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KELLY
I SIMBOLI DI FEDE
DELLA CHIESA ANTICA
nascita, evoluzione, uso del credo
Edizione Inglese
J.N.D. Kelly, Early Christian Creeds
Longman, London
I Edizione italiana sulla III ed. inglese
J.N.D. Kelly, I simboli di fede della Chiesa antica
ED. - Napoli
Traduzione di Bianca Maresca
INDICE
NOTA ALLA PRIMA EDIZIONE INGLESE............
PREFAZIONE ALLA TERZA EDIZIONE INGLESE. . . .
ABBREVIAZIONI. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA.........
PAGINA
IX
XI
XIII
XV
CAPITOLO PRIMO
1
1
6
12
22
CAPITOLO SECONDO
CREDO E BATTESIMO.........................
1. Il ruolo dei credo dichiaratori........
2. Le interrogazioni battesimali. . . . . . . . .
3. L'ambiente (setting) catechistico dei credo
4. Il nome "Symbolum '. . . . . . . . . . . . . . .
29
29
39
48
51
CAPITOLO TERZO
61
61
64
70
75
81
87
93
CAPITOLO QUARTO
99
99
103
109
112
vi
INDICE
PAGINA
5. L'ipotesi di Holl-Harnack. . . . . . . . . . .
6. Conclusione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
118
125
CAPITOLO QUINTO
129
129
137
141
149
152
CAPITOLO SESTO
3. Credo orientali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4. Confronto tra Credo orientali e
occidentali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5. L'origine dei Credo orientali.........
6. Relazione fra Credo orientali e occidentali
165
165
170
179
191
194
198
CAPITOLO SETTIMO
IL CREDO DI NICEA..........................
203
203
209
5. La base di N.......................
214
217
224
CAPITOLO OTTAVO
229
1. La teologia ariana. . . . . . . . . . . . . . . . . .
229
232
240
252
CAPITOLO NONO
261
vii
INDICE
PAGINA
261
272
280
CAPITOLO DECIMO
IL CREDO COSTANTINOPOLITANO...........
1. La tradizione riguardante C. . . . . . . . . .
2. Confronto tra C e N. . . . . . . . . . . . . . . .
3 . .J fatti contro la tradizione...
4. Il riesame della tradizione. . . . . . . . . . .
293
293
298
301
309
318
CAPITOLO UNDICESIMO
5. Il Filioque.........................
329
329
334
340
344
354
CAPITOLO DODICESIMO
Il "textus receptus"
Cambiamenti nel primo articolo. . . . . .
Cambiamenti di minore importanza...
La discesa all'inferno. . . . . . . . . . . . . . .
5. Il terzo articolo reinterpretato e riveduto
6. La comunione dei santi. . . . . . . . . . . . . .
I.
2.
3.
4.
363
363
367
369
373
378
383
CAPITOLO TREDICESIMO
LE ORIGINI
1.
2.
3.
4.
393
393
399
405
414
420
429
453
467
L'Editore
PREFAZIONE
ALLA TERZA EDIZIONE
INGLESE
Questa terza edizione rappr(!senta una revisione pi ampia e pi sostanziale del testo originale che non la seconda. Oltre a numerosi
adattamenti minori e all'aggiornamento delle note secondo le edizioni e i testi pi recenti, ho introdotto una grande quantit di modifiche sostanziali, tenendo conto delle numerose opere recenti sugli
antichi credo (molte delle quali - lo si pu tranquillamente affermare - sono state stimolate dal mio stesso libro).
Le pi importanti di esse si trovano nei capitoli X e Xl, dove la
brillante opera di A.M. Ritter sul Credo Costantinopolitano mi ha
suggerito di riscrivere alcune pagine di vitale importanza; ma molte
altre parti (per esempio quelle riguardanti la discesa agli inferi e la
conl'unione dei santi) hanno subfto modificazioni sostanziali. Sono
stati anche leggermente modificati, alla luce dei recenti studi critici,
i testi greci o latini di alcuni credo. Spero che questi cambiamenti
rendano l'opera di maggiore utilit per gli studiosi del nostro tempo.
Come ho spiegato nella prefazione alla prima edizione, non ho
incluso una bibliogrqfia esauriente perch l'indagine straordinariamente ampia del p. Y. de Ghellinck, ora morto, sulle opere riguardanti il Credo Apostolico (Patristique et moyen age, /) era stata
appena pubblicata, e perch una buona bibliografia sul credo di Nicea si sarebbe dovuta compilare su scala comparata. Il libro di A.M.
Ritter risponde abbastanza a tali esigenze; ma, a partire dal 1950,
libri ed articoli si sono moltiplicati al di l di ogni previsione. Senza
pretendere in alcun modo di raggiungere la completezza, ho tentato, nel rivedere le note, di citarne il maggior numero possibile, includendone anche molti pubblicati negli ultimi due anni.
Come nella prima edizione, vorrei esprimere la mia gratitudine per
il lavoro pionieristico degli studiosi della precedente generazione, quali A.E. Burn, B. Cape/le, C.P. Caspari, F. Kattenbusch, J. Lebon,
H. Lietzmann (sotto la guida del quale ho lavorato per un certo periodo a Berlino), G. Morine E. Schwartz. Il lettore incontrer i loro
nomi, e quelli di molti altri, quasi a ogni pagina. Fra i mit?i contemporanei, vorrei citare anzitutto il Rev. Dr. F.L. Cross (purtroppo
xii
deceduto), il cui incoraggiamento ha avuto per me grande importanza. Gli studiosi pi recenti, la cui opera ha maggiormente influito su questa nuova edizione, sono G.L. Dossetti, A.M. Ritter e I.
Ortiz de Urbina. Sono anche grato alle molte persone che mi hanno
dato suggerimenti per la revisione, soprattutto al molto Rev. H.
Chadwick, decano della Chiesa di Cristo. Vorrei ancora una volta
esprimere i miei ringraziamenti alla signora C.F. W.R. Gullick, che
ha compilato l'indice originale, e al Rev. V.L. Thawley, un tempo
mio allievo, che con il suo sguardo d'aquila ha corretto le bozze della prima edizione, bench il loro attento lavoro abbia subito molti
cambiamenti. Sono grato agli editori per la pronteua con cui mi consentono di realizzare una revisione molto pi apprfondita di quanto non avrei mai ritenuto possibile.
J.N.D. Kelly
ABBREVIAZIONI
A.e.o.
Badcock
Bihlmeyer
Burn
Caspari A. und
N.Q.
Caspari Que/len
C.C.L.
D.A.C.L.
E.J.G.
Hahn
H.E.R.E.
J.T.S.
Kattenbusch
Mansi
Mon. Germ. Hist.
Nachricht. Gott.
Opitz Urk.
P.G.
P.L.
R. Bn.
Rech. thol. anc.
md.
R.H.E.
xiv
Ritter
Th. L.Z.
Z. fiir KG.
Z.N.T.W.
ABBREVIAZIONI
xvi
INTRODUZIONE
Le pi antiche professioni di fede si trovano negli scritti neotestamentari. Tra quelle particolarmente antiche basti ricordare:
"Ges il Cristo", "Ges il Signore", molto attestata in Paolo, e "Ges il Figlio di Dio". 1
Sorte in ambiente giudqico, esse hanno forma esclusiyamente
cristologica.
Cf. per la prima volta, I Gv 2,22; 5,1; per la seconda Rom 10,9; I Cor 12,3; Fil
2, \I; per la terza I Gv 4,15; S.5. Per altri riferimenti scritturistici, come pure per le testimonianze patristiche, i testi dei Credo, e le indicazioni bibliografiche rimandiamo
ovviamente alle pagine dell'opera che stiamo presentando.
1
INTRODUZIONE
xvii
xviii
INTRODUZIONE
e) Il Simbolo Romano.
Il III secolo fu, sotto molti aspetti, un'epoca critica nella storia della Chiesa: uno dei molti problemi che essa si trov ad affrontare fu l'afflusso nelle sue file di un num~ro sempre crescente di convertiti dal paganesimo, che costitu una minaccia per l'integrit dell'insegnamento tradizionale.
Fu in questo periodo che cominci ad essere praticato nella
Chiesa l'uso della traditio e redditio symboli: si trattava della consegna del Simbolo 4 ai catecumeni in qualche momento iniziale
della loro istruzione; essi lo ripetevano sia in seguito, durante il
corso di istruzione, sia nello stesso rito del battesimo.
In Occidente, uno dei pi antichi Credo locali che prese forma
e fu canonizzato fu quello della Chiesa romana, il cosiddetto Simbolo Romano ( = R).
certo che tra la fine del II e l'inizio del III secolo esso era
gi in uso nella liturgia battesimale della Chiesa di Roma,. e veniva recitato due volte: prima in forma dichiaratoria da parte del
catecumeno che stava per ricevere il battesimo, e una seconda volta
3L'idea
INTRODUZIONE
xix
xx
INTRODUZIONE
II secolo era gi in uso a Roma una professione di fede battesimale, sostanzialmente riprodotta nel testo di Ippolito.
Su questa formula, nel corso della prima met del III secolo,
cominciarono a esemplarsi alcuni Simboli di citt occidentali.
Nella seconda met del III secolo il testo sijissa definitivamente nella forma tramandata da Rufino e da Marcello, e in questa
forma passa, con leggere modificazioni, ad altre citt occidentali.
Le aggiunte e le precisazioni che compaiono nei Simboli occidentali del IV e V secolo hanno il chiaro intento di esplicitare la
forma molto sintetica di R.
L'unificazione di tutte queste diverse redazioni, derivate da R,
risale a Carlo Magno, il quale, volendo eliminare ogni differenza, impose nel suo impero una formula unica, il cosiddetto Simbolo degli Apostoli, una professio ne di fede tuttora in uso nella
liturgia battesimale, che una versione leggermente allargata e
modificata di R. 6
Roma in un primo momento non volle sostituire R con la nuova formula: la sua adozione sembra da riportare al tempo degli
Ottoni (X-XI secolo), quando /'influsso imperiale si esercit fortemente nella Chiesa romana.
e) I Simboli di fede in Oriente.
INTRODUZIONE
xxi
7 In realt il Credo che sta alla base di C non quello di N, ma probabilmente quello della'Chiesa di Gerusalemme.
8 Questi anni videro una serie di tentativi per risolvere le divergenze cli opinione, sia
in Oriente che in Occidente, mediante la formulazione di un Simbolo che potesse soddisfare tutti i partiti o almeno esprimere la fede della maggioranza: fu l'epoca dei
cosiddetti Credo Sinodali.
xxii
INTRODUZIONE
INTRODUZIONE
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distinguere, in base ai contesti principali che le hanno richieste, tre diversi tipi di professioni di fede:
- professione di fede eulogica: si situa nel contesto liturgico
e non dettata da circostanze esterne che esigono dal credente o dalla comunit una professione, ma dal bisogno religioso interiore di lodare e ringraziare Dio per il dono della salvezza, risultando cos l'espressione pi diretta e spontanea della fede viva.
- professione di fede battesimale: situata nel contesto della
catechesi e del battesimo, in essa si manifesta il dialogo tra
il catecumeno credente e la Chiesa, tendente alla concordanza di fede.
- professione di fede dottrinale: tradizionalmente chiamata
Simbolo, essa una formulazione concisa della dottrina di
fede, e va situata per origine e funzione nel quadro del/'insegn"amento della fede, dell'apologia e della lotta contro
l'eresia.
guenze.
La storia della Chiesa primitiva fa pensare alla formazione spontanea di una moltitudine di Simboli nelle varie Chiese locali, che,
bench variassero nei diversi luoghi, esprimevano ci che era comune alla Chiesa cattolica.
Questa coesistenza pacifica di differenti Simboli diventa tanto
pi comprensibile se si pensa alla funzione originaria del Credo:
essere un mezzo per professare, pregando, la fede comune.
Quando pi tardi il Credo diventa anche norma di fede e, con
il sorgere delle prime teologie, norma di dottrina e misura del1'ortodossia, allora la moltitudine di Simboli si trasforma in una
minaccia pericolosa per l'unit.
La Chiesa si difese da questo pericolo con una sempre maggiore uniformit nella professio ne di fede, favorita anche da parte
degli imperatori orientali, pi tardi quelli occidentali, che vedevano nel Credo un mezzo politico per fondare o restaurare I 'unit dell'impero.
xxiv
INTRODUZIONE
La storia mostra in/atti un parallelismo tra i tentativi centralizzatori nella Chiesa e nell'impero dopo il 313 da una parte, e
la crescente uniformit del Credo dall'altra. Mentre in Oriente,
nonostante l'apporto politico degli imperatori ai Simboli delle varie assise ecclesiastiche, continuano a esistere vari Credo, in Occidente il Credo apostolico diventa sempre pi normativo, non
solo per la fede, ma anche per la politica imperiale, soprattutto
sotto la spinta di Carlo Magno.
Cos nel X-XI secolo si verifica il primo irrigidimento nello sviluppo del Credo; nel XVI secolo il divieto del Concilio di Trento
di usare forme di confessioni di fede diverse daquella tridentina
porter ad una paralisi permanente, rendendo impossibile la coesistenza di vari Credo nelle diverse Chiese.
La conseguenza che i Simboli non creano pi la comunit,
ma assumono una funzione separatrice.
Tale processo significa anche la fine di un periodo di evoluzione nel linguaggio della fede: di fatto dalla storia degli ultimi quattro secoli risulta che la creativit del credente, che nella confessione di fede si crea un linguaggio proprio ed in esso parla sempre
nuovamente della salvezza, stata bloccata.
Questa mancanza di creativit assecondata dal posto secondario che ha preso la confessione di fede nella Chiesa pregante:
l'accento esagerato sulla funzione dottrinale e dommatica del Credo ha eclissato la sua funzione liturgica e dossologica.
Di fronte a questa situazione storicamente determinatasi, ci si
interroga oggi sulla possibilit di un suo superamento. Le riflessioni che seguono intendono essere un piccolo contributo alla ricerca, che si va sviluppando in due direzioni: l'opportunit, all'interno della Chiesa cattolica, di formulare una professione di
fede attuale, cio di una riformulazione del Credo in un linguaggio pi comprensibile e pi attento alle nuove esigenze; la possibilit, all'interno del rapporto tra le diverse Chiese, di formulare
un Credo ecumenico, nel quale le diverse confessioni possano riconoscersi e ritrovarsi unite nella confessione della stessa fede.
INTRODUZIONE
xxv
xxvi
INTRODUZIONE
INTRODUZIONE
xxvii
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INTRODUZIONE
e) Una proposta.
INTRODUZIONE
xxix
Ed con una sua proposta di 'confessio fidei', elaborata su nostra richiesta e con noi discussa e verificata, che vogliamo concludere queste nostre riflessioni, necessariamente brevi: ogni teologo che crede di vedere qualcosa della fede per oggi e domani
cerca anche di esprimerlo in un Simbolo cos contemporaneo che
molti altri potranno pronunciarlo con lui.
Questo di Bruno Forte ci pare in tutta la sua novit una tale
sintesi di vecchio e nuovo, di Scrittura e tradizione, da poter dare
un sapore di quanto sulla via di una confessione in rinnovamento
ancora ci aspetta.
Gv 3,16
Rom 8,32
I Gv 4,8.16
Gc 1,17
Rom 5,5
Mc 1,11
Rom 5,10
2 Cor 5,19
Gv 17,23
Gv 1,lss
xxx
INTRODUZIONE
Gv 20,21
Eb 5,7ss
1 Gv 4,16
1 Cor 11,26
Gen 1,2
Le 1,35
Mc 1,10 e par.
At 1,8
At 2,lss
2 Cor 3,17
1 Cor 12
Rom 8
INTRODUZIONE
XXXI
Gv 7,37-39
Gv 6,63
Gv 20,22s
2 cor 1,22
Mt 28,20
Col _3,3
Gv 14,23
Luigi Longobardo
CAPITOLO PRIMO
ELEMENTI DI CREDO
NEL NUOVO TESTAMENTO
I.
L ;antica leggenda
s. Ambrogio, Ep.
cazione futura, dando ciascuno il contributo che riteneva migliore; e stabilirono che lo avrebbero trasmesso ai credenti come insegnamento
normativo".
4R.H.
L'ANTICA LEGGENDA
11
del credo, abbellita con dettagli fantasiosi, era utile per rafforzare
l'autorit di quella che era diventata una formula sacra.
Talvolta ci trov espressione nelle arti figurative,. come nella Liebfrauenkirche di Treviri, dove le dodici sottili colonne che sostengono la volta furono adornate nel XV secolo con rappresentazioni degli
apostoli e degli articoli di fede che ciascuno di essi aveva elaborato.
Divent soggetto preferito per le miniature dei salteri, dei libri delle
ore e per le vetrate in cui ogni apostolo era raffigurato con un emblema celebrativo del proprio articolo del credo. Ci anche giunta14
una composizione di nove esametri, presentata come opera di S. Bernardo, che attribuisce dodici delle sue affermazioni (il maldestro poeta fu costretto a ometterne due perch non riusciva a inserirle) al
loro presunto Inventore. Questi versi godettero certamente di grande diffusione, per la loro indubbia capacit di imprimere nella memoria della gente l'insegnamento del credo.
Accettato come racconto storico fino al XV secolo, aveva tutta
l'aria per di essere una pia invenzione. Non avrebbe certamente resistito al risveglio del senso critico. I primi seri dubbi sull'edificante
racconto si manifestarono al concilio di Firenze (1438-45), che tent di riunire le Chiese orientale ed occidentale. Nel 1438, all'inizio
delle trattative, 15 quando i padri si trovavano ancora a Ferrara, i
rapprese_ntanti latini fecero appello al credo apostolico. I greci non'
lo conoscevano affatto, ed il loro capo Marco Eugenico, metropolita di Efeso, esclam perentoriamente: "Non possediamo, n abbiamo mai visto questo credo degli apostoli. Se fosse mai esistito, il Libro
degli Atti ne avrebbe parlato nella sua descrizione del primo sinodo
apostolico a Gerusalemme, al quale fate appello". Il Concilio per
un motivo o per l'altro non registr nessun ulteriore progresso sull'argomento. E tuttavia, poco dopo, l'origine apostolica del credo
fu fortemente criticata da Lorenzo Valla, il dotto propagatore delle
idee rinascimentali e accanito avversario del potere temporale dei papi. 16 In seguito, un attacco meno drastico ma teologicamente pi attento fu portato da Reginald Pecock, vescovo di S. Asaph (1444)
e poi di Chichester (1450). Egli negava che gli apostoli fossero gli
Per il testo cf. Hahn 87.
Cf. J. Hardouin, Acta conciliorum, IX, 842E e 843A. Mansi d un riassunto
molto breve delle Sessioni XIII e XIV.
16 Per la parte storica vedi D.G. Monracl, Die erste Kontrove~ uber den Ursprung
des apostolischen Glaubensbekenntnisses, Gotha, 1881.
14
15
L'ANTICA LEGGENDA
autori del credo e rifiutava la discesa agli inferi.17 Per quanto momentaneamente soffocate (Valla dovette ritrattarle, e Pecock fucostretto a rinunciare al vescovado nel 1458), e in ogni caso passate
in secondo piano durante le grandi controversie della Riforma, queste idee tornarono alla ribalta nel XVII secolo, quando G.J. Voss
(1642) e l'arcivescovo Ussher (1647) inaugurarono l'era moderna degli
studi sul credo.
Se si affronta direttamente la questione, l'estrema improbabilit
che gli apostoli abbiano tracciato un sommario ufficiale della fede
non merita lunga discussione. La teoria, che a essi lo attribuisce, a
partire dalla Riforma fu in pratica tacitamente abbandonata come
leggendaria da tutti gli studiosi; solo i tradizionalisti si riservarono
il diritto di far notare che l'insegnamento della formula nota come
credo apostolico riproduce l'autentica dottrina apostolica. ormai
chiaro che quello che stiamo trattando solo un esempio caratteristico della nota tendenza della Chiesa primitiva ad attribuire il suo
intero apparato dottrinale, liturgico e gerarchico ai Dodici e, tramite q~sti ultimi, al Signore stesso. In tal senso, si potrebbe facilmente concedere molto senza pregiudicare la questione se i portavoce
del cattolicesimo del II secolo fossero o meno nel giusto quando affermavano che la loro regola di fede, in quanto distinta da ogni formula ufficiale, era identica alla fede degli apostoli. Durante il XIX
secolo, tuttavia, gli argomenti ritici inclinarono decisamente verso
lo scetticismo.
Si manifestarono dubbi sulla possibilit stessa che potesse esistere all'epoca del Nuovo Testamento un qualsiasi credo in genere come corpo dottrinale organico, e tanto meno uno compilato dagli
apostoli stessi. Non sembrava si potessero individuare nella letteratura apostolica allusioni certe o citazioni riconducibili a questo testo. Se la Chiesa avesse posseduto una formula simile, ne sarebbe
dovuta sopravvivere una traccia, data la sua immensa autorit. In
ogni caso, postularne una finirebbe col rendere assurda la nota evoluzione del credo nel II e III secolo. Infine, fu posto in rilievo che.
ricondurre credo e formulari fissi agli inizi della Chiesa sarebbe stato un grave anacronismo. La fede stessa non aveva ancora raggiunto, in quel periodo, un livello di sviluppo tale da poter essere
sintetizzata in un credo, e inoltre doveva ancora sorgere la nozione
precisa di definizioni stereotipe.
17
La forza di queste e simili considerazioni a prima vista impressionante. Non desta dunque sorpresa se, durante la grande fioritura
di studi sui simboli di fede, che si ebbe tra il 1860 ed il 1914, venne
consolidandosi un'opinione decisamente contraria alla tradizione di
un credo primitivo. Bisogna ricordare che, sotto l'influsso di uomini come Harnack, la tendenza prevalente fu dominata da una particolare teoria sulle origini del cristianesimo. Si stabiliva spesso una
marcata antitesi tra la fase neotestamentaria, guidata dallq Spirito
e spontanea, e l'epoca del II secolo di formalismo e istituzionalismo
incipienti. Finch venne accettata questa concezione della storia, non
stata individuata nello stadio iniziale del cristianesimo nessuna
espressione che somigliasse ad un credo completo.
La maggioranza degli studiosi (vi furono, vero, alcune autorevoli eccezioni) 18 ha concluso che simboli di fede formulati nel senso rigoroso del termine non avevano avuto inizio fino alla met del
II secolo o, forse, poco prima. Se qualcosa di simile a un credo era
in uso nella Chiesa prima di allora, non poteva essere nulla di pi
elaborato della semplice confessione battesimale "Ges il Signore" o "Ges il Figlio di Dio". La storia dei credo sarebbe stata
dunque la storia dell'ampliamento di queste brevi formule, provocato dalle esigenze delle controversie e dalla evoluzione e maturazione teologica del cattolicesimo.
2.
La tradizione apostolica
LA TRADIZIONE APOSTOLICA
t del II secolo si rivela eccessivamente ottimistica. Tuttavia concordare su questo punto non esclude minimamente la possibilit che
formule di fede di tipo pi fluido, prive del carattere di stabilit e
ufficialit dei formulari posteriori, ma precorritrici di questi, fossero
in uso abbastanza presto. Se la Chiesa ha avuto un credo all'epoca
del Nuovo Testamento poteva essere soltanto qualcosa di simile.
importante esaminare gli argomenti a favore di questa ipotesi.
Nel discutere, occorre tenere presenti due considerazioni. Prima
di tutto, la Chiesa dei primi tempi fu sin dall'inizio una Chiesa credente, confessante e kerygmatica. Nulla pi artificioso ed irreale
della contrapposizione tanto frequentemente affermata tra la Chiesa del I secolo, con la sua pura religione dello Spirito e la sua quasi
totale assenza di organizzazione, e la Chiesa cattolica nascente, della fine del II secolo, con tutti i suoi apparati istituzionali. Se i cristiani dell'epoca apostolica non avessero pensato di possedere una
serie di credenze specifiche, coscientemente recepite, difficilmente
avrebbero potuto separarsi dal giudaismo per intraprendere un vastissiJ.no programma di espansione missionaria.
Tutto tende a dimostrare che le comunit degli inizi si consideravano portatrici di una storia unica di redenzione. Era stata la loro
fede in questo annuncio che le aveva chiamate alla vita, ed esse si
sentivano in obbligo di comunicarla ai nuovi venuti. Sarebbe dunque sorprendente se non avessero formulato un'espressione visibile
nella loro predicazione, come pure nella loro vita comunitaria e nella loro organizzazione. Come altri gruppi religiosi portatori di un
messaggio di salvezza, i primi cristiani devono essere stati spinti da
un intimo impulso a inserirla nella liturgia, nelle loro regole di fede,
nella predicazione, e a cogliere ogni occasione per ripeterla.
In secondo luogo, il carattere deila letteratura apostolica, come
gli studiosi hanno con sempre maggiore frequenza riconosciuto a partire dagli inizi del XX secolo, concorda con questa ipotesi. passato il tempo in cui il Vangelo e le Epistole potevano essere trattati
come biografie oggettive e commenti distaccati di avvenimenti contemporanei. Il Nuovo Testamento , nel suo insieme, una raccolta
di testi in funzione missionaria, scritti "di fede in fede". Gli stessi
Vangeli sono esposizioni attentamente elaborate dei dati di fede su
Ges, ai quali essi cercano di dare una spiegazione e un fondamento. Anche gli altri documenti presuppongono un retroterra di fede
condiviso dall'autore e da coloro per i quali egli scrive. Al di l di
tutte le differenze, delle sfumature e dei diversi punti di vista, che
emergono chiaramente, essi formano un corpo letterario che pu essere definito unicamente da una comunit dotata di una sua specifica e ben determinata visione delle cose.
Alla luce di queste considerazioni, impossibile non scorgere l'accentuazione, riscontrabile dappertutto nel Nuovo Testamento, perch sia tramandata una dottrina imposta con autorit. Negli strati
pi tardivi i riferimenti a un corpo di insegnamento ereditato sono
abbastanza chiari. In Giuda 3, per esempio, leggiamo della "fede
un tempo data ai santi"; in seguito (v. 20) l'autore parla della "vostra santissima fede'', usando il termine, ancora una volta, nel senso di un corpo approvato di dottrine. Ugualmente, nelle. lettere
pastorali, frasi come "modello di sane parole" (2 Tm 1, 13), "la
dottrina della salvezza" (2 Tm 4, 3; Tt 1, 9) "il deposito (ritv 1m.Q6i)x'1]11)" e il "buon deposito" (1 Tm 6,20; 2 Tm 1,14), "la fede"
nella sua accettazione concreta (1 Tm 1, 19; Tt 1, 13) e "lo splendido insegnamento" (1 Tm 4, 6) sono un ritornello costante. Anche
l'autore di Ebrei fa frequenti allusioni a "la professione (Tl\c; o'}..o'Yi.m)" alla quale consiglia i suoi lettori di attenersi a qualunque costo (3,1; 4,14; 10,23). In un altro passo sulla pratica della catechesi
(6,2), egli si riferisce indubbiamente a uno stadio elementare dell'educazione cristiana, che comprende la dottrina, l'etica e i sacramenti.
Un esempio illuminante di questa insistenza sulla dottrina tradizionale si pu forse intravedere nella prima lettera di Giovanni. Nella
sua sconcertante frase iniziale, dall'andamento tortuoso (1,1), l'autore usa l'espressione "la parola di vita (TOu )...6-you rftc; t<.iliJ'i)". L'interpretazione pi comune vuole che si riferisca al Logos incarnato,
riprendendo cos il tema del quarto vangelo. 19 A un'altra scuola di
esegeti,20 l'analogia con Fil 2,16 ("tenendo ferma la parola di vita")
e At 5,20 ("tutti gli insegnamenti di questa vita") ha fatto pensare
che il riferimento sia in realt al messaggio di salvezza annunciato
dalla Chiesa. La soluzione della difficolt sta nel riconoscere che l'uno di questi aspetti della Parola non esclude l'altro. Il Signore incarnato era certamente, agli occhi dei.cristiani, la vera Parola di Dio;
mentre il vangelo che essi proclamavano era precisamente quella Parola, manifestatasi nella sua persona e nelle sue azioni di salvezza.
Ci che S. Giovanni fa richiamare i suoi lettori, che si trovano di
19
Cos nei commenti di B.F. Westcott e di A.E. Brooke. C.H. Dodd ha avallato
LA TRADIZIONE APOSTOLICA
10
LA TRADIZIONE APOSTOLICA
11
12
Frammenti di credo
Si pu accettare come fatto dimostrato che la Chiesa nell'et apostolica possedeva un credo, inteso nel senso lato di un corpo comune di dottrine riconosciute e accettate. Si pu per fare un ulteriore
passo in avanti. Nel Nuovo Testamento, una messe abbondante di
dati sta a dimostrare che la fede cominciava gi a consolidarsi in sommari convenzionali. Il credo, nel senso vero e proprio del termine,
doveva ancora venire, ma il movimento verso la sua formulazione
e stabilizzazione era in corso. Cos al lettore del Nuovo Testamento
si propongono continuamente formule di fede a guisa di slogan, ritornelli, frasi apologetiche, che al tempo della redazione scritta erano ormai consacrate dall'uso popolare. Inoltre, si incontrano frasi
pi lunghe che scorrevoli quanto al frasario, le quali per contesto, ritmo e forma generale, come pure per contenuto, tradiscono la loro
provenienza pi da una tradizione comunitaria che dalla libera creativit dello scrittore. Non necessario, e pu essere fuorviante, spiegarle come brani o echi dl. una formula ecclesiastica ufficiale, come
fu in passato opinione prevalente. Poich puramente ipotetica, e
neanche probabile, l'esistenza di un credo vero e proprio nel senso
rigoroso del termine, pi opportuno considerarle come unit inrupendenti ed esaminarle nella loro portata reale.
A questo proposito, vale la pena di sottolineare due punti. Anzitutto, che questi inizi di cristallizzazione non avvennero casualmente, ma furono causati da situazioni particolari nella vita della Chiesa.
Alcune specifiche situazioni, che si prestavano all'espressione o alla
FRAMMENTI DI CREDO
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FRAMMENTI DI CREDO
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- dh,.Dio" .
. "L'autore di JGv va ancora oltre affermando (4,15) che "chiun: , ,que_riconosce che Ges il Figlio di Dio, Dio rimane in lui ed egli
--:in:Dio'', e ponendo poi la domanda (5,5): "Chi che vince il mon,C,d; se non chi crede che Ges il Figlio di Dio?". Queste ultime
;~espressioni, mentre contengono un'affermazione cristiana primiti, -, v~ mostrano una certa coloritura polemica nei confronti dei doce- _ti, ai quali si oppongono, che si evidenzia poi maggiormente in una
-J_i:roula pi volutamente polemica (4,2): "Ges Cristo venuto nella
'f~rne" La stessa affermazione che Ges il Figlio di Dio, senza
<al~\1Ila allusione di carattere antieretico, citata in Eb 4, 14. Ricom_ip~e in forma molto diversa in Mc 5, 7, dove il demonio che il Si'<, grior~ sta per esorcizzare grida: ''Ges, tu che sei il Figlio di Dio
<:;attj"ssimo, ti scongiuro'' e in Mc 3, 11, dove i demoni lo salutano con
t:iit~e_;-prole: "Tu sei il Figlio di Dio". Questi passi possono, forse, of'.~J.f)ire una traccia delle formule esorcistiche della Chiesa del I
Y:~'.;~(llo3o.
~: ~~;'.,.:.
.;_~,J-~icl pesce: le lettere greche 'lx~u~ decifrate "Ges Cristo, Figlio di Dio, Salvatore"
Yl~&,~~(;i..ii~i. Dilger, Ichthys, l, 248, 259, 318 ss. Cf. anche l'iscrizione del II secolo recu"<,;: .aer~ta
a S. Sebastiano (Roma) e alla quale si fa riferimento in Z.N. T. W. xxi, 1922, 151.
:..::: ..
~:
16
Finora abbiamo preso in considerazione formule di fede in miniatura, brevi proclamazioni tipo slogan. Accanto a esse vi sono,
nelle pagine del Nuovo Testamento, numerosi esempi di proclamazioni_ pi piene e dettagliat. In 1Cor15,3 ss., S. Paolo riproduce un
estratto di ci che descrive in maniera particolareggiata come ''il vangelo (7 e.a-y-y~)\Lo11) che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto":
aggiunge che tale vangelo ben lungi dall'essere suo, perch a sua
volta lo ha ricevuto, presumibilmente dalla Chiesa. Il frammento citato dice:
"Vi ho infatti trasmesso in primo luogo ci che anch'io ho ricevuto,
che cio Cristo mori per i nostri peccati secondo le Scritture,
che fu sepolto,
che il terzo giorno fu risuscitato secondo. le Scritture,
che apparve a Cefa,
e poi ai Dodici,
apparve pure a pi di cinquecento fratelli in una sola volta ...
apparve quindi a Giacomo,
poi a tutti gli apostoli. .. ".
e 2Tm 2,8:
Ricordati che Ges Cristo
della stirpe di Davide
risuscit dai morti, (secondo il mio vangelo)".
FRAMMENTI DI CREDO
17
Inoltre, frasi disseminate nelle Lettere sembrano l'eco di formule catechistiche come quelle, p.e., di Gal 1,4 ("Ges Cristo che ha dato
se stesso per i nostri peccati"); JTs 4, 14 ("Noi crediamo che Ges morto e risuscitato"), e JTs 5,9 (" ... per il Signore nostro Ges
Cristo, il quale morto per noi"). Cos pure il passo pi lurigo e
pi liberamente espresso in JPt 3,18 ss.:
"Perch anche Cristo soffr per i peccati,
egli giusto in favore degli ingiusti, per portarci a Dio,
messo a morte nella carne, ma vivificato nello spirito.
E in spirito si rec ad annunziare agli spiriti che attendevano in
prigione .
. . . in virt della risurrezione di Ges Cristo,
il quale, salito al cielo,
sta alla destra di Dio
essendogli stati sottomessi gli angeli, i principati e le potenze".
18
Lo stesso tipo di kerygma, naturalmente molto abbreviato, era impiegato per l'esorcismo e per la guarigione. Cos Pietro (At 3,6) cur lo storpio alla porta del tempio detta Bella fissandolo con
solennit: "Nel nome di Ges Cristo il Nazareno, cammina". Un
po' pi tardi, essendogli stato chiesto di spiegare il miracolo (4,10)
elabora la formula cos: "Nel nome cii Ges Cristo il Nazareno, che
voi avete crocifisso, e che Dio ha risuscitato dai morti".
Questo pu bastare per le formulazioni puramente cristologiche
a una sola clausola del deposito dottrinale della Chiesa apostolica.
Esse certamente non erano l'unico tipo: contemporaneamente, il deposito dottrinale stava prendendo forma in confessioni semiformali
di struttura binitaria, basata sulle idee parallele di Dio Padre e di
Ges Cristo suo Figlio. Uno degli esempi pi significativi si trova
in Paolo (JCor 8,6):
"Per noi c' un solo Dio, il Padre,
dal quale provengono tutte le cose, e noi siamo per Lui,
e un solo Signore Ges Cristo,
in virt del quale esistono tutte le cose, e noi esistiamo per Lui".
FRAMMENTI DI CREDO
19
Non necessaria molta immaginazione per intravedere, dietro questa libera parafrasi, una formale professione di fede in Dio Padre,
Creatore di tutte le cose, e in Ges Cristo suo Figlio, che ha sofferto
( certamente questo il significato autentico di CLQTUQ~OCLVTo<; T]v
xa."'l\.]v o"'l\.o"{[av) sotto Ponzio Pilato, e di nuovo verr nella
gloria32 La sua collocazione potrebbe essere la catechesi preparatoria al battesimo. Un credo frammentario di tipo analogo citato
in 2Tm 4, 1 in forma di esortazione solenne:
"Ti scongiuro davanti a Dio
e a Cristo Ges, che verr a giudicare i vivi e i morti,
pey. la sua manifestazione e per il suo regno ... ".
Qui la seconda venuta, solitamente inclusa nell'elenco degli eventi
salvifici attribuiti a Cristo, appare come un articolo di fede coordinato con gli altri.
Un passo che testimonia una formula binitaria di tipo leggermente diffrente Rm 4,24:
"Ma anche per noi. .. che crediamo
in Colui che risuscit
dai morti Ges nostro Signore,
il quaie fu messo a morte per i nostri peccati
e fu risuscitato per la nostra giustificazione"
32 Per questa interpretazione cf. C. H. Turner nel J. T. S. xxviii, 1927, 270 s. Non
naturalmente necessario, per essa, giungere all'improbabile conclusione che &.ot..o"'ltav
dovesse essere nell'originale citato dall'autore. Per quanto riguarda .aQTUQELv = "soffrire", cf. 1 Clemente, 5, 4; 5, 7.
20
Qualunque sia stata la situazione in cui questo passo ha preso forma, chiaro che "Dio che ha risuscitato il Signore Ges dai morti"
era gi diventato un ritornello o un clich stereotipo prima della terza generazione del I secolo.
Essi comprendono gli esempi di confessioni binitarie nel Nuovo
Testamento cui generalmente si fa riferimento. Ma con ci non
certo esaurita la loro lista: la si pu ampliare di molto se la ricerca
degli elementi propri delle formule viene condotta su una base pi
ampia. In pratica ogni lettera di S. Paolo, per esempio, si apre con
il saluto convenzionale: "Grazia e pace a voi da Dio Padre nostro
e dal Signore Cristo Ges" . 33 Si trattava evidentemente di una formula-tipo. N si pu dire che essa fosse espressione tipica dell'uso
paolino. Una forma di saluto molto simile si trova nelle lettere pastorali (!Tm 1,2; 2Tm 1,2; Tt 1,4) e in 2 Pt (cf. 1,2 "nella giustizia
del nostro Dio e Salvatore Ges Cristo"); cos pure in 2Gv 1,3 ("grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Ges Cristo, Figlio del
Padre"). Inoltre, l'espressione "il Dio e Padre del Signore nostro
Ges Cristo" si pure cristallizzata in una formula stereotipa come
sta a dimostrare il suo uso in Rm 15,6; 2Cor 1,3; 11,31; Ef 1,3; IPt
1,3. 34 Essa nacque probabilmente in un contesto liturgico, a giudicare da Rm 15,16 ("che possiate con voce unanime glorificare
Dio ... "} come pure dal suo ricorso frequente come benedizione.
A prescindere da tali contesti particolari, tuttavia, innumerevoli
altri passi servono a illustrare il modo con cui gli uomini della Chiesa apostolica giunsero istintivamente a collegare il Padre con il Figlio. Si trattava quasi di una loro categoria mentale. S. Paolo prega
cos in JTs 3,11: "Voglia lo stesso Dio e Padre nostro e nSignore
nostro Ges dirigere il nostro cammino verso di voi"; mentre in 2Ts
2,16, esprime la speranza che i suoi destinatari possano essere confortati e rinvigoriti "dallo stesso Signore nostro Ges Cristo e da
Dio Padre nostro". S. Giacomo descrive s stesso (1,1) come "ser-
33 Cf. Rm 1,7; I Cor J, 3; 2 Cor l,2; Gal 1,3; Ef 1,2 (cf. anche 6, 23); Fil 1,2; 2
Ts 1,2.
34 Cos secondo W. Bousset in Jesus der Herr, Gottinga, 1916, n. 36.
FRAMMENTI DI CREDO
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Il modello originale
IL MODELLO ORIGINALE
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24
mentre una confessione a pi clausole si era sviluppata gradualmente, per andare incontro alle esigenze dei gentili convertiti.
O. Cullmann ha presentato recentemente la tesi in un modo un
po' diverso, in forma pi precisa, e ha tentato 38 di dimostrare che
le formule binitarie hanno avuto origine nello scontro della Chiesa
con il paganesimo. Inizialmente, quando tutti coloro che entravano
nelle sue file erano ebrei convertiti, era necessario solo un breve credo cristologico. Ma quando si tratt di introdurre nella cristianit
i pagani, sembr auspicabile assicurarsi che, prima di aderire alla
fede in Cristo, si mostrassero saldi nella fede giudeo-cristiana in Dio
Padre, e a questo scopo fu disposta una confessione basata sulio
Shema3 9 ebraico. Tutte le formule binitarie del Nuovo Testamento,
cos ha affermato Cullmann, compaiono in contesti in cui il paganesimo viene coscientemente contrastato. Le confessioni trinitarie,
poi, emersero da quelle binitarie a causa dell'associazione dello Spirito Santo al battesimo. In una prima fase, egli pensa, si aggiunse
al credo con due clausole una esplicita menzione del battesimo (cf.
EJ 4,4): poi, in luogo di UN SOLO BATTESIMO, si introdusse la
menzione del dono che la fede affermava conferito dal battesimo,
cio Io Spirito Santo, come pi adatto a essere ricordato nel credo
insieme al Padre e al Signore Ges Cristo.
Questa ricostruzione dell'evoluzione delle forme di credo presenta, almeno a prima vista, una certa suggestiva plausibilit. fuori
discussione che, per quanto riguarda le confessioni di fede formulate in modo esplicito, quelle a clausola unica, la forma cristologica,
sembrano essere state di gran lunga le pi popolari nell'et apostolica. Quelle binitarie erano evidentemente molto pi rare, e ancora
di pi quelle trinitarie. Ma la teoria proposta per spiegare il fenomeno pericolosamente ingannevole. Consideriamo anzitutto uno
o due punti relativamente meno importanti. Non assolutamente
vero che tutti i modelli di confessioni binitarie nel Nuovo Testamento
ricorrano in contesti in cui il paganesimo era considerato come avversario, o in cui si andava incontro a specifiche esigenze dei cristianigentili. JCor 8,6 si pu interpretare in modo conforme a questa analisi, ma la maggior parte di essi no. Il pi importante, 1 Tm 6,13,
si deve quasi certamente collegare al battesimo e ci sono ben scarsi
38 Op. cit. 30 ss;
39 Composto di Dt
IL MODELLO ORIGINALE
25
argomenti a favore del tentativo forzato di Cullmann di interpretarlo come riferentesi ad un processo giudiziale. In particolare, la frase
spesso ricorrente "Dio che ha risuscitato dai morti il Signore Ges" sembra suggerire che la formulazione binitaria della fede fosse
precedente alle istanze della missione ai gentili.
Per quanto riguarda le confessioni trinitarie, il tentativo di interpretare il terzo articolo come sostitutivo di una menzione originale
di UN UNICO BATTESIMO del tutto artificioso e dipende da
un'ingegnosa congettura. Il testo addotto come prova, Ef 4,4, contiene in realt un'affermazione di sette elementi, e non pu essere
considerato una dimostrazione di come la formula duplice venne ampliata con l'aggiunta di una menzione del battesimo. In ogni caso,
lo Spirito Santo era, agli occhi dei primi cristiani, molto pi del dono che avevano ricevuto nel battesimo.
Critiche simili possono essere fatte valere contro i dettagli dell'ipotesi che stiamo esaminando. Ma offre il fianco ad attacchi di pili
vasta portata. Le pagine del Nuovo Testamento mostrano molto chiaramente, come abbiamo avuto occasione di osservare, che gli schemi binitari e trinitari erano impressi nella mente dei primi cristiani
molto pi profondamente di quanto siano stati disposti ad ammettere Cullmann e i suoi seguaci. La giustapposizione del Padre e del
Signore Ges Cristo come realt parallele e la compresenza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo erano diventate categorie del pensiero cristiano assai prima che venissero redatti i documenti
neotestamentari. Per restringere ora la nostra attenzione al primo
aspetto, esempi di formula binitaria si possono ritrovare in una grande variet di contesti, inclusi (come dimostrano le Lettere paoline)
molti destinati a un uditorio prevalentemente giudeo-cristiano. Riferirli a un ambiente di cultura pagana del tutto gratuito. In alcuni
casi, esistono forti e reali motivi per supporre che il substrato su cui
venne sviluppandosi la loro struttura a due clausole debba essere stato
profondamente giudaico.
Abbiamo gi commentato il carattere stereotipo della formula liturgica "benedetto sia Dio, P~dre del Signore nostro Ges Cristo",
e abbiamo posto in rilievo la frequenza con cui ricorre l'espressione
"Dio, che ha risuscitato dai morti il Signore Ges Cristo". Malgrado la sua veste cristiana, facile scorgere dietro la prima formula
l'influsso delle numerose benedizioni liturgiche, cos simili nella loro struttura generale, che, ai tempi di S. Paolo come oggi, erano presenti quasi a ogni pagina del libro giudaico di preghiere. probabile
26
41
IL MODELLO ORIGINALE
27
42
Cf. Rm 8,15; Gal 4, 6. C. Fabricius ha un interessante saggio su questo argomento, intitolato Urbekenntnisse der Urchristenheit, nel Reinhold Seeberg Festschrift,
Lipsia, 1929, 1,2 ss.
28
preludio "la forma di insegnamento" accettata nella Chiesa apostlica, ma i suoi particolari lineamenti e la sua struttura caratteristica
trovavano i loro prototipi nelle confessioni e nei sommari di fede
contenuti nei documenti del Nuovo Testamento.
CAPITOLO SECONDO
CREDO E
L //
BATTESIMO
1 Die Anfiinge des Glaubensbekenntnisses, Tubinga, 1921, 226. Questo breve saggio era parte di una Festgabe presentata a A. von Hamack.
30
CREDO E BATTESIMO
3 Cf. F.J. Goar, Ex(.i))\o"fLov sive Rituale Graecorum, Lutetiae Parisorum, 1647,
338.
31
32
CREDO E BATTESIMO
met del IV secolo, ci stata tramandata nelle Catechesi mistagogiche di S. Cirillo (tenute o nel 348, quando era ancora prete, su richiesta del suo vescovo o, forse, 7 dopo la sua consacrazione a
vescovo). L'istruzione preliminare, abituale in quel tempo, aveva luogo durante il periodo quaresimale, e nel corso di essa, a un certo
punto (non direttamente indicato ma probabilmente alla fine della
quinta settimana), il credo vehlva consegnato ai catecumeni. 8 Le altre due settimane 'precedenti la settimana santa erano dedicate alla
sua spiegazione. Il battesimo era amministrato di notte, durante la
veglia pasquale. S. Cirillo descrive9 come i candidati venivano condotti nel cortile antistante il battistero (Et~ Tv 11"Q00tu1'.wv Tou
~ot.'ll"Ti.crotTo~ olxov), e l, rivolti a occidente, in quattro atti distinti
rinunciavano a Satana, alle sue opere, alle sue pompe, e al suo culto. Poi, rivolti a oriente, la regione della luce, facevano la loro professione di fede: "Credo nel Padre, e nel Figlio, e nello Spirito Santo,
e in un battesimo di penitenza":
Possiamo supporre con buona probabilit che questo testo rappresenti un'abbreviazione di una formula pi dettagliata che S. Cirillo aveva commentata articolo per articolo, ma che deve avere avi.ito
qualche titubanza a riportare. La fase seguente era costituita dall'ingresso nel battistero vero e proprio, dove i candidati si toglievano le vesti, venivano unti con l'olio dei catecumeni, e scendevano
nudi nella vasca piena d'acqua. Qui veniva loro chiesto ripetutamente
se credevano .nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo
e, appena essi facevano la loro ''confessione di salvezza (Tiiv awri&Q wv
.o)..o-yi.av)" in risposta, venivano immersi tre volte nell'acqua. II
racconto di S. Cirillo confermato e ampliato da Eteri a di Aquitania, che circa quarant'anni dopo visit Gerusalemme e i luoghi santi, annotando la prassi liturgica ed ecclesiastica con devota curiosit.
Essa riferisce 10 che il credo era consegnato ai catecumeni dal vescovo all'inizio della sesta settimana di quaresima; essi poi lo riconsegnavano (si tratterebbe della prima e meno importante riconsegna
e non di quella citata da S. Cirillo) quindici giorni dopo, la domenica delle Palme.
Il settimo libro delle Costituzioni Apostoliche (scritto verso la fiCos secondo Mader, Der hl. Cyrillus von Jerusalem, Einsiedeln, 1891, 2s.
Cat. 5, 12 (P.G. 33, 520ss.).
9 A questo ri~ardo vedi Cat. 19, 2-9 e 20, 2-4 (P.G. 33, 1068 ss. e 1077 ss.). che
S. Cirillo consegnava al neobattez:zato la settimana dopo Pasqua.
10 Peregrin. Aether, 46 (Geyer, 97 s.).
7
33
34
CREDO E BATTESIMO.
to, alle tue apparenze, alle tue pompe e alle tue opere") e all'unzione del candidato. Questi era poi invitato a rivolgersi verso oriente e a
dichiarare la sua adesione al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo.
Segue poi 16 la descrizione del _battesimo vero e proprio:
I battezzandi stiano in piedi nell'acqua. Allo stesso modo, un diacono
deve scendere nell'acqua con loro. Cos, una volta che il battezzando sceso nell'acqua, chi lo battezza deve porre la mano su di lui e dire: "Credi
in Dio Padre onnipotente?", ed il battezzando deve rispondere: "Credo".
E subito lo si battezzi per la prima volta. Poi il prete deve dire: ''Credi in
Cristo Ges figlio di Dio, che venne dal Padre, che con il Padre dall'inizio, che nacque da Maria Vergine per opera dello Spirito Santo, che fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, mor, il terzo giorno risuscit da morte, ascese
al cielo, siede. alla destra del Padre, e verr a giudicare i vivi ed i morti?".
E, quando risponde: ''Credo", lo si battezzi una seconda volta. Poi deve
dire: "Credi anche nello Spirito Santo, nella santa Chiesa?" Chi riceve il
battesimo deve dire: "Io credo" e poi essere battezzato per la terza volta.
Un dato prima di tutto che lascia perplessi riguardo al Testamentum, data la sua epoca, l'assenza di un credo dichiaratorio. Probabilmente, fu tralasciato a causa della convenzione che stabiliva di
considerare segrete tali formule. Ci sono prove che un credo figurava nella liturgia romana, in ogni caso a partire dal IV secolo, e che
rivestiva un ruolo preminente. Rufino riferisce 17 che nella Chiesa di
Roma (scrive alla fine del IV secolo) era consuetudine di coloro che
ricevevano il battesimo recitare il credo davanti al popolo. La cerimonia doveva essere ancor pi suggestiva delle altre, perch indusse
Rufino a .considerarla come intesa a salvaguardare da alterazioni il
testo del credo romano. Anche S. Agostino racconta una storia che
fa emergere il carattere spettacolare, quasi scenico, della "riconsegna del credo a Roma". Ricordando il battesimo del famoso convertito Vittorino, rileva che i catecumeni romani, al momento di
essere battezzati, da una posizione elevata (de loco eminentiore) di
fronte all'assemblea dovevano recitare il credo in una forma verbale fissa che avevano imparato a memoria. 18 Cos S. Leone, in una
severa lettera ai monaci palestinesi, le cui opinioni cristologiche considerava fortemente fuorviate, li biasima 19 per aver dimenticato "il
P. 128 s. nell'edizione di LE. Rahmani (Magom.a, 1899): l'ho tradotta dal latino.
Comm. in sym}J. apost. 3 (C.C.L. 20, 136).
18 Confess. 8, 2 (P.L. 32, 751).
19 Ep. 124 ad monach. Palaest. (P.L. 54, 1067s.).
20 Ep. ad Senarium 4 (P.L. 59, 402).
16
17
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36
CREDO E BATTESIMO
immersi una terza volta, cosicch la vostra triplice confessione lavava via
le molteplici mancanze della vostra vita precedente" . 24
Il De mysteris, 25 opera mlto simile al De Sacramentis di S. Ambrogio, da cui sembra largamente dipendere, presenta un resoconto
analogo, ricordando 26 la rinuncia al "derri.onio e alle sue opere, al
mondo e alla sua lussuria e ai suoi piaceri", dopo che il candidato
era entrato nel battistero, e ricordando brevemente, 27 con un linguaggio che mette molto in evidenza le tre distinte risposte, le sue
professioni di fede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. probabilmente questo l'atto di fede che aveva in mente S. Leone quando osservava: 28 "Durante la nostra rigenerazione ... rinunciamo al
demonio ed esprimiamo la nostra fede in Dio" e ancora: 29 "Non
in accordo con Dio colui che fuori dell'armonia con la professione
fatta durante la sua rigenerazione, e che, immemore del divino contratto, rimane attaccato a quello a cui ha rinunciato e lontano da
ci in cui diceva di credere".
Nel Sacramentario Gelasiano, che si ritiene rifletta la prassi liturgica romana del VI secolo, si ritrovano entrambi i tipi di confessione. Qui, come ci si pu ragionevolmente aspettare, la rinuncia a
Satana appare presto nel rito ed fatta con una triplice esclamazion~: "Rinuncio (abrenuntio)". Segue il credo in forma dichiaratoria. Poich il battesimo dei bambini era ormai quasi universalmente
diffuso, la rubrica raccomanda che sia pronunciato dal prete con
le mani stese sul capo dei bambini. 30 Tutto ci avviene fuori del battistero ed seguito da una serie di preghiere e atti liturgici. Nel battistero, poi, si benedice con rito accurato il fonte, quindi la rubrica
prosegue: 31
''Dopo la benedizione del fonte, battezza ciascuno di loro ponendo queste domande (sub has interrogationes): 'Credi in Dio Padre onnipotente?'
Risp. 'Credo'. 'Credi anche in Ges Cristo suo unico Figlio nostro Signore.
24
2,7.
P.L. 16, 389-410. La paternit ambrosiana, malgrado F. Loofs (Leitfaden der
Dogmengeschichte, 4 ed. Halle, 1906, 470) stabilita con sicurezza.
25
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27
28
29
31
2.
5.
37
che nato e ha sofferto?' Risp. 'Credo'. 'Credi anche nello Spirito Santo,
la santa Chiesa, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne?' Risp.
'Credo' Ogni volta lo immergerai tre volte nell'acqua (deinde per singulas
vices mergis eum tertio in aqua).
Abbiamo compiuto una panoramica, necessariamente rapida e incompleta, di un insieme abbastanza vario di dati. Non c' nessuna
ricerca nel campo della liturgia che meriti oggi attenzione prioritaria pi della scelta dei riti battesimali e possibili connessi, con l'elaborazione di una teoria costruttiva sulla loro evoluzione. Quanto
detto dovrebbe tuttavia essere sufficiente a provare che simboli di
fede dichiaratori avevano un posto consolidatQ nella vita battesimale
(considerata nel senso pi ampio) almeno a partire dal IV secolo.
Si pu anche dire che la loro importanza crebbe progressivamente.
Nelle Chiese orientali, le domande e risposte al momento del battesimo finirono per sparire, rimase solo la triplice aspersione con le
parole: "Il tale battezzato nel no:re", ecc.
Il Credo Costantinopolitano, dopo l'abiura dal demonio, la sol~ profe!sione di fede a perdurare nel rito, e la sua forma naturalmente dicharatoria. In Occidente ci non si mai verificato, sebbene
affiorino sporadici accenni al fatto che diminuiva l'importanza delle domande e risposte (per esempio, se ne poteva ottenere la dispensa per un battezzando ammalato che aveva gi recitato il credo
dichiaratorio)32 che alla fine furono separate dalle immersioni. Anche qui, tuttavia, il credo dichiaratorio, la cui recita ai tempi antichi
avveniva spesso fuori del rito.vero e proprio, fin per fissarsi saldamente all'interno della stessa liturgia battesimale. A tal punto che
la convinzione popolare, di cui stiamo esaminando le credenziali,
pu considerarsi giustificata.
Si era fatto notare all'inizio, tuttavia, che tale asserzione non si
potrebbe estendere senza alcune riserve al periodo seguente il IV secolo. La prima che, almeno per i primi secoli, il credo dichiaratorio non
era la sola professione di fede durante il battesimo, n la pi significativa. Le ''interrogazioni sulla fde (interrogationes de fide)'' e le
risposte a esse ne costituivano un'altra, come si visto. Infatti, dato
che formavano il nucleo del rito, difficile sottrarsi al sospetto che
la confessione di fede in esse contenuta fosse considerata quella essenziale. Ci avallato di fatto da molte delle espressioni usate da
32 Cf. la lettera di S. Fulgenzio di Ruspe (prima met del VI secolo) a Ferrando
(Ep. 12, 16: C.C.L. 91, 371).
38
CREDO E BATTESIMO
LE INTERROGAZIONI BATTESIMALI
39
Le interrogazioni battesimali
Finofa, soffermandoci sulla credenza popolare che la proclamazione del credo fosse originariamente una derivazione della liturgia
battesimale, abbiamo deliberatamente circoscritto la nostra attenzione al IV secolo e al periodo seguente. Dobbiamo ora ricercare
quale contributo possano dare al nostro problema i primi tre secoli.
Dobbiamo soprattutto indagare sui dati che essi offrono per l'uso
dei simboli di fede, dal momento che sappiamo come anche dopo
il IV secolo i simboli c;lichiaratori non erano le uniche n le pi importanti professioni di fede usate drante il battesimo. Il nostro metodo sar di dare innanzitutto uno sguardo alle indicazioni fornite
dal Nuovo Testamento, per rivolgerci poi agli autori del II e del III
secolo. Va tenuta presente la distinzione tra i credo dichiaratori veri
e propri e le semplici espressioni di assenso in risposta a interrogazioni.
Per quanto riguarda l'epoca neotestamentaria, non c' dubbio che
il credo fosse considerato, fin dai tempi pii) antichi, condizione preliminare e necessaria al battesimo. Ci risulta chiaro dall'essenza del
rito di ammissione nella Chiesa. Veniva senz'altro richiesta, a comprova della fede, una professione di fede dell'uno o dell'altro tipo.
Nel Nuovo Testamento, tutto questo dimostrato in maniera circo38
40
CREDO E BATTESIMO
40
LE INTERROGAZIONI BATTESIMALI
41
Rm io, 9.
Apo/. l, 61 (E.J .G. 70s.). Il libro stato scritto a Roma.
42
CREDO E BATTESIMO
Pilato, e dello Spirito Santo, che per mezzo dei profeti preannunci quello
che riguardava Ges, che l'uomo illuminato viene lavato".
Il, 60-62.
Cap. 3 (C.C.L. 2, 1042 s.l.
LE INTERROGAZIONI BATTESIMALI
43
sun luogo, per, c' un accenno sicuro alla proclamazione del credo. D'altra parte, ogni qual volta egli ha l'occasione di fare
tiferimento alla sua professione di fede cristiana nel battesimo, lo
fa con un linguaggio che si armonizza molto pi facilmente con l'assenso dato a un questionario che non con una professione di tipo
dichiaratorio.
Molte volte Tertulliano usa la metafora di un soldato dell'esercito imperiale che fa il suo giuramento militare. 46 Doveva esserci ~no
stretto parallelismo tra i due modi di procedere e, dato che il giuramento del soldato era generalmente recitato da un altro mentre ogni
milite doveva semplicemente dare il proprio assenso, se ne deduce
hiaramente che qualcosa di analogo doveva verificarsi durante il
battesimo. Una nota frase nel trattato De spectacu/is41 porta alla
stessa conclusione: "Quando entrammo nell'acqua e confessammo
la fede cristiana in risposta alle parole prescritte dalla sua legge (in
legis suae verba profitemur), testimoniammo con le nostre labbra
di aver rinunciato al demonio, alle sue pompe e ai suoi angeli".
"' Il passo del De corona al quale abbiamo gi fatto riferimento ri.porta una siwazione simile: "Allora veniamo immersi per tre volte,
mentre diamo una risposta in un certo senso pi ampia di quella che
il Signore determin nel vangelo (amplius aliquid respondentes quam
Dominus in evangelio determinavit)". Da questo si pu appena trarre
un'allusione a un credo dichiaratorio pronunciato al momento dell'immersione, ma la singolarit di una simile professione a questo
punto del rito rende tale interpretazione troppo artificiosa. La "risposta" si pu intendere molto pi linearmente in riferimento alle
risposte battesimali (probabilmente, come nelle liturgie successive,
un breve "credo") alle tre domande del celebrante, ognuna delle quali
era ormai pi completa e pi estesa delle semplici formule del comando del Signore in Mt 28, 19. Che questa fosse la prassi nota a
Tertulliano, dimostrato dalla sua osservazione in un altro testo 48 :
''Perch siamo battezzati, non una sola volta, ma tre volte, nelle tre
persone separatamente, in risposta ai loro diversi nomi''. Il peso che
attribuiva a tali risposte si pu dedurre da un'altra affermazione 49
sul loro effetto, cio che "l'anima lavata non dai lavacro, ma dalrisposta del candidato" .
la
44
CREDO E BATTESIMO
La sola conclusione che un critico onesto pu trarre 50 che Tertulliano non conosceva l'uso di un credo dichiaratorio nel battesimo. Nessuno che sia abituato a lavorare sulle antiche liturgie
battesimali pu dubitare che l'unico credo di cui era a conoscenza
fosse l'assenso del battezzando: "Credo" in risposta alle domande
fatte da chi lo battezzava. Un'importante conferma di ci data dalla
Tradizione Apostolica, scritta verso il 215 da S. Ippolito e che probabilmente rispecchia la prassi liturgica romana alla fine del II secolo
e all'inizio del III. Tra i molti dati preziosi di questo documento, vi
un resoconto dettagliato del catecumenato51 e del rito battesimale. 52
Non solo non ricorre in alcun luogo la citazione della consegna
o della riconsegna del credo, ma non c' neppure il minimo indizio
che nel testo originale si trovasse un credo dichiaratorio. Un credo
in forma dichiaratoria si pu leggere nelle versioni etiopica e sahidica, ma gli esperti ritengono si tratti di interpolazione tardiva. 53 Infatti, la sola professione di fede richiesta evidentemente quella che
il candidato fa quando si trova in piedi nudo nell'acqua. Essa con7
forme al modello che dovrebbe ormai essere noto ai lettori:
"Quando chi deve essere battezzato si immerge nell'acqua, chi battezza
imporr le mani su d lui e dir: 'Credi in Dfo Padre onnipote:te?' e il battezzando risponder: 'Credo'. Poi (chi battezza) lo battezzi immediatamente,
ponendogli la mano sul capo. Dopo di ci dica: 'Credi in Cristo Ges, il
Figlio di Dio, che nacque dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo, fu crocifisso sotto Ponzio Pilato e mor, e risuscit dai morti il terzo
giorno, e ascese ai cieli, e sedette alla destra del Padre, e verr a giudicare
i vivi e i morti?'. E, quando avr detto: 'Credo', lo battezzi una seconda
volta. Quindi aggiunga: 'Credi nello Spirito Santo, nella Santa Chiesa, e
nella risurrezione della carne?'. Ed il battezzando dir: 'Credo'. E allora
lo battezzi per la terza volta".
so Cosi scrisse Kattenbusch circa il passo al quale si fa riferimento. Il caso fu attentamente riesaminato da F.J. Dolger in Antike und Christentum iv, 1933, 138 ss.
51 Cap. xvi-xx nella edizione di G. Dix (Londra, 1937).
52 Cap. xxi. Cf. la disamina da parte di H. Lietzmann in Z.N.T. W., xxvi, 1927,
76ss. L'originale greco della Tradizione .andato perduto; rimasto nella versione
latina (solo frammenti), sahidi, etiopica e araba.
53 Cf. R.H. Connolly in J.T.S.xxv, 1924, 132 s.
LE INTERROGAZIONI BATTESIMALI
45
-'i{f,,,c-f> "Tra gli inganni con cui raggir le moltitudini, ebbe l'impudenza di pre-
46
CREDO E BATTESIMO
come credo dichiaratorio. pi naturale prendere le parole in riferimento alle domande battesimali58 o, forse, alle domande nel contesto della triplice immersione. 59 Il passo mette in luce con estrema
chiarezza l'importanza del ruolo delle "parole abituali e stabilite dell'interrogazione". Se vogliamo avere altre prove in merito, baster
citare la patetica storia riferita da Dionigi di Alessandria in una
lettera60 indirizzata a papa Sisto riguardante un uomo che era giunto da lui in stato di grande disperazione: era stato battezzato in circoli eretici; ora, trovandosi presente a un battesimo cattolico, aveva
udito "le domande e le risposte (Twv 11-EQWTIJOwl' xctl 'TWV &11"0XQLerwv)" e gli era sembrato chiaro che nulla di simile c'era stato nella
sua iniziazione battesimale. O si potrebbe ricordare il linguaggio 61
usato nel quesito posto al concilio di Cartagine {poco dopo il 342)62
se fosse lecito ribattezzare un uomo, che era gi stato immerso una
volta nell'acqua "ed era stato interrogato sulla Trinit (interrogatum in Trinitatem) secondo la fede del vangelo e la dottrina degli
apostoli".
Si compl::ta cos il nostro studio sull'uso dei credo in connessione
con il battesimo durante i primi tre secoli. A conclusione di esso,
ci troviamo di fronte a una vastissima e significativa documentazione attestante che credo dichiaratori di tipo ordinario non avevano
alcun posto nel rito battesimale dell'epoca. Nel IV secolo e in quelli
successivi il loro ruolo fu, come abbiamo visto, secondario, e prima
del IV secolo del tutto inesistente. Una professione di fede era, naturalmente, indispensable, ma assumeva la forma della risposta del
candidato alle domande del celebrante. 63
Occasionalmente (cf. la confessione dell'eunuco), il battezzando
pu avere pronunciato una professione di fede esplicita: non c'erano, a questo proposito, regole fisse nella Chiesa delle origini. Pi
spesso, deve avere manifestato il proprio assenso ripetendo semplicemente: "Credo". Non solo questa era l'unica professione di fede
durante il rito, ma molti dati convergono nell'indicare che, insieme
Cf. O. Case!, op. cit.
Cf. H.J. Carpenter, op. cit.
60 Citato da Eusebio Hist. ecci. 7; 9 (Schwartz, 276).
61 Mansi III, 153.
62 Per quanto riguarda questa data, vedi E. Schwartz, Z.N.T. W. xxx, 1931, 4 n ..
63 Cos secondo R;H. Connolly in J. T.S. xxv, 1924, 131 s. Altri hanno seguito questo fatto, ma esso stato ampiamente esaminato da H.J. Carpenter in J.T.S. xliv,
1943, lss.
58
59
LE INTERROGAZIONI BATTESIMALI
47
alla triplice immersione, essa era considerata come la formula centrale e significativa dell'intero atto battesimale. Molti esperti64 di liturgia sono inclini a procedere oltre e pretendono che, in quel primo
stadio dell'evoluzione del rito, le domande e le risposte del battesimo occupassero il posto e avessero la funzione della successiva formula battesimale ("Io ti battezzo nel nome'', ecc., o "Il tale viene
battezzato nel nome", ecc.), la cui prima comparsa in forma non
incerta avvenne relativamente tardi. Di credo dichiaratori, di proJessioni di fede in prima persona in forma pi o meno rigida, non
c' traccia nelle liturgie antiche.
Per quanto sensazionali possano sembrare queste conclusioni ai
-sostenitori del noto e diffuso punto di vista che abbiamo esaminato, esse ci consentono di consiqerare l'evoluzione dei riti battesimali
e delle cerimonie preparatorie con una prospettiva pi chiara. La
<-~oppia recitazione dei credo, il primo sotto forma dichiaratoria, il
secondo in forma interrogatoria, sempre stata in qualche modo
_ .a~10mala. La spiegazione che il credo dichiaratorio era di fatto con,pesso CO\li il rito della consegna e riconsegna del credo, e questori;guardava logicamente il catecumenato e non il battesimo vero e
-,proprio. Il solo credo pertinente al battesimo in quanto tale era il
.ccredo interrogatorio. Alcuni studiosi hanno spesso affermato che le
i; ;~imohie della consegna e riconsegna del credo erano state stabilite
fin _dai tempi pi antichi. Ma il catecumenato nella sua forma pi
yyluta e pi pienamente articolata ebbe uno sviluppo relativament~. tardivo.
_ La distanza tra gli ordinamenti catechistici presupposti da S. Giu;>-~tino, per esempio, e quelli previsti nelle rubriche della Tradizione
~\:Apostolica di S. Ippolito enorme: 65 ma, anche eos, il processo
it'<~~n era completo. La consegna e riconsegna del credo, come sta a
7\9.lmostrare l'assenza di cerimonie simili nella Tradizione Apostoli~:';L~, appartiene all'epoca pi sviluppata della piena maturit del ca'~'/t~c;umenato, e cio alla seconda generazione del III secolo, al pi
;''~-.:presto. L'intera concezione del credo come formula segreta, che non
w_,;~pveva essere scritta ma solennemente impartita dal vescovo ~ ca!,.,:fcumeni di provata lealt, implica che anche la comparsa della con.~.-:
::::~
~~"'
~~
64
Cf. O. Casel, op. cit. e P. de Puniet, D.A.C.L., Il, 343. In opposizione a essi,
tUttavia, vedi l'articolo di J. Brinktrine nelle Ephemerides Liturgicae, xxxvi, 1922, 328ss .
.'li\.- 65 Questo stato attentamente studiato da B. Capelle in un importante articolo
'\\':.idfa-Rech. thol. anc. md. v, 1933, 131 ss.
48
CREDO E BATTESIMO
49
Abbiamo visto nel primo capitolo che gi all'epoca neotestamentaria il messaggio centrale della Chiesa, il nocciolo del suo deposito
dottrinale stava consolidandosi in formule semi-stereotipe, e che l'istruzione catechistica era una delle occasioni in cui questo processo
trov nei primissimi tempi la propria destinazione. Tale evoluzione
era in pieno svolgimento nel II secolo, e nel capitolo seguente passeremo in rassegna alcune delle forme' in cui la "regola di fede" o "il
canone della verit'', come fu poi chiamata, trov espressione in quel
periodo. evidente che quanti erano preposti all'insegnamento abbiano avvertito l'esigenza di sommari concisi, somiglianti il pi pos.:sbile a delle formule, e che il carattere sempre pi complesso e
_ l,iffiiaie degli ordinamenti ecclesiastici riguardanti la catechesi ab-:_:, Bareso tale necessit ancora pi urgente. significativo il fatto che
IJ.contriamo per la prima volta credo dichiaratori quando si assegna
lbro come obiettivo di favorire il successo dell'istruzione popolare.
Una volta che "il vescovo ha "consegnato" il credo nelle ultime
s~tthnane di quaresima, iillzia a commentarlo articolo per articolo,
<Jj_entre i eatecumeni devono impararlo a memoria come sintesi ade-~ta- di quanto sono tenuti a credere. Ugualmente, devono "restit_tijrlo'' la vigilia del loro battesimo, e la loro capacit di ripeterlo
- . ~Iliemoria la dimostrazione che ora sono sufficientemente fonda-;,jtnella fede. Questa funzione originaria del credo, come pure il suo
- (rydlo successivo nel rito stesso del battesimo, ben espressa dalle
;>''~aie poste da Eusebfo di Cesarea a prefazione del credo da lui pre..i;to al concilio di Nicea per fare riabilitare la propria dottrina: 68
"me l'apbiamo ricevuta dai vescovi prima di noi sia nella prepaone catechistica sia quando abbiamo ricevuto il bagno battesi-~~,,::~e ... cos ora crediamo e portiamo la nostra fede davanti a voi".
::~,:;.; ~\_;
-~
50
CREDO E BATTESIMO
intensi sforzi di preparazione. L'istruzione catechistica era tanto strettamente connessa al rito dell'iniziazione (che ne sarebbe stata poi
l'apice), che si poteva usare l'unico termine battesimo, in senso ampio, per comprenderli entrambi.
Cos, S. Ireneo poteva parlare69 della "regola della verit ... che
aveva ricevuto mediante il battesimo (~Cx. To 13cx.1rTL<JfWtTO~)". Inoltre, la preparazione catechistica era dominata dagli elementi che costituivano l'essenza del sacramento imminente, la triplice interrogazione con il triplice consenso e la triplice immersione. Di conseguenza, l'istruzione mirava espressamente (si possono trovare esempi illuminanti nel manuale di S. Ireneo, l' Epideixis) 70 a chiarire
e interpretare i tre aspetti dell'essere divino nel nome del quale,
uno e trino, doveva essere celebrato il battesimo; i sommari catechistici che ne derivavano erano inevitabilmente improntati a un modello trinitario. Lasciati a s stessi o esposti ad altri influssi, i sommari
catechistici avrebbero potuto svilupparsi in direzioni del tutto diverse.
Vi erano nella Chiesa primitiva forti tendenze a creare formulazioni
della fede a una o a due clausole; ma l'impatto con l'ordinamento
battesimale, per non parlare del carattere intrinseco del cristianesimo, fu decisivo.
Fatto infine importantissimo era che, al di l della struttura trinitaria, il contenuto verbale dei nuovi credo dichiaratori veniva in larga misura ripreso dalle interrogazioni battesimali. Verso il III secolo
queste ultime erano diventate, come aveva avuto occasione di osservare Tertulliano, 71 in un certo modo pi ampie di quanto sembrava richiedesse il comando del Signore, e il materiale aggiuntivo
proveniva dal patrimonio catechistico. Quando i credo dichiaratori
ebbero raggiunto il loro sviluppo, la tendenza era di direzione op,
posta. Si potevano avere, e anzi erano ritenuti necessari, nuovi articoli, e potevano essere introdotti altri cambiamenti. Ma la base su
cui essi normalmente si fondavano erano le antiche interrogazioni
battesimali, riunite insieme in forma di dichiarazione continuativa
ed espresse in prima persona.
IL NOME "SYMBOLUM"
4.
51
Il nome "Symbolum"
ri ,
52
CREDO E BATTESIMO
L'interpretazione di symbolum pi diffusamente accettata nei tempi moderni si pu fare risalire a Rufino. Nella prefazione alla sua
esposizione del credo, 75 quando narra la nota storia della sua composizione da parte dei Dodici, egli osserva che in greco il termine
symbolum pu significare sia ''segno (indicium o signum)" che collatio, cio un insieme alla cui formulazione hanno contribuito molte persone. Pur avendo fatto gran presa sugli autori successivi,
quest'ultima spiegazione pu essere confutata: dipende da un'errata interpretazione filologica (latino collatio = greco ov.~o)..i), non
ou.~o)..ov), ed ovviamente ispirata al racconto fantasioso dell'origine apostolica del credo. Rufino insiste a lungo, tuttavia, sulla derivazione del termine dall'idea di segno.
Gli apostoli compresero, dice, che, essendoci ebrei che si presentavano con la pretesa di essere apostoli di Cristo, era importante avere
un segno da cui si potesse riconoscere colui che predicava l'autentica dottrina apostolica. La situazione, egli continua, era analoga a
quella che si verifica talvolta durante le guerre civili, quando le parti rivali possono facilmente incorrere nei pi disastrosi errori di identificazione, se i loro capi non stabiliscono distintivi o parole d'ordine
(symbola distincta), per i loro sostenitori: cos, se sorgono dubbi su
qualcuno, gli viene richiesto il suo simbolo (interrogatus symbolum),
e immediatamente appare se amico o nemico. Questo il motivo
per cui, prosegue Rufino, il credo non viene mai messo per iscritto,
ma affidato alla memoria e conservato come il segreto degli uomini
di chiesa uniti agli apostoli.
Due passi importanti di Tertulliano sono stati spesso considerati76
come anticipazioni del pensiero di Rufino. Nel De praescriptione, 77
egli fa il punto sul legame che unisce le Chiese romana e africana, coniando, per descriverlo, il termine contesserare. Questo verbo,
come il sostantivo contesseratio, che inventa in un secondo passo78
(qui la tematica l'unit delle Chiese cristiane in generale), derivato da tessera, che in questo contesto indica il contrassegno o il segno che persone che vivono lontane potrebbero darsi come garanzia
di riconoscimento reciproco. 79 Qui il segno da lui ritenuto idoneo
a unire le Chiese e ad esprimere il loro reciproco rapporto la co75
76
77
78
79
IL NOME "SYMBOLUM'.'
53
54
CREDO E BATTESIMO
89
IL NOME "SYMBOLUM"
55
noi nell'interrogazione battesimale"; in risposta respingeva l'ipotesi che gli scismatici potessero avere "la stessa legge del simbolo e
la stessa interrogazione''. Analogamente Firmiliano, in Ep. 75,10-11
del corpus di Cipriano, discutendo sul battesimo praticato da una
donna pazza, ammetteva che non mancava ''n il simbolo della Trinit n l'interrogazione stabilita ed ecclesiastica". Oggi si pensa comunemente che in nessuno di questi passi il termine simbolo possa
riferirsi a un credo dichiaratorio, perch n "battezzare con il credo" n "credere nella Trinit" sono modi comuni di ~sprimersi in
tal senso. Quasi certamente ci che gli autori avevano in mente era
la triplice interrogazione rivolta dal ministro al candidato e la triplice risposta affermativa di quest'ultimo: 93 probabilmente avevano in
mente anche la triplice immersione o infusione. 94 Questa interpretazione si accorda molto bene con le espressioni "battezzare con il
simbolo" e "simbolo della Trinit"; mentre l'osservazione95 di Tertulliano, secondo cui era prescritta "una legge del battesimo (/ex tingund1)'' di forma prestabilita {''Andate, diceva, e ammaestrate tutte
le genti'; battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo"), documenta l'uso della "legge del simbolo". Un'interessante conferma offerta dal nono canone del concilio di Arles
(314), 95 che presenta le norme seguenti:
"Per quanto riguarda gli africani, dato che essi praticano un secondo battesimo, seguendo regole loro proprie, si deciso che se qualcuno viene alla
Chiesa dall'eresia devono rivolgergli le domande del simbolo (interrogent
eum symbolum). Se sembra loro che egli sia stato battezzato nel Padre e
nel Figlio e nello Spirito Santo, sar necessario soltanto imporgli la mano
cos che possa ricevere lo Spirito Santo. Ma se alle interrogazioni non risponde con questa Trinit (non responderit hanc Trinitatem) dovr essere
battezzato''.
56
CREDO E BATTESIMO
98
99
IL NOME "SYMBOLUM"
57
del battesimo, includente domande formali e consensi, con un accordo fatto in forma propriamep.te legale.
Si deve ammettere che quest'ultima spiegazione si presenta per molti versi attraente. Srebbe azzardato escludere la possibilit che contenga la chiave del nostro problema. Tuttavia, presenta difficolt
di cui bisogna tener conto. Si pu dubitare, per esempio, che nei primi
secoli, a parte Tertulliano, 101 la teologia corrente concepisse consciamente il battesimo come patto solenne. Non c' dubbio che le forme esterne del sacramento fossero sempre calcolate per. suggerire
l'atto di un patto commerciale e legale, e che la concezione del patto
sia stata abbracciata decisamente da molti autori dopo il III secolo;
ma, nel periodo in cui il termine simbolo fu applicato per la prima
volta al credo, altre idee stavano in primo piano.
Inoltre, se l'idea di un patto solenne fosse stata di fatto cos preminente in quell'epoca e se avesse realmente ispirato la scelta di simbolo come termine per designare le interrogazioni e le risposte del
credo, certamente strano che i Padri del IV e V secolo se ne mostrino cosi poco consci. Il fatto pi straordinario e, dal nostro punto di vista, anche il pi significativo, che fossero perci evidentemente all'oscuro del significato originario del termine. E ancora, per
quanto chiaramente l'interpretazione di simbolo come segno esterno di un patto possa essere adatta a certi contesti, essa costituisce
tuttavia una chiave interpretativa poco soddisfacente del significato
di una espressione di vitale importanza come quella di Firmiliano
"simbolo della Trinit". Considerarla equivalente a "la promessa
di un legame iniziato con la Trinit", comporta un lungo cammino
dal significato originale presunto del termine come certificato o garanzia.
Se tali obiezioni siano determinanti nei confronti di una teoria che
possiede tanti argomenti a proprio favore questione che deve essere lasciata al giudizio del lettore: forse troppo ottimistico aspettarsi, per un problema come questo, una soluzione del tutto inattaccabile. D'altra parte, si tentati di vedere se non sia possibile trovare una spiegazione pi semplice, e forse pi ovvia, della scelta
del termine simbolo, considerando il suo significato fondamentale.
Non si deve mai dimenticare che l'idea prima che symbo/um, nella
sua forma sia latina che greca, connotava, era quella di segno, em101 Cf. la sua descrizione del battesimo come /idei pactum nel De pudic. 9, 16
(C.C.L. 2, 1298).
58
CREDO E BATTESIMO
blema, simbolo: essa stava per qualsiasi cosa mediante la quale l'attenzione di uno richiamata a un'altra cosa. Era questo il significato
principale che si poneva sempre in evidenza quando la parola era
usata, e che non si perdeva mai di vista anche quando il suo riferimento immediato era per esempio un anello da sigillo o una garanzia. E, se symbolum venne impiegato come titolo per le domande
e risposte del credo nel significato di segno o emblema, la frase rivelatrice di Firmiliano pu dare un'indicazione per la sua connotazione precisa. Le domande e risposte erano un segno, un simbolo
espressivo e portentoso del Dio uno e trino nel cui nome si amministrava il battesimo e con cui il catecumeno cristiano stava per essere
unito. 102 Che il simbolo fosse un simbolo della Trinit sembra essere suggerito dal linguaggio del canone di Arles che abbiamo citato; e non dovrebbe essere necessario sottolineare ulteriormente il
modo in cui le domande e risposte erano regolarmente connesse con
il comando del Signore di battezzare nel triplice nome. Non impossibile (per quanto la nostra teoria non lo richieda affatto necessariamente) che, avendo il simbolo gi rappresentato il terinine adatto
a uno slogan di culto, questo possa avere favorito, se non addirittura provocato, la sua applicazione alle formule, diventate i segni distintivi dell'ortodossia cattolica.
Comunque sia, bisogna ammettere che Rufino pu anche non essere stato cos fuori strada come talvolta si creduto, nell'interpretare il simbolo come segno o emblema distintivo. A quell'epoca,
naturalmente, predominava il credo in forma dichiaratoria, che consisteva in una dichiarazione continua e completamente separata dalle
triplici domande e immersioni. Possiamo facilmente comprendere
come lui e altri scrittori patristici della stessa epoca e delle seguenti
fossero in difficolt a cogliere profondamente il significato originario secondo cui si era accettata la sua descrizione in quanto simbolo, e si sentissero liberi di improvvisare le spiegazioni secondo le
diverse occorrenze.
Ma quali che siano state le ragioni della scelta di questo termine,
non pu esserci dubbio che, cos come era usato nel III secolo, indicava le interrogazioni e le risposte del battesimo. In seguito, divent
102 Cos secondo J. Brinktrine (per quanto pensasse piuttosto alla formula del battesimo pi che alle domande) nella Theologische Quartalschrift cii, 1921, 166 s. O.
Casel sostenne il punto di vista illustrato sopra nel Jahrbuchfur Liturgiewissenschaft
ii, 1922, 133 s.
IL NOME "SYMBOLUM"
59
il titolo regolare del credo dichiaratorio. Non siamo in grado di determinare con precisione come e quando esattamente si verific questo cambiamento.
Il passaggio, per, fu naturale e facile, poich l'affinit tra credo
dichiaratorio e interrogazioni battesimali era assai stretta: probabilmente coincide con l'introduzione di formule di fede dichiaratorie
nella fase preparatoria del battesimo. Intorno alla met del IV secolo, la situazione si era pienamente stabilizzata, come possiamo dedurre dai riferimenti di Rufino, Agostino e altri alla consegna e
riconsegna del credo. Tutto ci ha grande importanza in s stesso,
ma riveste particolare interesse per noi, impegnati come siamo stati
nell'indagare il rapporto dei credo con il battesimo. La rilevante scoperta alla quale giunta la nostra lunga indagine che il nome classico per i credo battesimali era, in origine, collegato nel modo pi
intimo alla struttura primitiva del rito battesimale.
CAPITOLO TERZO
LE
Il periodo creativo
Oggetto di questo capitolo l'esame dell'evoluzione del credo (intendendo il termine in senso ampio, non tecllico, come nel primo
capitolo) nel periodo tra la fine del I e la met del II secolo. I limiti
della ricerca non sono stati scelti arbitrariamente, ma sono determinati da considerazioni di ordine storico. Abbiamo gi dato uno sguardo all'attivit di formulazione di credo nella Chiesa, nell'epoca
apostolica: per evidenti motivi, essa oggetto di argomento a s stante, che merita un esame distinto. Dopo la met del III secolo, come
gi accennato, emerse una situazione del tutto nuova con l'introduzione della "consegna" e della "riconsegna" del credo, e la disciplina arcani con cui erano collegate. Queste cerimonie non solo
portarono in primo piano i credo dichiaratori, ma causarono la tendenza a fissarne .la formulazione.
Il nostro periodo pu dunque costituire a buon diritto un'unit
naturale. Che sia anche un periodo che merita un esame particolarmente minuzioso deve risultare chiaro a chiunque rifletta che quella
mezza dozzina di generazioni fu, istituzionalmente, tra le pi creative della storia della Chiesa. La struttura generale del cattolicesimo
era gi stata delineata nel I secolo, ma solo nel II e nel III si eresse
in solida costruzione. Questa generalizzazione valida tanto per i
simboli di fede e le liturgie, quanto per le altre espressioni dello spirito cattolico.
Rischieremmo di smarrirci nel tentativo di penetrare l'intricato territorio che abbiamo dinanzi se non avessimo una idea chiara di ci
che cerchiamo. La data precisa e le modalit con cui sommari ufficiali di fede sono apparsi, lo sviluppo, in particolare, di confessioni
battesimali e il loro rapporto con altre forme di credo, in quale misura fattori esterni quali la lotta della Chiesa contro il paganesimo
e l'eresia condizionarono il contenuto dei primi credo: ecco alcuni
degli argomenti sui quali dobbiamo fare luce. Essi sono stati per lun-
62
go tempo esaminati dagli studiosi di credo, e si sono venute consolidando alcune opinioni convenzionali. Troppo spesso, per, queste
sono viziate dal fatto di basarsi su premesse che oggi si devono considerare ol;>solete; di conseguenza, necessario affrontare di nuovo
dettagliatamente tali questioni. I risultati acquisiti nel capitolo precedente, per esempio, producono un mutamento radicale nella prospettiva degli studi del credo. Non improbabile che essi incoraggino,
o forse anche costringano, a un totale riorientamento di prospettiva
in determinate direzioni.
Sarebbe chiaramente azzardato, per esempio, accettare senza discutere le formule ufficiali stereotipe comparse, anche se localmente, in un tempo relativamente antico. Fatte alcune eccezioni, la
tendenza generale tra gli storici classici dei credo stata di considerare il movimento verso la stabilizzazione in una fase molto avanzata, perlomeno in alcune singole Chiese, gi nella prima met del II
secolo. L'Oriente pu essere stato pi lento, ma Roma, secondo studiosi come il tedesco Kattenbusch 1 e l'inglese Burn, 2 poteva vantare una forma di credo molto stabile e predominante prima dell'epoca
dell'eretico Marciane, e cio prima degli anni Quaranta del II secolo.3 Una simile ipotesi non pu essere messa da parte, ma la sua
plausibilit dipendeva in gran parte da due tacite supposizioni: la
prima, che la "regola di fede" coincidesse con il credo, la seconda,
che un credo dichiaratorio caratterizzasse in ogni epoca il rito del
battesimo.
Una volta compresa la precariet di queste ipotesi, diventa possibile un approccio ai documenti senza idee preconcette e una loro valutazione obiettiva, senza supporre sempre la presenza nascosta di
una formula ufficiale. In s stessa, la teoria di una repentina codificazione della fede della Chiesa poco dopo il 100 d.C., anche se in
una comunit progredita come quella di Roma, improbabile, soprattutto a causa dell'estrema fluidit di formulazioni che si era verificata nei decenni precedenti e della gradualit con cui venivano
fissati altri aspetti della liturgia. Infatti, se la storia della liturgia ci
offre un parallelo adeguato, dovremmo aspettarci che il secondo sta1
IL PERIODO CREATIVO
63
4 In inglese '' setting'', tradotto variamente con: ambiente culturale. , r,mdo storico, campo, contesto, ... (n.d.t.).
64
considerata5 come nata per influsso antimarcionita, poich Marciane faceva distinzione tra il Dio del cielo che Ges aveva rivelato e
il demiurgo che aveva creato l'()rdine materiale. E ancora, l'insistenza
sui dettagli della vicenda umana di Cristo stata spesso attribuita6
a una polemica antidocetista: i doceti rifiutavano infatti di ammettere la realt fisica del suo corpo.
Uno studioso tedesco giunse ad affermare che "il credo battesimale della Chiesa romana era semplicemente il condensato della lotta
contro Marcione". 7 In realt, molte delle clausole indicate come antieretiche erano elementi comuni di confessioni cristiane in un tempo in cui i motivi sopra addotti avevano ben poche probabilit di
esercitare un influsso reale. In ogni caso, come si visto nel primo
capitolo, lo studio dello sviluppo dei credo secondo un'ipotesi evolutiva disseminato di tranelli. Nel passare in rassegna i credo del
II e III secolo, cercheremo di accertare senza pregiudizi l'influenza
esercitata sul loro contenuto e sulle espressioni di svariate loro parti
da motivi polemici. Deve essere chiaro, per, che l'intento principale dell'istruzione catechistica (possiamo ipotizzare che sia stato questo il campo pi fertile per lo sviluppo dei credo) era di carattere
costruttivo: serviva a trasmettere a chi poneva le domande (o catecumeno) la meravigliosa storia dell'opera di salvezza che Dio aveva
portato a compimento per l'uomo nel proprio Figlio. Non c' dubbio che di tanto in tanto si avvertisse una nota antieretica: essa
acutamente sottolineata in alcuni passi di S. Ignazio che citeremo
tra breve, che sono di tono duramente antidocetista. Ma non dobbiamo ritenere avventatamente che questa sia la sola e pi importante funzione dei credo, n che avesse il sopravvento sulla sua
funzione, originaria e positiva, di esporre la fede.
2.
I Padri apostolici
Gli scritti dei cosiddetti Padri apostolici costituiscono il primo strato o materiale del nostro periodo. Per quanto riguarda i credo, essi
evidenziano una situazione strettamente parallela a quella del Nuovo Testamento cui abbiamo gi fatto riferimento. Non si fa alcun
5 Cf., per esempio, J. Haussleiter, Trinitarischer Glaube und Christusbekenntnis
in der alten Kir.che, Giitersloh, 1920, 51.
6 Secondo J. Haussleiter, loc. cit.
7 G. Kriiger in Z.N. T. W. vi, 1905, 72-9. Egli stava riproducendo, con l'aggiunta
di altri argomenti, la tesi di A.e. Mciffert, The Apostles' Creeti, 1902.
I PADRI APOSTOUCI
65
7 (Bihlmeyer, 5).
~E/ 4, 4-6.
IO
66
12
I PADRI APOSTOLICI
67
Figlio di Dio'' ;20 loro compito predicare il nome del Figlio di Dio
e amministrare il battesimo come suo sigillo. 21
Le lettere di S. Ignazio sono state a lungo considerate terreno particolarmente interessante per gli studiosi dei credo. In esse si pu
talvolta riscontrare il modello trinitario; un esempio Magn. 13,22
dove egli invita i suoi corrispondenti a camminare, in tutte le loro
azioni, "nella fede e nell'amore, nel Figlio e nel Padre e nello Spirito, nell'inizio e nella fine" e, qualche riga dopo, a essere sottomessi
al vescovo e l'uno all'altro "come ... gli apostoli a Cristo e al Padre
e allo Spirito''. la stessa lettera23 a mettere in luce una confessione non formale del tipo che si pu chiaramente identificare a due clausole: "C' un solo Dio, che si rivelato mediante Ges Cristo suo
Figlio, il quale il suo Verbo proveniente dal silenzio''. Tuttavia,
i suoi brani pi notevoli di quasi-credo sono di forma e contenuto
cristologico, e forniscono una delle prove pi convincenti dell'esistenza separata di confessioni a una clasola. Un esempio la dichiarazione sommaria di Ef 18,224 :
Poich il nostro Dio Ges Cristo
fu concepito da Maria secondo il disegno di Dio,
dal seme di Davide e dallo Spirito Santo;
Egli nacque e fu battezzato
perch mediante la sua passione potesse purificare l'acqua.
68
Ricercatori di pi antica scuola lavoravano abitualmente sulla presunzione che passi come questi fossero estratti e liberamente parafrasati dal credo battesimale usato da S. Ignazio. Theodor Zahn, 27
per esempio, punt fiduciosamente sulle espressioni "coloro che professano fede" o "coloro che professano la fede (1{ton-v ha."l"l-~'l\
'l\o.E.110L)" e "coloro che professano di appartenere a Cristo (ot
h01."("(E.'l\'l\o.E.voL XQL<J70 E.{vm)" in Ef 14, 2, 28 e pretese di cogliervi un'allusione alla formula soggiacente. I tentativi di ricostruire "il
credo di S. Ignazio" sono stati numerosi e audaci. 29 Erano per destinati a fallire, dato che il vescovo martire non pensava neanche
lontanamente ali' esistenza di una formula simile. Il passo citato da
Zahn considera la fede come atteggiamento, come amore, non come un corpo formulato di dottrina, e i tre brani cristologici citati'
sono evidentemente unit indipendenti.
vero invece che, attraverso le righe dello stile polemico di S. Igna-
zio, si pu intravedere in sintesi la struttura del kerygma cristologi~,
co primitivo. Il testo di Efesir, con la sua arida enumerazione dn
fatti, pu ben rappresentare un punto nodale della catechesi locale}'
Gli altri due hanno carattere solenne, quasi innico, il che ha fatto;~
pensare ad alcuni studiosi all'eucaristia o a qualche altra situazion~i
liturgica come fondo. 3Ci chiaramente possibile, per quanto l'~j
levatezza dello stile possa attribuirsi semplicemente anche alla inte~~
.;t:0
\~
Bihlmeyer, 106.
Das apostolische Symbolum, 1893, Erlangen-Lipsia, 42 s.
id
28 Bihlmeyer, 86.
")~
z9 Cf., per ~sempo, A. Har.~ack nel suo Anhang a Bibliothek di Hahn; R. ~~
berg nel Z. fur KG. xl (N.F. nt), 1922, 3.
,~\'li
3 Cos, secondo H. LietZIDann nel Z.N. T. W. xxii, 1923, 265.
X~
26
27
I PADRI APOSTOLICI
69
._:struttura di questa confessione a due clausole, ed interes~sservare che l'elemento pi lungo, concernente la cristologia,
', aticalmente subordinato al primo elemento, che pi breplto probabilmente, si tratta di un frammento dell'insegnamen, veniva impartito abitualmente ai convertiti nella Chiesa di
e. Merita attenzione il fatto che si tratta di un centone di ste~,fipresi da 1 Pietro, 33 perch pu chiarire il modo con cui era
'.#o il corpo della tradizione catechistica.
;''
. p. 7 (Bihlmeyer, 117).
<;.'2 (Bihlmeyer, 114).
:21.-:3,22; 4,5.
70
3.
I Credo di S. Giustino
34
35
I CREDO DI S. GIUSTINO
71
o.Apol. I, 67, 2: 36
,., 'II contesto letterario del secondo e del terzo di questi stralci una
,'Clescrizione dell'eucaristia: sono probabilmente sommari, in qualche
riido abbreviati, di preghiere rituali. L'ultimo naturalmente un
'ampliamento molto libero, con parole dell'autore, del credo che dob~iamo esaminare. Il suo stile circostanziato ed esplicativo si riferi'sce forse al luogo del discorso.
, I due passi di S. Giustino, che presentano rilevante importanza,
:;siriferiscono entrambi alla celebrazione del battesimo e sono stati
ci)mpiutamente citati nel capitolo precedente. Presentano una straor.ahiaria somiglianza di linguaggio, e questa caratteristica da sola incihce a ipotizzare una forma liturgica pi o meno stabile. Il primo 38
molto breve e dice:
,,, Poich ricevono un lavacro lustrale nell'acqua nel nome del Padre e Sigrlote Dio dell'universo, e del nostro Salvatore Ges Cristo, e dello Spirito
Santo ...
Su colui che ha scelto di rinascere e si pentito dei suoi peccati viene pronome del Padre e Signore Dio dell'universo, mentre il celebrant.e che conduce il candidato all'acqua deve usare questa e solo questa de-
!.l~ciato il
36
E.J.G., 75.
E.J.G., 33s.
38 Apo/. I, 61, 3 (E.J .G. 70).
39 Apo/. I, 61, 10 (E.J.G. 70s}.
37
72
scrizione di Dio ... inoltre, nel nome di Ges Cristo, che fu crocifisso
sotto Ponzio Pilato, e nel nome dello Spirito Santo, che per mezzo dei profeti preannunci le verit riguardanti Ges, che l'uomo illuminato viene
lavato.
40
E.J.G., 59.
I CREDO DI S. GIDSTINO
73
oes
fu cr~cifisso, e
mor,
risuscit,
asceso al cielo e ha regnato; 43
>Egli fu con,cepito come uomo dalla Vergine,
. e fu ~hiamato Ges,
e fu crocifisso,
mor,
e risuscit,
. " ed asceso al cielo;44
;p~r il resto dovete provare che Egli acconsent a nascere come un uomo da
'.una Vergine secondo la volont del Padre,
e a essere crocifisso,
'
e a morire, e anche che dopo questo
Egli risuscit,
e ascese al cielo. 45
p~ich nel nome di questo vero Figlio di Dio e primogenito di tutta la
creazione,
che nacque mediante la Vergine,
e divenne uomo passibile,
e fu crocifisso sotto Ponzio Pilato dal vostro popolo,
e mor,
e risuscit da morte,
41
ApoJ.
Apol.
43 Apol.
44 Apol.
42
45
74
e ascese al cielo,
ogni demonio esorcizzato, conquistato e sottomesso;46
Non bestemmierai contro di Lui
che venuto in terra ed nato,
e ha sofferto,
ed asceso al cielo, e verr di nuovo47
Ges
Che abbiamo anche riconosciuto come
Cristo il Figlio' di Dio, crocifisso,
e risorto,
e asceso ai cieli,
che verr di nuovo a giudicare la giustizia di ogni uomo risalendo fino
ad Adamo stesso. 48
46
47
48
75
sesso dell'emergere di interrogazioni di credo relativamente fisse durante il battesimo; e attesta l'esistenza in atto di confessioni
puramente cristologiche a una sola clausola accanto a quelle trinitarie usate nel battesimo e in altre occasioni. Un fatto che merita di
essere sottolineato la fedelt con cui esse riproducono il kerygma
originario, senza legarlo in maniera apprezzabile alle necessit polemiche o apologetiche, o senza colorarlo con la teologia filosofica
propria di S. Giustino. interessante osservare, in connessione con
l'ultimo punto ricordato, che si pu anche citare come testimone del
kerygma cristologico della met del II secolo un contemporaneo di
S. Giustino, l'apologista Aristide.
Alcuni studiosi del passato, 49 quando fu scoperta la versione siriaca della sua Apologia, saltarono troppo in fretta alla conclusione
che testimoniasse l'esistenza di un credo dichiaratorio definitivo e
formale. Anche se tale ottimistica pretesa deve essere respinta, dovrebbe essere chiaro che il cap. zso del testo siriaco contiene un'illuminante parafrasi della tradizione della Chiesa riguardo a Ges.
UnirlaJllle affermazioni su Dio Padre del cap. 1, nel tentativo di
ricostruire un credo a tre clausole, significa misconoscere l'argomentazione dell'Apologia. La discussione teologica del cap. l completamente distinta e, nel cap. 2, Aristide si rif alla dottrina cristologica
tradizionale, che esisteva autonomamente e che mostra molti punti
di analogia con quella di S. Giustino.
4.
Dopo S. Giustino, segue, nell'ordine dei testimoni dell'evoluzio_ne dei credo, S. Ireneo, il grande teologo e apologista cristiano della
seconda met del II secolo. Sua costante e ribadita affermazione fu che
la fede della Chiesa era ovunque unica e identica. In un passo
famoso 51 egli insisteva sul fatto.che, bench si fosse diffusa da un
capo all'altro della terra, la Chiesa condivideva un'unica struttura
di fede derivata dagli apostoli e dai loro discepoli, e che, mentre le
lingue dell'umanit erano diverse, "il valore della tradizione (~
&Uva.~~ Ti~ 1'UQa&ooi:w~)" era identico ovunque. Sua espressione fa-
:i. -
49
~-;e so Op. cit. 36. Il capitolo corrispondente della versione greca in Bar/aam and Jo-
\1;} saphat
15 (op.
SI
"'"
~/'
cit. 110).
76
vorita per designare ci era "il canone della verit", con cui non
intendeva un credo unico universalmente accettato, o qualche formula similare, ma piuttosto il contenuto dottrinale della fede cristiana come trasmesso nella Chiesa cattolica. 52 Questa, sosteneva,
era identica e con lo stesso contenuto ovunque, in contrasto con gli
svariati insegnamenti degli eretici gnostici. Sono numerosi i passi in
cui fa riferimento a questo pensiero, o anche riproduce, sommari, che dovremo ora esaminare. Dei due trattati pi importanti,
l'Epideixis5 3 e l'Adversus haereses, il primo opera popolare, meno polemica, scritta come compendio della dottrina cristiana a vantaggio dei convertiti per il loro periodo di istruzione, mentre l'altra
certamente il magnum opus polemico di S. Ireneo. Nostro compito sar di scoprire tracce di credo formali o informali e di osservare
la struttura e il rapporto tra i sommari di fede.
Proprio quasi all'inizio dell' Epideixis, 54 l'autore cerca di imprimere nel suo letto.re (il libro indirizzato a un amico di nome Marciano) l'importanza della fede e che cosa essa implichi. "In primo
luogo", dice, "essa ci ordina di tenere a mente che abbiamo ricevuto il battesimo per la remissione dei peccati nel nome di Dio Padre,
e nel nome di Ges Cristo Figlio di Dio, che si incarn, mor e risuscit, e nello Spirito Santo di Dio". Un altro riferimento al triplice
nome si trova al cap. 7, dove spiega che "il battesimo della nostra
rigenerazione si svolge attraverso tre momenti: Dio Padre che ci concede la rigenerazione attraverso suo Figlio per mezzo dello Spirito
Santo". La stessa identica sottolineatura dei "tre momenti", o "articoli", del battesimo ricorre verso la fine del trattato. 55 L'evidente
implicazione del suo modo di esprimersi che conosceva una serie
di interrogazioni battesimali che suonavano pressappoco cos, (non
necessario ritenere che la trascrizione del testo fosse necessariamente
completa o esatta):
Credi in Dio Padre?
Credi in Ges Cristo, il Figlio ci Dio,
che si incarn,
52 Per "la regola della verit" vedi D. van den Eynde, Les normes de l'enseignement chrtien, Parigi, 1933, parte Il, cap. vii; R.P.C. Hanson, Tradition in the Early Church, Londra, 1962, cap. 3.
53 Ritrovato in versione armena nel 1904. I riferimenti sono tratti da una .traduzione inglese di J.A. Robinson, Londra, 1920 (S.P.C.K.).
54 Cap. 3.
55 Cap. 100.
!:''
s~.; :~(;.r.1::,
,.',
77
e mor,
ed risuscitato?
Credi nello Spirito Santo di Dio?
'~\:::per un'esposizione
\'"1sprta di breve commento. Indica la sostanza dell'istruzione catechifisti~a prebattesimale, e illustra come era modellata sullo schema del\;;ltFirtterrogazioni battesimali.
);~Entrambi questi sommari di fede tratti dall'Epideixis sono con/i{e~sioni trinitarie a tre clausole. Simili sono anche quelli, pi impor:t,~nti, inseriti nell'Adversus haereses. Un esempio il famoso
'\;psso56 in cui S. Ireneo parla della "fede perfettamente integra
(irtcm~ )l.ox)l.'TJQO~) in un solo Dio onnipotente, dal quale tutte le
cose derivano; e della sua ferma fede nel Figlio di Dio, Ges Cristo
nostro Signore, mediante il quale tutte le cose sno, e nel suo dise:gno di salvezza (Tt~ olxovo.l..~ .rnu) in forza del quale il Figlio
'cli Dio divenne uomo; e ... nello Spirito di Dio che in ogni generazione manifesta apertamente tra gli uomini la provvidenza salvifica del
Padre e del Figlio, secondo la volont del Padre". Dato che la seconda e la terza sezione sono parafrasi molto libere, non c' bisogno di sottolineare che questa confessione deliberatamente
modellata su quella paolina ben nota di JCor 8, 6. Sotto il profilo
56
78
79
'lfasmesso che c' un solo Dio, creatore del cielo e della trra, an. ii~ciato dalla legge dei profeti, e un solo Cristo, il Figlio di Dio'' .
. t\ifri sono caratterizzati da una cristologia pi ampia, in cui la men~one del Figlio elaborata con un kerygma esteso. Egli descrive, 59
per esempio, trib barbariche che possiedono Scritture non scritte,
avendo la tradizione cristiana scritta nei loro cuori, e credendo
!
in un solo Dio, creatore del cielo e della terra e di tutte le cose che conten. gono, mediante Ges Cristo Figlio di Dio, che a causa del suo immenso amore
per la sua creazione accett di nascere dalla Vergine, unendo in se stesso
uomo e Dio, e pat sotto Polizia Pilato, e risuscit, e fu elevato nello splendore, e torner nella gloria, salvatore di quelli che sono salvati e giudice
di quelli che sono giudicati.
Si potrebbe aggiungere un passo singolare, 60 scritto contro i doceti che separano l'eterno Figlio di Dio dal Ges uomo, in cui la cristologia liberamente premessa a un credo minimo di due clausole
che si dchiama a 1 Cor 8, 6:
"Egli lo stesso Ges Cristo nostro Signore, che soffr per noi e risuscit
etorner ancora nella gloria del Padre, per risuscitare ogni carne, e per mostrare la salvezza e dimostrare l'autorit del giusto giudizio a coloro che da
Lui sono stati creati. C' dunque un solo Dio, il Padre ... e un solo Ges Cristo nostro Signore".
60
80
I CREDO DI TERTIJLLIANO
81
Ancor pi importante il credo che appare nella Epistula Apostolorum copta, opera antignostica scritta probabilmente in qualche par;te dell'Asia Minore poco dopo la met del II secolo. Nella versione
. etiopica, i capitoli introduttivi constano di una trattazione in cui si
rivendica la provenienza dagli Undici e include una descrizione di
alcuni miracoli del Signore. I discepoli spiegano che i cinque pani
del cibo miracoloso sono un simbolo del nostro credo cristiano cio
nel (Padre omesso dal cod. A) legislatore dell'universo,
e in Ges
.. Cristo (nostro Redentore omesso dai codd. A,C)
e nello Spirito Santo (il Paracleto omesso dai codd. A,B,C)
e nella santa Chiesa,
e nella remissione dei peccati. 65
L'impressione che si ha dal contesto, come pure dallo stile complessivo del passo, che si tratti di una forma pi o meno stereotipa.
C:os come giace, il parallelo col miracolo evangelico garantisce la
sua suddivisione in cinque articoli. Si tratta quasi certamente di un
formulario a tre clausole, modellato sulle interrogazioni battesima-li, che stato ampliato a cinque clausole con l'aggiunta alla fine di
ulteriori articoli.
5.
I Credo di Tertulliano
Cap. 5 (16) Etiop. (C. Schmidt, Gespriiche Jesu mit seinen Jungern, 1919, 32).
Di gran lunga la pi completa e profonda disamina delle formule di credo di
. Tertulliano si pu ritrovare nell'antico non molto noto La doble f 6rmu/a simb6/ica
': en Tertulliano, del gesuita spagnolo J.M. Restrepo-Jaramillo in Gregorianum, XV,
1934. 3-58.
82
l'interpretazione che deve esserne data. Sotto il profilo metodologico, riteniamo opportuno compiere la stessa distribuzione che
abbiamo trovato tanto proficua nello studio di S. Ireneo. Ci sono
numerosi contesti (ne abbiamo studiato la maggior parte, sotto un
angolo d visuale leggermente diverso, nell'ultimo capitolo) in cui
Tertulliano fa riferimento alle domande e risposte battesimali. Egli,
infatti, una delle nostre principali autorit per quanto concerne
questo aspetto del rito battesimale. Nel medesimo tempo, gli familiare, come a S. Ireneo, una "regola di fede (regulafidel)" o "regola", cui fa ripetutamente appello.
Con questa espressione intende il medesimo significato che S. Ireneo indicava con il suo "canone della verit'', cio il corpo di insegnamento trasmesso nella Chiesa mediante la Scrittura e la tradizione.
Se qualcosa deve essere rilevato, la sua concezione pi chiaramente definita: distingue con maggior precisione il contenuto dottrinale
della regola. 67 Per questo motivo, gli studiosi sono stati indotti aritenere che, a differenza di S. Ireneo, sia pi strettamente dipendente da un credo gi fissato. Sar opportuno, come nel paragrafo
precedente, distinguere attentamente tra le confessioni battesimali
di Tertulliano e le sue allusioni alla regola di fede in contesti non
direttamente in rapporto con il battesimo.
Richiamiamo anzitutto i passi specificamente battesimali. In
uno 68 di essi si afferma: "Quando entriamo nell'acqua e professiamo la fede cristiana in risposta alle parole prescritte dalla sua legge". La "legge", presumibilmente, il comando del Signore di
battezzare tutte le nazioni nel triplice nome. Altrove 69 parla di un
uomo che discende nell'acqua e " immerso con brevi parole (inter
pauca verba tinctus)''. Abbiamo imparato a intendere queste "brevi parole" come le interrogazioni sulla fede rivolte a lui dal celebrante.
Un altro passo molto noto 70 offre una chiave per capire quali erano quelle parole: "Poi fummo immersi tre volte, dando una risposta in qualche modo pi ampia di ci che il Signore aveva formulato
nel vangelo t i . Il significato evidente di ci che il ministro del sacramento poneva tre domande al battezzando in questa forma: '' Credi in Dio Padre?" - "Credi in Ges Cristo suo Figlio?" - "Credi
67
68
I CREDO DI TERTULLIANO
83
nello Spirito Santo?", ma che poi questi semplici riferimenti alle tre
persone divine venivano ampliati con titoli o clausole addizionali non
previsti da.I comando divino. Il problema scoprire quali articoli formavano questa materia supplementare. Un tenue raggio di luce offerto da un altro passo71 dello stesso libro. Dopo avere parlato dei
nomi divini dei Tre che son gli immediati testimoni della nostra fede e garanzia della salvezza che chiediamo, egli prosegue:
Ma dopo che sia l'attestazione della nostra fede sia la promessa della salvezza sono state garantite dall'approvazione dei tre testimoni, si deve necessariamente aggiungere una menzione della Chiesa; poich dove sono i
Tre, cio il Padre il Figlio e lo Spirito Santo, li c' anche la Chiesa, che
un corpo composto di tre.
Non ci compete in questa sede addentrarci nelle sottigliezze dell'ecclesiologia di Tertulliano, ma nostro compito osservare che evidentemente la Chiesa figurava nelle domande battesimali. Figurava
anche, come gi abbiamo osservato in questo capitolo, nel sommario di credo della Epistula Apostolorum: la incontreremo ancora brevemertte come un articolo nel credo di Dr Balyzeh Papyrus e come
clausola nelle interrogazioni battesimali note a S, Cipriano. Molto
probabilmente anche la REMISSIONE DEI PECCATI aveva un posto nel questionario di Tertulliano. Ci suggerito, in ogni caso,
da un passo 72 in cui, esaminando i motivi per cui Ges non aveva
praticato egli stesso il battesimo, indaga con tono ironico in che cosa avrebbe potuto battezzare gli uomini, ricercando ragioni per respingere ogni possibile risposta ("nella remissione dei peccati? ma egli la concedeva verbalmente; in s stesso? - ma si nascondeva
umilmente; nello Spirito Santo? - ma non era ancora disceso dal
Padre; nella Chiesa? - ma gli apostoli non l'avevano ancora edificata").
Molti studiosi vorrebbero procedere ancora oltre per trarre dalle
parole "una risposta pi ampia", l'ipotesi di una formula elaborata affine, se non identica, all'Antico Credo Romano. Esamineremo
in seguito il problema della conoscenza che Tertulliano poteva avere di questa antica formula. Qui dobbiamo accontentarci di sottolineare il fatto che il suo linguaggio si presenta del tutto inadatto se
ha in mente un credo compiuto. "Una risposta in qualche modo pi
ampia" implica certamente che il credo consisteva di domande e che
71
72
84
Malgrado le apparenze, si tratta di fatto di una dichiarazione di f ed e trinitaria e non binitaria, come si sostenuto. Il linguaggio si presenta ovunque estremamente libero, e ci spiega l'inserimento della
fede nello Spirito Santo in una clausola subordinata inserita nell'ampio brano cristologico. I due passi che seguono sono pi rilevanti
sotto il profilo formale. Uno, tratto da un capitolo successivo dello
stesso trattato, 74 esalta la fede comune che la Chiesa romana condivideva con quella africana:
Essa riconosce un solo Signore Dio, Creatore dell'universo, e Ges Cri73
74
I CREDO DI TERTULLIANO
85
sto, Figlio di Dio Creatore nato dalla Vergine Maria, e la risurrezione della
carne.
Ailche qui, come nel primo testo, abbiamo una formula trinitaria
velata, che potrebbe facilmente passare per binitaria. Un'altra sua
interessante formulazione il modo in cui termina in un breve credo trinitario.
La prima cosa da sottolin_eare in questi brani della regola di fede
tratti da Tertulliano il modo con cui rispecchiano i suoi interessi
polemici. Il secondo e il terzo passo, tratti da contesti privi di qualsiasi traccia di confroversia dottrinale, sono sommari completi di un
insegnamento cristiano essenziale. Nessun giro di frase in essi colorato da tendenze controversistiche e apologetiche. In stridente contrasto, il primo passo abbonda di tratti che si possono chiaramente
75 Cap.
76 Cap.
I (C.C.L. 2, 1209).
2 (C.C.L. 2, 1160).
86
attribuire all'animo polemico di Tertulliano e al suo ardore nel rifiutare le varie sette attaccate nel trattato: L'unit di Dio per esempio messa in grande rilievo, cos come espressamente rifiutata
l'ipotesi della possibilit di un secondo Dio; Ges identificato come il Messia della profezia antica e si afferma che speriment una
vera nascita umana dal grembo di Maria; ed fortemente sottolineata la risurrezione della carne. Ed erano proprio questi gli argomenti su cui la Chiesa e la gnosi si davano battaglia.
Similmente il quarto brano, tratto da un libro volto a smascherare un eretico che confondeva le persone del Padre e del Figlio e sosteneva che il Padre aveva realmente sofferto, insiste particolarmente
sull'esistenza separata delle due persone. Fu questo Ges Cristo, vi
si argomenta, mandato dal Padre, che nacque, come Dio e uomo;
e fu lui a soffrire. Il libro frutto del periodo montanista di Tertulliano, ed a questo fatto che indubbiamente si deve la speciale accentuazione sullo Spirito nell'ultima parte. D'altronde, tutto questo
materiale polemico in superficie, chiaramente separabile dalla regola di fede, cui non ha certo contribuito con elementi durevoli.
La questione fondamentale, tuttavia, se si possa sostenere che
i passi citati testimonino l'esistenza di un credo nel senso vero e proprio del termine. evidente che se un credo vi sotteso, Tertulliano
non deve averne considerato inviolabile il tenore verbale. Altrimenti avrebbe provato qualche remora a modificare il linguaggio che
lo esprimeva in funzione di suoi scopi immediati. Tertulliano, non
si deve dimenticare, era un giurista: qualsiasi formula di carattere
ufficiale avrebbe attratto il suo interesse. La teoria, sostenuta da alcuni studiosi, come Kattenbusch, che fosse dissuaso dal riportare un
testo ufficiale dal fatto che il credo era un mistero che poteva essere
rivelato solo agli iniziati, ha pochi argomenti a proprio favore.
improbabile che la disciplina arcani abbia esercitato tale influsso in
quell'epoca antica, e Tertulliano stesso non mostra esitazione alcuna nel descrivere le cerimonie per il battesimo. dunque impossibile, sulle basi delle sue citazioni della regola di fede, argomentare che
Tertulliano conoscesse un unico credo autorevole, anche solo locale.
Nello stesso tempo difficile resistere all'impressione che dietro
questi modelli di fede della Chiesa non si nasconda un tipo di formulario o di formulari. Tutti e quattro i passi sono molto simili per
contenuto e anche per linguaggio. Il modo di esprimersi del primo
e del quarto libero, perch deliberatamente adattato ai fini controversistici dell'autore; ma una volta rimosse le aggiunte polemi-
87
n,OTEIJW
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Ka' ns
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7rfonv -ywv
TOV
...
.....
77 Cf. P. de Puniet, R. Bn. xxvi, 1909, 34; Th. Scherrnann, Der liturgische Papyrus vonDr-Ba/yzeh, Lipsia, 1910 (Texte und Untersuchungen, 36); C.H. Roberts
e B. Capelle, An early Euchologion: the Dr-Ba/yzeh Papyrus enlarged and re-edited,
Lovanio, 1949 (Bibliothque du Muson, vol. 23).
88
stato anche proposto stranamente 79 che l'eucologio del Dr Balyzeh potesse risalire a epoca antica, cio agli injzi del III o anche agli
ultimi decenni del II secolo; ma il grande esperto di liturgia F.E.
Brightman aveva probabilmente ragione nel sostenere 80 che nulla
giustifica una datazione antecedente il IV secolo. Il credo stesso presenta molti paralleli con quello egizio, 81 e potrebbe essere senz'altro molto pi antico di altre parti. Il suo impiego sembrava strano
quando era considerato in relazione alla celebrazione eucaristica. Un
credo dichiaratorio al termine del rito non ha altri riscontri, e, quando
un credo fu poi incorporato nella messa, fu sempre il Credo Costantinopolitano. chiaro ora che il papiro costituito da una miscellanea di preghiere, e che il credo (che preceduto da uno spazio bianco)
appartiene a un rito battesimale. 82 Se abbia avuto origine come confessione dichiaratoria o in forma di domande poste al candidato non
pu essere stabilito ora: se propendiamo per una datazione molto
antica, quest'ultima ipotesi si presenta come maggiormente plausibile.
Dopo aver considerato questa importante formula, possiamo volgere la nostra attenzione a Ippolito, contemporaneo romano di Tertulliano. La sua Tradizione Apostolica il primo documento che ci
presenti quello che sembra essere un credo defirutivo nella sua completezza. Malgrado il suo titolo di santo, Ippolto fu un vescovo dissidente, un antipapa, nella Roma dei primi decenni del III secolo.
Era un accanito sostenitore della prassi ecclesiastica antecedente, e
la sua Tradizione un :resoconto sommario dei riti e delle leggi della
Chiesa cos come egli li conosceva. Il suo obiettivo n~l compilarlo
era "che coloro i qual sono stati rettamente istruiti possano saldamente attenersi a quella tradizione che continuata fino a ora e, comprendendola nella sua pienezza attraverso la nostra esposizione, vi
possano rimanere saldi con maggiore fermezza". 83 Queste parole,
78 Questa versione, proposta per fa prima volta da J .A. Jungrnann, Z. Fir Kat.
Theol. xlviii, 1924, 465ss., preferibile a " ... e nella santa Chiesa cattolica".
79 Cf. Schermann, op. cit.
ao J.T.S. xii, .1911, 311.
81 H. Lietzmann, Die Anfange des G/aubensbekermtnisses, 1921, 227.
82 Cf. C.H. Roberts e B. Capelle, op. cit.
83 Cap. I (cf. G. Dix, The Apostolic Tradition, Londra, 1937, 2).
89
dal tono cos conservatore in materia di disciplina ecclesiastica, fanno supporre che le liturgie che ha incorporato nel suo trattato fossero quelle in uso a Roma nel suo tempo e nei periodi precedenti. Poich
il libro fu scritto nei primi anni del pontificato di S. Callisto (217-222),
O, pi probabilmente, verso la fine di quello del suo predecessore
papa Zeffirino (circa 198-217), si potr senz'altro consultarlo con
fiducia per avere informazioni sulla prassi liturgica romana alla fine del II e all'inizio del III secolo.
Abbiamo gi avuto occasione di fare riferimento .al credo battesimale della Tradizione: nel riprenderlo qui, tenteremo di dare al lettore un quadro pi preciso dei fatti. Il ripristino del testo autentico
suscita problemi complessi, dato che l'originale greco del trattato
andato perduto: si deve dunque lavorare il meglio possibile con
un certo numero di traduzioni in latino, copto, etiopico, arabo, e
con le revisioni della Tradizione che compaiono nei Canoni di Ippolito arabi e nel Testamentum Domini siriaco. Quelle che godono di
maggiore autorit sembrano essere le latine del Frammento di Verona (V secolo), 84 Test. Dom. 85 e Can. Hipp. 86 La valutazione dei
testi in conflitto stata trattata approfonditamente da R.H. Connolly,87 R. Seeberg, 88 B. Capelle, 89 H. Lietzmann, 90 G. Dix., 91 B.
Botte92 e J.M. Hanssens. 93 Riportiamo pi avanti il testo latino del
Frammento di Verona (con il primo articolo, che manca nel MS,
ripristinato da Test. Dom.), e una ricostruzione della forma probabile dell'originale greco; il testo latino tradotto a p. 44, quello greco a p. 113. Si potr osservare che, con Seeberg, Lietzmann e Botte,
abbiamo adottato la lezione PER MEZZO DELLO SPIRITO SANTO DA
MARIA VERGINE. Ci suffragato dal testo latino e dal Test. Dom.
Il copto riporta NELLO SPIRITO SANTO DA MARIA, mentre il Can.
Hipp. et. e arab. suggerisce DALLO SPIRITO SANTO E DA MARIA VERGINE. Connolly, seguito da Capelle e Dix, preferiva questa versio84
85
86
200ss.
87 J. T.S. xxv, 1924, 131ss.
88 Z. fir KG xl, 1922, 6ss.
89 Z.N.T.W. xxvi, 1927, 76ss.
90 R. Bn. xxxix, 1927, 35ss.
91 Op. cit. lxs e 36s.
92
93
90
~5
96
91
dio iniziale. La preghiera eucaristica che S. Ippolito invita ad accogliere manifestamente una sua propria composizione ed esprime
intenzionalmente la sua teologia antimonarchianista. 97 Egli ammette
altrove, nel suo libro, che nel celebrare i santi misteri il vescovo non
rigidamente legato alla recita delle preghiere prescritte bench le
abbia imparate a memoria. 98
Ammette che la cosa migliore in ogni caso che un vescovo abbia
la capacit di pregare "in maniera adatta, con una preghiera nobile
ed elevata". Ci che maggiormente sottolinea che a nessuno deve
essere proibito di usare, se lo voglia, le forme stabilite. In considerazione di tutto questo, -sarebbe azzardato affermare che si fosse raggiunta una uniformit locale in materia di credo battesimali, anche
se erano senza dubbio pi stabilizzati che non l'eucaristia. Come
stato notato molto tempo fa da Connolly, 99 "all'inizio del III secolo
il credo romano non era probabilmente cos rigido nella sua formulazione, e vi aveva ancora un certo ruolo l'apporto personale". Questo , senz'altro, un giudizio consevatore: possiamo domandarci se,
~la luce dei dati, non sarebbe meglio ipotizzare un certo numero
di forme semiufficiali piuttosto che un solo autorevole credo romano a quell'epoca. Ma un ulteriore esame della questione deve essere
rimandato al prossimo capitolo in cui analizzeremo l'Antico Credo
Romano stesso.
interessante osservare che un contemporaneo di poco pi giovane di S. Ippolito, Origene, scrivendo, nell'ultimo trentennio del
III secolo, a Cesarea, accenna a qualcosa di simile a un credo formale, 100 senza dubbio della sua citt natale Alessandria. Commentando 101 S. Giovanni 13,19 mette in evidenza il fatto che ci sono alcuni articoli di fede assolutamente essenziali ("gli articoli che, nell'essere creduti, salvano l'uomo che li crede"), e aggiunge che il
cristiano deve crederli tutti insieme senza sapere o scegliere.
Quindi, per amore di chiarezza, porta alcuni esempi:
"Prima di tutto crediamo che c' un solo Dio, che ha creato e dato forma a tutte le cose e portato tutte le cose alla vita dalla non-vita. Dobbiamo
97
98
92
anche credere che Ges Cristo il Signore, e tutti veri gli insegnamenti riguardanti sia la sua divinit che la sua umanit. E dobbiamo credere nello
Spirito Santo, e che, avendo una libera volont, siamo puniti per i nostri
peccati e ricompensati per le nostre opere buone. Per fare un esempio, se
uno sembra credere in Ges, ma non crede che ci sia un unico Dio della
legge e del vangelo, la cui gloria i cieli portano nel loro essere per mezzo
di lui, dichiarate ... che quest'uomo mancante del pi vitale articolo di fede. O ancora, se uno dovesse credere che colui fu crocifisso sotto Ponzio
Pilato ... (ma senza accettare) la sua nascita dalla Vergine Maria e dallo Spirito Santo ... anch'egli sarebbe in gravissimo difetto ... ".
ALCUNE CONCLUSIONI
93
(S/(}ipviano rivela il peso eccezionale che veniva attribuito alla for:fi!a:precisa dell'amministrazione del sacramento, tanto che gli ereti''fnovaziani mostravano la loro astuzia imitando la prassi cattolica
'.:fiu:nei minimi dettagli. 104 Egli offre alcune indicazioni circa il conj{iiuto delle domande, ricordando Dio Padre, Ges Cristo suo Fi;gU:o elo Spirito Santo, e giungendo fino a citare alla lettera ci che
\smbra essere un residuo del terzo articolo: "Credi... nella remis~~~bne. dei peccati e nella vita eterna mediante la santa Chiesa?''.
7.
Alcune conclusioni
94
ALCUNE CONCLUSIONI
95
96
una forma in cui il terzo articolo conteneva una menzione della santa Chiesa e altri dati. Nel questionario della Tradizione di S. Ippolito si trova una lunga e pienamente sviluppata sezione cristologica
che richiama, come la seconda interrogazione di S. Ireneo, il kerygma cristologico separato, e include la risurrezione della carne come
pure la santa Chiesa nella terza sezione.
Per quanto concerne la scelta del materiale da includere nei credo, la congettura avanzata all'inizio di questo capitolo sembra avere trovato argomenti a favore. Non certo esatto affermare che il
credo, considerato sia come questionario battesimale sia come sommario pi libero e informale, debba il suo sviluppo, da dichiarazioni brevi a pi compiutamente estese, esclusivamente all'inserzione
di materiale inteso a respingere l'eresia. certo che autori come S.
Ireneo e Tertulliano si presero la libert di dare forte rilievo polemico a parti della regola di fede, quando la ricapitolavano, liberamen~
te, nel corso di controversie antieretiche. anche evidente che singole
clausole (come vedremo in seguito, l'aggettivo SANTA applicato alla Chiesa, e RISURREZIONE DELLA CARNE) diedero espressione a motivazioni antieretiche. Ma scegliere questo motivo e concentrarsi
interamente su di esso significa ignorare l'aspetto positivo della formulazione della fede da parte della Chiesa.
Dottrine come l'unicit e la paternit di Dio, che fornirono argomentazioni validissime agli apologisti cristiani nella lotta contro Marciane e i suoi seguaci, trovarono la loro collocazione nel sistema
dottrinale della Chisa assai prima che Marcione cominciasse a diffondere i suoi errori. Ancora, il richiamo a fatti specifici della storia del Salvatore, sebbene abbia fornito un'arma potente contro i
doceti, ebbe una storia di sviluppo costante a partire dall'inizio della Chiesa, e la sua formulazione nel II secolo non differisce materialmente da quella diffusa nella Chiesa dell'et apostolica. Per
quanto importante sia stato il ruolo svolto dalla lotta dell'ortodossia contro lo gnosticismo nella formazione di formulari di credo, essi
avevano pur sempre come nocciolo quelle verit primordiali che la
Chiesa proclamava al mondo per la sua stessa ragion d'essere. Una
pi esatta valutazione di questo aspetto mostra che parte della reazione cattolica alla crisi gnostica fu una rinnovata e pi forte insistenza sul d~posito di dottrina pubblico, autenticamente apostolico,
tramandato nella Chiesa fin dall'inizio come canone o regola di fede.
Infine, potremmo chiederci quali fattori, oltre il desiderio di formule ufficiali concise per respingere le innovazioni eretiche, abbia-
ALCUNE CONCLUSIONI
97
CAPITOLO QUARTO
L'ANTICO
L
CREDO
ROMANO
Prove a favore di R
Il III secolo fu, sotto molti aspetti, un'epoca critica nella storia della Chiesa. Uno dei molti problemi che questa si trov ad affrontare
fu l'afflusso nelle sue file di un numero sempre crescente di convertiti dal
paganesimo. Ogni attento osservatore doveva essere cosciente della
grave minaccia che ci comportava per l'integrit dell'insegnamento tradizionale della Chiesa: la crisi gnostica aveva dimostrato come
essa potesse venire facilmente sommersa da una corrente di nuovi
venuti con nozioni incomplete o grossolanamente deviate sul contenuto autentico del cristianesimo. Come contromisura, si intraprese
una riorganizzazione e un'elaborazione pi approfondita del sistema catechistico. Si possono discernere molti indizi di ci nelle liturgie dell'epoca e negli scritti dei Padri del III secolo.
La Tradizione Apostolica di S. Ippolito mostra che la Chiesa di
Roma affront per prima quest'opera di revisione. Per questo furono redatti ordinamenti molto completi sia per confermare i candidati all'ammissione nella Chiesa nei diversi articoli di fede, sia per
comprovare i risultati da loro conseguiti nell'assimilazione di tale
insegnamento. Un frutto di questa tensione, che riveste particolare
rilievo per il nostro studio, sembra essere stato lo sviluppo, in un
certo periodo del III secolo e con ogni probabilit prima di tutto a
Roma, dei riti di consegna, o traditio, e riconsegna, o redditio, come parte della preparazione immediata al battesimo. Una volta stabilitasi questa prassi, si rese necessaria una formula dichiaratoria,
e le circostanze del suo uso da parte del vescovo, e della sua memorizzazione e solenne ripetizione da parte dei catecumeni, erano tali
da circondarla di immenso prestigio.
Lo sviluppo parallelo della disciplina arcani, o regola del segreto,
con tutto ci che comportava di timore e riverenza nei confronti dei
misteri principali del cristianesimo, serv solo a rafforzare ancor pi
la sacralit del credo. Quello scelto dal vescovo locale dovette soppiantare ben presto tutti gli altri sommari di fede usati nella zona,
100
per acquisire esso stesso il ruolo di simbolo ufficiale della fede. L'epoca delle confessioni dichiaratorie giunge cos alla sua pienezza e,
mentre sarebbe azzardato pensare che il testo fosse considerato come inviolabile, ogni Chiesa locale ebbe da allora il suo credo, che
poteva essere caratterizzato da differenze che lo distinguevano da
quello dei vicini. Al volgere del III secolo, questa situazione sembra
essere diventata universale; essa perdurer ancora diversi secoli dopo che il concilio di Nicea avr inaugurato una linea di credo conciliari, esigendo un'obbedienza pi che meramente locale.
Uno dei pi antichi credo locali, che prese forma e fu canonizzato in tal modo, fu quello della Chiesa romana. Questo capitolo si
propone di esaminare il documento che stato identificato come l' antico credo battesimale (la cui designazione convenzionale R), di
valutare le sue credenziali e dare uno sguardo alla sua storia, nei limiti in cui ricostruibile. Non necessario giustificare il fatto che
a esso venga dedicato tanto spazio. L'origine del credo romano pu
essere ricondotta, con un certo grado di attendibilit, al II secolo,
in ogni caso ai suoi ultimi decenni. Se ci vero, si mostra particolarmente interessante come elemento per diradare un po' il velo che
copre il periodo oscuro studiato nel capitolo precedente, in cui si
riscontrava una variet di formule locali, quasi in competizione tra
loro per raggiungere una situazione di preminenza assoluta. La sua
rilevante importanza su altri piani non ha bisogno di essere sottolineata. Esso divenne l'antenato diretto di tutti gli altri simboli di fede in occidente, e anche su quelli d'oriente il suo influsso fu notevole.
Lo stesso Credo Apostolico, elevato poi a una posizione di autorit
unica come formula battesimale di Roma e dell'Occidente in generale, solo uno dei vari discendenti di R: infatti, come vedremo in
seguito, l'antico credo di Roma, arricchito con materiale divenuto
popolare nelle province.
La nostra fonte pi importante per quanto riguarda il testo del1' Antico Credo Romano nella sua forma latina il trattato Commentarius in symbolum aposto/orum 1 scritto intorno al 404 da
Tirannio Rufino, sacerdote di Aquileia. da questo famoso libro
che, nel nostro primo capitolo, abbiamo tratto la leggenda della composizione del credo da parte dei dodici apostoli. In esso, Rufino commenta, articolo per articolo, il credo battesimale della sua Chiesa,
Aquileia, e lo confronta con quello di Roma. Egli ricorse a un proI
101
Circa sessant'anni prima che Rufino scrivesse il suo libro, un credo praticamente identico a questo, ma in greco, figurava nella ben
nota apologia che Marcello, vescpvo di Ancira in Cappadocia, indirizz a papa Giulio I e al sinodo che si tenne a Roma nel 340. Esponente zelantissimo dell'ortodossia di Nicea, era venuto a conflitto
con il partito di Eusebio ed era stato espulso dalla sua sede come
se fosse virtualmente un sabelliano. Come altri che, in quell'epoca,
.si trovavano nella medesima situazione, si rifugi a Roma, dove ebbe calorosa accoglienza. La sua apologia prese la forma di una det-
102
'
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VfiKpwv,
Si pu osservare che il testo presenta molte differenze rispetto alla versione latina di Rufino. Le principali sono l'omissione di PADRE (1ra.T~Qa.) nel primo articolo, e l'aggiunta di VITA ETERNA (~w)v
103
NO e SIEDE.
La lettera di Marcello non la sola testimonianza del testo greco
dell'Antico Credo Romano: si pu citare anche un codice di datazione considerevolmente pi tardiva. Si tratta di una collezione di
brani liturgici nota come Salterio di Aethelstan, nella collezione Cottn del British Museum. Nel codice (Galba A XVIII: IX sec.) il credo riportato alla fine del Salterio vero e proprio, come diversa
formulazione, in cui i termini greci, con curioso artificio, sono stati
trscritti in caratteri anglosassoni. I contenuti combaciano perfettamente con R latino, e il testo differisce da quello di Marcello in alcuni minimr particolari (xQi:vm per XQ~VHV, 1l'vEu.a &'Ywv per T
&'Ywv 11'VEu.a, ecc.) come pure nei.punti citati sopra. 5
2.
.Il paragrafo precedente ha offerto un primo abbozzo dell'argomentazione a sostegno della tesi che Rufino e Marcello sono testmoni dell'esistenza nel IV secolo di un credo fisso a Roma. La
brillante ipotesi di Ussher sembr trovare importante conferma quan..do, all'inizio di questo secolo, si stabilirono la vera datazione e l'autenticit della. Tradizione di S. Ippolito, con la sua forma interrogatoria cos strettamente simile a R. Prima di proseguire, tuttavia, dobbiamo sottoporre la questione a un esame pi rigoroso. Il
credo Romano un documento-chiave cos importante nella storia
dei simboli di fede da rendere auspicabile un'assoluta certezza circa
1~ sue credenziali. Inoltre, mentre in pratica tutti gli studiosi, a partfre dal tempo di Ussher, hanno accettato l'identificazione tradiziop.ale, obiezioni contro di essa sono state mosse da parte di F.J.
Badcock, la cui opera sui credo ebbe molta risonanza in Inghilterra.
necessario valutare le sue argomentazioni, prima di iniziare l'indagine sulla preistoria e l'origine dell'Antico Credo Romano. 6
Il cardine su cui poggia l'intera teoria ortodossa , ovviamente,
Ja convinzione che il credo della Chiesa romana dell'epoca possa essere attendibilmente ricostruito sulla base delle indicazioni offerte
5
6 _Per
104
da Rufino nel suo trattato. Badcock, tuttavia, non tard a far rilevare che tutto ci che Rufino prometteva di riportare nel suo libro
era il credo della sua Chiesa natale di Aquileia. Evidentemente scopr notevoli divergenze tra quest'ultimo e il credo Romano, ma non
abbiamo motivo di pensare che la sua elencazione fosse esaustiva.
Ma se anche potessimo dimostrare con certezza che fosse tale, il tentativo di ricostruire R sulla base delle sue osservazioni occasionali
destinato a fallire. Si anche messo in rilievo che esistono numerosi aspetti in cui il credo ricostruito a partire dal Commentarius differisce verbalmente da quella che deve essere stata la forma romana corrente. Cos Rufino usa in con l'ablativo, e non con l'accusativo, per esprimere la sua fede nelle tre persone divine. E ancora, per suo UNICO FIGLIO scrive nel secondo articolo unico filio eius,
invece dell'espressione indubbiamente pi plausibile/ilium eius unicum. L'assommarsi di questi e altri simili punti tende a scalzare la
fiducia nel Commentarius come testimone del credo Romano.
Critiche come questa tradiscono una curiosa incomprensione del
carattere e dello scopo del trattato di Rufino. Se c' una cosa che
egli esprime con limpida chiarezza nei suoi capitoli introduttivi che
ritiene di commentare il credo Apostolico, la formula originariamente
composta dai Dodici, e non principalmente il credo della _sua o di
qualche altra Chiesa locale. Si riferisce spesso, in termini generici,
alla "tradizione del credo" e alla "tradizione" che " stata data
alle Chiese'', e dichiara, 7 in contrasto con il comportamento del
commentatore eretico Fotino, la sua intenzione di "restituire alle parole apostoliche il loro significato chiaro e semplice". Per stabilire
l'autorevolezza del credo, riporta la.nota storia di come i Dodici variamente contribuirono ai suoi articoli prima di partire da Gerusalemme per le loro imprese missionarie.
Contemporaneamente, e questo il punto da mettere successivamente in rilievo, 8 convinto che il vero credo Apostolico sia conservato nella sua integrit unicamente nella Chiesa romana. Era
certamente dello stesso parere di S. Ambrogio che, alcuni anni prima, aveva portato l'attenzione9 sul modo con cui la Chiesa romana era riuscita a conservare inviolato (intemeratum) fin dall'inizio
il credo Apostolico. Altrove, spiega, si erano inserite aggiunte nel teCap. I (C.C.L. 20, 133s.).
s Cap. 3 (C.C.L. 20, 136s.).
9 Ep. 42, 5 (P.L. 16, 1125).
105
106
et Maria (E MARIA). Quanto poco fosse attento a tali variazioni non significative risulta chiaro in passi come quello che apre
il cap. 4, 10 dove afferma che quasi tutte le Chiese orientali hanno
la formula IO CREDO IN UN SOLO DIO, ponendo ancora una volta le
parole UN SOLO DIO in ablativo, bench in tutti i credo orientali si
trovino in accusativo. In ordine al suo obiettivo immediato (non praticava certo le metodologie del XX secolo), queste erano differenze
di poca o nessuna importanza, seppure ne era in qualche modo
conscio.
Si potrebbero aggiungere molte altre osservazioni, se lo spazio consentisse di ampliare la discussione. Abbiamo gi citato, per esempio, il credo battesimale interrogatorio di S. Ippolito. Qualunque
sia la sua preisa relazione con R (problema di cui ci occuperemo
in seguito), l'analogia tra i due assai stretta, e sembra implicare
alcuni elementi di parentela. Un credo molto simile a R, a dir poco,
era di uso corrente a Roma all'inizio del III secolo, e questo fatto
da solo, indipendentemente dal tipo di argomentazione proposto da
Ussher, potrebbe apparire un forte argomento a favore della sua tesi su R. Invece, il solo credo che il nostro critico riconosce essere
esistito a Roma prima del 371, 11 la breve formula prescritta dal
Sacramentario Gelasiano per il momento del battesimo. 12 Abbiamo
dimostrato sufficientemente, inoltre, che solo un radicale scetticismo potrebbe porre in dubbio che il credo Romano, cos come esisteva intorno all'anno 400, possa essere recuperato, almeno nella
sostanza, dal Comm. in symb. apost..
Se si d'accordo su questo, possiamo riportarci indietro di almeno una generazione, dato che Rufino sottolinea il fatto che la Chiesa romana aveva conservato intatto il modo di esprimersi degli
apostoli. Anche se alcune delle sue teorie risultano fantasiose, non
era verosimilmente del tutto in errore riguardo agli avvenimenti del
suo tempo. Non sorprende dunque che la maggior parte degli studiosi, incontrando un credo praticamente identico nella lettera di
Marcello, ne abbiano concluso che anch'esso non fosse altro che il
credo della Chiesa romana dell'epoca. Anche contro questa difesa
tradizionale il medesimo critico ha sferrato un attacco frontale. L'arcivesc()VO Ussher, afferma, ha introdotto e diffuso in tutto il mondo una interpretazione erronea dell'apologia di Marcello. Come
RIA) con
107
14
108
1, 73.
LA LINGUA ORIGINALE DI R
109
'"\tijrbarci eccessivamente: probabile che non abbia turbato nes3fui'epoca, dato che l'espressione verbale dei credo non era con:;t~ allora come sacrosanta. In ogni caso, la nostra conoscenza
ritfarion di S. Epifanio su questo punto dipende da un unico
~ 17 dell'inizio del XIV secolo. Per quanto guarda la presen'yrtA ETERNA (~w~v u.wvLOv) nell'articolo finale, poco vero>che tale espressione sia un ricordo inconscio, da parte di
Uo, di qualche credo orientale. Molto pi probabilmente si pu
h~ come un'interpolazione non avvertita o consapevole da parte
:: che scrivano che ricordava in maniera eccessivamente let' ;intero credo Apostolico. 18 La sola variante che pu destare
.~li.e-difficolt l'omissione di PADRE (1mTtQa) nel primo arti , .. O~'L'rcivescovo Ussher azzard la congettura che esso fosse sta? 't'if"trascurato, cos almeno pare, dall'incuria dello scrivano". Ma
;\ f,i pu difficilmente essere preso in considerazione. importante
notare che ci sono due altri passi di questa lettera in cui Marcello
dimostra predilezione per la forma "Dio onnipotente (6rn mllvTaxQ&ToQo~). Uno dei tratti caratteristici della sua teologia che il Verbo di Dio non divenne Figlio fino all'incarnazione, che la sola
generazione avvenne nel grembo della Vergine, e che il titolo di Figlio, come anche quelli dei nomi tipici, Cristo, Ges, vita, via, ecc.
si potevano applicare a luf in modo appropriato solo durante il suo
.stato di incarnazione. 19 logico che potesse provare una certa rihittanza nel descrivere l'eterno Dio, cui il Verbo apparteneva, come
Padre nella sua ultima essenza. Era la monade indivisibile, assolutamente unica, e il Verbo risiedeva in lui consustanzialmente (.ooumo~) come un'energia inseparabile, non come ipostasi distinta.
perci comprensibile che abbia preferito evitare il termine Padre in
alcuni contesti, come, per esempio, l'articolo iniziale del credo. Una
cos ardita alterazione del testo (i suoi giudici romani, parziali com'erano in suo favore, erano forse inclini a chiudere un occhio su
questo fatto) costitu un tipo di manovra decisamente congeniale al
suo carattere e alla sua teologia.
3.
La lingua originale di R
18
19
(G.C.S. 10).
110
riferisce Rufino e che Marcello cita, altro non che il credo Romano del IV secolo. Lo possediamo dunque in due versioni, quella
latina e quella greca. Sorge il problema quale delle due si debba considerare originaria. un problema che stato molto dibattuto, non
solo per soddisfare una curiosit accademica, ma anche per il peso
che la risposta ha sulla datazione e composizione del credo.
Il verdetto praticamente unanime indica il testo greco come originario e considera il latino come semplice traduzione: ci si deduce
dalla presenza, nella Tradizione di S. Ippolito, di un credo, a questo strettamente connesso, il cui originale era in greco. Anche la tesi
contraria, tuttavia, stata avanzata, facendo leva sull'argomentazione20 che il testo latino rivela qualit ritmiche chiaramente assenti nel testo greco. Alcuni autori antichi, come Fausto di Riez, 21 lo
qualificano addirittura come carmeri o inno. Si ritenuto che la versione costruita con accuratezza stilistica dovesse avere la priorit nel
tempo. Ma non tutti troveranno convincente tale ragionamento. Nel
caso di testi liturgici, una traduzione ritmica di un originale non ritmico concepibile solo come retroversione. Per essere concreti e precisi, comunque, non dato riscontrare nel testo latino alcuno dei
ritmi che erano di moda nello stile artificioso della prosa imperiale.
L'esame delle quantit metriche e degli accenti ritmici, pqi, d risultati ugualmente negativi, n vi si trovano tipi di rima o di assonanza
pi diffusi. 22 Anche il tennine carmen non significa necessariamente
sempre composizione ritmica: potrebbe infatti essere usato in senso
pi ampio, per indicare una formula liturgica solenne.
Per quanto riguarda gli argomenti interni, non si pu pretendere
di ricavare prove conclusive a favore del greco o del latino. Sono
entrambi brani di prosa scorrevole e idiomatica. Si fatto notare
che una o due espressioni del greco, come porre IL TERZO GIORNO
(Tfi 7QL'T~ ~.Q<;x) prima del verbo RISUSCIT, fanno pensare a una
costruzione latina. D'altra parte, molte espressioni del testo latino
potrebbero suggerire che si tratti di una traduzione. Per esempio,
omnipotentem ( = ONNIPOTENTE) e il greco 1l:OLV'TOXQ&ToQOL non sono esattamente equivalenti; ma, mentre omnipotentem era il tenni-
LA LINGUA ORIGINALE DI R
111
9.
. 27
Arium 2, 8 (P.L. 8, 1094), e Pseudo-Ag., Quaest. vet. et nov. test. 109, 20s. (C.S.E.L.
50, 268), di dimostrare che la tradUzione dal greco e dal latino della liturgia romana
della stessa Messa fu compiuta in un'epoca relativamente recente, e cio tra il 360-382
(Studi e Testi 121, 1946, 47 ss: in Miscellanea Giovanni Mercati I).
112
to le altre argomentazioni facevano supporre, ma utile averne anche una conferma linguistica. Anche il peso degli argomenti esterni
a favore di una datazione molto antica per quanto riguarda R. Gi
il fatto che S. Ippolito, per ese111pio, testimonia a favore dell'esistenza di un formulario quasi identico nelle prime decadi del III secolo potrebbe in s stesso essere considerato decisivo. Inoltre, come
si vedr tra due capitoli, R esercit un forte influsso su tutti gli altri
credo locali d'Occidente. Ci si pu spiegare unicamente se si ipotizza che esso si era gi stabilmente affermato intorno alla met del
III secolo.
4.
R, Tertullino e S. Ippolito
possibile dire, sulle origini di R, qualcosa di pi preciso dal momento che esse si riconducono al periodo della Chiesa romana vagamente definito come periodo di lingua greca? La linea di approccio
pi evidente a questo problema di investigare se le forme di credo
di cui sono stati testimoni Tertulliano e S. Ippolito possano gettare
una qualche luce sulla storia antica di R. Per quanto riguarda il primo, in ogni caso, si ampiamente sostenuto che avesse conoscenza
diretta dell'Antico Credo Romano. Il lettore ricorder il famoso passo del De praescriptione 36, in cui si parla diffusamente della stretta
relazione tra le Chiese d'Africa e Roma.
"Esaminiamo, esclama, che cosa quella Chiesa benedetta (Roma) ha appreso, che cosa ha insegnato, che cosa ha condiviso (contesserarit) con le
Chiese africane: riconosce un solo Dio e un solo Signore, Creatore dell'universo, e Cristo Ges, Figlio di Dio Creatore dalla Vergine Maria, e la risurrezione della carne".
113
R, TERTULLJANO E S. IPPOLITO
\I.i:..
~i'~~~:~
cieli,
::ESiede alla destra del Padre,
;}Ifver'r a giudicare i vivi e i morti?
''i~tedi nello Spirito Santo,
~:t nella santa Chiesa? 29
Ascese al cielo,
Siede alla destra del Padre,
Donde verr a giudicare i vivi e i morti;
E nello Spirito Santo, la santa Chiesa, la
remissione dei peccati, la risurrezione della carne .
.;., Ci che lascia perplessi circa questi credo la compresenza di sin)::gj?lari analogie e di numerose differenze significative. Le somiglian'.!i~:saltano subito agli occhi, anche in traduzione. Non consistono
~;soitanto nella struttura generale del credo, nel mettere l'uno e l'al:~;i:.tro in rilievo la nascita di Cristo dallo Spirito Santo e dalla Vergine
C'.~hlledetta piuttosto che la sua generazione precosmica, e nell'uso di
J;:F~pressioni tipicamente romane come CRISTO GES. Includono an:;:he notevoli analogie di linguaggio, immediatamente avvertibili nei
,'.Jesd originali. Ma anche le differenze sono evidenti.
" 1. L'omissione da parte di H della descrizione di Ges come UNIGENITO e NOSTRO SIGNORE.
2. Mentre H probabilment~ definisce la sua nascita terrena come
'MEDIANTE LO SPIRITO SANTO DALLA V. MARIA, R afferma nettamente
DALLO SPIRITO SANTO E DALLA V. MARIA.
3. R riporta E FU SEPOLTO contro il MOR
di H (E FU SEPOLTO del
.Framm. Ver. non originale).
4. H inserisce il termine VIVENTE prima di DAI MORTI.
5. C' una differenza tra il modo di trattare la seconda venuta di
H e quello di R: probabilmente in H si trovava un participio (QXO.oov ), mentre B. riporta DONDE VERR (l>t)ev ~QXtT<XL).
6._Non c' nessuna corrispondenza tra H (i diversi testi che inseriscono le parole sono di una data successiva) e R per la REMISSIONE
DEI PECCATI o LA RESURREZIONE DELLA CARNE.
29
114
Infine, vi sono molte differenze minori di frasario e il caratteristico NELLA SANTA CHIESA.
L'impressione che si ricava da un confronto di R con i brani di
Tertulliano della regola di fede ancor pi sconcertante. La difficolt di poter affermare che egli avesse in mente un credo formale, quando scriveva, gi stata citata nel capitolo precedente, ma ci sono
alcuni punti che possono essere dati per scontati. Cosi il breve riassunto inserito nel suo De praescriptione 36 e citato in precedenza
indica una familiarit con la forma CRISTO GES cos caratteristica
di Re di H. E ancora, il pi formale degli stralci del suo credo (De
virg. ve/. I) si accorda con R nella scelta della nascita del Figlio dalla Vergine Maria piuttosto che della sua eterna generazione, e nella
citazione della sua crocifissione. "sotto Ponzio Pilato". La nascita
dalla Vergine si ritrova anche in Adv. Prax. 2. Inoltre alcuni dei suoi
passi pi noti rivelano indubbie coincidenze verbali con R, quali la
frase "il terzo giorno risuscit dai morti" nel De virg. ve/. I e "siede alla destra del Padre" nell'Adv. Prax. 2, la citazione di "fu sepolto" nell'Adv. Prax. 2, e l'infinito di tipo greco "giudicare
(iudicare)" che seguiva il participio futuro venturum nel De virg.
ve/. I e in Adv. prax. 2.
Nel leggere frammenti come questi, si tentati di aderire all'opinione degli antichi commentatori che ritenevano di trovare qui e altrove allusioni incontrovertibili a R. D'altronde, ci sono espressioni
che tradiscono influssi molto diversi, e che non si possono ignorare.
Il titolo PADRE stranamente assente dal primo articolo nei testi di
Tertulliano, che aggiunge coerentemente l'aggettivo UNO (unum o
unicum). A partire da ci si dedotto talvolta che il credo Romano
originale deve avere descritto Dio Padre come UNICO, e che il termine sia stato deliberatamente tolto durante la controversia con i
modalisti monarchiani.
Questa un'ipotesi assai azzardata, e si fonda sulle dubbie premesse (a) di avere l'assicurazione di Tertulliano che la Chiesa africana abbia tratto il suo credo formale da Roma, e (b) di pensare
che Roma in quel tempo avesse un solo formulario ufficiale. Un'altra espressione del credo di Tertulliano in diretta contrapposizione
con R la costante definizione qi Dio come "artefice del mondo
(mundi condi(orem)", o "creatore dell'universo (creatorem universitatis)". Ancora una volta, come nell'uso dell'espressione UN SOLO DIO, abbiamo un tratto tipicamente orientale. Inoltre, nel secondo
articolo egli non menziona, come del resto neppure S. Ippolito,_ due
115
'.:;;'delle pi caratteristiche espressioni di R, la descrizione .di Cristo Geh~~ come UNIGENITO e come NOSTRO SIGNORE. Occasionalmente, 30
;i'.ipoi,Ja riferimento al Figlio come "il Verbo di Dio" che fu l'agente
~\del Padre nella creazione. In questi stessi passi cerchiamo invano le
;: parole DAI MORTI, e la formula tipica di R DONDE VERR.
;' .:un interessante tentativo per risolvere l'enigma del rapporto di
'Rcon i credo di Tertulliano e di S. Ippolito stato fatto dallo studioso benedettino Doro Bernard Capelle. 31 La sua teoria che tutti
', itre sarebbero testimoni del credo ufficiale della Chiesa romana,
'. m in fasi successive del suo sviluppo. Cos Tertulliano rappresen1trebbe il credo in uno stadio precedente di poco S. Ippolito, men.tre R, al momento di comparire sulla scena, avrebbe subito una
revisione ancor pi radicale. Basandosi su questa ipotesi, ritiene di
dare pienamente ragione sia delle analogie che delle differenze tra
Fcredo. In particolare, i redattori di R avrebbero modificato FIGLIO
DI DIO di Tertulliano e H in UNICO FIGLIO perch volevano un' espressione pi biblica (cfr. lGv 4,9), e inserito NOSTRO SIGNORE per rendere il secondo articolo simmetrico al primo. Presumendo, sulla base
della sua ricostruzione del testo, che FU SEPOLTO facesse parte di H,
Dorn Capelle spiega l'esclusione di MOR con il fatto che sembrava
s,perfluo dopo CROCIFISSO. VIVENTE ("il terzo giorno risuscit vivente dai morti" in H) sarebbe stato omesso perch non aggiungeva
molto a RISUSCIT, e DONDE VERR sostituito da VIENE (probabilmente il participio ~Qxo.Hov in greco) perch crea una migliore connessione. REMISSIONE DEI PECCATI sarebbe stato inserito perch
.sembrava appropriato un riferimento al battesimo in una formula
.stabilita per catecumeni. Secondo questa teoria, la redazione di R
si pu attribuire a un momento, cronologicamente non determinato, della seconda generazion del III secolo.
Si tratta di un'analisi chiara, ma costruita con una notevole dose
di ingenuit. Se si potesse dare per scontato anche solo che, intorno
al 200, la Chiesa romana possedeva un unico credo battesimale ufficiale, sarebbe indubbiamente necessario dimostrare, con un metodo molto rigoroso, l'affinit di H e R, per non parlare delle formule di Tertulliano. Si deve notare che Doro Capelle sembra avere
in mente proprio questa ipotesi in tutta la sua argomentazione. 32
30
116
Egli non mette mai in dubbio la premessa che tutti e tre devono essere versioni del credo Romano. In un modo o nell'altro, quindi~ si
dovuto alterare e spezzettare R fino a quando non si rivelato come H travestito. Purtroppo, la chiave di volta dell'intera elaborata
costruzione un anacronismo. Abbiamo visto che parlare delle Chiese
locali come se possedessero, all'inizio del III secolo, una formula
sacrosanta nel senso vero e proprio del termine, significa retrodatare un periodo vitale nell'evoluzione dei credo. verosimile che a Roma, come in altre Chiese; diverse formule fossero in uso a quel!' epoca, e non c' nulla che possa dimostrare che l'una o l'altra
di esse fosse religiosamente conservata nella sua formulazione. Si
pu supporre che H, R e Tertulliano (se pu essere chiamato a testimone delle forme di credo Romano) rappresentino diverse tradizioni
contemporanee, che godevano la benedizione dell'autorit romana.
Questa, o simile, ipotesi di gran lunga la pi probabile, a meno
che le caratteristiche che differenziano R da H non confermino il
punto di vista di Dom Capelle circa la loro natura di derivati.
Ma si pu affermare con certezza che non lo furono. In tal modo, mentre non si trovano in essi elementi del III secolo, presentano
tutti materiale che, in pratica, potrebbe benissimo essere stato riconosciuto valido per un credo romano del II secolo. Ci si pu applicare soprattutto al titolo NOSTRO SIGNORE, ma risponde a verit
anche per quanto riguarda la clausola LA REMISSIONE DEI PECCATI,
qualunque sia la data del suo inserimento nel credo Romano. La
prima era una espressione stereotipa proveniente da epoche antichissime, 33 mentre la seconda figurava nel credo della Epistula
Apostolorum, della met del II secolo. C'erano infatti in Occidente
dei gruppi che preferivano, sull'esempio dell'Antico Testamento, limitare il titolo SIGNORE a Dio Padre, e questo spiega probabilmente la sua assenza da H e dal credo di Tertulliano. La presenza
dell'aggettivo UNIGENITO (.ovo')'E.V~) pu essere dovuta, come afferma Dom Capelle, a un precedente scritturistico, ma vi influirono
probabilmente anche motivi dogmatici, e la datazione non deve essere poi cos tardiva come egli sostiene. L'affermazione che Cristo
il vero unigenito era stata rivendicata da S. Ireneo, contro gli gnostici valentiniani, molto prima della fine del II secolo. 34 Il suo inserimento in R indica molto probabilmente un tratto polemico piuttosto
:; Cf. Rm 1,5; 10,9; S. Iren., Adv. haer., 3, 16, 6; 4, 33, 7 (P.G. 7, 925; 1077).
Cf. Adv. haer. 3, 16, I; 2; 6 (P.G. 7, 920; 921; 925).
R, TERTULLIANO E S. IPPOLITO
117
M. A GIUDICARE (ot}iov
l'QXE:r<XL).
La vera soluzione del problema posto dalle analogie e dalle diffe~enze tra i credo di Tertulliano, di S. Ippolito e R gi stata pro~pettata. Probabilmente, erano in uso molti sommari di credo nella
Chiesa romana intorno al 200. Non c' motivo di dubitare che S.
_Ippolito ci faccia conoscere uno di essi, ma ce ne devono essere stati
anche altri; l'epoca della stabilit e dell'uniformit liturgica, infatti, non era ancora giunta. R potrebbe essere stato un altro di questi.
Le straordinarie analogie tra Re H si possono ben spiegare con l'ipotesi che, bench fossero entrambi, in un certo senso, formulazioni indipendenti, si trovarono in realt in stretta affinit, fino a urtarsi
l'un l'altro, come i membri di una famiglia. Cos, ci deve essere stato un notevole reciproco influsso, soprattutto perch, secondo la nostra teoria, le formule di fede erano ancora molto elastiche nella loro
espressione verbale. Anche Tertulliano sembra aver conosciuto R:
alcune sue affermazioni, perlomeno, suonano come sua eco. Ma sembra anche che abbia conosciuto altri tipi di sommario dottrinale, e
vi abbia fatto molte volte ricorso. Uno di questi potrebbe essere H:.
ci sono punti di contatto tra il suo linguaggio e quello di H~ Altri
appartenevano a modelli tipicamente orientali. Questa spiegazione
la sola che renda giustizia al fatto che nessuna formula di credo
aveva evidentemente ottenuto una posizione di monopolio. Se questo esclude la teoria chiara ma artificiosa proposta da Dom Capelle,
ci consente tuttavia di risalire fiduciosamente, per quanto riguarda
la storia di R, fino al volgere del II secolo. Se legittimo seguire
l'indicazione proveniente dall'inserzione polemica di monogens quale designazione di Cristo, ci possiamo allora sentire incoraggiati a
scrutare ulteriormente nel passato, nell'oscurit del II secolo.
35
Dom Capelle non accetta questa versione: vedi R. Bn. xxxix, 1927, 35ss.
118
s.
;:::;c;::,::~ack
~'
prdi
L'IPOTESI DI HOLL-HARNACK
119
#a:che lo Spirito Santo discender sulla Vergine benedet'fci (si noti il greco ot) colui che nascer sar chiamato
do (u.s -a.Eou, il titolo vero e proprio usato nel credo) .
. ente, il secondo sembra interpretare la posizione di Cri)SIGNORE, quale ricompensa delle sue sofferenze e della
:croce. esattamente la teologia di S. Paolo in Fil 2, 6 ss.,
'postalo sottolinea che proprio perch (notare ot di nuo}9) Egli si umiliato fino alla morte di croce che Dio lo ha
'~ gli ha dato il nome che al di sopra di ogni altro nome,
':ogni lingua proclami che Egli il Signore (in greco XUQLos),
do titolo del credo.
erpretazione di Holl non fece altro che scomporre R nei suoi
tfcostitutivi. Ma se la sua argomentazione valida, si pu
. . ntemente fare un altro passo in avanti. Cos come lo cono/'o~ R deve essere un credo derivato, un discendente di una for''J>rimitiva, un tempo autonoma, che non conteneva la doppia
~logia ad ampliamento dei due titoli attribuiti a Ges. Questa
h:nclusione a cui giunse esplicitamente A. von Harnack37 nel
articolo supplementare scritto quale contributo per lAccademia
.edino un mese dopo quello di Holl. La struttura originaria del
'tlo doveva avere la scansione seguente:
Credo in Dio Padre Onnipotente,
e in Cristo Ges, Suo unico Figlio nostro Signore,
e nello Spirito Santo, la Santa Chiesa, il perdono dei peccati,
la risurrezione della carne.
~sto credo, sottolineava, porta in s stesso la prova della sua pre~nte autonomia. Non solo costruito su un modello simmetrico:
;,articoli principali ognuno dei quali con tre elementi subordinati
::risiderava IL PERDONO DEI PECCATI e LA RISURREZIONE DELLA
, RNE connessi tra loro), ma una corrispondenza simmetrica simis~1~~si pu osservare anche nel flusso delle idee.
''..;'.'t~fTna formidabile difficolt nei confronti di questa ipotesi, cos co~\Jne fu elaborata da Hamack, consiste nell'inserimento dei due articoli
'.hn;PERDONO DEI PECCATI e LA RISURREZIONE DELLA CARNE nello
~\schema articolato in nove parti. Non tutti furono disposti ad accet\ tare la proposta di Hamack, di superare il problema considerando
l'insieme come due aspetti complementari di un unico concetto, i
37
120
i-I. Lietzmann si inser nel dibattito con il suo contributo. 38 In primo luogo. sostenne con grande forza che era semplicemente impossibile trattare le due sotto-clausole come una sola. La vera soluzione;
proponeva, consisteva nell'omettere LA REMISSIONE DEI PECCATI come non facente parte del credo. La formula originaria sarebbe stata
in realt una formula con nove clausole effettive; fece riferimento
al credo39 del papiro Der Balyzeh come a un parallelo. Sulla base
della sua ipotesi che il terzo articolo legga '' ... e nella Chiesa Cattolica'', questo testo presenta proprio quel credo a nove articoli, suddiviso in tre clausole principali, che Harnack cercava, e in esso non
c' traccia di REMISSIONE DEI PECCATI. Lietzmann era convinto, in
considerazione della nota dipendenza della Chiesa egiziana da Roma per quanto riguardava le sue formule liturgiche, che il papiro
Der Balyzeh avesse conservato la primitiva tradizione romana del
II secolo. In uno studio successivo," fu in grado di produrre una
serie di altri paralleli tratti da fonti di ambiente egiziano, che testimoniavano tutti l'esistenza di formule di fede a nove articoli. Tra
questi, il credo dell'antica liturgia battesimale copta, 41 il credo dek
la traduzione etiopica42 della Tradizione di S. Ippolito, e una for
mula contenuta nella Epistu/a Systatica del patriarca di Alessandria. 43
Altri esempi ancora di brevi credo risalenti a epoca antica si poteva
no trovare, afferm, -nel rituale battesimale armeno edito da Cony~
beare, nella Epistula Apostolorum, e nel Sacramentario Romano
Gelasiano. 44
Questa la complessa ipotesi formulata in fasi successive dai tre studiosi tedeschi. Nel valutarla, si deve tenere conto pienamente della
sua vivace e suggestiva originalit, come pure dell'importante progresso che produsse nella nostra conoscenza della preistoria di R.
Qualunque giudizio se ne possa dare, essa ha stabilito definitivamente
che R cos come lo conosciamo una fusione, il risultato di una sai..
datura di una breve formula trinitaria con un sommario cristologico in origine indipendente. Molto, in particolare, si deve a Harnack
Op. cit. XVII, 269-74.
Vedi sopra, 87-88.
40 Die Anfiinge des Glaubensbekenntnisses, Tubinga, 1921.
41 Cf. J.A. Assemanus, Codex Liturgicus Ecc/es. Univ., Roma, 1749, I, 159.
42 Cf. G.W. Homer, Statutes of the Apostles, Londra, 1904, 173.
43 In E. Renaudot, Liturg. Orient. Collect., Parigi, 1716, I, 490.
44 Per riferimenti e documenti, vedi Anfiinge, 228 ss.
38
39
L'IPOTESI DI HOLL-HARNACK
121
::
:,~g;mciata
.... Q:J.. , ..
~--:_,_,,....
. '.~:,::
:' '.>.45 Per la critica dell'ipotesi, vedi in particolare R. Seeberg, Z fur KG. xl (N .F. iii),
, 1922, I-41; B. Capelle, R. Bn. xxxix, 1927, 33ss. e Rech. thol. anc. md. ii, 1930,
:/5 ss.; J. Lebreton, Rech. des sciences relig. xx, 1930, 97ss. In ci chesegue, questi
<.articoli mi sono stati di grande aiuto.
122
L'IPOTESI DI HOLL-HARNACK
'SUO
12.3
o, come abbiamo gi cercato di dimostrare, possono esseerati identici a R, ma appartenevano tutti e tre alla stessa
:. e circolavano nello stesso ambiente. Se tanto in H che in
_ ._e una cristologia cos affine, malgrado l'assenza di SIGNO:,. difficile ritenere che la cristologia fosse considerata dai
i:omani dell'ultima parte del II secolo come un commento
pndo luogo, l'affermazione di Holl che l'espressione CHE
)FISSO, ecc. spiega e giustifica il titolo SIGNORE nella linea
;,<tH 1, non pu essere accettata senza riserva. Da un lato,
l:l,ppoggiarsi su un'interpretazione totalmente errata della ri,_:che questa parte fondamentale del credo deve avere avuto
,del cristiano che Io recitava. Per lui il significato delle pa~stava tanto nel glorioso rovesciamento della sorte del SilllltO nella propria certezza di redenzione mediante il trionfo
.. tore. Per quanto il pensiero della sua esaltazione e della sua
fpsse indubbiamente presente, era la sua promessa di torna(iicare i vivi e i morti che si profilava con maggiore forza
:ormente impressionava la coscienza dei catr:cumeni. Per il
,;i~d.erire alla interpretazione di Holl significherebbe essere congb~i occhi del cristiano del II secolo il titolo "Signore" co. ~il riferimento preciso al "nome che al di sopra di ogni altro
Per la maggior parte degli esegeti moderni questo sembra
ato indiscutibilmente il pensiero di S. Paolo.
tichi padri, tuttavia, vedevano le cose diversamente. Per loQnie che al di sopra di ogni altro nome" era generalmente
.-sacro di Ges; per alcuni, come S. Agostino, era il Figlio.
u fornire una sola prova attendibile che lo abbiano com-_riferimento al titolo "Signore". Il solo passo che Lietzmann
ado di portare a sostegno. di Holl il capitolo molto spesso
\4LS. Ireneo Adv. haer. 1, 10, 1.48 Qui l'autore tocca l'apice
esposizione della regola di fede e degli eventi salvifici di
,indicando in qual modo giungeranno al culmine: "cosicch
'#occhio si pieghi, delle creature del cielo e delle creature del-~ e delle creature sotto terra, a Cristo Ges nostro Signore e
)$~vatore e Re, e ogni lingua lo confessi". Ma qui, come Dom
~
'
I$ua
124
CONCLUSIONE
6.
125
Conclusione
e: se tanta parte della complessa teoria dei tre studiosi tede~e essere necessariamente scartata, rimane per nella loro di,.'"ine del carattere composito di R quanto basta a segnare un
... te progresso negli studi sui simboli di fede. Il prob)ema che
.. ubito dopo riguarda la data in cui possiamo presumere che
.i'.>lice formula a tre articoli sottesa ali' Antico Credo Romano
ampliata con l'inserimento di una cristologia pienamente
i)ata. In linea di massima, una data che si collochi intorno al. ida met del II secolo sembrerebbe la pi attendibile, in rife agli elementi in nostro possesso. Ogni datazione successiva
be difficilmente conciliarsi con l'uso, da parte di S. Ippolito,
~edo battesimale molto simile a Re comprendente una cristoftnilare. Inoltre S. Ippolito era, come sappiamo, un conservapreferiva battere antichi sentieri; probabile che le liturgie
li riproduce avessero alle spalle l'autorit di almeno una geneUna data che preceda il 150 anch'essa esposta a partico~biezioni. S. Giustino un. testimone importante del kerygma;
'~ seconda delle sue domande battesimali, bench menzioni la
'i'fissione, non sembra aver incluso un passo cristologico esteso.
" ~ linea di tradizione non esattamente quella di R, ma ci che
~formula suggerisce che i primi tentativi sperimentali di inse'sserzioni cristologiche nella seconda domanda sono stati fatti
.no alla met del secolo. In ogni caso assai difficile trovare
,\ile fisse di qualsiasi genere precedenti S. Giustino. Il primo
pio di inserto cristologico piuttosto sviluppato si trova in un
'tltento che data di una generazione dopo, l'Epideixis di S. IreDSe le laconiche espressioni del suo credo: "Che fu incarnato,
,Qn, e risuscit", si possono considerare come risultante di una
''~azione pi particolareggiata, non azzardato vedere in esse
parallelo molto stretto con R per quanto riguarda la struttura.
eriori indicazioni circa la data della redazione di R si possono
~ e dalle motivazioni possibili di coloro che la realizzarono. Se
ro obiettivo, o anche uno dei loro obiettivi, era di dare un'ener':,risposta al docetismo col porre l'accento sulla realt delle espe. e di Cristo, questo porterebbe un'ulteriore conferma della data
.~,quale tende la nostra argomentazione. Fu verso il 70 e I' 80 .del
. olo che la polemica della Chiesa contro lo gnosticismo cominci
fi:!J/~rendere forma e a diventare una forza con cui misurarsi.
':1;l~: :e tuttavia un docum~nto importante, non ancora citato, che sem-
:Ja
' e.
126
;.
no~
~:~
fat1
,;
:~
H.E. 5, 28, 3ss. (Schwartz, 215s). Il titolo Piccolo Labirinto dovuto a Teodor~
to. La maggioranza degli studiosi nega oggi il suo collegamento con S. Ippolito: i$;l
G. Bardy, Paul de Samosate, 2 ed., Lovanio, 1928, 490 n.
.::W
54 Cf. W .M. Peitz, Stimmen der Zeit xciv, 1918, 553ss.; J. Haussleiter, Trinitafi~
scher Glaube, 1920, Giitersloh, 84ss.; K. Lake, Harvard Theol. Review, xvii, 192'*
173ss.
f~
55 .Cf. per questo uso Eusebio, H.E. 5, 28, 19 (Schwartz, 218).
;~
53
CONCLUSIONE
127
128
sto la luce sotto il pontificato di Vittore (189-197). A suggerirgli questo decennio in particolare fu la convinzione che il credo avesse un
sicuro intento antieretico, e che bersaglio del suo attacco fossero
il monarchianismo adozionista ed.il docetismo. Ci noto che gli adozionisti si installarono a Roma all'inizio degli anni Novanta e che
Vittore intraprese una energica azione contro il loro principale esponente, Teodoto di Bisanzio. Probabilmente Lebreton aveva ragione, per quanto le sue argomentazioni siano molto esili e nulla di
specificamente antiadozionista emerga a un primo sguardo nell'articolo cristologico. Nel complesso, tuttavia (si discuter ancora di
questo nel capitolo seguente), sembra pi probabile ritenere che egli
abbia esagerato l'elemento polemico del credo e abbia individuato
gli obiettivi di esso con una precisione maggiore di quanto i fatti non
documentino. Se cos , si devono prendere in considerazione le istanze per una datazione leggermente anteriore al pontificato di papa
Vittore I, tenendo conto, in particolare, del dato acquisito che la
prassi di ampliare il secondo articolo del credo ha avuto pieno svolgimento fin dai tempi di S. Giustino. Tuttavia, uno studioso onesto
non pu non avere il sospetto, in questo caso, di un certo dogmati~,
smo: deve essere il primo a confessare francamente a s stesso di non;
poter procedere oltre per mancanza assoluta di qualsiasi dato su cui:
fondarsi. Pu tuttavia consolarsi con la soddisfazione di sapersi in".
grado di garantire l'antichit e la rispettabilit degli antecedenti di)
R. La formula soggiacente, su cui si basava, era molto probabilmenre.1
una interrogazione semplice a tre clausole, modellata, con qualchei]
leggero ampliamento, sul comando battesimale di Matteo: veniv~;
cos a congiungersi con la fede e la prassi della Chiesa del I secolatf
La cristologia che in seguito vi fu annessa un esempio di quellaf
proclamazione quasi-stereotipa della buona novella su Cristo che )fi
cristiani avevano ereditato, praticamente inalterata, dagli apostoli;.~
:::..
;2
i:~
Cf. Histoire du dogme de la Trinit, Parigi, 1927-8, Il, 161; Recherches de scie~
ce religieuse xx, 1930, 97ss.
~~
57
CAPITOLO QUINTO
L'INSEGNAMENTO DELL'ANTICO
CREDO ROMANO
.
..,.~-
''
1.
Il primo articolo
',ilo che abbiamo identificato come l'antico credo della Chiesa roma-
;lelio
130
gran
1
2
3
IL PRIMO ARTICOLO
f:~Q'ir(.,)~)''
131
';}~Nel Nuovo Testamento, "Onnipotente" non compare quasi mai. Do~~;compare, come in 2 Cor 6, 18 ("Signore onnipotente" in un cento;iJ~'di citazioni veterotestamentarie), o nell'Apocalisse 4 ("Signore
\~!b onnipotente"), ci troviamo sulla stessa linea di pensiero dei Set-
:J~ta:. Queste parole ricorrono insieme per la prima volta nel Mare nel Dialogo con Trifone 139 di S. Giustino,
tf&rium Polycarpi
/fit'ranbi della seconda met del II secolo. Uno o due passi non del
(t~tfo certi in S. Ireneo, 5 due o tre in S. Clemente di Alessandria, 6
~tino in S. Ippolito7 esauriscono praticamente la lista dei riferimenf~del II e dell'inizio del III secolo. I Padri usavano con molta fre;q~iiza "Onnipotente", ma sempre o isolato (o 11'etvToxQ&T(l)Q) o
a "Dio" (o 11'etvToxQx.TwQ 8Eo~; deus omnipotens). D'altro
~~fo, la combinazione "Dio Padre" presenta abbondanti precedenti
~n~'Nuovo Testamento. Di tanto in tanto S. Paolo usa frasi come
i'};gfazia e pace da Dio Padre" (Gal 1,3), "a gloria di Dio Padre"
~/{;2,H) oppure "in Dio Padre" (I Ts 1,1). Altri scrittori del Nuo. Testamento riflettono lo stesso uso; 8 ed interessante osservare
., . nell'originale greco il termine "Padre" unito a "Dio" senza
~jj;~_~un articolo, come nel credo. Nella letteratura del secolo II e sei~.~nti, "Dio Padre" un modo cos abituale di definire la divinit
'.A)h~,citazioni per dimostrarlo sono superflue.
ic'.ii~'.@iungiamo cos alla conclusione che dei due predicati descrittivi
~~~@RE e ONNIPOTENTE, quello pi strettamente associato a DIO PAil\l~. La fondamentale, originaria verit in cui si proclama la fede
~,,, ' 9 PADRE. Che questo sia il centro del primo articolo non desta
_;nima sorpresa: proprio quello che ci saremmo aspettati in conrazione del fatto che il modello era stato fornito dalla. formula
~simale. Il titolo ulteriore ONNIPOTENTE deve essersi aggiunto
r~o,Jto presto, indubbiamente come conseguenza dell'influsso del Iinf.,~ggio dei Settanta sull'uso teologico cristiano.
r:,;~'~ench possa sembrare non rilevante, questo punto ha una sua
:~~~eportata, in quanto conferma il lgame del credo con il coman~~}\lattesimale in Matteo. Molto pi importante il problema del
tUmto
'.il~.;-.:<-'
~y<_-c
132
3"'"
608 s.).
4 (C.C.L. 20, 137 s.).
11 Cf. un sermone attribuito a S. Cesareo (C.C.L. 103, 48).
12 P.L. 38, 1060.
IL PRIMO ARTICOLO
133
.,: ''Un uomo rinnovato, rinato e restituito al suo Dio mediante la sua graii"f(cio battezzato). dice 'Padre' all'iruzio della preghiera perch ora ha
~niinciato a essere figlio ... Cosi, l'uomo che ha creduto nel suo nome ed
'.~'.:diventato figlio di Dio dovrebbe iniziare da questo momento a rendere
'gtjZie e a professarsi figlio di Dio, dichiarando che Dio suo Padre nei cietti~1'e:anche a testimoruare ... che ha rinunciato a un padre terrestre e carnale
~~>,ha_cominciato a conoscere, come pure ad avere, come padre soltanto co(1~hhe nei cieli''.
':~'.':':
...
\ptosegue dimostrando che solo coloro che "sono stati santificati melui e rinnovati dalla nascita di grazia spirituale'' hanno verat,g).~t, il diritto di dire "Padre". Tertulliano esprime sentimenti simili
ifi\%.D. passo 14 che pu essere servito da modello a San Cipriano; ed
gene si diffonde1 5 sUI fatto che, mentre il titolo "Padre" appli,,~Dio era frequente nell'Antico Testamento, erano stati i cri'ad avere il privilegio di chiamare Dio PADRE nel senso pieno
.. rmine.
' torniamo al periodo della formazione del credo, chiaro che
'.Jil).a di queste interpretazioni rappresenta la totalit, o anche
.. ' pi importante, di ci che i suoi autori avevano in mente.
l)etuttavia gravemente mistificante escluderle. S. Clemente di
i 0 per esempio, invita16 i suoi lettori ad accostarsi a Dio in san. inima, ''amando il nostro Padre buono e misericordioso che
ho di noi sua porzione eletta''; e pi che un riferimento a Dio
'''i>adre dei cristiani pu essere tratto dalla omelia 17 del II se. 'ta come 2 Clemente. Ci sono parimenti molti brani del II se,.. in S. Ignazio) in cui la paternit di Dio compresa in
'ii:ea suo Figlio Ges Cristo. Che ci, in ogni caso, corrispon, :.prospettiva del credo risulta evidente dal linguaggio del se., articolo.
~i delle volte, tuttavia, quando in quell'epoca si usava il ter}Padre", ci si riferiva a Dio nella su.a qualit di Padre e crea'.4ell'universo. Cosi, S. Clemente di Roma18 poteva dire "del
iifatjie
:i:lp;
19 e 35 (Bihlmeyer, 46 e 54).
134
.iii
-~
-~.~~1~
~ Apol. I, 12; 61; Il, 6 (E.J.G., 33; 70; 82).
Adv. haer. 5, 17, I (P.G. 7, 1169): cf. 2, 35, 3 s. (P.G. 7, 840 ss.).
21 Ad. Auto/. I, 4 (P.G. 6, 1029).
.
22 Or. adv. Graec. 4 (E.J.G.,271).
23
-~
24
IL PRIMO ARTICOLO
135
: <:;;i, on forza
particolare nei primi capitoli del secondo libro del:versus haereses di S. Ireneo.
Ci deve essere un solo Dio", dice contro la teoria gnostica di una ge-
tf significato, quello soggiacente a 'll'CXvT00in1cx.o~ che corri.'.~l'attuale versione italiana, non impieg molto tempo a im'0S, possiamo arguire dal Contra Ce/sum di O:'igene che il
',pagano, indubbiamente sulla base di frmmenti di dottrine
'esa, aveva l'impressione che i cristiani pensassero che Dio
ar nulla. "Secondo noi, rispose Orgene/0 pu certamente
; , unque cosa, qualunque cosa possa essere fatta senza detri}lelfa sua divinit, della sua bont e del suo volere". Cos,
}lv. haer. 2, I, 5 (P.G. 7, 712). Cf. anche 2, 6, 2 (P.G. 7, 724 s.).
V:lAutol. I, 4 (P.G. 6, 1029).
princip. I, 2, 10 (Koetschau, 41 s.).
_ii_t. 8, 3 (P.G. 33, 628) .
. Jhn:Ce/s. 3, 70 (Koetschau I, 262).
136
: ~~~i.~=r~c2~.
34
140).
r.'
137
.,
.::i;):,- ..,
~:~~:
2.
['suo
138
In genere, fu l'interpretazione di Christus come "Unto" che persistette quando il riferimento specificamente messianico sfum nell'ambiente culturale. Tertulliano, per esempio, poneva in rilievo40
che Christus non era propriamente un nome ma un appellativo e significava "unto" (unctus). Era stato designato in tal modo in conseguenza del "sacramento dell'unzione". Cirillo di Gerusalemme
discusse, nella sua decima Catechesi, 41 sia su GES che su CRISTO,
concludendo che " chiamato Cristo, non come unto da mani umane, ma come unto eternamente dal Padre per un sacerdozio sovru-
s.
36
37
38
39
40
41
139
)?:argomento dicendo che ''Egli porta due nomi, Ges perch confetfisce salvezza, e Cristo a causa del suo sacerdozio". Rufino riporta
ifa medesima tradizione.
':bssendo mortali e corruttibili, furono unti con unguento di materia corrut~iibile; mentre Egli fu fatto Cristo mediante l'unzione dello Spirito Santo".
'.':':.,A CRISTO GES furono poi aggiunte due altre specificazioni: suo
WICO FIGLIO e NOSTRO SIGNORE. Il ternne UNICO (.ovo1u~~; unij;#s) merita un certo pprofondimento, soprattutto perch si tratta
~ptobabilmente di un'aggiunta successiva al nucleo originale. Nel Nuo1"''.
;.M9Testamento usato da S. Luca, S. Giovanni e dall'autore di Ebrei,
~~:~a nessun altro. Il suo significato proprio emerge chiaramente in
~qH,17, dove Isacco descritto come "unico figlio" di Abramo,
;,~)iifLc 7, 12, dove il Signore risuscita I' "unico figlio" della vedova
~Ai':{'ofain. Solo negli scritti giovannei44 usato per inwcare la parti~:~&lare relazione di Ges con Dio. Nel nostro testo, esso mette in riQlJeyo l'unicit di Ges nella sua figliolanza (cos diversa dal senso
gli uomini possono essere figli di Dio), nella sua intimit con
Ai:,P,adre, e nella sua conseguente conoscenza di Lui.
~;:<Negli scritti cristiani anteriori a S. Ireneo, il suo uso tuttavia po1~@ frequente. Vi si avvicina S. Ignazio, che chiama45 Ges "il suo
~spio figlio {rou ovou utou)", ma le uniche citazioni certe del trmi')l!,sono S. Giustino, Dia/. 105, 46 Martyrium Polycarpi 2047 e Ep. ad
i!J)iognetum 10.48 Per questo motivo la sua improvvisa apparizione
'.'.ift~fcredo richiede una spiegazione. La chiave del problema si trova
tcluasi certamente nel fatto che, alla met circa del II secolo, il termi4ii.~~stava diventando un clich per gli gnostici valentiniani. Ispii!aridosi probabilmente al quarto Vangelo, 49 tendevano a mono-
mfeui
' \ 43
45
:.;_46
140
L'INSERIMENTO CRISTOLOGICO
.~l.la
141
3.
L'inserimento cristologico
'
:'.:'<
= Mt 11, 25 ss.
Cf sopra p 15
"/"56
.
' .
2J.{~ , 1 Cor 12, 3.
{?: 57-'1Cor16, 22. Cf. Didach 10, 6 (Bihlmeyer, 6).
ily ,ss
142
catechetica. S. Ignazio, S. Giustino e S. Ireneo58 garantiscono dell'esistenza proprio di questo tipo di kerygma, insistendo sulla nascita del Signore e le sue sofferenze, ecc., come verit paraliele che
ricomparivano nel credo. Prima di procedere a un comment particolareggiato, dobbiamo considerare brevemente i motivi che possono avere condotto a fondere una cristologia pienamente sviluppata
con la formula triadica gi esistente. Nel capitolo precedente abbiamo criticato le ipotesi recenti secondo cui l'excursus cristologico dovrebbe essere considerato come una forma di esegesi teologica di
FIGLIO
e SIGNORE.
143
L'INSERIMENTO CRISTOLOGICO
lt~
lx'll.'IJthvou T<XTQo~).
144
L'INSERIMENTO CRISTOLOGICO
145
:;r:a~..
;::,;
'~~'~ f. S. -Ippolito, Ref. omn. haer. 7, 35; 10, 23 (Wendtand 3, 222; 282).
'
'67
146
colo e dato che inoltre i credo battesimali erano compendi di insegnamento popolare piuttosto che manifesti della tho/ogie savante.
D'altra parte non c' nulla che possa escludere l'idea di una filiazione preesistente. Al contrario, che Cristo fosse Figlio di Dio e che,
come unigenito, preesistente in quanto Figlio, sembra essere la chiara.
indicazione delle parole che precedono immediatamente la nostra
clausola. Bisogna tuttavia stare in guardia contro il fatto di supporre una cristologia in linea con le concezioni dell'ortodossia successiva.
Abbiamo gi segnalato che i padri del II secolo non pensavano
per nulla a identificare il ruolo dello Spirito Santo nell'incarnazione. Un'opinione che ebbe notevole diffusione, e con cui i teologi di
professione si trovarono costretti ad accordare le loro pi sofisticate speculazioni, affermava che ci che si era incarnato nella Vergine
benedetta, come narrato da S. Matteo e da S. Luca, era lo Spirito
divino. Si trova la chiara affermazione di ci in un passo molto noto di S. Giustino, 68 dove lo Spirito menzionato in Le 1,35 identificato con il Logos. Un insegnamento simile fu avanzato, per quanto
in modo pi esitante, da S. Ireneo; 69 ne furono esponenti anche
Tertulliano70 e S. lppolito. 71 Riappare in S. Callisto, 72 espresso in
una forma ostile alla dottrina del Logos. Il fatto che teologi cos numerosi e di differenti scuole riflettevano questa specie di Cristologia
dello Spirito avvalora l'ipotesi che questa fosse l'opinione pi diffusa: nella Chiesa romana alla fine del II secolo. 73 Se propendiamo
ad assegnare la redazione di Ra questo periodo, dobbiamo di con
seguenza a disporci a trovare, sotto le parole del suo secondo artico~
lo, idee simili a quelle esposte.
Gli altri articoli della sezione cristologica non richiedono elabrate discussioni, ma necessitano di qualche commento. Essi risalgo,.
no praticamente tutti al kerygma primitivo dell'et apostolica, e
trovano paralleli nei pi antichi materiali di credo. Fa eccezione la.
datazione SOTTO PONZIO PILATO. L'espressione, che ricorre in 1Tm~:
6,13, non si trova nei primissimi sommari del kerygma. La stessa for,
mula, tuttavia, o una che le si avvicina, diventa quasi di routine in ;
Apol. I, 33 (E.J.G., 49}.
Per esempio, Epideixis 71; 97 (Robinson, 131 s.; 149). Per un esame del suo in
se~amento, vedi Robinson, op. cit. 31 ss.
0 Per esempio, Adv. Prax. 26 s. (C.C.L. 2, 1196 ss.).
71 Con. Noet. 4; 16 (Nautin, 423; 259-61).
72 In S. Ippolito, Ref. omn. haer. 10, 27 (Wendland 3, 283).
,
73 Come prova, vedi Robinson, loc. cit.; J. Lebreton, Histoiredu dogme de/a Tri-:\
nit, Parigi, i927, I, 334; H_.J. Carpenter, J.T.S. I, 1939, 32 ss.
i~
68
09
L'INSERIMENTO CRISTOLOGICO
147
S..Ignazio74 e S. Giustino, 75 come pure in S. Ireneo76 e in TertulliaA prima vista il fatto che a Ponzio Pilato sia stato riservato
!Un posto nella confessfone di fede della Chiesa lascia piuttosto per'plessi. Sappiamo che l'immaginazione dei cristiani del II secolo si
~;e. occupata in maniera sorprendente della figura di Ponzio Pilato,
~generalmente con lo scopo di fare di lui un testimone dell'innocenza
!~i Cristo, e cos, implicitamente, della non pericolosit della Chie:1ff~t-Alcuni hanno ipotizzato che l'inserimento del suo nome nella re;;gla di fede sia stato ispirato dall'intento di combattere il docetismo.
'i:significativo che in tutti i passi di Ignazio in cui l'espressione sorro
~PONZIO PILATO ricorre, si insista sulla realt delle esperienze di Cri;sfo, quasi a contrastare le negazioni docetiste. Analogamente, il
;primo dei brani di S. Ireneo citati sopra (Adv. haer. 2,32, 4) apertamente rivolto agli eretici che sostengono che Cristo fece i mi;fcoli "in apparenza;'. Ma se si possono citare alcuni passi di indubbio indirizzo antidocetista, nella grande maggioranza di essi
:@possibile individuare indicazioni di quel tipo. Anche quando tale
f:<fSpetto presente in un brano considerato nel suo insieme, rimane
,':sempre dubbio se sorro PONZIO PILATO si possa considerare come
:un apporto sotto questo aspetto.
-:.+D'altra parte, negli scritti del II secolo, cos come ci sono giunti.
:~ifessuna argomentazione antidocetista era direttamente ed esplici~Tumente fondata su queste parole. La vera spiegazione della presen;1za di Ponzio Pilato nel credo si trova altrove, nel fatto cio che la
iforia della salvezza d cui il credo una ricapitolazione, radicata
\plla storia. Ci si richiama a una data per mettere in evidenza che
~{ali eventi non sono accaduti in un qualsiasi tempo o luogo, e che
~'.ti:Nangefo non semplicemente un sistema ideologico. In questo ca~b Rufino riesce a cogliere a verit quando osserva: 78 "Coloro che
?]1lllo trasmesso il credo hanno dimostrato grande saggezza nel sot~~{!}neare la data autentica in cui queste cose avvennero, cos che non
ti,Ultervenisse dubbio o incertezza a turbare la stabilit della tradi~~one". Senza bisogno di esprimersi con molte parole, la Chiesa av~vbrl come per istinto la necessit di un riferimento storico: cos,
~ptentre la formula finale in cui il fatto storico si fiss era sempre
'li.77
74
75
Apol. I, 13; 61; II; 6; Dia!. 30; 76, 85 (E.J.G., 34, 71; 124; 186, 197).
76 Adv. haer. 2, 32, 4; 3, 4, 2; 3, 12, 9; 5, 12, 5 (P.G. 7, 829; 856; 902; 1155).
148
79
1'
LO SPIRITO SANTO
:,\
149
;~siorie
f\SOn le due clausole ASCESE AI CIELI e SIEDE ALLA DESTRA DEL PA;~RE.. Le possiamo osservare ambedue unite fa lPt 3,22: "Che, es-
~:,~endo salito al cielo, alla destra di Dio". Altri passi paralleli che
;,t~Qssono essere citati sono Rm 8,34, Col 3,1, Ef 1,20, Eb 1,3 e 13,
if~Qme pure At 2,31 ss., 5,30 s., 7,55. In ultima analisi, le idee conteif?;P..te in queste clausole si ricollegano al Sal 11O,1: "Il Signore disse
'%~nio Signore: siedi alla mia destra, finch io ponga i tuoi nemici
\,:;r;'. gabello dei tuoi piedi", e Ges stesso, secondo S. Marco, 85 l'a, bbe citato durante il suo insegnamento nel tempio. Sebbene non
. . 'licitamente affermato, l'ascensione e l'essere assiso alla destra del
~~re, come indicano le parole del salffio, significavano molto pi
1~~quanto non sembra apparire in superficie. Il cristiano del I e del
,ecolo che esprimeva la sua. fede in esse, le comprendeva come
Rlicanti che Cristo aveva vinto le presenze ostili opposte a lui e,
__i;mseguenza, alla sua Chiesa. La conseguenza naturale della glo,,.' Vittoria era proclamata nelle parole DONDE VERR A GIUDICAyrv1 ED I MORTI. Anche qui ci troviamo di fronte al kerygma
jolico. La frase aveva gi forma stereotipa quando fu scritta
;5: essa compare nel discorso di S. Pietro a Cesarea come rifen At 10,42, e ancora in 2Tm 4, 1. Cos, in questa sezione consif come un tutto, l'Antico Credo Romano riflette fedelmente
,o di sentire della Chiesa primitiva; il suo esultare per il trionristo sulla morte e le forze del male schierate contro di lui,
'eravigliosa rivincita del Padre nel proprio Figlio, e l'eccitata
azione, ardente e nello stesso tempo ansiosa, della seconda
.del Salvatore sulle nubi del cielo, come egli stesso aveva pre~:"con la potest di giudicare come vicario del Padre.
~!.:
4.
Lo Spirito Santo
150
minori riguardanti la persona dello Spirito Santo. 86 Sia i testi di credo e sia i commenti spontanei di predicatori e commentatori tradiscono gli sforzi fatti per sfuggire a ci che ora si riconosceva comportare implicazioni imbarazzanti. Rufino, per esempio, insisteva 87 nell'affermare che la preposizione IN doveva riferirsi propriamente solo alla prima clausola, LO SPIRITO SANTO. ragionevole,
sosteneva, parlare di "credenti in" quando l'oggetto della fede
una delle persone divine; ma quando si tratta delle creature o dei
misteri della nostra religione sarebbe molto pi appropriato dire che
crediamo "a loro" piuttosto che crediamo "in loro". S. Fausto di
Riez, 88 sostenendo che le parole "credo nello Spirito Santo" implicavano il fatto di credere nella sua divinit, respingeva la possibi~
le obiezione che ragionando in tal modo la Chiesa stessa dovesse;
essere come divina. Crediamo che la Chiesa esiste, distingueva, ma
non crediamo, in senso proprio, nella Chiesa:
Tutto ci che nel credo segue LO SPIRITO SANTO deve essere interpretato:,
senza riferimento alla preposizione IN, in modo tale che il nostro crederei
a riguardo della santa Chiesa, la comunione dei santi, ecc. enunciato co~:
riferimento a Dio. Noi confessiamo cio che tali realt sono state volute da'.
Dio e mediante lui conservano la loro esistenza.
~r'.i_f.
.!!
Del materiale utile su questo punto stato raccolto da J .E.L. Oulton in J. T.;~
'~
87 Comm. in symb. apost. 34; 37 (C. C.L. 20, 169 s.; 171 s.).
:i~
88 De Spir. sanct. I, 2 (C.S.E.L. 21, 103 s.).
.~
89 Cf. le versioni ar., et., sah. (Dix, 37): ancheApost. Const. 7, 41, 7 (Funk I, 446):~
Test. Dom. (Rahmani. 129) d'accordo con H.
:~
9 Cf .. !' Nautin, Je crois_ l'Esprit saint (UNAM ~ANCTAM XVII), Parigi 1947.J~l
stato criticato da B. Botte in Mlanges J. de Ghe/lmck, 1951, 189-200.
:-,~
86
LO SPIRJTO SANTO
151
'ia
le
1:982, 26.
Ad Cor. 46, 6; 58, 2 (Bihlmeyer, 60; 66).
Cf; S. Giustino, Apol. I, 6; 13; S. Atenagora Leg. pro Christ. 10 (E.J .G., 29;
?);
fr; Adv. haer. 4, praef- 4; 4, 20, 1; ecc. (P.G. 7, 975; 1032).
152
avevano in mente un essere divino distinto dal Padre e dal Figlio suo
Ges Cristo, e della cui speciale azione erano consapevoli.
Per quanto sia allettante tentare di definire con maggior precisio"
ne come essi concepivano la Persona dello Spirito Santo, bisogn::
ammettere che non si pu aspettare una risposta soddisfacente e com);
pleta ai nostri interrogativi. Varie correnti di pensiero e di riflessioSi
ne sullo Spirito sono intervenute e si sono fuse nel II secolo. ':
impossibile identificare I' affermarsi del credo con qualcuna di esse;\:
sia perch il vero e proprio gruppo d'origine non pi individuabi"~;
le, e sia perch il credo deve essere stato riadattato e riveduto pef:.,
i loro scopi da molte scuole di pensiero cristiane. In ogni caso, fadC
un problema di questo aspetto dello Spirito, che non era necessaria"~
mente quello che maggiormente interessava i redattori del credo,;!
antistorico, e pu renderci ciechi sul vero significato che questa clai~.'
sola aveva per loro nella loro confessione di fede. Quali che fosserb.i
le concezioni che il credente avesse circa la natura dello Spirito fu,
rapporto alla divinit, siamo certi che, quando si immergeva nell~i
acque battesimali, nella sua mente erano presenti alcune idee fond~~~:
mentali. Era difficile che dimenticasse, in quel momento di giuraH
menti solenni, che era lo Spirito Santo a santificare la fede dell~~
comunit e a illuminarla con la conoscenza della verit. 96 Era an.~~
che lo Spirito, gli avevano insegnato nel corso della sua preparaziq?;
- ~
ne catechistica, che era stato attivo negli antichi profeti e avev~t
predetto attraverso loro, fino al minimo dettaglio, la venuta e l'es,~~
stenza del Salvatore. 99 Ed era ancora pi probabile che nei suoi peni)
sieri fosse presente la convinzione che era lo Spirito a riempire 1i~
Chiesa, a essere garante della sua immortalit e della vita etero~~~
a dare efficacia e potenza ai sacramenti, e poteva essere effus~
su di lui ("rinnovando l'uomo fino a Dio", come si espresso $'.i]
Ireneo), nella grande azione del battesimo al quale si stava sottc\~/
ponendo.
f~
.
I
.:~:r
j~
153
1.:..:.:_
~~~1fitono di Dio, diceva, fu affidato alla Chiesa affinch tutti i suoi mem. ''}>otessero riceverlo ed essere resi vivi; e nessuno se non unito alla Chie:uo avere parte con Lui, ma si priva della vita. Perch dove la Chiesa,
}~"lo Spirito di Dio; e dove lo Spirito di Dio, li c' la Chiesa e tutta
grl!rla.
'"esimili si possono ritrovare abbondantemente nei maggiori scrit. 'del II secolo e dell'inizio del III. Anche il perdono dei peccati
''hiatamente l'effetto del conferimento dello Spirito nel battesi'nfine, la risurrezione della carne era il coronamento escatolo:/dd possesso dello Spirito che il cristiano poteva sperare di
ere nella Chiesa. lo Spirito, aveva dichiarato S. Giovanni, 102
fa rivivere. per mezzo dello Spirito, aveva dichiarato S. Irei:h molte forme diverse, 103 che. -i morti risusciteranno e divenno corpi spirituali, che possiedono la vita eterna. Spiegando
i15,50, concordava104 nel dire che, parlando appropriatamen.,~on la carne avrebbe ereditato il regno, ma piuttosto coloro che
'ano ricevuto lo Spirito; e in un altro contesto, 105 espose la coevemente nella frase: " per virt dello Spirito che i credenti
geranno, quando il corpo sar nuovamente unito all'anima".
iie$so logico per cui questi articoli vengono immediatamente asti con lo Spirito Santo in tal modo pi facile da percepire.
che pi difficile da capire il motivo per cui sono stati citati
,:6tedo. Il problema costituito dal fatto che, mentre queste dot~~,$pideixis 6 (Robinson 75).
tis''$,iTJ1. 9, 1, ~ s: cf. Vis 3, 1-13 (G.C.S. 48, 76; 7-19).
,,. cap. 14 (Bthlmeyer, 77 s.).
g1 :Adv. haer. 3, 24, I (P.G. 7, 966).
<6,63.
Adv. haer. S, 7, 2 (P.G. 7, 1141).
Adv. haer. 5, 9, 4 (P.G. 7, 1146 s.).
"v,fcAe':iEpideixis 42 (Robinson 107).
154
. xt
3J~
1
1;:
Per es., Th. Zahn in Das apostolische Symbolum, Erlangen e Lipsia, 1893,
Adv. Mare. 5, 4 (C.C.L. I, 673).
_,,p.
108
;:;Jj
155
156
abbiam.~
Per cui non siamo un popolo da disprezzare, n una razza barbara... ma'j
Dio ci ha scelti, e si manifestato a coloro che non l'hanno ricercato ... Po'~
ch la nazione che il Dio degli antichi promise ad Abramo, quando cli~~
chiar che lo avrebbe fatto padre di una nazione potente.
li~
.:~;!
llS
119
Es 19, 6.
Dr 7, 6; 26, 19.
Lv 11, 44; 19, 2; 21, 6; Nm 15, 40.
ls 4, 3.
1 Mac 10, 39 e 44; Sap 18, 19.
121 1Pt2, 9.
122 Dia/. 119 (E.J.G. 237).
123 ls 62, 12.
l20
157
&ezia dii cui i cristiani furono sempre consci, e che era per loro parll~olarmente naturale ricordare al momento dell'iniziazione sacra-~~.tale. Ciononostante, non possiamo sottovalutare che la dot;f!pia della Chiesa cominci ad assumere un ruolo molto pi defini;~~:alla met del Il secolo, quando la differenza tra "la grande Chiesa"
~Je sette divenne sempre pi marcata. Possiamo osservare la tensiot:J.e:tra i due contendenti negli scritti di S. Ireneo. Gli eretici, riferi;$~~~~24 disprezzavano "coloro che appartengono alla Chiesa" come
ilcliti grossolane; li bollavano 125 come "ecclesiastici" e giunsero fi ),"1 :a ingiuriare il sacro nome della Chiesa. 126 Per contrapporsi alla
i'fpropaganda egli svilupp l'idea secondo cUi era necessario essere
~ibri della Chiesa per la salvezza. "Egli giudicher tutti coloro
;~~ sono al di fuori della verit, e cio, fuori dalla Chiesa" .127 E an~:~~a sottolineava 128 : ''Tutti coloro che si mantengono lontani dal~~Chiesa ... portano su di s la condanna"; richiamiamo inoltre il
~((insegnamento che solo all'interno della Chiesa si pu ricevere
i1,~1Spirito Santo. Se si ricorda che la comparsa pi antica di SANTA
~fflESA in un credo si trova nella formula contenuta nella Epistula
t;Jt.fPqstolofum, un trattato antignostico, difficile non poter con. ere che la sua presenza nell'Antico Credo Romano, pur non es~(): direttamente polemica (non c' prova valida di questo), sia
:yazione di quella consapevole e intensa insistenza sulla Chiesa
<istituzione, che stava diventando una caratteristica della teo;;ortodossa della seconda met del secolo.
'ito dopo la menzione della Chiesa viene LA REMISSIONE DEI
. r1. L'espressione ricorre, come abbiamo visto, tra le interro. 'battesimali della Tradizione di S. Ippolito. D'altra parte, sem)~ abbia avuto un posto negli elementi di credo di Tertulliano,
:-;. in un noto passo del De Baptismo 129 egli sollev il problema del
.'Ges stesso non aveva battezzato e, per dimostrare la follia
~:simile ipotesi, chiedeva retoricamente per che cosa avrebbe
kato la gente: "Per la remissione dei peccati? per Lui stesso?
' .Spirito Santo? per la Chiesa?". Il credo a cinque clausole
}Epistu/a Apostolorum ne includeva la menzione. Nei credo
I, 6, 2 (P.G. 7, 505) .
3, 15, 2 (P.G. 7, 918).
I, 25, 3 (P.G. 7, 682).
4, 33, 7 (P.G. 7, 1076).
I, 16, 3 (P.G. 7, 633).
,~Ife bapt. 11 (C.C.L. I, 286).
;:. ' ...
.Adv. haer.
.clv. haer.
!fv, haer.
:1J.v. haer.
IJ.r. haer.
~.
158
orientali, come vedremo tra breve, era un regolare comma del terzo
articolo. Talvolta, come nelle Costituzioni Apostoliche, 130 coincideva con la forma occidentale, ma pi spesso era strettamente collegata al battesimo, poich la frase tipica era un SOLO BATTESIMO PER
LA REMISS_IONE DEI PECCATI. 131
Probabilmente ci fornisce una chiave interpretativa dell'orientamento originario della clausola in R. Una delle grandi convinzioni
dei cristiani era che nel battesimo tutti i peccati passati venivano lavati una volta per tutte. Ricordiamo le parole vibranti di S. Pietro:132 "Pentitevi e ognuno di voi si faccia battezzare nel nome di
Ges Cristo per la remissione dei peccati", e il rimprovero indignato di S. Paolo contro gli apostati corinzi: 133 "Ma siete stati lavati,
siete stati santificati e giustificati". Cos ricorda l'autore del II secolo dell'Epistola di Barnaba: 134 "Ci immergiamo nell'acqua pieni
di peccati e di impurit, e sorgiamo portando il frutto dei nostri cuori", ed Erma135 scrive ugualmente: "Ci immergemmo nell'acqua e
ricevemmo la remissione dei nostri errori passati".
Il noto racconto 136 di S. Giustino sul battesimo ne definisce lo
scopo: ' 'che possiamo ottenere la remissione dei nostri peccati precedenti", e assicura 137 l'Ebreo Trifone che l'unico modo di ottenere questa grazia era di riconoscere Ges come Messia e di sottomettersi al bagno profetizzato da Isaia. Queste espressioni riguardano, naturalmente, il peccato commesso prima del battesimo.
Per il peccato commesso dopo il battesimo, i normali rimedi suggeriti erano la preghiera, il pentimento, la confessione e le opere buone. 138 Ma, presumibilmente, questi erano validi solo per peccati
veniali: la possibilit che i cristiani colpevoli di peccati gravi venissero assolti dai sacramenti della Chiesa, inizi a essere presa in con:siderazione unicamente nel II secolo.
Siamo dunque nel_ giusto se concludiamo che, in pratica, all'e130
131
159
LA RE-
-~ISSIONE DEI PECCATI deve avere connotato l'idea del lavacro delle
:Hffese passate e dell'aprirsi di una nuova vita per mezzo del battesi:mo. Non ci sono seri argomenti a favore dell'ipotes1 39 che questa
'lausola fosse un riflesso diretto della controversia sorta a Roma lu'i"ante il regno di papa Callisto circa il potere della Chiesa di assolvere i suoi membri dai peccati pi gravi. A parte ogni altra con:,~iderazione, sembra chiaro che l'espressione abbia trovato la sua
strada nel materiale di credo riconosciuto molto prima che sorgesse
_questa disputa. A conferma della nostra opinione si deve notare che
Jll'Epistula Apostolorum la remissione dei peccati, citata nel som111ai'io di fede a cinque clausole, strettamente collegata al battesi-ili.o;140 e nei credo orientali la remissione dei peccati veniva di solito
~ffermata con molte parole quale conseguenza del battesimo.
Indubbiamente, c'era una particolare congruenza nel fatto che il
Catecumeno confessasse la sua fede.per cancellare le sue trasgressioni passate, fatto he era il pi evidente e pratico effetto del battesimo che stava per ricevere. Contemporaneamente, nella seconda met
_del II secolo, si pu osservare un aumento della rilevanza data al
ftto che il battesimo toglie il peso dei peccati e ci evidente specialmente nell'istruzione catechistica che precede il sacramento. Come
: rilevato da F. Kattenbusch, 141 di questo si parla ben poco, fatto
curioso, negli antichi scrittori, che tuttavia naturalmente lo affermano. Ma anche al tempo di S. Giustino, quando il catecumenato
:~ra ancora relativamente poco organizzato, ci viene detto che i can(lidati all'iniziazione venivano istruiti perch durante il corso di pre. parazione pregassero particolarmente per la remissione dei loro
peccati, e che le loro preghiere erano sostenute dall'intercessione con,giunta della comunit. 142 Quando arriviamo alla Tradizione di S.
Ippolito, la situazione risulta del tutto trasformata. La comparsa della remissione dei peccati ora cos notevole che la frase diventa virtualmente sinonimo del battesimo stesso. 143 Nella preghiera che il
vescovo pronuncia durante l'imposizione delle mani, che segue immediatamente le immersioni, "il perdono dei peccati con il lava139
Cf. F.J. Badcock, The History of the Creeds, 2 ed. 1938, 133.
Cf. cap. 27 Et., 23 Copt. e cap. 42 Et., 33 Copt. {in C. Schmidt, Die Gesprii
che Jesu, 1919).
141 II 706.
142 Apol.
I, 61 {E.J .G., 70).
143 Cf. Ap. Trad. xix, 2 nelle versioni araba e sahidica {Dix, 30).
140
160
Cf. l'importante articolo di Dom B. Capelle in Rech. thol. anc. md. v, 1933,
129 ss. (.)uesta la conclusione alla quale giunge a p. 148.
146 2 Clem 9; Ep. Barn. 5, 6s.; 21, I (Bihlmeyer, 75; 15; 33).
147 Ad Cor. 24-6 (Bihlmeyer, 49 s.).
148 Cf. Taziano, Adv. Graec. 6; Teofilo di Antiochia, Ad Autolyc. I, 7s. (E.J .G.,
272 s.; P.G. 6, 1033).
161
. 1'Qlicarpo nella sua lettera149 rimprover, in un passaggio inciden'tale, coloro che negavano la nsurre:rione o il giudizio. S. Giustino,
un passo importante, dichiara 150 l'e.sistenza di sette di gente
simile:
'i
162
156
157
163
CAPITOLO SESTO
166
,,
Vedi sopra, p. 47
167
,,:.~--:
168
14
169
170
Credo derivati da R
In questa parte daremo uno sguardo ai principali credo battesimali occidentali, dal IV al VI secolo, che possano avere un sufficiente grado di certezza per il nostro scopo. Questo campo stato
dissodato nel secolo scorso da Caspari, Kattenbusch e Hahn, e bench gli studiosi posteriori (principalmente Dom G. Morin) abbiano
dato validi contributi, si sono trovati in disaccordo con le acquisizioni preced.enti solo in punti di dettaglio.
Oltre ali' Antico Credo Romano e al questionario battesimale della Tradizione di S. Ippolito, si possono ricostruire i credo di quattro
Chiese italiane dato che appartengono tutti all'ultima generazione
del IV secolo e alle prime due del V. fuori discussione, naturalmente, che derivano tutti da epoche precedenti, perch i documenti
che li riproducono li trattano come autorevoli e fissi. Il credo di Milano, dell'ultima met del IV secolo, pu essere ricavato da tre
sennoni15 di S. Agostino sulla consegna del credo, e anche dal trattato Explanatio symboli ad initiandos, 16 che consiste probabilmente di annotazioni prese da una catechesi di S. Ambrogio. Bench si
rivolga ai suoi fedeli nordafricani, S. Agostino usa una formula differente dal caratteristico credo africano, e, poich essa in pratica
identica a R e al credo della Explanatio, 11 possiamo ritenere che-si
tratti della formula del battesimo della sua Chiesa. Forse si sent in
diritto di usarla poich i suoi sermoni erano diretti a un pubblico
pi ampio che non la Chiesa di lppona.
MILANO (Agostino)
Credo in deum patrem omnipotentem;
Et in lesum dhristum, filium eius
unicum, dominum nostrum,
qui natus est de Spiritu sancto et Maria
virgine,
MILANO (Ambrogio)
Credo in deum patrem omnipotentem ;
Et in lesum Christwn, filium eius;~;
unicum, dominum nostrum,
171
Gli altri nostri tre credo italiani sono quelli di Aquileia, di Ravenna edi Torino. Rufino 18 l'autorit per quanto riguarda il primo:
lo us, come abbiamo visto, come base del suo commentario sul credo Apostolico. Una cinquantina di anni dopo, durante il pontificato di S. Leone Magno, troviamo gli altri due. Uno di essi contenuto
nei sei sermoni 19 dell'amico del papa, S. Pietro Crisologo, vescovo
di Ravenna tra il 433 e il 450, mentre l'altro si trova in un'omelia20
del suo contemporaneo S. Massimo, vescovo di Torino, famoso predicatore. Non necessario riportare traduzioni di questi o degli altri
credo occidentali che saranno citati. Il loro senso a grandi linee
Jo stesso di quello di R e del credo di Milano, e una traduzione tende a mettere in ombra le differenze linguistiche di dettaglio.
AQUILEIA
Credo in deo patre omnipotcnte invisibili et impassibili;
Et in Christo lcsu, unico filio eius,
domino nostro,
qui natus est de Spiritu sancto ex Maria
virtine,
18
RAVENNA
Credo in dcum patrem omnipotentem ;
Et in Christwn lesum, filium eius unicum, dominum nostrum,
qui natus est de Spiri tu sancto ex Maria
virgine,
172
TORINO
Credo in dcum patrcm omnipotcntcm;
Et in lesum Christum filium cius unicum, dominum nostrum,
qui natus est dc Spiritu sancto ex Maria virgine,
qui sub Pontio Pilato crucifixus est et sepultus,
tcrtia dic resurrcxit mortuis, asccndit in caelum, sedet ad dexteram patris
inde venturus iudicare vivos et mortuos ;
Et in Spiritum sanctum, sanctam ecclesiam, remissionem peccatorum,
carnis resurrectionem~
Dalla provincia balcanica della Mesia Superiore ci giunto un credo molto antico. Si pu ricornporlo dal frammentario Instructionis
libelli V/, 21 e l'autore pu esser identificato con certezza con Niceta che visse press'a poco dal 335 al 414 e fu per lungo tempo vescovo cli Remesiana (la moderna Bela-Palanka, in Iugolsavia, 30 km.
a sud-est di Nis). Missionario zelante e fortunato, fu amico di S. Paolino di Nola, che gli dedic una delle sue poesie. Gennadio di
Marsiglia22 l'autorit in materia per avere composto i sei libelli.
Uno di essi, il quinto, un commento al credo battesimale, di cui
espone in successione le clausole distinte; e mentre per l'esattezza
dell'espressione rimane talvolta qualche dubbio, si ha ben poca difficolt a ricostruire il profilo generale della formula.
REMESIANA
Credo in deum patrem omnipotcntcm, [cadi et terrac creatorem];
Et in filium cius Iesum Christum [dominum nostrum?],
natum ex Spiritu sancta et ex virgine Mda;
21 P.L. 52, 847~76. Sull'intera questione di Niceta e del suo credo, vedi A.E. Burn,
Niceta of Remesiana, Cambridge, 1905. Gli studi pi recenti non hanno mutato le
sue conclusioni.
22
173
ascendit in caelos,
~edet ad dexteram patris,
ir,ide venturus iudicare vivos et mortuos;
Et in Spiritum sanctum, sanctam eclesiam catholicam, communionem sanctorum, remissionem peccatorum, carnis resutrectionem et vitam aetemam.
24
174
Tutte e tre le formule hanno in comune alcune particolarit, principalmente la formulazione ridondante del primo articolo, la triplice
ripetizione di IO CREOO, il contrasto tra DALLO SPIRITO SANTO e DALLA VERGINE MARIA, l'uso di VITA ETERNA, e LA SANTA CHIESA posta alla fine, preceduta dalla preposizione MEDIANTE.
IPPONA
CARTAGINE
RUSPE
Credo in deum patrem omnipotentem, universorum creatorcm, regem saeculorum, immortalem et invisibilem ;
Credo in lesum 0-.ristwn, filium eius unicum, dominum nostrum,
qui natus est de Spiritu sancto ex virgine Maria,
crucifxus est [sub Pontio Pilato] et sepultus,
tertia die resurrexit [a mortuis],
in caelum ascendit,'
et in dextera dei sedit,
inde vcnturus est iudicare vivos et mortuos;
Credo in Spiritum sanctum, re~issionem peccatorum.
carnis resurrectionem et vitam aetemam per sanctam ecclesiam.
Il pi antico credo spagnolo a noi giunto quello citato da Priscilliano, 28 fondatore della setta eretica che porta il suo nome, condannato a morte nel 385. Fu vescovo di Avila. possibile29 che il
in De fid. ad Petrum 63 (xx) (C.C.L. 91A, 751).
Tract. 2 (ed. da G. Schepss in C.S.E.L. xviii, 36s.).
Cf. G. Morin, R. Bn. xxx, 1913, 153ss.
27- Cos
28
29
CREDO DERIVATI DA R
175
passo \:he conteneva il credo fosse realmente opera di un altro priscillianista detto !stanzio, ma attribuirlo a Priscilliano stesso sembra. nell'insieme, pi probabile. Un altro credo spagnolo, probabilmente anteriore di molto all'epoca in cui viene citato, stato
ricavato da vari scritti spagnoli del VI e del VII secolo. 30 Se ne pu
ritrovare un te~zo esemplare, inoltre, nella liturgia mozarabica. 31
PRISCILLIANO
[Credentes] unum deum patrem omnipotentem ;
Et unum dominum Iesum Cbristum
SPAGNA VI SECOLO
Credo in deum patrem omnipotcntcm;
Et in Iesum Christum, filium eiw unicum, deum et dominum nostrum,
qui natus est dc Spiritu sancto et Maria
virgine,
passus sub Pontio Pilato, crucifurus et
sepultus,
descendit ad infcrna,
tcrtia die rcsurrexit vivus a. mortuis,
ascendit in caclos,
sedet ad dexteram dei patris omnipoteritis,
inde venturus iudicare vivos et mortuos;
Credo in sanctum Spiritum, sanctam
ecclesiam catholicam, remissionem
omnium peccatorum, carnis rcsurrcctionem et vitam aeternam.
LITURGIA MOZARABICA
17 6
E NELL'ORIENTE
ARLES
Credo' in deum patrem ou\nipotentem,
creatorem caeli et teri"ae;
Credo et in Iesuin Chrisfum filium eius
unigenitum sempiternum,
qui conceptus est de Spiritu sancto,
32 Per quanto riguarda le omelie, vedi Casparj, Quelle.n II, lS5ss. e l9lss. Per il
trattato, vedi il suo A. und N.Q., 262.ss. Tutte e tre so110. 0pere dubbie.
33 De Spir. sancto, I, 2 (Engelbrecht, 103 s.). Questo genuino.
34 R. Bn. xlvi, 1934, 178-89: per il testo cf. Serm, 9 (C.C.L. 103, 47).
35 Cf. Mabillon, De liturgia Gallicana, Parigi, 1685, 339-42. M.a il testo migliore
e quello pi accessibile del se.rmori quello pubblicato nell'articolo di Dom Morin
in R. Bn. xlvi, 1934; basato su una fotografia del manoscritto vaticano Palat. Lat.
493 (pp. 20v-26v.).
36 Edito da W. Gundlach in Mon. Germ. Hist., Epp. Ill, 435.
177
.\
TOLONE
Credo in dewn patrem omnlpotentcm;
Credo et in Iesum Christum, filium eius unigenitum, dominum nostrum,
qui conceptus dc Spiritu sancto, natus ex Maria virgine,
pas.sw sub Pontio filato, crucifixus et scpultus,
tcrtia die resurrcxit a mortuis,
ascendit in coclos,
sedet ad dextcram patris,
inde vcnturus iudicaturus vivos ac mortuos ...
Le formule ripOrtate sopra comprendono la maggior parte dei credo battesimali occidentali a noi pervenuti tra il IV e il VI secolo.
Il loro legame reciproco e quello con l'Antico Credo Romano salta
subito agli occhi. Mostrano tutti la stessa disposizione fondamentale e la stessa struttura di R, e in particolare lo stesso tipo di insegna.mento, e sono espressi in \lil linguaggio quasi identico. Alcuni, come
i credo di Milano, non si possono praticamente distinguere: differiscono solo per la disposizione dei termini GES CRISTO, l'inclusione di SOFFR, l'omissione di IL QUALE prma di SOFFR, e la sostituzione di DI LA con DA CUI. Altre formule., come quella africana e quella gallicana, possono vantare molte clausole supplementari. Ma le differenze, siano esse poche o molte, non rappresentano
che un ricamo superficiale, e non possono cancellare l'identit di fondo. Formano chiaramente una famiglia o grupp a parte, che compr,ende numerosi sottogruppi regionali con le loro particolarit locali,
ma chiaramente differenziati da tutti gli altri formulari contemporanei. Sorge allora il quesito se si tratti di formule parallele, cresciute indipendentemente l'una dall'altra ma che abbiano acquisito questa
stupefacente mutua somiglianza mediante influenze e interferenze
178
(e
37
38
39
CREDO ORIENTALI
179
;do provinciali da R dimostra che devono essere venuti alla luce quan-
40
~ato in P.G. 20, 1537 e in Opitz Urk. 22. Cf. anche Socrate, Hist. ecci. I, 8 (P.G.
180
BopdTWll 'lnlL'l"'I'
Ka fis 611 ictlpwv 'l71aoO... Xf"OT6v, .,-., rou
11'CWJ/S
ICT'~ws,
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CREDO ORIENTALI
181
'il credo che allora inser sia stato il credo del suo battesimo, e quin-
;ni.om1op.& Els lva BEov, -rraff.pti, -rrcwroKpd. "ropo., mn'J'M1" otlpal'Oi JC'.ll' yqs, l>pa.1'/>v
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T~IX
otlpall01ls'
b ~ Kpil'tu.
KC 11KpoVs. oil ri;S' fJafl~Elas
tGwras
Crediamo in un solo Dio, Padre, onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili;
E in un solo Signore Ges Cristo, l'unigenito Figlio di Dio, che fu generato dal
Padre come vero Dio prirDa di tutti i
tempi, mediante il quale tutte le cose
vennero alla vita, che (fu incarnato e)
divenne uomo, (che fu crocifisso e sepolto e) risuscit (dai morti) il terzo
giorno, e ascese ai cieli, e sedette alla
destra del Padre, e: verr nella gloria a
giudicare i vivi e i moni, il regno del
quale non avr fine;
Cf. Cat. 7-18 (P.G. 33, 605-1060); A.A. Stephenson, Studia Patristica III, 303-13
(Berlino, 1961): qui seguita la sua ricostruzione.
44 Per quanto riguarda la posizione teo\ogica di S. Cirillo, cf. I. Berten, Revue
des sciences phil. et thol. lii, 1968; A.A. Stephenson, St: Cyril of Jerusalem, 1969,
43
voL 1, 34ss.
18: .....
.\a.\;;o- b
i:"
ANrlOCHIA
Credo in uno e solo vero Dio, Padre, onCredo in unum et .Wum verum deum,
nipotente, creatore di tutte le creature '
patrem, onmipoteotem, creatorem
visibili e invisibili;
omnium visibilium et invisibilium
creaturarum;
E nel Signore nostro Ges Cristo, suo Fi
Et in dominum nostrwn Ieswn Cbrilltglio unigenito e primogenito di ogni,
um, filium eiua unigalitum et primocreatura, nato da lui prima di tutti i se,
gcnitum totius creaturae, ex eo natum
coli e non creato, Dio vero da Dio veante omnia saecu1a et non factum,
ro, consustanziale al Padre, mediante
deum verum ex deo vero, bomousion
il quale anche i secoli furono fonnati
patn, per quem et saccula compae tutte le cose furono create, che per
ginata sunt et omnia facta, qui propnoi venne e nacque dalla Vergine Mater nos venit et natus est ex Maria
ria, e fu crocifisso sotto Ponzio Pila
virgine, et crucifunu sub Pontio Pi
to, e fu sepolto, e il terzo giorno
lato, et scpultus, et tertia die reaurrisuscit secondo le Scritture, e ascese
rexit secundum scripturas, et asal cielo, e torner di nuovo a giudicare
ccndit in caelos, et iterum veniet
i vivi e i morti;
iudi<'are vivos et mortuos;
Et reliqua.
Eccetera.
e 349).
~~?
CREDO ORIENTALI
183
l~tj;rione di S. Giovanni Crisostomo, lui stesso battezzato ad Antioricf.(l'ia dove ora predicava, che si riferiscono a ci in modo particola-
:':#e
41
Cosi secondo Leonzio di Bisanzio in Con. Nest. et Eutych. 3, 43 (P.G. 86, 1389).
A.C.O. Tom. I, voi. I, i, 102 (Mansi IV, 1009 riporta un testo meno conforme
a Quello di Cassiano).
48
184
simale.
,~~
viov, TV 'll'pan/JTO.OC:OV
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185
CREDO ORlENTALl
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TV p.ollO)'Etri, TV 7'paYrO,
KTOEWS,
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...
TOll
Crediamo in un solo Dio, Padre, onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili;
E in un solo Signore Ges Cristo, unigenito Figlio di Dio, primogenito dell'intera creazione, che fu generato da Suo
Padre prima dei tempi, non creato, Dio
vero da Dio vero, consustanziale al Padre suo, mediante il quale furono formati i tempi e tutte le cose vennero alla
vita. Che per noi uomni e per la nostra salvezza discese dal cielo e si incarn e divenne uomo, nato dalla Vergine
Maria, e fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, fu sepolto e risuscit il terzo gior~
no secondo le Scritture, ascese al cielo,
siede alla destra di Dio e torner a giudicare i vivi e i morti;
l 0 vet1tpoJ~.
i~r.
;n:.~9 Pubblicato per la prima volta (quello siriaco con una traduzione in inglese) da
~;~~:Mingana in Woodbrooke Studies V (Cambridge, 1932).
m~sl Caspari, Quel/en I, 116 e 118. Cf. anche Hahn 132. Il testo ci giunto solo in
~fa_fia1:9.
({ S2 R.H.E.
.
xxxii, 1936; 836.
186
d.oACYyoup,w
~
T K~
'l'OS njs
XP'll'll.'"'oW,s
Ka.wif - -
1Ca8o.\un}11
cbdcn-GO"w
rljs~l"JS
CREDO ORIENTALI
187
"Utibio che lo scrittore avesse in mente una formula di crei;l;ttere ufficiale, bench ne avesse scelto solo quelle parti
~~v~o rilevanti per i suoi scopi immediati. In particolare
to implicito delle parole: "Come sembra bene alla Chiesa
C,',' che egli si appellava a una formula approvata dall'au~Jesiastica.
,a.questo devono essere posti altri due credo collegati al]Jprimo la formula che Ario e Euzoio sottoposero all'im:ostantino nel 327 con la speranza di essere riammessi
o della Chiesa, e che di fatto assicur la loro riabilitazioARIO E EUZOIO
Crediamo in un solo Dio, Padre, onnipotente;
E nel Signore Ges Cristo, suo Figlio, il
Verbo di Dio che fu generato da Lui
prima di tutti i tempi, attraverso il quale
tutte le cose vennero alla vita, che discese e si incarn e pat e risuscit, ascese al cielo, e di nuovo torner a
giudicare i vivi e i morti;
'
"
'
,,.
'rO IJYMW tntt!"l'Cl,
l(Cll fi'S Oopl<OS
ilow, al t:ls
CM}.,
Toii .D.Aa"'os
:: Gl E~ ~a.a&Mlav o.Jpucv..
. . pla.. .~ Jtcd:qolu 'l'Oi
~ A 'll'fpil.TflW lws 'lttplfrtAW,
:'arriv ad affermare che questa sua fede era basata sulle Sacre
e, in cui il Signore aveva comandato ai suoi discepoli dianinsegnare a tutte le nazioni, battezzandole nel triplice nome.
~t si pu sostenere con difficolt che la sua formula non fosllegata pi che largamente con le formule correnti del battesi;sozomeno riferisce56 l'opinione di alcuni secondo cui si trattava
~un'invenzione artificiosa'' (TC:Xll Lxfu~ CJU"(xc:'Jem), strut~urata con
ezza sul credo di Nicea, con l'esclusione accurata del suo carat.stico insegnamento. Il brano storico della parte centrale, si po-
ee
188
ivt1.
lh&v, .ftaTpa.~
1fctYT'O-
a,
Kai .-ls
-rq, 1Tt1Tpi.
wo
n1toaro.\os;
f.yfi{paac
"';~~(~:.~
potente;
Jit.
E nel suo verbo consustanziale, at 1
il quale Egli cre i tempi, che a
sumazione dei tempi in vista -d
struzione del peccato dimor
carne, che Egli ricevette dalla santa
gine Maria, che fu crocifisso e ,
fu sepolto, e risuscit il terzo
e siede alla destra del Padre, e t
in futuro a giudicare i vivi e
i'iru
vedi Katti
,tt
CREDO ORlENTALI
189
.'rda l'ascensfone al cielo, e fa alcuni cambiamenti di fradisposizione delle parole, viene riportata in un manoscritto
~~l particolari della storia sono molto realistici, e sembra
lsia motivo di dubitare che essa rappresenti un'autentica
,dnfiorata agiograficamente di tratti prodigiosi, di S. Mae;inor nel 390 all'et di 90 anni. Il credo stesso rivela alcu:di,contatto sorprendenti con il credo di S. Alessandro di
',' ja; quali la frase ALLA CONSUMAZIONE DEI TEMPI DIMO'TA'DELLA DISTRUZIONE DEL PECCATO, e la sequenza dei par:OcrFISSO E JYIORTO ... , senza citare in alcun modo Ponzfo
sso somiglia anche al credo di Ario, per esempio nel breve
, colo senza allusione al Padre come creatore del cielo e della
a descrizione di Cristo come Verbo seguita immediatamente
. mento a lui come agente della creazione, e nella clausola
. :GIUDICARE senza alcun riferimento alla gloria. Questi puriti
servono a confermare la deduzione che il credo di S. Ma. . uti autentico credo egiziano, ma anche a dare peso al noedente argomento a favore dell'opinione che Alessandro
:mente un credo e che Ario basava la sua apologia su una
' egiziana.
citati sopra sono un certo numero di esempi di credo locali
... e Chiese orientali. La scelta stata deliberatamente limita., o o a formule locali derivate da essi: i simboli laborti da
)ee ecclesiastiche non sono stati presi per il momento in con'.one. Anche cos, l'elenco non dovrebbe essere considerato
' mpleto. Alcuni, forse la maggior parte, dei credo conciliari
,secolo sono dei credo locali con qualche cambiamentO poco
.te. A parte questi, tuttavia, ci sorto molti altri formulari sui
'i sorvolato nel frattempo, perch non danno un contributo
..,. Olare a questa ricerca e verranno meglio esaminati in un capii~{:~uccessivo. Tra questi si trova il cosiddetto credo59 di Luciano
lifO:re-(morto nel 312), cle sottintende presumibilmente la secon~~(niula del sinodo di Antichia (341), e i due credo60 di S. Epi~~: La presente selezione dovrebbe bastare al nostro scopo. Il
t~fe dovrebbe ora essere in condizione di formarsi un'idea gene~tirca il carattere dei credo orientali. Dovrebbe anche essersi fatr.:.~:'.- ..:..
~iQilesto manoscritto era seguito da E'. Preuscheri nel suo Pa/ladius und Rujinus,
~,Sen, 1897, 127.
~'t:r. S. Atanasio, De syn. 23 (P.G. 26, 72Jss.).
o::Ancoratus, 118 e 119 (Holl I, 146-149).
190
e.
191
"'
192
193
re
'I;;.::'
!~llE VERRA.
,::. 68
t~;
Vedi sotto p. 263. Cf. le sue strane parole: "Ma se qualcosa deve essere aggiunnoi crediamo anche che riguardi la risurrezione della carne e la vita eterna".
194
'Jl'"-"TO
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~p')(O~'Ol' Kpis'a'
69
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195
-'"rmula, o in qualcosa di molto simile, affermava, abbia. "tipo comune dal quale si svilupparono le confessioni
.::i!l
Dfu:a-.
OO!mtera teoria di un archetipo comune alla base delle formule di
d~-;rientali sembra fondarsi su una concezione errata del modo
~ii credo presero forma nel contesto della liturgia battesimale.
~:~uanto attestano i documenti, le domande e le risposte al mo~Nedi il suo articolo sui credo nell'Encyc/opaedia Britannica,
l'col. 2.
196
piml
71 Cf. il Terzo Credo di Antiochia in S. Atan. De syn. 24 (P.G. 26, 724 s.);
sotto, p. 264ss.
72 Cf. la formula di Nik (359} riportata da Teodoreto, Hist. ecci. 2, 21 (PatJ
tier, 145s.}.
197
b,9.
--;::<"
:;~w
~:tJ/,,
<'I~cr. Dia/.
ss (E.J.G.,
197).
198
6.
":I~
199
~~E:tle dimostrare la debolezza di tutte queste ipotesi. Comin<;(d.alla dottrirui. di Harnack-K.attenbusch, sembra estremamente
babile che credo del tipo orientale siano scaturiti direttamente
er sostenere questo, dovremmo ritenere che la gente che adot. abbia deliberatamente smembrato in modo tale da sfidare
si spiegazione razionale. Dovrebbe averlo mutilato, nel traare alcuni credo per esempio, di tutte le affermazioni del terzo
lor a eccezione dello Spirito Santo. Inoltre, avrebbe dovuto sta.che la nascita dallo Spirito Santo e dalla Vergine, l'esplicita
ne della crocifissione, e la sessione alla destra del Padre do.. o essere tutte cancellate. I motivi di un simile procedimento
. difficili da immaginare, tanto pi che le generazioni successive
_entemente se ne pentirono e ritennero che le clausole cancellate
ro degne di essere reinserite. Invece se R fosse giunto in Oriente
e norma di credo pienamente stabilita e fosse stato adottato ad
..... 'tiochia o altrove, il suo prestigio sarebbe stato ovviamente im~i,~llSo agli occhi dei suoi nuovi aderenti. allora del tutto sorpren?t~wte che ritenessero conveniente operare queste decisive alterazioni,
~;~.re pure quelle numerosissime minori che un confronto tra i cre''.~'.a9 dei due tipi permette di scoprire.
~;~:''L'ipotesi opposta, che R fosse derivato da un credo o simbolo"di
(/:~f,9,e di tipo orientale, non si mostra migliore alla luce di tale conmfronto. Per un motivo: la sua grande antichit un valido argomen~>ftia favore della sua originalit e indipendenza, soprattutto perch
~~.impossibile indicare qualche credo orientale che sia sorto in un temcos antico. Inoltre, difficile spiegare, sulla base di questa afc'fermazione, l'assenza di UN SOLO dal primo articolo. Ricordiamo
"he alcuni degli studiosi pi antichi. sostennero che UN SOLO deve
.essere stato tolto perch poteva dare adito alla propaganda sabellia.,:roi. sempre apparso strano che un'affermazione cristiana tanto fondamentale ( certo che essa aveva realmente un posto nel credo) possa
,essere stata scartata a causa di una controversia passeggera, e possiamo indicare forme di credo diverse da R (probabilmente di origine romana), come quelle di S. Giustino, in cui non compare mai UN
;Po
SOLO.
Un'obiezione veramente seria, tuttavia, che la breve formula trinitaria battesimale, da cui abbiamo visto che R stesso deve essere
probabilmente derivato, mancava di UN SOLO, e questa deve avere
preso forma in un'epoca precedente il tempo in cui il sabellianismo
assunse un aspetto minaccioso. Ancor pi difficilmente accettabile
200
76
77
Cf. Gschichte der alten Kirche, Berlino e Lipsia, 1936, Il, 108.
Per es., i credo di S. Giustino, dell'Epideixis, e di Der Balyzeh Papyrus.
201
~l
..au, e dove si trovano tracce del testo paolino potremmo sofare che vi siano state poste come ripensamento di un materiale
t pi antico.
'fallimento di simili tentativi di ricercare un diretto rapporto tra
o orientali e occidentali c:,:i fa tornare con, rinnovata fiducia alla
a ipotesi. Possiamo trovare un'ulteriore conferma di essa nel
. do decisivo del II secolo, quando i principali tipi di credo non
ano. ancora chiaramente distinti l'uno dall'altro. Un testimone
.essionante, per esempio, S. Ireneo. Alcuni dei suoi formula;principalmente il breve credo che si trova nell' Epideixis 3, sono
il.sto profondamente occidentale. D'altra parte, i suoi sommari
~~Jlaregola di fede (Adv. Haer. l, 10, I) sono segnati da tipici trat::iitf::orientali.
~t~:Tertulliano, come abbiamo visto, sembra aver conosciute;> R, o un
~(:fedo molto simile, ma lavor anche con sommari di credo di mo,;dello orientale. Anche i credo di S. Giustino sono illuminanti. Le
~;interrogazioni battesimali suggerite da Apol. I, 61 hanno dei punti
~:fu, comune con R, come l'omissione di UN SOLO e l'accento posto sulla
,i~rodfissione sotto Ponzio Pilato; e il riferimento a Ponzio Pilato coh'ne pure la scelta di &vaf3ai:vw ( = "ascendre") nella sua famosa
,;formula sull'esorcismo78 sembrano riecheggiare R. Nello stesso tem}po, la citazione di Dio come Signore dell'universo, la citazione di
i/Col I, 15 ("primogenito di tutta la creazione"), e l'espressione "ge,,.nerato mediante la Vergine' ' 79 senza allusione allo Spirito Santo, so,;no tutti modelli orientali. Cos, dunque, esistevano insieme in
michevole competizione formular~ di tipi diversi e nessuno di essi
'.::godeva di monopolio assoluto. Questa esattamente la situazione
);che dovremmo aspettarci in quei tempi antichi facendo l'ipotesi che
non c'era un solo blocco originario dal quale derivassero tutti i credo, ma che le loro radici erano incorporate nell'atto del battesimo
e nella regola di fede della catechesi.
78
79
CAPITOLO SETTIMO
IL CREDO DI NICEA
1.
204
IL CREDO DI NWEA
3
4
Vedi sopra, p ..,55. Per quanto Tiguarda il canone, vedi C.C.L. 148, lOs.
Cf. S. Ata,na.Sio; De syn. 16 (P.G. 26, 708~s.). Cf. anche Opitz, Urk. 6.
6 Cf. Teodoreto, Hist. ecci. I, 4, 46ss. (Pannentier, 20ss); Opitz, Urk. 14. C' una
difficolt riguardante il destinatario, poich Alessandro non era vescovo di Bisanzio
a quei tempi: Opitz suggerisce. che fosse Alessandro di Tessalonica.
5
205
ezionale: in primo piano restava sempre l'intento battel;nuovo tipo di credo, invece, la motivazione di provare
ii era la principale: i credo venivano formulati volutamente
scopo. L'opinione comune che in ogni caso questo nuovo
' passo sia stato fatto al concilio di Nicea. Potremmo esserdo che ci sia sostanzialmente esatto. Il credo di Nicea fu
. formula pubblicata da un sinodo ecumenico: di conseguenza
mo a potere reclamare in senso legittimo un'autorit univer:Uoi anateri che scomunicavano, in nome della Chiesa cat. coloro che dissentivano dalle sue definizioni portavano una
. pva nella storia della Chiesa come istituzione. E tuttavia ansto non fu che il logico sviluppo di una prassi che aveva guaterreno nelle due o tre generazioni precedenti. Cos i sei
'.i;: che si erano riuniti ad Antiochia nel 268 per trattare il caso
lo di Samosata, inclusero una "dichiarazione di fede" (da no;l;termine tecnico greco x0Hn'i ~ .. 11"i.arn..i'i) nella lettera collet-
~Qirizzatagli.
fj;~.? Vedi H~n 151; Mansi I, 1033ss. Cf. anche F. Loofs, Pau/us von Samosata, Lip-
206
IL CREDO DI NICEA
8 Per quanto riguarda la data (non 324) cf. H.G. Opitz, Z.N.T. W. xxxiii, 1934,
151.
9 Cf. N. Baynes, Journal of Roman Studies, xviii, 1928, 219.
10 Per i dibattiti inglesi sul concilio, cf. F.L. Cross, Church Quarter/y Review
cxxviii, 1939, 49ss.; H. Chadwick, J.T.S. NS ix, 1958, 292-304.
11 Zur Geschichte des Athanasius VI, in Nachricht. GOtt. 1905, 27lss. e Ibid. 1908
(Zur Geschichte VII), 305ss.
207
13
208
IL CREDO DI NICEA
mento noi confessiamo che Lui stato generato dall'eterno Padre, il Ve(
divino, la vera luce, giustizia, Ges Cristo, Signore e Salvatore di tutto. .'
ch Egli l'immagine esplicita, non della volont o di qualsiasi altra c<)
ma proprio della sostanza del Padre (v11'oOTloi:.w'i). Questo Figlio, il Vef:
divino, essendo nato nella carne da Maria la Madre di Dio e incarnai,
avendo sofferto ed essendo morto, risuscit dai morti e fu assunti:>
cielo e siede alla destra della pi alta Maest, e verr a giudicare i vi'
i mo~ti. Inoltre, come nostro Salvatore, le Sacre Scritture ci insegnan
credere anche in un solo Spirito, in una sola Chiesa cattolica, nella risu ,
zione dei morti e in un giudizio di ricompensa secondo se un uomo ab
agito bene o male nella carne. E mandiamo anatema a coloro che diccf
o pensano o predicano che il Figlio di Dio una creatura o venuto(
vita o stato creato e non realmente generato, o a ci che c'era qu. _
Egli non era. Perch crediamo che Egli fu ed che Egli luce. Inoltre '
diamo anatema a coloro che suppongono che Egli sia immutabile p
propria azione o volont, proprio come coloro che fanno derivare la
nascita da ci che non , e negano che Egli sia immutabile come lo i
dre. Perch proprio come il nostro Salvatore l'immagine del Padre ili
.
te le cose, cos sotto questo aspetto in particolare Egli stato proclarrta~j
immagine del Padre.
';~~
,J~
LA PROMULGAZIONE DI N
209
i~fr;
2.
La promulgazione di N
210
IL CREDO DI NICEA
_.,:p,..
esag~~
LA PROMULGAZIONE DI N
211
'.~~lltro canto, i drammatici capitoli di S. Atanasio indicano che quan[~'i padri redassero il loro formulario, la loro intenzione originale
~ra che esso esprimesse ci che ritenevano fosse la verit secondo
~1flilguaggio delle Scritture. Tuttavia questo si dimostr impossibi~e; Quali che fossero i giri di frase proposti, - che il Figlio era "da
che egli era "la vera Potenza e Immagine del Padre", che egli
~ril "indivisibilmente in Dio", ecc., - gli ariani riuscirono in qual$he- modo ad alterarli cosi che combaciassero con le loro nozioni.
itnfine, dice S. Atanasio, non c'era altro da fare che inserire le clau[tole
precise, per niente ambigue, ma non scritturali DALLASOSTANi~?;::,;~
~~DEL PADRE e DELLA STESSA SOSTANZA DEL PADRE.
~\,-Torneremo in seguito su entrambi questi passi importanti e rive~@jori. Frattanto bisognerebbe osservare che nessuno di essi ci d nienft di pi di un superficiale sguardo sulla sequeia di eventi che culmin
Xhell'adozione del credo, n fa luce sull'identit del testo canonizzaf~'. Per informarci su questi punti dobbiamo rivolgerci alla lettera
~apologetica di Eusebio, bench per la sua lunghezza ne possa essere
!Jiiportato solo un riassunto. Il vescovo inizia col dire ai suoi corri,~~pondenti che descriver esattamente ci che avvenne al concilio nel
~;~aso che abbiano avuto un'impressione .errata da pettegolezzi o diZ-cerie. Egli riproduce poi testualmente uln documento prolisso che,
r"tome dice, aveva letto durante una delie sedute alla presenza delsl'imperatore stesso. Esso. si iniziava on una breve prefazione con
~sui dichiarava che la fede da lui professata, che stava per sottoporre
*tlio",
25 Mi difficile accettare il parere di A.H.M. Jones (Constantine and the Con. version ofEurope, Londra 1948, 158s.) secondo cui Eusebio di Cesarea sia l~estenso-
212
IL CREDO DI NICEA
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...
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LA PROMULGAZIONE DI N
l~-~;(.
213
.."'
Yi:~'.
~!iiluportanti testimoni dell'autenticit del testo sono lo storico So~~E'26 e S. Basili.o. 29 Il crdo fu riprodotto, naturalmente, da molti
~Hautori greci nel secolo seguente il conclio, e vi furono numero~J(versioni latine. 30 Un testo basato su queste fonti autorevoli pub!Ucato qui sotto unitamente alla sua traduzione. La sua esattezza
~provata da ci che avvenne pi di cento anni dopo al concilio di
~hlcedonia (451). Nella seconda seduta, tenuta il 10 ottobre, i vei'vi riuniti fecero s che il credo di Nicea venisse letto davanti a
~''o; Secondo il resoconto molto esauriente conservato negli Atti del
i~ncilio, questo venne fatto da Eunomio, vescovo di Nicomedia. E.
~hwartz ritenne3 1 che la scelta di questo dignitario, metropolita di
~tinia (dove era situata Nicea), fosse dettata dal desiderio che il credo
;itisse recitato nel suo testo autentico, originale. Pur essendo que~ojmptobabile, egli dimostr, come editore degli acta di Calcedo~~:;,che il testo letto deve essere stato differente da quello pubblica~;'qui sotto solo in particolari di poco conto.
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IL CREDO DI NICE
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33 Filostorgio,
215
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36 Cf.
216
IL CREDO DI NICEA
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LA LETIERA DI EUSEBIO
...
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4.
La lettera di Eusebio
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40 Per quanto riguarda il credo di S. Epifanio, vedi il suo Ancoratus, 118 e 119
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218
IL CREDO DI NICEA
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LA LETTERA DI EUSEBIO
219
1f,diI'etta) la:spiegazione teologica aggiunta al credo. Se cos, allo~iF'le mie parole", alle quali si lamentava che fossero state apporite delle aggiunte, non possono essere considerate, come comunen~nte viene fatto, come equivalenti al credo di Cesarea.
~~~sse non possono riferirsi a nessun testo in quanto tale, ma alla
~~ione teologica generale espressa nell'intero passo. L'accento,
~~fai.tre parole, viene posto sull'antica fede ereditata dalla Chiesa,
~egnata dai vescovi che lo avevano preceduto e infine derivata dal
~(gnore stesso, molto pi che sul credo di Cesarea considerato co&e:un documento. questo insegnamento tradizionale che, mediante
~lSua esposizione, i vescovi con tanto 'ispetto ascoltarono e che lo
tt~sso imperatore applaud cos generosamente, ordinando che ve-.
[~se incorporato in una professione formale contenente il termine
(~moousios. Non c' alcun indizio per cui si possa pensare che Eu~pio e Costantino si aspettassero che il documento finale fosse il
~ro e proprio credo di Cesarea con le aggiunte delle formule-chiave
~~Nicea. Quello che Eusebio si aspettava a buon diritto era che esprii~se la dottrina che aveva professato con soddisfazione del conci16:,Ja cui unica novit dl forma era la sfumatura introdotta con l'uso
~/homoousiOs.
'.yUn simile e corrispondente malinteso vizia l'interpretazione cor~ilte data all'altro passo-chiave. Si tratta della frase con cui Euse~Qintroduceva il credo del concilio: "Ma essi, sotto il .pretesto di
~iungere homoousios (irQo<!>xO"EL Tils Tou .oouCJtou TQ0CJ6ipc11s),
~bdussero questo documento''. Alcuni studiosi45 hanno contribuito
roscurare iJ significato delle parole traducendo male TQO<j>fom ("SOt~;~pretestO di") con "con l'intenzione di", rendendo cos facile in~tpretarla come prova a sostegno dell'ipotesi di Hort-Harnack. In
~stanza, se Eusebio avesse avuto in mente i vari testi dei credo, la
f.ase avrebbe avuto per lui un significato molto diverso. Ci che stava
~fermando, secondo questa interpretazione, era che il comitato avea: sfruttato P opportunit che aveva avuto di inserire homoousios
~yentando un formulario del tutto nuovo, diverso da CAES nei det~gli del suo frasario. Questa l'esegesi di Lietzmann46 di questo
~sso, e potrebbe essere esatto che le ultime parole amare di Euse~, "questo documento!", tradiscano il suo disappunto che, invece
~:
','4.S
Per es., B.J. Kidd, Documents Illustrative of the History of th Church, Lonfa, 1932, II, 23.
:,46 Z.N.T. W. xxiv, 1925, 20ls.
220
IL CREDO DI NICEA
LA LETTERA DI EUSEBIO
221
_, "tinta. Una cosa del tutto diversa era compilare un credo pe: erite carico di formule omousiane e tanto lontano dall'apri"nimo spiraglio alla teologia delle tre ipostasi preferita da lui,
{realt riteneva equivalenti hypostasis e ousia. Di conseguenza
ti obbligato, come garantisce ai suoi fedeli di Cesarea, di pason sottile vaglio critico attraverso la massa spinosa di clausole
;anatemi aggiunti, per convincersi che erano tutti suscettibili di
)erpretazione consona a ci che lui e i suoi fedeli avrebbero conato come solida teologia.
:tto questo molto bello, potrebbe obiettare il lettore, ma sicuente l'intero contenuto della lettera (quali che fossero i motivi
til fu conservata da S. Atanasio e dagli altri) che Eusebio espoa il suo credo come base della formula di fede che doveva essere
&tta dal concilio. Certamente il motivo per cui fu accolto con ap\razione da parte dei vescovi e da Costantino stesso era che sem.a loro il credo ideale da adottare. Quale altro pu essere il
, ._ficato delle parole: "Il nostro amato imperatore stesso fu il pria testimoniare che era molto ortodosso e che egli aveva esatta. t le stesse opinioni. Inform gli altri affinch vi aderissero,
r,~:;. -oscrivessero le sue dottrine e avessero le stesse opinioni"? Anf~!fe'se manca una dichiarazione esplicita a questo riguardo, certa~~lte facile leggere tra le righe e seguire il corso degli eventi.
~:;;Potrebbe probabilmente sorgere qui una difficolt.riguardo alla
~s}tuazione precedente il concilio. Grazie, tuttavia, alle informazioni
~t~9vate sul sinodo tenuto ad Antiochia alcuni mesi prima e a cui si
t~~!f~tto riferimento neila parte. iniziale di questo capitolo, non ci
~ necessario ricorrere a una spiegazione improbabile del compor~~ento di Eusebio. Se i documenti delle fonti siriache sono atten[~)bili, sappiamo ora che un bando temporaneo di scomunica47 era
gtt~to lanciato su di lui a qel concilio, bench dovesse poi essergli
titata data l'opportunit di chiarire la sua posizione durante la suc~~siva riunione ecumenica. Il comunicato diceva: "Noi, ministri
~Jiiembri del sinodo, abbiamo deciso di non fare comunione con questi
t(cio Teodoto, Narciso ed Eusebio), giudicando che non sono adat'.;tLalla comunione ... ma abbiamo garantito loro il grande e sacro si'.#.odo di Ancira come luogo di pentimento e per giungere a conoscere
!I~ verit".
Possiamo dunque ora apprezzare il vero significato dell'episodio
'':. 47
222
IL CREDO DI NICEA
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LA LETTERA DI EUSEBIO
223
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IL CREDO DI NICEA
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LA BASE DI N
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Cf. Epp. 81; 244, 9; 263, 3 (P.G. 32, 457; 924; 977).
CAPITOLO OTTAVO
IL SIGNIFICATO E L'USO
DEL CREDO DI NICEA
1.
La teologia ariana
Nel capitolo precedente eravamo cos assorti nel problema lettera;rio del credei di Nicea che abbiamo dovuto lasciare da parte altri importanti problemi in pratica senza sfiorarli. In partieolare, il significato teologico del credo e le motivazioni, dottrinali o altre,
~attese alla caratteristica terminologia in cui espresso, meritano di
essere trattati in modo pi ampio di quanto sia stato allora possibile. Tenteremo dunque in questo capitolo di dare una spiegazione delle
sue clausole pi importanti in modo tale da trarne la linea dogmatica. Questo ci aiuter anche a chiarire alcuni malintesi comuni e molto
diffusi, dedicando un po' di attenzione all'uso fatto della formula
nei decenni che seguirono il concilio ecumenico. Poich lo scopo principale di coloro che formarono il credo fu di arrestare, una volta
per tutte, l'eresia ariana, il nostro esame dovr essere preceduto da
un breve esposto sulle posizioni principali degli eretici. Il lettore che
desidera informazioni dettagliate e autorevoli dovrebbe ricorrere alle
storie complete del dogma o, meglio ancora, ai documenti fondamentali riguardanti la controversia, come i frammenti che ci sono rimasti
degli scritti dello stesso Ario.1 L'abbozzo, che tutto quel che
possiamo dare in questa sede, si limiter ad evidenziare i punti che
:hanno un peso sul credo.
L'insorgere della controversia ariana deve essere situato proba:bilmente intorno al 318, 2 allorch Ario come prete dirigeva la chie.sa di Baucali. Le linee generali del suo sistema, che un modello
1 La collezione pi completa di questi, come pure dei frammenti di Asterio il sofi.sta, si pu ritrovare in Recherches sur saint Lucien d'Antioche di G. Bardy, Parigi,
J936, 266ss. Per i documenti in generale, vedi Opitz, Urkunden.
2 Questa data tradizionale, invece dell'autunno del 323 come proposto da E.
:Schwartz (Nachricht. Gott. 1905, 297), stata ritenuta ancora come la pi provata
(cf. H.G. Opitz, Z.N. T. W. xxxiii, 1934, 13lss.; N.H. Baynes, J. T.S. xixi, 1948, 165-8).
230
LA TEOLOGIA ARIANA
.231
~he. E come tutte le altre creature era stato creato dal nulla (~
l~t'x ~117uw). 6L'idea che partecipasse dell'essenza di Dio, insinuata
~ifbescamente da Ario, aveva il sapore della concezfone manichea
:d~f Salvatore come porzione consustanziale della divina luce.
i''
'yenne a vivere prima dei tempi e delle epoche', disse Ario nella sua
~l~itera a Eusebio di Nicomedia: 7 naturalmente, perch era il crea,f?te dei "tempi e delle et'' proprio come lo era di tutto il resto dellJ~ordine contingente, e cos era "generato al di fuori del tempo"
t(~xQovw'> "Y1:1111'1}6Ei.'>)". Ma, continuava Ario, "prima che fosse creato
~;ienerato o definito o stabilito, non era". Essendo stato creato da
~fjj6, era necessariamente posteriore a Dio. Donde il comune e ripetu;~iim.ente usato slogan ariano: "C'era un tempo in cui non era (tiv
,~i"E 871: o~x 'tiv)". Donde, anche le loro esasperate proteste contro l'af'f~rmazione contraria ortodossa: "Dio dall'eternit, il Figlio dall'e'iernit; il Padre e il Figlio insieme sempre (x 61:0'>, x uto., &.a.
:*ixri}Q, &,...a uto.,)", 8 e il loro rifiuto dell'idea che il Figlio potesse
:~oesistere eternamente col Padre.
. In terzo luogo, da tutto ci derivava il fatto che il Figlio non poteva avere una diretta conoscenza del Padre. Essendo egli stesso fi)hito, non poteva comprendere l'infinit di Dio: e dunque non aveva
'ijna piena comprensione del suo proprio essere. "Il Padre", notava
'~io in un passo citato9 da S. Atanasio, ''rimane ineffabile per il
if'iglio, e il Verbo non pu n vedere n conoscere suo Padre perfetfarnente o completamente ... ma ci che conosce e vede, lo conosce
e vede nello stesso modo e nella stessa misura come noi conosdamo
'con le nostre facolt". Su questo punto si insisteva in molte occasioni.10
In quarto luogo il Figlio era moralmente labile e passibile di pec-
6 P. Nautin (Ana/ecta Boli. 67, 1949, 131ss.) dichiar che Ario non aveva insegnato che il Figlio era "dal nulla". Per una critica della sua posizione vedi M. Simoiletti, Studi sull'Arianesimo (Roma, 1965), cap. 2.
; In S. Epifanio, Pan. haer. 69, 6 (Holl III, 157); Opitz, Urk. I.
Cf. la lettera a Eusebio appena citata.
9 Ep. ad episc. Aeg. et Lib. 12 (P.G. 25, 565) .
.io Cf. S. Atan., Or. con. Ar. l, 6; Desyn. 15; S. Alessandro in Socrate, Hist. ecci.
I, 6 (P.G. 26, 24; 708; 67, 48).
.
232
2.
13
HoA
III, 157): ~ uts ox ~aTLll ."fEvVTJTOS o1 ILQOS ."fnll~Tou xcrT' o.110! TQOTOV. V(').
di Opitz, Urk. I.
14 In S. Atan., Or. con. Ar. l, 9 (P.G. 26, 29).
15 Cf. wan TQtis ttatv 'ltOIJTxarn nella lettera di Ario a
De syn. 16: P.G. 26, 709; Opitz, Urk. 6).
233
1876, Pt. I
17
. De decret. Nzc. syn. 19; Ep. ad Afr. 5 (P.G. 25, 448s.; 26, 1037).
18 I Cor 8, 6; 2 Cor 5, 18.
234
ti(
235
~t!t;:_,
lp'Ji~csolo
26
27 Cf. hocrTijcrav= t&L'f liE)..~ot7L nella lettera di Ario a S. Alessandro (P.G. 26,
'
709: Opitz, Urk. 6).
28 S. Atan., Or. con. Ar. 3, 62ss. (P.G. 26, 453ss.).
236
era mai stato senza suo Figlio. Il Figlio e il Padre devono allora e~i
sere coesistiti fin dall'eternit, con il Padre che eternamente gener~~i
,:~i:
. 1.io.
va il F ig
.,','.ti:%
Ma fu nella quarta caratteristica frase del credo, l'espressione
LA STESSA SOSTANZA DEL PADRE (b11oou<HOV Tif 'lrOlTQL), che ven.P.~)
concentrato tutto il peso della risposta ortodossa all'arianesimo. L!!~
storia e l'uso precedente della parola saranno studiati nella parte s~i
guente, come pure i motivi per cui essa fu scelta per essere inseri{~
nel credo. Qui baster mettere in rilievo che essa si oppose compi~
tamente alla posizione ariana, con l'affermare la piena divinit d~i\
Figlio. Il Figlio, implicito, condivide il suo essere o essenza cqij':
il Padre. Egli era dunque pienamente divino per natura: qualunq1,1~;
cosa appartenesse o .caratterizzasse la divinit, apparteneva e car~~i
terizzava anche Lui. Il termine stesso, come pure l'idea che conten,~i
va, era stato esplicitamente rifiutato dai capi ariani, e aveva solleva(~
obiezioni in ambienti estranei all'eresia. C'erano quattro punti pri~f,
cipali a causare tale ostilit, e ognuno aveva differente grado diiiif
fluenza sulle diverse persone. Per prima cosa, molti pensavano c6~
il termine comportasse una concezione materialistica della divinitl):'i;;
in cui il Padre e il Figlio erano considerati come parti o porzioni s.~~
parabili di una sostanza concreta. In secondo luogo, se il Padre;~
il Figlio venivano considerati come di un'unica sostanza, sembrav~~
a molti che il sabellianismo con tutti i suoi perioli dovesse affa,~'.
ciarsi a far capolino dietro l'angolo~ In terzo luogo, i semiariani mif
sero in chiaro al concilio di Ancira (358) che la parola era gi stat;f
condannata da vescovi legittimi e ortodossi al sinodo di Antiochj~
(268) che aveva trattato di Paolo di Samosata. In quarto luogo (~
questo pensiero venne in mente a molti c;he erano assai lontani daJ
vero arianesimo), la parola CONSUSTANZIALE, cos come la fras~
DALLA SOSTANZA DEL PADRE, non si poteva trovare nella Sacra Scrit.,
tura, e perci veniva violata la tradizione secondo cui le formule vin_~
colanti contenute nel credo della Chiesa dovessero essere espress
in linguaggio ispirato. Gli ortodossi avevano delle risposte a tuUj
questi cavilli. Essi avrebbero preferito un termine pi scritturisti~
co, ma avevano scoperto che ogni titolo o immagine scritturale
che vetiiva accordata era immediatamente rigirata dalla mnoran~
za ariana e piegata ai propri scopi. S. Atanasio successivamente
avrebbe dichiarato 29 che, se la parola non compariva nella Sacra
nmt:
29
237
31
238
37
239
.5tasi nei riguardi della Trinit era "persona": il suo ruolo era di sottolineare l'individualit di ognuno dei-tre modi o forme in cui esisteva
ljessenza divina. Ousia era riservato alla divina essenza o sostanza
stessa, al vero e proprio essere della divinit. Precedentemente l'etinologia di ipostasi (j>rnTtvm = "giacere sotto") l'aveva resa suscettibile di avere il significato di "substratum", e cos si era
,avvicinata a ousia. Origene aveva tentato di fare una distinzione tra
idue termini sulla linea che fu adottata in seguito, ma senza successo:
Nella controversia tra S. Dionigi di Roma e S. Dionigi di Ales:sandria, una delle principali cause di incomprensione era stata l'in:certezza sul senso preciso in cui venivano usati i termini. Il papa
sospettava il suo omonimo di Alessandria di virtuale triteismo allorch parl di "tre ipostasi", mentre la sua preferenza per "una
sola ousia'' deve essere sembrata al vescovo indulgere al sabellianismo. Al tempo del concilio di Nicea, l'Occidente, l'Egitto e il parti:to ortodosso erano inclini a identificare i termini, descrivend,o Dio
come una ousia o una ipostasi, indifferentemente. 38 S. Atanasio
:conserv questa usanza fino al termine della vita, e nelle sue Ep. ad
Afros episcopos, scritte probabilmente nel 369, osserv39 che l'"ipostasl ousia e non significa altro che essere". Ma per l'Oriente, in
quel periodo di tempo, generalmente il significato corrente per ipo:s.tasi era quello di "individuo esistente" o "persona". Abbiamo vi:sto che Eusebio stesso, nella professione di fede che sottopose al
.concilio, evit prudentemente la formula TQi.s "''lrocrT&cr~ts (tre ipostasi), che era per quella che usava normalmente e che esprimeva
.la sua teologia. Considerare i due termini come se avessero il medesimo significato ra dunque un altro segno della vitt<Jria del gruppo
"occidentale", e l'inclusione della frase deve avere imbarazzato ancora pi uomini come Eusebio.
Non c' bisogno di soffermarsi molto sugli anatemi di chiusura.
:La messa al bando della descrizione del Figlio come "creato (xncr1'ov)", bench riportata da molti editori, probabilmente inautentica, poich manca (inter alia) nella versione del credo che fu letta
durante la seconda sessione di Calcedonia. Ma se pur fosse autentica, stigmatizza solo un'altra delle formule di Ario. In ogni caso abbiamo chiarit<' sufficientemente questo punto con ci che abbiamo
gi detto. Cos pure, l'esclusione dell'espressione "moralmente mu38
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le attente spiegazioni fornite dalsospetti non scomparvero completamente, e l'interpretazione43 da lui personalmente adottata, che implicava come il Figlio fosse "dal Padre" e "simile al Padre sotto
tutti gli aspetti", era ben lontana da ci che abbiamo ritenuto fosse
:!'insegnamento di Nicea. S. Atanasio stesso per molti anni mostr
una considerevole riluttanza a usarlo, preferendo "uguale nella so;stanza" (8oLO'> xa:r' ooi.a.v)" e lo accett totalmente con convin:ijone e di cuore dopo il suo lungo esilio in Occidente. Siamo dunque
\giustificati se dedichiamo una parte speciale a una ricerca (piuttosto
fsperficiale, c' da temerlo) su quanto sottintendeva e sui motivi per
>i' quali fu scelto dai compilatori del credo ecumenico.
r Homoousios , naturalmente, un aggettivo connesso a ousia, o
/'sostanza", come suo elemento principale. Ben poche parole in greco
;~rano suscettibili di tante e cos confuse variazioni di significato come ousia. Il suo significato fondamentale si pu definire immediaitamente come "essere", "essenza", "realt", ma questi sinonimi
't$i limitano a mettere in evidenza la causa dell'ambiguit. II significato preciso dato a ousia variava secondo il contesto filosofico in
iiw allignava e secondo la coerenza filosofica dell'autore. Facciamo
Mesempio soltanto di tre dei possibili significati che occorreva distin!~ere. Talvolta il tennine era generico: stava per l'universale, la classe
:ffilla quale apparteneva un certo numero di individui. Questo era ci
;che Aristotele aveva chiamato t=uTQa ooi.a., o "sostanza seconda".
'!\falvolta, tuttavia, il significato principale era ''singolo''. Un'ousia
~~ra un'entit particolare considerata come il soggetto di qualit: ci
;~he Aristotele intendeva nel dire 1fQ~'T11 oai.a.,' o "sostanza prima".
~Cos S. Atenagora stabil44 che Talete aveva definito i demoni co~me ''ousiai psichiche''. Ma, in terzo luogo, a gente incline a un tipo
l;fnpensiero stoico (e l'impatto dello stoicismo sulla mentalit del mon~4o antico fu potente) ousia potrebbe suggerire solo materia, sostan;~a. n pi n meno. Tutti questi svariati significati, con sfumature
%pi sottili che non sto qui a enumerare, ricompaiono nell'uso teologico della parola. Di grande importanza, per esempio, per tutto il
~\periodo patristico era il suo uso con il significato di sstanza indivi'4uale, la 'lfQWTYJ ocrta. di Aristotele. Per quanto raramente, se non
1;~ddirittura mai, rigorosamente identica a esso, ousia era considera1
43
44
Vedi la sua lettera in P.G. 20, 1535ss. e H.G. Opitz, Urk. 22.
Leg. pro Christ. 23, 2 (P.G. 6, 941).
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ni Sessanta del III secolo. 57 Il vescovo Dionigi di Alessandria, come si ricorder, era stato messo in grande preoccupazione da
un'esplosione di sabellianismo nella Pentapoli libica. Quando adoE
t energiche misure per sradicarlo, i capi del gruppo dissidente rivolsero una lamentela formale al pontefice romano, aggiungendo
tra le altre cose che il vescovo di Alessandria aveva trascurato di db
re che il Figlio era homoousios con Dio. 58 Sembra che Dionigi sia
stato un importante collaboratore della teologia di Origene. Non c'
da dubitare che i sabelliani stessero per quell'antico e, perlomeno
nei circoli popolari, ampiamente affermato tipo di monarchianismo
che considerava Ges Cristo come la manifestazione terrestre del
l'Essere divino.
Per loro l'approccio di Origene, con la sua distinzione tra le tre
ipostasi e la sua tendenza a subordinare il Figlio, era anatema. Quando si appellavano a homoousios come a loro parola d'ordine, vole~
vano significare che l'essere o sostanza del Figlio era identica a quella
del Padre. Il modo con cui ricorreva I' homoousios nelle loro lagnanz~
inviate al papa dunque altamente significativo. Indica, per prima
cosa, che stava gi diventando in alcuni gruppi un termine tecnico.
per descrivere il rapporto del Padre con il Figlio, e, in secondo luogo, che si aspettavano che sarebbe stato riconosciuto e approvat<J
a Roma. ugualmente significativo il fatto che S. Dionigi si aste"
nesse dal fare pressioni sul suo omonimo circa la necessit di usare
lo. La sua risposta formale5 9 condannava le opinioni riportategli,
particolare la suddivisione dell'Essere divino in "tre potenze e ipo":
stasi indipendenti e in tre divinit", e ne dedusse una linea chiara"
mente monarchiana.
S. Dionigi di Alessandria si difese in modo molto abile. Pur mam
tenendo tutti i punti essenziali della posizione di Origene, spieg df
non avere usato homoousios perch non era un termine biblico, rn~
che egli intendeva esprimere la dottrina che racchiudeva. Per pro"
varlo dichiar di aver dato come dimostrazione del rapporto tra
il Padre e il Figlio immagini quali il rapporto del genitore col figlio.,
del seme con la pianta, e dell'onda con la schiuma che ne deriva;
essendo tutti questi esempi di entit che erano "della stessa natura
in
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(.o')'E.v~)''. Naturalmente, si trattava qui di un'esegesi di homoousios del tutto differente da quel che volevano i sabelliani, e anche
da quanto poteva avere avuto in mente il papa. Si riprende ancora
una volta il significato generico del termine preferito da Origene e
dagli gnostici valentiniani prima di lui. . possibile che abbia dato
prova di essere un dialettico troppo sottile ed esperto per il suo fratello romano, e che la sua dichiarazione di voler accettare la formula contava pi della sua attenta e dichiarata esposizione di dottrina
trinitaria.
L'occasione prossima in cui il termine affior sembra sia stato il
sinodo di Antiochia del 268 che condann Paolo di Samosata. Per
quanto non vi sia nei documenti rimasti nessuna relazione riguardante il concilio, e per quanto l'intero episodio sia stato completamente dimenticato finch i semiariani non lo trassero fuori dall'oscurit al concilio di Ancira (358), sembra certo che l'uso di
Paolo del termine homoousios riferito al rapporto del Padre con il.Figlio sia stato condannato dai suoi giudici. Il problema che ci sta
di fronte che cosa abbia voluto intendere con tale termine. 60 Alcuni studiosi moderni, 61 basandosi sul resoconto di S. Atanasio62 in
proposito, pensarono che ci che era stato messo in tal modo al bando
dai vescovi fosse una interpretazione possibile di homoousios citata
da Paolo in una reductio ad absurdum, modo di argomentare da
lui usato. Secondo questa interpretazione, Paolo aveva affermato
che, a meno che Cristo "da uomo non sia divenuto Dio", Egli deve
essere stato homoousios con il Padre, e questo implicherebbe l'ipotesi di una preced~hte terza ousia condivisa da entrambi e esistente
prima di essi.
Ma S. Atanasio non in realt il testimone pi imparziale in materia. Esule a quell'epoca, non era al corrente della situazione del
partito semiariano, e la sua risposta era basata su termini molto generici e confermava quanto poco si sentisse a suo agio. Una spiegazione pi attendibile data da S. Ilario, che certamente aveva una
.conoscenza di prima mano delle obiezioni semiariane e si occupava
,,
60 Per quanto riguarda questo difficile problema cf. G. Bardy, Paul de Samosate,
2 ed., Lovanio, 1929, 333ss.; H. de Riedrnatten, Les Actesduprocs de Pau/ de Samosate, Friburgo in Svizzera, 1952, cap. vi.
61 G.L. Prestige, God in Patristic Thought, Londra, 2 ed. 1952, cap. X (un capitolo molto valido).
62 De syn. 45 (P.G. 26, 772).
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lunque leale sostenitore dell'origenismo, come Dionigi di Alessandria e i vescovi che pronunciarono la sentenza contro Paolo, tendeva
a considerarlo; cos interpretato, con intenso sospetto. Se dobbiamo fidarci della sua lettera, Eusebio di Cesarea poteva essere inqotto ad accettare ci solo nel senso che il suo significato fosse che "il
Figlio di Dio non somiglia alle creature, ma in tutto simile a suo
Padre che lo gener, e non derivato da alcun'altra sussistenza o
essenza, se non dal Padre". Per coloro che avevano mentalit ariana, tuttavia, si trattava di una prospettiva negativa. Lo stesso Ario,
nella sua professione di fede65 sottoposta a S. Alessandro, derideva colui che ironicamente considerava le sue implicazioni come manichee. Nel suo Thalia6 6 aveva chiaramente dichiarato che il Figlio
era ''non uguale al Padre e per questo motivo non homoousios con
il Padre". Eusebio di Nicomedia, che nella sua lettera67 a Paolino
di Tiro aveva respinto l'espressione "derivato dall'essenza del Padre'', disprezz lo stesso termine homoousios nel memorandum, ormai perduto, che (se lecito collegare un accenno68 di S. Eustazio
di Antiochia a un episodio raccontato da S. Ambrogio) 69 era stato
. letto ad alta voce e fatto a pezzi durante il concilio. Le sue parole
vere e propri~ sembra siano state: "Se lo designiamo come vero Figlio di Dio e non creato, cominciamo a dire cos che egli homoousios con il Padre".
Bisogna affrontare ora il problema di come fu inserito nel credo.
L'opinione pi diffusa in passato70 ne attribuiva la responsabilit
esclusivamente a Costantino. L'ipotesi poteva appellarsi alla testimonianza di Eusebio, che nella sua lettera descrive come l'imperatore avesse preso l'iniziativa di proporre il termine, e ci ben si
accordava con le interpretazioni correnti della sua politica ecclesiastica. Ci che soprattutto riscuoteva la sua approvazione nei riguardi di homoousios si diceva fosse l'estrema ambiguit del termine.
Essendo preoccupato prima di tutto dell'uni~, accolse con favore
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:risi ariana. La tradizione pi antica, che vide la mano di Ossio dietro il patrocinio dell'imperatore per homoousios, ha ancora molto
da dire in genere a questo riguardo, e non per nulla fo. contrasto
con un pieno riconoscimento dell'importanza dell'intervento personale di Costantino. Possiamo ricordare che S. Atanasio, bench il
suo linguaggio non sia tanto esplicito quanto potremmo desiderare,
sembra avere scelto Ossio come responsabile del credo. Esiste un notissimo passo71 in cui, spiegando perch Ossio (ormai vecchio) dovesse essere ingannato dagli ariani, esclam: "Quando mai si tenuto
un concilio in cui egli non prendesse la direzione e vincesse tutto con
l'efficacia delle sue parole!". In un altro passo72 fu forse ancor pi
preciso: "Fu lui (Ossio) a propugnare la fede accettata a Nicea (oiho'>
'T)v h N txcxi.t iri.anv t~t6ETo)". L'autore antiariano Febadio sembra aver dato la sua adesione a questa opinione in una frase 73 del
suo Liber c. Arianos (scritto intorno al 356 o 357). C'erano tutti i
motivi per cui Ossio dovesse considerare l'accettazione di homoousios come la miglior soluzione possibile di questi momenti turbolenti. Anche se il termine non era, come stato spesso affermato,
un'espressione accettata della terminologia teologica occidentale, era
adattissimo a descrivere il particolare carattere di teologia trinitaria, col suo rilevante accento sulla monarchia divina, che era stata
per molto tempo di moda in Occidente.
Un altro valido anello della catena della documentazione dato
dall'episodio narrato dallo storico Filostorgio74 riguardante l'accordo raggiunto tra Ossio e S. Alessandro a Nicomedia, prima del concilio, circa il verp uso del termine homoousios. Il rifiuto di Ario,
manifestato con tanta forza nella sua lettera a S. Alessandro, pot:rebbe essere interpretato come un segno di consapevolezza che l'opinione del vescovo stava cambiando direzione. Il corso degli eventi
cos descritto suggerirebbe che c'era uno scenario pi ampio e pi
complesso per la formulazione del credo di quanto vogliano ammettere coloro che lo considerano unicamente come un simbolo di unit dell'imperatore. F. Loofs75 ha fortemente criticato il rapporto di
Filostorgio facendo notare che S. Alessandro, a giudicare dalla sua
De fug. 5 (P.G. 25, 649).
Hist. Ar. 42 (P.G. 25, 744).
73 Con. Ar. 23 (P.L. 20, 30).
74 Hist. ecci., I, 7 (Bidez, Bs.).
75 Festgabe fiir K. Miiller, Tubinga, 1922, 78s.
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cepibile o parafrasi biblica poteva essere ingegnosamente distorta dagli ariani ed essere portata come prova che avallasse le loro speculazioni. S. Ambrogio racconta un episodio, 82 gi citato, secondo il quale Eusebio di Nicomedia fu lui stesso responsabile di avere
aperto il dibattito sulla parola homoousios. ProsegUe dicendo che
"quando la sua lettera fu letta ad alta voce, i padri avevano inserito
questa parola nella loro definizione di fede, perch avevano constatato che essa atterriva i cuori dei loro avversari. Pensarono che fosse un'ottima idea tagliare la testa della cattiva eresia proprio con la
spada che essi stessi avevano sguainata". Loofs pens 83 che si trat~asse di un "appiglio debole" per poterci agganciare un cos importante evento, ma non c' niente che sia intrinsecamente improbabile
nella relazione, anche nel caso che S. Ambrogio abbia dato un rendiconto piuttosto generico su ci che avvenne. Ossio e i suoi alleati
possono benissimo aver ritenuto che gli avversari li stessero giocando
e che era stato dato loro un pretesto, proprio al momento opportuno, per diffondere la parola, concordata in precedenza, nell'assemblea. Dopo le bestemmie di Eusebio di Nicomedia, l'atmosfera era
diventata pi favorevole di quanto avessero osato sperare. Anche
l'imperatore si era convinto e diventava cos il loro portavoce.
In tal modo i vari partiti presenti al concilio ecumenico intesero
il suo credo in molti modi diversi. Per lo stesso Costantino il senso
teologico non era il pi importante: egli aveva interesse a ristabilire
l'unit nella Chiesa, e in un modo o nell'altro s era persuaso, o era
stato persuaso, che questa formula aveva delle probabilit di promuoverla. Era pi, interessato che padri conciliari fossero indotti
a sottoscriverla che non di come l'avrebbero interpretata. La maggior parte dei vescovi, di mentalit conservatrice, deve essere stata
presa alla sprovvista nel leggere il credo che erano in attesa di approvare. Pur essendo ab"Qastanza desiderosi di porre al bando il vero arianesimo, non avevano alcun desiderio che fosse loro imposto
un termine non scrfr.turistico, allusivo di una teologia che sembrava
cozzare alle radici con la dottrina delle tre ipostasi divine che prevaleva in tutta la Chiesa orientale. Devono aver provato sollievo nel
sentire I.a spiegazione data da Costantino, che ne sminuiva l'importanza e nel notare che egli voleva pi che altro le loro firme. Anche
gli ariani, incluso Eusebio di Nicomedia, quando vennero a cono82
8-3
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Dopo Nicea
Questo il simbolo proposto e ratificato al primo concilio ecumenico. naturale dunque che si sia spesso ritenuto, sia in gruppi colti
come in quelli popolari, che una formula promulgata sotto tali auspici debba essere stata circondata da straordinario clamore e debba avere avuto subito ampia diffusione ed esclusiva autorevolezza.
Che la controversia teologica non fosse in alcun modo terminata,
e che lunghi decenni di aspro dibattito dovessero ancora venire,
un fatto naturalmente ben noto. I crudi fatti storici lo fanno risaltare. Ma l'atteggiamento comune di fronte a queste lotte complicate
e lunghe prende significato dalla presunta iniziale importanza del 9redo di Nicea. Si spesso ritenuto come fatto scontato che la nuova
formula debba essere st;:tta subito il punto di forza ardentemente difeso dagli "ortodossi" e il bersaglio di assalti ugualmente violenti
da parte dei loro oppositori "arianeggianti". Ed proprio a questo
punto che lo studioso si trova di fronte ci che a prima vista pu
sembrare un enigma. Per quasi un'intera generazione dopo il concilio si sente parlare molto poco del credo che ne porta il nome sia
da parte degli "ortodossi" che degli "arianeggianti". Cos, lungi dall'occupare una posizione di avanguardia nella controversia, il simbolo e la sua caratteristica parola-chiave vengono ricordati raramente
e in pratica mai citati nella letteratura dell'epoca. Solo negli anni
Cinquanta del IV secolo essi cominciarono a emergere dall'oscurit
e a svolgere un ruolo preminente come segno di unione del partito
di Atanasio.
Una spiegazione proposta talvolta circa queste curiose circostanze il carattere particolare del credo. Il simbolo di Nicea, come viene correttamente fatto rilevare, fu per i vescovi la prima e quasi la
principale definizione della fede ortodossa. Esso venne proposto per
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risolvere una particolare crisi all'interno della Chiesa. Nessuno riteneva che, almeno inizialmente, fosse destinato a sostituire le esistenti
confessioni battesimali. Irto di clausole antiariane e armato in coda
di anatemi polemici, era difficilmente adatto a costituire la formula
solenne con cui il catecumeno avrebbe dovuto professare la sua adesione alla rivelazione cristiana. Cos in Occidente, come abbiamo visto nel capitolo precedente, gli antichi credo battesimali basati su
R continuarono a fiorire senza rivali. Non comparve nel loro frasario nessuna traccia di influenza di Nicea. Non c' stato nessun credo nel IV secolo, per quanto ne sappiamo, che sia stato modificato
al punto da ammettere homoousios o il suo equivalente latino. Anche in Oriente le professioni di fede recitate durante il battesimo
continuarono a essere quelle antiche tramandate nelle Chiese locali.
Il credo di S. Cirillo di Gerusalemme, per esempio, che del 348,
e il credo della fine del IV secolo che si trova nelle Costituzioni Apostoliche rivelano entrambi una totale indipendenza da N. Per renderci conto di quest'ultimo fatto, bisogna far presente che S. Cirillo
in questo momento importante della sua vita conservava ancora qualche simpatia verso l'arianesimo. Anche se la dottrina85 delle Catechesi stesse, soprattutto quella dell'undicesima, che trattano direttamente della divinit del Figlio, non sostiene una teoria simile, rimane probabile che la posizione teologica di S. Cirillo si trovasse in qualche modo a cavallo tra quella di S. Atanasio e quella
di Ario; anche vero che, come molti suoi contemporanei, era chiaramente a disagio nell'usare la terminologia di Nicea. Comunque sia,
anche quando scomparve questa riluttanza e la fede di Nicea venne
apertamente promossa e favorita dopo il 362, il credo stesso di Nicea non fu mai, per quanto ne sappiamo, usato durante il battesimo. La prassi universalmente adottata in Oriente era di continuare
con le formule battesimali esistenti, ma di portarle in linea con l'ortodossia di Nicea inserendovi le frasi importanti del concilio. Abbiamo visto esempi di questo modo di operare nei frammenti del
credo di Antiochia citati da Giovanni Cassiano e nel credo di Teodoro di Mopsuestia. '86
Che N fosse un credo conciliare e non battesimale importante
e merita di essere preso in attenta considerazione. Ma non ha pro85 Gli studi di J. Lebon in R.H.E. XX, 1924, 181ss.; 357 ss. devono essere corretti secondo larticolo di I. Berten nella Revue des sciences phil. et thol., lii, 1968.
86 Vedi sopra p. 181-182 e 185-186 ..
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prio niente a che fare con gli sconcertanti fenomeni che stiamo cercando di capire. Sar bene esemplificare alcuni punti che abbiamo
in mente. Essi gettano sicuramente grande luce sulla posizione di N
negli anni immediatamente successivi al concilio, e non sono meno
utili per riscontrare che naturalmente nessuno pensava di sostituire
N con i simboli battesimali correnti. Prima di tutto, c' il fatto che,
almeno per qualche tempo dopo il concilio, la formazione di nuovi
credo conciliari non fu evidentemente disapprovata n dagli eusebiani n, e questo pi sintomatico, dagli stessi ortodossi. Quando
i sinodi iniziarono la strutturazione di confessioni di credo, cosa che
facevano con considerevole entusiasmo e frequenza, le loro critiche,
come vedremo, inizialmente non erano tanto dirette al fatto sleale
di contrapporsi I concilio di Nicea quanto ai contenuti dei nuovi
simboli di fede. La prima protesta che sentiamo, il primo accenno
che la Chiesa avrebbe dovuto ritenersi soddisfatta del formulario di
Nicea, si trova nel resoconto di S. Atansio87 del concilio di Serdica (343). Vi si dice che riusc a persuadere i suoi colleghi a non pubblicare un credo ma ad accontentarsi delle decisioni di Nicea. Sia
che di fatto abbia adottato questo orientamento, o che considerasse
solamente ci che accadeva alla luce della sua ultima campagna a
favore di Nicea, non senza significato che il formulario, la cui composizione fu diretta dal grande Ossio di Cordova e da Protogene,
escludesse qualsiasi riferimento al concilio di Nicea, al suo credo e
all'homoousion. Un punto che merita di essere ricordato che, almeno fino all'insorgere di una violenta forma di arianesimo negli
anni Cinquanta, la grande maggioranza dei vescovi che prese parte
a questi concili e contribu alla formulazione dei credo non era formata da uomini ;:mimati da una cosciente slealt verso Nicea. Per
quanto segnati spesso col marchio di ariani, non erano propriamente tali, ma erano pronti ad aderire a Nicea nel bandire chiunque veramente meritasse questo marchio.
Un secondo fatto ancor pi sorprendente che deve essere spiegato
l'atteggiamento dello stesso-S. Atanasio verso il simbolo di Nicea.
Il mito popolare si sempre compiaciuto a rappresentarlo come l'avventuroso paladino dell'ortodossia di Nicea, che recava sullo scudo
N ornato con blasoni come una sfida fin dal momento in cui venne
sottoscritto dai 318 vescovi. Ma il quadro che si forma nella mentedel lettore, dopo uno studio delle sue opere in ordine cronologico,
s7 Tom. ad Antioch. 5 (P:G. 26, 800).
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non veniva concepito come se avesse prescritto una teologia positiva, ma piuttosto solamente come se avesse giudicato l'arianesimo
nella sua forma originaria e tentato di restaurare l'unit nella Chiesa divisa. Come non esistevano teologi di Nicea, non c'erano neppure teologi anti-Nicea: tutti erano uniti nell'accogliere i suoi risultati
nel senso che abbiamo descritto.
Questi elementi si mostrano certamente validi e veritieri nell' audace tentativo di chiarire il corso degli eventi, ma sono vanificati
dalla determinazione di offrire un quadro delineato con troppa chiarezza. L'ostinazione'nel volere eliminare il gruppo di teologi niceni,
e in particolare S. Atanasio, la pi colpevole debolezza del partito
avversario. Si troppo sottolineata in alcuni ambienti la sua astensione dall'uso del termine homoousios, come pure il presunto drastico sviluppo della sua teologia ad essa collegato. Come afferma
Loofs, la teoria dipende, e si pu farlo notare di passaggio, dalla
scelta che si fa di assegnare le tre Orationes contra Arianos a una
data molto antica, il 338 o 339: solo cos poteva essere in grado di
tracciare il progresso teologico del loro autore. Se si preferisse la data
del 356-36295 proposta dai Maurini, o anche la data 347-35096 , tutta l'argomentazione cadrebbe. Dovremmo dunque avere davanti agli
occhi un S. Atanasio che evita deliberatamente homoousios proprio
nel periodo in cui e_gli stava componendo, o anche dopo che egli aveva
pubblicato, il De decretis Nicaenae synodi e il De sententia Dionysii. Prescindendo da questo, tuttavia, si potrebbe osservare che questo silenzio suscettibile di un'altra spiegazione pi plausibile. S.
Atanasio era cosciente, quanto gli altri, dell'aria cattiva che tirava
per I' homoousios. Non era in accordo n con i suoi desideri n col
suo interesse ostentare la parola in modo provocatorio davanti a un
pubblico ampiamente ostile. Non che egli ne.fosse particolarmente
dispiaciuto, ma voleva, al.di l di qualsiasi cosa, promuovere la dottrina che rappresentava. Che questa fosse sempre la sua propria dottrina, e che il suo pensiero non subisse un'evoluzione teologica
significativa, si pu rilevare da un attento studio del suo vocabolario. Se in molti dei suoi scritti egli evit decisamente homoousios,
non ebbe alcun pudore nell'usare frasi quali "la sua unicit con il
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98
?S~,:
t.(,;:::; .
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~jtiferimenti al credo.102
tI:?;,,!.:Rimane ancora il problema dell'atteggiamento della Chiesa orien:0~'laJe, al quale non possono essere applicate spiegazioni come queste.
'~<;~<questo punto s'impone da s il forte elemento di verit presente
~-.~~ell'ipotesi cli.e soltanto l'imperatore abbia preso l'iniziativa nel for:,~Irtulare il credo. Il suo caratteristico insegnamento, come abbiamo
;}$()ttolineato varie volte, non corrispondeva ad alcun forte gruppo
/~di opinione in Oriente. La grande maggioranza dei vescovi, mentre
:.:.Jnorridiva alle audaci dichiarazioni di Ai:'io, era troppo profonda.Anente trincerata in una teologia trinitaria plura'listica, di carattere
fo'faoderatamente subordinazionista per aderire benevolmente all'ho;. fuoousion, col suo sapore non del tutto scritturistico e il suo orien" tmento apparentemente sabelli;mo. Ma l'idea di Costantino era di
tcillaudare una formula di unit, e non era ansioso di darne alcuna
particoJare interpretzione. Entro certi limiti raggiunse il suo scopo. Ben presto, una volta che le sue intenzioni si manifestarono pienamente, uomini di ogni tipo di obbedienza teologica si trovarono
pronti a sottoscrivere le decisioni di Nicea. L'imperatore lasci che
ognuno leggesse il significato che voleva nella formula, purch fosse pronto a sottoscriverla, e risolutamente neg l'autorizzazione a
qualsiasi sua interpretazione ufficiale. Cos non pass molto tempo
che sia Ario che Euzoio fecero la pace con lui, 103 ed egli pot rassicurare S. Alessandro che avevano piegato il ginocchio dinanzi a Nicea ..104 Anche Eusebio di Nicomedia e Teognide richiesero sembrerebbe con uguale successo, di poter ritrarre, e il primo indic nella sua lettera che, nell'esaminare il senso dihomoousios, lo
aveva trovato del tutto accettabile. 105 Alla luce di ci possiamo capire che, quando vennero tenuti altri concili, non si poneVano in questione, perlomeno nei primi giorni, le decisioni del sinodo ecumenico.
Si riteneva per scontata la loro esistenza: di tanto in tanto si offriva
loro un atto di ossequio. Il Concilio della Dedicazione di Antiochia
103
260
CAPITOLO NONO
L'EPOCA DEI
CREDO SINODALI
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1.
~' r.cf:.."'~~' ,.
o/ '
:~i'.-~l'!t-X1'~</
262
dovremmo poter notare, con una certa maggior precisione, l'aspetto mutevole di N agli occhi dei gruppi in polemica. 2
I primi simboli di fede che ci capita di studiare sono i quattro credo tradizionali collegati al Concilio della Dedicazione che fu tenuto
ad Antiochia nell'estate del 341. Novantasette vescovi, tutti orientali e tutti aderenti al pensiero di Eusebio, si riunirono in questo sinodo, e l'imperatore Costanzo prese a modello quello precedente
indetto dal padre presenziandolo di persona. 3 L'obiettivo immediato e manifesto della riunione era di celebrare la dedicazione (da qui
il titolo greco del concilio, ~ h To'Ls hxmvi.oLs) della chiesa aurea
fondata dieci anni prima da Costantino e ora portata a compimento
dal figlio. Di fatto, la cerimonia ecclesiastica fu un pretesto di. convenienza: i veri motivi apparv.ero subito chiari. Possiamo ricordare
che S. Atanasio era stato deposto dal concilio di Tiro (335) e Marcello di Ancira da quello di Costantinopoli (336). Alla morte di Costantino era stato consentito a entrambi di ritornare alle loro sedi episcopali, ma gli eusebiani Si erano battuti subito per farli espellere ancora una volta. Si erano rifugiati a Roma, e il sindo convocato da papa
Giulio I, nella primavera del 341, 4 li aveva dichiarati senza colpa e
riammessi alla comunione. Una delle principali preoccupazioni del Concilio della Dedicazione era naturalmente quella di presentare un fronte
unitario contro questo atto offensivo dell'Occidente, e di replicare
alla lettera, 5 piena di rimostranze e di accuse, che papa Giulio aveva mandato per annunciare le decisioni romane. Ma ne derivarono
anche esiti dottrinali. Eusebio e i suoi amici erano stati evidentemente
punti sul vivo dalle reiterate accuse di Atanasio secondo cui erano
virtualmente ariani e dalle insinuazioni del papa, avanzate su istigazione di s: Atanasio, che erano stati infedeli a Nicea. Per cui uno
dei primi atti del concilio (non possibile ricostruire l'ordine esatto
degli avvenimenti) fu la promulgazione di una solenne dichiarazione con la protesta che essi non erano ariani ("E come, essendo vescovi, dovremino seguire un prete?"), e che, lungi dal considerarlo
loro maestro, avevano soltanto riaccolto Ario nella comunione dopo averne rigorosamente provato 1' ortodossia. A conferma di ci
2 Per un ottimo, completo esame della maggior parte dei credo che abbiamo qui
presi in esame, cf. M. Meslin, Les Ariens d'Occident 335-430, Parigi, 1967, 253-91.
3 Cos secondo S. Atanasio, De Syn. 25 (P.G. 26, 725).
263
sottoscrissero un credo, 6 che esordiva cos: ''Poich ci stato inse.grtato fin dall'inizio
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S. Atanasio, che cit questo credo assieme agli altri simboli del
Concilio della Dedicazione nel suo De synodis, insinu maliziosamente che era prova dell'amore degli "ariani" per la novit e della
loro generale indecisione. Ma non c' realmente niente che dimostri che questo, il cosiddetto Primo Credo di Antiochia, sia stato
formulato come confessione ufficiale del concilio. La protesta di
non essere ariani, ad esso premessa dai vescovi, pur nella forma
frammentaria della citazione di S. Atanasio, indica che era in realt un semplice stralcio della lettera apologetica che il concilio aveva preparato per rispondere a papa Giulio.Cos com',la formula
non contiene nulla di particolarmente strano. Per fornia e per sostanza si tratta di un credo di tipo riconoscibile come orientale, e
indubbiamente di una forma battesimale modificata secondo le necessit del concilio. J.F. Bethne-Baker ne ha dato un'impressione ingannevole dicendo7 "che 'era arianeggiante' non solo perch
evitava qualsiasi espressione che gli ariani non avrebbero potuto
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In Dio Padre, onnipotente, creatore e fattore dell'universo, dal quale sono tutte
le cose
E nel suo unigenito Figlio, Dio, il Verbo, Potenza e Saggezza, nostro Signore Ges Cristo, per mezzo del quale
sono tutte le cose, che fu generato dal
Padre prima di tutti i secoli, Dio perfetto da Dio perfetto, e che esiste co
me una persona con Dio, e negli ultimi
giorni discese e nacque dalla Vergine se-
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11 Vedi S. Atanasio, De syn. 23 (P.G. 26, 721ss.); S. Il., De syn. 29 (P.L. 10,
502ss.).
12 Per un esame completo, vedi G. Bardy Recherches sur saint Luden d'Antioche, Parigi, 1936, 85ss.
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uomo, intermediario fra Dio e gli uomini, apostolo della nostra fede, e autore di vita, come dice: ''lo sono disceso
dal cielo, per compiere non la mia volont ma la volont di Colui che mi ha
mandato". Ha patito per noi, ed risorto il terzo giorno ed salito al cielo,
e siede alla destra del Padre, e di nuovo verr con gloria e potenza a giudicare vivi e morti.
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269
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~lfbhiaramente il linguaggio che aveva usato Asterio e che Marcello ave:i~;yifdertunciato17 con forza. Marcello aveva affermato che titoli quali
'.:'}!,~atta immagine del Padre", "vita", "via", "risurrezione", "por~{t~ , ecc. appartenevano solo a Cristo incarnato, 18 mentre il credo
:)ftpplica chiaramente a Lui nella sua condizione di preincarnato. Ef!/fettivamente, esso ha forte sapore di origenismo, come indubbiamen' j~.dimostra l'uso di Co/ 1, 15. La struttura che fa da guida quella
'ditre ipostasi del tutto separate, ognuna delle quali possiede l'ipostasi, il grado e la gloria propria, ma che sono collegate in un'unica
\!trit da una comune armonia di volont.
Questo rappresenta esattamente ci che Origene aveva insegnato
.quando parlava 18 del Padre e del Figlio in quanto sono "due cose
. come ipostasi, ma una per spirito e armonia e identit di. volont
(ovm Olio -rTI hoaT&crH 'll"QOt''IJ.CLTCY., ~'v : T! .ovott xcxl i-] cru.1Pr..>Vt<?'.
.xcxl Tfi m.v-rT'!)TL To {3ov1.ii.aTos)". Nulla poteva 'essere pi in contrasto di questa Tritrit, costruita gerarchicamente, col monarchia,nismo approvato di recente a Roma e rappresentato nella sua forma
strema da Marcello. Il sinodo stava sviluppando una teologia che,
mentre non favoriva affatto l'arianesimo, era per subordinazionista e prenicena. Dal momento che evitavano l'homoousion, non si
deve dedurre che i vescovi fossero coscientemente antiniceni. S. Atanasio stesso consider che fosse diplomatico in quel periodo usare
altri termni per esprimerne il significato. Essi si risentivano, e probabilmente con sincerit, per qualsiasi insinuazione che stessero tradendo le decisioni di Nicea. Il loro reale obiettivo era di collocarsi
a met strada tra i temuti arianesimo e sabellianismo.
Un quarto simbolo collegato tradizionalmente con il Concilio
della Dedicazione, ma la sua vera origine alquanto oscura. Il testo, come riportato da S. Atanasio e da Socrate2ll il seguente:
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18
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Crediamo in un solo Dio, Padre, onnipotente, creatore e artefice di tutte le cose, dal quale ogni paternit trae nome
nei cieli e sulla terra.
E nel suo Figlio unigenito, il Signore nostro Ges Cristo, generato .dal Padre
prima di tutti i tempi, Dio da Dio, luce
270
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S. Atanasio racconta al riguardo che, alcuni mesi dopo aver pubblicato le prime tre formule, i vescovi si sentirono insoddisfatti del
loro lavoro, ed essendo indecisi redassero ancora una quarta dichiarazione di fede. La mandarono poi in Gallia mediante quattro di
loro (Narcisso di Neroniade, Maride di Calcedonia, Teodoro di Eraclea, e Marco di Aretusa) e la presentarono all'imperatore Costante
(che era ortodosso nel senso atanasiano del termine), alla sua corte
di Treviri. ~ocrate racconta una storia molto pittoresca secondo cui
i quattro inviati mandati in Occidente con il credo ufficiale del Concilio della Dedicazione lo nascosero nelle loro vesti all'ultimo momento, e all'imperatore diedero invece questo, che essi stessi avevano
composto. Rimane misteriosa la ragione per cui abbiano mandato
questa strana delegazione di prelati ali' Augusto dell'Occidente: la
spiegazione confusa di Socrate, secondo cui era in risposta alla ri-
272
Da Serdica a Sirmio
24
DA SERDICA A SIRMIO
273
niva di solito centinaia. Erano, poi, irremovibili sul fatto che i vescovi, che avevano deposto S. Atanasio, Marcello e gli altri, non
dovevano avere seggi nel concilio. L'anziano Ossio di Cordova, che
capeggiava la delegazione occidentale, tent di promuovere un compromesso, ma senza successo. Gli orientali si mantennero sulle loro, e infine (non avevano mai gradito il concilio generale) lasciarono
Serdica tutti insieme col pretesto che avevano avuto notizia di una
co:nsiderevole battaglia vinta da Costanzo contro i Persiani e desiqeravano presentargli le loro congratulazioni.
Prima di partire per Filippopoli, i vescovi orientali si riunirono in una
propria assemblea alternativa e redassero una lettera25 enciclica, indirizzata all'intero episcopato, clero e laicato della Chiesa. In massima parte si ricapitolavano gli avvenimenti che riguardavano S.
Atanasio, Marcello e i loro compagni, con l'intento di giustificarne
la deposizione. Si esprimeva poi la meraviglia che, malgrado la scomunica, dovessero partecipare a Serdica legittimamente come vescovi
e condannarono Giulio, Ossio e i capi occidentali che erano stati responsabili della loro riabilitazione. Ma venne aggiunta una professione di fede. Non era altro che il cosiddetto Quarto Credo di
Antiochia, 26 la formula che era stata presentata alcuni mesi prima
a Costante a Treviri, con l'aggiunta finale di alcuni anatemi. Essi
sono: 27
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I primi concetti qui condannati, che ci sono cio tre di e che Cristo
non Dio, erano a malapena posizioni sulle quali ogni gruppo di
cristiani poteva impegnarsi, ma la dottrina origenista delle tre ipostasi nella divina Trinit veniva temuta da molti come un virtuale
25 Cf. S. Ilario, Frag. hist. 3, I-29; De syn. 34 (P.L. 10, 659-78; 507s.). H. Hess
. (op. cit. 16-8) dimostra che essi scrissero la lettera ecc. a Serdica prima di partire.
26 Vedi sopra, p. 271-272.
27 rimasto solo il testo latino dell'intero credo (in S. Il., Frag. hist. 3, 29), ma
quello greco degli anatemi ricompare nell'Ecthesis Macrostichos in S. Atanasio, De
i;'syn. 26 (P.G. 26, 728ss.).
274
DA SERDICA A SIRMIO
275
A differenza della maggior parte dei simboli di fede conciliari del1'epoca, si tratta di un documento lungo e sconnesso che aveva ben
poco a vedere con le usuali confessioni battesimali. Con una frecciata polemica, era stato definito un tempo da Harnack31 come
"l'espressione meno ambigua del pensiero occidentale sull'argomento" della Trinit. In quanto tale, merita un'attenta analisi. 32 Dichiarandosi antiariana (nel primo paragrafo i vescovi estremisti Valente
e Ursacio furono messi alla gogna come ''due vipere generate dal1' aspide ariano"), la dottrina posta sotto anatema aveva ben poco
in comune con quella dello stesso Ario, ma includeva alcuni insegnamenti che ammettevano tre ipostasi nella divinit e attribu.ivano
al Verbo o Figlio di Dio un'esistenza personale distinta presso il Pa~
dre. In questo consiste la sua grande importanza, poich una simile
dichiarazione ufficiale di guerra alla teologia origenista era senza precedenti. La dottrina esplicitamente inculcata era quella secondo cui
c'era solo un'ipostasi divina, "che gli stessi eretici chiamano ousia".
Ma c' un solo Dio, una sola divinit di Padre, Figlio e Spirito Santo, una sola ipostasi. L'ipostasi del Figlio unica ed la medesima
di qulla del Padre. Ma il Padre e il Figlio non sono identici. "Non
diciamo che il Padre il Figlio, oppure ancora che il Figlio il Padre: il Padre il Padre, e il Figlio di Di9 Figlio". Come Verbo
del Padre, il Figlio sua potenza (ouvoqi.L'i) e sapienza (ao4>ta). IterInini specifici usati da Marcello furono attentamente evitati, e si asser anche contro di lui che ''il Figlio regna senza fine con il Padre,
e il suo regno non ha n termine n morte". L'esposizione teologica, tuttavia, ne tradiva l'influenza nei punti principali. Si concedeva che il Padre pi grande del Figlio, ma "non perch un'altra
ipostasi o in qualche modo differente, ma perch il nome del Padre
superiore a quello del Figlio". La spiegazione che sono una sola
cosa per l'armonia della volont (&Lt T)v <Jull.<l>wvi.or.v xcxl T)v .ovoLav). la formula ripresa da Origene nel Secondo Credo di Antiochia,33 era dichiarata blasfema e corrotta. Ma non fu chiarito in
maniera comprensibile il modo in cui erano persone distinte.
Si trattava qui ovviamente di una dichiarazione estremista e altamente provocatoria, e il linguaggio offensivo in cui era redatta non
32
276
35
291ss.
DA SERDICA A SIRMIO
277
Vedi
s. Atanasio, De syn.
224ss.).
40
41
278
43
DA SERDICA A SIRMIO
279
46
280
Il trionfo dell'arianesimo
Un nuovo capitolo nella storia dei simboli di fede, come pure della grande polemica dottrinale, si apr col trionfo finale di Costanzo
su Magnenzio ne!Pagosto del 353. Da allora fino alla sua morte nel
361 egli regn quale unico imperatore sia sull'Oriente che sull'Occidente. Di conseguenza l'autorit pass rapidamente, e per un certo
periodo in modo decisivo, ai gruppi antiatanasiani e antioccidentali della Chiesa. La loro vittoria era stata cos totale, almeno per il
momento, che fu messo da parte ogni scrupolo e per la prima volta
47
IL TRIONFO DELL'ARIANESIMO
281
si cominci ad attaccare apertamente la fede di Nicea. Dopo un breve intervallo, una potente ala sinistra, che riviveva le idee quasi dimenticate d Ario e le sosteneva in termini radicali, emerse, sotto
la guida di estremisti quali Aezio e Eunomio. Divennero noti come
anomei, per 'il loro insegnamento secondo il quale il Figlio non uguale (tvo.ow<>) al Padre. Tuttavia, proprio l'asprezza del conflitto caus
una frattura tra tutti quelli che fino allora avevano diffidato delI'homoousion. Tra il gruppo moderato d'Oriente, che era inorridito
nel constatare fino a che punto stavano giungendo i loro pi ostinati alleati, e gli omousiani, come si cominciava a chiamarli, si apr
un varco alla riconciliazione. Il principale ostacolo era costituito dalla
stretta cooperazione intercorsa tra S. Atanasio e Marcello, ma i due
erano da tempo divisi. Cos, dopo il 361, quando Costanzo mor e
si raggiunse un accordo sulla terminologia al concilio di Alessandria
(362), fu solo questione di tempo per giungere a una piena e mutua
comprensione.
Secondo noi, uno dei punti di maggiore interesse in quest'epoca
l'avere incentrato l'attenzione sul credo di Nicea. La prima traccia
del nuovo ruolo che esso stava cominciando a svolgere si ritrova nella
lettera48 che papa Liberio indirizz a Costanzo nel 354 in risposta
alla frase pronunciata su S. Atanasio al concilio di Arles poco tempo prima (353). Egli chiese che l'imperatore convocasse uri sinodo
universale per risolvere non solo le questioni di carattere personale,
ma anche per confermare le decisioni prese a Nicea. L'anno seguente (355), quando ebbe luogo a Milano la riunione proposta, Eusebio
di Vercelli, rappresentante del partito occidentale, esib una copia
del documento di Nicea e fece pressione perch, prima di occuparsi
delle altre questioni, i delegati sottoscrivessero all'unanimit la loro
dottrina aderendo alla fede di Nicea. 49 Valente di Mursa, com' riferito, intervenne con drammatica violenza, cercando di afferrare
la penna dalle mani di un prelato che stava per firmare, e protestando che non era possibile procedere con metodi simili. Incidenti
come questo fanno pensare che il partito atanasiano, spinto dall'ascendenza raggiunta dai suoi oppositori e dal crescente estremismo delle loro idee, avesse deciso apertamente di adottare il concilio di Nicea e il suo credo come modello di ortodossia. Si pu
ricordare che in questo periodo S. Ilario, per sua ammissione,5 pre48 S. IL, Frag. hist. 5, 6 (P.L. 10, 685s.).
~9 Cf. S. II., Ad Const. Aug. I, 8 (P.L. 10, 562s.).
50 De syn. 91 (P.L. 10, 545): vedi sopra, p. 256.
282
se per la prima volta conoscenza del testo del credo di Nicea. Poco
tempo prima, inoltre, lo stesso S. Atanasio aveva cominciato a esprimersi apertamente nella terminologia della pi genuina dottrina
omousiana; poco dopo troviamo Mario Vittorino, il famoso convertito, che difendeva in pieno e molto esplicitamente la dottrina di
Nicea. 51
Si avvert ben presto che l'aria stava mutando. Un documento illuminante in questo senso il credo52 redatto, alla presenza dell'imperatore, al sinodo tenuto a Sirrnio (il terzo presenziato massicciamente dai vescovi occidentali) nell'autunno del 357, e imme:.
diatamente divulgato in tutte le chiese. A quel tempo il favore
di cui godeva il partito atanasiano era assai scarso, poich lo stesso
S. Atanasio era stato violentemente mandato via dalla sua sede (356)
e l'episcopato occidentale in generale lo aveva abbandonato e si era
arreso alla forza degli eventi. Le guide spirituali erano i prelati Ursacio di Singiduno (Belgrado) e Valente di Mursa (Osijek), politica-'
mente impegnati, che erano diventati consiglieri teologici di Costanzo, e il vescovo locale Germinio. Non necessario pubblicare l'originale latino della loro professione di fede, perch non conforme a nessuno dei soliti modelli di credo; la traduzione come
segue:
Poich si riteneva che ci fosse una disputa riguardante la fede, tutti i problemi venivano attentamente trattati ed esaminati a Sirmio, alla presenza
dei nostri santi fratelli e compagni vescovi Valente, U:rsacio e Germinio. Si
concorda che c' un solo Dio, onnipotente e Padre, come viene creduto in
tutto il mondo, e il suo unigenito Figlio Ges Cristo il Signore, nostro Salvatore, generato da Lui prima di tutti i secoli. Ma non possiamo e 'non dobbiamo predicare che vi sono due Dei, perch lo stesso Signore ha detto:
"Andr dal mio Padre e dal vostro Padre, dal mio Dio e dal vostro Dio".
Perci c' un solo Dio al di sopra di tutto, come ha insegnato l'apostolo:
" forse Dio solo dei Giudei? Non forse anche Dio dei Gentili? S, Egli
anche Dio dei Gentili. Perch esiste un solo Dio, che giustifica la circoncisione dalla fede e la non circoncisione attraverso la fede". E per tutto il
resto erano d'accordo e ammettevano che non esistevano differenze. Ma
poich alcuni o molti erano turbati da sostanza (substantia), che in greco
51 Cf. Adv. Ar. I, 28; 2, 9; 2, 12 (P.L. 8, 1061; 1095; 1098); e anche il suo Tract.
de Homoous. recip. (P.L. 8, l 137ss.). Le date riportate per quanto riguarda queste
opere sono rispettivamente il 358 e il 359.
52 Cf. S. Il., De syn. II (P.L. 10, 487ss.); S. Atanasio, De syn. 28 (P.G. 26, 740ss.).
M. Meslin (op. cit., 276-8} fa un'analisi eccellente.
IL TRIONFO DELL'ARIANESIMO
28.3
284
56
57
58
Die homousianische Partei bis zum Tode des Konstantius, Lipsia, 1900, 57.
Sozomeno, Hist. ecci. 4, 6 e 12 (P.G. 67, 1121 e 1144).
H.M. Gwatkin, Studies of Arianism, 2 ed., Cambridge, 1900, 162.
Con. Ar. 6 (P.L. 20, 17).
S. IL, De syn. 2 e 8 (P.L. 10, 481 e 485).
IL TRIONFO DELL'ARIANESIMO
285
sa vivacemente nella lettera sinodale59 che annunciava le sue decisioni. Mentre non citava in alcun modo Nicea e di fatto condannava
homoousios (si fece notare che il termine era stato respinto dal concilio che aveva condannato Paolo di Samosata), i semiariani furono
espliciti nella loro ostilit verso gli anomei e insistettero sulla
dottrina secondo la quale il Figlio era come il Padre nella sostanza
(.owucrLo~). Quarido i delegati del sinodo di Ancira, guidati da Basilio, presero contatto con Costanzo a Sirmio, un poco pi tardi nello
stesso anno, riuscirono a fargli accogliere il modello semiariano, o
omeusiano, e ottennero la sua approvazione per la redazione di un
formulario che ne rispecchiasse la dottrina: il cosiddetto Terzo Credo di Sirmio. 60 Esso consisteva del Primo Credo di Sirmio (cio il
Secondo Credo del Concilio della Dedicazione con gli anatemi diretti contro Paolo di Samosata e Fotino) con l'aggiunta di un certo
numero di anatemi che si trovavano nella lettera di Ancira.
Traboccante di gioia per il successo e fiducioso di riuscire a trovare una via tra l'insegnamento anomeo e il fastidioso homoousion,
Basilio di Ancira fece pressione sull'imperatore perch indicesse un
concilio generale che potesse emettere legittimamente una dichiarazione conclusiva. Dopo alcuni mutamenti progettuali e conseguenti
ritardi, sfruttati astutamente dagli anomei per recuperare molto del
terreno perduto, Costanzo accols~ la sua richiesta, ma l'effetto, come dimostrer il credo che ora prenderemo in considerazione, fu molto diverso da quanto si era aspettato Basilio. L'accordo che alla fine
Costanzo sanzion dietro suggerimento degli anomei fu di tenere due
concili paralleli, uno della Chiesa Occidentale a Rimini, e un altro
di vescovi orientali nella citt costiera di Seleucia in Cilicia. Nel frattempo, nel maggiO del 359, un piccolo comitato si incontr a Sirmio
e, alla presenza dell'imperatore, redasse il seguente formulario come base di lavoro da sottoporre a entrambi i concili per discuterlo
e, si sperava, per approvarlo: 61
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pibile tempo e ogni comprensibile essenza, per mezzo del quale furono
fondati i secoli e tutte le cose vennero all'esistenza: generato unigenito, solo clal solo Padre, Dio da Dio, simile al Padre che lo ha generato
secondo le Scritture, la cui generazione nessuno conosce, tranne il Padre che
lo ha generato. Sappiamo che quest'unico generato Figlio di Dio, per invito
del Padre, venne dal cielo per abolire
il peccato, e nacque dalla Vergine Maria, e si associ con i discepoli, e comp tutta l'economia secondo la volont
del Padre, fu crocifisso e mor, e discese
ali 'inferno, e regol l l cose; che i custodi degli infer videro e tremarono, e
risuscit dai morti il terzo giorno, e si
associ con i discepoli, riemp tutta
l'economia, e al compimento dei quaranta giorni fil assunto in cielo, e siede
alla destra del Padre, e verr l'ultimo
giorno della risurrezione con la gloria
del Padre; a remunerare ognuno secondo le sue azioni;
IL TRIONFO DELL'ARIANESIMO
287
A causa della data introdotta in forma solenne ("sotto il consolato degli illustrissimi Flaviano, Eusebio e Ipazio, l'undicesimo giorno prima delle calende di giugno"), questo credo, il Quarto di Sirmio,
divenne noto, piuttosto ironicamente, come il Credo Datato. I suoi
oppositori ritenevano ridicolo che la fede cattolica potesse essere datata. 62 Si suppone che la redazione finale sia stata opera di Marco
di Aretusa. Sembra basarsi su un credo battesimale di modello convenzionale, bench le alterazioni e le interpolazioni ne abbiano completamente sconvolto le parti fondamentali. Alcune forme del testo
risultano affini al credo di Antiochia. Clausole come UN SOLO E VERO DIO e PER MEZZO DEL QUALE FURONO FATTI I SECOLI, ecc. ricordano la terminologia molto simile usata nel simbolo citato in latino
da Giovanni Cassiano. 63 Inoltre, questo credo noto per essere stato il primo a dare un riconoscimento ufficiale alla "discesa agli Inferi". Ma la sua vera importanza teologica. Era un documento di
mediazione, destinato per quanto era possibile ad accontentare tutti, e diede luce alla nuova formula di compromesso "omea" proposta da Acacia di Cesarea e accettata dall'imperatore - QUASI SOTTO
OGNI ASPETTO - ed evitava rigorosamente termini tecnici. Si pensava che "l'ort;odosso" avrebbe notato con soddisfazione che proclamava la generazione del Figlio in un modo incompatibile con
l'arianesimo. I nuovi ariani, per conto loro, potevano congratularsi
con s stessi che l'uso di ousia, insieme a quello di homoousion, fosse
condannato: il Figlio non poteva neppure essere descritto come
UGUALE NELLA SOSTANZA. Basilio di Ancira e il suo autorevole partito avrebbero desiderato vedere sanzionato UGUALE NELLASOSTAN.ZA, ma si dovettero accontentare di UGUALE IN TUTTE LE COSE.
Almeno questo and oltre i desideri di ValeD:te e Ursacio, con la loro dottrina che il Figlio era uguale al Padre ''per volont e potenza'', ma dissimile da Lui per la sostanza. Quando si giunse al momento
di finnarlo, i capi dei vari gruppi non riuscivano a nascondere la
propria scontentezza. Valente, ci dicono, tent di scrivere semplicemente UGUALE, lasciando fuori IN TUTTE LE COSE, e fu arrestato da
Costanzo. Anche Basilio nella copia che Valente stava per portare
a Rimini, aggiunse un lungo post-scriptum che esponeva la sua personale interpretazione del credo e poneva in rilievo il fatto che il Fi-
62
63
288
glio era uguale al Padre "in tutte le cose, e non solo nella volont,
ma nell'ipostasi e nell'esistenza e nella sostanza" .64
In veste leggermente ma significativamente diversa tanto da renderlo ancor pi consono alle preferenze di Valente e Ursacio, questo credo compare nuovamente come formulario firmato il 1Oottobre
359 nella citt tracia di Nik da una delegazione di vescovi occidentali del concilio, residenti a Rimini. 65 L'affollata assemblea (sembra
che vi abbiano partecipato pi di 400 vescovi) si dimostr fervente
omousiana, acclam il credo di Nicea e l'uso di ''sostanza'', depose
e scomunic Ursacio, Valente e i loro soci, e mand una legazione
a Costanzo per informarlo delle loro decisioni. L'imperatore, come
possiamo dedurre, non era affatto contento che il credo omeo da
lui redatto fosse stato cos frettolosamente messo da parte. I legati vennero indirizzati a Nik, dove a poco a poco furono logorati
da indugi prolungati come pure dalla propaganda e dalle minacce
alle quali venivano sottoposti. 66 Infine, contrariamente al mandato
ricevuto, acconsentirono a firmare una revisione del Credo Datato,
che fu poi messo in circolazione come "di Nicea". La maggior parte delle alterazioni era puramente verbale e di scarso rilievo. Di pi
grande importanza, tuttavia, in quanto denotavano un sostanziale
indebolimento del credo redatto e approvato a Sirmio, furono (a)
l'omissione di IN TUTTE LE COSE con UGUALE, e (b) il divieto non
solo di ousia ma anche di "un'unica ipostasi" nella dottrina della
Trinit (''neppure del prosopon del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo deve essere usata la frase UNA SOLA IPOSTASI").
Firmare questo credo dimostrava che gli ariani stavano astutamente
sfruttando a proprio vantaggio il nuovo compromesso. Nel frattempo
gli eventi stavano prendendo un corso simile al concilio parallelo
orientale di Seleucia. La grande maggioranza era omeusiana, guidata da Giorgio di Laodicea, voleva firmare ufficialmente il Secondo Credo del Concilio della Dedicazione. Infatti, lo ratificarono
durante la seconda sessione (28 settembre) a porte chiuse, e la minoranza di omei guidata da Acacio si ritir. Durante la sessione seguente, tuttavia, il 29 settembre la minoranza ritorn e, per mezzo del
64 Per quanto riguarda questi particolari, vedi S. Epifanio, Pan. haer. 73, 22 (Holl
III 295).
b5 Per quanto riguarda il testo vedi Teodoreto, Hist. ecci. 2, 21, 3-7 (Pannentier,
145s.); Hahn 164.
66 S. Il., Frag. hist. 8, 4 (P.L. 10, 70ls.).
IL TRIONFO DELL'ARIANESIMO
289
commissario .Leona, funzionario imperiale, propose il proprio credo. 67 Si iniziava con una breve prefazione che dichiarava che non
rifiutavano l'autentica fede proclamata durante il Concilio della Dedicazione, ma che per le parole homoousios, homoiousios, e anomoios era sorto grande turbamento. "Noi ripudiamo ugualmente
homoousios e homoiousios in quanto estranei ali!! Sacra Scrittura,
ma lanciamo anatema su anomoios''. La dottrina da accettare era
che il Figlio era "uguale al Padre", come l'Apostolo aveva detto
di Lui che era l'immagine del Dio invisibile. Poi seguiva il loro credo, che in ffetti era il Credo Datato di Sirmio con alcune correzioni di scarsa importanza. I termini controversi IN TUTTE LE COSE
furono, tuttavia, omessi dopo UGUALE. Seguiva poi un lungo dibattito su ci che era implicato con esattezza nella parola "uguale",
e alla fine Leona sciolse il concilio senza che la questione fosse stata
posta ai voti. Come il concilio di Rimini, entrambi i gruppi inviarono delle delegazioni all'imperatore a Costantinopoli per riferire le
loro decisioni, ma Costanzo aveva deciso che gli omeusiani, non
meno degli omousiani occidentali, avrebbero dovuto firmare la sua
redazione di credo omeo. Dopo un lungo dibattito che dur fino a
notte inoltrata strapp loro le firme il 31 dicembre del 359. 68 Cos
la vittoria degli omei fu completa, e fu questa sequenza di eventi che
S. Girolamo aveva in mente quando scrisse che "l'intero mondo gemeva e si stupiva di ritrovarsi ariano (ingemuit totus orbis, et Arianum se esse miratus est)" .69
Ufficialmente, dunque, la fede della Chiesa era ora omea. Per completare l'opera, tuttavia, era necessario portare le decisioni dei delegati di Rimini e Seleucia di fronte a un grande concilio congiunto
e ottenere per esse la ratifica finale. A questo scopo si tenne a Costantinopoli nel gennaio del 360 un sinodo, 70 dominato da omei e
che si componeva soprattutto di vescovi della Bitinia. Il credo
promulgato71 il seguente:
67 Cf. S. Atan., Desyn. 29; Socrate, Hist. ecci. 2, 40 (P.G. 26, 744s.; 67, 337ss.);
S. Epifanio, Pan. haer. 73, 25 (Holl III, 298s.).
68 Cf. Sozomeno, Hist. ecci, 4, 23 (P.G. 67, 1188).
69 Dia/. con. Lucif. 19 (P.L. 23, 172).
70 Per quanto riguarda questo sinodo, vedi Sozomeno, Hist. ecci. 4, 24 (P.G. 67,
1188ss.).
71 Cf. S. Atanasio, De syn. 30 (P.G. 26, 745ss.).
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Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, dal quale sono tutte le cose.
E in un solo Figlio di Dio, generato da
Dio prima di tutti i tempi e prima di tutti gli inizi, per mezzo del quale tutte le
cose furono create, visibili e invisibili,
unigenito generato, lui solo dal solo Padre, Dio da Dio, come il Padre lo gener secondo le Scritture, del quale
nessuno conosce la generazione se non
il solo Padre che lo gener. Sappiamo
che quest'unigenito Figlio di Dio, avendolo mandato il Padre, venne dal cielo
come sta scritto per la distruzione del
peccato e della morte, e nacque dallo
Spirito Santo, dalla Vergine Maria per
quanto riguarda la carne come sta scritto, e si associ con i discepoli, e, avendo compiuto tutta l'economia secondo
la volont del Padre, fu crocif1Sso e mor, e fu sepolto e discese nel mondo infenore (alla presenza del quale lo stesso
inferno trem): risuscit anche dai morti il terzo giorno, e soggiorn con i discepoli, e al compimento dei quaranta
giorni fu assunto al cielo, e siede alla
destra del Padre, proponendosi di tornare l'ultimo giorno della risurrezione
nella gloria del Padre per premiare
ognuno secondo le sue azioni.
E nello Spirito Santo, che l'unigenito Figlio di Dio stesso, Cristo nostro Signore e Dio, promise cli mandare come
Paracleto alla razza degli uomini, come sta scritto, "Lo Spirito di verit",
che egli mand su di loro allorch ascese
al cielo.
Riguardo al nome "sostanza", che era
stato adottato senza pregiudizi dai padri, ma sconosciuto al popolo fu causa
di scandalo, perch le stesse Scritture
non lo contengono, piaciuto a noi che
.fosse abolito e che d'ora io poi non si
citasse in alcun modo, poich in verit
le divine Scritture non hanno mai citato la sostanza n del Padre n del Figlio. E neppure bisogna usare il tennine
ipostasi del Padre del Figlio e dello Spirito Santo. Ma diciamo che il Figlio
uguale al Padre, come dicono e insegnano le divine Scritture. Ma che tutte le
IL TRIONFO DELL'ARIANESIMO
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291
eresie esistenti o che sono state condannate in precedenza, oppure sono sorte
pi recentemente e contrastano con
questo credo siano anatema.
Questo l'ultimo della lunga serie di credo promulgati in quest'epoca tanto prolifica. Il sinodo che lo ratific rifiut espressamente
tutti i simboli di fede precedenti, e ne proib la formulazione di
nuovi per il futuro. Il credo in s stesso rappresent il completo
trionfo di quel compromesso omeo che tent di avviare una mediazione tra le posizioni non riconciliabili degli anomei da un lato,
e degli omousiani e degli omeusiani dall'altro. Si tratta, naturalmente, del credo di Nik, e cos pure del Credo Datato di Sirmio
con lievi correzioni. Esso divenne la formula ufficiale di quello che
da allora doveva essere ritenuto come arianesimo, soprattutto tra
i barbari della periferia dell'impero. Non per nulla Ulfila, il vesovo nazionale di una colonia di Goti stabilitasi sulle sponde del Danubio, che per caso era giunto nella citt imperiale, condivise le
deliberazioni del concilio.72 Si capir, dunque, che arianesimo non
il termine esatto in realt, perch il credo non afferma nessuno
degli articoli dell'antica eresia e condanna esplicitamente l'anomeismo. La sua voluta imprecisione, tuttavia, Io rese adatto ad essere
recitato da cristiani che professavano idee molto differenti. Loscopo di Costanzo era quello di stabilire uno spirito di tolleranza e
il termine UGUALE, senza qualifiche o aggiunte, sembrava pi adatto a raggiungere questo fine delle fraseologie legate a problemi o
a elaborati sistemi di teologia speculativa. Il credo fu mandato con
una circolare a tutti i vescovi della cristianit con una lettera imperiale che comandava loro o di firmare o altrimenti di subire le conseguenze del rifiuto. 73
A questo punto possiamo porre termine alla nostra ricerca. Non
un libro come questo, dedicato unicamente allo studio delle formule di credo e che si occupa solo indirettamente della storia della
dottrina, che pu seguire gli sviluppi attraverso i quali nel corso
dei successivi venti anni la fede di Nicea si riafferm e rese possibile a un credo che esprimeva la dottrina omousiana di poter espellere e sostituire la formula strana e .ambigua di Costantinopoli.
72
73
Cf. Socrate, Hist. ecci. 2, 41; Sozomeno, Hist. ecci. 4, 24 (P. G. 67, 349; 1189).
Cf. Socrate, Hist. ecci. 2, 43; Sozomeno, Hist. ecci., 4 26 (P.G. 67, 353; 1197).
CAPITOLO DECIMO
IL
CREDO COSTANTINOPOLITANO
1.
La tradizione riguardante C
La formula che esercit maggiore influenza nell'elaborazione dei simboli di fede del IV secolo stata quella che talvolta viene chiamata tecnicamente il Credo Niceno-Constantinopolitano. 1 Comunemente i cristiani lo conoscono come il credo della santa eucaristia (della Messa), dove viene chiamato erroneamente il credo di
Nicea. Il suo titolo composito rafforza la tradizione popolare ma
errata che si tratti del vero credo di Nicea ampliato con l'idea, molto diffusa, a partire almeno dalla met del V secolo, che l'occasione
del suo ampliamento sia stato il secondo concilio generale, tenuto
a Costantinopoli nel 381. Di tutti i credo esistenti l'unico di cui
si possa apertamente dichiarare l'ecumenicit, o accoglienza universale. Al contrario del Credo Apostolico che era unicamente occidentale, esso fu ammesso come credo autorevole sia in Oriente che in
Occidente a partire dal 451 circa, e ha mantenuto questa posizione
fino ai giorni nostri con una sola variazione significativa nel suo testo. Cos, lungi dall'escluderlo, la Riforma ne riafferm il carattere
ecumenico e gli diede nuove prospettive di vita e una pi ampia diffusione traducendolo nelle varie lingue nazionali. Si tratta dunque
di una delle poche fibre attraverso le quali il tessuto stracciato della
veste suddivisa della cristianit tenuto insieme. Le circostanze per della sua redazione e della sua promulgazione sono ben lontane
dall'essere chiare. Sar compito di questo e del prossimo capitolo
tentare di districare l'ingarbugliata matassa di proble~ che si propongono.
Prima di tutto deve essere stabilito il testo originale del credo, indicato con l'abbreviazione C. Comparve per la prima volta, in ogni
caso, come formulario ufficiale nel concilio di Calcedonia (451). Du1 Sembra che il nome gli sia stato dato da Joh. Benedikt Carpzov (Carpzovius)
alla met del XVII secolo. Cf. il suo Isagoge in libros ecclesiarum Lutheranarum symbolicos, Lipsia, 3 a ed., 1690, 57.
294
IL CREDO COSTANTINOPOLITANO
rante la seconda sessione del concilio, il 10 di ottobre, essendo stato letto pubblicamente e approvato il credo di Nicea, i rappresentanti
imperiali comandarono che venisse letta ad alta voce anche "la fede
dei 150 padri" .2 La dichiarazione usata fu quella attribuita popolarmente al concilio di Costantinopoli del 381. Aezio, l'arcidiacono
della citt capitale, si alz immediatamente e recit il nostro credo
da un documento scritto. Esso svolse ancora un ruolo primario durante la quinta e la sesta sessione, 3 il 22 e il 25 ottobre, quando
venne incorporato al credo di Nicea nella definizione adottata dal
concilio. In quest'ultima occasione, la definizione che lo includeva
fu firmata, alla presenza dell'imperatore Marciano, dai legati papali e da tutti i vescovi presenti. Le relazioni, o acta, del concilio
di Calcedonia, che ci sono pervenute per intero, costituiscono cos
la nostra fonte principale per lo studio del credo. Il testo greco pubblicato sotto, con una traduzione, riproduce la versione letta ad alta
voce durante la seconda sessione come appare nell'edizione autorevole di G.L. Dossetti. 4
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Crediamo in un solo Dio, Padre, onnipotente, creatore del cielo e della terra, di
tutte le cose visibili e invisibili.
E in un solo Signore, Ges Cristo, il Figlio unigenito di Dio, generato dal Padre prima di tutti i secoli, luce da luce,
Dio vero da Dio vero, generato non
creato, della stessa sostanza del Padre;
per mezzo del quale tutte le cose sono
state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e s'incarn per opera dello Spirito Santo e della
vergine Maria e si fece uomo, fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, patl
e fu sepolto, e risuscit il terzo giorno
secondo le Scritture, e sal al cielo, siede alla destra del Padre, e di nuovo verr nella gloria a giudicare i vivi e i morti,
e il suo regno non avr fine.
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LA TRADIZIONE RIGUARDANTE C
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295
Non pu esserci dubbio che il testo di C, come quello di N, proclamati pubblicamente durante la seconda sessione di Calcedonia e
riprodotti qui sopra, rappresentino la forma originaria e autentica del
credo. Realmente o no composto e ratificato nel 381 (passeremo un
po' di tempo in seguito a vagliare questa tradizione), il suo legame
con Costantinopoli apparso del tutto sicuro. Cos il motivo per
cui fu invitato l'arcidiacono della citt imperiale, Aezio, a leggerlo
-ad alta voce (qualunque fosse il motivo per chiamare Eunomio a proclamare N) significava chiaramente assicurarsi una versione accurata. I testi che l'assemblea aveva ascoltato erano stati presi dagli archivi
in cui si presumeva fossero stati deposti i documenti originali. Dob-biamo osservare che i testi inseriti nella Definizione sembrano essere per molti aspetti differenti da quelli letti durante la seconda
sessione, e E. Schwartz una volta fece presente che erano stati deli:beratamente modificati, su richiesta di Marciano e dell'imperatrice
,Pulcheria, per meglio armonizzarli tra di loro. Quale che possa essere il giudizio conclusivo su questo difficile problema, 6 possiamo
stare tranquilli perch non pu smuovere minimamente la nostra fiducia nell'antichit e nell'autorevolezza della versione di C citata durante la seconda sessione. interessante notare che il credo fu
formalmente ripetuto e sottoscritto il 16 settembre 680, durante la
;t{i' , diciottesima sessione del sesto concilio generale, il terzo di Costan1i;if
tinopoli, e che gli atti registrati riportano7 esattamente la formula
.':;'''
i::.;t sopra riferita.
Una volta stabilito il testo, torniamo ora al problema dell'identi-
6 Per
296
IL CREDO COSTANTINOPOLITANO
t di C. Abbiamo gi fatto riferimento alla tradizione universale secondo cui era il simbolo del concilio di Costantinopoli. A Calcedonia
fu introdotto in quanto tale, e i padri evidentemente (prenderemo
in considerazione con maggiore attenzione il loro atteggiamento in
seguito) ne accettarono il testo senza obiezioni. Nella forma che prevalse dal VI secolo in avanti la tradizione asseriva che C era semplicemente N elaborato con l'inserimento di clausole destinate a
combattere eresie sorte dopo Nicea. Negli atti del concilio di Calcedonia accennata l'ipotesi di una possibile revisione di N. Durante
la prima sessione, 8 per esempio, Eusebio di Dorileo e Diogene di Cizico si levarono per accusare Eutiche (il cui caso, si pu ricordare,
era sotto processo) di falsit poich non riconosceva che la fede del
concilio di Nicea potesse subire innovazioni. "Il credo ha subito aggiunte", grid Diogene, "dai santi padri per le teorie perverse di
Apollinare, Valentino e Macedonio, e di uomini come loro. Le parole: DISCESE E S'INCARN PER OPERA DELLO SPIRITO SANTO E DELLA VERGINE MARIA sono state inserite nel credo, ma Eutiche le ha
lasciate fuori perch un discepolo di Apollinare ... Per quanto riguarda l'espressione che i santi padri usarono a Nicea, cio S'INCARN, i santi padri che seguirono chiarirono con l'aggiunta PER OPERA
DELLO SPIRITO SANTO E DELLA VERGINE MARIA". Bench non abbia citato esplicitamente C, probabile che Diogene lo avesse in mente quando si rifer a una versione ampliata di N. La sua dichiarazione
fu immediatamente contestata. I vescovi egiziani subito protestarono contro l'idea che fosse stato aggiunto qualcosa al credo dei padri
di Nicea, e dichiararono che Eutiche aveva avuto ragione di citare
quest'ultimo nella sua forma originale. Ma l'episodio prova che, anche in una data cos tardiva, Cera considerato come un ampliamento di N, redatto dai 150 padri.
Lo stesso orientamento emerse varie volte a Calcedonia. Per esempio, durante la quarta sessione, quando i membri stavano confermando la concordanza del Tomo di S. Leone con Ne C, Fiorenzo
di Adrianopoli in Pisidia defin il nostro credo come "proclamante
chiaramente che nostro Signore Ges Cristo si incarn per opera dello
Spirito Santo e della Vergine Maria". 9 Nella Definizione stessa il
concilio parl di "decisioni ratificate dai 150 padri a Costantinopoli per distruggere le eresie che si erano diffuse allora, come pure per
8
LA TRADIZIONE RIGUARDANTE C
297
A.C.0.
A.e.o. n.
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Confronto tra C e N
CONFRONTO TRA C E N
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IL CREDO COSTANTINOPOLITANO
20
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La tradizione universale, come abbiamo gi osservato, fin dal tempo almeno del concilio di Calcedonia (451), che C fosse il credo
ratificato dai 150 vescovi che formarono il concilio di Costantinopoli (maggio-luglio 381), e convocati, insieme con circa 36 vescovi
macedoniani che in seguito si ritirarono, dall'imperatore Teodosio
I per il triplice scopo di stabilire finalmente la fede di Nicea, di eliminare tutte le eresie, nominando un vescovo ortodosso per la citt
imperiale, e di risolvere altre questioni del momento. Fino a poco
tempo fa la grande maggioranza degli studiosi moderni stata una21
22
23
Per quanto riguarda il testo e un riassunto delle teorie su di esso, vedi Dossetti,
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IL CREDO COSTANTINOPOLITANO
La lettera di Teodosio, che compendia il lavoro del concilio, di24 Vedi F.J.A. Hort in Two Dissertations, 73ss.; A. Harnack in Realencyk/., 3
ed., XI, 17ss.; J. KunZJe, Das niciinisch-konstantinopolitanische Symbol, Lipsia, 1898,
5ss.
25 Per quanto riguarda la lettera e i canoni, vedi Mansi Ili, 557ss.
26 Cf. Mansi III, 567, per quanto riguarda il credo.
303
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IL CREDO COSTANTINOPOLITANO
305
razione della sua fede, Flaviano diede una risposta quasi uguale: "Le
nostre opinioni sono ortodosse e non possono essere biasimate, perch ci conformiamo sempre alle qvine Scritture e alle dichiarazioni
ufficiali dei santi padri che si incontrarono a Nicea e di coloro che
si incontrarono a Efeso al tempo di Cirillo di felice memoria". 38 Le
parole ''e a Costantinopoli'', che ricorrono in molti MSS e che indicano un credo di Costantinopoli, sono rifiutate dagli storici della
scuola d Hamack come un'intrusione nel testo autentico.
La testimonianza del "latrocinio efesino" (449) rispecchia esattamente la stessa mentalit. Entrambi i comitati che vi si riunirono
ignorarono evidentemente nello stesso modo c e furono ugualmente concordi nel riconoscere N come la sola formula autorevole. L'imperatore, nella lettera ufficiale al sinodo, fece riferimento alla ''fede
ortodossa esposta dai santi padri di Nicea e confermata dal sacro
sinodo di Efeso'' ;38 ed Eutiche stesso asser che era stato esposto a
molti pericoli perch, in armonia con le risoluzioni adottate nel precedente concilio di Efeso, aveva deciso "di non pensare in altro modo che non fosse in accordo con la fede espressa dai santi padri" .40
A parte i concili, tuttavia, la stessa reticenza nei riguardi dell'asserita ratifica di Ca Costantinopoli nel 381 si riflette negli scritti di teologi di tutte le scuole del periodo in esame. Un'accurata ricerca di
prove richiederebbe uno spazio maggiore di quello che pu essere
qui dedicato a questo argomento. da notare, tuttavia, che Nestorio, che fu patriarca di Costantinopoli fino al 431 e che per primo
introdusse il credo nella controversia cristologica, nella sua prima
lettera41 a papa Celestino, parl con coerenza di "fede di Nicea".
Il testo che usava, bench divergesse spesso grandemente da N nella
sua forma integrale, non coincideva tuttavia con C e naturalmente
non gli era mai venuto in mente che qualche altro formulario fosse
autorevole come quello sanzionato dai 318 padri. Anche S. Cirillo
era. a conoscenza di un solo simbolo valido e vincolante, che chiamava la fede stabilita dai padri di Nicea. Fu un accanito sostenitore
del suo testo integro e non alterato, e una volta derise pesantemente
Nestorio per aver ricordato che conteneva la clausola S'INCARN
38 A.e.o.
39 A.C.O.
40 A.C.0.
II, I, i, 35.
Il, I, i, 73 e 82.
Il, l. i, 90s.
41 Scritto nel 429. Per quanto riguarda il testo vedi Nestoriana di F. Loofs, Halle,
1905, 165ss.
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dei 150 padri. Una volta ancora F.J .A. Hort propose una soluzione
largamente accettata. 41} Port l'attenzione sul fatto che, bench S.
Cirillo fosse egli stesso presente al concilio di Costantinopoli, la sua
ortodossia non era al di sopra di ogni sospetto agli occhi dei teologi
occidentali, perch per lungo tempo aveva militato nel partito antiniceno. Infatti l'ostilit dell'Occidente contro il concilio era in gran
parte dovuta al ruolo preminente svolto nelle sue deliberazioni da
uomini della cui teologia c'era motivo di dubitare. Soprattutto, il
vescovo che per un periodo fu presidente del concilio, Melezio di
Antiochia, non era affatto ritenuto come persona ortodossa in Occidente. La Chiesa orientale aveva capito in pieno l'atteggiamento
dogmatico dell'Occidente. Nulla avrebbe potuto allora essere pi naturale per S. Cirillo che presentare un credo come prova della sua
precisione teologica; e il credo che avrebbe presentato sarebbe stato
il credo corretto di Gerusalemme. Questo poi, inserito negli atti del
concilio quando, molti anni dopo, la gente aveva ormai dimenticato l'esatto svolgimento dei fatti, pu essere stato effettivamente considerato come il credo promulgato dal concilio.
Una soluzione alternativa fu avanzata da J. Kunze in un'importante monografia, so e nei suoi aspetti principali stata recentemente sostenuta da E. Molland. 51 Secondo questa opinione, C pu essere stato usato durante la consacrazione battesimale ed episcopale di Nettario, pretore della citt, che, eletto vescovo di Costantinopoli durante il concilio, di conseguenza ne divenne il terzo presidente.
Al momento della sua elezione era noto per essere stato laico e non
battezzato. probabile argomenta Kunze, che avesse ricevuto sia
l'istruzione battesimale che il sacramento stesso dalle mani di Diodoro di Tarso, sostenitore della sua candidatura. Il fatto che C venne alla luce per la prima volta a Cipro (Salamina era la citt sede
di S. Epifanio) e pass da l a Syedra in Panfilia, sembrava a Kunze
che rendesse evidente la sua possibile adozione da parte della Chiesa di Tarso in Cilicia. Il suo uso durante il battesimo e l'ordinazione
di Nettario sarebbe dunque perfettamente naturale, se.Diodoro era
il vescovo ministrante. Ammettendo che fosse usato cos, C sarebbe
stato per questo motivo inevitabilmente legato al concilio, tanto pi
che Nettario, probabilmente dopo questo avvenimento, ne fece il credo ufficiale di Costantinopoli. Fra le altre prove, che a Kunze semTwo Dissertations, 97ss.
so Das nicanisch-konstant. Symbol, 32ss.
51 Vedi Opuscu/a Patristica, Oslo-Bergen-Tromso, 1970, 236.
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bravano calzare con la sua supposizione, c' una curiosa nota che
inserita negli atti e che riporta la votazione a Calcedonia sulla questione se N e C concordassero con il Tomo di Leone. Quando vot
Callinico di Apamea in Bitinia, citt non troppo lontana da Costantinopoli, precis che il concilio del 381 era stato tenuto "durante
la consacrazione del piissimo Nettario". 52 C'era evidentemente un
legame nella sua mente tra il credo che faceva parte della Definizione e l'elevazione di Nettario all'episcopato.
4.
Le considerazioni elencate nella parte precedente pongono necessariamente l'attribuzione tradizionale di C al concilio di Costantinopoli di fronte a un inquietante interrogativo. Non possiamo eliminare con disinvoltura fatti, se di fatti si tratta, quali (a) l'assenza di qualsiasi traccia nei documenti contemporanei che il concilio
si sia reso responsabile senza motivo di n'iniziativa tanto diversa
dalla riaffermazione di N, (b) la presunta affermazione che nel lungo spazio di tempo tra Costantinopoli e Calcedonia N era la sola
formula autorevole, e (e) la prova che C era in uso unicamente come un credo battesimale locale quasi un decennio prima che i padri
si incontrassero. Non c' da sorprendersi se per molti studiosi queste prove furono schiaccianti. D'altra parte, tuttavia, c' sempre stata
una minoranza che si rifiutata di cedere. Osserviamo, infatti, che
Caspari ader fortemente alla tradizione, malgrado capisse le difficolt che questa implicava. Perfino nell'epoca di maggior vigore dell'ipotesi di Hort-Harnack, si potevano udire distintamente voci che
dubitavano della sua validit. Fra questi coraggiosi conservatori si
possono annoverare lo studioso tedesco W. Schmidt, 53 lo storico ecclesiastico russo A.P. Lebedev, 54 e il vescovo greco Chr. Papadopoulos. 55 L'inglese F. J. Badcock56 entr in seguito nelle loro file.
Ancor pi recentemente Eduard Schwartz57 aggiunse la sua influente autorit in difesa della tradizione nella sua forma pi intransi-
53
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di nuovi credo. Essi avrebbero sicuramente resistito fino all'estremo contro chiunque avesse tentato d'imporre loro con l'inganno una
formula che non era assolutamente condivisa dal sinodo. Questa circostanza cos importante che avr valore per noi mentre riporteremo in dettaglio i riferimenti fatti a C nel corso dello svolgimento
del concilio.
C venne citato per la prima volta, al termine della prima sessione,
dai legati imperiali. Essi invitarono tutti i vescovi presenti a esporre
per iscritto la loro fede senza alcun timore, e sapendo che la fede
dello stesso imperatore era "in accordo con l'ekthesis dei 318 santi
padri di Nicea e con l' ekthesis dei 150 che si incontrarono poi in seguito". 59 Ali' apertura della seconda sessione, quando i legati sollecitavano insistentemente l'assemblea perch assolvesseil compito di
"esporre integralmente la fede" (volevano che fosse redatto un nuovo
credo), i padri affermarono ancora che, insieme con l'imperatore,
"aderivano totalmente alla fede ortodossa consegnata dai 318 e dai
150 e dagli altri santi e insigni padri". 60 Nella discussione che segu
i vescovi sollevarono obiezioni contro la presentazione di un nuovo
credo, sostenendo che avrebbe dovuto prevalere l'insegnamento dei
padri, e coloro che parlarono si appellarono coerentemente a N, non
facendo mai riferimento a e~ Infine, in risposta a una mozione presentata da Cecropio di Sebastopoli, N fu letto ad alta voce, e venne
accolto con un immenso applauso. I legati comandarono allora che
"l'ekthesis dei 150" venisse letta ad alta voce anch'essa, e ci fu fatto.61 L'applauso che l'accolse fu notevolmente meno vivace, ma
non si sollev nessuna voce di dissenso. Poco dopo l'assemblea fu
sciolta, e sentiamo parlare di C solo durante la quarta sessione. In
risposta alla richiesta dei legati di sapere quanto aveva deciso il sinodo circa il credo, il legato papale Pascasino rispose a titolo personale e da parte dei suoi colleghi che il sinodo aderiva alla regola di
fede pubblicata dai 318 padri a Nicea, quella identica fede che "il
sinodo dei 150 riuniti a Costantinopoli ai tempi di Teodosio il Grande
di santa memoria aveva confermato", il credo che il concilio di Efeso aveva sottoscritto, e al quale essi dichiaravano di non aggiungere
n togliere nulla. 62 A queste osservazioni seguirono applausi e i le-
A.e.o. n, 1, i, 195s.
A.e.o. n, i, ii, 1s.
61 A.e.o. 11, 1, ii, 79s.
62 A.e.o. II, I, ii, 93.
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gati continuarono a chiedere se "I'ekthesis dei 318 padri incontratisi molto tempo prima a Nicea e di quelli riunitisi in seguito nella citt
reale" fosse in armonia con il Tomo di papa Leone. Nel voto che
segu, 63 in pratica tutti i vescovi, cominciando da Anatolio di Costantinopoli e dai legati papali, citarono esplicitamente e insieme
a N come modello col quale concordava il Tomo. Solo i vescovi egiziani e alcuni altri limitarono il loro assenso a N, al concilio di Efeso e a S. Cirillo, ma essi, come appare chiaro dai dibattiti, si opponevano in realt al Tomo piuttosto che a C. 64 Infine, durante la
quinta sessione C fu inserito nella Definizione con le seguenti significative parole:
... noi abbiamo rinnovato l'infallibile fede dei padri, proclamando a tutti
il simbolo dei 318 e, in aggiunta a esso, accettando, come i nostri padri,
coloro che accolsero quella dichiarazione di ortodossia, i 150 che in seguito
si incontrarono nella grande Costantinopoli e insieme apposero il loro sigillo al medesimo credo. 65
I26s.
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za, era evidentemente disposto a mettere in ~ubbio la sua bona fides. Dovremmo ricordare che erano uomini animosi, pieni di
coraggio, come nel caso del loro rifiuto a redigete un nuovo credo,
in contrasto col volere chiaramente espresso dell'imperatore. dunque implicito che dovevano essere convinti che il credo fosse sostanzialmente e realmente collegato col concilio di Costantinopoli.
Credere che si siano astenuti dal mettere in dubbio le sue credenziali, o che, quando lo fecero, siano stati. ingannati da Anatolio e da
Aezio denota una strana dose di scetticismo. L'unica conclusione
ragionevole da tirare, per spiegare il loro smarrimento iniziale e il
successivo consenso a canonizzare C insieme a N, che nel frattempo siano state prodotte prove evidenti capaci di indurli a dichiararlo
in senso pieno come simbolo di fede del concilio del 381.
L'incapacit di spiegare l'atteggiamento e il linguaggio dei padri
di Calcedonia rende l'ipotesi di Hort-Harnack fondamentalmente
non convincente. Non sorprende che per questo motivo vi sia stato
da parte di alcuni studiosi il tentativo recente di scoprire vie e mezzi
che potessero riabilitare la.tradizione. Unico grande ostacolo sulla
loro strada stata la presenza di C, o di un credo molto simile, in
un trattato scritto molti anni prima del 381 da S. Epifanio. Dovremmo forse ricordare al lettore che le illazioni di questa argomentazione sono state talvolta spinte troppo oltre.. Pur ammettendo tutta la
loro validit, ancora possibile pensare che i padri del 381, anche
se non possono pi essere ritenuti quali autori di C, potrebbero ci
nondimeno averlo adottato come un'espressione adatta al loro insegnamento. Tuttavia l'ostacolo sembr a molti insormontabile finch, come risultato di una pi approfondita analisi del testo di S.
Epifanio, vennero messi in luce alcuni fatti che, una volta ben acGli studiosi ai
certati, hanno sgomberato il terreno definitivamente.
I
quli dovuta questa scoperta sono Lebedev, Papadopoulos e
Schwartz. 66
Riassumendo le loro conclusioni con una sola frase, vi sono motivi per ritenere che il credo, che originariamente occupava la posizione ora tenuta da Ep. I in Ancoratus 118, non era C ma N. Le
ragioni per giungere a questa conclusione sono due. Prima di tutto,
il linguaggio che lo stesso S. Epifanio us nel contesto immediato
66
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volta quale ortodosso non si era reso colpevole della stessa colpa.
Ortodosso deve ammettere che lui e i suoi compagni hanno fatto delle
aggiunte a N, ma dice a sua discolpa che le loro aggiunte non erano
incompatibili col credo di Nicea e riguardavano problemi che non
erano stati sollevati al tempo di Nicea. La data e la paternit del dialogo non sono sicure, ina deve essere stato scritto prima che scoppiasse la controversia dei nestoriani, e gli studiosi recenti hanno
dimostrato con prova inequivocabile che appartiene a Didimo il Cieco
(313-398). 71 Pu dunque benissimo collocarsi nel decennio immediatamente seguente il concilio del 381. E ancora, Teodoro di Mopsuestia, nel suo commento al credo di Nicea, 72 dopo averlo attribuito
tutto fino alle parole E NELLO SPIRITO SANTO ai padri di Nicea, dichiar che il successivo e pi elaborato insegnamento sullo Spirito
era dovuto "ai padri che vennero dopo di loro". Disse che l'iniziativa era stata presa da un sinodo di vescovi occidentali, ma poi confermata da una riunione successiva di vescovi orientali. Alcune pagine
dopo73 torn a ripeterlo, affermando ancora che "i dottori della
Chiesa, che si riunirono da ogni parte della terra e che furono gli
eredi dei primi padri benedetti" firmarono la fede di Nicea ma aggiungendo clausole sullo Spirito Santo. Abbiamo notato in precedenza che Diogene di Cizico esprimeva lo stesso parere, nei riguardi
per di un'altra clausola di C, a Calcedonia, dicendo che l'espressione DALLO SPIRITO SANTO E DALLA VERGINE MARIA era stata inserita da "i santi padri venuti dopo". 74 La stessa tradizione, come
abbiamo visto prima, riguardante l'attivit dei 150 padri fu tramandata nei gruppi ortodossi e monofisiti dopo Calcedonia.
Non bisogna meravigliarsi, alla luce di queste e di altre simili considerazioni, che la teoria tradizionale, che attribuisce al concilio del
381 la promulgazione di C, sia stata ancora una volta seriamente
posta in discussione. La difficolt principale rimane la cortina di silenzio che, malgrado i tentativi sopra ricordati, sembra cadergli addosso fino a Calcedonia. Molti potrebbero pensare che il mancato
riconoscimento di ecumenicit del sinodo di Costantinopoli sia una
spiegazione sufficiente. E. Schwartz, tuttavia, impresse una sua par71 Cf. E. Stolz in Theologische Quartalschrift lxxxvii, 1905, 395s., e lo studio molto approfondito di Anselmo Gtinthir, O.S.B., in Studia Anselmiana Xl, Roma, 1941.
72 Cf. I'edzione di A. Mingana, Woodbrooke Studie.s V (Cambrdge 1932), 93.
73 /bid. lOls.
74 Vedi sopra, p. 296 (A.e.o. II, I, i, 91).
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eia di soluzione, e lasciare poi ai paragrafi successivila sua elaborazione. La sola spiegazione soddisfacente, che vorremmo indicare per
i fatti apparentemente contraddittori, la seguente. Il concilio di Costantinopoli, in un momento del suo svolgimento, approv e us effettivamente C, ma nel fare ci non pens di promulgare un nuovo
credo. Era sua convinta intenzione, perfettamente compresa dagli
ecclesiastici contemporanei, di confermare semplicemente la fede di
Nicea. Che dovesse farlo adottando una formula del tutto differente da quella di Nicea pu sembrare paradossale a noi, se non vogliamo ricordare l'importanza attribuita in questo periodo all'insegnamento di Nicea pi che all'espressione letterale di N. improbabile che il concilio abbia realmente composto C. L'intero
stile del credo, il suo grazioso equilibrio e il suo dolce fluire, danno
l'impressione pi di un brano liturgico emerso spontaneamente nella vita e nel culto della comunit cristiana, che di un'elaborazione
artificiosa del concilio. C probabilmente esisteva gi quando il concilio lo fece proprio, non necessariamente nella forma odierna: i padri possono benissimo averlo ritoccato per armonizzarlo con i loro
propositi. Scegliendo C com formulario appropriato, il concilio intendeva incontestabilmente riconfermare la fede di Nicea, ma era
senza dubbio guidato nella sua scelta dalla convinzione che questa
particolare formulazione dell'insegnamento di Nicea, pur modificata
da quelle espressioni che ritenesse conveniente aggiungere, era particolarmente adatta ad affrontare le particolari questioni di cui
stava occupandosi. Se il credo si trovasse come un documento illustrativo in quella "pi completa dichiarazione" alla quale il concilio che si radun nel 382 alludeva nella sua lettera sinodale, un
fatto dubbio. Se vi si trov, fu forse inserito n passant nel corpo
della dichiarazione, proprio come l'Antico Credo Romano fu inserito apparentemente per caso da Marcello di Ancira nella sua apologia teologica, mentre la proclamazione stessa consisteva in una
franca riaffermazione della fede sacrosanta di Nicea di fronte alle
varie scuole ereticali.
Un'ipotesi del genere (i dettagli, naturalmente, vengono proposti
soltanto come tentativi d'approccio) coincide coerentemente con le
relazioni del IV e del V secolo su quanto accadde a Costantinopoli.
Storici e altri affermano concordemente che i 150 padri si erano accontentati di riconfermare la fede di Nicea; e il primo canone conferma pienamente tutto ci. La tradizione che trov un'eco a
Calcedonia stessa, da Teodoro di Mopsuestia in avanti, in generale
322
IL CREDO COSTANTINOPOLITANO
stata concorde nel dire che, per quanto riguardava il corpo principale del credo, i 150 padri conformarono semplicemente la fede di
Nicea: il loro contributo personale stato di elaborare il terzo articolo, o probabilmente (cos secondo Diogene di Cizico) di inserire
DALLO SPIRITO SANTO E DALLA VERGINE MARIA. Possiamo notare
che la tradizione non ha mai affermato che C sia stato formulato
dai 150 padri; era pi costante e ricorrente opinione che C fosse stato N reinterpretato e chiarito in alcuni punti cruciali. Questo insieme di prove costituisce un importante argomento contro l'affermazione che un credo del tutto nuovo sia stato promulgato dal
concilio. Non tiene, dunque, l'ipotesi di Schwartz secondo la quale il tomos citato nella lettera del sinodo del 382 debba essere il credo. Non solo la parola naturalmente viene interpretata molto pi
di un'ampia dichiarazione teologica, ma la lettera collega il tomos
del 381 con quello del sinodo precedente di Antiochia, che per quanto
ci dato di sapere non produsse alcun credo. D'altra parte, non c'
bisogno di interpretare la tradizione come se autorizzasse a concludere che a Costantinopoli fu riaffermato N nella sua forma integra
e originale. Le difficolt che incontra questa ipotesi si sono dimostrate almeno ugualmente ardue. Se concludiamo che la fede di Nicea fu ratificata sotto forma di C, abbiamo una spiegazione del corso
degli eventi che sembra rendere conto pienamente di tutti i fatti.
Di tutti i fatti eccetto uno: perch rimane ancora il problema conclusivo, di importanza essenziale, quale forma di approvazione il concilio diede a C, in quale momento del suo svolgimento, e come
risultato di quali sue procedure questa formula pot essete designata verosimilmente come il suo credo. Finora gli studiosi hanno dovuto accontentarsi di supposizioni vaghe e generiche, ma recentemente stata proposta da A.M. Ritter una soluzione interessante e soddisfacente del problema. In breve, egli afferma 82 che il
credo sia stato ufficialmente proposto al concilio durante i dibattiti
con la delegazione di vescovi macedoniani o pneumatomachi guidati da Eleusio di Cizico, gi ricordati due volte. 83 Obiettivo di questi
dibattiti, secondo gli storici Socrate e Sozomeno, 84 era di giungere
a un compromesso tra la maggioranza ortodossa, che accettava la
82
83
Vedi il suo Das Konzil von Konstantinopel und sein Symbol, spec. 189-91.
Vedi p. 301-302 e 303.
84 Socrate, Hist. ecci. 5, 8; Sozomene, Hist. ecci. 7, 7, 2-5 (P.G. 67, 576s.; 1429).
323
86
324
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tribuisce specificamente a persone dissidenti e dubbiose della divinit dello Spirito Santo. Come ben noto, egli stesso non solo credette
fermamente nella divinit e nella consustanzialit dello Spirito (come fecero gli altri Cappadoci), ma sarebbe stato pienamente soddisfatto se esse fossero state proclamate apertamente e solennemente. 89
Potremmo allora concludere che durante le discussioni con i macedoniani il concilio propose, come dichiarazione di fede accettabile da tutte e due le parti, una versione del ''credo di Nicea'' modificata
da elementi aggiunti riguardanti lo Spirito Santo che erano ritenuti
insufficienti da S. Gregorio (ben sapendo egli esattamente90 di quale
integrazione ci fosse bisogno al riguardo).
Come con buoni argomenti ha affermato Ritter, da tutto questo
poi facile identificare la formula proposta, che evitando forzatamente di invocare lo Spirito "Dio" e "consustanziale" potrebbe sembrare voler compiere un atto di pacificazione con cristiani che, come
i macedoniani, mettevano in dubbio la sua natura pienamente. divina. Come diremo in seguito, C, pur eludendo per amor di pace i
termini controversi, tuttavia conteneva una pneumatologia che in
sostanza era tutto quello che S. Gregorio avrebbe potuto desiderare. Ma la mancanza di franchezza e la deludente aria di ambiguit
su questo articolo di importanza fondamentale furono sufficienti a
condannarlo ai suoi occhi.
Se questa identificazione (che, per inciso, sorretta dal riferimento,
gi riportato, 91 nello pseudoatanasiano De Trinitate, all'ampliamento di N da parte degli ortodossi) viene accettata, possiamo subito
essere d'accordo che C fosse in senso vero, anche se piuttosto particolare, il credo dei 150 padri. I compromessi cessarono (come ci si
poteva aspettare), i malcontenti dei macedoniani scomparvero, e il
credo perse la sua originaria ragion d'essere; ma, dal momento che
il concilio l'aveva adottato e usato in interminabili discussioni, era
il credo del concilio. Questa relazione dei fatti fornisce anche una
spiegazione adeguata dello strano silenzio che avvolge C come credo indipendente. Se il concilio avesse veramente formulato un.nuo-
Cf. Or. 6, 11; 21, 34; 31, 10 (P.G. 35, 726; 1124; 36, 144).
Cf. le sue note citate a p. 303.
Vedi p. 317. Il contesto dimostra che le "aggiunte" di cui si lament Macedo
nio riguardavano lo Spirito Santo.
89
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91
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326
IL CREDO COSTANTINOPOLITANO
hanno ricevuto questa affermazione di ortodossia, i 150 padri che in seguito si riunirono nella grande Costantinopoli e apposero il loro sigillo alla medesima fede.
E scrissero ancora:
Noi decretiamo che l'esposizione della giusta e irreprensibile fede dei 318
santi e benedetti padri, riuniti a Nicea al tempo dell'imperatore Costantino
di felice memoria, debba essere preminente (11"Qo)..t.1mv v), mentre le decisioni dei 150 santi padri. .. dovrebbero pure essere considerate buone. 92
9g
94
A.e.o. II,
A.e.o. II,
1, ii, 126s.
1, ii, 12ss.
R.H.E. xxxii, 1936, 860.
327
95
CAPITOLO UNDICESIMO
L'INSEGNAMENTO E
J.
LA STORIA DI C
Ce l'Apollinarismo
Quali che siano state le circostanze della sua origine, il credo Costantinopolitano era destinato a un futuro radioso. Nella misura in
cui si possono ancora distinguere, dobbiamo ora raccontare il succedersi degli eventi attraverso i quali esso divenne l'unica confessione battesimale dell'Oriente e il credo eucaristico della cristianit. Ma
prima di accingerci a questo, bene dedicare due parti ad alcune
singolari dottrine che i loro originari autori o sostenitori erano preoccupati di imporre. Come il credo di Nicea di cui era considerato come un legittimo ampliamento, C porta i segni della controversia
teologica, che col passare dei secoli cominci a diventare confusa.
Il cristiano che lo ripete o lo sente oggi cantato durante i santi misteri ha raramente la consapevolezza della pi profonda intenzionalit teologica che si nasconde in alcune delle sue solenni clausole.
molto probabile che la struttura del credo fosse una confessione battesimale locale di uso corrente durante gli anni Settanta del
IV secolo, e con tutta probabilit appartenne o alla Chiesa di Antiochia o alla comunit di Gerusalemme. Come molti simili formulari battesimali dell'epoca successiva al sinodo di Alessandria (362),
era stato modificato in senso niceno con l'inclusione dell'homoousion. I suoi revisori, tuttavia, non inserirono la clausola di Nicea
CIO DALLA SOSTANZA DEL PADRE, e questo merita una particolare
attenzione. Harnack si gett a volo 1 a conferma della ben nota teoria che la nuova ortodossia, adottata dopo il 362 e acclamata a Costantinopoli nel 381, era di Nicea soltanto il nome. "Non fu l'homoousion in fin dei conti ad averla vinta", egli scrisse, "ma la
dottrina omeusiana che era venuta a patti con l'homoousion". Gli
omeusiani "amici a met del simbolo niceno" e i Cappadoci, egli
afferm, trovarono che lo stesso homoousion era abbastanza accettabile perch poteva senza alcuna difficolt essere interpretato co1 Cf.
s ed., Tubinga,
330
L'INSEGNAMENTO E LA STORIA DI C
me ''simile nella sostanza''. Dai loro scritti risulta, tuttavia, che essi
si trovarono assai pi a disagio per quanto riguardava DALLA SOSTANZA DEL PADRE, che li colp come un esplicito invito al sabellianismo. 2 Il giudizio finale su questo problema caldamente dibattuto
appartiene allo storico della dottrina: 3 tutto ci che potremo dire
qui che un'attenta analisi della teologia dei Cappadoci non conferma la rilettura della storia da parte di Harnack. Per quanto riguarda i veri e propri omeusiani, il loro atteggiamento era del tutto
opposto a quello descritto da Harnack. Pur respingendo l'homoousion, essi trovarono che h 'T~'> o-crtm era perfettamente accettabile,
tanto che lo inclusero nel loro documento, per il fatto che da solo
non portava ad ammettere l'identit di sostanza. Coloro che non sono
convinti di tutta l'argomentazione di Harnack non hanno bisogno
di dare un particolare significato all'omissione nel credo della clausola in oggetto. Il credo era, prima di tutto, una formula con scopi
liturgici, e, mentre era desiderabile portarlo sulla stessa linea della
ortodossia di Nicea, non era per necessario inserirvi tutte le clausole di Nicea.
Il primo passo di C che, secondo l'antica tradizione, dovette il suo
inserimento a motivi dogmatici la clausola DALLO SPIRITO SANTO
E DALLA VERGINE MARIA. Queste parole, che elaboravano il semplice
S'INCARN di N, sembra siano state aggiunte col proposito di esprimere l'opposizione del credo all'apollinarismo. La nostra prima valida prova di questo l'episodio dell'intervento di Diogene, vescovo
di Cizico, nella prima sessione del concilio di Calcedonia di cui si
gi parlato pi di una volta. Provocato, come abbiamo detto, dall'adesione di Eutiche al puro e semplice testo di N, Diogene protest che al credo di Nicea erano state apportate delle aggiunte da parte
dei santi padri a causa delle teorie perverse di Apollinare, Valentino
e Macedonia, e di uomini come loro. 4 Egli prosegu: "Al credo era
stato aggiunto IL QUALE DISCESE E SI INCARNATO PER OPERA DELLO SPIRITO SANTO E DALLA VERGINE MARIA. Eutiche ha trascurato queste parole perch un apollinarista. Lo stesso Apollinare
accetta il sacro sinodo di Nicea, interpretandone le definizioni se~
2 Op. cit.
3 Per una
277.
critica dell'opinione cli Harnack, cf. J .F Bethune-Baker, The Meaning
of Homoousios in the "Costantinopolitan" Creed (I'exts ami Studies Vll /)Cambridge,
1901; Ritter 291s.
41 Cf. Epifanio, Pan. haer. 73, 6 (Roll III 27_6): citato da Ritter.
C E L' APOLLINARISMO
3.31
condo le sue idee sbagliate. Ma non dice ''PER OPERA DELLO SPIRITO SANTO E DELLA VERGINE MARIA', per evitare di ammettere
l'unione della carne ( tva 'lrnt.VTcxxo .~ 'T]v .'v<..l<Hv Tls cr~Qxs
.o)\o'Yiicr'IJ)" .5 Possiamo confrontare con questo una dichiarazione di Giustiniano in un decreto pubblicato nel 533, in cui, dopo aver
dichiarato la sua fedelt al credo dei 318 padri che i 150 avevano
chiarito e spiegato, egli aggiunse: "Non perch ci mancasse qualcosa, ma perch alcuni nemici della fede avevano presunto di minare
la divinit dello Spirito Santo, mentre altri avevano rinnegato la vera incarnazione del Verbo di Dio dalla santa Maria, sempre vergine,
madre di Dio" .6
Sappiamo che la vera e propria eresia di Apollinare consisteva nel
suo rifiuto ad ammettere la pienezza dell'umanit del Signore. Egli
pensava che il Verbo non avrebbe potuto assumere un'anima umana libera e intelligente senza introdurre un deleterio dualismo nel1' essere del Salvatore. Inizialmente egli, basandosi su un'antropologia
dicotomica, insegn che la natura umana del Cristo consisteva semplicemente di un corpo, mentre il principio spirituale dell'anima era
sostituito dal Verbo. In seguito, divenuto tricotomista, ammise che
il Cristo possedeva un'anima sensitiva ('1--uxiJ) aggiunta a un corpo,
ma negava che Egli avesse un'anima razionale umana (vos). In entrambi i casi la sua dottrina era che il Cristo aveva solo un'unica
natura, e che la carne era qualcosa di avventizio e di aggiunto alla
divinit. Ben presto, per, ogni sorta di strane, per non dire tra di
loro incoerenti, e distorte sue idee si trovarono ampiamente sparse,
come possiamo vedere chiaramente dalla Lettera a Epitteto di Atanasio (scritta nel370 o nel 371). Questa riteneva che gli apollinaristi
insegnassero che il corpo nato da Maria fosse consustanziale con la
divinit del Verbo, e che il Verbo fosse trasformato in carne, che
il Salvatore avesse un corpo soltanto apparente e non naturale, che
la sua divinit stessa pat le esperienze umane, che Ges non assunse un corpo passibile dalla beata Vergine ma ne form uno dalla sua
stessa sostanza, che il suo corpo era coeterno con la sua natura divina, e cos via. 7 Quasi il medesimo quadro, o piuttosto la stessa
caricatura dell'apollinarismo viene fornita da S. Epifanio, 8 che
s A.e.o. n, 1, i, 91.
Cf. P. Kriiger, Codex Justinianus, Berlino, 1877 I, I. 7 Giustiniano sembra sostenere la nascita dalla Vergine nei suoi decreti.
7 Ep. ad Epict. 2 (P.G. 26, 1052s.).
8 Pan. haer. 77 (Hall Ili, 416-451). Scriveva nel 377.
6
332
L'INSEGNAMENTO E LA STORIA DI C
C E L' APOLLINARISMO
333
zione originaria di C, come stato accennato nel capitolo precedente, risulta esatto, sembra assai probabile che nel formularlo i 150
padri avessero intenzione di respingere l'apollinarismo. Il loro unico obiettivo a questo punto era di raggiungere un accordo con i macedoniani,_ e a questo scopo la conclusione apollinarsta era del tutto
irrilevante. Evidentemente, bisogna ammettere che uno degli scopi
del concilio era di mettere al bando l'apollinarismo, ma non c'era
motivo che ci venisse fatto in modo indiretto o impreciso e usando
un linguaggio che, a parte le sue implicazioni pi profonde, era (come abbiamo notato) perfettamente gradito agli eretici. Se il concilio
avesse seguito questa linea, avrebbe indubbiamente ricevuto un altro bruciante rimprovero da parte di S. Gregorio Nazanzeno nel suo
poema autobiografico, poich questi era inflessibile e esplicito nella
sua opposizione all'apollinarismo tanto quanto lo era nella sua convinzione della piena divinit dello Spirito Santo; ma il poema non
contiene, osserva acutamente Ritter, 15 nessuna traccia di simile rimprovero. Di fatto, i padri condannarono energicamente l'apollinarismo nel loro primo canone; e abbiamo tutti i motivi di supporre
che lo fecero molto dettagliatamente, e in termini precisi e efficaci,
nel loro tomos dogmatico. In ogni caso il sommario d quest'ultimo, che ci rimasto nella lettera sinodale del 382, non ha esitazione
di fronte all'eresia, e dichiara 16 senza ambiguit che "conserviamo
inalterata la dottrina dell'incarnazione del Signore, accettando la tradizione secondo cui la sua attuazione nella carne non fu n senza
anima n senza mente razionale n incompleta, e riconoscendo pienamente che Dio il Verbo era perfetto prima di ogni tempo, e negli
Ultimi tempi divenne perfetto uomo per la nostra salvezza''.
L'unica conclusione plausibile dunque che non c'era nessun attacco antiapollinarista nella clausola DALLO SPIRITO SANTO E DALLA VERGINE MARIA; le parole sono presenti in C per il semplice
motivo che i padri le avevano trovate nella formula che usavano come fondamentale. Tuttavia rimane un fatto storicamente indiscutibile che Diogene di Cizico e altri, durante e dopo Calcedonia, credettero fermamente che esse fossero state inserite nel credo col'intento di eliminare l'apollinarismo. Per quanto erronea appaia questa tradizione, dobbiamo per spiegare come prese corpo e a questo
scopo sono state proposte svariate soluzioni.
15 Op.
16
cit., 193ss.
Teodoreto, Hist. ecci. 5, 9, 12 (Parmentier, 292s.).
334
L'INSEGNAMENTO E LA STORIA DI C
Lo Spirito Santo in C
LO SPIRITO SANTO IN C
335
circa la tendenza polemica della clausola seguente nella quale C svolgeva e ampliava l'insegnamento del credo originale di Nicea. Si tratta,
naturalmente, della frase IL CUI REGNO NON AVR FINE. Queste parole, riprese interamente da S. Luca (1, 33), miravano alla dottrina,
attribuita a Marcello di Ancira, che il rapporto di figliolanza divina
si limitava all'incarnazione, e sarebbe scomparso al compimento dei
fini per i quali il Verbo si era incarnato. Il Verbo sarebbe allora nuovamente diventato ci che era stato dall'eternit, immanente.nel Padre, che sarebbe stato tutto in tutti. 20 Abbiamo visto nel cap. IX che
le clausole antimarcelliane, espresse in questi o in termini analoghi,
furono incorporate nella maggior parte dei credo conciliari orienta-
li composti negli anni Quaranta e Cinquanta del IV secolo: esse testimoniano il timore c,on cui venivano considerate le opinioni di
Marcello. Le parole stesse comparvero nel credo commentato da S.
Cirillo di Gerusalemme, che dette pieno corso alla sua animosit contro l'eretico: "Se mai udite qualcuno dire che c' una fine al regno
di Cristo, odiate l'eresia. un'altra testa di drago cresciuta recentemente nella regione dei Galati" .21 Marcello mor nel 374, e Io stato
di agitazione per le sue pericolose dottrine in gran parte cess. Tuttavia fino al 377 le lettere di S. Basilio rivelano che essi erano ancora intimoriti, e si era contrari a riammettere con troppa facilit alla
c;omunione coloro che le condividevano. 22 I marcelliani e fotniani
{seguaci del discepolo estremista e alleato di Marcello) si trovavano
isolati fra gli eretici per la condanna nel primo canone del concilio
di Costantinopoli. L'obiettivo del concilio, chiaramente, era di eliminare una volta per tutte le varie eresie da cui era stato ostacolato,
fin dalla sua formulazione, il puro insegnamento della fede di Nicea, e, poich esso metteva al bando gli ariani e i loro successori,
era ovvio che quanti condividevano le eresie dei sabelliani fossero
proscritti anch'essi. Con tutta probabilit la clausola IL CUI REGNO
ecc. si trovava gi nel credo che i 150 padri rilevarono e adottarono. Era un comma del credo di S. Cirillo che risaliva al 348, e deve
essersi diffuso in altri credo di Gerusalemme e gruppi simili.
Il bando della dottrina marcelliana sembr ad alcuni studiosi, non
del tutto giustamente, un semplice pro forma che rimetteva in vigore gli anatematismi diventati ormai convenzionali. Ma il terzo articolo del credo Costantinopolitano al di l di ogni questione rapV. sopra, p. 264s.
Cat. 15, 27 (P.G. 33, 909).
22 Cf. Epp. 263, 5; 265, 3 (P.G.32, 981; 988s.).
20
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presentato con un linguaggio molto pi moderato e meno provocatorio di quanto le decisioni del sinodo ratificarono in seguito.
Possiamo sottolineare in primo luogo il sapore scritturistico del
linguaggio adoperato. S. Paolo aveva usato la parola SIGNORE riferendola allo Spirito in 2 Cor 3, 17. Aveva anche parlato dello Spiri~
to come "lo Spirito della vita" (Rm 8, 2), e l'epiteto DATORE DI VITA
(~wo1t"oto11) nella sua forma verbale (two11"ou:'L11) era stato riferito a
Lui in Gv 6, 63 e 2 Cor 3, 6. La descrizione CHE PROCEDE DAL PADRE era stata ripresa dalle stesse parole del Signore: "Lo Spirito della
verit, che procede dal Padre", riportate in Gv 15, 26, con solo un
cambiamento di preposizione (be al posto di 'll"Cl.Q&); e anche questo
cambiamento di preposizione e~a fondato sull'autorit del Iinguag~o di S. Paolo ("lo Spirito che proviene da Dio'') in I Cor 2, 12.
Le parole CHE HA PARLATO PER MEZZO DEI PROFETI, che naturalmente ebbero una lunga storia nei credo e risalivano al kerygma originario della cristianit, richiamavano il versetto di 2 Pt 1, 21:
''Poich non da volont umana fu recata mai una profezia, ma mossi
dallo Spirito Santo quegli uomini parlarono da parte di Dio":
In secondo luogo, ovvio che col credo si intendesse trasmettere
la dottrina della divinit dello Spirito Santo, con un linguaggio, tuttavia, studiato e calcolato in modo tale da non destare pi reazione
del previsto. La parola greca SIGNORE (T11 xuQwv) era l'equivalente dell'ebraico Yahveh dei Settanta, ma il suo uso era troppo comune
nel mondo ellenistico per essere determinante. La clausola pi im~.
portante; tuttavia, era CHE CON IL PADRE E IL FIGLIO INSIEME ADO~
RATO E GLORIFICATO. Le espressioni usate riproducevano quasi del
tutto la scelta delle parole di S. Atanasio: "Che glorificato con
il Padre e il Figlio" .30 Ancor pi stranamente l'espressione usata ri~
produceva il pensiero di S . .Basilio. Questi aveva scritto di "quelli:i.
solida dottrina secondo la quale il Figlio viene proclamato come ho~,
moousios con il Padre, e lo Spirito Santo annoverato assieme a
loro e con loro adorato con identico onore (.oTl..ws ouva12t6.t'L'TC1,L
Tt xc ouv)-.ctTQtUE.Tat) ". 31 Aveva anche scritto: 32 "Glorificando lo
Spirito Santo con il Padre e il Figlio con la convinzione che questi
non alieno dalla natura divina. Perch chi non ne condivide lanatura non avrebbe potuto condividere gli stessi onori". Il punto di
3o Cf.
LO SPIRITO SANTO IN C
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"partenza d.el suo trattato De Spiritu sancto era il desiderio di dimostrare la legittimit di una dossologia che glorificava il Padre "con
il Figlio e con Io Spirito Santo". Il tema centrale del suo trattato'.3 3
'era la dimostrazione dell'identit dell'onore (.on.[oi} attribuito aUo
Spirito con il Padre e il Figlio. Per S. Basilio queste frasi "conglorificazione" e "identit di onore" avevano un significato ben chiar9:
erano l'equivalente di "consustanziale" poich la loro applicabilit
era basata sull'identit dell'essere. 34
!
Una caratteristica di quest'articolo sullo Spirito, che viene spes~o
considerata sorprendente, il suo tono relativamente blando. Il con"ilio di Costantinopoli, come i nostri documenti ci dicono, afferm
;con decisione la piena consustanzialit dello Spirito Santo con la ni:ttura divina. Sembra che i rappresentanti macedoniani decisero di partire proprio perch non riuscivano a digerire questa affermazione.
Eppure la clausola che stianio studiando evita scrupolosamente il teti.mine homoousios e si accontenta, a parte la citazione sull'adorazio'Iie e sull'onore dovuti allo Spirito, di frasi bibliche che, per quanto
:ineccepibili sulla carta, potevano essere interpretate dai macedoniani secondo il loro proprio modo di vedere. Gli studiosi hanno con::siderato questo fatto come la prova decisiva che questo articolo non
poteva essere opera del concilio, il quale doveva essersi espresso con
tm linguaggio assai pi preciso se avesse redatto una professione di
'fede sullo Spirito. Ma simili argomentazioni tradiscono una strana
oincomprensione della situazione storica. Lo scopo di Teodosio in que:Sta fase del concilio era sinceramente conciliatorio, ed egli aveva insistito per includere nel suo invito una parte di vescovi macedoniani.
Secondo Scrate, 35 "l'imperatore e i vescovi che avevano condivi'. so la stessa fede non risparmiarono nessun tentativo per portare Eleu so e il suo partito in comunione con loro". Rinnovati sforzi per
ottenere da essi un riconoscimento furono fatti alcuni anni dopo: 36
si sperava molto che la Chiesa potesse essere riunita riconfermando
sostanzialmente la fede di Nicea. Contemporaneamente bisogna ricordare che non tutti gli ortodossi si sentivano completamente a loro agio per la chiara affermazione, che stava diventando obbligatoria,
Capp. 9-24 (P.G. 32, 108-173).
Per un esame completo della posizione di S. Basilio e del significato che aveva
:per lui homotimos, cf. l'edizione del De Spiritu sancto di B. Pruche, O.P., 12ss.,
Parigi, 1946.
35 Hist. eccl. 5, 8 (P.G. 67, 577).
36 Socrate Hist. ecci. 5, 10 (P.G. 67, 588).
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L'INSEGNAMENTO E LA STORIA DI C
L'uso battesimale di C
Canonizzato dal concilio di Costantinopoli e riaffermato nella Definizione Calcedoniana, C, in qualit di credo originario di Nicea,
37 Cf. l'aneddoto narrato da S. Greg. Naz., Ep. 58 (P.G. 37, 116). Cf. anche il
suo Orat.43, 68 (P.G. 36, 588).
38 Orat. 31, 5 (P.G. 36, 137).
39 Op. cit., 300 (con riferimenti utili).
L'USO BATTESIMALE DI C
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L'INSEGNAMENTO E LA STORIA DI C
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L'USO BATIESIMALE DI C
1v,
67-71.
Cf. la sua lettera all'imperatore Leone del 17 agosto 458, in A.C. O. II, iv, 114.
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L'INSEGNAMENTO E LA STORIA DI C
Bisogna ammettere che tutta la questione estremamente complicata; l'argomento richiede uno studio e una ricerca assai maggiori.
Come stato provato, tuttavia, l'unica possibile conclusione, per
quanto molti studiosi siano riluttanti a trarla, quella indicata sopra. Evidentemente la Chiesa romana, che era stata cos fiera per
avere usato per lungo tempo la stessa coilfessione battesimale, la mise
da parte intorno al secolo VI per sostituirla con C. Alcune altre Chiese
occidentali, per esempio quelle spagnole, la segUirono. Bench le circostanze in cui avvenne questa sorprendente rivoluzione siano oscure, alcuni fatti possono gettare una luc su di esse e spiegarne i motivi.
Prima di tutto, la sostituzione di R da parte di C nella liturgia battesimale fu seguita rapidamente dall'abbandono da parte di Roma del
suo atteggiamento sospettoso verso il concilio di Costantinopoli. In
secondo luogo, la Chiesa romana era stata di recente gravemente minacciata dall'arianesimo. Da qualche tempo i Goti, di religione ariana, si erano riversati nell'impero, e Odoacre e gli Ostrogoti avevano
ottenuto il controllo dell'Italia e minacciavano le porte della capitale. praticamente certo che, se le autorit romane furono indotte
;:td adottare C come il simbolo di fede per l'istruzione di candidati
al battesimo, esse erano mosse dal pensiero che questo poteva servire in modo pi sodlisfacente a contrastare l'eresia del tempo. E, non
ultima cosa, il mutamento deve essere $tato considerato come un effetto secondario di quella subordinazione.a Bisanzio alla quale la
Chiesa romana si trovava ridotta alla met del. secolo VI. 59
4.
La vittoriosa affermazione del Credo Costantinopolitano non doveva esser limitata alla liturgia battesimale. Pur essendo importante
il suo compito nell'iniziazione dei catecumeni cristiani, tale compito era destinato per ad essere superato da un ruolo ancor pi grande e pi intimamente legato alla vita quotidiana del credente. C venne
promosso, nel breve spazio di alcuni decenni in Oriente, e in Occidente da una serie di avvenimenti durati molti secoli, dal battesimo
alla santa eucaristia, e divenne cos il credo per eccellenza del culto
cristiano. Si tratt di un'innovazione rivoluzionaria, perch nella sua
forma originale e autentica la liturgia eucaristica non conteneva precedentemente nessuna confessione di fede formale e a s stante.
59
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L'INSEGNAMENTO E LA STORIA DI C
e scritta da un testimone attendibile. 62 Bisogna per notare che Teodoro non dichiar che Timoteo aveva introdotto l'usanza, ma semplicemente che essa era nuova a Costantinopoli.
La prassi avviata dagli eretici in un'atmosfera tanto incerta sembra che abbia preso piede immediatamente, e che non fu abolita neppure quando l'ortodossia riprese il sopravvento nella citt imperiale.
Una sorprendente dimostrazione del modo in cui essa venne accettata come un fatto naturale viene fornita dalla vivace narrazione degli
avvenimenti successivi alla morte del patriarca Timoteo (5 aprile 518)
e dell'imperatore monofisita Anastasio I (9 luglio 518). conservata
negli atti del concilio tenuto a Costantinopoli dal patriarca Mennas
nel 536. Questo documento contiene un emozionante resoconto delle tumultuose liturgie presiedute dal nuovo arcivescovo Giovanni a
Santa Sofia la domenica e il luned 15 e 16 luglio. Vi si narra63 come, in quest'ultima occasione, l'entusiasmo della moltitudine ortodossa super ogni limite, e aggiunge le parole significative: "Dopo
la lettura del vangelo, avendo la liturgia divina preso il suo corso
abituale, e essendo state chiuse le porte, essendo stato recitato secondo l'usanza il sacro credo (.&61111.ot) . ". Evidentemente, la folla
dava per scontato il credo nella celebrazione malgrado fosse dovuto
all'iniziativa monofisita. Veniva proclamato, come avviene anche oggi nel rito orientale, dopo l'offertorio e prima della pace. Mezzo secolo dopo, il suo uso durante l'eucaristia era ancora pi legittimato
da un'ordinanza dell'imperatore Giustino Il, emessa nel 568, con
la prescrizione che il simbolo di fede doveva essere cantato in ogni
Chiesa cattolica prima del Padre nostro. 64 Bench il momento di
proclamazione nel rito fosse stato indicato in modo perentorio, l'ordinanza divenne ben presto lettera morta, perch in tutte le liturgie
orientali il credo precede l'anafora.
Si ritiene talvolta che il credo _cos introdotto nella liturgia fosse
il simbolo originario di Nicea. Lo stesso Teodoro il Lettore parl
del credo dei 318 padri descrivendo in dettaglio l'innovazione di Timoteo a Costantinopoli. Secondo una teoria di studiosi moderni65 ,
62 Cos Dom B. Capelle in Cours et confrences des semaines liturgiques VI. Ma
anche se la storia su Pietro il Fullone anonima, non necessariamente apocrifa.
Non c' niente che sia intrinsecamente improbabile in essa, e nessun motivo apparente per cui debba essere stata inventata.
63 Mansi VIII 1057-1065.
6 4 Cf. Johannes Biclarensis, Chronicon(P.L. 72, 863).
65 Cos per esempio, secondo A.E. Burn, 114.
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L'INSEGNAMENTO E LA STORIA DI C
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L'INSEGNAMENTO E LA STORIA DI C
turgisti autorevoli e degni di fede della Gallia del secolo IX, come
Amalario cli Metz 78 (t 850 o 851), Rabano Mauro di Magonza 79 (t
856) e Remigio di Auxerre 80 (t circa 908), mantengono un rigoroso sileni:io nelle loro attendibili opere sul credo e sulla sua presenza
nella messa. D'altra parte, Enea di Parigi (t 871), scrivendo
verso la met dello stesso secolo, 81 parla de "la fede cattolica, che
il sabato l'intera Chiesa dei Galli canta durante la messa". Ci sono
due passi particolarmente importanti, tuttavia, che indicano la via
della vera soluzione. Il primo di Valafrido Strabone, abate di Reichenau, (t 849), e merita di essere riprodotto per intero: 82
Il simbolo della Chiesa cattolica, egli scrisse, viene giustamente ripetuto
durante la solennit della messa dopo il vangelo, cosicch per mezzo del santo
vangelo possiamo credere col cuore nella giustizia, e per mezzo del credo
viene fatta la confessione con le labbra per la salvezza. Ed importante notare ch il motivo per cui i Greci trasposero nella celebrazione eucaristica
questo credo (piuttosto che un altro), che noi, imitandoli, abbiamo adottato nella messa in canto musicale, era perch si trattava della particolare confessione del concilio di Costantinopoli. Forse sembrava pi adatto anche
ad essere musicato dei credo di Nicea, che era peraltro pi antico. Inoltre,
essi volevano che la piet del fedele, durante la celebrazione dei sacramenti,
combattesse i veleni degli eretici con la medicina preparata nella stessa citt
imperiale. Da l sembra che poi l'uso sia passato ai Romani. Fra i Galli e
i Germani, per, Io stesso credo cominci a esser ripetuto con sempre maggiore diffusione e frequenza (latius et crebrius) durante le celebrazioni eucaristiche, dopo la deposizione dell'eretico Felice, che fu condannat durante
il regno del glorioso Carlo, capo dei Franchi.
Il secondo passo importante si trova nel resoconto conservato dall'abate Smaragdo 83 di un incontro tenuto nell'810 fra papa Leone
III e tre delegati, o missi, inviati a Roma da Carlomagno. Il passo
troppo lungo per poter essere pubblicato integralmente, e in ogni
caso l'uso rozzo del latino non consentirebbe una traduzione presentabile. Il vero argomento del dibattito era la legittimit di includere le parole E DAL FIGLIO nel credo nel{a clausola sulla processione
dello Spirito Santo. Infatti, l'intento della missione di Carlomagno
Cf. il suo De eccl. offic. III (P.L. 105, 1101); scritto nell'820.
CL il suo De c/eric. instit. I (P.L. 107, 297ss.): scritto non pi tardi dell'819.
so Cf. De divin. offic. 40 (P.L. 101; 1246ss.; falsamente attribuito a Alcuino.
8 1 Adv. Graec. 93 (P.L.121, 721).
82 De ecci. rerum exord. et. increm. 22 (P.L. 114, 947).
83 P.i. 102, 971ss.; e anche Mon. Germ. Hist., Conci/. II, 240ss.
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L'INSEGNAMENTO E LA STORIA DI C
Per quanto riguarda.la lettera del papa, vedi Mon. Germ. Hist., Epp. III, 626.
C NELLA.SANTA EUCARISTIA
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dotte delle rubriche riguardanti il credo. Tutte le testimonianze veramente fondate che abbiamo (per esempio il rapporto di Smaragdo sull'incontro tra i missi e papa Leone) fanno chiaramente pensare che la recitazione del credo durante la messa fosse disapprovata
da Roma.
Dovevano passare duecento anni prima che un altro imperatore,
forse una figura meno famosa nella storia europea di quanto lo fosse Carlomagno, ma che aveva concesso favori al papa per cui quest'ultimo si sentiva obbligato a ricambiare, riuscisse a indurre uno
dei successori di Leone a portare l'uso romano a conformarsi con
il resto della cristianit. L'abate Bernone di Reichenau, che era anch'egli un testimone oculare, racconta come l'imperatore Enrico II,
nel visitare Roma nel 1014 per la sua incoronazione, fosse meravigliato di constatare che la messa, ivi celebrata, mancasse ancora di
'un credo. 88
"Se noi" scriveva Bemone "come spesso viene asserito, non possiamo
cantare l'inno angelico nei giorni festivi perch il clero roman non lo canta, non dovremmo ugualmente recitare il credo dopo il vangelo, perch i
romani non lo hanno mai cantato fino ai tempi dell'imperatore Enrico di
felice memoria. Ma essendo stato richiesto da questo imperatore in mia presenza perch fosse tale la loro prassi, Ii udii dare una risposta di questo genere, che la Chiesa romana non era mai stata inquinata con la feccia
dell'eresia, ma era rimasta senza scosse nella solidit della fede cattolica secondo l'insegnamento di S. Pietro, e cos era pi necessario che questo simbolo venisse cantato di frequente da coloro che potevano essere contaminati
da qualche eresia. Ma il signore imperatore non desistette finch aiutato dal
consenso di tutti non persuase il Signore Apostolico Benedetto che essi dovevano cantare il simbolo durante la messa pubblica".
II papa si sentiva fortemente in debito verso Enrico per l'aiuto ricevuto nella lotta vittoriosa contro l'antipapa rivale Gregorio nel
1012, e in general era ben disposto verso l'imperatore e le sue richieste dando prova di buon senso in questioni di questo genere. In
ogni caso Roma in questo periodo era sotto l'influsso liturgico della
Chiesa germanica, e l'adozione del credo non era che il termine di
una lunga serie di graduali imitazioni. 89
il suo Libell. de quibusdam rebus ad miss. ofjc. pertin. (P.L. 142, l060s.).
Cf. Th. Klauser, Historisches Jahrbuch liii, 1933, 169ss.
88 Cf.
89
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L'INSEGNAMENTO E LA STORIA DI C
s. Il Filioque
Stranamente intrecciato con una serie di circostanze che permisero al credo di introdursi nell'eucaristia, il problema del fatidico
inserimento delfilioque nel terzo articolo che, a partire dall'VIII secolo, stato uno degli argomenti pi caldi e discussi tra la Chiesa orien-:tale e quella occidentale. Per molti secoli il testo di C, accettato nella
Chiesa latina e nelle Chiese in comunione con essa, conteneva la clausola CHE PROCEDE DAL PADRE E DAL FIGLIO (filioque), riferita allo
Spirito Santo. Le Chiese ortodosse orientali rimasero fieramente, anzi
fanaticamente, attaccate al pi antico CHE PROCEDE DAL PADRE. Un
ampio dibattito sull'infelice aggiunta con tutte le sue implicazioni
comporterebbe un esame di almeno tre problemi: la teologia della
duplice processione, la storia dell'inserimento delfilioque, e la storia della lunga polemica su tutto questo fra Oriente e Occidente. Qui
ci occuperemo principalmente del secondo, bench occorra premettere alcune osservazioni sul primo problema. Il terzo problema appartiene di diritto al campo della vera e propria storia della Chiesa
pi che agli studi sul credo.
Per quanto riguarda la teologia, la dottrina che la terza Persona
proceda nella sua esistenza ugualmente e coordinatamente dalla. prima e dalla seconda era caratteristica, nella sua forma pi piena, del
trinitarismo occidentale, e in particolare della formulazione di esso
fatta da S. Agostino. Fin dai tempi di Tertulliano 90 la formula tipica era stata "dal Padre per il Figlio". Nel IV secolo, tuttavia, si
dedusse un senso pi profondo e cio che dal Figlio, unitamente al
Padre, procedeva realmente lo Spirito Santo. Il testo al quale ci si
riferiva costantemente era la dichiarazione del Signore in Gv 16, 14:
"Egli (cio lo Spirito) prender del mio". I precursori di tutto questo furono S. Ilario (cf. il suo Patre et Filio auctoribus) 91 e Mario
Vittorino 92 (non S. Ambrogio, 93 i cui testi si riferiscono alla missione esterna dello Spirito}, ma entrambi evitano di parlare direttamente
della Sua processione dal Figlio. S. Agostino non sent la necessit
di una specificazione. Il suo trinitarismo non ebbe inizio con il Pa90 Cf. Adv. Prax. 4 (C.C.L. 2, 1162); spiritum non aliundeputo quam apatreper
filium.
91 De trin. 2, 29: cf. 8, 20; 26 (P.L. 10, 69; 250s.; 255).
92 Per esempio Adv. Ar. I, 13; I; 16; Hymn. I, 62s.
93 Per un esame pi completo, v. J .N .D. Kelly, The Athanasian Creed, Londra,
1964, 86-90.
IL FIUOQUE
355
dre come fonte delle altre due Persone, ma con l'idea dell'imica, semplice Divinit che nella sua essenza Trinit. Il logico sviluppo del
suo pensiero incluse la dottrina che lo Spirito Santo procedesse in
modo altrettanto vero dal Figlio come dal Padre, ed egli non ebbe
scrupoli a esporre questo pensiero con franchezza e precisione in numerose circostanze. 94 Ammise che in senso primario (principaliter)
lo Spirito procedeva dal Padre, perch era il Padre che aveva dotato
il Figlio della capacit di far procedere lo Spirito Santo. 95 Ma era
premessa fondamentale della sua teologia che qualsiasi cosa si potesse predicare di una delle Persone potesse esser predicato delle altre. Era perci inevitabile che considerasse il rinnegamento della
duplice processione come una violazione dell'unit e della semplicit divina.
Questo modo di pensare fu universalmente accettato in Occidente nel V e nel VI secolo: non ci poteva essere un esempio pi illuminante per il prestigio che il grande Africano godeva nella cristianit
latina. Tuttavia la teologia greca non era assolutamente preparata
a seguire l'ardita strada che a S. Agostino sembrava cos facile ecos naturale. Molti passi possono essere presi dai Padri orientali, e sono stati citati nel corso della lunga e amara polemica, che sembrano
avvicinarsi alla dottrina della duplice processione. Uno o due autori, come S. Epifanio, 96 possono perfino aver subito l'influsso dei loro colleghi latini, tanto da diventare un'eco del loro linguaggio. In
generale, per, i Padri orientali non persero mai di vista l'idea esposta con forza da S. Gregorio di Nissa al termine del suo Quod non
sunt tres dii: 97 quello che giustificava le distinzioni nella Trinit era
il fatto che una delle Persone partecipava la relazione di causa( T
crrnov) alle altre due. Cos essi non trovavano difficolt a dire che
lo Spirito procedeva dal Padre per il Figlio, considerando il Figlio
come strumento o agente del Padre. Ma essi consideravano come
un assioma il fatto che solo il Padre fosse la fonte o l'origine della
divinit, e che sia il Figlio che lo Spirito procedevano, nel vero e proprio senso del termine, da Lui, il primo per generazione e il secondo
per processione. Il loro fermo rifiuto di prendere Io stesso orientamento dei latini non era un mero frutto di ostinazione, ma derivava
94 Cf., per esempio, Con. Max. Ar. 2, 14, I; 2, 17, 4; De trin. 2, 4, 7; 20, 29 (P.L.
42, 770; 784s.; 824, 908).
95 Cf. De trin. 15, 17, 29; 15, 26, 47 (P.L. 42, 1081; 1095),
96 Cf. Ancor. 7, 8 (Holl I, 15).
97 P.G. 45, 133.
356
L'INSEGNAMENTO E LA STORIA DI C
da una sensazione istintiva del profondo principio che era implicato. Ci che realmente divideva l'Oriente dall'Occidente nella loro
acida e spesso insipida polemica sulfilioque era una sostanziale differenza di approccio al problema del mistero della Divinit una e
trina.
Naturalmente i capi della cristianit occidentale, pur accettando
pienamente e insegnando la dottrina della duplice processione, agivano con molta cautela e diplomazia per dichiararla dogma ufficiale di fronte ai teologi orientali. Riunioni tenute lontano dal centro
della cristianit, come il terzo concilio di Toledo (589) e il sinodo
inglese di Hatfield (680), 98 potevano proclamare la dottrina e lanciare l'anatema su coloro che la negavano, ma il papato evit deliberatamente di compromettersi. Per portare un solo esempio, la
processione dello Spirito dal Figlio come pure dal Padre veniva
espressamente insegnata da S. Gregorio Magno99(590-604), ma la
formula veniva accuratamente omessa dalla professione di fede proclamata quasi un secolo dopo (680) da papa Agatone in nome di un
sinodo tenuto a Roma. 100 Nella formulazione dei simboli di fede
l'affermazione della duplice processione apparve per la prima volta, sembrerebbe, in Spagna, in una serie di formule locali orientate
contro l'eresia priscillianista. Una delle pi antiche di queste formule
il cosiddetto credo di Damaso, 101 attribuito nella sua forma originaria a S. Girolamo, che A.E. Burn identifica con la risposta del
papa al trattato indirizzatogli da Priscilliano di Avila nel 380. Secondo l'ipotesi avanzata da K. Kiinstle, essa era stata in realt compilata nel sinodo di Saragozza, che in quello stesso anno condann
l'eretico, e che potrebbe averla inviata a Damaso perch l'approvasse.
Di tono chiaramente antipriscillianista, contiene la dichiarazione:
"Noi crediamo ... nello Spirito Santo, non generato e eterno, non
creato n fatto, ma che procede dal Padre e dal Figlio". Un altro
esempio l credo con dodici anatemi, la cui paternit spesso stata
attribuita al concilio di Toledo (400), 103 ma che, secondo il suggerimento di Dom Morin,rn 4 potrebbe essere il Libellus in modum
98
99
100
!Ol
104
IL FILIOQUE
357
Evidentemente, la dottrina veniva considerata come una affermazione rinnovata contro l'arianesimo. Ci implicava che il Figlio, essendo ugualmente fonte dello Spirito, non fosse in alcun modo
inferiore al Padre, e che tutte e tre le Persone erano perfettamente
coeguali e partecipavano ugualmente dell'essenza divina. Il concilio
segu con entusiasmo l'impostazione di Recaredo, e redasse il terzo
dei suoi anatemi nella forma: "Chiunque non crede nello Spirito Santo, o non crede che Egli procede dal Padre e dal Figlio, e rinnega
che Egli sia coeterno e coeguale al Padre e al Figlio, sia anatema
su di lui". 106 Questo linguaggio stava a indicare che, mentre la dottrina veniva ritenuta essenziale, essa tuttavia non era considerata dal
concilio come rivoluzionaria, ma che pittosto veniva accettata come un articolo di ortodossia.
105
106
358
L'INSEGNAMENTO E LA STORIA DI C
Si spesso ritenuto che l'inserimento della parolafi/ioque nel testo vero e proprio del credo debba datare da questa circostanza. Re
Recaredo recit formalmente il credo di Nicea, con i suoi anatematismi, e il Credo Costantinopolitano che includeva la fede dei primi
quattro concili generali. sembrato incredibile, tenuto conto del suo
preciso linguaggio sulla questione della duplice processione e dell'entusiasmo con cui il concilio lo accolse, che il termine che esprimeva la dottrina non dovesse essere inserito nel credo. L'evidenza
dei MSS tuttavia non molto chiara su questo punto. Molti anni
fa A.E. Burn fece notare che molti importanti MSS contenenti gli
atti del concilio o mancano della parola in questione o la riportano
perch inserita da uno scrivano successivo . 107 La questione richiede un'ulteriore indagine, ma sembra sia giusto concludere che cos
come fu recitato in origine al concilio di Toledo il testo di C fosse
quello puro senzafi/ioque. Era inevitabile per che, con la crescente import311za data alla dottrina, la parola dovesse rapidamente introdursi nel credo. I MSS spagnoli dei secoli successivi riportano
abbondanti spiegazioni del processo in corso.
Il resto della storia assai noto. L'uso delfilioque si diffuse dalla
Spagna alla Gallia, dove, anche prima di fissarsi nel credo, trov
accoglienza in alcuni riti del prefazio della messa. 108 All'inizio sembra che l'Occidente non fosse realmente a conoscenza del fatto che
la dottrina della duplice processione-rappresentava un decisivo passo av3llti, o certamente un'esplicitazione, dell'insegnamento dei secoli precedenti. Cos il sinodo di Hatfield, convocato per consolidare
la Chiesa contro le presunte tendenze eutichiane di monotelismo, proclam la sua leale adesione alle decisioni dei primi cinque concili ecumenici e del sinodo Laterano tenuto nel 649 sotto papa Martino I.
Ma la professione di fede che pubblic si esprime come segue:
Noi conosciamo e glorifichiamo nostro Signore Ges Cristo come loro
(cio i padri dei concili generali) lo glorificano, senza aggiungere o sottrarre
alcunch, e lanciamo l'anatema col cuore e con la voce contro coloro ai quali
essi lanciano l'anatema, e riconosciamo coloro che essi riconoscono, glorificando Dio Padre senza origine, e il Suo unigenito Figlio, generato dal Pa-
107 Cf. il suo breve articolo nel J. T.S. ix, 1908, 301s. Malauguratamente sembra
che nessuno abbia seguito e confermato le sue ricerche.
108 Cf. la prima contestatio della terza delle messe galliche di Mone (P.L. 138, 867),
trovata su un palinsesto a Reichenau datato al 650 circa: Io Spirito ".'iene indicato
come "sussistente per una processione mistica dal Padre e dal Figlio".
IL FILIOQUE
359
dre prima di tutti i tempi, e lo Spirito Santo che procede in modo ineffabile
dal Padre e dal Figlio, come quei santi apostoli e profeti e dottori che abbiamo ricordati 109 hanno insegnato.
I09
110
360
L'INSEGNAMENTO E LA STORIA DI C
112
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IL FIUOQUE
118
121
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L'INSEGNAMENTO E LA STORIA DI C
colo S. Pier Damiani e altri notarono lo strano monumento e riprodussero parte della sua iscrizione. La loro relazione testimonia
chiaramente che il terzo articolo dice CHE PROCEDE DAL PADRE. 122
All'inizio del IX secolo, dunque, bench la dottrina della duplice
processione fosse insegnata dappertutto nella Chiesa occidentale e
la clausola filioque fosse .inserita nel credo in Spagna, in Francia,
in Germania, e in ogni caso nel Nord Italia, Roma rifiut di alterare
il testo ufficialmente autorizzato. Indubbiamente uno dei motivi fu
un radicato tradizionalismo; un altro pu essere stato la riluttanza
a seguire le orme delle Chiese provinciali, bench si fosse iniziato
il periodo in cui Roma cominci a riprendere i riti dalla liturgia gallicana. Deve esserci stata anche una comprensibile volont da parte
del papato di non mettere s stesso e la Chiesa occidentale irrimediabilmente in cattiva luce agli occhi di Costantinopoli. Altra cosa
invece era per le Chiese lontane adottare nel loro credo la clausola
controversa: ma la Santa Sede si sarebbe compromessa molto di pi
facendo un passo irrevocabile. Sembra che i papi abbiano conservato questo atteggiamento ancora per due interi secoli. Anche durante
la polemica di Fotino, a met del secolo IX, quando il patriarca di
Costantinopoli urlava violente accuse di eresia contro l'intera Chiesa occidentale e, in particolare, l'accusava di ammettere la duplice
processione, nessun documento dimostra che il credo di Roma sia
stato modificato. In quale data precisa e in quali circostanze Roma
accolse nel credo ilfilioque rimane un mistero. La teoria che stata
ampiamente accettata quella che la circostanza decisiva fu il giorno in cui, sopraffatto dagli argomenti persuasivi dell'imperatore Enrico Il, Benedetto VIII acconsent che il Credo Costantinopolitano
venisse cantato durante la santa eucaristia. L'ipotesi credibile:
difficile pensare che il papa potesse essere tanto privo di diplomazia
da sostenere di fronte all'imperatore un testo del simbolo in cui mancava la frase alla quale la Chiesa di Carlomagno e i suoi successori
davano tanta importanza.
122
CAPITOLO DODICESIMO
IL
CREDO
1.
APOSTOLICO
Il "textus recejJtus"
364
IL CREDO APOSTOLICO
Prima di tutto, dovremmo notare (il fatto non mai stato negato) che ci che troviamo qui una variante piuttosto elaborata del1' Antico Credo Romano (R) che abbiamo identificato e studiato nei
capitoli III e IV. Per facilit di riferimento gli viene di solito assegnata la lettera convenzionale T ( = textus receptus). Abbiamo osservato nel capitolo VI che le formule usate nella Chiesa occidentale
nei primi secoli per l'istruzione dei catecumeni e per l'amministrazione del battesimo erano altrettante varianti di R. Abbiamo dato
un'occhiata alle formule di q,uesto genere che provengono dal Nord
Italia, dai Balcani, dal Nord Africa, dalla Spagna e dalla Gallia. In
tutte il corpo centrale era R, e si distinguevano l'una dall'altra e da
R sia per modifiche di frasario di scarsa importanza che per l'inserimento di espressioni complementari. Nel caso di T le aggiunte caratteristiche sono undici in tutto: (a) T aggiunge CREATORE DEL
CIELO E DELLA TERRA (creatorem coeli et terrae); (b) T corregge il
3
Cf. p. 73 della edizione del 1568. Vedi anche Maxima bibliotheca veterum pa-
trum et antiquorum scriptornm ecclesiasticorum, Lugduni, 1677, XIII, 696, dove l'Ordo
Romanus antiquus venne opportunamente ristampato.
IL "TEXTUS RECEPTUS"
365
366
IL CREDO APOSTOLICO
1'820.
2.
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8
9
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IL CREDO APOSTOLICO
11
369
essi considerassero la clausola come una difesa contro questa o qualsiasi altra forma di errore. appena ipotetic pensare che l'esempio dei simboli di fede orientali, in particolare di C, abbia esercitato
qualcheinfluenza. Ci che tuttavia rende perplessi al riguardo la
parola CREATOREM, e non FACTOREM (la regolare traduzione latina del termine 1\"0LYITIJV di C), scelta per esprimere il concetto.
La spiegazione pi attendibile potrebbe essere che questa parola si sia insinuata nel credo in maniera casuale e spontanea. Si
ricorder che nel secolo II si pensava che l'idea di Dio come fonte
e origine dell'universo fosse contenuta nel termine PADRE. Ma quando il titolo venne spiegato dandogli il significato di Padre di Ges
Cristo, coloro che avevano il compito di esporre e commentare il
credo potrebbero benissimo aver preso coscienza di una grande lacuna nel suo insegnamento. Dal momento che l'affermazione di Dio
creatore di tutte le cose era un articolo presente e frequente nell'istruzione catechistica data dalla Chiesa, l'inserimento di un riferimento al riguardo era soltanto una questione di tempo.
3.
Come risulta dal Credo Apostolico tradizionale, il secondo articolo di R venne in seguito ampliato con sei o sette aggiunte o modifiche. Molte di esse sono di scarso o di nessun rilievo dogmatico e
possono essere passate sotto silenzio senza commento. Il costrutto
. CRISTO GES, per esempio, che era un'espressione tipica di R, fu so~ stituita col passar del tempo dal molto pi usuale GES CRISTO. Dal
momento che si comprendeva sempre meno che CRISTO era un tito.16 e significava Messia, anche questo mutamento era destinato a verificarsi presto o tardi. Non c' bisogno di dire qualche cosa circa
la sostituzione di DI L (inde) con il DONDE di R (unde) dopo aver
ricordato la seconda venuta. DONDE si trovava in tutti i simboli di
fede locali, e R invece era stato l'unico a scegliere DA CUI (il credo
della Tradizione di S. Ippolito non aveva nessun elemento di congiunzione). L'aggiunta di SOFFR e MOR, con le conseguenti alterazioni della struttura della frase, sembra ugualmente priva di
imp"ortanza dottrinale. Entrambi i termini avevano un posto fisso
tra le frasi stereotipe del credo del II secolo, e l'ultimo poteva appellarsi all'autorit dell'annuncio di S. Paolo, 16 "che Cristo mor
16
I Cor 15, 3.
370
IL CREDO APOSTOLICO
Adv. haer. I, 10, I; 3, 4, 2; 3, 16, 5; 3, 18, 3 (P.G. 7, 549; 856; 924; 933).
Adv. Mare. l, 11 (C.C.L. I, 452).
20 Tra/I. 9 (Lightfoot 118).
21 Dia/. 63 (E.J.G., 168).
22 De carne Christi 5; adv. Prax. 2 (C.C.L. 2, 880; 1160).
23 Per es. Kattenbusch II, 890.
24 Vedi sopra, p. 175.
25 Vedi sopra, p. 176-177.
26 Cf. Mc. 16, 19; At 2, 33; Rm 8, 34; Col 3, I; ecc.
19
371
27 Per quanto riguarda il testo, vedi S. Gerolamo, Dal. adv. Lucifer. 17 (P.L. 23,
170s.), e Hahn 166.
28 De trin. 10, 20 (P.L. 10, 358).
29 Cf. De Spir. sanct. l, 3; Ep. 7 (Engelbrecht, 105s.; 205).
30 Serm. 213 (P.L. 38, 1061).
372
IL CREDO APOSTOLICO
LA DISCESA ALL'INFERNO
373
La discesa all'inferno
36
374
IL CREDO APOSTOLICO
, ...
LA DISCESA ALL'INFERNO
;,~;:e':'
375
'
~!(~~Jiure i famosi testi I Pt 3,19 e 4,6, che suggerivano che egli aves'~"'' >redicato agli "spiriti che attendevano in prigione". Bisogna
e notare che dopo S. Agostino il modo che prevaleva in Occi.. -e'era quello cli spiegare I Pt 3, 19 come prova di una missione
{ifeisto per i contemporanei di No molto prima della sua incarna\~~1f!rrl.eiNel suo significato originario la dottrina non aveva nulla in
. tine con la mitologia pagana, bench si possano addurre molti
'pi apparentemente simili. Non si trattava che del corollario na~~ delle idee giudeo-cristiane sulla condizione dell'anima dopo
'~he. Dire che Ges Cristo era morto, o che egli era stato sepol.. Uivaleva a dire che era passato nello Sheol. La premessa cate.. per esempio, del lungo passo del De anima SOss. di Tertulliano
utte le anime discendono nell'Ade immediatamente dopo la
' ; ~o nostro Dio, perch era uomo, mor secondo le Scritture, e fu se;~~rtdo la stessa Scrittura, soddisfece questa legge sottostando anche
'a di morte umana sulla terra, e non ascese nell'alto del cielo finch
, ~~ dimora nei luoghi che sono sotto terra.
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376
IL CREDO APOSTOLICO
Giustino, 54 S. Ireneo, 55 , e Origene56 S. Ippolito aggiunse il simpa:tico dettaglio che Giovanni Battista agiva da precursore del Signore
nell'oltretomba come sulla terra, 57 mentre Erma sugger che gli
Apostoli e i maestri che erano morti continuavano sotto terra il loro
ministero e battezzavano i convertiti. 58 Contro questa opinione
obiettavano che i santi dell'Antico Testamento difficilmente avevano bisogno di essere ammaestrati, perch essi avevano previsto la
venuta del Cristo, e che non sembrava giusto che quanti non si erano convertiti dovessero avere una seconda occasione di pentimento
nell'altro mondo. L'altra opinione, che metteva in rilievo la liberazione dei santi e la disfatta di Satana, guadagn terreno e si afferm
in Occidente; qui successivamente fu ritenuta in realt eretica la dottrina secondo la quale Cristo veva liberato altri individui oltre le
persone sante, soprattutto ebrei, che o avevano previsto la sua venuta o avvano osservato in anticipo i suoi precetti. importante,
tuttavia, per noi osservare che fino al momento in cui la Discesa fu
accettata come un articolo del credo, confluivano in essa un insieme
di concezioni molto differenti secondo le quali l'azione del Cristo
consisteva nel sottomettere completamente l'nferno e il dominatore dell'oltretomba. Chiare tracce di ci sono ricorrenti nell'antica
omelia di Pasqua (68; 102) di Melitone di Sardi e nell'anafora di Ippolito. Possiamo vederla prender forma nel pensiero di Rufino. Questi disse che .Cristo accett di morire per poter distruggere la morte,
e fece un'ampia descrizione del suo combattimento vittorioso nell'oltretomba con il demonio. 60 Sembrerebbe che per lui l'oltretomba abbia significato inferno, e la Discesa incominciava ad esser
considerata come l'occasione per la redenzione, non solo dei patriarchi dell'antichit, ma dell'umanit in genere. La tradizione pi antica secondo cui si trattava semplicemente del corollario naturale della
morte del Signore, 61 o che il suo obiettivo era la liberazione dei santi
54
55
ecc.
56 Con. Cels.
57
2, 43 (Koetschau I, 166).
De Christo et anti-Christo 45 (G. C.S. I, 2, 29).
58 Sim.
LA DISCESA ALL'INFERNO
377
62
Cf. per es., S. Fausto di Riez, Hom. I (Caspari, Quel/en Il, 190).
Serm. 119 (C.C.L. 103, 498).
Pseudo-Ag., Serm. 44, 6 (P.L. 39, 1834).
65 Pseudo-Fulgenzio: cf. R. Bn. xxxv, 1923, 238.
66 Cf., per es., Lord Peter King, The history ofthe Apostles' Creed, 5" ed., Lon
dra 1737, 169ss.
67 Vedi A. Grillmeier, art. cit.; anche Lex. f. Theol. u. Kirche 5, 452-4.
63
64
378
IL CREDO APOSTOLICO
siderazione il docetismo. 68 assai probabile che siano state messe in rilievo le particolari esperienze del Signore per sottolineare la
realt della sua morte. Nel passo gi citato69 di Tertulliano, per
esempio, possiamo individuare un accenno insistente alla discesa di
Cristo nell'oltretomba come prova della sua piena partecipazione all'esperienza umana. Un'obiezione a questo il fatto che, bench la
dottrina sia stata frequentemente citata, difficile poter leggere nei
suoi riferimenti un'intenzione antidocetista. Questo non vuol dire
che la formula sia stata introdotta fortuitamente nel credo e che sia
priva di significato dogmatico. Se dato per certo che la formula
stata usata per la prima volta in una localit di lingua siriaca, era
indubbiamente considerata all'inizio come una colorita e vivace parafrasi di MORTO e SEPOLTO. Ma quando si spost verso l'Occidente, potrebbe essere stata bene accolta per molti svariati motivi.
L'immaginazione dei cristiani amava indulgere alle esperienze del
Salvatore nell'oltretomba, come possiamo vedere dai numerosi e spesso fantasiosi tentativi di tradurle in arte. Le parole, inoltre, fornivano al credo qualcosa che era stato fino allora mancante e di cui si
era sentita fortemente, se pure in maniera confusa, la necessit, un
ricordo dell'atto di redenzione compiuto da Cristo. significativo
il fatto che, come gi stato accennato, quando la Discesa era cominciata a comparire nel credo, l'antica concezione della missione
di Cristo verso i patriarchi stava sempre pi sbiadendo nella cultura
generale e la dottrina cominciava a essere interpretata come simbolo del suo trionfo su Satana e la morte, e, di conseguenza, della salvezza dell'intera umanit.
379
sul perdono dei peccati, riferita originariamente all'effetto purificante del battesimo, fu anch'essa spiegata dopo la met del secolo
IV come comprensiva del perdono ottenuto per mezzo della confessione e l'assoluzione. "Poich dobbiamo vivere in questo mondo",
comment S. Agostino, 71 "dove vivere senza peccato impossibile, la remissione dei peccati non consiste unicamente nella purificazione del santo battesimo'', e prosegu raccomandando l'uso regolare
del Padre nostro, con la sua richiesta di perdono, come una specie
di battesimo quotidiano. In un altro sermone che spiegava il credo, 72 enumer tre metodi per ottenere la remissione dei peccati nella
Chiesa- battesimo, preghiera, e "una maggiore umiliazione di noi
stessi nella penitenza (humilitate maiore paenitentiae)''. In seguito
teologi come S. Fulgenzio di Ruspe ( "t 532)73 e S. Ildefonso di Toledo ( "t 667) 74 indugiarono a lungo sulla disciplina penitenziale della Chiesa, mentre S. Ivo di Chartres ( t- 1117) comment brevemente
la formula 75 : "Non solo di quei peccati che vengono rimessi col battesimo, ma anche di quelli che vengono purificati col fare una penitenza conveniente dopo un'umile confessione".
Oltre a queste considerazioni riguardanti una teologia posteriore e
pi matura, il terzo articolo di T vanta tre caratteristiche che lo differenziano dall'Antico Credo Romano. Una di queste, la clausola
LA COMUNIONE DEl SANTI, presenta alcune difficolt di interpretazione, e rimandiamo per il momento il suo esame. Le altre due, l'aggettivo CATTOLICA per definire la Chiesa e le parole LA VITA ETERNA, possono essere trattate in pochi paragrafi.
Tutti sanno che il significato originario di CATTOLICO era "generale" o "universale". Zenone lo stoico scrisse un libro sulle cose universali, che chiam xa0o)\tx&; Polibio76 parl di "storia universale
cni~ xa0o)\Lx~~ xa. XOLV~~ tcrTOQla.<i)"; es. Giustino77 applic il termine alla risurrezione (~ xcx6o)..tx~ &vacrTacrt~). In S. Ignazio per la
prima volta ci imbattiamo in esso come predicato della Chiesa: "Dove
c' il vescovo", egli disse, 78 "l c' la comunit, proprio come doSerm.
213, 8. (P.L.- 38, 1064s.).
.
Serm. ad catech. 8 (P.L. 40, 636).
73 Per es., Ep. 7; De remiss. peccat. II (C.C.L. 90, 244-54; 91A, 678-707).
74 Lib. de cognit. bapi. 8ls. (P.L. 96, 140s.).
75 Serm. 23 (P.L. 162, 606).
71
72
76
77
78
380
IL CREDO APOSTOLICO
ve si trova Cristo Ges, ivi la Chiesa cattolica". Qui non c' nessuna riflessione sull'antitesi fra l'unica Chiesa ortodossa e le
conventicole dissidenti. Lo scrittore stava paragonando la Chiesa universale, guidata da Cristo, alle Chiese locali presiedute dai vescovi;
ed egli affermava che la comunit locale aveva realt, vita e potenza
solo in proporzione alla sua appartenenza alla Chiesa universale con
la sua guida spirituale. Proprio lo stesso significato viene dato all'aggettivo nei passi del Martirio di Policarpo dove esso compare. 79
Questo significato rimase sempre il principale, tanto che S. Cirillo
di Gerusalemme pot dire della Chiesa (pur aggiungendo altre, pi
immaginose, motivazioni): "Essa chiamata cattolica perch sparsa da un capo all'altro della terra in tutto il mondo" .80 Dopo la met del II secolo, tuttavia, cominci ad acquistare connotazioni nuove,
che designavano "la grande Chiesa" (per usare una frase di Celso81 )
in contrapposizione con le numerose sette eretiche. Probabilmente
il primo esempio del suo uso con questo significato si trova nel Canone Muratoriano, che enumerava i libri sacri che furono o non furono "accolti nella Chiesa cattolica". Riferendosi a questo significato
di uso comune, papa Cornelio ( 1"253) si lament in una lettera che
il suo rivale Novaziano ignorasse ''che doveva esserci un solo vescovo nella Chiesa cattolica". 82 Nella stessa data (250 circa), quando
al martire Pionio venne chiesto dai suoi giudici come si chiamasse,
egli rispose: "Un cristiano"; e, quando la richiesta si fece pi pressante: "A quale chiesa appartieni?", egli rispose: "Alla Chiesa cattolica". 83
Fu alla fine del IV secolo che CATTOLICA cominci a comparjre
nei credo occidentali. Il primo testimone attendibile che possiamo
indicare Niceta di Remesiana. In seguito divenne una parola cara
a credo di Spagna e di Francia. I credo orientali avevano sempre
manifestato una predilezione per questo termine, e alcuni hanno sospettato che dietro la sua adozione da parte dell'Occidente ci fosse
un influsso orientale. Se vogliamo accogliere questa spiegazione, possiamo subito pensare che C ne cre lo stile: se l'Occidente aveva preso
C come modello, ci saremmo dovuti aspettare anche APOSTOLICA.
lnscr. 8, I; 19,2 (Bihlmeyer: 120; 124; 130}
18, 23 (P. G. 33, 1044).
81 Origene, Con. els. 5, 59 (Koetschau II, 62}.
82 In Eusebio, Hist. ecci. 6, 43, 11 (Schwartz, 263).
83 Per il Martyrium Pion vedi R. Knopf, Ausgewiihlte Miirtyrerakten, 3 ed. 1929,
79
Cat.
45ss.
381
presuppongono una formula in cui manca APOSTOLICA ma che contiene invece CATTOLICA, possa aver contagiato gli autori del credo
occidentale. Ma la parola CATTOLICA diventata un termine c9s
usuale nel frasario teologico occidentale che non necessario ricercare dei motivi reconditi del suo inserimento nel credo. interessante, invece, osservare che nella mente di Niceta esso delineava
principalmente l'unicit della Chiesa ortodossa in opposizione alle
sette. Egli parl dell"'unica Chiesa cattolica nel mondo intero, alla
comunione della quale dovete essere fortemente uniti", in contrasto con "le altre pseudo-Chiese" che credevano e agivano da nemiche di Cristo e dei suoi apostoli. Era naturale che questo significato
fosse di importanza primaria in un'epoca in cui l'arianesimo, il donatismo e altre eresie si erano diffuse e venivano propagandate da
Chiese rivali. Col passare del tempo, tuttavia, essa tendeva a diventare secondaria, per quanto fosse sempre tenuta viva. La maggior
parte dei sermoni e delle spiegazioni del credo indicano questa parola, l'origine della quale risult talvolta misteriosa per coloro che
erano di lingua latina, come sinonimo di "universale". "Che cos'
la Chiesa cattolica", si domandava S. Fausto di Riez, "se non il popolo consacrato a Dio che diffuso in tutto il mondo?"; 85 e l'autore del sermone dell'appendice pseudoagostiniana, nella sua concisa
parafrasi a CATTOLICA, ripeteva queste parole nel significato di
''sparsa per il mondo intero''. 86 Come spiegazione dei due signifi~
cati presi nel loro insieme, abbiamo la dichiarazione di S. Ildefonso
di Toledo che CATTOLICA significa "universale"; seguita immediatamente dall'affermazione che proprio sotto questo aspetto che ia
vera Chiesa si distingue dalle "conventicole di eretici", che fioriscono
soltanto localmente. 87 L'inserimento di CATTOLICA diede cos
espressione alla consapevolezza della Chiesa della sua posizione
straordinariamente autorevole di fronte alle sette dissidenti.
LA VITA ETERNA, che sembra sia stata citata per la prima volta
nei formulari africani, and incontro a una esigenza religiosa pi
particolare. ovvio che molta gente desiderava qualcosa di pi del!' assicurazione che sarebbe un giorno risuscitata da morte: la pura
84
85
86
87
382
IL CREDO APOSTOLICO
e semplice risurrezione avrebbe potuto implicare anche un'altra morte. S. Agostino aveva in mente le loro difficolt quando, esponendo
(probabilmente nel 421) la sua fede personale, osserv: "Ora, per
quanto riguarda la risurrezione della carne (che non come quella
di alcune persone che sono risorte dalla morte per poi morire di nuovo, ma come la risurrezione della carne di Cristo, cio per la vita
eterna), non so come spiegare le cose in breve" .88 Perci, in un sermone a lui attribuito, spiegava con molte parole che la clausoll ALLA VITA ETERNA era stata aggiunta perch non si pensasse che la
risurrezione dei credenti fosse come quella di Lazzaro, ma come quella di Cristo. 89 E ancora, in una delle sue lettere, trattando di tanti
problemi proposti da un pagano, disse che molti erano preoccupati
chiedendosi se la risurrezione concessa al fedele somigliasse pi a
quella di Lazzaro o a quella di Cdsto. 90 I dubbi al riguardo non si
limitavano evidentemente ali' Africa, perch anche S. Giovanni Crisostomo in una delle sue omelie riteneva che fosse opportuno opporsi ad essi.
"Dopo avere detto PERDONO DEI PECCATI'', egli dichiar, "proclamate
LA RISURREZIONE DAI MORTI Ma, poich un semplice accenno alla risurrezione non basta a mettere in evidenza l'intera dottrina (infatti molti uomini che sono risorti dalla tomba sono morti nuovamente, come per esempio
personaggi del Nuovo Testamento, Lazzaro e la gente che risuscit al momento della crocifissione), vi richiesto anche di affermare E NELLA VITA
ETERNA" 91
La breve constatazione, che questi passi consentono, una riflessione popolare sulla risurrezione giustifica la nostra deduzione che la
clausola debba il suo posto nel credo al desiderio di tranquillizzare
le menti turbate. Una conferma pu derivare dall'espressione in cui
talvolta riferita, ALLA VITA ETERNA, che dimostra l'intento di esprimere l'intero significato nella sua pienezza di RISURREZIONE DELLA
CARNE. Questa lettura, come abbiamo osservato nel paragrafo precedente, era caratteristica del Sermo ad catechumenos agostiniano,
e c' la testimonianza di qualche MS che anche Niceta includeva nel
suo credo ALLA VITA ETERNA. Ma un insieme di considerazioni estranee e pi concrete si aggiunse presto alla clausola. S. Cirillo di Ge88
89
90
91
.38.3
9J
94
95 Cf. Expos. sup. symb. apost. ad fin. (voi. III della edizione di Parigi del 1634,
133).
96 Cf. Anecdota Maredsolana Ili, iii, 199s.
384
IL CREDO APOSTOLICO
NELLA REMISSIONE DEI PECCATI NELLA SANTA CHIESA, NELLA COMUNIONE DEI SANTI, NELLA RISURREZIONE DELLA CARNE, E NELLA
VITA ETERNA. Un antico credo armeno citato da Caspari parla anche di fede nel PERDONO DEI PECCATI NELLA SANTA CHIESA E NELLA COMUNIONE DEI SANTI. 97 Vi forse grande incertezza circa le
origini di questi due formulari perch siamo in grado soltanto di fare molte ipotesi su di essi. Ma senza dubbio la frase ricorre: 98 (a)
in un rescritto imperiale dell'anno 388 che mette al bando gli apollinaristi, fra l'altro, a communione sanctorum; (b) in un canone di
un sinodo tenuto a Nimes nel 394 o nel 396. Da allora lo si trova
nel credo, ma quasi esclusivamente nel sud della Gallia.
Questo fatto potrebbe sembrare favorire l'ipotesi che Niceta abbia probabilmente ripreso COMUNIONE DEI SANTI prima di tutto dalla
Gallia, con la quale egli aveva stretti vincoli personali in quanto amico
di S. Paolino da Nola, che egli visit pi di una volta. Tuttavia Harnack mise in dubbio questo fatto e disse invece che era assai pi probabile che lo scambio fosse avvenuto in senso inverso, avendo Niceta
ripreso l'idea da S. Cirillo di Gerusalemme. Ma non c' niente che
stia a indicare che S. Cirillo sapesse qualcosa sulla COMUNIONE DEI
SANTI: i passi citati da Harnack dalle Catechesi per provare la sua
teoria sono tutti molto vaghi. 99 Ci sono, tuttavia, delle indicazioni
pi convincenti circa l'importazione della formula dall'Oriente. (a)
Se la Fides Hieronymi identificata da G. Morin realmente il credo
firmato da S. Gerolamo nel deserto di Calcide nel 377 /8, dev'esserci stato un formulario di Antiochia, e questo confermato da altre
espressioni tipicamente orientali in essa contenute. 100(b) Niceta stesso subiva influssi da parte dell'Oriente, com' dimostrato dal fatto
che il commento del suo credo era ispirato dalle Catechesi di S. Cirillo di Gerusalemme. Inoltre, sebbene egli non avesse incontrato
Paolino da Nola prima del 398, accertato che, per la sua origine balcanica, durante la sua vita favor una forte e autorevole influenza tra
l'Oriente e il sud della Gallia. (c) Mentre in Occidente l'espressione
SANCTORUM COMMUNIO era rara e il suo significato fluttuante, in
Oriente l'equivalente greco, cio xo~vr...iv~()( -rfuv &11.wv, e le frasi relative avevano un significato preciso e acquisito di ''partecipazione
97
98
99
10
385
alle cose sacre" .. cio ai riti eucaristici. 101 Questo rende assai probabile il fatto che il pensiero e il linguaggio che lo esprimevano abbano avuto origine in Oriente.
La polemica pi intensa, tuttavia, si ebbe intorno al contenuto dottrinale di sanctorum communio, e sui motivi del suo inserimento nel
credo. L'interpretazione tradizionale, se per praticit si pu definirla cos, che le parole significano "amicizia con persone sante",
considerando la parola sanctorum o in un senso limitato di santi e
di martiri veri e propri, o in senso pi ampio e pi originario e cio
di fedeli in generale, viventi o anche defunti. 102 Un'esegesi alternativa in contrasto con questa sosteneva che le parole dovessero avere
nel credo il senso del loro equivalente greco, cio ''partecipazione ai
riti eucaristici", e questa tesi stata sempre pi sostenuta a partire
dal secolo XIX. La parola sanctorum, da notare, pu essere tanto
maschile quanto neutra. Infine una terza corrente di interpretazione vorrebbe leggere in communio un significato concreto, traducendo l'espressione come "amicizia, cio comunit, formata di persone
sante"; in tal caso la si potrebbe interpretare come un'ulteriore definizione di SANTA CHIESA CATTOLICA. Si ritiene che essa sia stata
inserita nel credo per protesta contro il rigore donatista, che soleva
criticare la Chiesa cattolica perch accoglieva ugualmente nel s~o
gregge capre e pecore. 104 Si pu supporre che le parole siano state
talvolta usate per significare concretamente "amicizia di persone sante" . 105 In ogni .caso, tuttavia, la controversia vera e propria, per
quanto riguarda l'importanza della formula nel credo, si trova fra
le due interpretazioni precedenti e le varie sottoforme di esse: non
ci sono dubbi che COMUNIONE DEI SANTI nei simboli di fede abbia
un significato molto pi ampio della parola "Chiesa". Un valido
argomento contro il tentativo di trovare un orientamento antidonatista in queste parole dato dal fatto che esse non ebbero mai
386
IL CREDO APOSTOLICO
qui chiaramente interpretato come quell'amicizia ultima con le persone sante di tutte le et, come pure con
l'intera compagnia del cielo, che viene anticipata e in parte realizzata nell'amicizia della Chiesa cattolica sulla terra. D'altra parte, il riferimento veniva limitato ai santi nel senso specifico del termine da
S. Fausto di Riez (fu eletto vescovo nel 452 circa).
Fausto stava chiaramente tentando di difendere, e nello stesso tempo di moderare e tenere nei limiti del buon senso, il crescente culto
dei martiri che a quel tempo era una caratteristica della religione gallicana, e che il prete aquitano Vigilanzio aveva di recente tentato invano di tenere a freno. 107 Il trattato sul credo che viene anche
attribuito a S. Fausto attaccava i seguaci di Vigilanzio con un lin106
387
. guaggio assai poco moderato. "Questo articolo" diceva ''deve sver$gnare quanti empiamente rinnegano l'onore dovuto alle ceneri dei
. santi, e rifiutano di credere che la memoria dei beati martiri debba
essere celebrata venerando le loro tombe''. 108
Concezioni affini, bench non sempre limitate ai santi nel senso
specifico del termine, si possono trovare insieme alla formula in altre espressioni gallicane del credo dove non si avverte alcun tono
polemico. Il Sermo pseudo-August. 242 cos commenta: 10 "COMUNIONE DEI SANTI: cio, siamo legati in amicizia e in comunione di speranza con quei santi che sono morti nella fede che abbiamo abbracciata". Il riferimento chiaramente indirizzato a tutti
i cristiani scomparsi. Il Sermo pseudo-August. 240 nota che nell'eternit i doni dello Spirito, che sono quaggi distribuiti in modo diverso a diversi individui, saranno propriet comune di tutti, e ognuno
dei santi trover le sue mancanze riempite dalle virt degli altri. 110
Quaggi l'amicizia attuata ancora quella di tutti i credenti, bench
la sua realizzazione completa sia rimandata alla vita futura. Il Sermo pseudo-August. 241 stato spesso citato come prova per l'interpretazione sacramentale; afferma infatti che noi crediamo nella
comunione dei santi perch dov' la fede santa l vi la comunione
santa (sancta communio). 111 Ma alcuni affermano che questo significa non comprendere la vera intenzione dell'esortazione, che la
seguente: poich crediamo nella santa Chiesa cattolica, e poich la
fede porta l'amicizia santa, per questo motivo godiamo dell'amicizia dei santi, e per questo dovremmo credere nella risurrezione e nella
remissione dei peccati mentre ancora viviamo nel corpo. Comunque
sia, Rabano Mauro ha riprodotto quasi alla lettera l'insegnamento
del Sermo pseudo-August. 242, 112 come ha fatto l'autore {Alcuino?)
della Disputatio puerorum del secolo IX. 113
Non pu esserci alcun dubbio che, per quanto riguarda le formule di fede occidentali, questa era l'interpretazione di COMUNIONE DEI
SANTI che ebbe la storia pi lunga e continua. Ma potremmo tranquillamente ammettere che le parole venivano spesso prese, anche
ios Vedi
P.L.
P.L.
111 P.L.
112 P.L.
113 P.L.
109
110
388
IL CREDO APOSTOLICO
119
389
"i benefici appartenenti all'uno vengono comunicati agli altri. Si realizza cos una compartecipazione dei benefici (communio bonorum)
nella Chiesa, e questo ci che intendiamo con sanctorum communio". I beni condivisi, .egli continu a spiegare, comprendono ogni
cosa degna di essere compiuta sulla terra dai santi (sanct1), ma in
particolare i sette sacramenti, che ci portano la forza della passione
di Cristo, essendo Egli il capo del corpo. Secondo la maggior parte
degli studiosi, S. Tommaso consider qui sanctorum come neutro
e precisamente come equivalente di bonorum, cio dei beni o "benefici", ma questo sembra assai improbabile. Una simile interpretazione in contrasto con l'accento posto sui fedeli come donatori
e ricettori dei beni, o con la citazione esplicita di "tutti i santi" pi
avanti nel capitolo, o con l'inclusione di benedizioni diverse dai sacramenti della Chiesa fra i benefici di cui si parla. Dovrebbe risultare evidente che ci che S. Tommaso realmente intendeva con la
clausola era "la condivisione o la partecipazione alla gioia dei santi". Contemporaneamente altri autori medioevali l'applicarono in
senso stretto alla Chiesa come a una societ intimamente collegata.
Amalario di Treviri ( t circa 816), per esempio, ne fece una parafrasi come lamicizia dei santi che viene tenuta insieme dallo Spirito, 120 mentre Magno di Sens la spieg come se significasse "l'assemblea di tutti i fedeli in Cristo". 121
La nostra rassegna fornisce un quadro illuminante dei vari signi.ficati che furono dati a sanctorum communio nei periodi patristico
e medioevale. Ma la conclusione inevitabile alla quale giunge che,
per quanto riguarda il credo, il senso predominante, perlomeno fra
i secoli V e VIII, fu "amicilia con persone sante". L'esegesi sacramentale venne in un tempo successivo, e ha tutta l'aria di essere secondaria: anche dove la ritroviamo, sanctorum stesso era assai spesso
interpretato in senso maschile. La forza dell'argomentazione di T.
Zahn era dovuta a considerazioni o aprioristiche o assai lontane nella
loro analisi alla storia del credo occidentale. Perci egli e i suoi
seguaci ritennero che si facesse un riferimento sicuro ai sacramenti
nel sommario ufficiale della fede della Chiesa. Indubbiamente vi
qualcosa di valido in tutto questo: anzi potremmo supporre che fu
la consapevolezza istintiva di una lacuna nel formulario che, fra gli
120
121
1736, 170.
390
IL CREDO APOSTOLICO
altri fattori, mosse i teologi delle epoche successive a leggervi un'allusione ai sacramenti. Ma sarebbe avventata l'ipotesi che il criterio
di ci che avrebbe dovuto esservi nel credo spieghi ci che si trova
realmente in esso. Inoltre, essi riponevano la loro fiducia su analogie derivate dall'uso greco, richiamandosi alla presenza frequente
di un riferimento sacramentale in parole come xoivwvi.cx e Tt &-yux.
Ma bisogna notare che delle vere espressioni parallele cli sanctorum
communionem difficilmente possono essere riscontrate nel greco, e
che in ogni caso azzardato affermare che i termini greci e latini
si siano necessariamente sovrapposti. Mentre Tt &-yux in greco normalmente significavano le specie consacrate dell'eucaristia, non vi
una prova inequivocabile fino a un'epoca molto tardiva che sancta avesse il medesimo specifico senso in latino. Nei pochi esempi del
tutto inconfutabili che si possono raccogliere del termine usato in
questo sen~o, il significato sembra essere totalmente generico e non
specifico, e il contesto si riferisce ai sacramenti senza ombra di ragionevole dubbio. 122L'importanza e il valore, inoltre, dei termini paralleli greci diventano ancor pi discutibili se ci ricordiamo che, a
causa della sua origine orientale, la clausola non fu mai inserita nei
credo ufficiali greci, e che la grande ambiguit del latino incoraggi
interpretazioni diverse.
Per questi motivi la pi antica e tradizionale interpretazione della
frase sembra essere molto probabilmente l'originaria. Quando in seguito l'interpretazione sacramentale cominci a farsi strada, potrebbe
essere stata in qualche modo come una risposta alla necessit che
si sentiva di ricordare i sacramenti; e la tendenza crescente. a includere il sacramento della penitenza sotto LA REMISSIONE DEI PECCATI potrebbe aver fatto rilevare tale mancanza. II termine stesso
communio, che stava diventando sempre pi adatto a indicare il sacramento dell'altare, si prest molto presto alla nuova spiegazione,
se addirittura non fu proprio lui a suggerirla. Se ci si domanda, tuttavia, quale particolare situazione o crisi abbia favorito l'interpolazione, non viene certo subito alle labbra una risposta sicura. Harnack
in un primo momento 123 (in sguito egli ritir la sua congettura)
sugger che la nuova clausola dovesse essere considerata come la ri122 Cf. In Joh. evang. tract, 6, 15 di S. Agostino; Defid. et op. 8 (P.L. 35, 1432;
40, 202). In Ep. 98, 5 (P.L. 33, 36), talvolta citata a questo proposito, sanctis significava probabilmente "santi"
123 Das apost. G/aubensbek., 31s.
391
125
Cap. I (in Texts and Studies I, 2, 62s.). L'autore era probabilmente Tertulliano.
De /aud. sanct. (P.L. 20, 443ss.).
392
~L
CREDO APOSTOLICO
questa Chiesa l'immagine di quella... cio la Chiesa della innumerevole moltitudine di angeli; la Chiesa dei patriarchi, la Chiesa
degli spiriti radicati nel Signore". 126 Alcune righe dopo, nella stessa pagina, affermava che gli angeli e i santi, gli apostoli, i patriarchi
e i profeti avevano circondato la Chiesa sulla terra con la loro attenta protezione. Pensieri come questi erano ancor pi sviluppati negli
scritti di S. Agostino. evidente che nel secolo IV la coscienza della
comunione con i redenti in cielo, che avevano gi assaporato la pienezza della gloria di Cristo, era reale e ricca di speranza tanto per
i teologi che per i gruppi di semplici fedeli. Con l'ambiente devozionale e dottrinale impregnato di simili idee, occorre un ben piccolo
sforw di immaginazione per capire quanto facile dev'essere stato per
qualche formale affermazione trovare un posto di prestigio nel credo. Cos, bench non implicasse sec;ondi fini polemici, COMUNIONE
DEI SANTI dette espressione a concezioni che erano vivamente presenti nelle menti del clero dei secoli IV e V, particolarmente in quelle zone dell'Europa occidentale dove, come diremo tra breve, il Credo
Apostolico si era modellato nella sua forma definitiva.
126
CAPITOLO TREDICESIMO
LE
ORIGINI
1.
DEL
CREDO APOSTOLICO
394
babilmente nel 753 nell'abazia di Hornbach (nei pressi di Zweibriicken), un'altra delle sue fondazioni.
Priminio cit il Credo Apostolico in tre diversi contesti dei suo
manuale missionario. Nel primo di questi (cap. 10) egli espose il noto racconto come i Dodici, ripieni di Spirito Santo, composero un
sommario di fede. Il credo risultante dalla unione delle dodici formule che egli cit coincide esattamente con T, eccettuata l'espressione SEDETTE (sedit) invece di SIEDE (sedet) per indicare la sessione
di Cristo alla destra del Padre. Il terzo (cap. 28) consiste di un'istruzione esortativa sulla fede e la morale, e riproduce il credo liberamente e in modo inesatto . Il secondo il pi interessante (cap. 12);
in esso S ~ Priminio ricord ai suoi lettori la Circostanza solenne del
loro battesimo.
"Cos richiamiamo alla vostra memoria, o fratelli", egli scrisse, "il patto
che abbiamo fatto con Dio proprio nel battistero: cio dove, allorch il prete ci richiese varie volte i nostri nomi e come venissimo chiamat_i, o rispondeste voi stessi, se eravate gi in et da rispondere, o in ogni caso colui che
stava facendo la promessa solenne per voi e vi fece uscire dall'acqua rispose
e disse: 'Egli si chiama Giovanni', o qualche altro nome. E il sacerdote chiese: 'Giovanni, rinunci al diavolo e alle sue opere e alle sue pompe?' E voi
rispondeste: 'lo rinuncio, cio io disprezzo e rinuncio a tutte le opere cattive e diaboliche'. Dopo aver rinunciato al demonio e a tutte le sue opere cattive, il sacerdote vi chiese: 'Credi in Dio Padre onnipotente, creatore del
cielo e della terra?' Voi rispondeste: 'Io credo'. E ancora: 'Credi in Ges
Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, che fu concepito di Spirito Santo,
nacque da Maria Vergine, soffr sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, mor
e fu sepolto, discese all'inferno, e il terzo giorno risuscit dai morti, sal
al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente, e da li verr a giudicare
i vivi e i morti?' E voi rispondeste: 'Credo'. E il sacerdote vi chiese per la
terza volta: 'Credete nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita
eterna?' Voi rispondeste, o il vostro padrino rispose per voi: 'Credo'. Vedete quale patto e promessa o confessione da parte vostra: un vincolo fra
voi e Dio. Con la fede eravate battezzati nel nome del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo fino alla remissione di tutti i vostri peccati, e venivate
unti dal prete col crisma della salvezza fino .alla vita eterna, e il vostro corpo veniva vestito con una veste bianca, e Cristo rivest la vostra anima di
grazia celeste, e vi fu assegnato un angelo santo come custode''. 3
3 Per una riproduzione fotografica del passo com' contenuto in Cod. Einsidlensis, 199, fol. 237 r. (fine dell'VUI secolo o inizi del IX: il migliore dei tre MSS di
Scarapsus), vedi A.E. Burn, Facsimiles of the Creeds, Tavola X (il. Bradshaw Society XXXVI, 1909).
395
396
ri apostolici, con molte e notevoli differenze da T. Per esempio, manca di CREATORE DEL CIELO E DELLA TERRA, e parla del suo UNICO
FIGLIO NOSTRO DIO E SIGNORE, non riporta CONCEPITO ma invece
dice NATO DALLA VERGINE MARIA PER LO SPIRITO SANTO, non menziona MORTO, DAI MORTI e CATTOLICA, aggiunge PER IL SANTO BATTESIMO a REMISSIONE DEI PECCATI, e chiude con RISURREZIONE
DELLA CARNE ALLA VITA ETERNA. Esso stato erroneamente identificato come un formulario usato nella recita delle ore. 10 In realt,
bench non ci sia niente di strano e di eccezionale nella presenza, di
un credo nella recita delle ore in questo periodo, il contesto del passo, come pure l'attribuzione degli articoli ai dodici Apostoli, indica
che l'intento dell'autore era principalmente catechistico.11 La versione latina della prima e della terza di queste varianti di T (A e C),
con tutti gli errori ortografici e grammaticali, viene riportata qui
sotto:
BOBBIO A
Credo in dcum patrcm omnipotcntem,
creatorem ccii et terrae.
Credo in Icsu Christo filium eius uni
genitum sempitemwn, conceptwn
de Spiritu sancta, natum cx: Maria
virgene, passus sub Poncio Pilato,
crucifixwn, mortuum et sepultum,
discendit ad infcrna, tercia die re
surrcx:it a mortuis, a:scendit ad celus,
sedit ad dcx:teram dei patris omni
potentis, inde venturus iudiare vivos
et mortuos.
Credo in ~aneto Spiritu, sancta eclesia
catolica, sanctrum comunione, l'f'
missione peccatorum, carnis resurreccioniem, vitam actcrnam.
BOBBIO C
Credis in deum patrem omnipotentcm,
creatorcm ccli et terre?
<;:redit et in lesu Ohristo filium eius
unicum, dominum nostrum, conceptum de Spiritu sancta, natum cx:
Maria virgene, passo sub Poncio
Pilato, cruclfixum et sepultum, disccndit ad inferna, tercia die rcsurrcxit a mortuis, asccndit in cdis,
sedit ad dextcram dei patris omni
potcntis, inde venturus iudicare vivos
ac mortuos?
Credit in sancto Spiritu, san:ta aeclcsia
cathoHca, sanctorum comunione,
remissione peccatorum, carnis resurreccionis, vitam abere post mortem,
in gloriam Christi re1urgere.
Questo per quanto riguarda il Messale di Bobbio. In secondo luogo, dovremmo rivolgerci all'Antifonario di Bangor, che contiene un
testo del credo che fa subito ricordare T ed in rapporto con le for
mule che abbiamo appena studiate. Questo famoso MS irlandese,
ora conservato nella Biblioteca Ambrosiana di Milano (siglato 5 inf.),
fu scritto nel grande monastero fondato nel 559 da S. Comgall nei
pressi di Belfast: la sua data, 680-691, stabilita da riferimenti al
10
11
397
Le caratteristiche notevoli che subito saltano agli occhi sono (a) l'uso di ARTEFICE DI TUTTE LE CREATURE, ecc. come pure INVISIBILE
con PADRE ONNIPOTENTE, (b) l'introduzione di DIO ONNIPOTENTE
dopo aver nominato sia il Figlio che lo Spirito, (e) l'insistenza sulla
consustanzialit dello Spirito, e (d) la forma della clausola finale sulla
vita futura. Bisogna anche notare l'omissione di MORTE. A parte
questi punti, tuttavia, il credo nelle sue grandi linee simile a T, e
quando vi si allontana richiama forme del credo del Messale cli Bobbio. Tra i passi simili possiamo scegliere (a) la ripetizione di CREDO
prima del secondo articolo, (b} l'uso di participi in accusativo per
CONCEPITO, ecc., (e) l'uso di SEDETTE per SIEDE, (d) l'ablativo in
caelis per AL CIELO, e (e} la frase LA GLORIA DI CRISTO nella clausola finale.
Un terzo documento liturgico che potremmo prendere come prova di una forma di credo simile a T il cosiddetto Missaie Gallicanum Vetus. 13 Secondo il parere degli esperti, il MS che lo riporta
(Cod. Vat. Pal. 493) comprende i resti di due diversi sacramentari
che sono stati riuniti insieme. Le parti che ci riguardano erano collegate, a quanto pare, alla diocesi di Auxerre, in Francia; furono
scritte all'inizio dell'VIII secolo, e provenivano da monasteri della
398
14
Nel foll. 16 r.
~(
,..
399
':. ;dell'influenza spagnola. Come sacramentario appartiene alla scuola ge.f \las1ana, e prevede due schemi battesimali. Nel primo le interroga\tjones de fide consistono di un credo in forma interrogatoria anche
pi povero di R: "Credi in Dio Padre onnipotente? E in Cristo
'Ges suo unico Figlio nostro Signore? Credi anche nello Spirito Sant()', nella santa Chiesa cattolica, nella remissione dei peccati, nella
risurrezione della carne?". Nel secondo schema il credo compare
in due modi, 19 dapprima in una forma dichiaratoria e poi in for. .ma interrogatoria. La prima posta dopo l' aperitio aurium (fol.
181 r.): il sacerdote fa un breve discorso di introduzione e invita
l'accolito a dichiarare il credo a nome del bambino candidato. Il testo a questo punto identico a T, salvo che riporta SEDETTE al posto di SIEDE e omette est con venturus. L'altra (fol. 181 v.) fa parte
del battesimo di un catecumeno ammalato e coincide ancora con T
salvo per quanto riguarda la forma interrogatoria, l'aggiunta di CREDI ANCHE TU? all'inizio del secondo articolo, l'omissione di ARTEFICE DEL CIELO E DELLA TERRA, e la sostituzione di SEDETTE con
SIEDE.
2.
400
Evidentemente, impossibile dimostrare che S. Bonifacio abbia realmente adottato T come suo credo battesimale, ma Burn osserv che
era improbabile che avesse usato un testo differente da quello preferito dal suo collaboratore S. Priminio. Ma se T fu usato da S. Bo-
23
24 Ep.
401
402
esempio lampante di quest'ultimo caso era la sua fiducia nel Psalterum Latino-Graecum di Cambridge, fiducia condivisa da una schiera
di altri studiosi (e questo pu essere un'attenuante). un mistero
come mai questo MS sia stato collegato con un papa Gregorio. Al
foll. ii r. esso porta l'iscrizione "psalterium grecum prioris Gregorii". Secondo M.R. James, stato probabilmente scritto nel XIII
secolo, ed egli azzard la supposizione che fosse di propriet di Gregorio di Huntingdon, priore di Ramsey (fl. circa 1250). 27 Che avesse
ragione o meno, il MS non aveva niente a che fare con un papa Gregorio, e il sottile filo di collegamento che. agli occhi di Brin e di altri
collegava il suo contenuto con Roma era puramente immaginario.
Indubbiamente Burn attribu troppa importanza anche alla supposta amicizia e collaborazione tra S. Priminio e S. Bonifacio. L'unica circostanza documentata di contatto fra i due grandi missionari
della Germania si ebbe quando S. Priminio giaceva sul suo letto di
morte a Hornbach e, secondo il suo biografo del secolo IX28 (testimone non molto attendibile), ricevette una visita di S. Bonifacio.
Se questo fatto sia mai avvenuto (esso viene raccontato in modo edificante, mentre i ben informati biografi dello stesso S. Bonifacio tacciono al riguardo), dev'essere stata una visita di passaggio quando
S. Bonifacio tornava a Magonza dopo la consacrazione di Pipino
a re dei Franchi. Il nome di S. Priminio non si trova nella corrispondenza che ci rimasta di S. Bonifacio, bench entrambi appartenessero allo stesso ordine benedettino, e, mentre i due personaggi. devono
essere stati l'uno a conoscenza dell'esistenza dell'altro, sembra che
in realt siano vissuti l'uno indipendente dall'altro. In~ltre, bench
S. Bonifacio fosse stato nominato da papa Gregorio III nel 738 suo
legato sia per la Baviera che per il resto della Germania, sembra che
egli abbia volutamente cercato di evitare di svolgere la sua missione
in Germania, certamente per non interferire nell'attivit di S. Priminio.29 L'ipotesi che fossero amici e operassero insieme o persino
come colleghi totalmente priva di basi storiche.
Si rischia perci di certo qualcosa di pi che un salto nel buio a
concludere che, se S. Priminio usava T, anche S. Bonifacio deve aver27 Cf. M.R. James, A Description of the MSS in the Librury of Corpus Christi
College, Cambridge, Cambridge, 1912 li, 399ss.
28 Cf. Vit. et miroc. S. Pirminii 9 (ed. di E.O. Holder-Egger in Mon. Germ-. Hist.,
Script. XV, 28s.).
.
.
. .
29 Su tutto questo, vedi G. Jeker, Die He1mat des hl. P1rmm. 14.
403
30
31
404
L'ORIGINE ISPANO-GALLICANA DI T
405
degli studiosi a respingerla deve ancora essere ricordata. Essa si divide in tre parti. Prima di tutto, ci sono fondati motivi per supporre
che, se un credo di questo genere era conosciuto e usato a Roma
prima del secolo IX, si trattava di R e non di T. Leone Magno ( t
461) e Gregorio Magno ( t 604), come stato appena dimostrato, 32
conoscevano e si servivano di R o di un credo molto simile, poich
tutti e due certamente ignoravano T. Un'altra prova la.presenza
di R, e non di T, nel Codice Laudiano degli Atti, un MS della fine
del VI o inizio del VII portato in Inghilterra da missionari romani
(probabilmente da Teodoro di Tarso, 669-690), e nel Salterio di Aethelstan (IX secolo). In secondo luogo, difficile sfuggire all'impressione, come stato messo in rilievo nel capitolo precedente, che, per
alcuni secoli, la Chiesa romana abbia usato C come suo credo battesimale, almeno per i suoi scopi locali. In terzo luogo, i lettori avranno notato in quest'ultima parte che tutti i documenti precedenti
comprovanti l'esistenza di T o l'esistenza di credo simili a T sono
gallicani. Anche se difficile e misterioso stabilire la loro esatta provenienza, nessuno sforzo di fantasia, per, potr associarli direttamente a Roma. La maggioranza di essi risale a una data precedente
la met del secolo VIII. Ci significa che la deliberata romanizzazione dei libri liturgici gallicani, che fu una caratteristica della politica liturgica carolingia, non ebbe veramente luogo prima della met
di quel secolo.
3.
L'origine ispano-gallicana di T
Se si esclude la teoria che T abbia avuto origine e sia stato emanato da Roma, se ne deve ovviamente ricercare la fonte in uno dei centri della provincia. Un metodo utile di approccio al problema quello
di esaminare i vari tipi di simboli di fede locali, per quanto possibile recuperarli, e di confrontarli con T. Ben.ch sia ovvio che le forme di credo non fossero rigidamente stabilite, ugualmente ovvio
che i testi usati nelle varie localit tendessero a distinguersi con tratti caratteristici. Di primo intuito si pu affermare che molto probabile l'ipotesi secondo cui T deve essere sorto nella regione in cui
formulari molto simili erano di uso corrente.
Se viene adottata questa ipotesi, logico che alcune regioni pos-
32
406
sono essere senz'altro .e::;cluse. Nessuno, forse, pu proporre l' Africa come l'ambiente in cui nacque T, ma interessante notare che
formulari di fede identificabili come africani differiscono in maniera netta da T. Prendiamo i formulari citati a p. 172.s. come rappresentativi delle formule di fede africane. Delle undici caratteristiche
locali riportate nella prima parte del cap. XII solo cinque compaiono in essi - il costrutto GES CRISTO, MORTO, DONDE, CATTOLICA
e VITA ETERNA; e di questi n MORTO n CATTOLICO (solo in s. Agostino) sembrano avere avuto grande presa. Nello stesso tempo, in
stridente contrasto con T, essi hanno espressioni insolite come RE
DEI TEMPI, IMMORTALE e PER MEZZO DELLA SANTA CHIESA. D'altra
parte, stato di tanto in tanto affermato che T potesse essere una
formula del Nord Italia. stata addotta a prova di ci la presenza
di un testo molto simile nel Messale di Bobbio, ma (a parte l'improbabilit che il Messale di Bobbio potesse essere un documento del
Nord Italia) la teoria riceve poco o addirittura nessun appoggio dai
credo che appartenevano a quella regione. Essi sono, come abbiamo visto a p. 170s., assai pi vicini a R che a T.
Il riferimento alle Chiese spagnole dev'essere preso in maggiore
considerazione. Sembra che la Spagna abbia posseduto una versione abbastanza consolidata del credo dai tempi di S. Martino di Braga (t 580) sino al secolo VIII, e che questo fosse simile a T in molti
particolari. Naturalmente tutte le formule di fede spagnole di questo periodo avevano il costrutto GES CRISTO. Ma inoltre avevano
trovato un posto le clausole SOFFR, DISCESE ALL'INFERNO, DIO PADRE ONNIPOTENTE nel passo riguardante la sessione, CATTOLICA e
VITA ETERNA33 La liturgia mozarabica poteva anche vantare la COMUNIONE DEI SANTI. Ma bisogna notare che, pur adoperandosi in
Spagna il Credo Costantinopolitano durante la messa fin dal 589,
le parole CREATORE DEL CIELO E DELLA TERRA erano normalmente
mancanti. Lo stesso avveniva per l'importante distinzione CONCEPITO DA ... NATO DA ...
33
34
L'ORIGINE ISPANO-GALLICANA DI T
407
36
408
RE
38
L'ORIGINE ISPANO-GALLICANA DI T
409
40 Cf. G. Morin, D'o est venu St Pirmin? in Revue Charlemagne i, 1911, 87ss.
D.U. Burlire, R. Bn. xxxiv, 1922, 388; D.J. Prez, Boletfln de la Real Academia
de la Historia (Madrid) lxxvii, 1920, 132-150; G. Jecker, Die Heimat des hl. Plrmin;
W. Levison, Neues Archiv, xlv, 1924, 385. Iri contrasto con questo punto di vista,
cf. M.J. Fleskamp, Z . .fiir KG. xlvi, 1925, 199-202; ma l'argomentazione che egli svolge
per dimostrare un'origine irlandese di S. Priminio insufficiente.
410
fugo dal suo paese. Se vero che era originario del distretto di Narbona, vengono chiariti i motivi della sua partenza dalla Septimania
e dell'inizio dei suoi lunghi viaggi missionari. Fu nel 718 che i Saraceni, sotto il comando del terribile EI-Hurr, irruppero attraverso i
Pirenei con le loro orde, spargendo devastazioni per ogni dove: la
stessa Narbona cadde sotto di loro nel 720. Le chiese, con i loro addohhi e i loro tesori, e il clero che li custodiva furono oggetto dei
loro attacchi, e S. Priminio pu benissimo essere stato uno di quelli
che fuggirono per mettersi in salvo prima dell'assalto.
In secondo luogo, l'uso da parte di S. Cesario di Arles ( t 542)
di una formula di fede straordinariamente simile a T, duecento anni
prima di S. Primiriio, convalida decisamente questa ipotesi. Aries
si trovava, vero, sulla riva orientale del Rodano. Ma le relazioni
ecclesiali, al contrario di quelle di Vienne (che si intrattenevano con
i Borgognoni), si svolgevano con i Visigoti dominatori della Provenza, e nel 514 papa Simmaco dette allo stesso S. Cesario potere decisionale per le questioni riguardanti la fede sia in Spagna che in
Gallia. 41 I suoi rapporti privati con i capi dei Goti, pur avendo dei
momenti di estrema tensione (egli fu esiliato in pi di una circostanza}, furono molto stretti e sfociarono in una collaborazione pratica
e concorde. interessante osservare che il credo, che gli attribuiamo d'accordo con Dom Morin, 42 e che ha dei chiari segni dianalogia con T, ricorda in numerosi particolari alcuni formulari spagnoli.
L'aggettivo UNIGENITO (unigenitum), per esempio, ha un precedente
spagnolo nel libellus fidei di S. Gregorio di Elvira del secolo IV. 43
Si trova di nuovo in S. Teodulfo di Orlans circa nell'800, 44 equesti apparteneva ai Goti della Spagna. presente anche, come abbiamo gi osservato, nel credo di S. Cipriano di Tolone. E ancora,
l'inversione di sostantivo e aggettivo in SANTO SPIRITO (sanctum Spiritum) si trova in S. Gregorio di Tours ( -t 594), 45 ed probabilmente spagnola: in ogni caso essa ricompare nel credo della liturgia mozarabica. 46
41
L'ORIGINE ISPANO-GALLICANA DI T
411
48
412
Dom Morin si era molto occupato della ricostruzione delle opere omiletiche di S. Cesario. Queste ricerche lo portarono a convincersi sempre pi che vi erano stretti legami tra l'antico Sacramentario Gallicano e la liturgia proposta da S. Cesario nei suoi sermoni, e in
particolare nelle sue istruzioni catechistiche bibliche in preparazione al battesimo di Pasqua. 56 Sembra dunque che la soluzione da
lui suggerita abbia chiarito la prolungata controversia sul luogo di
origine del Messale di Bobbio.
Un altro fatto, che rende pi convincente l'ipotesi che sta prendendo consistenza, la comparsa di un credo praticamente identico
a T nel Sacramentario Gellonense. I liturgisti pi competenti affermano concordemente che il MS contenente questo credo fu redatto
negli ultimi anni del secolo VIII, ed probabile che sia stato scritto
per czy.alche casa religiosa dei dintorni di Meaux (non lontano da Parigi, ad est). Il suo editore pi recente, Dom P. Puniet, come stato
notato in precedenza, ritiene che il luogo di origine sa la stessa Gellone, nei dintorni di Montpellier nel sud della Francia, ma la sua
argomentazione non convince nessuno. L'abazia di S. Guglielmo del
Deserto di Gellone non fu fondata prima dell'804, che una data
piuttosto tarda per il MS; e non si possono trascurare le ripetute citazioni nel martirologio, nella forma originale, dell'abazia di Re-
54
L'ORIGINE ISPANO-GALLICANA DI T
413
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Carlomagno e il Credo
CARLOMAGNO E IL CREDO
415
416
CARLOMAGNO E IL CREDO
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418
Pertanto desideriamo sapere, o con una lettera o a voce, in che modo voi
e i vostri suffraganei educate e istruite sul sacramento del battesimo i preti
di Dio e le persone da voi incaricate, cio, perch un bambino divenga prima catecumeno, e che cosa sia un catecumeno. Inoltre che cosa dite loro
sulle altre parti in ordine al rito per quanto riguarda lo scrutinio, che cos'
lo scrutinio; per quanto riguarda il simbolo che cosa significhi questa parola secondo i latini; per quanto riguarda la fede (de credulitate), in che modo
debbano credere in Dio Padre onnipotente e in Ges Cristo Suo Figlio, che
nacque e soffr e nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, e gli altri
articoli che seguono nello stesso credo; per quanto riguarda la rinuncia a
Satana e a tutte le sue opere e le sue pompe, che cosa sia la rinuncia, e quali
sono le opere e le pompe del demonio, ecc.
Notiamo che qui l'imperatore cita specificamente il credo. Il suo scopo, evidentemente, era di assicurare l'uniformit nella celebrazione
del battesimo sulla base del rito romano. Le risposte dei vescovi, una
parte delle quali sono giunte fino a noi, devono aver rivelato una
spaventosa diversit di situazioni, e dobbiamo ritenere che venissero confermate le sue peggiori previsioni. Cos i concili da lui patrocinati nell'813 insistettero nuovamente che dovesse essere preso a
modello il rito romano, e che su questo i vescovi dovevano istruire
il clero. L'idea dell'uniformit si stava energicamente aprendo una
strada, ed interessante per noi osservare che il testo del credo battesimale era fra gli articoli che maggiormente stavano a cuore. all'imperatore.
I risultati ai quali mira questa ricerca possono a prima vista non
sembrare molto interessanti. Ma, se pur non abbiamo finora incontrato un chiaro segno della preminenza assoluta garantita a T, potremmo almeno aver compreso quanto l'ambiente fosse- propizio
all'affermarsi di un solo credo ufficiale e all'eliminazione di ogni
particolarismo. Non deve sorprendere che la scelta sia caduta su T.
Bisogna ricordare che T si presentava in modo insolitamente favorevole per affermarsi. Originario della Septimania nel sud-ovest della
Francia, era in uso comune ad Arles sull'altro lato del Rodano; e
con i viaggi missionari di S. Priminio si stabil sia nel nord della Francia che in alcune parti della Germania. L'abazia di Reichenau fondata dal suo patrono era un efficiente centro di influenza liturgica.
Era facile, dunque, prevedere che, quando la politica di uniformit
liturgica perseguita dai Carolingi, l'elevazione del credo battesimale
a strumento di istruzione, e la particolare sollecitudine di Carlomagno per il rito battesimale avessero richiesto l'adozione di un credo
CARLOMAGNO E IL CREDO
419
420
L'accoglienza di T a Roma
Nella parte precedente si cercato di raccogliere, forse in un modo piuttosto schematico e non bene ordinato, del materiale che mettesse in luce il cammino fatto dal Credo Apostolico in forma di T
per diventare preminente nelle terre dei Franchi. Non siamo per niente
sorpresi di osservare che in genere venne considerato nei secoli XI
e XII come la versione autorevole del credo in Occidente. S. Ivo di
Chartres ( t 1117), per esempio, scrisse un sermone sul Credo ApoCf.
so Cf.
81 Cf.
82 Cf.
79
L'ACCOGLIENZA DI T A ROMA
421
84
85
opere).
89 Vedi sopra p. 343.
422
I due primi documenti ritenuti romani che testimoniano dell'accoglienza di T a Roma sono (a) l'Ordo Romanus antiquus, edito da
Melchiorre Hittorp nel 1568 come prima parte del suo De divinis
catholicae ecclesiae officiis, e (b) il Codex Sessorianus 52 (ora Codice 2096 nella Biblioteca Nazionale di Roma). Il primo di questi, descritto dal cardinale Tommasi nel secolo XVII come "un insieme
di svariati riti secondo le diverse usanze", stato fatto risalire da
alcuni studiosi alla met del secolo X. 90 Si tratta di uno dei principali documenti ed situato dopo il Pontificale Romano-Germanico del secolo X che stato notoriamente studiato da M. Mchel
Andrieu. 91 Il Codex Sessorianus 52 anch'esso un documento composito, che include delle parti di fine secolo XI e inizio del XII. 92
Delle quattro parti, di cui si compone, i foII. I-103 e i foll. 178-190
sono, per la maggior parte, del secolo XII, mentre foll. 104-177
e i foll. 191-205 appartengono alla fine del secolo Xl. Sembra fuor
di dubbio che la prima redazione sia stata scritta in Italia. Il MS era
propriet nel secolo XIII (questo il significato di una nota posta
in calce nel verso dell'ultima pagina) dell'abazia di Nonantola, situata 10 km. a nord-est di Modena.
La presenza di T in queste due importanti fonti richiede una pi
precisa e dettagliata esposizione. Molti frammenti e stralci dei rito
battesimale si possono ritrovare caoticamente sparsi qua e l nell'Orda Romanus antiquus. In tutti questi, generalmente, il credo proposto C. Con quest'unica eccezione, tuttavia, pubblicata a p. 73
dell'edizione 1568, T viene citato come un credo dichiaratorio, assieme alla rubrica introduttiva:
Allorch .termina la litania presso il fonte, tutto il clero e il popolo sta in
circolo intorno ad esso, e vien fatto silenzio e il papa all'ora nona, mentre
sta per benedire l'acqua, come d'uso, pronuncia il Padre nostro, Pater
noster, ecc. Credo in deum, ecc.
Nel Codex Sessorianus 52 il credo T compare in due posti distinti. Il primo di questi nei foII. 114 v. e 115 r., dove la traditio symboli viene descritta dopo il modello dell'Ordo Romanus VII di Ma-
Cf. R. Monchemeier, Amalar von Metz, 1893, 140; S. Baumer, Die Katholik
i, 1889, 626.
91 Cf. Les ordines romani du haut moyen age, Lovanio, .1931, e Le pontifica/ romain au moyen-age (Studi e Testi, LXXXVI, 1938).
92
L'ACCOGLIENZA DI T A ROMA
423
93
424
ta delle liturgie descritte nel Codex Sessorianus 52, molti studiosi hanno ritenuto giusto concludere che T deve essere stato adottato nel rito
battesimale romano almeno verso la met del secolo IX. Tale fu la
conclusione dello stesso Dom Morin, che fu seguito, se pure con minor fiducia, da Kattenbusch. 94 Questa opinione non affatto assurda o forzata. La liturgia romana, con l'aiuto espressamente dato da
Pipino e da Carlomagno, fu introdotta decisamente nei territori franchi verso la seconda met del secolo VIII. Tuttavia, all'inizio del secolo IX, 1' ondata dava segni di fluttuare in direzione opposta. In
quell'epoca Roma adottava esperienze della Chiesa dei Franchi. Leone III, per esempio, pur non volendo imitare il modo gallicano di
cantare il credo durante la messa, non esit a introdurre a Roma
le rogazioni dei Franchi nei giorni che precedevano la festa dell' Ascensione.95 Un capitulare evange/iorum romano usato a Lucca nella seconda met del secolo IX conteneva gi le festivit franche degli
Apostoli con le loro pericopi. 96 Esempi come questi potevano essere isolati, ma indicavano i segni dei tempi: l'influsso culturale dei
Franchi infatti doveva ben presto diventare marea potente, e le onde lambivano ormai le spiagge romane. Non possiamo escludere la
possibilit che fra le innovazioni importate a Roma dall'impero franco all'inizio del secolo IX ci fosse la versione franca del Credo Apostolico.
Tuttavia possiamo chiederci se non si sia costruito troppo sulle
acclamazioni festive che indubbiamente costituiscono un modello
straordinario del Codex Sessorianus 52. In generale sarebbe preferibile assegnare ad una data pi tarda l'adozione di T da parte di Roma.
Mentre l'influenza liturgica franca incominciava a farsi sentire a Roma
nella met del secolo IX, essa non si diffuse pienamente in Italia fino a circa cent'anni dopo. Inoltre, la lunga sopravvivenza del ricordo dell'uso di C nel servizio battesimale (un uso attestato in molte
occasioni dall' Ordo Romanus antiquus stesso, come il lettore potr
ricordare) renderebbe difficile accertare se C abbia lasciato il suo
posto a T cos presto. Considerazioni come queste invitano ad accettare con maggiore cautela la credibilit del Codex Sessorianus 52
94
425
quale prova attendibile della prassi romana della met del secolo IX.
Molti punti sembrano fatti apposta per sollevare e rafforzare i dubbi. Prima di tutto, la parte del codice che stiamo esaminando non
fu scritta prima della fine del secolo Xl, e su questo tutti sono concordi. Questo fatto genera subito dei sospetti. Era una naturale, e quasi irresistibile tentazione che gli amanuensi, nel ricopiare il credo in
extenso, lo riproducessero nella forma con cui avevano maggiore familiarit. Supponendo che il rito descritto nel suo insieme appartenga al secolo IX, non abbiamo allora nessuna garanzia che il credo
dichiaratorio sia una copia fedele del testo originaje; e ritrovare C
alla redditio del sabato santo complica ancor pi le cose. In secondo luogo, non del tutto certo che il rito sia necessariamente del
secolo IX. Il Codex Sessorianus 52 una raccolta di brani che si riferiscono a date molto diverse. Non si pu minimamente supporre
che tutti questi brani, o anche che tutti gli ordines compresi nei foll.
104-177 risalgono alla stessa epoca. Indubbiamente le acclamazioni festive del fol. 126 sono giustamente attribuite ai regni del papa
Nicola I e dell'imperatore Ludovico Il. Altre parti, tuttavia, possono risalire a date molto posteriori. Per fare un esempio, il rito della
consacrazione di un vescovo (fol. 128 v. -130 r.) riporta lunghi brani ripresi da modelli franchi, e questo si potrebbe facilmente capire
se fosse accaduto dopo il secolo IX. perfettamente logico che la
versione modificata dell'Orda Romanus VII che forma il rito battesimale derivi da una data relativamente pi tardiva. In terzo luogo,
non abbiamo realmente alcun diritto di ritenere che tutti i rituali compresi nel codice siano di origine romana. Un recentissimo e autorevole esame del MS 97 ha portato l'attenzione sugli stretti punti di
contatto che ha con il Pontificale Romano-Germanico compilato probabilmente a Magonza verso la met del secolo X. Prevale l'opinione che il codice, o il modello sul quale era fondato, deve aver visto
la luce solo poco prima dell'adozione definitiva del pontificale a Roma, e cio nell'ultima parte del secolo X. Per quanto riguarda i suoi
contenuti, essi sono chiaramente un insieme di materiali derivati da
varie fonti, sia franche che romane.
Se il significato ultimo di riflessioni come queste non del tutto
chiaro, esse perlomeno ci obbligano a guardarci dal pericolo dicostruire troppe cose sul fatto di aver ricevuto il testo del credo dal
97
426
Codex Sessorianus 52. necessario che sia vagliato un grande numero di probabilit, la qual cosa non faceva parte degli obiettivi di Dom
Morin e Kattenbusch, e sarebbe meglio rimandare qualsiasi decisione finch non si possa disporre di un'edizione del codice con relative note. Nel frattempo, la fiducia nell'opinione che T abbia soppiantato C nel rito battesimale romano fin dal secolo IX seriamente venuta meno. Pu benissimo essere accaduto, ma la prova
che di solito viene portata non per niente soddisfacente. D'altra
parte possibile proporre una data alternativa che assai probabile. Questa l'epoca in cui, per effetto di circostanze politiche e per
la sua interna debolezza, la Chiesa romana fin per soccombere senza resistenza all'influsso franco-germanico e, in particolare, consent
alla sua liturgia di subire una effettiva trasformazione. Tale periodo dur all'incirca dalla restaurazione dell'impero sotto Ottone I nel
962 fino all'inizio del regno di papa Gregorio VII (1073). Per oltre
un secolo, come osserv lo stesso papa Gregorio VII, "Teutonicis
concessum est regimen nostrae ecc/esiae" .98 Tutto questo dimostra
quanto la condizione della Chiesa in Italia, non meno che nella citt
santa, fosse deplorevole nel secolo X. L'ignoranza e la corruzione
erano molto forti, e la scienza e la prassi della liturgia erano cadute
in uno stato di pietosa decadenza. L'imperatore Ottone I, che fece
della riabilitazione del livello ecclesiastico uno degli elementi-base
della sua politica, soggiorn diverse volte e a lungo in Italia, e al
suo seguito schiere di ecclesiastici germanici attraversarono le Alpi.
Non c' da meravigliarsi che il loro sforzo per far risorgere una solida prassi liturgica desse come risultato una drastica gallicizzazione
del rito romano. Un passo, che deve aver contribuito ampiamente
a questo, fu fatto da papa Gregorio V nel 998. Il 22 aprile di quell'anno sembra che, dietro l'intervento di Ottone Ili, egli abbia accordato particolari privilegi all'abazia di Reichenau, compreso quello
di avere il proprio abate consacrato dallo stesso pontefice romano,
ma in cambio impose ad essa il dovere di inviare alla Santa Sede,
in occasione della consacrazione di ogni abate, un sacramentario,
un epistolario, un vangelo e due cavalli bianchi. 99 Questa curiosa
L'ACCOGLIENZA DI T A ROMA
427
100
Cf. M. Andrieu, Les ordines romani, 512ss., e Rev. des sciences relig. v, 1925,
251.
101
428
APPENDICE
Simboli di fede riportati in questo volume
I CORINTI 15,3ss.
Vi ho infatti trasmesso in primo luogo ci che anch'io ho ricevuto,
ROMANI 1, 3ss.
Riguardo ai Figlio suo,
nato dalla stirpe di David secondo la carne, costituito Figlio di Dio
con potenza mediante lo Spirito di santificazione, quando fu risuscitato dai morti,
Ges Cristo nostro Signore.
Per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia...
ROMANI 8, 34
Ges Cristo che mor,
anzi che risuscitato,
sta alla destra di Dio,
e intercede per noi.
430
APPENDICE
2 TIMOTEO 2, 8
Ricordati che Ges Cristo
della stirpe di Davide
risuscit dai morti, (secondo il mio vangelo).
1 PIETRO 3, 18ss.
Perch anche Cristo sqffr per i peccati,
egli giusto in favore degli ingiusti, per portarci a Dio,
messo a morte nella carne, ma vivificato nello spirito.
E in spirito si rec ad annunziare agli spiriti che attendevano in
prigione .
. . . in virt della risurrezione di Ges Cristo,
il quale, salito al cielo,
sta alla destra di Dio
essendogli stati sottomessi gli angeli, i principati e le potenze.
1 TIMOTEO 3, 16
Che si manifest nella carne,
fu giustificato nello Spirito,
apparve agli angeli,
fu annunziato ai pagani,
fu creduto nel mondo,
fu assunto nella gloria.
I CORINTI 8,6
Per noi c' un solo Dio, il Padre,
dal quale provengono tutte le cose, noi siamo per lui,
e un solo Signore Ges Cristo,
in virt del quale esistono tutte le cose, e noi esistiamo per lui.
I TIMOTEO 2,5ss.
Uno solo infatti Dio,
uno solo il mediatore tra Dio e gli uomini,
l'uomo Cristo Ges,
il quale ha dato s stesso in riscatto per tutti...
APPENDICE
431
1 TIMOTEO 6, 13ss.
Ti scongiuro davanti a Dio
che d la vita a tutte le cose,
e a Ges Cristo che testimoni la sua bella confessione
davanti a Ponzio Pilato,
di custodire senza macchia e irreprensibile il comandamento,
fino alla manifestazione del Signore nostro Ges Cristo.
2 TIMOTEO 4, l
ROMANI, 4,24
ma anche per noi .. che crediamo
in colui che risuscit
dai morti Ges nostro Signore,
il quale fu messo a morte per i nostri peccati
e fu risuscitato per la nostra giustificazione.
1 PIETRO, 1, 21
Voi per opera sua (cio di Ges) credete in
Dio, che l'ha risuscitato
dai morti
e gli ha dato gloria.
432
APPENDICE
S. IGNAZIO ai Tralliesi 9
Siate sordi se qualcuno vi parla senza Ges Cristo,
della stirpe di Davide,
figlio di Maria,
che realmente nacque, mangi e bevve,
fu veramente perseguitato sotto Ponzio Pilato,
fu veramente crocifisso e mor,
sotto lo sguardo di esseri celesti, terrestri e degli inferi,
che fu veramente risuscitato dai morti, poich suo Padre lo risuscit ...
S. POLICARPO ai Filippesi, 2
credenti in Lui
che ha risuscitato dai morti il nostro Signore Ges Cristo
e gli ha dato gloria e un trono alla sua destra,
al quale sono sottomesse tutte le cose del cielo e della terra
al quale obbedisce ogni soffio di vento,
che verr a giudicare i vivi e i morti.
I CREDO DI S. Giustino
Apologia I, 6, 2
Ma veneriamo e adoriamo
Lui (cio il vero Dio)
APPENDICE
433
Apologia I, 67, 2
Il Creatore di tutte le cose,
mediante suo Figlio Ges Cristo,
e mediante lo Spirito Santo.
Apologia I, 13
Cos, non siamo atei, poich adoriamo
il creatore di questo universo, ..
e poich con buona ragione onoriamo
colui che ci ha insegnato queste verit e a questo scopo nato,
Ges Cristo,
che fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, governatore della Giudea al tempo
di Tiberio Cesare,
avendo imparato che il Figlio del vero Dio
e ponendolo al secondo posto dopo il Padre,
e lo Spirito profetico terzo nell'ordine, procederemo alla dimostrazione.
Apologia I, passim
Poich ricevono un lavacro lustrale nell'acqua nel nome del Padre e Signore Dio dell'universo, e del nostro Salvatore Ges Cristo, e dello Spirito
Santo ...
Su colui che ha scelto di rinascere e si pentito dei suoi peccati viene pronunciato il nome del Padre e Signore Dio dell'universo, mentre il celebrante che conduce il candidato all'acqua deve usare questa e solo questa
descrizione di Dio ... inoltre, nel nome di Ges Cristo, che fu crocifisso
sotto Ponzio Pilato, e nel nome dello Spirito Santo, che per mezzo dei profeti preannunci le verit riguardanti Ges, che l'uomo illuminato viene
lavato.
434
APPENDICE
APPENDICE
435
436
APPENDICE
rr,,,.,.f1.JE<S
.,.,i,,
Rufino: TESTO DI R
Credo in deum patrem omnipotentem; Credo in Dio Padre onnipotente;
et in Christum Jesum filium eius unicum, e in Cristo Ges suo unico Figlio, nostro
Signore,
dominum nostrum,
qui natus est de Spiritu sancto et Maria che nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria,
virgine,
qui sub Pontio Pilato crucifixus est et se- che fu crocifisso sotto Ponzio Pilato e fu
sepolto,
pultus,
il terzo giorno risuscit dai morti,
tertia die resurrexit a mortuis
ascendit in caelos,
ascese al cielo,
sedet ad dexteram patris,
siede alla destra del Padre,
donde verr a giudicare vivi e
unde venturus est iudicare
morti;
vivos et mortuos;
e nello Spirito Santo,
et in Spiritum sanctum,
la santa Chiesa,
sanctam ecclesiam,
la remissione dei peccati,
remissionem peccatorum,
camis resurrectionem.
la risurrezione della carne.
rijs- wa.p/Jlvov,
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437
APPENDICE
Simbolo di AQUILEIA
Simbolo di RAVENNA
Simbolo di TORINO
Credo in deum patrem oninipotentem;
Et.in lesum Christum filium eius unicum, dominum nostrum,
qui natus est de Spiritu sancto ex Maria virgine,
qui sub Pontio Pilato crucifixus est et sepultus,
tertia die resurrext a mortuis, ascendit in caelum, sedet ad dexteram patris
inde venturus iudicare vivos et mortuos;
Et in Spiritum sanctum, sanctam ecclesiam, remissionem peccatorum,
carnis resurrectionem.
438
APPENDICE
Simbolo di REMESIANA
Credo in deum patrem omnipotentem, [caeli et terrae creatorem];
Et in filium eius Iesum Christum [dominum nostrum?],
natum ex Spiritu sancto et ex virgine Maria,
passum sub Pontio Pilato, crucifixum, mortuum,
tertia die resurreJt vivus a mortus,
ascendit in caelos,
sedet ad dexteram patris,
inde venturus indicare vivos et mortuos;
Et in Spiritum sanctum, sanctam ecclesiam catholicam, communionem sane
torum, remissionem peccatorum, carnis resurrectionem et vitam aeternam.
Simbolo di IPPONA
Simbolo di CARTAGINE
Simbolo di RUSPE
Credo m deum patrem omnipotentem, universorum creatorem, regem saeculorum, immortalem et invisibilem;
Credo in Jesum Christum, filium eius unicum, dominum nostrum,
qui natus est de Spiritu sancto ex virgine Maria,
crucifixus est [sub Pontio Pilato] et sepultus,
tertia die resurrexit [a mortuis],
in caelum ascendit,
et in dextera dei sedit,
inde veliturus est iudicare vivos et mortuos;
Credo in Spiritum sanctum, remissionem peccatorum,
carnis resurrectionem et vtam aeternam per sanctam ecclesiarn.
439
APPENDICE
Simbolo di PRJSCTLLIANO
Simbolo di RIEZ
Credo in deum patrem omnipotentem,
Et in filiwn eius dominum nostrum
lesum Christum,
qui conceptus est de Spiritu sancto,
natus c;:x Maria virgine,
crucifixus et sepultus,
tertia die resurrexit,
adscendit ad caelos,
sedet ad dexteram dei patris omnipotentis,
Simbolo di ARLES
Credo in deum patrem omnipotentem,
creatorem caeli et terrae;
Credo et in Iesum Christwn filium eius
unigenitum sempiternum,
qui conceptus est de Spiritu sancta,
Iiatus est de Maria virgine,
passus est sub Pontio Pilato, crucifixus,.
mortuus et sepultus, descendit ad
inferna,
tertia die resurrexit a mortuis,
ascendit ad caelos,
sedit ad dexteram dei patris omnipotentis,
440
APPENDICE
Simbolo di TOLONE
Credo in deum patrem omnipotentem;
Credo et in Iesum Christum, filium eius unigenitum, dominum nostrum,
qui conceptus de Spiritu sancto, natus ex Maria virgine,
passus sub Pontio Pilato, crucirixus et sepultus,
tertia die resurrexit a mortuis,
ascendit in coelos,
sedet ad dexteram patris,
inde venturus iudicaturus vivos ac mortuos ...
Simbolo di CESAREA
llurrf WEP fls Eva
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'lr<rrlpa., wavro-
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'Jl"Ol'T'~l'.
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IlifTffliop.o> I Ka Els
lv 'lfllEUp.a
ayiov.
Crediamo in un unico Dio, Padre, onnipotente, creatore di tutte le cose visibili ed invisibili;
E in un solo Signore Ges Cristo, il Verbo di Dio, Dio da Dio, luce da luce, vita da vita, Figlio unigenito, primogenito di tutta la creazione, generato
prima di tutti i tempi dal Padre, mediante il quale tutte le cose vennero alla vita, si incarn per la nostra salv=a,
e dimor tra gli uomini, e pat, ed risuscitato il terzo giorno, e ascese al Padre, e torner nella gloria per giudicare
i vivi e i morti;
Crediamo anche nello Spirito Santo.
Simbolo di GERUSALEMME
II,oTWOp.EV Els iva 8Eov, 'lfwripa, 'lfaitTOICpdTOpa., TrO''IT~V otlpa.voii ical yiis, paTciv
TE' m:lVT<UV
ICO. opdTl.IJV.
Crediamo in un solo Dio, Padre, onnipotente, creatore del cielo e della terra, di. tutte le cose visibili e invisibili;
E in un solo Signore Ges Cristo, l'unigenito Figlio di Dio, che fu generato dal
Padre come vero Dio prima di tutti i
tempi, mediante il Quale tutte le cose
vennero alla vita, che (si incarn e) divenne uomo, {che fu crocifisso e sepolto
APPENDICE
441
lOTa:c ft;\(,S'.
lv /Jhrrcup.a .eravolcis Els Uef>Ea1.v dp.apnWv, Kal Els- .la.li t17lav Ka8o'Jwc1,11
1eKA'l}f7l<D', Ka.l Els aet.plCs &v&OTatv, ICtz&
d~ CW/v ccdwov.
Simbolo di ANTTOCHIA
Credo in unum et solum vcrum deum,
patrcm, omnipotentcm, crcatorcm
omnium visibilium et invisibilium
creaturarum;
Et in dominum nostrum Icsum Christum, filium eius unigenituni et primogcnitum totiua crcaturae, cx eo natum
ante omnia saccula et non factum,
dcum verum cx deo vero, homousion
patn, per qucm et saecula compaginata sunt et omnia facta, qui proptcr nos vcnit et natus est cx Maria
virgine, et crucifurus sub Pontio Pilato, et sepultus, et tertia dic rcsurrexit secundum scripturas, et ascendit in caelos, et itcrum veniet
iudkare vivos et mortuoa;
Et reliqua.
Credo in uno e solo vero Dio, Padre, onnipotente, creatore di tutte le creature
visibili e invisibili;
E nel Signore nostro Ges Cristo, suo Figlio unigenito e primogenito di ogni
creatura, nato da lui prima di tutti i secoli e non creato, Dio vero da Dio vero, consustanziale al Padre, mediante
il quale anche i secoli furono formati
e tutte le cose furono create, che per noi
venne e nacque dalla Vergine Maria, e
fu.crocifisso sotto Ponzio Pilato, e fu
sepolto, e il terzo giorno risuscit secondo le Scritture, e ascese al cielo, e torner di nuovo a giudicare i vivi e i
morti;
Eccetera.
442
APPENDICE
COSTITUZIONI APOSTOLICHE
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E credo, e sono battezzato, in un eterno, unico vero Dio, onnipotente, il Padre del Cristo, creatore e costruttore di
tutte le cose, dal quale sono tutte le
cose;
E nel Signore Ges il Cristo, suo unigenito Figlio, il primogenito di tutta la
creazione che nacque prima dei tempi,
increato, in cielo e sulla terra, visibile
e invisibile, che negli ultimi giorni scese dal cielo e assunse la carne, nato dalla
santa vergine Maria, e visse in santa
saggezza secondo le leggi di Dio Suo Padre, e fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, e mori per noi, e risuscit nuovamente dai morti, dopo la sua passione,
il terzo giorno, e ascese al cielo, e sedette alla destra del Padre, e verr di
nuovo alla fine dei tempi con gloria a
giudicare i viVi. e i morti, e il cui regno
non avr fine:
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Simbolo di MOPSUESTIA
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Crediamo in un solo Dio, Padre, onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili;
E in un solo Signore Ges Cristo, unigenito Figlio di Dio, primogenito dell'intera creazione, che fu generato da suo
Padre prima dei tempi, non creato, Dio
vero da Dio vero, consustanziale al Padre suo , mediante il quale furono formati i tempi e tutte le cose vennero alla
APPENDICE
443
vita. Che per noi uomini e per 'la nostra salvezza discese dal cielo e si incarn e divenne uomo, nato dalla Vergine
Maria, e fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, fu sepolto e risuscit il terzo giorno secondo le Scritture, ascese al cielo,
siede alla destra di Dio e torner a giudicare i vivi e i m<:irti;
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Simbolo di ALESSANDRIA
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46 Riguardo ai quali crediamo come sembra bene alla Chiesa apostolica, cio in
un solo Padre non generato ... e in un
unico Signore Ges Cristo, unigenito
Figlio di Dio, generato non da ci che
non ma dal Padre che ...
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Simbolo di S. MACARIO
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447
Cristo condanniamo ogni dottdna erronea ed eretica. E se qualcuno in contrasto con la salutare e retta fede delle
Scritture, dicendo che c' o c' stato
tempo o momento o secolo prima che
il Figlio fosse generato, sia anatema. O
se qualcuno dice che il Figlio creatura come una delle creature, o una genitura come una delle geniture, o opera
come una delle opere, e nn come le divine Scritture hanno tramandato le verit predette una dopo l'altra, e se uno
insegna o predica altro da quello che abbiamo ricevuto, sia anatema. Infatti noi
crediamo e seguiamo in spirito di verit e timore tutte le verit trasmesse dalle
sacre Scritture, per opera dei profeti e
degli Apostoli.
di ANTIOCHIA
In Dio, Padre onnipotente, creatore e fattore dell'universo, dal quale sono tutte
le cose
E nel suo unigenito Figlio, Dio, il Verbo, Potenza e Saggezza, nostro Signore Ges Cristo, per mezzo del quale
sono tutte le cose, che fu generato dal
Padre prima di tutti i secoli, Dio perfetto da Dio perfetto, e che esiste come una persona con Dio, e negli ultimi
giorni discese e nacque dalla Vergine secondo le Scdtture, divenne uomo, pat
e risuscit dai morti, e ascese al cielo,
e sedette alla destra di suo Padre, e verr nuovamente con gloria e potenza a
giudicare i vivi e i morti, e rimane per
tutti i tempi;
E nello Spirito Santo, il Paracleto, lo Spirito della verit, che Dio per mezzo del
profeta promise di dare in dono ai suoi
servi e il Signore promise di mandare
ai suoi discepoli, e che mand, come testimoniano gli Atti degli Apostoli.
Ma se qualcuno insegna o porta nel cuore qualsiasi cosa che sia diversa da questa fede, sia antema ... di Marcello di
Ancira, o di Sabellio, o di Paolo di Samosata, lui e chiunque condivide tutto
con lui sia antema".
-1-48
APPENDICE
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coli e tutte le cose vennero all'esistenza: generato unigenito, solo dal solo
Padre, Dio da Dio, simile al Padre che
lo ha generato secondo le Scritture, la
cui generazione nessuno conosce, tranne il Padre che lo ha generato. Sappiamo che quest'unico generato Figlio di
Dio, per invito del Padre, venne dal cielo per abolire il peccato, e nacque dalla Vergine Maria, e si associ con i
discepoli, e comp tutta l'economia secondo la volont del Padre, fu crocifisso e mor, e discese all'inferno, e
regol l le cose, che i custodi degli inferi videro e tremarono, e risuscit dai
morti il terzo giorno, e si associ con
i discepoli, e comp tutta l'economia,
e al compimento dei quaranta giorni fu
assunto in cielo, e siede alla destra del
Padre, e verr l'ultimo giorno della risurrezione con la gloria del Padre, a remunerare ognuno secondo le sue azioni;
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Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, dal quale sono tutte le cose.
E in un solo Figlio di Dio, generato da
Dio prima di tutti i tempi e prima di tutti gli inizi, per mezzo del quale tutte le
cose furono create, visibili e invisibili,
ungenito generato, Lui solo dal solo Padre, Dio da Dio, come il Padre lo gener secondo le Scritture, del quale
nessuno conosce la generazione se non
il solo Padre che lo gener. Sappiamo
che quest'unigenito Figlio di Dio, avendolo mandato il Padre, venne dal cielo,
come sta scritto, per la distruzione del
peccato e della morte, e nacque dallo
Spirito Santo, dalla Vergine Maria per
quanto riguarda, la carne come sta scritto, e si associ con i discepoli, e, avendo compiuto tutta l'economia secondo
la volont del Padre, fu crocifisso e mor, e fu sepolto e discese nel mondo inferiore (alla presenza del quale lo stesso
inferno trem): risuscit anche dai morti il terzo giorno, e soggiorn con i discepoli, e al compimento dei quaranta
giorni fu assunto al cielo, e siede alla
destra del Padre, proponendosi di tornare l'ultimo giorno della risurrezione
nella gloria del Padre per premiare
ognuno secondo le sue azioni.
E nello Spirito Santo, che l'unigenito Figlo di Dio stesso, Cristo nostro Signore e Dio, promise di mandare come
Paracleto alla razza degli uomini, come sta scritto "Lo Spirito di verit",
che egli mand su di loro allorch ascese
al cielo.
Riguardo al nome "sostanza", che era
stato adottato senza pregiudizio dai padri, ma sconosciuto al popolo fu causa
di scandalo, perch le stesse Scritture
non lo contengono, piaciuto a noi che
fosse abolito e che d'ora in poi non si
citasse in alcun modo, poich in verit
le divine Scritture non hanno mai citato la sostanza n del Padre n del Figlio. E neppure bisogna usare il termine
ipostasi del Padre del Figlio e dello Spi-
APPENDICE
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TEXTUS RECEPTUS
Credo in deum patretn omnipotentem,
creatorem coeli et terrae;
Et in lesum Christum, filium eius
452
APPENDICE
stro Signore, che fu concepito dallo Spirito Santo, nacque dalla Vergine Maria,
soffr sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, mor e fu sepolto, discese all'inferno, e il terzo giorno risuscit dai morti,
sal al cielo,siede alla destra di Dio Padre onnipotente, di l verr a giudicare
i vivi e i morti;
Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa
cattolica, la comunione dei santi, la re.missione dei peccati, la risurrezione della carne, e la vita eterna. Amen.
Bobbio B
Robbio A
Credo in deurn patrem omnipotentem,
creatorem celi et terrae.
Credo in lesu Christo filium eius unigenitum sempiternum, conceptum de Spiritu sancto, natum ex Maria virgene,
passus sub Poncio Pilato, crucifixum,
mortuurn et sepultum, discendit ad inferna, tercia die resurrexit a mortuis,
ascendit ad celus, sedt ad dexteram dei
patrs omnipotentis, inde venturus indicare vivos et mortuos.
Credo in sancto Spiritu, sancta aeclesia
catolica, sanctorum comunione, remissione peccatorum, carnis resurreccioniem, vita!Il aeternam.
INDICE
Abelardo, 388, 421
Acacio di Cesarea, 181, 287, 288
Achamot, 242
Acta Justini, 79 n
Admonitio Generalis, 416, 420 n
Adone di Vienna, 359 n
Adozionismo, Adozionisti, 126, 127, 128,
144, 145, 351, 352, 360, 372
Adriano I, papa, 352, 359, 415, 420
Adriano II, papa, 420
Adversus haereses (S. Ireneo), 76, 77, 78, 80,
94, 121, 123, 135, 147, 201, 370 n
Adversus Praxeam (Tertulliano), 85, 94, 114,
354, 370 n
Aezio (anomeo) 281, 284
Aezio (di Costantinopoli) 294, 295, 314
Afraate persiano 186 n, 374
Agatone, papa, 356
Agostino, s., 3, 31, 34, 35, 38, 53, 55, 59,
105, 123, 132, 136, 166, 170, 173, 258,
354, 355, 365, 368, 371, 372, 375, 376 n,
379, 382, 383, 385 n, 390 n, 392, 406
Agostino di Canterbury, s., 403.
Alberico, Patricius Romanorum, 427
Alcuino, 349, 350n, 351, 352, 366, 372, 387,
416, 419
Alessandria, 91, 186, 189, 246, 318, 359;
sinodo di (362), 238, 276, 281, 329, 336;
concilio di (378), 332
Alessandro, s., vescovo di Alessandria, 186,
189, 204, 208, 230, 231 n, 232 n, 234, 235
n, 237, 240; 243 n, 247, 248, 249, 250,
252, 259, 268 n, 341
Alessandro di Bisanzio, 186, 204, 208, 250
Alessandro di Tessaloriica, 204 n
Amalario d~ Metz, 350, 352, 366
Amalario di Treviri, 389, 401, 403, 419
Ambrogio, s., 1, 2, 35, 36, 104, 105, 166, 170,
247, 251, 354, 365, 391
Ammiano Marcellino, 261
Ammoniti, 323
Anabattisti, 363
Anastasio (cronista), 361
Anastasio I, imperatore, 345, 346
Anathenia lsous, 14
Anatolio di Costantinopoli, 313, 314
Ancira, 107, 206, 209, 221, 277
siriodo di (358) 236, 245, 284, 285
Ancoratus (s. Epifanio), 189 n, 217 n, 244
ANALITICO
n, 301, 306, 314, 315, 316, 332 n
Andrieu, M., 417 n, 422, 425 n, 427 n
Anomei, 238, 281, 284, 285, 289, 291, 302,
337
Antiochia, 33, 183, 185, 190, 194, 198, 199,
205, 222, 237, 246, 271, 276, 277, 329,
345, 359
concilio di (268), 205, 236, 245
concilio di (325), 206, 209, 211, 224, 237
concilio della Dedicazione di (341), 108,
189, 259, 261-272, 280, 284, 289
concilio di (379), 303, 322, 332
Antiochia di Pisidia, 148
Antonino Pio, 70
Apollinare, 296, 330, 331, 332, 377
Apollinarismo, Apollnaristi, 300, 302, 315,
329, 330, 331, 332, 333, 334, 377, 384
Apologia (San Giustino), 70, 71, 72, 201
Apophtegmata Macarii, 188
Apostoli, credo composto dagli, 1-6, 27, 52,
100, 104, 394, 396
Aquino, s. Tommaso di, 3, 383, 388, 389, 421
Aquisgrana, 349, 351, 360, 419
concilio di (798), 351
concilio di (809-10), 361
.
Arianesimo, Ariani, 107, 176, 181, 186, 204,
210, 218, 223, 230, 232, 233, 234, 235,
236, 237, 240, 243, 246, 247, 249, 250,
251, 252, 253, 254, 255, 257, 258, 260,
262, 263, 264, 268, 269, 271, 272, 274,
278, 280, 284, 287, 288, 289, 291, 299,
302, 304, 311, 335, 336, 341, 344, 347,
348, 357, 381, 414
Ario, 187, 188, 189, 204, 208, 209, 210, 213,
214, 215, 227, 229, 230, 231, 232, 234,
235, 237, 239, 240, 246, 247, 249, 253,
255, 259, 260, 262, 264, 268, 275, 281,
336, 377
Aristide, Apologia di, 75
Aristotele, 241
Arles, 410, 418
concilio di (314), 55, 58, 204
concilio di (353), 281
Arnobio, 54, 56
Asclepa di Gaza, 274
Asia Minore, 306
Assemanus J .A, 120 n
Asterio il sofista, 229 n, 230, 268, 269, 271
Atanagildo, 348
454
INDICE ANALTTJCO
INDICE ANALITICO
455
Comma Johanneum, 22 n
Commentarius in symbolum Apostolorum (Rufino), 1 n, 100, 104, 106
Compieta, uso del credo nella, 365, 366
Connoly, R.H., 2n, 35 n, 44n, 46n, 89, 91,
186 n, 374 n, 375
Contra Arianos (s. Atanasio), 230 n, 232 n,
234 n, 235 n, 237 n, 240 n, 255, 257, 258
n, i74 n
Contra Ce/sum (Origene), 135
456
INDICE ANALITICO
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460
INDICE ANALITICO
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462
INDICE ANALITICO
INDICE ANALITICO
377
teologia di, 232, 235, 244, 246, 247, 250,
256, 269, 273, 275
uso del credo in, 91, 92
Ossio d Cordova, 206, 242, 248, 249, 250,
251, 254, 273, 274, 276, 280, 284
Ostrogoti, 344, 414
Ottone I, imperatore, 426
Ottone III, imperatore, 426
Oulton, J.E.L., 150 n
Ousia, 221, 230, 234, 238, 239, 241, 242, 243,
245, 248, 258, 275, 276, 277, 279, 282,
287. 288, 299
Padre nostro 30, 31, 133, 166, 346, 348, 379,
397, 401, 404, 416-7
Padri apostolici ~9, 70, 154
Panarion, 107, 109, 272 n, 278 n, 285 n, 288
n, 289 n, 330 n, 332 n
Panfilia, 306
Paolino di Aquileia, s., 298, 351, 352, 360
Paolino di Nola, s., 172, 384
Paolino di Tiro, 234, 243, 247
Paolo,s.,8,9, 10, ll, 14, 16, 17, 18, 19,20;
25, 26, 27, 40, 41, 51, 65, 72, 119, 123,
131, 137, 141, 148, 154, 155, 160, 161,
162, 233, 264, 338, 369, 374
Paolo di Costantinopoli, 271
Paolo di Samosata, 190, 205, 236, 245, 246,
247, 265, 278, 285
Papadopoulos, Chr., 309, 314
Pascasino, 312
Pasqua, battesimo durante, 32, 395, 412
Passione di Perpetua e Felicita, 391
Pastore (di Galizia), 357
Patripassiani, 204
Patto, battesimo considerato come, 53, 56, 57
Pecock, vescovo, 4,' 5
Peitz, W.M., 126
Pelagiani, 383
Penitenza, sacramento di, 390
Peregrinatio Aetheriae, 31 n, 32 n
Perez, D.J., 409 n
Pesce, simbolo del, 15 n
Petrie, Flinders, 87
Piccolo labirinto, 126
Pietr(), s., 3, 15, 18, 21, 26, 137, 149, 156,
158, 353, 374
basilica di, 361
Pietro Crisologo, s., 53 n, 137, 171
Pietro il Fullone, 345, 346 n, 347
Pionio (martire), 380
Pipino, re, 359, 402, 415, 424
Pisidia, 296
Plauto, 52 n, 53 n
Plinio (il giovane), 14 n
Plinio (il vecchio), 53 n
Plotino, 242
Plutarco, 54
463
464
INDICE ANALITICO
INDrCE ANALITICO
465
BREVE
BIBLIOGRA'FIA
H.J.
CARPENTER,