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8) La terra della disfatta: lAfrica come incubo e desolazione.

Berto, Tobino e Flaiano.


1. Giuseppe Berto e la desolazione della colonia perduta

Nonostante le contraddizioni che si sono venute a creare tra lideologia razzista del regime e le possibilit di
una letteratura coloniale, il bombardamento propagandistico provocato dalla vittoria per la guerra in Etiopia
(e dallistituzione dellimpero) contribuirono a rinforzare nellopinione pubblica delle convinzioni e degli
atteggiamenti ideologici che avevano creato una percezione dellAfrica e dellazione coloniale radicata nella
coscienza degli italiani.
Lazione del governo italiano nei primi anni del dopoguerra restava fortemente orientata verso il recupero
almeno delle colonie possedute prima dellascesa del fascismo
La permanenza delle immagini e dei miti che dalla fine dell800 accompagnarono lazione coloniale italiana
contribuisce a spiegare come in Italia si sia verificato un ritardo nello sviluppo della ricerca storiografica sulla
realt dei nostri possedimenti doltremare, a differenza degli altri paesi dal passato coloniale.
In una simile situazione non sorprende la sopravvivenza, dopo la fine della guerra, di una produzione
letteraria minore costruita sui luoghi comuni pi ovvi del colonialismo nazionale e dai toni nostalgici. Eppure,
nella letteratura pi consapevole la radicale trasformazione delle condizioni politiche dopo la Seconda
Guerra Mondiale e dalla sconfitta del fascismo doveva produrre una profonda alterazione della visione
dellAfrica.
Il territorio delle colonie si legava allesperienza negativa di una strategia politica tragicamente fallita e di una
guerra perduta.
In Guerra in camicia nera (1955), Giuseppe Berto racconta, sotto forma di diario, le sue avventure sul
fronte libico, dove aveva combattuto tra il 42 e il 43 dopo essere stato imprigionato e portato in un campo di
concentramento in Texas.
Lopera vuole essere una rievocazione di carattere morale in cui lautore cerca di chiudere il bilancio di
unamara esperienza personale.
Il crollo del mito fascista e di quello militare viene avvertito come momento da ripercorrere cercando non
tanto di identificare colpe e responsabilit, ma piuttosto scandagliare, attraverso le reazioni del protagonista,
il processo psicologico e morale che travolge la coscienza degli italiani impegnati nel conflitto.

Quindi, Guerra in camicia nera si presenta come diario di un fascista, non fanatico, arrivato per
caso nella milizia, ma comunque convinto del fondamentale bisogno della politica del regime e
della legittimit delle rivendicazioni coloniali dellItalia.
Il protagonista, di conseguenza, partecipa alla guerra mosso dalla certezza di eseguire un preciso
dovere di cittadino e non dubita, almeno inizialmente, della possibilit di vittoria.
Nonostante ci, gi dallinizio, limmagine della terra gi conquistata da tempo da parte dellItalia gli
appare crepata a causa degli ovvi effetti che un conflitto armato finisce inevitabilmente per
produrre. Tripoli, osserva appena sbarcato, una citt molto bella, ma i bombardamenti lhanno
devastata... Ma soprattutto triste limmagine del cedimento degli insediamenti italiani, costruiti
per strappare la terra al deserto. Infatti, la visione delle case coloniche ormai abbandonate attorno
Gioda commovente e tristissima.
Le tracce della feconda presenza del colonizzatore italiano svaniscono con lavanzare della guerra.
Inoltre, anche mutato (rispetto alle conquiste coloniali di pochi anni prima) lo spirito dei
combattenti. Con il precipitare del disastro finale anche lanimo del protagonista
progressivamente invaso dallangoscia.
Insomma, di fronte a unesperienza che si trasformata in un incubo e allimmagine di una terra
colonizzata dapprima ispiratrice di infinite speranze ora ridotta a desolazione e niente sembra pi
fermare un atteggiamento di rinuncia. Lunica consolazione che resta solo la possibilit di un
disperato bilancio personale, accompagnato da unamara ironia sul regime ormai agonizzante.
La mia meta vicina, e io nudo pressa poco lo sono. Non possiedo che questa divisa sporca e
malandata, due camicie e un solo paio di mutande.
Tre giorni dopo il suo battaglione si arrende, e proprio a una truppa di colore: Mi trovo davanti a
un gruppo di negri con il mitra punto. Sono senegalesi. Le mani mi pesano enormemente, ma
ben necessario alzarle. Oramai non posso pi tornare indietro e mettermi a sparare. Rinchiuso
con i suoi compagni in un recinto di filo spinato, sempre sorvegliato da negri, nota attorno a se
altri recinti con un mare di soldati prigionieri, italiani e tedeschi. E conclude: Certamente
qualcosa di sbagliato. Ad ogni modo ora finita.
2. La Libia di Tobino
Nonostante il libro di Berto contiene il racconto di una visione della conquista coloniale ridotta a
incubo e dichiarata da una rinuncia motivata sia dallassenza di strumenti per continuare sia alla
dissoluzione degli ideali, pi una cronaca di vita militare anzich una riflessione sul mondo della
colonia.
Linteresse per il mondo coloniale e per i suoi abitanti evidente nel Deserto della Libia (1952) di
Mario Tobino, che raccoglie, in una rielaborazione frammentari operata dallautore al ritorno in
patria, le memorie degli anni in guerra trascorsi in Libia tra il 40 e il 43.
Tobino, gi allinizio della guerra, aveva maturato una posizione critica verso il regime e il suo
atteggiamento antifascista si riflette nella figura del protagonista del suo libro, il tenente medico
Marcello, che non avverte nessun dovere militare da compiere (a differenza del protagonista di
Berto) quando viene inviato in Libia con le truppe destinate a combattere gli inglesi.
Eppure, la nota dominante della sua esperienza libica quella della desolazione.
In quei versi laccampamento militare dove lautore vive descritto come un luogo pervaso da
tedio e sofferenza, e ogni elemento di colore locale si traduce in unimmagine di insicurezza e
di pericolo.
Il tema della desolazione dellambiente naturale e degli animi si ritrova, appunto, nel libro.
Lo stesso titolo rappresenta in modo emblematico proprio la desolazione dei luoghi, dove la sabbia
del deserto nella sua nature sterile e senza vita agisce come forza che determina e riesce ad
orientare gli eventi e lazione degli uomini. Il deserto, nei suoi aspetti di squallore e aridit, riflette la
situazione di disagio delle truppe italiane che operano in un paese estraneo di fronte a una natura
nemica.
In questa situazione, lavanzare della sconfitta sollecita gli istinti e le reazioni pi immediate e
disordinate. Inoltre dilaga unossessione per la fuga. La terra di colonia terra disfatta, di pericolo,
di terrore, un luogo da abbandonare ricorrendo a stratagemmi pi degradanti e vili.

La sconfitta potrebbe essere, tuttavia, il momento giusto per capire e cogliere la realt propria del
paese colonizzato, nei suoi aspetti reali, liberata dalle deformazioni di unideologia che si rivela
sempre pi incapace di offrire punti di riferimento utili.
Eppure, anche questa occasione viene sprecata.
Ma se le figure e i comportamenti dei colonizzatori assumono laspetto e gli atteggiamenti propri
delle bestie, anche il mondo dei colonizzati appare tuttaltro che seducente e si rivela nei suoi
aspetti pi ripugnanti e brutali, a cominciare dalloppressione femminile.
La figura della donna araba viene divisa, da Tobino, in due immagini opposte: da un lato essa
conserva lantico fascino dellimmaginario esotizzante, che porta il protagonista del libro a
inseguire il sogno di una bellezza meravigliosa e segreta che potrebbe nascondersi nelle fattezze
delle donne velate che possibile intravedere per le strade, o percepire come presenze nascoste
oltre le pareti delle case gelosamente custodite dai padroni o dai mariti.
Ma dallaltro lato, invece, vi sono le streghe, cio le vecchie dalla pelle color tabacco coperte da
un lacero straccio che mostrano nude le secche gambe con la cotenna di sudicio che sale su dal
calcagno. E poich spesso non si tappano il volto possibile contemplare la cispa che cola dai
loro occhi, il labbro inferiore pendolante e i sudici spillaccheri che come serpi si gettano dalla loro
fronte. Queste erano le figure femminili che gli italiani potevano osservare arrivando in Libia,
mentre le altre donne venivano ancor pi serrate dallimplacabile gelosia dei loro mariti.
Il contatto tra i due ambienti, quello del colonizzatore viziato dei pregiudizi e stimolato da una
curiosit superficiale e quello degli abitanti locali, ferocemente chiuso su se stesso per antica
usanza e diffidente verso i conquistatori, appare quindi molto difficile.
Cos, il tenente Marcello, che una volta arrivato in Libia ne subito affascinato e con il passar dei
giorni si trova sempre pi attratto dai costumi della vita locale, conosce un arabo, Mahmd, patrizio
delloasi, a sua volta interessato dalla cultura occidentale. Infatti era un arabo colto, illuminato,
sapeva lesistenza della civilt, del progresso, della scienza e anche ricco.
Tra Mahmd e Marcello nasce un rapporto che sembra nutrito dalla stima reciproca, da rispetto e
parit. Eppure, sotto le apparenze, questo rapporto non sembra essere molto limpido: Marcello
sfrutta la situazione per riuscire a insinuarsi nella casa di Mahmd, nella speranza di poter violare
la riservatezza dei costumi locali e di vedere una giovane araba; e Mahmd in realt manifesta i
veri e autentici sentimenti solo con i suoi connazionali arabi.
Insomma, mentre Marcello coltiva lamicizia dellarabo per poter aggirare i divieti delle usanze pi
radicati nella sua cultura, questi simula un comportamento rispettoso nei suoi confronti.
Quindi la comunicazione autentica tra colonizzato e colonizzatore si rivela impossibile.
3. Flaiano e gli incubi della coscienza
In Tempo di Uccidere1 (1947) di Ennio Flaiano, vi la rappresentazione del mondo della colonia
come spazio moralmente malsano, in cui la coscienza si muove attraverso la costruzione di incubi,
angosce, rimorsi che alla fine scompaiono senza restituire alcuna possibilit di innocenza.
Scritto in pieno clima neorealista, in un momento dove gli scrittori tendevano ad affermare il valore
morale della letteratura insieme a uno stile surrealista, in cui gli autori affidavano il loro messaggio
alla forza allusiva dellallegoria.
Lazione ambientata in Africa, non al tempo della disfatta ma qualche anno prima, proprio
durante la vittoriosa campagna in Abissinia che doveva condurre alla formazione dellimpero.
Flaiano poteva vantarsi di unesperienza diretta in quanto aveva partecipato alla guerra per la
conquista dellEtiopia come ufficiale, redigendo anche un diario (scritto tra il 35 e il 36) in cui
scriveva limpresa del regime in modo dettagliato, con aspetti aneddotici, e il complesso fenomeno
dellincontro delle schiere dei conquistatori con il mondo delle popolazioni locali, dalla quale
emergeva una raffigurazione di unumanit sorprendente, varia e interessante e soprattutto diversa
dalla retorica ufficiale e dalle rappresentazioni apparecchiate dai giornalisti.

Vincitore del Premio Strega subito dopo la pubblicazione

Ma se la concreta esperienza fatta nella campagna dAbissinia offriva a Flaiano le memorie e i dati
per la composizione di Tempo di Uccidere, lo stile del romanzo apparve distaccato in modo
radicale dalla scrittura ironica e asciutta degli appunti di diario.
TRAMA: La storia comincia con un banale incidente: lautocarro su cui il protagonista in preda a un
mal di denti viaggia in cerca di un dentista, si rovescia. Mentre il giovane ufficiale decide di
proseguire a piedi, lambiente africano in cui si muove si presenta nelle forme di una natura falsa,
alterata: Il caldo, quellatmosfera morbida, dava alle piante laspetto di animali impagliati.
Le montagne erano asciutte come ossi, gli alberi sempre pi di cartapesta, mentre per una
moria di muli al seguito delle truppe tutti i sentieri dellAfrica puzzavano ormai di muli morti, di resti
divorati dagli animali notturni, di teschi che ridevano e brulicavano di vermi.
Il protagonista si smarrisce e vaga nella boscaglia, dirigendosi verso una macchia di alberi dove
pensa ci sia dellacqua. Tra gli alberi intravede una giovanissima donna indigena, nuda, con i
capelli raccolti dentro un turbante bianco, che si lava in una pozza. Nasce quindi lamore di una
notte, ma prima che il sole sorgesse, per difendere Mariam da una belva notturna, lufficiale spara
un colpo di rivoltella che colpisce di rimbalzo la ragazza ferendola gravemente. Per piet,
sprovvisto di medicazioni e di aiuti, dopo aver scartato la possibilit di andare in un villaggio vicino,
pensa di porre fine alla sofferenza della giovane e la uccide. Seppellito con cura il cadavere e
rimossa ogni traccia della propria presenza sul luogo, ritrova alla fine la sua strada e raggiunge un
camion di passaggio. Dopo qualche tempo, nonostante un progressivo malessere fisico, incontra
due ragazze etiopi che indossano anche loro un turbante bianco e mostrano sulle mani delle
evidenti tracce di lebbra. Il turbante bianco appunto il segno che distingue i lebbrosi.
Lufficiale comincia ad essere divorato dal dubbio e teme di aver contratto la malattia nel suo
incontro con Mariam, e il dubbio di trasforma poco a poco in certezza.
Per nascondere il suo stato che lo condannerebbe ad essere rinchiuso in unospedale del luogo,
precipita in una serie di vicende che lo spingono di nuovo a uccidere. Prima tenta di uccidere un
ufficiale medico che scopre la sua malattia ma fallisce solo perch, sparato il primo colpo di pistola,
non ha altre pallottole nel caricatore. Poi, per procurarsi il denaro necessario per un imbarco
clandestino deruba un maggiore e si arricchisce con traffici illeciti, e temendo che la sia vittima
possa denuncialo decide di ucciderla, sabotando la ruota del camion cu ui viaggia.
Alla fine il protagonista si ritrova nuovamente nel villaggio di Mariam. un luogo desolato, e tra le
povere capanne indigene lufficiale trascorre una lunga e febbricitante successione di giorni che
assume il valore di un tempo di espiazione, per decidersi alla fine di ritornare nei quartieri
dellesercito e costituirsi. Ma una volta arrivato scoprir che non esiste alcuna denuncia contro di
lui: la sua assenza stata regolare in quanto corrispondeva a un legittimo periodo di licenza, ogni
traccia di lebbra scomparsa dal suo corpo e comunque tutti sono completamente presi dal
fervente ordine di rimpatrio.
Nel percorso dellintera vicenda, il mondo africano rappresenta uno spazio inquietante cosparso da
alberi maledetti, pieno di insidie, un luogo che logora i nervi, da odiare con tutta lanima.
una terra troppo triste e non si pu far altro che abbandonarla.
La desolazione dellAfrica sembra appartenere alla sua natura di paese oscuro e di per s sinistro.
LAfrica un autentico sgabuzzino delle porcherie dove il colonizzatore pu naturalmente
esprimere la dimensione peggiore della propria personalit e sgranchire la propria coscienza.
Inoltre non appare del tutto chiaro quanto lAfrica sia il luogo che per la propria natura di terra
maledetta attira ed eccita la parte peggiore delluomo bianco, o quanto invece non assuma i suoi
caratteri negativi allocchio del conquistatore, solo perch lha contaminata riversando la sua parte
peggiore.
proprio limperialismo a costruire, per Flaiano, una malattia contagiosa e corruttrice che come
la lebbra si p curare solo con la morte.
Il mondo africano cos, prodotto dalla malattia imperialistica delluomo bianco, si proietta come un
incubo che si materializza nella presenza di stormi di corvi o altri uccelli di un color cupo, che non
possibile scacciare neppure a colpi di bastone.
E in questa dimensione, la realt dellAfrica si scandisce in modo costante in figure predestinate a
operare come immagini della coscienza. Ad esempio, i primi esseri umani che il protagonista

incontra subito dopo la morte di Mariam si mostrano in maniera improvvisa, componendo uno
strano corteo che sembra nascondi un significato indecifrabile.
Altri come presenze che si ritroveranno costanti accanto al protagonista per ricordargli il suo
delitto. Tutte le figure del mondo africano sembrano provviste di un doppio aspetto, capace di
attirare o respingere con la stessa forza.
Mariam, che porta in s il contagio della lebbra, appare al protagonista bellissima, una di quelle
bellezze che si accettano con timore e riportano in tempi molto lontani, non del tutto sommersi
nella memoria. la stessa bellezza che ritrova nelle due ragazze etiopi, lebbrose come Mariam.
In modo simile, gli abitanti indigeni di un mondo invaso dal conquistatore occidentale possono
apparire come tristi animali, invecchiati in una terra senza uscita, e nello stesso tempo possono
assumere, nei loro gesti e comportamenti, una dignit profonda, come Johannes, il padre di
Mariam.
Ogni possibilit di conoscere e comunicare con laltro svanisce, un quanto esiste un mondo delle
doppie immagini, attraversato di inquietudini della coscienza malata dei colonizzatori, che possono
solo illudersi conoscere la psicologia dei conquistati.
Ci che pu unire, attraverso le barriere delle differenze e della divisione colonizzati/colonizzatori,
per Flaiano, la comune appartenenza alla categoria degli inferiori, degli oppressi dalla
gerarchia, estranei allordine costituito (> un rapporto autentico nasce tra gli indigeni e un
soldato che in Italia campa con il lavoro del contrabbandiere, e quindi si trova dalla parte di chi e
posto al livello pi basso dellordine costituito. Gli indigeni e il soldato riescono a capirsi e
nemmeno la confusione delle lingue rappresenta un ostacolo.)
In conclusione, nel romanzo di Flaiano lAfrica appare come larea in cui affiorano i lati oscuri della
coscienza delluomo occidentale, che nel suo ruolo di conquistatore esprime nelle forme pi
intense non solo le sue insicurezze, la vilt, le ipocrisie, i desideri di sopraffazione nascosti nel
suon animo, ma anche langoscia e il turbamento.
LAfrica perci lesperienza di un incubo in cui si intravede ci che realmente si , e la partenza
appare come una liberazione che soltanto illusoria, in quanto nel ritorno al mondo della normalit
quotidiana il malessere della coscienza non viene dissolto ma rimosso, e la parte oscura
dellanimo non viene asportata ma soltanto oppressa, celata.

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