Professional Documents
Culture Documents
Gino Tironi
ii
Indice
1.1
1.2
Monogeneit`
a. Funzioni olomorfe. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3
1.4
1.5
1.6
1.7
1.8
Singolarit`
a e teorema di Liouville.
1.8.1
1.9
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
ESEMPI ED ESERCIZI. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
1.9.2
ESERCIZI. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
1.9.3
1.9.4
Il residuo allinfinito. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
1.9.5
1.9.6
ESERCIZI. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
iii
iv
INDICE
1.9.7
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65
79
2.1
Considerazioni preliminari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79
2.2
2.3
2.4
Problema di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
INDICE
2.5
2.6
Esempi ed esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93
2.7
Il Teorema di CauchyKovalevskaja . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98
2.8
2.9
3 Serie di Fourier
137
3.1
3.2
3.3
3.4
3.5
vi
INDICE
3.6
3.7
3.8
3.9
157
4.1
4.2
4.3
Continuit`
a assoluta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171
5 Spazi Lp
173
5.1
5.2
5.3
185
6.1
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 185
6.2
Distribuzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 186
6.3
6.4
6.3.1
6.3.2
La convoluzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 193
201
INDICE
vii
7.1
7.2
Altre propriet`
a della trasformata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 203
7.3
7.4
7.5
7.6
7.7
7.8
7.9
8 Trasformata di Laplace
223
8.1
8.2
8.3
8.4
Propriet`
a delle trasformate. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 228
8.5
8.6
8.7
8.8
Lantitrasformata. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 239
8.9
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 226
viii
INDICE
8.12 Equazioni alle derivate parziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 252
8.13 Comportamento asintotico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 257
8.14 Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 259
263
9.1
9.2
9.3
9.4
Capitolo 1
Ricordiamo che un numero complesso, nella sua forma algebrica, si scrive z = x + iy, con x, y R,
dove i `e lunit`
a immaginaria, tale che i2 = 1. Rappresentando la parte reale di z, <z, sullasse
x e il coefficiente dellimmaginario, =z, sullasse y, ogni numero complesso z individua un unico
punto di un piano cartesiano Oxy e, viceversa, ogni punto individua un unico numero complesso.
Il piano cartesiano, quando lo si pensi luogo della rappresentazione dei numeri complessi, si dice il
piano di Gauss.
` noto che un numero complesso si pu`o rappresentare anche in forma trigonometrica: z = ei ,
E
dove `e il modulo di z e il suo argomento o anomalia. `e un numero reale non negativo e `e un
numero reale che ogni z 6= 0 individua a meno di multipli di 2.
Il legame tra x, y e , `e il seguente: dati x e y si ottengono e dalle equazioni:
p
x
y
= x2 + y 2 , cos = p
, sin = p
.
x2 + y 2
x2 + y 2
(1.1)
Intorno di un punto z0 C `e ogni insieme U che contiene una sfera aperta (o palla o disco) avente
centro in z0 e raggio r > 0: U `e intorno di z0 se esiste r > 0 tale che Szr0 = {z C : |zz0 | < r} U .
r = {z : |z| > r}.
Un intorno di `e ogni soprainsieme di S
Il fatto che C si pensi dotato di un unico punto allinfinito, pu`o essere giustificato, rappresentando
i punti del piano complesso mediante una proiezione stereografica sulla superficie di una sfera, che
diremo sfera complessa o di Riemann.
Prendiamo dunque una sfera di centro lorigine e raggio 1, riferita a coordinate cartesiane , , .
Proiettiamo i suoi punti dal polo nord della sfera stessa, N = (0, 0, 1), sul piano equatoriale della
sfera. Il piano equatoriale sia il piano u = 0 di un sistema cartesiano x, y, u, nel quale gli assi x e
, y e , u e coincidono. Se P = (x, y) = z `e un punto del piano equatoriale, la congiungente N P
incontra la sfera complessa in un punto P 0 = (, , ).
Una semplice similitudine di triangoli mostra che la relazione tra le coordinate di P e P 0 `e data da
1 =
=
x
y
(1.2)
2x
2y
x2 + y 2 1
,
=
,
=
x2 + y 2 + 1
x2 + y 2 + 1
x2 + y 2 + 1
(1.3)
Si noti che la sfera unitaria `e un insieme chiuso e limitato (cio`e compatto) di R3 . Le trasformazioni
tra i punti del piano di Gauss e quelli della sfera complessa sono continue e biiettive con inverse
continue tra C e la sfera privata del polo nord N . Tali trasformazioni individuano dunque unimmersione continua di C in un insieme compatto che ha, per cos` dire, un solo punto in pi`
u di C.
Questimmersione si dice allora una compattificazione a un punto o di Alexandroff di C. In generale,
una compattificazione di uno spazio topologico (X, ) `e la coppia formata da uno spazio topologico
compatto (cX, 0 ) e da unapplicazione continua c : (X, ) (cX, 0 ) tale che c(X) = cX, essendo
la chiusura presa nella topologia di cX.
Sia f : E( C) C una funzione definita su un sottoinsieme E di C a valori complessi e sia z0 un
punto daccumulazione di E. Diremo che f (z) ha limite ` per z che tende a z0 , in simboli
lim f (z) = `
zz0
(1.4)
con ` C, se > 0, > 0 tale che z E, 0 < |z z0 | < |f (z) `| < . Ovviamente la
definizione pu`
o essere data equivalentemente in termini di intorni; una definizione analoga vale se
al posto di z0 o di ` o di entrambi c`e .
Diremo che f (z) `e continua in un punto z0 E se > 0, > 0 tale che z E, |z z0 | <
|f (z) f (z0 )| < . Equivalentemente se, per ogni intorno V di f (z0 ) esiste un intorno U di z0 tale
che f (U ) V . Una funzione f (z) che sia continua in ogni punto z0 E, si dice continua in E.
`
1.1. PIANO E SFERA COMPLESSI. CONTINUITA.
N
P
Y=
Z=P
X=
u(x, y) = u0 e
lim
(x,y)(x0 ,y0 )
v(x, y) = v0
Teorema 1.1.1 (Jordan). Se `e il sostegno di una curva continua semplice chiusa, il complemento
di nel piano `e lunione di due insiemi aperti, connessi (per archi) (cio`e di due domini) disgiunti.
Ogni punto di `e punto di frontiera di ciascuno dei due domini.
Ricordiamo che per un aperto di Rn lessere connesso equivale allessere connesso per archi. Uno
dei due domini `e limitato e si dice linterno di : ()i . Il dominio illimitato si dice lesterno di :
()e .
In generale, consideremo funzioni definite allinterno di una curva semplice chiusa e allesterno
di k curve semplici chiuse 1 , 2 , . . . ,k . I sostegni delle curve 1 , 2 , . . . ,k sono interni a e
ciascuno di essi `e esterno ai rimanenti: cio`e per ogni r (1 r k) si ha r ()i {s6=r (s )e }.
La curva pu`
o andare allinfinito, cio`e mancare e qualche curva r pu`o ridursi a un punto (cio`e
r pu`o essere la curva costante). Si veda la Figura 1.2.
0
1
2
4
1.2
Monogeneit`
a. Funzioni olomorfe.
zz0
f (z) f (z0 )
z z0
(1.5)
Tale limite si dice derivata di f in z0 e si denota con f 0 (z0 ). Se f (z) `e differenziabile in ogni punto
di D essa si dice olomorfa in D. Essa si dice olomorfa in z0 se `e derivabile in un intorno di z0 .
Altri termini usati al posto di olomorfa sono analitica, monogena, regolare o analitico-regolare.
Le usuali regole sulla derivabilit`
a della somma, del prodotto e del quoziente di funzioni, valgono
anche nel caso complesso.
` facile stabilire che ogni funzione f (z) = z n , n 1, `e derivabile su tutto C. Infatti
E
lim
zz0
z n z0n
= lim (z n1 + z n2 z0 + . . . + z0n1 ) = nz0n1
zz0
z z0
(1.6)
1.2.
` FUNZIONI OLOMORFE.
MONOGENEITA.
P (z)
Q(z)
`e
Conviene mettere in evidenza la seguente conseguenza della derivabilit`a duna funzione complessa.
Teorema 1.2.1 Sia f (x + iy) = u(x, y) + iv(x, y) definita in un intorno di z0 = x0 + iy0 . Se esiste
finita f 0 (z0 ) allora vale
ux (x0 , y0 ) = vy (x0 , y0 )
(1.7)
uy (x0 , y0 ) = vx (x0 , y0 ) .
Inoltre le parti reale e immaginaria u(x, y) e v(x, y) sono differenziabili in (x0 , y0 ).
Dimostrazione: Se esiste il
f (z) f (z0 )
zz0
z z0
allora tale limite esiste indipendentemente dal modo e, quindi dalla direzione lungo la quale z tende
a z0 . In particolare il limite si pu`
o calcolare prendendo z del tipo z = x + iy0 , cio`e facendo tendere
z a z0 lungo una retta parallela allasse x, oppure facendo tendere z a z0 lungo una parallela allasse
y, cio`e prendendo z = x0 + iy. In ciascuno dei due casi il limite deve valere f 0 (z0 ).
lim
Ora
f 0 (z0 ) = lim
xx0
= lim [
xx0
u(x, y0 ) u(x0 , y0 )
v(x, y0 ) v(x0 , y0 )
+i
]=
x x0
x x0
u
v
=
(x0 , y0 ) + i (x0 , y0 ) .
x
x
Analogamente
f 0 (z0 ) = lim
yy0
= lim [
yy0
u(x0 , y) u(x0 , y0 )
v(x0 , y) v(x0 , y0 )
+i
]=
i(y y0 )
i(y y0 )
= i
u
v
(x0 , y0 ) +
(x0 , y0 )
y
y
Dunque si ha
f 0 (z0 ) =
u
v
v
u
(x0 , y0 ) + i (x0 , y0 ) =
(x0 , y0 ) i (x0 , y0 ) .
x
x
y
y
(1.8)
Dunque valgono le condizioni (1.1) che si dicono condizioni di monogeneit`a o equazioni di CauchyRiemann.
` inoltre facile dimostrare che u(x, y) e v(x, y) sono differenziabili nel punto (x0 , y0 ). Infatti, dalla
E
derivabilit`a di f (z) in z0 segue che
f (z) = f (z0 ) + f 0 (z0 )(z z0 ) + (z, z0 ) (z z0 ) ,
con (z, z0 ) funzione infinitesima per z z0 . Detto f 0 (z0 ) = + i, separando la parte reale e
quella immaginaria, si ottiene
u(x, y) + i v(x, y) = u(x0 , y0 ) + i v(x0 , y0 ) + ( + i )(x x0 + i (y y0 ))+
+(z, z0 ) (z z0 ) .
Ossia
u(x, y) + i v(x, y) = u(x0 , y0 ) + i v(x0 , y0 ) + ( (x x0 ) (y y0 ))+
+i ( (x x0 ) + (y y0 )) + (z, z0 ) (z z0 ) .
Dunque
u(x, y) = u(x0 , y0 ) + ( (x x0 ) (y y0 )) + <{(z, z0 ) (z z0 )}
e
v(x, y) = v(x0 , y0 ) + ( (x x0 ) + (y y0 )) + ={(z, z0 ) (z z0 )}
Ci`o mostra che u(x, y) e v(x, y) sono differenziabili in (x0 , y0 ) e, inoltre, che valgono le gi`a ricordate
condizioni di monogeneit`
a.
` allora immediato riconoscere la validit`a del seguente
E
Corollario 1.2.1 Se f (z) `e una funzione olomorfa in un dominio D, allora le sue parti reale e
immaginaria soddisfano in D le equazioni di Cauchy-Riemann in ogni punto z = x + iy D
u
v
u
v
(x, y) =
(x, y) ,
(x, y) = (x, y)
x
y
y
x
Le condizioni di monogeneit`
a sono dunque una condizione necessaria per la derivabilit`a o differenziabilit`a di una funzione di variabile complessa. Tuttavia esse non sono sufficienti. Ci`o `e evidenziato
dal seguente esempio molto semplice dovuto a D. Menchoff. Si consideri
5
z
f (z) = |z|4 per z 6= 0,
0
per z = 0.
Allora
f (h)
h
h 4
= ( |h|
) ha valore 1 se h `e reale o puramente immaginario. In generale il rapporto
incrementale vale e4i se h = |h|ei . Perci`o non esiste il limite del rapporto incrementale per h 0;
ossia f (z) non `e derivabile in z0 = 0. Tuttavia esistono le derivate parziali delle parti reale e
immaginaria di f (z) in (0, 0) e soddisfano ivi le condizioni di monogeneit`a. Infatti si ha
ux (0, 0) = vy (0, 0) = 1 , uy (0, 0) = vx (0, 0) = 0 .
Vale tuttavia il seguente
1.2.
` FUNZIONI OLOMORFE.
MONOGENEITA.
Teorema 1.2.2 Si supponga che f (z) = u(x, y) + iv(x, y) sia definita in un intorno U di z0 e che
u(x, y) e v(x, y) siano differenziabili in (x0 , y0 ) (in particolare, che le derivate parziali esistano in
U e siano continue in (x0 , y0 )). Allora, se valgono le equazioni di Cauchy-Riemann, esiste finita
f 0 (z0 ).
Dimostrazione: Il rapporto incrementale in z0 , con z U \ {z0 }, `e dato da
f (z) f (z0 )
u(x, y) + iv(x, y) u(x0 , y0 ) iv(x0 , y0 )
=
=
z z0
(x x0 ) + i(y y0 )
[
u(x, y) u(x0 , y0 )
v(x, y) v(x0 , y0 )
+i
]=
(x x0 ) + i(y y0 )
(x x0 ) + i(y y0 )
|z z0 |
z z0
0|
Poiche il fattore |zz
e limitato, mentre il fattore [1 (x, y) + i2 (x, y)] `e infinitesimo, si vede
zz0 `
facilmente che il rapporto incrementale ha limite finito per z z0 , dato da f 0 (z0 ) = ux (x0 , y0 ) +
ivx (x0 , y0 ).
Corollario 1.2.2 Sia f (z) definita in un dominio D; se essa ha ivi parti reale e immaginaria
differenziabili (in particolare, se le loro derivate parziali sono continue), se inoltre sono soddisfatte
le condizioni di monogeneit`
a, allora f (z) `e olomorfa in D.
P (z)
Abbiamo gi`a osservato che le funzioni razionali fratte Q(z)
sono olomorfe eccezione fatta per i punti
nei quali Q(z) = 0. Ricordando quanto gi`a si `e stabilito per le funzioni che sono P
somma di una serie
n e
di potenze, possiamo concludere che la somma di una serie di potenze f (z) =
n=0 an (z z0 ) `
una funzione olomorfa nei punti interni del cerchio di convergenza. Perci`o le funzioni esponenziale,
seno e coseno, definite dalle seguenti serie assolutamente convergenti in tutto C, sono olomorfe su
C.
X zn
zn
z2
e =1+z+
+ ... +
+ ... =
2
n!
n!
z
(1.9)
n=0
sin z = z
X
z3
z 2n+1
z 2n+1
+ . . . + (1)n
+ ... =
(1)n
3!
(2n + 1)!
(2n + 1)!
n=0
(1.10)
cos z = 1
X
z2
z 2n
z 2n
+ . . . + (1)n
+ ... =
(1)n
2
(2n)!
(2n)!
(1.11)
n=0
1.3
Facciamo una digressione sulle funzioni a variazione limitata e lintegrale di Riemann - Stieltjes.
Considereremo funzioni definite su un intervallo I = [a, b] a valori reali o complessi (in generale a
valori in Rn ). Prendiamo una suddivisione = {t0 = a < t1 < t2 < . . . < tn = b} dellintervallo
[a, b] e consideriamo la somma
S (f ) =
n
X
|f (ti ) f (ti1 )|
(1.12)
i=1
Diremo che la funzione f (t) `e a variazione limitata sullintervallo [a, b] se linsieme delle somme
S (f ) `e limitato. Si dice variazione totale di f su [a, b] il numero
Vab (f ) = sup{S (f ) : `e una suddivisione di [a, b]}
Linsieme di tutte le funzioni a variazione limitata su [a, b] si denoter`a con V L(a, b) o con BV (a, b).
Proveremo ora alcune propriet`
a fondamentali dellinsieme delle funzioni di variazione limitata a
valori complessi.
(1.13)
Infatti baster`
a raffinare unassegnata suddivisione inserendo i punti e tra quelli della suddivisione stessa e trascurare eventualmente i contributi alla variazione totale dovuti ai punti antecedenti
o seguenti .
Sono poi di agevole dimostrazione, a partire dalla definizione, le seguenti propriet`a valide per
f V L(a, b)
V (f ) |f () f ()|
(1.14)
Infatti, basta osservare che {, } `e la minima, nel senso dellinclusione, di ogni suddivisione di
[, ]. Da questa disuguaglianza, tenendo fisso il punto in [a, b] e facendo variare , si deduce che
ogni funzione a variazione limitata `e, in particolare, limitata sul [a, b]. Infatti si ha |f (x) f ()|
Vx (f ) Vab (f ), e quindi |f (x)| |f ()| + Vab (f ).
(1.15)
Baster`a raffinare ogni assegnata suddivisione di [, ] con linserimento del punto per provare
la disuguaglianza , e ricordare la definizione di estremo superiore per dedurne la disuguaglianza
opposta .
Converr`a ricordare che le propriet`
a sopra citate sono quelle della lunghezza di una curva rettificabile,
e che si dimostrano allo stesso modo. Osserveremo ulteriormente che la variazione Vat (f ) con
a t b `e non-decrescente sullintervallo [a, b]. Infatti se t1 < t2 si ha Vat2 (f ) Vat1 (f ) = Vtt12
|f (t2 ) f (t1 )| 0.
Teorema 1.3.1 Linsieme V L(a, b) `e stabile per la somma, il prodotto di una funzione per una
costante C e il prodotto di funzioni. Cio`e V L(a, b) forma unalgebra sul corpo dei complessi.
, Vab (f ) = ||Vab (f )
Teorema 1.3.2 Sia f V L(a, b), a valori reali. Allora f `e differenza di due funzioni non-negative,
non-decrescenti.
Dimostrazione: Sia f (t) a variazione limitata. Potremo pensare che f (a) 0, senza ledere la
generalit`a; infatti, come vedremo nel corso della dimostrazione, nulla cambia se al posto di f (t)
consideriamo la traslata f (t) + k. Se poniamo g(t) = f (a) + Vat (f ) la funzione g(t) `e non-negativa
(f (a) e Vat (t) sono 0) e inoltre `e non-decrescente poiche cos` `e la variazione Vat (f ). Sia poi
h(t) = f (a) + Vat (f ) f (t). Poiche Vat (f ) |f (t) f (a)|, h(t) 0 per ogni t [a, b]. Sia
poi t1 < t2 ; allora h(t2 ) h(t1 ) = Vat2 (f ) Vat1 (f ) f (t2 ) + f (t1 ) = Vtt12 (f ) [f (t2 ) f (t1 )]
|f (t2 ) f (t1 )| [f (t2 ) f (t1 )] 0. Ovviamente `e f (t) = g(t) h(t).
10
Teorema 1.3.3 Sia f V L(a, b), a valori complessi. Allora f `e combinazione lineare di quattro
funzioni non-negative, non-decrescenti.
3
X
k=0
Ovviamente la decomposizione di f (t) non `e univocamente determinata; ci sono infinite decomposizioni possibili: per esempio, tutte quelle che corrispondono a gk (t)+ costante.
` noto (Teorema sul limite delle funzioni monotone) che ogni funzione monotona su un intervallo
E
ha limite destro e sinistro finiti in t0 (a, b). Per la decomposizione appena ricordata, si pu`
o
concludere con il seguente
Teorema 1.3.4 Ogni funzione a variazione limitata su un intervallo [a, b] ha limiti finiti destro e
sinistro in ogni punto t0 (a, b).
Diremo salto destro di f in t [a, b] il numero S+ (f, t) = |f (t) f (t+ )|. Il salto sinistro `e
S (f, t) = |f (t) f (t )|. Qui f (t+ ) = limut+ f (u) e f (t ) = limut f (u). Se [a, b],
allora S+ (f, ) + S (f, ) Vab (f ). I punti di discontinuit`a di f sono esattamente quelli nei
quali si ha S+ (f, ) + S (f, ) > 0. Una funzione monotona e a valori reali su un intervallo, per
es. una funzione non-decrescente, `e tale che in ogni punto t0 dellintervallo stesso, esistono sia i
limiti da destra che da sinistra e si ha, nel caso ipotizzato, limtt f (t) f (t0 ) limtt+ f (t).
0
0
Dunque, i punti di discontinuit`
a di una funzione monotona su un intervallo individuano una famiglia
dintervalli aperti disgiunti. Una siffatta famiglia pu`o essere al pi`
u numerabile sulla retta reale
(in ognuno degli intervalli cade un punto razionale diverso e Q `e numerabile!). Ogni funzione a
variazione limitata, a valori reali o complessi, su un intervallo `e combinazione lineare di due o
quattro funzioni monotone a valori reali. Dunque anchessa pu`o avere al pi`
u uninfinit`a numerabile
di punti di discontinuit`
a. Si `e dimostrato il seguente
Infine, definiamo funzione a variazione limitata su un intervallo [a, ) una funzione che `e a variazione limitata su ogni intervallo limitato [a, k] e tale che sia finito il limk Vak (f ). Tale limite si
dice allora variazione totale di f su [a, ): Va (f ). Allo stesso modo si definiscono le funzioni a
variazione limitata su R.
11
n
X
k=1
Notiamo che se f `e una funzione uniformemente continua il suo modulo di continuit`a `e infinitesimo
con .
Allora possiamo dimostrare il seguente
Teorema 1.3.6 Se f C(a, b) e g V L(a, b) esiste un numero J (reale o complesso) tale che
(1.16)
|J S, (f, g)| 4 2(; f )Vab (g)
se diam() .
Definizione 1.3.1 Il numero J, lesistenza del quale `e affermata dal precedente teorema, si dice
integrale di Stieltjes di f (t) rispetto a g(t) sullintervallo [a, b] e si denota con
b
f (t)dg(t)
(1.17)
Dimostrazione: Cominciamo ad osservare che se due somme relative alla stessa suddivisione
avente diam() si riferiscono alle scelte 1 e 2 , allora `e
|S,1 (f, g) S,2 (f, g)|
n
X
k=1
(; f )Vab (g)
per la definizione di variazione totale di g e avendo tenuto conto che |sk,1 sk,2 | per ogni k.
12
Siano ora 1 e 2 due suddivisioni di [a, b] di diametro , tali che 1 2 (cio`e tale che 2 sia un
raffinamento di 1 ), e consideriamo due somme corrispondenti a queste suddivisioni: S1 ,1 (f, g) e
S2 ,2 (f, g). Sia T1 = f (s)[g() g()]
P un termine di S1 ,1 (f, g). Lintervallo [, ] `e suddiviso
dai punti {t,j } di 2 . Vale allora j [g(t,j ) g(t,j1 )] = g() g(). Il termine T1 `e allora
sostituito da
X
T2 =
f (s,j )[g(t,j ) g(t,j1 )]
j
e quindi
|S2 ,2 (f, g) S1 ,1 (f, g)| (; f )Vab (g)
Siano ora due somme arbitrarie, corrispondenti alle suddivisioni 1 e 2 con le scelte 1 e 2 . Sia
3 = 1 2 ; tale suddivisione `e un raffinamento di 1 e di 2 . Allora si ha
|S2 ,2 (f, g) S1 ,1 (f, g)| |S2 ,2 (f, g) S3 ,3 (f, g)|+
+|S3 ,3 (f, g) S1 ,1 (f, g)| 2(; f )Vab (g)
aventi diagonale arbitrariamente piccola ( 4 2( n1 ; f )Vab (g)). Dunque esiste un unico numero J
comune a tutti gli intervalli In e tale J soddisfa la disuguaglianza enunciata.
Passiamo ora brevemente in rassegna le propriet`a dellintegrale di Riemann-Stieltjes. Dalla definizione seguono immediatamente le seguenti propriet`a di bilinearit`a e di additivit`a dellintegrale
b
Z
[f1 (t) + f2 (t)]dg(t) =
f1 (t)dg(t) +
a
Z
f (t)dg1 (t) +
Z
f (t)dg(t) =
(1.18)
f (t)dg2 (t)
(1.19)
f (t)dg(t) , per a c b
f (t)dg(t) +
f2 (t)dg(t)
a
(1.20)
(1.21)
1.4.
13
(1.22)
Osserviamo che anche il membro destro dellequazione `e un integrale di Stieltjes, poiche |f (t)| `e
continua e Vat (g) BV (a, b). La precedente disuguaglianza viene scritta spesso con la seguente,
Rb
Rb
diversa notazione : | a f (t)dg(t)| a |f (t)||dg(t)|, dove |dg(t)| sta al posto di dVat (g). Se g(t) ha
Rb
Rb
derivata continua, allora si ha, come `e noto, a f (t)dg(t) = a f (t)g 0 (t)dt.
Infine, scambiando i ruoli di f e di g, si perviene alla formula dintegrazione per parti. Infatti, si
ha
n
X
S, =
f (sk )[g(tk ) g(tk1 )] = f (sn )g(b) f (s1 )g(a)
k=1
n1
X
k=1
(1.23)
Se si sa solamente che f C(a, b) e g BV (a, b), allora questa formula fornisce la definizione
dellintegrale del membro destro. Se f, g C(a, b) BV (a, b), allora la formula stabilisce la formula
dintegrazione per parti, estremamente utile per valutare gli integrali di Stieltjes.
1.4
Sia una curva rettificabile del piano complesso. Intenderemo con ci`o una curva dequazione
z = z(t), 0 t 1, dove z(t) `e una funzione continua e di variazione limitata su [0, 1]. `e
orientata dalla parametrizzazione. Cio`e z1 = z(t1 ) precede z2 = z(t2 ) se t1 < t2 . rappresenta
la stessa curva con lorientazione opposta, cio`e dequazione z = z(1 t). La lunghezza di `e
data da `() = V01 (z). Se f (z) `e una funzione continua definita sul sostegno della curva (con
ci`o intenderemo che f `e definita su un aperto di C, ([0, 1]). Spesso il sostegno ([0, 1]) sar`
a
semplicemente indicato con ), allora f (z(t)) `e una funzione continua su [0, 1].
Definizione 1.4.1 Se f `e una funzione continua sul sostegno della curva continua rettificabile
definiamo
Z
Z 1
f (z)dz =
f (z(t))dz(t) ,
14
Le propriet`a gi`
a dimostrate per lintegrale di Stieltjes permettono immediatamente di verificare che
valgono le seguenti uguaglianze
I. Linearit`
a.
Z
Z
[f1 (z) + f2 (z)]dz =
Z
f1 (z)dz +
f2 (z)dz
(1.24)
II. Additivit`
a rispetto al cammino. Se 1 e 2 sono due curve rettificabili consecutive, cio`e tali che
z1 (1) = z2 (0) e con 1 + 2 intendiamo la curva 1 seguita dalla 2 , cio`e la curva dequazione
z1 (2t),
se 0 t 21 ;
z(t) =
(1.25)
z2 (2t 1), se 12 t 1,
allora si ottiene
Z
f (z)dz =
1 +2
f (z)dz +
1
f (z)dz
(1.26)
(1.27)
(1.28)
e
Z
Z
Z
| f (z)dz|
|f (z)||dz| =
|f (z(t))|ds(t) ,
(1.29)
(1.30)
Esempio 1.4.1 Se `e una qualsiasi curva rettificabile che congiunge i punti a e b del piano
complesso, allora:
Z
Z b
dz =
dz = b a .
(1.31)
1.4.
Pn
k=1 [z(tk )
15
(1.32)
z(t)dz(t)
(1.33)
InRparticolare, se `e una curva rettificabile semplice chiusa, tale che z(0) = z(1) allora
e zdz = 0.
dz
=0
Teorema 1.4.1 Sia f (z) una funzione olomorfa in un dominio D e sia una curva continua,
semplice, chiusa, rettificabile tale che ? = ()i (D)i , dove (D)i indica la parte interna di D.
Allora
Z
f (z)dz = 0 .
(1.34)
16
dimostrazione qui esposta, che non richiede ipotesi aggiuntive di continuit`a di f 0 (z) o di regolarit`
a
di , `e dovuta essenzialmente a Goursat (1883), modificata da Prigsheim e Knopp (1918).
a) Sia dunque = il perimetro di un triangolo di vertici z1 ,Rz2 , z3 , orientato in senso antiorario
o positivo, e sia ? = ()i . Per assurdo si supponga che f (z)dz 6= 0. Sia ` il perimetro di
. Se suddividiamo il triangolo con linee congiungenti i punti medi dei suoi lati, otteniamo quattro
triangoli 01 , 02 , 03 che contengono rispettivamente i vertici z1 , z2 , z3 e 04 che contiene z4 ,
baricentro del triangolo. Se i singoli triangoli 0i con i = 1, 2, 3, 4 sono orientati positivamente,
avremo
Z
4 Z
X
f (z)dz =
f (z)dz ,
k=1
0k
poiche i contributi di 04
R cancellano i contributi dei lati di 0k (k = 1, 2, 3) che non sono semilati di
. Se supponiamo che f (z)dz 6= 0, almeno uno dei 0k dar`a contributo non nullo. Diciamo 1
uno di quelli che d`
a contributo di modulo massimo (quello dindice minimo, se ce n `e pi`
u duno).
Sar`a:
Z
Z
f (z)dz| 4 |
f (z)dz| .
|
1
Ripetendo questo procedimento per infiniti passi, troveremo una successione di triangoli (n ) tale
che sia
(D)i ?0 ?1 . . . ?n . . .
Il perimetro di n `e 2`n ; il suo diametro `e perci`o al pi`
u 21 2`n e tende a zero per n che tende allinfinito.
Ne segue che ci sar`
a un solo punto z0 comune a tutti i domini triangolari ?n . Ed inoltre vale
Z
Z
n
|
f (z)dz| 4 |
f (z)dz| .
f (z) f (z0 )
f 0 (z0 )| < per 0 < |z z0 | <
z z0
`e f (z) = f (z0 ) + (z z0 )f 0 (z0 ) + (z, z0 ) con |(z, z0 )| |z z0 | per |z z0 | < . Pur di scegliere
n abbastanza grande si potr`
a rendere |z z0 | < per z ?n .
Z
Z
f (z)dz =
[f (z0 ) + (z z0 )f 0 (z0 ) + (z, z0 )]dz
n
= [f (z0 ) z0 f 0 (z0 )]
dz + f 0 (z0 )
Z
zdz +
(z, z0 )dz
n
`
22n
Z
|
f (z)dz| 4 |
1 `2
1
f (z)dz| 4n n = `2
2 4
2
n
1.4.
17
Per larbitrariet`
a di , segue finalmente
Z
f (z)dz = 0 .
Z
f (z)dz =
n Z
X
k=1
f (z)dz = 0 .
z3
z5
5
z6
3
z4
z
2 2
1
z7
z1
0
z0
18
Sia ora dato un numero reale > 0. Possiamo trovare un insieme finito di punti z1 , z2 , . . . , zn su
che soddisfano le seguenti richieste:
(i) zj precede zk su se j < k;
(ii) tutti i segmenti [zk , zk+1 ] sono contenuti in R. Si intende che zn+1 = z1 ;
(iii) il poligono = [z1 , z2 , . . . , zn ] `e semplice;
(iv) se `e scelto in modo che (, f ) <
|zk+1 zk | < ;
(v) |
f (z)dz
Pn
2` ,
zk )| < 2 .
Z
|
f (z)dz
f (zk )(zk+1 zk )| = |
n Z
X
k=1
k=1
(, f ) ` <
zk+1
zk
`= ,
2`
2
dove si `e usato il fatto che la lunghezza di non supera quella di . Combinando questa stima con
quella di (v), si trova finalmente
Z
|
f (z)dz| = |
f (z)dz
Z
+|
f (z)dz
Z
n
X
f (z)dz| | f (z)dz
f (zk )(zk+1 zk )| +
n
X
k=1
Per larbitrariet`
a di il teorema `e dimostrato.
k=1
+ =
2 2
.
Il precedente teorema `e fondamentale. Ne offriamo perci`o una dimostrazione alternativa, basata sul
Teorema di Gauss Green nel piano. Si richiedono per questa dimostrazione ipotesi pi`
u restrittive
sulla regolarit`
a del cammino lungo il quale si integra e sulla continuit`a delle derivate della parte
reale e immaginaria della funzione olomorfa, ipotesi che, come abbiamo visto in precedenza, non
sono necessarie. Tuttavia, la dimostrazione risulta essere pi`
u rapida e comunque `e istruttiva.
1.4.
19
Teorema 1.4.2 Sia f (z) una funzione olomorfa in un dominio D e sia una curva semplice,
chiusa, a tratti regolare tale che ? = ()i (D)i . Se f (z) = u(x, y) + iv(x, y) `e tale che le
derivate parziali di u(x, y) e di v(x, y) sono continue in (D)i , allora
Z
f (z)dz = 0 .
Dimostrazione: Posto z = x + iy, lintegrale si pu`o cos` esprimere separando la parte reale da quella
immaginaria
Z
Z
Z
f (z)dz = (u(x, y)dx v(x, y)dy) + i (v(x, y)dx + u(x, y)dy).
Z Z
X(x, y)dx =
?
Z Z
Y (x, y)dy =
?
si ottiene
Z Z
f (z)dz =
(
?
X(x, y)
dxdy
y
Y (x, y)
dxdy,
x
v
u
+
)dxdy + i
x y
Z Z
(
?
u v
)dxdy = 0 .
x y
Teorema 1.4.3 Sia una linea chiusa, semplice, continua e rettificabile e sia la sua parte interna
()i convessa rispetto a un punto interno z0 . Se f (z) `e olomorfa in ()i ed `e continua in ? = ()i ,
allora `e
Z
f (z)dz = 0 .
Teorema 1.4.4 (Dei due circuiti). Supponiamo che 1 e 2 siano due curve semplici, chiuse,
rettificabili, continue che hanno la stessa orientazione e tali che 1 giaccia allinterno di 2 . Se
f (z) `e olomorfa in D (2 )i (1 )e , allora
Z
Z
f (z)dz =
f (z)dz .
(1.35)
1
20
Dimostrazione: Laffermazione `e banale se f (z) `e olomorfa in tutto ?2 , perche allora i due integrali
sono nulli. Altrimenti, si prenda un punto z0 interno a 1 (e quindi a 2 ) e si tracci una linea
orizzontale2 per z0 . Il prolungamento di questa linea intersecher`a almeno due volte sia 1 che
2 . Poiche linsieme intersezione `e un insieme compatto contenuto nella retta, andando verso
destra si trover`
a un ultimo punto z1 in 1 e un primo punto susseguente z2 in 2 . Il segmento
di linea di estremi z1 e z2 giace per intero in (2 )i (1 )e . Analogamente, alla sinistra di z0 c`e
un ultimo punto z3 in 1 e un primo punto seguente z4 in 2 ; il segmento (z4 , z3 ) giace per intero
in (2 )i (1 )e . I due segmenti di retta tagliano (2 )i (1 )e in due parti, una superiore e una
inferiore. Se le due curve 1 e 2 sono orientate positivamente, i punti z1 e z3 dividono 1 in due
archi 11 e 12 . Analogamente z2 e z4 dividono 2 negli archi 21 e 22 . Siano 1 e 2 i bordi
del dominio superiore e inferiore rispettivamente. Allora 1 = [z1 , z2 ] 21 [z4 , z3 ] (11 ) e
2 = (12 ) [z3 , z4 ] 22 [z2 , z1 ]. Gli integrali estesi a 1 e a 2 sono nulli. Dunque
Z
0=
Z
+
f (z)dz =
21
11
+
22
f (z)dz
12
poiche gli integrali lungo i segmenti di retta si cancellano. Raggruppando i termini si ottiene il
risultato voluto.
z3
z1
z2
z0
z4
1.4.
21
n Z
X
k=1
f (z)dz
La dimostrazione elementare di questo teorema si basa sulla possibilit`a di operare dei tagli che
spezzino D0 in due o pi`
u domini semplicemente connessi.
Ricordiamo che un dominio D del piano complesso si dice semplicemente connesso se il suo complementare `e connesso sulla sfera complessa di Riemann.
Omettiamo la dimostrazione del teorema, rimandando per unidea intuitiva della dimostrazione
stessa alla seguente Figura 1.5.
0
L1
1
L2
L4
2
3
L3
22
1.5
Nelle considerazione che seguono penseremo che i circuiti siano orientati secondo la convenzione
sopra esposta.
I risultati di questo paragrafo, e molti altri che seguiranno, sono conseguenze dirette del fondamentale Teorema di Cauchy dimostrato nel paragrafo precedente.
Teorema 1.5.1 (Formula integrale di Cauchy). Sia un circuito positivamente orientato e sia
f (z) una funzione olomorfa in un dominio D ? ; se z `e un punto interno a , vale
Z
1
f ()
f (z) =
d .
(1.36)
2i z
Dimostrazione: Dal Teorema 1.4.4 segue che
Z
Z
1
f ()
1
f ()
d =
d
2i z
2i C z
dove C `e un cerchio
R di1 raggio = | z| cos` piccolo da essere contenuto per intero in ()i .
1
Ricordando che 2i C z d = 1, segue che
1
2i
Z
C
f ()
1
d f (z) =
z
2i
Z
C
f () f (z)
d
z
(z)
Nellultimo integrale, lintegrando si pu`o valutare come segue f ()f
= f 0 (z) + (, z), con (, z)
z
che tende a zero per z. Perci`
o lintegrando `e maggiorato in modulo da una certa costante M
se C con C cerchio di raggio sufficientemente piccolo. Il modulo dellintegrale `e maggiorato
1
1
da 2
M `(C) = 2
M 2 = M , che tende a zero al tendere a zero di . Ma il termine a
sinistra delluguaglianza `e indipendente da e quindi deve essere nullo.
Una conseguenza immediata del precedente teorema `e la seguente proposizione che si ottiene
prendendo come curva un cerchio di centro il punto a e raggio r, tale che D.
Teorema 1.5.2 (Teorema della media) Se C `e un cerchio di centro a e raggio r tale che C D,
allora si ha
Z 2
1
f (a) =
f (a + rei )d .
2 0
Dimostrazione: Infatti si ha
f (a) =
1
2i
Z
C
f ()
d
a
1.5.
23
Utilizzando lenunciato del Teorema 1.4.3 si trova che la conclusione precedente vale anche
R f ()nelli1
potesi che f (z) sia olomorfa in ()i e continua in ? . Se z `e esterno a , allora si ha 2i
C z d =
0.
Infine, se la regione in cui f (z) `e olomorfa `e interna a un circuito 0 ed esterna a 1 , 2 , . . . , n ,
allora la formula scritta continua a valere se = 0 1 . . . n . Altro fondamentale risultato
`e il seguente teorema che vale per f 0 (z).
Teorema 1.5.3 (Formula di Cauchy per la derivata). Sotto le ipotesi del precedente Teorema 4.1,
si ha
Z
1
f ()
0
f (z) =
d .
2i ( z)2
Dimostrazione: Se z ()i lintegrale `e una funzione f1 (z) ben definita; dimostremo che coincide
con f 0 (z). Si osservi che
Allora
1
1
1
1
h
[
]
=
2
h zh z
( z)
( z h)( z)2
f (z + h) f (z)
h
f1 (z) =
h
2i
f ()
d
( z)2 ( z h)
Si dica R() quella parte di ()i per la quale z (e z + h) distano da non meno di . Detto M il
massimo di |f (z)| su e `() la lunghezza di , lintegrale `e maggiorato in modulo da
|h| 3
M `() per z, z + h R()
2
Teorema 1.5.4 (Formula di Cauchy per le derivate successive). Sia f (z) olomorfa nel dominio
D = (0 )i (1 )e . . . (n )e . Allora f(z) ha derivate di ogni ordine in D e si ha
Z
m!
f ()
(m)
f (z) =
d ,
(1.37)
2i ( z)m+1
per z D e per ogni m N.
24
Dimostrazione: (Cenno) Procedendo per induzione, supponiamo che la tesi valga per m 1. Gi`
a
sappiamo che essa vale per m = 0 e per m = 1, come abbiamo precedentemente dimostrato.
Supponiamo dunque che esista f (m1) (z) e che sia data dalla formula detta. Si ha
1
[f (m1) (z + h) f (m1) (z)] =
h
(m1)!
2i
1
1
f () h [ (zh)m
1
(z)m ]d
1 hm(z)m1 +
f ()d h (z)m (zh)m
(m1)!
2i
(m1)!
2i
m(z)m1 +
f ()d (z)m (zh)m .
I puntini indicano termini contenenti il fattore h o sue potenze di grado superiore. Si pu`o dimostrare
che per h 0, con z, z + h R(), lintegrale tende uniformemente rispetto a z a
Z
Z
(m 1)!
m
f ()
m!
f ()
d =
d .
m+1
2i
(
z)
2i
(
z)m+1
Dunque una funzione olomorfa in un dominio D risulta avere in D non solo la derivata prima in
senso complesso ma derivate di ogni ordine.
1.6
Quanto abbiamo ricordato dopo il Teorema 1.5.3 `e importante perche ci permette di dimostrare
una proposizione reciproca del Teorema di Cauchy, scoperta da Giacinto Morera nel 1886
Teorema 1.6.1 (di Morera). Si supponga che f (z) sia una funzione continua in un dominio
semplicemente connesso D e tale che per ogni triangolo con ? D valga
Z
f (z)dz = 0 .
z+h
Z
f (t)dt
Z
f (t)dt =
z+h
f (t)dt
z
25
Per la continuit`
a di f (z) il termine integrale nellultimo membro tende a 0 per h 0. Perci`o vale
1
[F (z + h, a) F (z, a)] = f (z)
h0 h
lim
Dunque F (z, a) `e funzione olomorfa di z in D(a) e dunque in un intorno di a. Ma, per quanto si
`e dimostrato in precedenza, anche la sua derivata f (z) `e derivabile nello stesso dominio D(a), cio`e
in un intorno di a. Cio`e f (z) `e olomorfa in un intorno di ogni punto a D. Dunque `e olomorfa in
D.
Per le funzioni olomorfe vale una notevole propriet`a di massimo.
Teorema 1.6.2 Sia f (z) olomorfa in D e sia un circuito tale che ? D. Allora per ogni
z ()i vale
|f (z)| M (f, ) ,
essendo M (f, ) il massimo di |f (z)| su . Se poi |f (z)| assume il valore massimo in un punto
a ()i , allora f (z) `e costante in ? .
Dimostrazione: Basta ricordare che, per ogni intero k 1, si ha
1
[f (z)] =
2i
k
[f ()]k
d
z
`()
[M (f, )]k
2d(z, )
1
`()
] k M (f, ) .
2d(z, )
Sia a ()i un punto nel quale |f (z)| assume il valore massimo; si pu`o prendere un valore r > 0
cos` piccolo che a + r ei ()i per ogni 0 2. Si
che |f (a)| |f (z)| per ogni
R 2ricordi inoltre
1
i ) d, e quindi
z ? . Ricordando il teorema della media, f (a) = 2
f
(a
+
r
e
0
1
|f (a)|
2
Z
0
f (a + r ei ) d |f (a)| ,
26
Questo significa (essendo le funzioni continue e la differenza non negativa) che lintegrando vale
zero. Per larbitrariet`
a di r in un intorno di a la funzione f (z) ha modulo costante. Ma si dimostra
che se una funzione olomorfa porta un disco Dr = {z: |z| < r} su un sottoinsieme di un cerchio
{w: |w| = } allora f (z) deve essere costante. Infatti dimostreremo (nel paragrafo 14) che una
funzione olomorfa conserva gli angoli (`e una trasformazione conforme) fra gli archi uscenti da un
punto z0 nel quale sia f 0 (z0 ) 6= 0. Ora se in tutti i punti di Dr `e f 0 (z) = 0 allora f `e costante
in Dr e quindi ovunque, come vedremo in seguito (Teorema 1.8.1). Se in qualche punto del disco
`e f 0 (z0 ) 6= 0, si possono fare uscire da quel punto due archi che formino un angolo di 2 , per es.
Dallimmagine che sta su un arco di circonferenza dovrebbero uscire due archi che formano un
angolo retto. Ma ci`
o `e impossibile perche lungo la circonferenza due archi uscenti dallo stesso
punto possono formare solo un angolo nullo o piatto. Dunque non solo il modulo della funzione
deve essere costante in un intorno di a ma la funzione stessa. La funzione `e allora costante in ,
poiche ()i `e un insieme connesso (per archi).
Dunque se f `e olomorfa su un aperto D C si pu`o concludere in generale quanto segue: Se f (z) `e
una funzione olomorfa in un dominio D limitato ed `e continua in D D (dove D `e la frontiera
di D), se M = M (f, D) `e il massimo di |f (z)| su D, allora in ogni punto di D `e |f (z)| < M , a
meno che f (z) non sia costante in D.
1.7
Abbiamo visto che le funzioni olomorfe in un aperto del campo complesso C sono addirittura di
classe C ora dimostreremo che esse ammettono una propriet`a ancora pi`
u forte.
Teorema 1.7.1 (Sviluppo in serie di Taylor). Sia f (z) una funzione olomorfa nel cerchio |z a| <
R, allora si ha
f (z) =
X
f (n) (a)
n=0
n!
(z a)n
(1.38)
X
1
1
1
1
1
za n
=
=
(
)
za
z
( a) (z a)
a 1 a
a
a
n=0
1.7.
27
1
(z a)
2i
n
n=0
Z
1
f ()
d
( a)n+1
X
1 (n)
f (z) =
f (a) (z a)n
n!
n=0
Dalle considerazioni sopra svolte, segue che la serie converge assolutamente e uniformemente per
|z a| R1 , con R1 < R. Ma R1 e sono arbitrari purche soddisfino le condizioni R1 < R e
0 < < 1. Si conclude che la serie converge assolutamente per ogni z tale che sia |z a| < R e
uniformemente rispetto agli z tali che |z a| R con 0 < < 1.
Ne segue che una funzione olomorfa f (z) pu`o essere rappresentata dalla somma di una serie di
potenze in (z a) in un intorno di ogni punto interno al suo dominio di olomorfismo D. La serie
converge ed ha per somma la funzione allinterno del cerchio di centro a avente il raggio massimo
compatibile con il fatto che i punti interni al cerchio siano pure interni a D. Funzioni localmente
rappresentabili come somma di una serie di potenze sono dette analitiche. La teoria di tali funzioni
`e stata studiata dal matematico tedesco Weierstra.
Il teorema appena dimostrato della sviluppabilit`a in serie delle funzioni olomorfe permette lunificazione della teoria di Cauchy delle funzioni olomorfe con quella di Weierstra delle funzioni
analitiche. Infatti `e gi`
a noto che le funzioni analitiche sono derivabili in senso complesso allinterno
del loro cerchio di convergenza. Mentre ora abbiamo dimostrato, come conseguenza dei teoremi di
Cauchy sulle derivate, che le funzioni olomorfe sono analitiche.
Qualora la funzione f (z) sia olomorfa in un dominio non semplicemente connesso, il comportamento
locale della funzione sar`
a bene illustrato utilizzando la sua sviluppabilit`a in serie detta di Laurent.
Vale il seguente teorema
28
allora si ha
f (z) =
an (z a)n
1
2i
, con an =
f ()
d
( a)n+1
(1.39)
dove `e un cerchio di centro a e raggio r, R1 < r < R2 . La serie converge assolutamente nella
corona circolare.
Dimostrazione: Prendiamo i seguenti numeri, rappresentanti raggi di cerchi concentrici, R1 < R3 <
R5 < R6 < R4 < R2 . Se R5 |z a| R6 e indichiamo con 1 il cerchio dequazione | a| = R3
e con 2 il cerchio | a| = R4 , allora la formula di Cauchy per un dominio non semplicemente
connesso ci d`
a:
Z
Z
1
f ()
f ()
1
f (z) =
d
d .
2i 2 z
2i 1 z
Il primo integrale definisce una certa funzione f2 (z) allinterno di 2 . Per questa, come si `e visto, `e
f2 (z) =
1
(z a)
2i
n
n=0
f ()
d
( a)n+1
X
1
1
1
1
a n
1
=
=
(
)
=
z
(z a) ( a)
z a 1 a
za
za
n=0
za
(z a)
n=1
2i
f ()( a)n1 d
Ma gli integrali che intervengono nel calcolo di f2 (z) e f1 (z) sono indipendenti dal cammino
dintegrazione, purche sia R1 < | a| < R2 . Inoltre `e f (z) = f2 (z) f1 (z); allora
Z
X
1
f ()
n
d
f (z) =
(z a)
2i ( a)n+1
` E TEOREMA DI LIOUVILLE.
1.8. SINGOLARITA
1.8
29
Singolarit`
a e teorema di Liouville.
Si `e dimostrato che una funzione olomorfa f (z) in una regione anulare 0 R1 < |z a| < R2 ,
`e sviluppabile in serie di Laurent. In particolare, se R1 = 0, il punto z = a si dice una singolarit`
a
isolata della f (z). Se R2 = , allora z = si dice singolarit`a isolata. In base alla natura della
componente singolare (o principale) della serie di Laurent, si pu`o dare una classificazione delle
singolarit`a di una funzione olomorfa.
Supponiamo dunque che sia R1 = 0. Allora la serie di Laurent converge per 0 < |z a| < R2 .
Consideriamo i vari casi possibili
n=0
f (z) =
X
am
a1
+ ... +
+
an (z a)n per 0 < |z a| < R2 .
m
(z a)
za
n=0
Il punto z = a si dir`
a in questo caso un polo di ordine (o molteplicit`
a) m. Il polinomio di grado m
` immediato riconoscere che (z a)m f (z)
in (z a)1 si dice la parte principale di f (z) in z = a. E
ha una singolarit`
a eliminabile per z = a. Infatti
lim (z a)m f (z) = am 6= 0 .
za
Definizione 1.8.1 Una funzione f (z) olomorfa in 0 < |z a| < R2 ha in z = a un polo se esiste
un intero p tale che (z a)p f (z) abbia una singolarit`
a eliminabile in z = a. Il minimo valore
ammissibile per p `e lordine del polo.
(c) Infine si possono avere infinite potenze negative. Si dice in questo caso che f (z) ha una
singolarit`
a essenziale in z = a.
Il comportamento di una funzione in una singolarit`a essenziale `e completamente diverso da quelli
finora considerati. Infatti, mentre in un polo si ha limza |f (z)| = +, e quindi in un certo senso
30
si pu`o assegnare valore a una funzione in un polo, invece non `e possibile pensare di assegnare
alcun valore alla funzione in una singolarit`a essenziale. Infatti un noto e importante teorema (il
Teorema di Picard, 1880) afferma che:
In ogni intorno di una singolarit`
a essenziale z = a di f (z), per ogni c C, con leccezione al pi`
u di
un valore di c, l equazione f (z) = c ha infinite soluzioni.
Per esempio, non `e difficile provare che in ogni intorno dello zero, per ogni c 6= 0, c C, lequazione
1
e z = c ha infinite soluzioni.
In z = le considerazioni sulle singolarit`a procedono in modo analogo. Se non vi sono potenze
positive nello sviluppo di Laurent di f (z) diremo che z = `e una singolarit`a eliminabile. Se vi `e
un numero finito di potenze positive
f (z) = am z m + . . . + a1 z +
an z n
n=0
z = `e un polo di ordime m di f (z). Ci`o suggerisce una definizione analoga a quella data
in precedenza per un polo in z = a. Se vi sono infinite potenze positive, allora z = `e una
singolarit`a essenziale.
Trarremo ora ulteriori conseguenze dal teorema di sviluppo in serie di Taylor. Abbiamo visto
che una funzione f (z) si pu`
o rappresentare localmente nel suo dominio di olomorfismo come la
P
f (n) (a)
n
somma di una serie di potenze f (z) =
e la
n=0 an (z a) , per |z a| < R, con an = Pn! . Poich
funzione identicamente nulla `e ovviamente olomorfa, concludiamo che, se una serie n=0 an (z a)n
ha somma identicamente nulla per |z a| < R, allora tutti i suoi coefficienti an sono nulli.
Anzi possiamo affermare di pi`
u
Teorema 1.8.1 (di Weierstra- Principio didentit`a, I forma). Se f (z) `e olomorfa in un dominio
D aperto e connesso, ed esiste una successione (zn )nN di punti di D che ha ivi almeno un punto
daccumulazione e si ha f (zn ) = 0, allora f (z) `e identicamente nulla in D.
Dimostrazione: Se a `e un punto daccumulazione per linsieme {zn }, esiste certamente una sottosuccessione che converge ad a. Possiamo limitarci a considerare quella sottosuccessione, ridenominandola per semplicit`
a (zn )nN . Dunque avremo limn zn = a. Per ipotesi, esiste R > 0 tale
che
X
f (z) =
an (z a)n per |z a| < R .
n=0
Ma f (a) = limn f (zn ) = 0. La prima uguaglianza discende dalla continuit`a di f (z) e dal
fatto che zn a; la seconda dal P
fatto che il limite della successione
costante (0) `e 0. Dunque
P
n = (z a)
a0 = f (a) = 0. Si ha allora f (z) =
a
(z
a)
a
(z
a)n1 . Ora
n=1 n
n=1 n
a1 = f 0 (a) = lim
f (zn ) f (a)
=0 .
zn a
` E TEOREMA DI LIOUVILLE.
1.8. SINGOLARITA
31
Dunque a0 e a1 sono nulli. Supponiamo che non tutti i coefficienti lo siano e sia an 6= 0 quello
avente indice minimo n > 1. Allora
X
f (z) = (z a)n
am (z a)mn .
m=n
Il fattore (z
a)n
za
am (z a)mn = an 6= 0 ,
m=n
am (z a)mn | > 0 .
m=n
Ma allora f (z) nel cerchio di centro a e raggio non possiede alcuno zero distinto da a, contro
lipotesi che a sia punto daccumulazione di zeri di f (z). Allora f (z) deve essere identicamente
nulla nel cerchio |z a| < R. Ma la propriet`a si estende a tutto D. Infatti diciamo
A = {z D: f (n) (z) = 0, n N} .
Dimostreremo che A `e non vuoto, aperto e chiuso e quindi, poiche D `e connesso che A = D.
Ovviamente a A, dunque A 6= . Ora se z A esiste una successione (zk ) di punti di A che
converge a z. Per ogni numero naturale n vale f (n) (z) = limk f (n) (zk ) = 0 e dunque z A.
Cio`e A `e chiuso. Ma se z0 A quanto `e stato dimostrato in precedenza fa comprendere che esiste
R0 > 0 tale che f (z) `e sviluppabile in serie con centro z0 e raggio R0 e che in questo disco f (z) `e
identicamente nulla. Perci`
o sar`
a f (n) (z) = 0 per ogni n 0 e per ogni z tale che |z z0 | < R0 ;
ossia A `e intorno di z0 . Per larbitrariet`a del punto si conclude che A `e aperto. Dunque A = D.
Alternativamente si pu`
o costruiremo una catena finita di punti di D, b0 = a, b1 , . . . , bk = b con
b D arbitrario, in modo tale che le seguenti condizioni siano soddisfatte: (I) Tutti i punti sono in
D; (II) b1 sia un punto del cerchio |z a| < R; poiche f (z) `e sviluppabile in serie di Taylor in b1 , se
`
R2 `e il raggio di convergenza della serie, sia b2 un punto del cerchio |z b1 | < R2 ; e cos` via. . . . E
possibile arrivare da a a b con un numero finito di passi; infatti il raggio di convergenza della serie
di potenze in a D `e la distanza di a dalla frontiera D di D. Avendo laccortezza di scegliere
i successivi punti su un cammino continuo che congiunge a con b e si mantiene a distanza finita
da D, allora ogni raggio di convergenza R ; poiche larco continuo di estremi a e b `e un
sottoinsieme compatto di D, un numero finito di cerchi potr`a ricoprirlo. I punti bi saranno allora
scelti nel modo voluto. Ora b1 `e un punto del cerchio |z a| < R dove f (z) `e identicamente nulla;
allora f (n) (b1 ) = 0 per n 0. Perci`
o f (z) `e identicamente nulla in |z b1 | < R2 , e cos` via. . . .
Finalmente f (b) = 0. Per larbitrariet`
a di b D si ha che f (z) `e identicamente nulla in D.
Come corollario si ha il seguente
Teorema 1.8.2 (Principio didentit`
a, II forma). Se f (z) e g(z) sono due funzioni olomorfe in due
domini aperti e connessi, D1 e D2 rispettivamente, e se in D = D1 D2 esiste una successione
(zn ) che ha almeno un punto daccumulazione in D e tale che
f (zn ) = g(zn )
allora f (z) g(z) in D.
32
Riguardo agli zeri delle funzioni olomorfe possiamo affermare quanto segue
Teorema 1.8.3 Sia f (z) olomorfa in un cerchio |z a| < R e sia f (a) = 0, ma f (z) non sia
identicamente nulla. Allora esiste un numero naturale n 1 tale che
f (a) = f 0 (a) = . . . = f (n1) (a) = 0, ma f (n) (a) 6= 0
(1.40)
P
n
Dimostrazione: Vale f (z) =
n=0 an (z a) con a0 = 0. Ma non tutti gli an possono essere nulli,
perche allora sarebbe f (z) 0. Perci`
o deve esistere un minimo numero n per il quale sia an1 = 0
ma an 6= 0. Inoltre, poiche a non pu`
o essere punto daccumulazione di zeri della funzione, deve
esistere un cerchio |z a| < r nel quale z = a `e il solo zero di f (z).
Dal teorema precedente deduciamo la seguente definizione di zero dordine n duna funzione olomorfa.
(1.41)
Daremo ora una valutazione, ricavata dalle formule integrali di Cauchy, dei moduli delle derivate
successive di una funzione olomorfa. Sia f (z) olomorfa in |z a| < R; posto
M (r, a; f ) = max |f (a + rei )|
02
R
f (z)
n!
con 0 < r < R, dalla formula di Cauchy f (n) (a) = 2i
C (za)n+1 dz, con C = {z : |z a| = r}, si
deduce la disuguaglianza
|f (n) (a)| n! rn M (r, a; f ) .
Definizione 1.8.3 Diremo funzione intera una funzione olomorfa in tutto il piano complesso. Essa
`e dunque rappresentabile con una serie di potenze avente raggio di convergenza infinito oppure con
un polinomio.
` E TEOREMA DI LIOUVILLE.
1.8. SINGOLARITA
33
an z n
n=0
Poniamo M (r, 0; f ) = M (r, f ). Per ipotesi esiste un numero positivo M tale che M (r, f ) M per
ogni r. Allora otteniamo che
|an | rn M (r, f ) M rn
Poiche r `e arbitrario, se n > 0, segue che il secondo membro tende a zero per r che tende allinfinito.
Ma an non dipende da r. Perci`
o an = 0 per ogni n > 0. Cio`e f (z) a0 , `e una funzione costante.
Vale anche la seguente estensione del precedente teorema
1.8.1
Ricordiamo lenunciato
34
Dimostrazione: Per assurdo, supponiamo che esista un polinomio Pn (z), n 1, che sia privo di
1
radici in C. Cio`e tale che Pn (z) 6= 0, per ogni z C. Allora la funzione f (z) =
`e olomorfa su
Pn (z)
tutto C, dunque `e una funzione intera. Ora, se n 1, come facilmente si vede, si ha lim Pn (z) =
z
se |z| > R allora |f (z)| < (= 1). Nel disco DR = {z : |z| R} la funzione |f (z)| ha un massimo
(Teorema di Weierstrass). Sia M (> 0) tale valore massimo. Se K = max(M, 1), si ha |f (z)| K
per ogni z C. Dunque la funzione intera f (z) `e limitata e quindi costante, per il Teorema di
1
Liouville 1.8.4. Ma allora anche Pn (z) = f (z)
dovrebbe essere costante, cosa palesemente falsa.
1.9
Si `e dimostrato che se f (z) `e olomorfa in un aperto che contiene la regione compresa tra due circuiti
e 0 , orientati in modo concorde (tutti e due positivamente o tutti e due negativamente), allora
si ha
Z
Z
f (z)dz =
f (z)dz .
0
Supponiamo ora che f (z) sia olomorfa in un dominio D fatta eccezione per una singolarit`a isolata
in z = a. Se e 0 sono circuiti semplici che contengono a nel loro interno, allora vale ancora
la formula suddetta. Anzi il circuito 0 pu`o essere ridotto
a un cerchio di raggio arbitrariamente
R
`
piccolo di centro a. E allora chiaro che lintegrale f (z)dz dipende solo dal comportamento di
f (z) in un intorno del suo punto singolare z = a.
In generale il numero
1
2i
Z
f (z)dz
(1.42)
nel quale `e un qualsiasi circuito orientato positivamente tale che f (z) sia olomorfa in un aperto
che racchiude e i suoi punti interni, fatta eccezione per il punto z = a, si dice il residuo di f (z)
in z = a. Questo numero sar`
a indicato con il simbolo R(f ; a).
Supponiamo poi che il circuito orientato positivamente contenga pi`
u singolarit`a isolate nei punti
a1 , a2 , . . . , an . Se 1 , 2 , . . . , n sono circuiti orientati positivamente tutti interni a e a due a
due esterni luno allaltro che contengono ciascuno nel suo interno un solo punto singolare, cio`e
ak (k )i , allora si avr`
a
Z
Z
Z
f (z)dz =
f (z)dz + . . . +
f (z)dz ,
e quindi, poiche
R
k
f (z)dz = 2i R(f ; ak )
Z
f (z)dz = 2i [R(f ; a1 ) + . . . + R(f ; an )] .
1.9.
35
Teorema 1.9.1 (Teorema dei residui). Se f (z) `e olomorfa allinterno e su , circuito orientato
positivamente, eccettuati i punti a1 , a2 , . . . , an allora lintegrale di f (z) esteso a `e uguale alla
somma dei residui nelle singolarit`
a interne a , moltiplicato per 2i.
Con la locuzione olomorfa allinterno e su intendiamo che f (z) `e olomorfa in un aperto contenente
? , o, se si preferisce che `e olomorfa in ()i ed `e continua in ? , ipotesi sufficiente ad assicurare la
validit`a del teorema integrale di Cauchy.
Poiche in un intorno di una singolarit`
a isolata z = a, f (z) ammette lo sviluppo di Laurent
f (z) =
+
X
an (z a)n
R dz
R
1
e poiche (z a)n dz = 0 per ogni n 6= 1, mentre 2i
za = 1, si ha che il residuo di f (z) in
z = a coincide con il coefficiente a1 del suo sviluppo di Laurent in un intorno del punto singolare
z = a. In particolare se z = a `e un polo semplice, si ha
R(f ; a) = lim (z a) f (z) .
(1.43)
za
Se f (z) =
P (z)
Q(z)
R(f ; a) = lim (z a)
za
P (z)
za
P (a)
= lim
P (z) = 0
za
Q(z)
Q(z) Q(a)
Q (a)
(1.44)
an
a1
+ ... +
+ a0 + a1 (z a) + a2 (z a)2 + . . .
(z a)n
za
Dunque
(z a)n f (z) = an + . . . + a1 (z a)n1 + a0 (z a)n + a1 (z a)n+1 + . . .
e quindi
R(f ; a) = a1 =
1
dn1
[ n1 (z a)n f (z)]z=a
(n 1)! dz
Presentiamo ora alcuni esempi ed esercizi sul calcolo di integrali con il metodo dei residui.
(1.45)
36
1.9.1
ESEMPI ED ESERCIZI.
dz
ez 1
La funzione integranda presenta singolarit`a per ez = 1, cio`e per zk = 2ki. Prenderemo in considerazione solo quelle interne al cerchio di centro lorigine e raggio 3, cio`e z = 0 e z = 2i. In
tutti questi punti la singolarit`
a `e un polo semplice; dunque avremo:
R(f ; 0) = lim
z0
R(f ; 2i) =
Perci`o
I
|z|=3
z
= 1;
ez 1
z 2i
=1 .
z2i ez 1
lim
dz
= 2i{R0 + R2i + R2i } = 6i
1
ez
d
1 + sin2
d
=
1 + sin2
I
|z|=1
1
dz
1
2
iz 1 4 (z 2 +
4
1 = i
)
z2
I
|z|=1
z4
zdz
6z 2 + 1
Lepsingolarit`
a di f (z) sono date dalle soluzioni di z 4 6z 2 +1 = 0; cio`e z 2 = 32 2. Di queste, z =
p punti
Z 2
2
2
d
= 2i{
+
}= 2 .
2
4i
4i
1 + sin
0
ez dz
z 2 (z 1)
1.9.
37
Si nota subito che z = 0 e z = 1 sono poli della funzione. z = 0 `e un polo doppio, mentre z = 1
`e polo semplice. Per calcolare il residuo in z = 0 si potr`a procedere o calcolando lo sviluppo di
Laurent della funzione integranda in un intorno del detto punto o usando la formula per i poli
multipli. In questo caso calcoleremo esplicitamente lo sviluppo di Laurent della funzione in z = 0.
Precisamente, si ha:
ez
z2 z3
ez
1
(1
+
z
+
=
+
+ )(1 + z + z 2 + z 3 + )
z 2 (z 1)
z 2 (1 z)
z2
2!
3!
z2 z3
z3
1
2
(1
+
z
+
+
+
z
+
z
+
+ z 2 + z 3 + z 3 + )
z2
2!
3!
2!
1
1
2 5 8
1 1
1
= 2 [1 + 2z + z 2 ( + 2) + z 3 ( + + 2) + ] = 2 z +
z
2
6 2
z
z 2 3
Dunque R0 = 2. Con facili calcoli si trova poi R1 = e. Finalmente si ottiene
I
ez dz
= 2i(e 2) .
2
|z1|=2 z (z 1)
=
1.9.2
ESERCIZI.
I
|z|=3
Esercizio 1.9.2
I
|z|=6
Esercizio 1.9.3
I
|z2|=1
Esercizio 1.9.4
Z
0
Esercizio 1.9.5
dz
1)
(= 0)
dz
1 cos z
(= 0)
z(z 2
log zdz
, con < = log z < (= i)
(z 2)2
cos 2d
5 + 4 cos
(=
)
6
(=
5
i)
18
dz
z(z
1)(z
3)2
38
1.9.3
Lapplicazione del calcolo dei residui alla valutazione di integrali definiti fu un problema al quale
Cauchy dedic`
o moltissima attenzione e in successive memorie escogit`o molti metodi per trattare
numerose classi dintegrali. Supponiamo che la funzione integranda sia una funzione razionale
P (z)
f (z) = Q(z)
con P (z) e Q(z) polinomi a coefficienti complessi e grQ(z) grP (z) + 2. Supponiamo
poi che Q(z) non abbia zeri sullasse reale. Si voglia calcolare lintegrale
Z +
P (x)
dx .
Q(x)
A tale scopo costruiamo il seguente cammino dintegrazione R = [R, +R] + CR , dove CR = {z =
Rei : 0 } e supponiamo che nessuna singolarit`a della funzione cada su tale curva; [R, +R]
`e il segmento della retta reale che va da R a +R. Si ha allora
Z +R
Z
Z
X
P (z)
P (x)
P (z)
P (z)
dz =
dx +
dz = 2i
R(
; ak ),
Q(z)
Q(x)
Q(z)
Q(z)
R
CR
R
=ak >0
dove si intende che la somma sia estesa ai residui calcolati nelle singolarit`a contenute in R . Poiche
le uniche singolarit`
a della funzione considerata sono un numero finito di poli, se R `e sufficientemente
grande la somma sar`
a estesa a tutte le singolarit`a contenute nel semipiano superiore. Valutiamo
ora lintegrale esteso al semicerchio CR . Osserviamo che esiste R0 tale che per R > R0 , se z = Rei
|
Perci`o
Z
|
CR
P (Rei )
| M R2
Q(Rei )
Z
P (z)
P (Rei )
M
dz| = |
iRei d| M R2 R =
i
Q(z)
R
0 Q(Re )
Questo integrale tende a 0 per R che tende allinfinito. Dunque, prendendo il limite per R ,
si ottiene
Z +
X
P (x)
P (z)
dx = 2i
R(
; ak ) .
(1.46)
Q(z)
Q(x)
=ak >0
(1.47)
=ak <0
dove si intende che la somma sia estesa ai residui delle singolarit`a contenute nel semipiano inferiore.
P (z)
Perci`o, se, in particolare, i poli di f (z) = Q(z)
sono contenuti tutti nel semipiano superiore o tutti
nel semipiano inferiore, si pu`
o subito dedurre che
Z +
P (x)
dx = 0 .
Q(x)
R +
Lo stesso metodo si pu`
o utilizzare per calcolare f (x)dx, se |f (Rei )| M Rk , con k > 1, per
0 .
1.9.
39
Un metodo analogo a quello sopra descritto si pu`o applicare anche a integrali del tipo
Z +
eiax f (x)dx ,
R +
R +R
con a > 0 reale. In generale, si intende che eiax f (x)dx indichi il limR+ R eiax f (x)dx.
Dunque, se f (x) non `e assolutamente integrabile su tutta la retta, pi`
u correttamente questo integrale si dir`a la parte principale o valore principale secondo Cauchy dellintegrale stesso (si veda il
paragrafo 1.10). Si far`
a uso in questo caso del seguente
Lemma 1.9.1 (di Jordan). Sia CR una semicirconferenza del piano superiore, come nelle considerazioni precedenti. Sia f (z) una funzione olomorfa nel semipiano superiore tranne che per
un numero finito di singolarit`
a isolate ed esista R0 tale che per R > R0 , se z = Rei si abbia
|f (Rei )| M R , > 0, e sia a > 0. Allora
Z
lim
eiaz f (z)dz = 0 .
(1.48)
R CR
2M R1
/2
eaR sin d.
0
d sin
Si osserva facilmente che la funzione sin `e decrescente nellintervallo da 0 a /2. Infatti d
=
cos
2
sin
( tan ) < 0 nel detto intervallo. Vale allora in [0, /2] 1, e quindi nello stesso
2
intervallo, 2 sin . Allora avremo
Z /2
Z /2
2aR
aR sin
e
d
e d
(1 eaR ) .
2aR
0
0
Infine
Z
M
| eiaz f (z)dz|
R (1 eaR ) .
a
1.9.4
Il residuo allinfinito.
Supponiamo che la funzione f (z) sia olomorfa in tutto il piano complesso tranne che in un numero
finito di punti di singolarit`
a isolata. Sia inoltre punto regolare o una singolarit`a isolata per la funzione. Esiste certamente in C un cerchio CR , positivamente orientato, di raggio R sufficientemente
grande che contiene tutte le singolarit`
a di f (z) al finito. Dunque sar`a:
Z
X
f (z)dz = 2i
R(f ; ak ) .
CR
40
Daltra parte, se CR viene percorso in senso negativo (orario) esso `e un circuito positivamente
orientato intorno al punto . Il teorema dei residui fornisce dunque:
Z
X
2i
R(f ; ak ) =
f (z)dz = 2iR .
CR
Concludiamo allora che la somma di tutti i residui di f (z), compreso quello allinfinito, `e nulla.
X
R(f ; ak ) + R = 0 .
k
Si osservi che R non `e nullo anche quando f (z) `e regolare allinfinito. Infatti, in questo caso, si
ha
a1 a2
+ 2 +
f (z) = a0 +
z
z
R
1
o cos` calcolare. Posto w = z1 , si ha
Il residuo R = 2i CR f (z)dz si pu`
dw
1
g(w) = f ( ) = a0 + a1 w + a2 w2 + , e dz = 2
w
w
1
2i
1
f (z)dz =
2i
CR
Z
C1
1
dw
g(w) 2 =
w
2i
C1
dw
(a0 + a1 w + a2 w2 + ) = a1 .(1.49)
w2
R
Dunque il residuo allinfinito `e dato da R = a1 . In particolare si ha C f (z)dz = 0 se C
racchiude tutti i punti singolari al finito e il coefficiente a1 dello sviluppo di Laurent di f (z)
allinfinito `e nullo.
1.9.5
x2
dx
1 + x4
Secondo quanto esposto nel paragrafo 1.9.3 il valore dellintegrale `e 2i volte la somma dei residui
4
che stanno nel semipiano superiore della funzione. Ora
1 ha le seguenti soluzioni
k =
z =
z =
(2k+1)i/4
i/4
e
, con k = 0, 1, 2, 3. Di questi 0 = e
= 2/2 + i 2/2 e 1 = e3i/4 = 2/2 + i 2/2
stanno nel piano superiore. Dunque
Z +
x2
dx = 2i [R(f ; 0 ) + R(f ; 1 )] .
4
1 + x
Ma, tenendo presente che le singolarit`
a sono poli semplici, si ha
R(f ; 0 ) =
P (0 )
20
1
1i
=
=
=
3
0
Q (0 )
40
40
4 2
1.9.
Analogamente R(f ; 1 ) =
41
1i
.
4 2
Finalmente
x2
1 i 1 i
dx = 2i [ + ] =
4
1+x
4 2
4 2
2
Z
0
dx
, n 2.
1 + xn
Conviene, in questo caso, considerare un cammino nel piano complesso che contenga una sola
singolarit`a della funzione. Tale cammino dipende da n. Poiche i poli di f (z) sono dati dalle soluzioni
di z n + 1 = 0, cio`e sono le radici n-esime di 1, che sono zk = ei(/n+2k/n) con k = 0, 1, . . . , (n 1),
il cammino n che considereremo `e il seguente: n = [0, R] + CR,n + ei2/n [R, 0], dove ei2/n [R, 0]
indica il tratto di segmento che congiunge lorigine al punto Rei2/n , orientato dal punto stesso
verso lorigine. Questo cammino contiene al suo interno il solo polo semplice di f (z) in z = ei/n .
1
Il residuo in tale punto, essendo la funzione del tipo Q(z)
, vale
R(f ; ei/n ) =
1
Q0 (ei/n )
=
ne
i n1
n
Dunque
Z
n
dz
=
1 + zn
Z
0
dx
+
1 + xn
Z
CR,n
dz
+
1 + zn
dei2/n
2i i n1
=
e n
1 + n e2i
n
Ora
Z
|
CR,n
dz
2R
|
n
1+z
n(Rn 1)
dx
ei2/n
1 + xn
Z
0
d
= (1 ei2/n )
1 + n
dx
2i i n1
=
e n .
n
1+x
n
Facendo alcuni semplici calcoli e ricordando le formule dEulero per il seno, si trova finalmente
Z
0
dx
/n
=
n
1+x
sin(/n)
(x2
dx
+ 1)2 (x2 + 4)
42
La funzione
f (z) =
(z 2
1
+ 1)2 (z 2 + 4)
z2i
(z 2
(z 2i)
1
i
= lim 2
=
2
2
2
z2i
+ 1) (z + 4)
(z + 1) (z + 2i)
36
R(f ; i) =
d
(z i)2
i
[ 2
]z=i =
2
2
dz (z + 1) (z + 4)
36
Dunque
+
Z
0
1.9.6
dx
1
=
(x2 + 1)2 (x2 + 4)
2
dx
i
= i( ) =
(x2 + 1)2 (x2 + 4)
18
18
ESERCIZI.
Esercizio 1.9.6
Z +
0
dx
, (a, b > 0, a 6= b)
(x2 + a2 )(x2 + b2 )
Esercizio 1.9.7
Z
Esercizio 1.9.8
Z
(x2
x4
(=
)
2ab(a + b)
dx
+ x + 1)2
4
(= )
3 3
dx
+ x2 + 1
(= )
3
sin x
dx
x
3
Calcolato da Giorgio Bidone (1781-1839) in Mem. Acc. Sc. Torino (1811-12), pag. 279, e da Jean Baptiste
Joseph Fourier (1768-1830) in Theorie de la Chaleur (1822), Paris.
1.9.
43
eiz
dz
z
dove `e il seguente cammino dintegrazione: lasse reale da a +R, il semicerchio del piano
superiore di centro lorigine e raggio R, CR , lasse reale da R a e il semicerchio del piano
superiore di centro lorigine e raggio orientato negativamente C . Si veda la Figura 1.6. =
[, R] + CR + [R, ] + (C ). Evidentemente, non essendoci singolarit`a interne al circuito, si ha
Z
Cio`e
eiz
dz +
z
eiz
dz = 0.
z
eiz
dz +
z
Z
CR
eiz
dz +
z
eiz
dz +
z
eiz
CR z dz
eiz
dz = 0.
z
= 0. Ne segue che
eiz
dz =
z
Z
C
eiz
dz.
z
eiz
dz +
z
eiz
dz = 2i
z
sin z
dz
z
44
Daltra parte
Z
C
eiz
dz =
z
dz
+
z
Z
C
eiz 1
dz.
z
eiz 1
eiz 1
dz| M
z
Finalmente si trova
Z
lim
0 C
eiz
dz =
z
Z
id + lim
0 C
Dunque
Z
sin x
dx = (i) = i.
x
2i
0
E finalmente
Z
0
eiz 1
dz = i + 0 = i.
z
sin x
dx =
x
2
x2 x 2
dx
x4 + 10x2 + 9
(=
(=
(a > 0)
(= ea )
(=
ea
)
a
(a > 0)
x2
dx
(x2 + a2 )3
)
12
cos
d
3 + cos
3 24
(=
)
4
)
8a3
1.9.
1.9.7
45
P (z)
, dove P e Q sono polinomi privi di radici comuni,
Q(z)
`e noto un metodo algebrico per sviluppare la funzione in fratti semplici. Vogliamo qui esporre un metodo che si basa sul calcolo dei residui per ottenere lo sviluppo in fratti semplici. Se
P (z)
R(z)
grP (z) grQ(z), si procede a dividere P per Q, ottenendo quoziente e resto:
= Q1 (z)+
,
Q(z)
Q(z)
con grR(z) < grQ(z). Supponiamo di essere nella situazione grP (z) < grQ(z) (dopo avere eventualmente operato la divisione). Allora, se 1 , 2 , . . . , k sono le radici di Q(z), di molteplicit`
a
rispettivamente m1 , m2 , . . . , mk , si ha
Data una funzione razionale f (z) =
A12
A1m1
A11
+
+ ... +
+
2
z 1 (z 1 )
(z 1 )m1
Akmk
A21
A2m2
Ak1
+
.
+ ... +
+
.
.
.
+
+
.
.
.
+
m
z 2
(z 2 ) 2
z k
(z k )mk
f (z) =
(1.50)
A1
A2
An
+
+ ... +
z 1 z 2
z n
A3 =
R(f, 0)
A4 =
R(f, 1)
A5 =
R(f, 2)
f (z) =
2
3
4
5
1
+
+ +
+
.
z+2 z+1 z z1 z2
z0
z1
z2
Allora
46
B) Se `e un polo di molteplicit`
a m, allora
f (z) =
Am
A2
A1
+ ...
+ R(z) ,
+
2
(z ) (z )
(z )m
e quindi
z 5 +1
.
(z1)5
1)
f
(z)
|
=
|z=1 = 10
z=1
2! dz 2
2!
1 d3
60z 2
5
(z
1)
f
(z)
|
=
|z=1 = 10
A2 =
z=1
3! dz 3
3!
1 d4
120z
5
A1 =
(z)
f
(z)
|z=1 =
|z=1 = 5 .
4! dz 4
4!
Si applichi la stessa tecnica anche quando si `e in presenza di funzioni razionali con coefficienti reali
e quindi in presenza di poli complessi coniugati (se non reali, come negli esercizi precedenti). Per
10z 22
esempio, la funzione f (z) = 2
che ha come poli semplici 1 = 2 3i e 2 = 2 + 3i,
z + 4z + 13
ha come residui, rispettivamente, R1 = 5 7i e R2 = 5 + 7i. Dunque
5 7i
5 + 7i
f (z) =
+
.
z + 2 + 3i z + 2 3i
1.10
47
` ben noto che se la funzione integranda, reale di variabile reale, ha in x = x0 una singolarit`
E
a,
allora si definisce lintegrale generalizzato di f (x) sullintervallo [a, b] come segue
b
x0
f (x) dx + lim
f (x) dx = lim
0 x +
0
0 a
f (x) dx
Pu`o accadere che tale limite non esista, ma che esista invece il limite seguente
Z
lim {
x0
f (x) dx +
f (x) dx}
x0 +
In questo caso si dice che tale limite `e il valore principale dellintegrale secondo Cauchy, e si scrive
Z
x0
Z
f (x) dx = lim {
f (x) dx +
a
f (x) dx}
x0 +
Analogamente si definisce il valore principale secondo Cauchy dellintegrale di f (x) su tutta la retta
reale, come segue
Z +
Z +R
P
f (x) dx = lim
f (x) dx ,
R+ R
quando la funzione f (x) sia integrabile su ogni intervallo limitato della retta reale.
Le stesse
considerazioni si possono ripetere nel campo complesso. Se consideriamo un integrale del
R
tipo f (z) dz e la funzione f (z) ha una singolarit`a in z0 , diremo valore principale dellintegrale il valore ottenuto con il seguente procedimento. Escluderemo z0 dal cammino dintegrazione,
togliendo a un arco z1 z2 , con |z1 z0 | = |z2 z0 | = . Se esiste il limite per 0, esso si dice
il valore principale secondo Cauchy dellintegrale.
Z
P
Z
f (z) dz = lim
0 \z z
1 2
f (z) dz
(1.51)
48
\z1 z2
C1 z
E finalmente
1
P
2i
Ma vale
f ()
1
d = lim
0 2i
z
Z
C1
f ()
d = f (z)
z
\z1 z2
Z
C1
f ()
1
d =
lim
z
2i 0
1
d +
z
Z
C1
Z
C1
f () f (z)
d
z
f ()
d .
z
Per la derivabilit`
a di f in z il modulo della funzione integranda nel secondo integrale `e limitato,
mentre la lunghezza del cammino tende a zero per 0. Dunque il limite del secondo integrale `e
nullo per 0. Per valutare il primo integrale si pu`o osservare che zk = z + eik () , k = 1, 2, e
dunque
Z
Z 2 ()
1
1
1
2 () 1 ()
d =
id =
.
2i C1 z
2i 1 ()
2
Prendendo il limite per 0, si ha
1
P
2i
Z
C1
f ()
(z)
d = f (z)
z
2
(1.52)
dove (z) = `e il supplemento del salto angolare subito dalla tangente al cammino nel punto
z. Se il punto z non `e un punto angoloso, allora = 0 e quindi (z) = .
1.10.1
Esercizi
1
P
dx
, =(a) 6= 0
x(x a)
Isoliamo lorigine con un cerchietto di raggio e consideriamo il cammino dintegrazione comprendente un semicerchio nel piano superiore di raggio R, uno di raggio e i tratti dellasse reale
da R a e da a R, come quello della figura 1.6. Allora
2i
Z
1
dz
: se =(a) > 0
a
=
.
0 : se =(a) < 0
z(z a)
Prendendo il limite per R
Z
Z Z
Z
dz
dz
1
1
dx
1
= {
+
}+
=
z(z a)
x(x a)
C z(z a)
49
se =(a) > 0
se =(a) < 0
Valutiamo
Z
dz
= lim
z(z a) 0
lim
0 C
id
=i
i
a
e a
dx
=
x(x a)
i
a
i
a
:
:
se =(a) > 0
se =(a) < 0
1.11
dx
,
(x a)2 (x t)
=(a) 6= 0
Lindicatore logaritmico.
dove `e un argomento di z; dunque non si pu`o parlare nel piano complesso di una funzione
logaritmo. Tuttavia, se per largomento di z si sceglie un numero compreso in un assegnato intervallo
di ampiezza 2, si pu`
o isolare un solo argomento di z. Le scelte pi`
u comuni sono < =
arg(z) o 0 = arg(z) < 2; in questo caso si dice che il valore scelto dellargomento `e il
valore principale dellargomento. Le due scelte corrispondono a tagliare il piano complesso lungo
il semiasse reale negativo, o, rispettivamente, lungo il semiasse reale positivo. In realt`a ogni taglio
nel piano complesso che vada dallorigine al punto allinfinito `e atto a rendere univoco il logaritmo.
Cio`e a farne una funzione. Diremo allora valore principale del logaritmo e scriveremo Logz la
funzione che ha parte reale data da log(|z|) e parte immaginaria i, dove `e il valore principale
dellargomento di z, scelto in uno dei modi suddetti.
Consideriamo una funzione f (z) che sia olomorfa allinterno di un laccio , esclusione fatta per un
numero finito di punti nei quali abbia poli isolati; inoltre la funzione possieda un numero finito di
zeri isolati. Nessun polo o zero di f (z) cada sul cammino . Si ha allora
50
(1.53)
E quindi
fj0 (z)
mj
f 0 (z)
=
+
f (z)
z aj
fj (z)
La funzione
fj0 (z)
fj (z)
X
f 0 (z)
dz =
mj = Z P
f (z)
f 0 (z)
f (z)
in aj `e mj . Ne segue che
Possiamo scegliere, come caso particolare, f (z) = Pn (z) = an z n + an1 z n1 + . . . + a1 z + a0 , n 1.
Se il cammino `e un cerchio di centro lorigine e raggio sufficientemente grande, esso contiene tutti
gli zeri di Pn (z) (sono al pi`
u n). Infatti `e limz |Pn (z)| = . Se percorriamo il cammino in
senso antiorario, percorriamo in senso orario un cammino intorno a z = , che `e un polo dordine
n per la funzione. Si ottiene dunque
Pn0 (z)
n
= + ...
Pn (z)
z
Allora
1
2i
Pn0 (z)
d z = (n) = n
Pn (z)
Ma racchiude tutti gli zeri di Pn (z). E poiche Pn (z) non ha poli allinterno di , possiamo
interpretare il risultato ottenuto dicendo che ogni polinomio di grado n ha esattamente n radici se
contate con il loro ordine di molteplicit`a. Abbiamo ottenuto unaltra volta la dimostrazione del
teorema fondamentale dellalgebra.
Una funzione olomorfa in un dominio aperto D tranne che per poli contenuti in D si dice talvolta
una funzione meromorfa.
51
Il precedente teorema dellindicatore logaritmico pu`o anche porsi sotto la forma detta del Principio
dellargomento. Si osservi che `e
Z
a
f 0 ()
d = log f (z) log f (a)
f ()
se lintegrale `e esteso a un cammino semplice che congiunge a con z (per es. un segmento di retta di
estremi a e z) e non ci sono ne singolarit`a ne zeri di f (z) lungo tale cammino. Se lintegrale `e esteso
a un cammino semplice chiuso, |f (z)| dopo un giro completo assume nuovamente il valore iniziale,
mentre largomento, in generale, sar`
a mutato. Se indichiamo tale variazione con arg f (z), si ha:
Z 0
1
f (z)
1
dz =
arg f (z)
2i f (z)
2
e quindi
arg f (z) = 2(Z P ) .
(1.54)
In realt`a abbiamo dato per scontato che si possa definire il log f (z) lungo il che non `e facile ne
immediato da riconoscere a priori. Per`o si pu`o procedere come segue: se a (I), dove I = [0, 1],
poiche non ci sono ne poli ne zeri di f (z) su si pu`o definire un ramo di log f (z) in una sfera
aperta di centro a e raggio sufficientemente piccolo r: B(a, r); basta che in tale sfera la funzione
non si annulli e non abbia poli. Per ogni a (I), esister`a un > 0 tale che il logaritmo di f (z)
si possa definire in ogni B(a, ). Ora, per la compattezza del circuito e per luniforme continuit`
a
di (t), per ogni > 0 esiste una suddivisione finita 0 < t1 < . . . < tk = 1 dellintervallo I tale
che (t) B((tj1 ), ) per tj1 t tj . Si pu`o definire un logaritmo in ogni sfera B(tj , ).
Infine, poiche tj `e contenuto sia nella sfera j-esima che in quella (j 1)-esima si possono scegliere le
determinazioni del logaritmo `1 , . . . , `k in modo che sia `1 ((t1 )) = `2 ((t1 )), `2 ((t2 )) = `3 ((t2 )),
. . . , `k1 ((tk1 )) = `k ((tk1 )).
0
f0
= `k (a) `1 (a) = 2m i
f
52
con |g(z)| > |h(z)| sulla curva . Allora si ha che la variazione dellargomento lungo di f (z) `e
la stessa di quella di g(z), e quindi che
Zf Pf = Zg Pg
f (z) = g(z) {1 +
h(z)
}.
g(z)
Dimostrazione: Vale
h(z)
g(z)
(1.55)
w(z) = {1 +
h(z)
},
g(z)
si ha |w(z) 1| < 1, e quindi | arg(w(z))| < 2 poiche w(z) giace nel semipiano <w(z) > 0. Ma
allora arg w(z) = 0 e quindi arg f (z) = arg g(z) e quindi anche Zf Pf = Zg Pg .
Pi`
u in generale si pu`
o dimostrare il seguente teorema
Teorema 1.11.3 (Glicksberg, 1976). Siano valide le condizioni precedenti sulle funzioni f e g
e si supponga che su un circuito non ci siano zeri o poli delle due funzioni e che inoltre sia
|f (z) + g(z)| < |f (z)| + |g(z)| su . Allora
Zf Pf = Zg Pg
(1.56)
f (z)
g(z)
f (z)
f (z)
+ 1| < |
| + 1.
g(z)
g(z)
1
2i
Z
(
f (z)
g(z) .
Z
(
f (z)
g(z)
Dunque
f (z) 0 f (z)
) /(
) dz = 0 ,
g(z)
g(z)
f 0 g0
) dz = (Zf Pf ) (Zg Pg ) = 0 .
f
g
Osservazione 1.11.1 Si osservi che il Teorema di Glicksberg ha come caso particolare quello di
Rouche. Infatti se |f (z)| = |g(z) + h(z)| |g(z)| + |h(z)| < 2|g(z)|, allora Zf Pf = Z2g P2g .
Ma
Z
Z 0
1
2g 0 (z)
1
g (z)
Z2g P2g =
dz =
dz = Zg Pg .
2i 2g(z)
2i g(z)
Dunque Zf Pf = Zg Pg ; cio`e vale il Teorema di Rouche.
53
r=1
1.11.1
Lindice di avvolgimento.
Finora in tutte le formule integrali stabilite abbiamo implicitamente tenuto conto che ogni curva
semplice chiusa rettificabile gira una sola volta intorno a ogni suo punto interno, e nessuna volta
intorno ai suoi punti esterni. Il teorema che segue dice sostanzialmente che ogni curva rettificabile
chiusa gira o savvolge un numero intero di volte intorno a ogni punto che non appartenga al suo
sostegno.
Teorema 1.11.5 Se : [0, 1] C `e una curva chiusa rettificabile e a
/ (I) allora
Z
1
dz
2i z a
54
`e un numero intero.
` sufficiente considerare il caso di curva liscia. In questo caso si pu`o definire
Dimostrazione. E
Z t
0 (s)
g(t) =
ds .
0 (s) a
R dz
. Vale inoltre
Allora si ottiene g(0) = 0 e g(1) = za
g 0 (t) =
Ma allora
0 (t)
(t) a
per 0 t 1
d g
0
e ( a) = eg [0
( a)] = 0.
dt
a
Dunque eg ( a) `e costante e quindi eg(0) ((0) a) = (0) a = eg(1) ((1) a). Poiche
(0) = (1) si deduce che eg(1) = 1. Ossia che g(1) = 2ik per qualche intero k.
Definizione. Il numero
1
n(; a) =
2i
dz
za
1.12
Serie di Residui.
Nel paragrafo 1.10 abbiamo definito il valore principale di un integrale su tutta la retta reale
Z +
Z +R
P
f (x) dx = lim
f (x) dx ,
R+ R
55
quando la funzione f (x) sia integrabile su ogni intervallo limitato della retta reale. Se la funzione
f (z) ha un numero finito di singolarit`
a nel semipiano superiore o inferiore, sotto opportune ipotesi,
il valore principale dellintegrale `e la somma dei residui nelle singolarit`a. Ci chiediamo se questo
procedimento si possa estendere al caso in cui ci siano infinite singolarit`a nel semipiano superiore
o inferiore. In questo caso la somma del numero finito dei residui sar`a sostituita dalla loro serie.
Supponiamo dunque che f (z) sia olomorfa nel semipiano z 0 fatta eccezione per una successione
di punti z1 , z2 , . . . , zk , . . ., con =(zk ) > 0, che supporremo enumerati in modo che |z1 | |z2 | . . .
|zk | . . . e tali che |zk | per k . Sia R1 , R2 , . . . , Rk . . . una successione di raggi diversi
da tutti i valori di |zk | e divergente a +. Sia poi k il cammino formato dal segmento [Rk , Rk ]
sullasse reale e dal semicerchio Ck di raggio Rk del semipiano superiore. Sia infine nk un intero
tale che |znk | < Rk < |znk +1 |. Allora per il teorema dei residui si ha
Z
f (z) dz = 2i
k
R(f ; zr )
r=1
ossia
Z
nk
X
Rk
f (x) dx = 2i
Rk
nk
X
Z
R(f ; zr )
f (z) dz
Ck
r=1
Se accade che
lim Rk max |f (z)| = 0 ,
zCk
allora il valore dellintegrale esteso al semicerchio nel semipiano superiore tende a zero. Se inoltre
sappiamo che converge la serie dei residui, possiamo concludere che esiste lintegrale su R in un
senso che estende quello del valore principale secondo Cauchy e si ha
Z
Rk
lim
k+ Rk
f (x) dx = 2i
+
X
R(f ; zn ) .
n=0
Rk
k+ Rk
f (x) dx = 2i
+
X
R(f ; zn )
n=0
Analoganente si pu`
o dimostrare il teorema
Teorema 1.12.2 Se f (z) `ePolomorfa in =z 0 fatta eccezione per i punti z10 , z20 , . . . , zn0 , . . ., con
0
=(zk0 ) < 0 e |zk0 | , se +
n=0 R(f ; zn ) converge e se esiste una successione di raggi Rk
56
Rk
lim
k+ Rk
f (x) dx = 2i
+
X
R(f ; zn0 )
n=0
1.12.1
ESEMPI.
1
.
(1+z 2 ) cosh z
5
Questa funzione ha poli nel semipiano superiore nei punti z = i, 2 i, 3
2 i, 2 i, . . .. Si prenda Rk =
k, k = 1, 2, . . .. Si pu`
o osservare che
| cosh z|2 = | cosh(x + iy)|2 = | cosh x cos y + i sinh x sin y|2 = cos2 y + sinh2 x
k
>
7 ,
|x| > k 2 2 (k )2 2 =
4
2
16
4
cosicche sinh2 x > 12 . Dunque su CRk
cos2 y + sinh2 x
Allora
1
2
max |f (z)|
C Rk
2
|Rk2 1|
e dunque la condizione sul limite per k `e soddisfatta. Per il calcolo dei residui si trova:
R(f ; i) =
e
1
1
=
2i cosh i
2i cos 1
1
1
(1)n
R(f ; (n )i) =
=
.
2
[1 (n 12 )2 2 ] sinh(n 21 )i
i[(n 12 )2 2 1]
Finalmente si ha
Z
X
dx
(1)n
=
+
2
(1 + x2 ) cosh x
cos 1
(n 12 )2 2 1
n=1
57
P+
1
n2 +a2
, a > 0.
1
Conviene considerare la funzione f (z) = (z 2 +a
2 ) cot(z) che ha poli semplici nei punti z = ia e in
z = n, n = 0, 1, 2, . . .. Si trova che i residui sono dati da
R(f ; ia) =
1
1
cot(ia) = coth a
2ia
2a
1
1
cot(ia) = coth a
2ia
2a
1
R(f ; n) =
.
(n2 + a2 )
R(f ; ia) =
Conviene scegliere Rk = k + 12 , k = 1, 2, . . ., supponendo che tutti questi raggi siano diversi da |a|.
(Altrimenti si salter`
a uno dei raggi.) Si osservi inoltre che
| cot z|2 =
cos2 x + sinh2 y
sin2 x + sinh2 y
Ora, per k + 14 |x| k + 12 vale cos2 x sin2 x, cosicche | coth z| 1. Daltra parte per
|x| < k + 41 e |z| = k + 21 , si ha
r
r
1 2
k
3
11
1 2
+
,
|y| > (k + ) (k + ) =
2
4
2 16
4
e quindi
2
| cot z|
1 + sinh2
sinh2
11
11
= K2
K
|Rk2 a2 |
Cio`e
+
X
= coth a
n 2 + a2
a
n2
1
=
coth a 2
2
+a
2a
2a
X
1
2
=
n2
6
n=1
1
2a2
.
2
6 .
58
Per la valutazione della serie abbiamo tenuto conto che la funzione cot z ha poli con residui 1 in
tutti gli interi n Z. Si possono sommare serie a termini di segno alternato tenendo presente che
csc(z) ha poli in n Z, con residui (1)n . Si considerino i seguenti ulteriori esercizi
dx
(2 + cos x)(1 + x2 )
x dx
(1 + x4 ) sinh x
1
1 + n4
X
(1)n
1 + n4
n=1
cot z
.
1+z 4
n=1
X
n=1
n2
1
a2
1.13
coth z
.
z 2 +a2
Prolungamento analitico.
Quanto stiamo per esporre `e basato su considerazioni non completamente formalizzate, ma che
riteniamo utili per fornire una trattazione intuitiva dellargomento. Un primo approccio a una
trattazione formalmente pi`
u precisa e astratta si pu`o trovare, per esempio nel libro di J.B. Conway
Functions of one complex variable, Springer Verlag. Ricordiamo le considerazioni gi`a fatte a
proposito del teorema 1.8.1 di Weierstrass. Se supponiamo di avere una funzione olomorfa f (z) che
sappiamo definita su un dominio aperto connesso D e se ne conosciamo i valori in un intorno di un
punto a D, possiamo trasportare i suoi valori in un arbitrario punto b D. Consideriamo infatti
un cammino continuo e rettificabile in D, , che congiunge a con b. Diciamo la distanza tra il
59
60
1.13.1
bn z a
(W )
n=0
an z n
0 < a < 1. (F )
n=0
Si tratta di esempi di serie dette lacunari. Cos` sono dette le serie nelle quali i termini della serie
diversi da zero sono rari. Precisamente si dicono lacunari le serie di potenze
ak z nk
k=1
` + se |z| > 1.
Il limite `e < 1 se |z| 1. Precisamente il limite `e 0 se |z| < 1; `e a < 1 se |z| = 1. E
Dunque la serie converge e ha per somma una funzione continua in tutti i punti del cerchio di centro
lorigine e raggio 1, compresi i punti della frontiera. Un teorema generale dovuto a E. Fabry (1896)
assicura che le serie lacunari non sono prolungabili oltre la loro circonferenza di convergenza. In
questo caso la circonferenza di convergenza si dice una frontiera naturale per lelemento analitico.
Nel caso della serie (W ), Weierstrass dimostr`o nel 1880 che essa non `e continuabile facendo vedere
che la parte reale della sua somma non `e una funzione differenziabile dellarco su |z| = 1. Invece
per la serie (F ) si ha che essa `e non continuabile benche h() = f (ei ) sia di classe C rispetto a
.
1.13.2
61
Supponiamo ora che, per quanto venga prolungato il procedimento descritto, non si possa trovare
un cerchio che racchiuda una porzione di al di l`a di un certo punto. In questo caso i punti nei
quali esce dai dischi Bk , diciamoli zk+1 si accumulano verso un certo punto . Tale punto si dir`
a
un punto singolare. Esso potr`
a eventualmente essere il punto b o un punto di compreso tra a e b.
La natura del punto singolare potr`
a essere quello di un polo o di una singolarit`a essenziale, che
gi`a abbiamo incontrato, o potr`
a essere di natura diversa, come quella di un punto di diramazione,
o una sovrapposizione di punti dei tipi detti.
1.13.3
62
1.13.4
Presenteremo ora, anche se in modo non completamente soddisfacente dal punto di vista logico, lo
studio di alcune funzioni polidrome e delle loro cosiddette superficie di Riemann. Una trattazione
pi`
u precisa potrebbe essere fatta introducendo, per esempio, le nozioni di germe di funzione analitica, di funzione analitica completa e di fascio dei germi di funzioni analitiche su un aperto G (si
veda il citato libro di J. B. Conway). I limiti di questo corso, dedicato agli studenti dingegneria,
sconsigliano di entrare nei dettagli di queste considerazioni. Consideriamo dunque in C lequazione
w2 z = 0 ;
Questo non `e drammatico perche anche nel campo reale, se z 0 ci sono due soluzioni w1 = z
e w2 = z. Potremmo prendere atto che ci sono due soluzioni e scegliere una delle due, per
es. w1 (z), come definizione di radice del numero complesso z. Purtroppo, ci`o funziona nel campo
reale, ma non nel campo complesso. Vediamo perche. Immaginiamo di scegliere un certo punto
z 6= 0 e di percorrere un giro lungo una circonferenza di centro lorigine e raggio r = |z|. Se
scegliamo come radice di z il numero w1 (z), quando avremo percorso un intero giro della nostra
circonferenza largomento di z sar`
a aumentato di 2 e quindi il valore di w1 (z) prolungato per
+2
63
essendo laumento dellargomento , w1 (e 2 i ) = i. Due punti che se non ci fosse il taglio nel
piano sarebbero molto vicini hanno due valori che presentano un salto di 2 i. Lo stesso accade nel
semipiano C?2 : per il punto (z1 , 2) prossimo a (1, 2) il valore di w2 (z1 ) i, mentre in (1, 2)
il valore di w2 (1) = i. Lidea intuitiva alla base della nozione di superficie di Riemann per z `e
di saldare il bordo superiore del piano 1 con quello inferiore del piano 2 e viceversa. Cos` i valori
di w1 (z) si mutano con continuit`
a in quelli di w2 (z) e viceversa. Facendo una simile operazione di
sutura c`e una linea di autointersezione che non ha significato e che in realt`a non esiste. Infatti
unidea migliore della situazione `e fornita dal supporre che un intorno di un punto (z, 1), con z < 0
sia dato da un dischetto di raggio che per 0 sta nel piano C?1 , mentre per 0 < <
sta in C?2 . Il punto 0 ha un intorno formato da un doppio dischetto che si intreccia sui due piani,
mentre i punti che non stanno sul semiasse negativo o lo zero, (z0 , k), hanno sul loro piano un intorno
formato dagli usuali dischetti B(z0 , ) = {(z, k): |z z0 | < }, (k = 1, 2). A questo punto non `e
pi`
u necessario distinguere i due piani. Scelto un valore iniziale dellargomento per un punto z C,
per esempio arg(z) < e un valore della sua radice quadrata, per es. w1 (z), seguendo la
variazione, in modo continuo, di z sulla superficie di Riemann della radice, si trovano correttamente
i valori della radice sulle singole falde della superficie. Dopo due giri intorno allorigine si ritorna
al valore iniziale della radice. Lorigine e il punto allinfinito del piano complesso si dicono punti
di diramazione algebrica, in questo caso di ordine 2. Un taglio fatto lungo una qualsiasi semiretta
congiungente lorigine con non permette che ci sia un mescolamento delle determinazioni della
radice. Una superficie di Riemann per la radice si ottiene suturando nel modo sopra descritto i
due piani. La figura che segue d`
a unidea degli intorni di un punto lungo il taglio dei due piani
sovrapposti.
C
z0
Figura 1.7: Intorno di un punto sul semiasse negativo. Superficie di Riemann per la radice quadrata.
Consideriamo lequazione
wn = z
Se z = ei , essa ha soluzioni w1 (z) =
in
e , w2 (z) =
ei
+2
n
,. . . , wn (z) =
ei
+2(n1)
n
64
Per costruire la superficie di Riemann della radice n-esima, converr`a partire da n copie del piano
complesso C tagliato lungo il semiasse reale negativo: C?1 , C?2 , . . . , C?n . Dopo avere percorso lungo
i
il piano 1 un semicerchio di raggio 1, per es., e di ampiezza , si arriver`a a un valore prossimo a e n
che `e il valore che si ottiene movendosi nel piano 2 lungo un semicerchio di raggio 1 con ampiezza
. Ci`o si ripeter`
a sui bordi dei piani 3, 4,. . . , n. Si potranno perci`o suturare i piani come indicato
nella Figura 8, generalizzando quanto `e stato fatto per la radice quadrata. I punti che stanno sul
bordo avranno intorni fondamentali di tipo sferico formati da una met`a disco giacente sullo stesso
piano e per laltra met`
a sul piano ciclicamente successivo (con ci`o intendiamo che il piano successivo
al piano n `e il piano 1). In questo modo, partendo con una determinazione della radice su un piano
qualsiasi, considerando le variazioni continue dellargomento nella rotazione intorno allorigine, le
varie determinazioni della radice automaticamente verranno assegnate in modo corretto sulle varie
falde della superficie. Dopo n giri intorno allorigine, si torner`a alla determinazione iniziale sulla
falda di partenza.
La figura che segue mostra le connessioni tra le falde della superficie di Riemann nel caso della
radice quadrata e della radice n-esima. Il punto origine z = 0 e il punto allinfinito sono punti di
diramazione algebrica dordine n nel caso della radice n-esima.
C*1
C*2
C*3
C*2
Superficie di Riemann per
la radice quadrata
C*1
C*n
Superficie di Riemann per
la radice n-esima
Figura 1.8: Superficie di Riemann per la radice quadrata e per la radice n-esima.
Lequazione
ew = z ,
come sappiamo, ha infinite soluzioni del tipo wk (z) = log()+i arg(z)+k2i se z 6= 0 ha > 0 come
modulo e arg z come argomento. Qui si dovranno considerare infinite copie del piano complesso
tagliato lungo il semiasse negativo C?k e per avere unidea della superficie di Riemann del logaritmo
converr`a suturare ogni piano k-esimo con quello (k + 1)-esimo come si `e fatto in precedenza. La
superficie che si ottiene ha infinite falde. Continuando a ciclare intorno allorigine si passa a nuove
falde a ogni giro. Per tornare a una falda gi`a toccata lunica possibilit`a `e quella di invertire la
65
1.13.5
ESERCIZI
Utilizzando le considerazioni svolte sulle funzioni polidrome, si valutino alcuni tipici integrali quali
i seguenti
Z
0
xp1
dx, con 0 < p < 1
1+x
p1
z p1
dz = 2 i R(f ; 1) .
1+z
Ma
Z
Z
f (z) dz =
,R
f (z) dz + e2i(p1)
CR
xp1
dx +
1+x
Z
f (z) dz +
xp1
dx .
1+x
xp1
dx +
1+x
Z
f (z) dz +
CR
f (z) dz = 2iei(p1) ,
poiche, essendo 1 = ei nel campo dintegrazione considerato, il residuo di f (z) in 1 vale ei(p1) .
Si vede poi agevolmente che quando R , lintegrale esteso a CR tende a zero come R(p1) e
quando 0, lintegrale esteso a C tende a zero come p . Perci`o prendendo i limiti per R
e per 0 si ottiene
Z p1
x
2i(p1)
(1 e
)
dx = 2iei(p1) ,
1
+
x
0
e quindi
Z
0
xp1
2i
dx = i(p1)
=
=
.
i(p1)
1+x
sen(p 1)
sen(p)
e
e
66
CR
1
R
C
dx
con a
/ [1, 1]
(x a) 1 x2
Svolgimento: Supporremo per semplicit`a che a 6> 1. Quindi che se a `e reale sia un numero
< 1. La trattazione per a > 1 si far`
a con lo stesso metodo, ma il cammino dintegrazione andr`
a
opportunamente modificato. Dunque f (z) `e una funzione dotata di un polo semplice in z = a e di
due punti di diramazione algebrici dordine 2 in z = 1. Se nel piano della variabile z eseguiamo
un taglio da -1 a 1, impediamo a z di circolare intorno ai punti z = 1 e z = 1 e quindi limitiamo
gli argomenti di z 1 e di z + 1 ai valori 0 arg(z 1) < 2 e 0 arg(z + 1) < 2. Il cammino
dintegrazione ,,R `e quello mostrato nella figura seguente.
Sul cammino considerato integreremo la funzione f (z) =
.
(za) z 2 1
C
C0
0
` facile riconoscere che gli integrali lungo i cammini 0 e 0 si elidono. Infatti lungo 0 z 2 1 ha
E
modulo x2 1 e argomento 0; lungo 0 il modulo `e ancora x2 1, mentre largomento `e 4. I
67
CR
-1
C
C +1
68
contributi, calcolati lungo due cammini orientati in senso opposto si cancellano. Lungo , z 1 ha
3
2
2 i 2
modulo 1x e argomento ; z+1 ha modulo x+1 e argomento2. Dunque
z 1i = 1 x e
lungo . Invece lungo si ha, con considerazioni analoghe, z 2 1 = 1 x2 e 2 . Tenuto conto
di ci`o abbiamo
Z
Z
Z 1+
Z
dx
3
2
f (z) dz +
+e
+
+
(x a) 1 x2
CR
C00
1
C
Z
Z 1
dx
2i
+
=
+e 2
.
2
0
a2 1
C
1+ (x a) 1 x
R
Con considerazioni gi`
a fatte pi`
u volte, si riconosce che per R tende a zero CR f (z) dz;
R
analogamente C f (z) dz tende a zero per 0 e pure gli integrali sulle semicirconferenze di
raggio hanno limite 0 per 0. Dunque passando al limite per R , 0, 0, rimane
Z 1
dx
2i
2i
=
,
2
a2 1
1 (x a) 1 x
e quindi, finalmente
1
dx
=
.
2
(x a) 1 x
a2 1
dx
(1 + x2 ) 1 x2
(1 + z 2 ) z 2 1
2i
= 2i[R(f ; i) + R(f ; i)] .
2
2
1 (1 + x ) 1 x
Occorre determinare con precisione largomento di z 2 1 nei due residui al fine di evitare errori
clamorosi. In z = i, arg(z 1) = 34 e arg(z + 1) = 14 . Quindi in z = i, arg(z 2 1) = , mentre
osservi che assumere in z = i, (i)2 1 = i 2 come si potrebbe essere indotti a fare ragionando
con superficialit`
a, corrisponderebbe a scegliere invece che la determinazione principale del radicale
quella che differisce per il fattore ei . Ma ci`o non `e possibile, visto che il piano `e tagliato tra -1 e
+1, il che impedisce il mescolamento delle due determinazioni.Si trova allora che
R(f ; i) =
1
1
1
= = R(f ; i) =
.
2i i 2
2 2
2i (i 2)
Finalmente si ottiene
Z
+1
(1 +
dx
x2 )
x2
=
2
.
69
xa d x
, b 6= 0, 1 < a < 1
b2 + x2
(=
ba1
).
2 cos( a
2 )
(=
2 sin
9
3
sin 3
x3 d x
,
1 + x + x2
).
Esercizio 1.13.6 Integrando la funzione ez lungo il cammino rettangolare formato dalle rette
y = 0, y=b, x = R, x = R, e facendo quindi tendere R , si stabilisca la relazione
+
ex cos 2bx dx =
eb
P
0
x1
dx = cot ,
1x
0<<1
xp
sin p
dx =
,
2
1 + 2x cos + x
sin p sin
xz
(1 z)
dx =
2
2
(1 + x )
4 cos z
2
Esercizio 1.13.11 Utilizzando il teorema dei residui, si calcoli per n intero qualsiasi
Z
dx
1 + x2n
n sin 2n
70
1.14
Consideriamo la corrispondenza fra i piani della variabile complessa z e quella della variabile complessa w data da w = f (z) con f (z) funzione olomorfa di z, come una trasformazione di coordinate.
Essa associa quindi al punto z = x + iy, di coordinate cartesiane x e y un punto w = + i di
coordinate cartesiane e . Tale processo di associazione verr`a chiamato in generale rappresentazione. Supponiamo ora che nel piano z vengano descritte due curve di equazione parametrica
z = a(t) e z = b(t). Esse si incontrino in un punto z0 = a(t0 ) = b(t0 ). Nel punto dincontro langolo
formato dalle due curve `e = arg[a0 (t0 )]arg[b0 (t0 )] = arg[a0 (t0 )b0 (t0 )], dove () indica il complesso
coniugato.
Nel piano w saranno descritte due curve dequazioni parametriche w = f (a(t)) e w = f (b(t)). Esse
si incontrano nel punto w0 = f (z0 ) = f (a(t0 )) = f (b(t0 )). Calcoliamo langolo tra le due curve del
piano w nellipotesi che sia f 0 (z0 ) 6= 0. Si ha
e = arg[f 0 (a(t0 )) f 0 (b(t0 ))] = arg{f 0 (z0 ) a0 (t0 ) f 0 (z0 ) b0 (t0 )} =
= arg{|f 0 (z0 )|2 a0 (t0 ) b0 (t0 )} = arg[a0 (t0 ) b0 (t0 )] =
Dunque la rappresentazione w = f (z) `e conforme, cio`e conserva gli angoli tra le curve corrispondenti
(nei punti in cui `e f 0 (z) 6= 0). In particolare, se nel piano w tracciamo le curve immagini dei sistemi
di curve x = cost e y = cost, poiche questultime formano un sistema di curve ortogonali nel piano
(x, y), anche quelle considerate sono un sistema di curve ortogonali nel piano (, ). Un semplice
esempio `e fornito dalla funzione w = ez . Il rettangolo 0 < x < a, 0 < y < del piano (x, y) viene
mutato come segue: w = ex eiy . Dunque limmagine del rettangolo nel piano (x, y) `e un settore di
corona circolare 1 < |w| < ea , 0 < arg w < nel piano (, ).
Unosservazione molto importante che si pu`o fare `e la seguente. Se u(, ) `e una funzione che
soddisfa lequazione
2u 2u
+ 2 = 0, in D? ,
2
dove D? `e, per es., un aperto connesso e semplicemente connesso e limitato del piano (, ), allora,
posto U (x, y) = u((x, y), (x, y)), con w = f (z) = (x, y) + i(x, y) olomorfa, la funzione U (x, y)
soddisfa lequazione
2U
2U
+
= 0, in D ,
x2
y 2
dove D `e il dominio che viene mutato in D? dalla trasformazione w = f (z). Dunque la conoscenza di
una funzione armonica in D? , si traduce nella conoscenza di una funzione armonica in D. Appare
dunque importante il seguente problema: trovare una rappresentazione conforme che muti un
dominio D del piano (x, y) in un dominio D? del piano (, ), in modo che la frontiera di D sia
portata nella frontiera di D? e che la corrispondenza sia biunivoca. Una risposta efficace a questo
problema `e fornita dal seguente
Teorema 1.14.1 [Riemann] Sia G un dominio aperto semplicemente connesso che non coincide
con lintero piano complesso e sia a G. Allora vi `e una sola funzione olomorfa f : G C tale che
71
|w| = r 2 r cos 2 + 1 e quindi |w| < 1 se e solo se r 2 r cos 2 < 0, ossia r < 2 cos 2 , cio`e se
e solo se r < 2(1 + cos ), cio`e se e solo se i punti sono interni al cardioide. Dunque se si conosce
la soluzione dellequazione di Laplace con assegnate condizioni al contorno nel cerchio unitario, se
ne deduce la conoscenza allinterno del cardioide.
1.14.1
Le trasformazioni bilineari di M
obius.
Una trasformazione di questo tipo porta una retta per due punti z1 e z2 in una retta passante per
i punti
w1 = az1 + b
w2 = az2 + b
La pendenza della retta per z1 e z2 `e data da arg(z2 z1 ), mentre quella della retta per w1 e w2 `e
data da arg(w2 w1 ) = arg{a(z2 z1 )} = arg(a)+arg(z2 z1 ). Quindi leffetto della trasformazione
lineare `e quello di fare rotare tutti i punti (vettori) del piano complesso di un angolo costante che
`e arg(a), oltre a traslarli di b. Consideriamo poi linversione
w=
1
z
Il punto allinfinito z = viene mutato nel punto w = 0. Consideriamo nel piano z lequazione
|z
p 2 |p|2
| = 2 , , R, e < |p|2 .
72
Notiamo che per = 0 lequazione diviene quella di una retta, che converremo di chiamare circonferenza generalizzata (con il centro allinfinito). Con uninversione lequazione data si muta
nella
pw pw + |w|2 = 0 ,
che `e ancora una circonferenza generalizzata. Dunque linversione muta circonferenze generalizzate
in circonferenze generalizzate. Due punti z1 e z2 che giacciono sullo stesso raggio e tali che
|z1
p
p
|p|2
| |z2 | = 2 ,
p
|p|2
p
)(z2 ) = 2 ,
cio`e
z1 z2 pz1 pz2 + = 0 .
Operando uninversione la precedente si trasforma in
pw1 pw2 + w1 w2 = 0 .
Quindi uninversione porta punti inversi rispetto a una certa circonferenza in punti inversi rispetto
alla circonferenza immagine. Ovviamente anche w = az +b trasforma circonferenze in circonferenze
e quindi la composizione di una trasformazione lineare e di uninversione gode delle stesse propriet`
a:
cio`e porta la famiglia delle circonferenze generalizzate in se. Consideriamo ora la trasformazione
detta bilineare o di M
obius:
az + b
w=
.
cz + d
Supporremo c 6= 0, poiche se c = 0 ci si riduce al caso lineare. Allora si ottiene:
w=
a
c (cz
+ d) + b
cz + d
ad
c
a b ad
c
+
c cz + d
ad
a
)w2 +
c
c
iz 1
,
z+i
1.15
73
Lintegrale `e convergente se <z > 0. Mostreremo come la funzione possa essere prolungata a tutto
il piano complesso (tranne i valori interi 0 della variabile). Cominciamo con losservare che vale
una ben nota relazione di ricorrenza:
Z
Z
z t
t z
(z + 1) =
t e dt = e t |0 + z
tz1 et dt .
0
Ora se <z > 0 il contributo della parte finita `e nullo e resta la relazione
(z + 1) = z(z)
, x>0 .
Consideriamo ora il semipiano <z > 1 e, usando il teorema di Morera, mostriamo che (z) `e
olomorfa in detto semipiano. Infatti se consideriamo un triangolo {z: <z > 1}, lintegrale di
(z) esteso a questo triangolo, si pu`
o calcolare come un integrale iterato relativo a un integrale
doppio assoluamente convergente. Cambiando lordine dintegrazione e tenendo presente che tz1
`e olomorfa, si trova che lintegrale `e nullo. Dunque per larbitrariet`a del triangolo, visto il Teorema
di Morera, si conclude che (z) `e olomorfa in <z > 1.
Z
Z Z
Z
Z
z1 t
t
(z) dz =
t e dt =
e dt
tz1 dz = 0 .
Infatti, quando 0 < <z 1, si ha 1 < <(z + 1) 2 e dunque (z + 1) `e olomorfa, z1 lo `e per <z > 0
e si conclude che (z) `e olomorfa per <z > 0. Scrivendo la relazione di ricorrenza a partire da
z + 2, si trova
(z + 2)
(z) =
.
z(z + 1)
74
Ragionando come nel caso precedente, si trova che (z + 2) `e olomorfa per 1 < <z 0, il che
1
implica 1 < <(z +2) 2. z+1
`e pure olomorfa se <z > 1, mentre z1 `e olomorfa nella regione detta,
tranne che in z = 0 dove ha un polo semplice. Dunque anche (z) sar`a una funzione olomorfa per
<z > 1, tranne che per un polo in z = 0. Pi`
u in generale, per ogni m > 1, potremo concludere
che
(z + m)
(z) =
, per <z > m + 1 .
z(z + 1) . . . (z + m 1)
(z) `e dunque olomorfa in <z > m + 1, tranne che nei poli semplici z = 0, 1, . . . , m + 2. In
conclusione (z) si pu`
o estendere a una funzione olomorfa in tutto il piano complesso, tranne che
nei punti z = n, n N, dove essa ha poli semplici. Una funzione olomorfa in tutto il piano tranne
che per singolarit`
a isolate di tipo polo, si dice funzione meromorfa, come gi`a `e stato ricordato.
Dunque abbiamo dimostrato che (z) `e una funzione meromorfa.
Affrontando il problema della continuazione analitica da un altro punto di vista potremo rappresentare (z) come un prodotto infinito, convergente in tutto il piano complesso. Consideriamo la
seguente famiglia di funzioni che indicheremo con n (z).
Z n
t
n (z) =
tz1 (1 )n dt .
n
0
Osserviamo che limn (1 nt )n = et e che tale limite `e uniforme in t. Osserviamo inoltre che la
successione (1 nt )n `e definitivamente monotona crescente. Cio`e che esiste n tale che per n > n, si
ha
t
t n+1
(1 )n < (1
)
,
n
n+1
come si pu`o agevolmente verificare. Facendo la sostituzione t = s n, si ottiene
Z 1
z
sz1 (1 s)n ds .
n (z) = n
0
nz n!
z(z + 1) . . . (z + n)
=n {
s
0
= nz {
1
z1
(1 s)
n1
Z
ds
sz (1 s)n1 ds} =
(n 1)!
1 2 ... n
(n 1)!
} = nz
.
z(z + 1) . . . (z + n 1) (z + 1) . . . (z + n)
z(z + 1) . . . (z + n)
75
Perci`o
Y
1
z+1
z+n
z
= nz z
...
= nz z
(1 + ) .
n (z)
1
n
k
k=1
Consideriamo il prodotto
n
Y
Y
1
1
z
z
z
(1 + )e k = z ez(1+ 2 +... n )
(1 + ) .
k
k
k=1
k=1
n
Y
z
1
1
1
z
.
(1 + )e k = z ez(1+ 2 +... n log n)
k
n (z)
k=1
Ora, si pu`o dimostrare che esiste il limite per n del precedente prodotto e che esso `e una
funzione intera G(z). Cio`e vale
G(z) = lim
n
Y
z
z
(1 + )e k
k
k=1
La funzione G(z) ha al finito gli zeri nei punti interi z = n, n 1, e ha una singolarit`a essenziale
allinfinito. Noi non daremo la dimostrazione del fatto citato, che viene affrontato nel problema
della fattorizzazione delle funzioni intere. Lanalogia con i polinomi `e forte. Si sa che ogni polinomio
a coefficienti in C `e fattorizzabile in fattori lineari del tipo (z i ), tenendo conto della molteplicit`
a
dei fattori. Una simile fattorizzazione vale anche per le funzioni intere che, in un certo senso, sono
polinomi di grado infinito. Esse saranno fattorizzabili con fattori lineari come nel caso dei polinomi;
tuttavia, nel caso dinfiniti zeri, ogni fattore lineare andr`a moltiplicato per un fattore esponenziale,
scelto in modo opportuno, al fine dassicurare la convergenza. Poiche esiste finito il
lim (1 +
1
1
+ . . . + log n) =
2
n
dove = 0, 57722 . . . `e detta costante di Eulero-Mascheroni4 (della quale non si sa se sia razionale
o irrazionale), si ottiene che
1
lim
= zG(z)ez .
n n (z)
Dovendo dimostrare che limn n (z) = (z) e trattandosi di funzioni olomorfe, sar`a sufficiente
dimostrare la convergenza per i valori reali e positivi di z. Sia z = x > 0. Allora
Z n
Z n
t n
t (n+1)
x1
n (x) =
t (1 ) dt <
tx1 (1
)
dt <
n
n
+
1
0
0
4
Lorenzo Mascheroni nato a Bergamo nel 1750, morto a Parigi nel 1800. Labate Mascheroni insegn`
o fisica
e matematica nel Seminario di Bergamo dal 1778. In seguito a un suo lavoro molto apprezzato sullequilibrio delle
volte, nel 1786 venne chiamato a insegnare algebra e geometria nellUniversit`
a di Pavia, universit`
a della quale divenne
rettore dal 1789 al 1793. Calcol`
o le prime 32 cifre decimali della costante sopra ricordata. Ammiratore di Napoleone,
venne inviato a Parigi quale membro della commissione di studio delle nuove misure e monete. In seguito alle
vittorie degli Austro-Russi non pot`e rientrare in Italia. Fu tra i fondatori degli studi dingegneria in Italia secondo
il curriculum rimasto sostanzialmente in vigore fino al 2000. Sostenne la validit`
a dellinsegnamento incentrato sulle
universit`
a, come contrapposto a quello delle Grandes Ecoles
instaurato in Francia. (Non si pu`
o prevedere se gli studi
dingegneria sopravviveranno alla riforma che sta per essere inaugurata.)
76
tx1 (1
t n
) dt
n
Poiche ci`o vale per ogni a > 0, il confronto con la disuguaglianza precedente d`a
lim n (x) = (x)
Infine, supposto 0 < <z < 1, possiamo stabilire la seguente formula fondamentale
(z) (1 z) =
sen(z)
Infatti
Z
(z) (1 z) =
z1 t
Z
dt
z s
ds =
ZZ
ZZ
=
z1 s(1+u)
Z
dsdu =
Z
=
0
0
z1
u
1+u
z1
Z
du
es(1+u) ds =
sin z
Si noti che lultimo passaggio si ottiene ricordando il risultato calcolato nellesempio 1.13.1. Per
il principio della continuazione analitica, la formula ottenuta continua a valere in tutto il piano
complesso, dunque per ogni valore di z per il quale abbia significato. In particolare possiamo
1.15.1
La Formula di Stirling.
Vogliamo ricordare che vale la seguente formula di Stirling per il logaritmo della funzione (z)
1
1
log (z) = (z ) log z z + log 2 + w(z)
2
2
77
Si tratta di valutare il resto w(z) che tende a zero per |z| purche ci si mantenga nel piano
complesso in una regione che esclude un settore racchiudente il semiasse reale negativo. Tale settore
si pu`o individuare come segue: ha vertice in x = 2 e semiapertura 6 . Tralasciando i lunghi calcoli
si trova la seguente valutazione di w(z)
1
1 1
1
1 1
+
:
se
<(z)
<
0,
=(z)
>
1
12 |y|
6 y2
In particolare per valori reali di x > 1 si pu`o valutare (x) come segue
1
1
1
+
+ . . .) .
(x) = xx 2 ex 2 (1 +
12x 288x2
Ricordando che n! = (n + 1) = n(n), si trova infine
1
1
n! = nn en 2n (1 +
+
+ . . .) .
12n 288n2
78
Capitolo 2
Considerazioni preliminari
f (x1 , . . . , xm , z,
z
z
nz
nz
,...,
,..., n,..., n ) = 0 ,
x1
xm
x1
xm
(2.1)
(2.2)
z
z
z
+ P2 (x1 , . . . , xm )
. . . + Pm (x1 , . . . , xm )
x1
x2
xm
Q(x1 , . . . , xm ) z = R(x1 , . . . , xm ) ,
79
(2.3)
80
con i coefficienti Pi (x1 , . . . , xm ) non tutti nulli. Unequazione che sia lineare solo nelle derivate di
ordine massimo si dice quasi lineare o semilineare.
2.2
Al fine di mettere in evidenza la diversit`a che intercorre tra le equazioni differenziali ordinarie e
quelle alle derivate parziali, sar`
a utile considerare alcuni semplici, ma significativi esempi. Per
unequazione differenziale ordinaria dordine n la totalit`a delle sue soluzioni o integrale generale
pu`o essere rappresentata, a meno di possibili integrali singolari, da una funzione della variabile
indipendente, che dipende pure da n costanti dintegrazione, c1 , c2 , . . . , cn . Viceversa, per ogni
famiglia di funzioni a n parametri, c`e unequazione differenziale ordinaria dordine n cui la funzione
soddisfa. Per le equazioni a derivate parziali la situazione `e pi`
u complicata. Anche in questo caso
si pu`o cercare una soluzione generale, ma, in questo caso, gli elementi arbitrari da fissare al fine
dottenere una soluzione particolare, non sono pi`
u, in generale, costanti arbitrarie, ma sono funzioni
arbitrarie. Consideriamo perci`
o alcuni casi particolari dequazioni
Esempio 2.2.1
u(x, y)
=0
y
(x, y) R2
(2.4)
Lequazione chiede di trovare una funzione definita su tutto il piano e derivabile con continuit`
a
rispetto a y, che non varia con y; cio`e una funzione che dipende solo da x:
u(x, y) = (x)
(x, y) R2
(2.5)
81
(x, y) R2
(2.6)
x0 y0
(x, y) R2
(2.7)
si ottiene allora
=
=
cio`e
u
= 0.
u(x, y) = (x + y)
con C 1 (R).
Esempio 2.2.5 Consideriamo unequazione che sia della forma
u(x, y) g(x, y) u(x, y) g(x, y)
=0
x
y
y
x
(x, y) A R2
(2.8)
82
=
=
u
u
+
x x
u
u
+
y y
=
=
u
g
u
+
0
x
u
g u
+
1
y
e quindi
u(x, y) g(x, y) u(x, y) g(x, y)
=
x
y
y
x
g(x, y) u
g
g(x, y) u
g u
(
+
)=
y
x
x
y
g(x, y) u
= 0.
x
g(x,y)
x
6= 0, si ottiene
u
=0 ,
cio`e u
non dipende da , ma solo da . Ossia esiste una funzione tale che u(x, y) = u
() = () =
(g(x, y)). Si pu`
o verificare che, sotto condizioni opportune, anche se g dipende esplicitamente da
u, continua a valere che la soluzione u `e espressa, in forma implicita, dallespressione u(x, y) =
(g(x, y, u(x, y))). Per esempio, la soluzione dellequazione di Burger
u(x, t)
u(x, t)
+u
= 0,
t
x
ha una soluzione che si pu`
o scrivere, in modo implicito
u(x, t) = (x u t) .
(2.9)
83
Esercizio 2.2.1 Si studino le condizioni sotto le quali la funzione implicita sopra scritta `e soluzione
della (2.9).
=0
x2
y 2
(x, y) R2
(2.10)
Posto
= x+y
= xy
si trova
2
x2
2
y 2
=
=
2
2
2
+
2
+
2
2
2
2
2
2
+
2
2
2u
=0 ,
u
u
eq=
) si dice un integrale completo dellequazione stessa se il rango della matrice
x
y
a xa ya
b xb yb
84
1
u2
La famiglia data rappresenta la totalit`a delle sfere di raggio 1 aventi il centro sul piano x, y.
Dallequazione della famiglia, derivando rispetto a x e rispetto a y, si ottiene
2(x a) + 2up = 0
2(y b) + 2uq = 0 .
Di qui si ottiene (x a) = u p e (y b) = u q. E, finalmente, sostituendo nellequazione della
famiglia
u2 (p2 + q 2 + 1) = 1 .
Dunque, eliminando i parametri dalla famiglia di sfere, si ottiene lequazione della quale ci siamo
precedentemente occupati; abbiamo verificato che la famiglia considerata `e una soluzione dipendente
da due parametri dellequazione stessa. Poiche, con le notazioni sopra introdotte, abbiamo xa =
2, ya = 0, xb = 0, yb = 2, si verifica che xa yb xb ya = 4 6= 0 e dunque che la famiglia
a due parametri `e un integrale completo dellequazione data. Questa famiglia ha un inviluppo
formato dai due piani u = 1 e u = 1, inviluppo che si ottiene eliminando a e b dallequazione della
famiglia e dalle sue derivate rispetto ad a e a b:
(x a)2 + (y b)2 + u2 = 1
(x a) = 0
(y b) = 0 .
85
2.3
Equazioni del primo ordine quasi lineari, in due variabili indipendenti. Caratteristiche
dy
)=0
dx
Ad ogni punto (x, y) del dominio piano nel quale f `e definita si pu`o associare la direzione (o le
dy
direzioni) dx
, che soddisfano lequazione stessa. Quindi landamento delle soluzioni pu`o essere
intuito e rappresentato mediante il campo di direzioni. Ci`o `e particolarmente utile quando ad ogni
dy
(x, y) A, A aperto in R2 , corrisponde un solo valore di dx
, perche allora si ha unidea immediata
dellandamento delle curve integrali. Un artificio dello stesso tipo `e possibile e utile anche nel caso
di unequazione alle derivate parziali. Considereremo il caso pi`
u semplice: quello di unequazione
quasi lineare (non pi`
u complicata di unequazione lineare da questo punto di vista) in due variabili
indipendenti. Essa si scrive:
P (x, y, z)
z
z
+ Q(x, y, z)
= R(x, y, z)
x
y
z
x ,
q=
z
y ,
(2.11)
86
x = x(t)
y = y(t)
z = z(t) ,
che in ogni punto sono tangenti al vettore di componenti P, Q, R. I coseni direttori della tangente
dx dy dz
a una linea sono proporzionali a
, , , e quindi, ponendo uguale a 1 una costante di
dt dt dt
proporzionalit`
a (il che si pu`
o fare: cambia eventualmente un fattore di scala nella variabile t), `e
dx
= P (x, y, z)
dt
dy
(2.12)
= Q(x, y, z)
dt
dz = R(x, y, z) .
dt
Il sistema (2.12) si dice il sistema caratteristico associato allequazione (2.11) e le curve che ne
sono soluzione sono dette le linee caratteristiche della (2.11). Dimostreremo ora che le superficie
integrali sono descritte per mezzo delle linee integrali. Precisamente abbiamo
Teorema 2.3.1 Siano P (x, y, z), Q(x, y, z), R(x, y, z) localmente lipschitziane in A R3 , A aperto. Sia M0 = (x0 , y0 , z0 ) un punto che giace su una superficie integrale , cio`e sia grafico di una
soluzione della (2.11). Sia inoltre una caratteristica passante per M0 . Allora giace per intero
su . Cio`e, se x(t0 ) = x0 , y(t0 ) = y0 , z(t0 ) = z0 , se x(t), y(t), z(t), t J( R) `e una soluzione di
(2.12), allora (x(t), y(t), z(t)) , t J.
87
=
x dt
y dt
z
z
R(x(t), y(t), z(t))
P (x(t), y(t), z(t))
Q(x(t), y(t), z(t)) = 0 ,
x
y
z 0 (t) z10 (t) = R(x(t), y(t), z(t))
2.4
Data lequazione
P (x, y, z) p + Q(x, y, z) q = R(x, y, z) ,
(2.13)
x = ( )
y = ( )
z = ( ) ,
(2.14)
e la curva di equazioni
ci proponiamo di risolvere il seguente problema di Cauchy: costruire una superficie integrale z(x, y)
soluzione della (2.13) che passa per la , cio`e tale che z(( ), ( )) = ( ). Ammettendo che tale
superficie esista noi cercheremo una sua rappresentazione nella forma parametrica
x = x(t, )
y = y(t, )
z = z(t, ) .
(2.15)
Sia M0 il punto di che corrisponde al valore 0 del parametro. Sia 0 la caratteristica che passa
per M0 ; tale caratteristica giace per intero su e le sue equazioni si trovano integrando il sistema
88
caratteristico
dx
dt
dy
dt
dz
dt
= P (x, y, z)
(2.16)
= Q(x, y, z)
= R(x, y, z)
x(0, 0 ) = (0 )
y(0, 0 ) = (0 )
z(0, 0 ) = (0 ) .
(2.17)
Le funzioni trovate saranno, come funzioni di t, soluzioni di (2.16) e come funzioni di soddisfano la
condizione (2.17). Al variare di 0 il punto M0 varia su e quindi le corrispondenti caratteristiche
varieranno descrivendo la superficie . Per lunicit`a delle soluzioni del sistema caratteristico due
linee caratteristiche non si incontrano nel dominio di definizione. Perci`o le funzioni di t e danno
una descrizione geometrica di . Ci chiediamo ora come debba essere assegnata la curva affinche
il problema ammetta una e una sola soluzione. Diremo 0 la linea dequazioni x = ( ), y = ( ),
proiezione di sul piano x, y. 0 si dir`
a la linea portante i dati, poiche in ogni suo punto `e assegnato
il valore z = ( ) della superficie integrale. Diremo poi 0, la proiezione di sul piano x, y, di
equazioni
x = x(t, )
y = y(t, ) .
(2.18)
Cerchiamo dunque le condizioni che ci permettono di porre in forma cartesiana le equazioni parametriche della superficie integrale .
Supponiamo che, in un certo campo di variabilit`a di t e , il determinante del jacobiano
x y
t t
(x, y)
x y
6 0,
(2.19)
det
= det J
= x
y =
t
(t, )
allora dalle (2.18) si possono ricavare t e in funzione di x e y, dal momento che le funzioni
x = x(t, ), y = y(t, ) sono funzioni di classe C 1 , definite su un aperto del piano t, , a valori in
un aperto A del piano x, y. Se il detto determinante `e non nullo in , linvertibilit`a `e assicurata
almeno tra un aperto 0 e un aperto A0 A (Teorema di invertibilit`a locale per funzioni di
classe C 1 ). Sostituendo nella terza equazione, si ottiene lequazione cartesiana della superficie
z = z(t(x, y), (x, y)) = z(x, y): A0 R
(2.20)
89
supponiamo che quello detto sia l0 sul quale vale linvertibilit`a. Riscrivendo la (2.19), dopo avere
sostituito alle derivate i loro valori per t = 0, si ottiene
P (( ), ( ), ( )) Q(( ), ( ), ( ))
6= 0 .
(2.21)
Dobbiamo dunque verificare che la (2.20) fornisce la soluzione del problema di Cauchy (2.13) con
la condizione iniziale z(( ), ( )) = ( ). Dalluguaglianza
z
z x z y
t
x t
y t
z
z x z y
x
y
si trova
z
y
x
1
z J x
dove J = (
y
z
t
t
,
x z
t
(2.22)
x y x y
(x, y)
) = det
. Allora
t
t
(t, )
1 z y
z y
z
=
(
x
J
t
t
1 z x z x
(
)
J t
t
(2.23)
.
z
1 z y
x
1 z
y
x
z
+Q
=
(P
Q )+
(P
+Q )
x
y
J t
J
t
t
(2.24)
=
1 z
1 z
z
J +
(P Q + QP ) =
=R
J t
J
t
A x = x(0, ) = ( ), y = y(0, ) = ( ), cio`e (x, y) 0 , per la biunivocit`a della corrispondenza tra 0 e A0 corrispondono i valori t(( ), ( )) = 0 e (( ), ( )) = . Perci`
o
z(0, ) = z(( ), ( )) = ( ), e quindi anche la condizione iniziale `e soddisfatta.
y
Osserviamo che x
t |t=0 e t |t=0 sono proporzionali ai coseni direttori della tangente a 0, in un
y
certo punto, mentre x
|t=0 e |t=0 sono proporzionali ai coseni direttori della tangente a 0 nello
stesso punto. Il modulo del jacobiano `e perci`o il modulo del prodotto vettoriale di tali vettori
tangenti a 0, e 0 . Esso soddisfer`
a la condizione (2.21) purche 0, sia linea regolare, cio`e purche
P (x, y, z) e Q(x, y, z) non siano contemporaneamente nulli, purche sia regolare 0 , cio`e purche 0 ( )
e 0 ( ) non siano contemporaneamente nulli e purche 0, e 0 non siano tangenti. Diremo che in
questo caso la linea portante i dati non `e in alcun punto caratteristica.
90
Teorema 2.4.1 Siano P (x, y, z), Q(x, y, z), R(x, y, z) localmente lipschitziane in A R3 , A aperto. Supponiamo inoltre che P (x, y, z) e Q(x, y, z) non si annullino contemporaneamente in uno
stesso punto e che nessun punto della linea portante i dati sia caratteristico. Allora esiste localmente una e una sola soluzione dellequazione (2.13) che passa per la curva dequazioni (2.14).
Supponiamo poi che 0, e 0 siano tangenti in un solo punto. verr`a spezzata in due curve 0 e
00 . Possiamo costruire la superficie 0 relativa a 0 e 00 relativa a 00 . La riunione dei grafici delle
due superficie pu`
o essere grafico di una superficie continua ma eventualmente priva di derivate
continue, oppure pu`
o non essere il grafico di una funzione o almeno di una funzione continua.
Potremo ancora assumere che si tratti di una soluzione generalizzata se il grafico `e quello di una
funzione continua. Altrimenti il problema considerato non ammetter`a soluzione.
Se, passando a un ulteriore caso estremo, totalmente diverso, la curva `e ovunque caratteristica,
conducendo per un punto di essa una curva , ovunque non caratteristica, si potranno condurre
le caratteristiche dai punti di costruendo cos` una soluzione passante per . Ma di curve come
la ce ne sono infinite e quindi ci saranno infinite soluzioni al problema di Cauchy, se la curva
iniziale `e ovunque caratteristica. Abbiamo dunque dimostrato che il problema di Cauchy per
unequazione quasi lineare del primordine pu`o avere una e una sola soluzione locale, oppure pu`
o
non avere soluzione o averne infinite. (Si veda, pi`
u avanti, il paragrafo 2.7 su esempi donde durto.)
2.5
Esamineremo ora il caso molto semplice delle equazioni lineari e omogenee in n variabili indipendenti.
Sia data lequazione lineare
X1 (x1 , . . . , xn )
u
u
+ . . . + Xn (x1 , . . . , xn )
=0 .
x1
xn
(2.25)
Supponiamo che u1 , . . . , uk siano soluzioni di (2.25) e che F : A R, con A aperto, sia una funzione
di classe C 1 . Allora si ha
Teorema 2.5.1 Nelle ipotesi sopra dette, se
(u1 (x1 , . . . , xn ), . . . , uk (x1 , . . . , xn )) A per (x1 , . . . , xn ) Rn ,
allora
u(x1 , . . . , xn ) = F (u1 (x1 , . . . , xn ), . . . , uk (x1 , . . . , xn ))
`e una soluzione dellequazione (2.25).
Dimostrazione. Infatti si ha
k
X F ul
F
F u1
F uk
=
+ ... +
xi
u1 xi
uk xi
ul xi
l=1
91
X F
u
ul
u
ul
+ . . . + Xn
=
+ . . . + Xn
)=0
X1
(X1
x1
xn
ul
x1
xn
l=1
Ricordiamo che n 1 funzioni di n variabili si dicono funzionalmente indipendenti in un aperto
Rn , se la matrice jacobiana
u1 , . . . , un1
J
(2.26)
x1 , . . . , x n
ha caratteristica massima (cio`e n 1) nellaperto Rn . Vale allora
Teorema 2.5.2 Siano u1 (x1 , . . . , xn ), . . . , un1 (x1 , . . . , xn ) soluzioni funzionalmente indipendenti in Rn della (2.25). Supponiamo inoltre che X1 , . . . , Xn non si annullino contemporaneamente in alcun punto dellaperto sul quale sono definiti (potremo pensare che sia ). Allora
u(x1 , x2 , . . . , xn ) `e una soluzione dellequazione (2.25) se e solo se si ha u = F (u1 , . . . , un1 ), dove
F C 1 (A) `e una funzione definita su un opportuno aperto di Rn1 .
Dimostrazione. Infatti per il precedente teorema, se u `e del tipo detto, `e una soluzione dellequazione lineare e omogenea. Viceversa, sia v una qualsiasi soluzione dellequazione data, da
considerare insieme con le soluzioni ul , per l = 1, . . . , n 1. Avremo
v
v
= 0
X1 x + . . . + Xn x
1
n
u1
u1
X1
+ . . . + Xn
= 0
x1
xn
..............................
u
u
X1 n1 + . . . + Xn n1 = 0 .
x1
xn
Poiche X1 , . . . , Xn non sono contemporaneamente nulli, in ogni punto di i vettori riga della
(v, u1 , . . . , un1 )
del sistema, che, punto per punto, possiamo considerare come un sistema
matrice
(x1 , x2 , . . . , xn )
lineare nelle variabili X1 , . . . , Xn , sono linearmente dipendenti. Cio`e
v, u1 , . . . , un1
det J
=0 .
x1 , x2 , . . . , xn
Per il teorema sulla dipendenza funzionale, ci`o assicura che, essendo u1 , u2 , . . . , un1 funzionalmente
indipendenti, esiste una funzione F di classe C 1 tale che v = F (u1 , . . . , un1 ). Questo fatto si
pu`o dimostrare direttamente come segue. Supponiamo che, per esempio, in sia non nullo il
determinante
u1
u1
.
.
.
x1
xn1
.
un1
un1
.
.
.
x
xn1
1
92
n1
n
= u1 (x1 , x2 , . . . , xn )
...................
= un1 (x1 , x2 , . . . , xn )
= xn .
+ ... +
,
xi
1 xi
n1
xi
n xi
(i = 1, . . . , n). Ora
n
= 0, per i = 1, . . . , n 1, mentre vale 1, per i = n. Perci`o si ha
xi
0=
n
X
i=1
n
v X u1
v
(
Xi
) + ... +
1
xi
n1
i=1
v
=
xi
n
X
un1
v
(
Xi
) + Xn
,
xi
n
Xi
i=1
e dunque
Xn
v
=0 ,
n
cio`e
v
=0 ,
n
in , essendo ivi Xn =
6 0. In definitiva, se ha sezioni connesse rispetto agli iperpiani coordinati,
v non dipende da n ma solo da 1 , . . . , n1 , cio`e v = F (1 , . . . , n1 ), e quindi
v(x1 , . . . , xn ) = F (u1 (x1 , . . . , xn ), . . . , un1 (x1 , . . . , xn )) .
Consideriamo ora il seguente sistema di equazioni differenziali ordinarie, associato alla (2.25)
dx1
dt = X1 (x1 , x2 , . . . , xn )
....................
(2.27)
dx
n
= Xn (x1 , x2 , . . . , xn ) .
dt
Una linea che in ogni punto soddisfi questo sistema (2.27) si dice una linea caratteristica associata
alla (2.25) e il sistema (2.27) si dice il sistema caratteristico associato allequazione (2.25). Rispetto al caso quasi lineare trattato in precedenza per lequazione (2.11) e sistema (2.12), possiamo
notare che qui manca lequazione relativa alla funzione incognita u. Per completezza potremmo
du
aggiungerla:
= 0. Ci`
o ci dice che la funzione incognita `e costante lungo una linea caratteridt
stica. In generale, una funzione u = f (x1 , . . . , xn ) tale che f (x1 (t), . . . , xn (t)) sia costante lungo
` facile riconoscere che se
una linea caratteristica, si dice un integrale primo del sistema (2.27). E
93
dxi
= Xi , (i = 1, 2, . . . , n), si ottiene
dt
f
f
+ . . . + Xn
=0 .
X1
x1
xn
2.6
Esempi ed esercizi
Ci dedicheremo alla risoluzione di alcuni esempi tipici dequazioni lineari o quasi lineari del primordine, usando il metodo delle caratteristiche.
Esempio 2.6.1 Usando il metodo delle caratteristiche, si determini la soluzione dellequazione alle
derivate parziali
u
u
x
+ 2y
= u2 in ={(x, y): x > 0, y > 0} ,
x
y
che soddisfa la condizione
u(1, y) = y per y 0 .
Il sistema caratteristico in questo caso `e
dx
= x
dt
dy
= 2y
dt
du
= u2 ,
dt
con le condizioni iniziali lungo ogni caratteristica
x(0) = 1
y(0) = y0
u(0) = u0 .
(2.28)
(2.29)
94
La soluzione immediata `e
= et
= y(0)e2t
x(t)
y(t)
1
1
u
u(0)
= t
(2.30)
Di qui si trova che lequazione delle proiezioni delle linee caratteristiche sul piano x, y sono y =
y
y(0) x2 ossia 2 = y(0) = costante. La costante varia da caratteristica a caratteristica; se
x
y
consideriamo un punto (x, y) esso interseca lasse x = 1 nel punto y(0) = 2 . Si ha poi che
x
y
y(0)
t = log x e che u(0) = y(0) = 2 . Facilmente si trova u(t) =
, e, sostituendo i valori in
x
1 y(0)t
termini di x e y, finalmente
u(x, y) =
x2
y
y log x
(2.31)
Verifichiamo che quella data sia la soluzione cercata. Se x = 1, si trova immediatamente u(1, y) = y.
Si trova poi
y(2x xy )
u
= 2
x
(x y log x)2
x2
u
= 2
y
(x y log x)2
E finalmente
x
u
u
y2
+ 2y
= 2
= u2
x
y
(x y log x)2
Esempio 2.6.2 Usando il metodo delle caratteristiche, si determini per i valori di x e y tali che
x 0, y 0 la soluzione dellequazione alle derivate parziali
y
u
u
+x
=u
x
y
dx
dt
dy
dt
du
dt
= y
= x
= u
95
x(0) =
y(0) = 0
u(0) = 2
Abbiamo indicato, per maggiore chiarezza, con il valore iniziale x(0) lungo ogni assegnata caratteristica. Sul piano x, y, lequazione della linea caratteristica, ottenuta moltiplicando la prima
equazione per x e la seconda per y e sommando, `e
x2 y 2 = x(0)2 y(0)2 = 2
Inoltre, derivando la prima equazione e tendo conto della seconda, si trova pure
d2 x
x=0 .
dt2
Dunque la soluzione `e del tipo x(t) = Aet + Bet e y(t) = Aet Bet , con le condizioni x(0) =
e y(0) = 0. Si trova finalmente x(t) = 2 (et + et ) = cosh(t) e y(t) = senh(t). Per et si trovano
i valori
s
x
x2
1 .
et =
2
Poiche ci interessano
le soluzioni per t > 0 e dunque et > 1, sceglieremo il segno +, e quindi,
p
2
2
x+ x
x+y
t = log
= log p
, ricordando che ci interessano le soluzioni per x 0 e y 0.
x2 y 2
x+y
Si ottiene poi per la funzione incognita lungo le caratteristiche u(t) = u(0) et = 2
, cio`e
p
u(x, y) = (x + y) x2 y 2 .
Si verifica immediatamente che u(x, 0) = x2 ; inoltre
2x2 + xy y 2
u
p
=
x
x2 y 2
2 xy 2y 2
u
x
y =
x2 y 2
e, finalmente
y
u
u
x2 y xy 2 + x3 y 3
p
+x
=
=u
x
y
x2 y 2
Esempio 2.6.3 Usando il metodo delle caratteristiche, si determini per i valori di x e y tali che
x 0, y 0 la soluzione dellequazione alle derivate parziali
y
u
u
x
= u2
x
y
96
dx
dt
dy
dt
du
dt
= y
= x
= u2
x(0) =
y(0) = 0
u(0) = 2
Sul piano x, y, lequazione della linea caratteristica, ottenuta moltiplicando la prima equazione per
x e la seconda per y e sommando, `e
x2 + y 2 = x(0)2 + y(0)2 = 2
Inoltre, derivando la prima equazione e tendo conto della seconda, si trova pure
d2 x
+x=0 .
dt2
Dunque la soluzione `e del tipo x(t) = A cos t + B sen t e y(t) = A sen t + B cos t, con le p
condizioni
x(0) = e y(0) = 0. Si trova finalmente x(t) = cos(t) e y(t) = sen (t), essendo = x2 + y 2 .
u(0)
2
Lintegrazione di du
e ci interessano i valori di x 0
dt = u fornisce u(t) = 1 u(0) t . Ora poich
2
e di y 0, la scelta t = arccos x con 0 t /2 `e quella adatta. Allora varr`a u(t) =
e
1 2 t
quindi
u(x, y) =
x2 + y 2
1 (x2 + y 2 ) arccos
x2 +y 2
Si trova immediatamente che u(x, 0) = x2 (si ricordi che arccos(1) = 0). Per comodit`a di scrittura,
indichiamo con D il denominatore della frazione che rappresenta u(x, y). Allora si trova
2
2
u = 2x + y(x + y )
x
D22
2y
x(x
+ y2)
u
=
.
x
D2
p
`
Converr`a ricordare, per evitare errori, che, nel campo di variabilit`a considerato, y 2 = y. E
allora facile riconoscere che
y
u
u
(x2 + y 2 )2
x
=
= u2
x
y
D2
97
u
u
+ 2y
= u
x
y
u
u
x
=u
x
y
u
u
2x
= u2
x
y
u
u
+x
=u
x
y
u
u
+ 4x
=u
x
y
98
2.7
Il Teorema di CauchyKovalevskaja
Fino ad ora ci siamo occupati solamente della teoria delle equazioni del primordine. Cerchiamo
di capire che cosa accade se da unequazione si passa ad un sistema di N equazioni in N funzioni
incognite delle n + 1 variabili indipendenti (t, x1 , . . . , xn ). Supporremo inoltre che il sistema sia
dato in forma normale.
k uj
ni ui
=
f
(t,
x
,
.
.
.
,
x
,
u
,
.
.
.
,
u
,
.
.
.
,
, . . .)
i
1
n
1
N
tni
tk0 xk11 . . . xknn
(2.32)
(2.33)
Il problema di Cauchy per il sistema (2.32) consiste nel trovare una soluzione soggetta alle condizioni
iniziali (2.33).
Prima di passare allenunciato del Teorema di CauchyKovalevskaja1 definiremo la nozione di funzione analitica di pi`
u variabili. Diremo che una funzione F (z1 , z2 , . . . , zm ) di m variabili complesse `e
0 ) se essa `
e somma di una serie di potenze multiple,
analitica in un intorno di un punto (z10 , z2o , . . . , zm
0
convergente per valori sufficientemente piccoli di |zj zj |:
F (z1 , z2 , . . . , zm ) =
0 km
Ak1 ,...,km (z1 z10 )k1 (zm zm
) .
(2.34)
k1 ,...,km
1
k1 +k2 +...+km F
( k1
)
.
km (zj =zj0 )
k1 ! . . . km ! z1 z2k2 . . . zm
99
Teorema 2.7.1 [di CauchyKovalevskaja.] Si supponga che tutte le funzioni fi di (2.32) siano
analitiche in un intorno del punto
(t = 0, x01 , . . . , x0n , . . . , 0j,k0 ,k1 ,...,kn , . . .)
dove si `e posto
0j,k0 ,k1 ,...,kn
=(
kk0 kj 0
xk11 . . . xknn
)(xi =x0 ) ,
i
(k)
e che tutte le funzioni j siano analitiche in un intorno di (x01 , . . . , x0n ). Allora il problema di
Cauchy ha una e una sola soluzione analitica in un intorno del punto (t = 0, x01 , . . . , x0n ).
La dimostrazione del teorema si basa su unabile generalizzazione del metodo usato da Cauchy
per dimostrare lesistenza e unicit`
a della soluzione analitica per un sistema dequazioni ordinarie,
metodo detto della maggiorante. Non dimostreremo tale teorema. Tuttavia, per comprendere il
procedimento che si segue nel determinare la soluzione, illustreremo un procedimento simile in un
caso semplificato.
Sia data unequazione del primordine in forma normale
u
u
= f (t, x, u,
)
t
x
(2.35)
e si voglia trovare quella funzione u(t, x) tale che u(0, x) = (x), per a x b. La linea portante
i dati `e il segmento [a, b] dellasse x. Ammettiamo che u(t, x) esista e sia sviluppabile in serie
` a priori, unipotesi diversa da quella
di Taylor rispetto a t, con coefficienti dipendenti da x. E,
dellanaliticit`
a della funzione f (t, x, u, p) e di (x). Pu`o essere implicata da questultima se siamo
in grado di riordinare le serie rispetto a t, sommando ogni singolo termine in x.
Allora
u(t, x) =
X
nu
n=0
tn X
tn
(x,
0)
=
g
(x)
.
n
tn
n!
n!
(2.36)
n=0
Vediamo come si possano determinare le funzioni incognite gn (x). Innanzi tutto g0 (x) = (x), e
inoltre
k g0
k
k u
(x,
0)
=
=
.
xk
xk
xk
u
Per determinare g1 (x) =
(x, 0), abbiamo a disposizione lequazione (2.36), nella quale si ponga
t
t = 0:
g1 (x) = f (0, x, (x), 0 (x)) .
k+1 u
(k)
(x, 0) si calcolano come g1 (x). Per ottenere la derivata
xk t
seconda rispetto a t, deriveremo lequazione data rispetto a t (naturalmente ci`o `e giustificato dal
fatto che supponiamo f analitica).
2u
f (t, x, u, p) f u f 2 u
=
+
t2
t
u t
p tx
100
dove p =
u
x .
Per t = 0 si trova
2u
f (0, x, , 0 ) f
f 0
(0, x) = g2 (x) =
+
g1 (x) +
g (x) .
2
t
t
u
p 1
2.8
Studieremo il caso di unequazione quasi lineare particolare, detta equazione di Burger, mostrando
come, nel caso dequazioni non lineari, la discontinuit`a dei dati iniziali si propaghi nel tempo. Inoltre
mostreremo come, in certi casi, dati iniziali non discontinui diano luogo a soluzioni che manifestano
discontinuit`a (dette onde durto). Questo fatto mette in evidenza che lesistenza di una soluzione
locale affermata nel teorema (2.4.1) `e effettivamente locale e non `e estendibile indefinitamente nel
tempo anche in presenza di funzioni lisce.
` data lequazione
Consideriamo il seguente problema ai valori iniziali. E
u
u
+u
=0 ,
t
x
(2.37)
1
2
se
se
x<0
x>0
(2.38)
Si osservi che la funzione non `e estendibile ad una funzione continua su tutto R. Diremo brevemente
che il dato iniziale `e discontinuo. Il sistema caratteristico `e
dx
dt = u
(2.39)
du
= 0 .
dt
(Abbiamo identificato t con la coordinata corrente lungo la caratteristica. Daltra parte, chiamando
dt
s la coordinata corrente della caratteristica, la prima equazione del sistema caratteristico `e
=1
ds
e quindi t = s s0 , cio`e t coincide con s, a meno di una costante). Dunque la funzione u `e costante
lungo ogni caratteristica. Precisamente vale costantemente 1 lungo le caratteristiche uscenti dai
punti x(0) < 0 e vale 2 lungo le caratteristiche uscenti dai punti x(0) > 0. Tenuto conto di ci`
o,
x(t) = u(x(0))t + x(0). Le linee caratteristiche uscenti dai punti = x(0) < 0 sono x(t) = t + se
< 0, sono x(t) = 2t + , se > 0. Cio`e u(x, t) = 1, se = x t < 0, u(x, t) = 2, se x 2t > 0.
Tenendo conto che t > 0, ci`
o si pu`
o anche scrivere
1 se t < 1
u(x, t) =
(2.40)
2 se x > 2 .
t
101
x
Quando 1 2 la soluzione non `e definita. Possiamo estendere in modo continuo la soluzione
t
imponendo che valga xt nella zona in cui non `e individuata dal valore iniziale. Ci`o equivale a pensare
x
= , con
che dal punto x(0) = 0, t = 0 escano infinite caratteristiche ognuna avente equazione
t
1 2.
<1
1 se
x
t x
se 1 2
u(x, t) =
(2.41)
t
t
2 se
>2 .
t
Una situazione di questo tipo, nella quale le linee caratteristiche si distanziano una dallaltra, si
dir`a unonda di rarefazione.
Consideriamo invece una situazione opposta nella quale le linee caratteristiche tendano ad accavallarsi e sovrapporsi, situazione che si dir`a onda durto. Consideriamo la stessa equazione di
Burger
u
u
+u
=0 ,
t
x
con la condizione iniziale
u(x, 0) =
2
1
se
se
se
se
x<0
x>0
<0
>0
(2.42)
Esse portano i valori 2 e rispettivamente 1 per u(x, t). Se x > t uno stesso punto del piano viene
raggiunto da entrambe le caratteristiche e sostanzialmente non possiamo decidere quale sia il valore
da attribuire alla soluzione in quel punto. Si pu`o concludere che, essendo in presenza di dati discontinui, la descrizione del fenomeno fatta con il calcolo differenziale non `e pi`
u adeguata. Dovremo
modificare la modellizzazione del fenomeno, passando ad una formulazione integrale, per trovare
una soluzione soddisfacente.
Pi`
u in generale, sia data lequazione
u
u
+ c(u)
=0 ,
t
x
(2.43)
(2.44)
Lequazione della caratteristica uscente dal punto x(0) `e x(t) = f (x(0)) t + x(0). Supponiamo che
le caratteristiche per due punti vicini x(0) e x(0) + x si incontrino. Allora avremo
x1 (t) = c(f ())t +
(2.45)
x2 (t) = c(f ( + x))t + + x .
102
Le due linee si incontrano se c(f ( + x)) < c(f ()), per x > 0. Lincontro avviene al tempo
x
t=
. Se prendiamo il limite per x 0, si trova che lincontro avviene
c(f ( + x)) c(f ())
al tempo
t=
1
c0 (f ()) f 0 ()
(2.46)
ammesso che c(u) e f () siano derivabili, cosa che supporremo senzaltro. Affinche sia t > 0 come
devessere, dovr`
a verificarsi dunque che c0 (f ()) f 0 () < 0. Dunque, anche in presenza di dati
iniziali derivabili con continuit`
a, pu`
o verificarsi lincontro di caratteristiche e quindi linsorgere di
onde durto. Per esempio, se `e data lequazione usuale
u
u
+u
=0 ,
t
x
con la condizione iniziale
u(x, 0) = x
x
t1
Si constata che tutte le linee caratteristiche passano per t = 1; la soluzione non `e definita in t = 1.
A partire da quellistante si sviluppa unonda durto. Ci`o `e in accordo con il fatto che c(u) = u e
dc(f ())
f () = . Perci`
o
= 1 e quindi si ottiene, in accordo con la (2.41), t = 1 come istante
d
nel quale si sviluppa londa durto. Londa durto ha equazione t = 1. Si noti infatti che passando
attraverso questa linea, in corrispondenza ad un valore x0 6= 0 della coordinata x, si passa dal valore
di u x0 al valore x0 , con un salto di valore 2 |x0 | ; qui = |t 1| e si passa da (x0 , 1 ) a
(x0 , 1 + ).
Se il dato iniziale `e gi`
a discontinuo, londa durto si sviluppa sin dallistante t = 0. Vediamo come
si possa definire la posizione dellonda durto (ossia della discontinuit`a della soluzione). Diciamo
xu (t) la posizione della discontinuit`
a, e siano < xu (t) < . Supponiamo che lequazione di Burger
q(u)
si possa scrivere in forma conservativa, cio`e che il termine c(u) u
x si possa scrivere come x . La
forma differenziale dellequazione
u q(u)
+
=0 ,
t
x
`e adeguata quando u(x, t) `e funzione continua e derivabile con continuit`a delle sue variabili. In
Z
Z
d
u
particolare
u(x, t) dx =
dx se u e u
o non vale, la forma corretta
t sono continue. Se ci`
dt
t
u(x, t) dx +
q(u)
=0 .
x
103
Se indichiamo con ul =
Z
xu (t)
lim
xu (t)
u(x, t) e con ur =
u
dx + ul x0u (t) +
t
xu (t)
lim
xu (t)+
u
dx ur x0u (t) + q(u(, t)) q(u(, t)) = 0
t
Se indichiamo con [u] = ur ul e con [q] = q(ur ) q(ul ) i salti delle ripettive quantit`a attraverso
londa durto, tenendo conto che gli integrali da a xu (t) e da xu (t) a tendono a 0 per xu (t)
e per xu (t), si ottiene
ul x0u (t) ur x0u (t) + q(ur ) q(ul ) = 0
e quindi
x0u (t) =
[q]
[u]
(2.47)
Si noti che quanto sopra discusso vale purche u(x, t) sia continua con le sue derivate prime per (x, t)
nel dominio della funzione, separatamente per x < xu (t) e per x > xu (t), rispettivamente.
Nel caso del quale ci siamo di sopra occupati, avente condizione iniziale
2 se x < 0
u(x, 0) =
1 se x > 0 ,
u2
3
3
3
avremo ur = 1, ul = 2 e quindi [u] = 1; q(u) =
e [q] = . Dunque x0u (t) = e xu (t) = t.
2
2
2
2
Definita la posizione dellonda durto nel tempo, avremo finalmente una descrizione completa della
soluzione come segue
2 se x < t
2
u(x, t) =
(2.48)
1 se x > 3 t .
2
2.9
Procederemo alla classificazione delle equazioni del secondordine in due variabili indipendenti.
Supporremo, per semplicit`
a, che i coefficienti dellequazione siano costanti. La forma generale
dellequazione `e dunque del tipo
a uxx + 2b uxy + c uyy + d ux + e uy + f u = g(x, y) ,
(2.49)
104
(2.50)
Dunque L: C 2 (A) C 0 (A) `e un operatore lineare, come facilmente si verifica. Conviene anche
u
introdurre gli operatori differenziali Dx u := u
x e Dy u := y . Allora, avremo L = a Dx Dx +
2b Dx Dy + c Dy Dy . Alloperatore L si pu`o associare il polinomio caratteristico
F () = a 2 + 2b + c .
(2.51)
Se 1 e 2 sono le radici del polinomio caratteristico, `e ben noto che esso si pu`o fattorizzare come
segue: F () = a ( 1 ) ( 2 ). Si pu`o pensare ad unanaloga fattorizzazione delloperatore L.
L = a(Dx 1 Dy )(Dx 2 Dy ) .
Ci`o sar`a giustificato se accade che a(Dx 1 Dy )(Dx 2 Dy )u = a(Dx 2 Dy )(Dx 1 Dy )u, cosicche
non importa in quale ordine i due operatori lineari vengano applicati. Ma `e facile verificare che i
due operatori sono permutabili e che quindi noi potremo accettare la fattorizzazione di L, quale
che sia lordine dei due fattori lineari. Osserviamo poi che se (Dx 1 Dy )u = 0 allora L(u) = 0; lo
stesso accade se (Dx 2 Dy )u = 0. Lequazione
(Dx 1 Dy )u = 0
ha il sistema caratteristico
dx
dt
= 1
dy
dt
= 1
= y + 1 x
(2.52)
= y + 2 x .
Posto u(x, y) = u
((x, y), (x, y)), cio`e pensando u come funzione di x e y attraverso la dipendenza
di e da x, y, si ottiene
= u
x + u
x = u
1 + u
2
u
y + u
y = u
+ u
105
Dx = 1 D + 2 D
Dy = D + D
(2.53)
E dunque
Dx 1 Dy = (2 1 )D ,
Dx 2 Dy = (1 2 )D .
Finalmente, si ottiene
L(u) := a (2 1 )2 D D u .
Se 2 = 1 6= 0, la sostituzione da fare `e invece
= y + 1 x
= y
(2.54)
(2.55)
Si trova allora
Dx = 1 D
Dy = D + D
e
L(u) := a 21 D D u .
(2.56)
Se 1 = 2 = 0, L(u) = a Dx Dx , `e gi`
a in forma ridotta.
Definizione . Diremo che loperatore differenziale L `e iperbolico se b2 ac > 0; in questo caso 1
e 2 sono due numeri reali e distinti.
L si dir`a ellittico se b2 ac < 0; in questo caso 1 e 2 sono due numeri complessi e coniugati.
L si dir`a parabolico se b2 ac = 0; in questo caso 1 = 2 .
106
(2.57)
Rispetto alle nuove variabili introdotte, che ora continuerema a indicare con x e y per comodit`
a,
lequazione di partenza L(u) + dDx u + eDy u + f u = g(x, y) assuner`a nei casi considerati le seguenti
forme
uxy + ux + uy + u
= f (x, y) (caso iperbolico)
uxx + uyy + ux + uy + u = f (x, y) (caso ellittico)
uyy + ux + uy + u
= f (x, y) (caso parabolico) .
(2.58)
2.10
(2.59)
Consideriamo la pi`
u semplice delle equazioni paraboliche a coefficienti costanti e omogenea
u
2u
=
,
t
x2
(2.60)
che si dir`a lequazione del calore in una variabile spaziale. Per questequazione considereremo il
seguente problema misto (cio`e ai valori iniziali e al contorno). Trovare una soluzione dellequazione
(2.60) che soddisfa inoltre le seguenti condizioni iniziali e al contorno, per (x, t) [0, l] [0, +[
u(x, 0) = g(x), 0 x l
u(0, t) = f1 (t), t 0
(2.61)
u(l, t) = f2 (t), t 0 .
Indicheremo con Q = {(x, t): 0 x l, t 0}, con QT = {(x, t): 0 x l, 0 t T } e con
T = {0} [0, T ] [0, l] {0} {l} [0, T ]. Consideremo poi il problema di determinare una
soluzione di (2.60) nei punti interni di QT , con condizioni iniziali e al contorno quali sono date in
107
(2.61), ma limitate ai valori 0 t T . Supporremo inoltre che g(x), f1 (t), f2 (t) siano funzioni
continue e che inoltre g(0) = f1 (0) e g(l) = f2 (0).
Dal punto di vista fisico il problema si pu`o interpretare come quello di determinare la distribuzione di temperatura allinterno di una barra omogenea di lunghezza l data, essendo assegnata
la distribuzione di temperatura iniziale g(x) ed essendo assegnate le temperature f1 (t) e f2 (t) ai
` chiaro che sono state scelte opportune unit`a di misura per il tempo e
due estremi della barra. E
lo spazio, affinche i vari coefficienti che intervengono nella formulazione fisica del problema diano
u
luogo a un valore unitario che moltiplica il termine
. Condizioni al contorno pi`
u generali che si
t
possono considerare sono del tipo u(xi , t) + u
x (xi , t) = fi (t) per t 0 o per 0 t T , i = 1, 2,
con x1 = 0 e x2 = l. Qui si controlla oltre alla temperatura negli estremi della barra, anche il flusso
di calore che passa ai due estremi. Si ha il seguente importante risultato
Teorema 2.10.1 (Principio di massimo (minimo)). Se (2.60) ha una soluzione nei punti interni di
QT che soddisfa le condizioni al contorno e iniziali (2.61) ed `e continua in QT allora tale soluzione
assume il suo valore massimo (minimo) su T .
Dimostrazione. Dimostreremo il teorema per il massimo. La validit`a dellaffermazione per il
minimo si deduce da quella per il massimo passando a u e osservando che, essendo lequazione
(2.60) lineare, se u `e una soluzione, anche u lo `e; inoltre il massimo di u `e (cambiando il segno) il
minimo di u. Sia M il massimo di u(x, t) in QT e sia m il massimo di u(x, t) su T . Osserviamo che
essendo QT e T chiusi e limitati in R2 e quindi compatti, ed essendo per ipotesi u(x, t) continua
in QT , allora tali massimi esistono. Supponiamo, per assurdo, M > m e diciamo (x0 , t0 ) 0 < x0 < l
e 0 < t0 T il punto in cui u(x0 , t0 ) = M . Consideriamo ora la funzione ausiliaria
v(x, t) = u(x, t) +
M m
(x x0 )2 .
4l2
(2.62)
(2.63)
Ma il calcolo diretto, in base alla definizione (tenendo conto che u(x, t) `e soluzione della (2.60)) ci
d`a
v
2v
u 2 u M m
M m
2 =
2
=
< 0.
t
x
t
x
2l2
2l2
(2.64)
Questa contraddizione nasce dal supporre che sia M > m. Dunque deve essere M = m e quindi il
massimo della soluzione si raggiunge in T . Analogamente si procede per il minimo.
Seguono i seguenti due immediati corollari
108
Corollario 2.10.2 La soluzione di (2.60) e (2.61) dipende in modo continuo dai dati iniziali e al
contorno.
Dimostrazione. Supponiamo che siano assegnati valori iniziali e al contorno g ? , f1? , f2? tali che
|g(x) g ? (x)| < , per 0 x l e |f1 (t) f1? (t)| < , |f2 (t) f2? (t)| < per 0 t T . Detta
u? (x, t) la soluzione relativa ai dati modificati ? , anche u u? `e una soluzione dellequazione (2.60),
avente come dati la differenza dei due. Per il principio di massimo (minimo) `e allora evidente che
|u? (x, t) u(x, t)| < (x, t) QT .
Osservazione 2.10.2 Il principio di massimo (minimo) `e vero, e si dimostra con lo stesso ragionamento, anche se lequazione `e quella pi`
u generale
u
= u ,
t
(2.65)
verificata per (x, t) punto interno di QT = [0, T ] con Rn aperto limitato semplicemente
connesso avente frontiera sufficientemente liscia,
u =
2u
2u
+
.
.
.
+
,
x2n
x21
x,
(2.66)
e al contorno
u(y, t) = f (y, t)
Qui f e g si suppongono funzioni continue.
y , 0 t T .
(2.67)
109
Definizione. Un problema ai valori iniziali e al contorno si dice ben posto secondo Hadamard se
esso ammette una e una sola soluzione dipendente in modo continuo dai dati.
Abbiamo verificato che, per il problema (2.60) con le condizioni iniziali e al contorno (2.61), la
soluzione se c`e `e unica e dipende in modo continuo dai dati. Non abbiamo ancora dimostrato
lesistenza della soluzione. Lo faremo ora con il metodo di Fourier della separazione delle variabili,
che per`o `e applicabile solo se le condizioni al contorno sono omogenee. Con metodi che verranno
sviluppati in seguito, questa limitazione potr`a essere eliminata. Tuttavia, in alcuni casi particolari,
la limitazione stessa pu`
o essere superata in modo elementare.
Si supponga di conoscere una funzione v(x, t) che soddisfa la (2.60) e tale che inoltre v(0, t) =
f1 (t) e v(l, t) = f2 (t) (nulla si chiede sui valori iniziali). Allora, se u(x, t) `e una soluzione del
problema completo di condizioni iniziali e al contorno, w(x, t) = u(x, t)v(x, t) soddisfa lequazione
differenziale, condizioni al contorno omogenee: w(0, t) = w(l, t) = 0 e condizioni iniziali w(x, 0) =
g(x) v(x, 0). Quindi se sappiamo trovare una soluzione del problema con condizioni al contorno
omogenee, u(x, t) = w(x, t) + v(x, t) `e la soluzione del problema assegnato. In particolare, se
T2 T1
f1 (t) = T1 = cost e se f2 (t) = T2 = cost, v(x, t) =
x + T1 soddisfa le condizioni al contorno
l
v(x, t)
e, banalmente, lequazione differenziale (
= 0 e v(x, t) = 0).
t
Teorema 2.10.2 Data lequazione differenziale (2.60) e le condizioni iniziali e al contorno
u(x, 0) = g(x), 0 x l
u(0, t) = 0, t 0
(2.68)
u(l, t) = 0, t 0 ,
esiste una soluzione se g(x) si suppone continua con derivata prima a tratti continua (g 0 (x) `e
continua tranne che in un numero finito di punti, nei quali esistono finiti i limiti della derivata da
destra e da sinistra).
Dimostrazione. Cerchiamo una soluzione a variabili separate, cio`e una funzione del tipo
u(x, t) = X(x) T (t) ,
prodotto di una funzione della sola x e di una della sola t. Per unequazione di questo tipo,
lequazione differenziale si scrive
X(x) T 0 (t) X 00 (x) T (t) = 0
Poiche cerchiamo una soluzione che non sia identicamente nulla, supporremo che per qualche x e
per qualche t siano X(x) 6= 0 e T (t) 6= 0. In un intorno dei punti detti, potremo dividere i due
membri dellequazione per X(x) T (t), ottenendo
T 0 (t) X 00 (x)
=0 ,
T (t)
X(x)
110
ossia
Infatti poiche abbiamo una funzione della sola t che uguaglia una funzione della sola x, il valore
comune delle due funzioni `e una costante (reale). Relativamente alla funzione X(x) deve valere
lequazione
X 00 (x) X(x) = 0 ,
con le condizioni al contorno X(0) = X(l) = 0. A seconda dei valori di si trovano le seguenti
soluzioni.
(c) Se
< 0, si trova infine X(x) = A cos(x ) + B sen(x ). X(0)
= A = 0 e X(l) =
B sen(l ) = 0; questultima equazione ha soluzione con B 6= 0, se l = k, k N+
(prendendo tutti i valori interi relativi di k, nulla si aggiunge alla generalit`a della soluzione). Dunque
k2 2
troviamo soluzioni non identicamente nulle in corrispondenza ai valori = 2 , che si dicono
l
gli autovalori del problema al contorno considerato per lequazione differenziale ordinaria. Ogni
funzione del tipo
k
Xk (x) = Bk sen( x) k = 1, 2, . . .
l
k2 2
`e soluzione dellequazione Xk00 (x) + 2 Xk (x) = 0, con Xk (0) = Xk (l) = 0. Poiche il valore di `e
l
ora determinato, dobbiamo trovare una funzione di t che soddisfi
Tk0 (t) =
Si trova immediatamente Tk0 (t) = Ck e
k2 2
t
l2
k2 2
Tk (t)
l2
. In definitiva
k2 2
k
x) e l2 t
l
Ovviamente una somma di un numero finito di tali soluzioni `e ancora soluzione dellequazione
differenziale, non pi`
u a variabili separate, che soddisfa le condizioni dannullamento al contorno.
Cerchiamo di capire sotto quali condizioni la somma della serie corrispondente rappresenti una
soluzione dellequazione data, che soddisfa le condizioni al contorno; cercheremo inoltre dimporre
che pure la condizione iniziale sia soddisfatta da questa serie. Se supponiamo che i coefficienti ck
siano limitati (cio`e che sia |ck | M , k = 1, 2, . . .), la serie
X
k=1
ck sen(
k2 2
k
x) e l2 t
l
111
ck sen(
k=1
k2 2
k
x) e l2 t
l
(2.69)
fornisce una soluzione continua insieme con le sue derivate rispetto a x e a t in 0 < x < l e t > 0.
Inoltre la funzione u(x, t) `e continua anche sulla frontiera e vale 0 in x = 0 e in x = l. Resta da
stabilire il comportamente della serie per t che tende a 0. Se si pone t = 0 in (2.69), e si impone
che u(x, 0) = g(x), si trova
u(x, 0) = g(x) =
ck sen(
k=1
k
x) .
l
(2.70)
Usando, per esempio, la trasformata di Laplace, si pu`o dimostrare che lequazione del calore
u
2u
=
,
t
x2
x R,t > 0
(2.71)
(2.72)
ha la soluzione
1
u(x, t) =
2 t
g() e
(x)2
4t
(2.73)
112
2.11
Considereremo un tipico problema per la seguente semplice equazione ellittica in due variabili
indipendenti a coefficienti costanti
2u 2u
+ 2 =0
x2
y
(x, y) R2
(2.74)
dove `e un aperto semplicemente connesso limitato, avente frontiera che `e una curva di Jordan
(cio`e `e continua, a variazione limitata, semplice, chiusa) con la condizione al contorno
u(x, y) = f (x, y)
(x, y)
(2.75)
Qui f (x, y) `e una funzione continua. Il problema che ci siamo posti si dice un problema di Dirichlet
interno. Consiste dunque nel determinare una funzione armonica nellaperto , noto che sia il suo
valore f sulla frontiera , con f funzione continua. Nel caso specifico, di dimensione 2, possiamo
prendere un aperto con frontiera di tipo molto generale (cio`e facendo una richiesta di regolarit`
a
molto blanda per la frontiera stessa). In dimensione superiore, supporremo che valga u = 0
in e u = f su , essendo f continua e ipersuperficie a tratti liscia. Con ci`o si intende
che `e composta da un numero finito di parti, ognuna congruente al grafico di una funzione
xn = g(x1 , . . . , xn1 ), con g continua e con derivate prime continue. Se g ha anche derivate seconde
continue, si dice che ha curvatura continua a tratti. Si noti infine che per stabilire lesistenza
della soluzione, sono in generale necessarie ulteriori condizioni di regolarit`a sul dato al contorno
f (per esempio che f abbia derivate continue fino allordine tre in ), condizioni che, in un
momento successivo, si possono rimuovere. Loperatore
u(x1 , . . . , xn ) =
2u
2u
+
.
.
.
+
x2n
x21
(2.76)
si dice laplaciano o operatore di Laplace. Accanto al problema di Dirichlet interno, c`e quello detto
esterno. Consiste nel trovare u(x1 , . . . , xn ) tale che u = 0 in Rn \ con la condizione u = f su
. Anche qui si suppone che sia un aperto semplicemente connesso e limitato. Per cominciare,
supporremo che u(x, y) abbia solo due variabili indipendenti. Come per lequazione del calore,
possiamo stabilire il seguente
M m
((x x0 )2 + (y y0 )2 ) ,
2d2
(2.77)
113
M m
M +m
=
<M
2
2
(2.78)
Dunque anche v(x, y) assume il suo valore massimo in un punto interno (x1 , y1 ) . In quel punto
2v
2v
sar`a
+
0, trattandosi di punto di massimo. Daltra parte, calcolando direttamente, in
x2
y 2
(x1 , y1 ) vale
2v
2v
2u 2u
M m
M m
+
=
+ 2 +2
=2
>0
2
2
2
2
x
y
x
y
d
d2
(2.79)
Abbiamo ottenuto una contraddizione. A questa contraddizione siamo giunti supponendo M > m.
Deve perci`o essere M = m e dunque il valore massimo di u(x, y) si raggiunge sulla frontiera. Lo
stesso vale per il minimo.
Osservazione 2.11.1 Nulla cambia nella dimostrazione se si considera il caso di una funzione di
n variabili indipendenti.
Corollario 2.11.1 Se u1 e u2 sono soluzioni dello stesso problema di Dirichlet interno, allora
u1 = u2 .
Dimostrazione. Infatti, in questo caso, u(x1 , . . . , xn ) = u1 (x1 , . . . , xn ) u2 (x1 , . . . , xn ) `e una
soluzione di u = 0 con u = 0 su . Per il principio di massimo (e di minimo) si ottiene perci`
o
0 u1 (x1 , . . . , xn ) u2 (x1 , . . . , xn ) 0 (x1 , . . . , xn )
(2.80)
(x1 , . . . , xn )
(2.81)
114
Teorema 2.11.2 Sia = {(x, y): x2 + y 2 < 1} e sia f () una funzione continua con derivate
prime continue, per 0 2, con f (0) = f (2). Allora il problema di Dirichlet
u
= 0 (x, y)
u(x, y) = f (x, y) (x, y)
(2.82)
u
u
u sen()
=
cos()
u
u
u cos()
=
sen() +
e ulteriormente
2u
u sen() cos()
2 u sen() cos()
2u
2
=
cos
()
+
2
x2
2
2
2
sen () u sen () 2 u
2
2
2u
2u
u sen() cos()
2 u sen() cos()
2
=
sen
()
+
2
y 2
2
2
2
cos () u cos () 2 u
+
2
2
e, finalmente,
u =
2u 2u
2 u 1 u
1 2u
+
=
+
.
x2
y 2
2
2 2
(2.83)
2 u 1 u
1 2u
+
= 0,
2
2 2
(2.84)
115
0 2 .
(2.85)
Si noti che, affinche la funzione f (x, y) sia continua sul bordo, `e necessario che sia f (0) = f (2).
Cerchiamo se ci sono soluzioni a variabili separate. u(, ) = R() T (). Dovranno soddisfare
lequazione
R00 () T () +
1
1
R0 () T () + 2 R() T 00 () = 0 ,
(2.86)
T ()
(2.87)
cio`e
2
R00 ()
R0 ()
T 00 ()
+
=
.
R()
R()
T ()
(2.88)
Il primo membro di (2.88) `e funzione solo di , il secondo solo di . Affinche essi siano uguali
debbono assumere un valore costante, . Ci riduciamo perci`o alla soluzione delle seguenti due
equazioni
T 00 () + T () = 0 ,
T (0) = T (2) ,
(2.89)
e
2 R00 () + R0 () R() = 0 .
(2.90)
(2.91)
che ha soluzioni del tipo . Si trova che i possibili valori di sono n, e, poiche vogliamo che la
soluzione sia definita anche per = 0, resta solo il valore = n. Dunque le soluzioni a variabili
separate sono del tipo un (, ) = n (an cos(n) + bn sen(n)). Ripetendo le considerazioni gi`
a
fatte, cercheremo la soluzione in forma di una serie
u(, ) =
a0 X n
+
(an cos(n) + bn sen(n)) .
2
(2.92)
n=1
Se supponiamo, come faremo, che i coefficienti an e bn siano limitati da una costante positiva M ,
allora la serie converge in ogni punto interno al cerchio, poiche per 1 < 1 la serie dei moduli
`e maggiorata dalla serie numerica convergente
2M
X
n=1
n1 .
116
Si vede inoltre facilmente che sono uniformemente convergenti le serie derivate a termine a termine
rispetto a due volte e rispetto a due volte. Per larbitrariet`a di 1 < 1 la funzione u(, ) cos`
ottenuta come somma della serie, `e armonica in < 1. Ponendo = 1 si ottiene
a0 X
+
(an cos(n) + bn sen(n)) .
2
u(1, ) =
(2.93)
n=1
Z
0
Z
1 2
f () d , an =
f () cos(n) d ,
0
Z
1 2
bn =
f () sen(n) d ,
0
(2.94)
|u(1, )|
|a0 | X
+
(|an | + |bn |) ,
2
n=1
a0 X n
+
(an cos(n) + bn sen(n))
2
n=1
Z 2
Z 2
1X n
1
f () d +
{
cos(n) cos(n)f () d
=
2 0
0
n=1
Z 2
+
sen(n) sen(n) d}
0
Z
2
X
1
=
f (){1 + 2
n cos n( )} d .
2 0
u(, ) =
n=1
Si `e potuto integrare a termine a termine per la convergenza uniforme della serie per 1.
Osserviamo che n cos(n) = <(n ein ) = <(z n ), se z = ei . Perci`o, se < 1
1+2
cos(n) = 1 + 2
n=1
cos(n) = 1 + 2<(
n=0
zn)
n=0
1 cos()
1 2
1
= 1 + 2
=
.
1 + 2<
1z
1 + 2 2 cos()
1 + 2 2 cos()
Allora, per < 1 si trova
u(, ) =
1
2
f ()
0
1 2
d .
1 + 2 2 cos( )
(2.95)
La formula integrale cos` ottenuta si dice la formula integrale di Poisson. Essa fornisce la soluzione
dellequazione di Laplace per < 1. Si pu`o verificare che il limite al quale tende lintegrale `e proprio
117
f (t, s)
0
r 2 2
3
(r2 + 2 2r cos ) 2
sen t dt ds ,
(2.97)
dove `e langolo compreso tra i vettori aventi origine in (0, 0, 0) e vertici ( sen cos , sen sen, cos ),
con 0 e 0 2, e (r sen s cos t, r sen s sen t, r cos s), con 0 s e 0 t 2.
Dalla formula di Poisson si deduce immediatamente il seguente
Teorema 2.11.3 (Teorema della media.) Una funzione armonica in un cerchio C e continua
sulla sua chiusura C, assume nel centro di C un valore che `e la media integrale dei valori sulla
circonferenza di C.
Dimostrazione. Basta porre = 0 nella formula (2.96) (o rispettivamente (2.97) ), per ottenere
1
u(0, ) =
2
Z
0
1
f (r) d =
2
u(r, ) d ,
(2.98)
o, rispettivamente
1
u(0, , ) =
4
2 Z
Nel caso di funzioni di due variabili indipendenti, si pu`o utilizzare la teoria delle funzioni olomorfe e,
in particolare, il Teorema di Riemann, per tradurre lesistenza di una funzione armonica allinterno
di un cerchio di raggio unitario e centro nellorigine con assegnato valore continuo al bordo, nellesistenza di una funzione armonica allinterno di una curva di Jordan, con assegnato valore continuo
sulla curva stessa.
Oltre al problema interno di Dirichlet di cui ci siamo occupati, si possono considerare per lequazione
di Laplace il problema esterno di Dirichlet, e i problemi interno ed esterno di Neumann.
118
(2.99)
u(x) = f (x) x
(2.100)
tale che
Teorema 2.11.4 Sia u(x, y) una soluzione del problema di Neumann (interno)
u = 0 (x, y)
(2.101)
(2.102)
Allora si ha
Z
g(s) ds = 0
(2.103)
Dimostrazione. Infatti si ha
ZZ
Z
Z
2u 2u
u
u
u
0=
( 2 + 2 ) dxdy =
(
dy
dx) =
ds
y
y
x
+ x
+ ne
.
Teorema 2.11.5 Se u1 e u2 sono due soluzioni del problema di Neumann (2.101), (2.102), esse
differiscono per una costante.
ZZ
u
u
dy
+ x
ZZ
(
u 2
) dxdy
x
119
2u
e quindi
y 2
Z
ZZ
ZZ
u
u
u
2u 2u
u
(( )2 + ( )2 ) dxdy
ds
u( 2 + 2 ) dxdy =
0=
x
y
y
+ ne
x
Poiche
u
= 0, resta
ne
ZZ
((
e quindi (
u 2
u
) + ( )2 ) dxdy = 0 ,
x
y
u 2
u
) + ( )2 = 0. Dunque u(x, y) = u1 (x, y) u2 (x, y) = costante.
x
y
Una funzione u(x, y) si dice coniugata di una funzione v(x, y) se sono soddisfatte le condizioni
u
x
v
y
u
y
v
x
Poniamo f (s) =
Rs
s0
= 0 (x, y)
u
ne
= g (x, y) .
= f (x, y) .
Infine notiamo che il problema di Cauchy `e mal posto per le equazioni ellittiche. Sia data lequazione
2u 2u
+ 2 =0
x2
y
(x, y) R2 ,
120
sen(ny)
con le condizioni iniziali in x = 0, u(0, y) = 0, ux (0, y) =
, con n, k interi > 0. Si trova
nk
facilmente la soluzione
1
u(x, y) = k+1 sen(ny)senh(nx) .
n
Ora |ux (0, y)| 1/nk , e quindi si pu`
o rendere piccola a piacere, pur di prendere n opportunamente
grande. La soluzione invece, anche se x `e piccolo quanto si vuole, purche non nullo, pu`o assumere
valori grandi a piacere, se n `e sufficientemente grande. Dunque unoscillazione comunque piccola
nei dati iniziali viene amplificata senza limite nella soluzione.
2.12
La modellizazione di molti fenomeni di tipo diverso (propagazione di onde elastiche nei solidi, di
onde sonore nei fluidi, di onde elettromagnetiche) conduce alla considerazione di unequazione di
tipo iperbolico, detta equazione delle onde, accompagnata da opportune condizioni iniziali e al
contorno. In particolare noi considereremo il seguente problema detto della corda vibrante, che,
sotto opportune condizioni di linearizzazione, permette di descrivere il moto di una corda tesa tra
due punti fissi e soggetta a opportune condizioni iniziali di forma e di pizzicamento. Consideremo
dunque il seguente problema: trovare la funzione u(x, t) tale che
2
2u
2 u
c
= F (x, t) ,
t2
x2
accompagnata dalle condizioni iniziali
= f (x)
0 x l,
u
(x, 0) = g(x)
t
0 x l,
u(x, 0)
(2.104)
(2.105)
t 0,
u(l, t)
t 0,
(2.106)
= 0
In generale, supporremo che F (x, t) sia funzione continua delle sue variabili; supporremo che f (x) sia
funzione di classe C 2 e g(x) sia funzione di classe C 1 . Cominceremo a trattare il caso dellequazione
(2.104) omogenea, cio`e con F (x, t) identicamente nulla. Dunque cerchiamo una funzione che sia
soluzione di
2
2u
2 u
c
=0
t2
x2
(2.107)
121
si trova
2u
x2
2u
2u
2u
+
2
+
2
2
2u
t2
2u
2u
2u
2
.
+
2
2
2u
= 0,
> 0, < l.
(2.108)
(2.109)
(x + ct) `e unonda che viaggia nella direzione dellasse x negativo (con velocit`a c) senza cambiare
forma, mentre (x ct) `e unonda che viaggia con velocit`a c nella direzione positiva dellasse x.
Imponendo che siano soddisfatte le condizioni iniziali si trova
(x) + (x) = f (x)
0xl
(2.110)
0 x l.
0xl
0 x l.
1
1
f () +
2
2c
1
1
f ()
2
2c
g(s) ds + K1 ,
0 l,
(2.111)
g(s) ds + K2 ,
0 l.
(2.112)
Ricordando la prima delle condizioni (2.110), si vede che deve essere K1 + K2 = 0, e quindi si
ottiene
Z
1
1 x+ct
u(x, t) = [f (x + ct) + f (x ct)] +
g(s) ds
(2.113)
2
2c xct
Questa `e la formula stabilita da DAlembert nel 1747, formula che per ora ha validit`a solo per
0 x + ct l, 0 x ct l. Dunque questa formula risolve il problema per la regione
122
x
lx
,t
, regione nella quale le condizioni
c
c
al contorno ancora non entrano in gioco e contano solo le condizioni iniziali. Naturalmente (2.113)
`e una soluzione classica di (2.107) solo se f C 2 (0, l) e g C 1 (0, l). Cerchiamo ora dimporre le
condizioni al contorno in x = 0 e x = l. Si trova
triangolare del piano x, t, delimitata da t 0, t
(c t) + (c t) = 0 ,
t0
(2.114)
(l + c t) + (l c t) = 0 ,
t0
(2.115)
l 0 ,
(2.116)
l 3l .
(2.117)
Infatti quando l 3l, si ha l 2l l. era definita inizialmente su [0, l]; ora viene
estesa allintervallo [0, 3l]. Riapplicando la (2.116) si ottiene dunque lestensione di sullintervallo
[3l, l], e poi, riapplicando la (2.117), si ottiene lestensione di allintervallo [0, 5l], e cos` via. . .
Riapplicando successivamente le condizioni al contorno, risulter`a definita per ogni 0 e per
ogni l. Dunque otterremo in questo modo la soluzione del problema u(x, t) = (x+ct)+(xct)
per ogni 0 x l e ogni t 0. C`e un altro modo, forse pi`
u conveniente, di tenere conto delle
condizioni al contorno. Se scriviamo esplicitamente la (2.116) otteniamo
1
1
() = f ()
2
2c
g(s) ds K ,
l 0 .
(2.118)
123
automaticamente saranno verificate in tutti i punti del tipo kl, con k Z. In questo modo si trovano
f C 2 (R) e g C 1 (R). Se f e g non forniscono una soluzione classica, non appartenendo alla
classe funzionale opportuna, tuttavia la soluzione (2.119) potr`a essere interpretata come soluzione
generalizzata, anche nel senso delle distribuzioni, come si vedr`a in altra parte del corso.
x
lx
,t<
. Allora la soluzione dipende solo dai dati iniziali
c
c
del segmento x ct x x + ct. Cambiando i valori di f e g al di fuori di questo segmento il valore
u(x, t) non cambia. Il segmento ritagliato sullasse x dalle rette di pendenza 1/c e 1/c, passanti
per (x, t), cio`e il segmento [x ct, x + ct], si dice il dominio di dipendenza del punto (x, t). Le rette
x c t = costante e x + c t = costante sono le linee caratteristiche dellequazione delle onde.
t
(x,t)
x-ct
Dominio di dipendenza
x+ct
124
Campo dinfluenza
x+ct = a
x-ct = b
Per chiarire il significato della formula di DAlembert, `e opportuno considerare il caso particolare
in cui f (x) `e non nulla solo in un intorno del punto x0 e g(x) `e nulla, come `e mostrato nella
Figura 2.3. Allora londa iniziale si suddivide in due onde di ampiezza met`a che si propagano una
lungo la direzione positiva dellasse x con velocit`a c e laltra lungo la direzione negativa dellasse
x e quindi con velocit`
a c. La situazione a un tempo t > 0, tempo nel quale i due segnali si
sono sufficientemente allontanati fra loro e non hanno ancora raggiunto gli estremi della corda, `e
mostrata nella Figura 2.4. Il segnale `e non nullo, solo in un intorno dei punti x tali che x c t x0 ,
cio`e in un intorno dei punti x1 x0 + c t e x2 x0 c t. Successivamente i due segnali vengono
riflessi agli estremi della corda, invertono il senso di marcia e interferiscono fra loro.
125
u
t=0
2.12.1
Lequazione completa
Si voglia ora risolvere lequazione completa, con lassociato problema ai valori iniziali, ma senza
tenere conto delle condizioni al contorno. Cio`e si consideri il caso di una corda di lunghezza infinita.
2
2u
2 u
c
= F (x, t) ,
t2
x2
u(x, 0)
x R,t > 0,
(2.120)
= f (x) x R ,
u
(x, 0) = g(x)
t
Con il cambiamento di variabili pi`
u volte ricordato
(2.121)
x R.
= x + ct
= x ct,
126
u
t >0
x-ct
x+ct
2u s + s
1
(
,
) ds = 2
s
2
2c
4c
F(
s+ s
,
) ds,
2
2c
cio`e
u s + s s=
1
(
,
)|s= = 2
2
2c
4c
F(
s+ s
,
) ds,
2
2c
ossia
u
1
u +
(
,
)=
(, 0) 2
2
2c
4c
F(
s+ s
,
) ds.
2
2
(2.122)
127
Ma
u
1 u
1 u
(, 0) =
(, 0)
(, 0)
2 x
2 c t
Integrando ancora una volta rispetto alla seconda variabile (), si trova
u + z z
(
,
) dz =
z
2
2c
1 u
1 u
(z, 0)
(z, 0)) dz
2 c t
2 x
Z Z
1
s+z sz
2
F(
(
,
) ds) dz.
4c
2
2c
z
u
(z, 0) = u(, 0) u(, 0) ,
x
`e
dato da x c t x + c t , cio`e
che s = x + c t, z = x c t che il dominio dintegrazione
s
z
+ c t x c t e 0 t 21c ( ) e che det|J
| = 2 c, si trova
x t
1
4 c2
Z
(
z
s+z sz
1
F(
,
) ds) dz =
2
2c
2c
Z
0
2c
c t
F (x, t) dx) ,
dt(
+c t
e, quindi
Z
+
1
1
u
u(
,
) = [u(, 0) + u(, 0)] +
(x, 0) dx
2
2c
2
2 c t
Z
Z c t
2c
1
+
dt(
F (x, t) dx) .
2c 0
+c t
Finalmente, tenendo conto dei valori iniziali, si trova
Z x+c t
1
1
u(x, t) = [f (x + c t) + f (x c t)] +
g(x) dx
2
2 c xc t
Z t
Z x+c (tt)
1
+
dt(
F (x, t) dx) .
2c 0
xc (tt)
2.12.2
(2.123)
Unicit`
a della soluzione
Consideriamo il seguente problema completo per la corda vibrante, con assegnati movimenti negli
estremi 0 e l:
2
2u
2 u
c
= F (x, t) ,
t2
x2
(2.124)
128
0 x l,
u
(x, 0) = g(x)
t
0 x l.
u(x, 0)
(2.125)
t 0,
u(l, t)
t 0.
(2.126)
= f2 (t)
Se u1 (x, t) e u2 (x, t) sono soluzioni del precedente problema, allora u(x, t) = u1 (x, t) u2 (x, t) `e
soluzione dellequazione (2.124) con le condizioni (2.125) e (2.126) omogenee, cio`e con F = f =
g = f1 = f2 = 0. Ora se
2
2u
2 u
c
= 0,
t2
x2
moltiplicando per
u
, si trova
t
1 u 2
u
2 u u
[ {( ) + c2 ( )2 }]
[c
] = 0.
t 2 t
x
x
x t
u
u
(x, 0) = 0 e u(x, 0) = 0 e quindi
(x, 0) = 0. Perci`o, per ogni T > 0 si trova
t
x
1
2
{(
0
u 2
u
) (x, T ) + c2 ( )2 (x, T )} dx = 0 ,
t
x
u
u
(x, t) = 0,
(x, t) = 0 per ogni 0 < x < l e per ogni t > 0.
t
x
Ma allora u(x, t) = costante nello stesso dominio. Poiche supponiamo che u(x, t) sia continua sulla
chiusura del precedente dominio, essa `e costante anche per 0 x l e t 0. Allora assume
il valore che ha sulla frontiera di questo dominio, in particolare per t = 0 e 0 x l; dunque,
essendo u(x, 0) = 0, `e u(x, t) = 0 per 0 x l e t 0. Dunque u1 (x, t) = u2 (x, t) per 0 x l e
t 0. Il metodo qui utilizzato per dimostrare lunicit`a della soluzione `e detto dellenergia. Infatti
1 u
u
la quantit`a {( )2 (x, t) + c2 ( )2 (x, t)} `e associata allenergia trasportata dallonda.
2 t
x
il che implica, se u C 2 , che
2.13
129
Equazioni dellidrodinamica
(2.127)
Du
= T + f ,
Dt
(2.128)
D
1
(e + u2 ) = (w q) + (r + u f ) .
Dt
2
(2.129)
Qui
3
Dh
h
h X
h
=
+ u h =
+
uk
,
Dt
t
t
xk
(2.130)
k=1
(2.131)
Du
1
= f grad p + grad (div u) + u .
Dt
3
(2.132)
130
A questequazione andr`
a in generale aggiunta unequazione di stato o complementare, che descrive
la natura del fluido e che lega fra loro pressione e densit`a, se si possono trascurare gli effetti termici.
F(p, ) = 0 .
(2.133)
Pu`o essere utile tenere presente che loperatore di derivazione euleriana si scrive anche come segue
Dui
Dt
ui X ui
+
=
uk
t
xk
ui
+
t
k=1
3
X
k=1
uk (
X uk
uk
ui
)+
,
uk
xk
xi
xi
(2.134)
k=1
e quindi
Du
Dt
=
=
u
1
+ u ( u) + ( u2 ) =
t
2
u
1
+ u (rot u) + grad ( u2 ) ,
t
2
(2.135)
dove rappresenta il prodotto vettoriale e ()u rappresenta il rotore del campo vettoriale u le
uj
uk
cui componenti i-esime sono
per i, j, k = 1, 2, 3, prese in ordine ciclico; luguaglianza si
xj
xk
riconosce facilmente con semplici calcoli formali. Si scrive u2 per indicare il quadrato del modulo
della velocit`
a, ossia il prodotto scalare del vettore u per se stesso. u2 := u u = hu, ui.
Nel caso di un fluido come lacqua, lequazione (2.133) sar`a ridotta a = costante, cio`e penseremo
allacqua come a un fluido incompribile. Questa `e una buona approssimazione per molti casi che
interessano lingegneria navale. Nel caso dei gas a temperatura costante (e sufficientemente elevata)
avremo p = ( costante opportuna), mentre in condizioni adiabatiche sar`a p = , con e
costanti opportune.
2.13.1
Considereremo il caso nel quale la viscosit`a sia trascurabile. Valori tipici del coefficiente di viscosit`
a
sono = 0, 001308 kg m1 sec1 per lacqua a 100 C e = 0, 0000176 kg m1 sec1 per laria a
00 C. In questo caso il tensore degli sforzi si riduce alla pressione; Tij = pij .
Allora le equazioni da considerare saranno le equazioni di continuit`a, di conservazione della quantit`
a
di moto (scritta in forma semplificata) e quella di stato del fluido
D
+ div u = 0
Dt
Du
= f grad p
Dt
F(p, ) = 0 .
(2.136)
131
Supponiamo ora che il fluido perfetto sia in moto stazionario, cosicche tutte le grandezze in gioco
u
siano indipendenti dal tempo. Allora le precedenti equazioni (2.136) si semplificano essendo
= 0,
t
= 0. Se supponiamo che la forza per unit`a di massa sia conservativa, esister`a un potenziale U
t
Z
dp
1
tale che f = grad U . Introduciamo inoltre una funzione P =
, in modo che grad P = grad p.
(2.137)
Se consideriamo una linea di flusso della velocit`a, che nel caso stazionario diviene una linea di
corrente, ossia se proiettiamo questequazione vettoriale sul vettore u, otteniamo
1
grad ( u2 U + P) u = 0 .
2
(2.138)
(2.139)
Questequazione esprime il Teorema di Daniel Bernoulli: Nel moto stazionario di un fluido perfetto
`e costante lungo ogni linea di corrente la somma dellenergia cinetica, dellenergia per unit`
a di
massa U e dellentalpia P. Nel caso di un fluido incomprimibile, nel quale U = gz `e il potenziale
gravitazionale, si pu`
o riscrivere la precedente equazione come segue
z+
p
u2
+
=C.
g 2g
(2.140)
Il vettore w = rot u, associato in ogni punto al campo di velocit`a u di un fluido, si dice la vorticit`
a
del fluido. Se u = r dove = (1 , 2 , 3 )T `e un vettore costante e r = (x1 , x2 , x3 )T , allora
r = (2 x3 3 x2 , 3 x1 1 x3 , 1 x2 2 x1 )T e quindi w = ( r) = 2. Dunque il rotore
del campo di velocit`
a `e il doppio della velocit`a angolare associata allatto di moto locale. Se il
dominio sul quale `e assegnato il campo di velocit`a `e semplicemente connesso, qualora il campo sia
irrotazionale, cio`e sia rot u = 0, allora esiste un potenziale di velocit`a , tale cio`e che u = grad .
Per moti irrotazionali lequazione del momento diviene dunque
grad (
1 2
+ u ) = f grad (P) .
t
2
(2.141)
(2.142)
(2.143)
`e una costante in tutto il dominio del moto ed `e costante nel tempo. Dunque la quantit`a che per il
teorema di Bernoulli `e costante lungo ogni linea di corrente, nel caso di campo di moto irrotazionale,
`e costante ovunque.
132
Nel caso in cui il fluido sia incomprimibile, lequazione di continuit`a (2.127) diviene div u = 0.
Tenuto conto che u = grad si trova lequazione
in R3 .
= 0
(2.144)
Qui `e il dominio dello spazio nel quale si ricerca il campo di velocit`a u. In generale un fluido
non passa attraverso il bordo di e quindi `e assegnata la derivata normale del potenziale
= un
n
essendo n la normale a nel punto considerato. Dunque il problema associato a (2.144) `e un
problema di Neumann che permette di determinare il potenziale a meno di una costante arbitraria
(peraltro inessenziale ai fini della determinazione della velocit`a).
2.13.2
Azioni dinamiche
Se un corpo avente superficie `e immerso in un fluido, questo esercita forze sul corpo stesso che
in ogni punto sono del tipo T (n) d su ogni elemento d della superficie avente vettore normale
interna n. Se a parit`
a di altre condizioni il corpo fosse in quiete su di esso si eserciterebbe la forza
p0 n su ogni elemento di superficie, essendo p0 la pressione statica. Le azioni dinamiche sono dunque
rappresentate dalle forze (T (n) p0 n) d. Se il corpo considerato `e rigido, leffetto delle azioni
dinamiche `e descritto dalla risultante R delle forze e dal loro momento M rispetto ad un assegnato
polo.
Z
Z
R = (T (n) po n) d ,
M=
r (T (n) po n) d .
(2.145)
Qui r `e il raggio vettore che congiunge il punto generico con lassegnato polo.
Nel caso di un fluido perfetto incomprimibile in moto irrotazionale, sotto lazione di forze di massa
conservative si ha per lequazione (2.142)
1 2
p
+ u U + = costante ,
t
2
(2.146)
U +
(2.147)
e quindi
p p0 = (
1 2
+ u ).
t
2
(2.148)
1 2
+ u )n d ,
t
2
1
( u2 )n d .
2
(2.149)
133
)(dx idy) .
(W W
Ry + iRx =
2 S
(2.150)
Si noti che S `e la linea piana che delimita nel piano complesso il corpo, prima delimitato dalla
(dx idy) = W
d
superficie . Si noti anche che W
z = (ux + iuy )(dx idy) = (ux iuy )(dx +
Ry + iRx =
W 2 dz .
2 S
2.13.3
(2.151)
Paradosso di DAlembert
2.13.4
Teorema di Kutta-Joukowski
b2
b1
+ 2 + ... .
z
z
(2.152)
134
Il potenziale complesso `e dato dunque (a meno di una costante inessenziale) F (z) = cz + b1 logz
b2
+ . . .. Dunque si ha
z
W 2 (z) = c2 +
(2.153)
(2.154)
contraddicendo cos il paradosso di DAlembert. Una situazione di questo tipo nasce quando si
compone una corrente traslatoria di velocit`a asintotica c che investe un profilo circolare di raggio
a, con una corrente circolatoria dovuta ad un vortice virtuale dintensit`a I posto nel centro del
profilo, che d`
a luogo ad una circolazione I della velocit`a intorno al profilo. In questo caso si trova
W (z) = c +
I
ca2
2 ,
2iz
z
(2.155)
e quindi
Ry + iRx = cI
Ry = cI
(2.156)
Cio`e il risultante delle azioni dinamiche `e unazione deviatrice, perpendicolare alla direzione asintotica della corrente, nel verso ottenuto rotando questa di un angolo retto nel senso opposto alla
circolazione, e in modulo uguale al prodotto della densit`a del fluido per i moduli della velocit`
a
asintotica e della circolazione. Questo `e lenunciato del Teorema di Kutta - Joukowski.
La formula trovata, pur non dando conto della resistenza allavanzamento del profilo S, rende conto
dellazione deviatrice in direzione perpendicolare a quella davanzamento; questa `e la portanza del
profilo S. Il calcolo `e stato fatto per un profilo circolare; sappiamo che un teorema di Riemann
(1.14.1) ci permette di valutare il campo allesterno di un profilo di grande generalit`a, noto che sia
quello allesterno di un cilindro.
2.13.5
Le equazioni dei fluidi viscosi sono difficili da integrare. Si possono semplificare notevolmente se
3
X
ui
il termine
uk
nellequazione (2.134) pu`o essere trascurato rispetto agli altri termini. Si
xk
k=1
ottiene allora unequazione lineare nelle derivate seconde della velocit`a. La semplificazione `e lecita
nei moti detti lenti. Se inoltre supponiamo che il liquido sia in moto stazionario lequazione (2.132)
e lequazione della conservazione della massa si semplificano notevolmente e assumono la seguente
forma
f grad p + u = 0 , div u = 0 .
(2.157)
135
3 ca a2
2 + c 1 3a a3
1
x
v
=
x
4 r3 r2
4r
4r3
3 ca a2
vy = 4 r3 r2 1 xy
(2.158)
2
vz = 34 rca3 ar2 1 xz .
La soluzione `e attendibile quando il numero di Reynolds `e piccolo, il che accade quando il rapporto
tra e (il coefficiente cinematico di viscosit`a) `e grande, oppure quando il raggio della sfera `e
piccolo, oppure quando la velocit`
a c della corrente `e piccola.
Utilizzando questa soluzione nella prima delle equazioni (2.145) si trova che il modulo della risultante delle azioni dinamiche vale
R = 6 c a ,
che `e detta la formula di Stokes per la resistenza di tipo viscoso.
(2.159)
136
Capitolo 3
Considerazioni preliminari
X
cn n (x), essendo i coefficienti cn scelti opportunamente.
n=1
N
X
n=1
cosa accade facendo tendere N a +, nel senso di vari tipi di convergenza: puntuale, uniforme o
in media quadratica, come viene meglio precisato di seguito.
Precisamente, diremo che la somma sN (x) converge puntualmente a f (x) se x [a, b], si ha che
lim sN (x) = f (x).
137
138
Questintegrale `e detto deviazione quadratica media o scarto quadratico medio di sN (x) da f (x).
Due funzioni (x) e (x) sono ortogonali su [a, b] rispetto al peso w(x) se
Z b
(x) (x) w(x) d x = 0 .
a
Per esempio, le funzioni 1 e x sono ortogonali rispetto al peso w(x) = 1 su [1, 1].
Considereremo data, dora in poi, una successione di funzioni 1 (x), 2 (x), . . . , n (x), . . . definite
su [a, b] e a due a due ortogonali rispetto al peso w(x). Possiamo allora porci il problema di
determinare i coefficienti cn in modo tale che per la funzione integrabile f (x) lo scarto quadratico
medio sia minimo. Cio`e che sia minimo:
!2
Z b
Z b
N
X
f (x)
f 2 (x) w(x) d x
cn n (x)
w(x) d x =
a
N
X
Z
cn
n=1
n=1
n=1
c2n
2n (x)w(x) d x =
#2
f (x)n (x)w(x) d x
cn R b
+
2 (x)w(x) d x
a
n
a
Z b
N Rb
X
[ a f (x)n (x)w(x) d x]2
+
f 2 (x)w(x) d x
Rb
2
a
n=1
a n (x)w(x) d x
N Z
X
n=1
N
X
Rb
"
2n (x)w(x)d x
(3.1)
f (x)w(x) d x
a
N
X
[
Rb
a
n=1
I coefficienti cos` determinati si dicono i coefficienti di Fourier di f (x) rispetto alle funzioni ortogonali n (x). La serie
cn n (x)
(3.2)
n=1
b
2
f (x)w(x)d x
a
n=1
N
X
n=1
c2n
Z
a
2n (x)w(x)d x .
(3.3)
139
c2n
2n (x)w(x)d x
n=1
f 2 (x)w(x)d x .
Se f (x) `e a quadrato sommabile su [a, b], prendendo il limite per N , si vede che la serie
c2n
n=1
2n (x)w(x)d x
converge e inoltre
c2n
2n (x)w(x)d x
n=1
f 2 (x)w(x)d x .
(3.4)
Rb
a
2n (x)w(x)d x =
X
n=1
c2n
2n (x)w(x)d x
Z
=
Rb
a
(3.5)
f 2 (x)w(x)d x, cio`e se
f 2 (x)w(x)d x ,
(3.6)
3.2
Lemma di Riemann-Lebesgue
b
Z
Abbiamo appena constatato che se
a
allora
Rb
lim
f (x)n (x)w(x)d x
a
qR
b 2
a n (x)w(x)d x
= 0.
In realt`a si pu`
o ottener un risultato pi`
u forte, che qui riportiamo senza dimostrazione
140
Lemma 3.2.1 [di RiemannLebesgue] Se la famiglia ortogonale (n (x))n di funzioni `e tale che
n (x)
qR
`e uniformemente limitata, cio`e se esiste una costante K > 0 tale che
b 2
(x)w(x)d
x
a n
(x)
n
K,
x [a, b] , n N , qR
b 2
(x)w(x)d x
a
3.3
f (x)n (x)w(x)d x
a
qR
b 2
a n (x)w(x)d x
= 0.
Le funzioni 1, sen x, cos x, sen 2x, cos 2x, . . . , sen nx, cos nx, . . . sono ortogonali su x , con
peso w = 1. Lo si vede facilmente calcolando (per parti) gli integrali
+
Z
n2 +
sen nx sen mx d x = 2
sen nx sen mx d x
m
Z +
Z
n +
cos nx cos mx d x =
sen nx sen mx d x
m
Z +
Z
n2 +
sen nx cos mx d x = 2
sen nx cos mx d x
m
Z +
sen 2 nx +
sen nx cos nx d x =
| =0 .
2n
Dunque si trova
Z
sen nx sen mx d x = 0
se n 6= m ;
(3.7)
cos nx cos mx d x = 0
se n 6= m ;
(3.8)
Z +
sen nx cos mx d x = 0 n, m N
(3.9)
Vale poi
1d x = 2,
cos nx d x =
sen 2 nx d x = .
Diremo serie di Fourier trigonometrica per una funzione f (x) definita su [, ] e scriveremo
f (x)
a0
+ a1 cos x + b1 sen x + . . . + an cos nx + bn sen nx + . . .
2
(3.10)
141
(3.11)
a0
al posto di c0 , per consentire una maggiore simmetria nelle formule.
2
Ora
sN (x) =
N
a0 X
+
(an cos nx + bn sen nx) =
2
n=1
Z
N
1 X
1
f (t) { +
(cos nx cos nt + sen nx sen nt)} d t =
2
n=1
Z
N
1 X
1
f (t) { +
cos n(x t)} d t .
2
n=1
Si osservi che
N
n=1
n=1
1 X
1
1
1
1X
1
1
{ +
cos ny} sen ( y) = sen ( y) +
[sen (n + )y sen (n )y] =
2
2
2
2
2
2
2
=
=
1
1
3
1
1
1
{sen ( y) + sen ( y) sen ( y) + . . . + sen (N + )y sen (N )y} =
2
2
2
2
2
2
1
1
sen (N + )y .
2
2
Dunque
N
1 X
1 sen (N + 21 )y
+
cos ny =
2
2 sen ( 21 y)
n=1
(3.12)
e quindi
1
sN (x) =
2
f (t)
sen (N + 12 )(t x)
dt
sen ( tx
2 )
142
+
X
cn einx ,
(3.14)
n=
Z
1
dove cn =
f (x)einx dx. Si noti che essendo qui le funzioni a valori complessi il prodotto
2
Rb
scalare di due funzioni f e g, definite su [a, b], `e dato da hf, gi = a f (x)g(x) dx. Poiche per una
stessa funzione f le due rappresentazioni 3.10 e 3.14 debbono coincidere, la relazione tra i coefficienti
an , bn e i cn deve essere la seguente:
an = cn + cn ,
nN
bn = i(cn cn ),
(3.15)
+
n N ... ,
(3.16)
e, rispettivamente,
c0 =
cn =
cn =
Se pn =
n
X
a0
,
2
1
(an ibn ),
2
1
(an + ibn ),
2
(3.17)
n N+ ,
(3.18)
n N+ .
(3.19)
ck eikx , allora
k=n
||pn ||22 =
3.4
|pn (x)|2 dx = 2
n
X
k=n
|ck |2 = (
|a0 |2 X
+
(|ak |2 + |bk |2 ) .
2
k=0
Convergenza puntuale
(3.20)
143
Teorema 3.4.1 (Convergenza puntuale. Criterio di Dini.) Sia f (x) una funzione definita su
[, ] che penseremo estesa per periodicit`
a a tutto R. Se f `e continua in x e vale la seguente
condizione di Dini
Z
f (x + ) f (x)
d < + ,
(3.21)
allora la serie di Fourier converge a f (x). Se la funzione ha in x limiti finiti da destra e da sinistra
che indicheremo con f (x+) e f (x) ripettivamente e vale la condizione di Dini generalizzata
Z
f (x + ) f (x+) + f (x ) f (x)
d < + ,
(3.22)
f (x+) + f (x)
.
2
sen (N + 21 )
d
sen ( 2 )
1
2
f (x + )
f (x)
=
1
2
1
2
sen (N + 21 )
d
sen ( 2 )
sen (N + 12 )
d =
sen ( 2 )
[f (x + ) f (x)]
sen (N + 21 )
d .
sen ( 2 )
(3.23)
1
Le funzioni sen (N + ) , N = 0, 1, 2, . . . sono ortogonali e soddisfano le condizioni del Lemma di
2
Riemann Lebesgue. Allora, se
Z
f (x + ) f (x)
|
| d < + ,
sen ( 2 )
ossia se, equivalentemente, vale 3.21, si trova che, per ogni x R, vale
lim sN (x) = f (x) .
(3.24)
Osserviamo che, affinche valga la (3.24), non `e sufficiente che f (x) sia continua nel punto x. Infatti
una serie di Fourier pu`
o divergere in punti nei quali f (x) `e continua se la condizione di Dini `e
violata. Se f (x) `e assolutamente integrabile e derivabile in un punto x, allora la serie di Fourier
converge a f (x). Pi`
u in generale, se in un intorno di x la funzione `e holderiana, cio`e se esistono
M > 0 e > 0 (e 1) tali che |f (x) f (y)| M |x y| , allora la serie di Fourier `e convergente.
144
Pi`
u in generale si osservi che si pu`
o scrivere
Z
sen (N + 21 )
1
[f (x + ) s(x) + f (x ) s(x)]
sN (x) s(x) =
d .
2 0
sen ( 2 )
(3.25)
(3.26)
3.5
Convergenza uniforme
Da quanto abbiamo appena detto segue che, affinche sN (x) converga uniformemente a f (x) la
funzione deve essere continua e inoltre deve valere f () = f (). Queste condizioni non sono
tuttavia sufficienti.
Teorema 3.5.1 Supponiamo che f (x) sia continua, periodica di periodo 2 e che f 0 (x) sia continua
tranneZche in un numero finito di punti dove pu`
o non essere definita.
Supponiamo inoltre che sia
Z
finito
a0
+ a1 cos x + b1 sen x + . . . + an cos nx + bn sen nx + . . . ;
2
n =
f (x) cos nx d x = {f (x) cos nx| + n
f (x)sen nx d x} =
Z
1
n
=
cos n{f () f ()} +
f (x)sen nx d x = nbn .
Analogamente n = nan . Dunque
f 0 (x)
n=1
La disuguaglianza di Bessel d`
a
X
n=1
(a2n
b2n )
(f 0 (x))2 d x
(3.27)
n=N +1
M
X
M
X
n=N +1
M
X
n|bn |
n|an |
+
)(
n
n
145
(|an | + |bn |) =
n=N +1
M
X
n=N +1
n=N +1
1 1/2
) . Si `e tenuto conto della disun2
guaglianza di Cauchy - Buniakovski - Schwarz e del fatto che (|an | + |bn |)2 2 (|an |2 + |bn |2 ).
Dunque
v
s Z
u M
u X 1
2
|sN (x) sM (x)|
f 02 (x) d x t
.
(3.28)
n2
n=N +1
X 1
converge, possiamo concludere che, per il criterio generale di convergenza di
n2
Cauchy, la successione sN (x) converge uniformemente alla sua somma. Si trova poi che la somma
`e proprio f (x). Infatti si ha
sZ
sZ
Z
Poiche la serie
x2
|f (x2 ) f (x1 )| = |
x2
f 0 (t) d t|
x2
|f 0 2 (t)| d t
x1
x1
s
1
2
|x2 x1 |
1dt
x1
|f 0 2 (t)| d t K |x2 x1 | 2 .
Dunque f (x) `e h
olderiana con esponente =
f (x).
1
2
In particolare, c`e convergenza uniforme a f (x) se f 0 (x) `e holderiana o se nel numero finito di punti
nei quali non `e continua ha limiti finiti da destra e da sinistra.
Si dimostra poi che la serie di Fourier di una funzione a quadrato sommabile converge in media
quadratica. Cio`e che
Z
lim
|f (x) sN (x)|2 d x = 0 ,
N
se
f 2 (x) d x < .
Ci`o significa che il sistema ortogonale {1, cos x, sen x, . . . , cos nx, sen nx, . . .} `e completo.
3.6
Cambiamento di scala
Finora abbiamo supposto f (t) definita su [, ]. Supponiamo ora che sia definita su un generico
intervallo [a, b]. La sostituzione di variabile
2(t a+b
2 )
x=
ba
146
ba
1
x + (a + b) .
2
2
1
Data f (t) su [a, b], F (x) = f ( ba
e definita su [, ]. La serie di Fourier di F (x) sia
2 x + 2 (a + b)) `
a0
+ a1 cos x + b1 sen x + . . . + an cos nx + bn sen nx + . . . ,
2
con
an =
bn =
Z
1
F (x) cos(nx) d x
Z
1
F (x) sen (nx) d x .
Allora
an =
bn =
Z b
2
2n
a+b
f (t) cos
(t
) d t,
ba a
ba
2
Z b
2n
a+b
2
f (t) sen
(t
) d t,
ba a
ba
2
nN
(3.29)
n N+ .
(3.30)
3.7
Qualche esempio
X
(1)n
n=1
2
2
sen nx = 2sen x sen 2x + sen 3x sen 4x + . . .
3
4
k
X (1)
Perci`o si ottiene = 2
cio`e
2
2k + 1
k=0
X
(1)k
= .
2k + 1
4
k=0
147
X
1 2
2
1
=
x d x = 2
4
2
n
3
n=1
X
1
2
Dunque
=
.
n2
6
n=1
Se f (x) = x2 su [, ], a0 =
2 2
3
X (1)n
2
2
4
x
+4
cos
nx
=
4 cos x + cos 2x cos 3x + . . .
3
n2
3
9
2
n=1
1
1
2
4 (1 2 + 2 + . . .). Cio`e
3
2
3
X
(1)n1
n=1
3.8
n2
2
12
` noto che esistono funzioni continue per le quali le serie di Fourier sono divergenti in qualche punto;
E
a maggiore ragione la serie di Fourier di una funzione continua pu`o non convergere uniformemente
alla funzione stessa. Tuttavia vale la pena di mettere in evidenza che i coefficienti di Fourier di una
funzione continua individuano la funzione. Cio`e i coefficienti di Fourier permettono di individuare
` noto che se una serie
una successione di polinomi che converge uniformemente alla funzione. E
converge, cio`e se la successione delle ridotte della serie data (sn )nN ha limite finito s anche la serie
delle medie
s0 + s1 + s2 + . . . + sn
n =
,
n+1
converge allo stesso limite. Questo modo di sommare le serie si dice sommazione alla Ces`aro. Pu`
o
accadere che una serie sia convergente per la sommazione alla Ces`aro, senza essere convergente.
Infatti vale il seguente
Lemma 3.8.1 Sia data una successione (sn )nN convergente al limite s. Allora n s. Tuttavia
esistono successioni non convergenti che risultano convergenti nel senso di Ces`
aro.
` immediato riconoscere che la successione sn = (1)n fornisce un esempio allultiDimostrazione. E
P
ma affermazione del teorema. Infatti ((1)n ) non ha limite per n . Tuttavia nk=0 (1)k = 0
1
se n `e pari, e = 1 se n `e dispari. Dunque |n | n+1
e quindi limn n = 0.
Supponiamo ora che la successione di termine generale sn converga al numero s. Dimostriamo che
anche n s. Poiche sn s, dato > 0 esiste un numero n
tale che se n > n
si ha |sn s| < 2 .
148
P
Si ponga B = nk=1
|sk s| e si prenda un numero m
>n
tale che m
> 2B
. Si consideri poi un
valore di n > m
e si valuti
n
n
n
1 X
X
1
1 X
(sk s) =
|sk s| =
(sk s)
n + 1
n+1
n+1
k=0
k=0
k=0
!
n
n
X
X
1
1
=
|sk s| +
B + (n n
)
<
|sk s| <
n+1
n+1
2
n
+1
k=0
1
(n + 1) + (n + 1)
= .
<
n+1
2
2
Ebbene dimostreremo il seguente teorema dovuto al matematico ungherese Lipot Fejer
Teorema 3.8.1 (Fejer, 1900) Sia f una funzione periodica di periodo 2 definita su R e a valori
in C.P Supponiamo che f sia integrabile secondo Riemann su [0, 2]. Denotiamo con n (f, x) =
n
1
k=0 sk (f, x), dove sk (f, x) sono le usuali somme parziali della serie di Fourier della funzione
n+1
f nel punto x R. Allora
(i) Se f `e continua in un punto x R, si ha limn n (f, x) = f (x).
(ii) Se f `e continua su tutto R, il precedente limite `e uniforme su R.
Dimostrazione. Vogliamo valutare il polinomio trigonometrico di Fejer dordine n, cos` definito
n (x) =
(3.33)
a0
n
n1
+
(a1 cos x + b1 sen x) +
(a2 cos 2x + b2 sen 2x) +
2
n+1
n+1
1
... +
(an cos nx + bn sen nx) .
n+1
Dunque, nel passaggio da sn (x) a n (x) il termine (ak cos kx + bk sen kx) viene sostituito da
nk+1
n+1 (ak cos kx + bk sen kx). Ricordando che
1
sk (x) =
1
n (x) =
2(n + 1)
f (x + t)
sen (k + 12 )t
dt ,
2sen (t/2)
si trova
Pn
f (x + t)
k=0 sen (k
+ 1/2)t
dt .
sen (t/2)
(3.34)
Lip
ot Fejer alla nascita (9 febbraio 1880, Pecs) si chiamava Leopold Weiss. Cambi`
o il suo nome nel 1900 per
apparire pi`
u ungherese. Questa era ai suoi tempi una pratica piuttosto diffusa per dimostrare rispetto verso la cultura
ungherese. Studente molto precoce studi`
o matematica e fisica a Budapest e a Berlino. Allievo di Schwarz a Berlino,
quando costui seppe del cambiamento di nome, si rifiut`
o di rivolgergli la parola da allora in poi.
149
Pn
k=0 sen (k
+ 1/2)t
,
sen (t/2)
n
X
1X
t
[cos(kt) cos((k + 1)t)] =
sen ( )sen ((k + 1/2)t) =
2
2
k=0
k=0
1
n+1
= [1 cos((n + 1)t)] = sen 2 (
t) .
2
2
Dunque
sen 2 ( n+1
1
2 t)
,
2
2(n + 1) sen (t/2)
Fn (t) =
(3.35)
Z
Fn (t) dt =
1
Fn (t) dt
2(n + 1)
dt
0,
sen 2 (/2)
(3.36)
R
f (x +
Z
n (x) f (x) =
(f (x + t) f (x))Fn (t) dt ,
|n (x) f (x)|
|f (x + t) f (x)|Fn (t) dt .
(3.37)
|f (x + t) f (x)|Fn (t) dt +
Z
|f (x + t) f (x)|Fn (t) dt +
150
|f (x + t) f (x)|Fn (t) dt
2
Fn (t) dt
2
Fn (t) dt =
.
2
Z
|f (x + t) f (x)|Fn (t) dt +
|f (x + t) f (x)|Fn (t) dt
Z
Fn (t) dt.
4kf k
Per la validit`
a della relazione (3.8), esiste un valore n
tale che per n > n
questultima somma `e
< /2. Tenuto conto delle disuguaglianze ricordate, si trova che quale che sia x R,
|n (x) f (x)| <
per n > n
.
(3.38)
Il teorema di Fejer `e particolarmente sorprendente alla luce di un precedente risultato dovuto
al matematico tedesco Paul David Gustav Du Bois-Reymond (nato a Berlino nel 1831, morto a
Freiburg nel 1889)
Teorema 3.8.2 (Du Bois-Reymond, 1876) Esiste una funzione continua su R e periodica di periodo
2 tale che max limn sn (f, 0) = .
1
2
R 2
0
G(t) dt 1;
(ii) max limn |sn (G, t)| K per ogni t [0, 2].
Teorema 3.8.4 Esiste una funzione f : [0, 2] R integrabile secondo Lebesgue e tale che
max limn |sn (f, t)| = per ogni t [0, 2].
151
Benche la funzione costruita da Kolmogoroff non fosse neppure integrabile secondo Riemann, molti
si attendevano che di l` a poco qualcuno avrebbe costruito un esempio di funzione continua su
T = R mod (2Z) la serie di Fourier della quale divergesse in ogni punto. Tuttavia nel 1964 il
matematico svedese Lennart Carleson dimostr`o
Teorema 3.8.5 Se f : T C `e continua o anche solo integrabile secondo Riemann allora
limn sn (f, t) = f (t) per ogni t
/ E, dove E `e un sottoinsieme di misura nulla secondo Lebesgue
di T.
Infine Jean-Pierre Kahane (Parigi) e Yitzhak Katznelson (Stanford) nel 1966 trovarono un interessante complemento al teorema di Carleson
Teorema 3.8.6 Dato un insieme di misura nulla E T esiste una funzione continua f : T C
tale che max limn |sn (f, t)| = per ogni t E.
Si pu`o dunque concludere che il problema della convergenza puntuale delle serie di Fourier di una
funzione continua `e completamente risolto. Infatti, mentre la serie di Fourier di una funzione
continua o anche solo integrabile secondo Riemann, pu`o non essere convergente alla funzione stessa
in un insieme di misura nulla, tuttavia i coefficienti di Fourier di una funzione continua, poiche la
serie converge quasi ovunque, individuano la funzione continua (o anche solo integrabile secondo
Riemann). La stessa situazione si verifica per ogni funzione di Lp (R), periodica di periodo 2,
per p > 1. Invece se si suppone solo che la funzione sia di classe L1 (R), cio`e integrabile secondo
Lebesgue sulla retta reale e periodica di periodo 2, ossia f L1 (T), la serie di Fourier relativa pu`
o
essere ovunque divergente, come dimostra il teorema di Kolmogorov. I precedenti risultati traggono
origine dal seguente teorema di Katznelson (1966): Se 1 < p < vale la seguente alternativa: o
tutte le serie di Fourier delle funzioni f Lp (T) sono convergenti quasi ovunque, o ne esiste una
che diverge ovunque. La propriet`
a dimostrata per le funzioni di classe Lp (T) fu poi estesa con la
collaborazione di Kahane alle funzioni di classe C(T), come gi`a abbiamo ricordato.
3.9
Il fenomeno di Gibbs
Il fisico americano (di origine prussiana) Albert Abraham Michelson aveva costruito una macchina
per calcolare le funzioni periodiche a partire dalle loro serie di Fourier e viceversa. Volle sperimentare la sua macchina per ricostruire la funzione dente di sega, f (x) = x su [, ], prolungata
per periodicit`
a su tutto R, sommando 80 termini dello sviluppo di Fourier. Con sua grande sorpresa, la sua macchina non riproduceva esattamente il grafico della funzione, ma aggiungeva, in
corrispondenza ai punti di discontinuit`a, uno sbuffo del grafico che sopravvalutava il salto nel
grafico della funzione. Gibbs successivamente spieg`o il fenomeno. In realt`a il matematico inglese
Wilbraham aveva previsto e spiegato il fenomeno nel 1848, circa 50 anni prima. Tuttavia la spiegazione di Wilbraham, come quella di Gibbs, si riferiva a esempi particolari di serie di Fourier.
Una spiegazione generale del fenomeno venne data dal matematico americano Maxime Bocher nel
152
1906. Per meglio mettere in evidenza il cosiddetto fenomeno di Gibbs, faremo riferimento ad
un semplice caso specifico di serie di Fourier, relativa alla funzione sign (x) (ristretta allintervallo
[, ] e prolungata per periodicit`
a su tutto R).
Abbiamo
a0 = 0,
an = 0,
4
Z
Z
2
2
1
,
sign (x)sen (x) dx =
sen (nx) dx =
bn =
[cos(n) 1] = n
0
n
0,
per n dispari,
per n pari .
Dunque
sign (x)
X
n=0
4
sen ((2n + 1)x) .
(2n + 1)
(3.39)
Dunque
s2n1 (x) =
n1
X
n1 Z
4
4X x
sen ((2k + 1)x) =
cos ((2k + 1)t) dt =
(2k + 1)
0
k=0
k=0
Z x n1
Z
X
4
2 x sen (2nt)
=
cos ((2k + 1)t) dt =
dt.
0
0
sen t
k=0
k=0
n1
X
k=0
n1
X
k=0
1
sen (2nt)
(sen (2k + 2)t sen (2kt)) =
2sen t
2sen (t)
2 sen (2nx)
che si annulla per 2nx = k, k Z. I punti
sen x
k
(2k + 1)
x0k =
sono punti di massimo relativo, i punti x00k =
sono di minimo relativo. Il primo
2n
n
0
punto di massimo relativo a destra dello zero `e x0 = 2n e il valore della somma in quel punto `e
Z
2 2n sen (2nt)
0
0
s2n1 (x0 ) = y0 =
dt. Ora si ha
0
sen t
Z
Z
Z
2 2n sen (2nt)
2 2n sen (2nt)
2 2n
1
1
sen (2nt)
dt =
dt +
dt .
0
sen t
0
t
0
sen t
t
Ora la derivata di s2n1 (x) `e s02n1 (x) =
Ma
1
1
sen t
t
`e limitato in [0, ] poiche ha limite 0 per t 0 e quindi
2
lim
n
Z
0
2n
sen (2nt)
1
1
sen t
t
dt = 0
153
Inoltre
2
2n
sen (2nt)
2
dt =
t
sen
d ,
Z
0
2n
sen (2nt)
2
dt =
sen t
Z
0
sen
d .
Il valore del secondo membro delluguaglianza `e allincirca 1,18 (valutato per eccesso). Dunque,
quando ci si avvicina da destra alla singolari`a in 0 della nostra funzione il valore del limite della
funzione (che `e 1) viene sopravvalutato di circa il 18%.
Il fenomeno di Gibbs non si verifica se le serie di Fourier vengono sommate alla Ces`aro, come accade
nel Teorema di Fejer.
154
3,2
2,4
1,6
0,8
-5
-4,5
-4
-3,5
-3
-2,5
-2
-1,5
-1
-0,5
0,5
-0,8
-1,6
-2,4
-3,2
-4
1,5
2,5
3,5
155
3,5
2,5
1,5
0,5
-5
-4,5
-4
-3,5
-3
-2,5
-2
-1,5
-1
-0,5
0,5
1,5
-0,5
-1
-1,5
-2
-2,5
-3
-3,5
-4
2,5
3,5
156
Capitolo 4
Unintroduzione allintegrale di
Lebesgue
4.1
Rk
k=0
m(Rk )
k=0
Qui per rettangolo R di Rn intendiamo un insieme del tipo R = [a1 , b1 [[a2 , b2 [ . . . [an , bn [
con, in generale, ai < bi , i = 1, . . . , n, cio`e un rettangolo superiormente semiaperto. La misura
elementare di R `e m(R) = (b1 a1 ) (b2 a2 ) . . . (bn an ). Non escluderemo tuttavia il caso del
rettangolo vuoto, di misura nulla.
Esempio 4.1.1
158
Pi
u in generale si ha
Proposizione 4.1.1 Sia {Ak } una successione di insiemi di misura nulla. Allora A =
ha misura nulla.
k=0 Ak
Dimostrazione:
ogni k N sia {Rk,j : j N} una successione di rettangoli tale che Ak
PPer
S
m(R
R
con
k,j ) < 2k+1 .
j=0
j=0 k,j
Se P
R = {Rk,j : k, j N}, allora A =
<
k=0 2k+1 = .
k=0 Ak
k,j=0 Rk,j
k,j=0 m(Rk,j )
k=0 (
j=0 m(Rk,j ))
u(x) =
0
1
se x R \ Q,
se x Q ,
`e nulla q.o.
5. u(x) = v(x) q.o. se {x : u(x) 6= v(x)} ha misura L-nulla.
Definizione 4.1.3 Una funzione a valori complessi u : Rn C `e detta a scala se `e combinazione
lineare (dunque finita) di funzioni caratteristiche di rettangoli (superiormente semiaperti). Cio`e se
u(x) =
m
X
ck Rk (x) .
(4.1)
k=1
k=1
(4.2)
`
4.1. DEFINIZIONI E PRIME PROPRIETA
159
Definizione 4.1.4 una funzione u(x) a valori complessi definita q.o. in Rn `e detta integrabile secondo Lebesgue (o L-integrabile o semplicemente integrabile) o sommabile se esiste una successione
di funzioni a scala (uk (x))kN tale che
(a) limk+ uk (x) = u(x) q.o.
(b) > 0k : k1 , k2 k
e k2 k12
|x| > k.
1
.
k2
j1
k2
|x| <
j
,
k2
allora e|x| e k2 e
1
k2
j1
k2
e k2 = e
j1
k2
(1 e k2 )
per k 0 , k 00 ,
cio`e che valgono le condizioni (a) e (b) della precedente definizione. Infatti
|j|
Pk
Pk
2 1
1
2k
2
k
2
j=k e
j=k k2 = k2 = k .
k
uk dx =
Rk
k
uk dx =
Dimostrazione: Infatti, se (uk ) `e una successione che verifica le condizioni (a) e (b) per la funzione
u(x) allora la successione (|uk (x)|) le soddisfa per |u(x)|. Ci`o segue dal fatto che ||uk (x)| |u(x)||
160
|uk (x) u(x)| e quindi che se uk u qo, allora |uk | |u| qo. Inoltre ||uk0 (x)| |uk00 (x)||
|uk0 (x) uk00 (x)| e quindi se > 0k : k 0 , k 00 > k si ha
Z
|uk0 uk00 | dx <
a maggiore ragione
Z
||uk0 | |uk00 || dx < .
Dunque resta dimostrato che |u| `e integrabile se u lo `e.
Possiamo ora definire lintegrale di Lebesgue di una funzione integrabile. Osserviamo che
Z
Z
Z
uk0 uk00 |uk0 uk00 | .
Dunque se (uk )kN `e una successione che soddisfa Rle due condizioni
della definizione 4.1.4 allora per
R
ogni > 0 esiste un k tale che se k 0 , k 00 > k si ha | uk0 uk00 | < e quindi per il criterio
R generale
di convergenza di Cauchy la successione degli integrali elementari delle funzioni a scala uk (x) dx
ha un limite finito.
Definizione 4.1.5 Si dice integrale di Lebesgue della funzione u(x) definita qo in Rn il
Z
Z
lim
uk (x) dx := u(x) dx .
k
Potrebbe sembrare che la definizione dellintegrale di Lebesgue della funzione u(x) dipenda dalla
particolare successione (uk ) che abbiamo scelto. Dimostreremo che questo limite `e indipendente
dalla successione di funzioni a scala purche esse soddisfino la definizione 4.1.4. Si ha infatti
Lemma 4.1.1 Siano (uk )kN e (vh )hN successioni di funzioni a scala per le quali valgono le
condizioni (a) e (b) della definizione 4.1.4. Allora
Z
Z
lim
vh = lim
uk .
(4.3)
h
La dimostrazione di questo lemma `e molto tecnica. Per il suo sviluppo serviranno alcune definizioni
e lemmi preliminari.
Definizione 4.1.6 Sia A Rn un arbitrario insieme. Diremo misura esterna di A
me (A) := inf{
X
k=0
m(Rk ) :
Rk A}
k=0
(4.4)
`
4.1. DEFINIZIONI E PRIME PROPRIETA
161
S`
k=1 Rk
me (P ) =
`
X
m(Rk ) = m(P ) .
k=1
Ak )
k=0
me (Ak ) .
k=0
Dimostrazione:SDato > 0, sia per ogni k N, {Rk,j : j N} una famiglia numerabile di rettangoli
tale che Ak
j=0 Rk,j e
Allora
Ak
me (
k=0
Ak )
m(Rk,j )
k,j=0
Rk,j
k,j=0
k=0
me (Ak ) +
k=0
X
k=0
1
2k+1
me (Ak ) +
k=0
contro lipotesi.
Lemma 4.1.3 (Fondamentale) Da ogni successione (uk ) di funzioni a scala che soddisfano la condizione (b) della definizione 4.1.4 si pu`
o estrarre una sottosuccessione (vj ) convergente qo a una
funzione v tale che per ogni > 0, E Rn con me (E) e vj v uniformemente in Rn \ E.
162
Si trova cos una successione, che possiamo prendere crescente, di interi k1 < k2 < . . . < kj <
kj+1 < . . . tale che j 1
Z
|ukj+1 ukj | < 4j .
R
Diciamo vj = ukj e quindi j 1 abbiamo |vj+1 vj | < 4j . Sia Pj = {x Rn : |vj (x)
vj+1 (x)| 2j } il plurirettangolo
S che, in base al precedente lemma 4.1.2 ha misura esterna me (Pj ) =
m(Pj ) < 2j . Sia infine Qj =
i=j Pi .
Allora, poiche Pi Qj (i j), si ha
|vi (x) vi+1 (x)| < 2i
x
/ Qj , i j .
Ne segue, per il teorema di Weiestrass sulla convergenza normale, che la serie di funzioni
i=j
X
i=j
me (Pi ) =
X
i=j
m(Pi )
2i = 2j+1 .
i=j
Poiche me (Qj ) 2j+1 , Q `e un insieme di misura nulla. Cio`e vj v qo. Infine, dato > 0, se m
`e tale che 2m+1 , posto E = Qm , si ha me (E) 2m+1 e vi v uniformemente in Rn \ E.
Possiamo ora dare finalmente la dimostrazione del Lemma 4.1.1.
`
4.1. DEFINIZIONI E PRIME PROPRIETA
163
Possiamo supporre che u(x) sia la funzione identicamente nulla. Dimostreremo che se (uk ) `e una
successione
di funzioni a scala che converge qo alla funzione nulla e verifica la condizione (b),
R
allora uk 0.
Dato > 0 sia k come `e dato dalla condizione (b). Sia poi P un plurirettangolo tale che
/ P e |uk (x)| M, x P . Sia (vj ) = (ukj ) la sottosuccessione descritta nel lemma
uk (x) = 0, x
Fondamentale 4.1.3. La funzione v `e qo nulla. Esistono dunque un insieme E e un indice h tali
che me (E) M
e |vj (x)| me(P ) , x
/ E, j h. Non `e restrittivo supporre kh k.
Consideriamo poi il plurirettangolo
Q = {x : |vh (x)| >
};
m(P )
abbiamo
Poiche vh = ukh , kh k,
Z
Z
|vh | =
Rn \P
Rn \P
|vh uk |
|vh uk | .
Infatti uk = 0 in Rn \ P .
Daltra parte P \ Q Rn \ Q dove |uk | M , e quindi
Z
Z
Z
Z
Z
|vh |
|vh | +
|vh |
|vh | +
|vh uk | +
P
P \Q
Q
P \Q
Q
Z
Z
+
|uk | m(P \ Q)
+
|vh uk | + m(Q) M 3 .
m(P )
Rn
Q
E dunque, in definitiva,
Z
|uk | 5 .
Ossia
Z
lim
k+
uk = 0 .
164
Lemma 4.1.4 Sia u una funzione integrabile e sia (uk ) una successione di funzioni a scala che
soddisfa la definizione 4.1.4. Allora
Z
|uk u| = 0 .
lim
k+
Dimostrazione: Assegnato k sia vj = |uk uj | che `e una funzione a scala, poiche lo sono uk e uj .
Ora, ovviamente |uk uj | |uk u| qo per j , inoltre vale la condizione (b); infatti
||uk uj | |uk um || |uj um | .
R
R
Allora, per la definizione
di
integrale,
si
ha
lim
|u
u
|
=
|uk u|. Dato > 0 sia k tale
j
j
k
R
Il nome del teorema prelude alla dimostrazione della completezza dello spazio L1 (Rn ).
Dato > 0 sia k tale che 2k < 3 . Sia inoltre k tale che k1 , k2 > k, valga
R
R
R
|vk1 vk2 | |vk1 uk1 | + |uk1 uk2 | + |uk2 vk2 | < 3 2k < .
1
;
3
allora
4.2
165
b) Se invece il limk
converge.
Dimostrazione:
il limite finito. Preso k1 > k, per la monotonia della successione
R
R a) Supponiamo
R
|uk1 uk | = uk1 uk . Poiche il limite della successione degli integrali `e finito, per la
necessit`a della condizione di Cauchy, vale la condizione (b) della definizione 4.1.4. Per il teorema
di completezza 4.1.1 esistono una funzione u(x) e una sottosuccessione wj (x) che converge qo a
u(x). Per lipotesi di monotonia valida qo, per quasi ogni x esiste limk uk (x). Poiche wj u
qo, segueR che uk u qo. Il teorema di completezza assicura che u(x) `e integrabile e che
limk |uk u| = 0. Per la monotonia `e uk (x) u(x) qo e dunque si ha pure
Z
Z
lim
uk = u .
k
Corollario 4.2.1 Sia (uk ) una successione di funzioni integrabili, non negative. Allora
u(x) = inf{uk (x) : k N}, definita qo, `e integrabile.
Dimostrazione:
R Sia vk = inf 1jk uj (x). Le vk sono integrabili e vk (x) vk+1 (x) qo, per ogni
k N. Si ha vk 0. Applicando il teorema 4.2.1 a vk , parte a), si trova che la successione
converge qo a una funzione integrabile. Ma vk u e dunque u `e integrabile.
Teorema 4.2.2 (Teorema di Lebesgue o della convergenza dominata) Sia (uk ) una successione
di funzioni (complesse) integrabili, convergente qo a una funzione u(x), definita qo in Rn . Se
esiste una funzione a valori reali integrabile (x), tale che
|uk (x)| (x)
allora u(x) `e integrabile e valgono
Z
Z
lim
uk = u
k
qo k N
Z
lim
|uk u| = 0 .
(4.5)
166
Dimostrazione: Ci possiamo limitare a considerare le funzioni a valori reali, poiche sia la parte
reale che quella immaginaria soddisfano le condizioni delle funzioni uk . Inoltre, considerando
separatamente la parte positiva e quella negativa, potremo supporre uk (x) 0. Definiamo perci`
o
wk (x) = inf jk uj (x) qo. Per il corollario precedente 4.2.2 le funzioni wk (x) sono integrabili e
inoltre wk (x) wk+1 (x) qo per ogni k N e infine wk (x) u(x) per ogni x Rn per il quale
uk (x) u(x). Dunque wk u qo. Abbiamo
Z
Z
Z
wk uk .
Dunque limk
R
R
R
R
Sappiamo
che wk u; fissato > 0, k 0 tale che k k 0 si ha u wk < e quindi anche
R
R
u uk < . Ora u 0 e uk u e uk si trova, rispetto a u, nelle stesse
condizioni di uk rispetto a u. Dunque esiste k 00 tale che per ogni k k 00
Z
Z
Z
Z
uk u = ( u) ( uk ) < .
Dunque, per ogni k max{k 0 , k 00 } si ha
Z
Z
uk u < .
Quindi limk
|u uk | 2.
uk =
|u uk | = 0 perch`e |u uk | 0 qo e
Teorema 4.2.4 Sia u una funzione misurabile. La funzione u `e integrabile se e solo se esiste
positiva e integrabile tale che
|u(x)| (x)
qo .
(4.6)
167
Dimostrazione: Se u `e integrabile, anche |u| lo `e; basta prendere = |u|. Sia poi u misurabile e
valga la condizione 4.6. Si pu`
o supporre che u sia reale a valori non negativi (considerando
eventualmente le parti reali e immaginarie e poi di ciascuna le parti positive e negative). Posto
vk = min{u+
e e uk sono integrabili, lo
k (x), (x)} (con uk (x) funzioni a scala e uk u qo), poich`
`e vk ; inoltre 0 vk (x) (x). Si ha poi, limk vk (x) = u(x) qo. Dal Teorema di Lebesgue si
ottiene il risultato.
Teorema 4.2.5 (Teorema di Beppo Levi per le serie) Sia (uk ) una successione
di funzioni non
P
negative integrabili. Se la serie degli integrali converge, allora la serie
u
(x)
converge qo a
k=0 k
una funzione integrabile e vale
Z X
Z
X
uk (x) =
uk (x) .
(4.7)
k=0
k=0
Citiamo ancora due fondamentali teoremi sugli integrali multipli, dei quali non forniremo la
dimostrazione.
Teorema 4.2.6 (Teorema di Fubini) Sia u(x, y) una funzione a valori complessi delle variabili
x Rm e y Rn integrabile in Rm Rn . Allora valgono i fatti seguenti:
a) Per quasi ogni y Rn la funzione x 7 u(x, y) `e integrabile su Rm .
b) La funzione y 7
u(x, y) dx `e integrabile su Rn .
Rm
c) Vale la formula
Z
Z
u(x, y) dx dy =
Rm Rn
Rn
Z
u(x, y) dx dy .
(4.8)
Rm
Teorema 4.2.7 (Teorema di Tonelli) Sia u(x, y) a valori reali misurabile e non negativa definita
per (x, y) Rm Rn . Se valgono le propriet`
a a) e b) del precedente teorema di Fubini 4.2.6,
allora u `e integrabile su Rm Rn .
Si osservi che nel teorema di Tonelli lipotesi del segno di u(x, y) `e essenziale. Infatti sia
x
u(x, y) = 2
qo in R2 .
(x + y 2 )2
(4.9)
x
Per ogni y 6= 0 uy (x) = (x2 +y
e integrabile in x, poich`e `e continua ed `e infintesima di ordine 3
2 )2 `
R
x
allinfinito. Inoltre, essendo dispari, lintegrale R (x2 +y
2 )2 dx = 0. Se valesse la tesi del teorema di
Tonelli, la funzione dovrebbe essere assolutamente integrabile in R2 . Ma ci`o non `e; infatti
Z Z
Z Z
Z
| cos |
d
cos
d d = 4 lim
= + .
d d = lim
4
2
0
0
2
R2
R2 \B
Dunque |u| non `e integrabile e quindi non lo `e u nel senso di Lebesgue. Quanto manca
allapplicabilit`
a del teorema di Tonelli `e lipotesi sul segno della funzione.
168
4.3
X
m (
A
)
=
m (Ak )
(4.10)
k=1 k
k=1
169
) Se Ak Ak+1 allora
m (
k=1 Ak ) = lim m(Ak ) .
(4.11)
Z
X
k=1
u.
(4.12)
Ak
k+ Ak
k+ Ak
Dimostrazione: Dimostreremo solo il punto ). Per ipotesi Ak `e misurabile per ogni k 1. Se poi
ogni Ak ha misura finita, ce lha pure nk=1 Ak = A1 + . . . An e si ha
m(
n
[
Ak ) = m(A1 ) + . . . + m(An )
k=1
Linsieme
k=1 Ak
m(Ak ) .
k=1
Ak )
k=1
m(Ak ) .
k=1
S
Pn
+
Ma poiche m(
k=1 Ak )
k=1 m(Ak ), n N si ha pure
m(
Ak )
k=1
m(Ak ) ,
k=1
(4.15)
170
Non dimostriamo questa proposizione. Tuttavia osserviamo che in altre trattazioni dellintegrale secondo Lebesgue quella che qui viene presentata come una proposizione `e invece data come
definizione di misurabilit`
a di una funzione.
Infine mettiamo in evidenza i seguenti risultati dei quali non forniamo la dimostrazione, che `e
piuttosto tecnica. Tuttavia essi sono di grande utilit`a per il calcolo pratico degli integrali secondo
Lebesgue.
Teorema 4.3.1 Sia u(x) una funzione limitata e nulla fuori di un compatto di Rn integrabile
secondo Riemann. Allora essa `e integrabile secondo Lebesgue e i due integrali coincidono.
Lemma 4.3.1 Sia u una funzione reale non negativa e integrabile su A misurabile. Se lintegrale
di u `e nullo, allora u(x) = 0 qo in A.
Z
u dx
Ak
u dx = 0 .
A
Teorema 4.3.2 Sia u(x) una funzione complessa definita in Br \{0}, integrabile secondo Riemann
su ognuno degli insiemi Br \B con 0 < < r. Allora u `e integrabile secondo Lebesgue in Br se e solo
se |u| `e integrabile in senso generalizzato secondo Riemann in Br . Se esiste lintegrale generalizzato
esso coincide con quello di Lebesgue.
Teorema 4.3.3 Sia u(x) definita in Rn \Br , e integrabile secondo Riemann in ogni insieme BR \Br ,
R > r. Allora u `e L-integrabile se e solo se |u| `e R-integrabile in senso generalizzato su Rn \ Br .
In questo caso i due integrali coincidono.
qP
n
2
k=1 xk .
4.3.1
171
Continuit`
a assoluta
Una nozione importante, che qui ci limitiamo a considerare nel caso unidimensionale, `e la seguente
(dovuta al matematico italiano Giuseppe Vitali)
Definizione 4.3.4 Una funzione u : [a, b] R si dice assolutamente continua su [a, b] se per ogni
> 0 esiste > 0 tale che per ogni famiglia finita di intervalli aperti e a due a due disgiunti
(k , k ) [a, b], k = 1, . . . , m si ha
m
X
|k k | <
k=1
m
X
k=1
(4.16)
x0
Dimostrazione: Omessa.
Vitali ha utilizzato una funzione V : [0, 1] R, che `e crescente, continua, uniformemente continua
tale che V (0) = 0 e V (1) = 1 (funzione gi`a in precedenza descritta da Georg Cantor e detta appunto
0
funzione di Cantor o scala del diavolo)
R x2 e0 che ha la propriet`a che V (x) = 0 qo. Poiche per ogni
coppia di punti x1 , x2 in [0, 1] si ha x1 V (t) dt = 0 la funzione non `e assolutamente continua.
Riteniamo utile dare unidea della costruzione della funzione V (x). Uno dei modi che sembra pi`
u
semplice `e il seguente. Sia C0 = [0, 1], C1 = [0, 31 ] [ 23 , 1], che si ottiene dal precedente insieme C0
sopprimendo lintervallo aperto centrale ] 31 , 23 [, C2 = [0, 19 ][ 92 , 39 ][ 23 , 79 ][ 89 , 1], ottenuto dallinsieme
precedente dividendo ciascuno degli intervall costituenti in tre parti uguali e sopprimendo lintervallo
aperto centrale, e cos` via. . . . Linsieme Cn `e formato da 2n sottointervalli, ciascuno di lunghezza
n
1
e dunque 23n . Lintersezione C = nN Cn `e nota come
3n , di [0, 1]. La lunghezza totale di Cn `
insieme ternario di Cantor. I suoi punti, usando la notazione di base tre, si scrivono 0, c1 c2 . . . ck . . .
dove ck assume solo i valori 0 o 2.
Sia ora gn (x) = ( 23 )n Cn (x), dove A (x), al solito, rappresenta la funzione caratteristica dellinsieme
A. Sia infine
Z x
Vn (x) =
gn (t) dt .
0
172
Si pu`o dimostrare che la successione (Vn (x))nN converge uniformemente ad una funzione V (x),
che, come le singole fn `e continua, crescente, tale che V (0) = 0, V (1) = 1 e per la quale V 0 (x) = 0
qo in [0, 1]. La funzione V (x) `e dunque uniformemente continua, ma non assolutamente continua,
poiche
Z
x
V (x) 6=
V 0 (t) dt = 0 .
1
V2(x)
1/9
2/9
1/3
2/3
7/9
8/9
1
4
Capitolo 5
Spazi Lp
Definiremo nel seguito spazi di funzioni Lp (A), che si dimostreranno essere spazi normati completi,
con la norma definita per mezzo dellintegrale di Lebesgue. Ora due funzioni che differiscono fra
loro solo su un insieme di misura nulla hanno lo stesso integrale (se esiste). Faremo dunque la
seguente
Convenzione. Diremo che due funzioni misurabili u e v, definite qo su un insieme misurabile
A Rn sono equivalenti se u(x) = v(x) qo in A. Si vede immediatamente che questa `e una relazione
di equivalenza. Parlando di funzioni misurabili ci riferiremo, in generale, alle classi dequivalenza
di funzioni cos definite. Linconveniente che nasce da questa convenzione `e che cos non si pu`
o pi
u
parlare del valore di una funzione in un punto. Tuttavia si osservi che vale la seguente
Proposizione 5.0.4 Sia u una funzione misurabile in un aperto Rn . Se esiste una funzione
f qo uguale a u e continua in , tale funzione `e unica.
Se dunque una funzione u(x) ammette come rappresentante qualificato una funzione continua v(x),
diremo che u(x0 ) = v(x0 ), poiche il valore `e assegnato in maniera inequivocabile, vista lunicit`
a di
senx
v(x). Per esempio, la funzione u(x) =
per x 6= 0 `e qo uguale a una funzione continua su R
x
data da v(x) = u(x) se x 6= 0 e v(0) = 1. Potremo dunque dire che u(0) = 1.
5.1
CAPITOLO 5. SPAZI LP
174
Se necessario distinguere scriveremo, Lp (A, R) o Lp (A, C). Gli insiemi L1 (A) e L (A) sono spazi
vettoriali su C come si pu`
o facilmente verificare. Per quanto concerne L2 (A), osservato che da
2
2
0 (ab) segue 2ab a +b2 , si deduce che vale 2|u||v| |u|2 +|v|2 e quindi |u+v|2 2(|u|2 +|v|2 ).
` poi ovvio che se u L2 (A) e
Ci`o mostra che se u e v sono funzioni di L2 (A) anche u + v lo `e. E
2
2
C, anche u L (A). Dunque anche L (A) `e uno spazio vettoriale sul corpo C.
Definizione 5.1.2 Indicheremo con
Z
||u||p,A =
|u|
1
(5.1)
Nel caso p = 1 `e immediato verificare che quella data soddisfa le propriet`a per essere dichiarata
una norma. In particolare, se ||u||1,A = 0, grazie al risultato del lemma 4.3.1, si ha che u(x) = 0
qo. Abbiamo il seguente
Lemma 5.1.1 Siano u una funzione reale misurabile su A misurabile di misura positiva e M
costante reale tale che u(x) M qo. Allora linsieme di tali costanti ha un minimo.
Dimostrazione: Sia M = {M : u(x) M qo in A}. Sia = inf M (non escludendo a priori che
= ). Esiste una successione decrescente (k ) che converge a con k > per ogni k N.
Per ogni k N esiste Mk < k , Mk M, cio`e tale che u(x) Mk qo. Dunque per ogni k N
esiste Bk di misura nulla tale che u(x) Mk per ogni x A \ Bk . Se B = kN Bk avremo
u(x) Mk , x A \ B, k N .
Dunque u(x) per ogni x A \ B, con B di misura nulla. Si osservi che M in base alla
definizione e al fatto che non pu`
o essere = . Infatti, se cos fosse avremmo u(x) =
sullinsieme A \ B di misura positiva (eventualmente di misura infinita).
Il numero ora trovato si dice lestremo superiore essenziale di u(x) su A.
ess sup xA u(x) = min{M : u(x) M qo} .
(5.2)
(5.3)
Se tali costanti non esistono diremo che ess sup u(x) = + o ess inf u(x) = rispettivamente.
Definizione 5.1.3 In L (A)
||u||,A = ess sup xA |u(x)| .
(5.4)
175
Si riconosce facilmente che quella data `e una norma in L (A). Si ha poi |u(x)| ||u||,A qo in A
e, se |u(x)| M , allora ||u||,A M .
Definizione 5.1.4 Ricordiamo che si dice spazio di Banach sul corpo C (o R) uno spazio vettoriale
B su C (o su R) che sia dotato di una norma e che sia completo cio`e tale che ogni successione di
Cauchy in B sia convergente a un elemento di B. Uno spazio di Banach nel quale la norma sia
dedotta da un prodotto scalare si dice spazio di Hilbert.
Teorema 5.1.1 Gli spazi Lp (A), (p = 1, 2, ) sono spazi di Banach rispetto alle norme dette.
L2 (A) `e uno spazio di Hilbert con prodotto scalare definito da
Z
hu, viA =
u(x) v(x) dx u, v L2 (A) .
(5.5)
A
N
w
L
Introduciamo le ridotte wk =
k
k 2
j=0 j
R
Pk
2 2 .
||u
||
,
cio`
e
w
k 2
j=0
A k
Poiche (wk2 ) `e non decrescente, grazie al Teorema di Beppo Levi 4.2.1, essa converge qo a una
funzione w integrabile e non negativa. Sia poi u = w. Mostreremo che wk u in L2 (A). Ora
u L2 (A); inoltre wk u qo. Infine vale |wk (x) u(x)|2 2|u(x)|2 qo per ogni k N. Allora per
il teorema di Lebesgue 4.2.2 applicato a |wk u|2 si ha che wk u in L2 (A).
Se poi uk ha segno arbitrario, si pu`
o applicare il criterio precedente alle parti positiva e negativa,
con ||u
||
||u
||
.
Nel
caso
complesso
si considerano poi le serie delle parti reali e immaginarie.
k 2
k 2
Consideriamo
infine il caso p = . Sia dunque (uk ) una successione a valori in L (A) tale che la
P
serie
||uk ||,A converga. Per ogni k N esiste Bk di misura nulla tale che |uk (x)| ||uk || x
A \ Bk . Sia B =
e tale che
k=0 Bk che ha misura nulla ed `
|uk (x)| ||uk || x A \ B, k N .
P
Poiche converge
||uk || , per il criterio di Weierstrass della convergenza normale, si ottiene che
P
la serie
uk (x) converge uniformemente in A \ B. Dunque la serie converge ad una funzione
misurabile e limitata in A \ B, funzione che sta quindi in L (A). Infine, si ha
||u
k
X
j=0
uj || sup |u(x)
xA\B
k
X
j=0
uj (x)| ,
CAPITOLO 5. SPAZI LP
176
e il membro destro tende a 0 per k . Dunque la serie converge nel senso di L (A).
4x
1
x
1
x
1
x2
per 1 x.
per 1 x.
(5.6)
Inoltre
||v||2 m (A)1/2 ||v|| , v L
(5.7)
m (A)1/2 ||v||2 ,
L2
(5.8)
L .
(5.9)
||v||1
||v||1
m (A)||v|| , v
Dimostrazione: Immediata.
(5.10)
||v||2 ||v||1
1/2
||v||
.
(5.11)
Dimostrazione: Infatti si ha
Z
Z
Z
2
2
||v||2 =
|v| =
|v| |v| ||v||
|v| = ||v|| ||v||1 .
A
La relazione tra la convergenza qo di una successione di funzioni e la convergenza in L1 , L2 o L
`e fornita dai seguenti teoremi.
177
Teorema 5.1.4 Sia p = 1 o p = 2. Sia (uk ) una successione di funzioni in Lp (A) e si supponga
che uk converga a u nella norma di Lp (A). Allora esistono una sottosuccessione (vj ) e una funzione
Lp (A) tali che vj (x) u(x) qo e |vj (x)| (x) qo, per ogni j (N ).
Dimostrazione: Omessa.
Dimostrazione: Omessa.
Osservazione 5.1.2 Sia A = R e sia uk la funzione caratteristica dellintervallo [log k, log(k + 1)[,
k 1; allora per p = 1, 2
Z
1
|uk |p = log(k + 1) log k = log(1 + ) .
k
R
Dunque limk |uk |p = 0. Tuttavia non esiste Lp (R) tale che |uk (x)| (x) qo pure se
uk (x) 0 qo. Infatti, se fosse |uk (x)| (x) qo per ogni k 1, si avrebbe (x) 1 qo e dunque
k=1
X
k=1
[log(k + 1) log(k )] =
X
k=1
log(1 +
1
) < + .
k2
CAPITOLO 5. SPAZI LP
178
Osservazione 5.1.3 Esiste una successione di funzioni che converge in L1 (0, 1) e in L2 (0, 1) ma
che non converge qo. Per ogni n 1 suddividiamo lintervallo [0, 1] in n intervalli uguali: In,j =
j
[ j1
e In,j Im,k
n , n ], j = 1, 2, . . . , n. Imponiamo sulla successione (In,j ) lordine lessicografico. Cio`
se n < m o se n = m ma j < k. Riordiniamo ora in ununica successione la successione doppia
cos` ottenuta, procedendo come segue: I1 = I1,1 e se I1 , I2 , . . . , Ik sono stati scelti Ik+1 sia il
primo (nellordine lessicografico) degli (In,j ) non presenti fra I1 , I2 , . . . , Ik . Sia poi uk la funzione
caratteristica dellintervallo Ik : uk (x) = Ik (x). La successione (uk ) `e la successione richiesta.
Infatti, se p = 1, 2
Z 1
1
|uk (x)|p = m (Ik ) = , se Ik = (In,j ) .
n
0
Dunque uk 0 in L1 e in L2 . Ma la successione non converge qo a 0. Infatti essa ha un andamento
oscillante per ogni x [0, 1]. Per ogni x esistono infiniti valori di k tali che x Ik e infiniti per
i quali x
/ Ik . Dunque per infiniti k uk (x) = 1 e per infiniti k uk (x) = 0. Una sottosuccessione
come quella del teorema 5.1.4 si ottiene, per esempio, prendendo quei valori di k corrispondenti a
(n, 1), prendendo poi (x) 1.
5.2
Sottospazi densi di Lp ()
Definizione 5.2.1 Una funzione misurabile in Rn `e detta funzione a scala se 1) supp (u) `e
compatto e 2) il prolungamento banale di u `e una funzione a scala di Rn .
Dalla definizione di Lp () con p = 1, 2, segue
Teorema 5.2.1 Sia Rn un aperto. Allora le funzioni a scala sono un sottospazio denso di
L1 () e di L2 ().
179
0
e1/x
se x 0
se x > 0 .
(5.12)
||x x0 || }. Come noto, Bx0 , = {x Rn : ||x x0 || < R} `e la palla aperta di centro x0 e raggio
x
in Rn , Bx0 , `e la sua chiusura. Si consideri poi V1 (x) = k v1 (t) dt che `e identicamente nulla
se x 1, `e di classe CZ (R) ed ha un valore costante c > 0 se x 1. Scegliendo opportunamente
+
la costante k, k = 1/(
1
4
x
x
) V1 (
).
(5.13)
5.3
Definizione 5.3.1 Sia A Rn un insieme misurabile di misura positiva e sia p 1. Con Lp (A)
denotiamo linsieme delle funzioni v definite su A a valori complessi e tali |v|p sia integrabile su A.
CAPITOLO 5. SPAZI LP
180
In Lp (A) introdurremo la norma
Z
||v||p,A =
|v|
1/p
,
v Lp (A) .
(5.14)
Dimostrazione: Si verifica facilmente che si tratta di uno spazio vettoriale e anche alcune propriet`
a
della norma sono facilmente verificate. Non cos` immediata `e la verifica che se u, v Lp (A) anche
(u + v) Lp (A) e la verifica della disuguaglianza triangolare.
Si consideri la funzione (t) = 2p1 (tp + 1) (t + 1)p , definita in 0 t 1. La derivata 0 (t) =
p2p1 tp1 p(t + 1)p1 = p[2p1 tp1 (t + 1)p1 ] 0 se 0 t 1. Si ha (1) = 0 e quindi
(t) 0 per 0 t 1. Se a, b > 0 e a b, posto t = ab 1 si avr`a perci`o ( ab ) 0, cio`e
2p1 (
bp
b
+ 1) ( + 1)p
p
a
a
1 1
+ = 1 si ha che
p q
||uv||1 ||u||p ||v||q .
(5.15)
Per provare questa disuguaglianza, osserviamo che la funzione log x `e una funzione concava su ]0, [
e quindi se 0 < s < 1, t1 , t2 > 0, si ha
s log(t1 ) + (1 s) log(t2 ) log(st1 + (1 s)t2 ) .
Passando allesponenziale
(1s)
ts1 t2
s t1 + (1 s) t2 .
181
1
p
e quindi 1 s = 1
1
p
= 1q , si trova
1 p
1 1
k |u(x)|p + q |v(x)|q .
p
q k
(5.16)
1
kp
||u||pp +
||v||qq , il secondo membro della precedente disuguaglianza. Al
p
q kq
variare di k > 0 questa funzione deve avere un minimo. La derivata
Definiamo g(k) =
1
1
||u||p ||v||q + ||u||p ||v||q = ||u||p ||v||q ,
p
q
(5.17)
cio`e la disuguaglianza di H
older 5.15.
Siamo ora in grado di dimostrare la disuguaglianza triangolare in Lp che in questo caso assume il
nome di disuguaglianza di Minkowski.
Se u, v Lp (A), si ponga w = |u| + |v| Lp (A). Osserviamo che
Z
Z
Z
Z
||w||pp =
wp = (|u| + |v|) wp1 =
|u| wp1 +
|v| wp1 .
A
Si noti che w(p1)q = wp e dunque wp1 Lq (A). Per la disuguaglianza di Holder si trova allora
||w||pp ||u||p ||wp1 ||q + ||v||p ||wp1 ||q = (||u||p + ||v||p ) ||wp1 ||q =
Z
(||u||p + ||v||p ) ( wp )1/q = (||u||p + ||v||p ) ||w||p/q .
A
Cio`e
||w||pp(11/q) = ||w||1/p
= ||(|u| + |v|)||p ||u||p + ||v||p .
p
Poiche ||u + v||p ||(|u| + |v|)||p segue la disuguaglianza di Minkowski (ossia la disuguaglianza
triangolare per la norma di Lp )
||u + v||p ||u||p + ||v||p
(5.18)
CAPITOLO 5. SPAZI LP
182
Infine, per quanto attiene alla completezza dello spazio, si procede come si `e fatto nel caso L2 (A),
sostituendo ovunque 2 con p.
Per concludere ricordiamo il seguente risultato
Proposizione 5.3.1 Se u Lp (A) per ogni p p0 , esiste
lim ||u||p ,
p+
p
A |u|
1
Infatti, si consideri A = [0, 1] R, u(x) = [0, 1 [ (x), v(x) = [ 1 ,1] (x). Allora
2
!1
|u + v|p =
|u(x) + v(x)|
[0,1]
!1
Z
|u(x)|
=
[0,1]
!1
|v(x)|
+
[0,1]
1 1
1 1
= 2 ( )p = 2 p .
2
Infatti, nelle nostre ipotesi, 1 p1 < 0. Se, per esempio p = 12 , 1 p1 = 1. Lo stesso fenomeno
si pu`o osservare con la p-norma in R2 . Si considerino i vettori u = (1, 1), v = (1, 0), w = (0, 1).
1
1
Sia |(x, y)|p = (|x|p + |y|p ) p . Allora |(1, 1)|p = 2 p > |(1, 0)|p + |(0, 1)|p = 1 + 1 = 2. Questo fatto `e
conseguenza della non convessit`
a delle sfere rispetto alla p-norma, quando 0 < p < 1.
183
0,75
0,5
0,25
-1,25
-1
-0,75
-0,5
-0,25
0,25
0,5
0,75
-0,25
-0,5
-0,75
-1
1,25
184
CAPITOLO 5. SPAZI LP
Capitolo 6
Introduzione
arctan(kx),
Fissata una funzione u L1loc (A), se v `e una funzione limitata e a supporto compatto,
Z
v 7 u v dx
`e un funzionale, cio`e unapplicazione da L
e lineare e tale che se la successione (vk )
loc (A) a C che `
tende alla funzione v in Lloc (A) ossia quando ||vk v||,K 0 per ogni compatto K A, si ha
Z
Z
Z
u vk u v = u(vk v) ||vk v||,K
|u| 0 .
K
K
K
R
Cio`e il funzionale v 7 u v dx `e lineare e continuo rispetto alle successioni (vk ) che tendono a v
in L
loc (A).
185
186
6.2
Distribuzioni
k+
se
vk v
in
D() .
(6.2)
6.2. DISTRIBUZIONI
187
(6.3)
(6.4)
Definizione 6.2.3 Sia (uk ) una successione di distribuzioni in e u D0 (). Diremo che (uk )
converge a u nel senso delle distribuzioni (in D0 ()) se
Z
Z
lim
uk v = uv
v D() .
(6.5)
k+
P
Analogamente, la serie di distribuzioni
uk converge a u nel senso delle distribuzioni se converge
a u nel senso delle distribuzioni la successione delle ridotte.
Vale il seguente
Teorema 6.2.1 [Teorema di completezza] Sia (uk ) una successione di distribuzioni in e si
supponga che per ogni v D() esista finito
Z
lim
uk v .
(6.6)
k+
188
6.3
(6.7)
Se
sign (x) =
1
1
se x < 0
se x > 0 ,
(6.8)
H(x) = 21 (1 + sign (x)) `e detta funzione di Heaviside. Ovviamente H(x) L1loc (R). Allora, per
ogni v D(R) si ha
Z
Z +
Hv = hH, vi =
H(x)v(x) dx =
v(x) dx .
(6.9)
0
Ci sono distribuzioni che non sono individuate da una funzione localmente integrabile. Per esempio
si consideri
` la distribuzione u definita da
Esempio 6.3.2 [La distribuzione delta di Dirac] E
Z
hu, vi = h, vi =
(x)v(x) = v(0) .
(6.10)
Mostriamo che questa distribuzione non `e generata da alcuna funzione localmente integrabile.
Teorema 6.3.1 Non esiste una funzione (x) L1loc (Rn ) che genera la distribuzione .
Dimostrazione: Infatti, se per assurdo la distribuzione fosse generata da una funzione localmenn
te
arbitraria v D(), si dovrebbe avere
R integrabile (x), preso = R \ {0} e una funzione
n \{0}, per il Lemma 6.2.1, e quindi (x) = 0 qo in
(x)v(x)
dx
=
0.
Cio`
e
sarebbe
(x)
=
0
qo
in
R
R
Rn , dal momento che linsieme {0} ha misura nulla. Dunque si avrebbe h, vi = Rn (x)v(x) dx = 0
per ogni v, anche per una v tale che v(0) = 1, per esempio. Dunque non potrebbe valere
luguaglianza h, vi = v(0).
Possiamo offrire una dimostrazione alternativa. Consideriamo la funzione
0
se ||x|| > 1
v(x) =
2
1/(||x||1)
ee
se ||x|| 1 .
189
Si tratta di una funzione in D(Rn ) tale che v(0) = 1. Consideriamo la successione vk (x) = v(kx);
per ogni k 1 si ha supp vk = {x : ||x|| k1 }. Se supponiamo che la distribuzione sia definita da
una funzione integrabile (x), dovremmo avere
Z
(x)vk (x) = vk (0) = 1 .
(6.11)
Rn
Osserviamo che |(x) vk (x)| |(x)| che `e funzione integrabile e che vk (x) 0 qo. Infatti
lim vk (x) = 1 6= 0
Dimostrazione: Omessa
se
uk v
K = supp (v) .
R
uv.
Esempio 6.3.3 Facciamo vedere che esistono funzioni u L1loc che tendono alla di Rn per
0+ . Sia v D() e si consideri
1
B (x) ,
m (B )
u (x) =
(2)n/2
n!!
se n `e pari
2(n+1)/2 (n1)/2
se n `e dispari .
n!!
190
Si ha
Z
1
u v =
m (B )
Rn
Z
v = v(x ),
x B .
Si `e tenuto conto del teorema della media per gli integrali e del fatto che v `e una funzione continua.
Ora se 0, anche x 0. Dunque
Z
u v = v(0) ,
lim
0 Rn
ossia u nel senso delle distribuzioni. In questo caso u `e una funzione a supporto compatto, ma
non `e di classe D(Rn ); tuttavia si potrebbe facilmente lisciarla fino a diventare anche di classe
C . Un esempio di classe C anche se non a supporto compatto `e invece fornito dal seguente
esempio.
Sia u(x) =
2
1 ex
lim
k R
Z
ku(kx)v(x) dx = lim
y
u(y)v( ) dy =
k
R
Z
u(y)v(0) dy = v(0) ,
R
per il teorema di Lebesgue 4.2.2. Dunque ancora limk uk (x) = (x) nel senso delle distribuzioni.
Altro esempio importante `e il seguente
Esempio 6.3.4 Sia u(x) = x1 definita qo in R. Ovviamente, u(x)
/ L1loc (R). Possiamo definire
una distribuzione su R considerando la parte principale dellintegrale P x1 :
Z
1
1
v(x) = h P , vi .
P
x
R x
La distribuzione si pu`
o definire come limite della famiglia di funzioni
1
(x)
x
dove (x) `e la funzione caratteristica di R \ [, ]. Si ha
Z
Z
1
v(x) v(0)
(x)v(x) dx =
dx ,
x
x
<|x|r
uguaglianza che vale perche 1/x `e dispari. Si noti che r `e tale che [r, r] supp v. Poiche v(x) `e
funzione di classe C esiste il limite per 0. Dunque
Z
Z
v(x)
v(x) v(0)
P
dx = lim
dx .
(6.12)
0 <|x|r
x
R x
Anche in questo caso la distribuzione non `e definita da una funzione localmente integrabile w(x).
Se lo fosse, sarebbe w(x) = x1 in R \ {0}, dunque qo in R. Ma x1 non `e integrabile in alcun intervallo
che contiene lo 0.
191
Osserviamo che una combinazione lineare di distribuzioni `e un distribuzione. Se u `e una distribuzione e C (), w = u `e la distribuzione che ad ogni v D() associa
Z
Z
wv = u(v) .
Infatti v D().
Osserviamo inoltre che se u `e un funzione differenziabile in Rn e v D(), allora
Z
Z
Z
v
u
u
=
v+
u vhek , i ds
xk
xk
+
(6.13)
u
r
Esempio 6.3.5 Calcoliamo la derivata della distribuzione di Heaviside H(x). In base alla definizione, abbiamo
Z
Z
Z
0
0
0
hH , vi =
H (x)v(x) dx = H(x)v (x) dx =
v 0 (x) dx = v(r) + v(0) = v(0) = h, vi ,
R
poiche si suppone che supp v [r, r]. Dunque, nel senso delle distribuzioni, si ha
H 0 (x) = (x)
(6.14)
Esempio 6.3.6 La derivata (nel senso delle distribuzioni) di log |x| `e P x1 . Infatti
Z
Z
Z
0
0
(log |x|) v = log |x|v (x) dx = lim
log |x|v 0 (x) dx =
0
R
|x|M
R
!
Z
1
M
v(x) dx =
= lim log |x| v(x)| log |x| v(x)|M +
0
|x|M x
Z
Z
1
1
=P
v(x) dx + lim log() [v() v()] = P
v(x) dx
0
x
x
R
R
Si `e tenuto conto che supp v [M, M ] e che v `e funzione infinitamente derivabile.
192
Supponiamo che w e v siano due funzioni differenziabili definite su un aperto limitato e connesso di
Rn con w a valori in Rn e v a valori in R. Se indica il gradiente, allora vale la seguente formula
dintegrazione per parti
Z
Z
Z
vhw, i ds .
(6.15)
hw, iv dx = (div w)v dx +
Qui div w = w =
n
X
wk
+
Z
Z
v
ds .
= u(v) dx +
u
+
Cio`e
Z
Z
u(v) dx
(u)v dx =
u
v ds +
Z
u
+
v
ds .
(6.16)
u X u
2u
2u
=
rk
e che
=
per
r
xk
xk xh
xh xk
k=1
ogni h, k = 1, . . . , n; cio`e per le derivate di una distribuzione vale sempre il teorema di Schwarz.
Si vede facilmente che, nel senso delle distribuzioni,
6.3.1
(6.17)
Un esempio importante
1
Esempio 6.3.7 Sia u L1loc (R3 \ {0}) definita da u(x) = ||x||
, per x 6= 0, ||x|| =
3
v D(R ), si ha
Z
Z
Z
u v =
u v = lim
u v =
0 ||x||>
R3
R3
(Z
)
Z
Z
u v +
= lim
||x||>
uhv, ids
||x||=
vhu, ids
||x||=
qP
3
2
k=1 xk .
Se
193
dove `e la normale esterna rispetto ||x|| > , quindi (x) = x , se ||x|| = . In R3 \ {0} u(x) `e
1
x
3
di classe C e quindi u = ||x||
2 ||x|| e conseguentemente u = 0 in R \ {0}. Dunque il primo
integrale tende a 0 per 0. Il modulo del secondo contributo `e maggiorato da
||v||,R3 ||u||,||x||= 42 .
Il primo fattore `e limitato, il secondo vale 1 e quindi il tutto tende a 0 se 0. Infine si osservi
che hu, i = 12 su ||x|| = , e quindi il terzo integrale d`
a
Z
vhu, ids =
||x||=
1
2
Z
v(x) ds =
||x||=
4
42
Z
v(x) ds = 4v(x ) .
||x||=
Qui si `e applicato il teorema della media per lintegrale. Se 0, questo contributo tende a 4v(0).
Dunque abbiamo stabilito
(
1
) = (x)
4||x||
in R3 .
(6.18)
6.3.2
La convoluzione
Si ha
Teorema 6.3.3 Siano u, v L1 (Rn ). Allora u v L1 (Rn ).
194
Rn
Rn
Rn
Ma anche la funzione y 7 |v(y)|||u||1 `e integrabile. Dunque, per Fubini 4.2.6, `e integrabile anche
y 7 u(x y)v(y) per quasi ogni x e quindi u v `e definito qo come funzione di x.
Z
u(x y) v(y) dy = u v(x)
Rn
(6.21)
Si pu`o dimostrare che se u, v L1loc (Rn ) e almeno una delle due, per esempio u L1 (Rn ), allora
u v L1loc (Rn ). Lo stesso vale se una delle due ha supporto compatto. Si osservi che in ogni caso
si ha
u v(x) = v u(x)
(6.22)
R +
Per semplicit`
a verifichiamolo per x, y R (cio`e n = 1). Si ha uv(x) = u(xy)v(y) dy. Con la
R
R +
sostituzione z = x y e dunque y = x z si trova u(x y)v(y) dy = + u(z)v(x z) (dz) =
R +
e difficile generalizzare al caso Rn .
v(x z)u(z) dz = v u(x). Non `
Definizione 6.3.4 Se A, B Rn definiamo
A + B = {z Rn : x A, y B
z = x + y} .
(6.23)
Dimostrazione: Omessa.
(6.24)
Teorema 6.3.5 Siano u, v L1loc (Rn ) e v a supporto compatto. Se una delle funzioni `e continua,
anche u v `e continua. Se una delle funzioni `e di classe C 1 , anche u v lo `e e si ha
Dk (u v) = (Dk u) v
oppure
u (Dk v) .
(6.25)
195
Dimostrazione: Si supponga u continua e v a supporto compatto. Sia (xk ) una successione che
tende a x. Scelti r, R tali che ||xk || < r e supp v BR = {x : ||x|| < R}, si trova
Z
Z
u(xk y)v(y) dy =
u(x y)v(y) dy ,
lim u v(xk ) = lim
k
k supp v
supp v
per il Teorema di Lebesgue 4.2.2. Infatti una maggiorazione dellintegrando `e data da M |v(x)| se
M = sup |u| in Br+R .
Se poi u C 1
Z
lim
h0 supp v
Z
(Dk u(x y))v(y) dy ,
supp v
[0,1] (x y) dy
0
La funzione [0,1] (x y) vale 1 solo se 0 x y 1 mentre vale 0 fuori da tale intervallo. Tenuto
conto che pure y `e compreso tra 0 e 1, si vede che lintegrale d`a un contributo non nullo solo se
0 x 2. Dunque per i valori di x in [0, 2], si ha
Z 1
Z x1
Z x
[0,1] [0,1] (x) =
[0,1] (x y) dy =
dt =
dt = x x + 1 = 1 .
0
x1
(6.26)
Vogliamo ora cercare di definire la convoluzione di distribuzioni. Supponiamo date due distribuzioni
u, w, definite per esempio da funzioni localmente integrabili, e vediamo quale significato possa avere
hu w, vi con v D(Rn ).
Z
Z Z
hu w, vi = (u w)v =
u(x y)w(y) dy v(x) dx .
Rn
Posto x y = z e quindi x = y + z,
ZZ
Z Z
u(x y)w(y) dy v(x) dx =
Rn
Rn
Rn Rn
Rn
ZZ
(u w)v(y + z) dy dz .
u(z)w(y)v(y + z) dy dz =
Rn Rn
Si osservi che se v(x) ha supporto compatto, non `e detto che anche v(y + z) ce labbia. Per esempio,
se x R, a > 0, |x| a `e un intervallo compatto, ma |y + z| a non `e un compatto di R2 . Se, pi`
u
in generale, K `e un compatto di Rn , linsieme delle coppie (y, z) Rn Rn tali che y + z K non
196
`e un compatto di Rn Rn , a meno che non si imponga unulteriore condizione di vincolo. Se, per
esempio, una delle due distribuzioni ha supporto compatto, per esempio supp w {y : ||y|| b},
b > 0, allora y + z K e ||y|| b `e un compatto di Rn Rn .
Dunque, nel caso in cui w abbia supporto compatto
ZZ
v 7
(u w)v(y + z) dy dz , v D(Rn ) ,
Rn Rn
Cio`e
u = u,
u D0 (Rn ) .
(6.27)
Pi`
u in generale, `e (u )(x x0 ) = u(x x0 ). (Lo si calcoli per esercizio).
6.4
(6.28)
u
xk .
Definizione 6.4.1 Loperatore differenziale 6.28 si dice di tipo ellittico se tutti i coefficienti ak
sono strettamente positivi. Pi`
u in generale, un operatore
D=
n
X
aij Di Dj
(6.29)
i,j=1
197
(6.30)
(6.31)
Si cerca un soluzione u(x, t) dellequazione 6.30 con la condizione iniziale 6.31 nellambito delle
distribuzioni di Rn dipendenti dal parametro t, pensato come il tempo.
Definizione 6.4.2 Diremo che G(x, t) `e una soluzione fondamentale o funzione di Green di 6.30
se G(x, t) soddisfa 6.30 e inoltre G(x, 0) = (x).
Il problema posto ha la seguente soluzione nellambito delle distribuzioni
Teorema 6.4.1 Il problema 6.30 + 6.31 ha come soluzione
u(x, t) = (G f )(x, t) .
(6.32)
Dimostrazione: Si noti che la convoluzione va fatta sulle variabili spaziali. La dimostrazione `e allora
una semplice verifica. Infatti
D(G f ) = (DG) f
(G f )t =
(G f )(x, t)
= Gt f .
t
Dunque
Du ut = (DG Gt ) f = 0 ,
poiche (DG Gt ) = 0 per ipotesi. Inoltre
G(x, 0) f = f = f .
In questo modo tutta la difficolt`
a `e scaricata sulla capacit`a di trovare la soluzione fondamentale.
Analogamente si pu`
o dare la soluzione nel senso delle distribuzioni del problema ai valori iniziali
per lequazione iperbolica
2u
= Du in R+ Rn ,
t2
(6.33)
198
u(x, 0)
ut (x, 0)
= f(x)
= g(x) .
(6.34)
Dimostrazione: Esporremo ora in dettaglio come si pu`o ottenere la soluzione nel senso delle distribuzioni a partire dalla conoscenza di G(x, t). Consideriamo la distribuzione
u(x, t) = (G f )(x, t) .
` facile riconoscere che u(x, t) soddisfa lequazione differenziale e che inoltre u(x, 0) = 0 e che
E
ut (x, 0) = f (x). Perci`
o, se poniamo v(x, t) = ut (x, t) = (Gt f )(x, t), si trova che v(x, t) soddisfa
lequazione 6.33 e inoltre v(x, 0) = (Gt (x, 0)) f = f (x) e vt (x, 0) = (Gtt (t = 0)) f (x, 0).
Cerchiamo ora una soluzione w(x, t) tale che w(x, 0) = 0 e wt (x, 0) = g(x) vt (x, 0). Una tale
soluzione `e evidentemente fornita da
w(x, t) = G (g Gtt (t = 0) f )(x, t) .
Allora
z(x, t) = v(x, t) + w(x, t)
`e la soluzione cercata. Infatti, lequazione differenziale Dz =
della soluzione fondamentale G(x, t). Inoltre si ha
(6.35)
2z
t2
(6.36)
zt (x, 0) = vt (x, 0) + wt (x, 0) = (Gtt f )(x, 0) + (Gt g)(x, 0) (Gtt f )(x, 0) = g(x) . (6.37)
Applichiamo, per esempio questa tecnica allequazione delle onde nella sua forma pi`
u semplice, con
una sola coordinata spaziale.
2
2u
2 u
=
c
.
t2
x2
(6.38)
199
Osserviamo che v(x, t) = H(x ct) `e una soluzione dellequazione 6.38. Infatti
vx0 (x, t) = H 0 (x ct) = (x ct)
t
ossia vt (x, t) =
t H(x
00
vxx
= 0 (x ct) .
R H(x ct)(x) dx
R +
ct
(x) dx e dunque
(x) dx = c(ct) ,
ct
2
H(x
t2
(6.39)
e inoltre v(x, 0) = H(x) e vt0 (x, 0) = c(x). Analogamente si trova che w(x, t) = H(x + ct) risolve
lequazione differenziale e inoltre w(x, 0) = H(x) e wt (x, 0) = c(x). Allora
G(x, t) =
1
[H(x + ct) H(x ct)]
2c
(6.40)
`e una soluzione fondamentale. Infatti G(x, t) `e una soluzione dellequazione delle onde 6.38 poiche
`e una combinazione lineare di soluzioni di unequazione lineare; inoltre
G(x, 0) =
1
[H(x) H(x)] = 0
2c
G
1
(x, 0) = [c(x) + c(x)] = (x)
t
2c
2G
1
(x, t) = [c2 0 (x + ct) c2 0 (x ct)]
t2
2c
2G
(x, 0) = 0 .
t2
Dunque, in base alla formula 6.35
z(x, t) = (Gt f )(x, t) + G (g Gtt (t = 0) f )(x, t) =
1
1
= [c(x + ct) + c(x ct)] f + [H(x + ct) H(x ct)] g =
2c
2c Z
Z
1
1
= [f (x + ct) + f (x ct)] + [ H(x + ct )g() d
H(x ct )g() d] =
2
2c R
R
Z x+ct
Z xct
1
1
g() d
g() d]
= [f (x + ct) + f (x ct)] + [
2
2c
e, finalmente, si ottiene
1
1
z(x, t) = [f (x + ct) + f (x ct)] +
2
2c
x+ct
g() d
(6.41)
xct
che `e la nota formula di DAlembert, interpretata ora nel senso delle distribuzioni. In particolare
si pu`o assegnare un significato a questa formula anche se f non `e di classe C 2 (R) e g
/ C 1 (R).
200
in Rn .
(6.42)
Una soluzione fondamentale di 6.42 `e una distribuzione G(x) tale che DG = (x). Allora u(x) =
(G f )(x) `e soluzione di 6.42. Infatti, come facilmente si verifica,
Du = D(G f ) = (DG) f = f = f .
Abbiamo verificato (si veda 6.18) che
(
1
) = (x)
4||x||
in R3 .
in R3
ha la soluzione
1
u(x, y, z) =
4
Z
R3
f (, , )
p
ddd .
2
(x ) + (y )2 + (z )2
Capitolo 7
Definizione 7.1.1 Sia f una funzione di L1 (Rn ). Diremo trasformata di Fourier di f (x) il
seguente integrale (che certamente esiste sotto lipotesi fatta come qui sotto `e spiegato)
Z
f () =
eihx,i f (x) dx = F(f )() .
(7.1)
Rn
Qui Rn e hx, i =
Pn
1
k=1 xk k .
F1 (f )() =
eihx,i f (x) dx ,
n
n
( 2) R
che `e usata specialmente nelle trattazioni teoriche e che rende particolarmente semplice la formula
di inversione e luguaglianza che appare nel Teorema di Plancherel. Inoltre
Z
F2 (f )() =
ei2hx,i f (x) dx ,
Rn
usata in molti testi di teoria dei segnali. Anche in questo caso la formula di inversione `e particolarmente semplice.
Si osservi che la trasformata di Fourier di f `e una funzione f : Rn C. A giustificazione della
definizione osserviamo che se f L1 (Rn ), poiche il fattore eihx,i C (Rn ) L (Rn ), allora
eihx,i f (x) L1 (Rn ). Dalla definizione stessa segue la linearit`
a della trasformazione.
1
Le note di questo capitolo sono state redatte utilizzando in parte appunti del Prof. Daniele Del Santo.
201
202
Rn
cio`e che
lim f(n ) = f() .
(7.2)
Proposizione 7.1.2 [Limitatezza] La funzione f `e limitata.
Dimostrazione: Infatti si ha, ricordando che eihx,i = 1,
Z
Z
Z
|f()|
eihx,i f (x) dx
|eihx,i f (x)| dx
Rn
Rn
Rn
(7.3)
[a,b] (x)eix dx =
Z
a
h eix ix=b
eia eib
eix dx =
=
.
i x=a
i
` DELLA TRASFORMATA
7.2. ALTRE PROPRIETA
203
1
Ma per la definizione di integrale di Lebesgue, sappiamo
R che una funzione f L (R) `e limite qo di
una successione di funzioni a scala e che si ha limk R |f uk | = 0. Inoltre la trasformata di una
funzione a scala, essendo combinazione lineare finita di funzioni caratteristiche di un intervallo, ha
trasformata di Fourier che tende a 0 quando . Dunque dato > 0, esiste k tale che se k > k
si ha
Z
ed esiste R > 0 tale che se || > R si ha |uk |() < 2 . Perci`o, se scegliamo un k > k e un || > R
avremo
Z
Z
ix
ix
|f ()| = e
f (x) dx = e
f (x) uk (x) + uk (x) dx
R Z
R
Z
ix
e
f (x) uk (x) dx + eix uk (x) dx
R
R
Z
(7.4)
Rn
||||
7.2
Altre propriet`
a della trasformata
(7.5)
Rn
204
Proposizione 7.2.2 [Traslazione in frequenza] Sia g(x) = eiha,xi f (x) = eihx,ai f (x). Allora
g() = f( a) .
(7.6)
Rn
Proposizione 7.2.3 [Riscalamento] Sia g(x) = f ( x ) con R \ {0}. Allora
g() = ||n f() .
(7.7)
Dimostrazione: Infatti
Z
x
x
= y)
eihx,i f ( ) dx = (se poniamo
Rn
Z
eihy,i f (y)||n dy = ||n
eihy,i f (y) dy = ||n f() .
g() =
Z
=
Rn
Rn
Pi`
u in generale, si pu`
o dimostrare che, se A `e una matrice n n invertibile e a coefficienti reali
Proposizione 7.2.4 [Riscalamento generale] Sia g(x) = f (A1 x) con A MR (n, n) e det(A) 6= 0.
Allora, se At indica la trasposta di A, si ha
g() = | det(A)|f(At ) .
(7.8)
Proposizione 7.2.5 [Coniugio] Sia g(x) = f (x) dove (a + ib) = a ib `e loperazione di coniugio
nel campo complesso C. Allora si ha
g() = f() .
Dimostrazione: Infatti
Z
Z
ihx,i
g() =
e
f (x) dx =
Rn
Rn
eihx,i f (x) dx
(7.9)
Z
=
Rn
` DELLA TRASFORMATA
7.2. ALTRE PROPRIETA
205
Proposizione 7.2.6 [Trasformata della derivata] Sia f (x) L1 (Rn ) e supponiamo che
L1 (Rn ). Allora si ha
d
f
() = (ik )f() .
xk
f
xk
(7.10)
Dimostrazione: Ci limiteremo ad esporre la dimostrazione nel caso n = 1, per funzioni di una sola
variabile spaziale. Allora si ha
Z
0
Rx
Si noti che limx+ eix f (x) = 0 e analogamente per x . Infatti f (x) = f (0) + 0 f 0 (t) dt
e quindi, poiche f 0 `e integrabile esiste limx+ f (x), ma, poiche pure f (x) `e integrabile, questo
limite non pu`
o che essere 0. In definitiva si ottiene
fb0 () = i f() .
Proposizione 7.2.7 [Trasformata del prodotto per una variabile] Sia f (x) L1 (Rn ) e supponiamo
che xk f L1 (Rn ). Allora si ha
f()
\
x
.
k f () = i
k
(7.11)
Dimostrazione: Anche in questo caso proveremo la formula per funzioni di una sola variabile.
Supponiamo dunque che f (x) e xf (x) siano funzioni in L1 (R). Sia hm una successione in R tale
che limm hm = 0 e consideriamo
Z + h ix(+hm )
Z + h ixhm
f( + hm ) f()
e
eix i
e
1 i ix
=
f (x) dx =
e
f (x) dx .
hm
hm
hm
Ora si pu`o osservare che, dato un arco || 2, la lunghezza della corda |ei 1| ||. 2 Se
poi
larco supera
in modulo 2, la disuguaglianza vale a maggiore ragione. Dunque si conclude che
h ixh
i
m 1
e
|ixhm |
|hm | = |x|. Dunque
hm
h eixhm 1 i
ix
e
f
(x)
|x eix f (x)| = |x| |f (x)| x R, m N .
hm
h eixhm 1 i
Ora xf (x) L1 (R), lim
eix f (x) = ixeix f (x) e per il Teorema di Lebesgue
m
hm
sulla convergenza dominata si ha
Z + h ixhm
Z +
e
1 i ix
\
lim
e
f (x) = i
xeix f (x) dx = ixf
(x)() .
m
hm
p
2 2 cos() = 2| sin( 2 )| ||.
206
Cio`e
\
xf
(x)() = if0 () .
Vediamo ora alcuni esempi interessanti
Esempio 7.2.1 Sia f (x) = [a,a] (x), a > 0. Il caso della funzione caratteristica di un intervallo
`e gi`stato trattato, comunque si trova facilmente
Z a
Z +
h eix ix=a
sin(a)
ix
eix dx =
e
[a,a] (x) dx =
f () =
=2
i x=a
2 sin(a)
2a
=
6 0
=0 .
(7.12)
|x|
) [a,a] (x). Allora
a
Z a
Z
Z 0
i 0 eix
x
i ix
x 0
x
ix
ix
e
(1 ) =
e
(1 + )
dx +
f () =
e
(1 + ) +
a
a
a x=a a a
0
a
Z
i ix
i
x x=a i a eix
i
i i ix 0
i i ix a
+ e
+
+
=
(1 )
dx =
e
e
a 0
0
a
a
a
x=a
x=0
!2
1cos(a)
sin( a
1
1 ia
1 ia
1
2 2 cos(a)
2
2 )
= 2 2 e 2 e
+ 2 =
= a 2 a2 = a
.
a
a a
a
a
2a
Dunque
f() = a
sin( a
2 )
!2
a
2
(7.13)
2
f () =
e
e
dx = e
2
ixx2
4
dx = e
e(x+i 2 ) dx .
z 2
207
In dettaglio si ha
Z
g(z) dz =
0=
ex dx +
R+i 2
e(R+iy) i dy +
e(x+i 2 ) dx +
R+i 2
e(R+iy) i dy .
I due integrali
Z
R+i 2
(R+iy)2
Z
i dy
R+i 2
e(R+iy) i dy
2
+
ricordando che ex dx = si trova
(x+i 2 )2
Z
dx = 0
ossia
e(x+i 2 ) dx =
Finalmente, si ottiene
f() =
e 4 .
(7.14)
Pi`
u in generale, ricordando la propriet`
a di riscalamento 7.2.4, si trova, se a > 0,
F(e
x2
a
)=
a2
ae 4 .
)=
2
2e 2 .
In particolare, se a = 2, si trova
F(e
x2
2
(7.15)
7.3
Convoluzione e approssimazione
Abbiamo gi`a introdotto la nozione di convoluzione di due funzioni e mostrato, per esempio, che se
f e g sono di classe L1 , anche la convoluzione f g lo `e (6.3.3). Analogamente se f `e di classe L2
o L e g L1 , allora f g sta nella classe di f . Abbiamo ora il seguente importante
Lemma 7.3.1 Sia L1 (Rn ) tale che
allora
Rn
k+
(7.16)
208
Dimostrazione: Cominciamo a considerare il caso f C00 (Rn ), cio`e di una funzione continua e a
supporto compatto. In questo caso si ha
Z
Z
Z
f (x)k (y) dy =
f (x y)k (y) dy
k (x y)f (y) dy f (x) =
(k f f )(x) =
Rn
Rn
Rn
Z
Z
z
(f (x y) f (x)) k n (ky) dy =
f (x ) f (x) (z) dz .
=
k
Rn
Rn
Nellultimo passaggio si `e fatta la sostituzione z = ky. Ora f `e
il Teorema di Heine) e quindi R> 0, > 0 tale che se |y| <
Inoltre > 0, R > 0 tale che Rn \B(0,R) (x) dx ||||L1 (Rn ) .
R
R tale che Rn \B(0,R) (x) dx ||||L1 (Rn ) . Qui B(0, R) = {x :
z
n
in
o
euclidea. Esiste poi k tale che sia || k || < per z B(0, R). Perci`
R R con zla distanza
Rn f (x k ) f (x) dx 2m (supp f ) per ogni z B(0, R). Osserviamo che
Z
Z
Z
z
z
z
f (x ) f (x) dz +
f (x ) f (x) dz ,
f (x ) f (x) dz =
k
k
k
B(0,R)
Rn \B(0,R)
Rn
e quindi
Z
z
f
(x
f
(x)
|(z)| dzdx +
k
n
n
R
Rx B(0,R)z
Z Z
Z
z
0
+
2m (supp f )|(z) dz +
f (x ) f (x) |(z)| dzdx
k
Rn
(Rn \B(0,R))z
B(0,R)
x
Z
+
2||f ||L1 |(z)| dz 2m (supp f )||(z)||L1 + 2||f ||L1 ||(z)||L1 =
|k f f | (x) dx
Rn \B(0,R)
7.4
(7.17)
Dimostrazione: Infatti
Z
F(f g)() =
e
Rn
ihx,i
Z
(f g)(x) dx =
e
Rn
ihx,i
Z
f (x y)g(y) dy
Rn
dx =
Rn
Rn Rn
Definizione 7.4.1 Se f L1 (Rn ), si dice antitrasformata di Fourier di f la funzione
Z
)() = 1
F(f
eihx,i f (x) dx .
(2)n Rn
(7.18)
F(F(f
)) = f
(7.19)
(7.20)
Dimostrazione: Infatti
(f g)(x) =
Rn
R
R
f (x y)
g (y) dy = Rn f (x y) Rn eih,yi g() ddy =
R
R
= Rn f (x y) Rn eih,yi g() ddy
210
( xk ),
1
e
( 2)n
||x||2
2
ha come trasformata e
||||2
2
con k = 1, e, . . .. Si ha
f k ( 2)n f in L1 (Rn ) .
Infatti in base al lemma citato si ha che se k (x) = k n (kx) (con (x) =
1
e
( 2)n
||x||2
2
), allora
2
(2)n (fk )() = ( 2)n f()e 2k2 ( 2)n f() qo
2) f)()
(2)n F(
in norma L . In definitiva si ha
fk )(x) ( 2)n F(
f)()
( 2)n f (in L1 (Rn )) f k = (2)n F(
(in L ) .
qo .
(7.21)
(7.22)
7.5
Lo spazio di Schwartz
Definizione 7.5.1 Indichiamo con S(Rn ) lo spazio delle funzioni di classe C rapidamente decrescenti allinfinito. Cio`e
n
n
n
n
S(R ) = {f : (f : R C), f C (R ), , N C, tale che x f C, } . (7.23)
211
g : Rn C funzione assegnata. Osserviamo che S(Rn ) L1 (Rn ) e, inoltre si pu`o osservare che se
f S(Rn ) `e anche f L . Infatti, preso preso || = || = 0, se f S(Rn ) `e anche f L , poiche,
per la definizione 7.23, esiste M > 0 tale che |f (x)| M x Rn . Ma `e anche ||x||n+1 f L (Rn )
M0
e quindi, per unopportuna costante M 0 > 0 si ha che |f (x)| ||x||
n+1 . In definitiva |f (x)| g(x)
dove
g(x) =
K
K
||x||n+1
||x|| 1
||x|| > 1 ,
p
o
dove K = max{M, M 0 }, ||x|| = x21 + . . . x2n e quindi g L1 (Rn ). Lo stesso ragionamento si pu`
fare per ogni derivata e per ogni prodotto di un arbitrario polinomio per ogni ordine di derivata
della funzione.
Abbiamo allora il seguente
Teorema 7.5.1 La trasformazione F applica S(Rnx ) in S(Rn ). Inoltre F `e una biiezione fra i due
spazi. (Si pu`
o dimostrare di pi`
u: F `e un isomorfismo fra i due spazi se a S si d`
a la struttura di
spazio di Frechet usando le seminorme C, .)
=
e quindi che (F(f )) = (i)|| F(x (ix) f (x))(). Cio`e (F(f ))
la trasformata di Fourier di (i)|| (x (ix) f (x)) che `e una funzione in S(Rnx ) e perci`o di L1 (Rn )
conseguentemente ha trasformata in L .
(F(f ))
F((ix) f (x))()
(2) La biiettivit`
a viene dal teorema di inversione.
Siano f1 , f2 S(Rnx ) e supponiamo che F(f1 ) = F(f2 ). Ora F(f1 ) = F(f2 ) S(Rn ) e quindi si ha
f1 = F(F(f
1 )) = F(F(f2 )) = f2 .
Cio`e la trasformazione F `e iniettiva.
212
7.6
(7.24)
!
Z
1
f (x)g(x) dx =
dx =
f (x)
eihx,i h() d dx =
hf, giL2 =
f (x)F(h)(x)
(2)n Rn
Rn
Rn
Rn
x
!
!
Z
Z
Z
Z
1
1
=
f (x)
h()
eihx,i f (x) dx d =
eihx,i h() d dx =
n
n
n
n
(2)
(2)
n
Rn
R
R
R
x
x
Z
Z
1
1
1
=
F(f )()F(g)() d =
hf, giL2 .
h()F(f )() d =
n
n
(2) Rn
(2) Rn
(2)n
Z
Questi passaggi sono giustificati dal fatto che, poiche (x, ) 7 f (x)h() L1 (Rnx Rn ), per Fubini
si pu`o scambiare lordine di integrazione.
Abbiamo ora il seguente
Teorema 7.6.1 [Teorema di Plancherel] Esiste ed `e unica lapplicazione F : L2 (Rnx ) L2 (Rn )
che estende la trasformata di Fourier definita in S(Rn ). Si ha inoltre, per le funzioni f S(Rn )
||f ||2L2 =
1
||F(f )||2L2 .
(2)n
1
||F(f )||2L2 .
(2)n
(7.25)
213
Sappiamo per quanto affermato dal Teorema 5.2.2 che C0 (Rn ) = D(Rn ) `e denso in L2 (Rn ). Ma
D(Rn ) S(Rn ) L2 (Rn ). Dunque a maggior ragione S(Rn ) `e denso in L2 (Rn ).
Sia f L2 (Rn ) e sia (gk ) una successione di funzioni in S(Rn ) che converge in norma L2 a f .
Questa successione `e dunque, in L2 , una successione di Cauchy in quanto `e convergente. Per il
risultato 7.25 (le norme di g e di F(g) differiscono per una costante) anche la successione (F(gk ))
`e una successione di Cauchy in L2 e quindi converge ad una funzione h L2 (Rn ). Definiamo
F(f )() = h() = lim F(gk )() .
L2
(7.26)
Poiche la definizione `e data con convergenza in norma L2 `e chiaro che luguaglianza vale qo. Inoltre
la definizione non dipende dalla particolare successione, come facilmente si pu`o riconoscere. Inoltre
la trasformazione F cos` definita `e lunica che estende la trasformata di Fourier definita in S.
Infine `e facile riconoscere che se f L1 (Rn ) L2 (Rn ) allora la trasformata di Fourier nel senso di
L2 coincide con la trasformata di Fourier nel senso di L1 .
Infatti, se f L1 (Rn )L2 (Rn ), si pu`
o provare che esiste una successione (gk ) in D(Rn ) che converge
1
2
af sia in L che in L . Allora F(gk ) FL2 (f ) in L2 . Daltra parte
||F(gk ) FL1 (f )||L ||gk f ||L1
e quindi F(gk ) FL1 (f ) in L . Ne segue che
FL2 (f ) = FL1 (f )
qo .
7.7
Si vuole trovare la soluzione del seguente problema ai valori iniziali per lequazione del calore
t u(x, t) = x2 u(x, t) t > 0, x R
(7.27)
u(x, 0) = u0 (x)
xR ,
214
dove u0 (x)`e una funzione di classe L2 (R). Procederemo per ora in modo formale, supponendo che
tutte le operazioni coinvolte siano giustificate.
Se indichiamo con Fx la trasformata di Fourier rispetto alla x, si ottiene
Fx x2 u(x, t) = 2 Fx (u(x, t))() = 2 v(, t) .
Qui v(, t) = Fx (u(x, t))() =
Re
ix u(x, t) dx.
Analogamente
Z
Fx (t u(x, t))() =
R
eix
u(x, t)
v
dx =
,
t
t
avendo supposto che loperatore trasformata di Fourier commuti con la derivata parziale rispetto
a t.
Dunque, dallequazione alle derivate parziali del calore 7.27 si ottiene la seguente equazione differenziale ordinaria per la trasformata di u(x, t)
v
+ 2 v(, t) = 0 ,
t
(7.28)
R
R
2
ei(yx) e t d
`e la trasformata di Fourier di
2
e t
r
calcolata in y x, ossia
(yx)2
4t
e
.
t
7.8
Z
R
(yx)2
1
e 4t u0 (y) dy .
2t
(7.29)
Abbiamo gi`a introdotto lo spazio S(Rn ). Introduciamo in questo spazio la nozione di convergenza
di una successione di funzioni.
215
Definizione 7.8.1 Siano (vk ) una successione e v una funzione in S(Rn ). Diremo che vk converge
a v nel senso di S(Rn ) se per ogni coppia di multiindici , la successione k 7 x (vk v) tende
uniformemente a 0 su Rn . Cio`e se
n
sup |x (vk v)| = 0 .
(7.30)
, N ,
lim ||x (vk v)||L = lim
k+
k+
xRn
Si noti che se una successione di funzioni in D(Rn ) converge nel senso di D, a maggiore ragione
converge nel senso di S. Dunque non solo D(Rn ) `e sottospazio di S(Rn ), ma la convergenza nel
senso di D implica la convergenza nel senso di S. Tuttavia, `e facile dare un esempio di successione
convergente in S ma non in D. Infatti, se
(
1
(x2 1)
se |x| < 1
(x) = e
0
altrove ,
( x )
allora vk (x) = 2kk non converge a 0 in D(R) poiche i supporti delle funzioni della successione non
sono tutti contenuti nello stesso compatto; si ha infatti supp vk = [k, k]. Tuttavia converge a 0 in
S(R). Infatti
xm
x
xm Dn vk (x) = k n (n) ( )
k
2 k
e quindi
xm
x
k mn (n)
||xm Dn vk (x)||L (R) = sup | k n (n) ( )| =
|| ||L (R) 0
k
2k
x[k,k] 2 k
per k .
Definizione 7.8.2 Si dice distribuzione temperata su Rn ogni funzionale lineare u : S(Rn ) C
che sia anche continuo nel senso di S, ossia
(vk v)( in S(Rn )) (hu, vk i hu, vi) .
Linsieme delle distribuzioni temperate si indica con S 0 (Rn ).
Ogni distribuzione temperata `e una distribuzione, ma non vale il viceversa. La distribuzione (x)
di Dirac `e una distribuzione temperata. Infatti se vk S v, in particolare, vk unif v. Inoltre ha
supporto compatto e quindi h, vk i = vk (0) v(0) = h, vi.
Ci si pu`o chiedere quando una funzione u L1loc `e una distribuzione temperata. Ci`o accade se la
funzione non cresce troppo rapidamente allinfinito. Per esempio
Esempio 7.8.1 La funzione ex non `e una distribuzione temperata su R.
Dimostrazione: Sia (x) una funzione in D(R) che vale identicamente 1 sullintervallo [0, 1] e sia
( x )
vk (x) = 2kk S(R). Allora
Z
Z k
1
1
x
hexp, vk i =
e vk (x) dx > k
ex dx = k (ek 1) +
2 0
2
R
216
`e ben definito.
Si pu`o facilmente verificare con calcoli analoghi a quelli fatti per il Lemma 7.6.1 che vale
Lemma 7.8.1 Siano f, g L1 (Rn ). Allora
Z
Z
f (x)g(x) dx =
Rn
f (x)
g (x) dx .
(7.31)
Rn
Dimostrazione: Infatti
Z
Z Z
ihx,yi
f (x)g(x) dx =
e
f (y) dy g(x) dx =
Rn
Rn
Rn
Z Z
Z
ihx,yi
=
e
g(x) dx f (y) dy =
f (y)
g (y) dy .
Rn
Rn
Rn
Lo scambio nellordine di integrazione `e giustificato dal fatto che f, g L1 (Rn ) e che quindi f, g
L (Rn ).
Se v S(Rn ), anche v S(Rn ), e se f L1 (Rn ), allora hf, vi = hf, vi. Questa osservazione ci
induce a dare la seguente
Definizione 7.8.3 Sia f S 0 (Rn ), cio`e sia una distribuzione temperata. Definiamo la trasformata
di Fourier di f grazie alla seguente identit`
a
hf, vi := hf, vi
v S(Rn ) .
Svolgimento: Si ha
vi = h, vi = v(0) =
h,
Z
1 v(x) dx .
v(x) dx =
R
(7.32)
217
Dunque
= 1 .
(7.33)
Svolgimento: Si ha
h
1, vi = h1, vi =
Z
v(x) dx = b
v(0) = (2)v(0) .
R
1 = 2(x)
x R.
(7.34)
Esercizio 7.8.1 Si verifichi che il prodotto della funzione x per la distribuzione P x1 `e la costante
1 in D0 (R).
Dimostrazione: Infatti
1
hx P , vi = lim
0
x
1
x v(x) dx =
x
|x|
Z
1 v(x) dx = h1, vi .
v(x) dx =
R
Si consideri allora il seguente
Esempio 7.8.4 Si calcoli la trasformata di Fourier della distribuzione P x1 .
Svolgimento: Poiche xP x1 = 1 la sua trasformata di Fourier `e 2(). Daltra parte F(xP x1 ) =
0
i F(P x1 ) (). Dunque
1 0
2
F(P ) () =
() .
(7.35)
x
i
Abbiamo gi`a calcolato che se H(x) `e la distribuzione di Heaviside su R, allora H 0 (x) = (x). Poiche
sign (x) = H(x) H(x), allora come facilmente si vede (sign (x))0 = 2(x). Dimostriamo inoltre
218
che se una distribuzione su R ha derivata nulla, allora essa `e una costante. Poiche consideriamo le
distribuzioni e non le funzioni derivabili, la dimostrazione di questo fatto `e un po pi`
u laboriosa.
Sia dunque u una distribuzione (anche temperata) tale che u0 = 0, ossia tale che per ogni v D(R)
sia hu0 , vi = 0. Ma 0 = hu0 , vi = hu, v 0 i. Ora v 0 `e ancora una funzione test, cio`e sta in D(R),
ma
R x ha integrale nullo. Se poi w(x) `e unarbitraria funzione test con integrale nullo, allora v(x) =
e una funzione test che `e la derivata di una funzione test con integrale nullo. Sia ora
w(t) dt `
v0 una funzione test che ha integrale 1, e si ponga k = hu,
R v0 i. Sia v(x) D(R) arbitraria, allora
w(x) = v(x) cv0 (x) ha integrale nullo se e Zsolo se c = R v(x) dx. Poiche w ha integrale nullo, si
ha hu, wi = 0 = hu, vi chu, v0 i = hu, vi k v(x) dx. Cio`e
R
Z
Z
hu, vi = k v(x) dx = hu, v0 i
v(x) dx = costante .
R
7.9
Interpolazione trigonometrica
yk = Tn (xk ) = c0 + c1 k + c2 k2 + . . . + cn1 k
2k
n
, k = 0, 1, 2, . . . , n 1, il
k = 0, 1, 2, . . . , n 1 ,
(7.37)
ha una ed una sola soluzione. Infatti il determinante del sistema lineare `e quello di Vandermonde
(n1)
1
.
.
.
0
0
(n1)
1
1
. . . 1
V (0 , 1 , . . . (n1) ) = .
(7.38)
..
.. 6= 0 .
..
..
.
.
.
(n1)
1
(n1) . . . (n1)
219
V (0 , 1 , . . . (n1) ) =
(m k ) ,
(7.39)
0k<m(n1)
e m 6= k se m 6= k.
2(nk)
2k
yk =
(n1)
ch kh
h=m
ch kh ,
h=0
m
X
cj eijx ,
n = 2m + 1 .
j=m
Si ricordi che k `e una radice n-esima dellunit`a in C, cio`e una soluzione dellequazione
n = 1 .
` pure ovvio che h = k , che h = h e che h k = hk `e ancora una radice dellunit`a. Ora
E
h
k
k
k
P
(n1)
n 1 = ( 1) h=0 h e se k `e una radice dellunit`a 6= 1 sar`a
(n1)
kh = 0
(k 6= 0)
m
X
ossia
h=0
kh
P(n1)
h=0
(n1)
(n1)
hwk , wr i =
X
h=0
(k 6= 0)
n = 2m + 1 .
(7.40)
h=m
kh
rh
; si ha
(n1)
kh
h
r
h=0
uh v h se u = (u0 , u1 , . . . , u(n1) e v =
(n1)
hkr
h=0
h
kr
= kr =
h=0
yk =
X
h=0
ch kh .
0
n
se k 6= r
. (7.41)
se k = r
P(n1)
h=0
1 = n.
220
(n1)
X
k=0
yk ks =
X X
k=0
(n1)
ch kh ks =
h=0
(n1)
ch
h=0
(n1)
k
hs
=
k=0
ch n h,s = n cs .
h=0
Dunque
(n1)
m
X
1 X
1
cs =
yk ks =
yk ks .
n
2m + 1
k=0
(7.42)
k=m
Lequazione 7.42 viene detta talvolta la trasformata discreta di Fourier mentre il problema inverso,
quello di valutare
(n1)
yk =
ch eihxk
k = 0, 1, . . . , (n 1)
(7.43)
h=0
si dice la sintesi di Fourier discreta. Tale operazione corrisponde alla antitrasformata di Fourier.
7.10
Teorema 7.10.1 Esiste un algoritmo (detto FFT) per mezzo del quale le trasformate e antitrasformate di Fourier discrete si possono calcolare per mezzo di 2n log2 (n) operazioni.
Dimostrazione: Consideriamo n = 2t . Poiche dobbiamo valutare somme del tipo
(n1)
(n1)
1 X
1 X
i 2ks
cs =
yk e n =
yk sk
n
n
k=0
con = ei n ,
k=0
scriveremo s e k in base 2:
3
J.W. Cooley and J.W. Tukey: An algorithm for the machine calculation of complex Fourier series, Math.
Comp., 19 (1965), 297 301. M.T. Heideman, D.H. Johnson e C.S. Burrus nel loro affascinate articolo (Gauss and
the history of the fast Fourier transform, IEEE ASSP Magazine, October (1984), 14 21) mettono in evidenza che
gi`
a Gauss aveva una forma generale di FFT fin dal 1805; i suoi risultati furono pubblicati postumi nel 1866. I primi
risultati pubblicati si debbono a Francesco Carlini (1828), un astronomo dellosservatorio di Brera a Milano, nella
sua ricerca sulle variazioni barometriche orarie.
221
1
1
1
X
X
X
1
t1
t2
. . .
cs = t
yk ko s2 k1 s2 . . . kt1 s .
2
kt1 =0
k1 =0
k0 =0
Ma
t1
t2
sk0 2
sk1 2
..
.
2 +...+s
t1 ,s )k 2t1
t1 2
h 0
= s0 k 0 2
2 +...+s
= s0 k1 2
2 +...+s
t1 ,s )k 2t2
t1 2
h 1
t1 ,s )k
t1 2
h t1
t1
t2 +s
t1
1 k1 2
t1
Dunque si ha
1
1
1
X
X
X
1
t1
t2
2
t1
. . .
cs = t
yk k0 s0 2 k1 (s0 +s1 2)2 . . . kt1 (s0 +s1 2+s2 2 +...+st1 2 ) (7.44)
.
2
kt1 =0
k1 =0
k0 =0
P1
S2 (s0 , s1 , . . . , kt1 ) =
2, . . . , t 1
..
.
P1
St (s0 , s1 , . . . , st1 ) =
0, 1 . . . , t 1 .
P1
t1
s0 k o 2
k1 =0 S1 (s0 , k1 , . . . , kt1 )
t1 )k
t1
, sp {0, 1}, p =
222
Capitolo 8
La trasformata di Laplace.
8.1
Una tecnica ben nota per risolvere unequazione differenziale ordinaria lineare omogenea a coefficienti costanti di ordine n del tipo
y (n) + an1 y (n1) + . . . + a1 y 0 + a0 y = 0
consiste nel considerare lequazione caratteristica associata
z n + an1 z n1 + . . . + a1 z + a0 = 0
e trovare tutti i suoi zeri complessi. Ad ogni radice dellequazione si fa poi corrispondere una
soluzione dellequazione differenziale di partenza e questo permette di ottenere una base per lo spazio
delle soluzioni. Dunque un problema differenziale viene tradotto in un problema squisitamente
algebrico e la soluzione ottenuta per via algebrica viene successivamente riconvertita nella soluzione
del problema originario. 1
Il passaggio dal problema differenziale a quello algebrico `e una trasformazione, cio`e un operatore che
trasforma equazioni differenziali in equazioni algebriche, incognite funzionali in incognite numeriche,
operazioni di derivazione e integrazione in operazioni algebriche.
Prendendo a prestito la terminologia usata nello studio delle reti elettriche diremo di trovarci nel
dominio del tempo (dominio t) quando abbiamo a che fare con il problema originale; le nostre
funzioni avranno in genere variabile indipendente t e si indicheranno con lettere minuscole del tipo
f (t). Diremo invece di trovarci nel dominio della frequenza (dominio s) quando abbiamo a che
fare con il problema trasformato; le nostre funzioni avranno in genere variabile indipendente s e si
indicheranno con lettere maiuscole del tipo F (s). Loperatore di trasformazione permette di passare
dal dominio t al dominio s.
1
Le note di questo capitolo sono state redatte dal Prof. Franco Obersnel, utilizzando in parte appunti dellautore.
223
224
Una volta in possesso della soluzione del problema trasformato sar`a poi necessario ritornare alla
soluzione originaria mediante loperazione inversa a quella di trasformazione: lantitrasformazione.
Questa sar`a un nuovo operatore che permette di passare dal dominio della frequenza al dominio
del tempo.
8.2
Per evitare complicazioni dovute allesistenza di funzioni patologiche (quali ad esempio la funzione
di Dirichlet: f (x) = 1 se x Q e f (x) = 0 altrimenti), tutte le funzioni che prenderemo in
considerazione si supporranno localmente integrabili su R. Gli integrali considerati si intendono
secondo Riemann.
Sia f : R C una funzione tale che f (t) = 0 per ogni t < 0. Sia s C. Diremo integrale di Laplace
lintegrale
Z
Z
st
e f (t)dt = lim
est f (t)dt.
(8.1)
+ 0
R
Sia A C linsieme dei numeri s per i qualiRlintegrale 0 est f (t)dt converge. Si pu`o allora definire
una funzione F : A C ponendo F (s) = 0 est f (t)dt; tale funzione F si dice la trasformata di
Laplace della funzione f .
La relazione f 7 F definisce un operatore L definito sullinsieme delle funzioni che ammettono
trasformata e a valori in un insieme di funzioni definite su sottoinsiemi di C. Si usa scrivere
L{f } = F .
` semplice verificare che L `e lineare, cio`e che L{af + bg} = aL{f } + bL{g}.
E
0
f (t) =
t2
e
se t < 0
se t 0
Lintegrale di Laplace di f diverge per ogni s, dunque non esiste la trasformata di tale funzione.
0 se t < 0
f (t) =
t
e
se t 0
Si ha F (s) =
R
0
est et dt =
1
s
225
se t < 0
0
f (t) =
t2
e
se t 0
Si ha F (s) =
R
0
Dagli esempi visti si osserva che non tutte le funzioni ammettono la trasformata di Laplace e che
in generale la trasformata, se esiste, pu`o non essere definita su tutto C. Diremo che una funzione
f `e traformabile se ammette la trasformata in almeno un punto s C.
Esempi importanti di funzioni trasformabili sono le funzioni di ordine esponenziale, cio`e funzioni f
tali che esiste una costante R tale che la funzione |f (t)|et sia limitata in R. Infatti, sia f di
ordine esponenziale e sia |f (t)|et M ; si ha
Z
Z
Z
st
(<(s))t
t
e f (t) dt =
e
e |f (t)|dt M
e(<(s))t dt
0
e lultimo integrale converge per <(s) > . Dunque la funzione est f (t) non solo `e integrabile su
[0, +) ma `e ivi addirittura assolutamente integrabile.
Si noti per`o che esistono anche funzioni trasformabili che non sono di ordine esponenziale. Un
esempio `e la funzione 1t . Questa funzione non `e di ordine esponenziale perche `e illimitata in 0, la
funzione `e per`
o trasformabile perch`e lordine di infinito nellorigine `e
1
2
Avvertiamo il lettore che alcuni autori considerano di ordine esponenziale le funzioni che verificano
una disuguaglianza del tipo |f (t)|et M non necessariamente per tutti i t R+ , ma soltanto
per ogni t > t0 dove t0 `e un numero reale fissato. Secondo questa definizione la funzione 1t risulta
essere di ordine esponenziale, ma risulta esserlo anche la funzione
1
t
Il teorema seguente mostra che se una funzione `e trasformabile, il dominio della trasformata `e un
semipiano di C.
Rt
0
t+
(8.2)
226
st
qt
f (t)dt =
[e
s0 t
T
Z t
s0 u
qt
e
f (u)du +
f (t)]dt = e
0
eqt (t)dt
e
0
st
f (t)dt = lim e
T +
qT
Z
(T ) + lim q
T +
eqt (t)dt.
Il primo addendo del secondo membro `e 0 per la 8.2, il secondo addendo converge perche la (t) `e
limitata eR quindi |eqt (t)| M e<(q)t dove M `e una limitazione per (t). Si ottiene in definitiva
+
F (s) = q 0 eqt (t)dt.
Poniamo A = {s C : F (s) `e definita }.
Sia 0 = inf{<(s) : s A}. Per ogni s C si ha che, se <(s) < 0 allora s 6 A; se <(s) > 0 allora
s A. Nulla si pu`
o dire in generale per gli s C tali che <(s) = 0 .
Diremo ascissa di convergenza il numero reale 0 .
Diremo semipiano di convergenza linsieme {s C : <(s) > 0 }.
Diremo infine retta di convergenza la retta <(s) = 0 .
Nellesempio 8.2.1 `e 0 = +, il semipiano di convergenza `e linsieme vuoto e la retta di convergenza
non `e definita.
Nellesempio 8.2.2 `e 0 = , il semipiano di convergenza `e il semipiano {s C : <(s) > } e la
retta di convergenza `e la retta di equazione <(s) = .
Nellesempio 8.2.3 `e 0 = , il semipiano di convergenza `e tutto il piano C e la retta di
convergenza non `e definita.
8.3
Alcuni autori richiedono che nellintegrale 8.1 vi sia non solo la convergenza ma anche la convergenza
assoluta. Nella definizione data lintegrale considerato `e lintegrale di Riemann, perci`o possono
esistere funzioni g(t) integrabili su [0, +) non assolutamente integrabili. Un esempio `e la funzione
g(t) = 1t sin t. Se nella definizione di trasformata si utilizza lintegrale di Lebesgue la questione
227
invece non si pone, poiche in questo caso una funzione g(t) risulta integrabile su [0, +) se e solo
se `e assolutamente integrabile.
Per questo motivo alcuni autori accettano come trasformabili soltanto funzioni f tali che |f | sia
traformabile. Nella definizione data in questo testo invece distinguiamo tra convergenza e assoluta
convergenza. In particolare si pu`
o definire lascissa di convergenza assoluta ass
come ass
=
0
0
inf{<(s) : F (s) `e definita e assolutamente convergente }.
Si ha sempre 0 ass
o per`
o accadere 0 < ass
0 , pu`
0 .
Esempio 8.3.1 Si consideri la funzione f (t) = ekt sin ekt con k > 0. Si ha in questo caso ass
=k
0
mentre 0 = 0.
poiche
|e(ks)t sin ekt | e(ks)t
c`e convergenza assoluta per <(s) > k. Daltra parte se s = k si ottiene
Z +
Z +
st kt
kt
|e e sin e |dt =
| sin ekt |dt
0
228
Tale funzione non `e assolutamente trasformabile. Infatti, fissato qualsiasi s R, per ogni t > s, si
ha
2
2
2
est 2tet | cos et | | cos et |
2
R +
2
2
Lintegrale 0 est sin(et ) dt converge per ogni s tale che <(s) > 0 perche la funzione sin(et ) `e
limitata e quindi la trasformata Lf `e definita per ogni s C tale che <(s) > 0. Si osservi che tutte
le funzioni di ordine esponenziale sono assolutamente trasformabili.
8.4
Propriet`
a delle trasformate.
Teorema 8.4.1 Sia fR una funzione trasformabile e sia 0 la sua ascissa di convergenza. Allora
+
lintegrale di Laplace 0 est f (t)dt converge uniformemente in ogni dominio angolare D(s0 , )
con <(s0 ) > 0 e 0 < < 2 .
` DELLE TRASFORMATE.
8.4. PROPRIETA
Z
M t
e
=
e(0 )t dt =
M
0
0
M 0 M
e
e .
=
229
0
Fissato > 0 si pu`
o prendere 0 , indipendente da s, tale che
M 0
e
< .
e(xiy)t f (t)dt =
test f (t)dt
x 0
0
e
Z T
Z T
e(xiy)t f (t)dt = i
test f (t)dt.
y 0
0
Inoltre la funzione ha parti reale e immaginaria differenziabili, perci`o si conclude che T `e analitica.
Grazie alla convergenza uniforme in A si ottiene che pure il limite limT + T `e una funzione
analitica.
La funzione trasformata `e pertanto derivabile infinite volte. Calcoliamo ora esplicitamente le derivate. Grazie alla convergenza uniforme si pu`o portare il segno di derivazione allinterno dellintegrale.
Si pu`o quindi scrivere
Z +
Z +
d
st
e f (t)dt =
test f (t)dt.
ds 0
0
230
R +
0
dk
F (s) = (1)k L{tk f (t)}.
dsk
(8.3)
Si `e dunque visto che ogni funzione trasformata `e analitica e ogni sua derivata `e anchessa una
trasformata. In particolare si osservi che unoperazione differenziale nel dominio della frequenza
corrisponde ad unoperazione algebrica nel dominio del tempo. Questa `e una situazione tipica nelle
trasformate.
Osserviamo di seguito unulteriore propriet`a delle trasformate.
<(s)+
F (s) = 0.
T1
|f (t)|dt < .
(8.4)
lim
T + 0
se <(s) > 0 . Grazie al teorema 8.4.2 sappiamo inoltre che, se f `e di tipo esponenziale, la convergenza `e uniforme rispetto a s. Quindi `e possibile trovare un numero T2 (indipendente da s)
abbastanza grande affinche
Z
(8.5)
T2
T1
T2
|f (t)|dt < .
T1
(8.6)
231
Possiamo scrivere
T1
Z
|F (s)| = |
st
T1
st
f (t)dt +
est f (t)dt| + |
T2
est f (t)dt|
T2
est f (t)dt| + |
est f (t)dt|.
T2
T1
f (t)dt +
T1
T2
Il terzo addendo `e maggiorato da per la 8.5. Lo stesso accade per il primo e il secondo addendo
grazie alle 8.4 e 8.6 essendo
T1
Z
|
st
e
Z
T2
T1
f (t)dt|
|f (t)|dt <
0
st
T1
T2
f (t)dt| e
T1
|f (t)|dt <
T1
<(s)+
Si noti in particolare che un polinomio non nullo non `e mai una trasformata.
8.5
In quanto segue supponiamo che f sia una funzione trasformabile con trasformata F e con ascissa
di convergenza f0 .
Sia C. Si consideri la funzione smorzata g1 (t) := et f (t). Si ha allora
L{et f (t)}(s) = F (s )
(8.7)
232
R +
0
est et f (t)dt =
R +
0
e(s)t f (t)dt = F (s ).
Inoltre la F `e definita in s se <(s ) > f0 e non `e ivi definita se <(s ) < f0 . Pertanto
g01 = f0 + <().
Sia ora a R, a > 0. Consideriamo la funzione traslata g2 (t) := f (t a). Si ricorda che noi
supponiamo sempre che la f sia nulla per t < 0, dunque g2 (t) = 0 se t < a. Si ha allora
L{f (t a)}(s) = eas F (s)
(8.8)
R +
a
est f (t a)dt =
R +
0
Sia infine R, > 0. Consideriamo la funzione ottenuta dal cambiamento di scala g3 (t) := f (t).
Si ha allora
L{f (t)}(s) =
1
s
F( )
(8.9)
R +
0
est f (t)dt =
s
R +
0
+
est dt = 1s est 0 =
1
s
per s > 0 e 0 = 0.
e u 1 f (u)du =
Si ha L{u}(s) =
R +
dk 1
k!
= k+1 .
k
ds s
s
1
s
F ( ).
233
1
.
s
= <().
In particolare, prendendo = i e = i, e potendo scrivere cos(t) = 12 (eit + eit ) si ottiene
1
1
s
1
L{cos(t)u(t)}(s) = (
.
+
)= 2
2 s i s + i
s + 2
In modo analogo si ottiene
L{sin(t)u(t)}(s) =
s2
.
+ 2
( + 1)
s+1
per ogni s tale che <(s) > 0 e per ogni tale che <() > 1. In particolare per N si riottiene
la formula dellesempio 8.5.2.
Sia f : R R una funzione nulla per t < 0 e periodica di periodo T > 0 sul semiasse positivo.
Poniamo
f (t) se t T
f (t) :=
.
0
se t > T
Supponiamo nota la trasformata F := L{f }, vogliamo determinare la trasformata di f .
Si ha f (t) = f (t) f (t)u(t T ) = f (t) f (t T ) e quindi, grazie alla formula del ritardo 8.8 si
ottiene F (s) = F (s) eT s F (s) = (1 eT s )F (s) e pertanto
F (s) =
1
F .
1 eT s
234
+
X
n=0
+
X
n=0
la trasformata del limite di una successione di funzioni pu`o non essere il limite della successione
delle trasformate. Ad esempio possiamo considerare la successione
1
gk (t) = k u(t) u(t ) .
k
s
Si ha chiaramente lim gk (t) = 0 per ogni t > 0 mentre Gk (s) = Lgk (t)(s) = ks 1 e k , e
k+
t2
+
X
(1)n
n=0
t2n
.
n!
1X
(2n)! 1
(1)n
,
s
n! s2n
n=0
`e una serie convergente per ogni t R ed esistono due costanti reali positive K e e un naturale
n
n0 tali che per ogni n n0 |an | K n! , allora per ogni s C con <(s) > si ha
Lf (t)(s) =
+
X
n=0
8.6
+
X
an n!
an Lt (s) =
.
sn+1
n
n=0
Lemma 8.6.1 Sia f una funzione trasformabile con ascissa di convergenza 0 . Sia 0 := max{0 , 0}.
Allora si ha
Z
T
lim esT
T +
f (t)dt = 0
0
235
R +
Dimostrazione. Supponiamo dapprima 0 < 0. Allora 0 = 0 e lintegrale 0 est f (t)dt converge
R +
RT
per s = 0, cio`e 0 f (t)dt `e convergente e quindi `e evidente che limT + esT 0 f (t)dt = 0.
Supponiamo ora 0 0. Allora 0 = 0 . Sia s C tale che <(s) > 0 . Esiste un numero reale
positivo 0 tale che 0 < 0 < <(s). La funzione F `e definita in 0 .
Poniamo
Z
(t) =
e0 u f (u)du.
Z
f (t)dt =
e0 t (t)
T
0
e0 t e0 t f (t)dt =
0
T
e0 t (t)dt = e0 T (T ) 0
e0 t (t)dt.
La funzione (t) `e limitata perche limt+ (t) = F (0 ). Sia M una sua maggiorazione. Si pu`
o
allora scrivere
Z
|
f (t)dt| e
0
0 T
e 0 t
M + 0 M
0
T
= 2M e0 T M 2M e0 T
Teorema 8.6.1 Sia f una funzione tale che f (t) = 0 per ogni t < 0. Supponiamo che f 0 (t) esista
per ogni t > 0 e che la funzione f 0 (t) sia trasformabile con ascissa di convergenza 0 (la funzione
f potrebbe non essere derivabile in t = 0). Allora anche la funzione f `e trasformabile e si ottiene
f (t) dt = lim
0
0+
236
Sia 0 lascissa di convergenza della funzione f 0 (t) e si ponga 0 := max{0 , 0} come nel lemma
precedente. Si ha, grazie al lemma, per <(s) > 0
Z T
sT
f 0 (t)dt = lim esT f (T ) f (0+ ) ,
0 = lim e
T +
T +
da cui
lim esT f (T ) = 0
(8.10)
T +
est f (t)dt =
= esT f (T ) f (0+ ) + s
est f (t)dt.
d
s2
2
cos t}(s) = sL{cos t}(s) 1 = 2
1
=
dt
s + 2
s2 + 2
d
ed essendo sin t = 1 dt
cos t si ottiene
L{
1
2
L{sin t} = ( 2
)= 2
.
2
s +
s + 2
237
et
0
se 0 t 1 .
altrimenti
et
0
se 0 < t < 1 .
altrimenti
f (t) =
Si ha
0
f (t) =
Osserviamo che f = f 0 quasi ovunque e quindi dobbiamo avere L{f } = L{f 0 }. Per la formula della
trasformata della derivata ci aspettiamo di avere L{f 0 } = sL{f } f (0+ ) = sF 1 6= F .
Il problema in questo esempio `e che la funzione f non `e derivabile su (0, +) perche c`e una
discontinuit`a in t = 1; il teorema non vale.
Se una funzione f presenta un salto in un punto t0 si pu`o provare che vale la formula
st0
L{f 0 }(s) = sL{f }(s) f (0+ ) [f (t+
0 ) f (t0 )]e
dove la quantit`
a tra parentesi quadre `e il salto della funzione nel punto t0 .
Questa formula si pu`
o generalizzare per derivate di ordine superiore, ad esempio
st0
0
st0
.
[f 0 (t+
s[f (t+
0 ) f (t0 )]e
0 ) f (t0 )]e
L{f 0 }(s) = s
1 e1s
1 e1s
1 [0 e]es =
= F (s)
s1
s1
come previsto.
8.7
Prodotto di convoluzione.
Si vede facilmente che il prodotto di convoluzione gode delle propriet`a associativa, commutativa
e distributiva rispetto alla somma.
238
RN
Noi siamo interessati a funzioni f e g definite su R e tali che f (t) = 0 e g(t) = 0 se t < 0. In questo
caso si pu`o scrivere
f ( )g(t )d =
f ( )g(t )d
0
Teorema 8.7.1 Siano f e g funzioni assolutamente trasformabili. Allora `e assolutamente trasformabile anche il loro prodotto di convoluzione f g e si ha
L{f g} = L{f }L{g}.
Dimostrazione. Nelle uguaglianze che seguono facciamo uso dei teoremi di Fubini-Tonelli. Tale uso
`e giustificato grazie allassoluta e uniforme convergenza degli integrali.
st
L{f g}(s) =
+ Z +
e
0
st
f ( )g(t ) d
e
0
Z
ZZ
f ( )g(t ) dt
+ Z +
d =
e
0
e
0
est f ( )g(t ) d dt =
dt =
Z
f ( ) d
s(u+ )
f ( )g(u) du d =
Lascissa di convergenza del prodotto f g `e certamente minore o uguale alla maggiore tra le ascisse
di convergenza di f e g. Pu`
o capitare per`o che sia strettamente minore di queste.
Esempio 8.7.1 Siano f (t) = et u(t) e g(t) = (1 t)u(t).
8.8. LANTITRASFORMATA.
239
Rt
Si ha f0 = 1 e g0 = 0. Daltra parte f g(t) = 0 e (1 t + )d = t. Dunque f0 g = 0 <
1
1 s1
max{f0 , g0 }. Si noti che L{f }(s) = s1
e L{g}(s) = s1
; pertanto L{f g}(s) = s1
= s12 `e
s2
s2
definita per s > 0.
Utilizzeremo la convoluzione per scoprire come si trasforma una primitiva di una funzione.
Teorema 8.7.2 Sia f una funzione trasformabile con trasformata F . Sia (t) :=
Rt
0
f ( )d . Allora
1
L{}(s) = F (s).
s
` sufficiente osservare che (t) = f u(t) e applicare il teorema 2.7.1.
Dimostrazione. E
8.8
Lantitrasformata.
Affrontiamo ora il problema del passaggio dal dominio della frequenza al dominio del tempo. Poiche
non `e completamente chiaro quale sia il dominio delloperatore L n`e quale sia la sua immagine, non
sembra facile la ricerca di un operatore inverso di L in senso stretto.
` inoltre evidente che loperatore L non `e iniettivo perche essendo un operatore integrale non pu`
E
o
distinguere tra funzioni che differiscono soltanto su un insieme di misura nulla.
Spesso viene usato il simbolo L1 come se fosse un operatore,
R senza precisare dominio e codominio.
La situazione ricorda luso del simbolo di integrale indefinito come operatore inverso delloperatore
di derivazione. Una scrittura del tipo L1 {F } = f si deve quindi intendere come f `e una delle
funzioni trasformabili tali che Lf = F .
Un enunciato del tipo L1 {G + H} = L1 {G} + L1 {H} `e da intendere nel modo seguente: se
Lf = F e F = G + H, allora esistono g e h trasformabili tali che Lg = G, Lh = H e g + h = f .
La dimostrazione dei teoremi seguenti si pu`o dare utilizzando le trasformate di Fourier. Il problema della ricerca dellantitrasformata di Fourier `e di pi`
u facile risoluzione che quello della ricerca
dellantitrasformata di Laplace.
Teorema 8.8.1 Siano f e g due funzioni trasformabili tali che Lf = Lg. Allora f (t) = g(t) per
quasi ogni t R.
In particolare due funzioni continue hanno la stessa trasformata di Laplace se e soltanto se sono
uguali (dunque loperatore L ristretto alle funzioni continue `e iniettivo).
Esiste anche una formula che ci permette di risalire alla funzione f , nota la sua trasformata F .
240
Teorema 8.8.2 (Formula di Bromwich-Mellin o di Riemann-Fourier). Sia f una funzione trasformabile con trasformata F e ascissa di convergenza 0 . Detto un qualsiasi numero reale tale
che > 0 vale
1
f (t) =
lim
2i +
+i
est F (s)ds
1
1
[f (t+ ) + f (t )] =
lim
2
2i +
+i
est F (s)ds.
Per utilizzare la formula di Riemann-Fourier `e necessario integrare una funzione nel campo complesso lungo la retta verticale di equazione x = nel piano di Gauss. Tale retta prende il nome di
retta di Bromwich. Si noti che la formula non dipende dal valore di purch`e sia > 0 .
+i
est
ds.
s
La funzione es (nella variabile s) `e olomorfa in una regione discosta dallorigine. Per il teorema di
st
Cauchy lintegrale della funzione es lungo una curva chiusa che non contiene lorigine `e nullo.
Consideriamo il circuito rappresentato in figura.
Sia fissato. Sia R il raggio di un cerchio di centro lorigine e passante per i punti i e + i.
Sia larco di cerchio Rei di estremi i punti i e + i.
Lintegrale calcolato lungo la retta di Bromwich sar`a dunque uguale allopposto dellintegrale lungo
la curva .
Se mostriamo che lintegrale della funzione
R +i est
i s ds = 0.
est
s
8.8. LANTITRASFORMATA.
241
Im(z)
iR
+i
-iR
Re(z)
l(R)
R ,
eRt(cos +i sin )
Riei d
Rei
242
eRt cos d.
Rt sin
Z
d = 2
Rt sin
Z
d 2
2Rt
d =
Rt
(e 1).
Rt
Supponiamo ora t > 0. Per il teorema dei residui si ha che lintegrale della funzione es su un
circuito contenente lorigine `e pari a 2i moltiplicato per il residuo nellorigine, che `e uguale a
1. Consideriamo il circuito seguente (si faccia riferimento alla figura precedente). Come nel caso
precedente sceglieremo R in modo che il circolo di raggio R e di centro lorigine passi per i punti
i e + i. Questa volta per`
o considereremo larco del cerchio che si trova alla sinistra della
retta di Bromwich. Indicando come in precedenza con langolo compreso tra lasse immaginario
e la retta che congiunge lorigine con il punto + i, considereremo larco di cerchio Rei , con
3
2 2 + .
Anche in questo caso si vede facilmente che `e nullo il contributo dato dai due archi di cerchio Rei
che congiungono i punti i a iR e + i a iR rispettivamente.
Infatti come prima si osserva che la lunghezza l(R) dei due archi `e limitata, ed essendo <(s) e
t > 0, il modulo dellintegrale
Z
est
ds
arco(+i,Ri) s
t
eRt(cos +i sin )
Riei d
Rei
si maggiora con
3
eRt cos d =
eRt sin d
2.
In modo simile a quanto fatto per il caso t < 0 si osserva che questultimo integrale tende a 0 per
R +.
243
Concludiamo
R +i st dunque che lunico contributo non nullo allintegrale sul circuito chiuso `e quello dato
da i es ds che pertanto risulta essere uguale a 2i. Dividendo per 2i come richiesto dalla
formula si ottiene in definitiva
f (t) =
1
lim
2i +
+i
n
est
0 se t < 0
.
ds =
1 se t > 0
s
Dunque f (t) = u(t) come previsto. Si noti che per t = 0 la formula fornisce
1
f (0) =
lim
2i +
+i
1
1
ds =
s
2i
i d =
1
2
8.9
1 5s
.
s+9 e
2
.
s2 +9
s2 + 2
3s+1
.
s2 +4
e scrivendo F (s) =
2 3
3 s2 +32
si
244
s
Scriviamo F (s) = 3 s2 +2
2 +
1 2
2 s2 +22
` possibile calcolare lantitrasformata di una qualsiasi funzione razionale del tipo F (s) = N (s) ,
E
D(s)
dove il grado del numeratore N `e strettamente inferiore al grado del denominatore D, utilizzando
la decomposizione in frazioni semplici. Siano 1 , 2 , . . . n gli zeri di D e siano k1 , k2 , . . . kn le
rispettive molteplicit`
a. Esistono allora dei coeficienti A11 , A21 , . . . , Ak11 , A12 , A22 , . . . , . . . , A1n , . . . , Aknn
A1
A2
k1
A1
kn
An
An
tali che F (s) = (s1 1 ) + (s11 )2 + . . . + (s1 )k1 + (s2 2 ) + . . . + (s
+ . . . + (s
k . Il calcolo
n)
n) n
1
dellantitrasformata della funzione F si riduce quindi al calcolo dellantitrasformata dei singoli
addendi.
k!
sk+1
perci`o lantitrasformata di
1
(s)n
`e
1
tn1 et u(t).
(n 1)!
In definitiva lantitrasformata della funzione F si potr`a scrivere come
ki
n X
X
i=1 j=1
Aji
tj1 ei t .
(j 1)!
1
.
s(s+6)2
(8.11)
da cui si ricava A =
1
36 , B
A+B =0
12A + 6B + C = 0
36A = 1
1
= 36
, C = 16 .
s
s
+C
.
s+6
(s + 6)2
Si avr`a allora
A = lim sF (s)
s0
1
36 .
245
(s + 6)2
+ B(s + 6) + C.
s
Si avr`a allora
C = lim (s + 6)2 F (s)
s6
e quindi C = 16 . Per ottenere B dobbiamo calcolare la derivata della funzione (s + 6)2 F (s). Si
avr`a allora
d
(s + 6)2 F (s) = (s + 6)[. . .] + B
ds
e quindi
B = lim
s6
d
(s + 6)2 F (s),
ds
1
.
nel nostro caso B = 36
In generale sia i una radice di molteplicit`a ki . Per determinare i coefficienti Aki i , Aki 1 ,. . ., Aki j ,
. . ., Aki (ki 1) = A1 rispettivamente relativi alle frazioni (s1 )ki , (s1)ki 1 , . . ., (s1)ki j , . . .,
i
1
(si )
d
[(s i )ki F (s)];
si ds
...;
j
1
d
Aki i j =
lim
[(s i )ki F (s)];
j! si dsj
...;
ki 1
d
1
lim
A1i =
[(s i )ki F (s)].
(ki 1)! si dski 1
Aki i 1 = lim
(8.12)
s1
.
(s2 +1)2
Si pu`o scrivere
F (s) =
A
B
C
D
+
+
+
.
2
s i (s i)
s + i (s + i)2
246
Vale una versione della formula di Heaviside anche nel caso in cui gli zeri abbiano molteplicit`
a
maggiore di uno, ma la sua applicazione non `e molto agevole. In questo caso la formula diventa
!
k
X
f (t) =
R F (s)est ; i u(t).
i=1
8.10
247
Sia dato un problema di Cauchy relativo ad unequazione differenziale ordinaria lineare di ordine
n a coefficienti costanti, con punto iniziale in 0. Tale problema si pu`o scrivere come
(n)
y (t) + cn1 y (n1) (t) + . . . + c0 y(t) = f (t)
y(0) = y0
0
y (0) = y1
.
(n1)
y
(0) = yn1
Applichiamo loperatore di Laplace allequazione
y (n) (t) + cn1 y (n1) (t) + . . . + c0 y(t) = f (t).
Otteniamo, grazie al corollario 2.6.1 e usando le condizioni iniziali,
sn Y (s) sn1 y0 sn2 y1 . . . yn1 +
+cn1 [sn1 Y (s) sn2 y0 . . . yn2 ] + . . . + c0 Y (s) = F (s).
Poniamo
R2 (s) =
sn
+ cn1
sn1
1
+ . . . + c1 s + c0
e
R1 (s) = R2 (s)[y0 (sn1 + cn1 sn2 + cn2 sn3 + . . . + c1 )+
+y1 (sn2 + cn1 sn3 + . . . + c2 ) + . . . + yn2 (s + cn1 ) + yn1 ].
Si ottiene allora
Y (s) = R1 (s) + F (s)R2 (s).
Per ottenere la soluzione del problema possiamo antitrasformare. Poiche R1 e R2 sono funzioni
razionali in cui il denominatore ha sempre grado maggiore del numeratore, possiamo calcolare
le antitrasformate r1 e r2 . Ricordando inoltre il teorema 8.7.1 sulla trasformata del prodotto di
convoluzione si potr`
a scrivere
248
Esempio 8.10.1
00
x + 3x0 + 2x = et
x(0) = 0
0
x (0) = 1
Trasformando si ottiene
s2 X 0 1 + 3(sX 0) + 2X =
e quindi X =
(s2
1
s1
s
. Decomponendo in frazioni semplici si ottiene
+ 3s + 2)(s 1)
X=
e antitrasformando si ha
2 1
1 1
1 1
+
6s1 3s+2 2s+1
1
2
1
x = et e2t + et .
6
3
2
Naturalmente un problema di questo tipo pu`o essere risolto in modo molto semplice considerando
lequazione caratteristica associata allequazione, trovando le soluzioni dellequazione omogenea e
infine una soluzione particolare dellequazione completa. Se per`o il termine noto f (x) non `e una
funzione continua, tali tecniche non sono utilizzabili.
0
f (t) = 1
1
si risolva il problema
00
x + x = f
x(0) = 0
0
x (0) = 0
La funzione f si pu`
o scrivere utilizzando la funzione di Heaviside come f (t) = u(t) 2u(t 1) +
1
u(t 2). Calcoliamo R2 (s) = 1+s
e r2 (t) = sin t. Poiche le condizioni
2 . La sua antitrasformata `
iniziali sono nulle la soluzione del problema `e la risposta forzata x(t) = r2 f (t) = sin t f (t).
Otteniamo allora
Z
t
f (t ) sin d =
x(t) =
0
249
t2
sin d
u(t 2) =
In modo simile si possono risolvere anche sistemi lineari del tipo x0 = Ax + f , dove x `e un vettore
(colonna) di Rn , A `e una matrice n n e f `e una funzione vettoriale in n componenti. Un tale
problema pu`
o sempre essere ricondotto ad un problema in ununica equazione di ordine n, ma pu`
o
anche essere risolto direttamente.
Esempio 8.10.3
0
x = 2y
0
y = 4x 2y
x(0)
=1
y(0) = 0
X =
s+2
+ 2s 8
Y =
2
s + 2s 8
s2
(t )y( )d
y(t) = cos t +
0
per t > 0.
s
1
+ Y (s)
1 + s2 s2
250
da cui
Y (s) =
s3
(s2 1)(s2 + 1)
e quindi
1
Y (s) =
4
e in definitiva
y(t) =
8.11
1
1
1
1
+
+
+
s1 s+1 si s+i
1 t
1
e t + et + eit + eit u(t) = (cosh t + cos t)u(t).
4
2
Consideriamo un circuito elettrico nel quale sono inseriti, in serie, una resistenza R, una capacit`
a
C, uninduttanza L, una forza elettromotrice V e un interruttore. Indichiamo con i(t) la corrente
che percorre il circuito e con q(t) la carica del condensatore allistante t. Consideriamo come istante
iniziale t0 = 0 listante in cui viene chiuso linterruttore e indichiamo con q0 la carica iniziale del
condensatore. Avremo allora
q(t) = q0 +
i( ) d.
0
Lequazione di equilibrio `e
1
di
+ Ri + q(t) = v(t) t > 0
dt
C
i( )d +
0
q0
= v(t) t > 0.
C
(8.13)
Supponiamo di voler calcolare la corrente i(t). Se la tensione v(t) `e una funzione differenziabile
lequazione 8.13 pu`
o essere differenziata a membro a membro e si ottiene unequazione differenziale
ordinaria del secondo ordine
1
x = v0.
C
Spesso accade per`
o che la funzione v non sia neppure continua; in questo caso si pu`o applicare
direttamente loperatore di Laplace allequazione integrodifferenziale 8.13. Poiche i(0+ ) = 0 e
ricordando il teorema 8.7.2 si ottiene
Lx00 + Rx0 +
sLI(s) + RI(s) +
1
1
I(s) +
q0 = V (s),
sC
sC
251
da cui
I(s) =
La quantit`a T (s) =
1
1
sL+R+ sC
V (s)
sL + R +
1
sC
q0
sC(sL + R +
1 .
sC )
q0
T (s).
sC
(8.14)
Supponiamo ora di conoscere la corrente e di voler calcolare la tensione. Dalla 8.14 si ottiene
V (s) =
1
q0
I(s) +
.
T (s)
sC
1
T (s)
= sL + R +
1
sC
si chiama impedenza
Esempio 8.11.1 Determinare la corrente che percorre un circuito RLC nel quale R = 2, C =
1
2t .
17 F, L = 1H, q0 = 0, v(t) = e
1
sL + R +
1
s+2
1
sC
s2
s
.
+ 2s + 17
A
B
C
+
+
.
s + 2 s + 1 4i s + 1 + 4i
2 1
15
1
+
i
+
17 s + 2
136 s + 1 4i
15
1
1
1
1
1
i
+
+
136 s + 1 + 4i 17 s + 1 4i 17 s + 1 + 4i
e antitrasformando
i(t) = (
2 2t 15 t
2
e
+ e sin 4t + et cos 4t)u(t).
17
68
17
Un altro metodo per ottenere lo stesso risultato `e quello di utilizzare il teorema sul prodotto di
convoluzione. Si ha infatti
i = L1 {T } v.
252
s
4
s
s+1
1
=
=
s2 + 2s + 17
(s + 1)2 + 16
(s + 1)2 + 16 4 (s + 1)2 + 16
e pertanto
1
L1 {T }(t) = et cos 4t et sin 4t.
4
Otteniamo infine
Z
i(t) =
0
= (
8.12
1
(e cos 4 e sin 4 )e2(t ) d =
4
2 2t
1
1
2
e
+ ( )et sin 4t + et cos 4t)u(t).
17
4 34
17
La trasformata di Laplace `e uno strumento molto utile anche nello studio delle equazioni alle
derivate parziali. Considereremo funzioni in due variabili del tipo f (x, t), definite su opportuni
sottoinsiemi R2 del tipo = A R. Le funzioni si supporranno sempre nulle per ogni valore
di x se t < 0. In questo modo sar`
a possibile considerare la trasformazione
R + rispetto alla variabile t,
considerando x come un parametro. Si avr`a dunque L{f (x, t)}(x, s) = 0 est f (x, t) dt = F (x, s).
Per quanto riguarda le derivate si avr`
a
L{
mentre
f
L{ }(s) =
x
e
0
f
}(s) = sF (x, s) f (x, 0+ ),
t
st f (x, t)
dt =
x
est f (x, t) dt =
F (x, s).
x
Naturalmente si `e implicitamente supposto che sia lecito il passaggio del segno di derivata fuori dal
segno integrale.
Vediamo un semplice esempio.
u
u
=
;
x
t
+
u(x, 0 ) = x;
u(0, t) = t.
(8.15)
Si vuole cio`e trovare una funzione u(x, t) definita su un opportuno dominio di R2 , che soddisfa
u
u
lequazione
=
, soddisfa la condizione iniziale lim u(x, t) = x per ogni x, e soddisfa la
x
t
t0+
condizione al contorno u(0, t) = t per ogni t. Applicando loperatore di Laplace allequazione si
ottiene lequazione trasformata:
253
U
(x, s) = sU (x, s) u(x, 0+ ).
x
Questa `e unequazione differenziale ordinaria lineare del primo ordine nella variabile x, nella quale
s appare come parametro; la condizione iniziale impone u(x, 0+ ) = x, dunque si ottiene lequazione
dU
(x) = sU (x) x,
dx
che ha per soluzione la famiglia di funzioni
U (x) = cesx +
1
x
+ .
s s2
Il parametro c `e costante rispetto a x, ma pu`o ben dipendere da s. Le funzioni che otteniamo sono
dunque del tipo
1
x
U (x, s) = c(s)esx + + 2 .
s s
La condizione u(0, t) = t, trasformata, diventa U (0, s) =
antitrasformando u(x, t) = x + t.
1
,
s2
x
s
1
s2
Vediamo ora un esempio di applicazione delle traformate di Laplace allequazione della corda
vibrante.
y = a2 y
x > 0, t > 0;
t2
x2
y(x, 0 ) = 0;
y
(x, 0+ ) = 0;
y(0, t) = f (t)
(f (0) = 0);
lim y(x, t) = 0.
(8.16)
x+
Lequazione rappresenta il moto lungo lasse y y(x, t) di un punto di una corda di posizione x al
tempo t, corda inizialmente ferma lungo lasse x nella quale viene mosso lestremo sinistro secondo
landamento f (t). Il parametro reale positivo a rappresenta
q la radice quadrata del rapporto tra la
tensione della corda e la densit`
a lineare della massa a =
T
.
254
Y (x, s) = c1 e a x + c2 (s)e a x .
Imponendo le condizioni al contorno si ottiene la soluzione
x
Y (x, s) = F (s)e a s .
Antitrasformando, tenendo presente la formula della funzione traslata 8.8, si ottiene
x
x
y(x, t) = f t
u t
.
a
a
La soluzione ci dice che la corda resta ferma nel tempo x per un tempo pari a xa , dopodiche esibisce
nel punto lo stesso moto che viene impresso nellestremo sinistro della corda.
u 2 u
2 =0
x
t
u(x, 0) = 0
u(0, t) = (t)
lim u(x, t) = 0.
x+
2 U (x, s)
sU
(x,
s)
=0
x2
U (0, s) = (s)
lim U (x, s) = 0
x+
y(x) = ae
sx
+ be
sx
255
sx
}(t).
1
f (t) =
est e sx ds.
lim
2i + ki
sx .
Ricordando la formula di
i
i
un taglio nel semiasse reale negativo. Avremo allora s = e 2 se s = e . Consideriamo un
circuito che comprende il segmento [k iR, k + iR], larchetto di raccordo S1 , larco di cerchio nel
secondo quadrante CR1 = {Rei : 2 < }, il segmento lungo il taglio nel secondo quadrante
1 = [R, ], il circoletto di raggio C = {ei : > > }, il segmento lungo il taglio nel
terzo quadrante [, R], larco di cerchio nel terzo quadrante CR2 = {Rei : < 2 },
larchetto di raccordo S2 .
Im(z)
CR1
1
S1 k+iR
Re(z)
2
CR2
S2 kiR
t
2 , una quantit`
ha <(s) e <( s) 22 . Pertanto il modulo di estx s si maggiora con e
a
infinitesima per +. Lintegrale calcolato nel circoletto C `e invece infinitesimo per 0+
essendo
Z
ee
lim
0+
i t
e i
x
2
iei d = 0.
256
Lungo gli archi CR1 e CR2 il contributo `e pure infinitesimo per R +. Vediamo ad esempio il
caso t > 0 sullarco CR1 . Il modulo della funzione integranda sul cerchio CR1 si pu`o scrivere nella
et cos
x cos
t 1
. Se invece
3
4
t cos x cos
x
2
,e
2
2 .
Dunque
}. Perci`
o il
ept ei
px
s=
dp.
ept ei
px
dp.
Dunque
1
lim
2i +
1
=
k+i
st sx
e e
ki
e
0
pt
1
ds =
2i
Z
pt i px
Z
dp
pt i px
1
1 ipx
e
ei px dp =
2i
e mediante la sostituzione p = u2
=
ueu t sin(ux)du.
dp =
257
dI 2t
2t
I 2 = I
dx x
x
da cui
1 dI
1
x
=
I dx
x 2t
e integrando
x2
I(x, t) = A(t)xe 4t .
Per determinare A(t) osserviamo che
x2
x2
dI
x
= A(t)e 4t + A(t)x( )e 4t
dx
2t
e quindi
dI
dx (0, t)
u2 eu t cos(ux)du
e per x = 0
Z +
dI
2
(0, t) =
u2 eu t du =
dx
0
Z +
h u
i
+
1 u2 t
2
= eu t
+
e
du =
2t
2t
0
4t t
0
cio`e A(t) =
4t t
Si ottiene allora
x2
I(x, t) = xe 4t .
4t t
x2
x
f (t) = 3 e 4t
2 t 2
8.13
In molti casi `e difficile o addirittura impossibile calcolare esplicitamente la trasformata o lantitrasformata di una funzione assegnata. Risulta quindi molto utile poter studiare alcune propriet`
a
della funzione trasformata F utilizzando la conoscenza della funzione f o, viceversa, poter studiare
alcune propriet`
a della funzione f utilizzando propriet`a note della funzione trasformata F , senza
ricorrere al calcolo esplicito delle funzioni che interessano. Un teorema che ci d`a informazioni sulla
funzione trasformata F , assumendo note le propriet`a della funzione f si dice teorema abeliano.
Un teorema che ci d`
a informazioni sulla funzione f , assumendo note le propriet`a della funzione
trasformata F si dice teorema tauberiano.
258
Teorema 8.13.1 Sia f una funzione trasformabile e supponiamo che esista lim f (t); allora esiste
t
s0+
Se esiste lim f (t) allora esiste anche il lim sF (s) e vale (con s R)
s+
t0+
s+
t0+
s0+
s0+
=
0
s0+
s0+
da cui la tesi, purche si possa giustificare il passaggio del limite sotto il segno integrale. Per fare
ci`o ricorreremo al teorema della convergenza dominata di Lebesgue. Sia 0 lascissa di assoluta
convergenza della f 0 . Sia > 0 e si ponga g(t) = et |f 0 (t)|. Poich`e la funzione f 0 `e assolutamente trasformabile la funzione g(t) `e integrabile su [, +] e domina la funzione est f 0 (t) (cio`e
|est f 0 (t)| g(t) se s ). Per il teorema di convergenza dominata di Lebesgue si pu`o portare il
segno di limite allinterno del segno integrale.
Supponiamo ora che esista lim f (t). Sempre nellipotesi semplificata si avr`a
t0+
s+
t0+
8.14. ESERCIZI
259
Il teorema 8.13.1 ci permette tra laltro di calcolare lim f (t) e lim f (t) utilizzando le trasformate
t+
t0+
se `e noto che tali limiti esistono. Questo pu`o essere molto importante se ad esempio la funzione f
`e la soluzione di un equazione differenziale. Si noti per`o che la conoscenza a priori dellesistenza
del limite `e essenziale. Ad esempio si consideri la funzione f (t) = sen t. La trasformata di f `e
F (s) = s21+1 e quindi lim sF (s) = 0, mentre non esiste lim f (t).
t+
s0+
tanh s
.
s(s2 +1)
Poiche supponiamo esistenti f (0+ ) e f 0 (0+ ) si pu`o applicare il Teorema 8.13.1. Si ha allora
tanh s
= 0.
s+ (s2 + 1)
t0+
Inoltre Lf 0 = sF f (0) =
tanh s
,
(s2 +1)
s+
pertanto
t0+
s+
s+
s tanh s
= 0.
(s2 + 1)
8.14
Esercizi
f (t) = t 2 .
(Sol.
s .)
1
1
s 1es .)
260
a
2a
4a
1
s2
tanh 2s ).
a
a
(Sol. f (t) = 3a12 eat e 2 t cos( a2 3t) + 3e 2 t sin( a2 3t) u(t).)
Esercizio 8.14.6 Si calcoli lantitrasformata della funzione
F (s) =
eas
s2
con a R.
s2 + 3
.
(s2 + 2s + 2)2
(Sol. f (t) = et t( 32 cos t sin t) + 52 sin t u(t).)
Esercizio 8.14.8 Si calcoli lantitrasformata della funzione
1
F (s) = arctan( ).
s
(Sol. f (t) =
sin t
t u(t).)
8.14. ESERCIZI
261
s2 + 1
.
(s + 2)(s 3)
2et
R t
0
1
.
(s 1) s
eu du).
s(1 + e3s )
s2 + 2
s(1 + e3s )
.
(1 e3s )(s2 + 2 )
1
50 ((5t
1
16 (sin 2t
2t cos 2t)u(t).)
Rt
0 [1
(1 + t u)e(tu) ]f (u)du.)
262
t2
2
u(t).)
x(o) = y(0) = 0
(Sol. x(t) = ( 41 e3t + 21 te3t + 41 et )u(t); y(t) = ( 41 e3t 12 te3t + 41 et )u(t).)
Negli esercizi che seguono si chiede di risolvere un circuito di equazione
di
1
+ Ri + q(t) = e(t);
dt
C
i(0) = 0
con q(0) = 0.
Esercizio 8.14.17 L = 1, R = 0, C = 104 ;
100
e(t) =
0
se 0 t < 2
.
se t 2
1
50 [(1
Esercizio 8.14.19 Una massa di peso unitario `e attaccata ad una molla leggera che viene tesa di
1 metro da una forza di 4 kg. La massa `e inizialmente a riposo nella sua posizione di equilibrio.
Allistante t = 0 una forza esterna f (t) = cos(2t) viene applicata alla massa, ma al tempo t = 2
la forza viene spenta istantaneamente. Si trovi la funzione posizione x(t) della massa. (Il problema
si traduce nellequazione x00 + 4x = f (t); x(0) = x0 (0) = 0).
(Sol. x(t) = 41 t(sin 2t)u(t) se t < 2 e x(t) =
sin 2t se t 2.)
Capitolo 9
Soluzione
eiz
(z 2 +4)(z 2 +1)
eiz
.
z 4 +5z 2 +4
Rei
CR = {z =
: 0 }, cio`e il segmento che va da R a +R seguito dalla semicirconferenza
che sta nel semipiano superiore di raggio R. Se R > 2 il cammino
R racchiude i due poli semplici
in z = i e z = 2i. Inoltre, in base al lemma di Jordan, limR CR f (z) dz = 0. Dunque, per il
teorema dei residui
Z
f (z) dz = 2i{Res(f, i) + Res(f, 2i)} .
R
2i(16+10) .
eiz0
.
4z03 +10z0
Perci`o Res(f, i) =
e1
i(4+10)
e Res(f, 2i) =
Abbiamo dunque
Z
f (z) dz = 2i{
R
e1
e2
e1 e2
+
} = 2{
}.
i6
12i
6
12
R
R + ix
R + (cos x+isen x) dx
Prendendo il limite per R , si ha limR R f (z) dz = x4 e+5xdx
=
2 +4 =
4 +5x2 +4
R + x sen
R + cos x dx
x dx
2 0
. Infatti si `e tenuto conto che, per ragioni di simmetria, lintegrale x4 +5x2 +4 = 0
x4 +5x2 +4
263
264
CAPITOLO 9. ALCUNI ESERCIZI DEL TIPO DATO AGLI ESAMI
R +
R + cos x dx
x dx
e x4cos
=
2
. Infatti sen x `e funzione dispari, cos x e x4 + 5x2 + 4 sono
2
0
+5x +4
x4 +5x2 +4
funzioni pari. Il risultato `e quello sopra riportato. NB. NON si pu`o considerare la funzione
R
eiz +eiz
cos z
eiz
f (z) = z 4 +5z
. Mentre limR CR z 4 +5z
2 +4 infatti cos z =
2 +4 = 0 per il lemma di Jordan,
2
R
iz
e
ci`o NON `e vero per limR CR z 4 +5z
2 +4 .
Esercizio 9.1.2 Utilizzando il metodo dei residui si calcoli
Z
x sen (mx)
dx
m>0
2
2
(x + 1)
3x3 + x2 1
.
(x + 1)2 (x 2)
265
x2 + 1
.
(x 1)(x + 1)(x + 2)
9.2
serie di Fourier
X
n=0
1
.
(2n + 1)4
X
(1)n+1
n=1
n2
Esercizio 9.2.3 Si sviluppi in serie di Fourier la funzione f (x) = 0 per 0 x < e f (x) = x
per < x 0.
2x
se 0 x < .
266
X
n=0
1
.
(2n + 1)2
X
n=1
9.3
1
.
(2n 1)2
Trasformate di Fourier
Esercizio 9.3.1 Si calcoli la trasformata di Fourier di f (x) = x2 e2x u(x) , (dove u(x) `e la funzione
gradino). Si valutino di conseguenza le trasformate di f 0 (x) e di f ( x3 ).
1
. Si valutino di conseguenza
x2 + 4
x2
1
. Si valutino di conseguenza
+2
x2
1
. Si valutino di conse+x+1
1
. Si valutino di consex2 + 2x + 5
Esercizio 9.3.6 Si calcoli la trasformata di Fourier di f (x) = sign (x) e|x| . Si valutino di
conseguenza le trasformate di eix f (x) e di f (x + 1). (sign (x) `e la funzione segno: vale 1 se x > 0
e -1 se x < 0).
Esercizio 9.3.7 Si calcoli la trasformata di Fourier della seguente funzione
1
f (x) = [ 1 , 1 ] ( |x|) .
2 2
2
267
9.4
268
Bibliografia
Quella che segue `e una breve lista dei libri consultati per preparare le presenti note.
Bibliografia
[1]
[2]
G. Bagnera, Lezioni sopra la teoria delle funzioni analitiche, Sanpaolesi, Roma (1927).
[3]
[4]
Churchill R.V. Fourier Series and Boundary Value Problems, International Student Edition,
McGraw-Hill Book Company, Inc., New York, San Francisco, Toronto, London e Kogakusha
Company, ltd, Tokyo (1963).
[5]
[6]
[7]
[8]
R. Courant e K. O. Friedrichs, Supersonic flow and shock waves, Interscience Publ., New
York (1948).
[9]
[10]
B. Friedman, Principle and technics of applied mathematics, John Wiley & Sons, New York
(1965).
[11]
[12]
[13]
E. Hille, Analytic function theory, Blaidswell, Voll. I e II, New York (1963).
[1] Jean-Pierre Kahane e Ytzhak Katznelson, Sur les ensembles de divergence des series
trigonometriques, Studia Mathematica, XXVI, (1966), 305.
[14]
Ytzhak Katznelson, Sur les ensembles de divergence des series trigonometriques, Studia
Mathematica, XXVI, (1966), 301.
[15]
T. W. K
orner, Fourier Analysis, Cambridge University Press (1993).
[16]
I. G. Petrovsky, Lectures on partial differential equations, Interscience Publ., New York (1964).
269
270
BIBLIOGRAFIA
[17]
Rudin W. Functional Analysis, 2nd ed. (International Series on Pure and Applied
Mathematics) McGraw-Hill Inc., New York (1991).
[18]
[19]
G. Sansone, Lezioni sulla teoria di una variabile complessa, Voll. I e II, Cedam, Padova
(1955).
[20]
[21]
A. Sommerfeld, Partial differential equations in physics, Academic Press Publ., New York
(1949).
[22]
Tran Duc Van, Mikio Tsuji, Nguyen Duy Thai Son, The characteristic method and its generalizations for first-order nonlinear partial differential equations, Chapman& Hall/CRC, Boca
Raton (2000).
[23]
[24]
[25]
Weinberger H.F. A first cours in Partial Differential Equations, John Wiley & Sons, New
York (1965).
[26]
E.T. Whittaker e G.N. Watson, A course of modern analysis, Cambridge University Press,
Cambridge (1962).