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RIPROGETTARE
I TERRITORI
DELLURBANIZZAZIONE
DIFFUSA
a cura di
Anna Marson

QUODLIBET

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RIPROGETTARE I TERRITORI DELLURBANIZZAZIONE DIFFUSA


Prima edizione novembre 2013
Seconda ristampa luglio 2015
ISBN 978-88-7462-635-9
2015 Quodlibet s.r.l.
via Santa Maria della Porta, 43
62100 Macerata
www.quodlibet.it
QUODLIBET STUDIO. CITT E PAESAGGIO
Collana a cura di Manuel Orazi
Comitato scientifico: Sara Marini (Universit IUAV di Venezia), Gabriele Mastrigli
(Universit degli Studi di Camerino), Stefano Catucci (Universit degli Studi di Roma
La Sapienza), Luca Emanueli (Universit degli Studi di Ferrara)

progetto grafico
Franco Nicole Scitte
impaginazione
Emilio Antinori
stampa
Bieffe s.p.a., Recanati

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INDICE

Introduzione. Non pi campagna, non ancora citt:


una sfida progettuale

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12

La citt diffusa: un tema apparentemente maturo


Lo sguardo orientato al progetto cambia la lettura
Le politiche di contrasto al consumo di suolo,
presupposto necessario
Riprogettare la citt diffusa: con quali metodi e tecniche?

Anna Marson

16

22

La dimensione storica dellinsediamento


diffuso in Veneto e Friuli
Moreno Baccichet

36
39
41
45
48
54

Insediamenti allungati lungo corsi dacqua attivi


Insediamenti allungati lungo paleodossi fluviali
Insediamenti allungati lungo corsi dacqua attivi e depressi
Insediamenti allungati lungo sistemi di risorgenze
Campagne con colonizzazioni sparse antiche
Insediamenti sparsi inglobati nelle moderne espansioni urbane

56

Il grande vivente nella citt diffusa

98
99
100
102
106
113
118

122

Piccola etnografia dellalbero nella citt diffusa. Alberofobie


Il grande vivente
Decostruire lalberofobia: tra decolonizzazione e dub musicale
Piccola etnografia della resistenza e dellamore per lalbero
Per una nuova cultura biosociale dellalbero
Ritorno alla periferia diffusa: una letteratura per gli alberi
Conclusioni

Il contesto formativo degli esercizi e il progetto di territorio


La forma-laboratorio e il progetto: una questione aperta
Esercizi di riprogettazione: terraferma veneziana
Esercizi di riprogettazione: laguna nord di Venezia e territori
perilagunari
Esercizi di riprogettazione: area intercomunale di Padova
Riflessioni sullesperienza di laboratorio

Forme ibride e diffuse come nuovi materiali di progetto


Francesco Berni

125
138
140
146

Partire dai casi studio per ripensare le regole del gioco


Forma e progetto: partire dallo spazio per ripensare i criteri
Potenzialit e limiti del progetto: tracce comuni tra i casi affrontati
Appunti e riflessioni per il nord-est Veneto

162

Appendice. La dimensione progettuale delle chartes


paysagres come strumento di contenimento dello sprawl
Anna Marson, Moreno Baccichet

Nadia Breda
62
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92
94

Esercizi di riprogettazione
Antonino Marguccio

198

Riferimenti bibliografici

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IL GRANDE VIVENTE
NELLA CITT DIFFUSA

Nadia Breda

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ALBERI, ARTEFATTI POLITICI, ALBEROFOBIA,


CITT DIFFUSA

[] con i platani sofferenti, accusati di essere pericolosi,


spesso avvelenati nottetempo con acqua e soda caustica, acido muriatico o, nei casi migliori, potati con furia
selvaggia, lasciando tristi totem vegetali, solitari con le
loro ampie sezioni dei rami tagliati, ferite aperte alle pi
varie fitopatologie [] (Vallerani 2013, 25).

Se disboscate una foresta, meglio che preghiate


continuamente.
Mentre ci fate passare una strada e impiantate i cavi
e vi muovete tra gli alberi sul bulldozer, meglio che
parliate con Dio.
Mentre la perlustrate alla ricerca del legname adatto
e segnate gli alberi con uno sfregio azzurro, pregate;
e pregate mentre vendete i trucioli e i tronchi e scrivete gli assegni del venerd e pagate la bolletta del
gasolio anche sottovoce, appena un fruscio delle
labbra.
Se azionate la lama della sega o le cesoie, recidete gli
alberi alla base, andate dalluno allaltro, vi ci avvicinate bruscamente e li abbattete, io vi consiglio: pregate con tutta la forza che avete; e pregate forte
quando li trasportate via.
A Dio non piace che in un luogo vengano abbattuti tutti gli alberi. Gli gela il cuore, lo fa fremere e domandarsi cosa non ha funzionato nella sua creazione, costringendolo a riflettere su che cosa rovina il figlio
(Ray 1999).

Tutto si tiene. Ora probabilmente siamo immersi in


una mutazione del clima: abbiamo la piena conoscenza dei pericoli della vita che affidata a noi ma non
facciamo niente per migliorare. Prima cerano i campi di sterminio, ora c lo sterminio dei campi ed la
stessa logica. Ma la sacralit della vita affidata a
noi. E noi dobbiamo resistere come le ginestre, come
i topinambur che popolavano le nostre campagne e

ora arretrano sempre pi a causa della cementificazione (Zanzotto 2007).

Una delle contestazioni principali che viene mossa al modello della periferia diffusa la distruzione della natura e del
paesaggio che essa comporta in forme parossistiche e non
proporzionate alla crescita demografica (Settis 2010). Da vari
anni cerco di descrivere, utilizzando gli strumenti metodologici della mia disciplina lantropologia , la vita e lesperienza nella periferia diffusa del Nordest (Breda 2001; 2010; 2011)
in particolare focalizzandomi sulle relazioni uomo/ambiente
che le acquisizioni teoriche recenti (Ingold, Palsson 2013; Descola 2005) mostrano essere strettamente interdipendenti in
un collettivo (un insieme di umani e non umani che tessono
insieme la realt del mondo). Oggi lantropologia sta producendo riflessioni molto importanti per definire cosa siano la
cultura e la socialit e come esse siano in rapporto con gli altri elementi non-umani (la cosiddetta natura). Tim Ingold e
Gisli Palsson (2013) hanno recentemente proposto il concetto
di biosocial becoming con il quale intendono definire cosa si
debba intendere per cultura, societ, biologico. Essi mostrano come i due elementi, che fino a poco tempo fa avremmo
chiamato la natura e la cultura, debbano essere concepiti in
maniera nuova e in modo nuovo anche il loro rapporto. Ingold
e Palsson spiegano che lessere umano non unentit discreta e separata ma un ecosistema; non preformato da
programmi cognitivi o genetici o psicologici; non esiste uno
sfondo (la natura) sopra il quale verr calata la struttura culturale e la tradizione, gli insegnamenti per integrarsi nella
societ, uno sfondo sul quale adagiarsi (lambiente). Non si
deve pi pensare a quellhomo duplex, individuo bio-psicologico e persona socio-culturale, che lOccidente ha sempre
pensato.
Lessere umano un locus of growth entro un campo di relazioni, lambiente non il fondale della nostra vita ma un ambiente di interpenetrazione, un groviglio di lifelines entro il
quale avviene il movimento, come un ago che va su e gi. Una
infestazione di movimenti.
Bisogna passare dal considerare non tanto il beings quanto il
becoming, non tanto luomo che (is) quanto luomo che fa
(doing), posto in una traiettoria di movimento e di crescita che
la sua stessa vita (ivi, 72). Una life in progress e un work in

57

IL GRANDE VIVENTE NELLA CITT DIFFUSA

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progress luomo nel mondo, e la societ non altro che


quellinsieme di relazioni mutue e condizionanti entro le quali questo lavoro avviene. Tutta la vita sociale e tutta la vita
biologica. Per Philippe Descola (2005) societ un termine
che andr storicizzato (e poi abbandonato) e usato solo per
indicare il periodo della modernit. Al suo posto si dovr parlare di collettivi di umani e non umani (piante, animali, esseri spirituali, minerali, antenati, non viventi ecc.).
Ogni traiettoria di becoming issues avanza entro un campo che
intrinsecamente sociale e biologico, in breve biosocial becoming. I domini di biologico e di sociale sono uno e lo stesso
(one and the same), limmagine pi appropriata per rappresentarli quella della corda intrecciata, del groviglio di linee
intertessute e annodate con altre. Questo ambiente ed
lumano allo stesso tempo, strettissimo intreccio di natura e
cultura inestricabile. Natura e cultura non sono pi concetti
utili se messi in opposizione tra loro.
In questo percorso mi sono avvicinata sempre pi a una unit
singola, lalbero, il grande vivente (il pi grande vivente sulla
terra probabilmente una sequoia californiana). Se siamo intrecciati cos strettamente al nostro ambiente biologico, allora necessario indagare quale sia lintreccio che abbiamo intessuto tra umani e questi grandi viventi che sono gli alberi1.
Ho cominciato a porvi attenzione, a fare domande, a osservare e fotografare il modo in cui si esprime il rapporto degli
umani con gli alberi. Laura Rival in The Social Life of Trees
(1998) definisce lalbero un artefatto politico, tanta la parte sociale, culturale e politica che un albero esprime2.
Lalbero esprime alcuni dei pi visibili e potenti simboli dei
processi sociali e delle identit collettive. Il modo con cui esso
trattato parla della societ stessa e dei suoi cittadini.
Le societ e le culture infatti usano lalbero per rappresentare lesistenza umana e sociale, e in qualche modo studiare gli
alberi di una comunit ci permette di studiare la comunit
stessa, il suo rapporto con la natura e lambiente, il modo di
costruire il collettivo umani-alberi.
Un albero concentra differenti tipi di conoscenze e di operazioni cognitive, simboli e pratiche, attivazioni e azioni da parte dei soggetti sociali pi svariati. Con lalbero e anche sullalbero si concretizza lethos di una societ, il suo immaginario,
il suo sapere, si vedono le politiche in atto. Lalbero mostra la
qualit delle relazioni in atto tra i viventi.
Lalbero e il trattamento a cui sottoposto, lalbero come ar-

tefatto politico, pu dunque rivelarci molte cose riguardo alla


costruzione della periferia diffusa in Veneto.
Che ne dellalbero nella periferia diffusa?
La domanda estremamente importante e drammatica poich sappiamo dalla storia che al trattamento della natura
corrisponde il trattamento delluomo: ci che viene fatto allanimale o alla pianta o alla terra viene fatto prima o poi anche alluomo, come ben dimostrano per esempio gli studi di
Olivier Razac (2001) sulla storia politica del filo spinato usato
prima per recintare le propriet e i pascoli conquistati, poi per
recludere gli animali e infine nelle guerre tra umani e nei vari
tipi di campo; oppure come ha molte volte ripetuto Andrea
Zanzotto, quando scriveva che siamo passati dai campi di
sterminio allo sterminio dei campi poich la logica messa in
atto la stessa; o infine come dimostra lesistenza di un olocausto degli animali in contemporanea con la Shoah (Patterson 2003): Nel libro [di Patterson] viene analizzata la radice
comune tra il modo in cui i nazisti trattavano i prigionieri nei
campi di sterminio e il modo in cui la specie umana sfrutta le
altre specie animali. Vi sono raccolte le testimonianze di sopravvissuti allOlocausto divenuti sostenitori dei diritti degli
animali, tra cui Edgar Kupfer-Koberwitz. Il titolo del libro, che
fa riferimento al campo di sterminio di Treblinka, trae origine
dal racconto Luomo che scriveva lettere del Premio Nobel per
la letteratura Isaac Bashevis Singer, in cui afferma: Si sono
convinti che luomo, il peggior trasgressore di tutte le specie,
sia il vertice della creazione: tutti gli altri esseri viventi sono
stati creati unicamente per procurargli cibo e pellame, per
essere torturati e sterminati. Nei loro confronti tutti sono nazisti; per gli animali Treblinka dura in eterno.
Patterson cita inoltre il filosofo Theodor Adorno, al quale attribuita la frase: Auschwitz inizia ogni volta che qualcuno
guarda a un mattatoio e pensa: sono soltanto animali.
ormai abbastanza chiaro che esiste una omologia di comportamenti: la qualit delle relazioni tende a estendersi da un
ambito allaltro: relazioni di violenza sullumano probabilmente sottendono relazioni di violenza anche su animali o altri viventi.
Se una forma di vita in pericolo, fosse anche un albero, allora anche gli esseri umani sono in pericolo.
Anche lantropologia lo dimostra. Secondo Philippe Descola
esiste non pas une projection des rapports entre humains sur
les rapports aux non-humains, mais une homologie des prin-

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1 Su questi argomenti ho svolto un corso


di Antropologia dellAmbiente intitolato
Lezioni di Antropologia dellAlbero rivolto agli studenti della Laurea Specialistica
in Scienze Etnoantropologiche dellUniverit di Firenze nella.a. 2007/2008, marzoaprile 2008. Questo corso ora disponibile
in www.academia.edu con il titolo Lezioni
di Antropologia dellAlbero.
2 Sullalbero come artefatto politico, analizzato da biologi, si veda limportante indagine del legame delle foreste con le istituzioni sociali e politiche contenuta nella
ricerca Uphill for the tree of the world,
condotta dallAarhus Universitet, Danimarca, Research on the Anthropocene
(AURA).

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1 Un albero di fico. San Vendemiano (TV)


2 Conegliano (TV)
3 Vigneti contemporanei: pali e ferro al posto di legno e alberi.
Fontanafredda (PN)

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IL GRANDE VIVENTE NELLA CITT DIFFUSA

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4-5 Un pino mozzato. Ai lati di una rotatoria, esposto


cos da anni. Crevada, frazione di Conegliano (TV)

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cipes directeurs sappliquant dans le traitement des deux domaines (Descola 2001)3.
Che ne dunque dellalbero nella periferia diffusa?
Laura Rival vedrebbe in Veneto unalberofobia diffusa, una
paura/fastidio dellalbero, un disprezzo per lalbero, una alberofobia come cultura della periferia diffusa.
Essa perdura da molti anni. Lo dice bene un articolo che ricorda come ventanni fa a Milano fosse nato un gruppo di professionisti (GAM, Gruppo Alberi Milano) che propose di studiare
la possibilit di una vasta piantumazione in strade, viali, piazze e altri spazi pubblici o di uso pubblico che parevano attendersela dal dopoguerra e invece erano stati dimenticati dal
Comune a un destino di aridit e squallore (Menghetti 2010).
Lamara conclusione a cui giunsero poi gli architetti mostrava
gi in atto lalberofobia nella periferia diffusa: il gruppo dovette presto verificare che le proposte provocavano poco meno
che terrore nel reparto comunale che avrebbe dovuto, per cos
dire, amare il verde per obbligo. Per i funzionari ogni albero
vecchio o nuovo pareva un disturbo, una pratica burocratica
pesante, una preoccupazione. Meno alberi meno problemi. Del
resto, allora, non era gran che forte la richiesta di una maggior
sensibilit ambientale degli amministratori pubblici da parte
di abitanti o movimenti organizzati. Con una sola eccezione:
Italia Nostra, grazie alla quale la citt aveva ottenuto due nuovi parchi, il Bosco in citt (area di via Novara), 120 ettari, e,
nelle vicinanze, il Parco delle cave, 121 ettari, entrambi recupero di spazi a gerbido o agricoli degradati. Il GAM, nellimbarazzo di un dialogo difficile, dovette ripiegare i progetti e rinunciare allimpresa (ibid.).
Da allora la situazione non cambiata e lalberofobia si pu
misurare ovunque, distribuita in tutta la periferia diffusa. Essa
accompagna, come tratto culturale, lo sviluppo capitalistico
distruttivo della citt diramata, in citt come in campagna, nei
paesini come nelle colline sempre pi invase dalla monocoltura del prosecco, tra imprenditori, contadini, operai, proprietari di villette o di appartamenti periferici.
Le foto che accompagnano questo testo costituiscono la documentazione visiva di questo diffuso atteggiamento nei confronti dellalbero: abbattimenti inutili, potature come mutilazioni,
sradicamenti senza sostituzioni, riduzione del verde pubblico,
estirpazione di siepi secolari, anche se protette, giardini scolastici privi di alberature, nanizzazione del grande vivente,
nessuna progettazione di piantumazioni.

3 In questo articolo non posso sviluppare


una riflessione sui temi dei diritti del mondo vegetale, ma essa sottesa a questo
lavoro. Alcuni riferimenti, oltre ai lavori
della Commissione svizzera sulla dignit
delle piante di cui parlo pi avanti, alle indicazioni delle nuove Costituzioni nazionali
di Bolivia, Ecuador e Brasile, si possono
trovare nelle riflessioni del filosofo Ferry
1992, nellUniversal Declaration of Plant
Rights (www.avepalmas.org/rights.html),
negli scritti di Michael Marder 2013, nelle
attivit del Plant Liberation Front, in Stone
1972.

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IL GRANDE VIVENTE NELLA CITT DIFFUSA

Allo stesso tempo proprio lalbero potrebbe costituire a mio


avviso lelemento cardine sul quale pensare una politica di ricostruzione del tessuto ecologico della periferia diffusa, un risanamento del rapporto uomo/ambiente che coinvolga non
solo lambiente ma gli umani con esso. Una sorta di biosocial
becoming di uomo e alberi insieme potrebbe costituire un punto focale di una politica ecologica nuova per la citt diffusa. Di
questo parler nellultima parte del testo.

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PICCOLA ETNOGRAFIA DELLALBERO NELLA CITT


DIFFUSA. ALBEROFOBIE
Una etnografia dellalbero forse pu mostrare fin dove pu arrivare la familiarit con lalberofobia, questa intimit piena di
pratiche, intenzioni, narrazioni, vissuti tra i soggetti agenti.
Contro lalbero.
Le mie annotazioni sul campo riportano vari episodi che hanno come soggetto la politica degli alberi, gi a partire dagli
anni Ottanta. Ne riporter qualche esempio.
Ritrovo nei miei diari lannotazione di due concittadini che
hanno sostenuto una causa civile per la presenza di una siepe
alberata ad alto fusto posta al confine tra i loro campi. La siepe era un elemento secolare del paesaggio, come tante se ne
vedono in campagna, ma la costruzione abitativa era stata fatta nelle vicinanze e la siepe cominciava a dare fastidio. Sono
andata a vedere limponente siepe Il vincitore ha costretto il
vicino di casa ad abbatterla e ha eretto un muro di cemento al
confine della propriet al posto della siepe.
Nel 1999 una associazione locale che si occupa di sicurezza
stradale propone di appendere una croce per ogni albero che
avesse causato vittime di incidenti stradali; le amministrazioni propongono di abbattere i suddetti alberi che secondo loro
sono causa di incidenti. Alcuni anni dopo, alla morte di un automobilista, viene abbattuto lalbero su cui si era schiantato.
Alcuni dipendenti mi raccontano che i loro datori di lavoro, negozianti con i negozi fronte strada, sversano liquami e oli sulle radici dei grandi platani della strada statale per farli ammalare e morire, liberando cos la visuale sul loro negozio.
Alla fine degli anni Ottanta avevo annotato labbattimento dei
platani di viale Longhena a San Vendemiano che affiancavano
lomonima villa veneta. La ripiantumazione del viale non mai
avvenuta; nella stessa strada, al posto delle piante estirpate
oggi si susseguono cartelloni pubblicitari o vuoti residuali.

Questo non lunico caso di viale piantumato a platani, secondo le direttive napoleoniche, che viene estirpato per lunghi
tratti. La strada statale 13, detta la Pontebbana, ne un esempio famoso. incredibile come poi per decenni il tratto espiantato conservi i segni dei ceppi tagliati. Oppure che vengano
piantati cartelloni pubblicitari al ritmo della piantagione di alberi di un tempo. Le strade cos diventano un deserto assolato e bollente destate, mentre la volta chiusa dei grandi platani proteggeva il guidatore, migliorava la visione, ossigenava
laria, abbatteva lirragiamento solare e svolgeva una miriade
di funzioni ecologiche, dalla creazione di un microclima alla
possibilit per la microfauna di rifugiarsi ai bordi delle strade4.
Durante un viaggio nel sud della Francia noto come, diversamente da quanto accade nella periferia diffusa, i vecchi platani lungo le strade siano curati, protetti e cresciuti come monumenti arborei di notevole bellezza (cfr. Dufour 2001).
Da molti anni osservo anche che per far posto alle rotatorie gli
alberi che si trovano agli incroci stradali vengono abbattuti, o
ricollocati, o circondati da recinzioni. il progetto rotatorie
che dilagato ovunque in Veneto, anche nei posti caratterizzati da forme storiche di viabilit, e da alberature o segni del
paesaggio che andavano invece preservati.
Parlando con la gente scopro che lalbero viene tagliato e abbattuto perch si ha paura che crolli sulle case con i temporali, perch le foglie intasano i tombini, o si ammassano negli
angoli, o coprono lerba, o volano con il vento dellautunno, o
perch le radici sollevandosi rompono il manto asfaltato o le
cementificazioni dei giardini. Ragioni addotte che a prima vista
sembrano razionali ma che pi spesso si rivelano essere paure, o irrazionalit (lalbero sporca, le foglie volano via, coprono
lerba), oppure problemi che potrebbero essere risolti con altri metodi e attrezzature piuttosto che con labbattimento dellalbero5.
Lalbero viene abbattuto perch fa ombra; viene abbattuto
perch bisogna allargare o rettificare le strade, costruire
case, costruire zone commerciali. Tredici platani nella strada
detta Menar sono stati abbattuti questa estate per far spazio
alla viabilit prevista per il nuovo centro commerciale di Colle Umberto (TV). Il gruppo consigliare di opposizione era riuscito a mettere un cartello a ogni albero, e cos personificato
ogni albero parlava e dava laddio ai passanti prima di essere
abbattuto. Non sono riuscita a fotografarli, in corsa su quella
strada

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4 Il valore delle alberature nelle strade


discusso anche in un recente studio realizzato nella citt di Londra. Lo studio un
risultato del progetto BRIDGE (SustainaBle uRban planning Decision support accountinG for urban mEtabolism), che ha
ricevuto 3,1 milioni di euro nellambito del
tema Ambiente del Settimo programma
quadro dellUE. Si veda: www.aboutplants.eu.
5 Si veda, per qualche riflessione tecnica
su questi aspetti, Colazilli 2013.

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6-7 Strada provinciale 51, Alemagna. Vecchi platani, mozzati in


estate. San Vendemiano, Colle Umberto (TV)

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IL GRANDE VIVENTE NELLA CITT DIFFUSA

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8 Strade di campagna. San Vendemiano (TV)
9 Potature drastiche alla stazione
ferroviaria (PG)
10 Barriere architettoniche per il soggetto
debole della strada, il pedone. San
Vendemiano (TV)
11 Rotatoria nuova: solo segnali e pali,
al posto dellalbero preesistente. San
Vendemiano (TV)

10

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Altre volte lalbero viene abbattuto perch non si sa chi possa


potarlo o curarlo: gli anziani non possono pi occuparsene e i
giovani per la fretta li estirpano o li mutilano con motoseghe
varie i cui modelli si moltiplicano di anno in anno.
Nei casi in cui lalbero viene ripiantato, si piantano in maggioranza alberi di modeste proporzioni, nanizzati, che non assumeranno mai dimensioni importanti. Essi vengono contenuti
da subito, e spesso la loro chioma cos misera, seppure siano giovani, che dopo qualche anno vengono espiantati.
Se non viene abbattuto, spesso lalbero viene criminalizzato in
vari modi, compresa laccusa di malattia (quasi sempre non dimostrata), viene minimizzato, reso innocuo, limitato, con potature drastiche e antiestetiche. Vedo ormai alberi ridotti a
stuzzicadenti non solo lungo le strade, ma anche dentro giardini privati, dentro le alberature delle scuole. Alla scuola materna di San Vendemiano vengono potati drasticamente tigli
maestosi, l'estate successiva appaiono stentati, appassiti e di
un povero colore giallo. Vengono abbattuti.
come se i vari soggetti stessero insegnando silenziosamente e vicendevolmente il modo di trattare gli alberi. Cos nel
proprio giardino si mutilano i propri amati alberi come si visto per anni fare lungo le strade vicine.
Secondo gli studi delle associazioni forestali, entro pochi anni
da una drastica potatura lalbero muore. Esiste in Toscana una
campagna contro le capitozzature selvagge6, e anche in Veneto lassociazione Civilt dellAcqua ha chiesto una regolamentazione delle potature degli alberi.
Da vari anni iniziata la tratta di specie arboree da latitudine
mediterranee e dal Sud Italia, denunciata da varie associazioni ambientaliste: lulivo nel giardino delle ville del Nord, che
spesso muore per le gelate invernali, piantato come simbolo del riscatto e dellallontanamento dal passato contadino. Si
piantano ulivi e vecchi gelsi nel momento in cui li si ridotti a
decorazioni, depurati di ogni altra funzione sia ecologica che
utilitaristica. Cos si depura la memoria del passato contadino
della gente del Nord con il gelso e del passato contadino della gente del Sud con lulivo, credendo di onorarli. I vecchi gelsi piantati in giardino e gli olivi portati dal Sud Italia infatti sono
il risultato di una devastazione del paesaggio agrario sia del
Nord che del Sud, contro il quale si sono tentate delle leggi
(per esempio in Puglia) e svariati appelli per la conservazione
di queste piante nel loro ambiente di origine.
Il continuo massacro delle siepi, anche storiche, anche situate in luoghi protetti, un fatto ormai notorio. La siepe, umile

6 Cfr. SIA, Societ Italiana di Arboricoltura


(www.isaitalia.org), sezione italiana di ISA,
Society of Arboriculture di Urbana,
e lorganizzazione PlantAmnesty
(www.plantamnesty.org).

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12-14 Vecchi ombrosi tigli, un valore


per la scuola materna, potati drasticamente
in piena estate, rigetteranno debolmente
e poi verranno eliminati nellestate
successiva. San Vendemiano (TV)
15 Albero potato in modo da non sporgere
sulla strada. San Vendemiano (TV)
16 Palazzoni privati delle grandi fronde
degli alberi con drastiche mozzature.
Mestre (VE)
17 Strade di campagna nella situazione
attuale: alberi mozzati e pali. San
Vendemiano (TV)
18 Strada di campagna, da anni si presenta
con i residui morti e mozzati di quella
che era unimportante siepe. Vicolo Sere,
San Vendemiano (TV)

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elemento della cultura contadina, svalorizzata rispetto al regale bosco, considerata oggi un ostacolo alla meccanizzazione
del lavoro dellimprenditore agricolo, viene abbattuta ed estirpata e gli appezzamenti accorpati.
degli anni Ottanta la campagna del WWF per la tutela delle
siepi nei paesaggi agrari, ma da allora non sembra che ci siano segnali di inversione di tendenza, nonostante le direttive
europee e le politiche PAC abbiano a pi riprese sollecitato la
tutela delle siepi. Oggi le associazioni ambientaliste hanno in
piedi nuove campagne rivolte alla tutela dei bordi delle strade
dai diserbi chimici, ma lo stesso discorso si potrebbe fare anche per le siepi, che vengono irrorate con i dissecanti (con
distruzione di piccola fauna e della flora rara che si rifugia nel
microclima fresco della siepe), una forma delle vecchie armi
da guerra esfolianti usate per esempio in Vietnam oggi adattata allagricoltura e diventata il famigerato dissecante.
Daltra parte lalbero, i giardini e il verde sono lo sfondo costante dei territori delle retoriche immobiliari, in cui le abitazioni sono
sempre immerse nel verde, nei parchi, negli alberi che poi nella realt non ci sono e che nessuno mai pianta. Se si piantano
sono miserabili alberelli che quasi non fanno ombra destate.
Anche nei luoghi pubblici statali la situazione non migliore:
le scuole sono spesso edifici i cui dintorni sono poco curati e
certo poco ombreggiati, sprovvisti di esemplari maestosi o
storici.
Negli anni pi recenti altri soggetti hanno posto la loro attenzione sul trattamento degli alberi nella periferia diffusa. In
particolare, Conegliano e Treviso sono state oggetto di osservazione da parte di profondi conoscitori del territorio, attivisti
e amanti degli alberi; vari tagli di alberi da parte di amministrazioni o privati sono stati denunciati.
Paolo Steffan, giovane critico zanzottiano, saggista e scrittore,
parla di albericidi e siepicidi, coniando termini nuovi ed
evocativi; parla di pestilenza in atto e di alberi motosegati, di
omicidi di alberi. Le sue denunce sono puntuali e documentate; tuttavia non hanno avuto seguito fra la cittadinanza locale, che anzi spesso lo minaccia nel suo blog per i temi di cui si
occupa. Scrive Steffan, in una sorta di dialogo impossibile
con gli amministratori:
Cronaca di svariati crimini, gennaio 2012
Questo inverno, a Conegliano e a Castello Roganzuolo (San Fior) c
una nuova pestilenza in atto, qualcosa che provoca dolore vedere, toc-

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19-20 Spazi residuali e insignificanti per il verde e il gioco


nelle nuove lottizzazioni. San Vendemiano (TV)
21 Parcheggio di un grande supermercato con insignificanti
alberature, che avrebbero potuto avere un ruolo di afforestazione
altrimenti imponente a vantaggio di tutta la popolazione. Susegana (TV)
22 Palazzi grandi, alberature sproporzionate sia in quantit
che in dimensioni e qualit. San Vendemiano (TV)

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care, ricordare e respirare, e di respirare ci d meno libert, di ricordare limpossibilit. Si tratta delluccisione di grandi alberi, della barbarie di cui sono vittima le siepi (e i fossi e gli argini). Alberi (e siepi)
che hanno impiegato lunghi anni a crescere e a impreziosire, ispessendosi ed ispessendoci culturalmente! Alberi che sono depositari di
memorie ed identit pari a quelle dei grandi monumenti, dei sacrari,
degli affaticati colli.
***
Ebbene, cominciamo.
Parte I: Conegliano, arboricidio lungo il Monticano. E le radici della
citt?
A Conegliano usciva un libro, la primavera del 2011, meno di un anno
fa: si intitolava LE RADICI DELLA CITT: alberi pietre e mappe a Conegliano (Arti Grafiche, Conegliano, 2011), bellissima pubblicazione
dellassociaz. culturale Artestoria, con saggi di Lucio Dal Pan, Isabella Gianelloni e Michele Zanetti. Patrocinata dal Ministero delle Politiche Agricole, dal Comune di Conegliano e dalla Regione Veneto. Presentato da Alberto Maniero, sindaco di Conegliano, e niente meno che
Luca Zaia [Presidente della Regione]. Vediamo prima di tutto cosa
scrive degli alberi proprio Luca Zaia (p. 3):
Gli alberi sono i guardiani del nostro territorio e di questo contribuiscono
a determinare le fattezze e il carattere.
In essi ritroviamo un presente che cerca di rimanere ancorato in modo
saldo al suo passato. Un passato che, oltre ad aver forgiato la nostra
identit, culturale, economica e sociale, ha determinato anche quella
spaziale dei nostri territori, modellando, attraverso i secoli, i luoghi del
vivere quotidiano.
Gli alberi sono i grandi vecchi delle nostre citt, monumentali entit che
con la loro presenza ci ricordano le storie della comunit. Attorno a queste figure tanto vive quanto silenziose, si sviluppato quellambiente rurale e urbano che ha segnato profondamente il tessuto economico-sociale della nostra Regione. Cos gli alberi diventano esseri animati, dotati di
unanima, quasi un genius loci della nostra terra.
I nostri figli devono imparare che gli alberi non sono solo utili in quanto
capaci di produrre frutti o di diventare combustibile, ma sono un codice
per decifrare lo sviluppo e lessenza della nostra comunit, dellesser popolo di una terra, la nostra.
Che belle parole, sarebbero da far leggere nelle scuole! Un poeta,
Zaia!!! No: un politico!!! E allora vediamo cosha detto, e fatto, come
politico, il signor Zaia, quando gli alberi erano quelli, dallimmenso valore specifico, dellarea Pal di S. Fior di Sotto-S. Vendemiano, dove
per un tratto breve, ed abbastanza inutile [], sono state sacrificati al
Dio dellasfalto migliaia di alberi siepi e acque sorgivissime (cito da

Nadia Breda, Bibo. Dalla palude ai cementi. Una storia esemplare, CISU,
2010, p. 113 sgg.):
Il progetto si fa sulla carta e sulle carte riportato tutto (L. Zaia, Il Gazzettino, 26 feb 2006) [Ah s, governatore? E gli alberi?].
Sar soddisfatto solo quando sentir il rumore delle ruspe e vedr i cantieri aperti (L. Zaia, Il Gazzettino, 6 lug 2000) [Ah s? Un cultore del rumore delle ruspe che ami gli alberi non si mai sentito, Zaia caro!].
I veti posti dagli ambientalisti ci fanno un baffo (L. Zaia, La padania, 16
luglio 2000).
Eccetera eccetera. Tante altre chicche di Zaia e suoi simili, tante altre
ipocrisie (e lo dico senza cattiveria, perch chi da poeta scrive una
cosa, ma poi nei fatti da politico ne fa tuttaltra, un eufemismo dargli dellipocrita!) trover chi legge la cronaca riportata in una sezione
del libro di N. Breda
Ricordato doverosamente ci, torniamo pi strettamente al discorso
sugli alberi di Conegliano; della presentazione del sindaco Maniero mi
limito a citare degli stralci (Le radici della citt, cit., p. 5):
[] alberi, saggi custodi della memoria, che sono parte integrante del
paesaggio e dellambiente della citt.
[] alberi che ancora oggi comunicano con le antiche pietre e alberi che
sono testimoni di un patrimonio storico artistico andato distrutto.
[riferendosi alla pubblicazione di Artestoria sugli alberi] vuole essere
un percorso di salvaguardia della memoria []
Vediamo le foto della salvaguardia della memoria nel verde lungo
Monticano coneglianese, in un punto peraltro paesaggisticamente rilevante, da cui si ha tutta una panoramica in crescendo dei punti chiave della citt.

A questo punto Paolo Steffan monta la sequenza di immagini


che illustra il fiume Monticano prima con gli alberi, poi il taglio
e largine disalberato. La seconda parte dello scritto di Steffan
sugli alberi dedicata al diradamento degli alberi nella zona di
Castello Roganzuolo, che conserva una delle pievi pi importanti della zona. Scrive Steffan:
Parte II: arboricidi e siepicidi nei luoghi religiosi e storici pi importanti di Castello Roganzuolo (S. Fior): alla facciaccia del Laudes Creaturarum di San Francesco (Laudato si mi Signore, per sora nostra matre terra, / la quale ne sustenta et governa, / et produce diversi fructi con
coloriti flori et herba) e della memoria rurale (gi stupratissima, come
ho gi qui rivelato in passato)!
Vediamo ora come i cittadini e peggio i PARROCCHIANI (fede in Dio
e rispetto del Creato? Ma dove!?!) di Castello Roganzuolo (S. Fior) si

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IL GRANDE VIVENTE NELLA CITT DIFFUSA

rendano partecipi di questo sciacallaggio, proprio nel luogo pi alto


bello e significativo dei colli di questa localit. []
Cari Sindaci, caro Governatore Zaia: non bisogna forse cambiare registro, forse regolamentare in modo pi CIVILE il rapporto cittadini(/parrocchie)-alberi/siepi? in nome della Memoria, del decoro e della miglior qualit della vita in Veneto, che i cari concittadini complici del devasto forse non vogliono! Noi umani s!
E continuate pure a dire che sono un insopportabile rompicoglioni; credo di essere uno che preferisce vivere con la MEMORIA e col Creato,
non scriverne bene e poi razzolarne male!
Tutto questo, a futura memoria NOSTRA e degli Alberi del Monticano e
di Castel Roganzuolo!!!
Vostro Paolo Steffan7.

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Lattenzione veramente speciale e di unaltissima sensibilit nei


confronti dellambiente espressa da questo giovanissimo scrittore e attivista prosegue nei mesi seguenti, intensificandosi nella primavera del 2014 con la segnalazione del taglio inopinato
dei tigli secolari vicini alla pieve. Il caso fin allattenzione della
stampa, delle amministrazioni, dei cittadini e del Vescovo stesso. Steffan dialog con lunghe e articolate lettere con lautorit
religiosa, come riportato nel suo blog dove la tensione civile e
insieme letteraria che vi si respira degna del confronto con la
personalit pasoliniana.
Tra il 2003 e il 2012, nella stessa provincia, due attivisti e ambientalisti di Treviso, Luigi Calesso e Anna Mirra, scrivono un Diario
minimo della strage dei 2.000 alberi elencando anno per anno, per
ogni via o luogo implicato, il trattamento a cui sono sottoposti gli
alberi nella cittadina capoluogo, e concludendo il conteggio con
il totale di 2.000 alberi sottratti al verde pubblico e privato. Nel
diario, di cui riporter qualche stralcio, colpisce non solo il dato
quantitativo (che gli attivisti sono riusciti a calcolare recensendo
per anni i tagli degli alberi in tutta la citt), ma anche le modalit con cui vengono trattati gli alberi, lo stillicidio costante e continuo, diffuso e capillare; colpisce la mancanza di dialogo da parte degli amministratori con i cittadini, di spiegazioni degli abbattimenti, di tentativi di cure piuttosto che di sradicamenti. A tutto
ci reagiranno i cittadini a difesa degli alberi, nel modo che vedremo pi avanti, nel capitolo dedicato alle resistenze.
Diario minimo della strage dei 2.000 alberi
Iniziamo con i dati del censimento 2002 del verde pubblico redatto a
cura dellassessorato allAmbiente. Secondo il documento in citt era-

no presenti 11.082 alberi lungo 218 strade e 13.000 nelle aree verdi
pubbliche.
Il diario.
2003 Le esigenze di visuale e di sicurezza dello stadio.
Luglio: vengono abbattuti 5 alberi: si tratta di un salice, due tigli, un
ippocastano a villa Manfrin e di una Juglans nigra a villa Margherita;
tagliati anche due tigli in piazza Rinaldi.
Agosto: viene decretata la fine di 7 piante a medio fusto piantate da
poco lungo via Siora Andriana e una dozzina di grandi tigli lungo via Foscolo; vengono tagliati i platani in Viale Brigata Marche, di fronte alla
scuola elementare Fanna.
Agosto: viene decretata la fine di 47 platani colpiti da cancro colorato in molte zone della citt:
2004 I pini di via Marchesan.
Giugno: vengono abbattuti 10 alberi in via Castello dAmore;
vengono tagliati anche 50 pini marittimi in via Marchesan e la cosa suscita lo sdegno dei residenti (che tentano perfino di opporsi fisicamente allabbattimento delle piante) ed una serie di forti reazioni in citt ()
2005 I platani di via Siora Andriana fanno spazio alla pista ciclabile che
poi non si fa!
2006 La strage di alberi al SantArtemio e i salici dei Buranelli.
Febbraio nellambito dei lavori di ristrutturazione dellex ospedale
psichiatrico di SantArtemio vengono abbattuti 200 alberi. La notizia desta parecchio scalpore in citt aggiungendosi alle gi pesanti polemiche
sulla opportunit (e sui costi) del pesantissimo intervento per trasformare lex manicomio nella nuova sede della Provincia.
Vengono abbattuti i 3 salici dei Buranelli: la scelta dellamministrazione contestata da molti.
2009 Salviamo i due tronchi giganti al SantArtemio.
Febbraio vengono tagliati 2 platani e un salice in viale Cairoli.
Luglio 10 piante vengono abbattute in varie zone della citt.
Un bilancio: 2.000 alberi tagliati, 700 alberi in meno nelle strade e nei
parchi della citt e non solo.

Non c da meravigliarsi, allora, se la recente sentenza della


Corte di Cassazione sembra dare ulteriore fondamento alla
moderna alberofobia: dichiarati illegali tutti gli alberi entro i 6
m dal ciglio stradale, con effetto retroattivo. Potrebbero essere
legittimamente tagliati tutti gli alberi lungo le strade, e contemporaneamente potrebbero legittimamente rimanere al loro
posto tutti i pali e i cartelli pubblicitari esistenti lungo le strade.
La sentenza che ha condannato a un anno e sei mesi il cantoniere dellAnas di Foligno costituisce ora un punto di riferimen-

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to sia per tutti i tribunali e le procure dItalia. Sia per gli enti
proprietari delle statali extraurbane, in particolare lAnas e le
Province che dora in avanti dovranno stanziare ingenti investimenti per mettere in sicurezza le strade alberate. Lavvocato
civilista Sandra Gracis la prima a essersi ispirata alla sentenza della Suprema corte per riaprire una vecchia causa. Tutti
i parenti di automobilisti morti avvenuti nellultimo decennio
contro un albero spiega il legale possono ora fare una causa civile per ottenere un indennizzo. Ho subito citato lAnas
aggiunge lavvocato Gracis per la morte di Tommaso Rossi,
schiantatosi l11 giugno del 1996 (allora aveva 28 anni) contro
un platano della statale Pontebbana fra Treviso e Conegliano. Una strada del Trevigiano sulla quale sono morti contro gli
alberi decine di automobilisti. In tutta Italia ci sono migliaia di
chilometri di strade extraurbane che hanno sul ciglio alberi
killer. LAci, da alcuni anni, ha deciso di non proseguire pi nel
censimento degli incidenti stradali contro gli alberi. Ma le vittime restano ogni anno centinaia (Custodero 2011).
La sentenza riprende un dibattito storico in Italia, che gi Cederna discuteva nel 1966 in un articolo intitolato Caccia allalbero (Cederna 1966), i cui temi sono ancora di attualit e in cui il
grande ambientalista ripercorreva la diatriba tra Anas, Aci,
esperti e Ministeri a proposito delle alberature ai lati delle
strade. La sentenza recente si inserisce nel solco di questa
storia, in una cultura alberofobica che non mai tramontata, e
che ha ricevuto commenti negativi da svariati giornalisti del
collettivo Eddyburg (Bottini 2011).
Fatti sociali e culturali, anche giuridici come nel caso della
sentenza, nascono da un substrato diffuso di atteggiamenti e
pratiche, si evidenziano perch incontrano un modo di fare e di
sentire diffuso, una cultura, insomma, in questo caso una cultura alberofobica.
Lalberofobia un comportamento diffuso a macchia dolio,
che manifesta fastidio nei confronti dellesuberanza dellalbero, esprime atti di dominio e prove di forza contro lalbero.
Come si prodotta questa attitudine? Chi ne il protagonista?
Il disamore per il paesaggio nella periferia diffusa viene da politiche e da pratiche dallalto e dal basso, ossia, come direbbe
Foucault, allo stesso modo del potere avviene diffusamente.
Latteggiamento diffuso, cio familiare, intimo ad amministratori e cittadini, imprenditori e operai, contadini e commercianti, uomini e donne, giovani e vecchi, industriali e sindacati.

7 Tutto il pamphlet e il dibattito con i cittadini, gli amministratori e il Vescovo di Vittorio Veneto, nonch la ricca serie di fotografie particolarmente significative scattate da Paolo Steffan si trova nel suo blog
steffanpaulus.wordpress.com.
In particolare, all'indirizzo
ecologiadelverso.wordpress.com/author/st
effanpaulus/ (gi steffanpaulus.wordpress.com/2012/01/07/arboricidio-premeditato-e-barbarie-a-conegliano-e-asan-fior-e-zaia-non-docet/).
8 Luigi Calesso, Anna Mirra, unaltratreviso.blogspot.com, novembre 2012. Consultato il 05.02.2015.

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[] superfluo insistere [] su uno sdoppiamento di istanze oppositive (ddoublement) o ancora, come avviene nelle analisi pi tradizionali, su una presunta logica della resistenza, del disimpegno, della disgiunzione. Bisognerebbe invece sottolineare la logica della convivenza, le dinamiche dellintimit e dalla familiarit, inscrivendo il dominante e il dominato entro la medesima epistme (Mbembe 2005, 133).

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IL GRANDE VIVENTE NELLA CITT DIFFUSA

Non ci sarebbe periferia diffusa se non ci fosse una familiarit diffusa di pratiche.

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IL GRANDE VIVENTE
Che cos un albero dal punto di vista socio-culturale?
Lalbero una complessa costruzione socio-culturale. Vi si addensano operazioni cognitive, schemi emozionali, pratiche
identitarie, pratiche materiali. Gli studi di Laura Rival dimostrano un fatto molto importante, e cio che indipendentemente dal tipo di albero di cui si parli, indipendentemente dal
tipo di societ presa in considerazione, ovunque limmagine
dellalbero emerge come espressione di un tema costante e ricorrente: la vitalit e il potere di rigenerazione della vita.
Secondo lapproccio etnografico usato dalla studiosa, gli alberi sono usati simbolicamente per rendere concreta e materiale la nozione astratta di vita, e lalbero ne il supporto ideale
in virt del suo statuto di organismo vivente. questo importante aspetto ci che accomuna tutte le societ: lalbero riconosciuto come il grande vivente, espressione di vita autosussistente e rigenerantesi.
Un discorso sul trattamento sociale e culturale dellalbero
quindi un discorso sul trattamento sociale e culturale del vivente. Il modo con cui trattiamo lalbero rappresenta la concezione e la pratica che abbiamo della vita nella societ.
Un discorso sullalbero rappresenta un discorso sulla biopolitica del vivente; esso dunque un discorso urgente da fare nella
periferia diffusa. Partire dal trattamento dellalbero fondamentale politicamente e rilevante eticamente, poich la costruzione di un mondo pi sicuro per gli alberi significa la costruzione di un mondo pi sicuro e giusto anche per gli umani9.
Proteggere-rispettare-curare-amare lalbero significa portare
avanti la stessa attitudine verso ogni vivente, sia esso pianta,
animale o umano. Stessa epistme, direbbe Achille Mbembe,
stessa logica, direbbe Zanzotto, stessa cultura direbbe un antropologo. Se il mondo un intreccio, una corda di canapa dove

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23 Lesuberanza del grande vivente!


Pal di Moriago (TV)
24 Bambini che giocano letteralmente
immersi nel verde di siepi e prato.
San Vendemiano (TV)
25 Grandissimo platano che ombreggia
lautolavaggio e il distributore di benzina,
correggendo positivamente le criticit del
luogo. (San Vendemiano TV)
26 Il vecchio platano di Codogn (TV)
27 Abitazione immersa negli alberi
28 Architettura poetica

9 Un esempio si trova nel significativo documento stilato il 12 gennaio 2014 dalla


comunit dellIsolotto di Firenze, intitolato
Fratelli alberi. Riflessioni sullimportanza e
sulla cura del verde urbano, a cura di Mario
e Paola, con Paolo Basetti. Il documento
inizia con alcune letture dalla Bibbia, prosegue con i dati del censimento degli alberi del quartiere, riflette sulla Legge per gli
alberi e il verde urbano (legge 10/2013).

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IL GRANDE VIVENTE NELLA CITT DIFFUSA

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si tessono insieme umani e non umani, allora la logica con cui


si trattano gli alberi la stessa con cui si trattano gli umani.
Che lalbero sia espressione del vivente, oltre a essere esso
stesso un grande vivente, lo dimostra dal punto di vista ecologico anche il giardiniere-filosofo Gilles Clment, un autore fondamentale per i miei studi sulla periferia diffusa e su come sia
possibile agire in essa. Gilles Clment, con il suo ormai famoso Manifesto del Terzo paesaggio, parla di alberi ed erba come
modelli di una nuova economia, leconomia dellhomme symbiotique che sar luomo del futuro pi giusto ed equo: colui
attraverso il quale lequilibrio mantenuto mentre allo stesso
tempo si mantiene sul pianeta la capacit dei sistemi di vita di
continuare i meccanismi dellevoluzione (Clment 2009).
Dice Gilles Clment che dovremmo cedere il dominio a due
ricchezze: lalbero, lerba. Prodotti di una attitudine PAC il
cui potere di riduzione non ha tuttavia potuto sciogliere tutte le
diversit (Clment 2005, 10).
Clment giustamente famoso per il concetto di Terzo paesaggio, ma se si approfondisce tale nozione si trova che in realt tutto il lavoro di Gilles Clment pu essere letto come un
discorso sul vivente. Il vivente (umano e non umano) al centro dellattenzione dellautore e dei suoi lavori di paesaggista.
Vivente anche molto pi che biodiversit, per Gilles Clment ci che dotato di capacit di invenzione, di una prestazione biologica ma anche di creativit, di evoluzione e cambiamento; timido e imprevedibile, il vivente si sposta e appare,
mobile; si protegge dai disastri e protegge luomo, il rifugio
della biodiversit, la biodiversit della vita.
La cosa pi importante che Gilles Clment ha mostrato con i
suoi lavori sul Terzo paesaggio, proprio lattenzione al vivente (storicamente dato) come principio guida del nostro rapporto con lambiente. Il vivente scardina le categorie ambientaliste e politiche: esso capace di ritornare anche nei luoghi che
noi non pensiamo come luoghi di vita, per esempio come le discariche abbandonate (Breda 2012).
Lalbero un vivente, il grande vivente: come non ricordare che
i complessi cicli vitali che lalbero sostiene e produce sono una
di quelle forme di economie della natura di cui parla Vandana Shiva (2006), in cui la natura una economia che apporta la
vita? Quelle economie dove la natura dona e noi umani riceviamo. dunque dal dono della vitalit che deve venire la nostra
dovuta attenzione a questo soggetto vivente importante, essenziale e generoso che lalbero.

Il primato del vivente trova il suo apice nei jardins de rsistence, luoghi di equilibrio tra natura e uomo senza asservimento o tirannie del mercato ma con la preoccupazione di
preservare tutti i meccanismi vitali, tutte le diversit (biologiche o culturali) nel pi grande rispetto dei fondamenti della
vita (acqua, suolo, aria) e nella pi grande cura di preservare il
bene comune e lumanit tributaria di esso (Clment 2010).
proprio contro questa emblematica vitalit dellalbero che la
periferia diffusa si accanisce, impegnandosi a ridurla. Gli alberi evidentemente ne hanno costituito il bersaglio, ponendosi ironicamente come realt concreta che risponde con la sua
vita alle parodie di certa ideologia specista e razzista che parla proprio di radici, radicamento, terra, identit veneta, casa
nostra, terra nostra dei vari leghismi, sempre pronti poi ad
avallare e decretare cementificazioni di ogni genere.
La sintesi di molte delle mie osservazioni mostra la costruzione della de-vitalizzazione del vivente che la periferia diffusa mette in atto (Breda 2012). Ne conferma una notizia di attualit estrema: alla fine di agosto del 2013 don Albino Bizzotto conduce un digiuno per protestare contro le grandi opere
inutili e imposte, e la cementificazione in Veneto. Il diguino da
lui iniziato si poi diffuso a macchia dolio in tutto il Veneto10.
Lattenzione alla vitalit e imprevedibilit del vivente si scontra
con un grande problema dellambientalismo: la diffusione capillare, onnivora, onnipresente, totalizzante del sistema di
sfruttamento capitalistico della natura. Un problema di biopolitica, in fondo: controllo di natura, paesaggio, corpo, sessualit, emozioni, spiritualit. Il sistema capitalistico liberista arriver a controllare ogni minima presenza di vitalismo? Sembra
infatti che stia applicando forme di imposizione lieve, forme
che Francesco Vallerani chiama di soffice prepotenza: un circuito vizioso in cui ingenti ricchezze private sono generate dalla cementificazione del suolo, ricchezze private che a loro volta influenzano le scelte di politica territoriale a ogni livello, generando una diffusa assuefazione nei confronti del pesante
susseguirsi di trasformazioni degradanti del paesaggio, appiattendo le percezioni del degrado, generando indifferenza tra i
pi e angoscia inconsolabile tra una minoranza di cittadini11.
Il problema allora preservare spazi liberi, come dice Clment, spazi che finora non hanno fatto niente, e che aspirano
a diventare soltanto qualcosa (Clment 2005, 11). Spazi, elementi, soggetti non umani che aspirano solo a dispiegarsi nella loro vitalit: come gli alberi appunto.

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DECOSTRUIRE LALBEROFOBIA: TRA DECOLONIZZAZIONE


E DUB MUSICALE
Il lavoro di Gilles Clment insegna che abbandonarci al lavoro
della natura, fare spazio alla natura, necessario.
Dopo aver guadagnato terreno, luomo non pu forse cederne? (Clment 2011, 14)
Dovremo affidarci di pi al lavoro della natura. Dobbiamo restituire spazio agli alberi nella loro pienezza vitale.
Per far vivere il Terzo paesaggio, ossia il vivente, bisogna imparare a fare un passo indietro e a non volere che i protagonisti
siano sempre gli uomini e le societ (c infatti un eccesso non
solo di costruzioni ma anche di cultura, di cui lantropologia ormai consapevole). Fare un passo indietro significa lasciar
spazio alla natura e alla sua vitalit, dedicandosi allastensione
dal fare incessante e spesso privo di pensiero, per lasciar spazio piuttosto allascolto e allosservazione del lavoro della natura:
istruire lo spirito del non fare cos come si istruisce lo spirito
del fare (Clment 2005, 59).
Dalle societ postcoloniali ci viene proposto un concetto paragonabile: decolonizing nature, decolonizzare la natura, rompere
con leredit coloniale e praticare la restituzione alla natura,
una forma di ecological restoration che va molto oltre la conservazione della natura, concetto e pratica che i postcolonialisti non occidentali contestano e criticano perch ritengono figlio
esso stesso dellideologia colonialista (Adams, Milligan 2003).
Luomo-attore deve sospendere la sua azione, e porsi piuttosto
come interlocutore in un dialogo alla pari con la natura, soggetto attivo con il quale contrattare il nostro stare nel mondo
da umani (Lanternari 2003).
Il giardiniere planetario, giardiniere della terra tutta, non fa,
eppure c. Non fa il guardiano che conserva e controlla, apre
e chiude cancelli, autorizza, nega, permette-vieta, decreta
sentenze di morte (con i pesticidi per esempio). C piuttosto
luomo giardiniere che l per scoprire, capire, osservare, stupirsi, accogliere (con la permacultura o lagricoltura sinergica,
per esempio). questo dunque il manifesto del Terzo paesaggio, lazione pedagogica del Terzo paesaggio, il suo progetto politico. Questo manifesto pu dare le linee guida di una politica di restituzione nella citt diffusa che contempli la presenza dellalbero e la contrattazione degli spazi con esso.
In questa ottica, linvasione del bosco di cui oggi ci si lamenta
per esempio linvasione boschiva delle Prealpi venete da
rileggere alla luce dei nuovi concetti di ecological restoration,

10 www.beati.eu.
11 Francesco Vallerani, convegno Villa
Dirce, Tezze di Piave (TV), 5 marzo 2011.

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IL GRANDE VIVENTE NELLA CITT DIFFUSA

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una ecologia che lascia spazio alla natura, che chiede alluomo
che ha preso tanto di restituire. Sono politiche che ci arrivano dai paesi ex coloniali, con le quali dobbiamo interagire
e dalle quali dobbiamo finalmente imparare, e incarnano anche lo stesso concetto di Terzo paesaggio di Clment: luomo
si sottrae (finalmente) e lascia spazio alla natura e alla sua vitalit, a cui dobbiamo re-imparare ad affidarci. La parola chiave vitalit nei suoi aspetti innanzitutto materiali-ecologicistorici, anche se non sempre facile da riconoscere, n da conoscere, n da gestire, n da accettare. Il bosco debordato in
luoghi che un tempo erano praterie e pascoli, pu essere considerato a livello globale come la compensazione dellurbanizzazione e dei suoi effetti negativi. Una re-invasione da parte
degli alberi in pianura nella citt diffusa (altamente inquinata)
sar auspicabile anchessa, dopo i recenti decenni passati a
sottrarre spazi agli alberi e a mortificarne la vitalit. Gli spazi
del Terzo paesaggio di cui piena la citt diffusa sono pronti
ad accoglierli.
Ne dimostrazione lo straordinario caso dei quattro grandi ficus cresciuti a Cagliari, in centro storico, incorporando una caserma abbandonata e creando un caso achitettonico straordinario documentato dallartista Marta Anatra. Il concetto di Terzo paesaggio lelemento chiave del lavoro artistico e politicopoetico che Marta Anatra sta conducendo in questo luogo, dialogando con le amministrazioni per cercare il progetto migliore per la tutela sia della rovina militare che dei grandi ficus12.
Le caserme abbandonate nel centro della citt sono infatti un
caso tipico di Terzo paesaggio; la successiva invasione del luogo abbandonato da parte delle piante rappresenta il lavoro della natura che riporta il vivente spontaneo nei luoghi interstiziali o abbandonati.
Non a caso gli artisti sono spesso attratti e capaci di percepire
e lavorare con il Terzo paesaggio. Lo testimonia anche lo straordinario recentissimo lavoro degli artisti del gruppo Alambic
Conspiracy (che riunisce musicisti, fotografi, scrittori e antropologi) che si sono dedicati alla rappresentazione della riconquista da parte della natura della strada statale 251 della Val
Cellina in Friuli, che fu chiusa, dichiarata inagibile e sostituita
con una nuova strada. Scrivono gli artisti:
Una strada pu anche essere letta come una ferita inferta dalluomo
al paesaggio e alla natura. Una ferita non mortale che lentamente
guarir. Con questo lavoro abbiamo cercato di documentare lindolen-

te processo di cicatrizzazione della SS 251 da quando ha smesso la


sua funzione di via di comunicazione. [] Bastano pochi anni perch
un luogo, come questo della vecchia strada della Valcellina, appaia
come confinato in un limbo fuori dal tempo: una dimensione inedita in
cui si instaurano equilibri naturali altri (Alambic Conspiracy 2012, 10).

Il collettivo ha pubblicato un libro che raccoglie fotografie di


straordinario livello, testi lapidari e un cd di musica dub composta appositamente per dare suoni a questo paesaggio fluviale/montano/stradale, dato che uno degli obiettivi del loro lavoro quello di dare suoni al paesaggio e immagini alla musica.
La cosa pi straordinaria che questi artisti, credo per primi
in Italia, con questo lavoro di grandissimo spessore, hanno
realizzato lo spostamento dal Terzo paesaggio paesaggistico
al Terzo paesaggio musicale. Sentiamoli:
Nella sua forma canonica il dub unazione di riorganizzazione musicale, una destrutturazione mirata a trasformare un brano gi esistente in una nuova forma sonora. In questo atto di riorganizzazione il dub
master crea dei mixaggi alternativi dove vengono sovvertite le gerarchie dellarrangiamento musicale. Voce e riferimenti armonici vengono rimossi per lasciare spazio alla base ritmica e vengono reinseriti
saltuariamente solo per innescare echi e riverberi. Il risultato di questa tecnica porta alla creazione di una musica evocativa e visionaria,
popolata di voci filtrate che sembrano ricordi, quasi testimoni di un
passato remoto. Il passato remoto che si pu evocare dalla visione di
un paesaggio urbano abbandonato, dove non pi luomo, ma la natura, ad articolarne i meccanismi. [] Cos come i meccanismi naturali attraverso la consunzione degli elementi trasformano case e palazzi in suggestivi scheletri popolati di rovi, fiori e deliziose gramigne,
il dub master pu trasformare qualsiasi canzone in unarticolata costruzione sonora dove il suono si espande e dilata. Il fascino e la suggestione di questa arte minima, che il dub, sono fatti della stessa sostanza di cui fatta la bellezza dello spettacolo che la natura offre
quando si riappropria delle nostre grandi opere. Per chi sa coglierne
il pregio, il terzo paesaggio musica, una musica a met strada tra
lumano e il primordiale: una sinfonia dal sapore dodecafonico fatta di
caos apparente ma fisiologico equilibrio, dove il ricordo di una presenza umana non nuoce pi. [] Il dub il terzo paesaggio musicale
(Alambic Conspiracy 2013, 66-67).

La citt diffusa, proprio perch spazio fittamente antropizzato, possiede altrettanto fitti spazi del Terzo paesaggio, luoghi

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interstiziali o abbandonati o residui di infrastrutture, margini


di campagne spezzettate. Saranno questi gli spazi di cui si dovr occupare la cittadinanza nei prossimi anni per ritrovare un
equilibrio ecologico in questa inquinatissima pianura? Poich
gli amministratori non avranno pi le risorse per occuparsene,
saranno dati in gestione alla cittadinanza? Agli artisti? Ai collettivi di ricerca? Saranno rivendicati come luoghi dove la natura sta curando le ferite che sono state imposte alla brutta
periferia diffusa? Come saranno onorati paesaggi cos maestosi, o cos minimi? Saremo capaci di assegnare un ruolo importante agli artisti in questa pratica di decostruzione?
PICCOLA ETNOGRAFIA DELLA RESISTENZA
E DELLAMORE PER LALBERO
consolante rendersi conto che in molti si stanno muovendo
intorno agli alberi, intenzionati a proteggerli, conoscerli,
amarli, rispettarli, restituire loro spazio e cure, godere dei doni
gratuiti che lalbero offre. Considerarli parte importante del
proprio paesaggio e della propria storia. Si pensi al castagno
descritto da Anna Frank nel suo diario, attualmente in cattivo
stato di salute, e lattivazione di persone e gruppi da tutto il
mondo per piantare semi di quellalbero e non perderne la
memoria genetica, la memoria fisica, la sua concretezza, la
sua presenza vitale e concreta sulla Terra. Si pensi anche ai
cosidetti arboricoli del Piemonte, un gruppo di famiglie che
ha deciso di mettere su casa tra gli alberi (Gregolin 2008), o ai
censimenti di alberi patriarchi o di vecchie variet di alberi da
frutto che varie regioni hanno promosso.
I casi di proteste contro gli abbattimenti di alberi in citt o in
campagna sono ormai diffusissimi. La popolazione locale, in ogni
luogo del mondo, attenta agli alberi vicini ai suoi spazi di vita.
Questa attenzione significa proprio ci che Tim Ingold ha teorizzato: c una reciproca interrelazione tra uomo e ambiente, tra
persone e alberi. Toccare luno significa toccare laltro, abbattere luno non pu lasciare indifferente laltro. Le amministrazioni
locali ormai fanno i conti costantemente con queste proteste e
farebbero bene a rendersi definitivamente conto che non si possono abbattere gli alberi a piacere, senza giustificazione, o farli
potare drasticamente da personale non qualificato, in ogni stagione dellanno, in modi indegni di un grande essere vivente.
La cittadinanza ormai sa che esiste un diritto al verde urbano.
Esistono gi i diritti degli animali che cominciano a essere co-

12 Cfr. it-it.facebook.com/architettidelverde, oppure www.martanatra.altervista.org.

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dificati e presto verranno anche i diritti dei vegetali, come si


evince per esempio dal lavoro della commissione svizzera
CENU13 o dal lavoro di neurobiologia delle piante del team di
ricercatori che fa capo a Stefano Mancuso, le cui recenti scoperte mostrano intelligenza, sensibilit e memoria delle piante14 (Mancuso, Viola 2013).
Sar interessante allora considerare le parole e i gesti dei cittadini, dei gruppi, dei soggetti che si sono mossi in difesa degli
alberi.
Le sottrazioni dei 2.000 alberi di Treviso, di cui abbiamo visto
la denuncia sopra, sono state accompagnate da questi commenti dei cittadini, raccolti online nel Diario minimo dei 2.000
alberi di Calesso e Mirra:

IL GRANDE VIVENTE NELLA CITT DIFFUSA

veramente triste il taglio degli alberi, il posto non pi lo stesso: si


potevano curare. Si provveda a piantarne di sani e subito.

78

Egregio signor sindaco, sono un povero cagnolino che la sera usciva col
suo padrone (dotato di regolare paletta raccoglicacca) per fare i suoi bisognini sui tronchi decennali dei magnifici alberi che abbellivano questa citt. Ma lei, ahim, un po alla volta me li sta tagliando tutti, e in
qualche caso sostituendoli con asfittici e insignificanti alberelli non
adatti al mio scopo! Dove potr andare a fare la mia pip? Forse a casa
sua, a casa dellassessore ai lavori pubblici, o presso le innumerevoli
antenne sorte in citt che sembrano fatte apposta per questo scopo?
Attendo risposta.
Suo affezionatissimo Boby
(Treviso)
Anche un albero si pu fotografare arte della natura. Invece di tagliarli pensiamo a piantarli!
Il taglio dei salici dei Buranelli stato unoffesa ai trevigiani e ai turisti, per fortuna che il signor Gentilini tiene molto alla citt!
Penso non abbia un senso il taglio di quei poveri alberi: facevano parte della storia della citt. A spese del sindaco ne faremo piantare delle nuove.
Un peccato davvero. I Buranelli ora non sono pi magici e dove le
portiamo le donne x farle innamorare?
Vergogna! dovrebbe essere cosiderato come reato punibile. Treviso
non pi quella della mia infanzia! Vergogna!

Lennesima schifezza di questa giunta. Sorgono antenne di telefonia e


vengono abbattuti alberi. Alla faccia dei cittadini!
Nei miei quadri dei Buranelli continuer a dipingere i salici piangenti
come se fossero ancora l.
Come sempre: i sogni non si avverano mai, un angolo di poesia e incanto sparito. Ho voglia di piangere.
Sarebbe bello che la Provincia di Treviso (proprietaria del luogo) lasciasse adagiati a terra i due immensi tronchi di alberi tagliati che si trovano
nel Parco dello Storga vicino alle case Stefani. I due colossi di tronchi potrebbero essere tutelati come testimonianza, oltre che della loro lunga
et, di un processo di trasformazione che il trascorrere del tempo compie attraverso la decomposizione. Questi tronchi potrebbero essere utilizzati come elementi per la progettazione di uno spazio pubblico che
avrebbe come fine la valorizzazione della qualit fisica ma soprattutto
sensoriale ed estetica del territorio inteso come paesaggio culturale. Infatti questi tronchi cos suggestivi per la loro mole si prestano bene, a nostro avviso, non solo a riflessioni proprie di discipline scientifiche che
studiano gli aspetti biologici e fisici dellambiente, ma anche ad interpretazioni estetiche sulla dimensione del tempo. Creando un luogo tutelato
si potrebbe progettare un laboratorio ecologico nel senso pi ampio del
termine, arricchendo cos la funzione ricreativa di un parco pubblico con
pi dimensioni della vita quali quella estetica, quella psicologica e quella antropologica15.

Prese di posizione di questo tipo in difesa dellalbero si susseguono costantemente nella citt diffusa.
Nel 2011 il grande fico posto entro il Parco del fiume Sile viene difeso da un gruppo di genitori di Spresiano che nel loro
blog mostrano i loro figli felici sotto la volta dellalbero, con i
grembiuli di scuola, e in una foto successiva il moncone dellalbero drasticamente abbattuto senza motivazioni, e creano
una pagina facebook dedicata al grande albero intitolata Lo
scempio del fico centenario.
Bisogna individuare e sanzionare i responsabili dellabbattimento del
fico secolare avvenuto nel Parco del Sile a Canizzano di Treviso. Lo
scorso sabato 23 luglio 2011 stato abbattuto il fico secolare di Canizzano, allinterno dellarea protetta del Parco del Sile (www.genitorispresiano.worldpress.com).

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A Pordenone la cittadinanza organizza gruppi in difesa dei pini


marittimi di piazza dAosta minacciati di abbattimento. Le
schermaglie con gli amministratori che ne propongono labbattimento riportano a galla stereotipi che si ripetono: si colpevolizzano gli alberi degli incidenti, di essere ammalati, di creare
danni, di essere solo alcuni tra i tanti alberi e quindi di essere facilmente sostituibili; si afferma che tanti altri alberi saranno
piantati al loro posto. La cittadinanza replica e difende gli alberi poich essi concretizzano il loro rapporto con la societ, la
cultura, la storia, la vitalit. Queste le testimonianze del gruppo
di difesa degli alberi, che alternano voci che dialogano con un
amministratore e con altri cittadini.
assurdo che si vogliano tagliare degli alberi che sono l da decenni
Gi la citt ha questo aspetto cementificato e desertificato Qualche
estate fa ho visto tagliare degli alberi altissimi attorno alle fabbriche
di Via Castelfranco, non ne capivo il motivo e ho provato una grande
tristezza...
Vi rendete conto limportanza di alberi e vegetazione?
Il gruppo degli amici dei pini sta crescendo a vista docchio. Invito tutti gli amici di Pordenone verde a farsi promotori di adesioni alla resistenza contro chi non ama gli alberi

13 La Commissione federale detica per la


biotecnologia nel settore non umano
(CENU) ha lo scopo di elaborare proposte
di natura etica in vista della concretizzazione del non ben definito concetto costituzionale della dignit della creatura nel
regno vegetale. Lobiettivo era sapere se
e per quali motivi le piante debbano essere protette dal punto di vista etico. La
lunga discussione che ne consegu concluse con alcune riflessioni a favore del
mondo vegetale che risultarono essere
timide crepe nel pensiero occidentale
classico secondo il quale le piante occupano il pi basso gradino della scala degli
esseri viventi poich sono incapaci di movimento, di intenzionalit e di sensibilit.
Vedi in bibliografia anche ECNH, Federal
Ethics Committee on Non-Human Biotechnology.
14 Mi occupo dei lavori della commissione
svizzera e dei nuovissimi studi di neurobiologia delle piante in Breda 2014. Sul
tema dei diritti delle piante cfr. nota 3, supra p. 61.
15 Luigi Calesso, Anna Mirra, Diario
minimo dei 2000 alberi, novembre 2012,
unaltratreviso.blogspot.com. Consultato
il 05.01.2015.

Segnalo che dal 2008 ad oggi in citt abbiamo messo a dimora oltre
3.000 nuovi alberi.
evidentemente non bastano, e il bisogno dei ricordi, del verde, dei
simboli, dellessere, fa parte dei sentimenti, dei bisogni di molti pordenonesi. Quindi perch non accettare questa lievitazione popolare
nella tutela del verde?
Le radici sollevano lasfalto e rendono pericoloso il transito sulla carreggiata.
Gli uffici competenti hanno appurato che per ripristinare il manto
stradale occorre rimuoverle.
Questo compromette la stabilit delle piante e rende necessaria la
loro sostituzione.
In ogni caso la Giunta Municipale ha deciso di sospendere labbattimento dei pini marittimi per verificare eventuali soluzioni alternative.

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Le strade di Pordenone sono una costellazione di buche nellasfalto, di


cosa ci lamentiamo? Ho visto davanti a me un autobus lungo andare di
traverso per un pelo di pioggia sulla rotonda di viale Martelli/Dante
perch lasfalto gibboso. Interpellato lautista, mi dice la norma
In molti luoghi, le radici degli alberi, vengono coperte con altro manto
stradale. Tra laltro, aver posato altri alberi non vuole dire molto. Viale
Grigoletti ad esempio. Un viale alberato magnifico sino a prima che venissero tolti i pioppi. stata una bestialit, oltre ad aver messo in evidenza tutti quegli orribili palazzi, ci ha privato di un bene inimmaginabile. Erano un pericolo s, perch la gente non sa guidare, se ne frega
e, quando sbaglia, non ha mai il coraggio di ammettere i propri errori.
Certo, andavano mantenuti, spesi soldi, ma erano impagabili, insostituibili. Pordenone era molto ma molto pi bella 30 anni fa.

29

IL VERDE STORIA PER LA NOSTRA CITT UNA PICCOLA BATTAGLIA MA DI FORTE CONTENUTO SIMBOLICO. GLI ALBERI NON SI ABBATTONO PER FAR PIACERE ALLE STRADE

IL GRANDE VIVENTE NELLA CITT DIFFUSA

Se sono marittimi, cosa centrano con Pordenone?


Il termine non deve trarre in inganno, si chiamano cos perch il loro
ambiente pi idoneo il mare dove se ne formano enormi pinete. Ma
in realt questi alberi sono molto adattabili ed esistono in molte citt
per il loro manto sempre verde e la loro indiscussa eleganza come elemento di decoro pubblico.
I pini marittimi stan bene a Bibione

30

Mah, io trovo che stanno benissimo anche dove si trovano in questa


foto e ovunque li vedo
I pini marittimini (di moda negli anni Settanta) hanno devastato strade
e marciapiedi con le loro radici superficiali per non parlare degli aghi
che intasano le caditoie qualcosa di autoctono no???
Da sempre i pini marittimi fanno parte del paesaggio delle nostre citt, a Verona ve ne sono che hanno pi di cento anni e sono magnifici.
Tutti gli alberi perdono le foglie, molti hanno radici che sollevano le
strade (anche i tigli di via Cappuccini e via Pola). Ma la scusa che si
vuol sottrarre il verde per far pi posto al cemento questi alberi sono
magnifici e se hanno bisogno di spazio si allarghi il verde attorno a
loro, non lo si restringa. Se lo hanno fatto a Conegliano, dove certo nn
si brilla per tutela del verde si pu anche qui. Ogni albero tagliato inol-

80

29-30 Il fico del Parco Naturale del fiume Sile, prima e


dopo il taglio, come documentato dai genitori degli alunni
fotografati (www.genitorispresiano.worldpress.com)

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tre costa alla collettivit per il taglio e costa alla collettivit per la
piantumazione di un nuovo che metter decenni ad avere dimensioni
decorose

16 Cfr. il gruppo facebook Salviamo i pini


marittimi di Piazza dAosta,
www.facebook.com/groups/536997659699
387/?fref=ts, consultato il 12 febbraio
2015.

oltre tutto sn spelacchiati perch soffrono a queste quote s.l.m. Le


foglie si decompongono gli aghi ci metteno moltissimo tempo e intasano Sai quanto costa la manutenzione e/o rifacimento di strade e
marciapiedi alla collettivit???
sono piante! cosa si dovrebbe fare di una bella donna passata negli
anni?16

La cittadinanza convive con i suoi grandi alberi quasi senza accorgersene, perch come hanno dimostrato Ingold e Palsson
noi siamo intimamente intrecciati al nostro ambiente, come fili
di una corda. La stessa cittadinanza quindi capace di accorgersi se il grande vivente si ammala, soffre, viene maltrattato,
ha bisogno di cure. Sono emblematici e rappresentativi anche
i due casi che seguono, uno in provincia di Treviso, riguardo un
vecchio gelso da curare, e uno in provincia d Piacenza, riguardo una quercia di trecento anni che verrebbe impattata da una
bretella autostradale.
Trecento anni e qualche acciacco: Fontane vuole salvare il suo gelso.
Villorba. Sotto la sua ombra hanno trovato ristoro contadini, soldati,
osti e forse anche qualche nobile a cavallo. Da almeno 300 anni l, a
vegliare su Fontane, ma ora rischia di crollare. Il Vecio Morer, da cui
il nome della vicina osteria, trema sotto i colpi del vento e del traffico.
I residenti chiedono un intervento per salvarlo. Non si fa pi manutenzione da tempo, ma troppo pesante e allinterno vuoto da anni.
Se non lo vogliamo veder crollare alla prima tromba daria, bisogna intervenire, lappello lanciato da alcuni residenti del centro della frazione. Non chiaro quanti anni abbia di preciso quel gelso, ma certamente almeno 300. Alcune annotazione storiche infatti ne parlano fin
dai primi anni del 1700, quando Fontane era una distesa di campi e un
piccolo borgo. Di aneddoti sul quel Vecio Morer la storia popolare locale piena. C chi racconta che fissati al tronco dellalbero cerano
grossi anelli di ferro che servivano ai contadini e ai commercianti per
legare i cavalli, gli asini o i buoi mentre si concedevano unombra de
vin. Quasi ogni giorno era legato a questi anelli, a volte anche per ore,
Aldo, lasino della Nesta Menina, una fruttivendola ambulante che
con un carretto ricoperto di frutta e verdura passava di paese in paese. Lasino, si dice, fungeva anche da guida per la donna. Conosceva

81

IL GRANDE VIVENTE NELLA CITT DIFFUSA

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bene la strada di casa anche perch non sempre, dopo le lunghe soste
allosteria, la padrona ricordava da che parte andare. Il Vecio Morer
un vero patrimonio storico e culturale per tutta Villorba, protagonista di molti momenti di vita quotidiana degli ultimi 300 anni. Proprio
per questo molti residenti chiedono che venga salvato. Recentemente
stato chiesto lintervento sia del Comune di Villorba che della Forestale, ma ancora nessuno intervenuto. Eppure se il vecchio gelso dovesse crollare sulla strada potrebbe rappresentare un pericolo grave.
Meglio rimetterlo in sesto, no? (Cipolla 2013)

una esperienza per niente bucolica, poich comport enorme


sacrificio personale, morale e fisico. Julia Hill rischi il congelamento durante linverno e il soffocamento per i fumi degli incendi nella foresta. Visse la morte di un attivista schiacciato
sotto un albero nel momento del taglio che il militante stava
tentando di fermare, infine comp i suoi diciotto anni di et proprio sullalbero. Alla fine la sua battaglia diede gli esiti sperati e Julia pot scendere dalla sequoia dopo due anni. Quella
che segue la sua testimonianza.

Il famoso Terzo ponte sul Po, ovvero il progetto di bretella autostradale che dovrebbe collegarePorto canale di Cremona
alla sponda piacentina del Po, tramite la costruzione di un
nuovo ponte, dovrebbe attraversare il Po e andrebbe ad impattare su una zona di campagna piacentina fino alla farnia
plurisecolare. Il progetto, definito da un gruppo di venti studiosi ed esperti inutile, eccessivamente impattante e non sostenibile sul piano economico, rischierebbe di devastare
centinaia di ettari di aree pregiate, alcune tutelate a livello europeo, dove nidificano specie in via di estinzione. I comitati
sono attivi da molto tempo su questo tema, coinvolgendo studenti, scuole, musicisti, artisti, con produzione di immagini,
video e libri, ricorsi, interpellenze ecc. La nonna quercia diventata un personaggio famoso nel web e un soggetto/oggetto di biopolitiche.

Scoprii che loccupazione di un albero una tattica usata nella lotta per
proteggere la foresta. C la speranza che piazzare degli esseri umani
per ventiquattrore consecutive su una piattaforma sistemata nella parte superiore di un albero possa impedire il taglio di quella pianta e di
quelle circostanti e contemporaneamente attiri lattenzione sul momento in cui la foresta diventa un prodotto. Questo tipo di disobbedienza civile uno dei pochi metodi pacifici a disposizione del movimento
per le foreste (ivi, 23).

Salviamo MINA la grande quercia. Petizione. Chiediamo che Nonna


Quercia, bellissimo e sano esemplare di farnia, residente da oltre 200
anni nella zona Oppiazzi di Castelvetro Piacentino (PC), venga riconosciuto e onorato come Anziano Saggio della comunit, portatore di vita,
di bellezza e di appartenenza alla Terra, valori fondamentali per un futuro sostenibile. Chiedo anche che la Grande Quercia venga salvaguardata e tutelata, sia nella sua integrit di essere vivente, sia nel paesaggio rurale dove da sempre collocata, contesto necessario per farla vivere e per poterla ammirare (www.salviamononnaquercia.com).

Uno straordinario caso di difesa di un albero quello di Julia


Butterfly Hill, la ragazza che in America si iss per due anni
consecutivi su una sequoia ottenendo la salvezza dallabbattimento sia dellalbero che della circostante foresta. Il suo caso
testimoniato in un libro che racconta nel dettaglio lavventura mai pi eguagliata in questi termini da altri esseri umani
(Hill 2002). Loccupazione della sequoia da parte di Julia Hill fu

Loccupazione di un albero lultima spiaggia. Quando vedi qualcuno su


un albero per cercare di proteggerlo, capisci che la societ ha fallito ad
ogni livello. I consumatori hanno fallito, le imprese hanno fallito e il governo ha fallito. Gli amici delle foreste sono andati in tribunale, gli attivisti hanno cercato di rendere consapevoli i consumatori, ma senza risultati. Le imprese hanno dimenticato le proprie responsabilit in quanto proprietarie, mentre il governo si rifiutato di potenziare le sue leggi. Tutto ha fallito, cos la gente sale sugli alberi. Non ho altro modo
per fermare quello che sta succedendo di fondo quello che comunica chi occupa un albero. Non ho altro sistema per rendere consapevole la gente di cosa c in gioco. Ho seguito le regole, ma tutto quello che
mi stato detto di fare ha fallito. Quindi mia responsabilit fare questultimo tentativo, mettere il mio corpo dove stanno le mie convinzioni. Gli sforzi per proteggere le sequoie della costa risalgono ai primi
del Novecento, quando quattro donne di Eureka, in California, diedero
vita al movimento, fondando la Save-the-Redwood League. Con i cappotti di pelliccia e i cappelli leziosi, scrissero lettere ai politici e a un certo numero di famosi e ricchi naturalisti. Poi portarono le loro proteste
sulle strade e proprio come quelli che protestano oggi hanno spostato
la loro causa sugli alberi allo scopo di raggiungere la consapevolezza
della gente. Senza gli attivisti passati e presenti, la maggior parte delle
antiche foreste della California sarebbe caduta molto tempo fa (ivi, 30).
[] loccupazione di un albero va oltre la protezione dellalbero stesso: una forma di servizio pubblico intoccabile (Hill 2000, 58).

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Poi lufficiale disse: ho delle buone notizie per lei. Il documento stato registrato. Laccordo per la conservazione di Luna e lAtto di compromesso sono stati siglati. [] quando riagganciai capii. Ero in piedi,
caddi sulla piattaforma e piansi. Era finito. Non pi scappatoie. Niente
pi stalli. Luna era protetta. Ce lavevamo fatta (ivi, 202).
Alla fine, era arrivato il momento di andarmene. Durante una delle
mie ultime arrampicate notturne sino alla piattaforma alzata per
collegare la batteria al sistema di ricarica, mi ero spinta su uno dei
miei rami preferiti e mi ero adagiata nellabbraccio affettuoso di
Luna. Era una sera stupenda con la nebbia che scendeva lentamente nella sottostante vallata dellEel River e il cielo limpido sopra di
me. La luna crescente illuminava buona parte del cielo e rendeva la
nebbia iridescente. Ai margini del mio campo visivo splendevano alcune stelle. Era una scena che negli ultimi due anni avevo ammirato molte volte sempre leggermente diversa, sempre mozzafiato.
Mentre stavo l ad assorbirla, mi resi conto che era una delle ultime
volte che avrei visto questo panorama diventato parte di me come
lesperienza che avevo vissuto. Scoppiai in lacrime. Pi tardi scrissi:
Mi sento come se dovessi separarmi da una parte di me, un pezzo
di me stessa, lessenza del mio essere. Adesso, la donna che sono
diventata lacerata. Comincio a capire la lezione senza fine di abbandonarsi. Quando scender da questalbero, lascer il migliore
amico che abbia mai avuto. un dolore che non posso descrivere,
ma solo provare e conviverci. Lo sento gi ora ed solo linizio. Sapr tornare e stare nel grembo di Luna alla base, ma non mi adager pi tra i suoi rami, osservando il mondo da questa prospettiva incredibile (ivi, 204).

31

La difesa fisica degli alberi non riguarda solo gli alberi delle
foreste, ma anche quelli cittadini. Lo straordinario caso di Julia Hill stato ripetuto molte altre volte in svariate altre parti
del mondo. Anche a Firenze un uomo si install su un albero,
nel mese di agosto 2007, per protestare contro il taglio degli
alberi di viale Morgagni, in centro citt. Il caso viene descritto
da Sara Pajossin nella sua etnografia degli alberi a Firenze17.
Il dibattito fu acceso. interessante leggere nel documento
seguente lintensit rappresentativa dellalbero come essere
vivente, che sarebbe ucciso con labbattimento:

83

La mobilitazione dei cittadini riuscita per ora a impedire lapertura dei


cantieri e la transennatura che si voleva allestire per procedere allabbattimento delle piante di alto fusto che delimitano sui due lati viale Mor-

31 Proteste contro il taglio degli alberi di viale Morgagni


a Firenze

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gagni. Se non ci fosse stata questa pronta mobilitazione (nonostante il


caldo intenso e i tentativi attuati dalla impresa appaltatrice di avviare i lavori), oggi molti alberi che proteggono e allietano una delle strade pi
trafficate di Firenze sarebbero gi stati uccisi18 (Pajossin 2012).

IL GRANDE VIVENTE NELLA CITT DIFFUSA

Anche in questo caso linter-posizione del proprio corpo per la


tutela dellalbero sembra essere stata la metodologia applicata in extremis e contro ogni scoraggiante evidenza. Come possiamo ormai ben capire, questo metodo si richiama a casi simili esperiti in molti altri luoghi del mondo.

84

Lalberata di viale Morgagni per noi cittadini un bene comune di primaria importanza sotto il profilo estetico, sotto il profilo storico e della memoria, e infine anche sotto il profilo ambientale (cio come importante fattore di miglioramento delle condizioni di vivibilit in relazione alla temperatura e allumidit, e di attenuazione degli effetti dellinquinamento atmosferico e acustico).
Riteniamo inoltre che questo bene comune, costituito da piante di alto
fusto di prima grandezza e di alcuni decenni di vita, nella quasi totalit
sani, sia un unicum, non riproducibile se non in tempi lunghi, e quindi da
salvaguardare con tutte le energie possibili, come affermato in primo
luogo dallarticolo 9 della Costituzione. La nostra opposizione ai cantieri
aperti in viale Morgagni, che comportano labbattimento di tutta lalberata del viale, nasce pertanto dallistanza fondamentale di difendere un
bene comune prezioso da una distruzione irreparabile causata da un
progetto carente sotto pi profili: da quello tecnico-operativo a quello
della sua pubblicizzazione e condivisione da parte dei cittadini interessati. Ribadiamo a questo proposito che neppure per unopera detta di pubblica utilit possa essere distrutto un bene comune riconosciuto come
tale dai cittadini. E questo riconoscimento stato ampiamente documentato allAmministrazione Comunale da vari mesi e in pi sedi, ma soprattutto dalla met di luglio scorso, attraverso la mobilitazione popolare in difesa degli alberi di viale Morgagni, verificatasi allapertura del primo cantiere e dalle migliaia di firme che hanno accompagnato le petizioni inviate allAmmistrazione Comunale. Il presidio di noi cittadini al secondo lotto del cantiere di viale Morgagni riveste questo significato di difesa di un bene comune contro un atto distruttivo; se non fossero intervenuti fisicamente i cittadini altre piante dellalberata di viale Morgagni
oggi avrebbero seguito la sorte delle piante gi abbattute nel primo lotto. Poich il dibattito recentemente verificatosi in ben tre sedute consiliari e lo stesso ordine del giorno di questa Commissione Consiliare, oggi
riunitasi, confermano che non esiste ancora un progetto esecutivo definitivo e tanto meno che questultimo sia stato mai discusso adeguata-

mente coi cittadini in merito alle sue numerose criticit emerse in pi


occasioni e gi da tempo ripetutamente denunciate, noi cittadini, [] riaffermiamo tutta la nostra intenzione di continuare nellazione di presidio
del secondo lotto del cantiere, in difesa degli alberi di viale Morgagni,
azione improntata al diritto/dovere della difesa dei beni comuni. [] E
analogamente ci adopereremo per chiedere conto dei danni irreparabili causati alla salute. Nonostante la fatica fisica e morale della nostra
azione di presidio in difesa degli alberi in viale Morgagni, continuiamo
ancora a sperare che nellAmministrazione Comunale prevalga finalmente una volont chiara e decisa di abbandonare la logica dellimposizione arrogante di scelte non condivise e del muro contro muro, e di intraprendere un vero percorso di dialogo e discussione con i cittadini. Solo
se avranno garanzie certe che gli alberi del secondo lotto non corrono il
rischio di abbattimento, Antonio e gli altri cittadini, che condividono la
sua azione, decideranno di tornare a una vita normale.
Firenze 18 ottobre 2007 (ibid.).

Attivisti in tutto il mondo compiono complesse azioni politiche di


salvaguardia degli alberi, a volte pagando in prima persona, con
le loro stesse vite. Angie Zelter fu imprigionata per il suo attivismo ambientale. Per Angie Zelter lalbero non solo immagine
di vita, ma anche di giustizia sociale e di spazio pubblico. Attivista dellassociazione Reforest the Earth, imprigionata per le sue
azioni dirette, la sua azione ricorda la tesi di un antropologo,
Jim Fernandez, secondo la quale lalbero provoca immaginazione morale. Lalbero, per Zelter e i suoi attivisti, non solo una
immagine metaforica. La sua presenza materiale fisica e concreta. Questi attivisti seminano e piantano alberi attorno e dentro le basi militari, piantano alberi nei giardini o in altri spazi
pubblici quando vengono a conoscenza di attacchi armati ai civili da parte di americani o europei. Proteggono gli alberi antichi contro la costruzione di nuove strade difendendoli con i loro
corpi. La loro una politica della presenza. Il loro impegno politico ha una dimensione fisica che va oltre le parole.
Lalbero significativo non solo per ci che rappresenta, ma anche
come sorgente di unattuale, sensuale implicazione con il mondo. La
performance, la ritualizzazione, la teatralizzazione, lazione simbolica, come per esempio la bruciatura e il seppellimento della propria
auto, la plantumazione di alberi sopra le tombe, la piantumazione di
semi negli interstizi del catrame delle strade, la chiave di una azione politica che indirizza la materialit del mondo e prende la vita come
primo obiettivo dellintervento politico (Rival 1998, 17; trad. mia).

MARSON 4,6_quod 21/07/15 16:51 Pagina 85

Lattivismo di Angie Zelter risuona per alcuni aspetti con la visione del mondo e dei viventi che ho colto nelle parole della testimonianza che segue, tratta da unintervista che ho fatto a un
erborista naturopata. Data la nostra amicizia, avevo saputo che
aveva fatto uninteressante piantumazione di alberi in uno spazio pubblico adiacente la sua casa. Il modo con cui ha effettuato la piantagione, la filosofia antroposofica che lo ha ispirato, le
conoscenze multiple e spesso ibride che ha messo in campo,
rendono a mio avviso questa testimonianza molto speciale e
importante. lazione di un uomo che agisce in solitudine (e
che ricorda Luomo che piantava gli alberi di Jean Giono) e con
intenzioni di spiritualit, ma il cui effetto del tutto politico: la
costruzione di verde pubblico, a uso e consumo di tutti i cittadini, con effetti di protezione ambientale e mitigazione di inquinamenti. La sua testimonianza illustra una concezione complessa del cosmo e dei viventi (alberi ma anche minerali, terra, acqua, oggetti, umani ed esseri spirituali) e rappresenta bene ci
che Marc Bloch si raccomandava di indagare: le teorie locali,
personalizzate, che esprimono la concezione della vita.

17 Sara Pajossin, Una etnografia della


vita sociale degli alberi a Firenze, tesi di
Laurea Magistrale (svolta sotto la mia direzione e vincitrice del Premio Laura Conti). Oggi in corso di pubblicazione con il titolo Gli alberi e noi, CISU, Roma.
18 Nota presentata da Mario Bencivenni a
nome dei cittadini di viale Morgagni che
difendono gli alberi dal progetto di realizzazione della linea 3 della tramvia. Questa
nota stata presentata alla VI Commissione consiliare Ambiente e trasporti del
Comune di Firenze. In Pajossin 2012.

La costituzione di una comunit morale attraverso luso della metafora arborea ci che mira a spiegare Bloch che argomenta che se
lalbero un simbolo di vita ovunque, lanalisi interculturale deve
partire da un esame delle teorie locali riguardo alla vita e alla morte.
La vita, lungi dallessere una qualit essenziale e a-problematica,
una nozione aperta alla speculazione. Non una questione solo cognitiva, la questione della vita, ma anche politica e performativa (ivi,
26; trad. mia).

Lecologismo praticato da questo interlocutore che ho intervistato non espresso con i termini tipici dellambientalismo
globale, eppure le sue pratiche hanno molto da insegnare allambientalismo stesso, per esempio riguardo il trattamento
dei rifiuti, il trattamento degli oggetti, dei viventi e naturalmente degli alberi. Qui sotto riporto la mia intervista.
- Volevo sapere come hai avuto lidea di piantare quegli alberi di cui mi
hai parlato, e come hai agito, cosa hai fatto di preciso.
M.: Saranno una quindicina di alberi, ma compresa la siepe saranno
una trentina, nel comune di Codogn, dove il Comune ha fatto una rotatoria, con aiuole, pista pedonale, installando anche una antenna di telefonia a 40 metri da casa mia. Io volevo schermarmi dagli influssi negativi dellinquinamento magnetico, ma non solo, per studi e conoscenza

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mia, siccome ho una stradina di 40 metri che entra a casa, e avevo studiato che anche un tempo si mettevano piante particolari e non a caso
intorno allabitazione, cos allinizio della stradina volevo delle querce
che per la loro forza fossero a guardia di tutto ci che entra per quella
stradina, persone e forze. Nella strada non entrano soltanto persone,
ma entrano anche forze, forze astrali, eteriche, che non sono la stessa
cosa, ma che sono forze che con dati scientifici non si possono misurare, ma ci sono. La mia idea era di porre le due querce allentrata della
stradina a difesa di tutto ci che entra. Siccome io a casa mia mi sono
schermato dal campo elettromagnetico di questa antenna con alberi
specifici, che hanno la forza di trasformare questi campi elettromagnetici, quindi ho piantato noccio-aceri alternati a campestri-biancospini,
con bottiglie omeodinamiche a 50 centimetri sotto lalbero. Ho preparato la buca 6 mesi prima, in modo che le buche potessero prendere tutte le forze delle 12 notti sante di Natale (dal 24 dicembre al 6 gennaio),
forze ancestrali che scendono dal cosmo e siccome tutto ci che buca
accoglie, soprattutto lastrale, accolgono tutte le forze delle 12 costellazioni che si manifestano in queste notti, poi ho messo la bottiglietta che
stimola queste piante che gi di natura hanno forza di trasformare questi campi elettromagnetici, queste bottigliette con questo prodotto
omeopatico, aiutano ancora di pi, stimolano lio della pianta a sviluppare pi forza, collegandosi con tutto il mondo dei pianeti e delle stelle,
a sviluppare ancora di pi queste capacit.
- Dove hai preso le piante?
M.: Quelle della siepe di casa mia le ho prese da un vivaio qualsiasi, non
avevo alternative, invece quelle che ho messo nella terra del Comune,
dopo aver chiesto al sindaco, che rimasto contento e mi ha detto fai tu
pech noi soldi non ne abbiamo, l ho messo piante da seme che ho raccolto io. Semi delle siepe mia, li ho trattati con prodotti omeodinamici, li
ho collegati al loro principio individuale di specie, quindi il biancospino al
principio di specie di tutti i biancospino, lacero al principio di specie dellacero e in pi anche le quercie, le ho collegate al loro principio individuale di specie, e ho messo questi semini in terra, sempre facendo le buche prima, e poi a febbraio ho messo gi i semini, ho sempre guardato la
Vergine per la siepe, per le quercie le ho messe gi in Toro, perch Toro
stimola a lignificare, fare buon legno, due quercie a guardia della strada
mia, e altre tre nellaiuola del Comune, e altre sei nella siepe. Ogni due
giorni questestate ho bagnato, c stata molta siccit.
- Quindi ora nellaiuola del Comune c una siepe?
M.: Ora nella siepe c biancospino, acero, ho messo anche pero selvatico, che ha la forza di dinamizzare tutte le forze, sono tutto piante di Marte, le piante di Marte portano forza, Marte nella concezione vecchia il
guerriero ma il guerriero di adesso colui che sa trasformare il male in

bene, non pi quello che fa la guerra, quindi sono tutte piante che hanno questo collegamento con Marte, il pero selvatico ha la forza ancestrale. Nellaiuola lunga sei o sette roveri e tra uno e laltro piantine di urii,
tipici della zona di Caneva, nate da osso, ho fatto questo perch quando
sar lora la gente che passa di qua camminando, oltre a essere allombra di un rovere trover qualcosa da mangiare!
- Li hai protetti con qualcosa dopo piantati, li hai segnalati?
M.: Ho messo quattro pali senn me li tagliano via, e ogni volta che vedo
quelli del Comunue che vengono a segare mi tocca andare fuori a ricordargli mi raccomando che l ho messo.. Le quercie ora sono alte 2030 centimetri, molto lenta la quercia, gli altri sono anche 50 centimetri, sono belle piante, che non hanno nessuna sofferenza, hanno resistito tutte quante anche alla siccit.
-Le tue fonti per trattare gi alberi in quest maniera, come hai fatto?
M.: Gi con lagricoltura biodinamica questo si conosce, per chi fa agicoltura biodinamica queste cose sono pane quotidiano, partendo dalle direttive di Rudolf Steiner cento anni fa, ma anche tutto quello che venuto dopo, le sperimentazioni, chi studia, per esempio Enzo Nastati, che ha
sviluppato lagricoltura omeodinamica che una trasformazione dellagricoltura biodinamica, lui spiega molto bene, poi c chi sperimenta,
chi ha locchio veggente, c anche questo riconcoscimento su tutto questo per esempio anche a casa mia c il campo elettromagnetico, ma
non un campo che fa male.
- Hai fatto la misurazione?
M.: Certo! [] Bios che questa forza che attraversa la terra, che viaggia nellaria come una corrente, io devo mettere delle piante, a sud, che
attraggano queste forze, senn vanno via, passano alte, sopra, se io metto piante che attraggono, per esempio more, rovo, biancospino, quercia
questo autore tiene presente tutte le indicazioni antroposofiche per
esempio se tu devi piantare una siepe, questa forza BIOS scende nel
campo, porta forze di vita, e poi tu la devi aiutare ad escarnarsi, quindi a
nord puoi piantare rosa canina che un purificatore, tutte le conifere.
Le piante amplificano queste forze, perch la pianta eterico, e leterico
vita, queste piante attraggono queste forze, le portano gi trasformate
e amplificate sul mio campo, sul tuo orto e poi ho bisogno di un qualcosa che le escarni, che le porti su nella vita, nel bios, nelleterico. Rosa canina e biancospino sono come gemelli. Il biancospino sempre a sud. Il
biancospino un grande attrattore e anche purificatore, se ho una fabbrica di fronte al campo mio, che forze di bios mi arrivano? Di conseguenza io mettendo biancospino, con mora, ma soprattutto biancospino,
un purificatore di queste forze, altrimenti mi entrerebbero forze negative nel campo, bianco, purezza, purifico, porto dentro forze buone e poi
aiuto lescarnazione di queste forze perch ritornino nelleterico.

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N: Si pu dire che cos una pianta dal punto di vista antroposofico?


M.: La pianta un essere vitale perch ha vita, perch ha un corpo eterico, perch ha la linfa che scorre, perch ha la forza di trasformare, perch tutte le piante hanno olio, e trasformare olio significa trasformare il
calore, perch la linfa non brucia ma lolio brucia, e tutte le piante hanno o resina o olio, anche la resina brucia, anche se non d il calore che
ha lolio, ma brucia e porta il profumo della pianta, la pianta un essere
che porta vita e che costituito da tanti esseri elementari, e questi esseri elementari sono esseri che non si vedono ma che comunque tutte le
fiabe nordiche ma anche le nostre fiabe vecchie portano questo ricordo,
questa saggezza che sempre stata vista e sono gli esseri del fuoco, dellaria dellacqua e della terra, in ogni pianta, perch in ogni pianta ci
sono. Rudolf Steiner dice che una pianta un minerale che viene vitalizzato e si alza dalla terra, un minerale cui viene dato forza e lui si alza e
diviene una montagna, una montagna vivente.
- Come fa a prendere forza?
M.: Attraverso gli esseri elementari, esempio gnomi e nani che sono esseri elementari della terra, dei minerali, e loro hanno la forza di trasmutare qualsiasi minerale, Biancaneve, i nani picconano la terra e trovano
le gemme, le gemme sono luce condensata sottoterra, gi in questa fiaba i nanetti sono coloro che trovano queste gemme e le portano alla radice, le gemme rappresentano la luce condensata nelle 12 notti sante e
gli gnomi e i nani hanno questo compito di accogliere questa luce e di
raggrupparla in gemme che loro custodiscono e le donano alle radici
delle piante in primavera perch la pianta possa poi in primavera strutturare la gemma da cui poi nascer ramo foglia fiore frutto.
- E la radice da dove viene?
M.: La radice strutturata con minerali ma ha anche la linfa che assorbe, chi che trasforma il minerale? La scienza dice che la radice cresce
continuamente ed assorbe, ma se fosse proprio vero cos la radice
ferma l, sono gli esseri elementari della terra che trasmutano i minerali e li rendono assorbibili per le piante, insieme con le ondine, esseri elementari dellacqua, lavorano insieme e sciolgono sali minerali e attraverso lacqua li portano alle radici e poi le ondine vanno a portare la linfa e quindi fanno scorrere la linfa, danno vita alla linfa che pu salire
come nella sequoia fino a 100 metri, contro la forza di gravit, 10 atmosfere. Sono loro che fanno tutto quest lavoro. Noi vediamo solo la parte
fisica, ma non riusciamo a vedere la parte eterica, vitale, la parte di bios.
Ci sono uomini, e parecchi, che parlano con questi essere elementari, li
vedono e li aiutano, ne conosco tanti di questi signori, e non che sono
matti, stupidi loro hanno la terra, vivono con questa e quando entri in
sintonia con questi esseri elementari ti rendi conto che loro ti aiutano e
diventa un dialogo non da poco

- Mi hai detto che hai fatto altre cose con gli alberi che non puoi dire
adesso me lo poi dire? Cosa hai fatto?
M.: Eh! Parlare con gli esseri elementari e dire loro che cosa deve fare
quella pianta, perch viene messa in quel buco, qual il suo compito, e
quindi di collegarsi con il loro archetipo individuale di specie, che memorizzino il loro compito e che quindi aiutino luomo e quindi lumanit nella propria evoluzione.
- Glielhai detto con le parole?
M.: Certo.
- Una volta sola?
M.: S.
- Non come le preghiere che si ripetono?
M.: No, fatto con coscienza, basta, e gli ho detto di memorizzare tutto
questo, io per quando si entra in un dialogo, quando si chiede aiuto,
minimo si dice grazie, ci deve essere una comprensione, gli esseri elementari quando si sentono riconosciuti per loro davvero una gran gioia, abbiamo perso tutte queste cognizioni o conoscenze, una volta cerano e erano per matti, gente eccentrica Ma anche in un aereo ci sono gli
esseri elementari della terra perch laereo fatto di alluminio rame,
ferro Una macchina costituita di esseri elementari noi non siamo
pi in grado di credere che c anche unaltra realt i nostri vecchi ci
parlavano con le piante, quando seminavano il grano, solo persone ben
precise potevano seminare il grano, oggi si chiama avere il pollice verde,
ma quelle persone che andavano a seminare il grano avevano una mano
santa e su 100 grani che seminavano 95 nascevano, se andava un altro...
c chi fa germogliare 100, chi 50 chi 20. Cerano persone che avevano
una certa interiorit, e avevano la forza di riconoscere questi esseri, parlavano con questi esseri, come io ho parlato con quelle querce, quando
io ho parlato al seme, dentro a quel seme chi c? tutti gli esseri elementari, con cui io dialogo
- Hai detto che un aereoplano fatto di ferro e alluminio, quindi gli oggetti sono viventi anchessi? Un aereo, una macchina
M.: Ma se anche i pi materialisti ci credono, anche se non se ne rendono conto
- Ma una macchina viva dal tuo punto di vista?
M.: Certo! Certo!
- Ma come?
M.: Perch tutti gli gnomi corrono soprattutto attraverso le leghe, i metalli, tutte le vene metallifere della terra sono le autostrade per gli gnomi, quindi se io qui ho uno gnomo nel mio podere, e io gli dico ascolta
porta un messaggio a uno gnomo in Giappone, un millesimo di secondo dopo quel gnomo di l, perch lui spirito, elementare, ma spirito la Chiesa, i buddisti, i musulmani, per chi ha un po di spiritualit

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tutto ci che materia prima di essere materia era spirito, la materia


spirito condensato, se la materia spirito condensato, un tavolo materia, morto, non ha linfa, ma dentro comunque ci sono esseri elementari, in un sasso ci sono esseri elementari, nelle pietre, nella terra. Anche la plastica sono esseri elementari, tutti gli immondezai sono esseri
elementari, molto incazzati perch sono stati buttati via senza che nessuno gli abbia detto grazie. Quando tu porti fuori la spazzatura gli dici
grazie?
- No.
M.: Quelli sono esseri elementari, quella spazzatura ti servita, la plastica quando tu hai portato a casa la carne incellofanata, ti servita, altrimenti avresti sporcato la borsa, poi lhai messa in frigo, ti servita,
quelli sono esseri elementari che tu hai srotolato, hai buttato nellimmmondizia, lhai presa, buttata fuori andata in un cumulo sepolta dimenticata che inquina e nessuno gli ha detto grazie perch mi sei servita. Quegli esseri elementari l sono tutti incazzati, fanno danni, non abbiamo idea di queste cose
- Allora tu le ringrazi le immondizie?
M.: Certo.
- Gli basta il grazie agli esseri elementari?
M.: Eh! E poi cerco di recuperare il pi possibile Laltro giorno mia moglie ha buttato via una scatola plastificata ma col cartone dentro, con un
coltellino ho staccato tutto il cartone, ho perso un quarto dora di tempo,
ho estratto tutto il cartone, ho messo il cartone nella carta e la plastica
nella plastica, ho dato la possibilit a tutti e due di essere riciclati, li ho
ringraziati per quello che mi hanno fatto e comunque gli ho dato la possibilit di ritornare, non di essere buttati via, se non perdevo quel quarto
dora quegli esseri elementari sarebbero stati buttati nellimmondizia
vera e propria, Quando tu gli dici grazie, loro si sentono riconosciuti per
quello che sono, perch ripeto la materia spirito condensato [] io
vedo una foglia, ma dentro quanta luce trasforma e quanta linfa scorre!
Quindi io ho gli esseri elementari, se prendo una foglia e la brucio nella
cenere trovo tutti minerali, sono esseri elementari, per ho anche lo
scorrere della linfa, quindi ho gli esseri elementari dellacqua poi arrivano gli esseri elementari della luce, entrano nellinterno della foglia e in
combinazione con gli altri esseri elementari producono lignina, uno zucchero per il frutto, olio, e quindi si formano gli esseri elementari del calore e la foglia trasforma quel calore in olio, che pu essere resina o
unoliva, o i frutti che all interno hanno il seme.
- Ma lo diceva gi Goethe
M.: Certo! Viva Goethe! E Rudolf Steiner ha preso tutto il lavoro e lo ha
rielaborato un giorno in Slovenia parlavo con una signora e lei mi ha
raccontato Sai mi sono accorta che il rovere che stava gi allinizio del

mio podere non era contento, era molto affranto. Gli chiedo come mai,
aveva visto le foglie floscie e gli chiede al rovere cos successo? e il
rovere gli fa Le ondine del fiume stanno male, va gi a vedere nel fiume e qualcuno scava scaricando petrolio nel fiumiciattolo. Capito? Quindi lei ha avvisato i vigili, sono arrivati eccetera, ma lei non ci arrivata
per caso, non andata gi per caso e ha visto nel fiume, no, lei guardando il suo rovere, che a guardia del suo podere, gli ha dato linformazione, e non ha detto il fosso inquinato, ha detto le ondine stanno
male, le ondine stanno nel loro luogo naturale, nellacqua, quindi lei
mi ha raccontato di quelle cose se lei vede che tu capisci lei va oltre e
ti spiega tutte le cose che vanno oltre, altrimenti lei dialoga con te e parla di ci che si vede, in base a ci che tu.... credere senza vedere non vuol
dire essere creduloni [] sai che cos una macchina? Una macchina,
unautomobile un buco nero (eterico), un buco nella sostanza della vita,
langelo quando tu sei in macchina si preoccupa, non riese a vederti
bene, perch, perch, pensa la differenza, stata tirata fuori dalla terra
Lalbero estrae dalla terra , porta alla luce, porta nella vita e poi quando
lalbero muore ritorna tutto nella terra, viene fatto tutto attraveso le forze della natura, invece quando io faccio una macchina, rubo alla terra, e
cosa gli do in cambio? Nulla, perch noi facciamo solo per soldi, quindi
si porta in fonderia, si lavora la macchina, nessuno riconosce gli esseri
elementari e dopo mandi in una discarica, nessuno ringrazia

Ispirate allantroposofia, le pratiche di questo erborista nei confronti degli alberi sono al tempo stesso pratiche etiche, immaginazioni morali, concezioni ecologiste, gesti materiali di cittadinanza attiva, preghiere spirituali e molto altro. Lalbero ne stato il pretesto e ha condensato nella narrazione e nella pratica
unintera biopolitica del vivente. Un trattamento del vivente.
PER UNA NUOVA CULTURA BIOSOCIALE DELLALBERO
La piccola etnografia dellamore per lalbero che ho riportato
mostra che ovunque, nel mondo, si sono attivate relazioni profonde con le piante e in particolare con gli alberi, e che si pu affermare che esistono numerosi esempi storici di buone riuscite
di costruzione biosociale tra uomini e piante, in particolare proprio con gli alberi. Laddove questa convivenza rispettosa sia venuta meno, come in molte parti della citt diffusa, come abbiamo visto, possibile per ricostruirla, poich abbiamo a disposizione unampia gamma di esempi storici dai quali prendere
spunto. Dalla ricerca etnografica si pu evincere che le persone
possono prendere spunto almeno da questi fattori:

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- filosofie e visioni del mondo specifiche (antroposofia, ecologia profonda);


- il rapporto con gli animali (dallo sfruttamento al riconoscimento dei loro diritti);
- gli strumenti giudiziari e di cittadinanza attiva (denunce, ricorsi, petizioni, proposte);
- libri e letteratura sugli alberi;
- sperimentazioni artistiche, collaborazioni con artisti;
- conoscenze botaniche e scientifiche;
- ricorso alle associazoni di cultura paesaggiastico-ambientale (WWF, Legambiente, associazioni amatoriali di cultori di giardini, orti botanici, Fondazioni ecc.)
- uso dei media e di internet per far conoscere la propria opinione, per costruire e coordinare proteste, per chieder spiegazioni agli amministratori (pagine facebook, siti web).
A questi strumenti se ne pu aggiungere un altro, a mio avviso
estremamente importante ma poco diffuso: la letteratura etnografica. Svariati antropologi, nei pi remoti luoghi del mondo,
hanno spesso descritto dettagliatamente i rapporti comunit/alberi presso le popolazioni di interesse etnografico, spesso di cultura orale, spesso di piccole dimensioni, mettendo in evidenza visioni del mondo alternative a quelle dominanti.
Ne riporter qualche esempio, tra i numerosissimi che si potrebbero rintracciare, sia di popolazioni lontane che di comunit a noi
vicine. Questi esempi dimostrano che in tutto il mondo il rapporto con labero parte fondamentale della costruzione di una comunit, della valutazione della salute sociale, una misura del benessere e un indice della coesione sociale.
Essi dimostrano che uno stretto rapporto positivo tra persone e
alberi storicamente esistito e quindi ripetibile, possibile, ricostruibile. Appunto un esempio.
Scrive Marie Mauz a proposito degli indiani nativi nordamericani:
I sistemi animistici non trattano le piante e gli animali come semplici segni o come operatori privilegiati del pensiero tassonomico: li trattano
come vere e proprie persone, come categorie irriducibili. Anzi, sulla Costa Nord Occidentale, agli alberi sono assegnate molte caratteristiche
umane. Gli alberi hanno una vita senziente, hanno unanima e sono capaci di pensieri e sentimenti proprio come la gente []. Reagiscono ai
sentimenti che gli uomini hanno per loro, e se piangono nel morire per
esprimere il dolore che gli uomini provano alla vista di un albero morto
[]. I Kwakiutl ritengono che un albero abbattuto sia ucciso []. Agli

alberi anche attribuita la facolt della parola. I Bella Coola, per esempio, ritenevano che gli alberi e gli uomini potessero parlarsi e che, sebbene gli esseri umani avessero dimenticato la lingua degli alberi, gli alberi potessero ancora comprendere la parola umana []. Si poteva parlare a un albero e rivolgersi ad esso nelle preghiere. Essendo proprio
delle persone, gli alberi erano trattati come delle persone. [] Nel corso della sua vita un Indiano o una Indiana della Costa Nord Occidentale
eseguiva molti riti privati o collettivi, e tutti comprendevano, in una forma o nellaltra, luso del cedro. Per assicurarsi la buona salute di un
bambino i Kwakiutl o avvolgevano la placenta nella corteccia di cedro o
la seppellivano ai piedi di un cedro vivo []. Prima di ricevere un nome il
legame di un bambino alla vita era considerato estremamente fragile;
quindi lassorbimento della placenta una sostanza vivente da parte di
un albero noto come cos longevo era visto come di aiuto al bambino perch stabilisse un collegamento pi forte con la vita e vivesse anche una
lunga vita []. I Lummi, che pure loro ponevano la placenta nel ceppo di
un albero grande e robusto, erano soliti fissare la placenta ai rami pi
alti del cedro se volevano che il bambino crescesse audace e coraggioso, Molti riti Tlingit finalizzati ad estendere la durata della vita si focalizzavano su un albero cresciuto sul limite della foresta. I pannolini sporchi
dei neonati e i piatti e i vestiti di ragazze puberi segregate venivano bruciati e battuti contro vecchi ceppi dalbero per assicurare agli infanti e
alle ragazzine una lunga vita []. Lalbero stesso era impiegato per legare gli abiti di un sopravvissuto durante dei riti aventi lo scopo di impedire il ricorrere di un annegamento []. Una persona stregata doveva andare nella foresta per pregare gli alberi o confessare le sue malefatte
[]. Si pensava che la forza spirituale degli alberi tenesse lontani i pericoli associati alle stregonerie e alle malattie. Era anche vista come un
mezzo per raggiungere il grado di pulizia necessario per partecipare ai
riti, in quanto secondo le credenze la pulizia attraeva la benevolenza degli esseri sovrannaturali. Il legno e la corteccia di cedro erano ritenuti
avere speciali propriet detergenti, particolarmente efficaci contro la
contaminazione associata alla morte. Tra i Kwakiutl ci si poteva proteggere il corpo dal decomporsi come il cadavere con cui si era stati in contatto strofinando la pelle contaminata con sfilacci di corteccia di cedro
[]. Gli alberi, perci, erano chiaramente fondamentali veicoli culturali
per la comunicazione di idee e valori significativi (Mauz 1998, 237-240;
trad. mia).

Non solo presso popolazioni lontane e di interesse etnografico


si possono rintracciare concezioni dellalbero come persona
umana. Un esempio vicino a noi, vicino alla periferia diffusa del
Nordest italiano, proviene da una ricerca sulla biodiversit col-

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tivata (curata dal Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi) nella quale lautrice, Barbara De Luca, fa vedere la costruzione
dellalbero come persona da parte degli informatori bellunesi
da lei intervistati sul campo. Questa importante ricerca mostra
come gli uomini che avevano un diretto rapporto con gli alberi
focus della ricerca (meli e peri), parlavano di ognuno di essi in
maniera personale. Di ogni albero essi ricostruivano con precisione la biografia: provenienza, origine, spostamenti, cure e
modifiche apportate, malattie e guarigioni, innesti praticati,
modalit di fruttificazione, rami, fiori, semi o germogli, tutto veniva registrato con precisione per ogni albero. La biografia era
perfettamente descritta, lalbero era identificato e personalizzato. Lalbero infine, veniva anche nominato con il nome di colui o colei che lo possedeva, o che lo aveva portato nella zona, o
che per primo lo aveva coltivato. Il nome umano di quellalbero
(per esempio il pero di Ilo, il melo della Romana) diventa il
nome della variet di frutti. Da questo deriva la possibilit di
una biografia anche per gli alberi. Alberi-persona.
Vale la pena riportare un lungo brano con le testimonianze di
un informatore privilegiato, denominato con la sigla GR.

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Dalla ricerca sul campo, 15 Luglio 2004.


Camminiamo nel campo del signor GR, una distesa ampia di erbe disseminate di molti alberi, che lui ci invita a percorrere. Ci avviamo con
lui, percorrendo lentamente prima i bordi e poi il centro del campo
collinare. Lui ci porta sotto ad ogni suo albero e ce lo illustra: sembra
una guida in un museo, vicino ad un quadro, con il dito disteso ad indicare questo e quel particolare: guardate qui guardate l. Siamo
in una galleria darte vera e propria, gli alberi sono alcuni maestosi
ma alcuni anche minuti, vecchi e giovani, dal buon portamento o diroccati. La nostra guida di ogni albero ci racconta la storia, ne traccia
la biografia, delinea i caratteri salienti, la sua particolarit, il senso
della sua esistenza, le sue origini.
Questo albero lo hanno piantato e innestato quando io avevo circa 15
anni, prendevano le piantine nel bosco, le piantine di meli, i peri invece si trovavano dove andavano a monticare nei mesi di luglio-agosto,
a fare il fieno, vino in quella stagione non ce nera pi, allora si mettevano nello zaino qualche pera, due tre pere, e poi dove facevano la
pop cresceva una bella schiera di peri! Poi li innestavano, erano forti, meno soggetti ad avere malattie.
Questo albero mio padre lo aveva incalmato per ottenere un pero "butiro" ma era un po abbandonato, vecchio, pieno di tumori, aveva fatto
alcuni polloni selvatici, allora li ha recuperati, segati, e lanno succes-

sivo li ha incalmati, ha fatto pere fino allanno scorso, quando morto


per il gran secco.
Questo un albero che ho tagliato lanno scorso, perch aveva finito
di morire.
GR racconta poi: Quando mio padre andava a morose (andava dalla fidanzata), in quelle montagne, vedeva un melo, che ne faceva di piccoli e
di grandi, li chiamavano pn armeln, non so perch, ha preso linnesto
dove abitava la fidanzata, nelle case sotto la montagna che si vedono dal
suo campo, un melo che ne fa tutti gli anni, non sgarrano, un melo
che se pl dugr ai sbci mdha ora [si pu giocarci a bocce mezzora],
non si mangiano fino a dicembre e poi sono una favola, si colora anche
la polpa, belli che si possono anche vendere.
Questo albero era un po abbandonato, vecchio, pieno di tumori
Questo albero ha fatto pere per decenni, fino allanno scorso, quando
morto per il gran secco.
Questo albero di pr moscatl, quello da cui ho preso linnesto, stato
tagliato dai padroni per fare posto al prato per andare meglio a falciare.
Passano tre ore in questo modo senza che ce ne accorgiamo, alla fine
il sole alto nel cielo di mezzogiorno, mentre quando eravamo arrivate da questo contadino i campi erano ancora roridi di rugiada. Non abbiamo quasi parlato, quasi posto alcuna domanda; GR ha sempre illustrato la biografia dei suoi alberi, ad uno ad uno: sono i suoi alberi, lui
ne il proprietario, lui li ha visti nascere e crescere, lui li ha potati ed
innestati. Alla fine dellincontro, dopo i saluti, mentre saliamo in macchina, noi siamo perfettamente daccordo: questi alberi sono alberipersona! Hanno la loro storia, e come persone il contadino li ha trattati. Siamo pienamente coinvolte dalla sensazione di vitalit degli alberi da frutto, con la loro origine, le loro malattie, quasi umane, ma soprattutto perch come persone che questo contadino li ha trattati.
Qui, in questi campi, con questi prati, i legami di uomini e alberi sono stati intensi: per ogni albero c la storia di un uomo. Anche le piante si scelgono le persone, stato detto dagli studiosi dei processi di domesticazione delle piante. Anche le piante nelle loro variet hanno avuto i loro uomini e le loro donne, con cui stare in stretta relazione per potersi evolvere e vivere.
E cos, insieme alla storia di vita di questi alberi, veniamo a conoscere
pezzi di storie di vita di persone: la Romana, Ico, il padre di GR, il suocero di BT , Il pero di Renzo
GR racconta che suo nipote venendo dalla Svizzera, nei dintorni di Zurigo, ha portato delle mele a suo fratello, suo fratello si innamorato e gli
diceva portami fuori degli innesti, portamene fuori, lanno successivo
il nipote ha portato gli innesti, a Pasqua, ha portato due tre polloni, e il
fratello allora ha chiesto a lui di metterli da qualche parte, di incalmare

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qualche albero con questi polloni svizzeri; GR dice che non sapeva dove
metterli e allora: questo albero era sopra le viti mi rompeva le scatole
e allora lho messo qua, ho messo una triangolata, ed eccolo qua!.
Lui stesso, ancora, ha portato un innesto dalla zona delle Maiolre, dove
andavano con le mucche, una mela piatta, che ha un po di ruggine e
dopo dentro fa lolio, dentro fa le chiazze verdi di olio, mele che si mettono via, non vanno mai mangiate subito, ma dopo almeno un mese, matura dopo raccolta, diventa pi tenera pi saporita, subito non si mangiano, sono dure, ma quando viene dicembre sono una favola, si conservano nelle cassette, in cantina
Cos da questi molteplici racconti, cominciamo a capire che questi alberi spesso sono arrivati qui da qualche altra parte, portati da qualche altra persona, ricordano altri individui, richiamano altri luoghi: la geografia di questa biodiversit ricca di micro-biografie, e intreccia sul territorio le piante con le persone.
Questi sono meli che vengono dalle busete di puni, da Peschir, in Medhant.
Mio padre era andato in Illinois e ha portato a casa una vite che pian piano ha diffuso dappertutto, in dieci quindici anni lha diffusa in tutto il Veneto, uva americana, perch tutti gli chiedevano degli innesti unuva
molto profumata.
Questi peri vengono grandi cos, pieni di sugo, di questo ho preso linnesto alla Roncogna, da mio suocero, maturano a fine agosto, non sono
da commercio, ma da mangiare.
Racconta anche che alcuni meli sono stati portati dallAmerica, lui ne
sicuro, suo padre si chiamava Giuseppe, di soprannome era Pin, e quelle mele le aveva portate dallAmerica proprio lui, in paese poi le chiamavano le mele del Pin, al pomo del Pin, una mela molto forte, che dura fino
a giugno senza farci niente, si conservava nelle soffitte, a giugno diventava flaccida, non molle ma fipa, si seccava addirittura. Suo padre
emigrato in America dopo la Grande Guerra, ritorn nel 1924. Ci racconta che era normale che portassero gli innesti dai paesi di emigrazione,
c stato in paese anche unaltra persona che ha portato unaltra mela.
Gli innesti li portavano con le navi, li mettevano nei bauli e poi qua li innestavano30 (De Luca 2006, 58-61).

Passando dalla cultura popolare alla cultura scientifica, c un


mondo complesso che ci sta mostrando come possa e debba costruirsi un rapporto positivo con le piante.
Un esempio straordinario ci viene dalla storia di una scienziata, Barbara McClintock, premio Nobel nel 1983 per la fisiologia
e medicina, per i suoi studi e le scoperte sui geni del mais. La
genetista, nata nel 1902, era capace di scrivere lautobiogra-

fia di qualsiasi vegetale con cui entra in contatto (Keller 1987,


195). Nellintervista rilasciata a Fox Keller, la scienziata spiega:
Non ci sono due piante esattamente uguali. Sono tutte diverse e, di conseguenza, bisogna conoscerne la differenza. Io comincio dalla plantula, ma non mi fermo l. Mi pare di non poter
conoscere lintera storia se non continuo a osservare la pianta
nel suo sviluppo. E cos conosco ogni pianta del campo. E le conosco tutte intimamente, ricavando un gran piacere dal conoscerle. Da giorni, settimane e anni di paziente osservazione
nasce quel che potrebbe sembrare una fortunata ispirazione:
Quando vedo le cose posso interpretarle seduta stante. []
Sentivo che potevo conoscere ogni pianta, ogni chicco, ogni cromosoma come se fossero vecchi amici. Di ogni piantina ricordavo i genitori e anche i genitori dei genitori. Fu questa conoscenza approfondita che mi permise di notare cose che nessunaltro aveva visto fino a quel momento (Pulcinelli 2012, 48).
Infine non si pu non parlare del lavoro di neurobiologia delle
piante del ricercatore Stefano Mancuso e della sua quipe, un
lavoro che intreccia fisiologia, ecologia e biologia molecolare,
che si sta ponendo come una rivoluzione copernicana nel
mondo vegetale: poich in un certo senso in biologia siamo ancora in unera tolemaica, in cui luomo al centro delluniverso, gli studi di questo ricercatore e del suo team rimodelleranno la gerarchia degli esseri e ci restituiranno una nuova concezione scientifica delle piante:
We now know there is up to ninety eight percent similarity between related genes in humans and apes, almost ninety percent between humans and mice, and almost sixty percent between humans and bananas. The more we understand, the more humbled we become in
own image, and the more we are forced to change our relationship
with the Earth. From climate change to forestry, agriculture and
ocean-health, every new discovery leads us to act more as part of a
system, rather than an observer to it.
One of the last frontiers of human arrogance remains our view on intelligence and life, that we only assume it to have value and legitimacy should it follow a very human form. Researchers around the
world are now beginning to break down this wall too which, more than
many recent discoveries, could alter our relationship with the Earth
and the universe (Shah 2011).

Le ricerche del team del prof. Mancuso stanno portando alla


luce lintelligenza delle piante, capaci di risolvere problemi,

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IL GRANDE VIVENTE NELLA CITT DIFFUSA

comunicare tra loro, con altri esseri, esplorare, modificare il


proprio programma, darsi degli obiettivi e raggiungerli, perfino dormire, giocare e divertirsi. Sulla punta delle radici stato infatti identificato il cervello delle piante, come aveva
esattamente indicato Darwin, un cervello paragonabile almeno a quello di alcuni animali inferiori. Salter dunque un tab
culturale che ci portiamo dietro da millenni, da quando la Bibbia nel mito dellarca di No escluse le piante come esseri da
salvare al De anima di Aristotele che indicava le piante solo
come viventi ma senza coscienza, via via per tutto il Medioevo
con le sue scale degli esseri dove le piante sono viventi ma
non senzienti, fino alle deforestazioni attuali e alle alberofobie
contemporanee cos diffuse come abbiamo visto sopra. indubbio infatti che larroganza umana non cadr finch rivendicher la prerogativa di assumere la forma umana di intelligenza come la misura di tutte le cose. Il riconsocimento dellintelligenza delle piante sar un tassello fondamentale per il crollo di questo tab culturale.

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RITORNO ALLA PERIFERIA DIFFUSA: UNA LETTERATURA


PER GLI ALBERI
Concludo questo lavoro di etnografia degli alberi tornando alla
citt diffusa della quale abbiamo visto amori e disamori per lalbero. La letteratura non rimasta indifferente al trattamento
dellalbero nella periferia diffusa; esistono pagine molto interessanti nelle quali lalbero protagonista della narrazione. Il
caso pi intenso rappresentato dal libro di Matteo Melchiorre,
Requiem per un albero. In questo testo, che si pu definire quasi
antropologico, un albero chiamato localmente albern, grande albero, si schianta al suolo dopo un temporale. Era un grande albero pluricentenario e dal giorno del suo sradicamento per
alcuni mesi la gente del luogo si rec sul posto, vicino al grande albero, per guardarlo, commentarlo, toccarlo, parlare di lui,
di quello che di lui sapevano, che con lui avevano fatto, che attorno a lui avevano detto o pensato. Lautore frequenta ogni
giorno, per molto tempo, questo particolare setting, ascoltando
la gente, trascrivendo sul taccuino i loro commenti, ponendo domande. Poi, per trovare risposte ad alcuni quesiti, svolge una ricerca e una riflessione sulle fonti storiche, in rapporto diretto
con quellalbero e con il luogo in cui per trecento anni era vissuto. La biografia dellalbero ne emerge compiutamente, anche
senza una antropomorfizzazione delloggetto e senza alcuna de-

scrizione animistica della vicenda. piuttosto la storia di quel


singolo albero a emergere, e le riflessioni ironiche dellautore
sulla memoria di una comunit, sui suoi interessi, il suo sviluppo e la sua disgregazione contemporanea. la storia di un grande amore per un grande vivente.
A un certo punto del pellegrinaggio ho chiesto a due tre che erano l
che pianta fosse. Anche altri facevano la stessa domanda: Che pianta era lAlbern?. Dopo che per anni quelli di Tomo erano rimasti indifferenti, adesso volevano la precisione botanica. A terra lAlbern ha
perduto tutta la regalit. Alla domanda, la risposta veniva data a pi
voci. Uno proponeva, gli altri brontolavano parole che confermavano o
smentivano. Se i brontolamenti di assenso prevalevano la risposta veniva data per buona e ripetuta a voce pi alta. Sono stati derisi alcuni
Trevisani della Follinese che avevano proposto: Quercia!. stato rivelato che lAlbern era Olmo. I Tomitani pi esperti di bosco lo sapevano. La maggior parte per non si curava di saperlo, cio non lo sapeva (Melchiorre 2005, 47).

Unaltra storia della fine/morte di un albero raccontata da


Mauro Corona, autore nella cui scrittura la natura gioca un ruolo essenziale, in un libro che si apparenta bene a una etnografia, Le voci del bosco.
Il 25 luglio 1998 tornato nella terra il grande abete bianco della Val Zemola. Era un albero patriarca di enormi dimensioni, vecchio pi di cinquecento anni. Alto e solenne, nel suo cerchio di solitudine, stava in piedi solo per equilibrio, poich la vecchiaia lo aveva ucciso ormai da molto tempo. Volevo bene al grande signore della valle.
Da bambino, quando facevo il garzone alla malga Pezzei, mi arrampicavo sui suoi rami, gi secchi allora. Dalla cima potevo avvistare in lontananza le manze fuggitive. Era rimasto solo, simbolo orgoglioso di una
dignitosa vecchiaia. Nonostante fosse morto, il corpo senza vita conservava tutto il prestigio della maturit e il carisma di un tempo. Il suo fusto, colossale, slavato dalle intemperie, sembrava unenorme statua di
pietra bianca. Lo avevo visto in piedi il giorno prima. Il 25 luglio lo trovai
disteso sulla terra. Nella caduta si era spezzato in due parti e i rami,
spinti dallurto tremendo, ora trafiggevano il suolo come enormi spine
dolorose.
I tronconi di quel grande corpo spossato, giacevano invece sereni e in
pace, sorpresi dal sonno in una infinita stanchezza. Cos tornato alla
madre il guardiano della valle, il testimone silenzioso, lamico, il depositario di mille segreti. Tra pochi anni il suo corpo sar diventato humus e

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di lui non vi sar pi traccia. So che esiste il paradiso anche per gli alberi, gli animali e tutto ci che vive sulla terra (Corona 1998, 80-81).

in questo stesso libro che lautore costruisce una complessa


analogia tra societ e alberi. Qui la vita sociale, la vita nelle citt, la struttura familiare, la griglia della parentela sono utilizzate non solo per leggere il bosco e le sue voci, quanto come tentativo per far capire a chi quelle voci non le ha sentite e non le
conosce, a cosa possa essere paragonata la struttura di un bosco. Il bosco di cui parla Mauro Corona il bosco di Erto, in Friuli Venezia Giulia: voglio raccontare del bosco di Erto perch mi
ha visto crescere e io lho visto crescere, e perch un bosco
che ha sofferto da sempre (ivi, 15). A partire dalle pi piccole
componenti alle macro, il fusto paragonato a un padre e le foglie o gli aghi ai figli o figlie; le radici sono paragonate ad antenati, le foglie cadenti dautunno ai figli morenti. Ogni albero rassomiglia a una personalit sociale e caratteriale (il pigro, il cattivo, il generoso, il solitario, il saggio); nellinsieme il bosco
funziona come un mondo moderno con i suoi operai (i faggi), i
tecnici e gli ingegneri, gli intellettuali, gli scansafatiche, i dannosi. Su tutti opera il riequilibrio di un vecchio saggio (labete bianco), che fa ritornare tutto il mondo sociale dellalbero a una sorta di mondo tradizionale, di quelli che lantropologia veniva scoprendo tra i cosiddetti popoli nativi o tradizionali. La metafora
sociale una scelta letteraria dellautore volutamente, credo,
frammentaria e incompleta, una metafora parzialmente utilizzata per illuminare le oscurit del lettore cui si rivolge, chiaramente ignaro delle voci del bosco, come si evince parecchie volte tra un passo e laltro del libro.
Il faggio la folla, la massa, e la sua giornata quella del lavoratore laborioso. La fabbrica funziona perch ci sono i faggi che avvitano bulloni
e svolgono i lavori di manovalanza. Senza di loro la catena di montaggio
non andrebbe avanti. Nessuna societ pu vivere e produrre solo con il
riservato maggiociondolo, o con lelegante betulla, o con il duro ma fragile acero (ivi, 46-48).
Cos, mentre il faggio attende che qualcuno lo colga e lo usi, strappandolo allanonimato della fiamma, il tasso non chiede mai nulla. Lui la
Ferrari del bosco. [...] Sta in sella al cavallo vincente e non ha bisogno di
elemosinare attenzione. un albero fortunato ma fatto di cristallo, perci non pu essere usato per lavori di sfregatura o di torsione, ovvero di
fatica e sofferenza. [...] Come tutti i nobili ha sangue blu e indossa abiti

di gran classe che mostra attraverso il colore rosso-viola, screziato di


fiammature stupende. Il tasso il conte del bosco e non si abbassa a dialogare con nessuno. un gran legno, pieno di cultura, e sa di esserlo. Se
un altro albero vuole andare da lui in visita, deve chiedere permesso. Viene protetto e difeso dalle sue stesse radici che gli creano attorno unaureola speciale, come un piccolo giardino riservato a suo personale uso e
consumo. [...] C da dire per che la nobilt del tasso, mista alla cultura ereditata dagli avi, lo rende amico nel lavoro e disponibile a venirti incontro e ragionare. Se lo prendi con la formale reverenza che si aspetta,
ti offre il massimo di cui capace. Limportante che le distanze vengano sempre rispettate. Non certo come il nocciolo, che gi quando lo
vedi sottile, dritto, alto e ben vestito, ti d lidea del furbetto che non vuole fare nulla: quello che, per evitare qualsiasi seccatura, mette in banca
la sua vita con la speranza di proteggerla e farla fruttare senza sforzi.
talmente refrattario a qualsiasi rischio, che neanche si sogna di osare
qualcosa di suo. La fatica lo spaventa al punto che si rifiuta perfino di
crescere e diventare grosso. Ma non stupido e cerca i posti a solivo
ossia dove batte il sole, come diceva mio nonno (ivi, 50-55).

Il racconto che vedremo di seguito, di Vitaliano Trevisan, altro


autore che molto ha riflettuto sulla citt diffusa e dal quale ho
ripreso il concetto di periferia diffusa, ci porta in una dimensione diversa, onirica. La sua narrazione denuncia la trasformazione urbanistica del Nordest italiano, che ha stravolto il
paesaggio eliminando spazi vitali a favore di zone industriali e
residenziali, non sempre necessarie ed esteticamente assai
poco condivisibili. interessante il passaggio narrativo riportato nel brano seguente, dove Trevisan ci propone come sfondo
sul quale si svolgono gli eventi della sua trama un bosco non pi
esistente ma ancora vivo per lui, come se lui vedesse e toccasse e abitasse in un bosco che non c pi.
Sono ancora in vita, pensavo, solo perch mi sfinisco percorrendo a
piedi in lungo e in largo il bosco di roveri bosco che non esiste pi ormai da centinaia di anni. Tutti i giorni, almeno una volta al giorno, parto da casa per addentrarmi in questo bosco di roveri assolutamente
immaginario, distrutto per lasciare spazio alla campagna, e cammino
ogni giorno sopra strati e strati di depositi alluvionali. Mi aggiro ogni
giorno col solo scopo di mantenermi in vita, per una campagna nebbiosa che non altro che il confuso ricordo di una vera campagna, distrutta dalle zone artigianali e residenziali. Mentre penso di inoltrarmi nel
bosco, cammino in realt per strade disgustose, conto i miei passi su
infami marciapiedi, quando ci sono, correndo di continuo il rischio di

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IL GRANDE VIVENTE NELLA CITT DIFFUSA

essere investito e schiacciato da una macchina o da un camion (Trevisan 2002, 25).

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Mi lasciavo alle spalle Cavazzale, ma restavo sempre immerso nel bosco di roveri. Tutti i dintorni di Vicenza non erano un tempo che boschi e
paludi, pensavo. Boschi tagliati e paludi bonificate. Eppure, malgrado i
boschi siano stati annientati ed effettivamente fatti fuori, nonostante le
zone paludose siano state prosciugate e definitivamente bonificate,
pensavo mentre camminavo, Vicenza e i dintorni di Vicenza restano luoghi malsani e insicuri, insidiosi, pericolosi e spesso letali. Proprio come
un tempo, pensavo, percorrendo il bosco di roveri, a ogni pi sospinto si
pu incontrare un animale feroce, continuamente si corrono rischi mortali. Dietro ogni albero pu essere nascosta la nostra fine. Eppure alberi non ce ne sono pi, pensavo. Roveri non ce ne sono pi e cedri ce ne
sono ormai pochissimi. Una volta, pensavo per la Marosticana, cerano
le risaie e ora le risaie posso solo immaginarmele, cos come mi immagino di camminare per un bosco mentre non cammino affatto per un bosco. Mi immagino di correre in lungo in largo per il bosco, proprio come
un lupo, ululando come un lupo. A volte esco anche di notte, mi inoltro
nel bosco anche di notte, perch di notte tutto pi tranquillo. Anche se
le notti sono effettivamente pi tranquille del giorno, pensavo, anche se
si sentono molti meno rumori che durante il giorno, se uno tende un attimo lorecchio, ecco che i rumori li sente eccome anche di notte [...]. Allora, pensavo, alle tre o alle quattro del mattino, esco e mi metto a correre per il bosco. Corro in lungo e in largo, corro in ogni direzione, traverso le strade senza guardare, scavalco le recinzioni che mi viene voglia di scavalcare. I lupi, lo so, non si arrampicano sugli alberi, ma io mi
arrampico anche sugli alberi, pensavo camminando per la Marosticana.
Scavalco tutte quelle assurde recinzioni, mi introduco silenzioso in tutti
questi ridicoli giardini recintati. Giro intorno a tutte queste case di cattivo gusto, pesto sotto i piedi tutti gli ortaggi che crescono in questi orti
recintati del cazzo, pensavo, e ululo come un vero lupo in un vero bosco.
Io non sono un lupo, pensai. Questo non un bosco. Questa in tutto e
per tutto una palude, pensavo lungo la Marosticana. Laria laria malsana delle paludi. Malsana questaria lo di sicuro, pensavo. Vi sono dei
periodi, spesso destate, ma anche dinverno, in cui laria assolutamente ferma e ferma rimane per giorni, a volte per delle settimane.
Non c ricambio daria. [...] Non importa quanto questo respiro si faccia difficoltoso, affannoso; non ci importa un accidente dellaria che respiriamo: respiriamo e questo quanto. Ci attacchiamo alla vita in
modo vergognoso e, impassibili, continuiamo a respirare senza nessuna esitazione questaria avvelenata, comportandoci come se non ci vergognassimo affatto. vergognoso che io sia ancora in vita, mi dissi

mentre camminavo lungo la Marosticana in direzione di Vicenza. Che io


insista a voler respirare questaria, che io insista in queste mie assurde
camminate, che io esca addirittura la notte e nella notte mi metta a correre e a saltare recinzioni, che io distrugga i giardini, che io pisci sopra
gli ortaggi, che io insista in tutto questo, mi dicevo camminando, e in pi
che io porti sempre con me un taccuino e su questo taccuino segni il numero di passi da casa mia a un luogo qualsiasi; che io cammini in lungo e in largo per tutte le vie di Vicenza sino a essere assolutamente
esausto, che io mi immagini in continuazione un bosco che non cera e
non c pi, alberi che cerano e non ci sono pi, persone che non cerano e non ci sono pi e cos via (ivi, 57-61).

CONCLUSIONI
Da questo excursus in luoghi lontani e vicini, tra nativi sconosciuti e personaggi illustri, informatori etnografici o scrittori,
vediamo storicamente concretizzata la possibilit di instaurare
con lalbero una sorta di rapporto co-costruito, fatto di somiglianze e di apparentamenti tra umani e albero, di relazioni, di
mutui scambi, di intrecci biosociali. Considero che una tale costruzione sociale sia indispensabile tanto quanto le cure forestali o la presenza di vivai o le politiche urbanistiche. La citt
diffusa infatti ha bisogno di ri-costruire un diverso rapporto con
il mondo vegetale, un nuovo costrutto biosociale. Gli esempi qui
riportati possono costituire una traccia dalla quale partire per
ricostruire atteggiamenti e pratiche pi rispettose della vitalit
del grande vivente.
Nella citt diffusa la costruzione negativa della de-vitalizzazione dovrebbe lasciar spazio a una nuova costruzione di una ri-vitalizzazione degli elementi del paesaggio e della natura che
sono stati finora troppo lacerati.
La bio-socialit umana deve essere una forma di dialogo e contrattazione onesta tra uomo e ambiente, poich se lessere
umano un locus of growth entro un campo di relazioni, e lambiente un ambiente di interpenetrazioni, un groviglio di lifelines, la buona riuscita della coesistenza risulter da un equilibrio delle componenti umane e non umane. Se una delle due
parti sar in sofferenza, lintreccio sar debole e sbilanciato e
prima o poi mostrer le fenditure. La corda si spezzer.
E la forma di relazione delluna con laltra mostrer la qualit
del collettivo che si venuto formando di umani e non umani. Umani e alberi. Mostrer la qualit sia degli alberi che degli
umani.

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38 Architettura poetica e ispirativa tra gli alberi

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