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13 INVERNO 2015
SOMMARIO
4 editoriale
sette vite dopo labbandono. come un gatto di andrea semplici
6 LE FOTO CHE FARETE andrea semplici, alessandro intini
12 il racconto VIRIDIANA STA A PES ZABIJK di vanni santoni
20 reportage SEMU TUTTI DEVOTI...TUTTI?
testo di giorgio iemmolo, foto di marina berardi e luca massini
www.erodoto108.com
ERODOTO108
registrata al Tribunale di Firenze
Stampa Periodica al n.5738 il 28/09/2009
122 gli occhi di erodoto LA LIBERT DEGLI ALBERI intervista di valentina cabiale
126 Quaderni a Quadretti GUIDO SCARABOTTOLO testo di andrea rauch
132 storie di libri I LIBRI L DOVE NON SI LEGGE testo e foto di marco montanaro
134 storie di fotografia LUDOVICU SCOMPARSO testo di mariano silletti
138 storie di musei LA BORA UN VENTO FEMMINA TESTO di carla reschia
140 STORIE DI BICICLETTE
MANTOVA, CICLOFFICINA MONDO testo di andrea semplici, foto di silvio senigalliesi
PISTOIA GONFIAGGIO RUOTE 1 EURO testo e foto di maria di pietro
146 oroscopo di letizia sgalambro
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solitudine. E alla fine due fotografi ci hanno sorpreso: Bruno Zanzottera ha viaggiato per lItalia per fotografare i paesi senza pi abitanti; Fabio Sebastiani, da anni,
con tenacia, fotografa i luoghi orfani. Due maniere straordinarie e diverse di raccontare la solitudine senza speranza.
onfesso: dopo queste settimane dietro ai luoghi abbandonati, mi venuta una gran
voglia di andare a passeggiare in un centro commerciale. Ho avuto desiderio di
gente, luccichii, rumore, musica, luci. In fondo i non luoghi sono diventati, a dare retta
agli antropologi, dei luoghi. Ora mi piacerebbe che i fotografi dellabbandono si confrontassero con la folla. Riceveremmo cos tante immagini come per i paesi-fantasma? Un Ipercoop o un outlet (gi sento storcere il naso a queste parole) sanno ispirare
storie come un manicomio in rovina?
l solito, non so cosa voglio dire. Non so dove siamo arrivati camminando per capannoni vuoti o varcando la soglia di un casa abbandonata. Intuisco che dovremmo avere cura di questi luoghi. So che dovremmo trovare un equilibrio fra la
malinconia desolata di una chiesa crollata (ma a Roscigno vi ancora una piccola statua di santAntonio sopra un altare) e lo sfavillio gelido di un centro commerciale.
Erodoto una frontiera e salta di qua e di l. E, alla fine, approda anche alle vecchie
miniere di San Silvestro, a Campiglia Marittima, nellalta Maremma toscana: l un
minatore, quaranta anni fa, chiuse per lultima volta linterruttore di un ascensore minerario. Fine di unepoca breve, ancora un abbandono. Ma, anni dopo, archeologi e
amministratori pubblici furono capaci di risollevare quellinterruttore: per far nascere
un luogo, un parco che vita e gente. Guardate le foto di Giovanni Breschi e leggete
le parole dellarcheologa Silvia Guideri per capire il miracolo di una resurrezione.
l, fra la bellezza della Maremma, che mi sono venuti in mente i gatti. E le loro sette
vite. Ne abbiamo consumate appena una in questi paesi-fantasma. Ne abbiamo sei da
vivere per ripopolare luoghi deserti. E la strada ce la indicano coloro che in questo numero ci hanno fatto doni per tirarci fuori dallabbandono nel quale eravamo caduti:
Guido Scarabottolo, uno dei disegnatori italiani pi sorprendenti, ci ha regalato la bellezza delle sue scarabottole e Valentina Cabiale ha avuto il coraggio di seguire Andrea Loreni, funambolo torinese, sul filo dacciaio teso sopra il vuoto. A guardarli, da
sotto, la folla dei lettori di Erodoto.
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* la vado a chiamare
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Il muro di casse
dei Desert Storm
nel 1996.
Il Gorino?
Eh. Mi ha detto che una volta siete andati insieme in Portogallo.
Non lo so mica cosa mi prese. Per carino Iacopo, sai che una volta ha scritto una
cosa su di me? Cio, proprio con me come personaggio. Vuoi che te la legga?
Sfreccia di l senza neanche lasciarmi rispondere, la sento rovistare, torna con una
specie di diario di quelli con lelastico intorno, lo scorre tra mille foglietti mezzi stracciati che spuntano tra le pagine,
Ma dove, stava qua...
Cascano flyer e foglietti, ne pesca finalmente uno giallo, una pagina di quei quaderni
di carta spessa, di pregio o riciclata o le due cose, piegata in quattro, si vedono delle
scritte a lapis, fitte; lo apre, legge:
... Viridiana intanto si era piazzata a sedere in alto, sopra limpalcatura dei proiettori,
dodici tubi innocenti montati a cubo, a sinistra del sound; non aveva diciottanni e la
free tekno, la musica che loro e altri come loro portavano in giro per lEuropa con furgoni e soundsystem e generatori fregati nei cantieri, le parve essere come la pioggia
e il pane e il sale, una cosa indifferente ai riti nazionali, alle tradizioni locali, alla lingua e alla storia; pur essendo inequivocabilmente
musica folk, quel suono
che l davanti a lei faceva
ondeggiare tre o quattrocento persone, ucraini,
russi, ceki e scorse Renault ballare in fondo, e
Jody che ondeggiava appena, a met strada, e Isabella sotto di s,
aggrappata alle casse, con
quelle braccia tutte piene
di braccialetti le apparve
come una vibrazione senza
frontiere, una spia dellaria
e dellacqua, una forma archetipica, anteriore, sottostante, che riconciliava
ucraini, russi e ceki, italiani e francesi e austriaci,
li reincorporava a un dimenticato fuoco centrale, e
precariamente, dolorosamente, li restituiva a
unorigine tradita.
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Tu hai pi storie.
Timmagini. Se vuoi ti racconto quando Zig scivol in un pozzo nero.
Tu hai verve.
Seh, quando sono sotto speed.
Ma s invece. Chai una cultura, sei sveglia...
Bah, sai quanta ce n di gente che va alle feste e cha una cultura. Non hai sentito nessun altro?
Ho sentito Cleo...
Mancini?
Che quella faccia?
Bah. Cazzo vuoi da me insomma?
Eh, farmi raccontare. Non so, il tema del viaggio...
Il tema del viaggio? Ma vaffanculo... Cosa vuoi, una roba tipo Non sai cosa vuol dire
viaggiare se...
Se..?
Se non ti ha mai preso fuoco il furgone?
Puoi fare di meglio.
Se non sei mai stato a fare la vendemmia in Champagne aspettando
di spostarsi a Melun per il teknival
del 98 e ritrovandoti poi col furgone piantato nel fango? Se non hai
mai sbagliato strada per il teknival
romeno e ti sei ritrovata in mezzo a
territori del tutto controllati da clan
zingari e gi che ceri hai messo musica per loro?
Oppure?
Se non hai mai aiutato i Mutoid
Waste a trasportare il Mig che si trascinavano in giro? Se non sei mai
stato a cercare di esportare la tua
musica fuori dEuropa e ti sei scontrato con la povert vera, con le gang
vere? Se non sei mai stato in una
zona di guerra?
Vedi che di cose ne hai viste.
Bah. Chi hai sentito oltre alla Mancini?
Iacopo.
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tipo un pastiche, un montaggio, no, di pezzi di altre cose... Per parla di quando
andai coi Rolling Thunder a metter su una festa vicino Odessa, gli raccontai questa
cosa e lui la scrisse, sai che voleva scrivere un romanzo sulle feste?
Da l ho cominciato.
Voleva cominciare proprio da Odessa per raccontare tutta lEuropa, anche se poi non
mica in Europa...
Certo che lo .
Vabbe, fatto sta che quando avevo diciottanni figurati se pensavo quelle cose. Il fuoco
centrale... Mi sbomballavo e stavo l ed era uno scialo ed era bello anche perch era
qualcosa che nessuno di quelli a cui la portavamo aveva mai visto prima. La cosa
grossa era davvero viaggiare, andare lontani, vedi la gente quanto si organizza, quando
fa un viaggio quanto ne parla, e noi invece prendevamo e partivamo... Oggi gli itinerari sono fissati, ci sono le citt, e i voli che collegano le citt. Cos come collegano i
luoghi turistici, e quei luoghi selvaggi che sono anche turistici. Ma in mezzo a tutto
questo c altro, una topografia umana ignota. Pensa al teknival in Valdarno, ricordi?
Me lo ha fatto ricordare Iacopo.
S? Pensaci: francesi, inglesi, gente di Bari, di Trieste, di Ostrava, sparsa tra Chiassaia,
Monte Lori e Castiglion Fibocchi. Pensa a me un anno dopo. Mi ero imbarcata con i
Kromatoid. Quei suonati erano partiti per la Bielorussia da Sassomarconi solo perch
della gente di Minsk, anzi di Fanipal, aveva promesso di ospitarli e vendergli un altro
furgone a duemila euro: da l, coi due furgoni, lidea era di passare da una festa in
zona e poi di nuovo gi, per i teknival di Romania e Bulgaria. Al di l dei teknival, al
di l di questi viaggi programmati in cinque minuti, dotati solo di una carta stradale
che era pure vecchia di dieci anni, chi ci sarebbe mai finito, a Fanipal? A Odessa? Qui
a Pes Zabijk? O anche in Francia. Lo sai dove fu il primo teknival, nel 93? A Beauvais. Proprio il posto in cui tutti arrivano con la Ryanair quando vanno a Parigi. Una
citt che oggi per il mondo esiste solo come aeroporto, un posto in cui arrivano tutti
lo trascrissi per andare a ricontrollare cosa fosse. E cosera, era Maly Trostenets: niente
bocca dellinferno come ad Auschwitz, era rimasta solo una piana; Maly Trostenets,
duecentomila morti ammazzati e io l ferma, mezzo stravolta, fuori dal furgone, battuta dal vento umido dellEuropa dellest. Sai cosa pensai quella volta? Che magari
smettevo di stare in giro. Che aver raggiunto quel punto l, senza neanche cercarlo,
aveva, non so, un valore simbolico.
Poi?
Poi mi venne in mente unillustrazione che vidi da piccola su un libro di scuola, era
una cartina dEuropa con i campi di concentramento, ogni campo un puntino, e cerano
cos tanti puntini da coprire tutta la mappa.
E quindi hai continuato.
Be intanto cera da ritrovare gli altri, da montare.
Invece come hai cominciato?
Come ho cominciato io? Lo avrai sentito dire...
Qualcosa, in giro. Mezze leggende, mi sa.
Volevi arrivare a quello?
Sempre che sia vero.
Eh, se vero...
VANNI SANTONI, 37 anni, scrittore nato a Montevarchi, in provincia
di Firenze. Dopo l'esordio con Personaggi precari (RGB 2007, poi
Voland 2013), ha pubblicato, tra gli altri, Gli interessi in comune
(Feltrinelli 2008), Se fossi fuoco arderei Firenze (Laterza
2011), Terra ignota e Terra ignota 2 (Mondadori 2013 e 2014), Muro
di casse (Laterza 2015). fondatore di SIC-Scrittura Industriale
Collettiva (In territorio nemico, minimum fax 2013). Dal 2012 dirige
la narrativa di Tunu. Scrive sul Corriere della Sera e sul Corriere
Fiorentino.
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Un flyer
del 1996
e nessuno va, perch appena atterrano prendono il bus per la capitale. E i camion delle
tribe invece andarono proprio a Beauvais. Ma non solo quello. Ti potrei raccontare
di quando mi svegliai su un pagliericcio, senza riconoscere dove fossi, di giorni scollati dalla realt l in quelle case popolari di Fanipal, e gi basterebbe. Non c nulla di
straordinario, va bene, eppure non sono cose che puoi vedere, fare, viaggiando normalmente. Oppure quando giravamo le campagne intorno a Minsk alla ricerca di un
posto buono per montare, sai, una bella conca con strade daccesso e duscita alternative, avevamo conosciuto gente e cera loccasione di fare unaltra festa, e mentre
gli altri battevano quella piana col Roadrunner avevo preso il furgone nuovo, da sola,
per andare a vedere un altro paio di posti, ma mi ero persa, e non cera unanima che
parlasse inglese, e avevo guidato a occhio, sbagliando tutto, fino a trovarmi in unaltra pianura, e l in mezzo al niente cera un obelisco piccolo, sai una di quelle cose da
piazza di piccola citt, di quelli, che ne so, per Mazzini o Cavour, e scendo per vedere
meglio, e poco pi in l ecco una tomba, una roba pi grande del normale ma in fin
dei conti modesta, una tomba da personaggio storico locale, col recinto basso, di ferro
battuto dipinto di bianco, pioppi intorno, un cartello, lo trascrissi anche, guarda...
REPORTAGE
SANTAGATA
A CATANIA
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SEMU
TUTTI
DEVOTI
TUTTI?
FOTOGRAFIE DI
MARINA BERARDI
E LUCA MASSINI
TESTO DI GIORGIO IEMMOLO
uttana la miseria, ma chi minchia fa, affiu? grida vincenzo dallalto della vara ad alfio che maldestramente sta
tentando di capire che direzione stia prendendo la processione. il capovara il regista della processione, di cui decide velocit
e soste: dovrebbe essere un cristiano onesto, libero da pendenze legali e, soprattutto, osservante.
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I LUOGHI ORFANI
LE FOTOGRAFIE
DI FABIO SEBASTIANO
LIMPOSIZIONE
DELLABBANDONO
Queste case, queste periferie, questi paesi, rappresentano una nostra storia. Ma una storia
ora consacrata allabbandono, tanto da far nascere anche figure di esperti, di narratori, chiamati per lappunto abbandonologi.
Noi occidentali un male nostro questo ci portiamo dentro il meme ottocentesco della
rovina romantica, di una storiografia che ci costringe a trattenere il passato (e, per assurdo,
mentre celebriamo la conservazione, creiamo deserti). Se prima della fine del Settecento
lantico, la rovina, erano un esercizio filologico, da quel momento in poi abbiamo eletto i
resti classici abbandonati a essenza della nostra identit.
Certamente le rovine che qui guardiamo sono altre: sono periferie, sono stanze dove ancora si coglie lultimo gesto umano che le ha vissute. Ma sono anche borghi, paesi, ossa di
quello scheletro che rappresenta lItalia dal Medioevo in poi. Beni intimi di un nostro vissuto, memorie semivive di unItalia interna.
C qualcosa in tutto questo che mi disturba, oltre la fascinazione e leventuale morboso attaccamento per ci che andato.
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Ripeto spesso che noi archeologi rappresentiamo la schizofrenia della cultura moderna: nati
a reintegrare il passato usando la disciplina storiografica come fondamenta dello stato (come
novelle Atene e Roma), riscaviamo e poi sacralizziamo rovine che luomo aveva ricoperto,
in un processo naturale e dinamico di superamento del passato.
Per assurdo riportiamo alla luce luoghi dimenticati, per riposizionarli in una supposta memoria di noi, dando loro significati nuovi proprio perch oltre la loro voluta dismissione.
Questo processo talmente entrato nel nostro DNA che quei luoghi, fondanti del nostro
concetto di bene culturale, devono ora sopravvivere proprio in nome della cultura. Non importa se spesso diventano monumenti vuoti, difficilmente gestibili: che essi sopravvivano,
anche silenti, perch ci sia concesso di trovare l le nostre supposte radici.
Fermiamoci un attimo nella desolazione dei paesi: da tempo gli insediamenti sotto i cinquemila abitanti (che, sparsi su tutto larco appenninico e alpino, ospitano il 15% della popolazione nazionale) soffrono di un inesorabile depopolamento. Quella forma del vivere che
aveva marcato la penisola italiana sin dal Medioevo, lItalia dei borghi, sta venendo a mancare.
Potrebbe essere parte di un processo naturale, cos come avvenuto nellet antica con comunit che si spostavano su e gi dai picchi verso le valli e viceversa. Potrebbe essere, perch la globalizzazione, a volte travestita da glocalizzazione (termini sempre parte di un
vocabolario e quindi di unaspirazione occidentale ancora un po coloniale), mira alla concentrazione nelle smartcities delle metropoli, lasciando dietro di s non solo vuoti insediamenti, ma anche memorie stanche, in un processo ineluttabile che leconomia delloggi
richiede.
Qui risiede lo stridore della parola abbandono: seppur di non evidente etimologia, quella
parola si porta appresso un atto di imposizione politica. Il termine medievale abandonner',
potrebbe derivare dallespressione tre bandon, ovvero essere sottomessi a un atto di potere che ti ordina di lasciare. Non una scelta naturale, quindi, unimposizione.
Paesi abbandonati perch le persone sono state costrette a farlo. Archeologie industriali, luoghi del lavoro, ora vuoti perch leconomia del potere lo impone. Case, periferie desolate, perch immerse in un processo che da l ci vuole fuori.
I borghi dItalia, i bei paesi del Bel Paese (quale ironia) che pi non servono, che alleconomia delle nuove dinamiche politiche si devono forse rassegnare.
Ma quei paesi in via di depopolamento sono comuni che controllano il 50 % del nostro territorio nazionale: la loro scomparsa spiega forse anche un abbandono mai immortalato, quello
della terra, di un paesaggio sempre meno curato, sempre pi vittima di alluvioni, di catastrofi naturali.
Cos come quei paesi, insediamenti ricchi di storia e memoria, anche i paesaggi sono (o no?)
beni culturali: diventeranno moderne Pompei, vuoti ma da conservare per la nostra identit?
E con quale economia?
Coscienti di queste dicotomie, dovremmo allora decidere di scegliere, di non essere vittime
di un abbandono che imposizione di un potere. Dichiariamo di andare via, o decidiamo di
creare uneconomia che dalla marginalit, da un senso altro di presenza, ci renda cittadini di
quei luoghi. Non per farci incantare dal silenzio, ma per nutrire, con rinnovato senso di un
noi, i luoghi di queste immagini.
emmanuele curti, 52 anni, archeologo, nato a perugia e vive a matera
dove insegna alluniversit della basilicata. ha insegnato a londra. si occupato per anni di processi di acculturazione portando avanti progetti di ricerca
a pompei e in giordania. negli ultimi anni si dedicato al necessario cambiamento dei paradigmi nelle discipline umanistiche, alla ricerca di nuove forme
di sviluppo socio/economico, legate a una nuova idea di cultura.
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da questa lacerazione interiore mia e della coscienza occidentale che con fatica mi avventuro in queste immagini.
PAESI
piemonte
PAESI
lombardia
consonno il paese
dei balocchi
si trova nel comune di olginate, in provincia
di lecco. paese di montagna, panorami sul
resegone.il primo documento che parla di
consonno del 1085.
alla fine degli anni 50 del secolo scorso, vi
abitavano sessanta persone. nel 1962 il
paese acquistato (e demolito) dal conte
mario bagno. ne voleva fare un paese dei
balocchi. vi fece costruire un minareto, una
pagoda cinese, un castello. cera un hotel
di lusso. una frana isol consonno. nel
1981, lalbergo divenne casa di riposo.
venne chiusa nel 2007. nel 2014 qui abitavano ancora quattro persone. ora un
paese in vendita. ufficialmente in vendita da
parte degli eredi del conte bagno.
PAESI
liguria
borsana non
esiste su wikipedia
borsana era una frazione di magnone (oggi ricadente nel comune di vezzi
portio), nellentroterra di finale ligure. durante i bombardamenti del 1944 camillo sbarbaro vi sfoll, in una casa abbandonata, e in quei mesi di esilio mise
in versi la traduzione del Ciclope di euripide.
tra la fine degli anni 60 e linizio degli anni 70 la borgata, che contava meno
di 20 abitanti, fu espropriata per pubblica utilit dalla autostrada dei fiori
s.p.a., che stava costruendo la genova-ventimiglia (inaugurata nel novembre
del 1971). oggi le poche case sopravvissute si intravedono a malapena dal
parcheggio dellarea di servizio borsana sud, guardando verso monte: piccoli rettangoli grigio opaco tra le fronde fitte degli alberi. raggiungerla non
facile. non possibile una vista dinsieme. non esiste su wikipedia.
testo e foto di valentina cabiale
PAESI
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toscana
PAESI
lazio
foto di bruno zanzottera / parallelozero
testo di silvia la ferrara
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la maledizione
di faleria antica
apice la golosa
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PAESI
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irpinia
PAESI
cilento
roscigno la frana
non si ferma mai
PAESI
lucania
foto di sante cutecchia
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alianello 007
nel paese fantasma
PAESI
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calabria
pao ta fatti
mu amendolea
Quattro chiese basiliane, una roccaforte normanna poi castello dei ruffo,
contorte vie medievali e una veduta rapace sulla valle scavata dallomonima
fiumara. sorto sul sito dellantica peripoli, patria forse di prassitele, amendolea oggi noto per essere tra i paesi
fantasma della calabria raccontati da
vito teti. lente parco nazionale dellaspromonte ha stanziato lo scorso
anno 180 mila euro per iniziarne il recupero dopo che il terremoto di messina del 1908 e le alluvioni degli anni
cinquanta costrinsero i discendenti
degli elleni a lasciare le loro case. solo
i muri, le strade e la torre spaccata
continuano a mormorare larrivederci
grecanico: pao ta fatti mu.
scurati e
linvasione di natale
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PAESI
sicilia
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LA SALA DATTESA
STAZIONI
QUEL TRENO
PER MATERA
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piantata a viva forza nella campagna, in contrada la martella. volevo capire quanti soldi
erano stati buttati dalla finestra per quella cosa,
in realt, morta in partenza. ho iniziato a raccogliere documenti dove potevo, ovunque.
una pila di faldoni, cartelle e fogli volanti che
cresceva a dismisura. a un certo punto quella
torre di babele cartacea crollata. ha invaso
mezza stanza del posto in cui abitavo prima. il
conteggio era comunque arrivato a una cifra
stratosferica, circa 270 miliardi di vecchie lire.
dato confermato da altre fonti. erano gli inizi
degli anni novanta, chiss quanto valgono effettivamente oggi. prima del trasloco, ho imballato tutto e, a fare compagnia ai binari delle
ferrovie dello stato - che a matera non ci sono
mai arrivati - si aggiunta una ulteriore incompiuta. non volevo farne pi niente, per sfinimento.
capitolo chiuso? non del tutto. davanti alla
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tive. sulle aree coltivate la manovalanza si divideva in fissa e avventizia: la prima denominata
anche degli "annaroli" indicava il contratto per
un anno, la seconda dei "mesaruoli" e giornalieri, si riferiva a contratti per un mese o per un
giorno. gli ultimi della scala sociale erano loro,
i braccianti. Quando non era spuntato ancora
il sole, vendevano la forza delle braccia in
piazza. lavoro in cambio di derrate alimentari.
farina, olio, vino, pi raramente qualche manciata di soldi. dove, invece, non c'erano i cereali iniziava il dominio dei pastori, il pascolo,
l'altra voce economica basilare legata agli allevamenti. carne, pellame, formaggi, latte munto
da bovini e ovini. lo stemma della citt riassume meglio di qualsiasi altra immagine le colonne portanti dell'economia del passato:
campeggia un bue che reca in bocca un fascio
di spighe di grano.
anche le stazioni ferme invitano a viaggiare. mi
sono spostato poco lontano, dove si erge un
altro rudere. una di quelle realt cantoniere ben
disegnate e di un'eleganza sobria che non ha
perso nonostante il deprimente stato di abbandono. ricordo quel luogo in altri tempi,
quando era vivo. cos, mi sono addentrato nei
per tutti. avevano abbandonato i loro padri-padroni e spezzate le catene bracciantili erano
ormai lontani. emigrati nelle fabbriche del nord,
a bestemmiare e sputare sangue dai polmoni
nelle catene di montaggio.
mi sono sentito passeggero di una speciale
macchina del tempo che ha riportato la memoria indietro e fatto scattare una sorta di corto
circuito tra i ricordi di bambino che ha vissuto i
primi anni nel borgo pi bello d'italia, come recitava orgogliosamente il titolo di un giornale
dell'epoca riferendosi a la martella. realt rurale alla quale tanto teneva adriano olivetti,
progettata nei minimi particolari da ludovico
Quaroni ed altri, tradita urbanisticamente mille
volte. alla sua periferia, molto pi tardi, sorta
una vasta area produttiva attrezzata. finito di
colpo il sogno dell'industria del mobile imbottito, tornata nel quasi silenzio totale della
campagna che era in principio. desolante.
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squadrata dei rioni sassi. pi avanti si indovinava il vasto solco cementato in cui avrebbero
dovuto essere alloggiati i binari. un serpentone
lungo una trentina di chilometri, spinto ben oltre
lo sguardo e di colpo tramutato in una specie
di torrente per la defluizione rapida delle piogge
e di un fallimento melmoso che ha trovato solamente questo modo insolito per muoversi da
qualche parte.
"straordinario. se piove di nuovo a dirotto mi
organizzo. mi fiondo a pagaiate e ridiscendo
per un bel pezzo la valle del bradano con il mio
gommone. da qui si arriva non lontano dalla
cripta rupestre del peccato originale. la prossima volta non me la perdo". mi girer le foto,
me lo ha promesso un amico ascoltando il mio
racconto. si chiama rafting questo sport che
ha tutta l'aria di una sfida di quelle estreme.
non lo farei mai. ma la cosa forse non tanto
improbabile, non cos come mi apparsa in un
primo momento.
provo a guardare se c' qualcosa dentro il bicchiere - che non neppure lontanamente
mezzo pieno - e ricordo di aver letto da qualche parte che linee ferroviarie, stazioni e caselli
dismessi stanno diventando appetibili. cerco
meglio. sono gi 450 i siti riconvertiti. si parla
di cultural-park diffuso dove i binari si sono trasformati in piste ciclabili e percorsi verdi accessibili a tutti. le chiamano greenways ed
evocano la cosiddetta mobilit dolce. mentre
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UN FALLIMENTO
A SCARTAMENTO
RIDOTTO
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INDUSTRIE
IL PANE E MORTADELLA
SAPEVA DI FERRO
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INDUSTRIE
l garage delle auto, lultimo giorno, gli autisti portavano il lutto al braccio. avrebbero continuato a lavorare per qualche mese, loro. ma ne
avrebbero fatto anche a meno. che senso poteva mai avere star l a
prendere qualche spicciolo in pi di stipendio per scarrozzare i dirigenti che
giorno dopo giorno perfezionavano la morte dellazienda? loro, gli autisti,
avrebbero preferito finire in cassa integrazione a zero ore. non che sia bello
prendere i soldi senza lavorare. per carit. ma anche adesso che era finita, finita davvero, volevano continuare a essere come tutti gli altri, come noi: operai tra gli operai. perch se cera sempre stata una cosa che aveva
differenziato la nostra fabbrica dalle altre era proprio questo: noi s, noi ci sentivamo tutti uguali. operai tra gli operai.
e cos invece che andar la mattina a lavorare in una sesto vuota di facce amiche e di rumori avrebbero preferito passare le mattine a leggere la gazzetta
al bar della wanda, davanti al cancello. parlare dellinter e del milan, ricordare
quando si andava in bicicletta in fabbrica e quando la nebbia era nebbia, mica
questa roba qui di adesso. avrebbero voluto far la fine dellattilio dellaltoforno che ai novellini, il primo giorno, quando li portavano in visita al reparto
ripeteva sempre: la vedi questi fiamma? Questa come il vaticano, non
morir mai e gi bestemmie contro i preti, i vescovi, la maestra dellasilo che
era una suora mancata e tutto il calendario tranne san pancrazio, patrono di
canicatt, il suo paese. o come il gigia del reparto laminati che non aveva
saltato un giorno di lavoro neanche quando era morto suo padre: perch il
lavoro sacro, me lha insegnato lui. e il modo migliore che conosco per onorarlo lavorare. oppure, del dario detto fusibile, lelettricista del turno di
notte. che aveva due figli drogati e la sera preferiva star fuori di casa piuttosto che vederli tornare in quel modo, disgraziati. e dellanna, quella che stava
alla contabilit e ne sapeva di numeri: veniva da gi pure lei, e non si mai
capito se lultimo del mese era un giorno bello perch si andava a ritirare la
busta paga o perch la busta te la dava lei ed era un bel vedere. o la fine della
gaia, la signora della mensa, che a ragazzi giovani e senza moglie dava sempre di pi da mangiare che poi a casa a te chi ci pensa? che quando trovi
una tusa diglielo che a te ci pensa la gaia a dar da mangiare ed per questo che sei cos bello e sano e ogni luned per se il milan aveva perso agli
interisti non parlava.
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e invece era lultimo giorno, almeno per noi. rimanevano i manutentori, una
squadra di meccanici e tutti quelli che dovevano piano piano avviare lo stabilimento a spegnersi. curatori fallimentari di un mondo in dismissione. certificatori controvoglia che s, era vero: era davvero finita. a nulla erano serviti
mesi di lotte e di battaglie. non erano servite le manifestazioni fino in piazza
duomo, chilometri di strada con la gente che ti guarda e non capisce. a nulla
erano servite le petizioni fatte firmare a scuola dai figli, le raccolte in chiesa che
il parroco l a sesto era uno di noi. non erano servite le persone arrampicate
a protestare sulla ciminiera, e quelli a per terra gridare in faccia alla polizia. non
era servito bloccare la stazione centrale, che tanto quelli che decidono figurati se si muovono in treno, in treno ci vanno i poveracci. non era servito nulla
di quello che ci avevano raccontato i sindacati dentro e fuori la fabbrica. non
INDUSTRIE
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erano serviti a niente gli intellettuali venuti davanti al cancelli. erano serviti ancor meno
i politici che portavano parole e gli studenti che portavano bandiere. era finita e basta.
e dire che ci avevamo creduto davvero agli slogan, ai canti. il lavoro non si tocca.
Questa fabbrica vivr. da qui non ce ne andremo. tutte balle. il lavoro lhanno toccato. la fabbrica morta. non ce ne andremo, ma intanto ci hanno sbattuto fuori.
cambia il mondo, ci hanno detto. voi siete del mondo vecchio, adesso c il
nuovo. cazzo questo nuovo? che cazzo di lavoro fa questo nuovo? smontare lo
smontabile, questo era lultimo ordine di servizio. impacchettarlo in casse di legno
chiuse con i chiodi e spedire tutto in india, via nave. come si mette una fabbrica
dentro una nave, porcaccia troia? che adesso il lavoro lo fanno fare ai giargianesi e
a noi non rimane che restare qua, con le mani in mano ad aspettare la pensione dice
ogni giorno lattilio. signori si spegne, si chiude tutto e arrivederci. basta colate continue, basta acciai, basta turni di notte, basta qualunque cosa. addio a quel rumore
cadenzato che cera quando si faceva il turno di notte, pam pam pam. addio alla sirena che suonava per il cambio turno. addio al pane e mortadella che sapeva di
ferro, perch lo scaldavamo dove non si poteva e mangiavamo ridendo, nel mezzo
della fabbrica.
acciaierie e ferrerie lombarde falck, cera scritto allingresso del t5, stabilimento
unione. Qui dentro lavoravamo in cinquecento. cera la gaia, il gigia, lattilio, lanna
e il dario. cero io che ero entrato a ventuno anni e qui avrei voluto morirci. ceravamo tutti, lultimo giorno. oggi non c pi nessuno. solo quello che vedete in queste foto che non guardo pi, perch senn mi metto nuovamente a piangere.
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osvaldo spadaro, 37 anni,
quando pu viaggia, quando riesce
scrive, se poi qualcuno lo pubblica o
meno poco importa. vorrebbe vivere
in polonia solo perch l il reportage
un genere letto e rispettato, ma invece vive a milano. preferisce l'asia
al resto del mondo semplicemente
perch il resto non l'ha ancora visto.
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LULTIMO SPETTACOLO
LULTIMO MATTO
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E una ventina di uomini e donne anziani, mescolati ad una decina di operatori della cooperativa, che stavano amabilmente chiaccherando, tutti con tutti. Una festa. Senza aggettivi.
Ero lunica che gli ospiti del manicomio non conoscevano e quindi qualcuno, spinto dalla
curiosit, mi aveva rivolto la parola: Chi sei?. Sono unamica di Stefano. Sei la sua
morosa? No, avevo risposto ridendo, solo unamica.
Poi avevo sentito un ciao provenire dal lato pi lontano della sala. Un uomo apparentemente anziano, ma dallet in realt indefinibile, mi stava chiamando. Accucciato a terra,
con la schiena contro il muro. Mi ero avvicinata a lui, accucciata a mia volta per vederci
in faccia.
Ciao, io sono Laura, tu come ti chiami?
Ci avevo messo un po a decifrare che si chiamava Luigi. Parlava a voce bassissima e articolava le parole con difficolt. Luigi continuava a fissarmi col suo volto da bambino invecchiato.
Sei contento di cambiare casa?, gli avevo chiesto, per sbloccare la conversazione.
Mio fratello non c pi, era stata la sua risposta. O meglio quello che avevo dedotto dai
suoi bisbigli.
Stefano, il mio amico, si era avvicinato a noi silenziosamente.
Luigi ha settantanni - mi aveva detto - ed qui da quando ne aveva sette.
Era molto bravo, Stefano. Mi aveva spiegato che il compito suo e degli altri operatori era
quello di dare potere a loro, che non ne avevano. Il nostro potere di contrattazione sociale come lui definiva la capacit di esistere in societ, la capacit di essere considerato,
di non essere invisibile perfino nelle situazioni pi quotidiane.
Tu cosa fai?, aveva chiesto improvvisamente Luigi.
Io scrivo, gli avevo risposto.
Non so scrivere, era stata la sua risposta di rimando.
Non ricordo bene il resto della conversazione con Luigi. Piccole frasi faticose e quotidiane come: ti piace laranciata?.
Ma si era stabilita una corrente, tra me e Luigi.
Sei brava, potresti fare loperatore, mi aveva detto Stefano. E mi aveva raccontato la
storia di Luigi.
Era stato internato nel manicomio di Oderzo a sette anni, assieme al fratello di dieci.
Erano figli di una donna che ai tempi veniva considerata di scarsa moralit. Erano due
bambini difficili, riottosi e vagabondi. Qualcosa, nessuno sapeva esattamente cosa, era
accaduto alla madre e i due ragazzetti erano rimasti abbandonati. Portati al manicomio perch era il posto pi vicino a casa loro.
L erano stati letteralmente dimenticati. Nessuno era mai venuto a chiedere di loro. Luigi
e il fratello Giovanni, morto qualche anno prima, erano cresciuti nel manicomio. Con le
regole del manicomio, con i tempi e i metodi del manicomio. Incapaci, al momento della
loro maggiore et, di vivere fuori. Bambini difficili, adolescenti internati. Adulti non
funzionali.
Erano rimasti nellunica casa e nellunico mondo del quale conoscevano le regole.
A un certo punto Luigi mi aveva preso la mano e laveva stretta. Ricordo che avevo fatto
fatica a trattenere le lacrime. Ero rimasta l, accucciata, con la mia mano nella sua per un
tempo che non sapevo contare, forse solo un momento, forse uneternit.
laura mezzanotte, 53 anni, giornalista trentina. da ventanni appassionata della politica
africana e di tutto quel che accade sotto il sahara. ama, in modo particolare, il sudafrica. nel
ultimi tempi si dedica ai viaggi immobili e alla scoperta di micromondi.
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MANICOMI
MANICOMI
pistoia
il pianoforte
di ville sbertoli
suona ancora
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MANICOMI
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colorno
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mombello
i ghost
hunters a
caccia di
benito albino
foto di giovanni mereghetti
testo di silvia la ferrara
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lex ospedale psichiatrico giuseppe antonini si trova a mombello (a nord di limbiate), accanto alla settecentesca villa pusterla dove napoleone proclam la repubblica cisalpina. fu costruito nel 1873 ed arrivato a ospitare oltre 3 mila pazienti, fra
i quali anche il figlio illegittimo di mussolini, benito albino, morto internato nel 1942.
un muro di cinta alto due metri e lungo tre chilometri separava dal mondo oltre 40
mila metri quadrati di stanze, celle e corridoi abbandonati definitivamente nel 1999.
oggi la propriet dellazienda ospedaliera salvini. la destinazione socio-sanitaria
dellarea, che non permette aumento di volumetrie, rende lex manicomio poco appetibile dal punto di vista immobiliare. i gost hunters invece lo amano e vengono qui
a caccia degli spiriti delle persone decedute tra le corsie.
un tempo i
matti polesani.
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MANICOMI
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rovigo
PRENDI IL 25,
PORTA FINO AL GIGANTE
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S. Ma sei sola l?
F. Ma cosa dici? Tutte le stanze del secondo piano sono ormai piene. Gli
ultimi arrivati sono i nostri vicini, Mamad e Jameela. Sono qui dalla scorsa
settimana, ma gi Rasha e Nazeera, la loro piccola, sono diventate grandi
amiche.
S. Ma sicuro almeno?!
F. Il posto tranquillissimo, ci sono solo delle regole da rispettare: chiudere sempre con la catena la porta principale e, se si sentono voci strane o
passi che non provengono dal nostro corridoio, bisogna stare immobili e in
silenzio. Potrebbero essere curiosi che si avventurano per fotografare o, nella
peggiore delle ipotesi, poliziotti mandati qui a controllare.
S. Ma c almeno da mangiare?
F. Come no?! Qui c una sala mensa enorme, cucine attrezzate, bagni, puliti con doccia e vasca. Non manca nulla! C anche un teatro e ogni gioved
si organizzano spettacoli! Vedessi Rasha com contenta!
S. Fatima, non vedo lora di riabbracciarvi! Ho un po paura per questo
viaggio, stasera fa freddo e il mare agitato. Ci vediamo presto! Un bacio.
F. Non vedo lora anchio di stringerti. Ti bacio e ti stringo forte.
Mentre saliva sulla barca accompagnato dalle urla dello scafista, Said riusc
a trovare una piccola nicchia allinterno del portello nella prua della nave.
Anche se doveva condividere il posto con altri novecento corpi quella notte
sorrideva. Avrebbe presto rivisto Fatima e la sua piccola Rasha, e, in quella
notte fredda, questo pensiero gli scaldava il cuore. La Sherazad silenziosa
avanzava sulle onde minacciose. Solo le urla dei neonati squarciavano il religioso, accorato silenzio dei suoi compagni di viaggio. Mentre la luna, filtrando da una fessura nel legno, illuminava le facce impaurite dei suoi vicini
di posto, Said si addorment esausto per pochi minuti pensando a quellospedale lontano: il Banti.
Quella notte fu lultima per la Sharazad, non ce ne furono altre mille.
Lampedusa, Isola dei Conigli, 3 ottobre 2013
la statua
dellappennino, nel
parco di pratolino
lex sanatorio banti
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SANATORI
SANATORI
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firenze
leX sanatorio
banti
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AVETE TUTTI
LANTITETANICA?
Testo e foto di Francesca Duca
citt, non praticate e impraticabili, che danno accesso ai mondi dell'inaspettato e del sorprendente.
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alla base, un teorema, 'chi perde tempo, guadagna spazio' e una legge, la pi severa. 'non si
torna mai indietro'. una volta scelta la direzione,
non ci si ferma davanti a niente. si procede, per
'violazione' dello spazio privato, demolendo le infinite barriere fisiche e mentali, che quotidianamente ci costringono, come animali in cattivit, a
percorrere le vie della norma, le strade precostituite. ci si riappropria degli spazi, scavalcando
muri e cancelli, entrando da buchi nelle recinzioni,
tuffandosi nei fossi, tra boscaglie e rovi, o anche,
semplicemente, dalle porta principale, aprendole
con l'arte dialettica. il tutto a rivendicare la suprema libert di movimento e il diritto di conoscenza.
corso di arti civiche, dunque. un gruppo eterogeneo di studenti e non, artisti e non, docenti e
non, di diversa provenienza. dal brasile, dal cile,
dalla spagna, dallitalia, dalla svizzera. appuntamento tutti i gioved per andare alla scoperta di
roma ovest. tanta avventura. su gi nello
spazio e nel tempo. salite e discese. voli. io con
loro. in cerca della forma giusta per raccontare la
magia dei fatti. realmente accaduti. Qui parte di
quel che ho 'visto' con le parole:
andante/volendo uscire/paura di
essere/inermi/scudi finiti/solo/lo
sguardo
camminiamo su prati di macerie. ogni passaggio
ne lascia. ci dirigiamo verso la foresta di cellulosa. grande struttura abbandonata. divieto di
accesso. vigilanza armata. entriamo tra i vetri
rotti delle serre. muffe, funghi, carte e provette.
porta spazio/tempo. in fila indiana procediamo.
millepiedi attraverso il maggese. ci appare, luogo
sacro, dopo tanto cercare, l'aula del muschio.
entriamo. statue sospese, galleggiamo, ranocchie in uno stagno. tutto verde, anche le parole, umide nella nostra bocca. densi i raggi di
luce. il sempre e il mai si confondono. castelli,
corti, santuari. i giovenale, il guardiano della porcareccia. santi, santini. abitanti del vecchio
mondo. le terre coltivate a suoni e odori. si apre
un varco. pier paolo pasolini nei nostri palpiti. caliamo tra gli alberi da zucchero filato. vola nell'aria. si posa, sulle sabbie quaternarie dell'antica
via carovaniera. fauni di ermes ci indicano il cammino. monte del mare. che non c' pi. prosciugato da piscine azzurre. carcere di massima
sicurezza. vista mondo. gli abitanti, ricchi mercanti di schiavi. tanto ossessionati dal mio, si
sono imprigionati da soli. strade circolari. vicoli
ciechi. bisogni vietati. pelli sottili e glabre che mai
hanno superato gli alti muraglioni coperti di rovi.
corona spinata cresciuta sui fossi. arcaica via
nomade. inaccessibile. e noi qui. tenacemente
cerchiamo un varco. telecamere e cancelli automatici. ci infiliamo ovunque. tunnel nella foresta
a galleria. e gi. con le corde. tra bamb, liane e
rose. si lacerano i vestiti. restiamo nudi. niente
possono milioni di insetti sulle nostre carni pelose. cacciatori raccoglitori. urliamo. di gioia. costruiamo ponti per passare. primi da secoli. si
scavalca qui e l. un vizio. ci guardano. tanto
dove credi di andare. rimbalziamo. barriere in
parallelo. alta resistenza. salti nel vuoto. variegati. sfioriamo cime d'albero. abbaiano cani. in-
sistenti. paure e piccoli drammi interiori. e arriviamo. finalmente al nostro posto. giardino delle
follie proibite. Qui la via di fuga. decisamente a
sud. alla citt delle arti. dopo tanto andare.
dopo tante prove. sediamo. i maestri al fianco.
sotto la grande tenda tessiamo la tovaglia dei festeggiamenti. infinita. per apparecchiare il
mondo. sono in tanti, ambasciatori della citt
nomade. e ora anche noi.
FRANCESCA DUCA, 38 anni, paleontologa, dedita al
libero andare, vive e ama l'altrove come fosse casa.
interpreta voracemente ogni ruolo: educatrice, imbianchina, insegnante, trippaia, ricercatrice, traslocatrice.
perseguendo la conoscenza sogna, un giorno, il sapere.
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Come si affaticato, che pena che fa / pensare a tutto quel niente, dillo piano / magari ci sente.
IL MONDO
SPOPOLATO
DI PAVANA
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Chi era qui che zappava e mungeva / chi insomma c'era non l'avrebbe voluto / il crollo del fienile e neanche, inutile dire, / questo scrostarsi pareti, la
gramigna / tra le fessure del selciato e tutto sommato il mondo / l'intero
mondo spopolato. Il mondo quello l, che c'era / e pensava alla primavera
come a una promessa, la terra del campo spessa come una preghiera.
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di Porretta dove, davanti a un th caldo, sfoglio in disordine le sue parole: "(...) tra le fessure del selciato e tutto sommato il mondo /
l'intero mondo spopolato. Il mondo quello l,
che c'era / e pensava alla primavera come a
una promessa, la terra del campo spessa come
una preghiera", scrive.
Siamo rimasti qui da soli / dove sono finite le bestie / le ostie degli uomini le
madonne / i bambini cugini i figli le donne? / E questi alberi che guardano /
non crediate che siano in pace / come un grido questo bosco / anche se tace.
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FABIO SEBASTIANO, 38 anni, nato a Rivoli, in provincia di Torino. Si avvicina alla fotografia subito dopo
la laurea in Psicologia. Si appassiona ai contesti in disuso, ai luoghi vacui ed indecisi. Da diversi anni,
ormai, si occupa di fotografare/documentare in chiave
artistica gli spazi abbandonati del suo territorio. Ha
realizzato mostre, pubblica sulla stampa specializzata.
Tutte le sue fotografie sono visibili sul www.fabiosebastiano.it o sul suo account flickr: fabio_sebastiano.
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mondo e poi non essere all'altezza della propria intuizione. Per quanto mi riguarda, non
sono immune dalla vanit, per cerco di andare per la mia strada, cerco l'onest e le persone. Mi piace leggere per loro. Sono convinta
che le persone, soprattutto quelle ferite, abbiano bisogno della poesia".
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SI MUOVONO SU BINARI
IN UNA LUCE SENZA FINE
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STORIE
DI FOTOGRAFE
LA BELLEZZA
DI FRANCESCA
testo di francesca cappelli
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rancesca Woodman
non arrivata a compiere ventitr anni. Ha
ricevuto in dono la benedizione della Bellezza, ma
non riuscita a tenere testa
ai propri demoni. Guardate
le sue fotografie: ti tirano e
rapiscono. Non ammettono
nessun diaframma di distanza. Dentro un abbraccio
di quiete, dentro un quadro
in uno stato di completo abbandono, il mondo reale
ad esser lontano, diverso,
estraneo. Sono foto che
creano un tempo del silenzio, dove lardente forza di
Francesca scarnifica e purifica, dove le sue paure si
scoprono essere le nostre.
stesso mese Francesca Woodman dice volontariamente addio alla vita, che
pur sicuramente amava, gettandosi dalla finestra del
Barbizon Building a Manhattan. Ledificio conosciuto come lhotel delle
donne.
Tante parole sono state
spese su Francesca. Provate
a leggere, a capire cosa in
essa vedano gli altri, ma ricordatevi che siete voi a
guardare le sue foto, la sua
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IL CONTATORE
DI SAN SILVESTRO
Questa la storia di un abbandono e di una
resurrezione. per duemila anni gli uomini hanno
strappato minerali a questa terra maremmana. poi
tutto fin. e furono gli archeologi e i vecchi minatori a
far rinascere uno dei pi bei parchi italiani l dove
erano gallerie, villaggi minerari e ruderi di unindustria
Testo di Arturo Valle
Foto di Giovanni Breschi
c
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talpa, capaci di scorgere le mutazioni del colore delle rocce per individuare filoni; abili e coraggiosi da scendere fino a centodiciassette metri sottoterra pur di strappare ferro e rame a
queste colline cos generose. luomo, qui, ha faticato, ha corso pericoli mortali, ha dato la vita
per i metalli. era mosso da avidit (cercava rame, ferro, argento, piombo) e da necessit. gli
etruschi, i minatori del medioevo, gli operai tedeschi del rinascimento mediceo: tutti vennero
a scavare in queste terre. e, infine i contadini di campiglia e san vincenzo abbandonarono i
campi e gli orti per diventare minatori. ci furono geologi francesi e finanzieri inglesi privi di
scrupoli, fra ottocento e novecento, a cercare di fare soldi in queste terre. nel 1976, atto finale: a milano vennero scritte sessantuno lettere di licenziamento dirette a Discorso Lungo,
ad Arancino e ai loro compagni. fu allora che qualcuno abbass quel tasto rosso.
ma questa non la storia di un abbandono. nel 1984, otto anni dopo la chiusura delle miniere,
un gruppo di giovani archeologi delluniversit di siena risal i sentieri di san silvestro. li guidava e li istruiva un medioevalista burbero e sapiente. si chiamava riccardo francovich. lui
sapeva di un antico villaggio minerario. organizz campagne di scavo, trov alleati e complici
appassionati. e, come in una parabola a lieto fine, nacque un futuro in un luogo abbandonato.
fu un cammino lungo e ostinato. nel 1996, le antiche miniere divennero un parco archeominerario. dumas, s, allora, declam le sue poesie e ci fu vino e festa. s, questa la storia di
una resurrezione. di una possibilit, di una rinascita. in altri anni di lavoro furono
recuperati pozzi e palazzine delle miniere novecentesche, i vecchi edifici industriali si trasformano e diventano sale di museo, ostelli, laboratori. meglio: sono
nuove architetture, geometrie, disegno, panorama, bellezza.
altri dieci anni. nel 2006, giovanni breschi, il grafico che oggi fa erodoto, si aggira per i vecchi impianti, per gli spogliatoi abbandonati, per le sale macchine coperte dalla polvere. e scorge il contatore. lo fotografa. affascinato dai segni
delluomo. dalla memoria. dai gesti che stanno dietro gli oggetti. tentato di indossare delle cuffie anti-rumore rimaste appese a un chiodo. le macchie di ruggine su una lamiera sono un piccolo capolavoro. lincastro confuso di ingranaggi
bloccati sono una scultura. i cartelli impongono ancora divieti oramai inutili. la
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vecchia minieria novecentesca diventata unopera darte, creazioni della fantasia robotica di
paul klee o di vasilij kandisnkj. c ancora una cassetta colma di grossi dadi dalla filettatura
spessa. come se riapparissero anche quei minatori (non ci sono uomini nelle sue foto, ma
la loro presenza si intuisce) a mettere in moto largano o un compressore.
strano il destino che avvolge quanto rimane dopo una dismissione industriale: quegli impianti (nastri trasportatori, macchine rumorose, cinghie, cavi, compressori) cambiano davvero. prima hanno potenza. sono lavoro. vita di decine e decine di uomini. possono far
nascere sensazioni di potere o di ostilit (chi definirebbe bella una fabbrica o una miniera du-
rante gli anni della fatica? le miniere in attivit fanno subito pensare allo scempio ambientale).
poi le miniere chiudono. e allora, come un rito, si lotta per cercare di farle sopravvivere, si
perde quella battaglia (era una battaglia persa) e gli impianti vengono abbandonati. e poi questa ferraglia intrisa dellanima dei minatori si trasforma, trova una nuova vita, un altro significato: gli archeologi industriali vi si aggirano incuriositi e beati, mentre gli artisti, come i fotografi,
ci trovano istanti di perfezione.
GIOVANNI BRESCHI, 63 anni, molti passati nei
Parchi della Val di Cornia fra grafica e fotografia,
ma soprattutto a guardare e vivere la trasformazione
di questi luoghi. Vive a Firenze.
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Torno a guardare queste immagini, immagini nelle quali si fondono astrattismo e memoria, sembra
impossibile, ma la magia di questi luoghi, luoghi abbandonati, luoghi tornati a vivere grazie a quei
giorni belli, luoghi che devi saper abbandonare come figli ormai cresciuti
Quei segni non sono fantasmi, sono compagni di viaggio, un viaggio bellissimo, che ha lasciato un
altro segno.
Silvia Guideri
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parco archeominerario di san silvestro. lidea del parco nacque nel 1984: il dipartimento di archeologia medievale delluniversit di siena avvi allora, con la collaborazione dellamministrazione comunale di campiglia marittima, una campagna di scavi nellarea della rocca
di san silvestro. nel 1989 fu varato un progetto pilota per il parco. che venne aperto sette anni
pi tardi. il parco, quasi 500 ettari, si trova nel territorio del comune di campiglia marittima (via
di san vincenzo). al suo interno si succedono itinerari naturalistici, esplorazioni in gallerie e visite archeologiche. apertura estiva: tutti i giorni dalle 9 alle 20. giugno e settembre: ore 9-19.
chiuso al luned. nei mesi invernali il parco aperto nei finesettimana e nei giorni festivi o su prenotazione per gruppi e scolaresche.
tel. 0565/838680. e-mail: parcoss@parchivaldicornia.it sito web: www.parchivaldicornia.it
on riesco a scrivere di abbandoni. difficile, perch doloroso. Le foto trasformano e reinterpretano una storia di abbandono, lamiere arrugginite diventano geometrie, bellissimi fiori,
folletti curiosi, segni nei quali ciascuno pu vedere ci che vuole, come quando guardi le nuvole. Questo paesaggio interamente fatto di segni, tracce di una discenderia su cui vedi passare carrelli carichi di minerale, castelli di ferro che tirano su argani, castelli di pietra che osservano severi
dallalto della loro antichit, crudeli gradoni che spezzano la montagna.
Non pi e non soltanto fiori fatti di sangue, folletti tenuti al guinzaglio, riflessi argentei di luce, ma
segni, segni del lavoro, segni di vita, segni di storia.
Per un archeologo i segni sono vita, lavoro, memoria e se questi segni diventano gran parte della loro
vita, del loro lavoro, della loro storia, se quei segni rivivono con gli studi, con gli scavi, con la memoria, ecco che diventa difficile parlarne a proposito di abbandoni e ancor pi difficile scriverne. Non
facile, per chi come me non abbastanza social, condividere lintimit di certi sentimenti, perch
quei segni sono anche sentimenti.
Ogni giorno attraverso quei segni che non sono pi soltanto segni e non sono pi storie di abbandoni.
Chi ha spento quellinterruttore una figura viva e vibrante, che ha un nome Dumas, che ancora oggi
ci racconta con pazienza e passione la sua storia. Ma la sua storia si intreccia con quella di un ragazzo che ripete le sue parole nel buio di una galleria, si fonde con la storia di tanti ragazzi che
hanno riacceso insieme quell'interruttore, con curiosit, con allegria, con tenacia. E con quella di tanti
visitatori, trentamila ogni anno, che vengono attratti da quei segni e da quella storia.
Andrea, il mio amico scrittore di viaggi, in uno dei suoi messaggi vibranti e pieni di memorie mi ha
chiesto se il passato serve a qualcosa, Giovanni, il fotografo, cercando con delicatezza di convincermi
mi ha scritto: Erano giorni belli dove nascevano molte cose, dai che ce la fai.
Certo che il passato serve a qualcosa, senza passato non c futuro. Erano giorni belli, dove labbandono tornava alla vita.
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Extreme survival,
dice la guida.
Forse venire qui
stato un errore.
O forse no
BENVENUTI A CHERNOBYL
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dal 2010, si pu
visitare il luogo della pi
spaventosa catastrofe
nucleare mai avvenuta.
i turisti vogliono
divertirsi, si fotografano
davanti al contatore
geiger.
ma poi ci sono le
giostre abbandonate,
le camere degli
alberghi, centomila
persone scomparse.
Questo il mondo
dopo luomo.
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altre organizzazioni.
allasilo numero 6 tutto si fermato quel
giorno. i disegni dei bambini sono ancora appesi alle pareti, i giocattoli sparsi sul pavimento. una bambola nuda, senza braccia,
abbandonata su un sentiero. fu una delle immagini pi note della catastrofe. ancora
qui. chernobyl ci appare come un set cinematografico.
il contatore geiger ora misura 4,63 msv. un
anziano norvegese indica dei fiori di campo e
chiede a stephan se di notte diventano fosforescenti.
adesso solo il canale delle acque di raffreddamento ci separa dai giganteschi camini
grigi dei primi tre reattori. incredibile, ma il
reattore numero 3 stato spento solo nel
2000. di fronte a noi, racchiuso allinterno di
quello che appare come uno stabilimento industriale dismesso, si trova ci che resta del
reattore numero 4. il cuore dellapocalisse.
alle una e ventitr della notte del 26 aprile
1986, unesplosione gigantesca sventr il
tetto delledificio. violenti incendi divamparono per nove giorni consecutivi. si cerc di
spengerlo con migliaia di tonnellate di
piombo e sabbia. lemissione di vapori radioattivi continu fino al 10 maggio. ai primi
di maggio cominciarono a morire i vigili del
fuoco. furono evacuati tutti gli abitanti nel
raggio di trenta chilometri. 116.000 persone.
nei due anni successivi, attorno al nucleo
fuso e alle macerie radioattive, venne costruito il sarcofago. un precario agglomerato
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GLI OCCHI
LA LIBERT
DEGLI ALBERI
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Intervista di
Valentina Cabiale
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un progetto artistico, uno spet- luci, per cui vedo due metri di
tacolo teatrale e musicale. Si cavo davanti a me e basta.
* il famoso slogan del funambochiama TRK#1 del gruppo no- lo
Philippe Petit, la cui impresa
gravity4monks. Ci sono io e pi celebre e illegale fu, nel
quattro musicisti. Un violoncel- 1974, la camminata su un cavo
lo, una viola e due chitarre. Io metallico teso tra le Torri Gemelle
del World Trade Center.
suono il cavo. Che amplificato. ** il ponte di Akashi-Kaiky
Uso i piedi. ***
***La fune dacciaio ha un diameNon fa differenza camminare
sopra lacqua o sopra la terraferma?
pi o meno uguale. La prima
volta che dovevo camminare sospeso sullacqua mi sono chiesto
come sarebbe stato, visto che
lacqua si muove. Ho imparato,
per, a prendere riferimenti per
lequilibrio solo interni; dellesterno, lunica cosa che sempre uguale il cavo. Lacqua che
scorre, posso evitare di guardarla. Quando lavoro di notte, ho le
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QUADERNI
A QUADRETTI
guido scarabottolo
la scarabattola
di scarabottolo
carabottolo con il minimo sforzo, cambiando cio solo due vocali, diventa
scarabattola che sarebbe, secondo la definizione del dizionario una vetrinetta che contiene argenteria o oggetti pi o meno preziosi, oppure, altra
definizione che va ad aggiungersi alla prima, edicola a vetri che espone immagini e oggetti sacri.
ignoro letimologia della parola, ma so che esiste anche la versione maschile, scarabattolo, con lo stesso significato. Qui il cambiamento si riduce della met, una
sola vocale. lecito, anzi doveroso, ipotizzare che la stessa etimologia porti al nostro scarabottolo.
dunque guido potrebbe a giusto titolo essere definito una vetrinetta che contiene
oggetti pi o meno preziosi. e la definizione, anche se azzardata, avrebbe certo
una sua pertinenza, se pensiamo che nelle pi tradizionali scarabattole (ad esempio quelle del presepio napoletano) gli oggetti vanno a comporre un unicum compositivo complesso, variegato, caotico, ma pur sempre avvertibile e riconoscibile.
cosa che fa anche guido, ricomponendo un quadro dinsieme che , daltra parte,
la somma di ogni singola tessera di mosaico.
le copertine che guido scarabottolo disegna sono quindi singoli elementi narrativi che vivono una vita propria e autonoma in sintonia con il libro che ricoprono, ma
sono anche brandelli del discorso complessivo che lartista svolge con il disegno:
ed questultimo un discorso autoreferenziale, che riguarda solo lartista, e ha con
i libri copertinati contatti precisi, ma che potremmo definire, anche, casuali e ininfluenti.
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si potrebbe quindi parlare, come abbiamo fatto altre volte, dellelegante understatement di guido, di quel suo mai prendersi troppo sul serio, si potrebbe raccontare
della sua ironia, del suo tono di voce sempre in punta di piedi, della sua riservatezza, della sua gentilezza e disponibilit. si potrebbe parlare ancora una volta del
maestro silenzioso, di quel suo entrare in rapporto quasi panico con gli oggetti (la
sedia che si siede su una sedia, i deserti ingombrati da oggetti di design), oppure
della sua tecnica di disegno, della sua ricognizione nel mondo della riproduzione
tecnica, ma questo non ci aiuterebbe ad andare a parare dove volevamo.
di pi ci aiuta una frase dello stesso guido, incastonata nella prefazione del suo
sotto le copertine:
provate a immaginare un pittore che durante la sua vita fa un solo grande disegno,
composto da tutti i disegni che ha, quotidianamente, fatto. sempre lo stesso disegno.
tutti i pezzettini che guido ogni giorno ci mostra con il suo lavoro fanno
parte di quel grande, unico, disegno totale, che ritrae la cifra stilistica, la
personalit, lanima dellartista.
sono tutti oggetti che si offrono alla nostra vista uno per uno, copertina
per copertina, disegno per disegno, ma tutti vengono accostati luno allaltro e raccolti, visione dinsieme, in unideale vetrinetta che contiene
argenteria o oggetti pi o meno preziosi. in una scarabattola, come volevasi dimostrare.
guido scarabottolo
per gli amici bau. nasce a
sesto san giovanni nel 1947
e si laurea in architettura al
politecnico di milano.
dal 1973 fa parte dello studio
arcoquattro. collabora con i
principali editori italiani.
per 12 anni stato art director di guanda. progetta libri
per topipittori e vanvere.
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ecco, provate a immaginarlo e avrete forse il ritratto del guido scarabottolo che tutti amiano. sempre lo stesso disegno. sempre per differente. sempre in grado di tessere un discorso a tutto tondo sulla sua arte
ma anche di rappresentare, con propriet, il tema del momento, loggetto della commissione.
la libreria
francavillese
nella puglia
pi oscura
STORIE
DI LIBRI
I LIBRI L
DOVE NON SI LEGGE
libreria. Antonio Di Summa, tornando qui da Torino (dove, ripete spesso, avrebbe potuto fare il
grafico squattrinato rinchiuso in
una polverosa e malinconica
chambre de bonne), sognava di
aprire un grande spazio aperto
alla serendipit e allincontro
casuale tra libri e lettori. Questo
ancora non avviene, da un lato
perch la libreria troppo piccola,
e da un altro perch qui funziona in modo diverso. Credo per
che la scoperta pi importante fat-
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UNA FOTO
UNA STORIA
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Veronica ha atteso
invano il ritorno del
marito. Alla fine ha
raccolto tutto il suo
coraggio ed venuta alla
nostra caserma.
Per denunciarne la
scomparsa. Andammo
alla loro casa: tutto
aveva il sapore della
povert. Le mura umide
e scrostate. E, allo
stesso tempo, vi era una
cura disperata. Il letto
ben rifatto, tessuti alle
pareti a coprire le grinze
dellintonaco. E poi il
dolore di Veronica. La
sua stanchezza. I suoi
occhi affranti. Appariva
invecchiata di colpo. Ha
tirato fuori con lentezza i
pantaloni di Ludovicu, i
maglioni, la biancheria.
Veronica una donna
rumena. Non riesco a
sentirla straniera. Il suo
dolore, le sue occhiaie,
le sue rughe sono le
stesse delle nostre
donne.
LUDOVICU
SCOMPARSO
di Mariano Silletti
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montescaglioso, fotografo
per passione profonda,
non volevo che questa
storia fosse dimenticata.
ludovicu, da subito, non
stata solo unindagine e
una ricerca. qualcosa
che ha toccato la mia
anima. e ho provato a raccontarla. un tentativo difficile: ero protagonista,
volevo ritrovare quelluomo, era il mio mestiere
e il mio dovere e, allo
stesso tempo, sono stato
losservatore coinvolto in
una storia che avveniva
nella mia terra. una storia
che, alla fine, entrata a
far parte di me.
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udovicu scomparso.
da sette anni abitava
a montescaglioso, un
paese delle colline attorno
a matera. era arrivato, con
la sua famiglia, dalla romania. in un giorno di dicembre di due anni fa,
inverno lucano, settimane
di freddo e di pioggia, ludovicu uscito di casa e
non pi tornato. allora
aveva 57 anni e da tempo
soffriva di alzheimer. da
quel giorno, nessuno lo ha
pi visto, nessuno sa dove
possa essere andato. un
uomo pu scomparire.
veronica, sua moglie, lo ha
atteso per ore. alla fine ha
raccolto tutto il suo coraggio ed venuta alla nostra
caserma.
DI MUSEI
STORIE
LA BORA UN
VENTO FEMMINA
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STORIE DI BICICLETTE
a ciclofficina mondo un bel negozio di via marsala, pieno centro di brescia, qualche centinaio di
metri da piazza della loggia. il suo nome africano
gekak, tutti uniti, nella lingua mandingo dei bambara del mali. nessuno, tranne che nei documenti ufficiali, usa questo nome. Qui si fanno riparazioni, si smontano e rimontano biciclette, se ne vendo di usate. vi
lavorano tre africani. ognuno ha la sua storia, sorride
Justus, 34 anni, kenyota, grande e grosso, ma non me
la vuole raccontare, quando gli chiedo come arrivato
qua. ha un bel carattere, cos a occhio. ha laria di stare
bene qui. non si toglie mai un cappellino alla Jovanotti.
in kenya era contabile. ma anche, e questo lo sapr
dopo, da altri, stato giocoliere e acrobata.
poi c hamit. il pi anziano, 40 anni. viene dal ciad. da
un paese che si chiama moundo, a sud di djamena.
un tebu, popolo nero di quelle terre sahariane. una
fuga in libia dopo una ribellione disperata. anni fra zliten e misurata. una moglie, un figlio. poi, lo sapete, la
PISTOIA
GONFIAGGIO
RUOTE
1 EURO
testo e foto di
Maria Di Pietro
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BRESCIA
CICLOFFICINA
MONDO
infine, hamara. 24 anni (forse). viene dal sud del mali. so, perch lo leggo altrove
(lui non me lo dice), che suo padre gi riparava biciclette a bamako. il pi silenzioso: non voglio parlare. ma il primo a scattare appena entra un cliente. gentile, accogliente, abile.
hamara e hamit hanno scalato i
gironi terribili della libia, del mare
di lampedusa, dei centri di accoglienza, della violenza continua
del tempo perduto, dellabbandono e della disattenzione che
passa negli alberghi dove ti rinchiudono come rifugiato. Justus,
invece, ha ribaltato la sua vita: via
dal kenya, via dal mestiere di contabile, poi, in italia, via dai campi
dei pomodori o dagli oliveti pugliesi. mai avrei immaginato di riparare biciclette, mi dice. fra
loro, i tre soci (gekake una cooperativa), parlano in italiano. brescia un crocevia strategico dellimmigrazione: citt della beretta,
delle industria alimentari, qui c
(cera?) lavoro, qualche possibilit
in pi. esco dalla stazione e ci
sono gruppi di africani seduti a
crocchio sotto lombra degli alberi. Quasi il 20% dei bresciani
sono cittadini stranieri. 35mila persone. pakistani, moldavi, rumeni.
e un migliaio di africani. brescia
uno dei palcoscenici del mondo.
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BRESCIA
PISTOIA
poggiarsi lun laltra delle numerose biciclette. cercavo quelle con i freni a bacchetta, che sempre mi hanno incantato conducendomi ad immaginare unaltra maria degli anni trenta passeggiare tra i vicoli stretti di chiss quale paese o citt.
Quando ne trovavo una, rigorosamente non era in vendita.
era l per qualche riparazione, o una di quelle che riccardo custodisce gelosamente
come quella del suo pap agganciata al soffitto.
un giorno entrai allinterno della bottega, incuriosita dalla porta esterna di legno
consumata dal tempo, le striature erano anni trascorsi, come
il vetro rotto tenuto insieme dal
nastro adesivo che aveva preso
lo stesso colore brunito della
porta.
non potevo soltanto gonfiare le
ruote in quella bottega, sentivo
odore di storia. il mio fiuto non
mingann, cera un piccolo
mondo ad accogliermi, gli anni
trenta appiccicati ai muri e quelli
del duemila quindici tra le bici
moderne sul pavimento.
unenorme cassettiera di legno
a muro e vetrine che arrivano al
soffitto, raccolgono tutti gli attrezzi da lavoro e gli accessori
delle bici. un arredamento che
sopravvive dai primi del novecento, perch la storia ha radici
che iniziano proprio in quel periodo. lattivit di vendita e riparazione di biciclette fu avviata
nel 1905 a pistoia in via cavour
da severino cecconi. nel 1929,
subentr la moglie pia; il negozio fu poi espropriato nel 1933
per realizzare il palazzo delle poste. lattivit fu trasferita in via
palestro e gestita, a partire dal
1964, da giulio romoli, il padre 143
di riccardo.
devo ringraziare le mie ruote
sgonfie per aver scoperto di poter ammirare un luogo che testimone di almeno cento anni di vita trascorsa in bicicletta, quel periodo in cui litalia ancora priva delle sue fiat 500 e vespa special, sognava di libert in sella a una
bici. operai, contadini, maestri, preti, postini e innamorati in movimento su due
ruote. ci sono foto di vecchi ciclisti, adesivi e stemmi con le ali e la corona edoardo bianchi, ma vicino ad un telefono da parete, in bianco e nero, riccardo mi
indica un giovane seduto allesterno della bottega questo mio padre. in quel
momento il tempo si catapultato nellaltro mondo, e lo sguardo sgranato dal
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guerra improvvisa, inattesa, feroce. le bombe della nato. una nuova fuga, verso
litalia.
livio senigalliesi, 59
anni, milanese, inizia la carriera di fotogiornalista nei
primi anni '80. cresciuto
nella redazione de il manifesto, ha documentato con
passione i cambiamenti
dell'est europeo e numerosi conflitti. negli ultimi
anni ha focalizzato le sue
energie su due progetti: le
vittime di guerra e la condizione umana degli immigrati in italia. www.liviosenigalliesi.com
andrea semplici, 62
anni, fiorentino. giornalista
e fotografo. prova a coordinare la disordinata redazione di erodoto. ogni
volta giura che sar lultimo
numero. poi si ricomincia.
Questo articolo sui cicloriparatori africani a brescia
doveva essere il primo di
un progetto sullimmigrazione africana.
rimasto lunico.
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PISTOIA
maria di pietro, 35
anni, fotografa napoletana, laurea all'accademia
di belle arti. nel 2009
vince, nella categoria eyes
wide shut, il festival del
cinema dei diritti umani di
napoli/buenos aires con il
suo racconto napoli
nomade. fotografa ufficiale di questo festival.insegna fotografia nelle
scuole. ha progetti sulle
periferie nord di napoli,
territorio da anni martoriato da sversamenti di rifiuti illeciti. la sua
attenzione
le storie hanno un prezzo, viverle. ...sarebbe bello se la bicicletta potesse diventare lo strumento silenzioso ed efficace di una riconquista delle relazioni e dello
scambio di parole e sorrisi!
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BRESCIA
Letizia Sgalambro
Ariete
Toro
20 aprile -20 maggio
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GIORNO/NOTTE
Sei un gufo o un allodola? Ami la luce del sole
o preferisci il buio della notte? Qualsiasi sia la
tua attitudine arrivato il momento di sperimentare come sarebbe comportarsi in modo opposto. Forse allinizio ti sentirai strano, ma non
ti scoraggiare, prosegui in questa direzione e
apprezzerai la vita upside-down
Ossimoro di stagione: Dotta ignoranza
Gemelli
21 Maggio -20 Giugno
DOLORE/FELICITA
Gli ultimi mesi sono stati per te un po pesanti e
in alcuni momenti ti sei sentito travolto dal dolore. Non ti preoccupare, i prossimi potrebbero
Cancro
21 Giugno 22 Luglio
RAGIONE/TORTO
Una famosa canzone di Guccini parlava dell
ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai
col torto E te dove ti collochi? bello aver
ragione, ma mettersi dalla parte del torto significa saper rischiare di essere criticati, di sbagliare, e quindi di imparare qualcosa di nuovo. E
arrivato il momento di abbandonare le tue certezze e di entrare nella tua zona dombra, sar interessante, vedrai!
Ossimoro di stagione: Silenzio eloquente
Leone
23 Luglio - 22 Agosto
CORAGGIO/PAURA
Qualcuno un giorno ha detto che il coraggio non
la mancanza di paura, ma agire nonostante la
paura. Qual lambito in cui la paura sta bloccando la tua evoluzione? Nei prossimi mesi avrai
la possibilit di mettere alla prova il tuo coraggio, non lasciarti scappare loccasione, una volta
fatto il primo passo sar pi facile di quanto
pensi.
Ossimoro di stagione: Buio illuminato
Vergine
23 Agosto - 22 Settembre
RICCO/POVERO
Esseri ricchi o poveri soprattutto una questione
di punti di vista e non di quantit di denaro posseduto. Si poveri se non si riconoscono gli affetti che ci circondano, le cose belle capitate
nella vita, limportanza della nostra salute. Si
ricchi quando ci basta un sorriso per stare bene
Bilancia
23 settembre - 22 ottobre
SICUREZZA/PERICOLO
Il brivido del pericolo dentro tutti noi, anche in
quelli che non riescono mai ad osare e si limitano
a viverlo leggendo noir o guardando polizieschi in
tv. Che ne dici invece di iniziare ad uscire dalla tua
zone confort ed osare qualcosa di nuovo? Le stelle
ti garantiscono la sicurezza che cerchi, ma ti offriranno anche la giusta adrenalina per saltare.
Ossimoro di stagione: Notte bianca
Scorpione
23 ottobre - 21 novembre
PASSIONE/FREDDEZZA
Sangue caldo o sangue freddo? meglio buttarsi
nelle cose o osservarle a distanza calcolando i
pro e i contro? La passione fa battere il cuore, fa
sentire vivi e pieni di energia, ma quando
troppa offusca e fa perdere obiettivit. La ragione
fa stare con i piedi per terra, ma non permette di
godere a pieno di ci che si vive. Si apre un periodo in cui potrai sperimentare sia luna che laltra, vai ai due estremi e sperimenta come ti fanno
sentire. Ne uscirai diverso.
Ossimoro di stagione: Copia originale
Sagittario
22 novembre - 21 dicembre
ASSENZA/PRESENZA
La presenza non solo quella fisica, lenergia
e limpegno che metti nelle cose, essere coinvolti e punti di riferimento per gli altri. Allontanarsi a volte pu far bene, offre spazio alla riflessione e dona agli altri loccasione per fare e
imparare. Rallenta, Fai tre passi indietro, gira
langolo e dai fiducia a chi pu fare da s. Ti accorgerai che ne vale la pena.
Ossimoro di stagione: Lucida follia
Capricorno
22 Dicembre -19 Gennaio
BENE/MALE
Qual la distanza fra il bene e il male? Sei sicuro
che la strada giusta sia cercare il primo e sfuggire il secondo? Nei prossimi mesi scoprirai di
aver bisogno delluno e dellaltro e, citando
Nietzsche, ti accorgerai che esiste un posto al di
l del bene e del male dove niente nettamente
definito, ma pu modificarsi a seconda delle circostanze e dei modi di osservare la vita.
Ossimoro di stagione: Profondamente
superficiale
Acquario
20 gennaio- 18 febbraio
VUOTO/PIENO
Si pu riempire solo ci dove c del vuoto, e
quindi se cerchi di avere sempre tutto pieno non
avrai spazio per fare entrare il nuovo nella tua
vita. Il compito che hai nei prossimi mesi
quello di svuotarti di tutto il superfluo che sta appesantendo la tua vita, per fare spazio a grosse
piacevoli novit. Gli astri parlano chiaro, solo se
troveranno del vuoto potranno donare.
Ossimoro di stagione: Scommessa sicura
Pesci
19 febbraio - 20 marzo
SOLO/ACCOMPAGNATO
Cosa rappresenta per te la solitudine? La lingua
inglese distingue fra lonely, che ha connotazioni
negative, e alone che invece ha un significato
neutro. Stare da soli pu essere unottima occasione per conoscersi meglio e offre la possibilit
di fare tutto ci che ci piace. Stare in coppia o con
gli altri richiede abilit di compromesso, non
solo ricevere, ma anche dare. Lequilibrio fra le
due forze sempre instabile, ma stai per imparare
a camminare sul filo senza farti del male.
Ossimoro di stagione: Affrettati lentamente
LETIZIA SGALAMBRO 52 anni, sagittario, counselor ed
esperta di processi formativi. Crede che per ognuno sia gi
scritto il punto pi alto dove possiamo arrivare in questa
vita, e che il nostro libero arbitrio ci fa scegliere se raggiungere quel traguardo o meno. L'oroscopo? Uno strumento
come altri per illuminare la strada.
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OROSCOPO