57
k (x; y) dy:
!R
con
Rn misurabile; k (x; ) 2 L1 ( ) per ogni x 2 (a; b). Ora vogliamo
du
calcolare dx (x0 ) in un certo punto x0 2 (a; b). Consideriamo una successione
hn ! 0 di numeri reali, e studiamo il rapporto incrementale:
Z
u (x0 + hn ) u (x0 )
k (x0 + hn ; y) k (x0 ; y)
=
dy:
hn
hn
Poniamo
k (x0 + hn ; y) k (x0 ; y)
:
hn
A questo modo il problema ricondotto al calcolo del limite dellintegrale di
una successione. Infatti:
fn (y) =
du
u (x0 + hn ) u (x0 )
(x0 ) = lim
n!1
dx
hn
Z
k (x0 + hn ; y) k (x0 ; y)
= lim
n!1
hn
Z
= lim
fn (y) dy
n!1
58
dy
n!1
k (x0 + hn ; y)
hn
k (x0 ; y)
@k
(x0 ; y) ;
@x
k (x0 ; y)
g (y) 2 L1 ( ) :
@k
Questa lipotesi pi delicata. Supponiamo che @x
(x; y) esista non solo per
x = x0 ma per ogni x in un certo intorno di x0 ;del tipo (x0
; x0 + ) (e per
q.o. y). Allora applicando il teorema di Lagrange rispetto alla x possiamo
scrivere
@k
k (x0 + hn ; y) k (x0 ; y)
=
(x0 + h hn ; y)
hn
@x
g (y)
!R
con
Rn misurabile; k (x; ) 2 L1 ( ) per ogni x 2 (a; b). Supponiamo che
esistano un intervallo (x0
; x0 + ) (a; b) a una funzione g 2 L1 ( ) a tali
che per q.o. y 2 e per ogni x 2 (x0
; x0 + )
esiste
@k
(x; y) e
@x
@k
(x; y)
@x
59
g (y) :
; x0 + ) esiste
Z
Z
d
@k
k (x; y) dy =
(x; y) dy:
dx
@x
Il teorema gi completamente dimostrato, con ununica osservazione. Dalla discussione precedente sembrerebbe di poter concludere che la formula di
derivazione valga nel punto x0 . Poich per le ipotesi valgono in un intorno
di x0 (che si pu vedere come un intorno di qualsiasi altro suo punto), anche
la conclusione vale in questintorno. Si osservi che per concludere la tesi nel
solo punto x0 non sarebbe possibile assumere meno di cos, come emerso dalla
dimostrazione.
Esempio 1.108 Sia
u (x) =
(x y)2
(x y)2
f (y) =
2 (x
y) e
(x y)2
f (y)
2
60
Non di cile denire una funzione integrabile che sia maggiore in modulo
di tutte queste funzioni e tenda a zero ancora in modo esponenziale:
(si potrebbe scrivere facilmente lespressione analitica di questa funzione, disegnata col tratto pi spesso nel graco precedente, ma ci accontentiamo del
graco). Indicando con h (y) questa funzione, si ha
2 (x
y) e
(x y)2
f (y)
h (y) jf (y)j
g (y) 2 L1 (R)
y) e
61
(x y)2
y) e
(x y)2
t2
2te
f (y)
c jf (y)j
g (y) 2 L1 (R) :
(x
y)2
t
Proprio per capire quali sono le ipotesi minime sotto cui la formula valida,
mostriamo quando lecito calcolare le derivate di u ( ; ) derivando sotto il
segno di integrale.
Cominciamo a osservare che, essendo cos (
') 1, vale
R2
2R cos (
') +
R2
2R +
= (R
) :
(R 2
1
2R cos (
1
') +
62
2)
(R
2:
+ ))
0+
< R:
f (')
(R 2 2R cos(
La funzione integranda
e vale
@
@
=
2)
(R 2
f (')
2R cos (
f (')
') +
2)
(R 2
2R cos (
') +
2 )2
')+
(R 2
( 2R cos (
2(
2)
') +
ssati, -derivabile
(R
') + 2 ) :
+ ) si ha:
4R jf (')j
(
+ ))
g (')
1
(t
x) +
y2
(t
x) + (y0
f (t)
(t
x) +
y2
2:
; y0 + ) si ha
2yf (t)
x) + y 2
(t
2 (y0 + )
(t
x) + (y0
63
jf (t)j
g (t) ;
2 (y0 + )
x) + (y0
(y0
2
(y0
= cost.
con I R intervallo e
Rn misurabile; k (x; ) 2 L1 ( ) per ogni x 2 (a; b).
Supponiamo che esistano un intervallo (x0
; x0 + ) I a una funzione g 2
L1 ( ) a tali che
1. per q.o. y 2 sia k ( ; y) continua in x0 e
2. per q.o. y 2 e per ogni x 2 (x0
; x0 + ) sia
jk (x; y)j
Allora la funzione
u (x) =
g (y) :
k (x; y) dy
jx yj
f (y) dy
La
1.4.7
Spazi Lp
Sia ( ; M; ) uno spazio di misura, con misura completa. Oltre allo spazio
L1 ( ) delle funzioni sommabili, utile in molte questioni introdurre spazi di
funzioni misurabili una cui opportuna potenza sommabile. Diamo anzitutto
la seguente
Denizione 1.114 Per p 2 [1; 1); poniamo
Z
p
Lp ( ) = f : ! R misurabile :
jf (x)j d (x) < 1 :
Per p = 1 ritroviamo lo spazio L1 ( ) gi introdotto, delle funzioni Lebesguesommabili.
p
Chiediamoci: la richiesta che risulti jf j sommabile per qualche p > 1 pi
forte o pi debole rispetto a jf j sommabile? In generale le due richieste non
sono confrontabili:
Esempio 1.115 La funzione f (x) = 1=x sta in Lp (1; +1) per p > 1 ma non
per p = 1; invece f (x) = 1=x log2 x sta in L1 (0; 1=2) ma non sta in Lp (0; 1=2)
per nessun p > 1.
Dunque questi spazi non soddisfano reciproche inclusioni banali, in generale.
Gli spazi Lp ( ) sono vettoriali anche per p > 1 (per p = 1 lo sappiamo
gi). Infatti la combinazione lineare di funzioni misurabili misurabile, e vale
la disuguaglianza
p
p
p
jf + gj
2p 1 (jf j + jgj ) ;
< 1:
(1.6)
21
1=p
jf j d
65
1=p
jgj d
col che avremmo ottenuto una disuguaglianza di tipo triangolare ma con una
costante 21 1=p > 1 a secondo membro, che non quello che vogliamo. Per
dimostrare una disuguaglianza triangolare pulita occorre un argomento pi
ra nato. Si pu eettivamente dimostrare il seguente
Teorema 1.116 (Disuguaglianza di Minkowski) Per ogni p 2 [1; +1); f; g 2
Lp ( ) vale la disuguaglianza
kf + gkp
kf kp + kgkp :
p
p
e anche
pq = p + q:
p
kxk kyk :
66
K per q.o. x 2 g :
K per q.o. x 2 g .
kf kL1 (
per q.o. x 2 :
Si presti attenzione a non equivocare la denizione di limitatezza essenziale. I prossimi esempi dovrebbero chiarire le idee.
Esempio 1.119 1. Se f limitata in in particolare essenzialmente limitata.
2. La funzione 1=x non essenzialmente limitata in R. Attenzione: f non
1
K per ogni
limitata per x 6= 0, in quanto per nessun K > 0 vero che jxj
x 6= 0; o per ogni x appartenente a qualche altro insieme di misura nulla.
3. Un esempio di funzione essenzialmente limitata senza essere limitata :
f (x) =
sin x per x 2 R n Q
x
per x 2 Q
1 per q.o. x 2 R;
( )p
1
r
kf kr per ogni f 2 Lr ( )
( ) p kf k1 .
1.4.8
Integrali doppi in Rn
Rn
Rn
Rn
Rn
Rn
(1.8)
R2n
Rn
integrale iterato. Risulta quindi utile sapere a priori che vale luguaglianza
(1.7). Questo vero se lintegrale iterato che si sa pi facilmente calcolare o
almeno stimare, converge assolutamente.
Esempio 1.125 1. Calcolare lintegrale di Lebesgue:
Z
1
se 0 < x < 1
x+y 2
f (x; y) dxdy con f (x; y) =
0
altrimenti.
2
R
Lintegranda non negativa, quindi lecito calcolare lintegrale doppio come
integrale iterato in qualsiasi ordine. Calcoliamo:
Z
Z 1 Z
1
dy dx =
f (x; y) dxdy =
x
+
y2
2
R
0
R
!
Z 1
+1
1
y
=
2 p arctan p
dx
x
x 0
0
Z 1
p 1
p dx = 2 x 0 = 2 :
=
x
0
Si osservi in particolare che la funzione denita dallintegrale interno,
Z
g (x) =
f (x; y) dy = p
x
R
nita per quasi ogni x (ma non per ogni x).
2. Stabilire se f 2 L1 R2 , con
f (x; y) = e
x2 y 2
sin (xy) :
x2 y 2
R
p
2
(E noto che R e x dx =
,
confronto, lintegrale iterato di
calcolo precedente non fornisce
3. Stabilire se f 2 L1 R2 ,
x2 y 2
jxyj
Convoluzione in Rn
Unoperazione che riguarda gli spazi Lp (Rn ) la convoluzione, di cui ci limitiamo a segnalare la denizione e un paio di propriet.
Teorema 1.126 Se f; g 2 L1 (Rn ) ; allora lintegrale di convoluzione
Z
(f g) (x) =
f (x y) g (y) dy
Rn
gkL1 (Rn )
Rn
Rn
Rn
Rn
y)j dx = (traslando x y = t)
Z
=
jf (t)j dt = kf kL1 (Rn ) ;
Rn
Rn
perci
kf
gkL1 (Rn )
Rn
1;1) (y) dy =
1
1
dy
= 1:
jyj
1.5
In analisi 2 si sono studiati i primi elementi della teoria delle serie di Fourier.
Richiamiamo velocemente alcuni fatti noti, puntualizzando qualche aspetto che
in analisi 2 probabilmente non stato toccato:
1.5.1
Serie di Fourier in L2
Dal punto di vista moderno, basato cio sulla teoria della misura e dellintegrazione di Lebesgue (e che si potr inquadrare in modo naturale nella teoria
degli spazi di Hilbert di cui parleremo in seguito), la teoria delle serie di Fourier
funziona bene nello spazio L2 .
Sia f : [0; L] ! R, f 2 L2 (0; L) : Risultano allora ben deniti (come integrali
di Lebesgue) i coe cienti di Fourier di f ,
Z
2 L
ak =
f (x) cos (k!x) dx per k = 0; 1; 2; 3; ::::
L 0
Z
2 L
bk =
f (x) sin (k!x) dx per k = 1; 2; 3; :::
L 0
72
con ! = 2L .
Infatti, notiamo che se f 2 L2 (0; L), a maggior ragione f 2 L1 (0; L) e quindi
anche f (x) cos (k!x) e f (x) sin (k!x) sono integrabili, perci i coe cienti di
Fourier sono ben deniti.
Vale il seguente
Teorema 1.128 Per ogni f 2 L2 (0; L) la serie di Fourier
1
a0 X
+
fak cos (k!x) + bk sin (k!x)g
2
k=1
a0 X
+
fak cos (k!x) + bk sin (k!x)g
2
sn (x) =
k=1
2. Lemma di Riemann-Lebesgue:
ak ! 0 e bk ! 0 per k ! 1:
Rispetto a quanto lo studente ha probabilmente studiato in analisi 2, si noti
che la tesi del teorema vale per qualsiasi funzione L2 (0; T ), in particolare anche
per funzioni illimitate o cos discontinue da risultare non integrabili secondo
Riemann.
Si osservi tuttavia che il teorema non dice nulla sulleventuale convergenza
puntuale della serie di Fourier.
Per il calcolo eettivo dei coe cienti di Fourier, valgono le solite osservazioni
sulle eventuali simmetrie di f :
L L
se f :
2 ; 2 ! R una funzione pari, allora bk = 0 per ogni k e
4
ak =
L
se f :
L L
2; 2
L
2
bk =
4
L
L
2
73
1.5.2
Convergenza puntuale delle serie di Fourier e rapidit di convergenza a zero dei coe cienti
x!
k+
lim f 0 (x) e
x!
lim f (x) ;
x!
k+
lim f 0 (x) :
x!
Per capire la situazione, consideriamo una funzione f 2 C 1 ([0; L]). Indichiamo con ak ; bk i coe cienti di Fourier di f e con k ; k i coe cienti di Fourier
di f 0 ; cerchiamo di esprimere k ; k in funzione di ak ; bk . Si ha (per k 1):
(
)
Z
Z L
2 L 0
2
L
f (x) cos (k!x) dx =
[f (x) cos (k!x)]0 + k!
f (x) sin (k!x) dx
k =
L 0
L
0
Z
2
2 L
= (f (L) f (0)) + k!
f (x) sin (k!x) dx:
L
L 0
Se supponiamo che f soddis le condizioni di raccordo f (L) = f (0) otteniamo
la relazione semplice
k = k!bk :
Analogamente si trova
k
k!ak :
f (0)) = 0:
kj
+j
kj
(e
0 = 0)
Chiediamoci ora se questa relazione continua a valere chiedendo qualcosa
meno che f 2 C 1 ([0; L]). La dimostrazione basata sulla formula di integrazione per parti.
Si pu dimostrare facilmente la seguente
L
0
f g = f g (L)
f g (0)
f g0
f 0g =
f 0g +
75
f 0 g:
= (f g) (L)
(f g) (0)
f g0 :
converge, ossia la serie di Fourier di f converge totalmente, quindi assolutamente e uniformemente. Le ipotesi del teorema sono vericate in particolare se
f : R ! R una funzione T -periodica e C 1 (R).
Dimostrazione. Nelle ipotesi del teorema vale la relazione
j
kj
+j
kj
(1.9)
2
k
2
k
k=1
<1
k=1
(1.10)
k=1
jak j =
1
X
k=1
1
X
1
k jak j
k
k 2 a2k
k=1
!1=2
1
X
1
k2
k=1
e analogamente
1
X
k=1
jbk j
1
X
k=1
k 2 b2k
!1=2
76
1
X
1
k2
k=1
!1=2
!1=2
P1
Poich k=1 k12 < 1; la (1.10) implica la tesi.
Largomentazione precedente pu essere ora iterata alle derivate successive.
Teorema 1.133 (Velocit di convergenza a zero dei coe cienti) Sia f una
funzione tale che:
a. f 2 C s 1 (R) e L-periodica (cio C s 1 ([0; L]) e soddisfacente la condizione di raccordo f (0) = f (L), f 0 (0) = f 0 (L),...,f (s 1) (0) = f (s 1) (L)).
b. f (s 1) derivabile e con derivata continua in [0; L], salvo al pi un
numero nito di punti di [0; L] nei quali comunque esistono niti i limiti destro
e sinistro di f (s 1) .
(Queste ipotesi sono vericate in particolare se f 2 C s (R) e L-periodica,
o se f 2 C s ([0; L]) e soddisfa le condizioni raccordo su f; f 0 ; ::; f (s 1) , non
necessariamente su f (s) ).
Allora:
i) vale la relazione
j
kj
+j
kj
k;
(1.11)
di f (s) ;
(1.12)
k=1
ak ; bk = o
1
ks
per k ! 1
k=1
<s
1
:
2
1).
Dimostrazione. Il punto i) si ottiene applicando iterativamente il ragionamento visto nel teorema precedente. Ancora, poich f (s 1) regolare a tratti, in
particolare limitata e integrabile, quindi anche L2 (0; L) e, per luguaglianza
di Perceval,
1
X
2
2
(1.13)
k + k < 1;
k=1
dalla (1.11) segue la (1.12), che a sua volta implica che k 2s a2k + b2k ! 0; quindi
k s (jak j + jbk j) ! 0, quindi ak ; bk = o k1s per k ! 1. Ancora con la disuguaglianza di Schwartz possiamo dimostrare lultima parte della tesi (ragioniamo
77
k=1
k jak j =
1
X
k=1
k s jak j k
1
X
k 2s a2k
k=1
!1=2
1
X
2(
s)
k=1
!1=2
Ora la prima serie converge per (1.12), la seconda converge purch sia
2(
s) <
cio
<s
1;
1
.
2
k=1
ad esempio, per
<
3
;
2
= 1, leggiamo che
1
X
k=1
78
2
2.1
Le equazioni alle derivate parziali di cui ci occuperemo nel seguito, ossia quelle
di cui abbiamo discusso nel 2 il signicato modellistico, condividono diverse
importanti propriet:
-sono tutte del secondordine (occasionalmente si possono ridurre a equazioni
del primordine);
-sono tutte lineari;
-sono (quasi) tutte a coe cienti costanti.
Per ssare le idee, scriviamo nuovamente qualcuna di queste equazioni, a
titolo desempio:
uxx + uyy = f
(2.1)
(equazione di Poisson in 2 variabili spaziali);
ut
Duxx + bux
cu = f
(2.2)
n
X
i;j=1
n
X
(2.4)
k=1
i;j=1
1 4 Si osservi il linguaggio: L un operatore dierenziale lineare del secondordine; Lu = f
unequazione dierenziale lineare del secondordine.
79
mentre
n
X
k=1
! C0
Tra questi spazi, muniti delle rispettive norme, L risulta anche continuo, in
quanto
kLukC 0 ( )
n
X
aij uxi xj
i;j=1
0
@
C0(
n
X
)+
k=1
n
X
i;j=1
kaij kC 0 ( ) +
n
X
k=1
c kukC 2 ( ) :
2.2
Le equazioni a derivate parziali lineari del secondordine possono presentare propriet matematiche molto diverse le une dalle altre, coerentemente al signicato
sico molto diverso che hanno le equazioni incontrate n qui.
La propriet matematica che discrimina queste situazioni espressa dalla
seguente denizione.
Denizione 2.1 (Equazioni ellittiche, paraboliche, iperboliche) Sia
Lu (x) =
n
X
i;j=1
n
X
k=1
80
(si pu sempre supporre che la matrice aij sia simmetrica). Si dice che:
loperatore L ellittico (in x0 ) se la forma quadratica q denita (positiva
o negativa);
loperatore L iperbolico (in x0 ) se la forma quadratica q indenita;
loperatore L parabolico (in x0 ) se la forma quadratica q semidenita
(positiva o negativa).
Diremo che loperatore L ellittico, o iperbolico, o parabolico in se lo in
ogni punto di :
Analoga terminologia si usa per lequazione Lu = f , cio: qualunque sia il
termine noto f , diremo che lequazione ellittica, parabolica, iperbolica (in un
punto o in un dominio), se lo loperatore L.
Osservazione 2.2 Se L in particolare a coe cienti costanti, loperatore
di uno stesso tipo in tutto Rn ; se loperatore ha coe cienti variabili, pu anche
essere di tipo diverso in punti diversi dello spazio, come vedremo con gli esempi.
Si noti che la denizione di operatore ellittico, parabolico, iperbolico dipende
solo dalla parte principale delloperatore di erenziale, cio dai termini nelle
derivate seconde15 .
Esempio 2.3 (a). Loperatore di Laplace in Rn ;
u=
n
X
uxi xi
i=1
ha forma quadratica
q (h) =
n
X
i=1
h2i = jhj ;
u+
n
X
k=1
81
c2 u
con
laplaciano in Rn ha forma quadratica (in Rn+1 ; chiamando xn+1 la
variabile t)
n
X
q (h) = h2n+1 c2
h2i
i=1
D u
(con D > 0 e
laplaciano in Rn ) ha forma quadratica (in Rn+1 ; chiamando
xn+1 la variabile t)
n
X
q (h) = D
h2i
i=1
n+1
semidenita negativa in R
(si ricordi che la forma quadratica q non si accorge dai termini del primordine, in questo caso di ut ), quindi H parabolico.
(e) Loperatore di Tricomi in R2
T u = yuxx + uyy
ellittico nel semipiano y > 0, iperbolico nel semipiano y < 0, parabolico sulla
retta y = 0. Ecco un esempio signicativo di operatore che cambia tipo da punto
a punto (si dice operatore di tipo misto).16
Osservazione 2.4 Con riferimento allesempio (d), osserviamo che solitamente
si riserva il nome di operatore parabolico, in n + 1 variabili, a un operatore che
si possa scrivere nella forma:
uxn+1 + Eu
con E operatore ellittico nelle prime n variabili. In altre parole, la forma
quadratica semidenita in Rn+1 ma denita in Rn , e loperatore di erenziale
contiene la derivata prima nella variabile che manca nella parte del secondordine.
Loperatore di Laplace il prototipo di operatore ellittico; questi operatori dal punto di vista sico si possono vedere come operatori stazionari che
1 6 Questequazione stata studiata, per primo, da Tricomi nel 1923, e interviene nello studio
dei uidi transonici. Nello studio dellaerodinamica, la regione ellittica corrisponde ad un usso
subsonico, la regione parabolica alla barriera del suono e la regione iperbolica alla propagazione
supersonica delle onde di shocks.
82
2.3
Condizioni al contorno
R3 .
(2.5)
83
(2.6)
@u
@
dove
@u
= ru e ,
@
si dice derivata normale, e e il versore normale uscente dalla supercie. Pi
in generale potremmo assegnare il usso di calore (diverso da zero) uscente dalla
supercie, imponendo:
u = f in
@u
@ = g su @ :
Il usso sar punto per punto uscente o entrante a seconda che sia g < 0 o
g > 0. (Ricordare che il gradiente della temperatura ha verso opposto al usso
di calore).
84
(2.7)
u)
dove @
2;
un
= ?, con f; g assegnate.
R3 ; t > 0:
Questo insieme prende il nome di frontiera parabolica del cilindro QT , e talvolta indicato con @P QT . Si noti che la frontiera parabolica del cilindro una
parte della frontiera del cilindro, precisamente la sua frontiera privata del
coperchio del cilindro f(x; T ) : x 2 g :
2.3.3
c2 u = utt
c2 (uxx + uyy ) = f in
R2
2.4
Principio di sovrapposizione
Osserviamo ora che tutte le condizioni al contorno e ai valori iniziali che abbiamo descritto nel paragrafo precedente sono anchesse di tipo lineare. Questo
signica che ciascuna condizione (di Cauchy, Dirichlet, Neumann...) espressa
da unequazione del tipo
Bu = f
con u funzione incognita, f dato assegnato, B operatore lineare tra opportuni
spazi di funzioni. Ad esempio, il problema (2.11), si pu scrivere astrattamente
in questa forma
8
Lu = f per x 2 ; t > 0
>
>
<
B1 u (t; x) = g (t; x) per x 2 @ ; t > 0
B2 u (0; x) = u0 (x) per x 2
>
>
:
B3 u (0; x) = v0 (x) per x 2
[0; 1) \ C 1 (
(0; 1)) \ C 0
[0; 1))
(ossia: chiediamo due derivate continue allinterno del dominio, dov soddisfatta la condizione; chiediamo che la u sia continua no al bordo del dominio
spaziale, per assumere il dato al bordo di Dirichlet, e chiediamo che sia C 1 no
a t = 0 per poter assumere il dato di Cauchy) avremo:
L : X ! C0 (
(0; 1))
L : u 7! utt Lu
B1 : X ! C 0 (@
B1 : u 7! u=@
[0; 1))
B2 : X ! C 1 ( )
B2 : u 7! u (0; )
B3 : X ! C 0 ( )
B3 : u 7! ut (0; )
88
dove L; B1 ; B2 ; B3 sono operatori lineari tra gli spazi vettoriali indicati18 . Questo
ha unutile conseguenza, che prende il nome di principio di sovrapposizione. Invece di darne subito unenunciazione astratta, lo spieghiamo prima sullesempio
precedente.
Esempio 2.13 Supponiamo di voler risolvere il problema
8
Lu = f
per x 2 ; t > 0
>
>
<
B1 u (t; x) = g (t; x) per x 2 @ ; t > 0
(P ) :
B2 u (0; x) = u0 (x) per x 2
>
>
:
B3 u (0; x) = v0 (x) per x 2 :
89
(2.13)
u2 = 0 in
u2 = 1 su @ :
Ma la soluzione di questultimo problema u2 1 (la funzione costante = 1 ha
laplaciano nullo e soddisfa la condizione al contorno 1), quindi u (x) = u1 (x) +
1; con u1 soluzione del problema di Dirichlet omogeneo (2.13). Questo il
sottoproblema interessante da risolvere, mentre il secondo era banale.
2.5
90
(2.14)
Notiamo che lultima disuguaglianza, normalmente detta stima a priori sulla soluzione o stima di stabilit garantisce eettivamente che un piccolo errore sui dati porti un piccolo errore sulla soluzione, per la linearit delloperatore.
Supponiamo che u1 ; u2 siano, rispettivamente, le soluzioni dei problemi relativi
(1)
(1)
(2)
(2)
ai dati f (1) ; g1 ; :::; gk e f (2) ; g1 ; :::; gk : Allora per la linearit del problema
(1)
(2)
(1)
(2)
u1 u2 soluzione del problema relativo ai dati f (1) f (2) ; g1
g1 ; :::; gk gk
e per la stima di stabilit
ku1
u2 kS
f (1)
f (2)
(1)
D0
+ g1
(1)
(2)
g1
D1
+ ::: + gk
(2)
gk
Dk
Questo allora detta la strategia tipica per dimostrare lunicit della soluzione:
si suppone che u risolva il corrispondente problema con termine noto e dati tutti
91
92
3
3.1
loperatore
@2
@2
@2
+
+
(o lanalogo in solo una o due dimensioni),
@x2
@y 2
@z 2
condizione di Robin @u
(con k > 0),
@ + ku = f su @
o eventualmente condizioni miste (cio su due parti della frontiera sono assegnate
due diverse condizioni di questi tipi).
Vogliamo dimostrare che per un problema di questi tipi la soluzione, se esiste,
unica (con unimportante precisazione nel caso della condizione di Neumann).
Un enunciato preciso il seguente:
Teorema 3.1 (di unicit) Sia
R3 un dominio come sopra specicato. La
2
1
funzione u 2 C ( ) \ C
che risolve il problema di Dirichlet
u = f in
u = g su @
con f 2 C 0 ( ) ; g 2 C 0 (@ ) assegnate, se esiste unica. Lo stesso vale nel
caso di una condizione al contorno di Robin. Per la condizione al contorno di
Neumann, la soluzione, se esiste, unica a meno di costante additiva. Lunicit
vale anche per i problemi misti.
Osservazione 3.2 Notiamo che lipotesi u 2 C 1
(cio C 1 no al bordo
dellinsieme) naturale per le condizioni di Neumann e di Robin, che coinvolgono la derivata di u sul bordo, mentre un po troppo forte per il problema di
Dirichlet, per cui ci aspetteremmo u 2 C 0
(oltre ovviamente alla condizione
u 2 C 2 ( ), se vogliamo che u risolva allinterno di lequazione di erenziale).
Vedremo poi come nel caso del problema di Dirichlet si possa e ettivamente
migliorare questo risultato stabilendo lunicit nella classe C 2 ( ) \ C 0
.
Dimostrazione. Come abbiamo visto nel 4.5, dimostrare lunicit equivale
a provare il seguente enunciato: se u 2 C 2 ( ) \ C 1
risolve lequazione
omogenea u = 0 in
con condizione di Dirichlet (o degli altri tipi) nulla,
allora u identicamente nulla in :
Utilizziamo la prima identit di Green (v. 1.2)
ZZZ
ZZZ
ZZ
@g
f gdxdydz +
rf rgdxdydz =
f
dS
@n
e
@
valida per ogni coppia di funzioni:
f 2 C1 ( ) \ C
; g 2 C2 ( ) \ C1
Applichiamola a f = g = u e abbiamo
ZZZ
ZZZ
ZZ
2
u udxdydz +
jruj dxdydz =
che, essendo
u = 0; d
ZZZ
jruj dxdydz =
94
ZZ
@u
dS:
@ne
@u
dS
@ne
jruj dxdydz = 0:
da cui di nuovo
ZZZ
jruj dxdydz =
ZZZ
(con k > 0)
ZZ
ku2 dS
0;
jruj dxdydz = 0
@u
@
(3.1)
95
non soddisfano unopportuna condizione di compatibilit. Per capire questo fatto, sia u soluzione del problema di Neumann (3.1); integriamo ambo i membri
dellequazione in e applichiamo il teorema della divergenza:
ZZZ
ZZZ
ZZ
ZZ
@u
f dxdydz =
udxdydz =
dS =
gdS:
@ @
@
Luguaglianza ottenuta
ZZZ
f dxdydz =
ZZ
gdS
coinvolge solo i dati del problema, non la soluzione che cerchiamo: assegnati i
dati, si pu vericare se soddisfatta oppure no; se non soddisfatta, certamente
non potr esistere soluzione del problema.
Uninterpretazione sica facilmente comprensibile di questa condizione si
ha quando g
0; interpretando lequazione come equazione del calore in stato stazionario, signica che il corpo termicamente isolato. La condizione di
compatibilit richiede che
ZZZ
f dxdydz = 0;
il che signica che il bilancio complessivo di pozzi e sorgenti di calore interni
al corpo nullo: una condizione ragionevole, se vogliamo che la temperatura
possa stabilizzarsi su un equilibrio, rimanendo il corpo isolato (se ad esempio il
corpo isolato e f > 0 in , la temperatura non pu che salire nel tempo). Se
poi
RR g 6= 0, il corpo non isolato ma il usso entrante o uscente di calore (cio
gdS) comunque assegnato, quindi naturale che questoRRR
debba uguagliare
@
il bilancio totale di pozzi e soregenti di calore interni (cio
f dxdydz): se
allinterno, ad esempio, complessivamente si fornisce pi calore di quanto il corpo ne cede allambiente attraverso il usso termico dal bordo, complessivamente
la temperatura interna salir, e non potr soddisfare unequazione dierenziale
stazionaria.
Principio di massimo e dipendenza continua della soluzione dai dati
Si pu migliorare linformazione contenuta nel teorema di unicit, arrivando a
stabilire la dipendenza continua della (eventuale) soluzione dai dati, almeno per
il problema di Dirichlet. Questa una conseguenza del seguente principio di
massimo, che ha anche un interesse indipendente:
Teorema 3.3 (Principio di massimo per il laplaciano) Sia
R3 un
2
0
aperto connesso e limitato, e u 2 C ( ) \ C
soluzione dellequazione
u = f in
Allora:
i) Se f
0 in
max u (x) :
x2@
96
ii) Se f
0 in
(cio u armonica), allora u assume massimi e minimi
su @ , e vale la disuguaglianza
max ju (x)j
x2
max ju (x)j :
x2@
x2@
97
x2@
max u (x) ;
x2@
u,
max ju (x)j :
x2@
Osservazione 3.5 Questo principio di massimo consente di migliorare il risultato di unicit dimostrato per il problema di Dirichlet (come preannunciato nellosservazione dopo il teorema di unicit). In base al principio di massimo,
infatti, se u 2 C 2 ( ) \ C 0
soluzione di
u = 0 in
u = 0 su @
ne segue che u
0. Perci lunicit della soluzione del problema di Dirichlet
vale nella classe naturale C 2 ( ) \ C 0
e non solo nella pi ristretta classe
in cui lo si era stabilito in precedenza.
C2 ( ) \ C1
Osservazione 3.6 Vale in realt anche un principio di massimo pi forte, che
non dimostreremo, e stabilisce che una funzione armonica non solo assume massimi e minimi sul bordo, ma non pu assumere massimi e minimi anche in punti
interni, a meno che sia costante. Ad esempio, una membrana in equilibrio non
pu formare gobbe verso lalto o il basso allinterno.
Deduciamo dal principio di massimo dimostrato anche il prossimo
Teorema 3.7 (Dipendenza continua dai dati per il problema di Dirichlet)
Sia
un dominio limitato di Rn (n 3) e sia u 2 C 2 ( ) \ C 0
soluzione
del problema di Dirichlet
u = f in
u = g su @ :
Allora
R2
max jf j
@
2n
dove R il raggio di una sfera BR (0) contenente :
max juj
max jgj +
Si noti che questa una stima a priori di dipendenza continua della soluzione
u di un problema di Dirichlet dai dati f; g.
Dimostrazione. La funzione
2
v (x) = u (x) +
98
jxj
max jf j
2n
soddisfa
v (x) =
u (x)
u (x) +
jxj
max jf j
2n
max u +
@
jxj
max jf j
2n
max g +
@
R2
max jf j
2n
cio
R2
max jf j :
@
2n
Ora applichiamo lo stesso ragionamento a u che soluzione di
max u
max g +
( u) = f in
u = g su @
e otteniamo
max ( u)
max ( g) +
@
R2
max jf j
2n
3.1.2
max jgj +
@
R2
max jf j :
2n
99
(#) :
Sostituendo nellequazione si ha
R00 ( )
1
(#) + R0 ( )
(#) +
R0 ( )
R00 ( )
+
=
R( )
R( )
00
R( )
(#) = 0
00
(#)
:
(#)
Lultima uguaglianza scritta unidentit tra una funzione della sola e una
funzione della sola #, che quindi forza ciascun membro ad essere costante21 .
Quindi per qualche 2 R devessere:
R0 ( )
R00 ( )
+
=
R( )
R( )
00
(#)
(#)
ossia:
2
R00 ( ) + R0 ( )
n2 R ( ) = 0 per
2 [0; r0 ] :
1)
+
(
n2
=0
2
1) +
n =0
= n;
che d
Rn ( ) = c1
2 1 Si
+ c2
per ogni ; # in certi intervalli, in particolare ssando un valore # = #0 si legge che il primo
membro costante al variare di ; ssando invece un valore = 0 si legge che il secondo
membro costante al variare di #.
2 2 v. [EsAn2], 1.2.D. Si dice equazione di Eulero unequazione del tipo
ax2 y 00 (x) + bxy 0 (x) + cy (x) = 0
per a; b; c costanti. Di questequazione si possono cercare due soluzioni del tipo y (x) = x con
da determinarsi. Se esistono due numeri 1 ; 2 reali distinti per cui lequazione dierenziale
soddisfatta, lintegrale generale di questequazione sar c1 x 1 + c2 x 2 :
100
di Eulero in R0 ( ) =
R00 ( ) + R0 ( ) = 0
;
2
=0
+1
( + 1)
=0
= 1
1
R0 ( ) =
R ( ) = d1 + d2 log :
1
X
n=1
1
X
n=1
f (#) =
101
(3.3)
si ha
A0
; r0n an = An ; r0n bn = Bn .
2
In conclusione la soluzione del problema (3.2) assegnata dalla formula:
d=
u ( ; #) =
A0 X
+
2
n=1
r0
(3.4)
cos (n#) ;
sin (n#) ;
cos (n#) = Re (
n
cos (n#) = Im (
= x3
= 2xy
3xy 2
ecc.
In particolare, da queste relazioni leggiamo che le armoniche elementari
n
cos (n#), n sin (n#) sono polinomi omogenei di grado (complessivo) n in
x; y.
2 3 che non casuale, ma una semplice conseguenza della teoria delle funzioni derivabili di
variabile complessa (la parte reale o immaginaria di una funzione olomorfa una funzione
armonica), di cui per in questo corso non ci occupiamo.
102
Qualche graco delle armoniche elementari mostra la loro caratteristica tipica di funzioni dotate di selle ma non di punti di massimo e minimo locale,
come prescritto dal principio di massimo che abbiamo dimostrato.
cos 3# = Re (x + iy)
cos 4# = Re (x + iy)
103
= x3
= x4
3xy 2
6x2 y 2 + y 4
sin 7# = Im (x + iy)
= 7x6 y
35x4 y 3 + 21x2 y 5
y7
1 1
+ cos 2#;
2 2
cos 2# = Re (x + iy)
1
1 + x2
2
y2 :
= 2;
x4 = (2 cos #) = 16 cos4 #
104
cos 2# = Re (x + iy)
cos 4# =
Re (x + iy)
= 6 + 2 x2
y2 +
1 4
x
8
6x2 y 2 + y 4 :
c per ogni n;
con
. In questo
r0
r0
e la serie numerica
(jAn j + jBn j)
X
r0
r0
105
@
@
n 1
r0
r0n
n 1
r0
1
(jAn j + jBn j)
r0
c
n
r0
n 1
r0
e la serie numerica
n 1
X c
n
r0
r0
una serie convergente perch < r0 , quindi c convergenza totale della serie
ed calcolabile derivando termine a termine.
delle derivate, perci esiste @u
@
Si capisce che il ragionamento si pu iterare alla derivata di qualunque ordine
rispetto a . Per la serie delle derivate rispetto a # si ha:
@
@#
r0
n
r0
n
e la serie numerica
r0
(jAn j + jBn j)
X
cn
r0
cn
r0
ancora una serie convergente perch < r0 , quindi c convergenza totale
@u
ed calcolabile derivando termine a
della serie delle derivate, perci esiste @#
termine. Si capisce che il ragionamento si pu iterare alla derivata di ordine
qualsiasi rispetto a #; ed anche a derivate miste rispetto a e #.
Si conclude che u innitamente derivabile in ogni cerchio
con < r0 ,
e quindi nel cerchio aperto < r0 .
Inoltre, poich ogni addendo della serie risolve lequazione di Laplace (la
serie stata costruita proprio a quel modo, sovrapponendo soluzioni a variabili
separate), in ogni cerchio
con < r0 , in cui u derivabile termine a
termine, si ha:
!
1
n
@2
1 @
1 @2
A0 X
u=
+
+ 2 2
+
[An cos (n#) + Bn sin (n#)]
@ 2
@
@#
2
r0
n=1
=
=
1
X
n=1
1
X
@2
1 @
1 @2
+ 2 2
+
2
@
@
@#
r0
0 = 0:
n=1
106
con
( ;#)!(r0 ;#0 )
r0
k=1
jAk j+jBk j :
Br0 (0)
max jf j
@Br0 (0)
in questo caso una stima di dipendenza continua della soluzione dal dato.
Quindi il problema ben posto.
108
f kL2 (0;2
! 0 per
! r0 :
A0 X
+
2
n=1
P1
n=1
r0
A0 X
+
[An cos (n#) + Bn sin (n#)]
2
n=1
abbiamo
f (#)
u ( ; #) =
1
X
r0
n=1
f kL2 (0;2
1
X
n=1
n 2
r0
A2n + Bn2 :
h
n i2
Osserviamo la serie a secondo membro. Per ! r0 si ha 1
! 0; tutr0
tavia questa convergenza sempre pi lenta quanto pi grande n (che rimpicn
ciolisce il quoziente
r0
109
h
n i2
limite bisogna allora spezzare la serie. Utilizziamo il fatto che 1
<1
r0
perci la serie totalemente convergente in 2 [0; r0 ] ; e ssato " > 0 esiste n0
tale che
1
n 2
X
1
A2n + Bn2 < "
r
0
n=n +1
0
mentre
n0
X
n=1
n 2
n0 2
A2n + Bn2
r0
r0
per
A2n + Bn2
n=1
n0 2
n0
X
r0
kf kL2 (0;2
<"
f kL2 (0;2
< 2"
per
f (#) d#;
(3.5)
110
Notare che la seconda uguaglianza dice che il valore di u nel centro del
cerchio la media integrale dei valori di u sul bordo del cerchio (in questo caso
lintegrale un integrale di linea); la terza uguaglianza dice che il valore di u
nel centro del cerchio la media integrale dei valori di u sul cerchio (in questo
caso lintegrale un integrale doppio). Segnaliamo che anche la propriet di
media delle funzioni armoniche, con una diversa dimostrazione, si pu stabilire
in dimensione n 3 qualunque.
, u si pu vedere
Dimostrazione. Poich u armonica in e Br (x0 ; y0 )
come soluzione del problema di Dirichlet avente come dato assegnato sul bordo
del cerchio la u stessa. Quindi la (3.5), dopo averla traslata nel cerchio di centro
(x0 ; y0 ), si pu riscrivere nella forma (3.6). Daltro canto il secondo membro
della (3.7) un integrale di linea che, parametrizzando la circonferenza come
x = x0 + r cos #
# 2 [0; 2 ]
y = y0 + r sin #
ds = rd#
d
1
2 r
u (x; y) ds =
perci dalla (3.6) segue la (3.7). Inne, riscriviamo il secondo membro della
(3.8) calcolando lintegrale in coordinate polari:
Z
Z r
Z 2
1
1
u
(x;
y)
dxdy
=
u (x0 + r cos #; y0 + r sin #) d# d
r2 Br (x0 ;y0 )
r2 0
0
utilizzando nellintegrale interno la (3.6)
Z r
1
1 r2
= 2
2 u (x0 ; y0 ) d = 2 u (x0 ; y0 ) 2
= u (x0 ; y0 )
r 0
r 2
e anche la (3.8) dimostrata.
Osservazione 3.19 La propriet di media approfondisce la descrizione della
geometria del graco delle funzioni armoniche, di cui il principio di massimo
era un primo elemento. Si noti che entrambe le propriet corrispondono allintuizione sica, se interpretiamo la funzione u; armonica in due variabili, per
uno dei signicati sici che pu avere, ad esempio membrana in equilibrio o
temperatura di una piastra in equilibrio termico.
Dalla propriet di media segue facilmente una dimostrazione, nel caso bidimensionale, del principio di massimo forte per le funzioni armoniche che abbiamo solo enunciato in precedenza:
111
112
si ha
Z 2
1
u ( ; #) =
f (s) ds+
2 0
Z
Z
1
n
X
1 2
1 2
f (s) cos (ns) ds cos (n#) +
f (s) sin (ns) ds sin (n#)
+
r0
0
0
n=1
=
f (s)
1
1X
1
+
2
n=1
r0
Vediamo di sommare esplicitamente il nucleo integrale f:::g. Anzitutto le formule di addizione e quelle di Eulero danno:
cos (ns) cos (n#) + sin (ns) sin (n#) = cos n (#
s) =
ein(#
s)
+e
2
in(# s)
1
2
1
=
2
=
1
2
r0
cos (#
2r0 [r0
[r0
r02
cos (#
r0
s)
i sin (#
cos (#
2
s)] +
2
r02
2r0 cos (# s) +
s)
r0
s)]
sin2 (#
s)
cos (#
r0
s) + i sin (#
s)
(r;#)!(R;#0 )
u (r; #) = f (#0 )
(il che equivale a far tendere il punto alla circonferenza lungo un raggio). La
dimostrazione generale simile, con una piccola complicazione tecnica24 .
Cominciamo a osservare che, poich la soluzione del problema di Dirichlet
con dato al bordo f 1 la funzione costante 1, si ha:
Z 2
2
r02
1
ds = 1:
2 0
r02 2r0 cos (# s) + 2
Notiamo anche che il nucleo di Poisson positivo, perch r02
cerchio e
r02
2r0 cos (#
s) +
r02
f (#0 ))
114
2r0 +
r02
2r0
= (r0
2
r02
cos (#0
> 0 nel
) :
s) +
ds:
Per un numero
somma:
u (r; #0 )
f (#0 ) =
1
2
(:::) ds +
1
2
(:::) ds
s2(0;2 );js #0 j
=A +B :
Poich f continua in #0 , ssato " > 0 esiste un
js
Per questa scelta di
e ha integrale 1)
jA j
=) jf (#)
1
"
2
"
#0 j <
1
2
s2(0;2 )
r02
2
r02
2r0 cos (# s) +
r02
r02
ds
2r0 cos (#
s) +
ds = ":
Daltro canto
js
#0 j
=) cos (#
s)
cos
e quindi
r02
2r0
1
cos (#0
s) +
1
2r0 cos +
r02
c (r0 ; )
s2(0;2 )
ds
<"
purch r0
sia abbastanza piccolo. Perci per ogni " > 0; se r0
piccolo si ha
ju (r; #0 ) f (#0 )j < 2";
abbastanza
u (0; #) =
1
2
f (s) ds;
115
(Notare che sul bordo del cerchio la derivata normale uscente semplicemente
@
@ ). Cerchiamo soluzioni a variabili separate, del tipo:
u ( ; #) = R ( )
(#) :
Si possono utilizzare parte delle conclusioni del ragionamento fatto per il problema di Dirichlet. Cerchiamo di imporre la condizione al contorno alla soluzione:
u ( ; #) = d +
1
X
n=1
f (#) =
si ha
nr0n
an = An ;
nr0n
bn = B n
116
mentre
d indeterminato (la soluzione determinata a meno di costante additiva).
In conclusione la soluzione del problema (3.10), nellipotesi A0 = 0, assegnata
dalla formula:
u ( ; #) =
1
X
n=1
nr0n
(3.11)
n 1
r0
r0 . Daltro canto,
n 1
r0
jAn j + jBn j
perci se la serie di Fourier del dato al bordo converge totalmente, il che accade
ad esempio se f 2 C 1 [0; 2 ], con f (0) = f (2 ) (Teorema 1.132), anche la
serie che assegna @u
@ ( ; #) allinterno del cerchio, in eetti converge totalmente
in tutto il cerchio. Perci converge ivi uniformemente, e @u
@ continua no al
bordo del cerchio. Come nel caso del problema di Dirichlet, lipotesi sul dato
un poforte, non certo quella ottimale.
Esercizio 3.22 Risolvere il seguente problema di Dirichlet per il laplaciano
sulla corona circolare:
8 2
@ u 1 @u
1 @2u
>
>
<
+
+
= 0 per 2 (1; r0 ) ; # 2 [0; 2 ]
2 @#2
@ 2
@
u (1; #) = 0
per # 2 [0; 2 ]
>
>
:
u (r0 ; #) = f (#)
per # 2 [0; 2 ]
3.1.3
Abbiamo considerato nora lequazione omogenea, u = 0. Se il termine noto non zero, cio u = f; il metodo di separazione delle variabili non pi
applicabile. Unidea che talvolta si utilizza per arontare unequazione non omogenea, suggerita da certe procedure che si seguono per risolvere equazioni differenziali ordinarie non omogenee, quella di cercare una soluzione la cui espressione analitica sia formalmente simile a quella della corrispondente equazione
omogenea, con certe costanti sostituite da coe cienti variabili, che si cerca di
determinare in modo da soddisfare lequazione. Illustriamo questidea nel caso
dellequaizone di Poisson sul cerchio:
8 2
1 @2u
< @ u 1 @u
+
+ 2 2 = F ( ; #) per 2 [0; r0 ); # 2 [0; 2 ]
2
@
@
@#
:
u (r0 ; #) = 0
per # 2 [0; 2 ]
1
X
n=1
date da an
a0 ( ) X
+
[an ( ) cos (n#) + bn ( ) sin (n#)] :
u ( ; #) =
2
n=1
; bn
(3.12)
A0 ( ) X
+
2
n=1
An ( ) =
F ( ; #) cos (n#) d#
Bn ( ) =
118
=
=
+
1
2
!
1
a0 ( ) X
+
[an ( ) cos (n#) + bn ( ) sin (n#)]
2
n=1
X
1
a000 ( ) + a00 ( ) +
1
a00n ( ) + a0n ( )
n2
2
an ( ) cos (n#)
n=1
1
b00n ( ) + a0n ( )
n2
2
an ( ) sin (n#) :
n2
1
b00n ( ) + a0n ( )
n2
an ( ) = An ( )
an ( ) = Bn ( )
per n = 1; 2; 3; :::: Si tratta di un sistema di innite equazioni dierenziali ordinarie nelle funzioni incognite an ( ) ; bn ( ), lineari del secondordine non omogenee (le funzioni An ( ) ; Bn ( ) sono termini noti, si calcolano dal termine noto
F dellequazione di Poisson). Per essere pi precisi, qualcosa di pi semplice
di un sistema in quanto ogni funzione incognita compare in unequazione sola: si possono quindi risolvere simultaneamente, in parallelo, tutte le equazioni.
Prima di risolvere le equazioni, osserviamo che la condizione u (r0 ; #) = 0 risulta
soddisfatta se imponiamo
an (r0 ) = bn (r0 ) = 0 per ogni n.
Veniamo alla risoluzione delle equazioni. Lequazione
n2
1
a00n ( ) + a0n ( )
an ( ) = An ( )
lineare del secondordine non omogenea. Lomogenea associata non a coe cienti costanti ma unequazione di Eulero:
1
a00n ( ) + a0n ( )
n2
2
an ( ) = 0
119
+ dn
+ dn ( )
Il metodo prescrive di risolvere il seguente sistema lineare nelle derivate c0n ( ) ; d0n ( ):
c0n n + d0n n = 0
nc0n n 1 nd0n n
Risolvendo si trova:
c0n =
d0n =
= An ( ) :
An ( )
2n n 1
An ( ) n+1
2n
e integrando (con una scelta degli estremi che renda gli integrali certamente
convergenti) abbiamo
(
R An (s)
cn ( ) = r0 2ns
n 1 ds
R An (s)sn+1
dn ( ) =
ds
2n
0
e quindi
an ( ) =
r0
An (s)
ds
2nsn 1
An (s) sn+1
ds
2n
120
r0
An (s) sn+1
ds
2n
e
an ( ) =
1
2n
r0 2n
r0
An (s) sn+1 ds +
An (s) s1
ds
r0
An (s) sn+1 ds :
(3.13)
Analogamente
1
bn ( ) =
2n
r0
2n
r0
n+1
Bn (s) s
ds +
1 n
Bn (s) s
ds
r0
Bn (s) sn+1 ds :
(3.14)
Rimane lequazione in a0 ( ) ;
1
a000 ( ) + a00 ( ) = A0 ( )
che ponendo a00 = v d
1
v 0 ( ) + v ( ) = A0 ( ) ;
equazione lineare del primordine che si integra cos:
Z
1
c
sA0 (s) ds
v( ) = +
0
Z
Z
1 t
sA0 (s) ds dt;
a0 ( ) = c log + d +
t 0
r0
imponendo a0 (r0 ) = 0;
0 = c log r0 + d
d = c log r0
e quindi
a0 ( ) = c log
r0
r0
1
t
sA0 (s) ds dt
(3.15)
La funzione u assegnata dalla (3.12) con i coe cienti a0 ( ) ; an ( ) ; bn ( ) assegnati dalle (3.13), (3.14), (3.14) la soluzione cercata. Il tutto, naturalmente,
andrebbe ora giusticato rigorosamente, cosa che ora non faremo. Se poi nella
(3.12) si sostituiscono le espressioni dei coe cienti a0 ( ) ; an ( ) ; bn ( ) e, a loro
volta, al posto dei coe cienti An ; Bn si sostituiscono gli integrali che li deniscono, calcoli laboriosi permettono di riscrivere la formula di rappresentazione
sotto forma di integrale del termine noto F contro un opportuno nucleo, formula
pi indicata per discutere le ipotesi sotto le quali il procedimento lecito.
La tecnica che abbiamo visto allopera in questo esempio nota come metodo
degli sviluppi di Fourier, per indicare che si sviluppa termine noto e funzione in
uno sviluppo che imita quello di Fourier, con coe cienti per variabili anzich
costanti.
Z
Z
1 t
1
u ( ; #) =
sA0 (s) ds dt
2 r0 t 0
Z r0
Z
Z
1
1 X
n
n
+
r0 2n
An (s) sn+1 ds + n
An (s) s1 n ds
An (s) sn+1 ds cos (n#)
2n n=1
0
r0
0
Z r0
Z
Z
n
n
+
r0 2n
Bn (s) sn+1 ds + n
Bn (s) s1 n ds
Bn (s) sn+1 ds sin (n#) :
0
3.2
r0
Equazione di diusione
D u=f
Per la linearit del problema, anche in questo caso stabilire un risultato di unicit
per un problema di Cauchy-Dirichlet o di Cauchy-Neumann per lequazione di
122
diusione equivale a stabilire che ogni eventuale soluzione dellequazione omogenea con condizioni di Cauchy-Dirichlet o di Cauchy-Neumann nulle la funzione
identicamente nulla.
Sia
R3 un aperto connesso limitato e, per un certo T > 0; sia QT =
(0; T ). Diciamo che u 2 C 1;2 (QT ) se C 1 nel tempo e C 2 nelle variabili
spaziali.
Teorema 3.23 (di unicit) Supponiamo che u 2 C 1;2 (QT )\C 0 QT \C 1
sia soluzione del problema di Cauchy-Dirichlet
8
< ut D u = f per x 2 ; t 2 (0; T )
u (x; t) = g (x; t) per x 2 @ ; t 2 (0; T )
:
u (x; 0) = h (x) per x 2 :
o del problema di Cauchy-Neumann
8
< ut D u = f per x 2 ; t 2 (0; T )
@u
(x; t) = g (x; t) per x 2 @ ; t 2 (0; T )
: @
u (x; 0) = h (x) per x 2
o di Cauchy-Robin
8
< ut D u = f per x 2 ; t 2 (0; T )
@u
(x; t) + ku (x; t) = g (x; t) per x 2 @ ; t 2 (0; T )
: @
u (x; 0) = h (x) per x 2
(0; T )
perci
D
u udx dt =
1
2
!
Z
d 2
1
u (x; t) dt dx =
dt
2
u2 (x; T )
u2 (x; 0) dx
si ha
@u
dS
@
jruj dx =
1
2
@u
dS;
@
u2 (x; T ) dx:
(3.16)
1
jruj dxdt =
2
2
u2 (x; T ) dx
che (per i segni dei due membri) implica che entrambi i membri sono nulli.
Lannullarsi del primo membro implica che u costante in QT ; e poich si
annulla per t = 0 identicamente nulla.
Se invece u soddisfa la condizione di Robin nulla, @u
@ + ku = 0 si ha
Z
Z
@u
ku2 dS 0
u dS =
@
@
@
e il primo membro nella (3.16) ancora
0, per cui si conclude come in
precedenza.
Nello studio dei principi di massimo per unequazione parabolica su un
dominio di tipo cilindrico, importante la nozione di frontiera parabolica:
Denizione 3.25 Si dice frontiera parabolica del dominio
QT =
per
(0; T )
(0; T ) [
f0g :
max u (x; t) :
QT
@p QT
QT
@p QT
"t:
Si ha:
wt
D w=f
" < 0 in QT :
Proviamo che questa w, che continua in QT " quindi ha massimo su questinsieme, assume il suo massimo sulla frontiera parabolica di QT " . Per assurdo,
abbia un massimo in
(x0 ; t0 ) 2
(0; T "]:
In questo punto di massimo risulta certamente w (x0 ; t0 ) 0 (come visto nella
dimostrazione del principio di massimo per il laplaciano; qui che ci serve il fatto
di essere su un cilindro pi corto QT " ; altrimenti, nel caso fosse t0 = T non
potremmo garantire lesistenza di w (x0 ; t0 )). Quanto al valore di wt (x0 ; t0 ),
125
dobbiamo distinguere due casi. Se t0 < T " allora il massimo interno a QT "
e per il teorema di Fermat wt (x0 ; t0 ) = 0: Se invece t0 = T " la derivata pu
non essere nulla ma (ragionare sulla geometria del dominio: il punto (x0 ; t0 ) sta
sulla base superiore del cilindro) wt (x0 ; t0 ) 0. In ogni caso si avrebbe
(wt
D w) (x0 ; t0 )
quindi
max u
QT
"
"T
D w < 0 in QT .
max w
@p QT
"
max (u
QT
0;
"
"t) = max w
QT
"
"
max u
@p QT
"
max u:
@p QT
QT
Osservazione 3.27 Come preannunciato, il principio di massimo migliora lenunciato del teorema di unicit per il problema di Cauchy-Dirichlet: la soluzione
unica nella classe naturale C 1;2 (QT ) \ C 0 QT e non solo in quella, pi
ristretta, C 1;2 (QT ) \ C 0 QT \ C 1
(0; T ) in cui labbiamo inizialmente
dimostrata.
Il principio di massimo consente di provare una stima di stabilit per il
problema di Cauchy-Dirichlet su un dominio cilindrico:
Corollario 3.28 Sia QT =
(0; T ) con
Rn dominio limitato e T > 0; e
1;2
0
sia u 2 C (QT ) \ C QT soluzione di
8
< ut D u = f in QT
u = g su @
(0; T )
:
u (x; 0) = h (x) in :
Allora
max juj
QT
R2
max jf j
2nD QT
BR (0) :
Dimostrazione. Sia
2
w (x; t) = u (x; t) +
126
jxj
max jf j :
2nD QT
Allora
2
wt
D w = ut
D u
D max jf j
QT
=f
max jf j
jxj
2nD
0 in QT ;
QT
max w
@p QT
e quindi
2
max u
QT
max w
max w
QT
@p QT
max u + max
@p QT
@p QT
jxj
max jf j
2nD QT
R
max jf j :
2nD QT
max u +
@p QT
max juj +
@p QT
3.2.2
u e si conclude che
R2
max jf j
2nD QT
R2
max jf j :
2nD QT
Consideriamo una sbarra omogenea, rappresentata dal segmento [0; L], la cui
temperatura al punto x e allistante t u (x; t). Se la temperatura iniziale ha un
prolo noto u0 (x), la sbarra termicamente isolata sulla sua supercie laterale,
non ci sono sorgenti o pozzi di calore interni, e la temperatura agli estremi
tenuta costante uguale a zero, ci aspettiamo che la temperatura nel tempo
raggiunger ovunque la temperatura costante zero. Studiamo come avviene nel
tempo questo fenomeno. Come abbiamo visto nel 2.2.1, in questo caso u
soddisfa lequazione del calore omogenea
8
< ut = cuxx per 0 < x < L; t > 0
u (0; t) = u (L; t) = 0
(3.17)
:
u (x; 0) = u0 (x)
(dove c > 0, costante, il coe ciente di diusione27 ) che abbiamo accompagnato
con le condizioni ai limiti e iniziali (problema di Cauchy-Dirichlet per lequazione
del calore omogenea unidimensionale).
2 7 in
127
Veniamo ora alla soluzione eettiva di questo problema. Il metodo di separazione delle variabili ancora applicabile. Cerchiamo soluzioni a variabili
separate:
U (x; t) = X (x) T (t) :
Sostituendo nellequazione dierenziale si ha:
X (x) T 0 (t) = cX 00 (x) T (t)
T 0 (t)
X 00 (x)
=
:
X (x)
cT (t)
Questa uguaglianza devessere identicamente vericata per 0 < x < L; t > 0.
Daltro canto il primo membro una funzione della sola x, il secondo membro
una funzione della sola t, quindi lunica possibilit perch lidentit sussista
che ciascun membro sia costante. Si ha quindi, per qualche 2 R,
X 00 (x)
=
X (x)
T 0 (t)
=
cT (t)
(3.18)
(3.19)
n2 2
n x
; Xn (x) = cn sin
, per n = 1; 2; 3; :::
L2
L
128
(cn costante arbitraria). Possiamo ora risolvere lequazione (3.18) per questi
valori di :
T 0 (t) =
n2 2 c
T (t)
L2
Tn (t) = cn e
n2 2 c
t
L2
1
X
cn sin
n=1
n x
e
L
n2 2 c
t
L2
(3.20)
1
X
n=1
cn sin
n x
= u0 (x) per 0 < x < L
L
Si tratta dunque di scegliere i coe cienti cn come i coe cienti di Fourier dello
sviluppo di u0 in serie di soli seni in (0; L). Ricapitoliamo come si fa.
1. Considerata u0 (x) denita in [0; L], si denisce u
e0 : [ L; L] ! R ottenuta
da u prolungandola in [ L; 0] in modo che risulti una funzione dispari:
u
e0 (x) =
u0 (x)
u0 ( x)
per x 2 [0; L]
per x 2 [ L; 0] :
daltro canto u
e0 (x) una funzione dispari, quindi avr coe cienti an nulli e
Z
Z
1 L
n x
2 L
n x
bn =
u
e0 (x) sin
dx =
u
e0 (x) sin
dx:
L L
L
L 0
L
129
1
X
bn sin
n=1
2
bn =
L
n x
L
u0 (y) sin
Se quindi nella (3.20) scegliamo i coe cienti cn uguali a questi coe cienti
bn dovremmo avere una soluzione del problema di Cauchy-Dirichlet. Al solito,
si tratta ora di provare che sotto opportune ipotesi su u0 il tutto rigoroso.
Discussione delle propriet della soluzione ottenuta
Vedremo che la situazione in questo caso ha forti analogie con quanto accade
per il problema di Dirichlet per il laplaciano sul cerchio.
Infatti, notiamo anzitutto che
sin
n x
e
L
n2 2 c
t
L2
n2 2 c
t
L2
dove lultima espressione scritta, per qualunque t > 0 (ssato) e per ogni x 2
[0; L] tende a zero esponenzialmente al tendere di n a innito. Perci, non
appena la successione fcn g dei coe cienti limitata (il che accade non appena
u0 integrabile in [0; L]), non solo la serie (3.20) converge, ma anche la sua serie
derivata rispetto a x o t (qualunque numero di volte) continua a convergere.
Pi precisamente:
1. Se la successione fcn g dei coe cienti limitata, allora in ogni dominio
Qt0 = f(x; t) : x 2 [0; L] ; t
t0 g
(per t0 > 0 ssato), la serie che assegna u e quelle che si ottengono da questa
derivando un numero qualsiasi di volte rispetto a t o a x risultano convergenti
totalmente e quindi uniformemente. In particolare, la serie rappresenta una
funzione u che derivabile innite volte in ogni insieme Qt0 e quindi in denitiva
per ogni t > 0. Non , nora, garantita, la regolarit della soluzione no a t = 0.
In altre parole, la funzione rappresentata dalla (3.20) innitamente derivabile
per t > 0. Lequazione del calore, dunque, fortemente regolarizzante, come
lequazione di Laplace.
2. Poich le derivate di u si possono calcolare derivando la serie termine
a termine, e poich ogni termine della serie soddisfa lequazione dierenziale
(proprio per come stata ottenuta: una soluzione a variabili separate), anche
la u rappresentata dalla (3.20) soddisfa lequazione dierenziale.
3. Poich, per il punto 1, in particolare, la funzione u continua in Qt0 , per
x ! 0 e x ! L (e t t0 > 0) la u tende al suo valore negli estremi, che zero:
quindi le condizioni agli estremi sono assunte con continuit, per ogni t > 0.
4. Chiediamoci ora in che senso assunto il dato iniziale. Anche in questo
caso si pu distinguere il quadro classicoda quello L2 . Proviamo due risultati.
130
(x;t)!(x0 ;0)
ck sin
[0; 1) si ha
e
k2 2 c
t
L2
jck j ;
ku ( ; t)
u0 (x) =
1
X
cn sin
n=1
n x
L
n2 2 c
t
L2
u0 kL2 (0;L) =
1
X
L 2
c e
2 n
n=1
n2 2 c
t
L2
P1
Ora ragioniamo cos: poich la serie n=1 c2n converge, per ogni " > 0 esiste n0
tale che
L X 2
c < ";
2 n>n n
0
28 o
meglio il suo sviluppo di Fourier in serie di soli seni, quindi lo sviluppo di Fourier
standard della funzione u
e0 riessa dispari di u.
131
quindi
ku ( ; t)
2
u0 kL2 (0;L)
n0
X
L 2
=
c e
2 n
n=1
e
e
2c
n2
0
t
L2
2c
n2
0
t
L2
X L
c2 e
2 n
n>n
n2 2 c
t
L2
2c
n2
0
t
L2
n2 2 c
t
L2
n0
2X
X L
L 2
cn +
c2n
2
2
n>n
n=1
0
1
2X
L 2
c +"
2 n
n=1
risulta
2c
n2
0
t
L2
<"
e quindi
ku ( ; t)
in senso classico (ossia con condizioni iniziali e agli estremi assunte con continuit). Questa soluzione assegnata dalla ( 3.20) e soddisfa inoltre il principio
di massimo parabolico
max ju (x; t)j
(x;t)2Q
x2[0;L]
che in questo caso una stima di dipendenza continua della soluzione dalla
condizione iniziale.
132
1
X
cn sin
n=1
2
cn =
L
n x
e
L
u0 (y) sin
n2 2 c
t
L2
n y
dy:
L
Allora,
!
Z L
1
X
n2 2 c
n y
n x
2
u0 (y) sin
dy sin
e L2 t
u (x; t) =
L
L
L
0
n=1
!
Z L
1
n2 2 c
2 X
n y
n x
t
=
u0 (y)
sin
sin
e L2
dy
L n=1
L
L
0
Z L
=
u0 (y) K (x; y; t) dy
0
con
K (x; y; t) =
1
n y
n x
2 X
sin
sin
e
L n=1
L
L
n2 2 c
t
L2
espressione che denisce una funzione molto regolare per ogni t > 0, ma perde
signicato per t = 0.
Anche se questa serie non si pu facilmente sommare (ottenendo unespressione pi esplicita del nucleo K), utilizzando questespressione ancora possibile,
analogamente a quanto accade per il nucleo di Poisson sul cerchio (v. 5.1.3)
dimostrare il seguente risultato:
Teorema 3.32 Supponiamo che la funzione u0 sia continua in [0; L] e soddis
la condizione u0 (0) = u0 (L) = 0. Allora la soluzione u (x; t) denita come
sopra assume con continuit la condizione iniziale, ossia:
lim
(x;t)!(x0 ;0)
(cio: per ogni n, un soddisfa (Pn )). Si osservi che abbiamo cambiato il segno
davanti al termine cuxx , rispetto allequazione del calore. Questequazione si
chiama equazione del calore retrograda, o allindietro, o backward. Notiamo la
particolarit di questa situazione: per una stessa equazione dierenziale, con
condizioni agli estremi nulli, abbiamo una successione di condizioni iniziali
vn (x) =
1
n x
sin
n
L
che tende uniformemente a zero in [0; L]. Invece la famiglia delle corrispondenti
soluzioni un , per (x; t) ssati non tende aatto a zero, ma oscilla con ampiezza
illimitata, in quanto
1 n2 22 c t
e L
! 1 per n ! 0 e t > 0:
n
134
3.3
3.3.1
Come abbiamo visto nel 2.3.1, una corda elastica omogenea ssata ai due estremi, pizzicata in modo da eseguire piccole oscillazioni rispetto allequilibrio, e
soggetta eventualmente a una forza di carico f , soddisfa lequazione dierenziale
utt
c2 uxx = f
dove u (x; t) rappresenta laltezza al tempo t del punto della corda che a riposo si
trova nel punto x, e c una costante positiva con le dimensioni di una velocit;
precisamente,
0
c2 =
0
il cui signicato sico : ciascun estremo della corda non sso, ma pu scorrere
verticalmente senza attrito su una guida verticale. Cominciamo a stabilire un
risultato di unicit, poi aronteremo la risoluzione del problema.
Energia e risultati di unicit
Calcoliamo lenergia meccanica totale della corda al tempo t nelle ipotesi precedenti.
135
1
2
u2t dm =
1
2
L
2
0 ut dx:
2
0 ut
2
0 ux
dx:
(3.22)
( 0 ut utt +
0 ux uxt ) dx:
L
0 uxx ut dx
0 uxx ) ut dx
( 0 f ) ut dx
(3.23)
1
2
1
2
L
2
0 ut
(x; 0) +
2
0 ux
(x; 0) dx
2
0 v0
(x) +
(u0 )x (x) dx = 0;
L
2
0 ut
2
0 ux
dx = 0:
137
Sostituendo
n x
L
n 2
:
L
nellequazione in t si ha
2
n
L
T 00 (t) =
c2 T (t)
e quindi
n ct
L
Tn (t) = an cos
+ bn sin
n ct
L
un (x; t) = sin
n ct
L
an cos
+ bn sin
n ct
L
1
X
n=1
sin
n x
L
an cos
n ct
L
n ct
L
+ bn sin
(3.25)
1
X
an sin
n=1
n x
L
ossia i coe cienti an devono essere quelli che danno lo sviluppo di Fourier in
serie di soli seni della funzione u0 sullintervallo [0; L], ossia (come gi visto nel
caso del calore)
Z
2 L
n y
an =
u0 (y) sin
dy:
(3.26)
L 0
L
Per imporre la condizione iniziale sulla derivata ut calcoliamo prima (derivando formalmente termine a termine la serie)
1
@u (x; t) X
n x
=
sin
@t
L
n=1
1
X
n=1
sin
n x
L
@
an cos
@t
an
n ct
L
n c
sin
L
138
+ bn sin
n ct
L
n ct
L
+ bn
n c
cos
L
n ct
L
quindi
1
n c
n x
@u (x; 0) X
=
bn
sin
= v0 (x)
@t
L
L
n=1
quindi lultima serie scritta devessere lo sviluppo in serie di soli seni del dato
v0 (x) ; da cui
Z
2 L
n y
n c
=
v0 (y) sin
dy;
bn
L
L 0
L
e in denitiva
bn =
2
n c
v0 (y) sin
n y
dy:
L
(3.27)
n=1
Questo, in base ai risultati sulla velocit a zero dei coe cienti di Fourier discussi
nel 3.5.2 (Teorema 1.133), si traduce nelle seguenti richieste sui dati iniziali:
u0 2 C 3 (0; L) ; con u0 (0) = u0 (L), u00 (0) = u00 (L), u000 (0) = u000 (L);
v0 2 C 2 (0; L) ; con v0 (0) = v0 (L), v00 (0) = v00 (L).
Si osservi che i coe cienti bn sono i coe cienti di Fourier di v0 divisi per
n; questa la ragione per cui le richieste su v0 sono meno forti (di un grado di
derivabilit) rispetto a quelle per u0 .
Sotto queste ipotesi in particolare le serie che assegnano sia u che ut sono
uniformemente convergenti per t 0, quindi le condizioni iniziali sono assunte
con continuit.
Lanalisi precedente mostra che, a dierenza dellequazione del calore e di
Laplace, lequazione delle onde non regolarizzante: la soluzione per t > 0 non
diventa automaticamente molto regolare (allinterno del dominio cilindrico) indipendentemente dalla regolarit dei dati iniziali (come accadeva per lequazione
del calore o -sostituendo dato iniziale con dato al bordo- per lequazione
di Laplace). Questo si pu interpretare dicendo che lequazione non ci regala
139
nulla: se vogliamo che sia C 2 per t > 0; dovr essere C 2 anche per t = 0; il che
signica che le ipotesi minime sotto cui possiamo sperare ci sia soluzione sono:
u0 2 C 2 (0; L) e v0 2 C 1 (0; L) (perch v0 una derivata di u). Rispetto
a queste ipotesi, quelle che abbiamo dovuto fare sono pi pesanti, richiedendo
sostanzialmente un grado di derivabilit in pi rispetto a ci che ci si poteva aspettare. Evidentemente la strada degli sviluppi di Fourier non quella migliore
per ottenere sotto ipotesi minime un risultato di esistenza per il problema di
Cauchy-Dirichlet. Ecomunque signicativo il fatto che il procedimento precedente, sia pur sotto ipotesi un po forti, si possa rendere totalmente rigoroso.
Abbiamo infatti dimostrato il seguente
Teorema 3.35 Supponiamo assegnate le funzioni u0 ; v0 soddisfacenti le condizioni:
u0 2 C 3 (0; L) ; con u0 (0) = u0 (L), u00 (0) = u00 (L), u000 (0) = u000 (L);
v0 2 C 2 (0; L) ; con v0 (0) = v0 (L), v00 (0) = v00 (L).
Allora esiste una e una sola u (x; t) 2 C 2 ([0; L] [0; +1)) soluzione del
problema (3.24).
Discussione delle propriet della soluzioni stazionarie
Ci interessa ora esaminare le propriet delle singole funzioni un (x; t). Ognuna
di esse rappresenta un possibile moto di vibrazione della corda, particolarmente
semplice, detta vibrazione stazionaria: ogni punto della corda descrive un moto
periodico (nel tempo) di tipo armonico, avente
pulsazione
n c
L
periodo
2L
nc
frequenza
c
n 2L
2
do2
3
sol2
4
do3
5
mi3
6
sol3
7
sib3
8
do4
n x
L
quindi ha la stessa forma di questo graco: la corda vibra su e gi mantenendo immobili in ogni istante i punti in cui un (x; 0) = 0, cio i due estremi,
pi (n 1) nodi interni. Ad esempio, per n = 3 le vibrazioni hanno la forma:
con due nodi interni, oltre ai due estremi ssati. In generale, un ha (n 1) nodi
interni, e (n + 1) nodi complessivi (considerando anche gli estremi).
Come vedremo pi avanti, alcune caratteristiche siche del moto della corda
vibrante si ritrovano per le membrane vibranti (cio in dimensione due) mentre
altre sono dierenti.
Esercizio 3.36 Si risolva, analogamente a quanto fatto per la corda vibrante
ssata agli estremi, il caso della corda che vibra soggetta ad attrito:
8
utt c2 uxx + aut = 0 per 0 < x < L; t > 0
>
>
<
u (0; t) = u (L; t) = 0 per t > 0
u (x; 0) = u0 (x)
per 0 < x < L
>
>
:
ut (x; 0) = 0
per 0 < x < L:
per qualche a > 0 (costante, per semplicit; abbiamo anche supposto, per semplicit, la velocit iniziale nulla). Ci aspettiamo vibrazioni smorzate nel tempo.
Per la trattazione, v. [Weinberger] pp.112-4.
141
3.3.2
Consideriamo ora lequazione della corda vibrante su tutto R, ossia una corda
vibrante illimitata. E ovviamente unidealizzazione matematica, ma interessante perch il problema viene da un certo punto di vista semplicato, permettendo di determinare direttamente lintegrale generale dellequazione (cosa
abbastanza unica, tra le equazioni a derivate parziali) e imporre solo dopo le condizioni iniziali; il tutto, anzi, si riesce a fare anche per lequazione non omogenea
(cio in presenza di una forza esterna di carico che agisce sulla corda), caso che
nora non avevamo trattato. La formula trovata, dovuta a DAlembert, intorno
al 1750, mette in evidenza alcune caratteristiche importanti dellequazione della
corda vibrante (e pi in generale, dellequazione delle onde anche in dimensione
maggiore) che la soluzione per separazione di variabili nascondeva un po. Il
problema quindi:
8
< utt c2 uxx = f per x 2 R; t > 0
u (x; 0) = u0 (x) per x 2 R
(3.28)
:
ut (x; 0) = v0 (x) per x 2 R:
La formula di DAlembert per lequazione omogenea.
sizione del problema di Cauchy-Dirichlet
Trattiamo prima il caso omogeneo:
Buona po-
c2 uxx = 0
utt
@
+u
@x
@
+u
@t
+u
2u
+u
):
4u
Di conseguenza:
utt
c2 uxx = c2 (u
2u
+u
142
c2 (u
+ 2u
+u
)=
si scrive:
= 0:
@u
@
@u
@
=0
soltanto:
@u
= f1 ( )
@
con f1 funzione arbitraria. Integrando rispetto a
si trova:
u = f ( ) + g( )
dove f ( ) una primitiva di f1 ( ) (perci, essendo f1 arbitraria, una funzione
arbitraria) e g( ) la costante di integrazione, che non dipende da , perci
funzione (arbitraria) di . Sostituendo inne ad ; le loro espressioni in
funzione di x; t si trova:
u(x; t) = f (x
f 0 (x) =
v0 (x)
c
v0 (x)
u00 (x) +
c
u00 (x)
143
1
2
1
g (x) =
2
f (x) =
u0 (x)
e quindi
u(x; t) = f (x
=
=
1
2
1
(u0 (x + ct) + u0 (x
2
ct
v0 (s) ds + c1 +
ct)) +
1
2c
1
2
u0 (x + ct) +
x+ct
1
c
x+ct
v0 (s) ds + c2
v0 (s) ds + c:
x ct
(3.29)
y2R
y2R
144
come si calcolano le derivate prime della funzione integrale che compare in (3.29):
Z x+ct
@
v0 (s) ds = v0 (x + ct) v0 (x ct)
@x
x ct
Z x+ct
@
v0 (s) ds = cv0 (x + ct) + cv0 (x ct) :
@t
x ct
Che questa u soddis lequazione dierenziale e le condizioni iniziali si pu
vericare, ma segue dal procedimento stesso con cui labbiamo determinata,
cos come dal procedimento seguito segue lunicit della soluzione. Quanto alla
stima di dipendenza continua, dalla (3.29) possiamo maggiorare:
Z x+ct
1
1
(ju0 (x + ct)j + ju0 (x ct)j) +
jv0 (s)j ds
ju(x; t)j
2
2c x ct
1
1
2 max ju0 j +
max jv0 j 2ct
R
2
2c R
= max ju0 j + t max jv0 j
R
c2 uxx = f;
(3.30)
u(x; t) =
F (s; ) ds d :
)
max
x2R;t2[0;T ]
ju (x; t)j
y2R
145
max
s2R; 2[0;T ]
jF (s; )j
@2
@t2
1
2c
x+c(t
F (s; ) ds d
x c(t
x+c(t
x c(t
)
)
1
2c
=
3.4
=c
1
2c
F (s; ) ds d
)
= 2cF (x; t)
Z t
+
(cF (x + c (t
Z
@F
(x + c (t
@x
x+c(t
x c(t
) ; ) + cF (x
x+c(T
x c(T
); )
@F
(x
@x
)
)
c (t
jF (s; )j ds d
)
max
) s2R; 2[0;T ]
) ; )) d
c (t
); ) d
jF (s; )j ds d
1
max jF (s; )j 2cT 2 = T 2
max jF (s; )j
2c s2R; 2[0;T ]
s2R; 2[0;T ]
146
Anche in questo caso si pu calcolare lenergia meccanica totale del sistema, che
proporzionale a:
Z
1
2
E (t) =
u2t + c2 jruj dx:
2
Apriamo una parentesi. Si potrebbe obiettare: non abbiamo neppure precisato se stiamo studiando lequazione pensando a una membrana vibrante
(n = 2), a onde sonore nellaria (n = 3) o a un altro fenomeno: come possiamo aermare che lenergia del sistema data da questa espressione? Di
quale sistema sico si parla? In realt, come vedremo in seguito, dal punto di
vista del rigore del ragionamento che seguir, questo non ha alcuna importanza: E (t) semplicemente una funzione matematica, lavorando sulla quale con
opportuni passaggi dimostreremo un risultato di unicit per i problemi iniziali e
al contorno per lequazione delle onde. Eistruttivo per il fatto che lintuizione
sica di quale sia una quantit rilevante per il problema in esame (in almeno
qualcuna delle possibili interpretazioni siche) suggerisce quale sia la funzione
matematica su cui lavorare.
Calcoliamo ora la derivata rispetto al tempo
Z
0
E (t) =
ut utt + c2 ru rut dx =
applicando la prima identit di Green al secondo integrale
Z
Z
Z
@u
ut dS
=
ut utt dx c2
( u) ut dx + c2
@ @
Z
Z
@u
=
ut f dx + c2
ut dS:
@ @
Possiamo ora provare il seguente:
Teorema 3.39 Consideriamo un problema di Cauchy-Dirichlet o NeumannDirichlet per lequazione (3.31) su un dominio QT =
(0; T ) con
Rn
su cientemente regolare da potervi applicare il teorema della divergenza. La
soluzione regolare di tale problema, se esiste, unica.
Dimostrazione. Come al solito, si tratta di provare che la soluzione di un
analogo problema con termine noto f , condizioni iniziali u (x; 0) ; ut (x; 0) e
condizioni al contorno tutte nulle, identicamente nulla. Partiamo dallidentit
Z
Z
@u
E 0 (t) =
ut f dx + c2
ut dS = 0
@ @
147
Ci occuperemo in seguito, un po alla volta, di vari problemi ai limiti per lequazione delle onde in dimensione spaziale 2 o 3. Vediamo adesso un solo caso particolare, perch come vedremo la sua risoluzione si riconduce a quella
dellequazione della corda vibrante illimitata, che abbiamo appena studiato.
Cerchiamo di determinare le onde sferiche, cio le soluzioni dellequazione
delle onde in 3 dimensioni spaziali, in tutto lo spazio, aventi simmetria radiale.
Per mettere meglio in evidenza la particolarit del caso tridimensionale, iniziamo
il nostro discorso in dimensione spaziale n qualsiasi. Enoto che se u (x) = f (jxj)
una funzione radiale,
u (x) = f 00 ( ) +
(n
1)
f0 ( ) ;
c2 w
(n
1)
=0
che si pu riscrivere
2
wtt
c2
+ (n
1) w
=0
e, osservando che
( w)
= ( w + w) = w
+ 2w ;
c2 ( w)
=0
f ( + ct) + g (
148
ct)
(3.32)
ct)
! 0:
f ( + ct) + f (
ct)
3.5
f ( + ct) + f (
ct)
! 2f 0 (ct) :
!0
2f (ct)
! 1:
In altre parole, il dato al contorno assegnato sul bordo del rettangolo diverso
da zero solo su uno dei 4 lati (per semplicit).
Suggerimento: cercare soluzioni a variabili separate u (x; y) = X (x) Y (y)
coi metodi visti sopra. Il problema agli autovalori quello nella Y (y) ; che deve
annullarsi a entrambi gli estremi. Scrivere la formula risolutiva nel modo pi
semplice e compatto. Si trova:
u (x; y) =
1
X
bn
n=1
bn =
2
B
Sh [n (A x)]
n y
sin
, con
Sh (n A)
B
f (s) sin
n s
ds:
B
per qualche
T0
X 00 + 2X 0
=
=
T
X
costante. Si deve avere quindi:
X 00 (x) + 2X 0 (x) = X (x) per x 2 (0; L)
X (0) = X (L) = 0
T 0 (t) = T (t) per t > 0:
Risolviamo:
X 00 + 2X 0
X = 0 in (0; L)
X (0) = X (L) = 0
che porta:
+ 1 < 0;
x
X (x) = e
p
j1 + jx
sin
con
p
j1 + jL = n
e quindi
un (x; t) = cn e
( nL )
n
L
i
+1 t
sin
n
x :
L
1
X
n=1
cn e
( nL )
151
i
+1 t
sin
n
x
L
3 x
L
sin
sin
: A nch sia:
3 x
L
1
X
cn e
n
x
L
sin
n=1
si dovr avere:
c3 = 2; cn = 0 per n 6= 3;
e in denitiva la soluzione cercata :
h
( 3L )
u (x; t) = 2e
i
+1 t
sin
3
x :
L
X 00
=1
X
= cost.
n2
; n = 1; 2; 3; :::
Quindi si ha:
Y 00 = 1 + n2
Yn (y) = an e
1+n2
2y
+ bn e
1+n2
2y
1
X
n=1
cn
Sh
1 + n2 2 (1 y)
p
sin (n x)
Sh 1 + n2 2
152
4
4.1
4.1.1
+1
X
n= 1
con
1
fb(n) =
T
fb(n) ein!x
T =2
f (y) e
in!y
dy e ! =
T =2
2
:
T
T =2
f (y) e
T =2
i y
dy ei x ;
+1
X
!g (n!) :
n= 1
3 0 v.
153
1
2
f (y) e
i y
dy ei x d :
con
di f .
y=
Pn
j=1 j yj .
2 Rn ,
154
g (y) dy =
Rn
g1 (y) dy + i
Rn
Se f 2 L1 (Rn ),
f (y) e
2 i y
g2 (y) dy:
Rn
= jf (y)j 2 L1 (Rn )
2 Rn .
Rn
F : L1 (Rn ) ! C 0 (Rn )
F : f 7! fb
lineare continuo.
ii) se anche g 2 L1 (Rn ) allora
\
(f
g) = fb gb:
=(
1;
2 ; :::;
@ fb = F (( 2 ix) f ) :
n)
con
2 N, j j =
n
x = x1 1 x2 2 :::xa
n
@ f =
@j jf
n
@x1 1 @x2 2 :::@xa
n
155
+ ::: +
n;
con
x
;
"
Rn
2 Rn ssato si ha:
F f (x) e2
"
"
ix
( )
( ):
fbg:
( ) = fb(
2 i y
jf (y)j 2 L1 (Rn ) ,
156
C 0 (Rn )
Rn
Rn
(y+z)
dy dz
f (y) e
2 i y
Rn
dy
= fb( ) gb ( ) :
= F (( 2 ix) f ) ( ) ;
2 i y
j j
= (2 )
jf (y) y j ;
Rn
157
zero allinnito,
=
Rn
=2 i
y0
1
0
2 i
y0
f (y) @y1 e
2 i
1 y1
dy1 dy 0
Rn
2 i
2 i 1 f (y) e
2 i
1 y1
dy1 dy 0
2 i y
f (y) e
Rn
dy = (2 i 1 ) fb( ) :
[) ( )
(rf
2 j j
Sia ora f 2 L1 (Rn ) qualsiasi. Esiste una successione ffk gk=1 di funzioni
C (Rn ), ognuna nulla fuori da un insieme limitato (quindi per le quali @xj fk 2
L1 (Rn ) e pertanto si pu applicare la conclusione precedente), che approssima
f in norma L1 ; cio tali che33
1
kf
fk kL1 ! 0 per k ! 1.
fbk
C 0 (Rn )
kf
fk kL1 (Rn ) ! 0:
fbk0
C 0 (Rn )
< ":
158
Fissata questa fbk0 , che sappiamo tendere a zero allinnito (per la prima parte
della dimostrazione), esiste R tale che per j j > R fbk0 ( ) < ". Ma allora per
j j > R si avr
fb( )
fbk0 ( ) + fb fbk0 ( ) < 2"
e questo dimostra che fb( ) ! 0 per j j ! 1.
vi) Calcoliamo
Z
d
") ( ) =
(f
f ("y) e
2 i y
dy
Rn
"
( ):
Rn
Rn
che convergente perch f; g 2 L1 (Rn ). Perci i due integrali sono uguali tra
loro.
viii) Per ogni 2 Rn ssato si ha:
Z
F f (x) e2 ix ( ) =
f (y) e2 iy e 2 iy dy
Rn
Z
=
f (y) e 2 iy ( ) dy
Rn
= fb(
jxj
con x 2 R.
fb( ) =
jyj
2 i y
dy:
per le simmetrie
=2
jyj
sin (2
y) dy
+1
y
cos (2
y) dy
2
:
1 + 4 2 y2
y(1+2 i )
2 i y
+1
ey(1 2 i )
(1 + 2 i ) 0
(1 2 i )
1
1
2
=
+
=
:
1+2 i
1 2 i
1+4 2 2
e
dy
ajxj
Si ha:
ajxj ( ) =
e\
2
1+4
2 2
1
a
( )=
a
2
1+4
2a
a2 + 4
2 2
x2
per x 2 R.
2xe
x2
2xf (x) :
160
fb ( ) =
0
1
fb ( )
2 i
fb( ) ;
con
c = fb(0) =
Quindi
2 2
x2
dx =
fb( ) =
2 2
F e (
ax)
( )=
2 2
( )=
2 2
jxj2
, con x 2 Rn .
Usando le propriet degli esponenziali, lintegrale multidimensionale si fattorizza in e etti nel prodotto di n integrali unidimensionali: scriviamo
Z
2
fb( ) =
e jxj e 2 ix dx
n
ZR
2
2
2
=
e x1 e x2 :::e xn e 2 ix1 1 e 2 ix1 1 :::e 2 ix1 1 dx1 dx2 :::dxn
Rn
Z
Z
Z
2
x21
2 ix1 1
x22
2 ix2 2
=
e
e
dx1
e
e
dx2 :::
e xn e 2 ixn n dxn
R
2 2
1
2 2
2
:::
2 2
2
n=2
In denitiva:
jxj2 ( ) =
e\
n=2
e
161
j j2
per x; 2 Rn :
j j2
In particolare, per a =
n=2
j j2
n=2
p
2 j j2
a
si ha:
jxj2 ( ) = e
e\
j j2
Approssimazioni dellidentit
Apriamo ora una parentesi che ci servir sia a dimostrare la formula di inversione
della trasformata di Fourier, sia in seguito a trattare i problemi ai limiti per
equazioni a derivate parziali.
Denizione 4.11 (Approssimazione dellidentit) Sia
funzione non negativa e integrabile, con
Z
(x) dx = 1
: Rn ! R una
Rn
(x) = "
" g">0
(x=") :
si dice approssimazione dellidentit.
Anche se questo non esplicitamente richiesto dalla denizione, intuitivamente conviene immaginare come una funzione con un graco a campana,
avente il suo unico massimo in x = 0 e tendente a zero per jxj ! 0: Ad esempio
(v. Esempio 4.10):
2
(x) = e jxj per x 2 Rn ;
oppure
(x) =
c
per x 2 R
1 + x2
162
con c > 0 scelto in modo da avere integrale 1 (in eetti, c = 1= ). Questi sono
due esempi che ci serviranno in seguito. Le corrispondenti famiglie di funzioni
" si chiamano, rispettivamente, nuclei di Gauss e nuclei di Poisson.
Osserviamo che
Z
Z
" n (x=") dx
" (x) dx =
Rn
Rn
(y) dy = 1:
Rn
Quindi le funzioni " hanno tutte lo stesso integrale ma, se una funzione a
campana come negli esempi fatti, le " saranno sempre pi concentrate:
Graci di
"
(x) per
(x) = e
x2
Vale il seguente:
Teorema 4.12 Sia f " g">0 unapprossimazione dellidentit e consideriamo,
per una certa f : Rn ! R, la convoluzione
Z
Z
x y
( " f ) (x) =
y) f (y) dy =
" n
f (y) dy:
" (x
"
n
n
R
R
Allora:
1. Se f 2 Lp (Rn ) per qualche p 2 [1; 1), allora " f 2 Lp (Rn ) per ogni
">0e
p
n
+
" f ! f in L (R ) , per " ! 0 .
2. Se f limitata e uniformemente continua, allora
"
"
f continua e
y
"
ha un picco in y = x ed trascurabile appena ci si sposta un poda x. Quindi ci aspettiamo che la convoluzione " f sia sempre pi vicina alla f di
partenza, come il teorema aerma in modo preciso. In questo senso " si dice
approssimazione dellidentit.
4.1.3
Il teorema di inversione
In simboli:
d
f (x) = fb ( x) per q.o.x 2 Rn .
Rn
164
(4.1)
Rn
(Abbiamo introdotto la gaussiana e t j j che smussa allinnito lesponenziale complesso in ). Per t ! 0 lintegranda tende a fb( ) e2 i x ; daltro
canto
2
2
fb( ) 2 L1 (Rn ) ;
fb( ) e2 i x e t j j
quindi per il teorema di Lebesgue, per t ! 0
Z
d
F (t; x) !
fb( ) e2 i x d = fb ( x)
Rn
Rn
f ( ) b( ) d
x) d
Rn
2
2
2
2
2
d
t) = g
ponendo g ( ) = e j j , quindi e t j j = g t ( ) e F e t j j = (g
bt
(per il punto vi) del teorema 4.4), e ricordando che (v. Esempio 4.10), gb ( ) =
2
e j j = g( )
Z
Z
=
f ( ) gt (
x) d =
f ( ) gt (x
)d :
Rn
Rn
Come osservato nel paragrafo precedente, la famiglia di funzioni gt unapprossimazione dellidentit. Perci, per il teorema 4.12, si ha
Z
f ( ) gt (x
) d ! f (x) in L1 (Rn ) , per t ! 0;
Rn
e la tesi dimostrata.
165
Esempio 4.14 Dalle trasformate di Fourier che abbiamo calcolato segue anche
la seguente, per il teorema di inversione:
F
a2
2a
+ 4 2 x2
( )=e
aj j
1
1 + x2
( )= e
2 j j
f (x) =
i x
d = 0.
Rn
Il corollario ci garantisce che la trasformata di Fourier cattura tutta linformazione presente nella funzione: due funzioni diverse non possono avere la
stessa trasformata. Utilizzeremo questo principio nella risoluzione di problemi
dierenziali: trasformando il problema, otterremo che la trasformata u
b della
soluzione uguale a una certa gb, e ne dedurremo che u = g.
166
+1
2 ix
dx =
(1 + 2 i )
1
=
1+4
2 2
2
1+4
Notiamo che
2 2
x(1+2 i )
1+4
=
0
1
1+2 i
i:
fb( ) = p
+1
2 2
2
= L1 (Rn ) ;
4.2
4.2.1
sicamente, ad esempio, potremmo richiedere che il potenziale u sia nullo allinnito; matematicamente, il modo operativamente pi comodo per richiedere
una sorta di annullamento allinnito sar chiedere che la soluzione sia L1 (S).
Supponiamo quindi che u 2 L1 (S) risolva il problema e applichiamo la
trasformata di Fourier rispetto alla sola variabile x:
Ponendo
u
b ( ; y) = F [u ( ; y)] ( )
avremo
Lequazione
(2 i ) u
b+u
byy = 0 per 2 R; y > 0
u
b ( ; 0) = fb( ) per 2 R.
u
byy = 4
2 2
u
b
si pu vedere come unequazione dierenziale ordinaria (nella variabile y) contenente il parametro . Integrale generale:
u
b ( ; y) = c1 ( ) e2
+ c2 ( ) e
per
Come funzione di , u
b ( ; y) deve tendere a zero per
Lunica possibilit perch questo accada che sia
c1 ( ) = 0 per
c2 ( ) = 0 per
2 R; y > 0:
!
>0e
< 0;
cio
u
b ( ; y) = c ( ) e
2 j jy
per
2 R; y > 0;
u
b ( ; 0) = fb( )
c ( ) = fb( )
u
b ( ; y) = fb( ) e
2 j jy
Ora la strategia :
1. Cercare k (x; y) tale che
e
2 j jy
= F [k ( ; y)] ( ) ;
2. Riscrivere quindi
u
b ( ; y) = fb( ) F [k ( ; y)] ( )
scrivere
u
b ( ; y) = F [f
k ( ; y)] ( )
F e
( )=
2a
a2 + 4
2 2
a2
2a
+ 4 2 x2
( )=e
da cui
e
2 j jy
=F
4 y
+4
2 y2
aj j
2 x2
( )
perci
k (x; y) =
1
y2
y
+ x2
2f
C
(z)A dz:
La funzione
2t
g (t) =
(y 2
+ t2 )
limitata, quindi
2 (x
y2
z)
2
+ (x
2f
jf (z)j 2 L1 (R)
(z)
z)
y
+ x2
1
1 + x2
11
1
" (x) =
" 1+ x
(x) =
"
"
"2 + x2
1
:
1 + x2
y
y 2 + x2
@2 +
@ +
170
1
2
2
@##
sin #
=0
f kC 0 (R) ! 0 per y ! 0+ :
kf kL1 (R) :
x2
f (x) =
1 se jxj < 1
;
0 altrimenti
171
f (x) =
eppure non la funzione identicamente nulla. Questa funzione per y > 0 ssato
non integrabile in x e il procedimento risolutivo non la trova. Daltro canto,
come notato allinizio della discussione di questo problema, trovandoci su un
dominio illimitato, qualche condizione allinnito dovremo porla per completare
le condizioni al contorno.
4.2.2
(4.3)
Lequazione
(2 i ) u
b+u
byy = 0 per 2 R; y > 0
u
b ( ; 0) = fb( ) per 2 R.
u
byy = 4
2 2
u
b
si pu vedere come unequazione dierenziale ordinaria (nella variabile y) contenente il parametro che ora sta in Rn . Si trova ancora
u
b ( ; y) = c ( ) e
2 j jy
172
per
2 Rn ; y > 0;
c ( ) = fb( )
u
b ( ; y) = fb( ) e
2 j jy
dove
(z) =
R +1
0
tz
((n + 1) =2)
(n+1)=2
y
2
y 2 + jxj
(4.4)
(n+1)=2
2 j jy
f ) (x) ;
per f 2 L1 (Rn ).
4.2.3
(4.5)
e, supponendo che la soluzione u (t; x) che cerchiamo sia, per ogni t ssato,
integrabile in Rn , applichiamo la trasformata di Fourier in Rn allequazione.
Ponendo
u
b ( ; t) = F (u ( ; t)) ( )
3 6 Per
(k
z intero,
(z) = (z
1)!
173
((n + 1) =2) =
possiamo calcolare
([
u) ( ; t) =
n
X
n
X
2
@\
xi xi u ( ; t) =
j=1
j=1
j j u
b ( ; t) :
(2 i i ) u
b ( ; t)
perci
u
bt ( ; t) + D4
j j u
b ( ; t) = 0
4D
j j2 t
(4.6)
ajxj2 ( ) =
e\
2 j j2
a
j j t=
ricaviamo
a=
j j
a
1
4Dt
e quindi
\
jxj2
n=2
e 4Dt ( ) = (4D t)
e
e
F
1
n=2
(4D t)
jxj2
4Dt
174
( )=e
4D
4D
j j2 t
j j2 t
(4.7)
e
n=2
(4D t)
jxj2
4Dt
k ( ; t)) ( )
1
n=2
(4D t)
k ( ; t)) (x) ;
jx yj2
4Dt
Rn
(4.8)
= k (x; t)
(k (x; t)) =
n=2
(4D t)
4Dt
175
g0 ( )
g( ) = e
4Dt
2
g0 ( ) =
2Dt
4Dt
00
g ( )=e
1
2Dt
4Dt
2Dt
si ha
2
2Dt
2
= k (x; t)
1
2Dt
1
2Dt
n
2Dt
4D2 t2
e quindi
(@t
D ) (k (x; t))
= k (x; t)
2
n
+
2t 4Dt2
n
2Dt
4D2 t2
=0
1
n=2
(4D )
jxj2
4D
1
n=2
(4D )
jxj2
4D
dx = F
1
n=2
(4D )
t>0
jxj2
4D
4D
j j2
(0) = e
4D
j j2
(0) = 1;
176
Teorema 4.23 Per ogni f 2 L1 (Rn ), la u assegnata da (4.8) assume la condizione iniziale in senso L1 , ossia
ku ( ; t)
kf kL1 (Rn ) :
t>0
"
f continua e
f kC 0 (Rn ) ! 0 per t ! 0+
(convergenza uniforme).
Vale in tal caso il principio di massimo
sup
x2Rn ;t>0
ju (x; t)j
max jf (x)j :
x2Rn
1
1=2
(4 t)
177
e
1
(x
y)2
4t
dy;
(4.9)
j j u
b ( ; t) = Fb ( ; t)
2
che un problema di Cauchy per unequazione dierenziale ordinaria del primordine in t, lineare e non omogenea. Si integra cos:
Z t
2
2
4D 2 j j2 t
u
b ( ; t) = e
c( ) +
e4D j j Fb ( ; ) d
0
4D
j j2 (t
Fb ( ; ) d :
178
o, esplicitamente:
u (x; t) =
1
n=2
(4D (t
))
jx yj2
4D(t
)
F (y; ) dy d :
Rn
(4.10)
MT
T
Z
(4D (t
= MT
n=2
))
Rn
jx yj2
4D(t
)
dy d
1d = tMT
da cui
sup ju (x; t)j ! 0 per t ! 0+ :
x2Rn
179
4.2.4
ux = eax+bt faw + wx g
Dwxx + w b
+ wx (v
b
v
=0
cio
a=
v
2D
b = Da2
av
e in denitiva
v
u (x; t) = e 2D x e
=
v2
4D +
v2
4D
t
w (x; t)
con
wt
Dwxx = 0
2Da) = 0:
jx yj2
4Dt
f (y) e
v
2D y
dy
Rn
e
u (x; t) = e
=e
v2
4D +
v2
4D +
Z
jx yj2
v
1
e 4Dt f (y) e 2D y dy
4D t Rn
Z
jx yj2
v
1
p
e 4Dt e 2D (x y) f (y) dy:
4D t Rn
v
e 2D x p
Troviamo quindi una formula di rappresentazione con una struttura simile alla
precedente, dove per:
il nucleo del calore che compare nellintegrale sostituito da uno modicato
che tiene conto del trasporto;
il tutto moltiplicato per un esponenziale decrescente nel tempo, che modellizza la reazione chimica (o decomposizione) che nel tempo tende a consumare
la sostanza.
4.2.5
2
j j u
b ( ) = fb( )
u
b( ) =
fb( )
2
2:
j j
1
4
j j
181
=b
k( )
per poi ottenere una formula di rappresentazione della soluzione del tipo u =
f k, in quanto la funzione m ( ) discontinua nellorigine e quindi certamente non la trasformata di Fourier di una funzione L1 R3 . Dovremo invece
b
y = ) come
j j<L
e2
4
i
2
2d
j j
1
2
Z
2
e2 i
2 2
i j j cos
e2
j j cos
2i
i j j
i2
0
L
i j j cos
e2
e2
jzj
e 2
j j
2 2
sin d
sin d
!
i j j
sin (2 j j) d
j j
(t = 2 j j)
Z 2 Lj j
1
sin t
=
dt
2
2 j j 0
t
0
e utilizzando lintegrale generalizzato notevole (che si pu dimostrare con tecniche di variabile complessa)
Z R
sin t
lim
dt =
R!1 0
t
2
182
otteniamo
k ( ) = lim
L!1
1
2
j j
2 Lj j
sin t
1
dt =
2
t
2 j j
1
:
4 j j
(4.12)
troviamo una funzione che in x va a innito come 1= jx yj , quindi non integrabile. Perci la derivazione sotto il segno di integrale non giusticabile.
Per calcolare correttamente il laplaciano di u occorrer riscrivere opportunamente lintegrale. Notando che
Z
Z
f (y)
f (x y)
dy =
dy;
yj
4 jyj
R3 4 jx
R3
il secondo integrale pu essere derivato, portando le derivate sotto il segno di
integrale, scaricando la derivata sulla funzione f anzich sul nucleo 1= jyj.
183
Occorrer per richiedere che la f sia derivabile due volte. A questo punto per
il problema capire a cosa uguale
Z
f (x y)
u (x) =
dy:
4
jyj
3
R
Per questo ci vorr qualche altra astuzia...
Teorema 4.25 Per ogni f 2 C02 R3 (cio C 2 e nulle fuori da un insieme
limitato), la u denita da (4.12) C 2 R3 e soddisfa lequazione
u = f in
R3 .
Dimostrazione. Consideriamo
Z
Z
f (x y)
f (y)
dy =
dy
u (x) =
yj
4 jyj
R3
R3 4 jx
e calcoliamo
u (x) =
=
ZR
jyj>r
f (x y)
dy
4 jyj
Z
f (x y)
dy +
4 jyj
jyj
f (x y)
dy
4 jyj
Ir (x) + Jr (x)
Ora
Ir1 (x) =
1
j@Br (x)j
@Br (x)
184
mentre
Ir2 (x)
1
sup jrf j j@Br (x)j = r sup jrf j ! 0 per r ! 0;
4 r
jyj r
sup j f j
f (x y)
dy
4 jyj
jyj r
1
dy
4 jyj
in coordinate sferiche
= sup j f j 4
Quindi
4.2.6
1
4
d = sup j f j
r2
! 0 per r ! 0:
2
u = f.
Lequazione delle onde nello spazio
u = @t wg + wh :
Il problema (4.14) si pu arontare con la trasformata di Fourier in R3 .
Trasformando lequazione e le condizioni iniziali si ha (analogamente al caso
dellequazione del calore nello spazio)
8
2
btt ( ; t) + 4 2 c2 j j u
b ( ; t) = 0
< u
u
b ( ; 0) = 0
:
u
bt ( ; 0) = fb( )
185
che si pu vedere come problema di Cauchy per unequazione dierenziale ordinaria in t (con come parametro), lineare del secondordine a coe cienti
costanti, omogenea. La soluzione :
sin (2 c j j t)
u
b ( ; t) = fb( )
:
2 cj j
Diversamente da quanto abbiamo fatto con lequazione di Laplace nel semipiano e lequazione del calore nello spazio, questa volta non si riesce a determinare
unespressione analitica semplice della funzione la cui trasformata di Fourier sia
sin (2 c j j t)
;
2 cj j
quindi non otterremo una formula di rappresentazione della soluzione con la
struttura
u ( ; t) = k ( ; t) f:
Scriviamo allora, applicando formalmente il teorema di inversione
Z
sin (2 c j j t) 2 i x
u (x; t) =
fb( )
e
d
2 cj j
3
R
L!1
R3
f (y)
j j<L
sin (2 c j j t) 2
e
2 cj j
i (x y)
dy:
con
=j je
(x
y) = jx
yj cos :
u (x; t) = lim
L!1
f (y)
c jx yj
R3
sin (2 c t) sin (2
jx
yj) d
dy:
L!1
= lim
L!1
+1
1
c
sin (2 c t)
f (y)
cr
Z +1
sin (2 c t) sin (2
sin (2
187
r)
r) d
sin d
f (y) sin d
!
d
r2 dr
rdr d :
f (y) sin d
d =
Z Z
1
r
f dS
@S(x;r)
r) g (r) dr d :
ossia
Z L
Z +1
1
sin (2 c t)
sin (2
c 0
0
1
2 ic
r) g (r) dr d =
sin (2 c t) gb ( ) d :
e inne
u (x; t) =
1 1
1
g (ct) =
2 ic 2i
4 c2 t
Z Z
f dS
@S(x;ct)
e dire che u (x; t) uguale t volte la media integrale di f sul bordo della sfera.
Tenendo conto anche della Proposizione 4.26 abbiamo il seguente risultato
preciso:
Teorema 4.27 (Formula di Kirchho) Per g 2 C 3 R3 e h 2 C 2 R3
assegnate, lunica soluzione del problema (4.13) assegnata dalla formula
!
Z Z
Z Z
1
1
u (x; t) = @t
gdS
+
hdS:
4 c2 t
4 c2 t
@S(x;ct)
@S(x;ct)
Non dimostriamo questo teorema (occorrerebbe provare che nelle ipotesi
enunciate la formula precedente si pu eettivamente derivare due volte e assegna la soluzione del problema di Cauchy), accontentandoci di commentare la
formula nale ottenuta.
Le onde tridimensionali si propagano secondo questa legge: il valore di u nel
punto x allistante t dipende solo dai valori dei dati iniziali g; h sulla supercie
della sfera di centro x e raggio ct. Questa supercie costituisce quindi il dominio
di dipendenza di u (x; t).
Ad esempio: una perturbazione puntiforme nei dati, concentrata nel punto
x0 allistante t = 0, sar visibile nel punto x solo allistante t0 = jx x0 j =c.
Questo signica che in tre dimensioni una sorgente puntiforme produce segnali
istantanei.
Per contro, abbiamo visto che per unonda unidimensionale la formula di
DAlembert d:
Z x+ct
1
1
v0 (s) ds;
u(x; t) = (u0 (x + ct) + u0 (x ct)) +
2
2c x ct
da cui leggiamo che il valore u (x; t) dipende dai valori che il dato v0 assume in
tutto lintervallo (x ct; x + ct); questo signica anche che una perturbazione
puntiforme nei dati, concentrata nel punto x0 allistante t = 0, sar visibile in
un punto x per ogni tempo t > jx x0 j =c. La propagazione ondosa in una
dimensione o in tre dimensioni ha quindi un comportamento ben diverso.
Non ci occuperemo qui dellequazione delle onde in dimensione spaziale due,
ma segnaliamo a titolo di confronto che dal punto di vista di cui stiamo discutendo il caso bidimensionale assomiglia a quello unidimensionale e non a quello
tridimensionale: il dominio di dipendenza di u (x; t) costituito in due variabili
dal cerchio pieno di centro x e raggio ct. In due variabili quindi (come in una)
una perturbazione istantanea produce unonda teoricamente perenne, mentre in
tre variabili ne produce una istantanea.
Si pensi al fenomeno di un sasso lanciato nellacqua, che possiamo vedere sia
dal punto di vista delle onde meccaniche approssimativamente bidimensionali
prodotte nellacqua (i cerchi nellacqua), sia delle onde sonore tridimensionali
(rumore): a fronte di un unico fenomeno approssimativamente istantaneo e
puntiforme del sasso che cade, leetto sonoro (tridimensionale) istantaneo
189
4.3
Il teorema limite centrale un risultato fondamentale del calcolo delle probabilit che in certo senso rende ragione dellimportanza e dellonnipresenza della
legge normale. Consideriamo una successione di variabili aleatorie X1 ; X2 ; :::; Xn ; :::
indipendenti, aventi tutte la medesima legge (ma non necessario a priori sapere
di quale legge si tratti), di valore atteso e varianza 2 nite. Consideriamo la
media campionaria delle prime n variabili,
n
Xn =
1X
Xi :
n i=1
Xn ' N
Invece che dire che due v.a. dipendenti entrambe da n hanno leggi simili per
n grande, si pu fare unaermazione pi precisa standardizzando la v.a. X n ,
cio considerando la v.a.
Xn
p
Sn =
= n
che, ancora per le propriet di media e varianza, avr valore atteso 0 e varianza
1, pur seguendo una legge eventualmente ignota. Tuttavia, per n tendente a
innito la legge di Sn tende alla legge normale standard. Arriviamo cos a un
enunciato preciso:
1
Teorema 4.28 Sia fXk gk=1 una successione di v.a. indipendenti e identicamente distribuite, aventi valore atteso
e varianza 2 nite. Deniamo la
successione di v.a.
n
Sn =
Xn
1X
p con X n =
Xi :
n i=1
= n
190
Allora se Z
P (Sn
t) ! P (Z
u2 =2
du
Dimostreremo questo teorema nel caso in cui le Xk sono v.a. continue, cio
dotate di una funzione densit fX con le propriet:
Z
fX : R ! [0; 1)
fX (u) du = 1
Z
P (Xk t) =
fX (u) du
1
(si ricordi che le Xk hanno tutte la stessa legge). La densit della Z normale
standard
2
1
(u) = p e u =2
2
e quello che eettivamente dimostreremo che la trasformata di Fourier della
densit di Sn tende alla trasformata di Fourier della densit di Z. Poich
la trasformata di Fourier individua univocamente funzione di partenza, questo
sostanzialmente implica la tesi.
Per seguire la dimostrazione occorre ricordare alcuni fatti di base che riguardano
le v.a. continue. Anzitutto il valore atteso di una v.a. continua X dato da
Z
EX =
ufX (u) du:
R
Si ha anche
E X2 =
u2 fX (u) du
il che signica che la trasformata di Fourier della densit di una v.a. continua
ha la seguente interpretazione:
Z
fX (u) e 2 iu du = E e 2 i X :
R
(t) = E eitX
191
fY :
Questo fatto segue da un analogo continuo del teorema delle probabilit totali.
Veniamo quindi alla
Dimostrazione del teorema limite centrale. Sappiamo che
F e
x2
1=2
2 2
( )=
perci
F
1
p e
2
x2 =2
1
1=2
( ) = p (2 ) e
2
2 2
=e
2 2
2 2
per n ! 1:
(4.15)
Scriviamo
Xn
p =
Sn =
= n
1
n
Pn
Xi
p
= n
i=1
1
n
Pn
(Xi
p
= n
i=1
Pn
(Xi
p
n
i=1
2 i aX
= F (fX ) (a ) ;
perci
Calcoliamo quindi
f(X2
)
)
) uguale a
::: f(Xn
( ) ::: fb(Xn
(4.16)
( )
( )
( ):
Daltro canto le Xi
sono identicamente distribuite, quindi hanno tutte la
stessa densit fX
e si ha:
F fPni=1 (Xi
( ) = fb(X
192
n
)
( )
fb(X
2 i x
Abbiamo
fb(X
)( )=
=1
Z
2
f(X
R
Z
1
2
(2 ix)
2
2 i x+
) (x) dx
2 i
+o
xf(X
2 2
x2 f(X
(x) dx + o
=1
(x) dx
f(X
(x) dx
2 i E (X
2 2
E (X
+o
) = EX
E (X
=0
2
= Var X =
Quindi
fb(X
fb(X
( )=1
2 2 2
=1
F (fSn ) ( ) =
+o
+o
n
+o
+o
n log 1 2
=e
+o
dove
n log 1
+o
193
+o
2 2
perci
1
+o
n
2
!e
2 2
che la (4.15).
Il passaggio in cui abbiamo inserito lo sviluppo rispetto a nellintegrale in
x un poformale, ma pu essere giusticato. Supponiamo ad esempio che per
3
la v.a. X sia nito anche E jXj (basterebbe supporre che sia nito E X 2 ).
Allora, scriviamo lo sviluppo di MacLaurin con resto secondo Lagrange per la
funzione
g( ) = e
2 i x
g( ) = 1
con
e
fb(X
2 i x+
2 (0; 1) ; dipendente da
1
2
(2 ix)
2
g 000 ( )
e x. Si ha:
3
1
2
3
= 1 2 i x + (2 ix) 2 +
( 2 i x) e 2
2
6
Z
Z
(
)
=
f
(x)
dx
2
i
xf(X ) (x) dx
)
(X
)
R
R
Z
3 Z
3
( 2 i x) e
2 2 2 x2 f(X ) (x) dx +
6
R
R
2 i x
2 i
f(X
(x) dx
dove
Z
( 2 i x) e
2 i
f(X
) (x) dx
4.4
(2 )
jxj f(X
(x) dx = c
( ) maggiorato da c
ed
Vogliamo ora mostrare come la trasformata di Fourier, che abbiamo nora calcolato per funzioni L1 (Rn ), si possa estendere allo spazio L2 (Rn ). Se, da una
parte, la denizione di trasformata di Fourier di una funzione L2 meno immediata rispetto alla trasformata di una funzione L1 (motivo per cui abbiamo
studiato prima la teoria L1 ), vedremo daltro canto che le propriet funzionali della trasformata di Fourier sono migliori sullo spazio L2 e questa teoria
permetter altre applicazioni interessanti e signicative.
4.4.1
f che abbia buone propriet da entrambi questi punti di vista (regolarit e velocit di convergenza a zero allinnito) avr quindi una trasformata con buone
2
jxj2
propriet da entrambi i punti di vista. Ad esempio, la gaussiana e
, innitamente derivabile e tendente a zero allinnito con velocit esponenziale, ha
per trasformata se stessa.
Deniamo una classe di funzioni S che abbia appunto buone propriet da
questi due punti di vista, in modo che la trasformata di Fourier di una di queste
funzioni sia ancora una funzione nella classe S.
Denizione 4.29 Si dice classe di Schwartz delle funzioni a decrescenza rapida
la classe S delle funzioni f : Rn ! R (o C) tali che f 2 C 1 (Rn ) e per ogni
intero k 0 e multiindice si abbia
k
jxj!1
Rn
195
L2 (Rn )
Dimostrazione. (i) Dal Teorema 4.4, punto (iii) sappiamo che: se per un intero
k 1 x f 2 L1 (Rn ) per ogni multiindice con j j k; allora fb 2 C k (Rn ) e
@ fb = F (( 2 ix) f ) :
In particolare, poich dal punto (v) dello stesso teorema sappiamo che la trasfor\
mata di Fourier di una funzione L1 tende a zero allinnito, abbiamo che (@
f ) ( ),
k b
b
e quindi (2 i ) f ( ), tende a zero allinnito. Perci limj j!1 j j f ( ) = 0.
Daltro canto @ fb = F (( 2 ix) f ) ; perci ponendo g (x) = ( 2 ix) f (x) si
ha che anche g 2 S e
k
k
j j @ fb( ) = j j gb ( ) ! 0 per j j ! 1
Rn
Rn
Rn
fb( )
g (x) e
2 i x dx
Rn
fb( ) gb ( ) d
Trasformata di Fourier su L2
Il fatto che la trasformata di Fourier trasformi S in se stesso conservando la norma L2 ; unito al fatto che S denso in L2 ; permette ora di denire la trasformata
di Fourier su L2 : Infatti:
196
fbh
L2 (Rn )
= (f\
fh )
k
L2 (Rn )
= kfk
fh kL2 (Rn ) ! 0
n o
fbk di Cauchy in
L2 ed essendo questo spazio completo, esiste g 2 L2 (Rn ) tale che fbk ! g in L2 .
Questa g per denizione la trasformata di Fourier di f . Si tratta di controllare
che, scegliendo una diversa successione ffk g convergente a f , il limite di fbk non
cambierebbe. Ma questo segue dal fatto che
perch ffk g convergendo a f in L2 di Cauchy. Dunque
fbk
fck
L2 (Rn )
= (f\
fk )
k
L2 (Rn )
= kfk
fk kL2 (Rn ) ! 0
dove
ffk g
fk ! f in L2 (Rn ) :
Rn
kf kL2 (Rn ) = fb
L2 (Rn )
Rn
c kf
gkL2 (Rn )
gkL2 (Rn ) ! 0
Rn
che vale, in base al Teorema 4.31 che vale per fk ; gk in quanto queste funzioni
stanno in S, passando al limite per k ! 1 si ha
Z
Z
fb( ) gb ( ) d
f (x) g (x) dx =
Rn
Rn
si trova
b
fk (x) = fbk ( x)
b
f (x) = fb( x) in L2 , ossia quasi ovunque.
198
b
F iniettiva perch se f 2 L2 tale che fb = 0 allora f (x) = fb( x) =
b
0 ( x) = 0:
F suriettiva perch data una g 2 L2 (Rn ), per trovare f 2 L2 (Rn ) tale
che fb = g basta porre f (x) = gb ( x), per cui si ha
fb(x) = gb\
( x) = g (x) :
fjxj<kg
(x)
199
x
:
1 + x2
Per
2 i Res
ze 2 i z
;i
1 + z2
2 i z
ze
=2 i
(i) = 2 i e
2z
2 ie
2 j j
2 ie
2 ie2
sgn (x) =
2 i z
(i) = 2 ie2 :
> 0 otteniamo
per > 0
per < 0
sin x
:
x
eix
1
fb( ) =
2i
e
2i
Z
ix
, perci
eix(1 2
x
dx
ix(1+2
200
dx
1
fI1 ( )
2i
I2 ( )g
<
1
2
>
1
2
(0) = i:
ottenendo ancora che lintegrale sul circuito zero e lintegrale sul grande cerchio
tende a zero. Ora lintegrale sul piccolo cerchio tende a
i Res (f (z) ; 0) = i
quindi per
>
1
2
si ha:
I1 ( ) =
201
i:
In denitiva,
I1 ( ) =
i per < 21
i per > 21
i per <
i per >
1
2
1
2
e in conclusione
1
fI1 ( )
fb( ) =
2i
cos che
8
< per
per
I2 ( )g =
:
per
1
2
1
2 <
< 21
>
per j j < 2
0 per j j > 2
fb( ) =
<
1
2
1
2i
1
2i
1
2i
( 2 ;2 )
f i ( i)g = 0
f i ( i)g =
f i
ig = 0
( ):
( a;a) (x)
a
2 ix
dx = 2
cos (2 x ) dx = 2
sin (2 x )
2
sin (2 a )
sin ( t)
:
t
202
kf kL2 (R)
1=2
2
jxf (x)j dx
x f (x) f (x)
dx:
(4.17)
h
i+1
2
1; perci x jf (x)j
= 0: Inoltre
g0 h
f (x) f (x)
1=2
fb( ) d
= f (x) f (x)+f (x) f (x) = f (x) f (x) +f (x) f (x) = 2 Re f (x) f (x) ;
perci
2
kf kL2 (R) =
2
2
Z
x Re f (x) f (x)
dx =
2 Re
xf (x) f (x) dx
xf (x) f (x) dx
1=2
2
jxf (x)j dx
0 2
f (x)
1=2
dx
(4.18)
kf kL2 (R)
1=2
2
jxf (x)j dx
203
(2 )
fb( ) d
1=2
da cui la tesi.
Diamo ora uninterpretazione della disuguaglianza (4.17). Consideriamo la
2
totalit delle funzioni f 2 S per cui si ha kf kL2 (R) = 1. Possiamo allora vedere
2
1=2
2
jxf (x)j dx
1=2
fb( ) d
kf
2
kL2 (R)
jxf (x)j dx =
2 x2
ZR
dx =
x
4
4 xe
2 x2
dx =
x
e
4
2 x2
+1
+
1
1
e
4
204
2 x2
1
dx =
4
fb ( ) =
2
2 2
e
Z
fb( ) d =
2 2 2
d =
1
=
4
1
4
1=2
1
4
1=2
1=2
cio uguale al primo membro. Questo signica che per la famiglia di gaussiane
la disuguaglianza diventa esattamente unuguaglianza, il che dimostra:
1) che la disuguaglianza ottenuta la migliore possibile, ossia la costante
non pu essere migliorata;
2) che le gaussiane sono curve ottimali dal punto di vista del miglior compromesso possibile tra concentrazione di f e concentrazione di fb:
@b
~
(t; ) =
@t
2m
@b
~
(t; ) =
2
@t
im
4
2
j j
b (t; )
2
j j b (t; ) =
205
ih
2
j j b (t; )
m
ih
m
j j2 t
b (t; ) = b (0; ) e
j j2 t
ih
m
il che implica
b (t; )
L2 (Rn )
b (0; )
L2 (Rn )
Questo fatto ha una ovvia interpretazione probabilistica: poich j (t; )j rappresenta, per t ssato, una densit di probabilit, necessario che per ogni
tempo t risulti k (t; )kL2 (Rn ) = 1: Il calcolo visto dimostra che lequazione di
Schrdinger conserva nel tempo la norma L2 (Rn ) delle soluzioni, per cui una
soluzione normalizzata allistante t = 0 in modo da avere norma L2 (Rn ) unitaria avr ad ogni tempo norma unitaria, come giusto che sia. Si osservi che
questo fatto dipende in modo cruciale dalla presenza dellunit immaginaria a
primo membro dellequazione di Schrdinger: per unequazione di diusione
@
=c
@t
con c costante reale si troverebbe
b (t; ) = b (0; ) e
cj j2 t
1
X
n= 1
n
sinc (2at
2a
n) per ogni t 2 R
(4.19)
sin ( t)
:
t
Osservazione 4.40 Si osservi che se x (t) non fosse una funzione continua,
la (4.19) avrebbe un signicato dubbio, visto che in essa la serie a secondo
membro dipende dai valori della funzione x in un insieme discreto di punti,
in cui una generica funzione L2 non neppure univocamente denita. Daltro
canto osserviamo che lipotesi di continuit sostanzialmente implicita nelle
altre ipotesi. Infatti, senza supporre a priori x 2 C 0 (R) ma solo x 2 L2 (R),
se x
b ( ) = 0 per j j > a; la funzione x
b non solo L2 ma anche L1 ; perci
b
x
b; e quindi x; continua, o pi precisamente x uguale quasi ovunque a una
funzione continua. Per la validit della (4.19) comunque necessario scegliere
come funzione x (t) un rappresentante continuo della classe dequivalenza di
funzioni L2 , motivo per cui abbiamo esplicitamente richiesto questipotesi.
Un esempio di funzione x (t) che sia L2 e continua, con trasformata di
Fourier nulla fuori da un intervallo, x (t) = sint t , come visto nellEsempio
4.35.
Osserviamo ora il contenuto dellidentit (4.19). Il segnale x (t) viene rin
costruito a partire dai valori x 2a
; che corrispondono a un campionamento
di frequenza 2a, pari al doppio della massima frequenza presente nel segnale di
partenza (o pari allampiezza dellintervallo ( a; a) in cui la trasformata di x
non nulla).
Dimostrazione. Proveremo prima un enunciato in un certo senso duale rispetto alla tesi del teorema ossia:
207
Sia x0 (t) 2 L2 (R) un segnale tale che jx0 (t)j = 0 per jtj
X
n
sinc (2a
n) :
x
c0 ( ) =
x
c0
2a
a, allora
(4.20)
n2Z
1
cn =
2a
i!nt
x (t) e
dt con ! =
2
= :
2a
a
(4.22)
1
n
x
b0
:
2a
2a
Per un punto 2 R ssato, deniamo la funzione z (t) : R ! R che 2aperiodica e coincide in ( a; a) con y0 (t) e2 i t (si presti attenzione al fatto che
la funzione t 7 ! e2 i t non 2a-periodica, quindi stiamo troncando quellesponenziale complesso e lo stiamo prolungando con un periodo diverso dal suo).
Consideriamo lo sviluppo in serie di Fourier di z (t):
X
( ) 2 int
z (t)
; con
n e
n2Z
( )
n
1
=
2a
y (t) e2
i t
i!nt
dt con ! =
2
= :
2a
a
(4.24)
1
n
yb0
2a
2a
3 7 come
n2Z
208
( a;a)
(t), perci
y0 (t) = 1
yb0 ( ) = 2a sinc (2a )
come calcolato nellEsempio 4.36. Poich sinc (2a ) reale e pari possiamo
scrivere
Z a
X
n
x0 (t) e 2 i t dt =
x
b0
sinc (2a
n)
2a
a
n2Z
ossia
x
c0 ( ) =
n2Z
x
b0
n
sinc (2a
2a
n)
n2Z
c
x
c0
n
sinc (2a
2a
n)
da cui, sfruttando la parit della funzione sinc e il fatto che n varia tra tutti gli
interi positivi e negativi,
X
n
x0 (t) =
x0
sinc (2at n)
2a
n2Z
e la tesi dimostrata.
Esempio 4.41 Applichiamo il teorema alla funzione x (t) = sint t , per cui si ha
x
b( ) =
( 2 ;2 ) ( ) ; perci lipotesi vale con a = 2 e si ha:
1
X
sin 4n
sin t
=
n
t
4
n= 1
209
sinc (4 t
n ):
210
5.1
Se s0 =
+ i! e t 2 (0; +1) ;
e
s0 t
f (t) = e
st
f (t) = e
(Re s)t
s0 t
jf (t)j ;
jf (t)j
(Re s0 )t
[f ] = inf s 2 R : e
Chiamiamo
[f ] ascissa di convergenza di f e
f
= fs 2 C : Re s >
[f ]g
[f ] =
st
un intervallo del tipo (a; +1) o [a; +1), quindi ogni valore maggiore del suo
estremo inferiore vi appartiene. Arriviamo cos alla prossima:
Proposizione 5.3 Se la funzione f : [0; +1) ! R (o C) L-trasformabile,
per ogni s appartenente al semipiano di convergenza di f esiste
Z +1
e st f (t) dt:
(5.1)
Lf (s) =
0
C!C
1 per t > 0
0 per t < 0
(indicata talvolta anche con u (t)) e scrivendo ad esempio f (t) = et H (t) per
indicare il segnale che trasformiamo.
Osserviamo subito la seguente propriet, di dimostrazione immediata:
Proposizione 5.6 (Linearit della L-trasformata) La trasformata di Laplace
lineare, nel seguente senso: se f; g sono due funzioni L-trasformabili e c1 ; c2
sono due costanti reali o complesse, allora la funzione c1 f +c2 g L-trasformabile,
con ascissa di convergenza
0
e per Re s >
= max ( [f ] ; [g])
risulta
L (c1 f + c2 g) = c1 L (f ) + c2 L (g) :
st f
st
1
:
s
anche una teoria della trasformata di Laplace bilatera, che coinvolge lintegrale di
(t) su tutto R, ma in questo corso non ce ne occuperemo.
212
Osserviamo su questo primo esempio il seguente fatto fondamentale: la funzione di variabile complessa 1s denita in tutto il piano complesso privato dellorigine, tuttavia rappresenta la trasformata di Laplace di H (t) solo per Re s > 0;
perch in caso contrario lintegrale diverge. Quale sia il semipiano di convergenza si capisce osservando non solo lespressione analitica della trasformata, ma il
processo di calcolo dellintegrale che la denisce.
Esempio 5.8 (Trasformate di Laplace di funzioni elementari) Per a 2
C calcoliamo
Z +1
+1
1
e (s a)t
at
at
=
L e (s) = L e H (t) (s) =
e st eat dt =
(s a) 0
s a
0
purch Re s > Re a: Quindi
[f ] = Re a e
L eat (s) =
1
s
1
s
i!
s + i!
s2 + ! 2
!
s
+i 2
:
s2 + ! 2
s + !2
t+i!t
(s) =
1
s
i!
+ i!
2
) + !2
(s
L e
213
s
2
(s
) + !2
!
(s
) + !2
per Re s > .
Veniamo alla trasformata di Laplace delle funzioni potenza (sempre considerate nulle per t < 0). Con unintegrazione per parti si ha:
L (t) (s) =
h
Se Re s > 0 si ha
te
st
+1
st
tdt =
i+1
st +1
te
+1
st
dt:
= 0 e si conclude
1
L (t) (s) =
s
+1
st
dt =
st +1
s2
1
s2
=
0
da cui
1
per Re s > 0:
(5.2)
s2
Possiamo iterare il calcolo a potenze di ordine superiore, sempre per Re s >
L (t) (s) =
0:
L (tn ) (s) =
+1
st n
t dt =
st +1
tn e
+
0
n
s
+1
tn
st
dt =
n
L tn
s
(s) :
(5.3)
214
In questo caso, infatti, immediato vericare che Lf (s) esiste almeno per
Re s > , in altre parole [f ]
.
2
Un esempio di funzione non L-trasformabile et , come si verica immediatamente. Si presti attenzione a cosa va vericato: non il semplice fatto che
non valga la condizione (5.4), che su ciente ma non necessaria, ma il fatto
2
che lintegrale che denisce L et (s) diverge per ogni s.
Ci si potrebbe chiedere perch la trasformata di Laplace sia stata denita
per s complessa. Dopo tutto, se f ha valori reali e s reale, anche lintegrale
Z +1
e st f (t) dt
Lf (s) =
0
avr valori reali, quindi potrebbe essere naturale studiare Lf (s) semplicemente
per s reale, s > [f ]. La possibilit che s sia complesso rende per possibile
mettere in evidenza unutilissima relazione con la trasformata di Fourier, che
diversamente non apparirebbe. Si osservino infatti le seguenti identit:
Per s =
+ i! e
>
Lf (s) = Lf ( + i!) =
=F e
[f ] ;
Z +1
( +i!)t
f (t) H (t)
f (t) dt =
+1
f (t) e
i!t
dt
!
2
(5.5)
215
e supponiamo che per la funzione e t f (t) H (t) valga il teorema di antitrasformazione di Fourier, allora per ogni t 2 R
Z
Z
e t f (t) H (t) =
F e t f (t) H (t) (!) e2 i!t d! =
Lf ( + 2 i!) e2 i!t d!
R
+2 i!)t
d!:
1
2 i
+i1
i1
Lf (s) est ds
(5.6)
s0 :
In altre parole, la trasformata di Laplace limitata in ogni semipiano strettamente contenuto nel semipiano di convergenza.
216
Re s!+1
Lf (s) = 0:
[f ]
dn
n
n
(Lf (s)) = L [( t) f (t)] (s) = ( 1) L [tn f (t)] (s) :
dsn
In particolare, per ogni n = 1; 2; 3::: la funzione tn f (t) L-trasformabile nello
stesso semipiano di convergenza di f .
Si noti lanalogia tra le propriet (i) e (iii) e le propriet delle serie di potenze
nel loro cerchio di convergenza. La (ii) invece analoga alla propriet della
trasformata di Fourier.
Dimostrazione. i) Se Re s s0 > [f ], si ha
Z +1
Z +1
(Re s)t
jLf (s)j
e
jf (t)j dt
e
0
s0 t
f (t)
(Re s)t
jf (t)j dt = c < 1:
s0 si ha
e daltro canto
e
st
f (t)
(Re s)t
jf (t)j
s0 t
(Re s
)t
perci
e
st n
t f (t)
e
ce
(Re s)t
(Re s
jtn f (t)j = e
)t
(Re s
)t
jf (t)j e
t n
d
Vogliamo calcolare ds
(Lf (s)) derivando sotto il segno di integrale, cio
scrivendo
Z +1
Z +1
d
d
@
st
(Lf (s)) =
e f (t) dt =
e st f (t) dt =
ds
ds 0
@s
0
Z +1
=
te st f (t) dt = L [ tf (t)] (s) :
0
st
f (t)
(Re s
)t
jf (t)j e
ce
(Re s
)t
jf (t)j
ce
(Re s0 2 )t
jf (t)j
5.2
Allora g L-trasformabile e
L (f ) (s)
per ogni s con Re s > max (0; [f ]) :
s
Dimostrazione. Osserviamo intanto che se f L-trasformabile, certamente
integrabile su ogni intervallo limitato (0; t) ; perci la funzione g risulta ben
denita (e continua). Fissato s con Re s > max (0; [f ]) calcoliamo
Z +1
Z +1
Z t
L (g) (s) =
e st g (t) dt =
e st
f ( ) d dt
L (g) (s) =
dove si usato il fatto che Re s > 0: Lultimo integrale scritto proprio L(fs)(s) ;
se Re s > [f ]. Osserviamo che se riscriviamo i passaggi con il valore assoluto
entro modulo, troviamo
Z +1
Z +1
Z +1
e Re s
jf ( )j
e (Re s)t dt d =
jf ( )j
d < 1;
Re s
0
0
perci per il teorema di Fubini-Tonelli lo scambio lecito, e il teorema dimostrato.
Teorema 5.13 (L-trasformata della derivata) Sia f : [0; +1) ! C con
f continua in [0; +1), derivabile o regolare a tratti in (0; +1), e sia f 0 Ltrasformabile. Allora anche f L-trasformabile e vale
L (f 0 ) (s) = sL (f ) (s)
Rt
e applicando il teorema precedente alla funzione g (t) = 0 f 0 ( ) d abbiamo
che f (t) f (0) L-trasformabile e per Re s > max (0; [f 0 ]) vale
Z t
L (f 0 ) (s)
L (f (t) f (0)) (s) = L
f0 ( ) d
=
:
(5.7)
s
0
Daltro canto la costante f (0) trasformabile, con
L (f (0)) (s) = f (0) L (1) =
f (0)
s
(5.8)
f 0 (0)
f 0 (0) = s2 L (f ) (s)
f (0))
f 0 (0)
sf (0)
ossia
L (f 00 ) (s) = s2 L (f ) (s)
f 0 (0)
sf (0)
sn
f (0)
sn
f (n)
2 0
f (0)
sf (n
:::
2)
(0)
f (n
1)
(0)
(5.9)
Dunque la L-traformata (cos come la trasformata di Fourier) trasforma polinomi dierenziali (a coe cienti costanti) in polinomi ordinari, coinvolgendo per
anche le condizioni iniziali che f soddisfa, una propriet che risulter utilissima nellaronto del problema di Cauchy per equazioni dierenziali lineari a
coe cienti costanti mediante la L-trasformata.
Possiamo ora anche osservare la relazione esistente tra grado di regolarit
di f e velocit di convergenza a zero di L (f ). Sappiamo che per ogni f Ltrasformabile si ha che L (f ) (s) ! 0 per Re s ! +1. Supponiamo di essere
nelle ipotesi del Teorema 5.14: f 2 C n (0; +1) \ C n 1 [0; +1) e f (n) sia Ltrasformabile. Allora vale lidentit (5.9); daltro canto L f (n) (s) ! 0 per
Re s ! +1; per cui
sn L (f ) (s)
sn
f (0)
sn
2 0
f (0)
:::
sf (n
2)
(0)
f (n
f (0)
sn
2 0
f (0)
:::
sf (n
2)
(0)
f (n
1)
2)
1)
(0) ! 0
(0) ; f (n
1)
(0)
(0)
non tende a zero allinnito, dunque sn L (f ) (s) non tende a zero allinnito.
Supponiamo per che i valori f (0) ; f 0 (0) ; :::; sf (n 2) (0) ; f (n 1) (0) siano tutti
nulli, allora si pu concludere che
sn L (f ) (s) ! 0 per Re s ! +1;
cio L (f ) (s) tende a zero pi velocemente di 1=sn per Re s ! +1. Queste
condizioni di annullamento hanno uninterpretazione naturale se si pensa a f
come una funzione denita in tutto R e nulla per t < 0: sono condizioni di
raccordo, che signicano che la f (estesa a zero per t < 0) regolare in tutto R:
220
1
per Re s > 0:
s
un integrale che pu essere nito anche senza che f; g siano L1 (0; +1). Si
dimostra facilmente, applicando il teorema di Fubini, che se f; g 2 L1 (0; K)
(nulle per t < 0) allora esiste f g e appartiene a L1 (0; K). Questipotesi
senzaltro vericata, per ogni K > 0; se f; g sono L-trasformabili. Quindi
in questo caso la convoluzione certamente ben denita, e integrabile su ogni
intervallo (0; K) limitato. Con queste premesse, veniamo al seguente risultato:
Teorema 5.17 (L-trasformata della convoluzione) Se f; g sono due segnali L-trasformabili, allora anche f g L-trasformabile, e vale
L (f
g) (s) =
+1
(f
st
g) (t) e
dt =
+1
f (t
)g( )d
st
dt
g) (s) =
g( )
+1
f (t
)e
+1
g( )e
st
dt d
= u;
+1
f (u) e
su
du
st
dt =
a) :
+1
f (t) e
1
per Re s > 0;
s
222
(s a)t
dt = L (f ) (s
a) ;
a) =
1
s
Sapendo che
s
s2 + ! 2
!
L (sin (!t)) (s) = 2
s + !2
per ! > 0; Re s > 0; riotteniamo la formula (gi ottenuta con calcolo diretto)
per
L e
L e
(s
) + !2
!
(s
) + !2
2 R; ! > 0; Re s > :
Sapendo che
n!
L (tn ) (s) =
sn+1
n!
(s
n+1
a)
t0 ) H (t
t0 )) (s) = e
t0 s
L (f ) (s) :
Dimostrazione. Calcoliamo
L (f (t
t0 ) H (t
ponendo t a = u
Z +1
=
f (u) H (u) e
t0 )) (s) =
+1
f (t
t0 ) e
st
du = e
t0 s
t0 ) H (t
dt
s(t0 +u)
du = e
t0 s
[f ].
223
+1
f (u) e
su
L (f ) (s)
t0 )) (s) =
t0 s
per Re s > 0:
s2
!
per ! > 0; Re s > 0
+ !2
t0 )) H (t
t0 )) (s) =
!e t0 s
per ! > 0; Re s > 0:
s2 + ! 2
n!
sn+1
t0 ) H (t
t0 )) (s) =
n!e t0 s
per Re s > 0 e n = 1; 2; 3; :::
sn+1
Ricapitoliamo in due tabelle le trasformate di funzioni elementari che abbiamo calcolato e le formule operatoriali che abbiamo stabilito:
L-trasformate di funzioni elementari
f (t)
1
H (t t0 )
eat
cos (!t)
sin (!t)
e t cos (!t)
e t sin (!t)
tn
tn eat
L (f ) (s)
1
s
e
t0 s
s
1
s a
s
s2 +! 2
!
s2 +! 2
s
(s
)2 +! 2
!
(s
)2 +! 2
n!
sn+1
n!
(s a)n+1
224
[f ]
0
0
a
0
0
a
a
0
a
parametri
t0 > 0
a2R
!>0
!>0
! > 0; a 2 R
! > 0; a 2 R
n = 1; 2; 3:::
n = 1; 2; 3:::
Identit operatoriali
Rt
L 0 f (u) du (s) =
max (0; [f ])
5.3
max (0; [f 0 ])
max (0; [f 00 ])
2 0
f (0)
max 0;
f (n)
max ( [f ] ; [g])
a + [f ]
[f ]
Come vedremo in seguito, le formule della trasformata di Laplace della derivata, della primitiva e della convoluzione sono utili per risolvere equazioni differenziali, integrali, o integro-dierenziali lineari. Il problema iniziale viene
trasformato in un problema puramente algebrico che determina la trasformata
di Laplace della funzione incognita. Perci lultimo passo della soluzione consiste nellantitrasformare la funzione ottenuta. Gi sappiamo che la trasformata
di Laplace individua univocamente il segnale di partenza: segnali con la stessa
L-trasformata coincidono (per quasi ogni t > 0). Questo semplice fatto, unito
alla conoscenza della tabella delle trasformate delle funzioni elementari e delle
identit operatoriali, su ciente nei casi pi semplici a risalire allantitrasformata di unassegnata funzione F (s), naturalmente quando questo possibile,
quando cio la F (s) e ettivamente una L-trasformata. Esistono poi dei risultati generali che consentono di utilizzare la formula di antitrasformazione (5.6),
grazie ai metodi di analisi complessa che abbiamo studiato.
Vediamo anzitutto qualche esempio di antitrasformazione condotta coi metodi elementari, quindi passeremo al teorema di antitrasformazione.
Esempio 5.22 (Antitrasformata di semplici funzioni razionali) Consideriamo
le seguenti funzioni F (s) e proponiamoci di calcolare f (t) per cui risulti F (s) =
L (f ) (s). Faremo uso sistematicamente della tabella delle trasformate delle
funzioni elementari e delle formule operatoriali.
(a)
2s + 1
F (s) = 2
:
s + 2s 3
Il denominatore ha due radici reali, si decompone in
s2 + 2s
3 = (s
1) (s + 3) :
La frazione si pu quindi spezzare col metodo dei fratti semplici, cercando coefcienti A; B per cui risulti
s2
2s + 1
A
B
=
+
:
+ 2s 3
s 1 s+3
225
Il calcolo algebrico d
2s + 1
=
2
s + 2s 3
s
3
4
5
4
s+3
F (s) = L
3t
1
s a
(b)
2s + 1
:
+ 2s + 3
Il denominatore ha discriminante negativo, riscriviamolo (con la tecnica del
completamento del quadrato) nella forma:
F (s) =
s2
s2 + 2s + 3 = (s + 1) + 2
perci
F (s) =
2 (s + 1)
2
(s + 1) + 2
1
2
(s + 1) + 2
2 cos
p
1
p sin
2t
2
2t
(c)
2s + 1
:
s2 + 2s + 1
Il denominatore un quadrato perfetto,
F (s) =
F (s) =
Ricordiamo che L (tn eat ) =
n!
;
(s a)n+1
1
2
(s + 1)
2s + 1
2:
(s + 1)
quindi
= L te
226
s
0
Per antitrasformare (s+1)
2 ricordiamo invece che L (f ) (s) = sL (f ) (s)
Applicando la formula a f (t) = te t abbiamo (poich f (0) = 0),
s
2
(s + 1)
=L
te
t 0
(s) = L e
(1
f (0).
t) (s)
e in denitiva
2s + 1
t
(1
2 = 2L e
(s + 1)
= L 2e t (1 t) + te t
t) (s) + L te
F (s) =
=L e
(2
t) :
(d)
F (s) =
5
4
+
3:
s2
(s 1)
2
s
5
= L (2 5t)
s2
4
= L 2t2 ;
s3
quindi
4
(s
1)
= L 2t2 et
e in denitiva
F (s) = L 2
5t + 2t2 et :
Veniamo adesso al problema generale di antitrasformare unassegnata funzione F (s) analitica almeno in un semipiano Re s > 0 . Abbiamo gi ricavato
una candidata formula di antitrasformazione, la (5.6). Si tratta di dimostrare
che sotto opportune ipotesi questa eettivamente valida. Vale il seguente:
Teorema 5.23 (Formula di L-antitrasformazione) Sia F (s) una funzione
analitica nel semipiano Re s > 0 e supponiamo che sia
jF (s)j
c
k
1 + jsj
per qualche k > 1 e c > 0; ogni s nel semipiano. Allora per ogni
lintegrale complesso39
Z +i1
1
f (t) =
F (s) est ds
2 i
i1
reale,
>
0,
(5.10)
227
1
,
s
che la trasformata di H (t). Difatti, nella tesi del teorema si aerma anche
che f (t) continua in tutto R, quindi in particolare f (0) = 0. Torneremo pi
avanti sulla discussione di alcuni casi non coperti da questo teorema, e su come
ovviare alla cosa.
Nei casi in cui si applica, comunque, il teorema fornisce lunica funzione f (t)
avente F (s) come L-trasformata (dal momento che loperatore L iniettivo).
Dimostrazione. Sia s = + i con > 0 ssato; possiamo supporre che sia
> 0. Lintegrale nella (5.10) si riscrive cos:
Z +i1
Z +1
1
1
F ( + i ) e( +i )t id
F (s) est ds =
f (t)
2 i
2 i 1
i1
Z
e t +1
e t
=
F ( + i ) ei t d
g (t) :
(5.11)
2
2
1
Per lipotesi su F abbiamo
F ( + i ) ei
= jF ( + i )j
c
(
2 )k=2
(5.12)
i1
i1
f (t) =
(5.13)
deduciamo
ce t ;
jf (t)j
che per t < 0 ssato e ! +1 tende a zero, perci f (t) = 0 per t < 0 (e
quindi anche f (0) = 0, poich abbiamo gi provato che f continua).
Mostriamo che f (t) L-trasformabile. Dalla (5.13) abbiamo
t
f (t) e
per un qualsiasi
>
1
g (t)
2
c:
Daltro canto, ssato > 0 , sia " > 0 abbastanza piccolo da avere
">
allora possiamo ripetere per (
") i discorsi precedenti e scrivere anche
f (t) e
")t
0,
perci
f (t) e
ce
"t
2 L1 (0; +1) ;
Ora osserviamo che F (z) analitica per Re z > 0 . Perci, poich Re s >
> 0 , la funzione Fs (z)
z analitica nel semipiano Re z > 0 salvo un polo del
primordine in z = s:
Per il teorema dei residui, lintegrale sul circuito R in gura percorso in senso
orario uguale a
Z
F (z)
F (z)
F (z)
dz = ( 2 i) Res
; s = Res
; s = F (s) :
s z
s z
s z
R
Daltro canto per R ! +1 lintegrale sul segmento tende allintegrale sulla
retta + iR, mentre lintegrale sulla semicirconferenza R tende a zero perch
lintegranda soddisfa
Z
F (z)
R
c
F (z)
dz
R max
c k+1 = k ! 0:
z2 R s
s
z
z
R
R
R
Perci
1
2 i
+iR
F (z)
dz = F (s)
s z
1
2 i
+i1
F (s) est ds
i1
230
dove un numero reale tale che F (s) analitica nel semipiano Re s > , cio
tutti i poli di F (s) sono nel semipiano sinistro Re s < : Lipotesi che F (s)
tenda a zero allinnito come 1=sk per qualche k > 1 si traduce, in termini
della funzione razionale F , nel richiedere che il grado del denominatore superi
di almeno 2 il grado del numeratore.
Calcoliamo lintegrale col metodo dei residui, scegliendo come circuito una
semicirconferenza R il cui diametro tende alla retta Re s =
su cui dobbiamo calcolare lintegrale, e la semicirconferenza si allarga nel semipiano sinistro,
avvolgendo via via tutti i poli di F . Dunque
Z
X
1
1
F (s) est ds =
2 i
Res F (s) est ; zk
2 i R
2 i
e la somma fatta su tutti i poli di F (s). Occorre controllare che lintegrale
sullarco di circonferenza tenda a zero per R ! 1. Questo si pu dimostrare,
utilizzando un risultato analogo al lemma di Jordan che abbiamo usato per
trattare
Z
f (z) ei z dz
R
X N (zk )
ezk t :
D0 (zk )
k
s2
1
:
+s+1
p
i 3
231
perci
p
1+i 3
p
i 3
1
e 2 t
e 2 t
p
p
+
f (t) =
ezk t =
2zk + 1
i 3
i 3
k=1;2
p
p
!
p !
i 3
i 3
3
2e t=2
e t=2 e 2 t e 2 t
t ;
= p sin
= p
2
i
3
3
risultato che si poteva naturalmente ottenere anche coi metodi elementari discussi in precedenza.
Esempio 5.26 Sia
F (s) =
1
(s2
2:
+ 1)
i:
Si ha
f (t) =
Res
k=1;2
est
2
(s + i)
st
2e
(s + i) (s
!0
(i) +
i)
est
(s
i)
; zk
!0
( i)
eit
( t
4
i) +
= 2 Re
eit
( t
4
i) =
it
( t + i)
poich z + z = 2 Re z
1
(sin t
2
t cos t) :
2s + 1
;
s2 + 2s + 2
F (s) =
232
2
s
Ora G (s) tende a zero allinnito come 1=s2 , perci si pu trattare col teorema
di antitrasformazione, mentre 2s si vede direttamente come trasformata della
costante 2. Eseguiamo i calcoli in dettaglio:
g (t) = L
(G (s)) =
Res
(s2
3s 4
ets ; zk
+ 2s + 2) s
i: Quindi
3s 4 ts
3s 4
ets (0) +
e
( 1 + i) +
(s2 + 2s + 2)
(2s + 2) s
3i 1 t( 1+i)
3i 1
2+
e
+
e t(1+i)
2i ( 1 + i)
2i (1 + i)
3s 4 ts
e
( 1
(2s + 2) s
2 si cancellano)
3i 1 t( 1+i)
3i 1
e
+
e
2i ( 1 + i)
2i (1 + i)
1 3i
1 + 3i it
e +
e it
=e t
2 (1 + i)
2 (1 i)
1 + 3i it
= e t 2 Re
e
2 (1 + i)
= e t (2 cos t sin t) :
f (t) =
t(1+i)
direttamente alla F (s) che pure non soddisfa lipotesi sul grado di innitesimo
allinnito.
2s + 1
2s + 1
ets ; 1 + i + Res 2
ets ; 1 i
s2 + 2s + 2
s + 2s + 2
2s + 1 ts
2s + 1 ts
=
e
( 1 + i) +
e
( 1 i)
2s + 2
2s + 2
i
i
i
=e t
1+
eit + 1
e it = 2e t Re
1+
eit
2
2
2
f (t) = Res
=e
(2 cos t
sin t) :
233
i)
cs2
as + b
+ ds + e
dove zk sono i due poli semplici o lunico polo doppio della funzione.
Esempio 5.29 Ritroviamo coi metodi di analisi complessa alcune antitrasformate gi calcolate con metodi elementari. Si confrontino questi calcoli con quelli
svolti nellEsempio 5.22.
(a)
2s + 1
:
F (s) = 2
s + 2s 3
Il denominatore si annulla per s = 1; s = 3, poli semplici.
2s + 1
2s + 1
ets ; 1 + Res 2
ets ; 3
s2 + 2s 3
s + 2s 3
2s + 1 ts
2s + 1 ts
=
e
(1) +
e
( 3)
2s + 2
2s + 2
3
5
= et + e 3t :
4
4
f (t) = Res
(b)
F (s) =
Il denominatore si annulla per s =
2s + 1
:
s2 + 2s + 3
p
1 i 2, poli semplici.
p
2s + 1
2s + 1
ts
e
;
1
+
i
2 + Res 2
ets ; 1
s2 + 2s + 3
s + 2s 3
p
p
2s + 1 ts
2s + 1 ts
=
e
1 i 2
e
1+i 2 +
2s + 2
2s + 2
p
p
i
i
p
=e t
1+ p
ei 2t + 1
e i 2t
2 2
2 2
p
i
ei 2t
= e t 2 Re
1+ p
2 2
p
p
1
p sin
2t
2t
= e t 2 cos
2
f (t) = Res
(c)
F (s) =
2s + 1
:
s2 + 2s + 1
234
p
i 2
1; polo doppio.
s2
2s + 1
ets ; 1
+ 2s + 1
0
= (2s + 1) ets ( 1)
= ets (t (2s + 1) + 2)=s=
=e
5.4
(2
t) :
Terminiamo questa panoramica sulle propriet della trasformata di Laplace puntualizzando schematicamente alcune dierenze e analogie fra le trasformate di
Fourier e di Laplace, per aiutare lo studente a ssare le idee ed evitare confusioni.
F (f ) denita per f : Rn ! C
L (f ) denita per f : [0; 1) ! C (funzioni f di una variabile, denite sulla
semi retta)
F (f ) ( ) denita per 2 Rn
L (f ) (s) denita per s 2 C
Anche se f ha valori reali, in generale F (f ) ha valori complessi ( reale ad
esempio se f funzione di una variabile ed simmetrica pari)
Se f ha valori reali, per s reale L (f ) (s) ha valori reali; tuttavia per s
complesso anche L (f ) (s) ha valori complessi.
F (f ) denita per f integrabile (o L2 )40 in Rn .
L (f ) una funzione ben denita anche per funzioni f non integrabili in
(0; +1), purch ad esempio di ordine esponenziale.
F (f ) tanto pi regolare quanto pi f tende a zero velocemente allinnito; per una generica f 2 L1 risulta F (f ) continua ma non necessariamente
derivabile.
L (f ) olomorfa nel semipiano di convergenza, cio ha la massima regolarit
indipendentemente dalla velocit con cui f tende a zero allinnito, purch f
sia L-trasformabile.
limj j!+1 Ff ( ) = 0
limRe s!+1 Lf (s) = 0
Pi regolare f , pi velocemente Ff ( ) tende a zero per j j ! +1:
4 0 Risulta denita per f e f 2 non integrabili solo inquadrando la teoria nel contesto delle
distribuzioni.
235
236
5.5
In questa sezione presentiamo alcuni esempi tipici di applicazioni della trasformata di Laplace a problemi di equazioni dierenziali ordinarie, equazioni integrodierenziali, equazioni integrali41 .
5.5.1
Problema di Cauchy per equazioni dierenziali ordinarie lineari a coe cienti costanti, non omogenee
237
sy (0)
sy0
y1 + asY (s)
sy0 + y1 + ay0
F (s)
+
s2 + as + b
s2 + as + b
(5.14)
h) (t) + g (t)
h (t
) f ( ) d + g (t)
(5.15)
con a0 ; a1 ; :::; an
nato.
1 ; y0 ; y1 ; :::; yn 1
239
sn
+ an
F (s)
+ n
+ ::: + a1 s + a0
s + an
sn 1
P (s)
+ ::: + a1 s + a0
sn 1
sn + an
n
1s
1
; G (s) = n
+ ::: + a1 s + a0
s + an
n
1s
P (s)
1 + ::: + a s + a
1
0
sn + an
F (s)
;
+ ::: + a1 s + a0
n 1
1s
s 2
0 + 2 (sY
2) + 3Y = F
s + 2s + 3 Y = F + (2s + 4)
F
2s + 4
Y = 2
+ 2
:
s + 2s + 3 s + 2s + 3
Calcoliamo le antitrasformate di
H (s) =
s2
1
2s + 4
; G (s) = 2
:
+ 2s + 3
s + 2s + 3
240
a. Procedimento elementare.
p
1
1
1
1
p
sin
2t
perci
=
=
L
;
2
s2 + 2s + 3
2
(s + 1) + 2 s2 + 2
p
1
1
2t
= L p e t sin
2
2
(s + 1) + 2
p
2s + 4
(s + 1)
s
2
=2
; 2
= L cos
2t
+ 2
2
2
s + 2s + 3
(s + 1) + 2 s + 2s + 3 s + 2
p
(s + 1)
= L e t cos
2t
2
(s + 1) + 2
p
2
1
= L 2 p e t sin
2t
2
2
(s + 1) + 2
perci
e in denitiva
p
e t
h (t) = p sin
2t
2
p
p
g (t) = 2e t cos
2t + 2e
sin
2t :
(t
sin
2 (t
) g ( ) d +e
2 cos
2t +
2 sin
2t
p
i 2;
h (t) = Res
s2
241
p
p
(2s + 4) est
(2s + 4) est
; 1 + i 2 + Res 2
; 1 i 2
2
s + 2s + 3
s + 2s + 3
st
p
p
(s + 2) est
(s + 2) e
=
1+i 2 +
1 i 2
s+1
s+1
p
p !
p
p
i 2t
1+i 2 e
1 i 2 e i 2t
t
p
p
=e
+
i 2
i 2
p !
p
i 2t
2
e
1
+
i
p
= e t 2 Re
i 2
p
p
p
= e t 2 cos
2t + 2 sin
2t
g (t) = Res
(0;1)
(t) :
t
(t
sin
2 (t
(0;1)
sin
( ) d +e
2 cos
2t +
2 sin
2t
(t
sin
(t
2 (t
(t
) d =
2 (t
1
3
(0;1)
cos
( )d =
p
1
2t + p sin
2t
2
e per t > 1
1
m (t) = p
2
e t
=
3
1
)
sin
2 (t
) d
e cos
2 (t
1) + cos
2t
e sin
2 (t
Ricordando che
g (t) = e
2 cos
2t +
2 sin
in denitiva la soluzione
y (t) = m (t) + g (t)
242
2t
p
1
2t
1) + p sin
2
ha il graco seguente:
A titolo di confronto, la soluzione dello stesso problema ma con condizioni iniziali nulle,psarebbepdata dalla
p stessa formula sopprimendo la funzione g (t) =
e t 2 cos 2t + 2 sin 2t , ossia:
1
+e
1 + s2
1
1 + s2
dunque
Y (s) =
1
1+e
(s2 + 4) (s2 + 1)
(s2
1
1
=
2
+ 4) (s + 1)
3
1
1 + s2
1
4 + s2
=L
1
3
sin t
1
sin 2t
2
Quindi
e
G (s) = L H (t
= L H (t
1
3
1
)
3
sin (t
1
sin (2t
2
2 )
1
sin (2t)
2
sin t
e in denitiva
y (t) =
=
1
3
sin t
1
3
1
sin 2t + H (t
2
1
3
1
3
244
sin t
1
sin (2t)
2
Consideriamo un circuito LCR in serie, con una tensione applicata v (t) : Detta
q (t) la carica presente sulle armature del condensatore e i (t) la corrente nel
circuito, il bilancio delle tensioni d
di
1
+ Ri + q = v (t)
dt
C
dove L linduttanza, R la resistenza e C la capacit. Nel seguito supporremo
che L e C siano diverse da zero (mentre R potrebbe anche annullarsi).
Ricordiamo che i (t) = dq
dt (t), perci lequazione si pu riscrivere in funzione
della sola funzione incognita q (t) come
L
1
q = v (t) :
C
Se invece interessa la corrente, il procedimento standard consiste nel derivare
una volta lequazione di partenza, ottenendo
Lq 00 + Rq 0 +
1
i = v 0 (t) ;
(5.16)
C
procedimento che per richiede che la tensione applicata v (t) sia una funzione
derivabile. Per lo studio di un circuito a corrente alternata sinusoidale (caso
standard) questo va benissimo, tuttavia se vogliamo tenere aperta la possibilit
di studiare anche circuiti in cui la tensione applicata , ad esempio, una funzione
discontinua, per ottenere unequazione nella sola incognita i (t) non dobbiamo
derivare la prima equazione ma piuttosto esprimere
Z t
Z t
0
i( )d
q (t) = q0 +
q ( ) d = q0 +
Li00 + Ri0 +
245
che porta a:
1
di
L + Ri +
dt
C
q0 +
i( )d
= v (t) :
(5.17)
L (sI (s)
s2 I (s)
i0 ) + RI (s) +
R
1
s+
= s2 + 2 s + ! 2 ; cio
L
LC
R
=
2L
1
2
! =
LC
e discutiamo la struttura della soluzione distinguendo due casi di resistenza sopracritica o sottocritica (tralasciando per brevit il caso della resistenza critica).
Antitrasformeremo soltanto H, col metodo elementare. Lantitrasformata di G
si ottiene con lo stesso metodo, in dipendenza dalle condizioni iniziali.
246
=L e
1
e
L
!
= p
L !2
!
= p
L !2
=q
L2
cos
!2
"p
1
LCR2
4
cos
R
2L t
2)
(s + ) + (! 2
!2
quindi
h (t) =
2)
cos
2t
2t
!2
!
p
cos
4L
C :
!2
r
!2
!2
2t
2t
p
!2
sin
p
!2
sin
p
cos
!2
2)
2t
2t
!2
sin
2t
1
LC
R2
t+
4L2
q
2
con tan = p!2 2 = 4LR RC2 C : Nel caso particolare di resistenza nulla (R =
0) si ha molto pi semplicemente:
!
r
1
1
h (t) = cos
t :
L
LC
In ogni caso, se le condizioni iniziali sono nulle i0 = q0 = 0 si ottiene:
Z t
i (t) =
h (t
)v( )d
0
s
=
+ 2 s + !2
s+
=
con
A=
Perci
h (t) =
s+
p
2
!2
A
p
!2
!2
2
A (
e
L
!2
p
;B =
! 2 )t
247
s+ +
+
p
2
s+ +
B (
e
L
B
p
!2 +
:
!2
p
+
! 2 )t
!2
!2
2
!2
)v( )d :
1
;
2
q0 = v0 = 0; v (t) =
(1;:2)
(t) :
Calcoliamo
R
1
= 1; ! 2 =
= 2:
2L
LC
Siamo nel caso di resistenza piccola ( 2 < ! 2 ) si ha:
p
!
e t cos
!2
h (t) = p
2
L !2
p
= 2e t cos t +
4
=
perch tan
!2
i (t) =
Z tp
= 1;
2e
(t
=
)
4.
Si ha:
cos t
che ha graco
2t
(1;:2)
( )d
8
se t 2 (0; 1)
< 0
Rtp
(t
)
2e
cos t
+4 d
se t 2 (1; 2)
=
: R12 p
(t
)
2e
cos
t
+
d
se t > 2
4
8 1
se t 2 (0; 1)
< 0
e t sin t
se t 2 (1; 2)
=
:
e t e2 sin (2 t) + sin t
se t > 2
248
Consideriamo un circuito elettrico con resistenza e capacit in serie, e una tensione applicata. Lequazione per lintensit di corrente si ottiene dalla (5.17)
semplicemente ponendo L = 0:
Z t
1
q0 +
i( )d
= v (t) :
Ri +
C
0
La situazione nuova che questa non pi unequazione dierenziale, ma una
particolare equazione integrale. Se v (t) discontinua, in generale potremo avere
soluzione discontinua. Applicando la trasformata abbiamo:
q0
1 I (s)
+
= V (s)
Cs C s
1
q0
I (s) R +
= V (s)
Cs
Cs
q0
V (s)
Cs
I (s) =
1
1
R + Cs
R + Cs
Cs
q0
I (s) = V (s)
:
CRs + 1 CRs + 1
RI (s) +
Notiamo che la funzione che moltiplica V (s) non antitrasformabile perch per
s ! 1 tende a 1=R anzich a zero. Possiamo per scrivere
1
Cs
=
+
CRs + 1
R
cos che
I (s) =
V (s)
R
Cs
CRs + 1
V (s)
1
R
1
R
1
R (CRs + 1)
1
;
R (CRs + 1)
q0
:
CRs + 1
1
1
s + CR
1
1
s + CR
249
=L
=L
1
e
CR2
q0
e
CR
t
CR
t
CR
e in denitiva si ha:
v (t)
i (t) =
R
1
CR2
(t
)
CR
q0
e
CR
v( )d
t
CR
1
; q0 = 0; v (t) =
2
ossia
2i (t) + 2
(1;2)
(t) :
i( )d =
(1;2)
(t)
Si avr
i (t) =
(1;2)
2
8
< 0
1
2
:
8
< 0
:
(t)
1
2
(t
R
1 t
(t
)
d
2 1 e
R
1 2
(t
)
e
d
2 1
1 1 t
2e
1
2 (1
(1;2)
( )d
e) e1
250
se t < 1
se t 2 (1; 2)
se t > 2
se t < 1
se t 2 (1; 2)
se t > 2
che ha graco:
Come si vede, in questo caso la corrente cambia in modo discontinuo nei due
istanti in cui la tensione cambia in modo discontinuo.
5.5.4
F (s)
+ !2
s2
e poich
1
=L
s2 + ! 2
si ha
1
y (t) =
!
1
sin (!t)
!
sin (! (t
)) f ( ) d :
251
y (t) come:
Z
1 t
y (t) =
[sin (!t) cos (! ) cos (!t) sin (! )] f ( ) d
! 0
Z t
Z t
1
1
= sin (!t)
cos (! ) f ( ) d
cos (!t)
sin (! ) f ( ) d
!
!
0
0
1
1
sin (!t) C (t)
cos (!t) S (t) :
!
!
Ora studiamo le funzioni C (t) ; S (t) nellipotesi che f ( ) sia 2! periodica. Per
n = 1; 2; 3; ::: si ha:
Z n 2!
Z 2!
2
2
=
C n
cos (! ) f ( ) d = n
cos (! ) f ( ) d = nC
!
!
0
0
e analogamente
S n
2
!
2
!
= nS
da cui, per t 2 0; 2! ;
2
+t
!
2
+t
S n
!
C n
= nC
= nS
2
!
2
!
+ C (t)
+ S (t)
e
y n
2
+t
!
1
sin (!t) nC
!
2
!
+ C (t)
1
cos (!t) nS
!
2
!
+ S (t) :
2
+t
!
= y (t) ;
252
2
!
sin (! ) f ( ) d = A
2
!
sin2 (! ) d = A
mentre
>0
2
!
cos (! ) f ( ) d = 0:
Si ha risonanza. La soluzione :
Z
1 t
sin (! (t
)) A sin (! ) d
y (t) =
! 0
A
=
( !t cos (!t) + sin (!t))
2! 2
che cresce oltre ogni limite per la presenza del fattore t cos (!t). Graco:
2
!
A per t 2 0; !
0 per t 2 ! ; 2!
. Si ha:
2
!
sin (! ) f ( ) d = A
sin (! ) d = 2A > 0;
)) f ( ) d
ha graco
2
!
A per t 2 0; 2! [
0 altrimenti
2
!
cos (! ) f ( ) d =
>
>
>
>
:
8
>
>
<
>
>
:
2
!
sin (! ) f ( ) d = 0
0
A
!
A
!
A
!
A
!
A
!2
A
!2
A
!2
3
! ; 2!
f (t) =
da
sin (! (t
)) f ( ) d
Rt
sin (! (t
)) d
R02!
sin (! (t
)) d
R02!
sin
(!
(t
)) d +
0
R 2!
sin (! (t
)) d +
0
(1 cos (!t))
(sin (!t) cos (!t))
(1 + sin (!t))
A
!
A
!
Rt
sin (! (t
3
R !2!
sin (! (t
per
per
per
per
t 2 0; 2!
t 2 2! ; !
3
t 2 ! ; 2!
3
t 2 2! ; 2!
254
)) d
)) d
per t 2 0; 2!
per t 2 2! ; !
3
per t 2 ! ; 2!
per t 2
3
2
2! ; !
5.5.5
255
F (s)
:
K (s)
1
Consideriamo la funzione 1 K(s)
. Poich K (s) una trasformata di Laplace,
analitica in un semipiano Re s > s0 e tende a zero per Re s ! +1; ne segue
che in un semipiano eventualmente pi ristretto il denominatore 1 K (s) non
1
si annulla e quindi la funzione 1 K(s)
analitica. Tuttavia la funzione non pu
essere essa stessa una L-trasformata perch per Re s ! +1 tende a 1 e non a
0: Scrivendo per
1
=1+
K (s)
1
K (s)
=1+
K (s)
1 K (s)
lequazione in Y diventa
Y (s) = F (s) +
K (s)
F (s) :
1 K (s)
L e
3t
s+3
s+2
1
s+2
1
Y (s) = F (s) + F (s)
s+2
Y (s) = F (s) 1 +
256
e poich
1
s+2
=L e
2t
(s) si ha:
Z
2(t
f ( )d :
2(t
sin ( ) d
y (t) = f (t) +
1
e
5
2t
cos t + 7 sin t :
(t) abbiamo
Z t
y (t) = (0;1) (t) +
e 2(t ) (0;1) ( ) d
0
(
Rt
1 + e 2(t ) d
per t 2 (0; 1)
R 1 02(t )
=
e
d
per
t>1
0
(
3 e 2t
per t 2 (0; 1)
2
=
e 2(t 1) e 2t
per t > 1
2
(0;1)
257
1
s2
y (t) = f (t) +
1
s2
(t
)f ( )d :
(t
) sin ( ) d = t:
(0;1)
(t) abbiamo
(0;1)
(t) +
(t
(0;1)
( )d
Rt
1 + 0 (t
)d
R1
(t
)
d
0
1+
1
2
t2
2
per t 2 (0; 1)
per t > 1
per t 2 (0; 1)
per t > 1
258
259
Spazi di Hilbert
Gli spazi vettoriali dotati di un prodotto scalare sono ambienti astratti in cui si
pu denire un concetto di ortogonalit analogo a quello euclideo in Rn . Questo
mette a disposizione un sistema di riferimento privilegiato in cui i calcoli sono
particolarmente comodi e semplici, un concetto di proiezione ortogonale che
diventa strumento per approssimare un elemento generico di uno spazio vettoriale (che nelle applicazioni allanalisi una funzione) mediante elementi di
un particolare sottospazio (che nelle applicazioni sono funzioni di qualche tipo
particolarmente semplice). In dimensione innita, come abitualmente si in
analisi, lortogonalit da sola non basterebbe per a garantire il buon funzionamento di questo tipo di teoria: la validit della propriet di completezza (nel
senso degli spazi di Banach) essenziale a nch si possano dimostrare teoremi signicativamente simili a quelli che valgono in Rn . Da questa sintesi di
idee nasce il concetto di spazio di Hilbert, uno spazio di Banach in cui c un
prodotto scalare e quindi un concetto di ortogonalit. Lesempio pi naturale
di spazio di Hilbert utile in analisi, in un certo senso prototipo di tutti gli altri,
lo spazio L2 ( ) delle funzioni a quadrato sommabile in qualche dominio
di Rn . Perci la teoria degli spazi di Hilbert, pur essendo di per s una teoria
astratta che utilizza solo i concetti propri degli spazi vettoriali normati, nelle sue
applicazioni interessanti ha bisogno della teoria della misura e dellintegrazione
di Lebesgue. E una teoria che nasce quindi dallincontro tra gli sviluppi dellanalisi funzionale astratta con la teoria della misura moderna. A sua volta,
lapplicazione della teoria astratta degli spazi di Hilbert al contesto concreto
dello spazio L2 ( ) richiede, come vedremo, la conoscenza di particolari sistemi ortonormali completidi funzioni. Il sistema trigonometrico fsin nx; cos nxg
comunemente usato nellanalisi di Fourier il primo fondamentale esempio di
sistemi di questo tipo. A seconda del problema in esame (problemi di approssimazione di funzioni in analisi armonica, problemi ai limiti per equazioni differenziali ordinarie o alle derivate parziali), occorre a volte cercare altri tipi di
sistemi ortonormali completi di funzioni speciali, adattati in qualche senso al
problema in esame.
6.1
Denizione 6.1 Sia V uno spazio vettoriale sul campo K (= R o C). Si dice
che V uno spazio vettoriale dotato di prodotto interno, o di prodotto scalare, o
anche che V uno spazio pre-Hilbertiano, se (oltre alle due operazioni proprie
dello spazio vettoriale, cio la somma di vettori e il prodotto tra un vettore e
uno scalare) denita una (terza) operazione, che chiamiamo prodotto scalare
o prodotto interno,
(; ):V V !K
con le seguenti propriet:
1. lineare sulla prima componente:
( x + y; z) =
(x; z) + (y; z)
260
8x; y; z 2 V; ;
2 K;
8x; y 2 V
(z; x) + (z; y)
8x; y; z 2 V; ;
2C
0 8x 2 V e (x; x) = 0 () x = 0:
n
X
xj yj :
j=1
n
X
xj yj :
j=1
(x; y) =
aij xj yj
i;j=1
n
f (t) g (t)dt:
261
sottoinsieme
1
X
xj y j .
j=1
kxk =
(x; x)
si ottiene che k k una norma, che si dice norma del prodotto interno. Si
noti che la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz si riscrive quindi
j(x; y)j
(6.1)
( x + y; x + y) =
262
Dunque abbiamo
2
0 8 2 R,
sia
0,
da cui (6.1).
p
2. Ponendo kxk = (x; x) si ha, per la positivit del prodotto scalare, la
propriet di positivit della norma. Vale lomogeneit perch
p
p
p
2 (x; x) = j j
k xk = ( x; x) =
(x; x) = j j kxk :
kx + yk + kx
yk = (x + y; x + y) + (x y; x y)
= (x; x) + 2 (x; y) + (y; y) + (x; x)
2
2 (x; y) + 2 (y; y)
2
263
(f; f ) =
jf (t)j dt
Se un tale prodotto scalare esistesse, la norma L1 dovrebbe soddisfare luguaglianza del parallelogramma, cosa che non accade, come ora mostriamo. Consideriamo, in L1 [0; 2]:
f (t) = [0;1] (t) ; g (t) = [1;2] (t) :
Poich j(f
dt
= 4 + 4 = 8;
2 kf kL1 + kgkL1 = 2 (1 + 1) = 4
e luguaglianza non vale. Pertanto L1 non uno spazio pre-Hilbertiano.
Si pu dimostrare (v. Esercizio 6.21) che se V uno spazio vettoriale normato
la cui norma soddisfa luguaglianza del parallelogramma, allora il prodotto
i
1h
2
2
2
(x; y) =
kx + yk
kxk
kyk
2
eettivamente un prodotto scalare, che induce la norma k k. Di conseguenza
luguaglianza del parallelogramma caratterizza le norme degli spazi pre-hilbertiani.
Questo fa capire che tutta la geometria degli spazi con prodotto scalare scritta,
implicitamente, nella semplice uguaglianza del parallelogramma. Difatti, come
vedremo, questuguaglianza giocher un ruolo centrale nella dimostrazione di
un risultato fondamentale.
Una conseguenza della disuguaglianza di Cauchy-Schwarz che ci sar utile
talvolta la seguente:
Teorema 6.5 Sia V uno spazio vettoriale pre-hilbertiano. Allora il prodotto
1
1
scalare continuo, cio se x; y 2 V e fxn gn=1 ; fyn gn=1 V , si ha:
yn ! y =) (x; yn ) ! (x; y) ;
xn ! x; yn ! y =) (xn ; yn ) ! (x; y) :
Dimostrazione.
j(x; yn )
y)j
kxk kyn
yk ! 0 per yn ! y,
xj
j=1
n
X
j=1
kxj k :
j=1
i;j=1
i=1
n
X
(xj ; xj ) =
j=1
n
X
j=1
kxj k :
(x; s) + (y; s) =
0+
0 = 0:
Che sia chiuso segue dalla continuit del prodotto scalare (Teorema 6.5). Infatti
1
sia fxn gn=1
S ? tale che xn ! x 2 V; e proviamo che x 2 S ? . Infatti per
ogni s 2 S si ha
(x; s) = lim (xn ; s) = lim 0 = 0;
n!1
quindi x 2 S
eS
n!1
chiuso.
265
6.2
Spazi di Hilbert
xj
j=1
1
X
j=1
kxj k :
Dimostrazione. Possiamo anzitutto applicare il teorema di Pitagora in versione nita ad ogni somma parziale della serie, e scrivere
m
X
xj
j=n
m
X
j=n
kxj k :
(6.2)
P1
2
Poich la serie numerica j=1 kxj k converge, le sue somme parziali sono una
Pm
2
successione di Cauchy, quindi j=n kxj k ! 0 per n; m ! 1: Per luguaglianza
Pm
(6.2) le somme parziali di j=n xj sono allora una successione di Cauchy in H,
ed essendo lo spazio completo la serie converge. Dunque esiste x 2 H tale che
n
X
j=1
n
X
xj ! x; perci
2
2
xj
! kxk :
j=1
Daltro canto
Pn
j=1
xj
Pn
j=1
n
X
j=1
(6.3)
kxj k ; perci
2
kxj k ! kxk .
(6.4)
kxj k =
1
X
xj
j=1
267
Inoltre x
xm k = k(xn
x) + (x
x)
k(xn
xm )k
(x
xm )k + 2 kxn
xk + kx
xm k
xk ! d2 ;
kxn
k(xn
x)
(x
kx
xm k ! d2 ;
xm )k = kxn + xm
2xk = 4
xn + xm
2
x
xn +xm
2
4d2
2 V: Ne
n;m!1
xk ! kv
xk ! d;
xk e
xk = d per i = 1; 2
268
v2 k = k(v1
x) + (x
v2 )k
k(v1
x)
(x
v1 + v2
2
v2 )k + 2 kv1
xk + kx
v2 k
+ 2 d2 + d2
4d2 + 4d2 = 0
2
2
2 V ) v1 +v
x
d: Dunque kv1 v2 k = 0,
in quanto v1 ; v2 2 V ) v1 +v
2
2
ossia v1 = v2 :
Prima di dimostrare lultimo punto del teorema (ortogonalit di x v a V )
ragioniamo sul signicato geometrico di questa propriet, lasciandoci guidare
dallanalogia con il caso nito dimensionale. Se V un sottospazio (chiuso) di
H e x un elemento di H che non appartiene a V , dal punto di vista geometrico
chi sar lelemento v 2 V di minima distanza da x? Sar la proiezione ortogonale
di x su V . Questo signica appunto che x v ortogonale a tutti gli elementi
di V .
kwk
kx
(v + v)k = k(x
= (w
v; w
= kwk
v) = (w; w)
2 (v; w) +
kvk
da cui
2 (v; w)
Ponendo
v)
kvk
vk = kw
2 (v; w) +
vk
2
8 2 R:
t2 kvk
269
8t > 0;
(v; v)
v2 = v20
v10 :
6.3
Denizione 6.15 Un insieme nito fej gj=1 o numerabile fej gj=1 di elementi
di H si dice sistema ortonormale se
(ei ; ej ) =
0 se i 6= j
1 se i = j:
270
cj ej
j=1
cj ej
j=1
n
X
cj ej
j=1
n
X
j=1
jcj j :
(6.5)
cj ej = 0
j=1
jcj j = 0
u
kuk );
(u2 ; e1 ) e1 )
(u3 ; e1 ) e1
(u3 ; e2 ) e2 )
n
j=1
di V0 .
n
X1
(un ; ek ) ek
k=1
n
X
x; ej ej :
j=1
PV0 x; ek ) = (x; ek )
n
X
x; ej
ej ; ek = (x; ek )
(x; ek ) = 0:
j=1
Quindi la scrittura
x = PV0 x + (x
PV0 x)
272
e1 = vers (1) =
R1
0
e2 = vers (x (x; e1 ) e1 ) ;
Z 1
1
(x; 1) =
xdx = ;
2
0
!1=2 r
2
1
1
1
dx
=
= p ;
2
12
2 3
p
1
e2 = 2 3 x
;
2
e3 = vers x2
x2 ; 1 =
x2 ; e1 e1
x2 dx =
x2 ; e2 =
1
;
3
x2 ; e1 e1
x2 ; e2 e2
L2
0
Z
@
=
1
3
x2
1
x+
6
e3 = 6 5 x2
x+
x2 ; e2 e2 ;
p
1
3
dx =
;
2
6
p
3 p
2 3 x
6
p
x2 2 3 x
x2
= 1:
1=2
12 dx
1
6
!1=2
dx
=p
1
2
x+
1
6
273
1
2
!2
11=2
dxA
1
1
= p ;
180
6 5
Calcoliamo dunque:
Z 1
2
(f; e1 ) =
sin ( x) dx = ;
0
(f; e2 ) =
p
sin ( x) 2 3 x
1
2
(f; e3 ) =
p
sin ( x) 6 5 x2
1
x+
6
Perci
PV0 f =
=
60
p
2 5
12
3
2
12
x2
dx = 0;
dx =
p
6 5 x2
x +
12
p
2 5
2
3
x+
2
1
6
120
3
12
Teorema 6.17 (Disuguaglianza di Bessel) Se ej j=1 un sistema ortonormale in uno spazio di Hilbert H; per ogni x2 H vale la disuguaglianza (di
Bessel):
1
X
2
2
x; ej
kxk :
j=1
n
X
j=1
x; ej ej
= kxk
274
n
X
j=1
x; ej
(6.6)
x; ej
j=1
= kPV0 xk
kxk
PV0 x)
d, per lortogonalit,
2
kxk = kPV0 xk + kx
PV0 xk
e quindi
n
X
j=1
x; ej ej
= kx
PV0 xk = kxk
kPV0 xk = kxk
n
X
x; ej
j=1
8j
1
j=1
=) x = 0:
1
X
j=1
2. Loperatore
x
bj ej
1
F : x 7! fb
xj gj=1
detto trasformata di Fourier su H, lineare e continuo a valori nello spazio di
successioni `2 ; pi precisamente, F una isometria tra spazi di Hilbert, cio
biunivoca e conserva il prodotto scalare e la norma, ossia:
x; y =
1
X
j=1
x
bj ybj 8x; y 2 H (uguaglianza di Plancherel)
kxk =
1
X
j=1
jb
xj j
F : f 7! fb
1
fb(n) =
2
; ) ! `2
f (y) e
276
iny
dy con n 2 Z
(e che denisce i coe cienti che entrano nelle serie di Fourier) e non delloperatore
con
fb( ) =
F : L1 (R) ! C0 (R)
F : f 7! fb
f (y) e
i2
dy con
2 R.
1
X
ck ek ; ej
k=1
1
X
k=1
(x; ek ) ek ; ej = x
bj
277
1
X
k=1
x
bk ek ; ej
x
bj = 0:
Dunque essendo il prodotto scalare (6.7) nullo per ogni j, per la completezza
del sistema segue che
1
X
x
(x; ek ) ek = 0; ossia
k=1
x=
1
X
k=1
x
bk ek ,
j=1
e per lortonormalit
k=1 j=1
1
X
j=1
x
bk ybj :
6.4
Esercizi
Spazi di Hilbert
Esercizio 6.21 Sia X uno spazio vettoriale normato la cui norma soddisfa
luguaglianza del parallelogramma
2
kx + yk + kx
yk = 2 kxk + kyk
8x; y 2 X:
( u; v) =
1
(u; v) per n = 1; 2; 3; :::
n
(u; v) per ogni
2Q
2 R:
x2
279
1=2
2
f (x) dx
< 1:
1=2
+1
f (x) dx
< 1:
6.5
6.5.1
Possiamo ora rivisitare con pi consapevolezza alcuni concetti visti a suo tempo
nello studio delle serie di Fourier, inquadrandoli nel contesto naturale degli spazi
di Hilbert.
280
; ], il sistema trigonometrico
1 cos nx sin nx
p ; p ; p
per n = 1; 2; 3; :::
2
(6.9)
ortonormale completo.
Questo teorema completa quindi la dimostrazione del fatto, enunciato nel
3.5.1, che la serie di Fourier di una funzione L2 converge alla funzione stessa
in norma L2 , un fatto che gi stato usato varie volte. Ricordiamo che la
risoluzione di problemi ai limiti studiati nel 5 si basata sulla possibilit di
sviluppare in serie di Fourier una funzione L2 (o pi regolare). In un modo
o nellaltro, questi procedimenti sfruttavano tutti la completezza del sistema
trigonometrico.
Dimostrazione. Lortonormalit si verica elementarmente calcolando opportuni integrali (questo stato fatto in Analisi 2). Proviamo la completezza. Si
tratta di dimostrare che se f 2 L2 [ ; ] ortogonale a tutti gli elementi del
sistema trigonometrico (6.9) (il che come dire: se f ha i coe cienti di Fourier
tutti nulli) allora f uguale a zero quasi ovunque in [ ; ] (cio lelemento
nullo di L2 [ ; ]). La dimostrazione procede in due passi.
1. Prima si prova la tesi supponendo che f sia anche continua. Notiamo
anzitutto che se f ortogonale a tutti gli elementi del sistema trigonometrico,
per linearit ortogonale a tutte le combinazioni lineari nite di questi elementi,
ossia: per ogni polinomio trigonometrico p (x) si ha:
Z
f (x) p (x) dx = 0:
(6.10)
Mostriamo che sotto questipotesi f identicamente nulla. Per assurdo, non lo
sia, e sia ad esempio f (x0 ) > 0 (se < 0 il ragionamento analogo). Per il
teorema di permanenza del segno esiste un > 0 tale che
f (x0 )
8x 2 (x0
2
Consideriamo ora il polinomio trigonometrico
f (x) >
t (x) = 1 + cos (x
; x0 + ) :
x0 )
cos :
Si verica che
t (x) > 1 per jx
jt (x)j 1 per jx
x0 j <
x0 j
:
; ]\jx x0 j<
281
; ]\jx x0 j
ossia
f (x) t (x) dx =
; ]\jx x0 j
; ]\jx x0 j
; ]\jx x0 j
; ]\jx x0 j
jf (x)j dx;
Mostriamo invece che il secondo membro tende a 1 per n ! 1 (da cui lassurdo). Scegliamo un intervallo [a; b] contenuto nellinsieme [ ; ] \ jx x0 j < ;
su [a; b] la funzione t (x) avr minimo m > 1, perci
Z
Z
f (x0 )
n
n
t (x) dx
f (x) t (x) dx
2
[
; ]\jx x0 j<
[
; ]\jx x0 j<
Z
Z b
f (x0 ) b
f
(x
)
f (x0 )
0
n
t (x) dx
mn dx =
(b a) mn ! 1 per n ! 1:
2
2
2
a
a
Questo dimostra il teorema nel caso f continua.
2. Sia ora f 2 L2 [ ; ] tale che per ogni polinomio trigonometrico p (x)
vale (6.10). Deniamo
Z
x
F (x) =
f (t) dt:
Per il Teorema fondamentale del calcolo integrale per lintegrale di Lebesgue (di
cui non abbiamo parlato in precedenza) la funzione F risulta essere continua,
derivabile quasi ovunque, con F 0 (x) = f (x) quasi ovunque; inoltre, un integrale
Rb
F g 0 si pu calcolare per parti, se g 2 C 1 (a; b). Calcoliamo allora i coe cienti
a
di Fourier di F .
Z
Z
sin (nx)
sin (nx)
F (x)
f (x) dx = 0
F (x) cos (nx) dx =
n
n
perch il primo addendo nullo in quanto sin ( n ) = 0; il secondo nullo
perch f ha coe cienti di Fourier nulli.
Z
Z
cos (nx)
cos (nx)
F (x) sin (nx) dx =
+
F (x)
f (x) dx =
n
n
poich f ha coe cienti di Fourier nulli
=
perch: F (
cos (n )
cos (n )
F ( )+
F(
n
n
)=0
a0 X
+
(an cos nx + bn sin nx)
2
n=1
converge ad f in L2 [ ; ] : Esplicitamente, questo signica che:
"
#2
Z
n
a0 X
f (x)
+
(ak cos kx + bk sin kx)
dx ! 0 per n ! 1:
2
k=1
Naturalmente serie e coe cienti di Fourier si possono adattare ad un intervallo [a; b] qualsiasi (v. [An2, Cap. 7, 3.4]).
La teoria degli spazi di Hilbert fornisce un risultato semplice e generale sulla
convergenza delle serie di Fourier in L2 . Naturalmente anche interessante
sapere se la serie di Fourier converge puntualmente (cosa che non segue dalla
convergenza in L2 ). In realt, il problema della convergenza puntuale il primo
che si posto, storicamente, col sorgere stesso della teoria delle serie di Fourier
(1822, Fourier, trattato Teoria analitica del calore). Il primo studio rigoroso
sulla convergenza puntuale delle serie di Fourier dovuto a Dirichlet nel 1829.
Si tratta di un problema fondamentale per lanalisi armonica, di cui abbiamo
detto qualcosa nei richiami del 3.5. Per qualche dettaglio sullo studio della
convergenza puntuale delle serie di Fourier si rimanda a [An2, Cap. 7, 3.6] o a
[Fo, Chap.8, 8.5].
283
6.5.2
; ]:
2
; ]
; ]
; ] ; perch
jgm (x)j dx =
f (x; y) em (y) dy dx
per quasi ogni x ssato la funzione y 7! f (x; y) ha tutti i coe cienti di Fourier
nulli rispetto al sistema fem (y)g ; dunque per q.o. x e per q.o. y f (x; y) = 0.
Questo prova la completezza del sistema.
La scrittura esplicita del sistema trigonometrico in due variabili resa complicata dal fatto che occorre moltiplicare ognuna delle tre funzioni
1 cos nx sin nx
p ; p ; p
2
per ognuna delle tre funzioni
1 cos my sin my
p ; p ; p ;
2
mentre viene molto pi semplice usando la scrittura complessa
einx
p
2
n2Z
1
2
(2 )
:
n;m2Z
; ]
f (x; y) e
i(nx+my)
dxdy per n; m 2 Z
e si ha quindi
f (x; y) =
+1
X
n;m= 1
fbn;m ei(nx+my)
2
allora risulta
kf
sN kL2 ([
; ]2 )
! 0 per N ! +1:
Una delle possibili applicazioni delle serie di Fourier in due variabili alla
compressione delle immagini. Unimmagine in scala di grigi si pu vedere come
una funzione f (x; y) denita in un rettangolo a valori in [0; 1], dove il valore
f (x; y) rappresenta lintensit di grigio nel punto (pixel) (x; y), quindi f = 0
285
vuol dire punto bianco e f = 1 punto nero. Una somma di Fourier parziale
di f immagazzina (in modo approssimato) linformazione dellimmagine in un
numero limitato di coe cienti di Fourier.
Tutto questo si generalizza a funzioni di n variabili in modo naturale:
n
se f 2 L2 ([ ; ] ) possiamo denire, per ogni k = (k1 ; k2 ; :::; kn ) 2 Zn i
coe cienti di Fourier
Z
b
fk =
f (y) e ik y dy
[
ossia, esplicitamente,
Z
b
f(k1 ;k2 ;:::;kn ) =
; ]n
; ]n
f (y1 ; :::; yn ) e
k1 ;k2 ;:::;kn = 1
dy1 :::dyn :
1 a +1)
risulta
ksN
6.6
f kL2 ([
; ]n )
! 0 per N ! 1:
come si dice, fare una analisi multirisoluzione. Sistemi di questo tipo sono le
wavelets. Ce ne sono di molti tipi, presentiamo qui il pi semplice. Rimandiamo
a [HN, 7.6] per qualche dettaglio in pi su quanto spiegato qui di seguito, e a
[BN] per una trattazione pi approfondita.
Ci mettiamo ora nellintervallo [0; 1]. Deniamo la funzione madre
8
per 0 x < 12
< 1
1 per 12 x < 1
(x) =
:
0
altrimenti
k) per k = 0; 1; 2; :::; 2n
1; n = 0; 1; 2; 3; :::
287
n;k
di
n;k
E facile rendersi conto che il prodotto tra due funzioni diverse tra le n;k o
identicamente nullo oppure una delle due moltiplicata per una costante;
perci queste funzioni sono anche a due a due ortogonali. Poich tutte queste
funzioni hanno media nulla, se vogliamo sperare di avere un sistema ortonormale
completo necessario aggiungere almeno una funzione che non abbia media
nulla: la costante 1 va bene. Vale il seguente
Teorema 6.31 Il sistema di funzioni
f1;
fbn;k =
f (x)
n;k
288
1;
allora la serie
fb0 +
1 2X1
X
n=0 k=0
fbn;k
n;k
(x)
Poich le n;k ; e quindi ogni loro somma parziale, una funzione discontinua,
ci aspettiamo che questo tipo di serie possa approssimare bene anche funzioni
con discontinuit; laltra faccia della medaglia che la somma parziale sar
sempre discontinua, anche quando la funzione da approssimare continua. Soprattutto per il pregio di questa approssimazione la sua localizzabilit: ogni
n;k diversa da zero solo su un intervallino, perci scegliendo opportunamente
i termini n;k possiamo aumentare il dettaglio dellapprossimazione di f in un
tratto specico dellintervallo [0; 1].
Esempio 6.33 Sia
f (x) =
per x 2 0; 14
per x 2 ( 14 ; 1]:
1 x2
log x
fb0 +
3 2X1
X
n=0 k=0
fbn;k
n;k
(x)
a0 X
+
(an cos (2 nx) + bn sin (2 nx))
2
n=0
289
290
7.1
p (x) du
q (x) u +
dx
u (a) = u (b) = 0
(7.1)
291
0 per n 6= m
1 per n = m:
(pu0 ) u
qu2 +
Z
i
u2 dx = 0
u2 dx =
(pu0 ) udx +
qu2 dx
Rb
a
Rb
2
p (u0 ) dx + a qu2 dx
>0
Rb
u2 dx
a
(pu0 )
0
(pv 0 )
qu +
qv +
u=0
v = 0:
(pu0 ) v
(pv 0 ) u + (
) uv = 0 in (a; b) ;
292
da cui
(
uv dx =
= [pv 0 u
pu0 v]a
(pv 0 ) u
i
0
(pu0 ) v dx =
[pu0 v 0
pv 0 u0 ] dx = 0
6=
si ha
Rb
a
x2 y 00
2xy 0 + y = 0
per x 2 ( 1; 1)
(7.2)
x2 y 0
+ y = 0.
Teorema 7.3 Lequazione di Legendre ha soluzioni C 2 [ 1; 1] solo in corrispondenza di una successione di autovalori n = n (n + 1) per n = 0; 1; 2; 3; :::; detta
Pn (x) lautofunzione corrispondente a n , normalizzata in L2 [ 1; 1], si ha che:
Pn (x) un polinomio di grado n;
1
il sistema fPn (x)gn=0 ortonormale completo in L2 ( 1; 1).
Dimostrazione. Cerchiamo soluzioni dellequazione in forma di serie di potenze (metodo di Frobenius):
y (x) =
y 0 (x) =
y 00 (x) =
1
X
n=0
1
X
n=1
1
X
cn xn
ncn xn
1) cn xn
n (n
n=2
e sostituiamo nellequazione:
0 = 1 x2 y 00 2xy 0 + y
1
1
X
X
n 2
=
n (n 1) cn x
n (n
=
n=2
1
X
1) cn x
n=2
(n + 2) (n + 1) cn+2 xn
1
X
ncn x +
n=1
1
X
n (n
1) cn xn
cn xn
n=0
1
X
ncn xn +
n=1
n=2
n=0
1
X
1
X
cn xn :
n=0
(n + 2) (n + 1) cn+2
ossia
cn+2 =
n (n
2c2 + c0 = 0
6c3 2c1 + c1 = 0
1) cn 2ncn + cn = 0
[n (n + 1)
]
cn per n = 0; 1; 2; :::
(n + 2) (n + 1)
(7.3)
leggiamo due cose: le serie di potenze hanno raggio 1, quindi in eetti si scritto
lintegrale generale in ( 1; 1); daltro canto per x ! 1 in generale sar y (x)
illimitata.
Il nostro problema agli autovalori, invece, per sua natura ci richiede di determinare soluzioni che siano regolari in tutto [ 1; 1] (come vedremo, questo
quello che serve quando lequazione di Legendre nasce nel risolvere un problema
dierenziale pi complesso). Osservando ancora la formula (7.3) che assegna
i coe cienti si vede che la serie termina se = n (n + 1). In questo caso si
trova una sola soluzione limitata, polinomio di grado n: il polinomio di Legendre Pn (x). Si pu dimostrare che, se la serie non termina, la funzione y (x)
eettivamente risulta illimitata (e quindi non accettabile come soluzione) per
x ! 1.
Abbiamo cos determinato autovalori e autosoluzioni; lortogonalit segue
dalla dimostrazione generale gi fatta per un problema di Sturm-Liouville regolare. La completezza segue dal seguente argomento. E noto che lo spazio
dei polinomi denso nello spazio C 0 [ 1; 1] (teorema di Stone-Weierstrass);
anche noto che lo spazio C 0 [ 1; 1] denso in L2 [ 1; 1]; ne segue che lo spazio
dei polinomi denso in L2 [ 1; 1]; dunque ogni funzione L2 [ 1; 1] pu essere
approssimato bene quanto vogliamo mediante polinomi, e quindi combinazioni
lineari di polinomi di Legendre. Perci il sistema dei polinomi di Legendre
completo.
Sappiamo dunque che:
1
I polinomi di Legendre, come molte altre funzioni speciali, si trovano implementati in software di calcolo scientico oltre che riportati e tabulati su molti
testi.
Di seguito i graci dei primi 6 polinomi Pn (x) (n = 0; 1; 2; 3; 4; 5). Si noti
che Pn (x) ha n zeri in [ 1; 1].
f (y) Pn (y) dy
1
296
1
X
cn Pn (x) :
n=0
P4
n=0 cn Pn
(x) il seguente:
t2
297
m=2
dove P [m] (t) indica la derivata m-esima di P (t), risolve lequazione (7.8) per
quellintero m = 1; 2; :::
Si dimostra poi che le uniche soluzioni di (7.8) limitate in ( 1; 1) sono quelle
costruite in questo modo e che provengono da soluzioni P (t) dellequazione di
Legendre limitate in ( 1; 1). Ma allora:
si parte dal polinomio di Legendre Pn (t) che risolve (7.8) con m = 0 e
= n (n + 1);
si calcola P [m] (t), e per trovare una funzione non identicamente nulla
necessario che sia m = 1; 2; :::; n;
si costruiscono quindi le funzioni
Pnm (t) = 1
t2
m=2
(per m = 0 possiamo porre Pn0 (t) = Pn (t)) che risolve (7.8) per
e il corrispondente m.
= n (n + 1)
fPnm (t)gm=n
sono un sistema ortogonale in L2 ( 1; 1). I coe cienti di normalizzazione
valgono:
Z 1
(n + m)!
2
jPnm (t)j dt =
per m n.
(n m)!
1
Normalizzate, sono un sistema ortonormale completo in L2 ( 1; 1).
2. Equazione di Laguerre
Elequazione
xy 00 + (1
x 0 0
+ e
Questequazione, ed una simile ma pi generale di questa che discuteremo brevemente in seguito, si incontra per esempio nella risoluzione dellequazione di
298
Schrdinger per latomo di idrogeno, come si illustrer in un paragrafo successivo. Si tratta di un problema di Sturm-Liouville su (0; +1) con p (x) =
(xe x ) ; q (x) = 0; (x) = e x . Il problema reso singolare dal fatto che lequazione non su un segmento ma su una semiretta e il coe ciente p (x) si
annulla in 0 e a +1. La funzione peso e x , quindi lo spazio di Hilbert da
considerare L2 ((0; +1) ; e x dx). Anche in questo caso non occorre imporre
condizioni agli estremi per ottenere lortogonalit di autofunzioni relative ad
autovalori diversi. Si dimostra il seguente teorema:
Teorema 7.8 Lequazione di Laguerre ha soluzioni in L2 ((0; +1) ; e x dx) (cio:
che allinnito non vanno +1 troppo rapidamente) solo in corrispondenza di
una successione di autovalori n = n per n = 0; 1; 2; 3; ::: La soluzione Ln (x)
dellequazione di Laguerre corrispondente a n = n un polinomio di grado n;
1
il sistema fLn (x)gn=0 ortonormale completo in L2 ((0; +1) ; e x dx).
Dimostrazione (traccia). La tecnica della dimostrazione, nella sua parte
costruttiva, simile a quella vista per lequazione di Legendre: si cerca una
soluzione per serie, si ottiene una legge ricorsiva sui coe cienti, in questo caso:
cn+1 =
Poich
2 cn :
(n + 1)
cn+1
cn
1
! 0;
n
xe
con
L0n (x) + ne
+1
Ln (x) Lm (x) e
dx =
1 se n = m
0 se n 6= m.
Anche in questo caso possibile scrivere i primi polinomi di Laguerre ortonormalizzando le funzioni 1; x; x2 ; x3 ; ::: nello spazio L2 ((0; +1) ; e x dx). Si
299
trova:
L0 (x) = 1
L1 (x) = 1
x;
L2 (x) = 1
2x +
x2
;
2
3
3x + x2
2
L3 (x) = 1
x3
;
6
:::
Si dimostra anche la seguente formula esplicita:
Ln (x) =
ex dn
e
n! dxn
x n
+1
f (x) Ln (x) e
dx
1
X
cn Ln (x)
n=0
Si rietta sul fatto che quando una funzione f viene approssimata in L2 ((0; +1) ; e
con la somma parziale Sn della sua serie di polinomi di Laguerre, ci che viene
reso piccolo lintegrale:
Z +1
2
jf (x) Sn (x)j e x dx
0
perci dal punto di vista visivo meglio confrontare il graco di f (x) e x=2 con
quello di Sn (x) e x=2 (il quadrato di questa dierenza piccola). Le funzioni
(non polinomiali)
Ln (x) e x=2
si dicono funzioni di Laguerre. I loro graci per i primi valori di n sono i seguenti.
300
dx)
x) y 0 + y = 0
L (xf ) =
(Lf ) :
Perci
0
s2 Y
y 0 (0) + (sY
sy (0)
s2 Y 0
(L (y 00 )) + L (y 0 ) + (L (y 0 )) + Ly = 0
0
y (0)) + (sY
y (0)) + Y = 0
y (0) + sY 0 + Y + Y = 0
2sY + y (0) + sY
s2 Y 0 (s) + (1
s + ) Y (s) = 0
log (s
1)
(1 + )
s
(1 + ) log s = log
ds
(s 1)
s +1
(s 1)
:
s +1
(s 1)
Yn (s) =
=
sn+1
Pn
k=0
n
k
( 1) sn
k
sn+1
n
X
k=0
n!
sn+1 ;
Yn (s) = L
da cui
yn (t) =
n
X
n
k
k=0
n
X
k=0
n
k
302
tk
( 1)
k!
k
( 1)
tk
;
k!
n
k
( 1) s
k 1
ex dn
e
n! dxn
x n
(s 1)
;
sn+1
Yn (s) =
L (xn ) (s) =
quindi per la regola del s-shift
L e
x n
(s) =
n!
n+1 ;
(s + 1)
x n
si ha
dn
e
dxn
x n
(s) = sn
n!
sn
n+1
(s + 1)
n!
= sn
n+1
(s + 1)
sn
f (0)
2 0
f (0)
:::
sf (n
2)
(0)
ex dn
e
n! dxn
x n
(s) =
1
(s
n!
n!
1)
(s + 1
n+1
1)
(s 1)
= Yn (s) ;
sn+1
e la tesi dimostrata.
2b. Equazione di Laguerre associata
Si dice equazione di Laguerre associata lequazione (per qualche
xy 00 + ( + 1
> 0)
f (n
1)
(0)
+1
x 0 0
+ x e
+1
(x) = x e
dx) :
Teorema 7.10 Gli autovalori dellequazione di Laguerre associata sono gli stessi che per lequazione di Laguerre, = n con n = 0; 1; 2; ::: Per ogni n, se Ln (x)
il polinomio di Laguerre che soddisfa lequazione
xy 00 + (1
allora
ex dn
x
n! dxn
soddisfa lequazione di Laguerre associata
L(n ) (x) =
xy 00 + ( + 1
+n
( )
( )
Ln
x2 0
+ e
x2
y=0
2
304
x2
dx).
x2
dx .
x2
Hn0 (x)
+ 2ne
+1
Hn (x) Hm (x) e
x2
x2
dx =
Hn (x) = 0
1 se n = m
0 se n 6= m.
1
1=4
1=4
x;
2 + 4x2
p
;
2 2 1=4
12x + 8x3
p
H3 (x) =
;
4 3 1=4
:::
H2 (x) =
305
n
2 d
( 1)
Hn (x) = pp
ex
e
dxn
2n n!
x2
x2
cn =
+1
x2
f (x) Hn (x) e
dx
1
X
cn Hn (x)
n=0
2
jf (x)
Sn (x)j e
x2
dx
perci dal punto di vista visivo meglio confrontare il graco di f (x) e x =2 con
2
quello di Sn (x) e x =2 (il quadrato di questa dierenza piccola). Le funzioni
(non polinomiali)
2
Hn (x) e x =2
si dicono funzioni di Hermite. I loro graci per i primi valori di n sono i seguenti.
306
Esempio 7.12 Sia f (x) = ex sin x. Calcoliamo la somma parziale Sn (x) per
n = 5 della serie di f (x) in polinomi di Hermite. Il ra ronto tra i graci di
2
2
f (x) e x =2 e Sn (x) e x =2 il seguente:
307
7.2
Esercizi
Pn (x) =
2n n!
1
2
dn
x2
dxn
Esercizio 7.14 Dimostrare lortogonalit delle autosoluzioni relative ad autovalori distinti per lequazione di Laguerre:
xe
x 0 0
+ e
Esercizio 7.15 Risolvere il seguente problema di Sturm-Liouville regolare, determinando autovalori e autofunzioni:
0
3
2x
+ 52 x3 :
2 che meglio
x2
2 ;
L1 (x) = 1
:::
x;
308
+1
ex=4 e
dx =
0
+1
+1
4
e
3
dx =
ex=4 xe
dx =
+1
3x=4
xe
+1
ex=4 x2 e
dx =
4
3
dx =
+1
=0+
8
3
=
0
4
3
+1
3x=4
3x=4
4 2
x e
3
dx =
+1
3x=4
xe
dx =
+1
16
9
x2 e
+1
3x=4
4
xe
3
=0+
Z
3x=4
+1
3x=4
+1
8 16
:
3 9
4
e
3
3x=4
4
2xe
3
Quindi:
hf; L0 i =
hf; L1 i =
hf; L2 i =
=
4
3
Z
+1
3x=4
dx
+1
xe
3x=4
dx =
+1
3x=4
4
3
dx
4
3
+1
xe
3x=4
dx +
1
2
16 1 8 16
4
=
+
9
2 3 9
27
16
=
9
+1
x2 e
e la proiezione richiesta :
P f (x) = hf; L0 i L0 + hf; L1 i L1 + hf; L2 i L2
4
4
(1 x) +
1
9
27
4 4
4
4
+x
=
+
3 9 27
9
28
4
2 2
=
+ x+ x :
27 27
27
=
4
3
309
2x +
x2
2
8
27
4
9
2 2
x
27
3x=4
dx
dx
3x=4
dx
Graco di f (x) e
7.3
x=2
e P f (x) e
x=2
sin #
@u
@#
1
@2u
=0
2 sin2 # @'
u
2
+2
@u
1 @
+
@
sin # @#
sin #
310
@u
@#
) nella forma
1 @2u
= 0;
sin2 # @'
1 @
sin # @#
sin #
@
@#
1 @2
:
sin2 # @'
Si ha:
2
2
R ( )+2 R ( )
=
R( )
(#;') S
(#; ') = 0
R00 ( ) + 2 R0 ( )
=
R( )
si ha
(#;') S
(#; ')
:
S (#; ')
R00 + 2 R0
R=0
(7.4)
(#; ') =
S (#; ')
(#)
(')
quindi
1
1
0
(#) 00 (') =
(sin # 0 (#)) (') +
sin #
sin2 #
sin # (sin # 00 (#) + cos # 0 (#))
+ sin2 # =
(#)
(#)
(')
00
(')
(')
00
(#) + cos #
(#)
(#))
+ sin2 # =
La seconda equazione d
00
(') =
311
(')
00
(')
:
(')
= m2 per
00
(#) + cos #
(#) +
sin #
m2
sin #
(7.5)
(#) =
sin #P 0 (cos #)
cos #P 0 (cos #)
cos #P 0 (cos #) +
m2
P (cos #) = 0
sin #
m2
P (cos #) = 0
sin3 #P 00 (cos #) 2 sin # cos #P 0 (cos #) +
sin #
sin #
m2
sin2 #P 00 (cos #) 2 cos #P 0 (cos #) +
P (cos #) = 0
sin2 #
m2
1 t2 P 00 (t) 2tP (t) +
P (t) = 0:
1 t2
+ cos # [ sin #P 0 (cos #)] +
sin #
312
7.3.1
(#)
(#) = Pn (cos #) :
Cerchiamo R ( ) =
2
R00 + 2 R0
= n (n + 1):
n (n + 1) R = 0:
1)
+2
(
n (n + 1)
=0
1) + 2
n (n + 1) = 0
( + 1) n (n + 1) = 0
= n;
(n + 1)
che d soluzioni
R( ) =
;R( ) =
(n+1)
per n = 0; 1; 2; 3:::
Escludendo le soluzioni R ( ) = (n+1) illimitate nellorigine si ottengono in denitiva le seguenti soluzioni regolari a variabili separate dellequazione di Laplace
indipendente dalla longitudine:
un ( ; #) = cn
Si tratta ora, al solito, di formare una soluzione data da una serie innita di
queste soluzioni e cercare di imporre il dato al bordo scegliendo opportunamente
i coe cienti:
u ( ; #) =
u (r; #) =
1
X
n=0
1
X
n=0
cn
Pn (cos #)
0
1
X
Cn Pn (cos #) =
n=0
1
X
cn rn Pn (cos #) per cn =
n=0
(7.7)
Cn
.
rn
1
X
n=0
Cn
7.3.2
Abbiamo trattato nora lequazione di Laplace in coordinate sferiche supponendo per semplicit che la soluzione non dipenda dalla longitudine. Nel caso
generale lintegrazione del problema agli autovalori porta ad un sistema a due
indici di autofunzioni, dette funzioni di Legendre, e imparentate con i polinomi
di Legendre.
Ricordiamo che in questo caso fobbiamo risolvere per ogni intero m =
1; 2; 3; ::: assegnato il problema agli autovalori
1
t2 P 00 (t)
t2
= 0 t 2 ( 1; 1) ;
(7.8)
t2
m=2
P [m] (t)
dove P [m] (t) indica la derivata m-esima di P (t), risolve lequazione (7.8) per
quellintero m = 1; 2; :::
Si dimostra poi che le uniche soluzioni di (7.8) limitate in ( 1; 1) sono quelle
costruite in questo modo e che provengono da soluzioni P (t) dellequazione di
Legendre limitate in ( 1; 1). Ma allora:
si parte dal polinomio di Legendre Pn (t) che risolve (7.8) con m = 0 e
= n (n + 1);
si calcola P [m] (t), e per trovare una funzione non identicamente nulla
necessario che sia m = 1; 2; :::; n;
315
t2
m=2
(per m = 0 possiamo porre Pn0 (t) = Pn (t)) che risolve (7.8) per
e il corrispondente m.
= n (n + 1)
fPnm (t)gm=n
sono un sistema ortogonale in L2 ( 1; 1). I coe cienti di normalizzazione
valgono:
Z 1
(n + m)!
2
jPnm (t)j dt =
per m n.
(n m)!
1
Normalizzate, sono un sistema ortonormale completo in L2 ( 1; 1).
Quindi per ogni m = 0; 1; 2; :::: ssato, le funzioni (normalizzate)
1
Pn (cos #)
Pnm (cos #) cos (m') per m = 1; 2; :::; n
n m
Pn (cos #) sin (m') per m = 1; 2; :::; n
n
e m = 0; 1; 2; :::
Il fatto che
(r
)1
m=1
un s.o.n.c. in
L2 ((0; )
1
a0 (#) X
+
fam (#) cos (m') + bm (#) sin (m')g
2
m=1
ora sviluppiamo
a0 (#)
am (#) e bm (#)
rispetto al s.o.n.c.
rispetto al s.o.n.c.
e otteniamo cos
f (#; ') =
+
1
X
m=1
1
1X
an Pn (cos #)
2 n=0
1
X
n=m
am;n Pnm
1
X
bm;n Pnm
n=m
Quindi calcoliamo:
1
P00 (t) = P0 (t) = p
2
r
3
t
P10 (t) = P1 (t) =
2
P11
P20
P21
P22
(t) = 1
1
(t) = P2 (t) =
2
(t) = 1
(t) = 1
P30
2 1=2
2 1=2
2 2=2
P10
5
3t2
2
P20
P200
P32 (t) = 1
P33 (t) = 1
3
t
2
!0
3
1
2
t2
1=2
(t) = 1
(t) = 1
r
2 1=2
1
2
1
2
r
5
3t2
2
5
3t2
2
!0
!00
=3
5
3t 1
2
5
1
2
t2
1=2
t2
3
5
t + t3
2
2
r
3 15 2
7
1=2 0
1=2
t2
P3 (t) =
1 t2
+ t
2
2
2
r
7
2=2 00
1 t2 15t
t2
P3 (t) =
2
r
7
3=2
2 3=2 000
t
P3 (t) =
15 1 t2
2
(t) = P3 (t) =
P31 (t) = 1
(t) = 1
2 1=2
7
2
t2
m=2
= (sin #) :
Pn (cos #)
Pnm (cos #) cos (m') per m = 1; 2; :::; n
n m
Pn (cos #) sin (m') per m = 1; 2; :::; n
n
318
P30
P31
(t) =
(t) =
r
r
r
7
2
3
5
cos # + cos3 #
2
2
7
sin #
2
3 15
+
cos2 #
2
2
7
15 sin2 # cos #
2
r
7
3
15 sin3 #
P3 (t) =
2
P32
(t) =
319
Pn (cos #)
Pnm (cos #) cos (m') per m = 1; 2; :::; n
n m
Pn (cos #) sin (m') per m = 1; 2; :::; n
n
1
P00 (cos #) = p
2
r
r
3
3
0
P1 (cos #) =
cos # =
z
2
2
r
r
3
3
1
P1 (cos #) cos ' =
sin # cos ' =
x
2
2
r
r
3
3
sin # sin ' =
y
P11 (cos #) sin ' =
2
2
r
1 5
(cos #) =
2 2
r
5
2 1
P2 (cos #) cos ' =
3
2
r
5
2 1
P2 (cos #) sin ' =
3
2
r
5
2 2
P2 (cos #) cos 2' = 3
2
r
5
2 2
P2 (cos #) sin 2' = 3
2
2
P20
3 cos #
1
1 =
2
5
2z 2 x2
2
r
5
2
cos # sin # cos ' = 3
xz
2
r
5
2
cos # sin # sin ' = 3
yz
2
r
5 2
2
sin2 # cos 2' = 3
x
y2
2
r
5
2
2
sin # sin 2' = 6
xy
2
2
y2
7
15
2
r
7
3 2
P3 (t) sin 2' =
15
2
r
7
3 3
P3 (t) cos 3' =
15
2
r
7
3 3
P3 (t) sin 3' =
15
2
3
7.3.3
P32
Arriviamo ora in fondo al percorso logico con cui siamo partiti e mostriamo
come mediante le armoniche sferiche si possa scrivere la soluzione del problema
di Dirichlet per il laplaciano sulla sfera.
Al solito, per imporre la condizione al bordo consideriamo una generica serie
delle soluzioni a variabili separate, e poi cerchiamo di determinare i coe cienti
a nch questa assuma il dato al bordo. Sia:
1
1X
an n Pn (cos #)
2 n=0
( 1
!
1
X
X
n m
+
am;n Pn (cos #) cos (m')
u ( ; #; ') =
m=1
1
X
n=m
bm;n
Pnm
n=m
Imponendo la condizione
u (r; #; ') = f (#; ')
si trova
f (#; ') =
(
1
1X
an rn Pn (cos #)
2 n=0
1
X
m=1
1
X
1
X
am;n r
n=m
bm;n r
Pnm
Pnm
n=m
321
da cui, sviluppando
1
1X
f (#; ') =
An Pn (cos #)
2 n=0
!
( 1
1
X
X
m
Am;n Pn (cos #) cos (m') +
+
n=m
m=1
1
X
Bm;n Pnm
n=m
con
An =
Am;n =
Bm;n =
(n m)! 1
(n + m)!
(n m)! 1
(n + m)!
1
1X
An
2 n=0
r
(
1
1
X
X
m=1
n=m
Pn (cos #)
n
Am;n
Pnm
1
X
n=m
Bm;n
Pnm
')
322
1
=
4 r2
che signica: il valore di una funzione armonica nel centro di una sfera uguale
alla media integrale dei valori del dato sul bordo della sfera. Con ragionamenti
analoghi a quelli visti nel caso bidimensionale, da questo fatto si deduce anche
nel caso tridimensionale la formula di media per le funzioni armoniche: una
funzione armonica in un dominio tridimensionale, in ogni punto ha come valore
la media integrale dei valori assunti su una qualsiasi sferetta centrata in quel
punto e contenuta nel dominio. La propriet vera sia facendo medie integrali
su sfere piene, sia facendo medie integrali su superci sferiche.
7.4
In meccanica quantistica una particella di massa m in moto lungo una retta descritta da una funzione di stato (x; t), nota la quale si pu calcolare
la probabilit che la particella si trovi allistante t nellintervallo (a; b) come
lintegrale
Z b
2
j (x; t)j dx:
a
@
(x; t) =
@t
(dove ~ = h=2
separate:
~2 @ 2
(x; t) + V (x)
2m @x2
(x; t) per x 2 R; t 2 R
T0
=
T
~2 00
X T + V (x) XT
2m
~2 X 00
+ V (x)
2m X
323
da cui devessere
i~
T0
= E = cost.
T
~2 X 00
+ V (x) = E = cost.
2m X
per qualche costante E 2 R; che dimensionalmente ha il signicato di energia.
Lequazione in T si risolve direttamente
T (t) = ce
iE
~ t
2m
(E
~2
V (x)) X = 0 in R.
1
m! 2 x2 :
2
2m
E
~2
m2 ! 2 2
x X (x) = 0:
~2
(7.9)
Z 00 ( x) +
2m
E
~2
m2 ! 2 2
x Z ( x) = 0:
~2
2m
E
~2
m2 ! 2 2
y Z (y) = 0:
2 ~2
Poniamo x = y e abbiamo
2
Z 00 (y) +
324
m2 ! 2
2 ~2
m2 ! 2
=
2
r~
m!
=
:
~
=
Perci
X (x) = Z
m!
x
~
2m
E
~2
Z 00 (y) +
m! 2
y Z (y) = 0
~
2
E
!~
y 2 Z (y) = 0:
(7.10)
Z (y) = e
Z 0 (y) = e
y2
2
Z 00 (t) = e
y2
2
y2 Y
Y (y) :
y2
2
2yY 0
( yY + Y 0 )
y2 Y
yY 0
yY 0 + Y 00
2
E y2 Y = 0
!~
2
2yY 0 +
E 1 Y = 0:
!~
Y + Y 00 +
Y 00
(7.11)
y2
jY (y)j dy < 1:
325
dellequazione
Abbiamo visto (Teorema 7.11) che questa condizione pu essere soddisfatta solo
per = 2n e Y (y) = Hn (y) ; n-esimo polinomio di Hermite. Questo signica
che i possibili valori dellenergia sono:
2
E
!~
1 = 2n
En =
n+
1
2
!~ con n = 0; 1; 2; 3; :::
y2
2
Hn (y) ;
m!x2
2~
Hn
m!
x :
~
r
4
m!
e
~
m!x2
2~
Hn
m!
x
~
per n = 0; 1; 2; :::
Si trova quindi che loscillatore possiede una successione di possibili livelli energetici En e corrispondenti stati stazionari Xn (x), che vanno dallo stato fondamentale n = 0;
r
!~
m! m!x2
E0 =
; X0 (x) = 4
e 2~
2
~
ai successivi stati eccitati per n
1, ad esempio
p
3
2 m! 3=4
E1 = !~; X1 (x) = 1=4
xe
2
~
m!x2
2~
:
2
Esignicativo osservare anche i graci delle funzioni jXn (x)j , che rappresentano le densit di probabilit del sistema nei vari stati stazionari:
326
Einteressante osservare queste densit di probabilit tenendo presente lequazione che gli stati Xn risolvono:
Xn00 +
2m
~2
En
1
m! 2 x2 Xn = 0 in R.
2
1
m! 2 x2
2
jxj
0, cio
r
2En
=
m! 2
2 n + 12 !~
=
m! 2
(2n + 1) ~
m!
si dicono limiti classici del sistema. Nel caso quantistico, tuttavia, ssato un
livello energetico En , nessuno impedisce che la quantit En 12 m! 2 x2 diventi
negativa. Il graco della densit di probabilit si estende oltre tali limiti, a
signicare che loscillatore armonico quantistico pu superare i limiti classici.
Le prossime gure mostrano i graci delle densit di probabilit dei primi
1
2 2
4 stati (n = 0; 1; 2; 3), con sovrapposta la parabola y = En
2 m! x le cui
intersezioni con lasse x segnano i limiti classici. Larea in grigio sotto la curva
della densit probabilit indica la probabilit che il sistema si trovi in uno stato
327
classicamente proibito.
cn =
1
X
cn
n=0
Z +1
1
r
m! m!x2
m!
e 2~ Hn
x , quindi
~
~
r
r
m! m!z2
m!
2~ H
(z)
e
z dz:
n
0
~
~
328
7.5
(7.13)
Problemi analoghi si possono considerare per lequazione delle onde in due o tre
variabili. In due variabili lequazione rappresenta le vibrazioni di una membrana
elastica, mentre in tre variabili potrebbe rappresentare le vibrazioni sonore nellaria, o simili. Stando, per ssare le idee, sullinterpretazione bidimensionale
come membrana vibrante, se la membrana ssata al bordo e sono note posizione e velocit iniziali avremo un problema di Cauchy-Dirichlet per lequazione
delle onde:
8
utt = c2 u
per x 2 ; t > 0
>
>
<
u (x; t) = 0
per x 2 @ ; t > 0
(7.14)
u
(x;
0)
=
u
(x)
per x 2
>
0
>
:
ut (x; 0) = v0 (x) per x 2 :
I problemi (7.12), (7.13), (7.14) hanno alcune caratteristiche matematiche comuni: lequazione dierenziale lineare omogenea e le condizioni al contorno
sono omogenee, quindi sovrapposizione di soluzioni di equazione+condizioni al
bordo risolve ancora entrambe; inoltre, le variabili spazio e tempo si possono
assumere variabili in domini separati: x 2 ; t > 0. Tutto ci suggerisce che si
possono cercare soluzioni a variabili separate in spazio e tempo, cio del tipo:
u (x; t) = X (x) T (t) :
Sostituendo ad esempio in (7.12) si trova:
XT 0 = kT X
T0
X
(t) =
(x)
kT
X
da cui ogni membro devessere costante. Abbiamo allora:
T0 =
kT per t > 0
X + X = 0 in ;
X = 0 su @ :
329
x2
x2@
(7.15)
e unequazione in T;
T 0 (t) =
k T (t) ,
X (x) + X (x) = 0
(x) = 0
@X
@
x2
x2@
(7.16)
c2 T (t) .
In conclusione: problemi di Cauchy-Dirichlet o di Cauchy-Neumann per lequazione del calore o delle onde portano, impostandone la risoluzione per separazione di variabili, a studiare come sottoproblema un problema agli autovalori
per lequazione di Laplace, su un dominio del piano o dello spazio, con condizioni
al contorno di tipo Dirichlet o di tipo Neumann, cio (7.15) o (7.16). Vale la
pena quindi dedicare un po di attenzione a questo problema agli autovalori
di per s, che si pu vedere come un analogo in pi variabili di quello che in
una sola variabile sono i problemi di Sturm-Liouville che abbiamo considerato
in precedenza. Si noti che per ora non abbiamo detto niente sul dominio
(dimensioni, forma, regolarit...), tuttavia alcune propriet di base si possono
stabilire molto in generale.
Teorema 7.28 Sia
un dominio limitato del piano o dello spazio, regolare
quanto basta perch ci si possa applicare il teorema della divergenza. Supponiamo che (X; ) e (Y; ) siano due coppie autofunzione-autovalore (X; Y
non identicamente nulle e C 2
) che risolvono il problema (7.15) oppure il
problema (7.16). Allora:
Z
6= =)
X (x) Y (x) dx = 0:
cio: autofunzioni relative ad autovalori distinti sono tra loro ortogonali in
L2 ( ). Inoltre gli autovalori sono positivi.
Dimostrazione. Consideriamo le identit
X (x) + X (x) = 0
Y (x) + Y (x) = 0:
330
nt
1
X
cn Xn (x) e
n=0
imponendo
u0 (x) =
1
X
n=0
331
cn Xn (x)
nt
(7.17)
1
X
n=1
h
p
Xn (x) an cos c
nt
p
+ bn sin c
nt
imponendo
u0 (x) = X0 (x) +
1
X
an Xn (x)
n=1
v0 (x) =
1
X
n=1
p
bn c
n Xn
(x)
7.6
Lequazione
u+ u=0
detta anche equazione di Helmholz. Studiamola sul rettangolo, con condizione
al contorno di Dirichlet nulla:
8
0 x a; 0 y b
< uxx + uyy + u = 0
u (0; y) = u (a; y) = 0 0 y b
:
u (x; 0) = u (x; b) = 0 0 x a:
332
Y 00
Y
n x
;
a
n
a
ha
, n = 1; 2; 3; :::
m y
;
b
m
b
n2
m2
+ 2
2
a
b
Se ad esempio stessimo risolvendo questo problema per risolvere poi il problema di Cauchy-Dirichlet (7.14) per lequazione delle onde (membrana vibrante
333
n x
m y
sin
a
b
n;m=1
"
!
!#
r
r
n2
m2
n2
m2
an;m cos c
+ 2 t + bn;m sin c
+ 2t
;
a2
b
a2
b
u (x; y; t) =
sin
nella quale potremmo determinare i coe cienti an;m ; bn;m per soddisfare le condizioni iniziali. Se imponiamo che la velocit iniziale sia nulla troviamo ancora
bn;m = 0 e
1
X
u (x; y; t) =
cn;m un;m (x; y; t)
n;m=1
con
m y
n x
sin
cos c
un;m (x; y; t) = sin
a
b
n2
m2
+ 2t
2
a
b
n x
m y
sin
a
b
=0
sono immobili in ogni istante. Questi punti costituiscono le linee nodali, che sono
(oltre ai lati del rettangolo) gli (n 1) + (m 1) segmenti interni al rettangolo
dati da:
k
a con k = 1; 2; :::; n 1
n
h
y = b con h = 1; 2; :::; m 1:
m
x=
334
Notiamo che per la membrana vibrante rettangolare, diversamente dalla corda vibrante ssata agli estremi, le frequenze della vibrazioni stazionarie non sono
multiple intere della frequenza fondamentale, in quanto i numeri
r
m2
c n2
+ 2
2
b
2 a
non sono in generale multipli interi di
r
c
1
1
+ 2:
2
2 a
b
Dal punto di vista musicale, le frequenze pi alte non sono armonicherispetto
alla frequenza fondamentale. Questo il motivo per cui di cilmente il suono
emesso da un tamburo viene percepito come una nota ben denita.
Il caso della membrana quadrata (a = b) ha una particolarit interessante.
Consideriamo due interi positivi n; m diversi tra loro, e consideriamo le due
335
vibrazioni stazionarie
n x
m y
c p 2
sin
cos
n + m2 t
a
a
a
m y
c p 2
m x
sin
cos
n + m2 t :
um;n (x; y; t) = sin
a
a
a
p
Si noti che la parte temporale la stessa: cos ca n2 + m2 t ; in particolare,
le due funzioni hanno la stessa frequenza, lo stesso periodo, e ogni loro combinazione lineare ha di conseguenza lo stesso periodo. Ci signica che anche le
funzioni
c1 un;m (x; y; t) + c2 um;n (x; y; t)
un;m (x; y; t) = sin
336
7.6.2
1
X
n;m=1
cn;m sin
m y
n x
sin
e
a
b
n2
a2
+m
b2
nella quale potremmo determinare i coe cienti cn;m per soddisfare la condizione
iniziale.
7.7
;#
risolver
v + r2 v = 0 per
v = 0 per = r
337
<r
R00
+
2
1
2
00
(#) :
+ R
R0
R00
+
+
R
R
=0
2
00
che porta a:
00
2
00
R + R +
R = 0:
; porta a
e la seconda diventa
2
R00 + R0 +
n2 R = 0;
(7.20)
R00 + R0 +
R=0
e quindi
0
( R0 ) +
n2
R = 0 per
2 (0; 1) ,
R( ) = R
x
!
= X (x) ;
1 0 x
1
R
= R0 ( )
!
!
!
1
X 00 (x) = 2 R00 ( )
!
X 0 (x) =
si ha:
2
! 2 R00 + !R0 + ! 2
x2 R00 + xR0 + x2
n2 R = 0;
n2 R = 0 per x 2 (0; !) , con
R (!) = 0; R (0) limitata.
Lequazione
x2 R00 + xR0 + x2
(7.21)
1
X
k=0
( 1)
k! (n + k)!
x
2
2k+n
339
1
2
3
4
Jn (x) ; n !
kn;m ; m #
2:405
5:520
8:654
11:792
3:832
7:016
10:173
13:324
5:136
8:417
11:620
14:796
6:380
9:761
13:015
16:223
7:588
11:065
14:372
17:616
8:771
12:339
15:700
18:980
ossia =
Quindi, per ogni intero n = 0; 1; 2; :::; lequazione (7.20) ha
1
2
soluzioni solo se uno dei valori kn;m
, e in tal caso la soluzione
m=1
R ( ) = Jn (kn;m ) .
340
Per ciascun n ssato il sistema (a un solo indice) fJn (kn;m )gm=1 ortogonale completo in L2 ([0; 1] ; d ). Lortogonalit gi stata dimostrata. Non
dimostriamo la completezza.
4. Si hanno quindi le seguenti autosoluzioni a variabili separate di (7.19):
Jn (kn;m ) cos (n#) per n = 1; 2; 3; ::: m = 1; 2; 3; :::
Jn (kn;m ) sin (n#) per n = 1; 2; 3; ::: m = 1; 2; 3; :::
J0 (k0;m )
per
m = 1; 2; 3; :::
(7.22)
2
corrispondenti alla successione a due indici di autovalori kn;m
.
n=0;1;2;:::m=1;2;:::
Gli autovalori sono i quadrati di tutti gli zeri di tutte le funzioni di Bessel di
prima specie. Le autofunzioni (7.22) costituiscono un sistema ortogonale completo in L2 ([0; 1] [0; 2 ] ; d d#) ossia, passando in coordinate cartesiane, in
L2 del cerchio unitario. Questo discende dal seguente argomento generale.
1
Sappiamo gi che per ogni n ssato fJn (kn;m )gm=1 ortogonale completo
2
in L ([0; 1] ; d );
1
sappiamo che fcos (n#) ; sin (n#) ; 1gn=1 ortogonale completo in L2 ([0; 2 ] ; d#);
2
allora presa una funzione f 2 L ([0; 1] [0; 2 ] ; d d#) possiamo:
1. per ssato sviluppare f in serie di Fourier rispetto a #:
f ( ; #) =
A0 ( ) X
+
fAn ( ) cos (n#) + Bn ( ) sin (n#)g ;
2
n=1
1
ora per ogni n sviluppiamo An e Bn in serie rispetto al sistema fJn (kn;m )gm=1 ,
1
e sviluppiamo A0 in serie rispetto al sistema fJ0 (k0;m )gm=1 . Otteniamo:
1
1 X
a0;m J0 (k0;m ) +
(7.23)
2 m=1
( 1
)
1
1
X
X
X
+
an;m Jn (kn;m ) cos (n#) +
bn;m Jn (kn;m ) sin (n#)
f ( ; #) =
n=1
m=1
m=1
che esattamente uno sviluppo rispetto al sistema (7.22), che pertanto risulta
completo.
Le funzioni (7.22) sono ortogonali complete ma non normalizzate.
calcolare i coe cienti di normalizzazione occorre sapere che:
Z 1
1 2
2
Jn (kn;m ) d = Jn+1
(kn;m ) :
2
0
342
Per
Tenuto conto di questo, i coe cienti dello sviluppo (7.23) si calcolano cos:
Z 2
Z 1
2
an;m =
cos
(n#)
f ( ; #) Jn (kn;m ) d d#
2
Jn+1
(kn;m ) 0
0
per n = 0; 1; 2; :::; m = 1; 2; :::
Z 2
Z 1
2
sin (n#)
f ( ; #) Jn (kn;m ) d d#
bn;m =
2
Jn+1
(kn;m ) 0
0
per n = 1; 2; :::; m = 1; 2; :::
Si possono ora trarre conseguenze sulla soluzione di un problema di CauchyDirichlet per lequazione del calore o delle onde sul cerchio.
7.7.2
Per la membrana vibrante circolare con velocit iniziale nulla e posizione iniziale
f ( ; #) si trover soluzione:
1
1 X
a0;m J0 (k0;m ) cos (k0;m ct)
u (t; ; #) =
2 m=1
1
X
n=1
Jn (kn;m )
1
X
m=1
kn;m c
:
2 r
Dal punto di vista musicale: un tamburo pi grande ha una frequenza fondamentale corrispondente a una nota pi grave, a parit di altre condizioni; per
raddoppiare la frequenza occorre dimezzare il raggio del tamburo.
Le linee nodali delle soluzioni stazionarie sono:
-le circonferenze interne al cerchio, lungo cui si ha Jn (kn;m ) = 0, ossia
kn;j
= kn;m
per j = 1; 2; :::; m 1 (sono m 1 circonferenze interne, pi il bordo
del cerchio);
-i raggi lungo cui si ha cos (n#) = 0 oppure sin (n#) = 0, ad es. per sin sono
# = nk ; con k = 0; 1; :::; 2n 1: (Sono 2n raggi, cio n diametri; per J0 queste
linee nodali non compaiono).
Mostriamo qualche graco delle funzioni J0 (k0;m ) (m = 1; 2; 3; 4):
Qualche graco delle funzioni Jn (kn;m ) cos (n#) ; con le relative linee di
livello (tra cui si vedono i raggi e le circonferenze che costituiscono le linee
344
nodali):
345
1
1 X
a0;m J0 (k0;m ) cos (k0;m ct)
2 m=1
dove
f( )=
7.8
1
1 X
a0;m J0 (k0;m ) :
2 m=1
Consideriamo lequazione di Helmholz sul cilindro di raggio 1 e altezza l, con condizioni di Dirichlet nulle sul bordo. In coordinate cilindriche ( ; #; z) il problema
agli autovalori si scrive:
8
u + 1 u + 12 u## + uzz + u = 0 per 2 (0; 1) ; # 2 (0; 2 ) ; z 2 (0; l)
>
>
<
u (r; #; z) = 0
>
u ( ; #; 0) = 0
>
:
u ( ; #; l) = 0:
346
Se il raggio del cilindro non 1 ma r, come nel caso del cerchio le autofunzioni
si ottengono da queste per cambiamento di scala v ( ; #; z) = u r ; #; z , e gli
autovalori vanno divisi per r2 .
Impostando il problema per separazione di variabili,
u ( ; #; z) = R ( )
si trova
R00
R0
1
+
+ 2
R
R
00
(#) Z (z)
Z 00
+
Z
=0
e ragionando al solito modo, tenuto conto anche delle condizioni al bordo e della
periodicit di si ha:
Z 00 = Z
Z (0) = Z (l) = 0
da cui
Z (z) = sin
k z
l
k
l
00
=
2 -periodica
da cui
(#) = a cos (n#) + b sin (n#) ;
n2
e quindi
2
R00
R0
1
k
n2 2
+
+
R
R
l
(
0
n2
k
R00 + R
2 R +
l
R (1) = 0; R (0) limitata
=0
2
R=0
che unequazione di Bessel di ordine n; le cui soluzioni sono quindi, per ogni
n ssato,
R ( ) = Jn (kn;m )
con autovalori
k
l
2
kn;m
=
da cui ricaviamo che gli autovalori del problema iniziale sono la successione a
tre indici interi
2
k
2
n;m;k = kn;m +
l
per n = 0; 1; 2; ; m = 1; 2; :::; k = 1; 2; :::
347
u ( ; #; z) = Jn (kn;m ) sin
u ( ; #; z) = Jn (kn;m ) sin
cos (n#)
sin (n#)
mediante le quali possiamo poi esprimere la soluzione di un problema di CauchyDirichlet per lequazione del calore o delle onde sul cilindro. Ad esempio:
7.8.1
1 X
1
X
a0;m;k e
2
D k0;m
+( kl
J0 (k0;m ) sin
m=1 k=1
1 X
1 X
1
X
2
D kn;m
+( kl
Jn (kn;m ) sin
k z
l
k z
l
dove i coe cienti an;m;k ; bn;m;k sono quelli dello sviluppo del dato iniziale f in
serie di funzioni ortonormali:
f ( ; #; z) =
1 X
1
X
k z
l
m=1 k=1
1 X
1 X
1
X
k z
l
Jn (kn;m ) sin
2
= 2
Jn+1 (kn;m )
2
= 2
Jn+1 (kn;m )
2
l
2
l
k z
l
k z
l
348
dz
dz
Jn (kn;m ) d
Jn (kn;m ) d
7.9
assume la forma:
8
>
>
@ 2 u 2 @u
>
>
+
+
<
@ 2
@
>
>
>
>
: u (1; #; ') = 0
1
@
2 sin # @#
sin #
@u
@#
1
@2u
+ u=0
2 sin2 # @'
Analogamente a quanto visto nel caso del cerchio o del cilindro, se la sfera avesse
raggio r ci si riconduce a questo caso col cambiamento di scala v ( ; #; ') =
u r ; #; ' e dividendo per r3 gli autovalori che troveremo per la sfera di raggio
unitario.
Cercando soluzioni a variabili separate
u ( ; #; ') = R ( ) S (#; ') ;
ponendo
(#;')
1 @
sin # @#
sin #
@
@#
1 @2
sin2 # @'
e sfruttando i calcoli gi fatti nello studio del laplaciano sulla sfera (v. 8.3.1)
si ha:
2
2
R ( )+2 R ( )+
R( )
R( )
(#;') S
R00 ( ) + 2 R0 ( ) +
R( )
R ( ) S (#; ') = 0
(#; ') +
R( )
si ha
=
(#;') S
(#; ')
:
S (#; ')
n (n + 1) R ( ) = 0
R00 + R0 +
n2 R = 0
R( ) =
S ( ):
7.9.1
e
> 0 assegnato. Si dice equazione di Bessel di ordine : Se
= n + 12 ,
lunica soluzione dellequazione che sia limitata in x = 0 (a meno di costante
moltiplicativa) la funzione di Bessel di ordine semiintero (detta anche funzione
di Bessel sferica):
x
2
Jn+ 12 (x) =
dove
(t) =
R +1
0
tx
1
n+ 12 X
k=0
k!
( 1)
n+k+1+
1
2
x
2
2k
(2 (n + k) + 1)!!
p
; con
2n+k
(2r + 1)!! = (2r + 1) (2r 1) (2r 3) (2r
n+k+1+
350
5) :::5 3
Lautovalore
2
= kn+
1
;h ;
2
dove kn+ 21 ;h lh-esimo zero della funzione Jn+ 21 (x) e la successione kn+ 12 ;h
tende a innito.
Vale anche la seguente formula
Jn+ 21
n+ 12
(2x)
p
(x) = ( 1)
n
dn
n
d (x2 )
sin x
x
sin x X
x2k
k
=
( 1)
x
(2k + 1)!
k=0
si deriva formalmente questa serie rispetto alla variabile x2 , cio si deriva n volte
rispetto a t la serie
1
X
tk
k
( 1)
(2k + 1)!
k=0
2
sin x
x
r
2
cos x
x
sin x
x
2
sin x
x
r
2
sin x
J3=2 (x) =
cos x
x
x
r
2
cos x
3 sin x
J5=2 (x) =
3
sin x +
x
x
x2
r
2
15 cos x 15 sin x
sin x
J7=2 (x) =
cos x
+
6
x
x2
x3
x
r
105 cos x 10 cos x
105 sin x
2
+
+ sin x +
J9=2 (x) =
x
x3
x
x4
J1=2 (x) =
kn+1=2;h
n=0
n=1
n=2
n=3
n=4
h=1
3:14159
4:49341
5:76346
6:98793
8:18256
h=2
6:28319
7:72525
9:09501
10:4171
11:7049
h=3
9:42478
10:9041
12:3229
13:698
15:0397
h=4
12:5664
14:0662
15:5146
16:9236
18:3013
h=5
15:708
17:2208
18:689
20:1218
21:5254
352
45 sin x
x2
353
per h = 1; 2; 3; 4; 5
per h = 1; 2; 3; 4; 5
1=2
S( )=
1=2
Jn+ 12 kn+ 12 ;h
2
= kn+
1
;h ; h = 1; 2; 3::::
2
n+1=2
n
Poich per ! 0 Jn+ 12 ( )
si ha R ( )
: In denitiva, le soluzioni
a variabili separate dellequazione di Helmholz sulla sfera sono
un;m;h ( ; #; ') =
1=2
Jn+ 12 kn+ 12 ;h
u0n;m;h ( ; #; ') =
1=2
Jn+ 12 kn+ 12 ;h
354
con autovalori
n;h
2
= kn+
1
;h
2
n=0;1;2;:::;h=1;2;:::;m=0;1;:::;n
h=1;2;:::
ortogonale completo in
L2 ((0; 1) ; d ) ;
ne segue che il sistema
un;m;h ( ; #; ') ; u0n;m;h ( ; #; ')
n=0;1;2;:::;h=1;2;:::;m=0;1;:::;n
ortogonale completo in
L2 (0; 1)
(0; )
(0; 2 ) ;
sin #d d#d' :
Si faccia attenzione al termine 2 anzich , che compare grazie alla presenza dei
termini 1=2 nella denizione di un;m;h . Daltro canto, con cambio di variabili
sferiche, si vede che la misura 2 sin #d d#d' non altro che la misura di volume
dxdydz in coordinate cartesiane. Quindi le soluzioni a variabili separate sono
un s.o.n.c. in L2 della sfera.
7.10
@
=
@t
~2
2me
+V
(x; y; z) T (t)
~2
2me
T0
i} (t) =
T
+V
(x; y; z)
E
T (t)
}
iE
}t
T (t) = ce
mentre lequazione signicativa
~2
2me
+V
=E ;
che arontiamo ancora per separazione di variabili, dopo averla riscritta in coordinate sferiche. Utilizzando le notazioni introdotte nello studio del laplaciano
in coordinate sferiche ( 8.4.1, le conclusioni di quella discussione ci saranno
utili), conviene porre, in coordinate sferiche
8
< x = sin # cos '
y = sin # sin '
:
z = cos #;
cos che lequazione diventa
~2
2m
@ 2 u 2 @u
1
+
+ 2
@ 2
@
(#;')
+V ( )
=E
e cercando
( ; '; #) = R ( ) Y ('; #)
si ha
2
4 4 In
e
R00 + 2 R0 + 2m
~2
R
(V ( )
E) R
356
( )=
(#;') Y
('; #)
. Lequazione in Y;
('; #) =
Y ('; #)
R00 + 2 R0 +
2me
~2
e2
+ E R = l (l + 1) R, per
4 "0
> 0:
l (l + 1)
e2
+E
4 "0
2me
~2
u:
e2
4 "0 ~
4 "0 ~2
a0 =
= raggio di Bohr
me e2
E
W =
Eh
Eh = me
a0
4 5 Per adeguarci alle notazioni standard sullargomento cambiamo le lettere con cui
denotavamo gli indici interi.
357
Questo d:
1 00
u (y) +
2
1 l (l + 1)
2 y2
1
y
u (y) = W u (y) :
d2 u
l (l + 1)
2
1
(x) +
+
u (x) = 0:
2
2
dx
x
x 4
4. Ora si vuole fare una sostituzione opportuna che trasformi lequazione in
una integrabile. Si ragiona cos.
Per x ! 1 lequazione approssimata da
d2 u
(x)
dx2
1
u (x) = 0;
4
x=2
+ c2 ex=2 ;
x=2
l (l + 1)
d2 u
(x)
u (x) = 0;
2
dx
x2
equazione di Eulero, il cui integrale generale
u (x) = c1 xl+1 + c2 x l ;
di cui la soluzione accettabile
u (x) = c1 xl+1 :
Si fa allora una sostituzione suggerita da queste due soluzioni approssimate
per x piccolo e x grande:
u (x) = xl+1 e
x=2
f (x) :
x) f 0 + (
1) f = 0 con
=p
1
:
2W
7.10.1
x 0 0
+ e
+1
x 0 0
+ x e
allora
ex dn
x
n! dxn
soddisfa lequazione di Laguerre associata
L(n ) (x) =
xy 00 + ( + 1
+n
( )
( )
Ln
L(n ) (x) =
ex dn
x
n! dxn
359
+n
dx).
cio:
( )
L0 (x) = x
ex x e
=1
ex d
( )
L1 (x) =
x +1 e x = x + a + 1
1 dx
x ex d2
1 2
( )
L2 (x) =
x +2 e x =
x
2x (2 + ) + 2 + 3 + 2
2 dx2
2
x ex d3
x3
( + 3) x2
( + 2) ( + 3) x ( + 1) ( + 2) ( + 3)
( )
+3
x
L3 (x) =
x
e
=
+
+
3
2 dx
6
2
2
6
x
Ad esempio, per
=1
(1)
L0 (x) = 1
(1)
L1 (x) =
x+2
1 2
x
3x + 3
2
x3
(1)
L3 (x) =
+ 2x2 6x + 4
6
5 3
x4
(1)
L4 (x) =
x + 5x2 10x + 5
24 6
(1)
L2 (x) =
Per
=3
(3)
L0 (x) = 1
(3)
L1 (x) = 4
(3)
L2 (x) =
(3)
L3 (x) =
x
2
x
2
5x + 10
3
x
+ 3x2
6
360
15x + 20
6. Tiriamo allora le conclusioni sullequazione radiale che proviene dallequazione di Schrdinger per lelettrone dellatomo di idrogeno.
Lequazione
xf 00 + (2l + 2
x) f 0 + (
=p
1) f = 0 con
1
2W
= 2l + 1; ha autovalori
1) = k
e autofunzioni
(2l+1)
Lk
(x) =
x2l+1 ex dk
x
k! dxk
(2l+1)+k
1
=l+1+k
2W
1
2
2 (l + k + 1)
E = W Eh =
2 me
2 (l + k + 1)
e2
4 "0 ~
o viceversa
n = 1; 2; 3; :::
l = 0; 1; :::; n
1:
e2
4 "0 ~
1
me
2n2
En =
Il livello minimo
1
e2
me
:
2
4 "0 ~
Per scrivere le soluzioni radiali ora procediamo a ritroso; poich
E1 =
u( ) = R( )
y=
a0
4 "0 ~ 2
a0 =
me e2
x= y
p
=2
2W
u (x) = xl+1 e
f (x) =
x=2
(2l+1)
Ln l 1
f (x)
(x)
si ha:
R( ) =
u( )
u (x) = xl+1 e
x= y=
Rn;l ( ) =
x=2
(2l+1)
l 1
Ln
(x)
p
=2
2W
a0
a0
2
na0
na0
(2l+1)
l 1
Ln
2
na0
2
na0
1
a0 =
4 "0 ~
:
me e2
7.10.2
Orbitali atomici
0
s
1
p
2
d
3
f
4
g
5
h
:::
:::
a0
R2;0 ( ) = e
2a0
R2;1 ( ) =
R3;0 ( ) = e
2
a0
(1)
L0
a0
3a0
R3;1 ( ) =
2
3a0
R3;2 ( ) =
2
3a0
=e
(1)
L1
=e
a0
2a0
(1)
L2
2a0
(3)
L0
2
3a0
3a0
=e
(3)
L1
3a0
a0
a0
(5)
L0
a0
a0
1
2
3a0
2
3a0
2
3a0
=
=
+2
2a0
2
3a0
2
3a0
2
3a0
2
3a0
3
e
3a0
+3
2
3a0
3a0
363
R1;0 ( ) =
R2;0 ( ) =
R2;1 ( ) =
R3;0 ( ) =
2
R3;1 ( ) =
2
R3;2 ( ) =
4
9
+ 2)
2
3
2
9
2
3
2
3
4
6
2 +3
2
3
2
3
1s
3s
2s
dal
2p
3p
3d
364
l = 1; m = 0; l = 1; m = 1 (orbitali 2p):
r
3
cos #
2
r
3
P11 (cos #) cos ' =
sin # cos '
2
r
3
P11 (cos #) sin ' =
sin # sin '
2
P1 (cos #) =
(quindi gli orbitali 2p sono di tre tipi). Gli orbitali 2p sono perci i pi semplici
ad avere una parte angolare signicativa. Il quadrato di questa funzione proporzionale alla densit di probabilit di trovare lelettrone (non importa a quale
distanza dal nucleo ma) nella direzione individuata dagli angoli (#; '). Una
visualizzazione di una funzione f (#; ') pu essere ottenuta con un diagramma
sferico, che cio rappresenta la supercie = f (#; ') ; ossia la supercie di
equazioni parametriche
8
< x = f (#; ') sin # cos '
y = f (#; ') sin # sin '
:
z = f (#; ') cos #:
Si tratta di un concetto analogo a quello di curva in forma polare nel piano. La
supercie visualizza la funzione nel senso che i punti della supercie pi o meno
lontani dallorigine rappresentano le direzioni in cui la funzione maggiore o
minore.
I diagrammi sferici degli orbitali 2p sono perci:
366
367
7.10.3
i E}n t
(t; ; '; #) = e 2~
7.10.4
me
e2
4 "0 ~
a0
Riportiamo i passaggi di calcolo che giusticano le conclusioni citate in precedenza nella deduzione delle soluzioni dellequazione radiale.
368
Passo 1. Calcoli:
R( ) =
R0 =
R00 =
u( )
u0 ( )
u( )
2
00
2u0 ( )
u ( )
2u ( )
3
2u0 ( )
2
2me
~2
u00 ( )
2u ( )
+2
u0 ( )
u( )
2
e
u( )
u( )
+E
= l (l + 1)
4 "0
u( )
2u ( )
2u0 ( ) +
+ 2u0 ( ) 2
e2
u( )
+ E u ( ) = l (l + 1)
4 "0
2m
e2
u( )
e
+ E u ( ) = l (l + 1) 2 :
u00 ( ) + 2
~
4 "0
+
2me
~2
u00 ( ) =
l (l + 1)
2
2me
~2
e2
+E
4 "0
u:
Passo 2. Calcoli:
u00 ( ) =
l (l + 1)
u00 ( ) =
l (l + 1)
00
u ( )=
00
u ( )=
l (l + 1)
2
l (l + 1)
2
2me
e2
+E
u
~2
4 "0
2 me e2
2me
E u
2
4 "0 ~
~2
2 1
a0
2 1
a0
369
e2
4 "0 ~
me e2
4 "0 ~ 2
2 1
2
W u
a0
a20
du
du
dy
du
1
( )=
(a0 y)
=
(a0 y)
d
dy
d
dy
a0
d2 u
d2 u
1
( ) = 2 (a0 y) 2
d 2
dy
a0
u00 ( ) =
l (l + 1)
2me
me
~2
W
!
1 00
u (a0 y) =
a20
l (l + 1)
2 1
2
W
a0
a20
a20 l (l + 1) 2a0
2W
2
2
u00 (a0 y) =
l (l + 1) 2
y2
y
1 l (l + 1)
2
y2
u00 (a0 y) =
1 00
u (a0 y) =
2
1 00
u
e (y) +
2
1 l (l + 1)
2 y2
1
y
d
=
dy
d
dx
Passo 3. Calcoli:
2W
2
y
u (a0 y)
u (a0 y)
u (a0 y)
2W
u (a0 y)
u
e (y) = W u
e (y) :
1 l (l + 1) 1
1 00
u (y) +
u (y) = W u (y)
2
2 y2
y
1 2 d2 u
1 2 l (l + 1)
(x) +
u (x) = W u (x)
2 dx2
2
y2
y
d2 u
l (l + 1)
2
2W
(x) +
+
u (x) =
u (x)
2
dx2
x2
x
d2 u
l (l + 1)
2
1
u (x) = 0
(x) +
+
dx2
x2
x 4
Passo 4. Calcoli:
u (x) = xl+1 e
x=2
f (x)
x=2
xl+1 f 0 + (l + 1) xl f
u00 (x) = e
x=2
xl+1 f 00 + 2 (l + 1) xl f 0 + (l + 1) lxl
1
(l + 1) xl f
2
d2 u
(x) +
dx2
e
x=2
1 l+1
x f
2
u0 (x) = e
xl+1 f 00 + 2 (l + 1) xl
1
2
1
4
370
1 l+1 0
x f
2
u (x) = 0
1
(l + 1) xl + xl+1 f
4
l (l + 1)
2
1
+
xl+1 e x=2 f (x) = 0
x2
x 4
xl+1 f 0 + (l + 1) lxl
+
1 l+1
x f
2
xl+1 f 0 + (l + 1) xl f
l (l + 1)
2
+
x2
x
xl
+
x2 f 00 + 2 (l + 1) x
x2 f 0 + [(l + 1) l
l (l + 1)
2
+
x2
x
x2 f
x2 f 00 + 2 (l + 1) x
+ (l + 1) l
=0
x2 f 0
1
(l + 1) x + x2
4
x2 f 00 + 2 (l + 1) x
xf 00 + (2l + 2
1
4
1
(l + 1) x + x2
4
l (l + 1) +
x2 f 0 +
x) f 0 +
ma
=2
(l + 1) x +
l
2W ;
2x
2x
1 2
x f =0
4
f =0
1 f =0
=p
1
2
=
2W
perci
xf 00 + (2l + 2
x) f 0 + (
371
1) f = 0:
Bibliograa
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