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ERODOTO108

13 INVERNO 2015

VIAGGIO NEGLI ABBANDONI

SOMMARIO
4 editoriale
sette vite dopo labbandono. come un gatto di andrea semplici
6 LE FOTO CHE FARETE andrea semplici, alessandro intini
12 il racconto VIRIDIANA STA A PES ZABIJK di vanni santoni
20 reportage SEMU TUTTI DEVOTI...TUTTI?
testo di giorgio iemmolo, foto di marina berardi e luca massini

VIAGGIO NEGLI ABBANDONI


30 I LUOGHI ORFANI le fotografie di fabio sebastiano
32 PAESI LIMPOSIZIONE DELLABBANDONO testo di emmanuele curti
34 piemonte lultimo abitante di brondino
36 lombardia consonno, il paese dei balocchi
38 liguria borsana non esiste su wikipedia
40 toscana castelnuovo dei sabbioni, la lignite e la mortadella
42 lazio la maledizione di faleria antica
44 irpinia apice, la golosa
46 cilento roscigno. la frana non si ferma mai
48 lucania alianello. 007 nel paese fantasma
50 calabria pao ta fatti mu amendolea
52 sicilia scurati e linvasione di natale
56 STAZIONI QUEL TRENO PER MATERA
testo di pasquale doria, foto di antonio sansone
66 INDUSTRIE IL PANE E MORTADELLA SAPEVA DI FERRO
falck, la fabbrica che non c pi
testo di osvaldo spataro, foto di luca centola

74 MANICOMI LULTIMO MATTO racconto di laura mezzanotte


76 pistoia IL PIANOFORTE DI VILLE SBERTOLI SUONA ANCORA foto di saverio
78 colorno 1969, FUORI I MATTI foto di monica mietitore
80 mombello I GHOST HUNTERS A CACCIA DI BENITO ALBINO foto di giovanni mereghetti
82 rovigo UN TEMPO I MATTI POLESANI testo e foto di zira mantovan
84 SANATORI PRENDI IL 25, PORTA FINO AL GIGANTE
testo di claudia mezzapesa e marco turrini
86 firenze LEX SANATORIO BANTI testo e foto di claudia mezzapesa e marco turrini
90 lezioni di arti civiche AVETE TUTTI LANTITETANICA? testo e foto di francesca duca
92 IL MONDO SPOPOLATO DI PAVANA testo di sandro abruzzese, foto di fabio sebastiano
100 storie di fotografia LA BELLEZZA DI FRANCESCA testo di francesca cappelli
102 IL CONTATORE DI SAN SILVESTRO testo di arturo valle, foto di giovanni breschi
LETTERA DA UNA MINIERA di silvia guideri
112 BENVENUTI A CHERNOBYL testo di fabio bertino, foto di roberta melchiorre

www.erodoto108.com

In copertina: Scurati, Sicilia, paese abbandonato


Foto di Bruno Zanzottera / Parallelozero

Fondatore: Marco Turini


Direttore responsabile: Andrea Semplici
Redazione Giovanni Breschi, Vittore Buzzi, Valentina
Cabiale, Francesca Cappelli, Silvia La Ferrara, Massimo
DAmato, Isabella Mancini, Andrea Semplici,
Letizia Sgalambro, Marco Turini
Designer Giovanni Breschi
Web designer Allegra Adani

ERODOTO108
registrata al Tribunale di Firenze
Stampa Periodica al n.5738 il 28/09/2009

122 gli occhi di erodoto LA LIBERT DEGLI ALBERI intervista di valentina cabiale
126 Quaderni a Quadretti GUIDO SCARABOTTOLO testo di andrea rauch
132 storie di libri I LIBRI L DOVE NON SI LEGGE testo e foto di marco montanaro
134 storie di fotografia LUDOVICU SCOMPARSO testo di mariano silletti
138 storie di musei LA BORA UN VENTO FEMMINA TESTO di carla reschia
140 STORIE DI BICICLETTE
MANTOVA, CICLOFFICINA MONDO testo di andrea semplici, foto di silvio senigalliesi
PISTOIA GONFIAGGIO RUOTE 1 EURO testo e foto di maria di pietro
146 oroscopo di letizia sgalambro

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sette vite dopo labbandono.


come un gatto.

al ce ne incolse. Colpa nostra, ma Erodoto funziona cos: a fine estate, giorni


per pensare al numero invernale della rivista, ci troviamo sul tavolo, per caso, il
racconto attorno a un paese abbandonato in Liguria (lo ha scritto Valentina Cabiale),
poi Maria di Pietro ci parla di Apice, in Campania e, quindi, quasi a incastro, Claudia Mezzapesa e Marco Turini ci dicono delle rovine di un grande sanatorio abbandonato sulle prime colline di Firenze verso lAppennino. Cos, Erodoto ci sfugge di
mano: in una settimana veniamo sommersi da storie di abbandoni, ci arrivano decine
di foto di paesi-fantasma (leggiamo che, in Italia, sono mille e cinquecento), i fotografi
si appassionano ai materassi sfondati, alle mura scrostate, alle sedie dove nessuno sieder mai pi, ai tavoli con ancora i piatti quasi ben disposti. Writers decorano pareti
crepate di ogni sorta di scritte. Location manager scelgono Roscigno, Alianello, Craco
come luoghi da far risorgere in pellicola (se ci fosse ancora la pellicola). Per settimane, ogni volta che dicevamo di stare lavorando a un numero sullabbandono, ci arrivavano nuove foto, nuove descrizioni, nuove idee, nuovi suggerimenti. Un bel libro
sullabbandono finisce nelle finali del premio Campiello e la sua autrice, Carmen Pellegrino, non ha intenzione di scrollarsi di dosso la fama di abbandonologa. Sono stati
organizzati concorsi radiofonici sui luoghi abbandonati e vi chi mette su Internet
una collezione pignola di paesi-fantasma.

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abbandono, in altre parole, affascina, incuriosisce, intriga. A noi venuto in


mente: facile. E impressionante. facile fotografarlo (ma alla fine le foto rischiano di apparire tutte simili). Ma non per niente facile raccontarlo. Pi fotografi
che scrittori, in questo numero, perch le parole non sono capaci di sfuggire alla banalit. Ma siamo stati bravi e fortunati: Laura Mezzanotte ha visto lultimo matto,
dopo sessanta anni di reclusione, abbandonare un manicomio lasciando il cancello
aperto mentre ledificio alle sue spalle cominciava a sgretolarsi. Claudia e Marco
hanno incontrato migranti fra le rovine di quel sanatorio, mentre io vedevo Thomas
Mann tornarvi per nostalgia della Montagna incantata. Vanni Santoni, giovane e bravo
scrittore toscano, ci ha narrato di un viaggio in chiave rave verso luoghi abbandonati
della Bosnia. Pasquale Doria, giornalista materano, tornato nella stazione della sua
citt che mai ha accolto un treno. Sandro Abruzzese salito a Pavana, in Appennino
e, una volta tanto, non ha bussato alla porta di Guccini, ma andato a trovare Azzurra DAgostino, poetessa di un mondo spopolato. Fabio Bertino ci ha ricordato
labbandono nucleare di Chernobyl. Francesca Cappelli ha raccontato di Francesca
Woodman che fotografava se stessa nei luoghi dellabbandono. Emmanuele Curti, archeologo che vive fra i Sassi di Matera, ha guardato alle foto degli abbandoni e ha
sperato che quelle case si ripopolassero. Tino Mantarro andato nei vecchi capannoni della Falck (meno di un secolo durato il progresso industriale) per sentire rimbombare il silenzio sotto i suoi passi. Le parole si sono infiltrate nelle immagini della

solitudine. E alla fine due fotografi ci hanno sorpreso: Bruno Zanzottera ha viaggiato per lItalia per fotografare i paesi senza pi abitanti; Fabio Sebastiani, da anni,
con tenacia, fotografa i luoghi orfani. Due maniere straordinarie e diverse di raccontare la solitudine senza speranza.

onfesso: dopo queste settimane dietro ai luoghi abbandonati, mi venuta una gran
voglia di andare a passeggiare in un centro commerciale. Ho avuto desiderio di
gente, luccichii, rumore, musica, luci. In fondo i non luoghi sono diventati, a dare retta
agli antropologi, dei luoghi. Ora mi piacerebbe che i fotografi dellabbandono si confrontassero con la folla. Riceveremmo cos tante immagini come per i paesi-fantasma? Un Ipercoop o un outlet (gi sento storcere il naso a queste parole) sanno ispirare
storie come un manicomio in rovina?

l solito, non so cosa voglio dire. Non so dove siamo arrivati camminando per capannoni vuoti o varcando la soglia di un casa abbandonata. Intuisco che dovremmo avere cura di questi luoghi. So che dovremmo trovare un equilibrio fra la
malinconia desolata di una chiesa crollata (ma a Roscigno vi ancora una piccola statua di santAntonio sopra un altare) e lo sfavillio gelido di un centro commerciale.
Erodoto una frontiera e salta di qua e di l. E, alla fine, approda anche alle vecchie
miniere di San Silvestro, a Campiglia Marittima, nellalta Maremma toscana: l un
minatore, quaranta anni fa, chiuse per lultima volta linterruttore di un ascensore minerario. Fine di unepoca breve, ancora un abbandono. Ma, anni dopo, archeologi e
amministratori pubblici furono capaci di risollevare quellinterruttore: per far nascere
un luogo, un parco che vita e gente. Guardate le foto di Giovanni Breschi e leggete
le parole dellarcheologa Silvia Guideri per capire il miracolo di una resurrezione.
l, fra la bellezza della Maremma, che mi sono venuti in mente i gatti. E le loro sette
vite. Ne abbiamo consumate appena una in questi paesi-fantasma. Ne abbiamo sei da
vivere per ripopolare luoghi deserti. E la strada ce la indicano coloro che in questo numero ci hanno fatto doni per tirarci fuori dallabbandono nel quale eravamo caduti:
Guido Scarabottolo, uno dei disegnatori italiani pi sorprendenti, ci ha regalato la bellezza delle sue scarabottole e Valentina Cabiale ha avuto il coraggio di seguire Andrea Loreni, funambolo torinese, sul filo dacciaio teso sopra il vuoto. A guardarli, da
sotto, la folla dei lettori di Erodoto.
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imenticavo: Natale, questanno Islam, cristiani cattolici e ortodossi celebrano


quasi assieme il loro giorno santo. Il 2015 stato un anno terribile. Da Charlie
Hebdo all11 novembre di Parigi, dagli studenti di Garissa alle bombe di Beirut e laereo russo del Sinai: guerra alla giovent, alla libert, al futuro. Il fratello di Valeria,
la ragazza veneziana uccisa a Parigi, ha detto: N rabbia, n paura. Lei non ce lo perdonerebbe. Non dobbiamo fermarci.
Andrea Semplici

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editoriale

LE FOTO CHE FARETE

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mawled, anniversario della nascita


del profeta, tripoli, libia.
Questanno cadr il 23 dicembre
fotografia andrea semplici

LE FOTO CHE FARETE

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natale cattolico,piazza dellisolotto, firenze,


la notte del 24 dicembre
fotografia andrea semplici

LE FOTO CHE FARETE

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natale ortodosso, arrivo dei pellegrini


a lalibela, etiopia, 7 gennaio
fotografia andrea semplici

LE FOTO CHE FARETE


carnevale di putignano, puglia
fotografia di alessandro intini

il racconto di VANNI SANTONI

VIRIDIANA STA A PES ZABIJK


T

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* la vado a chiamare

italiana? mora? e quello ha detto


chystm se vm na voln* ed
partito verso un edificio lungo e
basso, e si infilato dentro,
e sei andato in l con calma, te la
sei vista uscire come una madonna,
senza pi dreadlock e con un bambino biondo in braccio, e tutto ti
sembrato trovare una
sintesi tanto matematica

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Il muro di casse
dei Desert Storm
nel 1996.

rovare Viridiana un po pi complesso. Devi metterti in viaggio, addirittura.


Persi tutti i contatti, alla fine la scovi su un forum free tekno ceco, ci scambi due
messaggi, ti spiega dove sta adesso, e sta lontana, in un posto laggi che si chiama
Pes Zabijk, e se ci vai davvero solo perch ormai vedi una spirale che si espande
esponenziale, Iacopo l accanto a te su quel divano scassato, Cleo a qualche chilometro, Viridiana a mille e pi, il prossimo, la prossima, a qualche milione, perduta nel
vuoto cosmico... Ma intanto devi arrivare a Viridiana, e davvero sembra maledettamente lontana, e la forza per andare fin l, rischiando un giro a vuoto, la trovi solo inserendo una festa nel viaggio, decidendo di provare questo Space Picnic, il primo
teknival non autorizzato dai tempi dellultimo Czechtek, nel 2006. Andrai allo Space
Picnic, sperando di non finire come Iacopo e il suo amico a Candasnos, ma prima a
Pes Zabijk, da Viridiana.
E la trovi, a Pes Zabijk, che poi un villaggio abbandonato, Vytky si legge sul cartello
arrugginito e mezzo coperto di graffiti, un posto di minatori lasciato l e che i teknusi
si son ripresi, e camper e bus e carcasse di auto ferme da chiss quanto definiscono lo
spazio assieme alle casette, e c della musica nellaria anche se non techno, Tomorrow never knows dei Beatles, e quando, dopo che hai chiesto a un ragazzino se conosce Viridiana, sai Viridiana? italiana? mora? e quello ha detto Chystm se vm na
voln ed partito verso un edificio lungo e basso, e si infilato dentro, e sei andato in
l con calma, te la sei vista uscire come una madonna, senza pi dreadlock e con un
bambino biondo in braccio, e tutto ti sembrato trovare una sintesi tanto matematica
da sembrare quasi troppo, anche se poi lei ti ha detto
Che quella faccia? Per il bimbo? Mica mio, lo tengo a una.
E tu hai sorriso (di sollievo? sollievo da cosa?) e lei ha continuato, non la vuoi bere una
roba, dai vieni dentro, e insomma pensa un po te lo sei fatto davvero sto viaggio, pensavo che dicessi tanto per dire, sai quanta gente dallItalia dice un giorno vengo e poi 15
non viene mai... Che stai a fare, insomma (e dentro vi siete messi, ti sei assettato, avete
fatto un caff), insomma che vuoi.
Son venuto allo Space Picnic. C, no?
Gli altri sono stati a montare ieri. Comunque boh.
Che?
Con tutta la gente che c, sei venuto a cercare me.
che voglio sentire gente in grado di fare un discorso strutturato.
Io non sono in grado di fare della mia vita un discorso strutturato.
Eh dai, per le cose le sai, le sai leggere.
Quindi che vuoi? Che ti spieghi le feste? Le sai gi, le feste.

Il camion dei Desert Storm


Soundsystem in Bosnia.

Il Gorino?
Eh. Mi ha detto che una volta siete andati insieme in Portogallo.
Non lo so mica cosa mi prese. Per carino Iacopo, sai che una volta ha scritto una
cosa su di me? Cio, proprio con me come personaggio. Vuoi che te la legga?
Sfreccia di l senza neanche lasciarmi rispondere, la sento rovistare, torna con una
specie di diario di quelli con lelastico intorno, lo scorre tra mille foglietti mezzi stracciati che spuntano tra le pagine,
Ma dove, stava qua...
Cascano flyer e foglietti, ne pesca finalmente uno giallo, una pagina di quei quaderni
di carta spessa, di pregio o riciclata o le due cose, piegata in quattro, si vedono delle
scritte a lapis, fitte; lo apre, legge:
... Viridiana intanto si era piazzata a sedere in alto, sopra limpalcatura dei proiettori,
dodici tubi innocenti montati a cubo, a sinistra del sound; non aveva diciottanni e la
free tekno, la musica che loro e altri come loro portavano in giro per lEuropa con furgoni e soundsystem e generatori fregati nei cantieri, le parve essere come la pioggia
e il pane e il sale, una cosa indifferente ai riti nazionali, alle tradizioni locali, alla lingua e alla storia; pur essendo inequivocabilmente
musica folk, quel suono
che l davanti a lei faceva
ondeggiare tre o quattrocento persone, ucraini,
russi, ceki e scorse Renault ballare in fondo, e
Jody che ondeggiava appena, a met strada, e Isabella sotto di s,
aggrappata alle casse, con
quelle braccia tutte piene
di braccialetti le apparve
come una vibrazione senza
frontiere, una spia dellaria
e dellacqua, una forma archetipica, anteriore, sottostante, che riconciliava
ucraini, russi e ceki, italiani e francesi e austriaci,
li reincorporava a un dimenticato fuoco centrale, e
precariamente, dolorosamente, li restituiva a
unorigine tradita.

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Tu hai pi storie.
Timmagini. Se vuoi ti racconto quando Zig scivol in un pozzo nero.
Tu hai verve.
Seh, quando sono sotto speed.
Ma s invece. Chai una cultura, sei sveglia...
Bah, sai quanta ce n di gente che va alle feste e cha una cultura. Non hai sentito nessun altro?
Ho sentito Cleo...
Mancini?
Che quella faccia?
Bah. Cazzo vuoi da me insomma?
Eh, farmi raccontare. Non so, il tema del viaggio...
Il tema del viaggio? Ma vaffanculo... Cosa vuoi, una roba tipo Non sai cosa vuol dire
viaggiare se...
Se..?
Se non ti ha mai preso fuoco il furgone?
Puoi fare di meglio.
Se non sei mai stato a fare la vendemmia in Champagne aspettando
di spostarsi a Melun per il teknival
del 98 e ritrovandoti poi col furgone piantato nel fango? Se non hai
mai sbagliato strada per il teknival
romeno e ti sei ritrovata in mezzo a
territori del tutto controllati da clan
zingari e gi che ceri hai messo musica per loro?
Oppure?
Se non hai mai aiutato i Mutoid
Waste a trasportare il Mig che si trascinavano in giro? Se non sei mai
stato a cercare di esportare la tua
musica fuori dEuropa e ti sei scontrato con la povert vera, con le gang
vere? Se non sei mai stato in una
zona di guerra?
Vedi che di cose ne hai viste.
Bah. Chi hai sentito oltre alla Mancini?
Iacopo.

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tipo un pastiche, un montaggio, no, di pezzi di altre cose... Per parla di quando
andai coi Rolling Thunder a metter su una festa vicino Odessa, gli raccontai questa
cosa e lui la scrisse, sai che voleva scrivere un romanzo sulle feste?
Da l ho cominciato.
Voleva cominciare proprio da Odessa per raccontare tutta lEuropa, anche se poi non
mica in Europa...
Certo che lo .
Vabbe, fatto sta che quando avevo diciottanni figurati se pensavo quelle cose. Il fuoco
centrale... Mi sbomballavo e stavo l ed era uno scialo ed era bello anche perch era
qualcosa che nessuno di quelli a cui la portavamo aveva mai visto prima. La cosa
grossa era davvero viaggiare, andare lontani, vedi la gente quanto si organizza, quando
fa un viaggio quanto ne parla, e noi invece prendevamo e partivamo... Oggi gli itinerari sono fissati, ci sono le citt, e i voli che collegano le citt. Cos come collegano i
luoghi turistici, e quei luoghi selvaggi che sono anche turistici. Ma in mezzo a tutto
questo c altro, una topografia umana ignota. Pensa al teknival in Valdarno, ricordi?
Me lo ha fatto ricordare Iacopo.
S? Pensaci: francesi, inglesi, gente di Bari, di Trieste, di Ostrava, sparsa tra Chiassaia,
Monte Lori e Castiglion Fibocchi. Pensa a me un anno dopo. Mi ero imbarcata con i
Kromatoid. Quei suonati erano partiti per la Bielorussia da Sassomarconi solo perch
della gente di Minsk, anzi di Fanipal, aveva promesso di ospitarli e vendergli un altro
furgone a duemila euro: da l, coi due furgoni, lidea era di passare da una festa in
zona e poi di nuovo gi, per i teknival di Romania e Bulgaria. Al di l dei teknival, al
di l di questi viaggi programmati in cinque minuti, dotati solo di una carta stradale
che era pure vecchia di dieci anni, chi ci sarebbe mai finito, a Fanipal? A Odessa? Qui
a Pes Zabijk? O anche in Francia. Lo sai dove fu il primo teknival, nel 93? A Beauvais. Proprio il posto in cui tutti arrivano con la Ryanair quando vanno a Parigi. Una
citt che oggi per il mondo esiste solo come aeroporto, un posto in cui arrivano tutti

lo trascrissi per andare a ricontrollare cosa fosse. E cosera, era Maly Trostenets: niente
bocca dellinferno come ad Auschwitz, era rimasta solo una piana; Maly Trostenets,
duecentomila morti ammazzati e io l ferma, mezzo stravolta, fuori dal furgone, battuta dal vento umido dellEuropa dellest. Sai cosa pensai quella volta? Che magari
smettevo di stare in giro. Che aver raggiunto quel punto l, senza neanche cercarlo,
aveva, non so, un valore simbolico.
Poi?
Poi mi venne in mente unillustrazione che vidi da piccola su un libro di scuola, era
una cartina dEuropa con i campi di concentramento, ogni campo un puntino, e cerano
cos tanti puntini da coprire tutta la mappa.
E quindi hai continuato.
Be intanto cera da ritrovare gli altri, da montare.
Invece come hai cominciato?
Come ho cominciato io? Lo avrai sentito dire...
Qualcosa, in giro. Mezze leggende, mi sa.
Volevi arrivare a quello?
Sempre che sia vero.
Eh, se vero...
VANNI SANTONI, 37 anni, scrittore nato a Montevarchi, in provincia
di Firenze. Dopo l'esordio con Personaggi precari (RGB 2007, poi
Voland 2013), ha pubblicato, tra gli altri, Gli interessi in comune
(Feltrinelli 2008), Se fossi fuoco arderei Firenze (Laterza
2011), Terra ignota e Terra ignota 2 (Mondadori 2013 e 2014), Muro
di casse (Laterza 2015). fondatore di SIC-Scrittura Industriale
Collettiva (In territorio nemico, minimum fax 2013). Dal 2012 dirige
la narrativa di Tunu. Scrive sul Corriere della Sera e sul Corriere
Fiorentino.

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Un flyer
del 1996

e nessuno va, perch appena atterrano prendono il bus per la capitale. E i camion delle
tribe invece andarono proprio a Beauvais. Ma non solo quello. Ti potrei raccontare
di quando mi svegliai su un pagliericcio, senza riconoscere dove fossi, di giorni scollati dalla realt l in quelle case popolari di Fanipal, e gi basterebbe. Non c nulla di
straordinario, va bene, eppure non sono cose che puoi vedere, fare, viaggiando normalmente. Oppure quando giravamo le campagne intorno a Minsk alla ricerca di un
posto buono per montare, sai, una bella conca con strade daccesso e duscita alternative, avevamo conosciuto gente e cera loccasione di fare unaltra festa, e mentre
gli altri battevano quella piana col Roadrunner avevo preso il furgone nuovo, da sola,
per andare a vedere un altro paio di posti, ma mi ero persa, e non cera unanima che
parlasse inglese, e avevo guidato a occhio, sbagliando tutto, fino a trovarmi in unaltra pianura, e l in mezzo al niente cera un obelisco piccolo, sai una di quelle cose da
piazza di piccola citt, di quelli, che ne so, per Mazzini o Cavour, e scendo per vedere
meglio, e poco pi in l ecco una tomba, una roba pi grande del normale ma in fin
dei conti modesta, una tomba da personaggio storico locale, col recinto basso, di ferro
battuto dipinto di bianco, pioppi intorno, un cartello, lo trascrissi anche, guarda...

REPORTAGE

SANTAGATA
A CATANIA

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SEMU
TUTTI
DEVOTI
TUTTI?
FOTOGRAFIE DI
MARINA BERARDI
E LUCA MASSINI
TESTO DI GIORGIO IEMMOLO

FOTO LUCA MASSINI

scompare allinterno della folla ma si proietta nella possente


immagine della santa che domina tutto come una regina
adorata solo per permettere agli altri di adorare, di unirsi, di festeggiare.

se mi domandassero quanta religiosit e spirito cristiano io riesca a


vedere nella festa di santagata, risponderei unnu sacciu. in realt,
come altre feste popolari di sicilia, la prima impressione un po
quella di un grande carnevale, senza musica e danze, inebriato di
cera, tuniche bianche, e orgoglio catanese: un grande rito collettivo
di isteria, un pandemonio di gente, pi o meno devota, che inonda
la citt per festeggiare la santa o, piuttosto, catania, le sue leggende
e le sue debolezze. per me santagata la festa del fuoco, dei ceri,
del bianco puro dei sacchi e dei guanti, uniti alla scuzzetta, un copricapo di velluto nero, delle minne e di cortei di strane figure, le velate, che circondano il fercolo della santa. strane creature, a met fra
le ninfe e le sibille della mitologia greca, che per parlano catanese.

la prima volta che vidi la festa avr avuto sedici o diciassette


anni: il fuoco fu lelemento che mi colp di pi, se non altro per
la quantit di candele, ceri, torce che si vedevano circolare per
la citt. la scelta dei ceri o candele molto elaborata e ha un
significato ben preciso: impressionante osservare il giro di
ceri votivi portati a spalla dai devoti, bestemmiatori o non, ufficialmente in segno di devozione ad aituzza per una grazia ricevuta. nellesibizionismo collettivo della processione esistono una serie di criteri di selezione del cero da portare,
quella che, in maniera scurrile, uno potrebbe definire la logica
del ce lho pi grande io. in teoria, uno dovrebbe scegliere
un cero proporzionale al proprio peso e altezza, ma mi ricordo
di questo ragazzino che si trascinava a fatica un centinaio di
chili di cera per qualche grazia ricevuta di cui non mi ricordo
nemmeno. eretto nonostante fosse mingherlino, mostrava
una tale forza danimo da convincermi a seguirlo durante la
processione, fino a quando non mi mand a quel paese con
un sonoro vatinni, mpare!.

uttana la miseria, ma chi minchia fa, affiu? grida vincenzo dallalto della vara ad alfio che maldestramente sta
tentando di capire che direzione stia prendendo la processione. il capovara il regista della processione, di cui decide velocit
e soste: dovrebbe essere un cristiano onesto, libero da pendenze legali e, soprattutto, osservante.

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una specie di cerimonia di purificazione collettiva, la processione di


santagata un rito di regressione psicologica in cui lindividuo

FOTO MARINA BERARDI

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FOTO LUCA MASSINI

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FOTO MARINA BERARDI

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FOTO LUCA MASSINI

il fuoco non si esaurisce con i ceri, le cose


vanno fatte bene! per tre giorni, spettacoli
pirotecnici di varia natura si susseguono,
spettacolari, da lasciare a bocca aperta. sono
sicuro che la gente si scorda di santagata:
luci, colori, rumori, scoppi in piazza duomo,
poi in piazza garibaldi, e infine davanti alla
chiesa di santagata la vetere.

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il fuoco ha sempre affascinato gli essere


umani, sin dai primordi. e il fuoco in questa
zona di sicilia evoca terrore, paura, distruzione, morte per le eruzioni del gigante etneo
che ogni tanto decide di assediare la citt.
nella leggenda di santagata si narra che
lanno dopo della sua morte una delle solite
eruzioni delletna, con colata fumante, minacciava la citt. siccome a mali estremi esistono solo estremi rimedi, i catanesi decisero di esporre il velo bianco della santa di
fronte alla lava che magicamente si arrest.
cos, Aituzza, martire e vergine, si ritrov a diventare protettrice dal fuoco et similia, come

FOTO MARINA BERARDI

terremoti ed eruzioni vulcaniche, e pi recentemente altiforni, fornaci: insomma la santa


del fuoco. e forse ne abbiamo ancora bisogno tant che in uno dei santini agata ha
sempre una torcia accesa davanti a una casa
in fiamme: o forse esorcizziamo il terrore del
fuoco portandolo in giro e maneggiandolo in
quantit estreme, senza senso della misura,
come del resto tante cose in sicilia.
il fuoco per non solo paura e terrore: la festa di santagata si intreccia con la festa
della candelora che ricorda la presentazione
di ges al tempio. i cannilora infatti sono
uno degli elementi principali della processione che viene appunto aperta da queste
strutture lignee, barocche che a catania sembrano aver poco a che fare con la purificazione dellomonima ricorrenza. il fuoco delletna anche il fuoco che arde nella terra,
che non solo distrugge, ma scalda e illumina,
genera e produce. il fuoco di cui abbiamo
paura e bisogno, senza cui la vita non esiste.
la luce e il calore, la sensualit e la passione.

il fuoco della fertilit e della vita.


e infatti aituzza, nobile fanciulla catanese,
non si associa solo dal fuoco: aituzza la
santa delle minne, dei seni, e delle funzioni a
questi connesse: balie, donne in allattamento,
malattie muliebri di petto, santagata ti aiuta
e ti guarisce. nellapoteosi della purezza cristiana, la santa porta su un piatto prezioso i
due seni che le vennero amputati per non
aver abiurato la propria fede. e i seni di santagata si presentano dappertutto: le minne si
presentano sotto forma di cassatella rifinita di
bianca glassa con una ciliegia candita a mo
di capezzolo. una delizia al palato in linea
con la proverbiale sensualit degli isolani che
di elementi vagamente o esplicitamente erotici se non sessuali non si sono mai privati.
se mi domandassero perch andare alla festa di santagata, risponderei: c il fuoco,
la luce e il calore. c lanima del mediterraneo, che da millenni ci portiamo dietro. c il
senso della vita .

MARINA BERARDI 31 anni, lucana,


vive a Roma. Fa parte del collettivo
WSP. Nel 2013 la vincitrice assoluta
del Nikon Talents. Da circa tre anni
lavora ad un progetto sul tempo
circolare nel quale confluiscono alcuni
lavori come il rito arboreo de Il Maggio
di Accettura, ArboReal, il Carnevale di
Tricarico, Prometeo e Carnevale, e S.
Agata a Catania, Una volta in ogni mille
mai.
GIORGIO IEMMOLO, 38 anni, nato in
un lembo dEuropa pi vicino allAfrica
che al continente. Ha cominciato a
vagabondare presto, portando con s la
mediterraneit in giro fra Milano,
lAmerica, la Germania, lInghilterra, e
infine la Svizzera. Il suo passatempo
preferito, sin da bambino, osservare i
passanti e descriverli con cinque
parole.
LUCA MASSINI 48 anni, nato a
Firenze. Ex macellaio, Coop, Pony
express, ora magazziniere di ricambi
auto.Provo a fare foto, a cucinare, a
viaggiare, studiare l'inglese, suonare la
chitarra. Amo calcio, cinema, musica,
vino, birra e anche altre cose...forse
troppe.

29
ERODOTO108 13

FOTO LUCA MASSINI

VIAGGIO NEGLI ABBANDONI

I LUOGHI ORFANI
LE FOTOGRAFIE
DI FABIO SEBASTIANO

Abbiamo incontrato Fabio Sebastiano attraverso


Azzurra DAgostino, poetessa dellAppennino. Lei
ci ha mostrato le foto di Fabio. Confesso: eravamo
annoiati da troppe foto sui luoghi dellabbandono. Troppo facili, troppo a effetto, troppo
uguali fra di loro. Labbandono affascina, ma deprime la fantasia. Poi abbiamo aperto i file delle
immagini di Fabio, 38 anni, piemontese, studi in
psicologia, informatico per mestiere. Ha una bella

barba, Fabio. Occhiali, sorride, ha braccia tatuate


e una figlia di quattro anni. Dice di s: Fin da
bambino ero attirato dai luoghi vacui, orfani,
amavo scoprirli e perdermici. Attenzione alle parole: vacui e orfani. A nessuno di noi, erano venuti
in mente questi aggettivi, eppure da settimane
camminiamo per stanze scrostate, cucine con ancora i piatti in tavola, tetti sfondatie ora Fabio ci
sorprende, ci spiazza. Scrive ancora: Le rovine
sono una vera passione anche teorica. E definisce
il suo andare per macerie come una gavetta e
uno studio.

A noi venuta voglia di danzare negli spazi che


Fabio ha fotografato. Lo abbiamo visto aggirarsi per
queste solitudini. E abbiamo assistito allo spettacolo di questi vuoti che si sono popolati di fantasmi
reali e giocosi. Non chiedeteci come sia accaduto.
Le foto di Fabio ci hanno sorpreso e donato sospensione del tempo. Deve essere una storia di bellezza.

Abbiamo sparpagliato le foto di Fabio come fogli


abbandonati. O come fotografie trovate in un cassetto che nessuno apriva da anni. Non sapevamo
come utilizzarle. Semplicemente ci hanno sorpreso.
Avremmo voluto metterle accanto alle foto scorrette
di unaltra fotografa, Zira Mantovan, che, aggirandosi fra le stanze desolate dellex-manicomio di Rovigo, ha fatto immagini sfuocate, mosse, laterali.
Alla fine abbiamo deciso di disseminare casualmente le foto di Fabio per tutto il dossier. Poi, un
giorno sapremo che dovremo far ben altro con tutte

PERCH SIAMO ATTRATTI DAI LUOGHI FANTASMA?

LIMPOSIZIONE
DELLABBANDONO

Queste case, queste periferie, questi paesi, rappresentano una nostra storia. Ma una storia
ora consacrata allabbandono, tanto da far nascere anche figure di esperti, di narratori, chiamati per lappunto abbandonologi.

Testo di Emmanuele Curti


Sempre pi spesso, dalle immagini di queste pagine e da quelle oramai quasi quotidianamente proposte dal web, veniamo presi e ricondotti nei luoghi fantasma dellabbandono
e del silenzio. Tirati dentro da chi ci vuole condurre, ma anche risucchiati da quel senso di
attrazione per il vuoto che si mescola alla nostra vertigine. Luoghi che abbandoniamo dopo
averli costruiti, ma dai quali veniamo poi morbosamente attratti.
Perch questa ossessione? E perch particolarmente ora?

Noi occidentali un male nostro questo ci portiamo dentro il meme ottocentesco della
rovina romantica, di una storiografia che ci costringe a trattenere il passato (e, per assurdo,
mentre celebriamo la conservazione, creiamo deserti). Se prima della fine del Settecento
lantico, la rovina, erano un esercizio filologico, da quel momento in poi abbiamo eletto i
resti classici abbandonati a essenza della nostra identit.

Certamente le rovine che qui guardiamo sono altre: sono periferie, sono stanze dove ancora si coglie lultimo gesto umano che le ha vissute. Ma sono anche borghi, paesi, ossa di
quello scheletro che rappresenta lItalia dal Medioevo in poi. Beni intimi di un nostro vissuto, memorie semivive di unItalia interna.
C qualcosa in tutto questo che mi disturba, oltre la fascinazione e leventuale morboso attaccamento per ci che andato.
ERODOTO108 13

Ripeto spesso che noi archeologi rappresentiamo la schizofrenia della cultura moderna: nati
a reintegrare il passato usando la disciplina storiografica come fondamenta dello stato (come
novelle Atene e Roma), riscaviamo e poi sacralizziamo rovine che luomo aveva ricoperto,
in un processo naturale e dinamico di superamento del passato.
Per assurdo riportiamo alla luce luoghi dimenticati, per riposizionarli in una supposta memoria di noi, dando loro significati nuovi proprio perch oltre la loro voluta dismissione.
Questo processo talmente entrato nel nostro DNA che quei luoghi, fondanti del nostro
concetto di bene culturale, devono ora sopravvivere proprio in nome della cultura. Non importa se spesso diventano monumenti vuoti, difficilmente gestibili: che essi sopravvivano,
anche silenti, perch ci sia concesso di trovare l le nostre supposte radici.

Fermiamoci un attimo nella desolazione dei paesi: da tempo gli insediamenti sotto i cinquemila abitanti (che, sparsi su tutto larco appenninico e alpino, ospitano il 15% della popolazione nazionale) soffrono di un inesorabile depopolamento. Quella forma del vivere che
aveva marcato la penisola italiana sin dal Medioevo, lItalia dei borghi, sta venendo a mancare.
Potrebbe essere parte di un processo naturale, cos come avvenuto nellet antica con comunit che si spostavano su e gi dai picchi verso le valli e viceversa. Potrebbe essere, perch la globalizzazione, a volte travestita da glocalizzazione (termini sempre parte di un
vocabolario e quindi di unaspirazione occidentale ancora un po coloniale), mira alla concentrazione nelle smartcities delle metropoli, lasciando dietro di s non solo vuoti insediamenti, ma anche memorie stanche, in un processo ineluttabile che leconomia delloggi
richiede.
Qui risiede lo stridore della parola abbandono: seppur di non evidente etimologia, quella
parola si porta appresso un atto di imposizione politica. Il termine medievale abandonner',
potrebbe derivare dallespressione tre bandon, ovvero essere sottomessi a un atto di potere che ti ordina di lasciare. Non una scelta naturale, quindi, unimposizione.
Paesi abbandonati perch le persone sono state costrette a farlo. Archeologie industriali, luoghi del lavoro, ora vuoti perch leconomia del potere lo impone. Case, periferie desolate, perch immerse in un processo che da l ci vuole fuori.
I borghi dItalia, i bei paesi del Bel Paese (quale ironia) che pi non servono, che alleconomia delle nuove dinamiche politiche si devono forse rassegnare.
Ma quei paesi in via di depopolamento sono comuni che controllano il 50 % del nostro territorio nazionale: la loro scomparsa spiega forse anche un abbandono mai immortalato, quello
della terra, di un paesaggio sempre meno curato, sempre pi vittima di alluvioni, di catastrofi naturali.
Cos come quei paesi, insediamenti ricchi di storia e memoria, anche i paesaggi sono (o no?)
beni culturali: diventeranno moderne Pompei, vuoti ma da conservare per la nostra identit?
E con quale economia?
Coscienti di queste dicotomie, dovremmo allora decidere di scegliere, di non essere vittime
di un abbandono che imposizione di un potere. Dichiariamo di andare via, o decidiamo di
creare uneconomia che dalla marginalit, da un senso altro di presenza, ci renda cittadini di
quei luoghi. Non per farci incantare dal silenzio, ma per nutrire, con rinnovato senso di un
noi, i luoghi di queste immagini.
emmanuele curti, 52 anni, archeologo, nato a perugia e vive a matera
dove insegna alluniversit della basilicata. ha insegnato a londra. si occupato per anni di processi di acculturazione portando avanti progetti di ricerca
a pompei e in giordania. negli ultimi anni si dedicato al necessario cambiamento dei paradigmi nelle discipline umanistiche, alla ricerca di nuove forme
di sviluppo socio/economico, legate a una nuova idea di cultura.

33
ERODOTO108 13

in italia i paesi con meno di cinquemila abitanti continuano a


spopolarsi: rappresentano almeno la met del nostro territorio.
c qualcosa in tutto questo che mi disturba, oltre la fascinazione. la speranza di uneconomia che dalla marginalit ci
possa far tornare a essere cittadini di questi luoghi.

32

da questa lacerazione interiore mia e della coscienza occidentale che con fatica mi avventuro in queste immagini.

PAESI

piemonte

lultimo abitante di brondino

il borgo di brondino, un tempo, ospitava


una ventina di famiglie. si trova nel vallone di comba gambasca, territorio di
cuneo, alle pendici del monviso. fino a
venti anni fa qua abitava pietro brondino:
la sua casa era al numero 104, aveva una
grande barba bianca e pascolava alcune
capre. lasciava dietro a se scritte dedicate a dio e alla madonna, e decorava le
pareti delle case abbandonate con lettere
e numeri. in valle dicono che pietro abbia
vissuto sempre da solo.
le case di questo piccolo villaggio di
montagna sono una matrioska. sono
state costruite una dentro laltra: stanze,
ballatoi, fienili, stalle e pollai come un inestricabile lego architettonico.
il bosco sta riconquistando lantico
paese. faggi e castagni fanno crollare le
mura; sambuchi, rovi e frassini sono i
nuovi abitanti di un villaggio senza
fantasmi.

foto di bruno zanzottera / parallelozero

PAESI

lombardia

consonno il paese
dei balocchi
si trova nel comune di olginate, in provincia
di lecco. paese di montagna, panorami sul
resegone.il primo documento che parla di
consonno del 1085.
alla fine degli anni 50 del secolo scorso, vi
abitavano sessanta persone. nel 1962 il
paese acquistato (e demolito) dal conte
mario bagno. ne voleva fare un paese dei
balocchi. vi fece costruire un minareto, una
pagoda cinese, un castello. cera un hotel
di lusso. una frana isol consonno. nel
1981, lalbergo divenne casa di riposo.
venne chiusa nel 2007. nel 2014 qui abitavano ancora quattro persone. ora un
paese in vendita. ufficialmente in vendita da
parte degli eredi del conte bagno.

foto di gabriele lopez


testo di andrea semplici

PAESI

liguria

borsana non
esiste su wikipedia
borsana era una frazione di magnone (oggi ricadente nel comune di vezzi
portio), nellentroterra di finale ligure. durante i bombardamenti del 1944 camillo sbarbaro vi sfoll, in una casa abbandonata, e in quei mesi di esilio mise
in versi la traduzione del Ciclope di euripide.
tra la fine degli anni 60 e linizio degli anni 70 la borgata, che contava meno
di 20 abitanti, fu espropriata per pubblica utilit dalla autostrada dei fiori
s.p.a., che stava costruendo la genova-ventimiglia (inaugurata nel novembre
del 1971). oggi le poche case sopravvissute si intravedono a malapena dal
parcheggio dellarea di servizio borsana sud, guardando verso monte: piccoli rettangoli grigio opaco tra le fronde fitte degli alberi. raggiungerla non
facile. non possibile una vista dinsieme. non esiste su wikipedia.
testo e foto di valentina cabiale

PAESI
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40

toscana

Quasi alla stessa distanza da


arezzo, siena e firenze, la frazione di castelnuovo fu abbandonata negli anni
sessanta per le continue frane
provocate dalle escavazioni di
lignite. oggi rimasto solo il
centro storico, con la piazza
teatro delleccidio nazista noto
come strage di cavriglia. era il
4 luglio del 1944 e a castelnuovo le ss uccisero e bruciarono per rappresaglia 75
uomini, tra i quali il padre dello
stilista roberto cavalli. che si
trovava in prima fila il 4 luglio
2012, quando stata riaperta
la parte ristrutturata del borgo,
con il museo delle miniere e la
chiesa adibita ad auditorium;
nelloccasione matteo renzi,
ancora sindaco di firenze,
promise tonnellate di terra
provenienti dagli scavi della
stazione dellalta velocit per
ricreare il rilievo un tempo esistente, cos da pulire la vista
dalle ciminiere della vicina
centrale enel di santa barbara. in attesa che ci accada, il 23 maggio di
questanno cento attori vestiti
da minatori hanno animato
una sentita rievocazione storica a celebrazione dello sciopero della mortadella, iniziato
il primo febbraio 1947 proprio
nel circolo di castelnuovo dei
sabbioni. i minatori del valdarno inserirono, tra i punti del
rinnovo del contratto, mezzetto di mortadella a pranzo.
bisogn scioperare duro, per
pi di tre settimane, ma il 27
febbraio la mortadella arriv.

castelnuovo dei sabbioni


la lignite e la mortadella

foto di bruno zanzottera


/ parallelozero
testo di sivia la ferrara

PAESI

lazio
foto di bruno zanzottera / parallelozero
testo di silvia la ferrara

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42

nel 1504 a stabia, ora faleria, girolama farnese, moglie di giuliano


anguillara, accusata di aver tramato con i suoi amanti lavvelenamento del marito, viene trucidata
barbaramente dal figliastro giovan
battista. linizio del declino per
lantico borgo, le cui origini risalgono al iX secolo a.c. quando i
falisci si insediano su un alto sperone tufaceo tra il torrente treja e il
fosso della mola; in epoca romana
il paese prende il nome di stabia,
forse per la vicinanza alla stazione
di cambio dei cavalli ("stabulum")
sulla flaminia e nel medioevo viene
costruito dagli anguillara limponente castello teatro del fatto di
sangue: oggi restano solo brandelli
di mura perimetrali e un'unica torre,
a sud ovest, dove veniva innalzata
la forca. nel rinascimento il paese
si espande verso la piana a sud e
lo scivolamento continua fino allinizio del 900 quando anche le mura
rinascimentali vengono demolite e
viene edificato il nuovo palazzo comunale. nel 1872 poi la nuova
amministrazione postunitaria cambia il nome, prendendo una bella
cantonata toponomastica, in
quanto l'antico insediamento di faleria si trovava nei pressi di civita
castellana. per finire nel 1942 un
terremoto danneggia gravemente la
parte medievale e tra il 1971 e il
1973, lantico borgo viene completamente evacuato per elevato rischio di crollo. mai trucidare una
farnese.

la maledizione
di faleria antica

c persino chi contento che la storia


dellantico centro abitato di apice si sia interrotta bruscamente la sera del 21 agosto 1962. chi parla di ironia della sorte
ed convinto che un sisma possa salvare un paese, fermandolo per sempre in
un tempo lezioso e rassicurante dal quale
la modernit marcia e immorale esclusa
per sempre. cos dopo i due terremoti del
1962 e 1980 ancora i muri di questo
paese, costruito con un orientale sistema
a conchiglia, sussultano sotto i passi
degli ammiratori di rovine, che non vogliono altro che conservazione, difesa e
pittoresche passeggiate. e non sanno di
luigi bocchino, sindaco dal 1956 al 2004,
morto nel 2007, che si ostinava a mantenere la sede del municipio nel paese vecchio e ci stava fino alle dieci di sera e che
riusc a far comprare al comune il castello
normanno dal quale dovevano iniziare ricostruzione e ripopolamento. la verit
che gi negli anni trenta del novecento
cerano stati tentativi di spostare apice pi
in basso, dove era possibile uninteressante espansione edilizia. ma gli abitanti
non ne avevano voluto sapere. poi il primo
terremoto e il decreto ministeriale di trasferimento, e infine la perequazione dopo
lottanta, quando alle famiglie fu assegnato un lauto contributo per la ricostruzione nel sito attuale, in cambio della
cessione al comune delle vecchie case. il
sindaco bocchino non lo prese quel contributo: rimase lultimo ad abitare il vecchio
paese dove nel 2011 stato chiuso anche
lufficio postale. apicio in latino un soprannome che significa goloso, dato
probabilmente a un patrizio del i sec. a.c.
che posidonio ci racconta scialacquatore
sfrenato e che trasmise il nome al gastronomo marco gavio apicio autore del De
re coquinaria. cos apice la golosa.

foto di maria di pietro


testo di silvia la ferrara

apice la golosa

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PAESI
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irpinia

PAESI

cilento

roscigno la frana
non si ferma mai

la frana non si ferma mai, cammina lenta,


lenta, scende e la terra se ne scenniala
frana azzeccava sotto lu paese e mano a
mano poi salia inta le casecos diceva
giuseppe mazzei, il calzolaio di roscigno
vecchia. siamo in cilento, sui monti alburni.
una campania che gi lucania.
nei primi decenni dell800, la frana si ingoi
almeno trenta case. nel 1902, due ordinanze decisero che il paese andava abbandonato. roscigno nuova fu ricostruita
mezzo chilometro pi a monte. la frana
non si ferm, ma gli abitanti non se ne andarono. non tutti. fino agli anni 60, roscigno vecchia si ostinava a rimanere in vita.
teodora, dorina, vi visse fino a quindici anni
fa. vi hanno girato film e organizzato festival, labbandono ha dato fama a un paese
solitario. la scrittrice carmen pellegrino ne
ha raccontato in cade la terra. ma la
chiesa di san nicola ha resistito alla frana,
l, bellissima.

testo e foto di andrea semplici

PAESI

lucania
foto di sante cutecchia

i fotografi che si avventurano per


questo paese, da anni, fotografano sempre quel materasso
marcito. e se ci fosse ancora un
solo abitante racconterebbe che
da qui passato anche lagente
007, intento a girare un suo film.
alianello una frazione del comune di aliano, terra dei calanchi
lucani. le sue origini erano medioevali, ma il terremoto del
1857 rese inabitabili molte case
del paese. nel 1925 fu deciso
che nessuno poteva pi vivere
ad alianello. molti andarono a vivere nelle case del paese nuovo,
ma alcune famiglie scelsero di rimanere. nel 1963 anche una
frana cominci a minacciare alianello. ma solo nel 1980 il nuovo
devastante terremoto che sconvolse lirpinia raggiunse anche
queste terre: fu lultima condanna, il paese divenne un
borgo fantasma.

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alianello 007
nel paese fantasma

PAESI
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calabria

pao ta fatti
mu amendolea

Quattro chiese basiliane, una roccaforte normanna poi castello dei ruffo,
contorte vie medievali e una veduta rapace sulla valle scavata dallomonima
fiumara. sorto sul sito dellantica peripoli, patria forse di prassitele, amendolea oggi noto per essere tra i paesi
fantasma della calabria raccontati da
vito teti. lente parco nazionale dellaspromonte ha stanziato lo scorso
anno 180 mila euro per iniziarne il recupero dopo che il terremoto di messina del 1908 e le alluvioni degli anni
cinquanta costrinsero i discendenti
degli elleni a lasciare le loro case. solo
i muri, le strade e la torre spaccata
continuano a mormorare larrivederci
grecanico: pao ta fatti mu.

foto di bruno zanzottera / parallelozero


testo di silvia la ferrara

scurati e
linvasione di natale

foto di bruno zanzottera / parallelozero


testo di silvia la ferrara

tra pochi giorni per la trentaquattresima


volta il presepe vivente sar ospitato a
scurati, paese vicino a trapani nel quale
una grotta alta 80 metri e profonda 70,
risalente al paleolitico superiore, racchiude
casette, stalle e forno costruiti dai pastori
della famiglia mangiapane tra l'800 e la
met del '900 per ripararsi dal caldo e dal
freddo. lassociazione culturale "museo vivente" ci tiene a sottolineare che i circa ottanta personaggi non fingono di produrre
ma lavorano davvero riproponendo una settantina di antichi mestieri ricostruiti nel dettaglio dallistituto di scienze antropologiche
e geografiche delluniversit di palermo. il
tutto dura per sei giorni e i visitatori sono
ogni anno pi di 100.000. Quando il presepe abbandona scurati c il rischio che
arrivi qualche troupe a girare una puntata
di montalbano, insomma nemmeno qua
si pu stare tranquilli.

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PAESI

sicilia

I LUOGHI ORFANI DI FABIO SEBASTIANO

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LA SALA DATTESA

STAZIONI

QUEL TRENO
PER MATERA

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testo di pasquale doria


foto di antonio sansone

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In un giorno di pioggia, uno scrittore materano


si ferma di fronte a uno strano edificio...

una stazione costruita, finita e subito abbandonata.


banchine che mai hanno visto un passeggero.
binari fantasma. sale di attesa che non hanno mai
atteso nessuno. che maledizione quella che
accompagna tutta questa parte di territorio,
oscillante tra ambiziosi progetti di crescita e fallimenti
cos brucianti?. e corre la memoria. il futuro?
i like al progetto gardaland del sud...

storia di binari fantasma, antiche maledizioni e


giostre in contrada la martella

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piantata a viva forza nella campagna, in contrada la martella. volevo capire quanti soldi
erano stati buttati dalla finestra per quella cosa,
in realt, morta in partenza. ho iniziato a raccogliere documenti dove potevo, ovunque.
una pila di faldoni, cartelle e fogli volanti che
cresceva a dismisura. a un certo punto quella
torre di babele cartacea crollata. ha invaso
mezza stanza del posto in cui abitavo prima. il
conteggio era comunque arrivato a una cifra
stratosferica, circa 270 miliardi di vecchie lire.
dato confermato da altre fonti. erano gli inizi
degli anni novanta, chiss quanto valgono effettivamente oggi. prima del trasloco, ho imballato tutto e, a fare compagnia ai binari delle
ferrovie dello stato - che a matera non ci sono
mai arrivati - si aggiunta una ulteriore incompiuta. non volevo farne pi niente, per sfinimento.
capitolo chiuso? non del tutto. davanti alla

stazione dei desideri, in realt, ci sono passato


molte altre volte. l'ultima un anno fa. dopo un
prolungato periodo di pioggia mi sono fermato
a lungo ai margini di quel luogo sommerso, stavolta non dalle erbacce. ipnotiche le argentee
vibrazioni provocate da un leggero soffio di
vento sul pelo dell'acqua. l'immobile fantasma, riflesso in quello sterminato specchio liquido, appariva diverso dal solito. la
limpidezza del cielo azzurro, la giornata luminosa favorivano considerazioni meno distratte.
affioravano lentamente ricordi che avevo rimosso. osservavo non pi quel rudere e basta,
ma con maggiore attenzione tutto insieme
quanto c'era intorno.

dolenti naufragi in porto


siamo sul limite ovest sulla quale sorta quasi
interamente la parte costruita di matera. gli
esperti lo hanno ripetuto all'infinito, tanto da imparare la definizione a memoria: la citt nasce
su un'area in cui domina il calcare permeabile
del cretacico medio. come direbbero i bravi
geologi, uno strato fasciato ovunque da formazioni argillo-sabbiose e dal tufo calcare ricco
di conchiglie e altri fossili. nel dettaglio, si parla
anche di calcarenite incisa profondamente

dalle acque superficiali che hanno dato luogo a


vasti ed evidenti fenomeni carsici. insomma, il
terreno stato modellato nel tempo, fino a
quando non si sono formati cupi burroni con
pareti rocciose a picco, le cosiddette gravine,
che si colmano rapidamente di acqua se piove,
mentre rimangono a secco soprattutto
d'estate.
procedendo verso la stazione, una volta lasciata alle spalle la zona caratterizzata da una
materia docile, friabile e calda come il tufo, il
paesaggio gradualmente cambia. i colori non
sono pi quelli severi grigio-verdi di muschi e
licheni dominanti sulla murgia. prevale il marrone intenso dei campi arati. si alterna al verde
brillante delle vaste distese coltivate a cereali,
destinate a diventare gialle con riflessi dorati
quando le spighe sono mature e, ancora oggi,
spesso trasformate in distese nere e combuste, a valle delle bruciature delle stoppie.
se nei rioni sassi scritta buona parte della
storia dei contadini, nelle vaste aree agricole
ai piedi dell'abitato che si affermato il latifondo. grandi e medie propriet generalmente
condotte da gruppi famigliari, in proprio, ma
spesso affidate in affitto. non c'erano le fabbriche. salvo quella molitoria, a matera l'industria
non ha mai scritto chiss quali pagine produt-

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e allora, io quasi quasi


prendo il treno e vengo, vengo da te
ma il treno dei desideri
nei miei pensieri all'incontrario va

tive. sulle aree coltivate la manovalanza si divideva in fissa e avventizia: la prima denominata
anche degli "annaroli" indicava il contratto per
un anno, la seconda dei "mesaruoli" e giornalieri, si riferiva a contratti per un mese o per un
giorno. gli ultimi della scala sociale erano loro,
i braccianti. Quando non era spuntato ancora
il sole, vendevano la forza delle braccia in
piazza. lavoro in cambio di derrate alimentari.
farina, olio, vino, pi raramente qualche manciata di soldi. dove, invece, non c'erano i cereali iniziava il dominio dei pastori, il pascolo,
l'altra voce economica basilare legata agli allevamenti. carne, pellame, formaggi, latte munto
da bovini e ovini. lo stemma della citt riassume meglio di qualsiasi altra immagine le colonne portanti dell'economia del passato:
campeggia un bue che reca in bocca un fascio
di spighe di grano.
anche le stazioni ferme invitano a viaggiare. mi
sono spostato poco lontano, dove si erge un
altro rudere. una di quelle realt cantoniere ben
disegnate e di un'eleganza sobria che non ha
perso nonostante il deprimente stato di abbandono. ricordo quel luogo in altri tempi,
quando era vivo. cos, mi sono addentrato nei

suoi locali razionalmente disposti su due livelli,


inciampando su mobili fatti a pezzi, spazzatura
varia e, cosa pi interessante per me, lo
sguardo si fermato sui resti di alcuni brogliacci. ordini di servizio sopravvissuti a decenni di oblio. erano ancora ben leggibili le
scritte a penna dei turnisti dipendenti del consorzio di bonifica, nome e cognome, ore di la-

voro, giorno, mese e anno. Quel caposaldo


della riforma agraria, relitto di un'agricoltura
modernissima, pi che altro teorizzata e che insieme ad altre misure avrebbe dovuto cambiare la sorte economica dei contadini vittime di
una subalternit millenaria, parla ancora oggi la
lingua dolente di un naufragio in porto. i contadini non c'erano pi quando arrivata la terra

per tutti. avevano abbandonato i loro padri-padroni e spezzate le catene bracciantili erano
ormai lontani. emigrati nelle fabbriche del nord,
a bestemmiare e sputare sangue dai polmoni
nelle catene di montaggio.
mi sono sentito passeggero di una speciale
macchina del tempo che ha riportato la memoria indietro e fatto scattare una sorta di corto
circuito tra i ricordi di bambino che ha vissuto i
primi anni nel borgo pi bello d'italia, come recitava orgogliosamente il titolo di un giornale
dell'epoca riferendosi a la martella. realt rurale alla quale tanto teneva adriano olivetti,
progettata nei minimi particolari da ludovico
Quaroni ed altri, tradita urbanisticamente mille
volte. alla sua periferia, molto pi tardi, sorta
una vasta area produttiva attrezzata. finito di
colpo il sogno dell'industria del mobile imbottito, tornata nel quasi silenzio totale della
campagna che era in principio. desolante.

altre giostre verranno


che maledizione quella che accompagna
tutta questa parte di territorio, oscillante tra ambiziosi progetti di crescita e tracolli cos bru-

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a cosa incredibile di tutta questa vicenda


che ancora non si riesce a capire con
esattezza quanto stato speso. Quando nei
primi anni novanta ho iniziato i conteggi non
ero arrivato a quota 350 miliardi di vecchie
lire ma, dopo, forse si andati oltre. diamo
la cifra per scontata. si tratta della linea ferroviaria che doveva collegare matera a ferrandina, centro della valbasento servito dalla
rete nazionale, lungo il percorso che congiunge metaponto a napoli e, oggi, con
l'alta velocit roma e il settentrione. andata
in pensione la vecchia linea degli anni trenta
- sullo scartamento ridotto non viaggiano le
merci - fiato alle trombe che pi non si pu:
i lavori di ammodernamento iniziarono nel
62
1986 e andarono avanti fino al 1996 per non
essere mai pi completati. la stazione c',
alcune infrastrutture di base e gli alloggiamenti per i binari pure, ma non i binari, l'elettrificazione della linea e molto altro ancora,
che rimangono dimenticati nel grande libro
dei sogni. antiche aspirazioni sepolte sotto
una avvilente coltre di rassegnazione in un
comunit che, in realt, a una strada ferrata
collegata. porta a bari. binari a scartamento ridotto ovviamente, gestiti dalle ferrovie appulo lucane.

cianti? sommerso, non lo vedevo quasi pi,


ma l'interrogativo mi tormentava davanti al parcheggio utilizzato da sparuti amanti di gare tra
automobiline telecomandate. dietro la rete di
recinzione non era certo scomparsa la stazione. indecente, sullo sfondo, mostrava le sue
vergogne. angoscianti bocche urlanti, ingressi
sbarrati, chiusi a qualsiasi discorso. per riaprirli
occorrono 150 milioni di euro. ma arriveranno
mai? me lo chiedevo sotto le pensiline svettanti
da cui emergevano le solitarie banchine sopravvissute al diluvio. le scorgevo bene su
quella eccezionale distesa di acqua piovana,
aggrappate ai muri di sale d'aspetto che non
hanno mai atteso nessuno, ridotte a un dialogo
sordo tra pareti bianchicce rivestite con un materiale che ricorda vagamente la calcarenite

squadrata dei rioni sassi. pi avanti si indovinava il vasto solco cementato in cui avrebbero
dovuto essere alloggiati i binari. un serpentone
lungo una trentina di chilometri, spinto ben oltre
lo sguardo e di colpo tramutato in una specie
di torrente per la defluizione rapida delle piogge
e di un fallimento melmoso che ha trovato solamente questo modo insolito per muoversi da
qualche parte.
"straordinario. se piove di nuovo a dirotto mi
organizzo. mi fiondo a pagaiate e ridiscendo
per un bel pezzo la valle del bradano con il mio
gommone. da qui si arriva non lontano dalla
cripta rupestre del peccato originale. la prossima volta non me la perdo". mi girer le foto,
me lo ha promesso un amico ascoltando il mio
racconto. si chiama rafting questo sport che
ha tutta l'aria di una sfida di quelle estreme.
non lo farei mai. ma la cosa forse non tanto
improbabile, non cos come mi apparsa in un
primo momento.
provo a guardare se c' qualcosa dentro il bicchiere - che non neppure lontanamente
mezzo pieno - e ricordo di aver letto da qualche parte che linee ferroviarie, stazioni e caselli
dismessi stanno diventando appetibili. cerco
meglio. sono gi 450 i siti riconvertiti. si parla
di cultural-park diffuso dove i binari si sono trasformati in piste ciclabili e percorsi verdi accessibili a tutti. le chiamano greenways ed
evocano la cosiddetta mobilit dolce. mentre

nelle stazioni le trasformazioni sono avvenute


attraverso la destinazione a sale espositive,
spazi per il teatro, centri sociali, aree didattiche
e soprattutto strutture ricettive gestite da giovani. allora, preso da insano moto progettuale,
ho lanciato l'idea provocatoria su un social, eccola: trasformare tutta l'area in un parco tematico pieno zeppo di divertimenti. soprattutto,
realizzare la pista di autoscontro pi grande
d'europa nel parcheggio ora dominato dagli
appassionati di modellini telecomandati. hanno
iniziato a fioccare i "mi piace". chiss quanti
avevano voglia di scherzare per scacciare la
malinconia - come me, che pensavo allo
spreco di risorse e alla nostra vertiginosa percentuale di disoccupati - e quanti invece facevano sul serio. la stazione pu aspettare.
PASQUALE DORIA, 56 anni, materano, cronista dal 1984 a La Gazzetta del Mezzogiorno. Ha scritto narrativa, racconti brevi e
testi legati al territorio e alla storia urbana di
Matera. la storia del passaggio dagli antichi
rioni Sassi ai quartieri della citt pubblica progettata da Quaroni, Aymonino, De Carlo, Piccinato e altri grandi architetti italiani del
Novecento.
ANTONIO SANSONE, 48 anni, materano, da
sempre incantato dalla fotografia. Il reportage
il mio modo di intenderla, raccontando l'attimo senza interferire per renderlo per quello
che realmente . Difficile, ma ci provo.

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UN FALLIMENTO
A SCARTAMENTO
RIDOTTO

I LUOGHI ORFANI DI FABIO SEBASTIANO

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IN FONDO AL LUNGO CORRIDOIO

INDUSTRIE

Venti anni fa si spense la fiamma che non avrebbe mai


dovuto morire: venne spento lultimo altoforno della Falck.
Acciaio e ferro, una storia durata appena novanta anni.
I vecchi operai di Sesto San Giovanni hanno ancora
memoria, i capannoni sono gli scheletri del secolo breve
della grande industria.

FALCK La fabbrica che non c pi

IL PANE E MORTADELLA
SAPEVA DI FERRO

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TESTO DI OSVALDO SPATARO

FOTO DI LUCA CENTOLA

INDUSTRIE

l garage delle auto, lultimo giorno, gli autisti portavano il lutto al braccio. avrebbero continuato a lavorare per qualche mese, loro. ma ne
avrebbero fatto anche a meno. che senso poteva mai avere star l a
prendere qualche spicciolo in pi di stipendio per scarrozzare i dirigenti che
giorno dopo giorno perfezionavano la morte dellazienda? loro, gli autisti,
avrebbero preferito finire in cassa integrazione a zero ore. non che sia bello
prendere i soldi senza lavorare. per carit. ma anche adesso che era finita, finita davvero, volevano continuare a essere come tutti gli altri, come noi: operai tra gli operai. perch se cera sempre stata una cosa che aveva
differenziato la nostra fabbrica dalle altre era proprio questo: noi s, noi ci sentivamo tutti uguali. operai tra gli operai.
e cos invece che andar la mattina a lavorare in una sesto vuota di facce amiche e di rumori avrebbero preferito passare le mattine a leggere la gazzetta
al bar della wanda, davanti al cancello. parlare dellinter e del milan, ricordare
quando si andava in bicicletta in fabbrica e quando la nebbia era nebbia, mica
questa roba qui di adesso. avrebbero voluto far la fine dellattilio dellaltoforno che ai novellini, il primo giorno, quando li portavano in visita al reparto
ripeteva sempre: la vedi questi fiamma? Questa come il vaticano, non
morir mai e gi bestemmie contro i preti, i vescovi, la maestra dellasilo che
era una suora mancata e tutto il calendario tranne san pancrazio, patrono di
canicatt, il suo paese. o come il gigia del reparto laminati che non aveva
saltato un giorno di lavoro neanche quando era morto suo padre: perch il
lavoro sacro, me lha insegnato lui. e il modo migliore che conosco per onorarlo lavorare. oppure, del dario detto fusibile, lelettricista del turno di
notte. che aveva due figli drogati e la sera preferiva star fuori di casa piuttosto che vederli tornare in quel modo, disgraziati. e dellanna, quella che stava
alla contabilit e ne sapeva di numeri: veniva da gi pure lei, e non si mai
capito se lultimo del mese era un giorno bello perch si andava a ritirare la
busta paga o perch la busta te la dava lei ed era un bel vedere. o la fine della
gaia, la signora della mensa, che a ragazzi giovani e senza moglie dava sempre di pi da mangiare che poi a casa a te chi ci pensa? che quando trovi
una tusa diglielo che a te ci pensa la gaia a dar da mangiare ed per questo che sei cos bello e sano e ogni luned per se il milan aveva perso agli
interisti non parlava.

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e invece era lultimo giorno, almeno per noi. rimanevano i manutentori, una
squadra di meccanici e tutti quelli che dovevano piano piano avviare lo stabilimento a spegnersi. curatori fallimentari di un mondo in dismissione. certificatori controvoglia che s, era vero: era davvero finita. a nulla erano serviti
mesi di lotte e di battaglie. non erano servite le manifestazioni fino in piazza
duomo, chilometri di strada con la gente che ti guarda e non capisce. a nulla
erano servite le petizioni fatte firmare a scuola dai figli, le raccolte in chiesa che
il parroco l a sesto era uno di noi. non erano servite le persone arrampicate
a protestare sulla ciminiera, e quelli a per terra gridare in faccia alla polizia. non
era servito bloccare la stazione centrale, che tanto quelli che decidono figurati se si muovono in treno, in treno ci vanno i poveracci. non era servito nulla
di quello che ci avevano raccontato i sindacati dentro e fuori la fabbrica. non

INDUSTRIE
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falck unione, la mecca italiana dellacciaio

lo stabilimento falck unione in corso italia il pi antico e il pi grande aperto


dalle acciaierie e ferrerie lombarde falck a sesto san giovanni. nato con la nascita dellazienda nel 1906, arrivato ad avere fino a cinquemila operai appena
dopo la seconda guerra mondiale, quando il paese aveva bisogno di acciaio e
sesto era la mecca della siderurgia italiana. lunione era uno dei quattro stabilimenti
falck di sesto, con gli altri tre, concordia, vittoria e vulcano, formava il polo siderurgico che dava da lavorare a oltre novemila persone. al suo interno a un certo
punto erano attivi fino a sei forni per la fusione e tre treni di laminazione, arrivando
a coprire quasi un milione di metri quadrati di superficie. con la crisi della siderurgia degli anni settanta le maestranze allinterno dello stabilimento cominceranno a
diminuire, scendendo a 3.700 e poi calando via via fino alla definitiva chiusura della
fabbrica con lo spegnimento definitivo dei forni, nel gennaio 1996. oggi limmensa
fabbrica dismessa un luogo in attesa: attesa di venir bonificato e di avere una vita
nuova con il progetto della citt della salute.

erano serviti a niente gli intellettuali venuti davanti al cancelli. erano serviti ancor meno
i politici che portavano parole e gli studenti che portavano bandiere. era finita e basta.
e dire che ci avevamo creduto davvero agli slogan, ai canti. il lavoro non si tocca.
Questa fabbrica vivr. da qui non ce ne andremo. tutte balle. il lavoro lhanno toccato. la fabbrica morta. non ce ne andremo, ma intanto ci hanno sbattuto fuori.
cambia il mondo, ci hanno detto. voi siete del mondo vecchio, adesso c il
nuovo. cazzo questo nuovo? che cazzo di lavoro fa questo nuovo? smontare lo
smontabile, questo era lultimo ordine di servizio. impacchettarlo in casse di legno
chiuse con i chiodi e spedire tutto in india, via nave. come si mette una fabbrica
dentro una nave, porcaccia troia? che adesso il lavoro lo fanno fare ai giargianesi e
a noi non rimane che restare qua, con le mani in mano ad aspettare la pensione dice
ogni giorno lattilio. signori si spegne, si chiude tutto e arrivederci. basta colate continue, basta acciai, basta turni di notte, basta qualunque cosa. addio a quel rumore
cadenzato che cera quando si faceva il turno di notte, pam pam pam. addio alla sirena che suonava per il cambio turno. addio al pane e mortadella che sapeva di
ferro, perch lo scaldavamo dove non si poteva e mangiavamo ridendo, nel mezzo
della fabbrica.
acciaierie e ferrerie lombarde falck, cera scritto allingresso del t5, stabilimento
unione. Qui dentro lavoravamo in cinquecento. cera la gaia, il gigia, lattilio, lanna
e il dario. cero io che ero entrato a ventuno anni e qui avrei voluto morirci. ceravamo tutti, lultimo giorno. oggi non c pi nessuno. solo quello che vedete in queste foto che non guardo pi, perch senn mi metto nuovamente a piangere.

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osvaldo spadaro, 37 anni,
quando pu viaggia, quando riesce
scrive, se poi qualcuno lo pubblica o
meno poco importa. vorrebbe vivere
in polonia solo perch l il reportage
un genere letto e rispettato, ma invece vive a milano. preferisce l'asia
al resto del mondo semplicemente
perch il resto non l'ha ancora visto.

ma di quel che ha visto giudica la


birmania il paese pi ricco di storie
da scoprire
luca centola, 41 anni, materano, fotografo ed archeologo, laureato in conservazione dei beni
culturali a lecce e specializzato in
gestione, conservazione e sviluppo
del patrimonio culturale, oggi se-

gretario regionale per la basilicata


dell aipai (associazione italiana archeologia industriale). con la fotografia luca ha approfondito i luoghi
di lavoro in italia con una forte relazione a temi sociali derivanti da
esperienze come il vajont, le miniere
della sardegna, i mulini abbandonati
della basilicata, le riforme agrarie.

I LUOGHI ORFANI DI FABIO SEBASTIANO

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LULTIMO SPETTACOLO

LULTIMO MATTO

poi un giorno, quel grande padiglione, venne chiuso. fecero


una festa, una grande festa. e luigi dovette abbandonare la
sola casa che aveva conosciuto. Qualcuno lasci il cancello
aperto. alle loro spalle, ledificio cominci a sgretolarsi.
RACCONTO DI LAURA MEZZANOTTE

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Vieni ad una festa?


Certo che s, dove si va?
Andiamo a chiudere il manicomio di Oderzo.
I ricordi che ho di quel giorno, forse un pomeriggio dautunno di ventanni fa, sono intermittenti. Lamico che mi aveva invitato era il coordinatore di una cooperativa sociale,
incaricata dal Comune di portar fuori gli ultimi matti rimasti nel manicomio. E nel percorso in auto, da Padova, mi aveva spiegato il lavoro che avevano gi fatto e quello che li
aspettava.
Le persone ancora ricoverate erano poche, tutte anziane ormai. Da mesi le stavano preparando a un cambiamento radicale della loro vita. Giorno dopo giorno avevano cominciato a farle uscire dalle mura della struttura. Piccole passeggiate, visite educative al
supermercato, lezione di prendere lautobus. Quel giorno facevano una festa per dire
addio a quella che era stata la loro casa per molti anni. Dal giorno dopo, data di chiusura
definitiva della struttura, si sarebbero trasferite in piccoli appartamenti protetti, supportati
nella vita di tutti i giorni dagli operatori della cooperativa.
Del posto dove arrivammo ricordo poco: un grande parco con tante foglie secche per terra,
vecchie costruzioni basse dai muri gialli - o forse rossi - un po delav. Il luogo pareva deserto: niente portineria, nessun camice in giro.
Tutta la vita del manicomio, quel pomeriggio, era concentrata in un bel padiglione a un
solo piano, rettangolare, pieno di vetrate. L tutto era pronto per una vera festa. Il tavolo
lungo con torte, bibite, salumi e formaggi. I palloncini colorati appesi al soffitto. Cera
anche la musica in sottofondo.

E una ventina di uomini e donne anziani, mescolati ad una decina di operatori della cooperativa, che stavano amabilmente chiaccherando, tutti con tutti. Una festa. Senza aggettivi.
Ero lunica che gli ospiti del manicomio non conoscevano e quindi qualcuno, spinto dalla
curiosit, mi aveva rivolto la parola: Chi sei?. Sono unamica di Stefano. Sei la sua
morosa? No, avevo risposto ridendo, solo unamica.
Poi avevo sentito un ciao provenire dal lato pi lontano della sala. Un uomo apparentemente anziano, ma dallet in realt indefinibile, mi stava chiamando. Accucciato a terra,
con la schiena contro il muro. Mi ero avvicinata a lui, accucciata a mia volta per vederci
in faccia.
Ciao, io sono Laura, tu come ti chiami?
Ci avevo messo un po a decifrare che si chiamava Luigi. Parlava a voce bassissima e articolava le parole con difficolt. Luigi continuava a fissarmi col suo volto da bambino invecchiato.
Sei contento di cambiare casa?, gli avevo chiesto, per sbloccare la conversazione.
Mio fratello non c pi, era stata la sua risposta. O meglio quello che avevo dedotto dai
suoi bisbigli.
Stefano, il mio amico, si era avvicinato a noi silenziosamente.
Luigi ha settantanni - mi aveva detto - ed qui da quando ne aveva sette.
Era molto bravo, Stefano. Mi aveva spiegato che il compito suo e degli altri operatori era
quello di dare potere a loro, che non ne avevano. Il nostro potere di contrattazione sociale come lui definiva la capacit di esistere in societ, la capacit di essere considerato,
di non essere invisibile perfino nelle situazioni pi quotidiane.
Tu cosa fai?, aveva chiesto improvvisamente Luigi.
Io scrivo, gli avevo risposto.
Non so scrivere, era stata la sua risposta di rimando.
Non ricordo bene il resto della conversazione con Luigi. Piccole frasi faticose e quotidiane come: ti piace laranciata?.
Ma si era stabilita una corrente, tra me e Luigi.
Sei brava, potresti fare loperatore, mi aveva detto Stefano. E mi aveva raccontato la
storia di Luigi.
Era stato internato nel manicomio di Oderzo a sette anni, assieme al fratello di dieci.
Erano figli di una donna che ai tempi veniva considerata di scarsa moralit. Erano due
bambini difficili, riottosi e vagabondi. Qualcosa, nessuno sapeva esattamente cosa, era
accaduto alla madre e i due ragazzetti erano rimasti abbandonati. Portati al manicomio perch era il posto pi vicino a casa loro.
L erano stati letteralmente dimenticati. Nessuno era mai venuto a chiedere di loro. Luigi
e il fratello Giovanni, morto qualche anno prima, erano cresciuti nel manicomio. Con le
regole del manicomio, con i tempi e i metodi del manicomio. Incapaci, al momento della
loro maggiore et, di vivere fuori. Bambini difficili, adolescenti internati. Adulti non
funzionali.
Erano rimasti nellunica casa e nellunico mondo del quale conoscevano le regole.
A un certo punto Luigi mi aveva preso la mano e laveva stretta. Ricordo che avevo fatto
fatica a trattenere le lacrime. Ero rimasta l, accucciata, con la mia mano nella sua per un
tempo che non sapevo contare, forse solo un momento, forse uneternit.
laura mezzanotte, 53 anni, giornalista trentina. da ventanni appassionata della politica
africana e di tutto quel che accade sotto il sahara. ama, in modo particolare, il sudafrica. nel
ultimi tempi si dedica ai viaggi immobili e alla scoperta di micromondi.

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MANICOMI

ERA ENTRATO IN MANICOMIO A SETTE ANNI

MANICOMI

pistoia

il pianoforte
di ville sbertoli
suona ancora

foto di saverio de luca


testo di silvia la ferrara

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due ville patrizie sulle colline di pistoia furono acquistate


fra il 1868 e il 1876 da agostino sbertoli, medico presso il
manicomio di san benedetto a pesaro che apr qui una
casa di cura per malati mentali di cui divenne direttore e
dove forse venne internato anche un suo figlio. i pazienti
venivano suddivisi nei vari edifici del complesso in base
allo status sociale e per questo il manicomio divenne meta
di pazienti provenienti da ricche famiglie. lantico pianoforte del salone principale suona ancora, raccontano.

1969, fuori i matti


foto di monica mietitore

a colorno il manicomio fu realizzato nei


locali dellex reggia ducale e del convento di san domenico nel 1873. nel
1969 fu occupato da studenti della facolt di medicina di parma e nello
stesso anno franco basaglia divenne direttore del complesso iniziando il processo di deistituzionalizzazione del
manicomio che ora di propriet dellausl di parma. nel 2013 il writer brasiliano herbert baglione ha realizzato in
questi spazi una serie di opere dal titolo
ombre di pece, figure che nascono da
sedie a rotelle abbandonate nei corridoi
e si allungano sullintonaco scrostato.
inevitabili le polemiche sulla stampa locale in quanto i graffiti deturperebbero lo
storico edificio.

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MANICOMI
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colorno

MANICOMI

mombello

i ghost
hunters a
caccia di
benito albino
foto di giovanni mereghetti
testo di silvia la ferrara

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lex ospedale psichiatrico giuseppe antonini si trova a mombello (a nord di limbiate), accanto alla settecentesca villa pusterla dove napoleone proclam la repubblica cisalpina. fu costruito nel 1873 ed arrivato a ospitare oltre 3 mila pazienti, fra
i quali anche il figlio illegittimo di mussolini, benito albino, morto internato nel 1942.
un muro di cinta alto due metri e lungo tre chilometri separava dal mondo oltre 40
mila metri quadrati di stanze, celle e corridoi abbandonati definitivamente nel 1999.
oggi la propriet dellazienda ospedaliera salvini. la destinazione socio-sanitaria
dellarea, che non permette aumento di volumetrie, rende lex manicomio poco appetibile dal punto di vista immobiliare. i gost hunters invece lo amano e vengono qui
a caccia degli spiriti delle persone decedute tra le corsie.

un tempo i
matti polesani.

foto di zira mantovan

il consiglio provinciale di rovigo, nel 1906, decise di costruire un ospedale psichiatrico


per riunirvi i matti polesani
sparsi in 41 manicomi italiani.
era prevista una costruzione immensa: fabbricati, nove padiglioni, viali, cortili, giardini e
colonie agricole. venti ettari,
duecentomila metri quadrati.
dopo varie vicissitudini e sospensioni, e lutilizzo dellarea
durante la i guerra mondiale da
parte dellamministrazione militare, lapertura ufficiale del manicomio avvenne il 20 marzo
1930. costruito per 400 persone, il manicomio sar ne
ospiter mediamente 700.
dal 1930 fino al 1980, lospedale psichiatrico di rovigo assolse la funzione di "ricovero e
di cura" dei malati psichici per
tutta la provincia di rovigo. tali
"ricovero e cura" erano praticati
con metodi considerati coercitivi
e violenti come lelettrochoc e
linsulinoterapia. nel 1978 la
legge basaglia abolisce i manicomi, i matti vengono rilasciati,
ma il manicomio di rovigo viene
chiuso definitivamente solo nel
dicembre del 1997. da allora,
larea abbandonata, salvo tre
padiglioni usati dallasl come archivi e depositi. diversi progetti
sono stati vagliati ma nessuno
realizzato.

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MANICOMI
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rovigo

PRENDI IL 25,
PORTA FINO AL GIGANTE

sulle colline di firenze, verso lappennino, ci sono due


monumenti: la statua di un vecchio dalla grande barba bianca
e un immenso palazzo abbandonato. era un sanatorio,
conosciuto come il banti. dopo labbandono, stato casa
e rifugio di comunit dimmigrati. l, due anni fa, un uomo
e una donna dovevano ritrovarsi.
due giovani scrittori hanno cercato la loro memoria fra le rovine

RACCONTO E FOTO DI CLAUDIA MEZZAPESA E MARCO TURINI


F. Appena arrivi in stazione chiedi del 25. Supera la citt, le colline e, attraversato il bosco, lo vedrai.
S. Ma come faccio a capire qual la fermata?
F. Chiedi, lo conoscono tutti. Sembra un gigante bianco addormentato nei
boschi, ma stai attento che di giganti sulla collina ce ne sono due!
S. Ma in che posto sei finita?
F. Said bellissimo qui! Il gigante pi antico un uomo barbuto alto pi di
dieci metri che sembra venir fuori dalla montagna per prendere lacqua nel
lago. in un parco immenso, un luogo magico con statue strane e grottesche,
fontane e laghetti. Quando arrivi ci andiamo insieme. Vedrai ti piacer! Guarda
questa foto.
S. Mai visto nulla di simile!
F. Il nostro palazzo poco pi in l. Anche lui un gigante! Ci sono ben cinque piani e lultimo completamente vetrato. Nelle belle giornate andiamo su
a prendere il sole e da l si apre una vista mozzafiato sulla citt e sulla cupola
del duomo.

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S. Ma sei sola l?
F. Ma cosa dici? Tutte le stanze del secondo piano sono ormai piene. Gli
ultimi arrivati sono i nostri vicini, Mamad e Jameela. Sono qui dalla scorsa
settimana, ma gi Rasha e Nazeera, la loro piccola, sono diventate grandi
amiche.
S. Ma sicuro almeno?!
F. Il posto tranquillissimo, ci sono solo delle regole da rispettare: chiudere sempre con la catena la porta principale e, se si sentono voci strane o
passi che non provengono dal nostro corridoio, bisogna stare immobili e in
silenzio. Potrebbero essere curiosi che si avventurano per fotografare o, nella
peggiore delle ipotesi, poliziotti mandati qui a controllare.
S. Ma c almeno da mangiare?
F. Come no?! Qui c una sala mensa enorme, cucine attrezzate, bagni, puliti con doccia e vasca. Non manca nulla! C anche un teatro e ogni gioved
si organizzano spettacoli! Vedessi Rasha com contenta!
S. Fatima, non vedo lora di riabbracciarvi! Ho un po paura per questo
viaggio, stasera fa freddo e il mare agitato. Ci vediamo presto! Un bacio.
F. Non vedo lora anchio di stringerti. Ti bacio e ti stringo forte.
Mentre saliva sulla barca accompagnato dalle urla dello scafista, Said riusc
a trovare una piccola nicchia allinterno del portello nella prua della nave.
Anche se doveva condividere il posto con altri novecento corpi quella notte
sorrideva. Avrebbe presto rivisto Fatima e la sua piccola Rasha, e, in quella
notte fredda, questo pensiero gli scaldava il cuore. La Sherazad silenziosa
avanzava sulle onde minacciose. Solo le urla dei neonati squarciavano il religioso, accorato silenzio dei suoi compagni di viaggio. Mentre la luna, filtrando da una fessura nel legno, illuminava le facce impaurite dei suoi vicini
di posto, Said si addorment esausto per pochi minuti pensando a quellospedale lontano: il Banti.
Quella notte fu lultima per la Sharazad, non ce ne furono altre mille.
Lampedusa, Isola dei Conigli, 3 ottobre 2013

la statua
dellappennino, nel
parco di pratolino
lex sanatorio banti

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SANATORI

SAID STAVA PER RAGGIUNGERE FATIMA

SANATORI
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firenze

leX sanatorio
banti

lex sanatorio banti, dedicato al patologo fiorentino guido banti, si


trova a pratolino, sulle prime colline
fiorentine, verso lappennino.
progettato nel 1934, era il luogo
ideale, per il clima salubre, per curare la tubercolosi. la famiglia demidoff, mecenati russi, trapiantati
nell800 a firenze, dinastia di industriali dellacciaio e fabbricanti di
armi, don il terreno. nel parco della
loro villa, di fronte alla collina del
banti, si trova la grande statua del
vecchio raffigurante lappennino
della quale parla fatima.
dopo complessi lavori, il sanatorio
venne inaugurato nel 1939.
nel dopoguerra, ridotta la tubercolosi, il banti diventata una struttura
ospedaliera. stato abbandonato
nel 1989. da allora cominciato il
degrado. nei primi anni di questo
secolo, stato occupato e ha ospitato piccole comunit di immigrati
dal nordafrica, curdi e albanesi.
progetti per trasformarlo in albergo
o scuola di formazione sanitaria manageriale sono falliti.

claudia mezzapesa 33 anni vive tra


puglia e toscana. architetto perch cos
la vedevano i suoi, paesaggista per scelta.
non riesce facilmente a resistere a luoghi
e persone pericolose.
marco turini, 34 anni. archeologo,
uno dei fondatori di erodoto108.
dopo una breve fuga allestero ritornato
per inseguire (invano) la sua carriera
nellambito museale. interessato al rapporto che intercorre tra la societ contemporanea ed il suo patrimonio storico e
culturale, in tutte le sue forme.

I LUOGHI ORFANI DI FABIO SEBASTIANO

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SEDIE ROSSE E UNA PORTA APERTA

AVETE TUTTI
LANTITETANICA?
Testo e foto di Francesca Duca
citt, non praticate e impraticabili, che danno accesso ai mondi dell'inaspettato e del sorprendente.

alt, privato. vig. armata:


non certo un cartello che pu
fermare gli studenti di architettura di roma tre. capire
il territorio fra le macerie,
scavalcando muri e cancelli

rti civiche. professor francesco careri. insegnamento a scelta dello studente. 30


ore. 4 cfu. lo trovi in elenco. alla lettera a
tra 'acustica e illuminoteca' e 'bim- tecniche parametriche di progettazione'. laurea magistrale
in architettura. roma tre.

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tutto regolare. sembra vero. anzi lo . ma c'


qualcosa che non quadra. lo vedi gi dal nome,
se ci pensi bene. 'arti civiche'. e che saranno
mai? vai alla prima lezione e alla domanda del
90 prof: 'avete tutti l'antitetanica?', cominci a capire.
che non hai capito. proprio cos. perch le 'lezioni' non si svolgono in aula, ma fuori. anzi, il
corso non lo si segue per niente, ma lo si pratica.
da protagonisti. camminando.
il concetto semplice. non banale. il miglior
modo, se non il solo, per comprendere il territorio in cui viviamo e che spesso, solo distrattamente percepiamo, guardando senza vedere o
vedendo senza guardare, quello di entrarci fisicamente. con tutto il corpo, mani, piedi, e certamente, testa. attraversando i luoghi, urbani e
meno urbani, infilandosi nelle intercapedini della

alla base, un teorema, 'chi perde tempo, guadagna spazio' e una legge, la pi severa. 'non si
torna mai indietro'. una volta scelta la direzione,
non ci si ferma davanti a niente. si procede, per
'violazione' dello spazio privato, demolendo le infinite barriere fisiche e mentali, che quotidianamente ci costringono, come animali in cattivit, a
percorrere le vie della norma, le strade precostituite. ci si riappropria degli spazi, scavalcando
muri e cancelli, entrando da buchi nelle recinzioni,
tuffandosi nei fossi, tra boscaglie e rovi, o anche,
semplicemente, dalle porta principale, aprendole
con l'arte dialettica. il tutto a rivendicare la suprema libert di movimento e il diritto di conoscenza.
corso di arti civiche, dunque. un gruppo eterogeneo di studenti e non, artisti e non, docenti e
non, di diversa provenienza. dal brasile, dal cile,
dalla spagna, dallitalia, dalla svizzera. appuntamento tutti i gioved per andare alla scoperta di
roma ovest. tanta avventura. su gi nello
spazio e nel tempo. salite e discese. voli. io con
loro. in cerca della forma giusta per raccontare la
magia dei fatti. realmente accaduti. Qui parte di
quel che ho 'visto' con le parole:
andante/volendo uscire/paura di
essere/inermi/scudi finiti/solo/lo
sguardo
camminiamo su prati di macerie. ogni passaggio
ne lascia. ci dirigiamo verso la foresta di cellulosa. grande struttura abbandonata. divieto di
accesso. vigilanza armata. entriamo tra i vetri
rotti delle serre. muffe, funghi, carte e provette.
porta spazio/tempo. in fila indiana procediamo.
millepiedi attraverso il maggese. ci appare, luogo
sacro, dopo tanto cercare, l'aula del muschio.

entriamo. statue sospese, galleggiamo, ranocchie in uno stagno. tutto verde, anche le parole, umide nella nostra bocca. densi i raggi di
luce. il sempre e il mai si confondono. castelli,
corti, santuari. i giovenale, il guardiano della porcareccia. santi, santini. abitanti del vecchio
mondo. le terre coltivate a suoni e odori. si apre
un varco. pier paolo pasolini nei nostri palpiti. caliamo tra gli alberi da zucchero filato. vola nell'aria. si posa, sulle sabbie quaternarie dell'antica
via carovaniera. fauni di ermes ci indicano il cammino. monte del mare. che non c' pi. prosciugato da piscine azzurre. carcere di massima
sicurezza. vista mondo. gli abitanti, ricchi mercanti di schiavi. tanto ossessionati dal mio, si
sono imprigionati da soli. strade circolari. vicoli
ciechi. bisogni vietati. pelli sottili e glabre che mai
hanno superato gli alti muraglioni coperti di rovi.
corona spinata cresciuta sui fossi. arcaica via
nomade. inaccessibile. e noi qui. tenacemente
cerchiamo un varco. telecamere e cancelli automatici. ci infiliamo ovunque. tunnel nella foresta
a galleria. e gi. con le corde. tra bamb, liane e
rose. si lacerano i vestiti. restiamo nudi. niente
possono milioni di insetti sulle nostre carni pelose. cacciatori raccoglitori. urliamo. di gioia. costruiamo ponti per passare. primi da secoli. si
scavalca qui e l. un vizio. ci guardano. tanto
dove credi di andare. rimbalziamo. barriere in
parallelo. alta resistenza. salti nel vuoto. variegati. sfioriamo cime d'albero. abbaiano cani. in-

sistenti. paure e piccoli drammi interiori. e arriviamo. finalmente al nostro posto. giardino delle
follie proibite. Qui la via di fuga. decisamente a
sud. alla citt delle arti. dopo tanto andare.
dopo tante prove. sediamo. i maestri al fianco.
sotto la grande tenda tessiamo la tovaglia dei festeggiamenti. infinita. per apparecchiare il
mondo. sono in tanti, ambasciatori della citt
nomade. e ora anche noi.
FRANCESCA DUCA, 38 anni, paleontologa, dedita al
libero andare, vive e ama l'altrove come fosse casa.
interpreta voracemente ogni ruolo: educatrice, imbianchina, insegnante, trippaia, ricercatrice, traslocatrice.
perseguendo la conoscenza sogna, un giorno, il sapere.

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ERODOTO108 13

LEZIONI DI ARTI CIVICHE

Come si affaticato, che pena che fa / pensare a tutto quel niente, dillo piano / magari ci sente.

al bar roma di porretta terme,


assieme a azzurra dagostino,
poetessa dellappennino

IL MONDO
SPOPOLATO
DI PAVANA

vivere in un paese pieno di


anziani e privo di giovani:
i poeti mi hanno fatto sentire
meno sola.
e spegnere la tv, ha fatto trovare
il tempo per leggere proust.
le persone ferite hanno bisogno
della poesia.
Testo di Sandro Abruzzese
Foto di Fabio Sebastiano

93

"(...) Molti sono i modi del noi. E adesso ci


siete voi, di mani / ci sono le vostre ascoltate.
Questa la terra. Fatene quello che potete.
Credete".
Sono passati anni da quando scoprii Canti di
un luogo abbandonato di Azzurra D'Agostino.
Finalmente ne ho una copia autografa tra le
mani e, attraverso il formato, la composizione,
riconosco la cura e l'attenzione per ci che si
ama.

Vado a cercare dei versi: "Siamo rimasti qui da


soli / dove sono finite le bestie / le ostie degli
uomini le madonne / i bambini cugini i figli le
donne? / E questi alberi che guardano / non
crediate che siano in pace / come un grido
questo bosco / anche se tace".
Le parole che disegnano luoghi, il ritmo serrato, lo sguardo, in una piovosa domenica di
autunno, mi hanno spinto nella piccola Pavana,
paese di Francesco Guccini, a pochi chilometri

da Porretta Terme, stretta nella suggestiva gola


creata dalla Valle del Reno.
"Amai subito Soldati di Ungaretti. Cos alle
elementari cominciai a comporre robaccia. A
16 anni, Giacomo Martini volle incontrarmi.
In futuro sarebbe diventato il mio primo editore. Quanto alla poesia contemporanea, ricordo lo stupore per le opere di Franco Loi,
Mariangela Gualtieri: i poeti mi hanno fatto
sentire meno sola. un modo di conoscere

senza che ci sia una spiegazione, abbozzare


il mondo senza tesi, senza avanguardie, accogliere il mistero come accogliere se stessi.
Della poesia amo il tentare e poi fallire, perch gi il solo provare ottimismo".
Si prende una bella pausa prima di rispondere
alle domande, Azzurra. "Come si affaticato,
che pena che fa / pensare a tutto quel niente,
dillo piano / magari ci sente", intanto leggo.
La nostra conversazione avviene al Bar Roma

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In esilio porterebbe con s i libri di Wallace,


Stevens, Tolstoj, la musica dei Radiohead e
Claudio Lolli, ammette sorridendo. Poi parliamo dei Canti.
"Il libro che hai tra le mani nasce dalla voglia
di coniugare forma e contenuto, nato passeggiando nella mia terra, mentre ne scorgevo i
segni umani. Lavorare sul tempo, sugli oggetti,
questo il progetto legato al luogo in cui vivo:
un posto totalmente isolato e inospitale, in inverno stretto tra neve e animali selvatici. Pavana un luogo difficile e lontano, marginale,
pieno di anziani e privo di giovani. Tutto questo ti consente di andare in profondit, ma con
sacrificio. La natura qui ti rimette al tuo posto,
questo fa bene e lo trovo necessario".
Le chiedo se non avere la televisione ed essere
laureata in Estetica con una tesi su Milan Kundera non sia un po' troppo radical-chic. La risposta che spegnere la tv le ha consentito di
finire Proust (ride). Nella filosofia, invece, cercava risposte sistematiche che si rassegnata a
ritrovare giorno per giorno. La incalzo, voglio
due nomi: il culmine e l'inferno del nostro panorama politico. Finalmente vacilla. Dura
pochi secondi, quindi ricorda, - qui a pochi
chilometri da Marzabotto e Monte Sole, - la
sua famiglia di tradizione partigiana, l'affetto
per Pertini e Enrico Berlinguer.
Ritorno alla poesia. Abbiamo passato quarant'anni, orfani del rigore morale di Pasolini. Vorrei sapere della distanza, dell'incoerenza che
chi scrive a volte dimostra rispetto alle parole
che pronuncia. "Elliot scrive poesie d'amore
meravigliose e ci non gli impedisce di far internare la moglie ammalata in maniera spietata. Questo non toglie valore alla poesia,
bens all'uomo. Io mi fido dell'opera, essa travalica la biografia. Si pu intuire qualcosa del

Chi era qui che zappava e mungeva / chi insomma c'era non l'avrebbe voluto / il crollo del fienile e neanche, inutile dire, / questo scrostarsi pareti, la
gramigna / tra le fessure del selciato e tutto sommato il mondo / l'intero
mondo spopolato. Il mondo quello l, che c'era / e pensava alla primavera
come a una promessa, la terra del campo spessa come una preghiera.

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di Porretta dove, davanti a un th caldo, sfoglio in disordine le sue parole: "(...) tra le fessure del selciato e tutto sommato il mondo /
l'intero mondo spopolato. Il mondo quello l,
che c'era / e pensava alla primavera come a
una promessa, la terra del campo spessa come
una preghiera", scrive.

Siamo rimasti qui da soli / dove sono finite le bestie / le ostie degli uomini le
madonne / i bambini cugini i figli le donne? / E questi alberi che guardano /
non crediate che siano in pace / come un grido questo bosco / anche se tace.

Molti sono i modi del noi. E adesso ci siete voi, di mani /


ci sono le vostre ascoltate. Questa la terra.
Fatene quello che potete. Credete.

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AZZURRA D'AGOSTINO vive a Pavana,


sull'Appennino Tosco-Emiliano. Ha pubblicato numerose raccolte poetiche, scrive e
si occupa di teatro. Canti di un luogo abbandonato, il suo ultimo libro, ha vinto il
Premio Carducci. Azzurra appena stata
insignita del Premio Ciampi.

Assieme a Daria Balduccelli e Andrea Biagioli, con l'associazione Sassiscritti, Azzurra, a


ogni agosto, organizza un Festival itinerante:
L'importanza di essere piccoli. Nella vita,
davvero essenziale saper essere piccoli?
"Ci si accorge, almeno per me cos, che le
cose pi belle accadono nella dimensione piccola, nei locali, nei teatri, dove importante
stare vicini, percepirsi. l che avviene uno

scambio reale e significativo con gli altri. Il


Festival cerca di riprodurre questo tipo di contatto tra le persone. Un poeta, a mio avviso,
deve essere pronto, deve sapere che oggi il suo
ruolo relegato ai margini della societ e questo non pu scoraggiarlo. Chi scrive deve
saper essere piccolo e onesto, non pu piegare
l'autenticit per l'ambizione o la visibilit.
Questo non facile e non sempre riesce. Per,
se la propria opera rappresenta qualcosa,
prima o poi si far spazio, nondimeno occorre
mettere in conto che potrebbe non avvenire per
anni, oppure che potrebbe non avvenire mai".

SANDRO ABRUZZESE, 36 anni, irpino. Laurea


in lettere moderne a Napoli. Insegnante
ditaliano e storia nelle scuole superiori nel
veronese. ora a Ferrara. Blogger per necessit:
cura il progetto raccontiviandanti e
scrive per colmare la distanza, il vuoto vuoto,
lo spazio che sostiene lo separa dalle
cose e dalle persone.

FABIO SEBASTIANO, 38 anni, nato a Rivoli, in provincia di Torino. Si avvicina alla fotografia subito dopo
la laurea in Psicologia. Si appassiona ai contesti in disuso, ai luoghi vacui ed indecisi. Da diversi anni,
ormai, si occupa di fotografare/documentare in chiave
artistica gli spazi abbandonati del suo territorio. Ha
realizzato mostre, pubblica sulla stampa specializzata.
Tutte le sue fotografie sono visibili sul www.fabiosebastiano.it o sul suo account flickr: fabio_sebastiano.

97
ERODOTO108 13

mondo e poi non essere all'altezza della propria intuizione. Per quanto mi riguarda, non
sono immune dalla vanit, per cerco di andare per la mia strada, cerco l'onest e le persone. Mi piace leggere per loro. Sono convinta
che le persone, soprattutto quelle ferite, abbiano bisogno della poesia".

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SI MUOVONO SU BINARI
IN UNA LUCE SENZA FINE

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I LUOGHI ORFANI DI FABIO SEBASTIANO

STORIE

DI FOTOGRAFE

si nascondeva in luoghi abbandonati,


magazzini, granai, case in rovina.
come se solo qui trovasse unoasi
di pace. Qui lei si immerge e si
confonde tra le crepe, la muffa e
la polvere di stanze e pareti

LA BELLEZZA
DI FRANCESCA
testo di francesca cappelli

passa parte della sua breve


vita, a partire dallinfanzia
ad Antella, nei pressi di Firenze, tra villeggiatura e
scuole elementari.
Negli Stati Uniti frequenta
una scuola privata dove avr
come insegnante la fotografa Wendy McNeil, che le
insegna come la fotografia
sia qualcosa che ha a che
fare con i sentimenti. Francesca fa suo questo insegnamento, lo interiorizza e
riversa sulla sua arte che
sembra nascere dalle pieghe
del suo ventre, come i chiaroscuri delle sue profondit.
A diciannove anni si trasferisce a Roma, dove cerca
luoghi vuoti, clandestini.
Granai, case e magazzini
dimenticati,
inutili alla macAlcune disordinate
china
del
mondo.
L sembra
geometrie interiori
trovare unoasi di pace
dallostilit circostante. Si
Nasce a Denver nel 1958,
immerge
e si confonde tra
Francesca. Il suo nome un
le
crepe,
la
muffa e la polomaggio allItalia, terra
vere
di
stanze
e pareti.
amata dalla famiglia, dove
Il suo corpo nudo fascino

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100

rancesca Woodman
non arrivata a compiere ventitr anni. Ha
ricevuto in dono la benedizione della Bellezza, ma
non riuscita a tenere testa
ai propri demoni. Guardate
le sue fotografie: ti tirano e
rapiscono. Non ammettono
nessun diaframma di distanza. Dentro un abbraccio
di quiete, dentro un quadro
in uno stato di completo abbandono, il mondo reale
ad esser lontano, diverso,
estraneo. Sono foto che
creano un tempo del silenzio, dove lardente forza di
Francesca scarnifica e purifica, dove le sue paure si
scoprono essere le nostre.

e seduzione, purezza assoluta tra la desolazione. La


sua pelle luce. Lo spazio
la assimila, nella cosmica
armonia di vita e di arte.
Francesca una fibra del
creato. Nasconde spesso il
volto, con il braccio esile,
con carta da parati, con un
velo nero, con la corteccia
di una betulla. Le sue morbide forme sono potenza e
visione. La sua fotografia
un tuffo nelleternit che
Francesca ha ritrovato.
La giovane artista sembra
attendere qualcosa che, superando listante fisico della
realt, attinga allideale. Le
fotografie sono la sua dolce
malinconia, il suo monologo silenzioso. lontana
Francesca Woodman,
spesso appena accennata.
Quello che a noi rimane
un enigma, il suo mistero.
Queste immagini assomigliano a una poesia scavata
nel profondo dellanima. E
quello che emerge lindicibile, linsondabile, il non
fotografabile.
Torna in America per completare gli studi. Nella lettera a un amico italiano,
catturata dallinsensatezza
della velocit newyorkese,
scrive: a questo punto la
mia vita paragonabile ai
sedimenti di una vecchia
tazza da caff e vorrei piuttosto morire giovane, preservando ci che stato
fatto, anzich cancellare
confusamente tutte queste
cose delicate.
Nel gennaio del 1981, a Filadelfia, viene dato alle
stampe il suo primo e unico
libro. Il libro si chiama
Some disordered interior
geometries. Il 19 dello

stesso mese Francesca Woodman dice volontariamente addio alla vita, che
pur sicuramente amava, gettandosi dalla finestra del
Barbizon Building a Manhattan. Ledificio conosciuto come lhotel delle
donne.
Tante parole sono state
spese su Francesca. Provate
a leggere, a capire cosa in
essa vedano gli altri, ma ricordatevi che siete voi a
guardare le sue foto, la sua

arte. Provate a dimenticarvi


di tutto, di qualsiasi spiegazione o interpretazione che
vi stata data, e lasciatevi
commuovere, consapevoli
che ognuno di noi la pu
capire solo nel proprio spazio pi intimo e protetto.
'La versione integrale di questo articolo si trova su: http://riotvan.net/articoli/703-reves:_femme_photale_fra
ncesca_woodman. RiotVan, dal 2008,
un magazine on-line di attualit e
cultura urbana, nato dagli studenti
fiorentini di giornalismo'.

(Le fotografie qui presentate, nel rispetto


del diritto dautore, vengono riprodotte
per finalit di critica e discussione ai
sensi degli artt. 65 comma 2, 70 comma
1 bis e 101 comma 1 Legge 633/1941.)

FRANCESCA CAPPELLI 23 anni


studentessa in Lettere Moderne, crede
che un giorno far la giornalista, che
sar una viaggiatrice e crede nelle
coincidenze.

101
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la fotografia qualcosa che


ha a che fare con i sentimenti

Quaranta anni fa chiusero le antiche


miniere di Campiglia Marittima

IL CONTATORE
DI SAN SILVESTRO
Questa la storia di un abbandono e di una
resurrezione. per duemila anni gli uomini hanno
strappato minerali a questa terra maremmana. poi
tutto fin. e furono gli archeologi e i vecchi minatori a
far rinascere uno dei pi bei parchi italiani l dove
erano gallerie, villaggi minerari e ruderi di unindustria
Testo di Arturo Valle
Foto di Giovanni Breschi

c
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102

hi avr abbassato il contatore? chi avr spostato quel tasto sullo


zero fisso? chi avr interrotto, in quellottobre di quaranta anni fa,
per sempre, la corrente elettrica? dopo oltre duemila anni, era davvero arrivata la fine. la fine delle miniere. nessuno avrebbe pi cercato di
portar via a questa terra dellalta maremma, alle rocce di campiglia, il rame,
il piombo, largento, lo zinco. sar stato Sonnambulo ad abbassare queste tasto? oppure Muso Duro? non ce lo vedo Arancino a spegnere quella
miniera per la quale era vissuto, lui avr cercato di nascondere le lacrime
dietro le sue rughe. credo che anche Discorso Lungo abbia pianto quel
giorno. e dumas, il solo che non aveva bisogno di un soprannome visto
come lo aveva chiamato suo padre, avr avuto la tentazione di sussurrare
una delle sue poesie. Quella volta non lo fece. peccato. era lottobre del
1976, un autunno di malinconia per gli ultimi minatori della maremma.
forse quegli uomini lasciarono negli spogliatoi, assieme ai caschi, anche i
loro soprannomi. fino allultimo momento avevano provato a impedire la
chiusura della loro miniera. erano rimasti giorni e giorni chiusi nel buio delle
gallerie pur di convincere chi ne aveva potere a salvare il loro lavoro. sgobbarono senza paga pur di dimostrare che era possibile tenere in vita le miniere. niente da fare: questa una storia di globalizzazione. campiglia non
poteva competere con il rame cileno.
settecento anni prima di dumas e di Sonnambulo, erano state genti etrusche a calarsi nelle fenditure della terra per cercare minerali. erano uomini

talpa, capaci di scorgere le mutazioni del colore delle rocce per individuare filoni; abili e coraggiosi da scendere fino a centodiciassette metri sottoterra pur di strappare ferro e rame a
queste colline cos generose. luomo, qui, ha faticato, ha corso pericoli mortali, ha dato la vita
per i metalli. era mosso da avidit (cercava rame, ferro, argento, piombo) e da necessit. gli
etruschi, i minatori del medioevo, gli operai tedeschi del rinascimento mediceo: tutti vennero
a scavare in queste terre. e, infine i contadini di campiglia e san vincenzo abbandonarono i
campi e gli orti per diventare minatori. ci furono geologi francesi e finanzieri inglesi privi di
scrupoli, fra ottocento e novecento, a cercare di fare soldi in queste terre. nel 1976, atto finale: a milano vennero scritte sessantuno lettere di licenziamento dirette a Discorso Lungo,
ad Arancino e ai loro compagni. fu allora che qualcuno abbass quel tasto rosso.
ma questa non la storia di un abbandono. nel 1984, otto anni dopo la chiusura delle miniere,
un gruppo di giovani archeologi delluniversit di siena risal i sentieri di san silvestro. li guidava e li istruiva un medioevalista burbero e sapiente. si chiamava riccardo francovich. lui
sapeva di un antico villaggio minerario. organizz campagne di scavo, trov alleati e complici
appassionati. e, come in una parabola a lieto fine, nacque un futuro in un luogo abbandonato.
fu un cammino lungo e ostinato. nel 1996, le antiche miniere divennero un parco archeominerario. dumas, s, allora, declam le sue poesie e ci fu vino e festa. s, questa la storia di

una resurrezione. di una possibilit, di una rinascita. in altri anni di lavoro furono
recuperati pozzi e palazzine delle miniere novecentesche, i vecchi edifici industriali si trasformano e diventano sale di museo, ostelli, laboratori. meglio: sono
nuove architetture, geometrie, disegno, panorama, bellezza.
altri dieci anni. nel 2006, giovanni breschi, il grafico che oggi fa erodoto, si aggira per i vecchi impianti, per gli spogliatoi abbandonati, per le sale macchine coperte dalla polvere. e scorge il contatore. lo fotografa. affascinato dai segni
delluomo. dalla memoria. dai gesti che stanno dietro gli oggetti. tentato di indossare delle cuffie anti-rumore rimaste appese a un chiodo. le macchie di ruggine su una lamiera sono un piccolo capolavoro. lincastro confuso di ingranaggi
bloccati sono una scultura. i cartelli impongono ancora divieti oramai inutili. la

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106

vecchia minieria novecentesca diventata unopera darte, creazioni della fantasia robotica di
paul klee o di vasilij kandisnkj. c ancora una cassetta colma di grossi dadi dalla filettatura
spessa. come se riapparissero anche quei minatori (non ci sono uomini nelle sue foto, ma
la loro presenza si intuisce) a mettere in moto largano o un compressore.
strano il destino che avvolge quanto rimane dopo una dismissione industriale: quegli impianti (nastri trasportatori, macchine rumorose, cinghie, cavi, compressori) cambiano davvero. prima hanno potenza. sono lavoro. vita di decine e decine di uomini. possono far
nascere sensazioni di potere o di ostilit (chi definirebbe bella una fabbrica o una miniera du-

rante gli anni della fatica? le miniere in attivit fanno subito pensare allo scempio ambientale).
poi le miniere chiudono. e allora, come un rito, si lotta per cercare di farle sopravvivere, si
perde quella battaglia (era una battaglia persa) e gli impianti vengono abbandonati. e poi questa ferraglia intrisa dellanima dei minatori si trasforma, trova una nuova vita, un altro significato: gli archeologi industriali vi si aggirano incuriositi e beati, mentre gli artisti, come i fotografi,
ci trovano istanti di perfezione.
GIOVANNI BRESCHI, 63 anni, molti passati nei
Parchi della Val di Cornia fra grafica e fotografia,
ma soprattutto a guardare e vivere la trasformazione
di questi luoghi. Vive a Firenze.

ARTURO VALLE, 35 anni, pugliese di Gallipoli. Vive


a Bologna. Dove fa lavvocato. Ma va in giro per
lItalia ogni volta che possibile e anche quando non
possibile. Un giorno capit a Baratti, non si ferm
al mare. Sal fino a San Silvestro proprio nellultimo
dellanno. Pens che fosse una coincidenza.
Si smarr, da solo, nel vecchio villaggio minerario.

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la mostra permanente delle fotografie


di g. breschi nel
parco di san silvestro. in alto la rocca
di san silvestro.

LETTERA DA UNA MINIERA


LA VERSIONE DI SILVIA

Silvia Guideri era una delle giovani archeologhe che trentanni


fa ha riacceso quellinterruttore spento.
Cosa vedono i suoi occhi quando passeggia fra i segni

Torno a guardare queste immagini, immagini nelle quali si fondono astrattismo e memoria, sembra
impossibile, ma la magia di questi luoghi, luoghi abbandonati, luoghi tornati a vivere grazie a quei
giorni belli, luoghi che devi saper abbandonare come figli ormai cresciuti
Quei segni non sono fantasmi, sono compagni di viaggio, un viaggio bellissimo, che ha lasciato un
altro segno.
Silvia Guideri

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parco archeominerario di san silvestro. lidea del parco nacque nel 1984: il dipartimento di archeologia medievale delluniversit di siena avvi allora, con la collaborazione dellamministrazione comunale di campiglia marittima, una campagna di scavi nellarea della rocca
di san silvestro. nel 1989 fu varato un progetto pilota per il parco. che venne aperto sette anni
pi tardi. il parco, quasi 500 ettari, si trova nel territorio del comune di campiglia marittima (via
di san vincenzo). al suo interno si succedono itinerari naturalistici, esplorazioni in gallerie e visite archeologiche. apertura estiva: tutti i giorni dalle 9 alle 20. giugno e settembre: ore 9-19.
chiuso al luned. nei mesi invernali il parco aperto nei finesettimana e nei giorni festivi o su prenotazione per gruppi e scolaresche.
tel. 0565/838680. e-mail: parcoss@parchivaldicornia.it sito web: www.parchivaldicornia.it

on riesco a scrivere di abbandoni. difficile, perch doloroso. Le foto trasformano e reinterpretano una storia di abbandono, lamiere arrugginite diventano geometrie, bellissimi fiori,
folletti curiosi, segni nei quali ciascuno pu vedere ci che vuole, come quando guardi le nuvole. Questo paesaggio interamente fatto di segni, tracce di una discenderia su cui vedi passare carrelli carichi di minerale, castelli di ferro che tirano su argani, castelli di pietra che osservano severi
dallalto della loro antichit, crudeli gradoni che spezzano la montagna.
Non pi e non soltanto fiori fatti di sangue, folletti tenuti al guinzaglio, riflessi argentei di luce, ma
segni, segni del lavoro, segni di vita, segni di storia.
Per un archeologo i segni sono vita, lavoro, memoria e se questi segni diventano gran parte della loro
vita, del loro lavoro, della loro storia, se quei segni rivivono con gli studi, con gli scavi, con la memoria, ecco che diventa difficile parlarne a proposito di abbandoni e ancor pi difficile scriverne. Non
facile, per chi come me non abbastanza social, condividere lintimit di certi sentimenti, perch
quei segni sono anche sentimenti.
Ogni giorno attraverso quei segni che non sono pi soltanto segni e non sono pi storie di abbandoni.
Chi ha spento quellinterruttore una figura viva e vibrante, che ha un nome Dumas, che ancora oggi
ci racconta con pazienza e passione la sua storia. Ma la sua storia si intreccia con quella di un ragazzo che ripete le sue parole nel buio di una galleria, si fonde con la storia di tanti ragazzi che
hanno riacceso insieme quell'interruttore, con curiosit, con allegria, con tenacia. E con quella di tanti
visitatori, trentamila ogni anno, che vengono attratti da quei segni e da quella storia.
Andrea, il mio amico scrittore di viaggi, in uno dei suoi messaggi vibranti e pieni di memorie mi ha
chiesto se il passato serve a qualcosa, Giovanni, il fotografo, cercando con delicatezza di convincermi
mi ha scritto: Erano giorni belli dove nascevano molte cose, dai che ce la fai.
Certo che il passato serve a qualcosa, senza passato non c futuro. Erano giorni belli, dove labbandono tornava alla vita.

112

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SHADOWS DANCING EVERYWHERE BURNING


ON THE ANGRY CHAIRS

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I LUOGHI ORFANI DI FABIO SEBASTIANO

Extreme survival,
dice la guida.
Forse venire qui
stato un errore.
O forse no

BENVENUTI A CHERNOBYL

TESTO DI FABIO BERTINO


FOTOGRAFIE DI ROBERTA MELCHIORRE

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dal 2010, si pu
visitare il luogo della pi
spaventosa catastrofe
nucleare mai avvenuta.
i turisti vogliono
divertirsi, si fotografano
davanti al contatore
geiger.
ma poi ci sono le
giostre abbandonate,
le camere degli
alberghi, centomila
persone scomparse.
Questo il mondo
dopo luomo.

elcome to extreme survival!.


Quando stephan, appena salito sul bus, esordisce con que-115
sta frase, mi convinco che venire a
chernobyl stato un errore.
alle 8 del mattino, allappuntamento di
fronte al kozatskiy hotel in maidan nezalezhnosti, la piazza principale di kiev, eravamo in ventuno. nessun ucraino, tutti
turisti stranieri. un ragazzo californiano, un
canadese, una famiglia francese, alcuni tedeschi e un folto gruppo di norvegesi.

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addestrato a far provare ai visitatori il brivido


dellextreme survival. prima tappa al piccolo
monumento in mattoni con la scritta chernobyl, in caratteri cirillici blu. stephan armeggia con un piccolo contatore geiger giallo,
dalle dimensioni di un telefono cellulare. lo
appoggia per strada. e subito si forma una
calca di persone che cercano di farsi largo
per leggere e fotografare il valore di radioattivit. il contatore indica 0,34 msv. dove msv
sta per millisievert, lunit di misura delle radiazioni assorbite dallorganismo. una radiografia ospedaliera espone ad una dose di
0,02 msv.
foto ricordo a fianco della scritta chernobyl.
non ridere, fai lespressione triste, suggerisce stephan.
ci fermiamo alle case del paese. oggi vi risiedono i tecnici di novarka, la societ francese incaricata di tenere sotto controllo il sito.

siamo a diciotto chilometri dai reattori, ma il


livello di radiazioni impone turni di lavoro non
pi lunghi di qualche settimana. Qui vivono
seicento persone. tutto pulito, in ordine
perfetto. le strade sono deserte. non un
passante, n unauto. nessuna insegna o
negozio. in un piccolo parco, file parallele di

targhe bianche ricordano i nomi delle vittime:


andriusca, leonid, Yevgenij, vera, anatoly.
c una certa delusione fra i nostri compagni
di viaggio. mancano i segni tangibili della catastrofe. la tappa successiva lasilo numero 6 di pripyat. furono gli abitanti di
questo villaggio le prime vittime della tragedia, a soli tre chilometri dalla centrale. la
sua vita stata brevissima: pripyat fu fondato
nel 1970, ha vissuto solo sedici anni. vi abitavano cinquantamila persone. furono tutti
evacuati. cominciarono a morire qualche
mese dopo lesplosione. non sappiamo
quante sono state le vittime, n quante saranno: le nazioni unite sostengono che in ottanta anni potranno morire qualche migliaio
di persone. moriranno a milioni, sostengono

117
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Foto ricordo a fianco


della scritta Chernobyl.
Non ridere, fai lespressione
triste, suggerisce Stephan.

ci avevano consegnato un foglio distruzioni


e un braccialetto di plastica con il simbolo
giallo a trifoglio della radioattivit. regole drastiche da seguire: vietato toccare oggetti,
piante, evitare di sedersi e di appoggiare a
terra borse, assolutamente proibito portare
via qualsiasi cosa, uscire dai percorsi segnati,
mangiare o fumare allaria aperta. eppure
latmosfera a bordo del pullman era quella di
unallegra scampagnata.
i norvegesi si fotografavano fra loro indicando il
braccialetto che portavano al polso con
unespressione grottesca
di terrore. dal 2010,
lucraina ha autorizzato
gite turistiche a chernobyl.
sul pullman, durante il
viaggio, fino al check
point di ingresso nella
zona di esclusione, viene
trasmesso un video sulla
tragedia del 1986. sono
filmati depoca. le autorit sovietiche mentirono
alla popolazione, la
pravda releg la notizia in
un trafiletto da terza pagina. il commentatore
chiaro: il regime era abituato, per natura, a
dire il falso. io penso a quanto accaduto,
trentanni dopo, a fukushima, in giappone: i
dirigenti della tokyo electric power company
negarono levidenza fino allultimo.
chernobyl lontana cento e venti chilometri
da kiev. la campagna ucraina idilliaca. boschi, piccoli villaggi con le case di legno, covoni di fieno, campi di girasoli e di granturco.
il vento della morte appare invisibile.
al check point c stephan, la nostra guida.
un esuberante ragazzo sui ventanni, ben

ERODOTO108 13

118

altre organizzazioni.
allasilo numero 6 tutto si fermato quel
giorno. i disegni dei bambini sono ancora appesi alle pareti, i giocattoli sparsi sul pavimento. una bambola nuda, senza braccia,
abbandonata su un sentiero. fu una delle immagini pi note della catastrofe. ancora
qui. chernobyl ci appare come un set cinematografico.
il contatore geiger ora misura 4,63 msv. un
anziano norvegese indica dei fiori di campo e
chiede a stephan se di notte diventano fosforescenti.
adesso solo il canale delle acque di raffreddamento ci separa dai giganteschi camini
grigi dei primi tre reattori. incredibile, ma il
reattore numero 3 stato spento solo nel
2000. di fronte a noi, racchiuso allinterno di
quello che appare come uno stabilimento industriale dismesso, si trova ci che resta del
reattore numero 4. il cuore dellapocalisse.
alle una e ventitr della notte del 26 aprile
1986, unesplosione gigantesca sventr il
tetto delledificio. violenti incendi divamparono per nove giorni consecutivi. si cerc di
spengerlo con migliaia di tonnellate di
piombo e sabbia. lemissione di vapori radioattivi continu fino al 10 maggio. ai primi
di maggio cominciarono a morire i vigili del
fuoco. furono evacuati tutti gli abitanti nel
raggio di trenta chilometri. 116.000 persone.
nei due anni successivi, attorno al nucleo
fuso e alle macerie radioattive, venne costruito il sarcofago. un precario agglomerato

fago ancora in costruzione. una grande


struttura a cupola alta oltre novanta metri
che, una volta ultimata, dovrebbe essere
fatta scorrere su binari direttamente sopra al
sarcofago attuale. non si pu fotografare, ma
molti del gruppo girano addirittura dei video.
delusione: la radioattivit solo 2,30 msv.
eccoci, nel centro di pripyat. siamo in un film
di fantascienza. il corso del paese invaso
dalla vegetazione, ma si riconoscono i controviali, ci sono i lampioni arrugginiti e qualche segnale stradale sbiadito. viale di

condomini. c una cabina telefonica. siamo


in plochad lenina, piazza lenin. come se
gli abitanti fossero scomparsi un momento
prima. il gruppo si sparpaglia. pi di tutto ci
colpisce il silenzio assoluto. sul tetto di un
grande edificio di cemento campeggia la
scritta goteli polissya, hotel polissya. la
grande a di metallo arrugginito precipitata
al suolo. il polissya era il principale albergo di
pripyat. in cima a un palazzo svettano falce e
martello, un altro ospitava
un ristorante. allinterno del
supermarket, sugli scaffali,
fra i carrelli della spesa abbandonati, si leggono ancora le insegne blu con i
nomi dei prodotti: detersivi,
liquori, abbigliamento.
entriamo nel centro culturale energetik. sul pavimento del primo piano, tra
rifiuti e detriti, abbandonata una consolle di metallo
con inciso il nome edison
2. era la discoteca della
citt. nel cinema sono rimasti resti delle poltroncine di
legno. in un angolo due file
di fotografie appese al muro
ritraggono un gruppo di ragazze sorridenti. pi avanti
la palestra incredibilmente
intatta, con pertiche, spalliere e porte da calcio. a
terra una rete da pallavolo
arrotolata sembra in attesa
della prossima partita. in un piazzale ci sono
le giostre. le macchine dellautoscontro
sono abbandonate sulla pista, i seggiolini
della grande ruota panoramica aspettano invano nuovi viaggiatori
Questo il mondo dopo luomo. i turisti
hanno perso la voglia di scherzare.

Il contatore geiger ora


misura 4,63 mSv.
Un anziano norvegese indica
dei fiori di campo e chiede
a Stephan se di notte
diventano fosforescenti.

ERO-

di tubi, lastre dacciaio, cemento e resti del


reattore. avrebbe dovuto imprigionare i detriti della centrale mettendo in sicurezza il sito
fino al 2016. da tempo hanno cominciato ad
aprirsi ampie falle. le infiltrazioni dacqua
sono sempre pi consistenti e le fondamenta, realizzate con file di camion sepolti,
stanno via via sprofondando. a poche decine
di metri di distanza, vediamo il nuovo sarco-

119

Roberta Melchiorre vive ad Alessandria,


ama girare il mondo e fotografarlo.
Fabio Bertino si divide tra Alessandria e il
Monferrato, viaggia appena pu e scrive di
luoghi e di persone.
Insieme Roberta e Fabio hanno pubblicato
l'ebook "World zapping", racconti ed incontri tra Africa, Asia, Europa ed Australia."

I LUOGHI ORFANI DI FABIO SEBASTIANO

LA CAMERA CON LA POLTRONA ROSSA


E LA PITTURA NASCOSTA

120

ERODOTO108 13

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121

FINE DEL VIAGGIO

GLI OCCHI

dove incontrare un funambolo?


accanto al pi grande
DI ERODOTO platano di torino

LA LIBERT
DEGLI ALBERI

accontano che sia lalbero pi antico di Torino: un


gigantesco platano di sei
metri e mezzo di circonferenza,
piantato nel 700 nel parco della villa La Tesoriera.
Non poteva esserci luogo migliore per immaginare linee tracciate in aria ed equilibri certamente possibili. Anche la vanit
del rischio, qui, non sembra poi
cos vana. Nel camminare in
alto c qualcosa, la sospensione (sospensione di chi guarda
dalla terraferma) che avvicina
quella passeggiata pi a un gesto stanziale che a un movimento. Pi a un platano che a un paracadutista, a un volo in parapendio o a un giocatore dazzardo. La libert dellessere immobili e del non avere tutte le
scelte.

Perdonatemi: avrei dovuto dirvi


subito che questa unintervista
ad Andrea Loreni. Che di mestiere fa il funambolo. Ha quaranta anni ed il solo italiano
che cammina a grandi altezze
mettendo un passo dopo laltro
su un cavo dacciaio. Ha compiuto passeggiate aeree sopra il
Po (a dieci metri dalle acque del

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Intervista di
Valentina Cabiale

incontro con andrea loreni, luomo


che cammina nellaria. lass un uomo libero, ha scelto e non ha unaltra
possibilit. lass sei lontano.
dalla vita terrena. ma poi devi tornare
a terra ed il momento pi difficile.
non ho mai raggiunto lequilibrio perfetto.

fiume, per cento venti metri),


ha camminato sopra piazza della Signoria a Firenze e nel grande salone della Mole Antonelliana a Torino ed andato, a novanta metri di altezza, per duecentocinquanta metri (record
nazionale) dalla rocca di Penna
e alla guglia Billi, nellAppennino romagnolo.
Il tuo gesto, camminare su un
filo sospeso, ripetuto sempre
uguale. Cambiano il luogo e il
percorso, ma il gesto sempre
quello. Qual la forza simbolica di quello che fai?
sempre una camminata, s, un
gesto essenziale, ma dato che
funziona, qualcosa deve significare. Penso che il primo simbolo sia proprio la camminata: partire, muoversi, lasciare indietro
delle cose, ritrovarle al ritorno, e
anche il rischio che uno si prende mettendosi in cammino. L sul
cavo pi esplicito, ma tutti
stiamo camminando, possiamo
fingere di non prendere rischi o
di stare fermi ma in verit ci muoviamo. Lessenza proprio il
movimento che poi la vita, il
cambiamento, il muoversi. Un altro aspetto simbolico pu essere

il volo, lo staccarsi da terra,


luomo-uccello.
In una tua intervista hai parlato della libert degli alberi.
Mi spieghi questa libert: quella degli alberi di essere ancorati
al suolo, e quella del funambolo
che non ha scelte, deve solo andare avanti?
una libert da, non libert
di fare questa o quella cosa. Sul
cavo c ununica cosa da fare,
mettere un piede davanti allaltro.
Sei libero da tutte le costruzioni
mentali, libero dal fare la spesa,
dai pensieri che ti contestualizzano in questo presente che io
mal sopporto, dalla scelta di
prendere questa o quella strada:
sul cavo hai fatto una scelta allinizio e non ne hai di ulteriori,
non c un piano B. Tutta la parte razionale che ci spinge a fare
sempre pi cose per me non un
simbolo di libert: un peso. La
camminata perfetta quella dove
sono sempre fermo perch ho trovato lequilibrio, ma nello stesso tempo mi muovo. un po
quel che accade allalbero che
libero di crescere come vuole; il
fatto che sia radicato non gli
impedisce di sviluppare la sua

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124

La camminata perfetta, dicevi,


quella dove sei fermo. Tu
puoi rimanere immobile sul
cavo per qualche istante o si
perde subito lequilibrio?
Sei completamente immobile
solo se hai raggiunto lequilibrio,
ma quello dellimmobilit perfetta un ideale. Per qualche attimo, sul cavo o altrove, puoi sentire quella perfezione, ma dura
poco e devi saperla cogliere e godertela. Sul cavo posso rimanere fermo in un punto, ma continuo a cercare lequilibrio muoQuesta una delle cose che vo- vendo il bilanciere e le caviglie.
levo chiederti: com, dopo Non ho mai raggiunto lequiliogni camminata, il ritorno sul- brio, altrimenti mi fermerei, sarei in ogni luogo.
la terraferma?
abbastanza difficile. Alla fine
di ogni esibizione esplode un gro- Anche secondo te la creativiviglio di emozioni; il problema t illegale ?* E, se s, cosa sitornare il luned a fare la spesa. gnifica?
Dopo che sei stato lass e sei sta- La creativit illegale destruttura
to cos libero non hai tanta voglia e pu far paura alle strutture sodi prenderti di nuovo a carico la ciali. La cosa spaventosa per il siparte relativa del tuo essere. Tor- stema che la creativit ti fa venare a casa, subire il ritorno del- dere che c altro. Questo poi
le identit tanto pi difficile anche un altro simbolo del cavo:
quanto pi impegnativa, bella e puoi vedere una strada dove neanche immaginavi potesse eslunga stata la traversata.
serci. Io per primo mi sorprendo:
sono stato l dove, prima che iniziassi
a guardare le citt in un cerandrea loreni , laureato in filoto modo, neanche immaginavo
sofia e di professione funambolo,
dopo varie esperienze come artista
che potesse esserci una strada, un
di strada ha esordito sul filo alto nel
cavo, una via dove camminare.
2006, attraversando il po (altezza
10 m, lunghezza 120 m). tra le sue
imprese, la traversata fra due colline a pennabilli in emilia romagna
(altezza 90 m), le camminate sospeso in piazza della signoria a
firenze e nel tempio allinterno
della mole antonelliana a torino.
lunico funambolo italiano ad
affrontare traversate su cavo
a grandi altezze.
per info: www.ilfunambolo.com
https://camminarenelcielo.wordpress.com/

Cosa intendi con guardare le


citt in un certo modo?
Un giorno, a Torino, ho scoperto delle parti nuove in alcuni edifici che avevo visto e rivisto
molte volte. Scoprii balconi, terrazzi, linee di tetti e mi resi conto che finora non avevo mai
guardato le citt dal basso verso
lalto, lass rimaneva uno spazio

di esplorazione nuovo. Capii che


avevo alzato lo sguardo per vedere possibili linee da percorrere col cavo.
Cosa ti fa paura?
Sprecare il tempo. Non fare le
cose che potrei fare, perdere le
opportunit, che poi una fregatura perch ne perdo un sacco
avendo paura di perderle... E
poi mi fa paura - durante la traversata ho sempre paura - abbandonare la parte relativa di me,
quella a cui dovr tornare quado
sar a terra.
Non hai mai immaginato che il
cavo si ribelli? Che abbia dei
comportamenti che non saprai
prevedere?
No, mai avuto incubi su ribellioni
del cavo. Per me il cavo vivo e
quando teso sotto i piedi riflette
il mio stato. nervoso se sono
nervoso e quando respiro e riesco
a calmarmi si acquieta anche
lui.
Lass ti senti solo? O non hai
tempo e possibilit di percepire la solitudine?
La solitudine uno di quei sentimenti molto forti che ci sono
quasi sempre; era il sentimento
dominante insieme alla paura, allinizio. Quando il cestello che mi
ha portato su, si allontana con il
mio tecnico, mi sento solo. Ma,
come artista, io devo aprirmi al
pubblico. E la gente mi trasmette energia. Energia che il silenzio. Il silenzio mi sostiene.
C una parte del tuo corpo che
fai fatica a controllare?
No, abbastanza fisiologico che
il corpo reagisca bene. Mi sono

allenato per saper fare certi gesti


tecnici: avvengono senza che
debba comandare il corpo con il
pensiero. Il pensiero non funzionerebbe, occorre listinto e
lesperienza. Il corpo ti mette in
salvo pi che la testa. Le ginocchia sono il mio punto di riferimento.
C un luogo in particolare
che vorresti attraversare sospeso?
Da tre anni vado in Giappone.
Lultima volta per meditare. Ho
visto un ponte, il pi lungo ponte sospeso del mondo**. Mi piacerebbe camminare l. Ma ho
nuovi progetti italiani e in California e in Olanda.
E il cavo che suona?

un progetto artistico, uno spet- luci, per cui vedo due metri di
tacolo teatrale e musicale. Si cavo davanti a me e basta.
* il famoso slogan del funambochiama TRK#1 del gruppo no- lo
Philippe Petit, la cui impresa
gravity4monks. Ci sono io e pi celebre e illegale fu, nel
quattro musicisti. Un violoncel- 1974, la camminata su un cavo
lo, una viola e due chitarre. Io metallico teso tra le Torri Gemelle
del World Trade Center.
suono il cavo. Che amplificato. ** il ponte di Akashi-Kaiky
Uso i piedi. ***
***La fune dacciaio ha un diameNon fa differenza camminare
sopra lacqua o sopra la terraferma?
pi o meno uguale. La prima
volta che dovevo camminare sospeso sullacqua mi sono chiesto
come sarebbe stato, visto che
lacqua si muove. Ho imparato,
per, a prendere riferimenti per
lequilibrio solo interni; dellesterno, lunica cosa che sempre uguale il cavo. Lacqua che
scorre, posso evitare di guardarla. Quando lavoro di notte, ho le

tro di sedici millimetri lunga sessanta metri. la corda pi lunga


mai suonata al mondo
125

VALENTINA CABIALE, archeologa, 32


anni. Laureata in Lettere a Torino,
specializzata in archeologia medievale a
Firenze. Ama viaggiare ma soprattutto
leggere, non le biografie
(proprie e altrui).

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ghianda e crescere. Anche il


vento e la pioggia fanno parte
dellalbero e del suo sviluppo.
la teoria della ghianda di Hillmann: lanima sceglie dove incorporarsi per poter avere un
percorso lungo il quale sviluppare
la sua ghianda. Per arrivare a questo bisogna togliersi di dosso tutte le sovrastrutture che ci spingono a far altro. Quando non
sono sul cavo sono fisicamente
molto colpito dalla realt, mi
sento molto a disagio.

126
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QUADERNI

A QUADRETTI

testo di andrea rauch

guido scarabottolo

la scarabattola
di scarabottolo

carabottolo con il minimo sforzo, cambiando cio solo due vocali, diventa
scarabattola che sarebbe, secondo la definizione del dizionario una vetrinetta che contiene argenteria o oggetti pi o meno preziosi, oppure, altra
definizione che va ad aggiungersi alla prima, edicola a vetri che espone immagini e oggetti sacri.

ignoro letimologia della parola, ma so che esiste anche la versione maschile, scarabattolo, con lo stesso significato. Qui il cambiamento si riduce della met, una
sola vocale. lecito, anzi doveroso, ipotizzare che la stessa etimologia porti al nostro scarabottolo.
dunque guido potrebbe a giusto titolo essere definito una vetrinetta che contiene
oggetti pi o meno preziosi. e la definizione, anche se azzardata, avrebbe certo
una sua pertinenza, se pensiamo che nelle pi tradizionali scarabattole (ad esempio quelle del presepio napoletano) gli oggetti vanno a comporre un unicum compositivo complesso, variegato, caotico, ma pur sempre avvertibile e riconoscibile.
cosa che fa anche guido, ricomponendo un quadro dinsieme che , daltra parte,
la somma di ogni singola tessera di mosaico.
le copertine che guido scarabottolo disegna sono quindi singoli elementi narrativi che vivono una vita propria e autonoma in sintonia con il libro che ricoprono, ma
sono anche brandelli del discorso complessivo che lartista svolge con il disegno:
ed questultimo un discorso autoreferenziale, che riguarda solo lartista, e ha con
i libri copertinati contatti precisi, ma che potremmo definire, anche, casuali e ininfluenti.

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si potrebbe quindi parlare, come abbiamo fatto altre volte, dellelegante understatement di guido, di quel suo mai prendersi troppo sul serio, si potrebbe raccontare
della sua ironia, del suo tono di voce sempre in punta di piedi, della sua riservatezza, della sua gentilezza e disponibilit. si potrebbe parlare ancora una volta del
maestro silenzioso, di quel suo entrare in rapporto quasi panico con gli oggetti (la
sedia che si siede su una sedia, i deserti ingombrati da oggetti di design), oppure
della sua tecnica di disegno, della sua ricognizione nel mondo della riproduzione
tecnica, ma questo non ci aiuterebbe ad andare a parare dove volevamo.
di pi ci aiuta una frase dello stesso guido, incastonata nella prefazione del suo
sotto le copertine:
provate a immaginare un pittore che durante la sua vita fa un solo grande disegno,
composto da tutti i disegni che ha, quotidianamente, fatto. sempre lo stesso disegno.

tutti i pezzettini che guido ogni giorno ci mostra con il suo lavoro fanno
parte di quel grande, unico, disegno totale, che ritrae la cifra stilistica, la
personalit, lanima dellartista.
sono tutti oggetti che si offrono alla nostra vista uno per uno, copertina
per copertina, disegno per disegno, ma tutti vengono accostati luno allaltro e raccolti, visione dinsieme, in unideale vetrinetta che contiene
argenteria o oggetti pi o meno preziosi. in una scarabattola, come volevasi dimostrare.

guido scarabottolo
per gli amici bau. nasce a
sesto san giovanni nel 1947
e si laurea in architettura al
politecnico di milano.
dal 1973 fa parte dello studio
arcoquattro. collabora con i
principali editori italiani.
per 12 anni stato art director di guanda. progetta libri
per topipittori e vanvere.

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ecco, provate a immaginarlo e avrete forse il ritratto del guido scarabottolo che tutti amiano. sempre lo stesso disegno. sempre per differente. sempre in grado di tessere un discorso a tutto tondo sulla sua arte
ma anche di rappresentare, con propriet, il tema del momento, loggetto della commissione.

la libreria
francavillese
nella puglia
pi oscura

STORIE

DI LIBRI

I LIBRI L
DOVE NON SI LEGGE

ta da Antonio in questi due anni


a Francavilla sia stata proprio
questa: in provincia non funziona niente e tutto funziona a modo
suo; questo il bello, la parte pi
divertente, la sfida pi esaltante.
La strada da fare ancora lunga, Ha qualcosa di epico, se ci penle contraddizioni di un intero set- sate bene.
tore non le risolver certo questa

mente guarda ai consumatori il


che sarebbe legittimo e a ci
che suppone che questi possano
consumare. Il vantaggio della
provincia e della periferia questo: con le persone puoi parlarci
e capire cosa cercano. Il che
non significa abbassare la qualit della proposta. Significa in-

no. E cos via, di esempi potrei


farne a bizzeffe. In un modo o
nellaltro, comunque, la saletta
della Libreria Francavillese
sempre piena. Di libri e persone.

tendersi, accordarsi, come degli


strumenti musicali.
Ecco allora che pian piano anche
i pi insospettabili si trasformano in lettori famelici. Ragazzi che
cominciano a interessarsi di biografie sportive pubblicate da quel
piccolo editore che diversamente non avrebbero mai potuto incontrare; Adelphi-dipendenti che
trovano un luogo in cui sfogare
i loro appetiti; lettori abbastanza
classici che scoprono le graphic
novel e ne comprano una al gior-

libreria. Antonio Di Summa, tornando qui da Torino (dove, ripete spesso, avrebbe potuto fare il
grafico squattrinato rinchiuso in
una polverosa e malinconica
chambre de bonne), sognava di
aprire un grande spazio aperto
alla serendipit e allincontro
casuale tra libri e lettori. Questo
ancora non avviene, da un lato
perch la libreria troppo piccola,
e da un altro perch qui funziona in modo diverso. Credo per
che la scoperta pi importante fat-

lostinazione della famiglia di summa: da quarantanni cerca di


convincere le persone a diventare lettori. e, oggi, la saletta della
libreria sempre piena. un libraio, tornato a casa da torino, che
sa parlare con la gente. e sogna un luogo dove libri possano
incontrare casualmente chi scopre di volere leggere.
testo e foto di marco montanaro

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132

Una libreria indipendente nella


zona forse pi oscura della Puglia, quella provincia di Brindisi, al confine col tarantino, da cui
per citare uno scrittore americano a proposito degli stati pi interni dAmerica si passa solo in
volo: verso Bari o il Salento, verso la Grecia. Nella regione italiana, questo pure va detto, in cui
si legge di meno o quasi.
Ho lavorato per la Francavillese
per cinque mesi, da febbraio a
giugno 2015. Mi ci ero gi avvicinato in passato per presentare un libro che avevo scritto. La

conosco da vicino, quindi, il che


non vuol dire che questo mio racconto non sia obiettivo. Ho ben
presenti le contraddizioni del
settore editoriale, dato per morto un giorno s e laltro pure. E ho
in mente tutte le costruzioni retoriche che ci girano attorno.
Ma andiamo con ordine.
Della Libreria Francavillese si
parlato su Internazionale e sul
Fatto Quotidiano, in due articoli scritti rispettivamente dal premio Strega Nicola Lagioia (che
ci era stato per presentare proprio
La ferocia) e da Nando Dalla
Chiesa. Una rassegna stampa
importante, dovuta al fatto che la
libreria molto attiva ed ormai
un punto di riferimento per una
citt di quarantamila abitanti.
Dalla sua saletta passano le attivit di diverse associazioni. Ci
passano fotografi e grafici per lavorarci. I lettori della libreria si
sono organizzati in un gruppo di
lettura che sincontra una volta a
settimana. Sempre una volta a

settimana ci sono i laboratori per


i bambini. C un blog collegato, che si chiama La chianca,
su cui trovano spazio contributi
di autori da tutta Italia, oltre che
estratti di testi pubblicati dai migliori editori indipendenti contemporanei. Insomma, lo sforzo
quello di essere il centro, il punto di riferimento della cultura cittadina di un posto da cui in ogni
caso si va via, si emigra, e di portare il centro delleditoria indipendente italiana che e resta
comunque altrove qui.
Ma veniamo alle costruzioni retoriche. Indipendente, di per s,
non garantisce nulla. E anche la
parola lettori si sgretola di
fronte alle magre statistiche dei
dati di lettura in Puglia. Quello
che credo si sia realizzato in
questa piccola libreria che contano le persone. Una banalit, in
fin dei conti: ma quello che certo, in fondo, che spesso leditoria, grande o piccola (davvero
non fa differenza), semplice-

MARCO MONTANARO, 33 anni,


vive a Francavilla Fontana in provincia di Brindisi. Ha pubblicato la
raccolta di racconti Sono un ragazzo fortunato (Lupo) e i romanzi La Passione (Untitl.
Ed) e Il corpo estraneo (Caratteri
Mobili). Suoi testi sono apparsi
su minima&moralia, inutile, Scrittori Precari e altre riviste.
Il suo blog
www.malesangue.com

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reare una comunit di lettori, c scritto questo nel


piccolo manifesto della
Libreria Francavillese. Aperta
nel 1978 a Francavilla Fontana,
in provincia di Brindisi, da un
paio danni a gestirla c Antonio
Di Summa, figlio di Mino e Marilena che lhanno fondata, che ha
deciso di rilanciare ampliando il
settore di varia e libri illustrati.

UNA FOTO

UNA STORIA

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Veronica ha atteso
invano il ritorno del
marito. Alla fine ha
raccolto tutto il suo
coraggio ed venuta alla
nostra caserma.
Per denunciarne la
scomparsa. Andammo
alla loro casa: tutto
aveva il sapore della
povert. Le mura umide
e scrostate. E, allo
stesso tempo, vi era una
cura disperata. Il letto
ben rifatto, tessuti alle
pareti a coprire le grinze
dellintonaco. E poi il
dolore di Veronica. La
sua stanchezza. I suoi
occhi affranti. Appariva
invecchiata di colpo. Ha
tirato fuori con lentezza i
pantaloni di Ludovicu, i
maglioni, la biancheria.
Veronica una donna
rumena. Non riesco a
sentirla straniera. Il suo
dolore, le sue occhiaie,
le sue rughe sono le
stesse delle nostre
donne.

LUDOVICU
SCOMPARSO
di Mariano Silletti

un uomo uscito di casa e non pi tornato.


accadeva due anni fa, a montescaglioso, paese della lucania.
un uomo ammalato. la moglie ha bussato alla porta dei
carabinieriquesta storia poteva essere dimenticata.
cos non stato: un carabiniere ha raccontato, con le sue foto,
il dolore di veronica. e spera ancora che quelluomo possa
ricomparire.

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136

montescaglioso, fotografo
per passione profonda,
non volevo che questa
storia fosse dimenticata.
ludovicu, da subito, non
stata solo unindagine e
una ricerca. qualcosa
che ha toccato la mia
anima. e ho provato a raccontarla. un tentativo difficile: ero protagonista,
volevo ritrovare quelluomo, era il mio mestiere
e il mio dovere e, allo
stesso tempo, sono stato
losservatore coinvolto in
una storia che avveniva
nella mia terra. una storia
che, alla fine, entrata a
far parte di me.

in inverno, dalle mie parti,


la notte arriva con troppa
velocit. in quei giorni il
buio
mi sembrava ancora
non so come sia successo. ma io, carabiniere a pi veloce. pi denso, pi

dobbiamo, vogliamo dare


una speranza a veronica.

ma sappiamo anche come


sia fragile la possibilit di
ritrovare ludovicu. combattiamo i cattivi presentimenti della famiglia,
nascondiamo i nostri timori. faremo tutto il possibile. vogliamo ritrovare
quelluomo smarrito.
mi accorgo che la donna,
in realt, non straniera.
non riesco a vederla come
tale. il suo dolore, le sue
occhiaie, le sue rughe
sono le stesse delle nostre
donne. la sua casa del
nostro paese. cerchiamo
nei boschi, nei dirupi, nelle
campagne, entriamo in casolari abbandonati (e vi
troviamo altre storie, intrecci dei cammini di uomini e donne): siamo noi a
scoprire un paesaggio di
malinconia in questo inverno. siamo ostinati, ogni
traccia ci preziosa.
guardo il tufo dei casolari,
le argille delle nostre colline: le ombre arrivano
troppo in fretta ogni
giorno. cerchiamo anche
di notte. cerchiamo anche
quando siamo stanchi e
sfiduciati. scatto le foto.
cerco la luce e trovo le
ombre. non ce lo diciamo,
ma cerchiamo una certezza. Quale essa sia. veronica non pu vivere

senza sapere. nemmeno


noi ci riusciamo. vogliamo
violare un ignoto. sconfiggere lignoto.

sono stati semplicemente


giorni di lavoro. abbiamo
sfiorato un mistero, e ce
ne siamo resi conto. abbiamo visto paura e dolore. ora abbiamo
addosso il timore che tutto
possa essere dimenticato.
la vita di un uomo che
svanisce senza lasciare alcuna traccia dietro di s.
mi dico che non pu accadere. mi sono sentito circondato da ombre e
volevo che si dissolvessero. indagavo e cercavo
una luce. era inverno e volevo che spuntasse la primavera assieme a
ludovicu. volevo che ci
fosse un conforto anche
nel pieno di questi mesi di
oscurit.

le mie foto provano a raccontare la nostra ansia, la


voglia di rivedere ludovicu. come vorrei potergli
fare un ritratto. come vorrei narrare di un uomo che
prima, in paese, mai avevamo notato. vorremmo
placare langoscia di veronica. e, mentre lo cercavamo, ci siamo imbattuti in
mille mondi diversi. altri
migranti, i pastori, i contadini, i nostri paesani. ho
guardato a tutti loro con
altri occhi. mi sono reso
conto che le mie apprensioni, il mio desiderio che
questa storia avesse una
sua fine sono i sentimenti a oggi ludovicu non riche hanno attraversato
comparso.
anche la mente dei miei
colleghi. i cani cercano, gli
MARIANO SILLETTI, 43 anni,
uomini setacciano i campi,
lucano di Pisticci. Vive a Matera.
Giovanissimo si arruola nelavanzano ancora di un
l'Arma dei Carabinieri. Nel 1997
metro nel bosco. sperano.
studia fotografia a Bari. I suoi
scatti raccontano il mondo oscompiono uno sforzo in
servato da chi, per mestiere,
pi, non lasciano niente di
vive quotidianamente le storie di
uomini e donne comuni, la vita
intentato.
ho voluto raccontare questa ricerca, i miei obiettivi
hanno sfuocato, per dire
meglio quanto ci stava accadendo. i giorni alla ricerca di ludovicu non

e, spesso, le difficolt. La storia


di Luduvicu diventata un libro.
Il reportage stato premiato, lo
scorso autunno, al Festival di
Fotografia Etica di Lodi.

137
ERODOTO108 13

udovicu scomparso.
da sette anni abitava
a montescaglioso, un
paese delle colline attorno
a matera. era arrivato, con
la sua famiglia, dalla romania. in un giorno di dicembre di due anni fa,
inverno lucano, settimane
di freddo e di pioggia, ludovicu uscito di casa e
non pi tornato. allora
aveva 57 anni e da tempo
soffriva di alzheimer. da
quel giorno, nessuno lo ha
pi visto, nessuno sa dove
possa essere andato. un
uomo pu scomparire.
veronica, sua moglie, lo ha
atteso per ore. alla fine ha
raccolto tutto il suo coraggio ed venuta alla nostra
caserma.

spesso. lavoravamo con i


colleghi dellunit cinofila.
avevamo bisogno dei vestiti di ludovicu. entrammo nella sua casa. al
centro del paese. tutto
aveva il sapore della povert. le mura umide e
scrostate. e, allo stesso
tempo, vi era una cura disperata. il letto ben rifatto,
tessuti alle pareti a coprire
le grinze dellintonaco. e
poi il dolore di veronica. la
sua stanchezza. i suoi
occhi affranti. appariva invecchiata di colpo. ha tirato fuori con lentezza i
pantaloni di ludovicu, i
maglioni, la biancheria.
veronica ha dovuto spiegare al nipote. un abbraccio. il pianto improvviso. i
carabinieri sanno di violare
lintimit pi nascosta di
una famiglia. entrano in
quelle stanze che veronica
non avrebbe mai voluto
mostrare a estranei. dobbiamo saper vincere diffidenze e vergogne. sono
una famiglia di migranti rumeni, da tempo nel paese.
diversi. noi siamo di questa terra, loro di una regione lontana. sono lo
specchio invisibile del nostro destino antico.

DI MUSEI
STORIE

tino romano al meltemi, fino


alle brezze pi esotiche e lontane dellAfrica e dellAsia.
Larchivio ne ospita gi 120
(compreso uno della Val di
Susa donato dal meteorologo
Luca Mercalli) frutto dellattivit di tanti ambasciatori eolici sparsi per lEuropa,
contenuti nei ricettacoli pi disparati, dalle bottiglie di plastica al vetro soffiato alle
lattine.
A Trieste si crede ciecamente a

Bora-torio, come scrive sul sito


dellassociazione Museo della
Bora (www.museoBora.org) il
presidente Rino Lombardi,
triestino di origini lucane, pubblicitario a Milano rimpatriato
per nostalgia e appassionata
guida per adulti e ragazzi alla
scoperta dei mille contenuti
dellesposizione.

a trieste si coccolano la furia che arriva da nord-est. al punto da dedicarle


una via e un museo. visita al magazzino dei venti. il gemellaggio fra soffi
daria. Qui, dietro le rive,
si conservano almeno 120 venti: dalla Meta di scolaresche, viaggiatramontana al libeccio, dal meltemi al- tori e appassionati il Magazlharmattan. il vento porta nuova idee zino dei venti di via dei

Giustinelli, dietro le Rive,


per solo una parte, immediatamente spendibile, del progetto che prevede, in un futuro
che si spera maggiormente generoso di finanziamenti (per
ora tutto privato), unesposiTesto di
zione in pi sale e una serie di
Carla Reschia
eventi mondani, culturali e
scientifici. Ogni estate, gi da
mprevedibile, selvaggia,
undici anni si tiene sul Carso,
spensieratamente distrutGirandolart, una festa allaria
tiva, la Bora un vento
aperta dove con la Bora, che
femmina che, come molte catsempre onora della sua pretive ragazze, ha pi innamosenza la manifestazione, si
rati che detrattori. A Trieste se
gioca, si pedala, si creano ogla coccolano, nonostante i pegetti utili e ludici.
riodici, inevitabili sconquassi
provocati dal suo soffio da estUn viaggio cominciato nel
nordest, e le hanno dedicato
1999 grazie allarchivio del
una via e anche un museo. Che
meteorologo Silvio Polli,
per essere consacrato alla pi
grande studioso della Bora, e
volatile delle essenze uno
che dal 2004 raccoglie nello
spazio straordinariamente
spazio espositivo testimozeppo di oggetti: oltre duenianze e documentazione, dalle
cento libri, strumenti eolici,
citazioni letterarie, da Stendhal
video, giochi, manifesti, souvea Hendke alle canzoni, cartonir depoca, venti in bottiglia,
line, reperti e perfino pareri saomaggi dautore, anemometri,
nitari: secondo il dottor
tabelle
Luzzati, medico ottocentesco,
Un laBoratorio. Anzi un Lala Bora Diminuisce le escre-

LA BORA UN
VENTO FEMMINA

quanto Rino Lombardi ci dice


mentre ci aiuta a costruire girandole: Il vento vita. Il
vento porta nuove idee. E, allora, ci mettiamo a soffiare e
tutto si muove nel piccolo
museo della Bora.

ERODOTO108 13

138

si ribalt in pieno centro, in


vista di piazza Unit, e la motrice del tram rovesciata in riva
al mare in un altro inverno da
tregenda, quello del ventinove.
I foresti, e i viaggiatori, possono invece approfondire le
loro conoscenze sui vari tipi di
Bora
e di vento e aderire al
I nostalgici e gli studiosi qui
progetto Centoventi, che prohanno modo di fare confronti
pone
un ideale gemellaggio tra
anche visivi tra eventi che si ripetono puntuali: il tir che due tutti i venti del mondo: dalla
Tramontana di Cupramontana
inverni fa, nei gi leggendari
al Mistral provenzale, dal Liquindici giorni consecutivi di
Bora scura a oltre 160 km orari beccio di Viareggio al Ponenzioni, ravviva lappetito, accelera la digestione, e poich
sotto il medesimo rinchiude
una maggior copia di gas ossigeno, accresce lenergia del sistema polmonale e
sanguigno.

CARLA RESCHIA. Sostiene


di avere fra i 15 e i 105 anni.
Giornalista della Stampa. Si
occupa di esteri, cultura e
diritti umani. Viaggia ogni volta 139
che pu. Legge molto. Adora
dormire, le 'relazioni
complicate', i bassotti, il cibo
indiano e il sushi. Con
Stefanella Campana, ha
scritto Quando l'orrore
donna. Torturatrici e
kamikaze. Vittime o nuove
emancipate? (Editori Riuniti).
ERODOTO108 13

STORIE DI BICICLETTE

testo di Andrea Semplici


foto di Livio Senigalliesi

a ciclofficina mondo un bel negozio di via marsala, pieno centro di brescia, qualche centinaio di
metri da piazza della loggia. il suo nome africano
gekak, tutti uniti, nella lingua mandingo dei bambara del mali. nessuno, tranne che nei documenti ufficiali, usa questo nome. Qui si fanno riparazioni, si smontano e rimontano biciclette, se ne vendo di usate. vi
lavorano tre africani. ognuno ha la sua storia, sorride
Justus, 34 anni, kenyota, grande e grosso, ma non me
la vuole raccontare, quando gli chiedo come arrivato
qua. ha un bel carattere, cos a occhio. ha laria di stare
bene qui. non si toglie mai un cappellino alla Jovanotti.
in kenya era contabile. ma anche, e questo lo sapr
dopo, da altri, stato giocoliere e acrobata.
poi c hamit. il pi anziano, 40 anni. viene dal ciad. da
un paese che si chiama moundo, a sud di djamena.
un tebu, popolo nero di quelle terre sahariane. una
fuga in libia dopo una ribellione disperata. anni fra zliten e misurata. una moglie, un figlio. poi, lo sapete, la

l cartello che vidi la prima volta che mi fermai fuori la


bottega di riccardo. avevo le ruote della bici completamente a terra.
mi sembr strano leggere che gonfiarle aveva un costo , non ho mai gonfiato una ruota di una bici nella mia
citt, (utilizzarla tra le strade della periferia sarebbe stato
puro autolesionismo), solo quelle di un auto, e quando
chiedevo le devo qualcosa in cambio mi veniva sempre detto se volete offritemi un caff.
Qualche giorno dopo comprai un piccolo gonfiatore
da tenere in giardino, cos che la mattina avrei tranquillamente potuto gonfiare da me le ruote della bici prima
di ogni uscita.
sono passati molti mesi da allora, e confesso che ricordo di gonfiare le ruote solo quando sono gi in
strada, puntualmente quindi, sosta da riccardo.
uomo silenzioso, sguardo dritto, parole solo se non
quelle che gli vengono chieste. ad ogni sosta scrutavo
tra i raggi che si moltiplicavano quasi incastrati nellap-

PISTOIA
GONFIAGGIO
RUOTE
1 EURO
testo e foto di
Maria Di Pietro

141
ERODOTO108 13

ERODOTO108 13

140

BRESCIA
CICLOFFICINA
MONDO

infine, hamara. 24 anni (forse). viene dal sud del mali. so, perch lo leggo altrove
(lui non me lo dice), che suo padre gi riparava biciclette a bamako. il pi silenzioso: non voglio parlare. ma il primo a scattare appena entra un cliente. gentile, accogliente, abile.
hamara e hamit hanno scalato i
gironi terribili della libia, del mare
di lampedusa, dei centri di accoglienza, della violenza continua
del tempo perduto, dellabbandono e della disattenzione che
passa negli alberghi dove ti rinchiudono come rifugiato. Justus,
invece, ha ribaltato la sua vita: via
dal kenya, via dal mestiere di contabile, poi, in italia, via dai campi
dei pomodori o dagli oliveti pugliesi. mai avrei immaginato di riparare biciclette, mi dice. fra
loro, i tre soci (gekake una cooperativa), parlano in italiano. brescia un crocevia strategico dellimmigrazione: citt della beretta,
delle industria alimentari, qui c
(cera?) lavoro, qualche possibilit
in pi. esco dalla stazione e ci
sono gruppi di africani seduti a
crocchio sotto lombra degli alberi. Quasi il 20% dei bresciani
sono cittadini stranieri. 35mila persone. pakistani, moldavi, rumeni.
e un migliaio di africani. brescia
uno dei palcoscenici del mondo.

ERODOTO108 13

cammino per via san faustino,


un tempo quartiere dei guai bre142
sciani (spaccio, prostituzione,
case malandate), oggi strada
della movida del carmine. Qui vi
sono macellerie halal, fruttivendoli
tunisini, venditori di cianfrusaglie
cinesi, kebabbari pakistani. via san faustino unaltra polaroid della globalizzazione. ci sono, e ci stanno bene, osterie e giovani artisti. via marsala appena dietro langolo.
lofficina ciclomondo gran bel posto. Quasi non c spazio. ingombro di ruote,
catene, telai. via vai di clienti: al mattino tutti stranieri. cinesi, pakistani (con accento bresciano alla balottelli) e arabi in cerca di una bici da venti euro (niente da
fare). hamara saluta in cinese (solo ciao, per carit, n ho). ragazzi africani ven-

BRESCIA

PISTOIA

poggiarsi lun laltra delle numerose biciclette. cercavo quelle con i freni a bacchetta, che sempre mi hanno incantato conducendomi ad immaginare unaltra maria degli anni trenta passeggiare tra i vicoli stretti di chiss quale paese o citt.
Quando ne trovavo una, rigorosamente non era in vendita.
era l per qualche riparazione, o una di quelle che riccardo custodisce gelosamente
come quella del suo pap agganciata al soffitto.
un giorno entrai allinterno della bottega, incuriosita dalla porta esterna di legno
consumata dal tempo, le striature erano anni trascorsi, come
il vetro rotto tenuto insieme dal
nastro adesivo che aveva preso
lo stesso colore brunito della
porta.
non potevo soltanto gonfiare le
ruote in quella bottega, sentivo
odore di storia. il mio fiuto non
mingann, cera un piccolo
mondo ad accogliermi, gli anni
trenta appiccicati ai muri e quelli
del duemila quindici tra le bici
moderne sul pavimento.
unenorme cassettiera di legno
a muro e vetrine che arrivano al
soffitto, raccolgono tutti gli attrezzi da lavoro e gli accessori
delle bici. un arredamento che
sopravvive dai primi del novecento, perch la storia ha radici
che iniziano proprio in quel periodo. lattivit di vendita e riparazione di biciclette fu avviata
nel 1905 a pistoia in via cavour
da severino cecconi. nel 1929,
subentr la moglie pia; il negozio fu poi espropriato nel 1933
per realizzare il palazzo delle poste. lattivit fu trasferita in via
palestro e gestita, a partire dal
1964, da giulio romoli, il padre 143
di riccardo.
devo ringraziare le mie ruote
sgonfie per aver scoperto di poter ammirare un luogo che testimone di almeno cento anni di vita trascorsa in bicicletta, quel periodo in cui litalia ancora priva delle sue fiat 500 e vespa special, sognava di libert in sella a una
bici. operai, contadini, maestri, preti, postini e innamorati in movimento su due
ruote. ci sono foto di vecchi ciclisti, adesivi e stemmi con le ali e la corona edoardo bianchi, ma vicino ad un telefono da parete, in bianco e nero, riccardo mi
indica un giovane seduto allesterno della bottega questo mio padre. in quel
momento il tempo si catapultato nellaltro mondo, e lo sguardo sgranato dal

ERODOTO108 13

guerra improvvisa, inattesa, feroce. le bombe della nato. una nuova fuga, verso
litalia.

livio senigalliesi, 59
anni, milanese, inizia la carriera di fotogiornalista nei
primi anni '80. cresciuto
nella redazione de il manifesto, ha documentato con
passione i cambiamenti
dell'est europeo e numerosi conflitti. negli ultimi
anni ha focalizzato le sue
energie su due progetti: le
vittime di guerra e la condizione umana degli immigrati in italia. www.liviosenigalliesi.com
andrea semplici, 62
anni, fiorentino. giornalista
e fotografo. prova a coordinare la disordinata redazione di erodoto. ogni
volta giura che sar lultimo
numero. poi si ricomincia.
Questo articolo sui cicloriparatori africani a brescia
doveva essere il primo di
un progetto sullimmigrazione africana.
rimasto lunico.

144

gono a sedersi su un panchettino minuscolo. ci si fa compagnia fra immigrati.


ciclofficina figlia della cocciutaggine di chi a brescia crede e vuole una convivenza
possibile. i tre ragazzi africani, cos diversi per storia, religione, nazionalit, arrivano
per strade differenti fino allassociazione adl a zavidovici. nome troppo complesso
per un giornale: ambasciate della democrazia locale a zavidovici, in bosnia. storia nata ai tempi degli orrori balcanici. oggi sulla frontiera dellimmigrazione. ha
sapere e capacit, la gente di adl. Justus, hamit e hamara (e altri) bussano alla
loro porta e adl, con pensiero da imprenditori, scandaglia le geografie dei bisogni della citt in cerca di un lavoro. brescia citt strana per la bicicletta: possibile noleggiarla in almeno settanta ciclostalli; ogni mese si contano almeno settantamila noleggi di biciclette pubbliche. numeri che autorizzano speranze per una
ciclofficina.
ce la caviamo, mi dice Justus quando gli chiedo dei soldi. lofficina funziona. d
un reddito, a sentire loro. nel pomeriggio arrivano gli italiani. cercano una bicicletta,
curiosano, vogliono gonfiare le ruote, il cambio saltato, il telaio storto, non funziona la luce. a brescia, come altrove, si rubano le biciclette e allora qui si cerca
qualcosa a poco prezzo e con pochi lustrini. Justus ha pazienza e sa cosa rispondere anche a un giornalista italiano. gli chiedo della concorrenza e lui pronto:
un punto di forza, un valore aggiunto, ci sprona a fare meglio. Questo, naturalmente, volevo sentire, e allora non prendo appunti. forse si fida di me e aggiunge: al paese s, dice al paese come dicono, con nostalgia i miei amici lucani o calabresi diverso: chi fa lo stesso mestiere o ha lo stesso negozio si
mette nella stessa strada, nello stesso angolo di mercato, nello stesso quartiere.
se io non ho un pezzo, vado al negozio accanto e lo trovo. se non so fare qualcosa, c chi accanto a me lo sa fare. Qui no, bisogna stare lontani e farsi concorrenza. un frammento di africa vera uscito anche in via marsala. Questa frase
cos africana, anche se detta in italiano, vale la giornata.

tempo di una stampa, di quelluomo giovane di solo diciassette anni, uno


sguardo ignaro di un tempo che sarebbe stato incorniciato e raccontato da suo
figlio con i baffi bianchi, ad una donna che scattava unaltra fotografia. Quando ho
chiesto a riccardo come ha iniziato a fare questo lavoro, mi ha risposto che gli era
capitato, osservare il padre da bambino era un gesto naturale, come lo era per lui
smontare e rimontare oggetti.
accaduto, e continua.
allora gli ho chiesto se ne fosse felice, di questo lavoro piombato addosso, e lui
non ha esitato a rispondermi che senza la pazienza e la passione verso quei gesti acquisiti e fatti suoi, non avrebbe mai potuto trascinare nel tempo quel mestiere.
nulla antico e nuovo, presente quello che si continua a raccontare, imparare
e tramandare, ancorati ad una passione. in fondo come afferma aug andare in
bicicletta vuol dire imparare a gestire il tempo...il tempo lungo degli anni che si accumulano. Quante cose mi sono sfuggite la prima volta che mi sono fermata dinanzi a quel cartello gonfiaggio un euro.
in quella richiesta, c tutta la dignit, la necessit di non scomparire, senza
aspettative onerose, ma quanto basta per continuare a ricordare e fare tesoro non
solo di mestieri che potrebbe scomparire, ma soprattutto di anime e storie delle
quali la velocit dei nostri tempi ingenuamente crede di non aver bisogno.

PISTOIA
maria di pietro, 35
anni, fotografa napoletana, laurea all'accademia
di belle arti. nel 2009
vince, nella categoria eyes
wide shut, il festival del
cinema dei diritti umani di
napoli/buenos aires con il
suo racconto napoli
nomade. fotografa ufficiale di questo festival.insegna fotografia nelle
scuole. ha progetti sulle
periferie nord di napoli,
territorio da anni martoriato da sversamenti di rifiuti illeciti. la sua
attenzione

le storie hanno un prezzo, viverle. ...sarebbe bello se la bicicletta potesse diventare lo strumento silenzioso ed efficace di una riconquista delle relazioni e dello
scambio di parole e sorrisi!

145
ERODOTO108 13

BRESCIA

Letizia Sgalambro

per riprendere il tema portante


del numero che riguarda i luoghi
abbandonati, loroscopo questa volta
si fatto influenzare dal gioco degli
opposti e propone ossimori come
consiglio di stagione.

Ariete

21 Marzo -19 Aprile


BIANCO/NERO
In mezzo al bianco e al nero c tutta la gamma
dei colori e fermarsi solo ad un estremo significa
rinunciare a tutta la ricchezza delle sfumature.
Nei prossimi mesi ti verr offerta loccasione di
godere di ogni piccola variazione di colore, non
rinunciare a questa esperienza, potrebbe cambiarti la vita!
Ossimoro di stagione: Ghiaccio bollente

Toro
20 aprile -20 maggio
ERODOTO108 13

146

GIORNO/NOTTE
Sei un gufo o un allodola? Ami la luce del sole
o preferisci il buio della notte? Qualsiasi sia la
tua attitudine arrivato il momento di sperimentare come sarebbe comportarsi in modo opposto. Forse allinizio ti sentirai strano, ma non
ti scoraggiare, prosegui in questa direzione e
apprezzerai la vita upside-down
Ossimoro di stagione: Dotta ignoranza

Gemelli
21 Maggio -20 Giugno
DOLORE/FELICITA
Gli ultimi mesi sono stati per te un po pesanti e
in alcuni momenti ti sei sentito travolto dal dolore. Non ti preoccupare, i prossimi potrebbero

essere chiamati i mesi della rivincita, arriverai a


punte di felicit che non avevi neanche immaginato potesse esistere. Attento che tutta questa euforia non ti dia troppo alla testa!
Ossimoro di stagione: Dolcezza inquieta

Cancro
21 Giugno 22 Luglio
RAGIONE/TORTO
Una famosa canzone di Guccini parlava dell
ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai
col torto E te dove ti collochi? bello aver
ragione, ma mettersi dalla parte del torto significa saper rischiare di essere criticati, di sbagliare, e quindi di imparare qualcosa di nuovo. E
arrivato il momento di abbandonare le tue certezze e di entrare nella tua zona dombra, sar interessante, vedrai!
Ossimoro di stagione: Silenzio eloquente

Leone
23 Luglio - 22 Agosto
CORAGGIO/PAURA
Qualcuno un giorno ha detto che il coraggio non
la mancanza di paura, ma agire nonostante la
paura. Qual lambito in cui la paura sta bloccando la tua evoluzione? Nei prossimi mesi avrai
la possibilit di mettere alla prova il tuo coraggio, non lasciarti scappare loccasione, una volta
fatto il primo passo sar pi facile di quanto
pensi.
Ossimoro di stagione: Buio illuminato

Vergine
23 Agosto - 22 Settembre
RICCO/POVERO
Esseri ricchi o poveri soprattutto una questione
di punti di vista e non di quantit di denaro posseduto. Si poveri se non si riconoscono gli affetti che ci circondano, le cose belle capitate
nella vita, limportanza della nostra salute. Si
ricchi quando ci basta un sorriso per stare bene

Bilancia
23 settembre - 22 ottobre
SICUREZZA/PERICOLO
Il brivido del pericolo dentro tutti noi, anche in
quelli che non riescono mai ad osare e si limitano
a viverlo leggendo noir o guardando polizieschi in
tv. Che ne dici invece di iniziare ad uscire dalla tua
zone confort ed osare qualcosa di nuovo? Le stelle
ti garantiscono la sicurezza che cerchi, ma ti offriranno anche la giusta adrenalina per saltare.
Ossimoro di stagione: Notte bianca

Scorpione
23 ottobre - 21 novembre
PASSIONE/FREDDEZZA
Sangue caldo o sangue freddo? meglio buttarsi
nelle cose o osservarle a distanza calcolando i
pro e i contro? La passione fa battere il cuore, fa
sentire vivi e pieni di energia, ma quando
troppa offusca e fa perdere obiettivit. La ragione
fa stare con i piedi per terra, ma non permette di
godere a pieno di ci che si vive. Si apre un periodo in cui potrai sperimentare sia luna che laltra, vai ai due estremi e sperimenta come ti fanno
sentire. Ne uscirai diverso.
Ossimoro di stagione: Copia originale

Sagittario
22 novembre - 21 dicembre
ASSENZA/PRESENZA
La presenza non solo quella fisica, lenergia
e limpegno che metti nelle cose, essere coinvolti e punti di riferimento per gli altri. Allontanarsi a volte pu far bene, offre spazio alla riflessione e dona agli altri loccasione per fare e
imparare. Rallenta, Fai tre passi indietro, gira
langolo e dai fiducia a chi pu fare da s. Ti accorgerai che ne vale la pena.
Ossimoro di stagione: Lucida follia

Capricorno
22 Dicembre -19 Gennaio
BENE/MALE
Qual la distanza fra il bene e il male? Sei sicuro
che la strada giusta sia cercare il primo e sfuggire il secondo? Nei prossimi mesi scoprirai di
aver bisogno delluno e dellaltro e, citando
Nietzsche, ti accorgerai che esiste un posto al di
l del bene e del male dove niente nettamente
definito, ma pu modificarsi a seconda delle circostanze e dei modi di osservare la vita.
Ossimoro di stagione: Profondamente
superficiale

Acquario
20 gennaio- 18 febbraio
VUOTO/PIENO
Si pu riempire solo ci dove c del vuoto, e
quindi se cerchi di avere sempre tutto pieno non
avrai spazio per fare entrare il nuovo nella tua
vita. Il compito che hai nei prossimi mesi
quello di svuotarti di tutto il superfluo che sta appesantendo la tua vita, per fare spazio a grosse
piacevoli novit. Gli astri parlano chiaro, solo se
troveranno del vuoto potranno donare.
Ossimoro di stagione: Scommessa sicura

Pesci
19 febbraio - 20 marzo
SOLO/ACCOMPAGNATO
Cosa rappresenta per te la solitudine? La lingua
inglese distingue fra lonely, che ha connotazioni
negative, e alone che invece ha un significato
neutro. Stare da soli pu essere unottima occasione per conoscersi meglio e offre la possibilit
di fare tutto ci che ci piace. Stare in coppia o con
gli altri richiede abilit di compromesso, non
solo ricevere, ma anche dare. Lequilibrio fra le
due forze sempre instabile, ma stai per imparare
a camminare sul filo senza farti del male.
Ossimoro di stagione: Affrettati lentamente
LETIZIA SGALAMBRO 52 anni, sagittario, counselor ed
esperta di processi formativi. Crede che per ognuno sia gi
scritto il punto pi alto dove possiamo arrivare in questa
vita, e che il nostro libero arbitrio ci fa scegliere se raggiungere quel traguardo o meno. L'oroscopo? Uno strumento
come altri per illuminare la strada.

147
ERODOTO108 13

OROSCOPO

e si riesce a trovare dentro di noi ci che ci


serve. Sperimentati nel cambiare la tua prospettiva, e vedrai che otterrai pi di quanto desideri.
Ossimoro di stagione: Realt virtuale

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